The Forest

di aurora giacomini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** 26 ***
Capitolo 27: *** 27 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


 

13 Ottobre 2018

 


The Forest






Parte Prima




 

 

Introduzione:


 

Un gruppo di ricercatori, scortati da due ex soldati delle forze speciali, vengono inviati in una regione sperduta tra alberi, montagne e neve, molta neve. La loro missione è semplice: indagare su un laboratorio sgomberato, in cui si dice siano stati condotti esperimenti illegali e pericolosi su umani e animali. Dovranno capire la natura di questi esperimenti e cercare di arginare il problema, raccogliere dati e informazioni; infine, fare rapporto al governo. La squadra è composta da nove membri: Wynonna Earp, ex soldato delle forze speciali dell'esercito; Henry Holliday ex capitano delle forze speciali della Marina, marito di Wynonna; Waverly Earp, giovane ricercatrice, specializzata in comportamenti umani e animali, laureata in diverse discipline - Genealogia, Archeologia, Antropologia e Antropologia Forense, sorella di Wynonna. Con lei ci sono i suoi sei migliori studenti. 



 


I
NeveSplendida



 

 

Il piccolo aereo atterrò sulla pista improvvisata, che era circondata da pareti di neve superiore ai due metri. Sembrava il solo indizio di presenza umana.

Attorno, solo il bianco abbagliante della neve... e alberi. Alberi e neve a perdita d’occhio.


Dal velivolo scesero dieci persone.«Miseria! Non scherzavano dicendo che era isolato», commentò Henry, lisciandosi gli enormi baffi biondi e tenendosi il cappello da cowboy, in modo che il vento non se lo portasse via.

«Be’, questa è solo la pista; quando arriverete alla cittadina di NeveSplendida, le cose saranno leggermente meno solitarie.» Il pilota incaricato di accompagnarli prese alcune delle valigie dall’aereo. «Tra poco dovrebbe arrivare la jeep.” Rabbrividì per le sferzate d’aria gelida e concluse: “Verrà uno degli abitanti.»

«Tu non vieni con noi?» chiese una ragazza di nome Ely.

«E’ in arrivo una tormenta, signorina: voglio ripartire il prima possibile. Non ho intenzione di rimanere bloccato qui», rispose l’uomo, con fare pratico.

Una donna, dai lunghi capelli neri e gli occhi azzurri come il cielo del nord, si fece avanti e borbottò: «Non ricordavo fossero questi gli accordi.»

«Ho ricevuto queste disposizioni, signora Earp. Nel caso di complicazioni, ci penseranno gli abitanti a guidarvi», borbottò in risposta, aprendo le braccia.

La dottoressa Waverly Earp studiò l’uomo con il solito modo clinico e domandò: «Sei sicuro di averci fornito tutti i dati relativi alle varie specie animali e non presenti sul territorio?»

«Tutte le informazioni a nostra disposizione sono state condivise con te, prof. Ma i danni relativi agli esperimenti della clinica non sono chiari, per questo vi trovate qui. Scoprire cos’è avvenuto all’interno di quel laboratorio e capire se siamo di fronte a una qualche minaccia ambientale è compito vostro», le ricordò, guardandola con una punta di fastidio.

«Sappiamo di esperimenti su umani e animali. Gli abitanti di quella cittadina ne sono rimasti coinvolti direttamente? Immagino di sì: non penso ci sia una gran densità di popolazione», commentò uno degli studenti di Waverly, John.

«Ti sei risposto, ragazzo. Comunicare con la popolazione locale non è stato semplice, ma il rapporto che vi ho consegnato contiene tutto: cose già dette e dettagli riservati di cui io, ovviamente, non sono a conoscenza. Vi consiglio di leggerlo con attenzione», replicò l’uomo. Subito dopo si accorse di un veicolo nero che stava raggiungendo la pista. «Salve, buon uomo», lo salutò.

Per tutta risposta, il tipo, che aveva una crespa barba sale e pepe ed era vestito da classico boscaiolo, mandò un grugnito. Forse era stato un ‘‘buon pomeriggio’’. Nessuno lo scoprì mai.

«Vi aiuto a caricare attrezzature e bagagli», disse il pilota, lasciando da parte il nuovo arrivato, che non sembrava la giovialità in persona. Sapeva che la gente di montagna tendeva a rivelarsi chiusa, ma quello gli parve un tantino eccessivo.

«Fate attenzione con quelle scatole! Contengono oggetti come provette e microscopi: attrezzatura delicata e costosa», guaì Waverly, apprensiva.

«Farete rapporto una volta ogni tre giorni, o ogni qualvolta avrete necessità di comunicare novità urgenti. Trattate con cura quella radio: è costata parecchio; in compenso, ha un segnale molto forte. L’estrazione è fra un mese a partire da oggi. In caso d’emergenza, verrà valutata la vostra richiesta di recupero. Qui i telefoni praticamente non esistono, ricordatevelo.»

«Perché dovrebbe esserci un’emergenza? In caso, non hanno ospedali, qui?», volle sapere John.

«Hanno una clinica: una specie di ospedale in miniatura», replicò il pilota, senza rispondere davvero alla domanda.

Il gruppo lo guardò con perplessità, ma nessuno diede voce ai pensieri.

Salirono sulla jeep e percorsero una pista che attraversava la foresta.

Sopra le loro teste, il rombo dell’aereo che si allontanava.


Ora erano soli, in quel territorio dimenticato da Dio e dagli uomini. 


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Il veicolo nero entrò nella cittadina, la quale sembrava essersi fermata in un tempo imprecisato. Forse fine Ottocento.

Percorrendo quella che doveva essere la via principale, poterono ammirare case di ogni forma, dai colori brillanti e accesi; c’erano magazzini, negozi e botteghe d’artigianato. Tutti questi edifici avevano due cose in comune: i tetti spioventi - per far fronte alle massicce nevicate - e la maggior parte sembrava in stato d’abbandono.Il gruppo attese che la jeep si fermasse.

Erano davanti a un edificio rosso, uguale al tramonto che si stava infiammando nel cielo. L’insegna recitava: Da Marta, B&B.

Scaricarono tutti i bagagli e le scatole.

«Potete stare qui», li informò il taglialegna; era la prima volta che apriva bocca e l’aveva fatto per sottolineare l’ovvio...

Henry Holliday si tolse il cappello da cowboy - era convinto di essere stato un uomo del vecchio West, in una vita passata. «Grazie. Chiedo venia, sarai tu la nostra guida?», s’informò.

Il boscaiolo si fece una grassa risata, neanche avesse sentito la cosa più stupida del mondo.

«Non esiste! So perché siete qui e penso siate fuori di testa. Ho rischiato abbastanza venendovi a prendere. Chiedete alla vecchia Marta. Vi saluto.» Si era fatto improvvisamente loquace, pareva.

Prima che qualcuno potesse aggiungere una sola parola, però, lui e la jeep erano già scomparsi.

«Il buongiorno si vede dal mattino...» commentò Sara, un’altra studentessa.

«Già! Iniziamo proprio bene», rincarò William, il più giovane del gruppo.

«Che altro aspettiamo? Voglio entrare: mi si stanno congelando le chiappe!», brontolò Wynonna, sfregandosi le mani avvolte da grossi guanti di nera lana.

Nessuno trovò nulla da ridire.

Il vento si stava facendo più violento e delle nuvole gigantesche cominciavano a nascondere il cielo. Il pilota aveva ragione: era in arrivo una bufera.


Il piccolo ingresso si apriva su una saletta arredata da qualche poltrona, un paio di sedie, qualche tavolino da caffè e un grosso divano dall’aspetto morbido e invitante. Alle pareti in legno c’erano appesi dei quadri raffiguranti paesaggi, animali selvatici e persone, immortalate in momenti di vita quotidiana.

Un posticino accogliente, decise il silente gruppo.

Alla loro destra c’era il banco d’accoglienza; fu li che si diressero, distogliendo l’attenzione dall’arredamento privo di qualsiasi forma di tecnologia moderna.

Wynonna suonò il campanellino del reception.

Una donna dall’aspetto sciatto, che doveva avere molti meno anni di quelli che dimostrava, dalla corporatura morbida e robusta, arrivò da un angolo nascosto.

«Buonasera graditi ospiti, vi aspettavo», li accolse, sfoggiando un caloroso sorriso.

Ancora una volta, Henry si tolse il cappello.

«Buonasera a te. La signora Marta, devo presumere.»

«Solo Marta, ti prego. Quante camere volete? Non fatevi problemi: siete gli unici ospiti.»

Wynonna pose la mano sul petto di Henry e appoggiò la testa alla sua spalla. L’uomo ricambiò con un sorriso malizioso, socchiudendo gli occhi color ghiaccio.

«Una matrimoniale e le altre singole, direi», dispose.

La donna ammiccò con complicità alla coppia e porse loro le chiavi.

«Scusate se non vi aiuto con i bagagli: la mia schiena non me lo permetterebbe. Le scale sono alla vostra sinistra, siete al terzo piano. Se avete bisogno di me sono qui, oppure al primo piano, dove abito», sorrise amichevolmente. «Il secondo piano è per la lavanderia, la dispensa, il magazzino con le coperte pesanti e tutto ciò che una vecchia signora come me può averci infilato nel corso degli anni», spiegò.

«Non c’è nessun problema», disse garbatamente Bob, con un piccolo inchino: era solito emulare Henry, nei modi.

«Quando ci saremo sistemati, ci sono un paio di cose che vorremmo chiederti», la informò Waverly, sorridendo cordialmente.

«Ma certo! Ora però riposate e scaldatevi un po’. Intanto preparerò la cena. Non vedo facce nuove da così tanti anni che sarà un piacere cucinare per voi. E poi, sarò onesta, avete pagato il vostro soggiorno qui molto bene: generosità per generosità!» 


<>
 

La cena fu servita in un’accogliente sala da pranzo. Sedie e tavoli di legno, rivestiti con delle vivaci tovaglie bianche e rosse. Calde luci arancioni conferivano all’ambiente un tono famigliare e tiepido.

Sara, una ragazza dal viso tondo e gli occhi luminosi, guardò ammirata il cibo che aveva davanti: carni miste, purè di patate, zuppa di grano e polenta.

«Grazie per aver cucinato per noi», fece le fusa, mandando giù la saliva che le aveva riempito la bocca.

«E’ stato un piacere”, le sorrise la vecchia Marta. «Da quando il mio Luca mi ha lasciata...» Sospirò e ritrovò contegno. «Ma ora non pensiamo a questo. Godiamoci il pasto finché è caldo!»

 

Tutto era talmente buono, che il gruppo mangiò come mai prima, rischiando un’indigestione.

«Sono satolla...» gongolò Wynonna, picchiettandosi la pancia ora un po’ gonfia, come quella di tutti, del resto.

«Sei una cuoca straordinaria, Marta», la elogiò uno studente, pulendosi la bocca con un tovagliolo ricamato.

«Che giovanotto a modo!», sorrise, contenta e gratificata.

«Bob ha ragione, era un pasto degno di un re», confermò Waverly, che aveva apprezzato la cena, ma ora aveva delle domande da fare; infatti disse: «Tu sai qualcosa di quello che è avvenuto qui? Sai darci qualche informazione? Non saprei, magari qualcosa che non è stato detto a coloro che hanno interrotto il lavoro del laboratorio.»

«Mia cara ragazza, nessuno ha fermato il vecchio scienziato pazzo che lavorava in quel laboratorio nella foresta: è stato ucciso, si dice, da uno dei suoi esperimenti.» Fu più un bisbiglio che altro.

Waverly era confusa, come il resto del gruppo.

«A noi risulta che fu un intervento del governo, a fermare l’attività. Furono inviati numerosi soldati, qualche mese fa, no?»

E Marta sembrava sorpresa quanto loro.

«Nessuno qui vede un soldato dalla Guerra d’Indipendenza, zucchero! Sappiamo che la denuncia è partita diciott’anni fa. Nessuno sa chi fu a denunciare i crimini del pazzo; ma voi siete i primi a venire qui per indagare, questo è sicuro.»

«Qui qualcuno ci deve delle spiegazioni...» commentò Ely, scioccata e perplessa.

«Sono qualcosa come vent’anni che la storia va avanti?», sbottò Wynonna, che aveva una faccia confusa e arrabbiata.

«No, di più: sappiamo della sua esistenza da almeno un quarto di secolo, ma non aveva dato grossi problemi fino a qualche mese fa: a quanto pare, con la sua morte, alcuni dei suoi esperimenti sono fuggiti nella foresta. Da allora qui c’è il panico. Nessuno esce dopo il tramonto e si fa di tutto per restare dentro la città.»

«Cosa s’intende per ‘‘alcuni dei suoi esperimenti’’? Di cosa stiamo parlando, lo sai?», chiese Waverly, sempre più incredula.

«Animali con deformità fisiche”, spiegò. “Alcuni ci hanno anche attaccati: ci sono stati già sei morti, in tre mesi...»

«E per quanto riguarda gli esperimenti sugli esseri umani?»

La donna impallidì; il suo viso era al momento più bianco di un lenzuolo.

«Cosa? Non si è mai parlato di questo: lui studiava cure per il cancro e altre malattie cellulari sugli animali.» La voce si fece stridula, quando concluse: «Ora scusate. E’ tardi, ho bisogno di riposare.» Si alzò, evidenziando che aveva fretta di andarsene e liquidare la faccenda.

«Solo un’ultima cosa, Marta: puoi indicarci qualcuno disposto a farci da guida?» continuò Waverly, che era sempre stata a capo della conversazione e che aveva capito che insistere non avrebbe prodotto risultati.

«Cercate una donna. Non avrete difficoltà a riconoscerla: ha i capelli rossi come le fiamme dell’inferno. Vive fuori città: non è gradita qui. Chiedete e qualcuno vi mostrerà la strada per andare da lei. E’ una cacciatrice, conosce bene la foresta... fin troppo bene», commentò con disprezzo, prima di lasciarli soli.

Il gruppo rimase in silenzio per un tempo indefinibile, sconcertato dalle novità. Poi...

«Se quello che ha detto è vero - e a me sembrava sincera, sulla prima parte - allora siamo stati presi in giro...» mormorò Katie, una ragazza dai capelli color grano. «Non resta che capire chi ha mentito... e perché.»

«Domani contatteremo il QG e ci faremo dare delle risposte, con le buone o con le cattive!», sbottò Wynonna, piuttosto arrabbiata.

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


 

II
Squadra 9 a Testa


 

 

Waverly era distesa sul letto della camera numero 3. Teneva un libro appoggiato al petto, ma le parole scorrevano sotto i suoi occhi senza avere significato. Era preoccupata: se la donna diceva il vero, il governo aveva mentito. Ma perché? Dovevano immaginare che la verità sarebbe emersa subito... no?

Non aveva alcun senso.

La sua immaginazione vagò poi su quegli ‘‘esperimenti’’: che aspetto potevano avere? Sarebbe riuscita a studiarli? La gente del luogo veniva davvero uccisa da quei... cosi? Erano gente di montagna, abituata a vedersela con orsi e lupi: era davvero possibile che quei nuovi esseri fossero più temibili? E davvero la signora Marta non sapeva degli esperimenti sugli umani? Nessuno si domandava dove sparissero le persone, sempre ammesso che fosse vero?

No, nulla sembrava avere senso.

Quando la piccola lampadina del comodino tremolò, emettendo un ronzio basso e incostante, per poi estinguersi definitivamente, una parte di Waverly ne fu felice: aveva la testa sul punto di esplodere.

Dalla camera accanto sentì provenire le imprecazioni di Wynonna.

Si concentrò sull’esterno. La tempesta sembrava molto violenta, probabilmente era stata quella la causa del blackout.

Sussultò quando sentì bussare alla porta.

Poggiò i piedi nudi sul legno ancora tiepido e nelle tenebre cercò la porta.

Senza domande, aprì.

Sulla soglia comparve il grande e gentile viso di Marta, illuminato da una fiamma tremolante, per lo spostamento d’aria e il respiro di lei.

«Scusa, zucchero, volevo dirti che le candele e i fiammiferi sono nel cassetto del comodino. Non ho pensato ad avvisarvi prima», si scusò.

«Non c’è problema. Aspetta, ne accendo una, se mi fai chiaro», rispose, voltandosi.

«Ora vado anche dagli altri tuoi amici, prima che si prendano uno spavento», sussurrò l’anziana, con un sorriso imbarazzato. «Immagino che da dove venite voi, questo non succede.»

«Succede anche da noi! Non è un problema!» Waverly aveva alzato un po’ la voce, cercando di coprire le continue imprecazioni di Wynonna, la quale, a giudicare dai suoni, stava cercando una fonte di luce. «Buonanotte, Marta», disse infine.«Buonanotte, cara.»

Chiuse la porta e tornò nel letto.

Ascoltò la donna mentre girava per il corridoio ad avvisare gli altri del gruppo e, capendo che non sarebbe riuscita a leggere, spense la candela.

Impiegò diversi minuti a calmarsi. Non voleva ammetterlo, ma il buio e la furia di madre Natura spaventavano anche gli scienziati. Soprattutto se consapevoli che là fuori si aggiravano esseri anomali e, a quanto pareva, pure pericolosi per l’uomo. 


 

<>


 

Erano tutti riuniti nella camera di Wynonna e Henry: la più grande.

«Non possiamo uscire con questa tempesta, vero?» William era visibilmente contrariato: voleva subito iniziare con le ricerche e la sua gioventù lo rendeva audace e poco paziente.

«Prima dobbiamo parlare con quelle teste di cazzo del governo e avere delle spiegazioni. Sono una professionista, io! Non lavoro a caso!», brontolò Wynonna, che era sempre più arrabbiata. Nessuno, comunque, sentiva di poterla biasimare.

«Non è la prima volta che il governo agisce come un’ombra», commentò Henry.

«Ora attiviamo questo congegno, così avremo le nostre risposte», disse Waverly, cercando di acquietare gli animi e le menti: una mente agitata è una mente mal funzionante. «E’ a batteria, vero?», chiese poi, osservando la grossa scatola di metallo e plastica che aveva davanti.

«Me lo auguro, altrimenti dovremmo aspettare che torni la corrente. Possibile che non abbiano un generatore d’emergenza? Non voglio passare un’altra notte al buio», si lamentò Sara.

«E’ a batterie, ne sono certo. Bisogna solo accenderla e tirare su l’antenna», confermò Henry. Si fece avanti e cominciò a trafficare con la radio.

Qualche momento dopo, un rumore gracchiante riempì la stanza.

«Bel lavoro, Holliday!», esclamò Bob, dandogli una pacca sulla spalla.

«Avevamo anche noi una cosa del genere, in Marina», si schermì, modesto.

«Okay, ora impostiamo la frequenza!», incalzò Wynonna, sempre più indispettita dal ticchettare delle lancette.

Waverly prese una specie di microfono e, premendo un tasto laterale, disse: «Qui Squadra 9 a Testa. Passo.»

Dalla radio continuò a provenire il solito rumore bianco.

«Qui squadra 9. Testa, ci ricevete? Passo», ripeté.

Finalmente una voce rispose: «Qui Testa. Vi riceviamo Squadra 9. Informazioni da inviare? Passo.»

«Informazioni da ricevere. Vogliamo parlare col generale Dix. Passo.»

«Negativo. Passo.»

«Oh, per l’amor di Dio!» Wynonna strappò il microfono dalle mani di Waverly e urlò al microfono: «Fammi parlare con il generale Dix, ora!»

«Se non premi il pulsante...» le fece notare Waverly, in un sussurro.

«Cazzo!» Wynonna schiacciò il povero bottone, ancor più arrabbiata di prima. «Esigo di parlare con il generale Dix, incompetente che non sei altro! Passamelo, ora!»

«Identificati. Passo.»

«Mi prendi per il culo?!» Premette il pulsante con rinnovata ira: «Wynonna Earp, corpo di guardia della Squadra 9. Va bene così? Fammi parlare col cazzo di generale!» Stava decisamente perdendo la poca pazienza che ancora aveva in tasca.

«Negativo. Passo.»

Waverly riprese possesso della piccola scatolina di plastica e, dopo un respiro profondo: «Abbiamo realmente bisogno di parlare col generale Dix, fai in modo che ci contatti appena possibile. Passo.»

«Affermativo. Passo e chiudo.»

Henry spense la radio.

«Non possono fare così!», scoppiò Wynonna, incazzata nera. «Non sono una cazzo di novellina, io! Merito rispetto!»

«E ora? Cosa facciamo?», chiese Katie.

«Cerchiamo risposte per conto nostro», rispose Waverly. «Qualcuno rimarrà qui: se il quartier generale richiama, bisogna approfittarne subito e pretendere delle spiegazioni.»

Tutte le teste annuirono.

«Henry, Bob, John e William rimangono qui, io prendo Wynonna, Katie, Sara ed Ely. Ci divideremo e cercheremo di avere qualche risposta in più dagli abitanti. Tutti d’accordo?»

William stava per obbiettare: voleva andare sul campo. Ma nutriva troppo rispetto per Waverly: non avrebbe messo in discussione le sue scelte.

«Ci congeleremo le chiappe, là fuori!», protestò Wynonna, ancora arrabbiata ma sollevata dalla prospettiva di un po’ d’azione.

«Non staremo via molto: giusto qualche casa. Se la tempesta si calma, cercheremo anche la donna di cui parlava Marta.»


 

Il gruppo di donne stava per lasciare la stanza quando sentirono delle urla rauche provenire dalla strada sotto di loro: qualcuno gridava in cerca d’aiuto.

«Voi rimanete qui con Henry. Waverly, con me!», ordinò Wynonna, prendendo la sorella per un braccio.

Scesero di corsa le scale e si fermarono alla porta d’ingresso.

«Resta dietro di me e toccami la schiena, capito? Voglio sapere sempre dove ti trovi», la istruì Wynonna, guardandola negli occhi.

Lei annuì e, cercando di non lasciarsi sopraffare dalla paura, le poggiò le dita tra le scapole.

La donna estrasse la sua .44 Magnum e uscì in strada.

«Merda...» esalò Wynonna: di fronte a lei c’era un ragazzo con un braccio che gli pendeva inerme dalla spalla, come fosse attaccato solo a dei brandelli di muscoli e pelle. Stava inginocchiato nel mezzo della strada, gridando aiuto con le poche forze rimaste e lottando contro la furia del vento.

«La bestia! La bestia ha ucciso mio padre! Aiutatemi, vi prego! Oh, mio Dio, aiutami!»

Le sorelle Earp lo videro cadere a faccia in giù sulla neve che ricopriva la strada.

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Capitolo 3
*** 3 ***


III
Informazioni Contrastanti





 

 

Quando la situazione fu più calma, Wynonna e Waverly decisero che era ora di avere delle risposte.

Erano dirette al piccolo ospedale, in cerca del giovane ferito.

 

L’edificio era dipinto di un giallo vaniglia e, a lettere cubitali rosse, c’era scritto: Ambulatorio Misericordia NeveSplendida.

L’ingresso era davvero piccolo: c’era solo un banco informazioni e delle sedie disposte in fila davanti allo sportello. Sulla parete nord, una grande porta doppia: probabilmente l’inizio effettivo del ospedale.

Waverly si avvicinò al banco, protetto e circondato da un vetro spesso che arrivava fino al soffitto.

«Buongiorno. Mi scusi, volevamo informazioni riguardo al ragazzo ricoverato qui qualche ora fa», disse, rivolgendosi a una donna alta e magra, probabilmente oltre la cinquantina, che aveva una faccia che ricordava fortemente quella di un roditore arrabbiato.

«Siete parenti? No, lo saprei: conosco tutti, qui», fu la replica della donna, che non alzò neppure lo sguardo.

«Volevamo solo sapere cos’è successo, nulla di più», insistette Waverly.

«Quello che succede in continuazione col mestiere del taglialegna, signorina. Soprattutto se ti porti un ragazzo problematico nel bosco e gli dai una motosega in mano», brontolò sbrigativa, alzando finalmente lo sguardo su di loro.

Wynonna si fece avanti, mettendosi con la bocca all’altezza dello sportello ritagliato nel vetro. «Ma lui gridava alla ‘‘bestia’’! Chi o cosa l’ha aggredito? E chi o cosa ha ucciso suo padre?»

«Vi ho appena risposto: nessuna bestia li ha aggrediti. Tranne forse quella della pazzia: ha colpito il padre, per poi rivolgere la motosega contro se stesso», sbuffò.

Wynonna, che non aveva intenzione di mollare l’osso, tornò alla carica con: «Ma vi sarà capitato di avere casi di persone aggredite da bestie strane, no?»

«Fatemi indovinare: siete alla pensione della vecchia Marta. Quella è una brava donna, ma l’età comincia a giocarle brutti scherzi!», ridacchiò senza divertimento. «Le uniche bestie che abbiamo qui sono lupi, orsi o al massimo qualche leone di montagna... come si chiamano? Giaguari? Alla gente del posto piace inventare cose bizzarre, leggende... favole.»

«Ma il laboratorio? Quello in mezzo nella foresta, cosa mi dice di quello?»

«Nessuno nega sia esistito. Ma non prendiamoci in giro: era solo un povero matto che voleva trovare la cura per il cancro. Troverete al massimo qualche gufo con tre occhi o una gallina con quattro zampe. Volevano spaventarvi: non si vede molta gente nuova da queste parti. Ognuno cerca di divertirsi come può. Ora, gentilmente, lasciatemi lavorare.»

«Grazie per il suo tempo, signora...» Waverly si sporse per leggere il cartellino, ma era troppo sbiadito.

«Signorina. Signorina Jovrett!» Ah sì, ora era proprio un topo incazzato.

Le due annuirono basite e tornarono fuori.

La tempesta stava calando d’intensità, notarono.

 


 

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«Quindi? Non capisco nulla: Marta si è inventata tutta la storia?», chiese William, quando le due donne furono tornate per condividere le novità.

«Qualcosa di strano c’è sicuramente: la stessa signorina Jovrett ha parlato di animali con mutazioni fisiche. O, per lo meno, di strani trapianti... o innesti. E non vedo come una cura per il cancro possa azzeccarci qualcosa, francamente», ragionò Waverly.

«Se solo quelle teste di cazzo si decidessero a contattarci!», sbottò Wynonna, mostrando il dito medio alla radio.

«In ogni caso, sarà meglio iniziare con le ricerche: abbiamo un sacco di campioni da prelevare e analizzare. Siamo qui per questo, quindi diamoci da fare», propose Ely.

«Inizialmente preleveremo solo campioni di terriccio, piante e minerali. Se abbiamo fortuna, potremmo anche cercare di catturare qualche animale che presenta delle anomalie. Qui tutti parlano di ricerche sul cancro, ma non possiamo affidarci alle loro parole: se è stata creata qualche nuova specie o se le sue caratteristiche base sono state alterate, potrebbe comportare un rischio per l’ambiente. Ricordate il caso del pesce siluro, in Italia? Aveva mandato in tilt la catena alimentare di molti fiumi; un disastro per l’ecosistema. O l’arrivo della zanzara tigre: un rischio virale e batteriologico per persone e animali. Abbiamo molto di cui occuparci», espose Waverly.

«Da dove iniziamo?», volle scoprire William, che era tutto gasato.

«Abbiamo ancora cinque ore di luce», valutò Waverly. «Cerchiamo la donna di cui parlava Marta. Poi bisogna andare fino alla foresta, per i campioni. E qualcuno deve rimanere alla radio. Per ottimizzare i tempi ci divideremo i compiti. Nessuno rimanga fuori oltre il tramonto: non sappiamo con cosa abbiamo a che fare.»

Furono tutti d’accordo.

Si divisero in tre squadre: quella che rimaneva alla radio, quella che avrebbe iniziato con il prelievo di campioni e quella che avrebbe cercato la donna dai capelli rossi.

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Capitolo 4
*** 4 ***


IV
Uno Strano Incontro
 





 

La squadra della radio - composta da John, Katie ed Ely - era seduta sul tappeto; avevano già preparato un mini laboratorio improvvisato, tirando fuori l’attrezzatura. Ora si godevano una rilassante partita a briscola, in attesa che il QG si mettesse in contatto con loro.

 

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Henry Holliday, Bob e William erano appena usciti, diretti verso la foresta.

«Dovremo andare a piedi?», chiese Bob.

«Già, be’, avremmo dovuto pensare ad affittare un mezzo», rifletté William, che era impaziente di cominciare. «Avremmo fatto molto prima...»

«Voi ragazzi rimanete vicino a me, non voglio perdervi di vista. Se qualcosa ci darà fastidio, farò cantare le sorelle Revolver», disse Henry, sfoggiando il suo affascinante sorriso.

«Saremo la tua ombra», garantirono.

 

«Ragazzi, ma secondo voi è pericoloso? Voglio dire, se davvero qui non è venuto nessun soldato e la storia di Marta è vera...» Bob cominciava ad avere qualche perplessità, forse a causa del vento gelido che si insinuava sotto la giacca mordendogli la pelle.

«Le ragazze hanno una versione diversa della storia, e poi diciamolo chiaro: quando il governo non vuole essere visto... No?», disse Henry, cercando di apparire rassicurante e sicuro.

«Non avevo pensato a questo. In fondo, che motivo avevano di mentirci, i nostri mandanti? Era scontato che se fosse stata una bugia, l’avremmo scoperta subito: il governo non voleva essere visto, è andata sicuramente così!», ragionò Bob, ora più tranquillo.

«Già!», gli fece eco William. «Se ci fossero davvero bestie tanto pericolose, la gente sarebbe fuggita via da un pezzo! Penso che troveremo parecchia roba strana, ma andiamo, niente orsi con la testa di leone di sicuro!»

Camminarono per una mezz’ora.

Trovarono un sentiero appena visibile, a causa della fitta nevicata della notte prima; ma, a parte la neve che arrivava fino al ginocchio, non ebbero difficoltà a raggiungere la foresta.

Scoprirono un cartello; diceva: Bosco delle mille betulle.

«Davvero?», commentò Bob. Davanti a loro, una fitta coltre di pini e abeti. «Hanno uno strano senso dell’umorismo, da queste parti...»

«Eh», fece William, «chissà quant’è vecchio! Forse cinquanta o cent’anni fa c’erano davvero delle betulle.»

«Okay, inoltriamoci per non più di cinquecento metri, per ora. Dobbiamo prima capire come muoverci, basta davvero poco per perdersi», li istruì Henry, che se la cavava bene nella pianificazione dei movimenti in territorio sconosciuto.

Nessuno ebbe nulla da obbiettare.


Camminare all’interno non era cosa facile: i tronchi erano davvero vicini l’un l’altro e le fronde basse rendevano difficile vedere e passare: la foresta non era curata, almeno non la zona delle mille betulle.

Le radici spuntavano dal terreno ghiacciato, ma quasi privo di neve: le fronde riparavano lasciando cadere solo le loro foglie-ago.

Finalmente, dopo quella che sembrò loro un’eternità, trovarono uno spazio un po’ più aperto. Misero giù gli zaini e prepararono l’occorrente per la raccolta dei campioni.

«Bene. Prima terreno, corteccia e minerali; poi vediamo di trovare anche qualche insetto: sono i migliori quando vuoi conoscere le condizioni di un ambiente», espose William.

«Già, se poi trovassimo anche un torrente, potremmo prendere campioni d’acqua e uova, o tritoni e altri piccoli animali acquatici», aggiunse Bob.

«Con questo freddo?», commentò Henry, perplesso.

«Non hai idea di quanti insetti, pesci e anfibi si siano adattati a questo tipo di clima! Per esempio la rana sylvaticus o i tardigradi: questi minuscoli animaletti acquatici sono in grado di sopravvivere a temperature vicine allo zero assoluto (-273 °C) o superiori ai 150 °C. Oppure...»

Henry alzò la mano, in segno di resa.

«Va bene così, ragazzo, grazie.»

Bob annuì, comprensivo. Però poi volle aggiungere: «Noi studiamo, tu ci proteggi!»

Lavorarono per una ventina di minuti in totale silenzio. Poi Henry sentì dei passi scricchiolare sul manto di aghi di pino e neve ghiacciata.

Mise le mani sui suoi due revolver.

«Ragazzi», sussurrò, «fermi, non fate rumore: arriva qualcuno o qualcosa.»

«Wow, che udito...» bisbigliò Bob, ma anche lui ora sentiva qualcosa in lontananza.

«Pensi sia umano?», chiese William, parlando a bassa voce.

«No: dal rumore, direi che si tratta di un grosso quadrupede.»

Bob tese le orecchie e ipotizzò: «Un cinghiale?»

«Forse, ma dev’essere un bel ragazzone», rispose Henry; poi scrutò attraverso la fitta foresta, in attesa.

«Non sarebbe meglio spostarci dove gli alberi sono più fitti? Per noi bipedi sarà più facile muoverci in spazi così stretti e verticali», propose William.

«Ottima idea, ragazzo», concordò Henry. «Lasciate qui le vostre cose e cominciate a indietreggiare lentamente.»

I rumori si facevano sempre più forti: qualunque cosa fosse, stava arrivando.

I tre si nascosero fra le basse fronde, respirando piano.

La creatura doveva essere a pochi metri da loro, nascosta dall’ultima fila di alberi. Sentirono il rumore di passi farsi più leggero e lento, e un suono, come di qualcosa che fiuta l’aria.

«Penso sappia di noi...» mugugnò Bob.

«Resta calmo, ragazzo.» Henry tolse la sicura ai due revolver. «Se vi dico di correre, correte. Chiaro?»

Un gigantesco muso di lupo si affacciò alla radura.

«Oh... per tutte le stelle...» piagnucolò ancora Bob.

L’enorme lupo, alto più di due metri al garrese, mise fuori metà busto e annusò attentamente l’aria.

La sua pelliccia era di un marrone acceso, ramato o rossiccio. Gli enormi muscoli delle zampe guizzavano nervosi sotto il pelo lucido, dando un’idea di potenza paragonabile a quella di una statua greca: qualcosa di quasi divino.

La creatura voltò l’imponente testa nella loro direzione e, con i suoi incredibili, innaturali ed enormi occhi azzurro ghiaccio, sembrò fissarli.

Il ringhio che proruppe dalla sua gola fu assordante e potente, come il motore di una Yamaha.

Un secondo dopo corse via, scomparendo nella foresta.

Bob svenne. 
 

<>

 

Wynonna, Waverly e Sara erano riuscite, a fatica, a farsi indicare la strada per raggiungere la donna dai capelli rossi - che nessuno chiamava per nome; forse non ne aveva uno, a ‘sto punto. Fortunatamente aveva quel segno distintivo, altrimenti trovarla sarebbe diventata un’impresa.

«Chissà perché non sembra piacere a nessuno, però come guida è l’unica consigliata, consigliatissima...» rifletté Sara, giustamente perplessa.

«Gente di montagna: non sai mai cosa passi loro per la testa. Ho una cugina, anche lei abita in montagna: quando parla non capisco mai se è seria o se mi prende per il culo.» Wynonna scosse la testa, socchiudendo gli occhi a un probabile, preciso ricordo.

«Ah, parli di Rory. Già... che personaggio», aggiunse Waverly, solo per fare conversazione e distrarsi dal freddo: in realtà, Rory le risultava simpatica.

Stavano camminando da una ventina di minuti quando, in lontananza, videro una casetta di legno.

«Wow...» mormorò Sara, sorpresa e un po’ intimorita: fuori dalla casa erano appese tantissime pellicce dalle varie tonalità di marrone, grigio e bianco. C’erano persino uccelli selvatici, appesi a testa in giù, e diversi crani, alcuni provvisti di palchi.

«Un bella collezione. Cosa sono? Vedo qualche orso, forse un’alce...» commentò Wynonna, picchiettando il dito sul teschio di una volpe.

«Direi che è meglio bussare.» Waverly era affascinata da tutta quella varietà, ma pensò che, se fossero state sorprese a curiosare così, avrebbero fatto la figura delle ficcanaso e basta.

Andò alla porta e bussò tre volte.

Silenzio.

Bussò altre tre volte, ma nessun suono venne in risposta dall’interno.

«Ehi? C’è qualcuno in casa? Siamo un gruppo di ricerca», urlò Wynonna, spazientita.

«Niente. Forse non è in casa. Aspettiamo?», chiese Sara.

«Al massimo una mezz’ora, non di più: mi si gelano le chiappe!», brontolò Wynonna.

«Forse dovresti pensare di comprarti un paio di mutande di lana, sorella! Ho perso il conto di tutte le volte che l’hai detto, da quando siamo qui», la prese in giro Waverly.

«Nove volte, con questa», la informò Wynonna, mostrandole la lingua.

Sara rise, ma un po’ invidiava il rapporto che avevano quelle due: così diverso da quello che aveva con la sua sorellina.

 

Nemmeno quindici minuti dopo, Wynonna era di nuovo alla porta.

«Ehi, stai dormendo?! Qua si gela!», urlò, battendo contro il pesante legno scuro.

«Wynonna...» Waverly e Sara, all’unisono.

Waverly scosse la testa di fronte alla cieca cocciutaggine della sorella maggiore.

«Mi sembra ovvio che non sia in casa! Pensavo l’avessimo già stabilito. E se anche fosse stata in casa a dormire, con tutto il casino che hai fatto... Voglio dire, avresti svegliato un morto! Non è in casa e non sta dormendo», ribadì e riassunse, sperando di ficcare il concetto nella mente di Wynonna una volta per tutte.

«Mai stata più sveglia, infatti», annunciò una voce, alle loro spalle.

Una donna alta - sicuramente oltre il metro e ottanta - vestita con una camicia a scacchi rossa e nera, dei jeans sbiaditi e un paio di anfibi ai piedi, le fissava incuriosita. Il viso era magro, severo, quasi austero, ma aveva anche una nota preponderante di tristezza e malinconia.

Waverly la fissò come incantata, rubando ogni dettaglio. I corti capelli rosso scuro erano raccolti in una coda di cavallo dietro la nuca; sotto spesse sopracciglia scure, due occhi penetranti, di un nocciola caldo, acceso, la osservavano con attenzione e... divertimento?

Era fuori di dubbio: era la donna che stavano cercando... e anche l’essere più bello, misterioso e affascinante che Waverly avesse mai visto, per la cronaca. Si sentì pervasa da una sensazione d’appartenenza, sicurezza e calore, come se quella nuova e affascinante creatura fosse sempre stata nella sua vita; come l’angelo custode che finalmente si manifesta.

L’attrazione è qualcosa di istintivo, di animale, che poco o nulla ha a che vedere con la ragione; in una parola? Neurochimica. Non c’era stato uno scambio di informazioni attraverso la saliva, vero, ma in quel momento non era necessario: Waverly sapeva di avere in fronte a sé il partner perfetto, a livello di genetica, anche se era una donna; i loro DNA erano prepotentemente, deliziosamente differenti.

E, giusto per puro fattore estetico, era giusto e perfetto ammirarla e rimirarla.

«Sono Wynonna Earp. Questa qui, con la bava alla bocca e gli occhi a cuore, è mia sorella Waverly, ricercatrice. Lei è Sara, una sua studentessa.»

Strappata all’incantesimo, Waverly fulminò la sorella con un’occhiataccia, ottenendo in cambio un ghigno divertito.

«Nicole. Nicole Haught», si presentò la donna, che non accennò neppure a porgere loro la mano. «Cosa volete?», inquisì.

«Ci serve una guida, per la foresta...» spiegò Waverly, che era a disagio per la figura appena fatta.

«Possiamo parlarne», rispose la donna dai capelli rossi, senza lasciar trapelare emozione alcuna.

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Capitolo 5
*** 5 ***


V
La guida





 

 

«Quindi, Nicole... Posso chiamarti Nicole?», chiese Wynonna, dubbiosa.

Era chiaro che la donna non aveva alcuna intenzione di invitarle in casa, comunque.

«Perché non dovresti?»

Wynonna allargò le braccia.

«Non lo so, qui tutti ti chiamano la donna dai capelli rossi. C’è un motivo particolare?»

«Forse perché i miei capelli sono di questo colore», sorrise furbescamente, catturando una ciocca ribelle con le dita.

«Oookay... bene», borbottò. «C’è qualcosa che dobbiamo sapere, di questo posto, che potrebbe esserci fondamentale?»

«Solo una cosa: cercate di non infastidire nessuno. Fate il vostro lavoro in maniera discreta e tutti saremo felici», rispose, laconica.

«Te l’ha mai detto nessuno che hai una dote straordinaria nel dire tutto dicendo niente? Di conseguenza io non capisco un cazzo!» Wynonna cominciava a innervosirsi: quella donna e suoi modi non le piacevano neppure un po’, poco ma sicuro.

Waverly si fece avanti per prendere le redini del discorso.

«Scusa, siamo un po’ nervose: siamo qui da due giorni e abbiamo già ricevuto tre diverse versioni», spiegò. «Tu cosa sai, di questo posto?»

«Tutto ciò che c’è da sapere. Ora, non vorrei sembrare maleducata, ma volete una guida o un cicerone?» Nonostante la domanda l’avesse posta Waverly, Nicole si era rivolta a Wynonna.

«Ascolta, razza di testa vuota...» Wynonna cominciò ad avanzare verso la donna dai capelli rossi con fare minaccioso. Ma Waverly si mise in mezzo.

«Okay, okay, okay! Se vorrai dirci qualcosa, ce lo dirai, ma vorrei che rispondessi a questo, per favore: ci sono pericoli? Intendo: c’è qualcosa di pericoloso per l’uomo, in quella foresta?»

«Qualcosa di molto pericoloso si aggira là dentro», confermò Nicole, con più gentilezza.

«Grazie», le sorrise. «Sai cos’è, di preciso?»

«Sì, ma non credo di potervelo spiegare. A essere sincera, non penso che dovreste entrare in quella foresta: ci sono cose che è meglio ignorare, affinché ignorino voi.»

«Tu sai come difenderti, però, altrimenti non vivresti fuori dalla città. A proposito, perché questa vita solitaria?» Wynonna cercò di essere più civile, ma il tono era ancora bellicoso. «Mi spieghi?»

«Ti sei data la risposta da sola.» Nicole guardò Waverly come a chiederle se sua sorella fosse l’imbecille che sembrava.

«Ma perché non vivi dentro la città, ho chiesto!»

La donna sfoggiò un ghigno derisorio ed eloquente.

«Non mi piacciono le persone... fastidiose.»

«E tu non piaci a loro, a titolo informativo», brontolò la donna dai capelli neri. «Chissà mai perché, fra le altre cose...»

«Okay. Quanto costa il tuo servizio da guida?», volle scoprire Waverly, domandandosi quanto ci sarebbe voluto perché le due si azzuffassero come galli.

«Solo una promessa: quando ve ne andrete, io sarò sul mezzo che lascerà questo posto.»

Wynonna le girò teatralmente le spalle.

«Tu sei tutta scema...» la schernì.

«Va bene», assentì Waverly, porgendo la mano alla donna più alta.

«Cosa?!» Wynonna e Sara, in coro.

Nicole strinse la mano di Waverly, e lei poté sentire i calli sul palmo della donna: erano mani che conoscevano il lavoro e la fatica; forti, grandi e ferme. Inoltre erano così calde. Era una sensazione piacevole, quindi ci mise un po’ più del dovuto a sciogliere la stretta.

«Ci vediamo qui, domani a mezzogiorno. Ma ricordate: io vi ho avvisate. Portate le vostre armi migliori, se ne avete. Vi serviranno.»

Nicole diede un’ultima occhiata al gruppo, poi entrò in casa.

Wynonna mostrò il medio alla porta che si chiudeva.

 


 

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Appena le tre donne rientrarono, Henry corse da Wynonna e l’abbracciò forte.

«Santa miseria! State bene?», chiese, osservando la moglie e le ragazze da capo a piedi.

«Se escludiamo il freddo e una pazza con i capelli rossi, direi di sì», commentò Wynonna, acida.

«Cosa vi è successo?», volle scoprire Waverly, ignorando le parole della sorella e notando le facce sconvolte.

«Nella foresta c’era... c’era... Oh, mio Dio... era enorme!» Bob era agitato al punto di non poter completare la frase.

Intervenne William.

«Nella foresta abbiamo visto un enorme lupo rossiccio! Aveva due occhi più azzurri del ghiaccio... brillavano! Ed era alto almeno due metri!», strillò, eccitato.

«Oh, cazzo! Vi ha attaccati? State bene?», chiese Sara, in ansia.

«Sì sì, non era aggressivo! Sapeva che eravamo lì: ci ha fiutati e visti; ha ringhiato e poi è sparito. Sembrava un avvertimento, più che una minaccia», continuò William, che aveva gli occhi spalancati e il cuore che ancora correva per l’eccitazione.

Wynonna guardò Henry, in cerca di conferma.

«Assolutamente: con quella mole, se avesse voluto attaccare l’avrebbe fatto. Però, miseria, non avevo mai visto nulla di così grosso!»

«Ho ragioni sufficienti per pensare che sia uno degli esperimenti dello scienziato pazzo: non ho mai sentito di specie di canidi di quelle dimensioni, e con quegli occhi... No, non è frutto spontaneo di madre Natura, ne sono certo!», spiegò William. «Abbiamo anche dei campioni, persino della sua pelliccia, ma ci vorrà un po’ per analizzarli.»

«Wow... um, ottimo lavoro, ragazzi.» Waverly era un po’ intontita dalle novità. «La donna che abbiamo incontrato ci farà da guida, anche lei ha parlato di qualcosa di pericoloso che gira nella foresta. Sicuramente si riferiva a quella caratura gigantesca.»

«Già...» mormorò Wynonna. «E la nostra Waverly si è presa una cotta per la pazza. E non è tutto: le ha promesso un posticino sul nostro aereo», concluse, con gli occhi ridotti a due fessure.

«Cosa?!», si levò in coro.

«Che c’è? E’ carina... e affascinante... e... ci farà da guida...» si giustificò, sentendosi sotto pressione.

«Non penso fosse per quello, ma per il posto sull’aereo, sciocca», puntualizzò Wynonna.

Le teste annuirono.

Waverly si schiarì la gola e provò a cambiare topic: «Novità dal quartier generale?»

«Silenzio radio assoluto. Abbiamo provato a contattarli noi, ma la frequenza risulta criptata: penso non vogliano essere disturbati», la informò Ely, mettendosi le mani sui larghi fianchi.

«Va bene... Domani è giorno di rapporto, quindi in teoria dovremmo riuscire a parlare con loro», mormorò, cercando di risollevare gli animi.

«Pensate che andare nella foresta sia ancora una buona idea?», chiese Katie.

«E’ il motivo per cui siamo qui. Domani cercheremo di raggiungere il laboratorio... pazza permettendo», brontolò Wynonna, a cui Nicole proprio non aveva fatto una buona prima impressione.

«Finiscila di chiamarla pazza!», sbottò Waverly, infastidita.

«Farò del mio meglio», replicò l’altra, un po’ piccata dal fatto che Waverly continuasse a difendere quella strana donna.

«Chi andrà?» Bob aveva la voce che ancora tremava.

«Io, Wynonna e un altro... « rispose Waverly, lasciando vagare lo sguardo sui presenti. «Volontari?»

La mano di William si alzò in un lampo. Solo la sua mano.

Henry si avvicinò a Wynonna.

«Sei certa di volerlo fare? Potrei venire con te...»

Wynonna posò un bacio sulle labbra di Henry e gli disse: «Tranquillo, cowboy, me la so cavare. E poi, devi badare al resto del gruppo.»

«Bene, ora sarà meglio se ci riposiamo un po’. E’ stata una lunga giornata.» Waverly uscì dalla stanza, seguita dai suoi studenti; tutti con una faccia stanca e preoccupata.Quella sera, prima che il sonno la cogliesse a tradimento, un pensiero, una fantasia solleticò la mente di Waverly.

Sarebbe stato bello se Nicole le avesse preso il viso fra quelle grandi mani scurite dal sole e rovinate dal lavoro e, nel farlo, l’avesse poi baciata.

Un bacio lento, profondo...

Non aveva idea del perché quella donna l’avesse colpita tanto. Era molto bella, estremamente affascinante; inoltre, quella nota di mistero e durezza le donavano. Ma era davvero abbastanza?

Era come se l’avesse sempre conosciuta; o, meglio: era come se l’avesse persa in un tempo lontano dai contorni indefiniti ed ora, finalmente, l’avesse ritrovata.

Probabilmente era solo una questione di chimica, si ripeté.

Ma che applicava una formula alla scienziata era ancora ignota...

 


 

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«Mi raccomando, non perdete di vista la radio nemmeno per un secondo: dobbiamo verificare se dei soldati siano effettivamente stati qui e cosa hanno scoperto; se erano a conoscenza di quadrupedi di quelle dimensioni, e fare rapporto su ciò che abbiamo scoperto. Inoltre, penso sia meglio anticipare la data d’estrazione: probabilmente qui ci sarà bisogno dell’intervento dell’esercito, per il contenimento di quella creatura enorme; noi non possiamo farci molto», riassunse Waverly, chiedendosi il giubbotto. «Oh, e menzionate l’estrazione di una decima persona: un collaboratore del posto. Rimanete vaghi.»

«Non ho idea di come potrebbero prendere la richiesta», disse Sara, perplessa. «L’esercito ha un modo particolare di lavorare.»

«Verrà lasciata in territorio amico e poi andrà dove vorrà, non chiedo certo di portarla al quartier generale con noi. Anche se, secondo la mia modesta opinione, lei potrebbe essere una risorsa fondamentale nel spiegare il mistero del luogo», concluse.

Wynonna sbuffò: quella donna non le piaceva e difficilmente avrebbe cambiato idea. Ma cosa ci trovava Waverly, in quella là?

«Siete sicuri che tutto ciò non sia un rischio davvero troppo grande...?» Bob era seduto su una sedia e si stringeva le ginocchia al petto: sembrava un bambino piccolo, spaventato da un mondo improvvisamente incomprensibile e grottesco.

«Siamo scienziati: questo è il nostro lavoro. E poi con noi ci sarà Wynonna: un soldato addestrato», gli ricordò Waverly, mentre la sorella sfoggiava un sorriso furbo e grato. «Inoltre, quella donna, Nicole, lei sa come difendersi e sopravvivere nella foresta.»

Il sorriso di Wynonna mutò in una smorfia infantile e seccata.

 


 

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Arrivati in prossimità della casa, Waverly vide una figura stagliarsi contro gli alberi: Nicole era ferma con le braccia conserte, un’espressione indecifrabile sul viso e la schiena dritta, che le permetteva di elevarsi in tutta la sua altezza.

«Waverly e Wynonna Earp. E lui è...?» I modi della donna sembravano più garbati, rispetto al giorno prima. Waverly ne fu contenta, mentre Wynonna non sembrò apprezzare particolarmente lo sforzo.

«Ciao, Nicole», la salutò con un sorriso. «Lui è William, un altro mio studente. Sta per laurearsi in biologia e ha una specializzazione in etologia.»

A sorpresa, la donna ricambiò il sorriso di Waverly.

«Hai preso la pillola del buon umore?», commentò Wynonna, antipaticamente.

Waverly le diede una gomitata nelle costole, ottenendo in cambio un mugugno di dolore.

«No, semplicemente mi diverte vedere fino a che punto l’essere umano sia stupido: non credevo di rivedervi. Ho sentito che i vostri amici hanno incontrato qualcosa, nella foresta», rispose, sorridendo in modo quasi spietato ma, al contempo, divertito.

Wynonna la guardò con sospetto e fastidio.

«Tu come fai a saperlo?», inquisì.

«Diciamo che non siete particolarmente discreti e la voce vola col vento», replicò, senza perdere la posa.

«Tu non mi piaci, rossa», ci tenne a informarla Wynonna, con aria di sfida.

«Io ti trovo abbastanza divertente, invece.»

La donna dai capelli neri le fece il verso.

«Forse dovremmo cominciare a camminare, non pensate anche voi?», s’intromise William, che non ne poteva più del battibecco e voleva iniziare l’avventura.

«Ha ragione», annuì Waverly; poi chiese, rivolta a Nicole: «Ci puoi portare al laboratorio? Devo vedere con i miei occhi cosa succedeva là dentro.»

La donna alta sembrò irrigidirsi.

«Fino al laboratorio? Non mi sembra una buona idea.»

«La tua opinione non m’interessa!» Wynonna sporse il mento, quasi come se volesse sfidarla a colpirla. «Minimamente, se vuoi saperlo!»

«Perché?», volle scoprire Waverly.

«Perché è abbastanza lontano da qui. E... ci sono diversi pericoli.» Era la prima volta che Nicole esitava e non sembrava più così sicura di sé.

«Tipo giganteschi lupi rossi?», chiese William, per nulla preoccupato.

Nicole sembrò improvvisamente divertita.

«Penso che quella creatura sia l’ultimo dei vostri problemi.»

«Conosci quella bestia...» mormorò Waverly, sorpresa e ammirata.

«Come ho detto ieri: io so tutto.»

«Vuoi cominciare a indicarci la strada, o dobbiamo stare qui tutto il giorno ad ammirare la tua stupida faccia?»

«Wynonna, smettila! Nicole è qui per aiutarci», la rimproverò Waverly. Guardò poi la donna alta, scusandosi con gli occhi. E Nicole sorrise, divertita.

«Va bene. Ma vi consiglio di fare tutto ciò che vi dico, dobbiamo essere discreti: se attiriamo le attenzioni sbagliate... be’, probabilmente moriremo», rivelò, assumendo un’espressione seria. Incuteva un lieve timore, ora che il sorriso non le illuminava più il volto.

«Okay, Nicole, ci fidiamo di te», le sorrise la ragazza.

«Davvero?»

Wynonna si prese un’altra gomitata nel fianco da Waverly.

«Non fate nulla di avventato, non sparate se non ve lo dico. Non fate assolutamente nulla, se prima non ve lo dico io.» Li scrutò tutti; poi: «Chiaro?»

Tutti - compresa Wynonna - annuirono.

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Capitolo 6
*** 6 ***


VI
I Pericoli della Foresta



 

 

 

Dopo gli iniziali folti pini e abeti, gli spazi si erano allargati, lasciando spazio ad alberi più variegati ed esili; di conseguenza, il livello della neve era più alto.Waverly, che seguiva la scia di Nicole, notò provenire dalla donna un buon odore: misto fra muschio e vaniglia.

«Quanto manca?», domandò, accostandosi a lei. Non lo aveva chiesto solo per ottenere l’informazione, quanto piuttosto per iniziare una conversazione.

Camminare nella neve inviolata era più faticoso, ovviamente, e si chiese se Nicole non sentisse la fatica di aprire la strada: cosa che aveva fatto dal principio.

«Non molto. Fossimo in una stagione più calda, impiegheremmo molto meno tempo. Sei stanca?», s’informò, voltandosi verso di lei e parlando piano.

Waverly arrossì per l’attenzione di quegli occhi nocciola.

«No, va tutto bene, grazie...» Anche lei aveva abbassato il tono di voce, adeguandolo a quello della donna.

Nicole annuì e tornò a concentrarsi sulla neve.

Waverly, dal canto suo, trovò più interessante la figura che le camminava al fianco.

«Da quanto tempo vivi qui?»

«Da sempre: trent’anni.»

«Hai la stessa età di Wynonna...»

La donna si voltò a guardarla, incuriosita.

«E’ un problema?»

«No! No, era solo una riflessione, scusa...» Waverly era a disagio: le provette, i libri e le formule chimiche erano certamente più facili da affrontare rispetto agli esseri umani, be’, sicuramente più di donne così... così, ecco.

«Non ti scusare. Quanti anni hai? Posso chiederlo?» Nicole sembrava decisa ad assecondare la voglia di parlare di Waverly. E lei gliene fu grata.

«Ventisette... compiuti a dicembre», rispose, contenta che la donna non si fosse infastidita.

«Sei giovane. Eppure, da quanto ho capito, sei già una dottoressa con degli studenti.» Sembrava un complimento.

«Ho ottenuto qualche laurea, sì. La scienza è la mia passione. E tu? Tu hai qualche passione?»

La donna sembrò non aver sentito la domanda, o forse la ignorò di proposito, poiché rimase in silenzio.

Waverly stava per tornare dietro di lei, quando Nicole si decise a rispondere.

«Penso di non avere particolari passioni. La foresta e gli animali valgono?»

«Per vivere cacci. Come hai imparato?»

«E’ stata una questione di necessità. Ho dovuto capire come sopravvivere: non ho avuto dei genitori molto presenti», rivelò.

«Mi dispiace, non volevo essere indelicata», mormorò, studiando il profilo della donna per leggerne le emozioni; purtroppo, erano in un codice che non riuscì a decifrare.

«E’ la vita: ognuno ha il suo destino. Non serve a nulla chiedersi il perché; bisogna solo imparare le regole del gioco e giocare, se si vuol sopravvivere.»

«Ehi, piccioncine! Quanto manca?» La voce di Wynonna arrivò dalle loro spalle come uno squillo di tromba.

Nicole si fermò. Si girò lentamente e attese finché Wynonna non la raggiunse.

«Vuoi farti sentire dall’intera foresta?», sibilò, minacciosa.

Wynonna socchiuse gli occhi.

«Hai dei problemi con me?»

«Ho dei problemi col tuo tono di voce», grugnì Nicole.

La donna mise la mano sulla pistola che aveva alla cintura.

«Ripetilo, testa vuota.»

«Um... ragazze...?» William, a qualche passo di distanza.

«Ti consiglio di non provocarmi,Wynonna.» Per la prima volta, Nicole sembrò arrabbiata sul serio. «Finiresti col farti male.»

«Ragazze... penso...»

«Quella che potrebbe farsi male, sei tu», rimbeccò l’altra.

«Piantatela! William sta cercando di dire qualcosa», intervenne Waverly, capendo all’istante di cosa si trattava.

Le due donne smisero di litigare e le loro facce si fecero scure per motivi diversi.

«Ragazze, penso stia arrivando qualcosa...» riuscì finalmente a dire; comunque fu inutile, dal momento che se n’erano accorte di loro.

«Restate dietro di me», ordinò Nicole.

«Scordatelo, testa vuota.»

Waverly e William si misero alle spalle di Nicole senza protestare, mentre Wynonna affiancò la rossa.

I passi si fecero sempre più forti e vicini.

«Pensi sia di nuovo il lupo rosso?», chiese Waverly, in un sussurro.

«Assolutamente no», affermò Nicole, estraendo un pugnale dalla cintura.

«Cosa pensi di fare, con quell’ago?», la schernì Wynonna, sfoderando la sua Magnum.

«State fermi», bisbigliò Nicole, ignorando il commento della donna.

Qualsiasi cosa stesse arrivando, doveva essere enorme e parecchio veloce. Era a non più di una trentina di metri da loro, ma la foresta la celava ancora.

Alcuni alberi vibrarono, scontrati dal passaggio del corpo della creatura. Il rumore era ora quasi assordante e parecchio disturbante.

«Credo di vedere qualcosa», disse Waverly, indicando una sorta di pelliccia marrone e gialla, ma era ancora una cosa indistinta.

I passi si fermarono e dal folto arrivò un ringhio agghiacciante.

«Merda. Ora sono sicura: è una chimera...» esalò Nicole.

«Che intendi per... chimera?», chiese William, indeciso se avere paura o essere emozionato.

Dal folto spuntò un essere enorme: una sorta di alce; o, meglio: una lince col corpo d’alce.

Era alta almeno tre metri e mezzo. La testa grande come il busto di un uomo molto, molto robusto; gli occhi di un blu brillante e innaturale; le zanne in mostra luccicavano bianchissime, ricoperte di saliva. Lo zoccolo anteriore colpiva violento il terreno.

«Sta per attaccare», constatò Nicole. «Mira alla testa, meglio se agli occhi», sussurrò, tenendo i suoi fissi in quelli della belva.

Ma Wynonna era pietrificata, esattamente come gli altri due. Certe cose non te le insegnano, in addestramento, a prescindere dal corpo militare che scegli. Ancora meglio: certe cose non dovrebbero proprio esistere. Non possono esistere..., ragionò fra sé e sé.

Nicole, che aveva capito di non poter contare sugli altri, mosse qualche passo verso il mostro.

La chimera ringhiò e cominciò a sbattere più forte lo zoccolo contro il terreno, facendo schizzare la neve all’indietro.

Nicole e la chimera sembravano studiarsi a vicenda; due fiere in attesa di farsi a pezzi.

La bestia mandò un altro terribile ringhio e, subito dopo, s’avventò contro di loro.

Nicole non perse tempo: si lanciò a sua volta contro il nemico.

La chimera mirò alla testa di Nicole: spalancò le fauci, pronta a richiuderle attorno al suo collo. Ma la donna scivolò sulla neve, evitando l’attacco; piantò il coltello nella spalla della chimera e, usandolo come appiglio, si arrampicò sul collo dell’essere, stringendolo forte fra le braccia.

«Spara! Wynonna, spara agli occhi!», ordinò, cercando di non perdere l’equilibrio: la belva era inferocita e cercava di disarcionarla.

Wynonna si riprese.

«Tieni giù la testa!». gridò, prima di prendere la mira.

Il proiettile colpì con precisione l’occhio sinistro. La lince-alce lanciò un grido di dolore e rabbia. Si agitò fino al punto di far perdere la presa a Nicole, che cadde, afferrando però il suo pugnale. Si rimise in piedi, tentando di colpire ancora la carne della bestia, ma quella le tirò un calcio in pieno stomaco, scaraventandola a diversi metri di distanza.

Wynonna sparò ancora, ma i proiettili sembravano non riuscire a scalfire la pelle della bestia, anzi: ci rimbalzavano.

La chimera, inferocita, puntò verso di loro.

Wynonna reagì d’istinto: afferrò Waverly, spingendola via. Atterrarono sulla neve fresca, fuori dalla traiettoria dell’animale mostruoso.

La belva addentò il braccio di William e corse a tutta velocità nella foresta.

Le urla di dolore e paura del ragazzo durarono solo qualche secondo: ormai erano lontani.

Waverly si alzò, liberandosi dal corpo della sorella.

«William!», strillò, con orrore e sgomento.

«Merda!», imprecò Wynonna, preparandosi a inseguire la scia di sangue lasciata sulla neve.

Fece sì e no un passo, che delle braccia forti l’afferrarono da dietro, cingendole i fianchi con forza.

Nicole dovette metterci impegno: nonostante la corporatura minuta, Wynonna era dotata di una certa forza, valore incrementato dall’adrenalina che le scorreva a fiumi nelle vene.

«Sta’ ferma!», ordinò.

«Lasciami andare! Devo salvarlo!», gridò lei, cercando in tutti i modi di togliersela di dosso.

«Non puoi salvare un morto!»

Finalmente, il corpo di Wynonna si arrese contro quello bollente di Nicole.

«Era una femmina: avrà dei cuccioli. E’ tutto inutile...»

«Cazzo! Lasciami andare! Non vado da nessuna parte!», sbraitò, rianimandosi d’improvviso.

Nicole allentò la presa e la donna fu libera dalla morsa delle sue braccia.

Wynonna si voltò verso la sorella minore.

Waverly era immobile, fissava il punto in cui la bestia e William erano scomparsi; gli occhi pieni di lacrime e la bocca dischiusa per un lamento muto.

«Era sotto la mia responsabilità...» mormorò mentre Wynonna le si avvicinava per abbracciarla.

Nicole, dal canto suo, fece del suo meglio per rimanere in sé, ma poi sentì le gambe farsi molli e cadde in ginocchio.

«Questa non ci voleva...» biascicò, capendo di non poter impedire l’inevitabile: finì con la faccia nella neve.

«Nicole!», gridò Waverly, attonita e smarrita.

«Non provare a essere morta, sai! Devi portarci fuori da quest’inferno!», sbraitò Wynonna, girando Nicole, in modo che non soffocasse nella neve.

Dal naso e dalla bocca scintillavano dei rivoli di rosso sangue, qualcosa di non troppo dissimile al colore dei suoi capelli.

Le avvicinò l’orecchio al viso.

«E’ viva», sospirò di sollievo. «Ha preso una bella botta, però. Pensandoci... mi sorprende sia viva, dopo quel calcio», rifletté.

«Cosa facciamo?», mugugnò Waverly, disperata, osservando prima la sorella e poi Nicole.

«Aspettiamo che si riprenda: non possiamo trascinarla per la foresta fino alla città. Troviamo un posto nascosto e preghiamo che si svegli prima del buio. Preghiamo che si svegli...»

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Capitolo 7
*** 7 ***


VII
Frammenti dal Passato





 

«Sono fuori da troppo tempo... fra un paio d’ore sarà buio. Forse dovremmo andare a cercarli», propose John, girando per la stanza.

«Sono sicuro che stanno bene. Wynonna è una donna in gamba», disse Henry, più a se stesso.

«E questi coglioni non si fanno ancora sentire!», sbottò Sara, scuotendo la testa verso la radio come se essa fosse una bambina dispettosa.

«Non sappiamo da dove cominciare a cercare! Perché non lo sappiamo? La dottoressa Waverly è sempre così minuziosa e precisa, ma questa volta non ha nemmeno detto che direzione avrebbe preso! Perché non l’ha fatto?!» Bob era un tantino isterico.

«Ehi, tranquillo...» John andò dal ragazzo e lo strinse fra le braccia. «Va tutto bene», lo rassicurò.

Bob non oppose alcuna resistenza e subito si sentì meglio, avvolto dal calore di un altro essere umano.

Sentirono bussare alla porta.

Henry andò ad aprire. Sulla soglia c’era la vecchia Marta.

«Preparo la cena? Avete un po’ d’appetito?», chiese, con i suoi modi dolci.

«Grazie, ma penso di parlare a nome di tutti: siamo un po’ agitati per mangiare», le disse Henry, chinando rispettosamente il capo.

«Vi lascerò qualcosa di buono in cucina. Se vi verrà fame, andate pure, non fatevi problemi. Ma dove sono gli altri vostri amici?», indagò, sbirciando nella stanza.

«Sono loro il motivo della nostra ansia: sono fuori da ore e tra poco sarà buio», rispose Bob, senza staccarsi da John.

«Oh, santo cielo! Sono nella foresta? Da soli?» La vecchia Marta sembrava davvero preoccupata, e a ragion veduta...

«Con loro c’è la donna dai capelli rossi... Nicole, credo», rivelò Sara mentre portava una sedia: la signora non sembrava molto stabile sulle gambe. Infatti, accettò subito di sedersi.

«Per fortuna quell’assurda donna è con loro, dunque mi sento più tranquilla», sospirò.

«Chiedo scusa, non capisco: la gente sembra odiare quella donna, eppure c’è stata consigliata come guida. Anche tu, Marta, hai mostrato diffidenza per lei, ma ora pari sollevata che sia con i nostri amici. Sono davvero confusa», mormorò Sara, guardandola in modo strano.

«Quella donna è un problema vivente. C’è sempre un po’ di non accettazione per quelle persone un po’ particolari. E’ cresciuta praticamente da sola, nella foresta... non si è ancora ben capito chi siano i suoi genitori; ci sono molte voci su di loro. Cose brutte», rivelò, con fare cospiratorio e pettegolo.

«Ad esempio?», chiese ancora Sara, sospettosa.

«Scusate, non me la sento di parlare di queste cose», borbottò, diventando improvvisamente reticente. «Quando torna provate a domandarlo a lei. Ora vado, mi devo riposare.» Così si congedò.

Il gruppo era sempre più perplesso. NeveSplendida era davvero una strana città, per non parlare dei suoi abitanti... 

 

<>

 

«La sua pelle brucia, letteralmente: penso abbia la febbre alta», mormorò Waverly, che aveva la testa di Nicole appoggiata alle ginocchia. Le fece una carezza sui capelli, così morbidi e rossi.

«Prima, quando ci litigavo, ero abbastanza vicina e ho sentito provenire da lei un gran calore. Voglio dire che era bollente già prima di essere colpita», spiegò Wynonna, contemplando il volto della donna. «E’ veramente strana...»

«Non ho niente di utile con me. Il sangue da naso e bocca si è fermato, ma deve aver sbattuto la testa contro qualcosa, a giudicare dell’ematoma che ha sulla tempia. Però se ha un’emorragia interna... allora...» Waverly trattenne le lacrime.

Wynonna le fece una carezza sul viso, per calmarla.

«Il respiro è regolare, tranquilla. In ogni caso, non capisco cosa ci trovi in questa testa vuota.» La solita sbruffona, ma solo per alleggerire la tensione.

«Be’, prima di tutto senza di lei siamo spacciate... e poi, non lo so, ha un viso così carino, una voce calda e profonda. La sua presenza, per quanto stupido o irrazionale -non la conosco neppure - mi fa sentire bene», rispose, imbarazzata; poi un’ombra scura passò sul suo viso: non aveva il diritto di sentirsi così. William era morto e lei... lei pensava a questioni come quella?

Wynonna intuì i pensieri della sorella, infatti disse: «Non è stata colpa tua.»

«Lo so... credo. Solo che era un mio studente, l’ho scelto personalmente. Ora è morto. Aveva solo diciannove anni... così tanti sogni e ambizioni...» Una lacrima cadde giù, finendo sulla guancia di Nicole. La donna si agitò: sembrava sul punto di risvegliarsi. Infatti, aprì e chiuse rapidamente gli occhi.

Per un paio di volte, Waverly ebbe l’impressione di vedere un lampo azzurro; ma, guardando meglio, vide che erano sempre del consueto nocciola.

«Ehi, testa vuota...» bisbigliò Wynonna. «Sei nel mondo dei vivi, ma non so se si possa considerare una fortuna, per te. Per noi sì, se lo vuoi sapere.»

Nicole mugugnò qualcosa di incomprensibile. Si tirò su di scatto e, girandosi, vomitò.

«Già, anch’io sono felice di vederti...» commentò la donna dai capelli neri.

«Wynonna, ti prego, non mi sembra il momento...» la sgridò Waverly, massaggiando la schiena piegata di Nicole.

«Dobbiamo andarcene da qui...» gracchiò, con la voce resa rauca dal vomito.

«Bene, mettiti in piedi e portaci fuori dalla foresta», disse Wynonna, porgendole una mano.

«No, camminare nella foresta di notte sarebbe un suicidio: ci sono creature ben peggiori di quella chimera», replicò, accettando l’aiuto della donna.

«E’ allora dove andiamo?», volle scoprire Waverly, aiutando la donna a mantenere l’equilibrio.

«Al laboratorio, è vicino. Ci nasconderemo lì», dispose, appoggiandosi alla spalla della ragazza più bassa.

Waverly l’osservò attentamente.

«Riesci a camminare?»

«Sto bene. Datemi solo un momento per orientarmi», rispose, guardandosi attorno. «Da questa parte», disse infine.

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Capitolo 8
*** 8 ***


VIII
Il Laboratorio





 

 

Davanti a loro, appena distinguibile sotto l’ultima luce del giorno, spuntava incastonato in una collina quello che doveva essere il laboratorio del matto. Una forma squadrata e cupa.

«E’ enorme...» sussurrò Waverly, basita e affascinata.

«Si, lo è...» Nicole, invece, sembrava a disagio.

«Tutto bene?»

«Ho solo dolore al petto.»

«Appena saremo dentro, in un posto sicuro, controllerò i danni, va bene?»

Nicole si limitò ad annuire.

«Andiamo», intervenne Wynonna, guardandosi nervosamente attorno. Quel posto, ancor più di tutta la foresta, le dava dei brutti brividi.

«Dobbiamo fare il giro. Fate meno rumore possibile e non parlate, se non estremamente necessario», le istruì Nicole.

«Sì, ma tra poco sarà buio. Possiamo accendere le torce?» chiese Waverly.

«Uh, giusto... certo... una, e puntata a terra», concesse.

Facendosi largo tra la vegetazione, il gruppo raggiunse una porta laterale.

«Venite, è aperta», mormorò Nicole, spingendo piano la porta.

«Conosci bene questo posto», commentò Wynonna. Ma Nicole non la sentì o finse di non sentirla.

Waverly e Wynonna cercarono di distinguere l’interno, ma la luce della torcia illuminava appena, dato che era rivolta al terreno. In compenso, un odore dolciastro e nauseante arrivò loro chiaro.

«Cos’è questa puzza?» volle sapere Wynonna, senza volerlo scoprire davvero.

«Gli esperimenti: sono in decomposizione», rispose Nicole.

«Oh, mio Dio...» esalò Waverly, aggrappandosi d’istinto al braccio di Nicole.

Nicole le guidò attraverso diversi corridoi, ai lati dei quali si aprivano diverse porte di legno e vetro. Ma non c’era tempo per esplorare.

Raggiunsero una rampa di scale che scendeva nell’oscurità ancor più densa.

«Da questa parte. Là sotto ci sono le celle, sarà sicuro», disse Nicole.

Stava per scendere, quando sentì una mano afferrarle il braccio libero. Si voltò e incontrò gli occhi di Wynonna, che scintillavano nell’oscurità.

La donna strinse la presa.

«Perché conosci questo posto?»

Nicole non si scompose.

«Ho esplorato.»

Non sembrò convinta, ma la lasciò andare.

Le scale erano lunghissime: scendevano per diverse decine di metri, ma data l’oscurità potevano anche essere chilometri.

«Perché così profondo?» chiese Waverly.

«Così nessuno avrebbe sentito le urla di coloro che erano imprigionati qui», sussurrò Nicole, con un nodo in gola.

Finalmente raggiunsero il fondo. L’odore era più sopportabile, ma comunque nauseante; alcune porte erano chiuse dall’esterno, voleva dire una sola cosa: qualcosa era rimasto dentro.

Nicole percorse il lungo corridoio fino alla fine. Scelse una porta alla loro sinistra ed entrò.

«Possiamo rimanere qui», disse, richiudendo la porta alle sue spalle, poi sbirciò dalla minuscola fessura, forse per assicurarsi che tutto fosse immobile.

Waverly illuminò l’ambiente.

C’era un lenzuolo lurido buttato a terra, sotto il quale c’era un po’ di paglia; un secchio di metallo, e sul pavimento in pietra c’erano vari fori, probabilmente di scolo.

«Ho una piccola lampada ad olio, con me», disse Waverly, «posso accenderla, sì?»

«Si, ma tieni la fiamma al minimo», concesse Nicole.

Waverly prese la lampada dallo zaino e la pose accanto al lenzuolo.

«Stenditi, così posso vedere la tua ferita.»

La donna rimase immobile.

«Ora?»

Waverly scrollò le spalle, imbarazzata.

Nicole esitò qualche secondo, poi ubbidì.

Wynonna si limitò a guardare la scena da un angolo.

Waverly si inginocchio accanto al corpo disteso di Nicole.

«Posso..?» chiese. Era arrossita.

La donna annuì, senza guardarla.

Waverly cominciò a sbottonare delicatamente la camicia. Si rese presto conto che, sotto di essa, Nicole aveva solo un reggiseno nero sportivo.

«Come fai a non avere freddo? Io sto gelando», mormorò, a disagio. Aveva pensato che sotto la camicia avesse un qualche indumento termico; uno di quelli moderni, che tengono caldo anche se non ti rendi conto di averli addosso.

Wynonna sbirciò oltre le spalle della ragazza e scosse la testa, scioccata.

«Abitudine», gracchiò Nicole, schiarendosi la gola.

Una volta aperta, la camicia liberò il calore del corpo di Nicole e rivelò il busto magro e nervoso. Al centro spiccava un enorme livido nero; ma quando Waverly avvicinò la lampada, la luce rivelò anche un corpo martoriato da decine di cicatrici e bruciature, segni di ogni tipo e forma.

«Mi dispiace», sussurrò Nicole, seguendo lo sguardo di Waverly.

«Non devi... A me dispiace che tu...» Waverly sfiorò con la punta delle dita una delle cicatrici sul ventre muscoloso della donna, quasi per verificare se fossero vere. «... abbia subito questo...» concluse.

Per una volta, Wynonna rimase in silenzio: probabilmente inorridita dalla violenza di quel martirio.

«So che non ti piacerà, ma devo fare un po’ di pressione per controllare gli organi e vedere se hai costole rotte», avvisò Waverly.

«Fa’ ciò che devi.»

Waverly pose le fredde mani sul corpo bollente di Nicole. E la donna serrò la mascella, impedendosi di gemere.

«Scusami...» mormorò e aumentò la pressione. Fece scorrere le mani sapienti sul suo corpo.

Nicole tenne gli occhi chiusi, violentemente serrati. Dai bordi, si poteva vedere brillare il principio di una lacrima.

«Ho finito. Hai almeno tre costole incrinate, ma la buona notizia è che i tuoi organi sembrano stare bene e non hai emorragie interne», rivelò, sollevata, riavvicinando i bordi della camicia di Nicole. «Hai un corpo estremamente resistente: quel calcio avrebbe potuto uccidere chiunque...»

«Grazie», sussurrò lei. «Ora sarebbe il caso di riposare. Appena fa giorno dobbiamo sparire da qui.»

Le due sorelle annuirono.

«Posso dormire accanto a te? Ho molto freddo...» sussurrò Waverly, coricandosi accanto a Nicole. «E tu emani così tanto calore...»

«Certo. Voglio dire... è una questione di sopravvivenza. Vieni qui», acconsentì, attirando la ragazza a sé.

«Così gentile...» ringraziò Waverly, mettendo un braccio sulla pancia di Nicole, facendo attenzione a non toccarla dove aveva male.

Wynonna rimase a osservare la scena con la fronte corrugata: non sapeva bene cosa fare.

Ci pensò Nicole.

«Puoi venire anche tu. Non mordo», promise, aprendo il braccio libero.

La donna la guardò per diversi secondi, indecisa. Ma l’idea di avere un po’ di calore era troppo invitante, quindi si arrese.

«Se lo dici a qualcuno ti faccio a pezzi, testa vuota», borbottò, coricandosi al fianco di Nicole. Subito ne percepì il calore, e senza altra esitazione emulò la posa della ragazza.

«Non una parola, Waverly Earp. Si chiama sopravvivenza», le ricordò, notando l’espressione divertita della sorella.

 

Fu un boato sopra le loro teste, a svegliarle di soprassalto.

«Che cazzo è stato?» esalò Wynonna, con la voce che tremava.

Nicole si alzò di scatto e andò alla porta. Infilò il braccio nella piccola fessura; ignorò il dolore della pelle che si lacerava contro le ruvide pareti di legno e riuscì a raggiungere il chiavistello della porta, chiudendolo.

«Ci ha fiutate», constatò la rossa, correndo a spegnere la lampada ad olio.

Tutto fu nero.

«Nicole, che succede? Chi o cosa ci ha fiutate?» La voce della ragazza grondava di paura.

«Il Licantropo Nero...» rivelò, afferrando Waverly per un braccio e Wynonna per l’altro.

Le trascinò contro la parete della stanza, accanto alla porta, probabilmente.

«Non emettete un solo fiato... o siamo morte...» le avvisò.

Sopra le loro teste continuava a scatenarsi l’inferno: rumore di vetri rotti, oggetti di metallo scagliati in giro e mobili scaraventati contro pareti e pavimento.

Poi silenzio. Ma era un silenzio che portava con sé conseguenze ben peggiori: dei passi pesanti e un respiro ansimante provenivano ora dalla scala.

Stava arrivando.

Un ringhio cavernoso e potente rimbombò nel budello di pietra mentre l’essere colpiva porte e pareti, fiutando pesantemente l’aria.

Nicole poté sentire i corpi delle due donne tremare contro il suo. Mise una mano su entrambe le loro bocche e trattenne il respiro.

La cosa si avvicinava sempre di più e sembrava intenzionata a distruggere tutto al suo passaggio.

Ancora qualche cella e sarebbe arrivata davanti alla loro.

Il rumore era infernale. Graffi, ringhi e il respiro pesante della bestia si facevano sempre più vicini.

Nicole temeva che il battito impazzito dei loro tre cuori le avrebbe fatte scoprire.

Sentirono la porta accanto che veniva scardinata e lanciata contro qualcosa.

La donna dai capelli rossi percepì il corpo di Waverly tendersi allo spasmo, mentre i suoi muscoli e nervi si irrigidivano. D’improvviso divenne morbida: era svenuta.

Non sarebbe riuscita a salvarle, di sicuro non entrambe. Eppure ne era certa: quella cosa sarebbe rimasta nella foresta, di notte. Aveva commesso un errore, e il prezzo era la vita di due donne.

Ancora solo pochi metri.

Nicole cercò di mantenere la calma e pensare, ma la sua mente non produceva alcun pensiero utile.

L’adrenalina in circolo nel suo organismo le gridava di correre, il cervello di pensare e il cuore di proteggere. Una lotta interiore che avrebbe avuto comunque un solo possibile epilogo: la morte di qualcuno.

Nicole percepì qualcosa di freddo e bagnato scivolare sulla mano che chiudeva la bocca di Wynonna: stava piangendo. Probabilmente per la sorella, che non riusciva più a percepire né vedere nell’oscurità totale; si stava maledicendo per non essere in grado di proteggerla.

Wynonna cercò il corpo di Nicole nell’oscurità e si artigliò alla sua coscia, forse nel tentativo di rimanere immobile.

Nicole osservò la donna che cercava i suoi occhi e la sorella nell’oscurità. Per un momento, ebbe l’impressione che la donna incrociasse il suo sguardo, ma era solo un caso; infatti, le pupille dilatate continuarono a guizzare in giro come impazzite.

Sentirono un colpo alla porta del corridoio davanti a loro, che si spalancava colpendo violenta il muro.

Non c’era più tempo.

Ancora un passo e la cosa sarebbe stata davanti alla loro unica, fragile protezione.

Eccola, dietro la porta.

Sentirono il legno scricchiolare sotto le zampe della bestia; pochi secondi e sarebbero morte.

Nicole si preparò a combattere e morire.

Ci fu un rumore di vetri infranti, sopra le loro teste.

La creatura lanciò un ringhio e spinse la porta, dandosi la spinta per cominciare a correre. A correre verso le scale.

Erano momentaneamente salve. 

 

<>

 

Henry e gli altri ragazzi non riuscivano a prendere sonno. Ormai era notte fonda, ma di Wynonna, Waverly e William non avevano saputo più nulla.

Qualcosa nel cuore di Henry gli diceva che Wynonna era viva. Non riusciva a immaginare di perderla, non dopo che erano sopravvissuti all’incubo della guerra. Non dopo essersi sposati per puro amore.

Doveva fare qualcosa.

Avrebbe fatto qualcosa.

 

<>

 

Nicole attese diverse minuti prima di osare muoversi: temeva che il minimo rumore avrebbe attirato nuovamente la belva.

Non sapeva cosa avesse provocato il rumore ai piani superiori, ma sapeva che, qualunque cosa fosse, aveva sicuramente prolungato le loro vite.

«Dobbiamo andarcene da qui», sussurrò a Wynonna.

Sentì la donna deglutire, ma non ottenne risposta.

«Prendo io Waverly, tu aggrappati alla mia camicia e non mollare la presa per nessuna ragione al mondo, okay?»

«Come farai? Non si vede nulla...» finalmente Wynonna parlò, in un sussurro appena udibile e rotto dal terrore.

«Fidati di me.»

Nicole si alzò, liberandosi dalla morsa di Wynonna, che ancora le stringeva la gamba. Prese lo zaino di Waverly e lo mise in spalla, raccolse la lampada a olio e si chinò davanti a Wynonna.

«Prendi questa, ma non accenderla.»

Vide Wynonna annuire, confusa, mentre le sue dita tastavano il metallo. L’aiutò a tirarsi su.

«Prendo Waverly e ce ne andiamo.»

Nicole si chinò sul corpo inerme della ragazza e senza sforzo la prese in braccio. Si avvicinò a Wynonna e le strusciò la camicia addosso, in modo che potesse afferrarla.

«Piccoli passi. Lascia che ti guidi io.»

Sopra le loro teste qualcosa continuava a muoversi e a far un gran rumore.

Wynonna si affidò completamente alla donna dai capelli rossi, stringendo convulsamente la camicia. Aveva la sensazione di fare una strada diversa; ne ebbe la conferma quando, dopo pochi passi, vide una porta aprirsi sulla notte. La luce della luna le sembrò abbagliante.

Nicole cominciò a percorrere quello che sembrava un sentiero che si apriva nella folta vegetazione.

«Veloce e silenziosa, Wynonna.»

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Capitolo 9
*** 9 ***


IX
Non è Finita





 

 

Il laboratorio era dietro di loro, ma per quanto camminassero, sentivano sempre l’ombra dell’edificio incombere su di loro. I loro vestiti, ancora impregnati da quel tanfo di morte e decomposizione, non aiutavano ad allontanare la sensazione.

Ogni scricchiolio o piccolo rumore, le faceva saltare dalla paura.

La neve si insinuava negli stivali di Wynonna, congelandole i piedi; ogni passo era una tortura.

«Nicole...» sussurrò.

Lei si voltò a osservare il viso della donna sotto la tenue luce lunare. Aveva un’espressione indecifrabile, constatò.

«Quando saremo al sicuro, penso che tu mi debba un sacco di spiegazioni. Ma per ora... grazie di averci tenuto al sicuro e di portare mia sorella in braccio; dopo mi dovrai anche spiegare dove trovi tutta quella forza.»

Nicole guardò Waverly: aveva la testa appoggiata alla sua spalla e un’espressione serena, come chi dorme dimenticandosi gli orrori del mondo, almeno per un po’.

«Stiamo facendo progressi,Wynonna, non mi hai ancora chiamato testa vuota», le sorrise, cercando di alleggerire la tensione. «Waverly è davvero leggera, vuoi provare?» scherzò.

«Lascio a te il piacere», ridacchiò.

Un ramo si spezzò a qualche decina di metri da loro. Su tutta la foresta calò il silenzio.

Le due donne si fermarono, trattenendo il respiro.

Il silenzio regnava sovrano ed era difficile stabilire se fosse un buon o un cattivo segno.

«Spostiamoci dove gli alberi sono più fitti: se qualcosa di grosso ci insegue, sarà più facile scappare», suggerì Nicole.

«Era un modo alternativo per dirmi che sono in forma?» domandò Wynonna, nel tentativo di scherzare; ma il risultato fu abbastanza deprimente e fuori luogo.

Le due donne ricominciarono a camminare.

Quel silenzio irreale era davvero poco piacevole. I loro passi sembravano produrre un baccano tremendo, anche se in realtà tutto era attutito dalla neve.

Ci fu un altro rumore, più vicino questa volta.

«Nicole...»

«Sta’ calma, non fare nulla di azzardato», ordinò, cercando gli occhi della donna, per assicurarsi che avesse capito.

Lei annuì.

Cercarono di aumentare la velocità: uscire da quella foresta era la priorità assoluta.

In lontananza si sentirono dei passi, forse zoccoli. Il sangue di Wynonna si gelò: il pensiero di incontrare un’altra chimera la fece sentire male; invidiò lo stato di sua sorella: ignara di tutto.

Sempre più vicino.

«Nicole... Nicole, ti prego non voglio rivivere quell’incubo...» Wynonna tremò di freddo e paura.

«Sta’ calma. Non sembra grosso», disse, cercando di penetrare nell’oscurità.

«Grosso o no, io non voglio restare qui per conoscerlo. Ti prego, dimmi che possiamo metterci a correre come se non ci fosse un domani», supplicò mentre il rumore di zoccoli si avvicinava.

«Aspetta, è qui vicino.» Nicole tese i muscoli delle gambe, pronta a scattare nella direzione più idonea.

«Ma perché aspettare che ci veda, quando possiamo correre?»

«Non è lui che deve vedere noi, ma noi che dobbiamo vedere lui: correre alla cieca nella foresta, senza sapere da cosa scappiamo, è un suicidio.»

«Non sono sicura del tuo ragionamento. Ma mi fiderò di te...»

«Brava ragazza. Eccolo.»

Dal folto spuntò un muso peloso e due piccoli occhi neri si posarono su di loro. Dalle narici dell’alce uscì una nuvola di vapore.

«Oh, grazie a Dio», esalò Wynonna, tremendamente sollevata.

Ma la pace durò poco: ci fu un’esplosione di rami e tronchi che venivano spaccati, e un grugnito spaventoso violentò loro i timpani.

L’alce decise che gli umani erano meno pericoli di ciò che stava arrivando, quindi prese a fuggire nella loro direzione.

Dalla cima degli alberi qualcosa volò nel cielo, oscurando per un momento la luna. La cosa atterrò sull’alce, a pochi metri dal gruppo. Affondò le zanne nella carne dell’animale che si contorceva sotto il suo enorme corpo nero.

La cosa aveva un fisico praticamente identico a quello di un essere umano, ma era rivestito da una folta pelliccia nera come la pece. La testa era quella di un lupo, ai quattro arti aveva dei massicci e lunghi artigli, e degli occhi blu, blu brillanti e chiari come il ghiaccio. Un licantropo.

Il Licantropo Nero.

«E’ il momento di correre come se non ci fosse un domani,Wynonna...» bisbigliò Nicole.


Corsero per un tempo che sembrò loro infinito. Poi Wynonna crollò nella neve, esausta.

«Non è il momento di mollare», disse Nicole, fermandosi.

«Ascolta, rossa: ero nell’esercito, sono abituata a correre. La cosa che voglio di più è uscire da questa maledettissima foresta; di conseguenza, se non corro, è perché non ci riesco. Mi sono ferita una caviglia...» annaspò. «Una storta epica, cazzo!»

«Okay, ti porto io», annunciò, inginocchiandosi davanti alla donna, dandole le spalle. «Mettimi le braccia attorno al collo, ma sbrigati: sento dei rumori.»

«Non puoi portarci entrambe, non dire stronzate. Porta via Waverly da qui, io troverò un posto dove nascondermi fino al giorno», espose, guardandosi attorno.

«Le braccia, Earp!» ordinò.

Wynonna esitò qualche secondo; infine, perplessa, ubbidì. Scivolò sullo zaino e cinse il collo di Nicole.

«Metti le gambe intorno ai miei fianchi e tieniti con tutta la forza che hai.»

«Non c’è la farai mai...» mugugnò in protesta.

Ma Nicole si alzò con facilità e corse nella foresta.

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Capitolo 10
*** 10 ***


X

Altri Problemi e un Po’ di Sollievo


 


 


 

 

Wynonna spalancò la porta della sua camera ed entrò, seguita da Nicole, che ancora sosteneva il corpo privo di sensi di Waverly.

Ely, Bob e Katie ebbero un sussulto.

«Oh, mio Dio... oh, mio Dio... e oh, mio Dio! Siete vivi!» strillò Bob, correndo ad abbracciare Wynonna.

«Cos’è successo a Waverly? E William, dov’è?» volle sapere Ely, guardando il gruppo.

Il viso di Wynonna diventò scuro. «E’ una storia complicata...»

«Cosa? Cosa gli è successo?»

«Fra un momento vi racconterò ogni cosa, ma prima... Ehi, dove sono gli altri?» chiese, cercando con lo sguardo suo marito e gli altri del gruppo.

«Sono andati a cercarvi...» rivelò Katie, con un’espressione colpevole e triste dipinta in volto.

«No, no, no... Cazzo, questo non va bene! Dobbiamo cercarli, subito!» Wynonna fece dietro front mirando alla porta, ma Nicole, che ancora teneva Waverly, le sbarrò la strada.

«Ragiona: è notte; non li troveremo mai, ci faremo ammazzare e basta. La tua caviglia deve riposare.»

Wynonna aveva gli occhi velati di lacrime e li teneva bassi.

«Non devi per forza venire con me, ma ora lasciami passare, cazzo...»

«Verrò con te. Li cercheremo appena sorgerà il sole, lo prometto.»

Wynonna la guardò finalmente negli occhi e alla fine si arrese: sapeva che la donna aveva ragione.

«Chi è lei?» inquisì Katie, osservando la donna dai capelli rossi con curiosità.

«Il suo nome è Nicole. Waverly e io siamo vive solo grazie a lei, lo devo riconoscere.»

«Quindi William è... Lui non...» mugugnò Bob, strozzandosi con la sua stessa saliva.

Tutti fissarono Wynonna, in attesa.

«Per favore, porta mia sorella nella sua camera, è la numero 3. Resta con lei. Devo parlare con questi ragazzi.»

Nicole annuì e lasciò la stanza. 


 

<>


 

Waverly riprese i sensi, ma qualcosa le impediva di aprire gli occhi. Era distesa su qualcosa di morbido e sentiva un piacevole calduccio, accanto a sé.

Faceva fatica a mettere in ordine i pensieri: sentiva di dover avere paura, ma non ricordava il perché. Si sforzò e alla fine i ricordi tornarono, colpendo violentemente la sua coscienza.

«NO!» gridò, tirandosi su. Aveva il cuore che batteva forte, quasi volesse sfuggirle dal petto.

Si accorse di essere nella sua camera, alla pensione di Marta, ma non riusciva a spiegarsi il come, e comunque la cosa non la rese più tranquilla.

«Va tutto bene, sei al sicuro.»

Seduta accanto a lei sul letto c’era Nicole. La guardava con dolcezza.

«Nicole...» Gli occhi di Waverly si riempirono di lacrime. «Wynonna... lei è...»

«Sta bene. E’ con gli altri», la rassicurò. «Ora devi pensare solo a riposare.» Le fece una carezza sul viso e la ragazza trattenne la mano sotto la sua.

«Ti prego, mettiti qui con me.»

Nicole si distese accanto a Waverly, mettendole un braccio protettivo sulla spalla.

Era difficile sostenere lo sguardo della donna. Difficile ma bello. Erano occhi vigili e vispi, rabbuiati da una nota amara e consapevole, sul fondo dell’iride castana. Occhi che sapevano penetrarti dentro... occhi che nascondevano qualcosa di spietato e vivo.

Il suo cuore riprese a martellare, agitato da una necessità che sapeva di paura e bisogno.

Quello che stava per fare non aveva alcun senso logico: no, era istinto... chimica. O quella fu la giustificazione che si diede ancora una volta.

Si sporse e le baciò la guancia. Poi un altro bacio, più vicino alla bocca, timidamente. Voleva sentire qualcosa di forte che fosse anche piacevole. Voleva sentirsi viva, dopo essere scampata alla morte.

Ma, in tutto questo, non dimenticò il rispetto.

«Nicole, se tu non vuo-»

Le labbra di Waverly furono bloccate dal bacio di Nicole, che le teneva la nuca per attirarla a sé.

Forse quella donna la stava assecondando per la promessa: lasciare quel posto. Forse era un’azione meccanica e vuota: perché non avrebbe dovuto esserlo?

Non aveva alcuna importanza. Nessuna nel modo più assoluto. Non ora che la paura era così piacevole e preponderante... nel modo più giusto.

I baci di Waverly si fecero più esigenti. Nicole rispose con altrettanta foga e con una mano scivolò sotto la maglietta della ragazza, incontrando il suo seno. Lei apprezzò l’iniziativa.

Il bacio s’infiammo e, in un attimo, Nicole fu sopra i fianchi di Waverly. Dopo essersi tolta la camicia, tornò alla bocca di lei con baci e morsi famelici.

La giovane ammirò la bellezza della donna con cui stava per fare sesso; del sesso completamente fine a se stesso? Non era dato saperlo e non aveva la benché minima rilevanza, dal momento che erano entrambe consenzienti.

Il calore corporeo di Nicole aumentò ancora e, per una frazione di secondo, Waverly ebbe l’impressione di vedere di nuovo quel lampo azzurro, tra gli occhi socchiusi della donna dai capelli rossi.

Non le importò. Le importava solo stare con quella bellissima donna, avere il suo corpo e la sua mente tutti per sé.

Dimenticandosi il resto del mondo, chiuse gli occhi e si lasciò andare.

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Capitolo 11
*** 11 ***


XI
Qualcosa di Molto Sbagliato





 

 

Henry si alzò di scatto dalla poltrona.

«Miseria, sto impazzendo!» esclamò.

«Già, quest’attesa logora i nervi...» John annuì per sottolineare la sua empatia.

Spazientito, Henry andò verso l’armadio e ci frugò dentro. Ne emerse con un giubbotto marrone e un fucile a canne mozze.

«Io vado a cercarli!» annunciò, infilandosi in testa il cappello da cowboy e indossando la giacca.

«Vengo con te», si unì John, alzandosi.

Henry lo guardò per un momento, poi: «Sai sparare, ragazzo?»

John scosse mestamente la testa.

«Io so sparare», intervenne Sara.

Henry si emerse nuovamente nel guardaroba adibito a ripostiglio per le attrezzature. «Con cosa ti trovi più a tuo agio?»

«Pistole, fucili... non fa differenza: mio padre è cacciatore e mia madre è in polizia, mi hanno insegnato a sparare fin da quando ero bambina», disse, cercando di nascondere un eccessivo moto d’orgoglio.

Henry frugò ancora qualche secondo, poi porse alla ragazza un fucile a pompa.

«Questo ha un buon rinculo, non troppo violento.»

«Penso sarà perfetto», decise la ragazza, studiando l’arma quasi con ammirazione.

John aveva le sopracciglia alzate, pareva un po’ confuso.

«Non ti preoccupare, ragazzo, le donne sono sempre un passo avanti», gli sorrise Henry. Poi bisbigliò: «Ne sanno una più del diavolo, meglio non contrariarle...»

Lui si limitò ad annuire.

«Noi restiamo alla radio, in caso chiamassero... anche se è notte...» mormorò Bob, in imbarazzo.

«Ragazzo, non devi fare il cuor di leone per forza: ognuno ha le sue abilità», gli sorrise Henry, cercando di consolarlo.


 

«Ragazzi! Merda... guardate qui.» John puntò la torcia sulla neve macchiata di rosso.

«Oddio...! Quello è sangue! Qualcuno o qualcosa è stato trascinato», constatò Sara, con orrore.

Henry puntò la torcia attorno. Accanto alla scia di sangue c’erano delle enormi impronte di un ungulato. Il suo cuore perse un colpo.

«Vediamo dove portano...» deglutì.

«Ma... quelle orme... sono anomale...» mormorò Sara.

Gli altri due si limitarono a guardarsi vicendevolmente, senza sapere esattamente cosa dire.Non dovettero camminare a lungo. Poco più avanti trovarono dei vestiti insanguinati e, al loro interno, ciò che restava di un essere umano.

Sara emise un grido strozzato.

«E’ William...» disse John, con la voce che tremava. « Sono i suoi abiti e... e quello è l’orologio di suo nonno...»

«Miseria! Cazzo! Dobbiamo trovare Wynonna e Waverly! Seguiamo a ritroso le tracce e vediamo di trovare le loro.»

«Ma... e lui..? Non possiamo lasciarlo qui...» piagnucolò John.

«Non possiamo fare più nulla. Dobbiamo andarcene da qui prima che la bestia che ha fatto questo ritorni... e pregare che non abbia fatto altre vittime», mormorò Henry, con un nodo in gola: era difficile abbandonare un compagno, ma quella era una questione di sopravvivenza.

Si chiese che razza di essere con gli zoccoli avesse potuto fare una cosa del genere: gli ungulati sono erbivori, questo lo sapeva pure lui.

«Vieni...» Sara pose un braccio attorno alle spalle di John e lo portò via dai resti violati del loro amico e collega.

 

Seguirono le tracce al contrario e arrivarono in una piccola radura.

«Qui ci sono diverse impronte: quella cosa enorme e altre, umane. C’è stata una lotta qui, ma non vedo altro sangue», osservò John.

«Le tracce proseguono di qua, sono in tre: Wynonna, Waverly e la donna che faceva loro da guida», dedusse Henry, qualche metro più avanti. «Due di loro hanno trascinato un corpo fino a qui e si sono fermate; ma poi le tracce che proseguono sono di tre persone, quindi stanno bene, suppongo...»

«Sono fresche?» indagò John, raggiungendolo.

«Abbastanza: non si sono completamente congelate.»

«Troviamole!» esclamò Sara.Camminarono per non più di una ventina di minuti.

Contro il cielo illuminato dalla luna, una figura cubica interrompeva la silhouette frastagliata degli alberi: avevano trovato il laboratorio.

«Si sono dirette là», disse Henry, continuando a seguire le orme.

«Perché hanno proseguito, dopo quella che era successo al povero William...?» si chiese Sara, ad alta voce.

«Probabilmente il buio le ha sorprese....»

 

Seguirono le tracce fino a una piccola porta. Entrando, furono accolti da un odore nauseabondo.

«C’è puzza di carogna...» constatò Sara, respirando con la bocca.

«Non possono essere loro: troppo poco tempo. Ciò che emana questo odore deve essere qui da settimane: il freddo conserva più a lungo i corpi e ne ritarda la decomposizione», ragionò John.

«Non fate rumore, ragazzi, non sappiamo cosa aspettarci da questo posto.»

Imboccarono un corridoio a caso, poiché non c’era modo di sapere dove le tre donne si fossero dirette.

Sara illuminò una stanza al lato del corridoio: la porta era stata sfondata e rivelava al suo interno decine di gabbie delle più svariate dimensioni, che brillavano sotto la luce della torcia.

«Ragazzi...» sussurrò, puntando la torcia all’interno di alcune di esse.

«Miseria, il tanfo qui è insopportabile...» commentò Henry, coprendosi la bocca e il naso. Subito capì la ragione: all’interno di alcune gabbie c’erano dei corpi, ormai decomposti, altri addirittura ridotti a scheletri. C’era qualcosa di sbagliato nella forma di quelle creature: sembravano diversi animali fusi insieme.

«Oh, merda! Ma dai, è malato!» sbottò John, illuminando una gabbia, più avanti.

Gli altri lo raggiunsero e compresero il motivo del suo orrore: in una gabbia c’erano tre teschi umani e due soli corpi; due zampe di quello che dovevano essere un alce e altri frammenti ossei non meglio identificati.

«Qui non si facevano esperimenti sul cancro, ma su come creare delle chimere...» John sentì lo stomaco ribellarsi a quella visione. Sommata alla puzza e alla consapevolezza di ciò che avevano davanti, era un mix tremendo di paura, disgusto e negazione.

«Credo di aver capito cos’è una chimera... ma... Miseria» mormorò Henry.

«Hanno preso esseri umani e animali... e hanno tagliato e ricucito le loro membra», iniziò Sara.

A quel punto, John vomitò.

«Alcuni altri sono stati creati attraverso un processo genetico: hanno alterato il loro DNA; i corpi sono omogenei - come il lupo rosso - e non presentano parti aggiunte, come invece questi poveretti... A qualcuno piaceva la mitologia greca», concluse, quando il giovane ebbe finito di rigettare l’anima.

John si pulì la bocca con la manica della giacca e supplicò: «Vi prego, usciamo da qui. Troviamo gli altri e andiamocene.»

Sara e Henry annuirono, comprensibilmente d’accordo.

 

Vagarono per il laboratorio sbirciando in ogni stanza, ma a parte altri orrori, non trovarono traccia delle tre donne.

Da qualche parte, di un’altra ala dell’edificio, si scatenò un inferno di rumori: vetri, porte e mobili scagliati in giro.

«Che cazzo succede?» esclamò John, al quale era quasi venuto un infarto dallo spavento.

«Non possono essere loro», disse Henry, «qualcosa è entrato qui. Non fate niente senza che ve lo dica e rimanete uniti.»

Le teste annuirono.

I rumori cessarono.

Il gruppo si diresse dove inizialmente provenivano i rumori, silenziosamente e stando con la schiena attaccata al muro.

«Non ho sentito grida umane, quindi penso che non siano loro, il motivo di quel fracasso», mormorò John.

Arrivarono in una zona devastata; c’erano mobili, porte, vetri e oggetti di ogni tipo riversi a terra in un caos assoluto.

Dal soffitto videro penzolare quello che rimaneva di un lampadario a neon; prima che se ne rendessero conto, quello si staccò del tutto è finì a terra con fracasso infernale.

Ebbero la sensazione di sentire un respiro ansante e dei ringhi, provenire da qualche parte sotto di loro.

«Io direi che è meglio correre... loro non sono qui...» piagnucolò John.

Sara annuì con convinzione.

I ringhi e il respiro pesante ora erano chiari, non era frutto della loro immaginazione: qualcosa stava arrivando.

«Correte!» gridò Henry.

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Capitolo 12
*** 12 ***


XII
Informazioni Preziose





 

 

Nicole osservò la ragazza che dormiva al suo fianco. Studiò i suoi lineamenti: ora che c’era un po’ di pace, poteva apprezzare la bellezza dei tratti quasi infantili.

Quello che avevano condiviso aveva un nome che non pensava rientrare nel suo vocabolario. Non aveva importanza, dopotutto, trovare un termine: era stato intenso e incredibilmente piacevole. Reale.

Si alzò senza fare rumore e, guardando un’ultima volta la ragazza, lasciò la stanza.


 

«Permesso?» chiese, entrando nella camera dove c’erano Wynonna e il resto del gruppo.

«Come sta Waverly?» s’informò Wynonna, che era seduta su una poltrona e aveva l’aria di chi non sarebbe mai riuscito a sorridere ancora.

«Sta riposando», rispose, poi fece un cenno con la testa al resto del gruppo e si mise con la schiena appoggiata al muro. Sentiva gli occhi dei ragazzi addosso e la cosa non le piacque.

«Che ora è?» chiese Wynonna, a nessuno in particolare.

«Quasi le cinque. Dovresti riposare un po’, tra un’ora e mezza sorgerà il sole», rispose Nicole, anticipando Katie.

«Come faccio a dormire in una situazione del genere?»

«Lo so. Ma, se sarai senza energie, diventerai un peso.»

Wynonna ignorò la cosa e chiese: «Waverly sa degli altri?»

«No, e penso che sia una buona idea che per ora non lo sappia.»

«Intendi che dovremmo lasciarla qui?» mormorò, con voce incolore.

«Sì, è proprio ciò che intendo», confermò Nicole.

«Si arrabbierà molto per essere stata lasciata indietro...» commentò Ely.

«Meglio incazzata che morta», replicò Nicole, guardando la ragazza negli occhi. Lei abbassò lo sguardo, intimorita.

«Nicole ha ragione. Per nessun motivo dovrà seguirci, al costo di legarla», disse Wynonna.

«C’è qualcosa di cui sarebbe meglio parlare, prima di partire.» Nicole sembrò improvvisamente timida.

«Parla.»

«Gradirei fossimo sole.»

Wynonna si voltò finalmente a guardarla.

«Puoi fidarti di questi ragazzi.»

«Non è una questione di fiducia, è che preferisco parlare con te. Poi potrai dirlo anche a loro.»

«Sei complicata, rossa», borbottò. «Ragazzi, tornate nelle vostre camere. Dormite, se volete. Prima di partire sveglierò uno di voi per fare la guardia alla radio; anche se ormai penso che quelle teste di cazzo ci abbiano abbandonati... per un motivo conosciuto solo a loro.»

I tre non sembrarono molto convinti: volevano sapere cosa aveva da dire quella misteriosa donna. Ma alla fine si arresero e con un timido saluto uscirono dalla stanza.

Wynonna attese qualche secondo, finché non sentì le porte chiudersi.

«Allora, hai intenzione di cominciare a dirmi qualcosa?»

«Sì e no... Voglio informarti che le tue armi sono inefficaci contro le chimere, e sopratutto con quel licantropo.»

«Sì, l’avevo notato: il primo proiettile ha colpito l’occhio, ma gli altri sembravano rimbalzare contro la pelliccia di quel mostro. Immagino tu stia per dirmi il perché.»

«Il mio pugnale, quello che tu hai definito ago...» Nicole estrasse il coltello dalla cintura. «... è d’argento.»

«Ora che ci penso, sei riuscita a conficcarlo nella spalla di quella creatura infernale», ricordò Wynonna, fissando la lama.

«Gli esseri viventi sono composti da un buon quantitativo di carbonio, è alla base della chimica organica. Il carbonio può assumere diverse strutture molecolari, più o meno resistenti, come graffite o diamante. Entrambi sono composti da carbonio, ma la loro ragnatela moleco-»
«Okay, okay, okay! Vieni al dunque!» sbottò Wynonna, a cui bastavano i discorsi di Waverly.

«Brevemente, la chimica delle chimere è alterata: al carbonio vengono legate altre sostanze che lo rendono resistente ed elastico, ma quando viene in contatto con l’argento... boom!, questo legame si allarga e spezza, permettendo al metallo di penetrare. Inoltre, l’argento deposita dei residui che, entrando nel circolo sanguigno, avvelenano il loro organismo... mandano in necrosi i tessuti», concluse.

«Tutto questo per dire che: se gli pianto qualcosa d’argento nel corpo, loro muoiono?» riassunse, con una certa perplessità.

«In certe misure...»

«E non potevi dirlo subito? O, ancora meglio: dirmelo prima di portarci nella foresta?» brontolò, infastidita.

«Non pensavo sarebbe stato necessario: avevo scelto di passare per una zona praticamente libera, avevo calcolato ogni cosa. Ma, come sappiamo, ogni cosa è andata storta. Immagino si possa scomodare Murphy.»

«Come sai tutto questo? Ci hai salvato, va bene, ma ci sono molte cose che non capisco di te e di questo posto.»

«E alcune mai le capirai, Wynonna. Comunque, questo ora non ha molta importanza.»

«Perché non mi dici tutta la verità su questo posto? Non pretendo che tu mi dica tutto di te.»

«Le due cose non sono troppo distanti tra loro», mormorò, con una punta di amarezza nella voce.

«A che fare con i segni che hai sul corpo? Chi ti ha fatto del male?»

Nicole si portò d’istinto le mani al petto, come a proteggersi, e non rispose.

«E la tua forza fisica? Nicole... puoi parlare con me.»

«Appena il sole sorge raggiungimi a casa mia: devo darti qualcosa di utile.» Nicole aprì la porta e sparì, prima che Wynonna potesse aggiungere una sola parola.

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Capitolo 13
*** 13 ***


XIII
Di Nuovo nella Foresta





 

 

Wynonna attese che il cielo diventasse più chiaro.

Percorse il corridoio e bussò alla camera di Katie, svegliandola. Si assicurò che impedissero a Waverly di seguirla e scese le scale, diretta all’uscita.


 

L’aria gelida del mattino le punse il volto, ma non ci fece caso: il suo pensiero andava a Henry; non riusciva a immaginare la vita senza quel cowboy dal sorriso ammaliante e dai modi gentili. Sarebbe invecchiata con lui, solo con lui.

Guardò il cielo ancora blu e pregò che ci fosse un Dio, lassù, a vegliare sul suo amore.

Affrettò il passo e in poco tempo raggiunse la casa di Nicole.

Bussò tre volte, e alla terza Nicole aprì.

«Prendi questi.» Le porse tre proiettili che luccicarono sotto il primo raggio di sole.

«Fammi indovinare: argento», disse Wynonna, prendendone uno e studiandolo. «Come hai azzeccato il calibro?»

«Culo», fu la spontanea replica.

«Perché solo tre?»

«Non so tu, ma io non navigo esattamente nell’oro, e tanto meno nell’argento. Quelli li ho ricavati da un crocefisso e da un anello.»

«Domanda stupida, scusa....» borbottò.

«Yep.»

La donna dai capelli corvini spinse il fuori il tamburo della sua .44 Magnum e tolse i primi tre proiettili, sostituendoli con quelli d’argento.

«Grazie. Non so perché tu faccia tutto questo, ma hai la mia riconoscenza», disse, guardandola negli occhi.

«Già... be’, in realtà è una cosa abbastanza egoista: per prima cosa voglio andarmene da qui, e in secondo luogo... credo che tu e Waverly stiate cominciando a piacermi», sussurrò, quasi avesse paura di dirlo troppo forte.

«Anche tu cominci a piacermi, Nicole», rivelò, e rimase in attesa, per studiare la reazione della donna.

Ma Nicole partì a passo di carica, senza voltarsi indietro.

Wynonna esitò un secondo, lanciando uno sguardo alla porta chiusa della casa, poi la seguì.


 

Le due donne si inoltrarono nella foresta. Nicole sembrava andare in una direzione ben precisa.

«Sembra tu abbia le idee chiare», commentò infatti Wynonna, al suo fianco.

«Ho valutato diverse ipotesi e ho scelto la più attendibile.»

«Potresti spiegare anche a me?»

«Certo. Ho pensato a quello che avrei fatto io, ovvero la cosa più logica, niente modestia. Quindi torno nella zona dove eravamo noi, facendo un giro più largo, per evitare sentieri battuti da quelle chimere, e cerco le impronte della squadra che probabilmente cercava le nostre, di conseguenza, grazie alla neve, saprò se sono diretti al laboratorio», spiegò. «Non ha nevicato, quindi trovare le nostre vecchie impronte e le loro sarà semplice.»

«E se ti sbagli?»

«Non mi sbaglio.»

Wynonna annuì, non trovando argomenti validi per ribattere.Il respiro di Wynonna si era fatto improvvisamente pesante e corto. La donna dai capelli rossi intuì che non era causato dalla fatica di camminare con una caviglia dolorante.

Si fermò e mise le mani sulle spalle di Wynonna.

«Stanno bene, okay? Li troveremo.»

A quel punto, la donna si spezzò e scoppio a piangere.

Nicole rimase un momento basita, ma la strinse tra le braccia, cercando di consolarla.

Rimasero abbracciate per un lungo momento, poi Wynonna si staccò asciugandosi le lacrime.

«Cazzo... Scusa...» mormorò, imbarazzata.

«Va tutto bene», replicò Nicole, «ho capito che ci tieni davvero.»Proseguirono e finalmente giunsero alla radura dove avevano affrontato la chimera. Nicole non si era sbagliata: sulla neve c’erano le impronte di sei persone.

«Sono andati al laboratorio, perché hanno seguito noi», affermò.

«Andiamo.»

 

Camminarono a passo spedito finché all’orizzonte non si stagliò la sagoma del macabro edificio.

«Aspetta», disse Nicole, «ci sono altre tracce. Laggiù.»

Ad una decina di metri trovarono le impronte di tre umani e, miste alle loro, quelle di un enorme zampa artigliata.

«Sono stati dentro il laboratorio, ma il Licantropo Nero li ha inseguiti.»

Wynonna si mise le mani tra i capelli, disperata.

«No, ti prego...»

«Andiamo!»

Nicole iniziò a correre e Wynonna, nonostante la caviglia, corse con lei.

Le impronte proseguivano per un lungo tratto, Nicole stimò almeno un chilometro e mezzo.

«Avevano un buon vantaggio su di lui, altrimenti li avrebbe raggiunti subito, se fosse stato appena dietro di loro», spiegò Nicole.

Le due donne entrarono in una parte più fitta dove la neve era praticamente assente, quindi le impronte erano più confuse.

Nicole si fermò di scatto.

«Che succede?» chiese Wynonna, quasi senza più fiato.

«Sento odore di sangue.»

«Cosa? No... non importa. Dove andiamo?»

Nicole riprese a correre.

«Viene da laggiù.»

Wynonna pregò con tutte le sue forze di non trovare suo marito fatto a pezzi.

Nicole si fermò di nuovo, ‘sta volta sul bordo di un burrone. «Viene da là sotto.» Si sporse e vide un paio di stivali marroni. «C’è qualcuno laggiù. Vado a vedere», annunciò.

Nicole era pronta a scendere, ma la mano di Wynonna le afferrò il braccio.

«Sei matta? Saranno almeno trenta metri! Una di noi due deve tornare indietro e prendere una corda... Cazzo, potevamo pensarci prima!»

«Fidati di me.»

E, liberandosi dalla presa, Nicole saltò.

Wynonna chiuse gli occhi: non aveva il coraggio di guardare.

«Ho trovato un uomo!» gridò Nicole. «E’ vivo!»

«Oh, grazie a Dio...» disse Wynonna, sapendo si trattasse di Henry: aveva riconosciuto gli stivali.

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Capitolo 14
*** 14 ***


XIV
Non Importa Come





 

 

Nicole era china su Henry e cercava di capire quanto fossero gravi le sue condizioni.

«Riesci a sentirmi?»

«Si... ma penso di avere una gamba rotta...» gracchiò lui.

Aveva una ferita alla testa, che aveva sanguinato copiosamente e un’altra alla gamba sinistra.

Nicole si accorse che dallo stinco spuntava qualcosa di bianco: l’osso aveva perforato la carne, uscendo.

Wynonna si sporse.

«Che succede laggiù?»

«Ora risaliamo,Wynonna. Non ti preoccupare, se la caverà», urlò alla cima del burrone. Si rivolse a Henry: «Ora cerca di mettermi le braccia attorno al collo; ti porterò su.»

L’uomo la guardò con quei suoi bellissimi occhi blu e sorrise.

«Sono certo che una ragazza come te sia al quanto forte, ma non è fattibile: peso attorno agli ottanta chili... tutti muscoli, ovviamente!» scherzò Henry, nascondendo il dolore.

Nicole gli diede la schiena.

«Non c’è tempo da perdere! Aggrappati e basta.»

«Signorina, io devo proprio insistere: ti farai male», protesto Henry, senza il minimo accenno di scherno.

«Wynonna, di’ al bel imbusto di ubbidirmi, o finisce che lo lascio qui!»

«Henry, tesoro, fa come dice!» gridò lei, dalla cima.

«Wynonna...» borbottò Henry. Per qualche motivo, forse per il dolore, non aveva capito che c’era anche lei; in effetti, non stava capendo molto: la testa gli doleva da impazzire, per non parlare della gamba.

«Ora ubbidisci», ordinò Nicole.

L’uomo guardò la schiena della donna dai capelli rossi, sorridendo per l’assurdità che stava per fare.

Si sforzò di staccarsi dalla parete contro cui poggiava la schiena e, con dei lamenti repressi, riuscì a mettere le braccia attorno al collo della donna.

«Wynonna potrebbe diventare molto gelosa», scherzò ancora Henry.

«Non ti preoccupare, cowboy, sei carino, ma mi piacciono le ragazze. Ora tieniti con tutte le tue forze, non mi farai male. Sarà una risalita movimentata.»

«Uoooh!» esclamò Henry mentre la donna si rialzava senza nessuna difficoltà. «Avrò un’altra storia interessante da raccontare ai posteri!» si emozionò, aumentando di poco la stretta attorno a Nicole.

«Ci puoi scommettere. Ora reggiti forte, si balla», annunciò Nicole. «Wynonna, spostati da lì!»

Nicole alzò la testa e calcolò il tragitto.

Con un salto puntò verso un albero, piantandoci le unghie per tenersi. Si diede la spinta e usò la parete rocciosa per un altro salto verso l’alto; di nuovo contro la corteccia di un albero con un altro salto incredibile, e poi finalmente atterrò sul bordo del burrone.

«Oh, miseria... è stato... folle!» balbettò Henry.

Wynonna si precipitò su di lui mentre Nicole lo posava delicatamente a terra.

«Amore mio!»

Abbracciò suo marito e lo baciò senza riserve su tutto il viso.

Nicole rimase a osservare la scena, sorridendo per la felicità della donna. D’istinto, il pensiero andò a Waverly e ai suoi baci; una sensazione così piacevole. Si chiese se ce ne sarebbero stati altri, o se Waverly l’avesse fatto solo per accontentare un bisogno e sfogare e festeggiare la vita che pensava di aver perso.

Scacciò via i pensieri dalla testa, ora non era certo il momento di pensare alla sua prima volta.

«Dobbiamo trovare Sara e John! Ci siamo separati, perché qualcosa di enorme ci stava inseguendo... poi sono caduto laggiù», rivelò Henry, interrompendo i baci di sua moglie.

«Li troveremo. Ora bisogna riportarti indietro, prima che la ferita s’infetti», disse Nicole.

«Lo portiamo all’ambulatorio, poi torneremo a cercare i ragazzi», decise Wynonna. «Se la cosa che ha inseguito voi è la stessa che abbiamo visto aggredire un’alce, forse non li ha trovati: sembrava affamata.»

Nicole tenne per sé i pensieri sulla modalità di caccia del licantropo, e disse: «Non all’ambulatorio, non è un posto sicuro.»

Wynonna guardò la donna con sorpresa. «Come sarebbe a dire?»

«Fidati di me.»

Wynonna decise di avere molte ragioni per fidarsi di Nicole, dunque non protestò.

«Riesci a camminare, amore?» chiese, apprensiva.

«Temo di no...» rispose Henry, dispiaciuto.

«Non preoccupatevi, vi porterò io indietro.»

«Con cosa...? Come hai fatto a... Miseria... Come sei riuscita a portarmi qui?» balbettò Henry, che stava ritrovando un po’ di lucidità.

«Non importa», affermò Wynonna, guardando Nicole con riconoscenza. « Ti ha salvato e ha salvato Waverly e me... Non importa il come.»

Nicole chinò la testa per un silente ringraziamento.

Henry annuì senza aggiungere altro.

«Ti prenderò in braccio, mentre Wynonna si metterà sulle mie spalle. Arriveremo in città in meno di dieci minuti», promise. «Posso?» chiese, chinandosi su Henry.

L’uomo annuì con una faccia che era tutto un programma.

Nicole fece scivolare il braccio sinistro sotto le cosce di Henry e il destro sotto le spalle, e lo tirò su.

«Salta su, Wynonna.»

«Potrebbe cominciare a piacermi troppo», ammise, sorridendo mentre saltava sulle spalle di Nicole. La donna non fece una piega.

«Tutto ciò è assurdo», mormorò Henry. L’unica donna che l’avesse mai preso in braccio come un bebè, giustamente, era sua madre... e di certo non dopo che aver superato i trenta chili.

«Pronti?» chiese Nicole.

«Pronti...»

Nicole iniziò a camminare, aumentando gradualmente l’andatura, fino a correre velocissima attraverso gli alberi.

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Capitolo 15
*** 15 ***


XV
Il Mistero di NeveSplendida


 


 


 

Arrivati ai confini della città, Nicole fermò la sua folle corsa, permettendo a Wynonna di scendere dalle sue spalle.

«Prenoto la prossima», ridacchiò. Correre a quel modo – sulla schiena di una donna - la divertiva: si sentiva una bambina che aveva finalmente sperimentato il potere di un supereroe, come quelli dei fumetti.

«Vorrei poter camminare anch’io», disse Henry, osservando il viso di Nicole. «Mi dispiace costringerti a portarmi.»

«Di’ la verità: non vuoi farti vedere mentre vieni portato in braccio da una donna.» Nicole gli strizzò l’occhio. «In ogni caso, la decisione di portarti è stata mia, non mi hai obbligato a fare nulla.»

«Grazie, miss Nicole...»

Le strade della città erano deserte, Nicole ne fu contenta: non aveva nessuna voglia di incontrare gli abitanti. 

Wynonna andò avanti, tenendo aperta la porta a Nicole.

Stavano per salire le scale, quando da un angolo emerse Marta.

La donna si bloccò di colpo portandosi una mano al petto, come in preda a una forte angoscia.

Nicole abbassò il capo in segno di rispetto.

«Marta», la salutò.

La donna boccheggiò senza riuscire a parlare.

«Tutto bene, Marta? Devo chiederti se hai una casetta del pronto soccorso», disse Wynonna, osservando l’anziana donna con curiosità.

«Tu!» Finalmente Marta ritrovò la voce, ma sarebbe stato meglio se avesse continuato a boccheggiare. «Tu, mostro! Cosa hai fatto?!» gridò, puntando il dito contro Nicole.

La donna dai capelli rossi sembrò ferita da quelle parole, ma rimase in silenzio e guardò altrove.

Wynonna si fece avanti, mettendosi fra loro, quasi volesse proteggere Nicole dallo sguardo della donna.

«Cosa? Cazzo, no! Nicole ci ha salvati», le spiegò.

«Sapevo che prima o dopo l’avresti fatto!» continuò, come se l’altra non avesse aperto bocca.

«Marta, ti garantisco che la signorina Nicole ha salvato la mia vita, e prima quella di mia moglie e di sua sorella!» esclamò Henry, agitandosi tra le braccia di Nicole.

«Mostro...» sibilò ancora Marta, sorda a qualsiasi cosa differente dalle sue convinzioni.

«Ma ti abbiamo appena detto...»

«Va bene così,Wynonna. Andiamo», mormorò Nicole, salendo le scale.

«Non ti voglio nella mia pensione, mostro!» gridò la donna, cercando di superare Wynonna.

A quel punto, Nicole si girò e, serrando le mascelle, mandò una specie di ringhio.

Marta svenne.

«Mettila su una poltrona e raggiungimi sopra.»

Wynonna, che era rimasta scioccata dalla scena, osservò la donna a terra.

«Ma certo! Ora la sollevo e la metto su una poltrona.. Certo, due volte...» brontolò. «Non siamo tutti Wonder Woman, qui...»

Prese un cuscino da una delle poltrone e lo mise sotto la testa della donna, poi corse su per le scale.

 

Trovò Nicole con Henry ancora tra le braccia in cima alle scale, le mascelle serrate e lo sguardo appannato da quella che sembrava rabbia, ma forse era solo paura.

«Preferisco aspettare te, prima di entrare: voglio evitare altri fraintendimenti...» spiegò.

Wynonna annuì, comprensiva.

Spalancò la porta e annunciò: «Siamo tornati, abbiamo...» Non poté finire la frase: una Waverly furiosa le tirò una sberla e subito dopo la strinse tra le braccia.

«Mi hai fatto morire di paura! Pensavo fossi morta!» la sgridò. «Non dovevi andartene senza dirmi nulla!»

Alle loro spalle, Nicole si schiarì la gola.

«Henry! Oddio, stai bene?! Voglio dire... abbastanza bene?»

Poi il suo cervello elaborò l’immagine che aveva di fronte agli occhi.

«Nicole! Aspetta, ti aiuto!» esclamò, cercando di capire come sorreggere il corpo di Henry.

«Non ti preoccupare, ora lo metto giù.»

Nicole entrò nella stanza - dove gli altri tre ragazzi la guardarono con gli occhi fuori dalle orbite - e adagiò Henry sul letto.

«Grazie, miss Nicole», mormorò Henry, in lieve imbarazzo.

«Ma... ma... ma... sarà almeno... trenta chili più di lei...» balbettò Waverly.

«Lascia stare, sorellina...» ridacchiò Wynonna, battendole sulla spalla.

«Dove sono Sara e John?» volle sapere Ely, completamente incredula per ciò a cui aveva appena assistito.

«Sono ancora nella foresta, fra poco li andrò a cercare», rispose Nicole, tornando vicino alle due sorelle: si sentiva più a suo agio in mezzo a loro.

«Perché non l’avete portato alla clinica?» chiese Bob, esaminando le ferite di Henry.

Wynonna guardò Nicole, in attesa.

La donna s’irrigidì, poi scosse la testa, arrendendosi.

«Va bene...» sospirò. «In quella clinica non curano i feriti o i malati: li uccidono e portano i resti nella foresta, nella speranza che le bestie si sfamino con quello e non attacchino la città.»

«Che cazzo sta dicendo?!» gridò qualcuno dei ragazzi, mentre Wynonna, Waverly e Henry la guardavano senza riuscire a parlare.

«Funziona in questo modo da quando m- ... da quando lo scienziato ha perso il controllo dei suoi esperimenti.»

«Come potete permettere che succeda?! Chi altro lo sa?» chiese Katie.

«Tutta la città, più o meno», rivelò Nicole, abbassando la testa.

«Merda...» esalò Wynonna.

«Penso sarebbe saggio contattare qualcuno e andarcene da questo posto», propose Nicole, stupita che non avessero ancora chiamato nessuno in loro soccorso.

«Non possiamo: quell’affare è programmato per intercettare una sola stazione radio, cioè quella di coloro che ci hanno mandato qui. Ma loro non rispondono», spiegò Bob, mentre prendeva bende e disinfettante per le ferite di Henry. «Non posso rimettere dentro l’osso senza antidolorifici e medicine varie, andrebbe in shock. Ci serve un ospedale, ma come ho appena detto: non possiamo comunicare con nessuno. E, a quanto sembra, l’unico posto in città con qualcosa di utile, be’...» concluse.

Nicole studiò la radio per qualche secondo.

«Posso?» chiese, avvicinandosi a essa.

«Certo», rispose Wynonna, osservando la donna con curiosità.

«La stazione con cui dovreste parlare è del governo?» domandò, armeggiando con l’apparecchio e studiando i numeri sullo schermo.

«Sì...» Wynonna si mise i ginocchio accanto a Nicole, cercando di capirci qualcosa.

«Mi dispiace, ma io non penso che questa frequenza appartenga a unte governativo», rivelò Nicole, perplessa.

«Cosa? Perché?» volle scoprire Wynonna, che aveva una brutta sensazione allo stomaco.

«Possibile che nessuno di voi l’abbia notato? Non è protetta da nulla, nessuna chiave, nessun rimbalzo su altri satelliti per impedire di trovare l’esatta ubicazione!» esclamò Nicole, incredula. «A nessuno importa se tracciate il segnale: tanto sarà un punto causale, e si sposteranno dalla sede improvvisata.»

«Oh, porca miseria...» esalò Henry, ormai lucido, anche abbastanza da percepire bene il dolore, ma non era quello il motivo della sua esclamazione. «Il pilota, quando siamo scesi dall’aereo, ci ha detto che c’era un rapporto. Waverly, sai dove si trova?»

La ragazza annuì e, senza perdere tempo, corse fuori dalla stanza.

Tornò un minuto dopo con una grossa busta gialla.

La aprì.

«Uhm, ragazzi...» mormorò, fissando i fogli con gli occhi spalancati.

«Cosa c’è scritto?» chiesero molte voci in coro.

«Nulla, assolutamente nulla!» esclamò, voltando e rivoltando i fogli.

Ci fu una marea di imprecazioni.

«Ci hanno preso per il culo! Ci hanno fottuti! Cazzo!» sbottò Wynonna, fuori di sé dalla rabbia.

«Non capisco: chi è stato a mandarci qui, e perché?» chiese Ely, che fino a quel momento era rimasta in silenzio.

«Okay, mantenete la calma. Forse posso hackerare quest’affare», ragionò Nicole. «Avete un cacciavite?»

«Sì, aspetta», disse Waverly, frugando in una delle scatole. «Piatto, stella o croce?»

«Stella, non troppo piccolo.»

Waverly raggiunse la donna e, inginocchiandosi sull’altro lato, glielo porse.

«Grazie», disse Nicole, cercando volontariamente il contatto con la mano di Waverly.

La ragazza le sorrise, arrossendo.

«Come sai queste cose?» volle scoprire Wynonna.

«Bisogna saper fare un po’ tutto», replicò, cominciando a smontare la parte posteriore della radio.

Tutta la stanza rimase in silenzio mentre la donna lavorava.


 

Quindici minuti dopo, la donna dai capelli rossi rimontò lo sportello posteriore della radio.

«Ora dovreste essere in grado di comunicare con tutte le altre stazioni, quest’affare deve avere una buona copertura.»

«Sei seria?!» esclamò Wynonna, guardandola come si guarda la cena dopo una giornata di lavoro senza pausa pranzo.

Nicole annuì, sorridendo.

«Oh, mio Dio!»

Wynonna saltò letteralmente addosso a Nicole, prendendo a baciarle la guancia e la tempia senza tregua.

Nicole provò a liberarsi dall’affetto irruento, borbottando: «Wynonna, mi soffochi...» Però non riuscì a nascondere una punta di gratitudine e sorpresa.

«Scusa! E’ che non ci posso credere!» Tornò alla carica con un abbraccio spacca ossa, mentre la stanza esultava. «Ti adoro!»

«Grazie...» sussurrò Waverly, guardandola con riconoscenza.

Nicole le sorrise e si liberò dalla gioia di Wynonna.

«Voi cercate aiuto, io vado a cercare gli altri due ragazzi. Ci ritroviamo qui, va bene?» chiese Nicole, rimettendosi in piedi.

«Io vengo con te», annunciò Waverly, alzandosi a sua volta.

«Neanche per sogno. Tu rimani qui. E’ troppo pericoloso, lo sai.»

«Penso non ci sia posto più sicuro, qui, che al tuo fianco», rispose.

Nicole la guardò negli occhi; ci lesse determinazione, ma sentì il dovere di insistere.

«Waverly, io non penso che...»

«Sono una scienziata - piuttosto famosa - se sono con te, non se ne andranno senza di noi. Non voglio correre il rischio di perderti.» Subito dopo divenne rossa, rendendosi conto di aver praticamente fatto una dichiarazione davanti a tutti.

Nicole guardò Wynonna, in cerca di aiuto. Ma la donna alzò le spalle.

Era onorata di avere la fiducia di Wynonna, che le affidava addirittura la sua amata sorella, ma il peso della responsabilità gravava sulle sue spalle. Che fare?

Si arrese.

«Va’ a prepararti, ti aspetto.»

Waverly sorrise e corse verso la sua camera. Fu immediatamente di ritorno, vestita e pronta all’azione.

«Waverly, aspetta, prendi questa.» Wynonna tirò fuori la Magnum dalla cintura e la porse alla sorella. «I primi tre proiettili sono d’argento: l’unica cosa che può ferire le chimere. Fanne buon uso», disse, abbracciandola forte.

«Mi prenderò cura di lei», promise Nicole.

«So che lo farai», rispose Wynonna, sincera.

«Trovate i nostri compagni e tornate tutti sani e salvi. Buona fortuna, ragazze!» le salutò Bob.


Nicole si richiuse la porta alle spalle e, seguita da Waverly, s’avviò per il corridoio. Ma la mano di lei le afferrò il polso, trattenendola.

«Nicole...»

La donna si voltò, studiando il viso della ragazza più piccola.

«Dimmi.»

Stavano probabilmente andando incontro alla morte, quindi ora o mai più.

Waverly prese il viso di Nicole e l’attirò in basso, verso le sue labbra. Si lasciò avvolgere dalla meravigliosa sensazione della sua bocca.

«Mi piaci davvero tanto, Nicole...» le confessò.

«Mi piaci anche tu», rispose, appoggiando la fronte contro quella di Waverly.

«Andiamo?»

Lei annuì.

Scesero le scale e trovarono il corpo ancora privo di sensi di Marta.

«Che diavolo...?»

«E’ una lunga storia», mormorò Nicole, prendendo Waverly per mano e uscendo.Le due donne erano nella foresta. Camminavano fianco a fianco, mano nella mano.

«Hai idea di dove cominciare?» volle sapere Waverly.

«Non precisamente. Intendo tornare dove le impronte si confondono e cercare quelle degli altri due.»

Il cielo si era rannuvolato e i primi timidi fiocchi di neve cominciarono a cadere.

«Hai freddo?» s’informò Nicole.

«No, sto bene. Continuo a chiedermi come tu non ne abbia, invece...»

«Un giorno, se ancora mi vorrai attorno, ti dirò tutto.»

«Promesso?»

«Promesso.»

Waverly appoggiò la testa contro la spalla della donna, godendosi il suo calore.

Ci fu un rumore di rami spezzati, da qualche parte alla loro sinistra.

Waverly sentì il corpo di Nicole irrigidirsi e i muscoli aumentare di volume. Un fenomeno curioso quanto interessante, valutò.

«Restami vicino, qualsiasi cosa succeda, e non sparare se non estremamente necessario.»

Waverly annuì con decisione.

Il rumore, questa volta, sembrò più distante.

«Penso si stia allontanando, qualunque cosa fosse», osservò Nicole, rilassandosi leggermente.

Proseguirono e raggiunsero la zona del precipizio, dove era caduto Henry.

Nicole trovò altre impronte: quelle dei ragazzi. Ma non solo: a quanto pareva, il Licantropo Nero aveva continuato a inseguirli.

Cominciava a chiedersi se fosse il caso di conservare quel briciolo di speranza rimasta.

«Non pensi che siano ancora vivi, vero...?» chiese Waverly, quasi leggendole nel pensiero.

«Non è detto, magari sono riusciti a scappare», scelse di dire, per consolarla.

«La cosa che ha lasciato queste impronte dev’essere mastodontico», commentò. «Un canide non potrebbe mai raggiungere queste dimensioni... quindi, forse, licantropo è davvero il termine giusto, per quanto assurdo...»Camminarono in silenzio per un po’, fino a raggiungere una radura piuttosto estesa.

Le impronte la attraversavano.

«E’ meglio fare il giro per il bosco: saremmo troppo esposte, altrimenti», propose Nicole, guardandosi attorno.

«Aspetta, cos’è quella cosa?» chiese Waverly, indicando un punto in mezzo alla radura.

Nicole aguzzò la vista, muovendo qualche passo in quella direzione.

«Non lo so, sembrano vestiti.»

All’improvviso, tutto attorno a loro, la foresta cominciò a diventare rumorosa; i suoni provenivano da tutte le direzioni, come un’orchestra spezzettata.

Nicole mise un braccio protettivo davanti a Waverly, girando su se stessa per capire cosa stesse succedendo.

Waverly sentiva il cuore battere a mille. Afferrò il braccio di Nicole per calmarsi e costringersi a stare ferma.

«Ci sono io, non lascerò che qualcosa ti faccia del male», promise Nicole.

Poi ci fu un rumore più forte degli altri, proveniente dal punto da cui erano arrivate: qualcosa di grosso correva nella loro direzione.

Tutti gli altri suoni cessarono di colpo e la foresta rimase muta.

Waverly, come Nicole, sapeva di essere in trappola.

«Nicole...?»

«Ti proteggo, te lo prometto.»

I rumori erano sempre più vicini e forti, quasi caotici.

Dal folto sbucò la cosa peggiore tra le cose peggiori che avrebbero mai potuto uscire da lì: il gigantesco Licantropo Nero.

«No, no, no...!» guaì Nicole, vedendo il suo incubo materializzarsi.

L’enorme bestia le fissò con i suoi enormi occhi azzurro brillante e sembrò ghignare.

Waverly sentì la testa girare e lo stomaco rivoltarsi dalla paura. Quella bestia era enorme: sembrava il busto di un gorilla mutante con coda, gambe, braccia e testa di un gigantesco lupo nero.

Inaspettatamente, il licantropo parlò.

«Sei caduta nella mia trappola, Nicole», sghignazzò, compiaciuto. La sua voce sembrava provenire da un altro pianeta... così roca e cavernosa.

«Quella cosa... parla? E sa il tuo nome...» Waverly quasi si mise a ridere, sentendo la testa girare sempre più forte.

«Eri tu al laboratorio, l’altra notte. Ho fiutato anche il tuo odore, Volpe», proseguì l’enorme bestia, mostrando le zanne.

«Ascolta, voglio solo trovare gli altri due ragazzi e andarmene. Non voglio avere problemi», dichiarò Nicole, controllando la voce e il suo tremito.

«Intendi quell’ammasso di carne e vestiti laggiù?» La bestia sembrò ridere. «Mi servivano per attirare te e gli altri qui. Ma vedo che mi hai portato solo un misero spuntino...» brontolò, guardando Waverly e leccandosi i baffi.

Nicole si mise davanti alla ragazza.

«Lei non è da mangiare! Lei è mia!» ringhiò.

«Quale figlia nega il pane al proprio padre?!» grugnì la bestia.

Figlia...? Padre...? Le parole si schiantarono nella mente di Waverly. No, non poteva essere...

«Tu non sei più mio padre! Sei solo un mostro! Hai deturpato il mio corpo e la mia mente! Ti odio, pazzo di un demonio!» si ribellò Nicole.

«Io sono un genio!» sbraitò. «Perché non riesci a capire la grandezza della mia opera? Ho creato qualcosa che la scienza non era mai stata in grado di fare prima! Qualcosa senza precedenti: esseri come me e le altre chimere, in grado di vivere a lungo, quasi indistruttibili!» Mosse un passo avanti. «Qualcosa come te...»

«Eri uno scienziato rispettato e ammirato!» gridò Nicole, sempre più arrabbiata. «Avevi una figlia e una moglie che ti amavano, ma hai voluto distruggere tutto! Mi fai schifo!»

«Tua madre non mi amava: era innamorata solo dei miei soldi! Non capiva e non voleva capire niente del mio mondo!»

Nicole emise qualcosa di sempre più simile a un vero ringhio mentre i suoi occhi mandavano qualche lampo azzurro.

«Non nominarla, bastardo!»

«Non ti permetto di parlarmi in questo modo, Nicole, tu mi devi la vita!» La bestia si avvicinò ancora. «Dammi quella ragazza e forse non punirò la tua insolenza!»

«Ti ho detto che lei è mia!» ribadì, ringhiando come un animale.

Waverly sentì il calore del corpo di Nicole aumentare sempre più. L’unico pensiero razionale che riuscì ad avere fu che, probabilmente, i suoi vestiti avrebbero preso fuoco.

Quando fu chiaro che il licantropo stava per attaccare...

«Waverly, prendi il mio pugnale e mettiti là dietro...» Esitò. «E, ti prego, non odiarmi...» La spinse verso una piccola roccia che spuntava dalla neve, accanto agli alberi.

«Nicole...?»

«Va’!»

Gli occhi di Nicole divennero azzurri e il suo corpo cominciò a muoversi in modo strano, quasi come se ribollisse dall’interno; ci fu un orribile rumore di ossa e tendini che si strappano e allungavano. La morfologia di Nicole cambiò e lei cadde sulle ginocchia mentre il suo corpo mutava, cresceva e strappava i vestiti.

Qualche istante dopo, al posto di Nicole, un enorme lupo dalla pelliccia rossastra si stagliava fiero e feroce nella neve.

Waverly non riusciva a credere ai suoi occhi: il lupo di cui parlavano Henry e gli altri... era Nicole? Per quello non li aveva aggrediti!

Nicole guardò verso Waverly, agitando la coda come un cucciolo. Ma quando si voltò verso il lupo nero, gli occhi le divennero vitrei. Piegò le orecchie all’indietro e cominciò a ringhiare forte, mostrando le enormi zanne bianche.

«Se la metti in questo modo...» sghignazzò il licantropo, mettendosi a quattro zampe e cominciando a correre verso Nicole.

I due corpi si scontrarono con un boato sordo.

Nicole morse la gola del lupo, ma non affondò i denti abbastanza in profondità da recidere la giugulare.

Lui si sollevò su due zampe e colpì il muso di Nicole, staccandosela dal collo e sbattendola a terra. Nicole ululò di dolore, ma si alzò subito e mirò ancora alla gola del Licantropo Nero.

La bestia sollevò la zampa sinistra, cercando di colpire Nicole con i suoi artigli, ma lei riuscì a schivare il colpo. Il lupo si era spostato cercando di colpirla, quindi Nicole cambiò bersaglio e morse l’orecchio della bestia, strappandolo via. Il licantropo guaì di rabbia e dolore.

Con una zampata colpì ancora il muso di Nicole, questa volta con le unghie, e le disegnò un solco scarlatto sull’occhio sinistro, lei uggiolò forte, allontanandosi da lui.Ma il licantropo approfittò del momento di smarrimento di Nicole e aprì le fauci richiudendole attorno alla sua schiena; la sollevò in aria, scuotendola con violenza. Nicole urlò di dolore mentre le sue costole venivano spezzate dalla morsa della bestia.

«Nicole!» strillò Waverly, sgomenta.

Frugò nello zaino e trovò la Magnum, ma non poteva ancora usarla senza rischiare di colpire Nicole. Cercò ancora, trovando una pistola lancia razzi. Ne sparò uno in aria, sperando che qualcuno lo vedesse, poi un altro e un altro ancora.

Il lupo rosso fu scaraventato a terra, lontano, dove rimase immobile.

«No!» gridò ancora Waverly, togliendo la sicura alla Magnum. Cercò di premere il grilletto, ma la pistola doveva essersi inceppata per il freddo.

«Andiamo, andiamo, andiamo!» supplicò mentre la bestia puntava nella sua direzione.

«Ora sei mia!» ringhiò il lupo nero, avvicinandosi.

La bestia era a non più di sei metri da lei...

Un lampo rosso si schiantò contro la creatura infernale.

Nicole morse la spalla del lupo, facendolo ululare e cadere.

Waverly, intanto, continuò ad armeggiare con la pistola, tentando di scaldarla e sbloccarla.

Nicole sanguinava copiosamente e tremava, ma non aveva alcuna intenzione di arrendersi. La situazione era davvero critica, però: l’occhio sinistro risultava inservibile, per non parlare delle gravi lesioni sulla schiena e alle costole. Non avrebbe retto ancora a lungo, a prescindere dalla forza di volontà.

Waverly sentì delle voci in lontananza. Anche il licantropo doveva averle sentite, perché ignorò Nicole e puntò verso Waverly, forse per prenderla come ostaggio.

Waverly vide l’enorme bestia arrivarle contro. Premette ancora il grilletto e, questa volta, la pistola sparò, colpendo il licantropo sotto l’occhio destro. Aveva mirato alla fronte, ma il risultato fu comunque buono.

L’animale emise un urlo terribile e cambiò direzione, scomparendo nella foresta.

Le voci si avvicinavano.

Waverly guardò verso Nicole e quasi non la vide: era tornata alla sua forma umana e giaceva immobile e nuda sulla neve... tutto intorno a lei, sangue.

«Nicole! Nicole, rispondimi per favore...» Si tolse la giacca e la coprì. «Ti prego, non morire, Nicole...» supplicò.

Dal folto spuntò Wynonna, seguita da alcuni uomini in divisa militare e un medico. 


 

<>


 

La testa le ronzava e aveva un terribile sapore metallico in bocca. Si sforzava, ma non riusciva ad aprire gli occhi.

«Nicole?»

Qualcuno la chiamava, ma riemergere dall’oscurità sembrava impossibile.

«Nicole, mi senti?» continuò la voce. «Sembra si stia svegliando... no?»

Waverly...? Sì, era la voce di Waverly!

Nicole aprì gli occhi, ma scoprì che uno era bendato. Fece del suo meglio per mettere a fuoco e finalmente vide il viso preoccupato di Waverly.

«Ehi...» gracchiò.

«Sono così felice! Temevo non ti svegliassi più...» mormorò.

Nicole si sentiva confusa ed estremamente dolorante, dovette lottare per rimanere in sé.

«Ehi, testa vuota...» La voce di Wynonna. «Sei in ospedale, lontano da quel posto infernale.»

«Gli altri sono tutti vivi...?» rantolò, senza fare ovviamente riferimento a Sara e John.

«Solo grazie a te», garantì Wynonna, asciugando una lacrima dalla guancia di Nicole. «Ora sei al sicuro.»

«Nessuno ti farà più alcun male», promise Waverly, mentre si alzava per posarle un lieve bacio sulle labbra. «Mai più...» 

 



Fine Prima Parte


 

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Capitolo 16
*** 16 ***


8 Novembre 2018

 

 

PARTE SECONDA

 






XVI
Un Nuovo Inizio





 

 

Nicole non sapeva spiegarsi perché, ma aveva la sensazione che qualcosa stesse per accadere. Qualcosa che non avrebbe portato a nulla di buono.

Il suo corpo era ancora dolorante e mal concio, ma presto la sua straordinaria genetica le avrebbe permesso di guarire definitivamente.

Cosa avrebbe fatto ora? Era davvero finita? No, da una simile storia non si esce mai del tutto...

Per tutta la vita aveva desiderato lasciare quel posto. Forse non era del tutto vero: forse avrebbe preferito cambiare la foresta e riportarla ai tempi di quando era bambina, ai primissimi anni. In fondo, quella era casa sua.

Avrebbe avuto senso ricominciare altrove?

E Waverly? Waverly avrebbe accettato la sua vera natura? Non lo sapeva. Non ricordava molto, dopo la comparsa di suo padre: la sua mente era offuscata dall’ira e dal dolore.

Guardò la giovane che dormiva con la testa appoggiata sul letto. Le stringeva la mano, forte, come se una parte di lei fosse vigile e cosciente.

La donna sorrise, grata per quell’affetto mai sperimentato prima. Ma cos’era, se c’era davvero, quel qualcosa fra loro? Era una situazione disperata, dopotutto; Waverly non era lucida. Nessuno di loro lo era.

Era pronta a lasciare andare Waverly, se l’avesse voluto? No, ma l’avrebbe lasciata andare comunque.

Wynonna si affacciò nella stanza, interrompendo il treno di pensieri un po’ disconnessi.

«Toc toc.»

«Ehi...» sussurrò Nicole, sorridendole.

«Come stai? « s’informò, sedendosi accanto a Waverly, sulla sedia vuota.

«Non lo so... confusa, credo.» Cambiò discorso: «Dovresti portarla da qualche altra parte, deve mangiare... e dormire in un letto vero.»

«Pensi non ci abbia provato? Non vuole lasciarti: ha paura che qualcuno possa farti del male. Non è servito a nulla dirle che questo è un ospedale canadese», replicò Wynonna, poggiando una mano sulla schiena della giovane.

«Come sta Henry?»

«Si sta già riprendendo, è un uomo forte. Ora è più che altro scocciato, perché tocca a lui rispondere e dare la sua versione di quello che è successo. Quando starai meglio dovrai rispondere anche tu, ad alcune domande.»

Nicole si irrigidì violentemente.

Wynonna notò il cambiamento nella donna.

«Tutto okay?»

Nicole rimase rigida.

«Che tipo di domande?» indagò.

«Nulla di troppo serio: sei solo un civile, un testimone, come Waverly.»

Cominciò vagamente a rilassarsi, ma il suo cuore batteva forte e l’adrenalina era ormai in circolo.

«Che succede, Nicole?»

«Ci sono domande che hanno risposte troppe complicate. A volte, persino incomprensibili.»

«Non capisco.»

«Un giorno capirai. Forse un giorno... forse mai.» Non era sicura di come affrontare la questione con Wynonna. Era certa che Waverly non le avesse ancora detto niente, ma forse, prima o dopo, sarebbe uscita la verità. E a quel punto?

Doveva essere lei a dirglielo? Forse. Forse, invece, nessuno avrebbe dovuto saperlo; forse poteva convincere Waverly che quello che aveva visto non era reale. Ma come?

Una voce assonnata la strappò dai suoi pensieri.

«Nicole?»

«Sono qui.»

Con il pollice accarezzò la mano di Waverly, che ancora stringeva la sua.

«Come ti senti?» chiese, strofinandosi gli occhi con la mano libera.

«Sto bene. Tu stai bene?»

«Sì, grazie. Dov’è Wynonna?»

«Di fianco a te, sciocca», la informò, dandole un colpetto sul braccio.

«Scusa, sono un po’ stordita», borbottò, mettendosi una mano davanti alla bocca per sbadigliare.

«Dovresti risposare in un posto decente», le fece presente Nicole.

Waverly si guardò attorno, poi notò che la sua mano stringeva ancora quella di Nicole.

«Scusa!» esclamò, ritraendola di scatto.

Nicole la guardò, confusa, ma non disse nulla.

Wynonna finse di non notare la scena.

«Vi porto del caffè?» chiese, con voce assolutamente troppo casuale.

«Non per me, no, vado a fare un giro: devo sgranchirmi le gambe», spiegò la giovane, alzandosi senza guardare nessuno.

«Per te, Nicole?»

«No, grazie.»

Giusto: e l’alimentazione? Come avrebbe fatto, ora? Per fortuna la flebo, che le dava nutrimento, conteneva solo sostanze base. Doveva trovare una soluzione.

«Nicole, sei davvero strana. Cosa ti turba?» volle sapere Wynonna.

«Cosa mi turba? Niente», sorrise.

«E’ a causa di quello che è successo nella foresta?»

«Cosa è successo nella foresta?» deglutì.

«Non ti preoccupare, ne parleremo quando starai meglio.»

Wynonna le sfiorò brevemente la mano, le sorrise e uscì dalla stanza.

Nicole seguì la donna con lo sguardo. Si chiese se dopo aver scoperto la verità, le avrebbe sorriso ancora. E Waverly? E perché aveva tolto la mano dalla sua?

Chissà.


 

<><><>


 

Wynonna si avvicinò alla sorella, che ne stava davanti al distributore del caffè, immobile, a fissare il vuoto.

«Waverly?» chiamò piano, per non spaventarla.

«Dovremmo dirle che i due ragazzi che era andata a cercare sono vivi...» mormorò, senza muoversi.

«Sara e John sono in un programma di protezione. Per ora non ci è permesso divulgare informazioni su di loro», le ricordò Wynonna, cercando di usare un tono tranquillo.

«Sì, ma lei è in quelle condizioni perché ha provato a salvarli. Ha salvato tutti noi, Wynonna.»

«Lo so, piccola, ma dobbiamo rispettare le regole, per quanto faccia schifo.» Fece una pausa, nel tentativo di scegliere le parole; forse le trovò: «Ascolta, non mi hai ancora detto cosa è successo nella radura. Perché abbiamo trovato Nicole nuda, per esempio.»

Waverly si irrigidì e distolse lo sguardo.

«Non ne voglio ancora parlare. Scusa.»

«Se la situazione non fosse stata disperata, avrei quasi pensato che tu e Nicole... Uh? Capito?» cercò di scherzare.

«Nicole e io siamo... amiche. Tutto qui. Credo...»

«Certo, anch’io mi comporto così con le mie amiche...» rise, facendole l’occhiolino.

«Sei proprio una bambina, Wynonna. Una bambina nel corpo di una donna», sorrise.

«E che donna!» esclamò, felice di aver distratto Waverly, almeno per un momento.

«Idiota...» ridacchiò. Poi la strinse tra le braccia. «Andrà tutto bene, vero, Nona?» chiese, respirando l’odore famigliare e confortante della sorella maggiore.

«Andrà tutto bene, Waves», promise, accarezzandole i capelli.

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Capitolo 17
*** 17 ***


XVII
A Casa: che Bel Suono





 

 

Nicole provò a dormire, ma si sentiva inquieta: la sensazione di pericolo non l’abbandonava.

Pensò fosse a causa dell’arrivo della luna piena; quest’elemento influenza le maree, gli esseri viventi, persino gli umani: sono tutti più nervosi, con la luna piena - e guidano da cani. Ma per lei - un essere geneticamente modificato - questo era un problema ben maggiore. Non sarebbe stata più nervosa... non sarebbe stata più se stessa.

Doveva uscire il prima possibile dall’ospedale e stare lontana dagli umani, sopratutto da quelli che cominciava a considerare il suo branco.

Guardò attraverso il vetro della finestra: il cielo era coperto, ma poté chiaramente distingue la luce lunare, dietro le nuvole. Aveva poco tempo, troppo poco tempo.

«Merda!» le sfuggì, quasi in un ringhio.

«Cosa c’è, Nicole? «

La donna era talmente immersa nei suoi pensieri che non aveva fiutato l’odore di Wynonna, non si era nemmeno accorta della sua presenza.

«Che ci fai ancora qui? E’ notte fonda.»

«Ho una sensazione che non saprei spiegare, ma è brutta. Ti capita mai? « chiese, sedendosi accanto al letto.

«Sì», rispose, ma decise di omettere il fatto di averla anche in quel momento.

«Forse quello che è successo a NeveSplendida mi ha sconvolta più di quanto io stessa riesca ad ammettere», confessò.

«Dov’è Waverly?» volle sapere, ignorando volontariamente il riferimento alla città.

«A casa. Sono riuscita a convincerla, alla fine.»

«Quindi abitate qui vicino... Dov’è qui?» volle scoprire, sentendosi improvvisamente disorientata.

«Purgatory. Lo so: il nome non è affatto rassicurante, ma, proprio come il purgatorio, è un luogo tranquillo, quasi noioso.»

«A chi verrebbe mai in mente di chiamare una città Purgatory?» sorrise Nicole, divertita e perplessa.

«Alla fondatrice: una donna chiamata Emily e suo marito, Beau. Una coppia singolare.»

«Oh, okay.»

«E voi? Voi che avete chiamato una città... neve splendida...? Dai, cazzo.»

«Cos’ha che non va? E’ a tema.» Nicole cercò di sorridere, anche se non amava il fatto di dover continuare a parlare di quel luogo.

«Io l’avrei chiamata Inferno! A quanto ho capito, lo scienziato, quel pazzo, è tutta opera sua. Grazie davvero, stronzo!» esclamò Wynonna, alzando gli occhi al soffitto.

Nicole sentì il disagio aumentare.

«Nicole, c’è qualcosa che non va in te...»

Lei si irrigidì e la sua mano strinse il lenzuolo.

«Qualcosa che non va?» sussurrò, rischiando di strozzarsi con la sua stessa saliva.

«Sì, sembri triste e preoccupata... Vuoi parlare di quello che è successo?»

«Non ora, no. Non mi sento ancora in grado di farlo.»

«Va bene, non ti obbligherò. Volevo dirti che, quando ti sarai rimessa in forze, potrai venire a casa nostra. Abitiamo fuori città, in una vecchia fattoria senza animali.»

«Sarebbe meraviglioso, grazie, ma non so se posso accettare.» Nicole rimase rigida, aveva capito che la donna cercava di dirle qualcosa, no, meglio: di chiederle qualcosa.

«Vuoi scherzare? E’ il minimo! Hai salvato tutti noi, Nicole.»

«No, non tutti», mormorò.

Wynonna si trattenne a stento dal rivelare che i due ragazzi erano ancora vivi.

«Hai fatto tanto, Nicole, davvero tanto, per tutti noi.»

«Ho intenzione di farmi dimettere domani mattina, appena sorgerà il sole», rivelò, decisa a cambiare discorso.

«Cosa? Ma non sei ancora guarita.»

«Wynonna, conosco il mio corpo... molto bene. E’ solo dolore, e nemmeno così forte.»

«Nicole, ho capito che sei... um... diversa, in qualche modo, ma... No, hai ragione: il corpo è tuo e sei adulta. Domani mattina verrò a prenderti e andremo a casa.»

«Grazie, Wynonna. Grazie davvero.»

«Ora vado. Ci vediamo domani mattina, allora.»

Sorrise, ma prima di uscire si fermò sulla porta, indecisa.

«Buonanotte, Nicole», disse infine.

«Buonanotte...»

 


 

<><><> 


 

«Ti ho portato dei vestiti», annunciò Wynonna, entrando nella stanza di Nicole.

La donna non era sola: un uomo dalla pelle scura, molto alto e muscoloso, teneva in mano un piccolo quaderno degli appunti e fissava Nicole. Lei era seduta sul letto e non sembrava gradire la presenza dell’uomo.

«Chiedo scusa. Um... torno dopo», farfugliò Wynonna, girandosi per uscire.

«Non c’è problema, signora, stavo andando via», la fermò l’uomo, senza distogliere gli occhi dalla donna dai capelli rossi.

«Ci rivedremo, Nicole Haught. Non lasciare la città», concluse. Anche se probabilmente non lo era, sembrò una minaccia.

L’uomo fece un cenno col capo a Wynonna e uscì.

«Carino», commentò, aspettando che si allontanasse abbastanza. «Oh, giusto, forse non per te...» ridacchiò.

Ma la donna non la stava guardando né ascoltando. Aveva un’espressione confusa, forse addirittura arrabbiata, dipinta in volto.

«Nicole?» mormorò, avvicinandosi. «Chi era?» inquisì.

«Qualcuno del governo, se ho capito bene. Grazie per i vestiti.»

«Giusto. Mi dispiace avervi interrotti.»

«A me non dispiace affatto.»

«Okay... Non so se possono andarti bene, ma penso che abbiamo più o meno la stessa taglia», disse, porgendo a Nicole una camicia e un paio di jeans. «Forse saranno un po’ corti: sai, sono un tantino più bassa di te... tipo mezzo metro...» scherzò.

«Dicono che il vino buono si trovi nella botte piccola», sorrise Nicole, cercando di non pensare all’uomo.

Wynonna sembrò divertita.

«Chi lo dice?»

«L’ho letto in un libro, era di un autore italiano.»

«Mi vai a genio, rossa. Ad ogni modo, non ti ho portato una giacca: ho notato che non ti piacciono. Ma se vuoi posso darti la mia.»

«Così sarà perfetto, grazie.»

«Ti lascio cambiare. Hai già firmato tutto?»

«Sì, è tutto pronto.»

«Fantastico. Ti aspetto qui fuori, okay?»

«Grazie.»Nicole uscì dalla stanza indossando i vestiti che Wynonna le aveva portato.

La donna dai capelli neri la studiò.

«Se ignoriamo la benda sull’occhio, le caviglie nude e le ciabatte dell’ospedale, be’, direi che stai una favola», commentò, sorridendo divertita.

«Non prenderti gioco di me», borbottò Nicole, incrociando le braccia al petto.

«Io sono seria», rispose l’altra, con espressione risoluta.

«Va bene. Grazie per tutto.»

Nel cervello di Wynonna successe qualcosa, qualcosa che forse sarebbe dovuto succedere prima.

«Tu non hai più nulla...»

«Ho la mia vita, ho voi e, a quanto pare, un posto in cui stare. E’ molto più di quello che avevo prima», garantì.

«Mi dispiace, mi sono comportata in modo superficiale con te.»

«Non è così. Mi stai dando un’occasione. Non so se la merito.»

«Vieni qui, testa vuota!» esclamò, abbracciandola.

«Okay... Be’, quel soprannome cominciava a mancarmi», ridacchiò, ricambiando l’abbraccio.


 

Wynonna era alla guida del pick-up azzurro. Il mezzo aveva visto sicuramente tempi migliori: era piuttosto malandato e, osservando la guida di Wynonna, Nicole ne capì il motivo.

«Nicole?»

La donna dai capelli rossi distolse lo sguardo dal paesaggio e si volse verso di lei.

«Tu non sei un pericolo per Waverly, giusto?» chiese, tenendo lo sguardo fisso sulla strada.

«Ci stai ripensando. Lo capisco, dico davvero.» Era sincera.

«Non ci sto ripensando: voglio solo essere sicura di quello che sto facendo.»

«Non voglio fare del male a Waverly, né a te... a nessuno di voi.»

«Ma...?»

«Ma mi fai questa domanda per un motivo preciso: non hai paura che io possa spezzarle il cuore, hai paura che possa spezzarle qualche osso. O peggio... ucciderla. E capisco la tua paura.»

«Ti ho vista fare cose che non riesco a spiegarmi... ma non dimenticherò mai che hai salvato tutti noi, capito? Né che sei quasi morta per cercare quei due ragazzi. Nemmeno li conoscevi, eppure sei tornata senza esitare in quella foresta degli orrori.»

«Wynonna, ti prometto che non ti darò mai una ragione per temermi.»

«Okay, per ora questo mi basta. Ma un giorno, un giorno vorrei che ti fidassi di me e mi dicessi la verità.»

«E’ così importante?”

«No, non lo è. Allo stesso tempo, però, lo è eccome. Vorrei che ti fidassi, ripeto.»

«Io mi fido di te, non è questo il problema.»

«E qual è, allora?»

«Io... sono sempre stata io, il problema.»

Il resto del viaggio trascorse silenzioso.

Nicole osservò le case trasformarsi in alberi e radure deserte, appena impolverate di neve.Il furgone sì fermò in uno spiazzo di terra battuta, libero dalla neve.


 

«Eccoci qua, questa è casa», annunciò Wynonna, scendendo.

Nicole rimase ferma qualche secondo, osservando la vecchia abitazione in legno scuro.

Era un posto magnifico, circondato da foreste e praterie; qualcosa di positivo, molto positivo.

Wynonna aprì la portiera per Nicole. Il viso era tornato sorridente.

«Vuoi una mano a scendere?»

«No, ti ringrazio.» Alzò lo sguardo e aggiunse: «Questo posto è bellissimo.»

«Sono felice che ti piaccia. Nonostante l’aspetto un po’ vecchiotto, offre tutti i vantaggi di una normale casa», sorrise Wynonna, contenta che Nicole apprezzasse.

«Andiamo dentro: a te no, ma a me si stanno congelando le chiappe!» esclamò, battendo i piedi a terra per scaldarsi.

Nicole annuì e seguì la donna sul portico.


 

«Eccoci!» proruppe Wynonna, aprendo la porta.

L’interno della casa sembrava quello di un fanatico del vecchio West, pieno di decorazioni e mobili in stile country.

Seduta sul divano, accanto a Henry, c’era Waverly.

Nicole chinò rispettosamente la testa.

«Permesso?»

Il cowboy sfoggiò un sorriso cordiale.

«Vieni pure, miss Nicole! Spero tu possa scusarmi se non mi alzo a salutarti: ho lasciato le stampelle in cucina e la mia gamba è tutta ingessata, come puoi vedere.»

«Non c’è problema, Mr. Holliday.»

«Chiamami Henry o Doc, non posso permettere che la donna che mi ha portato in braccio come un neonato mi dia del mister!» rise.

«Grazie, Henry.»

Wynonna e Waverly si scambiarono un’occhiata divertita.

«Sei il solito distratto, amore», brontolò Wynonna, avvicinandosi a Henry per baciarlo. «Sai che non dovresti lasciare le stampelle in giro!» Si rivolse alla sorella e aggiunse: «Waverly, mostra a Nicole dove potrà sistemarsi. Io preparo il caffè.»

«Posso dormire nel fienile, non è un problema», si affrettò a dire Nicole, senza guardare nessuno.

«Stronzate! Non ti farò dormire nel fienile come una bestia. Non posso darti una camera tutta per te - perché non c’è - ma la stanza di Waverly è grande.»

«Vieni», sussurrò la ragazza, alzandosi e invitando Nicole a seguirla.

La donna fece un cenno ai due sposi e seguì Waverly su per la scala.


 

«Permesso?» chiese, fermandosi sulla porta.

«Non devi chiedere il permesso per girare per casa», ci tenne a dirle. «Vieni!»

La stanza di Waverly era piuttosto spaziosa: c’erano un grande letto, un divano e un ripostiglio, e a terra un tappeto dall’aspetto morbido. Le pareti erano invece occupate da due grandi librerie, piene di libri e manuali.

«Vieni, mettiti a tuo agio», disse, invitando la donna a sedersi accanto a lei.

Nicole esitò alcuni istanti, poi avanzò verso il piccolo divano e si mise a sedere accanto a Waverly.

«Non ti ho ancora ringraziata per aver mantenuto la promessa.»

«Quale promessa?»

«Portarmi via da quel posto», rispose, guardandola negli occhi.

«Scherzi?»

«No, sono seria», affermò. «Hai anche protetto il mio segreto.»

Waverly si mosse a disagio.

«Se non mi vuoi qui», proseguì Nicole, «io lo capirò.»

«Certo che ti voglio! Ti voglio qui... Voglio dire... Insomma... Se tu vuoi stare qui, è perfetto...» mormorò, arrossendo.

«Hai paura di me?»

Waverly studiò il viso severo e magro di Nicole e il suo sguardo si fermò sulla benda che le copriva l’occhio sinistro. Non sapevano ancora in quali condizioni fosse.

«Ti fa male?» chiese, sfiorandole il viso, appena sotto la benda.

«Perché non rispondi alla mia domanda?»

«Prima rispondi alla mia», insistette Waverly.

«Sento che la pelle è tirata e gonfia, ma non sento dolore», si arrese.

«Non ho paura di te, Nicole.» Waverly si appoggiò alla sua spalla, lasciando che il calore del corpo della donna l’avvolgesse. «Ho paura di ciò che verrà...»

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Capitolo 18
*** 18 ***


XVIII
Ciò che E’ Mio



 


 

 

Erano seduti al tavolo della cucina, con l’aroma del caffè che si era diffuso per tutta la stanza.

«Grazie», disse Nicole mentre Wynonna le riempiva la tazza. Studiò il liquido scuro; il profumo era davvero buono, ma sapeva che appena il liquido avesse toccato la sua lingua, quella deliziosa bevanda si sarebbe trasformata in qualcosa di disgustoso e nocivo.

«Miseria! Non riesco a darmi pace!» sbottò Doc, senza preavviso. «Non abbiamo ancora capito chi ci ha mandato in quell’inferno.»

«Già. Se trovo il responsabile, lo faccio a pezzi!» rincarò Wynonna, soffiando via il vapore del suo caffè. «Quelle teste di cazzo...» brontolò, velenosa.

«Ragazzi, forse non è il momento di parlare di questo», suggerì Waverly, osservando Nicole.

«Non mi fraintendere, sono felice che tu sia qui con noi. Ma qualcuno ci ha teso una trappola», spiegò Wynonna, sorridendo a Nicole.

«Dopo porterò Nicole in città: deve trovarsi degli abiti adatti», li informò Waverly, cercando di sviare il discorso su sentieri più tranquilli.

«Non possiedo denaro: non posso sostenere le mie spese», intervenne, chinando il capo.

«Stai scherzando? Sei nostra ospite, non devi preoccuparti di nulla! Penseremo a farti avere dei nuovi documenti e, se vorrai, ti troveremo un lavoro», promise Wynonna.

«Mia moglie ha ragione, miss Nicole, sei nostra gradita ospite», aggiunse Doc, con un sorriso.

«Io non so come ringraziare...»

«Ci hai salvati: dacci l’occasione di sdebitarci, almeno in parte», disse Wynonna.

Waverly e Henry annuirono.

«Grazie...»


 

«Non hai toccato il caffè. Non ti piace?» volle sapere Waverly, salendo sul vecchio pick-up blu.

«Il mio corpo non accetta quel tipo di sostanza», rispose Nicole, senza riflettere.

«Oh... Um... quindi che cosa accetta, il tuo organismo?» La scienziata che era in lei si stava risvegliando.

Nicole era rigida, consapevole di dover affrontare un argomento delicato.

«Posso bere il latte non pastorizzato, per esempio», disse, cercando di rimediare.

«A tutti piace il latte», ne convenne Waverly. «E cos’altro?»

«Non penso ti piacerebbe saperlo.»

«Devo saperlo! Altrimenti come faccio a darti da mangiare...? Cavolo! No, nel senso... non come a un cane... non sei un animale domestico... Oh, cavolo! Dovrei fare un corso sulla conversazione!»

«E cosa sono?» chiese, guardandola negli occhi. La sua faccia così seria e quello sguardo penetrante avrebbero potuto terrorizzare chiunque, ma non Waverly: lei temeva solo di averla ferita.

«Tu sei Nicole», affermò, accendendo il motore. «Ecco chi sei.»

Nicole continuò a fissarla. La pupilla dell’occhio destro era molto dilatata - per compensare l’assenza del sinistro - e aveva un che di demoniaco, nel suo nascondere l’iride nocciola.

«Cosa ricordi? Cos’hai visto in quella radura?»

«Ho visto quel mastodontico demonio nero... e ho visto te...» sussurrò, inserendo la retromarcia. «A quel punto ho capito perché Henry, Bob e William avevano potuto raccontare l’incontro: eri tu, quel gigantesco lupo rosso.»

«Sei sicura di quello che hai visto?»

«Sì, so quello che ho visto», garantì Waverly, uscendo dalla proprietà. «Non lo scorderò mai...»

«Dovresti avere paura di me.»

«Nicole, non so perché fai così, ma devo dirtelo: non mi sento a mio agio...»

Da Nicole provenne un ringhio soffuso.

Waverly si voltò a guardarla, attonita.

Lei distolse finalmente lo sguardo e mormorò: «Perdonami, ti prego.» Sentiva che la luna piena era vicina: con essa diventava più difficile governare la bestia con cui condivideva la mente.

«E’ okay. Non sono stata gentile...»

«Tu non hai fatto niente di sbagliato. Sono davvero dispiaciuta...» ci tenne a ribadire.

«E’ tutto okay, Nicole. Tutto okay.»


 

Waverly e Nicole entrarono in un piccolo negozio, all’inizio della città.

«Purgatory non è molto grande e quindi non c’è molta scelta», si scusò.

«Penso sia più che perfetto», replicò Nicole.

«Prendi tutto ciò di cui hai bisogno senza fare complimenti.»

«Grazie...»

Nicole si guardò attorno, cautamente. C’era un po’ di tutto, dagli alimentari al giardinaggio.

«Waverly Earp è di nuovo in città!» esclamò una voce maschile, alle loro spalle.

«Ciao, Tom», borbottò Waverly, voltandosi controvoglia.

Un ragazzo dall’aspetto curato ed elegante si avvicinò.

«Questo posto era così triste senza te!» continuò, ignorando o non notando, incapace di farlo, il disgusto che aveva provocato col suo arrivo.

«Sì, immagino. Ora scusami, ho delle cose da fare», tentò di congedarlo, voltandogli le spalle.

Nicole rimase ferma a studiare il nuovo arrivato, in attesa di una mossa sbagliata.

«Aspetta! Non mi dici dove sei stata di bello?» chiese Tom, afferrando rudemente il braccio di Waverly.

Ecco la mossa sbagliata.

«Lasciami andare, Tom! Non è il giorno giusto... e mi fai male...» si lamentò, cercando di liberarsi.

«Avanti! Non essere maleducata, rispondimi!»

Nicole si avvicinò al ragazzo. Era molto più alta di lui e lo sovrastava.

«Ti ha detto di lasciarla andare», avvisò, con tono basso e minaccioso.

«Uuuh! Che paura! E questa chi è? La tua guardia del corpo gigante?» schernì, senza lasciare la presa. «Da quando gli scienziati ne hanno una? Hai fatto carriera, eh?»

«Lasciami, Tom, dico sul serio!» supplicò Waverly, temendo una reazione troppo violenta da parte di Nicole.

«Non hai sentito? Lasciala andare. Se me lo farai ripetere una terza volta, ti assicuro che non sarò più così cortese.» Forse fu un lampo azzurro, quello che brillò nell’occhio di Nicole.

«Lo dico per il tuo bene: lasciami o ti farei male», garantì Waverly, ben conscia che Nicole facesse sul serio.

Tom strinse la presa attorno al braccio, provocatorio.

«Ma davvero? Io faccio quello che voglio, e non saranno una sgualdrina e un pirata dai capelli rossi a impedirmelo!» Si mise a ridere, gongolando per la sua stessa battuta idiota.

Nicole ringhiò e afferrò il braccio che teneva quello di Waverly, stritolandolo nella morsa della sua grande mano.

Il ragazzo fischiò di dolore e sorpresa.

«Ma che cazzo?! Lasciami andare, stronza! Mio padre è-»

Nicole aumentò la stretta, troncandogli la frase in gola.

«Non me ne frega un accidenti di chi sei figlio. Lasciala o ti sbrano», giurò.

«Te l’avevo detto...» gli rammentò Waverly.

«Fottiti!»

Tom mollò il braccio di Waverly, ma solo per scagliare un pugno allo stomaco di Nicole. La donna non sembrò averlo nemmeno sentito, mentre lui sventolò la mano dolorante, come avesse colpito un muro di mattoni, invece che della carne.

«Di cosa sei fatta, cagna?!» guaì.

Nicole strinse ancora e sibilò: «Ora te ne andrai e non oserai mai più neppure pensare a lei. Se vengo a sapere che tu o chi per tuo conto le ha torto un solo capello, il braccio te lo strappo e me lo mangio.»

«Va bene, ma lasciami!» piagnucolò. «Non sentirete più parlare di me, lo giuro!»

Nicole lo lasciò.

«Demonio!» gridò, prima di correre via.

Un uomo anziano comparve da dietro uno scaffale.

«Che succede qui?»

«Tutto apposto, Buck. Era solo Thomas», disse Waverly.

L’uomo annuì e scomparve di nuovo. A quanto pareva, il solo nome aveva spiegato tutto.

«Grazie, Nicole.»

«Mi disgusta...» ringhiò lei.

«Ora calmati. Ti ha fatto male?» si preoccupò, appoggiando la mano sul punto in cui lui l’aveva colpita.

Nicole ebbe un brivido al contatto.

«Non mi ha fatto nulla.»

«Mi piace, sai? Sei tutta così gentile, educata e premurosa con noi, ma quando qualcuno ci minaccia, diventi così... feroce.»

Nicole abbassò lo sguardo per incontrare il suo.

«Proteggo tutto ciò che è mio: fa parte del mio istinto», spiegò, con tono estremamente serio.

«Sono tua...?» arrossì.

«Sì, sei mia», confermò. «Tu, Wynonna e Henry siete come un branco; il mio branco, e non permetterò a nessuno di farvi del male.»

«Penso sia stato davvero fortunato...» ragionò Waverly, cambiando argomento per non soccombere all’imbarazzo e all’esaltazione di quel comportamento animale spiegato da un essere umano.

«Non ne hai idea, vista la fame che ho...»

Waverly si limitò a una risatina nervosa.


 

Nicole aveva insistito per prendere solo tre camice, due paia di jeans, degli anfibi e dell’intimo. Preferiva i boxer, come scoprì Waverly.

«Appena posso, ripagherò il mio debito», giurò, mettendo la borsa con i vestiti dietro.

Waverly mise in moto.

«Ne abbiamo già parlato. Va tutto bene, Nicole.»

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Capitolo 19
*** 19 ***


XIX
L’Occhio della Bestia





 


 

Il sole era da poco tramontato. Nicole e Waverly erano in camera.

«Hai scelto una camicia uguale a quella che avevi quando ti ho conosciuta», constatò Waverly, sfiorando il tessuto rosso e nero.

«Era la mia preferita», rivelò Nicole, sentendo il corpo rabbrividire sotto il tocco di Waverly.

«Vorrei rivederti...» sussurrò, concentrando l’attenzione sulla camicia.

«Sono qui. Non vado da nessuna parte, se tu non vuoi», replicò, confusa.

«No, voglio dire... vorrei rivederti... trasformata...»

Nicole cominciò a indietreggiare.

«Cosa? Perché dovresti?»

«Perché penso tu sia molto bella, anche in quella forma. Inoltre, da un punto di vista scientifico è... incredibile», rispose, senza guardarla.

Nicole ringhiò forte.

«E’ l’aspetto di un mostro! Di una creatura stuprata e sbagliata!»

«Ti prego, scusa, non volevo farti arrabbiare. Non stavo pensando... ho parlato senza riflettere», mormorò Waverly, cercando il suo sguardo.

Nicole continuò a ringhiare.

«Ho bisogno di uscire.»

Senza aggiungere altro si diresse verso la porta.

«Nicole!»

Ma la donna stava già scendendo le scale.


 

Nicole uscì nell’aria fresca della sera.

Sentiva la rabbia crescerle dentro, violenta, incontrollabile.

Il ricordo di quello che aveva subito la tormentava; faceva ancora troppo male.

Entrò nel granaio e cominciò a spogliarsi: sentiva di non poter più mantenere la forma umana.

Ringhiò mentre cadeva sulle ginocchia, frenando la caduta con le mani. Il suo occhio brillò, diventando azzurro.

La sensazione che il suo corpo cominciasse a bollire dall’interno l’avvolse completamente.

Le ossa e i tendini si spezzarono e allungarono; la chioma rossa divenne una criniera, che cominciò a ricoprirle il corpo; i denti si ingrandirono e allungarono, diventando delle zanne; le mani e i piedi si trasformarono in zampe e le unghie divennero artigli affilati.

Il lupo rosso corse nella notte mentre la luna brillava in cielo.


 

Waverly guardò oltre il vetro della finestra, appena in tempo per vedere l’enorme lupo correre verso il bosco.

Si sentiva in colpa, non voleva ferirla.

Non sapeva come comportarsi con lei: Nicole sembrava ricambiare i suoi sentimenti, ma, forse, era quasi una scelta obbligata.

Forse si stava facendo troppi problemi inutili: Nicole le aveva detto chiaramente che era sua... qualunque cosa volesse dire.

Attese per ore, ma Nicole non sembrava intenzionata a tornare. Alla fine si arrese alla stanchezza e si addormentò col cuore inquieto.

 


 

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Waverly si svegliò quando un raggio di sole le colpì il viso: non aveva chiuso le tende, la sera prima.

Il suo primo pensiero fu per Nicole.

Guardò nel letto, ma accanto non c’era nessuno. Poi finalmente la vide: dormiva sul piccolo divano, le dava le spalle.

Waverly rimase ferma, osservando la schiena di Nicole che si alzava e abbassava al ritmo profondo e regolare del suo respiro.

Si chiese cosa avesse fatto durante la notte e quando fosse tornata.

Nicole si mosse nel sonno, girandosi verso di lei.

La fascia che le copriva la testa era scomparsa, svelando quello che nascondeva: un’enorme cicatrice attraversava l’occhio; partiva dall’attaccatura dei capelli e terminava sullo zigomo, era larga quasi quanto l’occhio.

La giovane donna osservo il segno sul bel viso di Nicole; si sentì male ricordando come era apparso, quando e per mano di chi...

Forse doveva trovare qualcosa con cui coprirlo, prima che incontrasse la luce: c’era il rischio che lo danneggiasse... se c’era ancora...

Si mosse piano, ma le molle del letto tradirono il suo movimento.

Nicole aprì entrambi gli occhi e la fissò.

Waverly si mise a fissarla a sua volta, catturando un dettaglio molto importante.

«Oh, cavolo... Nicole, il tuo occhio!»

La donna non si mosse e continuò a fissarla, come in trance.

«Cos’ha?» chiese, uscendo dallo stallo dei suoi pensieri, anche se continuò a fissarla nello stesso modo.

«Riesci a vedere con l’occhio sinistro?»

Nicole si portò una mano al volto e sfiorò la cicatrice.

«Dev’essere parecchio brutta, vero? Sapevamo ci sarebbe stata.»

«Non è per quello...» sussurrò.

«E cosa, allora?»

«Il tuo occhio è... azzurro...» esalò.

Nicole la guardò come se non parlassero la stessa lingua. Si alzò di scatto e corse verso lo specchio, di fianco al letto.

«Merda...» borbottò, osservando l’enorme squarcio e il colore azzurro del suo occhio.

«Nicole...?»

«Merda», continuò, imperterrita.

«Io... Um, non lo so... Perché è di quel colore?»

«Penso che la guarigione sia stata troppo impegnativa; probabilmente avevo perso l’occhio: è stato sostituito», rispose, continuando a fissare il suo riflesso.

«Rimarrà così? Voglio dire... così brillante?»

«Merda...» ribadì, ringhiando al suo stesso riflesso.

«Sei molto sexy...»

Nicole si voltò lentamente verso Waverly.

«Cosa...?»

«Scusa, è la prima cosa che mi è venuta in mente», bofonchiò, diventando rossa. Doveva assolutamente frequentare un corso sulla conversazione.

Nicole la fissò per alcuni secondi con un’espressione indecifrabile. Alla fine, con grande sorpresa di Waverly, scoppiò a ridere.

«Per-perché stai ridendo? Hai imprecato fino a un secondo fa...» mormorò, confusa.

«Hai ragione, ma sei così divertente», replicò, continuando a sorridere.

«Be’, direi che l’hai presa meglio del previsto», costatò, incrociando le gambe sotto di sé.

«Se a te non dà fastidio, penso andrà bene anche per me. Anche se, avere l’occhio della mia forma da bestia, non sarà qualcosa di facile da gestire», ragionò, sedendosi sul letto accanto a Waverly.

«Penso tu sia un po’ bipolare, Nicole...» decise di farle sapere.

«Può darsi. Allora, dammi una spiegazione scientifica per questo», disse, indicandosi l’occhio azzurro.

Waverly cadde dalle nuvole.

«Cosa?»

«Sì, sai, qualcosa di credibile da dire a Wynonna e Henry. Le mie competenze scientifiche sono diverse da quelle, tra virgolette, normali.»

«Giusto... um, dammi un secondo», mormorò, osservando l’occhio con più attenzione. Era davvero molto bello e brillava come ghiaccio al sole. Ma non c’era Nicole, in quel pozzo zaffiro: c’era il lupo. Waverly poté vederlo chiaramente, era come quello di un essere umano, ma, allo stesso tempo, non lo era affatto.

«Uhm... direi che il trauma ha causato una perdita di melanina...?»

«Non sono sicura di aver capito, ma suona bene», commentò Nicole. «Sufficientemente normale, almeno.»

«E’ la sostanza che rende, fra l’altro, gli occhi più o meno scuri. Per esempio io ne ho poca: ho gli occhi castano-verdi; mentre le persone come Wynonna o Henry, che li hanno azzurri, sono praticamente prive di quella sostanza. Nel loro caso si tratta di una mutazione genetica spontanea, avvenuta però nei millenni: in principio, tutti gli umani avevano gli occhi castani», spiegò Waverly.

«Okay. E il fatto che brilli?»

«Quello è il vero problema. Non lo so, possiamo inventare qualche tipo di collirio che reagisce con la sclera e l’iride... alterandone... la chimica...?»

«E’ credibile?» chiese, dubbiosa.

«Neppure un po’. Non per qualcuno che abbia anche solo un’infarinatura di chimica. Ma per loro andrà bene... credo. Potremmo acquistare delle lenti a contatto nocciola, per coprire l’azzurro ghiaccio, pensandoci.»

«Okay, ti ringrazio!»

Si alzò e si diresse alla porta.

«Dove stai andando?»

«A fare colazione, gradirei una tazza di latte. Vieni?»

«Ti comporti in modo davvero strano, Nicole, davvero strano...» mormorò, raggiungendo la donna.

In realtà soffriva: ora, tutto ciò che cercava di nascondere, era palese e non c’era modo di ignorarlo. Ma non avrebbe mostrato le sue emozioni, l’aveva visto la sera prima: la sua sofferenza e la sua rabbia ferivano Waverly.

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Capitolo 20
*** 20 ***


XX
La Cosa Giusta





 

Quando Waverly e Nicole scesero in cucina, si resero conto che, nonostante il sole fosse appena sorto, Wynonna e Doc non erano il casa.

Avevano lasciato una nota.

Torniamo prima di sera
- W

«Dove sarà andato Henry, con la gamba ridotta a quel modo?» ragionò Waverly, a voce alta.

«Non preoccuparti, sono sicura che stanno bene», la rassicurò Nicole, prendendo il biglietto dalle mani di lei. Studiò la calligrafia tondeggiante di Wynonna: frettolosa e disordinata. Brutto segno.

Tenne per sé i suoi pensieri: non c’era motivo di far preoccupare Waverly, per quanto il presentimento fosse orribile.

«Ti prendo del latte», disse, diretta verso il frigo.

La donna con l’occhio azzurro si mise a sedere.

«Grazie.»

Quando anche Waverly fu seduta al tavolo, Nicole decise fosse il momento di affrontare un argomento delicato.

«Waverly, ho bisogno di parlarti.»

La donna più piccola distolse l’attenzione dalla tazza di caffè e si concentrò su Nicole, cercando di guardare l’occhio umano, quello nocciola.

«Ti ascolto.»

«Questa notte ci sarà la luna piena, giusto?»

«Sì, è così...» confermò, cominciando a intuire qualcosa.

Nicole la guardò con intensità.

«Okay, tu sai cosa sono...»

«So chi sei, sì.»

«La luna piena dura circa due o tre giorni. In questo tempo non potrò rimanere qui.»

«Immagino ti trasformerai. Però...?»

«Però con la luna piena sono... diversa.»

«Cosa intendi per... diversa?» inquisì. Tirarle fuori le informazioni si stava rivelando un’impresa.

Nicole si prese un momento per guardare attentamente il viso di Waverly.

«La mia coscienza umana svanisce del tutto: non ho più il controllo, sono pericolosa. Sono come un lupo mannaro, invece che un licantropo.»

«Sei pericolosa anche per te stessa?» chiese, preoccupata.

«No, non credo. L’unica cosa che m’interessa è mangiare, quindi...»

«Okay. Mi hai detto questo perché devo inventare una scusa per Wynonna?»

«Anche, ma volevo lo sapessi. Appena il sole tramonterà andrò via, mi allontanerò il più possibile dalla città, così non potrò ferire nessuno. Non potevo sparire senza dirti niente: saresti venuta a cercarmi; non potrei mai perdonarmi, se ti attaccassi.»

«Grazie.»

«Per cosa?»

«Per esserti fidata di me. E perché mi vuoi proteggere, persino da te stessa», rispose, allungando la mano per prendere quella di Nicole. «Wow, scotta!» esclamò, quando l’ebbe nella sua.

«Scusa...» mormorò Nicole, cominciando a ritrarre la mano, ma Waverly la strinse più forte.

«No, lascia. Ho un po’ freddo...»

La sensazione che qualcosa stesse per succedere divenne sempre più pressante, quasi come un macigno sulle spalle.

«Cosa c’è, Nicole?» chiese, notando il cambiamento.

La donna con l’occhio azzurro lasciò la mano di Waverly e si alzò.

La ragazza la guardò confusa, ma non disse nulla.

Nicole fece il giro del tavolo e si mise alle spalle di Waverly, chinandosi su di lei mentre l’abbracciava.

«La mia calda coperta in una notte di tempesta...» sussurrò, superata la confusione iniziale.

«Nessuno ti farà del male», le promise, baciandole i capelli.

Waverly non capì il contesto, ma non le importò. Strinse più forte gli avambracci caldi di Nicole; era così bello e rassicurante stare tra le sue braccia.

 


 

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«Waverly! Nicole!» gridò Wynonna, appena entrò in casa.

Le due donne scesero di corsa le scale.

«Wynonna! Che succede? Perché stai urlando?!» volle scoprire Waverly, scendendo gli ultimi gradini.

«Questa mattina ci hanno convocati in sede. Stanno venendo a prendere Nicole...» rivelò, non riuscendo a guardare nessuno.

«Cosa?! Chi? Perché?» guaì Waverly mentre il suo cuore accelerava bruscamente.

«Vogliono riportarti a NeveSplendida: secondo il governo, sei una minaccia per gli umani... l’alternativa è la morte», spiegò Wynonna, rivolgendosi alla diretta interessata.

La donna dai capelli rossi annuì lentamente.

«Non dici nulla?!» sbottò Waverly.

«Cosa dovrei dire?» mormorò Nicole.

«Non lo so! Arrabbiati! Non puoi rimanere impassibile! Non permetterò che ti portino via...» affermò, con le lacrime che minacciavano di cadere.

«Come l’hanno scoperto?» chiese Nicole mentre Henry entrava in casa.

«Non so nemmeno cosa c’era da scoprire... a parte che sei... leggermente diversa», ammise Wynonna, chinando la testa.

«Wynonna, non permetteremo loro di prendersi Nicole, vero?» supplicò Waverly, con la voce spezzata.

«Se ci opponiamo... moriremo», disse Henry, sinceramente dispiaciuto.

«Nessuno morirà per me», garantì Nicole. «Farò la cosa giusta.»

«Cosa? No! Ci deve essere un modo! Deve esserci!» gridò Waverly.

«Va bene così. E’ stato bello, davvero bellissimo, stare con voi. Non potrò mai ringraziarvi abbastanza per tutto quello che avete fatto per me», disse la donna con l’occhio color del cielo.

«Perché sei così arrendevole?! Non ti riconosco!» strillò Waverly, guardandola negli occhi.

«Va bene così. Nessuno morirà per me», ribadì Nicole.

«Cos’ha il tuo occhio...?» chiese Wynonna, osservando l’innaturale pigmentazione e la sua brillantezza. Era dall’inizio che lo guardava, ma non aveva ancora trovato posto per porre il quesito.

«E’ la prova che non posso restare qui», rispose, avanzando verso la porta d’ingresso.

«Dove diavolo stai andando!?» gridò Waverly, inseguendola.

«Vado ad aspettarli. Non mi piacciono gli addii», confessò, toccando la maniglia della porta.

«NO!» proruppe Waverly, afferrando Nicole da dietro; le cinse i fianchi, strinse con la disperazione di chi si aggrappa alla vita.

«Non rendere le cose più difficili. Ti prego, lasciami andare», le chiese dolcemente.

«Mi dispiace, Nicole, giuro che se sapessi come fare...» iniziò Wynonna.

«Stai facendo quello che cerco di fare io: proteggere la tua famiglia. Non ti dovrai mai scusare per questo.»

«Scappa via, Nicole! Corri lontano, ti prego!» supplicò Waverly, aumentando la presa fino al punto che i suoi muscoli cominciarono a tremare per lo sforzo. «Ti troverò!» promise.

«Non posso, lo sai: se la prenderebbero con voi. Me la caverò.»

Con uno scatto fulmineo e morbidissimo, Nicole scivolò fuori dalle braccia di lei.

Waverly era rimasta stordita dal movimento innaturalmente elastico e fluido della donna, quasi fosse stata fatta di gelatina, invece che di ossa e carne.

«Come...?»

«Non essere triste per me», sussurrò, chinandosi a baciarle la fronte. «Un giorno tornerò», promise.

In un attimo fu dietro di lei; le colpì la nuca, facendole perdere i sensi, e la prese tra le braccia.

«Mi dispiace, non ho trovato modo migliore per impedirti di seguirmi», le disse, adagiandola dolcemente a terra.

«Nicole...» Wynonna ci provò, ma non trovò le parole.

«Non venite a cercarmi, non fatelo per nessuna ragione, okay? Troverò il modo di scappare ancora.»

«Mi dispiace così tanto, miss Nicole», disse Henry, chinando la testa.

Wynonna si avvicinò per abbracciare Nicole.

«Ti aspetteremo, testa vuota...»

In quel momento, si sentì il rumore di una macchina che entrava nella proprietà.

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Capitolo 21
*** 21 ***


XXI
Luna Piena





 

Nicole sentì l’adrenalina scorrere in enorme quantità nel suo corpo. I suoi sensi si amplificarono e il suo occhio destro riuscì ad avere quasi la stessa potenza del sinistro; riuscì persino a vedere la goccia di sudore che stava per formarsi sulla fronte di Henry. Poté distinguere chiaramente i tre cuori nella stanza; quello di Waverly batteva più lentamente. Riuscì persino a sentire i respiri delle persone che erano nella macchina, fuori dalla proprietà. Non parlavano; distinse però il fruscio dei vestiti e il rumore delle loro armi; qualcuno digitava sulla tastiera di un computer.

Stava salutando Waverly quando Wynonna le aveva chiamate, e ormai il sole era tramontato: doveva fare in fretta, non c’era più tempo. La massima potenza l’avrebbe raggiunta quando la luna sarebbe stata in mezzo al cielo, allora, né uomini né macchine avrebbero potuto fermarla: sarebbe stata invincibile.

«Nicole, il tuo corpo... brucia!» constatò Wynonna, sciogliendo l’abbraccio. La guancia destra, che era stata a contatto con quella di Nicole, scottava quasi come quando si prende qualcosa dal forno, senza guanti.

La luna piena cominciava a fare effetto sul suo DNA, risvegliando cellule e processi chimici all’interno del suo corpo.

«Rimanete in casa», li pregò Nicole mentre la sua voce diventava bassa e profonda... non sembrava più neppure la sua.

«Cosa ti sta succedendo?» chiese Wynonna. La donna che aveva davanti, all’improvviso, non sembrava più la stessa Nicole che aveva avuto dinanzi fino a un minuto prima.

«Fate come dico!» ringhiò Nicole; fu un ringhio vero, come quello di una fiera.

Istintivamente, Henry si avvicinò alla moglie per proteggerla da un eventuale pericolo.

«Va tutto bene, Doc. Abbi cura di te, Nicole...» mormorò Wynonna, sfiorandole il braccio.

La donna stava per uscire, quando si bloccò. Si sbottonò la camicia e se la tolse, rimanendo solo con una canottiera nera. Si inginocchiò davanti a Waverly e le pose l’indumento rosso e nero sotto la testa, le fece una carezza sui capelli e la osservò.

«L’odore ci permette di rivivere intensamente qualcosa; ci permette, se lo vogliamo, di non dimenticare», disse, con una voce che non era più la sua.

Si rialzò.

«Addio, amici miei.»

«Nicole...» Wynonna mosse un passo verso di lei, ma la donna si stava giù richiudendo la porta alle spalle.

«Perdonaci, se puoi...» sussurrò.


Nicole uscì nell’aria fresca della sera. All’orizzonte c’era ancora l’ultimo rischiaro di sole, mentre dalla parte opposta un altro chiarore: la luna.

Non ho niente da perdonarvi, pensò. Mi chiedo se voi perdonerete me, quando scoprirete i segreti che non sono riuscita a rivelarvi. Troppi segreti... una vita di menzogne...

Guardò verso il furgone parcheggiato nel cortile. Gli abbaglianti le impedivano di vedere all’interno, ma non aveva bisogno di vedere: sentiva ogni cosa.

Le portiere si aprirono e tre uomini vestiti di nero, armati di grossi fucili, scesero puntando le armi.

Dall’auto scesero anche un ragazzo, con indosso un camice bianco, e l’uomo dalla pelle scura che Nicole aveva incontrato all’ospedale.

«Agente speciale Xavier Dolls. Nicole Haught, sei invitata a seguirci. Se opporrai resistenza, apriremo il fuoco», la informò l’uomo, diretto e conciso.

Nicole si avvicinò lentamente, tenendo le mani alzate, per non dare loro motivo di sparare contro la casa.

«Molto bene», approvò l’uomo.

Nicole sperò facessero in fretta, cominciava a sentire dolore: la sua parte umana lottava contro la bestia.

«Verrai riportata nel tuo habitat. Al di fuori di quella regione, sei considerata troppo pericolosa per il genere umano e animale», la informò Dolls, senza muoversi.

Nicole cominciò a sudare; presto avrebbe perso il controllo.

«Veloce...» gracchiò, cercando di rimanere lucida.

L’uomo fece un cenno ai tre uomini armati, i quali cominciarono ad avanzare verso Nicole, lentamente e pronti a sparare.

La donna sentì un dolore acuto al petto e cadde ringhiando sulle ginocchia.

«Veloce!» supplicò, con voce innaturale. Doveva dire loro di immobilizzarla e renderla inoffensiva, ma le parole, semplicemente, non affiorarono alle labbra. Aveva aspettato troppo e la luna sorgeva troppo velocemente.

Il tormento era fortissimo: ogni cellula del suo corpo sembrava avvolta dalle fiamme, e più lei contrastava la trasformazione, più il dolore cresceva d’intensità.

Urlò e ringhiò di dolore. Stava impazzendo.

«Argento!» gridò, con l’ultimo briciolo di coscienza umana, poi si arrese: non poteva più combattere.

L’ultimo pensiero razionale andò a coloro che erano all’interno della casa: pregò con tutta se stessa che restassero dentro... e che fosse sufficiente.


 


 

Dalla finestra della cucina, Wynonna e Henry videro Nicole strappare i vestiti e trasformarsi in un gigantesco essere; qualcosa che avevano imparato a riconoscere come una chimera, anche se appariva omogenea, fisicamente.

«Miseria! E’ il lupo rosso che ho visto nella foresta...!» esclamò Henry, senza fiato. «Nicole è il lupo che ho incontrato alla prima uscita! Ecco perché il suo occhio mi ricordava quella creatura...» ragionò.

Wynonna non riuscì a dire nemmeno una parola. Non poteva a credere ai suoi occhi. Una parte di lei - la più grande - rifiutava totalmente il pensiero.

Henry lasciò una delle stampelle e mise un braccio attorno alle spalle di sua moglie. Wynonna tremava, forse di paura, forse di rabbia, lui non avrebbe saputo dirlo con certezza.

«Lei è sempre stata...» Wynonna non riuscì a terminare la frase: nel cortile si scatenò l’inferno.


 


 

Il lupo rosso ululò minaccioso al cielo.

«Codice Alpha!» gridò Dolls, estraendo una strana pistola dalla cintura. Sembrava uscita da un film di fantascienza degli anni ‘8o o ‘9o.

Il lupo si rivolse agli umani che aveva di fronte, mostrando le zanne aguzze e grondanti di saliva. Nei suoi occhi azzurri sembrò materializzarsi uno sguardo sadico e divertito. Ma erano solo gli occhi ferini di una bestia senza ragione, emozioni o sentimenti.

Nicole aveva mentito: il suo unico pensiero non era mangiare... ma uccidere.

Ringhiò e si lanciò verso i tre uomini armati.

«Fuoco!» urlò uno di loro, prendendo la mira su Nicole.

I proiettili non scalfirono nulla.

«Cessate il fuoco!» ordinò Dolls, cercando di prendere la mira sulla bestia: c’era il rischio che i proiettili colpissero qualcuno, rimbalzando a quel modo.

Il lupo puntò nella direzione di uno dei tre uomini, che si erano divisi.

Dolls sapeva di dover colpire la bestia, ma non poteva ucciderla e non poteva nemmeno rischiare di ferire uno dei suoi uomini, dal momento che non aveva una visuale pulita. La situazione aveva preso una piega che non si aspettava. Perché non era stato avvertito che la donna poteva perdere il controllo? Secondo le sue informazioni, quella chimera controllava a sua scelta la forma da assumere, essendo un licantropo e non un lupo mannaro.

L’uomo scelto come preda correva al massimo della sua velocità, ma era del tutto inutile: il lupo era molto più veloce di lui; se non l’aveva ancora catturato, era solo perché stava giocando.

«Devi portare la carica al 75%, altrimenti quello ci ammazza tutti!» strillò il ragazzo vestito da scienziato, che si era nascosto sotto il furgone.

«Dolls! Signore!» supplicò uno degli uomini, mentre seguiva con lo sguardo l’inseguimento del compagno.

«Mantenete la calma!» ordinò, maneggiando la strana pistola che aveva in mano. «Jeremi, maledizione! Dovevi darmi prima quest’informazione!»

La chimera si era stufata di giocare: aumentò la velocità e, quando fu a pochi metri dalla sua preda, saltò, un salto incredibilmente alto e lungo.

Fu schiacciato. Il colpo gli aveva rotto diverse ossa e ora stava soffocando sotto il peso della bestia.

«Maledizione! Perez!»

I due soldati presero a correre nella direzione del loro compagno a terra.

Il lupo chiuse fra le zanne la testa dell’uomo e, senza sforzo, la separò dal resto del corpo.


 


 

Wynonna urlò d’orrore. Non riuscì a credere di aver assistito alla morte di un essere umano, una morte violenta e crudele... una morte inutile. Non riuscì a credere fosse stato per mano di Nicole.

«Non guardare...» mormorò Henry, stringendo più forte il braccio attorno alle spalle della moglie.

In guerra si vedono molte cose, cose che nessuno dovrebbe mai vedere. Ma quello non era un campo di battaglia e il nemico era la loro amica Nicole, che senza esitazione aveva tolto la vita a un altro essere umano.

«Perché lo fai...?» mugugnò Wynonna, incapace di accettare quello che stava vedendo. «Ferma!» ordinò, mentre Nicole abbandonava il cadavere e si concentrava sulla prossima vittima.


 


 

Dall’essere provenne un ringhio che sembrò loro una risata.

«Al riparo! Attacca di nuovo!» avvertì Dolls, per mettere in guardia i sottoposti.

Il lupo osservò l’uomo con la pelle scura; ma, dopo aver annusato l’aria, decise di non essere interessato a lui.

Un uomo aveva cominciato a correre, in cerca di un rifugio. Puntava verso la porta della casa, mentre l’altro soldato rimaneva immobile, incapace di staccare gli occhi dal corpo senza vita del suo compagno.

La creatura ignorò l’uomo fermo e cominciò a inseguire quello che correva: una preda in movimento è più interessante di una ferma.

Lo raggiunse quando fu solo a pochi metri dal portico. Gli afferrò un braccio e, con un movimento poderoso della testa, lo lanciò in aria.

L’uomo atterrò malamente al centro del cortile, ma subito si rimise in piedi e riprese a correre, anche col braccio destro che penzolava inerme.

Il lupo gli diede qualche secondo di vantaggio, poi ricominciò a inseguirlo. Era chiaro stesse giocando.

Dolls prese a colpire la pistola che aveva in mano.

«Dannazione!»

«Qual è la percentuale?» chiese il ragazzo, che aveva chiuso gli occhi quando il lupo aveva cominciato ad attaccare.

«E’ al 35%!»

«Non basta neanche a fargli il solletico! Al 75%, forse, oltrepasserà l’epidermide...»

«I miei uomini stanno morendo! Dannazione!»

«Non doveva andare così, tutto questo non ha alcun senso! Nicole Haught non avrebbe dovuto attaccare gli umani!»

«Perché lo sta facendo?!»

«Non ne sono sicuro, però penso abbia a che vedere con la luna piena.»

«Cosa? E’ possibile che...» Le domande di Dolls furono interrotte dalle urla del uomo che la chimera stava inseguendo... e che ora stringeva fra le zanne.

«Ti prego! Lasciami! No, no, no!» strillò, cercando di liberarsi. Ma più lui si agitava, più le zanne penetravano nella carne e la laceravano.

Mollò la presa, ma solo per addentare la gola e strappargli via la trachea.


 


 

Waverly riprese i sensi. Le ci vollero alcuni secondi per riordinare le idee, poi ricordò tutto.

«Nicole!» esclamò, tirandosi su.

Sentì delle urla strazianti provenire dal cortile. Stava per aprire la porta quando Wynonna e Henry uscirono dalla cucina.

«Ferma!» imposero.

«Che diavolo sta succedendo là fuori? Dov’è Nicole?!»

Wynonna e Henry si scambiarono uno sguardo terrorizzato.

«Dov’è Nicole?!» chiese ancora, sovrastando le urla.

«E’ là fuori. E’ la causa di tutto questo», rivelò Henry, chinando la testa e scuotendola.

Waverly sentì che il cuore batteva troppo forte nel suo petto, avrebbe potuto saltar fuori da un momento all’altro.

«Cosa vuoi dire...?»

«Nicole è il lupo rosso. Lei... lei sta... Cazzo!», fu tutto quello che Wynonna fu in grado di replicare.

«Si è trasformata? Devo fermarla!» annunciò Waverly, che improvvisamente aveva una visione chiara.


La ragazza aprì la porta e corse fuori prima che sua sorella potesse afferrarla.«Nicole! Basta!» ordinò Waverly, uscendo di corsa inseguita da Wynonna, che le gridava di fermarsi.

Le bastarono pochi secondi per accorgersi del sangue che allagava il cortile. Lo stomaco si rigirò, ma represse i conati per concentrarsi su Nicole.

Il lupo uccise il terzo uomo. Quello non aveva fatto nulla per scappare o difendersi: era rimasto paralizzato dalla paura e dall’orrore.

«Nicole, dannazione! Ora basta!» gridò ancora, avvicinandosi al lupo. «Che diavolo stai facendo?!»

L’animale si voltò a guardarla, incuriosito.

Wynonna cercò di inseguire la sorella, ma Henry la fermò.

«Sei impazzito? Lasciami andare!» gridò, cercando di liberarsi.

«Ormai siamo allo scoperto: se iniziamo a correre e ad agitarci verremo attaccati. Muoviti lentamente», le rispose, ragionevole.

Wynonna dovette usare tutto il suo autocontrollo per mettersi a camminare dietro a Waverly, la quale era sempre più vicina a Nicole.

«State indietro!» ordinò Dolls, che aveva avuto bisogno di alcuni secondi per rendersi conto di quello che stava succedendo.

Il lupo ringhiò e cominciò a trottare verso Waverly.

La ragazza rimase ferma. Aveva paura, tanta paura, ma correre era la cosa più stupida che potesse fare in quel momento.

Il lupo era a soli pochi metri da lei.

«Oh, no... ti prego...» mugugnò Wynonna, bloccandosi.

Il lupo rallentò la corsa mostrando le zanne.

«Ora fermati, Nicole», le chiese Waverly, allungando un braccio verso le zanne; un gesto assolutamente folle.

Il lupo non morse la mano di Waverly, la annusò. Poi, senza preavviso, saltò e atterrò su di lei.

Ci furono imprecazioni e urla d’orrore.

«Nicole!» esclamò Waverly, mentre il lupo la annusava e cominciava a leccarle la faccia come un cane. Non l’aveva atterrata con le zampe, ma con la vaporosa pelliccia del petto.

«Ma che diavolo?!»

Tutti i presenti - compreso Jeremi, che aveva riaperto gli occhi - erano increduli: la belva sanguinaria, ora, giocava come un cucciolo...

Fissarono la scena incapaci di muoversi e respirando piano, come se avessero paura di rompere la magia.

Waverly carezzò la pelliccia macchiata di sangue mentre il lupo continuava a leccarle la faccia, agitando la coda.

«Va tutto bene, Nicole. Grazie di esserti fermata.»

Dolls distolse l’attenzione dalla scena e guardò il monitor della pistola: 79%.

Prese la mira e sparò.

Il lupo guaì e ululò di dolore. Pochi istanti dopo cadde a terra, al fianco di Waverly, e tornò umano.

«Che cosa gli hai fatto?» inquisì Waverly, guardando l’ago ancora conficcato nella pelle nuda di Nicole.

«Sta solo dormendo», rispose l’uomo, chinandosi per controllare.

«Waverly!» Wynonna corse da sua sorella, si inginocchiò e l’abbracciò.

«Non è cattiva, semplicemente non poteva controllarsi...» spiegò. «Non voleva fare del male a nessuno...»«Aiutami a metterla sul furgone», ordinò Dolls, rivolgendosi al ragazzo che stava finalmente uscendo da sotto il mezzo.

«Aspetta!» Wynonna si alzò in piedi, mettendosi fra Nicole e l’uomo. «Permettimi di vestirla. Non lascerò che tocchiate il suo corpo nudo, non la violerete così!»

Dolls mosse un passo verso Wynonna, guardandola dritta negli occhi.

«Qua attorno ci sono tre corpi dilaniati! Corpi di figli, fratelli, padri e mariti, che non vedranno mai più i loro cari, e tutto ciò a cui riesci a pensare è il pudore del responsabile di questa carneficina?!»

«La colpa è vostra!» intervenne Waverly. «Se l’aveste lasciata in pace sarebbe corsa lontano, l’avrebbe fatto per non fare del male a nessuno! Le tue mani sono sporche di sangue almeno quanto le sue!»

«Tu lo sapevi!?» gridò Dolls, furioso. «E sai anche perché non ti ha attaccato!?» inveì ancora, avvicinandosi minacciosamente a Waverly.

«Sta’ lontano da mia sorella!» Wynonna spinse via l’uomo. «Anche tu sei stato ignorato, come lo spieghi?!» gridò, diventando sempre più aggressiva e protettiva.

«Questi non sono affari tuoi.»

«Non mi ha attaccato perché... perché sono sua: qualcosa da proteggere», rispose Waverly, guardando Nicole. «Probabilmente non avrebbe attaccato neppure mia sorella e suo marito: ci considera il suo branco...»

«E questo che vorrebbe dire?! Fatevi da parte!»

«Ragazzi, ehi! Per favore, cerchiamo di ragionare», propose il ragazzo, tentando di non guardare né i cadaveri né il corpo nudo di Nicole.

«Rimani al tuo posto», ordinò Dolls.

«Lasciale fare, Xavier. E’ pur sempre una donna; non possiamo toccarla contro la sua volontà... sopratutto perché siamo due uomini, e lei è... incosciente e nuda...» protestò Jeremi, continuando ad avanzare.

«Grazie», fece Wynonna, secca, mentre studiava il ragazzo senza capire cosa davvero ci facesse lì.

«I mostri non meritano questo trattamento», sputò Dolls, allontanandosi però di qualche passo.

«L’unico mostro sei tu!» gridò Waverly, arrabbiata.

«Prima di andare via, ho bisogno che tu mi dica delle cose. E’ per la sua sicurezza e per la nostra», disse Jeremi, avvicinandosi a Waverly.

La ragazza annuì, decidendo di fidarsi di quel ragazzo gentile.

«Mentre porto via loro», cominciò Dolls, indicando i cadaveri, «voi rivestitela. Se provate a farla scappare, vi troverò e vi ucciderò tutti.»

«Resto con loro. Non faranno nulla», promise Jeremi.

Dolls lo guardò per alcuni secondi, poi: «La minaccia è valida anche per te, sai che non scherzo.»

Il ragazzo annuì con veemenza.

 


 

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Dolls aveva caricato tutti i corpi e le loro parti sul retro del furgone.

Lanciando un’ultima occhiata al gruppo, si allontanò dalla proprietà.

Era diretto in un punto isolato dove incenerire i corpi: nessuno doveva sapere della loro morte, tranne i suoi diretti superiori. Non gli piaceva l’idea, ma quella era la politica del Black Badge.

 


 

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Waverly e Wynonna trasportarono in casa il corpo di Nicole.

Dopo averla lavata, vestita e messa sul divano, tutti si riunirono nel salotto.

«Cosa c’era in quella siringa, cosa le avete iniettato?» inquisì Wynonna.

«Argento liquido a medio basso... Non importa... Sappiamo essere l’unica sostanza che può fermare... um... quelli come lei», rispose Jeremi.

«Come sapevate di lei?» chiese Waverly, accarezzando i capelli di Nicole.

«Non posso rispondere.»

«Cosa volete da lei?»

«Non posso rispondere.»

«Chi siete?» continuò, decisa a non arrendersi.

«Non posso rispondere», ribadì, per la terza volta.

«Hai intenzione di rispondere così a tutto?» sbottò Wynonna, minacciosa.

«Mi dispiace, ma davvero non posso. Ora devo fare io qualche domanda, se posso...»

«Cosa vuoi sapere?» chiese Wynonna, senza perdere del tutto la nota minacciosa.

«Penso parlerò con la ragazza: lei sembra saperne di più», replicò Jeremi.

«Dimmi...»

«E’ mai capitato che perdesse il controllo, come questa sera?»

«Non la conosco da molto tempo. Sono stata con lei per qualche giorno e per due settimane è rimasta in coma.»

«Hai detto che voleva andare via per non fare del male a nessuno. Quindi sapeva che c’era la possibilità che perdesse il controllo?»

«Da quello che ho capito, succede quando c’è la luna piena: non può contrastare il processo in alcun modo.»

«Perché ha massacrato tutti quelli che incontrava senza ritegno, mentre a te ha riservato delle feste, come quelle di un cane domestico?»

«Ho già risposto a questo: sono sua. Ci considera il suo branco», ribadì.

«Su quali basi? Voglio dire, se non ha più coscienza di sé, come ha fatto a riconoscerti?»

«Come fanno gli animali a comunicare tra loro, a riconoscere l’amico dal nemico? Con i suoni, con l’odore. E’ una questione di chimica.»

«Sei una... Non lo so, cosa sei?»

«Sono un’antropologa e una zoologa, fra le altre cose», rispose Waverly, senza smettere di carezzare i capelli di Nicole.

«Ho capito. La luna piena dura due, tre giorni...» rifletté lui, ma il discorso fu interrotto.

Nicole cominciò ad agitarsi nel sonno.

«Cosa le succede?» chiese Wynonna, mentre Jeremi si allontanava, terrorizzato.

«Nicole, sono io, va tutto bene», sussurrò Waverly.

«Portiamola fuori! Se si trasforma in casa farà del male a sé stessa e a noi», propose Doc.

Wynonna e Waverly si guardarono, annuendo.

Presero Nicole, che continuava a dimenarsi, e la portarono sul portico.


 


 

Dolls rientrò nella proprietà degli Earp e notò che erano tutti fuori.

«Che sta succedendo?» indagò, scendendo dal furgone.

«Non ne sono sicuro, ma penso dipenda dal fatto che la luna sia sempre più alta nel cielo», rispose Jeremi, allontanandosi da Nicole.

Estrasse una siringa dalla tasca del giubbotto.

«Le inietterò un’altra dose.»

«No, potrebbe ucciderla.»

«Correrò il rischio.»

«No!» gridò Waverly, mettendosi a difesa di Nicole.

«Spostati o ti sposto io», minacciò Dolls.

«Attento a come parli a mia sorella!» intervenne Wynonna.

«Togliti!» ordinò Dolls, che si era accorto del risveglio di Nicole. Spinse via Waverly, facendola cadere a terra.

Wynonna stava per colpirlo, ma Nicole fu più veloce: con gli occhi che brillavano di blu, si avventò sull’uomo e lo scaraventò a diversi metri di distanza.

«Non toccarla!» ringhiò.

«Nicole!» esclamò Waverly, correndo verso di lei.

«Va tutto bene, piccola?» s’informò, prendendola tra le braccia.

Wynonna e Henry rimasero immobili: sapevano che Nicole non avrebbe fatto del male alla giovane. Ma a loro? Waverly aveva la sua tesi, ma era meglio non mettere alla prova la fortuna.

Dolls rimase a seduto a terra, non riuscendo a credere all’ennesimo cambiò di comportamento della donna dai capelli rossi. Presto riprese il controllo e tornò all’attacco con la siringa in mano.

«Cosa pensi di fare con quella?» ringhiò Nicole, girando su se stessa in modo da avere Waverly dietro di sé.

«Farò in modo che tu non faccia più del male a nessuno», rispose Dolls, continuando ad avanzare.

«A chi ho fatto del male?» chiese Nicole, disorientata. Ma Dolls che si avvicinava era un problema maggiore, quindi cambiò soggetto: «Non riesco a trasformarmi, se è questo che ti preoccupa: qualcosa mi blocca.»

Dolls non ascoltò e continuò ad avanzare verso Nicole. Quando fu a pochi centimetri da lei, alzò la siringa, pronto a colpire. Ma Nicole afferrò il braccio dell’uomo e lo storse, fino a quando non lasciò cadere la siringa, che fu prontamente recuperata da Waverly.

«Dammela!» ordinò, mentre Nicole lo lasciava andare.

«Lasciala stare! Sei venuto per me, giusto? Allora prendimi e lascia in pace la mia famiglia!» ringhiò.

In risposta, Dolls le sferrò pugno sullo zigomo.

Waverly, Wynonna e Henry non si aspettavano di vederla volare in aria, come fosse stata colpita da un treno in corsa.

Nicole si rialzò, ringhiando; i suoi occhi brillavano sempre di più di quel loro bestiale azzurro.

«Hai fatto una cosa davvero stupida...» mugugnò Henry.

Dolls prese a correre verso la donna, rassicurato dal fatto che non si fosse ancora trasformata.

«Fra poco la luna sarà al centro del cielo, stupido! Perché vuoi farti uccidere?» guaì Nicole, mentre la sua voce cambiava appena.

Dolls non rispose e continuò ad avanzare, minaccioso.

«Non voglio farti del male!» quasi lo supplicò.

«Non vedi che si è arresa? Fermati, Xavier! Ci farai ammazzare tutti!» gli urlò Jeremi.

Dolls, che era a pochi passi da Nicole, aumentò la velocità, pronto a colpirla ancora.

«Stupido!» ringhiò, correndo anche lei contro di lui, intenzionata a fermarlo.

L’impatto fra i due corpi fu assordante. Waverly non poté fare a meno di ripensare allo scontro tra Nicole e il lupo nero.

«Neppure lui è umano...» constatò Wynonna, seguendo lo scontro fra Dolls e Nicole.

I due si colpirono a vicenda con calci e pugni. Dolls sembrava in vantaggio, ma Nicole non aveva intenzione di mollare.

«Mi sono consegnata, e tu vuoi ancora lottare? Sei uno stupido!» ringhiò. Era sofferente, perché il suo corpo lottava contro tre avversari: Dolls, qualcosa che le impediva di trasformarsi e la luna piena.

Dolls approfittò dell’attimo di distrazione di Nicole e le diede una violenta ginocchiata allo stomaco; lei cadde a terra, ringhiando dal dolore. Ma a Dolls non bastò e la prese a calci in volto.

«Fermati!» gridarono Waverly e Wynonna, correndo per arrestare la sua furia.

Dal naso e dalla bocca di Nicole colavano rivoli di denso sangue scuro; quell’uomo era dotato di una potenza incredibile.

«Ci penso io!» annunciò Jeremi.

Tutti, tranne Nicole, si voltarono verso di lui: il ragazzo indossava quella che sembrava una maschera antigas e in mano aveva uno strano oggetto tondeggiante.

Dolls si allontanò immediatamente da Nicole, correndo verso il furgone.

«Mi dispiace...» mormorò Jeremi, lasciando cadere a terra la sfera.

Prima che qualcuno potesse capire cosa stesse succedendo, il cortile fu immerso da una nebbia verde; Waverly, Nicole, Wynonna e Henry persero i sensi.

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Capitolo 22
*** 22 ***


XXII
Risposte





 

 

Waverly si svegliò quando sentì che il suo corpo veniva scosso e una voce chiamava il suo nome, ma era troppo stordita per darle un senso o un nome.

Aveva uno strano freddo, probabilmente causato dalla febbre: avevano passato la notte nel gelo invernale.

Attraverso le palpebre chiuse, poté vedere un chiarore rosa-arancione. Questo aumentò la sua confusione.

La voce di Wynonna continuò a chiamarla.

La ragazza aprì gli occhi, ma fu costretta a richiuderli subito: il sole l’abbagliò.

«Che cos’è successo?» mugugnò.

«Non ne sono sicura. Ma penso siamo stati narcotizzati da quella strana nebbia verde», rispose Wynonna, aiutando Waverly a mettersi seduta.

«Dov’è Nicole?!» volle sapere, appena riuscì a riprendere il controllo di sé.

«L’hanno portata via», rispose Doc, seduto sul portico.

«Non possono averlo fatto davvero...» sussurrò.

«Mi dispiace, piccola», disse Wynonna, abbracciandola. Ma la ragazza si sottrasse alla stretta della sorella.

«Ti dispiace? Non hai fatto nulla per fermarli!» gridò.

Lentamente stava realizzando che Nicole non era davvero lì. Probabilmente non l’avrebbe mai più rivista.

«Cosa potevo fare?!» gridò a sua volta Wynonna, arrabbiata. «Tu mi hai mentito! Dovevi dirmi da subito cos’era Nicole! Forse allora avrei potuto fare qualcosa!»

La rabbia stava lasciando il posto ai rimorsi.

«Stai dicendo che è colpa mia...?»

Wynonna si calmò.

«No, ma pensavo che noi ci dicessimo tutto...»

«Nicole non mi ha chiesto di mentire. E’ stata una mia scelta, quella non dirti nulla», ci tenne a farle sapere, sentendosi in dovere di proteggere Nicole.

«Andiamo a parlare dentro. Ho freddo», borbottò, tirando la sorella per le braccia, per rimetterla in piedi.


«Sono stata tradita», brontolò Wynonna, seduta sul divano con una coperta addosso e una tazza di caffè bollente in mano.

Henry rimase seduto in silenzio a contemplare il gesso.

«Nicole non ha tradito nessuno», disse Waverly, infine, non sopportando il peso che il commento di Wynonna si era lasciato dietro.

«Ha tradito me e la mia fiducia!» sbottò, arrabbiata.

Anche Waverly cominciava ad arrabbiarsi.

«Perché fai così? Uh? Secondo te era facile svelare un simile segreto?!»

«Anche tu mi hai tradita!» affermò Wynonna, rovesciando un po’ di caffè.

Waverly si alzò.

«Nessuno ti ha tradita, falla finita! Non era facile. Cosa avrei dovuto fare? Cosa sarebbe cambiato se tu l’avessi saputo?!»

«Avrei fatto molte più cose sapendo di avere una cazzo chimera sotto il mio stesso tetto!»

«Nicole non è una chimera! E’ un licantropo, punto primo, e secondo dimmi cosa avresti fatto! Le avresti imbottito il corpo d’argento? L’avresti uccisa!?»

L’altra non rispose.

«Chi tace acconsente...» esalò Waverly, sgomenta.

«No, chi tace non ha più voglia di discutere, perché ne capisce l’inutilità...» borbottò.

«Ora non vuoi parlare?»

«Esatto. Ho paura di sentire altre menzognere stronzate uscire dalla tua bocca.»

«Non ti ho mentito! Ho omesso la verità, è molto diverso!»

«Quei tre cadaveri, il cui sangue ricopre il nostro cortile, potevamo essere noi! Riesci a capirlo, oppure sei troppo stupida per affrontare la realtà dei fatti?!» Anche Wynonna si era alzata, lasciando che la coperta e altro caffè finissero a terra.

«Nicole non ci ha fatto del male! Non potrebbe mai farci del male! Perché hai dimenticato che è stata lei a salvarci?!»

«Non l’ho dimenticato, ma non dimentico nemmeno che poteva ucciderci tutti!»

«Ma non l’ha fatto!» ribadì. «Per la prima volta nella mia vita, giuro, avrei voglia di colpire quella tua stupida faccia!»

Wynonna posò con violenza la tazza sul tavolo e si avvicinò a Waverly.

«Vuoi colpirmi?! Allora fallo!» la sfidò, spingendola.

«Ragazze, per favore... Siamo tutti sconvolti...» intervenne Henry, capendo che la situazione stava andando fuori controllo.

«Avanti! Colpisci la mia stupida faccia!» strillò Wynonna, a pochi centimetri dal viso di Waverly.

La ragazza si coprì la bocca e cominciò a piangere.

«Scusami...» mormorò, e fuggì dalla stanza.

«Merda...» mugugnò Wynonna, dispiaciuta per aver perso il controllo a quel modo.

 

Waverly raccolse l’indumento, che ancora giaceva a terra vicino alla porta: era la camicia rossa e nera di Nicole, quella che le piaceva tanto. Si portò il tessuto al viso, respirandone l’odore: muschio e vaniglia.


 

Stava per addormentarsi stretta alla camicia di Nicole, quando sentì qualcuno bussare piano alla porta.

«Posso entrare?» La voce di Wynonna la raggiunse, ma lei non aveva forza sufficiente per rispondere.

Passarono alcuni secondi; poi: «Sto entrando...»

Wynonna entrò nella stanza e si avvicinò al letto di Waverly.

«Ho esagerato», esordì, a mo’ di scuse.

La ragazza rimase immobile, era come se il solo respirare le costasse una fatica enorme.

Wynonna salì sul letto e si coricò accanto alla sorella, osservando il viso triste e stanco di lei.

«Non volevo colpirti, non so perché l’ho detto...» sussurrò Waverly. «Non ti colpirei mai...»

Le fece una carezza sui capelli.

«Lo so.»

Waverly ricominciò a piangere e le sue lacrime bagnarono la camicia di Nicole.

«Andrà tutto bene...» sussurrò l’altra, continuando ad accarezzarle i capelli.

«Mi sono tanto affezionata a lei. Lo so che quasi non la conosco, ma c’è qualcosa di molto forte, qualcosa che ci unisce.»

Wynonna rimase in silenzio, lasciando che la sorella sfogasse il suo dolore.

«Non so se è amore», proseguì Waverly, «non sono mai stata innamorata. Ma quando sono con lei sembra che tutto sia giusto. Il mondo diventa un posto caldo e accogliente, mentre ora tutto sembra freddo e ostile. Mi manca, mi manca come se mi avessero tolto qualcosa di essenziale... e questo fa male.»

«Ho parlato con Henry. Quando la sua gamba sarà guarita, andremo a riprenderci Nicole.»

Waverly la guardò, sorpresa.

«Dici sul serio?»

Wynonna annuì.

«Andremo a riprenderci Nicole», ripeté, come se una parte di lei non ne avesse ancora davvero inteso il significato.

Dalla bocca di Waverly uscì una sorta di rantolo che sfociò in pianto. Abbracciò forte Wynonna e nascose il volto sul suo petto.

Quando fu più calma, sciolse l’abbraccio e mormorò: «C’è un’altra cosa che non sai... ma che devi sapere...»

«Prima però vai a lavarti il viso, quando sarai più calma parleremo. Vado a prepararti una cioccolata calda», disse, alzandosi.


 

Wynonna e Waverly erano sedute fianco a fianco sul piccolo divano, nella stanza della ragazza. Entrambe con una tazza di cioccolata bollente.

La giovane decise di cominciare il discorso partendo con qualcosa di gestibile, prima di lanciare la bomba.

«Avete trovato Nicole nuda perché si era trasformata: il Licantropo Nero ci aveva teso una trappola...»

C’era qualcosa nelle parole di Waverly che Wynonna non capì, infatti chiese: «Una trappola? E’ dotato di un’intelligenza del genere?»

«Un intelligenza pari alla mia o alla tua», confermò Waverly, lentamente. Aveva bisogno di tempo per scegliere le parole.

«Cosa stai cercando di dirmi?» volle sapere Wynonna, soffiando via il vapore dalla tazza.

«Il Licantropo Nero... era in grado di parlare e ragionare come un essere umano...»

Questo l’aveva capito dalla precedente affermazione, ma annuì, incoraggiando la sorella a proseguire.

«Perché era un essere umano. E’ un licantropo, appunto, come Nicole...»

«Okay... um... anche Nicole parla?» Quella non era certo la domanda più intelligente da fare, dopo le informazioni appena ottenute. Ma, d’altro canto, c’erano domande giuste e sbagliate? E poi, perché non accompagnare il bisogno di tempo di sua sorella?

«No, non credo...»

«Nicole è uno degli esperimenti dello scienziato pazzo?» chiese Wynonna, anche se era abbastanza certa di conoscere la risposta.

«Sì...»

«Okay. Nicole si è trasformata per difenderti dal licantropo, immagino.»

«Sì.»

«E, nella forma da lupo, non ti ha attaccata neppure quella volta, giusto?»

«Giusto. Era esattamente come ieri sera: un cucciolo. Ma quando si è voltata verso di lui è diventata... bestiale...»

Wynonna annuì, cercando di elaborare le informazioni.

«C’è dell’altro, lo sento...» disse, dopo alcuni secondi di silenzio.

«Hai ragione, ma non so come iniziare», ammise Waverly.

«Sono calma. Sono ancora arrabbiata con te e Nicole, ma non come prima.»

Waverly scosse la testa, quasi fosse incapace di credere ai suoi stessi pensieri.

«E’ così assurdo...»

«Provaci, penso non ci sia più nulla in grado di sconvolgermi.»

«Io credo di sì, invece...» Waverly prese un respiro profondo; poi: «Il Licantropo Nero e lo scienziato pazzo sono la stessa persona...»

Wynonna la guardò e annuì.

«Okay... Okay... Oddio, okay un cazzo, ma comunque...»

«Non ho finito...» esalò, cercando di respirare correttamente: era difficile anche solo pensare quelle cose.

«Ti ascolto.»

«Ricordi i segni sul corpo di Nicole, vero?»

«Sì, me li ricordo. Soprattutto perché li ho rivisti ieri sera.»

«Credo siano le cicatrici lasciate dagli esperimenti fatti su di lei...»

«Questo credo di averlo capito...»

«Io non riesco a dirlo...»

Wynonna le prese la mano.

«Cosa non riesci a dirmi?»

«E’ come se tu mi facessi una cosa del genere... tu che sei mia sorella, sangue del mio sangue...»

Wynonna cominciava ad avere un brutto presentimento. Era sicura che qualunque cosa Waverly stesse per dire, non sarebbe stata bella da sentire.

«Nicole... « Le lacrime ricominciarono a cadere, il dolore e il disgusto si erano fatti intollerabili.

«Va tutto bene...»

«Nicole è sua figlia...» disse infine.

Wynonna pregò con tutta se stessa di aver frainteso.

«La figlia di chi?»

«Di lui... dello scienziato...»

«Oh, mio Dio... Che cazzo!» Per poco Wynonna non lasciò cadere la tazza. «E’ stato suo padre a farle quelle cose?!»

Trascorsero pesanti minuti di silenzio.

Wynonna rimase immobile, non riusciva ad accettare che un essere umano potesse fare una cosa simile a un altro essere umano. Non a sua figlia. Waverly aveva ragione: era come se lei, Wynonna, torturasse la sua stessa sorella: qualcosa a cui non riusciva nemmeno a pensare senza avere la nausea.

«Perché le ha fatto una cosa del genere?»

Waverly cercò di calmarsi.

«Non lo so. Lui parlava di perfezione... di esseri invincibili... diceva di essere un genio», rispose, facendo fatica a ricordare tutto: era come rivivere la scena, qualcosa di diabolico.

«E’ uno stronzo! Non un genio!» sbottò Wynonna.

«Lo so... Nicole non meritava questo. Nessuno merita una cosa del genere.»

«Quando le ha fatto quelle cose? Voglio dire... quanti anni aveva quand’è cominciato?»

«Non lo so, non ne abbiamo mai parlato...»

Una parte di Wynonna fu felice di non conoscere la risposta; una parte bella grande.

«Lui può riprendere sembianze umane?»

«Non ne ho idea: l’ho visto solo nella sua forma di lupo.»

«Conosci il motivo per il quale il laboratorio è distrutto?»

«No, ho solo delle ipotesi: la fuga degli esperimenti, oppure è stato lui, lo scienziato. A volte era proprio come parlare con un essere umano, altre, invece, era una bestia priva di senno. Mi voleva mangiare...! Ma Nicole mi ha salvata. Gli ha gridato che ero sono sua; sembrava convinta che dicendo ciò, lui mi avrebbe lasciata stare. Pensandoci ora, è un comportamento che ha senso: è come se mi avesse rivendicata. Non lo so, sto cercando di applicare alcuni comportamenti da lupo a loro, ma forse è tutto sbagliato...»

«Che cosa succede a Nicole con la luna piena? Voglio dire, perché perde il controllo?»

«Non ne sono sicura. La luna è importante per gli esseri viventi quanto il sole: influenza il comportamento umano, animale e le maree; un recente studio ipotizza che la vita sulla Terra sia cominciata quando si è formata la luna: grazie alle maree che hanno spinto le forme di vita, del brodo primordiale, sulla terra ferma.
Sto divagando... Comunque, penso che la chimica che compone il nuovo DNA di Nicole sia più sensibile alla luna; lo so che, prima di NeveSplendida, quella del lupo mannaro era solo una leggenda, come i vampiri, ma trovo comunque incredibile che elementi come l’argento e la luna piena siano efficaci nella realtà... comincio a pensare che i lupi mannari esistano da sempre...»

Wynonna non aveva idea di cosa dire, infatti rimase in silenzio.

«Le mie sono solo ipotesi, ma penso di non essere lontana dalla verità», concluse.

«E le chimere? Henry e i ragazzi hanno trovato tantissimi ‘‘esseri non funzionanti’’.»

«L’hai detto tu: non funzionavano, erano prove. Mi ricorda alcuni esperimenti nazisti, sopratutto per gli occhi blu. E’ stata la prima cosa a cui ho pensato: sai, loro erano fissati con la razza ariana, la perfezione, dicevano... Anche loro facevano esperimenti su umani e animali. Ma ci fu anche quel ricercatore russo. Sai quello che faceva esperimenti sui cani? Come si chiamava..? Ivan Pavlov, credo, sul riflesso condizionato, agli inizi del Novecento.»

«Ho paura di non seguirti più», ammise Wynonna.

«Non preoccuparti. Sto solo dicendo che la storia ha già visto questo tipo di orrori, ma lui... è andato oltre: è riuscito a far sopravvivere i suoi esperimenti. E’ andato mille anni luce avanti a Dolly: semplice clonazione, per di più difettosa, pare: fu abbattuta perché sviluppò un’infezione... povera creatura. Il sistema immunitario di Nicole, invece, è perfetto! Può addirittura rigenerare la complessità di... un occhio! Riesci a crederci?»

«Waverly, so che non è così, ma sembri... ammirata...»

«E’ la scienziata a parlare. Come essere umano sono disgustata e ferita, ma l’altra parte di me è... Non lo so, è incredibile. Se solo avesse applicato questa conoscenza per fare del bene, avremmo potuto dire di aver convissuto nella stessa epoca di un genio! Ma lui è un mostro che gioca con la vita... gioca a fare Dio. Renditi conto che avrebbe potuto applicare le sue conoscenze per aiutare le persone che hanno perso... che ne so, una gamba o persino la vista!»

«Tu e Nicole avete una cosa in comune...»

«Cosa vuoi dire?» chiese, improvvisamente smarrita.

«Siete due esseri che convivono in un unico corpo: lei è una donna-lupo, tu una donna-scienziata; ti trasformi, con certi argomenti.»

«Penso lo prenderò come un complimento...»

«Sì, probabilmente lo era.» Si grattò la testa e proseguì: «Come ti spieghi il comportamento degli abitanti?»

«Nicole ha risposto anche a questo: ha detto che la clinica fornisce cibo alle bestie, nella speranza di essere lasciata in pace.»

«Giusto... l’avevo dimenticato. Ma c’è ancora qualcosa che non capisco, per esempio: la vecchia Marta sembrava sapere cosa fosse Nicole. E disse che non si vedevano militari da molto tempo. Non lo so, forse sono stati davvero gli esperimenti a distruggere il laboratorio durante la fuga. Ma perché sono riusciti a scappare, se lo scienziato è ancora vivo? E poi, la storia delle chimere che attaccano gli umani sembra andare avanti da molto più tempo. Ci sono troppe domande e così poche risposte.»

«Inoltre, non ti sembra strano che il governo ci abbia fornito informazioni su dove avrebbero portato Nicole? Voglio dire, di solito fanno tutto in segreto senza lasciare testimoni. E perché proprio a NeveSplendida, con tutte le strutture che hanno? Cosa c’è, a NeveSplendida, oltre al laboratorio distrutto?»

«Hai ragione. Pensandoci a mente fredda, tutto questo non ha alcun cazzo di senso», concordò Wynonna. «Ci sono troppe cose che non funzionano, in questa storia, troppe illogicità, troppi misteri! A iniziare dalla nostra spedizione, di cui ancora non ho capito il senso: ci hanno lasciati in quel posto e l’intenzione sembrava quella di bloccarci laggiù, ma perché? Davvero non riesco a capire.»

S’immerse in complicati ragionamenti da cui, probabilmente, non avrebbe cavato un ragno dal buco.

Non c’era davvero logica in tutto quello... ma se invece ci fosse stata? Quanto perversa poteva essere, la situazione? Quanto sapeva il governo, in realtà? Le persone che erano venute in loro soccorso, erano le stesse che li avevano mandati laggiù? Perché non riusciva a capirci niente?

Quali segreti nascondeva ancora, NeveSplendida?

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Capitolo 23
*** 23 ***


XXIII
Speranza





 

 

Una settimana dopo il “rapimento” di Nicole...


Le sorelle Earp e Henry erano riuniti nel salotto della tenuta.

«Cazzo! Ma com’è possibile?!» sbottò Wynonna, furiosa.

«Non riesco a spiegarmelo...» rispose Henry, grattandosi la testa.

«Non ha alcun senso! E’ mai possibile che sia stato usato un nome inventato? E’ impossibile che non compaia su alcuna mappa!» Waverly era davvero frustrata e preoccupata. Sembrava non esserci soluzione.

«Ecco perché ci hanno indicato il luogo: perché tanto non l’avremmo mai trovato, porca miseria...!»

«Non so come altro fare per scoprire la locazione di NeveSplendida...» ammise Wynonna.

«E’ da qualche parte al nord, ma non sappiamo altro. Calcolando che il volo è durato circa due ore, dovrebbe essere vicino al Canada, credo...» ragionò Waverly, sforzandosi di ricordare.

«E se non l’avessero davvero riportata là? Se fosse l’ennesimo tentativo di depistarci?» borbottò Henry.

«Allora non c’è speranza...» commentò Wynonna.

«Ci deve essere una spiegazione! Perché usare un nome straniero? Che sia un codice?» tentò Waverly, che non era intenzionata ad arrendersi. Ogni possibilità doveva essere presa in considerazione.

«Probabilmente è una zona militare: non può apparire sulle mappe. Sempre che Henry non abbia ragione e che Nicole sia stata portata da un’altra parte», disse Wynonna.

«L’ultima possibilità a chiedere a qualcuno del governo. Magari qualche vecchio collega potrebbe darci delle risposte», ipotizzò Henry.

«Pensi possa funzionare?» volle sapere Waverly, sentendo la speranza riaccendersi.

«Non ci metto la mano sul fuoco, ma penso che dovremmo provare. Quello che è stato commesso contro miss Nicole è un crimine contro l’umanità: non possiamo fare finta di niente!»

«Ma quando ho contattato il governo, denunciando quello che sapevamo, nessuno ha risposto... O, meglio, sembrava non interessare a nessuno. Come se sapessero cosa succede, ma non volessero intervenire. Anche se sono venuti a salvarci... E’ inutile, io non capisco più un cazzo, ci sono troppe contraddizioni!» sbottò Wynonna.



Tre giorni dopo...


Waverly non riusciva a darsi pace. Aveva dato per scontato che ritrovare Nicole sarebbe stato possibile, ma ora, ora non lo sapeva più...

Il dolore più grande era dato dal pensiero che probabilmente stava soffrendo, che qualcuno stesse usando il suo corpo e la sua mente come se fossero degli oggetti e non le parti di un essere vivente. Magari Nicole pensava che si fossero dimenticati di lei.

Henry aveva contatto diverse persone, ma la risposta era sempre la stessa: - Non ho idea di che cosa tu stia parlando.

Una bugia! Una bugia fin troppo palese.

A nessuno sembrava importare il dolore di altri esseri viventi; che poi, tutto questo dolore per cosa? Waverly si sentì disgustata di appartenere alla specie umana: molte volte, l’essere umano è la peggiore delle bestie.

Erano stati abbandonati, dimenticati, come se il mondo fosse diventato sordo e cieco.

Si alzò e andò verso un mobile vicino alla porta, aprì un cassetto e prese il pugnale in argento di Nicole; non c’era stato il tempo per restituirlo.

Ammirò la lama e si chiese quante volte Nicole l’avesse impugnato, quante volte quell’oggetto le avesse salvato la vita. La prima volta che l’aveva visto era stato quando avevano combattuto contro la prima chimera: quella che aveva ucciso William... William, un’altra vittima senza colpe.

Waverly sentì che le lacrime cominciavano a cadere, non si era resa conto di aver cominciato a piangere.

«Nicole....»


Era notte fonda, quando delle voci concitate la svegliarono.

Appoggiò la camicia di Nicole sul cuscino; senza preoccuparsi di essere in pigiama e a piedi scalzi, si precipitò fuori dalla stanza, scendendo i gradini a tre a tre.


«Che sta succedendo?» chiese, allarmata, entrando in cucina.

Wynonna e Henry si voltarono verso di lei. I loro volti avevano un’espressione indecifrabile.

«Che c’è?» chiese ancora.

«Buonasera...»

Solo a qual punto Waverly si rese conto che nella cucina c’era una terza persona. Lo riconobbe subito: era il ragazzo che accompagnava gli uomini che volevano portare via Nicole. Che se l’erano portata via.

«Tu?!» Non sapeva come reagire, ma di certo non amichevolmente. «Cosa ci fa lui qui?» chiese agli altri, puntando il dito sul nuovo venuto.

«Sono Jeremi, piacere di rivederti», disse, avvicinandosi per stringerle la mano.

Ma la ragazza non era nella modalità per fare amicizia.

«Non m’interessa chi sei! Cosa sei venuto a fare? Chi altro vuoi prendere?!» urlò, sopraffatta dalla rabbia.

«E’ qui per cercare aiuto e aiutarci», spiegò Henry, usando un tono conciliante.

Waverly guardò la sorella, in cerca di conferma.

Wynonna annuì.

«Lui sa dove si trova Nicole», svelò.

«Perché dovremmo fidarci di te?» inquisì.

«Perché anche io ho qualcosa da perdere», rispose Jeremi, guardandola con quei suoi scuri e laconici occhi.

«Parla! Dov’è Nicole?»

«A NeveSplendida.»

«Basta con le stronzate! Quel posto non esiste!»

«Certo che esiste! Ci siete stati anche voi!» le rammentò.

«Non prendermi in giro, sai benissimo quello che voglio dire!»

«Oh, in quel senso... Giusto. Certo, quel posto non si chiama NeveSplendida, ovviamente: è un soprannome che gli abitanti le hanno dato. Sapete, una prevalenza di immigrati italiani e il-»

«Vuoi deciderti a parlare?! Sto perdendo la pazienza!» sbottò.

«Waves... calmati, ti prego.» Wynonna non aveva mai visto sua sorella comportarsi così: di solito lei era quella calma e riflessiva, fra loro due.

«Come faccio a stare calma?! Chissà cosa stanno facendo a Nicole, in questo momento!»

«Io non penso che siano riusciti a farle qualcosa, perché l’aereo su cui viaggiavano - su cui anche mio fratello viaggiava - si è schiantato: Nicole si è trasformata durante la luna piena del secondo giorno.»

«Schiantato...» esalò Waverly, cercando sostegno contro il frigo.

«Sì, per questo sono qui. Stavo comunicando con Dolls quando Nicole si è trasformata. Era un inferno! L’ultima cosa che ho sentito, è che l’aereo stava perdendo di quota.»

«E tu aspetti tutto questo tempo?!» strillò, sopraffatta dalle orrifiche immagini che il suo cervello le stava mostrando.

«Ho chiesto aiuto al governo, spiegando la situazione, ma mi hanno risposto che non c’era nessun aereo diretto verso quel posto. Persino il gruppo speciale a cui appartengo - Il Distintivo Nero - ha fatto finta di non capire di cosa parlavo. Siete la mia ultima speranza. Se mio fratello è ancora vivo, voglio riportarlo a casa.»

«Cosa ti fa pensare di poter avere il nostro aiuto?»

«Sono l’unico capace di trovare quel posto.»

«Come fai a conoscerne la locazione?»

«Dovevo esserci io, su quell’aereo. Alla fine mio fratello ha preso il mio posto: le sue... competenze sono migliori delle mie. In quella situazione, lui era l’uomo perfetto.»

«Perché proprio a NeveSplendida, o come si chiama in realtà?»

«Io so poco o nulla. Ho sentito voci sul fatto che fossero operazioni belliche, ma non conosco la verità: sono solo un semplice scienziato.»

«Cosa ti fa pensare che tuo fratello possa essere ancora vivo?»

«Waves! Questo è crudele», bisbigliò Wynonna, scuotendo la testa con disapprovazione.

«Non è crudeltà: si chiama realismo! Quali possibilità aveva di sopravvivere, fra lo schianto di un aereo e un licantropo fuori controllo?»

«L’aereo volava a bassa quota. In ogni caso, ho le mie buone ragioni. Tu come fai a sapere che lei è ancora viva?»

«Lei è speciale!»

«Anche mio fratello lo è!» rimbeccò lui.

Waverly si rese conto di aver rischiato di perdere l’unica possibilità di trovare Nicole; tutto per colpa della rabbia.

«Scusami, Jeremi...»

Il ragazzo annuì, comprensivo.

«Avrai il nostro aiuto», affermò Wynonna. «Troveremo le persone che stiamo cercando, sane e salve.»

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Capitolo 24
*** 24 ***


XXIV
Emozioni in Contrasto


 


 


 

Jeremi si era trattenuto lo stretto indispensabile: aveva paura che qualcuno scoprisse le sue intenzioni e lo condannassero a morte per tradimento.

Sarebbe tornato la notte successiva, per approfondire i dettagli.


 

«Non gli abbiamo chiesto se sa pilotare un aereo», disse Wynonna.

«Potrebbe bastare un elicottero. Però vediamo, calcolando noi quattro... più Nicole, il fratello di Jeremi e l’uomo... sette...» contò Doc.

Wynonna prese un bicchiere da una delle mensole più alte e si versò da bere.

«Otto, se conti anche il pilota, amore.»

«No, sette in ogni caso: non ho intenzione di portarmi dietro quell’uomo. Sempre che sia ancora vivo», precisò Waverly.

«Allora sei, perché io so pilotare un elicottero», annunciò Henry, che cominciava a essere confuso da tutti quei numeri, e non aveva capito di chi Waverly stesse parlando.

«Davvero pensavate di soccorre l’uomo che ha rapito Nicole? Che voleva darle una dose letale d’argento e che durante un attacco d’ira la stava uccidendo a calci?» Waverly era incredula e ferita.

«E’ pur sempre un essere umano», puntualizzò Henry, che ora aveva capito e non c’erano più numeri a confonderlo.

«No, probabilmente non lo è, in nessun senso!»

«Nemmeno Nicole è umana», continuò Henry.

«Io non riesco a credere che stiamo davvero facendo questo discorso.» Waverly cominciava ad arrabbiarsi.

«Stiamo andando a salvare un licantropo che ha ucciso almeno tre persone! Non me la sento di condannare un uomo che probabilmente stava solo eseguendo degli ordini, che faceva il suo lavoro: il soldato.» Anche Henry cominciava ad alterarsi.

«La stava uccidendo a calci in faccia!» urlò Waverly, esasperata.

«Ha ucciso i suoi compagni!» gridò Henry, a sua volta.

«Ragazzi, per favore...»

Ma nessuno dei due diede ascolto a Wynonna, che per una volta faceva quella ragionevole.

«Sono stati loro a cominciare! Se l’avessero lasciata in pace, nessuno sarebbe morto! Dannazione!»

«Non posso credere che la vita abbia così poca importanza per te! Miseria, mi fai orrore!»

«Cosa? Non puoi dire davvero! Sei serio?!»

«Nicole è colpevole quanto e probabilmente più di quel soldato!»

«Nicole non aveva controllo di se stessa! Lui sì! Lui voleva ucciderla, anche dopo che lei si era arresa! Diavolo! Mi stai facendo incazzare, Henry!»

«Sei tu che fai incazzare me, ragazzina!»

«Chi hai chiamato ragazzina? Non sono tua figlia, ringrazio di non esserlo!»

«RAGAZZI!» esplose Wynonna, riuscendo finalmente ad attirare l’attenzione. «Smettetela! Basta...»

I due si guardarono in cagnesco, ma rimasero in silenzio.

«Se cominciamo a litigare tra di noi è la fine», aggiunse la donna.

«Wynonna, anche tu eri un soldato, il nostro compito è quello di proteggere la vita e la libertà. E’ il nostro giuramento», disse Henry, più calmo.

«Va’ all’inferno, Henry!» Waverly uscì dalla stanza, e nessuno cercò di fermarla.


 

Tornò nella sua stanza e lasciò che la rabbia si trasformasse in lacrime.

La cosa che la feriva di più era che, forse, Henry non aveva torto, ma ammetterlo sarebbe stato come tradire Nicole... Nicole: un essere che aveva sofferto davvero troppo, una creatura la cui vita era stata violentata e distrutta da chi doveva amarla e proteggerla.

La giovane donna si lasciò cadere sul letto e prese la camicia di Nicole, il cui odore si faceva sempre più flebile e si confondeva col suo. Aveva paura di poter dimenticare anche la sua voce.

Cosa sarebbe successo se non fossero riusciti a salvarla? Come avrebbe fatto ad andare avanti? Non sapeva spiegarsi come, ma anche se la conosceva così poco, sentiva che qualcosa la legava a quella strana, violata creatura; qualcosa che andava oltre l’attrazione fisica, qualcosa che non era una cotta, no, qualcosa di molto più potente... qualcosa di chimico.

 


 

<><><>


 

 

«Dovrei andare a scusarmi con lei...» mormorò Henry, finalmente calmo. «Ho esagerato.»

«Hai detto ciò che pensavi e così ha fatto lei. E’ stato il modo in cui vi siete parlati, non quello che vi siete detti», gli fece notare Wynonna.

Henry guardò con sincero amore sua moglie: una donna così amorevole e bella; capace di infiammarsi di passione, ma umana come pochi altri.

«Che uomo fortunato», disse, cingendola.

«Che succede, cowboy?» chiese Wynonna, appoggiando il viso sul suo petto.

«Non suonerà virile, ma con te posso essere me stesso. Ho paura, Wynonna, ho paura di perdere quello che abbiamo conquistato con tanti sacrifici.»

«Anche io ho paura, amore. Ho paura perché qualunque cosa faremo, non ci sarà mai più la sicurezza che avevamo prima di NeveSplendida. Le nostre certezze sono crollate: non è più possibile distinguere realtà e fantasia. Ho paura di perdere te, ho paura di perdere Waverly o vederla soffrire troppo.»

«Siamo sicuri di quello che stiamo facendo? Voglio dire, sono il primo a dire che la vita va difesa, ma davvero tocca a noi fare qualcosa di così grande?»

«Siamo soli, Henry... Siamo noi tre contro il mondo.»

«Mi sono chiesto una cosa, una cosa di cui non vado fiero...»

«Che cosa?» chiese Wynonna, stringendolo più forte.

«Mi sono chiesto se farei tutto questo solo per Nicole. Se ci fosse solo lei da salvare, partirei mettendo in pericolo tutta la mia famiglia? Non dimentico che Nicole ha salvato le nostre vite e che si voleva lasciar prendere per tenerci al sicuro, ma... ma cosa stiamo salvando?» L’uomo sospirò. «Vorrei svegliarmi nel mio letto, accanto a te, e raccontarti di uno strano sogno, un sogno popolato da licantropi e chimere... e allora tu mi baceresti, dicendomi che era solo un incubo. Sono un mostro?»

«No, non lo sei. Sei un essere umano. Forse se Waverly non si fosse innamorata di Nicole fino a quel punto, forse non partirei, o forse sto mentendo: anche io le voglio bene... o per lo meno provo abbastanza compassione: non ha scelto lei di essere così.»

Henry allontanò il corpo di Wynonna da sé, per poterla guardare negli occhi. «Voglio invecchiare accanto a te, circondato dai nostri figli e nipotini.»
«Anche io ti amo...» gli disse, baciandogli le labbra. I baffi le solleticarono il naso; una sensazione di calda familiarità.

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Capitolo 25
*** 25 ***


25
Nella Tana del Lupo

 


" Sto male... "
" Ignorala. "
" Per favore, sto male... " supplicò ancora Nicole.
Il giovane uomo non sapeva cosa fare: da una parte c'era una donna ricoperta di sangue che chiedeva aiuto, dall'altra un suo superiore che gli ordinava di non fare nulla.
" Ti prego...! " La donna con l'occhio azzurro si stava contorcendo.
" Zitta! " Inveì l'uomo dalla pelle color mogano.
" Non possiamo fare nulla per lei? " Chiese il giovane uomo.
" Sta fingendo, pensa che sarò abbastanza stupido da liberarla. "
" Non voglio essere liberata, voglio impedirlo! " Rantolò.
Dolls la guardò per un momento, ma poi ricominciò ad ignorala.
" Stupido. Morirete tutti... "
Nicole sentiva che stava per perdere di nuovo il controllo: il suo corpo era attraversato da spasmi e dolore, aveva freddo, ma sudava, il suo corpo era in fiamme.
" Morirete tutti... " sussurrò ancora.
Poteva sentire il freddo metallo delle manette, diventare rovente a contatto con la sua pelle. Quanto ci sarebbe voluto, si chiese, per spezzarle?
Il suo corpo stava eliminando l'argento rimasto: Dolls non ne aveva iniettato altro, una scelta davvero stupida.
" Se non vuoi aiutarmi, allora uccidimi! " Il dolore che provava era immenso, sentiva che la luna si stava alzando nel cielo, anche se non poteva vederla: l'aereo non aveva finestre.
" Io non capisco, perché quella donna si comporta così? " Chiese il giovane uomo, sentendo il disagio aumentare.
" Ti ho detto di ignorarla. " Rispose Dolls, minaccioso.
" Dannazione! " Nicole urlò di dolore e rabbia, " non capisci? Oggi l'influenza lunare sarà ancora più forte! Se mi trasformo non ci sarà modo di fermarmi, te lo chiedo ancora, uccidim... " ma non riuscì a finire la frase: una scossa di dolore più violenta delle precedenti le tolse il respiro.
La mente le si annebbiò, non riusciva più ad avere pensieri coerenti. Mancava poco, non sarebbe più riuscita a trattenere la bestia dentro di sé.
Si accasciò a terra, raggomitolarsi in posizione fetale.
La radio di bordo cominciò a gracchiare.
" Dolls. "
" Sono Jeremi, dove vi trovate? "
" Siamo a pochi chilometri dalla destinazione, sorvoliamo la foresta. "
" Bene, faccio rapporto. Quando sarete atterrati mi contratterai ancora. "
" Aspetta un momento. " Dolls bloccò il tasto, in modo da avere le mani libere. Non poteva sentire quello che Jeremi diceva, ma Jeremi poteva sentire tutto.
Un urlo assordante giunse alle orecchie di Jeremi.
" Si sta trasformando?! " Urlò una voce. Jeremi la riconobbe subito: era suo fratello.
" Preparati. " Gridò Dolls.
Le urla della donna si trasformarono i ringhi e versi minacciosi.
" Dannazione! " Gridò il fratello di Jeremi, mentre la donna diventava un lupo.
Ci furono dei rumori assordanti misti alle urla della bestia e dei due uomini.
" Cazzo! Stiamo perdendo quota! Pilota! " Fu l'ultima cosa che Jeremi sentì gridare.
Poi un fracasso allucinante, e la radio smise di trasmettere.



Nicole aprì lentamente gli occhi. Il riflesso del sole sul manto bianco era abbagliante.
La neve gelida, a contatto con la pelle nuda, le dava una piacevole sensazione di sollievo. Tutto il suo corpo doleva in modo straziante.
" Dove sono...? "
Riuscì a voltare la testa e si guardò attorno: alberi e neve.
" Ben tornata a casa, Nicole. " Disse a sé stessa.
Attese qualche minuto prima di provare ad alzarsi. La testa le girava e aveva la nausea, era debole e nuda... sapeva di essere una preda fin troppo facile.
Lottò con sé stessa e finalmente riuscì a mettersi in piedi. Si guardò attorno, oltre le cime degli alberi vide un colonna di fumo nero. " Mi dispiace per quel ragazzo, lui almeno provava compassione per me. "
Si avviò nella direzione opposta all'aereo. Era a una decina di chilometri da NeveSplendida, ma doveva fare il giro fuori dai confini della città per raggiungere la sua abitazione.
Si avvicinò ad un ruscello e senza esitare si tuffò nell'acqua limpida e gelida: doveva togliersi il sangue di dosso o sarebbe stata presto individuata.
" Se solo avessi il mio ago... come lo chiamava Wynonna. " Nicole ebbe una fitta di dolore, non un dolore fisico: ma dell'anima.
Emerse dalle acque gelide e riprese a camminare. I capelli si ghiacciarono e diventarono duri, ma lei non sentiva freddo, non fuori, ma dentro.
Camminare era doloroso: la muscolatura era ancora provata dalla trasformazione della notte precedente. Non poteva correre e non poteva trasformarsi.
" E questo che si prova ad essere una preda? Che brutta sensazione... " sospirò, continuando a parlare con sé stessa: era l'unico modo per restare lucida e sentirsi meno sola.
Sentì il canto degli uccellini, era un buon segno: oltre a lei, non c'erano predatori nelle vicinanze. Era strano però, era davvero così debole da non venir percepita come una minaccia? Sì, ne ebbe la conferma quando, a pochi passi da lei, un coniglio delle nevi le passò accanto per infilarsi nella tana sotterranea. " Se non fosse tragico, sarebbe quasi divertente. " Commentò.

Camminò per quasi un'ora. 
Grazie al suo occhio sinistro poteva vedere con chiarezza ogni movimento della foresta, ma non fu qualcosa che vide, a gelarle il sangue: fu qualcosa che sentì.
" Merda... "
Da qualche parte, a poche decina di metri, nascosto fra gli alberi, c'era qualcosa che ansimava e che si muoveva facendo molto rumore.
Sapeva di non essere ancora nelle condizioni di combattere -forse nemmeno di fuggire- doveva pensare in fretta.
Individuò un abete che faceva al caso suo e utilizzando ogni appiglio utile, cominciò a salire. Forse nascosta fra le fronde non sarebbe stata individuata, e l'odore resinoso dell'albero avrebbero camuffato il suo odore.
Qualunque cosa fosse, si stava avvicinando.
Nicole si aspettava di vedere qualunque cosa, ogni genere di creatura... certo non due umani.
" Stiamo girando in tondo, ci siamo persi. " Disse Sara, sorreggendo il corpo di un ragazzo che appariva malconcio.
Nicole non riusciva a credere ai suoi occhi, conosceva quella ragazza: era con Waverly e Wynonna, la prima volta che si erano incontrate. Ma era anche quel cumulo di vestiti e carne nella radura. Era forse preda di un'allucinazione?
" Come facciamo a perderci, se non sappiamo dove stiamo andando? " Chiese il ragazzo, agonizzante.
'E lui chi è? Forse il secondo ragazzo che ero andata a cercare? Non è possibile: sono morti... sono morti!'
Non fece caso al fatto di essere nuda e saltò giù dall'albero, atterrando alle loro spalle.

Sara si voltò di scatto spaventata dal rumore e, senza esitare, sparò.
Nicole urlò quando il proiettile le si conficcò nella spalla: argento.
" Oh, mio Dio! Scusami, mi dispiace, mi dispiace! " Gridò Sara che aveva riconosciuto la donna. Fissò l'occhio sinistro di Nicole, ma scelse di non chiedere nulla, non era il momento.
Nicole boccheggiò per alcuni secondi: era un dolore terribile, ma per fortuna la ragazza non aveva una buona mira. Se il proiettile avesse preso qualche organo o un punto più delicato, in quelle condizione, lei sarebbe sicuramente già morta. "Va bene, non preoccuparti. "
" Chi è lei? " Chiese John, cercando di non guardarla troppo, dal momento che era nuda.
" Si chiama Nicole. Era la donna che ci faceva da guida. " Rispose Sara, poi si rivolse di nuovo a Nicole: " mi dispiace averti sparato, mi sono spaventata! "
La donna con l'occhio azzurro annuì comprensiva, doveva aspettarselo. Dopo tutto: erano nella foresta degli orrori. " Non ti preoccupare, non è grave. "
" Riesci a stare in piedi da solo, per un minuto? " Chiese Sara a John. 
Il ragazzo annuì.
La ragazza si tolse lo zaino dalle spalle e ne estrasse una coperta. Si avvicinò a Nicole, " copriti con questa. "
" Dimmi se il proiettile è uscito. " Disse, abbassandosi e mostrando la schiena a Sara.
" Direi di sì... c'è il foro di uscita. Mi dispiace davvero, avevo paura che tu fossi una chimera. "
" Non ti preoccupare. " Disse ancora Nicole, coprendosi.
" Starai morendo di freddo e sei ferita. " Disse John, guardando la donna con sincera preoccupazione.
" Non ho freddo, non preoccuparti. La mia abitazione è a circa cinque chilometri da qui, direi che in meno di un ora potremmo raggiungerla. Là potremmo parlare con calma. Ci sono molte cose che devo chiedervi. "
" Anche noi abbiamo delle domande. Ma non immagini quanto sia felice di vederti, Nicole. " Disse Sara, ora che l'adrenalina iniziale era scesa, aveva quasi voglia di piangere. " Sei stata fortunata: sono abituata alle armi da fuoco... avrei potuto ucciderti... "
Nicole annuì: cavolo se era stata fortunata... " seguitemi in silenzio. "

Il percorso fu piuttosto tranquillo. Sentirono qualche animale avvicinarsi, ma puntualmente spariva di nuovo nella foresta. Nicole pensava di conoscere il motivo: Sara e John avevano un odore tremendo, non si sarebbe mai sognata di mangiarli. Probabilmente erano ricoperti da un repellente o qualcosa del genere, ma loro non sembravano esserne a conoscenza.
" Manca molto? " Chiese John.
" No, ancora poche centinaia di metri. " Rispose Nicole.
Infatti, dopo pochi minuti, i tre videro la piccola casa in legno scuro.
Nicole guardò la piccola baita con il cuore in tumulto: non sapeva cosa provare. Le sembrava di non vederla da secoli, mentre un'altra parte di lei aveva desiderato non vederla mai più.
Senza esitare oltre, la donna si avvicinò alla porta e l'aprì. " Siete le prime persone ad entrare qui dentro, quindi vi prego di non spaventarvi. Probabilmente, è quello che sembra. " Disse, esitando un attimo ancora.
I due ragazzi annuirono confusi.
L'interno era piuttosto buio: c'era solo un unica piccola finestra.
" Aspettate, accendo una lampada. " Disse Nicole, muovendosi agilmente nel buio.
Quando la lampada a olio fu accesa, rivelò un piccolo ambiente arredato con il minimo indispensabile: un piccolo tavolo, quattro sedie, un divano e una poltrona, in fondo alla stanza c'era anche un piccolo camino. Una casetta normale, se non fosse stato per delle macchie scure sulle pareti e dei profondi segni d'artigli.
" Mi dispiace, ma vi assicuro che qui dentro siete al sicuro. " Sapeva benissimo che avevano visto le vecchie macchie di sangue e i segni lasciati dalle sue unghie.
" Non abbiamo molta scelta, ma comunque, penso che possiamo fidarci di te. Potevi lasciarci nella foresta, ma non l'hai fatto, probabilmente avresti anche potuto ucciderci, se l'avessi voluto. " Disse Sara, aiutando John a sedersi sul divano.
Nicole era confusa: la ragazza sembrava sapere qualcosa.
" Mi vesto e prendo della legna per accendere il fuoco, immagino che abbiate freddo. "
I due ragazzi annuirono.
Nicole aprì un porta che prima non avevano notato, e sparì.
Mentre si vestiva, si mise a riflettere: fino qualche giorno prima, non avrebbe mai fatto entrare nessuno nella sua casa, forse non avrebbe nemmeno aiutato quei due ragazzi. Era cambiata, era una persona diversa ora, forse grazie a Waverly e alla sua famiglia che le avevano mostrato cosa volesse dire amare e ed essere compassionevoli. Non che Nicole fosse una cattiva persona prima, solo era diversa e più egoista, concentrata sulla sua sopravvivenza e basta. Forse avrebbe addirittura potuto considerarli come cibo. Scosse la testa, per cacciare via quei pensieri, prima che diventassero ricordi troppo dolorosi e difficili da gestire.
Tornò nella stanza in cui erano i ragazzi.
" Ti fa male? " Chiese Sara, guardando la spalla della donna.
" Non è piacevole, ma posso conviverci. Il tuo amico sembra ferito. " Rispose, guardando John.
" Sì, mi sono ferito la gamba quando siamo precipitati. " Rispose John.
Nicole lo guardò confusa, ma decise di rimandare a dopo. " Prendo della legna, poi darò un'occhiata alla tua gamba e parleremo. " Disse uscendo.

Guardò la legna rimasta: non era molta, ma per il momento sarebbe stata sufficiente. Dopo sarebbe andata nella foresta a procurarsene di più, ma prima doveva recuperare le forze.
Guardò verso la foresta: si sentiva osservata, ma probabilmente era solo una sua sensazione.
Ora aveva altro a cui pensare.
Raccolse tutta la legna rimasta e tornò in casa.

" Fra poco andrà meglio. " Disse, sistemando la legna nel camino.
" Hai visto qualcun'altro? Voglio dire, qualcuno della squadra? " Chiese John.
" No, voi siete gli unici, spero, che sono tornati qui. Anche se non so perché siete qui. "
" Nemmeno noi lo sappiamo... " ammise Sara.
" Pensavo che foste morti: ho trovato Henry in un burrone, mi disse che vi eravate separati. Sono tornata cercarvi, ma... " Nicole non sapeva esattamente cosa dire.
" Sono tutti vivi? " Chiese Sara.
" Per quanto ne so, l'unica vittima è stata William, se ricordo bene il suo nome. "
" Sì, si chiamava William. " Rispose John.
Nicole annuì.
" Sappiamo che anche tu sei stata soccorsa e portata via da qui. Come ci sei tornata? " Chiese Sara.
" Come fai a sapere che anche io sono stata portata via? "
" Ti ho vista. "
Nicole non si voltò, rimase concentrata sul fuoco. "Cosa significa: 'ti ho vista'? Cosa hai visto? "
" Tutto. Lui era svenuto, quindi se non vuoi che lo dica ad alta voce, non lo dirò. ”
John sembrava molto confuso, ma rimase in silenzio.
" Hai paura di me? "
" Un po' sì, ma la professoressa Waverly si fidava di te, quindi anche io voglio fidarmi. "
" Perché dovremmo avere paura di lei? " Chiese John, che sembrava ignaro di tutto.
" Come siete sopravvissuti? " Chiese Nicole, continuando a fissare le fiamme.
" E' stato il licantropo nero: ci ha lasciato in vita, voleva attirare altre persone. Lo so che lo sai, ma lo dirò lo stesso: lui parla. Ci ha fatto spogliare e ci ha legati appena fuori dalla radura. " Disse Sara.
" Cosa hai sentito, in quella radura? "
" Nulla, non capivo cosa dicevate: ero troppo distante. "
Nicole non sapeva se fosse la verità, ma probabilmente non aveva importanza. Non capiva nemmeno il senso di averli lasciati in vita, poteva funzionare anche con loro morti: lei era convinta che fossero morti... cosa voleva lo scienziato da loro?
" Come siete tornati qua? Sapete chi è stato? "
" Non sappiamo chi sia stato. Dopo essere stati soccorsi ci hanno portati in diverse strutture. Ci hanno interrogati, ma dopo ci hanno bendati e narcotizzati... infine ci siamo ritrovati in una cassa. Sono sicura che fossimo su un aereo, la notte scorsa. Ci hanno fatto atterrare con dei paracadute, legati alle casse. Quando siamo usciti, abbiamo sentito un rumore assordante, poi fiamme e fumo. Pensiamo, anzi ne abbiamo la certezza: l'aereo è caduto.”
Nicole rimase in silenzio per alcuni secondi, cercando di elaborare le informazioni. " Hai ragione, l'aereo è caduto. C'ero anche io. " Disse, voltandosi verso di loro.
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata.
" Non abbiamo visto altre casse. " Disse John.
" Non ero in una cassa, ero sull'aereo. " Rispose Nicole, avvicinandosi a loro. " Che cosa vi hanno chiesto, quando vi hanno interrogati? "
Sara esitò qualche secondo, non riusciva a credere che Nicole fosse sopravvissuta allo schianto.
" Tantissime cose... " Disse, alla fine.
" E cosa avete detto? " Nicole era sempre più vicina.
" Tutto quello che sapevamo... " rispose, trattenendo il fiato: Nicole era a pochi passi da loro e continuava ad avanzare lentamente come una belva.
" Ma lui non sa di me. " Disse Nicole, indicando il ragazzo e fermandosi davanti a loro.
" Eravamo separati. "
La donna dai capelli rossi annuì, " dopo che avrò guardato la sua gamba, potrai dire tutto anche a lui. Non ho intenzione di farvi nulla di male. " Disse, inginocchiandosi.
Sara annuì e cominciò a rilassarsi.
" Posso? " Chiese Nicole, sfiorando la gamba di John.
Il ragazzo era confuso e spaventato, ma annuì allungando l'arto offeso.
" E' solo un graffio e hai una distorsione alla caviglia. Prendo qualcosa per disinfettare il taglio. " Disse, osservando con attenzione la gamba pelosa di John.
" Grazie. " sussurrò l'altro.
Nicole annuì e scomparve di nuovo oltre la porta.

Disinfettò e bendò la gamba di John.
" Vado a prendere altra legna. Non penso che verrà niente e nessuno qui, ma se da quella porta entra qualcosa o qualcuno che non sono io, allora spara. " Disse Nicole.
" Anche se... fosse un lupo rosso? " Chiese Sara, a mezza voce.
Nicole esitò e la guardò con attenzione. " Anche se entra un lupo rosso, sì. " Rispose alla fine.
Sara la fissò, " okay... "
" Ma cerca di non sprecare i proiettili: sono d'argento e qui sono più preziosi dell'oro. Mira sempre alla testa, meglio se agli occhi, o al cuore se non sei sicura. " Sembrò sul punto di andarsene, ma poi si voltò, " perché hai una pistola con dei proiettili d'argento? "
" Non lo so, l'ho trovata nella cassa. " Rispose la ragazza.
Nicole annuì, " Se sarò viva tornerò tra poco o domani mattina. Restate qua dentro e state lontani dalla foresta e dalla città. "
" Perché dovresti morire...? " Chiese Sara, con un filo di voce.
La donna non rispose e sparì oltre la porta.

Nicole fece il giro della casa e recuperò un'ascia.
Il suo corpo si stava riprendendo, ma la spalla le faceva ancora male. Fortunatamente, il proiettile non aveva avuto il tempo di avvelenarle il sangue.
Cominciò a camminare verso la foresta.
Si chiese cosa stesse facendo, era uscita di casa senza riflettere troppo: doveva procurare della legna per i due ragazzi. Ma perché? A quale scopo si prendeva cura di loro? 
Decise di non pensarci.
Non impiegò troppo tempo a trovare qualche vecchio albero morto. Per fortuna era abbastanza forte da maneggiare l'ascia con una sola mano, anche se era un po' scoordinata, perché mancina.
Caricò decine di chili di legna, l'avrebbe tagliata a casa: non era saggio rimanere nella foresta e in quel modo era più facile da trasportare. Mise tutto il carico sulla spalla sana ed affidò l'ascia alla mano sinistra.
Guardò il cielo: erano circa le due del pomeriggio, aveva ancora due ore e mezza prima del tramonto.
Per sicurezza sarebbe tornata nella foresta quella notte, lontano da tutti. Di solito il terzo giorno riusciva a controllarsi, ma era sempre meglio non correre rischi.
Sarebbe rimasta comunque abbastanza vicina alla casa: finché i due ragazzi avessero avuto quell'odore nauseante, lei non li avrebbe attaccati per mangiarli, ma forse, per ucciderli sì. 
Solo allora realizzò che non mangiava qualcosa di decente da diversi giorni, questo prolungava i tempi di guarigione e ovviamente, la rendeva debole. Anche i ragazzi dovevano mangiare qualcosa.

Impiegò poco tempo a tornare a casa: Ma prima di tagliare la legna, sarebbe stato meglio avvisare che era tornata. Che cosa strana: avvisare qualcuno di essere rincasata.
Quando aprì la porta, vide Sara che le puntava contro la pistola, mentre John si lasciava sfuggire un gemito d'angoscia.
" Per fortuna sei tu. " Sopirò, abbassando l'arma.
John continuava a fissarla come se avesse visto un fantasma, no, meglio: un mostro.
Nicole capì che Sara gli aveva detto tutto.
" Non ti farò del male, ragazzo. " Affermò richiudendo la porta, in modo che il freddo non entrasse.
La donna mise l'ultimo pezzo di legna nel caminetto. " Vado a tagliare la legna, poi andrò a caccia. Non so voi, ma io ho fame... "
Dalle labbra di John uscì un altro lamento: sentirle dire 'ho fame', be'... non era rassicurante.
" Se per te va bene, ci penso io a tagliare la legna. Avrai più tempo prima che cali la notte. " Disse Sara, alzandosi.
" Questo sarà d'aiuto. " Nicole annuì.
John fissò le due donne, incapace di parlare.
" Tu resta qui, fa riposare la tua gamba. " Disse Nicole, prima di uscire seguita da Sara.

" Hai portato tutta questa legna? " Chiese Sara, sorpresa.
" Sì. Ascolta, devo cambiare forma, ma non ti farò del male. "
" Mi fido di te, presto anche John si fiderà di te, vedrai. " Sorrise Sara.
Nicole annuì e andò dietro la casa: doveva spogliarsi, non voleva strappare anche quei vestiti.
Il gigantesco lupo rosso fissò i vestiti abbandonati nella neve, cercando di pensare a come approcciare la ragazza senza spaventarla.
Decise di prendere scarpe e vestiti con la bocca e portarli a Sara, in modo che capisse che aveva a che fare con un essere in grado di ragionare.
Sara fece un salto quando vide il lupo rosso spuntare da dietro l'angolo della casa. " Wow! Sembravi più piccola, l'ultima volta... " emise una risatina nervosa, mentre la mano sfiorava la pistola nella sua tasca: era pronta a tutto.
Ma presto ebbe la certezza che il lupo non aveva intenzione di attaccare: si avvicinava piano agitando la coda.
" Li prendo e li metto là sopra, okay? Così rimangono asciutti. " Disse, prendendo i vestiti dalle zanne di Nicole.
" Brava ragazza. " Sara sorrise, facendole una carezza tra le orecchie.
'Questo è ridicolo': pensò Nicole, ma non fece nulla per sottrarsi al contatto con la mano della ragazza.
" Mi dispiace averti fatto male, " disse, guardando il buco sanguinate sulla spalla sinistra di Nicole.
Il lupo corse verso la foresta.

Nicole non ci mise molto a localizzare un cervo, ma non era l'unica ad averlo visto: a qualche metro di distanza, infatti, c'era un grosso giaguaro bianco.
Il grosso carnivoro non sembrava essersi accorto di lei, e lei non poteva ringhiare senza far scappare il cervo.
Doveva usare l'astuzia: forse poteva lasciare che il giaguaro catturasse la preda per lei, e poi scacciarlo via. Poteva funzionare.
Osservò la belva acquattarsi e vide i forti muscoli tendersi sotto la candida pelliccia bianca.
'Nah, meglio i cani...'
Gli occhi del giaguaro erano vitrei dalla concentrazione: stava per attaccare.
Senza ulteriori esitazione, la bestia attaccò e il cervo fu colto di sorpresa, ma ebbe comunque il tempo di cominciare a correre.
'Stupido gatto...'
Nicole seguì la corsa, cercando di non perderli di vista.
L'inseguimento durò non più di cinquecento metri: il giaguaro colpì con la zampa la coscia posteriore del cervo, facendogli perdere la coordinazione. Gli saltò addosso e affondò i denti nel collo del erbivoro, per soffocarlo.
Era il momento.
Nicole corse verso i due animali, ringhiando minacciosa.
Il giaguaro ringhiò a sua volta: non sembrava intenzionato a mollare la preda così facilmente. 
Nicole non poteva biasimarlo: non era facile procurarsi del cibo.
Le due belve si studiarono per alcuni minuti, continuando a ringhiare e mostrarsi i denti a vicenda.
Il lupo rosso decise di fare la prima mossa, si avvicinò ringhiando sempre più forte.
Gli occhi del felino erano ancora più vitrei di prima e le orecchie erano tirate all'indietro, appiccicate alla testa, come quelle di Nicole. Un sistema per non farsele strappare. Un po' come gli antichi Romani, che si tagliavano i capelli molto corti per non lasciarsi afferrare dal nemico e farsi tagliare la gola.
Nicole si avvicinava sempre di più. Era ferita, ma restava molto più grossa e forte di lui.
'Vai via, lo sai che non ti conviene affrontarmi...'
Il giaguaro sembrò leggerle nel pensiero, perché lasciò andare il collo della preda e cominciò ad indietreggiare lentamente, continuando a ringhiare.
'Bravo micino...'
Il giaguaro si arrese del tutto e corse via, scomparendo nella foresta.
Nicole si avventò sul cervo, divorando il grosso collo muscoloso e le due zampe anteriori. Quando ebbe finito di mangiare, stacco le due zampe posteriori e corse verso casa.

Riprese la sua forma umana e, dopo essersi rivestita, prese le cosce del cervo ed entrò in casa.
Sara l'accolse di nuovo puntandole contro la pistola, mentre John dormiva sul divano.
" Spero che tu sappia cucinare, perché io non so farlo e non ho tempo. " Sussurrò per non svegliare John.
Sara guardò con una certa perplessità le due cosce che Nicole teneva, poco sotto gli zoccoli. " Uhm... certo, grazie mille. Hai, uhm, hai un po' di sangue qui. " Disse, indicando il lato della propria bocca.
Nicole fu tentata di pulirsi con la manica, ma non voleva sporcare la camicia.
" Esco di nuovo. In caso di pericolo tieni pronta la pistola e non uscire. " Disse Nicole, mentre appoggiava sul tavolo la loro cena.
" Dove vai? "
" Non lontano. "
Sara voleva sapere di più, ma decise che insistere non era una buona politica. " Grazie per tutto. " Disse, mentre Nicole usciva di nuovo.

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Capitolo 26
*** 26 ***


26
Partenza



" Bene, ora possiamo tornare a casa. " Disse Wynonna, risalendo sul suo vecchio pick-up azzurro.
" Spero solo che siano sufficienti. " Commentò Waverly, osservando il contenuto della piccola scatola: proiettili d'argento.
Wynonna avviò il motore. " Cercheremo di evitare lo scontro più che possiamo. "
" Wynonna... pensi che Nicole sia ancora viva, giusto? " Chiese, tenendo gli occhi fissi sulla piccola scatola.
Si voltò a guardare la sorella, " Nicole è una donna cazzuta! Non penso che sia viva, sono sicura lo sia. " Sorrise.
" Sono passati quasi undici giorni... "
" Waverly, ascoltami, se non ne fossi certa non ripartirei mai per quel posto orribile. Chiaro? Smettila di pensare negativo. Fra poche ore la vedrai con i tuoi stessi occhi e la riempiremo di baci e forse anche di qualche schiaffo, tanto lei non sente niente! " Si mise a ridere, cercando di rassicurare la sorella.
" Grazie, Wynonna. " Le sorrise con gratitudine.
" Doc dovrebbe essere riuscito a procurarsi l'elicottero. Quando Jeremi tonerà, partiremo e tutto andrà bene. Una volta tornati a Purgatory non dovremmo mai più sentir parlare di Nevesplendida... mai più! "

 

-<>-<>-


" E' tutto pronto? " Chiese Wynonna, sedendosi sul divano.
" Sì, dobbiamo solo aspettare Jeremi, poi potremmo partire. " Rispose Henry.
" So che te l'ho già chiesto cento volte, ma sei sicuro che la tua gamba stia abbastanza bene? " Chiese Wynonna, apprensiva.
Henry si mise a saltellare, " più forte di prima! "
Bussarono alla porta.
Waverly si alzò. " Vado io. "

 

" Hey! Ciao! "
" Avevo paura che non venissi più. " Ammise Waverly, invitandolo ad entrare.
" Sono un uomo di parola. " Rispose Jeremi, posando a terra un enorme borsone nero. " Qua dentro c'è tutto ciò che sono riuscito a prendere e che vi sarà utile. "
" Che ci sarà utile? " Chiese Wynonna.
" Non posso venire con voi. Pensavo fosse chiaro questo. Se scoprono che ho fatto qualcosa del genere... mi ammazzano. " Rispose guardando tutti i presenti.
Wynonna stava per dire qualcosa, ma Waverly fu più veloce: " lo capiamo, non preoccuparti. Però dovrai essere molto preciso nel spiegarci, come arrivare laggiù. "
" Certo, ora vi spiego tutto. " Disse lui, cominciando a tirare fuori il contenuto della borsa.
" Su questo GPS è segnato il percorso. Quando sarete pronti a partire vi basterà accenderlo, è grosso, lo so, ma è il modello più affidabile. " Disse porgendo a Henry un grosso tablet.
" Questo invece vi servirà per rintracciare l'aereo e Nicole, entrambi hanno un micro cip. " Tirò fuori un oggetto di forma sferica con uno schermo verde. " Agisce nell'arco di trenta miglia, un vero gioiello. "
" Nicole ha un microchip? " Chiese Waverly.
" Si, sono stato io stesso a impiantaglielo. E' alla base della sua nuca. Quando l'avrete trovata sarebbe meglio toglierlo, o continueranno a trovarla. "
I tre annuirono.
" Qua ci sono anche alcune armi da fuoco e qualche proiettile d'argento, fatene buon uso. "
" Non si accorgeranno che questa roba è sparita? " Chiese Wynonna, perplessa.
" E' tutta roba sequestrata, ci metteranno anni ad accorgersene. E' tutto ciò che potevo fare. " Disse Jeremi.
" Se per qualche ragione dovessimo incontrare l'uomo che che era con te la sera in cui avete portato via Nicole, come dovremmo comportarci? " Chiese Henry.
" Dovrà sembrare una vostra iniziativa: se fate il mio nome sono un uomo morto. "
" Tutto chiaro. "
" Le ultime tre cose: non potremmo comunicare; Mio fratello è la mia copia in versione alta e muscolosa. Se è solo potrete dirgli che c'entro anche io in questa storia. Terza e ultima cosa: Nevesplendida è un isola, l'unico modo per arrivarci o lasciarla è in volo, le correnti sono talmente forti che nemmeno le navi più grandi osano navigarci. "
I tre lo guardarono perplessi, " un isola? Come abbiamo fatto a non notarlo prima? " Chiese Henry.
" Forse per la nebbia che nasconde l'isola. Vi auguro buona fortuna, ne avrete bisogno. "
" Grazie per tutto. " Dissero, mentre Jeremi scompariva oltre la porta.

Waverly corse in camera sua. Indossò la camicia di Nicole sotto la giacca e prese il pugnale, infilandolo nella sua cintura.


 

" Abbiamo tutto? " Chiese Wynonna mettendosi alla guida del furgone.
Henry e Waverly annuirono.
" Dove devo andare? " Domandò mettendo in moto il motore.
" Alla vecchia pista di volo, quella abbandonata a nord di qui. " Rispose Henry. Avevano preferito tenere segreto il luogo della partenza, per paura che qualcuno li stesse ascoltando e spiando.
" Andiamo allora. "

L'elicottero era nero e lucente, molto più grande di quello che Wynonna e Waverly si erano aspettate.
" Wow! Sei capace di far volare questo gigante? " Chiese Waverly; lei e Doc non avevano ancora parlato della loro discussione, ma entrambi sembravano essersi già perdonati a vicenda.
Henry rise, " miseria! Ho fatto volare cose molto più grosse. ".
" Mio eroe. " Commentò Wynonna prima di baciarlo.

" La notte nasconderà il nostro volo, almeno fino a quando non saremo sopra l'oceano. " Disse mettendosi al posto di comando.
Doc accese il GPS. " Preparasi al decollo! " Urlò per sovrastare il rumore delle pale dell'aereo.

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Capitolo 27
*** 27 ***


27
Una Visita Sgradita



" Quanti giorni sono passati? " Chiese Sara, dando un morso alla carne secca che aveva tra le mani.
" Forse dieci. Non lo so, ho perso il conto. " Ammise John. Lui e Nicole avevano fatto progressi: non sobbalzava più quando Nicole rientrava, ma evitava comunque di restare da solo con lei.
Nicole rimase seduta con le braccia incrociate, osservandoli mangiare. Li guardava benevola come un'alfa che, dopo la caccia, torna per sfamare i cuccioli del branco.
" Qualcuno verrà a cercarci, prima o dopo. " Commentò Sara.
" Spero di no.” Finalmente la voce di Nicole. “Mi dispiace per voi, ragazzi, ma spero che nessuno torni in questo posto. A meno che non sia un esercito armato fino ai denti di argento. " Concluse.
" Non hai torto, Nicole... però vorrei davvero rivedere la mia famiglia. " Disse John.
" Anche io. La mia sorellina sarà preoccupata da morire... " aggiunse Sara.
Nicole si alzò di scatto e andò alla piccola finestra.
" Scusa, abbiamo detto qualcosa di sbagliato? " Chiese Sara, preoccupata.
" Mi sento osservata. " Rispose senza staccare gli occhi dalla finestra.
" Ancora? E' più di una settimana che lo dici. " Disse John.
Nicole ringhiò, infastidita, " lo dico perché è da quando sono tornata che mi sento osservata. "
" Hai ragione, scusa! " John era impallidito.
" E' okay, ragazzo. " Rispose. " Finite la vostra cena e andiamo a dormire, voglio spegnere la luce. "
I due ragazzi annuirono e i loro bocconi divennero famelici.

 

-<>-<>-


" Dovremmo esserci quasi: secondo il GPS mancano più o meno cinquanta chilometri. Dovremmo arrivare prima dell'alba! " Urlò Henry, studiando lo schermo del tablet.
" Stiamo arrivando, Nicole... " sussurrò Waverly. Nessuno la sentì: il rumore dell'aereo copriva ogni cosa.

 

Non trascorse molto tempo, il rilevatore cominciò a lampeggiare.
" Ragazzi! Penso che siamo vicini, questo ha trovato qualcosa! " Urlò Wynonna, osservando lo schermo verde su cui lampeggiava un punto giallo.
" Accendo i fari! " Urlò Henry.
Sotto di loro, un vasto mare di nebbia. Jeremi aveva ragione: non era possibile distinguere con chiarezza la fine dell'oceano e l'inizio della terra ferma.
" Tenetevi forte! Devo abbassarmi... pregando di non colpire qualche albero. " Disse Henry, mentre abbassava la leva; il muso dell'elicottero puntò verso il basso.
Il sole spuntò all'orizzonte quando l'elicottero oltrepassò la corte di nebbia e sorvolò le cime degli alberi.
" Penso che abbiamo trovato l'aereo: il punto giallo è diventato più grande! " Urlò Wynonna.
" Cerco un posto dove atterrare! Voglio che sia in un punto abbastanza nascosto! " Henry cominciò a guardarsi attorno. " Credo di vedere il punto in cui è caduto l'aereo! Più avanti c'è una radura! "

" Okay, l'aereo è a meno di un chilometro in quella direzione. " Disse Henry, mentre le pale dell'elicottero si fermavano. " Prendiamo armi e proiettili. Il resto lo lasciamo qui, non penso che qualcuno riuscirà a trovarlo. "
I tre scesero dall'elicottero e si misero in marcia.

Più il gruppo si avvicinava al punto in cui l'aereo era caduto, più Waverly diventava inquieta: non sapeva come avrebbe potuto reagire se avessero trovato il cadavere di Nicole.

" E' praticamente distrutto... " commentò Waverly, osservando quello che restava dell'aereo.
" Vado a dare un'occhiata all'interno, voi rimanete qui. " Disse Henry cercando di entrare attraverso la lamiera accartocciata e annerita dal fuoco.
Waverly si avvicinò alla sorella. Wynonna la prese sotto braccio e la strinse a sé. " Andrà tutto bene. " Sussurrò.
Henry riemerse pochi minuti dopo. " C'è un cadavere bruciato, ma credo che fosse il pilota. " Lo disse in fretta, prima che le due donne potessero pensare che si trattasse di Nicole.
" Dove sono gli altri? " Chiese Wynonna.
Henry alzò le spalle. " Ci sono segni di artigli e qualche chiazza di sangue, ma nulla di più. "
" Vediamo se troviamo delle impronte. " Suggerì Wynonna.
Ma non trovarono nulla. Probabilmente era caduta altra neve e aveva coperto ogni traccia.
" Prova a resettare quel radar: forse il segnale di Nicole è coperto da quello dell'aereo. Se Nicole è a meno di trenta miglia da qui... la troveremo. " Disse Waverly, ora che sapeva che Nicole non era là dentro si sentiva meglio.
Wynonna annuì, " buona idea. " Disse allontanandosi di qualche metro dall'aereo.
" So dove si trova Nicole! " Urlò, incapace di trattenere la gioia; sul radar era comparso un secondo punto giallo, più piccolo.
" Sarà a circa quindici chilometri da qui. " Commentò Henry studiando lo schermo.
" Che cosa stiamo aspettando!? Andiamo! " Esclamò Waverly, impaziente di rivedere Nicole.

 

I tre camminarono per quasi tre ore. Non fu facile poiché la neve alta impediva loro di procedere velocemente.
Si bloccarono quando, in lontananza, sentirono dei colpi d'arma da fuoco.

 

-<>-<>-


Il sole brillava nel cielo quando Sara e John si svegliarono.
" Sta notte faceva veramente freddo. " Commentò Sara, massaggiandosi le braccia.
" Mi dispiace, ma a un certo punto ho lasciato che il fuoco si spegnesse. Continuo ad avere una brutta sensazione. " Rispose Nicole.
" Non ti preoccupare, stiamo bene. " Sorrise Sara, mentre John sbadigliava forte.
" Aspettavo il vostro risveglio per uscire a cercare altra legna. " Disse Nicole. " Per ora questa dovrebbe bastare a scaldarvi un po'. " E così dicendo preparò il necessario per accendere il fuoco.
" Ho una fame da lupo... scusa la battuta. " Disse John.
Nicole si voltò verso di lui, accennando un sorriso.
" C'è ancora della carne. " Disse Sara, mentre accendeva la lampada ad olio.
" Con tutto il ferro che ho nel sangue... dovrò stare lontano dalle calamite! " Scherzò John.
" Ti sei svegliato di buon umore, vedo. " Commentò Sara, divertita.
" Sì, nonostante il freddo ho dormito bene e ho fatto pure un bel sogno. "
" Cosa hai sognato? "
" Ho sognato che ero su un'isola, in un paese tropicale, e c'erano tante belle ragazze che si prendevano cura di me. " Sorrise al ricordo.
" Uomini... "
" Davvero un bel sogno. " Commentò Nicole. I due la guardarono per un momento, poi si misero a ridere.
Il sorriso scomparve dal volto di Nicole quando bussarono alla porta.
" Restate dietro di me. " Sussurrò, cominciando a spogliarsi.
Sara prese la pistola e si mise davanti a John, facendo un cenno a Nicole.
Nicole si avvicinò lentamente alla porta. " Chi c'è? "
Per tutta risposta, il bussare proseguì con maggior insistenza.
Nicole ringhiò forte per avvisare l'intruso che era pronta a combattere.
Ma i colpi continuavano.

La donna aprì la porta e il sangue le si gelò nelle vene: di fronte a lei c'era un uomo alto e muscoloso; aveva una folta barba nera e una cicatrice sotto l'occhio destro.
" Non una mossa, piccola, o ti sparo. Sono proiettili d'argento. " Disse l'uomo alzando la pistola.
Nicole prese a ringhiare sempre più forte mentre l'occhio destro oscillava tra il blu e il nocciola. " Cosa vuoi? "
" Voglio i due ragazzi che sono con te. Se ti trasformi o attacchi, ti ucciderò. " Disse. Il tono era calmo e rilassato, come se stessero chiacchierando mentre prendevano il tè. " Sai che non puoi battermi, il tuo occhio sinistro ne è la prova. " Sorrise.
" Nicole? " Sara, alle spalle della donna.
" Restate lì. " Ringhiò Nicole, senza staccare gli occhi da suo padre.
" Ti consiglio di mettere giù quella pistola, o i miei modi non saranno più gentili. " Disse lui, rivolgendosi a Sara. Riusciva a vedere chiaramente l'interno della casa: era molto più alto di Nicole, Un vero gigante.
La ragazza ubbidì e lanciò la pistola sul divano.
" Brava ragazza. Ora lega te e il tuo amico con queste. " Disse lanciando delle manette all'interno.
" Non lascerò che tu li prenda. " Ringhiò, sempre più minacciosa.
" Davvero pensi di potermelo impedire? " Sembrava divertito. " Mettetevi quelle manette e venite qui! " Ordinò.
" Questa volta non avrò pietà di te, ti ucciderò! " Gli occhi di Nicole cominciarono a brillare di azzurro, con crescente intensità.
" Sai che non succederà. " Disse, mentre Sara e John si legavano i polsi, l'uno all'altra.
Nicole ringhiò più forte. Era pronta a trasformarsi, ma un proiettile le perforò l'addome. Cadde sulle ginocchia, continuando a ringhiare.
" Nicole!!! "
" Venite qui, o la uccido. " Disse lui, mantenendo un tono calmo, quasi piatto. I due ragazzi avanzarono verso di lui, ma Nicole si rialzò cercando di colpirlo. L'uomo non esitò a sparare una seconda volta, perforandole il petto. La donna cadde a terra, urlando e ringhiando di dolore.
" Per favore, ti prego! Verremo con te, ma lasciala stare! " Gridò Sara.
" Muovetevi. " Ordinò.
I ragazzi scavalcarono il corpo di Nicole, immersa nel suo stesso sangue.
L'uomo afferrò la catena delle manette. Era pronto ad andarsene, ma la voce di Nicole lo fermò.
" Ti ucciderò! " Minacciò, cercando di rimanere in piedi e avanzando lentamente verso di lui.
" Questo è per la tua insolenza. Addio, figlia mia. " Sparò ancora, e il terzo proiettile penetrò di nuovo l'addome di Nicole. La donna cadde nella neve... e non si mosse più.
L'uomo la osservò per qualche secondo, poi si caricò sulle spalle i due ragazzi urlanti e scomparve nella foresta.

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