Corrente naturale

di ellephedre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 gennaio 1997 - Makoto e Gen. Felicità ***
Capitolo 2: *** 4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno ***
Capitolo 3: *** Fine gennaio 1997 - Routine ***
Capitolo 4: *** Inizio febbraio 1997 - Corsa e cinema ***
Capitolo 5: *** 14 febbraio 1997 - San Valentino studiato ***
Capitolo 6: *** Marzo 1997 - Scoperte ***
Capitolo 7: *** Marzo 1997 - Litigio ***
Capitolo 8: *** Aprile 1997 - Questione di prospettiva ***
Capitolo 9: *** Maggio 1997 - Nostalgia ***
Capitolo 10: *** Maggio 1997 - Nella stanza da bagno ***
Capitolo 11: *** Giugno 1997 - Accoglienza e sorprese ***
Capitolo 12: *** Giugno 1997 - A ballare fuori ***
Capitolo 13: *** Luglio 1997 - Incontro con l'ex ***
Capitolo 14: *** Agosto 1997 - in vacanza al mare ***
Capitolo 15: *** Agosto 1997 - Di notte, nell'afa ***
Capitolo 16: *** Gennaio 1998 - Amici che vanno avanti ***
Capitolo 17: *** Febbraio 1998 - Lettera d'amore ***
Capitolo 18: *** Marzo 1998 - Bambini ***
Capitolo 19: *** Agosto 1998 - In estate la passione ***
Capitolo 20: *** Agosto 1998 - Effusioni ***
Capitolo 21: *** AU SPOILER - Makoto rivela a Gen che... ***



Capitolo 1
*** 1 gennaio 1997 - Makoto e Gen. Felicità ***


Corrente naturale 1

Note: in questo capitolo parlo di tante piccole tradizioni giapponesi. Come l'importanza data alle prime volte del nuovo anno - la prima visita al tempio, la prima alba - o la scrittura dei desideri su una tavoletta di legno chiamata 'ema' - una cosa che in realtà si fa un po' tutto l'anno. Una curiosità che ho scoperto: in Giappone sembra che sia considerata musica da capodanno la Nona Sinfonia di Beethoven. Per questo la nomimo :)

   

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

1 gennaio 1997 - Makoto e Gen. Felicità

   

Le una del mattino del primo gennaio. Makoto non avrebbe mai pensato di passare Capodanno sdraiata su un divano, in una casa che non era la sua.

Sorrise quando sentì qualcuno che scendeva le scale, cercando di non fare rumore. Sapeva chi stava venendo da lei, ma quasi non riusciva a crederci. 

Al buio l'ombra di Gen, imponente, entrò in salotto e si accucciò al suo fianco. «Stai ridendo?» mormorò.

«Sì!» sussurrò lei. «Sei pazzo

«Perché?» Gen sussultava come lei, di un'allegria che quietarono insieme con un bacio morbido e innocente.

Makoto gli prese la testa tra le mani e tenne la fronte unita alla sua. Era felice.

«Grazie per essere rimasta.»

Non erano necessari ringraziamenti. Si era divertita molto durante il piccolo torneo di Go che avevano fatto tutti insieme. Quando poi si erano impegnati in una partita di sugoroku, le sorelle di Gen avevano dato il meglio di sé inventandosi una battuta per ogni tiro di dadi. Erano state capaci di farle venire i crampi per le troppe risate. «Mi piace la tua famiglia.» 

«Tu piaci a loro. Hai visto che non avevi niente di cui preoccuparti?»

Non ne era tanto sicura. «Tua madre ti avrà sentito scendere. Chissà cosa starà pensando...»

Lui non se ne curava. «Sa che passo le notti da te.»

«Sì, ma...» Preferì avvertirlo. «Ora non possiamo fare niente.» 

Gli uscì un suono strozzato. Il movimento convulso delle sue spalle le fece capire che stava ridendo.

«Ehi!»

«Sono sceso solo a salutarti! Non sapevo che fossi così perversa

Lo colpì sul petto. «Quello sei tu!»

Soffocare le risate fu un esercizio di volontà per entrambi.

Makoto si tirò su e lo abbracciò.

Era stata una serata tranquilla e molto bella: aveva visto Gen ridere con sua madre e le sue sorelle, sotto il tetto in cui lui era sereno. Le giornate da incubo erano finite.

«Andrò via domattina» gli fece sapere.

«Puoi venire al tempio con noi.»

Non era il caso. «È una cosa vostra.»

Nella tradizionale visita al santuario del primo dell'anno sarebbe stato inevitabile per loro avere in mente Akito Masashi, che li aveva lasciati da soli sei mesi. A ogni capodanno lei ricordava ancora la sua famiglia, e com'era stato passare le feste assieme a loro.

«Devo andare a sistemare casa mia. Dopo il tempio puoi passare a trovarmi, se vuoi.» Aveva reso la voce ancora più sottile, forse per un recondito senso di pudore.

Per tutta la sera, in quella casa, aveva cercato di non toccare troppo Gen. Si era vergognata quando gli occhi della madre di lui si erano soffermati sul contatto di mani che Gen continuava a cercare. Le sembrava qualcosa di molto intimo tra loro, che la signora analizzava con benevolenza, ma con tutta la consapevolezza di un genitore. A Gen non era parso un problema: non c'era stato un solo momento in cui lui si fosse sentito a disagio.

«Certo che passo.» Gen si allontanò, per guardarla meglio in volto. «Intorno alle dodici?»

Come al solito era preciso. «Va bene.»

Vi fu un attimo di silenzio.

Lui mosse le mani sulle sue braccia, saggiando la sua presenza. «Non sarei riuscito a immaginarti a casa da sola questa notte. Sono contento che tu sia qui.»

Lei lo era di più. Quel giorno lo aveva scoperto allegro, rilassato e appagato. Incredibilmente, era stata lei a dargli pace.

Appoggiò la bocca sulla sua. «Ora va' a dormire.»

«Ti vergogni sul serio.»

«Certo. Sapere che ci possono ascoltare mi fa sentire...»

Divertito, lui ricambiò il bacio e si sollevò le gambe. «Domani non ci sentirà nessuno. Buonanotte.»

Lei lo lasciò andare con una carezza. «'notte.»

    


     

«Allora...» Shori Masashi entrò in cucina in pigiama, i capelli scompigliati e uno sbadiglio in bocca. «Tu e mio fratello ve la siete spassata stanotte? La vostra prima volta dell'anno?»

Makoto avvampò e controllò la porta. Non c'era nessun altro ad ascoltare. «Non...» balbettò. «Non è il...»

«Caso?»

Deglutendo, annuì.

«Ma l'avete fatto o no?»

«No!»

«Hm.»

Mentre la diabolica Shori Masashi meditava su una nuova battuta, Makoto sporse la testa verso il corridoio. La madre di Gen non era ancora uscita dalla propria stanza.

Provò a essere diplomatica. «Almeno abbassa la voce, per favore.»

«È difficile farti arrabbiare, eh?»

«Sono ospite in casa tua. Sto cercando di essere educata.»

«Secondo me sei così di natura. Remissiva e modesta.»

Makoto si mangiò un sorriso. Solo un membro della famiglia Masashi poteva descriverla in quel modo.

«Anche ieri sera eri cauta» continuò Shori-san. «Come un gigante sgraziato in una casa di nani.»

Già. Era stata attenta, per non rischiare di rovinare in partenza il rapporto con la famiglia di Gen. Comunque... «'Nani'? Tu sei alta quasi quanto me.»

«Non mi riferivo all'altezza.»

Il tono di Shori-san era allusivo. Makoto si domandò cosa volesse dire.

Lei sciolse le braccia piegate. «In ogni caso, mi vai a genio. Almeno finché vai a genio a lui.»

C'era qualcosa di incomprensibile nell'atteggiamento della sorella di Gen. «Anche tu non sei male. Però preferirei che non mi prendessi in giro.»

«Allora sciogliti un po'.» Shori sorrise. «O non farlo, non so. Scommetto che a Gen piace stuzzicarti.»

Makoto evitò di rispondere, ma la sorella di lui non ebbe bisogno di sentirla parlare.

«Lo sapevo. Conosco mio fratello e le sue ragazze.»

Le sue ragazze?

Shori-san si appoggiò al bancone, per mettersi comoda. «Ero curiosa e a volte ne ho incontrata qualcuna. Alte, basse, sportive, studiose, belline, molto carine, veri e propri schianti, altezzose, divertenti... lui le ha provate tutte. Ma avevano una cosa in comune: Gen le aveva conquistate. E a loro la cosa piaceva molto.»

Il discorso le ricordava qualcosa.

Nella sua mente fece un rapido riepilogo del rapporto tra lei e Gen, dal momento in cui era nato fino a quel giorno. Nella sua testa si insinuò un minuscolo dubbio.

Shori continuava a fissarla. «Ora sei preoccupata?»

«... io e tuo fratello ci conosciamo da poco.» Anche se si amavano molto; di questo era sicura.

«Tu hai qualcosa di diverso dalle altre.»

Makoto sorrise. «Che cosa?»

Shori-san fissò gli occhi su suoi, come aspettandosi una sua precisa reazione. Quando non la ottenne, non disse niente.

Infine, si staccò dal bancone. «Be', lui ti ha presentata a mamma. Vado a farmi una doccia. Ci si vede, Kino-san.»

«... Ciao.»

La sorella di Gen era una ragazza assai particolare.

    


    

Hatsumode, la prima visita al tempio dell'anno.

Non avevano avuto scelta sul luogo a cui andare: Gen si era informato e sapeva che, in tutta Minato, esisteva un solo tempio accessibile con la carrozzina. 

Durante il tragitto verso il piazzale sopraelevato, lungo il corridoio adattato per i disabili, Shori e Miki non si erano allontanate da lui e mamma, per non rischiare di perdersi tra la folla. Comunque sarebbe stato impossibile per Gen non notarle tra la gente: indossavano un kimono rosa e azzurro ed erano colorate come non le aveva viste da molto tempo. Lo avevano fatto per creare allegria, supponeva, ma non per se stesse.

«C'è più ressa del solito.»

Shori aveva ragione. «Le persone sono qui per paura.»

Mentre avanzavano, sua madre prese una mano a Miki. «Sono giorni incerti. Ma noi siamo insieme, sani e salvi. Vostro padre ci veglia dall'alto.»

Man mano che il tempo passava, Gen si rendeva conto di un nuovo dolore, non proprio: sua madre non era più parte di una coppia. Lei guardava avanti sapendo che avrebbe vissuto metà della sua esistenza senza la persona che amava. Si faceva forza pensando a loro, ma lui aveva già trovato qualcuno, e Shori e Miki stavano crescendo lentamente, inesorabilmente. Come figli si sarebbero allontanati prima o poi. E lei... cos'avrebbe fatto? Sarebbe rimasta sola, o si sarebbe sposata di nuovo?

Lui non voleva. Nella sua mente, i suoi genitori esistevano solo l'uno per l'altra. Per sua madre era ancora così, un'idea che faceva male.

«Per cosa pregherai, mamma?»

A chiedere era stata Miki.

«Rivoglio le mie gambe.»

Causò un sorriso a tutti e tre, per una forza d'animo che non svaniva mai.

Sua madre piegò la testa all'indietro, per guardarlo. «Quest'anno mi impegnerò per tornare a camminare. Poi pregherò perché voi ragazze diate il meglio per gli esami di ammissione.»

«Manca un anno!» Fu un coro a due.

Sua madre picchiettò entrambe su un braccio. «Non è mai troppo presto per cominciare. Sistemate voi figlie, pregherò perché Gen torni a studiare sereno all'università. Al resto dei suoi desideri lui ha già pensato da solo.»

Miki ridacchiò. «Mi piace Kino-san! Non lasciarti con lei, vuole insegnarmi a cucinare!»

«Cosa?» Gen si divertì.

«Ha tentato di corromperti?»

Miki scosse la testa in direzione di Shori. «Voglio fare le torte come lei. Gliel'ho chiesto io!»

«Fatica sprecata. Sta per aprire una pasticceria. Non hai capito che avremo scarti a volontà sulla nostra tavola?»

«Sbagliato» precisò Gen. «Anche gli scarti si pagano. Non saremo dei parassiti per un'impresa appena aperta.»

Shori si indignò. «Scarti, Gen, scarti! Non li venderebbe comunque. Ma non ha senso parlarne con te: basterà chiedere a lei, scommetto che non sa dire di no.»

«Secondo te io lascerò che te ne approfitti?»

«Non intrometterti nella relazione tra due future cognate.»

Gen chiuse la bocca. Meno parlava, meno forniva a sua sorella materiale per battute improprie.

Miki si unì a Shori davanti alla carrozzina, incrociando le braccia con lei. «Hai visto che scenette ieri sera?»

«Certo.» In due dondolarono con le mani unite. «'Gen, no! La tua famiglia ci vede!'»

«'Figurati, Mako-chan! Su, incrociamo le dita sotto il tavolo. Ti voglio bene!'»

«'Anch'io! Non farmi arrossire!'»

Se solo lui avesse potuto investirle con la carrozzina...

Sua madre stava ridendo di gusto.

«Anche tu?» protestò Gen.

«Sono spassose! E poi è vero, era bello guardarvi ieri. Lei era così timida...»

Adesso era Shori a interpretarlo, le mani sulla testa di Miki. «'I tuoi capelli sono così morbidi, Mako-chan...'»

«Basta!»

Le sue sorelle ridacchiarono e scapparono, quasi scontrandosi tra loro. Sarebbe stata una giusta punizione, ma erano arrivati al torii posizionato all'ingresso del tempio.

Shori si portò dietro di lui. «Spingo io la mamma, tu cerca di capire dove dobbiamo andare. Non si vede niente da qui!»

Con un po' di fortuna, individuarono prima l'altare e poi il gazebo dei talismani. Per avvicinarsi a quelle postazioni c'erano lunghe code da fare, perciò tutti insieme scelsero di fare prima un giro lento dei dintorni.

Quando fu tempo, Gen recuperò un ema in legno per sua madre. Con lei si erano fermati sul ciglio del giardino che circondava il santuario, minuscolo rispetto al boschetto del tempio Hikawa. Miki e Shori erano in coda per comprare degli omamori e un paio di omikuji.

Gen porse a sua madre il pennarello a punta grossa che si era portato da casa, proprio per scrivere sulle tavolette. «Ti lascio da sola?»

«No. Ne hai un altro?» Gli indicò il pennarello.

«Sì.» Si era premunito, ne aveva quattro.

«Allora scriviamo insieme i nostri desideri.»

Lui tolse il tappo al suo strumento di scrittura. Per qualche momento tenne la punta sospesa in aria.

Qualche settimana prima, parlando con Makoto, le aveva detto che con riguardo a lei il suo desiderio era quello di conoscerla di più. Dopo gli ultimi eventi, tutti i suoi auspici per il futuro potevano essere riassunti in uno solo.

Abbassò il pennarello e scrisse.

'Voglio vita'.

Vita per sua madre, che era stata troppo vicina alla morte quell'anno.

Vita per Miki, che doveva crescere ancora molto e diventare adulta.

Vita per Shori, che lui doveva proteggere di più, affinché lei potesse vivere serena.

Vita per Makoto, che doveva vincere tutte le proprie battaglie, uscendone sana e salva.

Infine, vita per se stesso. Per avere ancora molti giorni da passare con la sua famiglia e con la ragazza che gli stava cambiando l'esistenza.

«Cosa hai scritto?»

Mostrò l'ema a sua madre. Lei sorrise e gli fece vedere la tavoletta col suo desiderio.

'Ai'.

Amore.

Sua madre si spiegò. «Mi auguro che ci sia molto amore nella nostra famiglia. Tra di noi, ma non solo. Voi figli state trovando il vostro amore lontano da casa ormai.»

«Siamo ancora con te, mamma.»

Lei lo tirò per un braccio, imponendogli di inginocchiarsi. «Tu ormai passi metà del tuo tempo fuori, Gen.» Aprì la bocca assieme a lui, facendogli capire che non aveva finito di parlare. «Sono contenta. Kino-san mi piace come futura nuora.»

Lui arrossì. «Veramente...»

«È presto? Certo, ma non togliere la speranze a una madre che si illude. Sai, una volta ho parlato con una delle tue ragazze.»

Ah, sì? «Chi?»

«Non ricordo il nome. Capelli vaporosi, ben truccata...» Scosse la testa. «Vi avevo visti da lontano. Mi sono avvicinata per un saluto dopo che vi siete separati. Per il modo in cui lei rideva, l'avrei strozzata.»

Gen ebbe l'impressione che stessero parlando di Chiyako Mizui, una ragazza che aveva lasciato per la facilità con cui rideva a battute idiote. Lei aveva nascosto quel lato del suo carattere per le prime due settimane in cui si erano conosciuti, perciò lui non se n'era accorto prima.

Notando che aveva capito, sua madre annuì. «Vedi? Da allora avevo il terrore su chi mi avresti portato a casa. Il sospiro di sollievo che mi è uscito ieri ha fatto vento in Cina.»

Gen rise e sua madre gli afferrò la faccia con le mani. Come fosse un bambino, gli stampò un bacio sulla fronte. «Continua a fare buone scelte, Gen, e la vita ti sorriderà.»

«Oggi sei piena di massime.»

«È il primo dell'anno. Se non oggi, quando?»

Dalla sua posizione in coda, Miki li salutò agitando a ruota la mano.

«Spero che compri un omamori per lo studio» commentò sua madre. «O per un ragazzo.»

«Meglio che Shori non lo faccia. Dovrebbe comprarne tre o quattro.»

Sua madre sospirò. «Quella ragazza...» In lei crebbe una risata bassa, che si sciolse nel silenzio.

Tra il vociare della gente si sentiva il frusciare del vento tra le foglie.

«Tuo padre sarebbe felice.»

Gen non riuscì a commentare. In gola gli si era formato un blocco, pesante come pietra.

Era già passato mezzo anno.

Se cercava di ricordare la voce di suo padre, non era più così semplice riportarla alla mente. Aveva ancora la sensazione di lui in testa, ma vi si erano sopravvrapposti nuovi ricordi. Più faceva come avrebbe voluto suo padre - andare avanti - più lo lasciava indietro. Era arrivato a un punto in cui non avrebbe più azzerato gli ultimi mesi pur di parlargli un'ultima volta.

Sei davvero qui, da qualche parte?

Si apppoggiò allo schienale della carrozzina di sua madre. Posò la fronte contro la nuca di lei. Quando i loro respiri si armonizzarono, seppe che stavano pensando a suo padre insieme.

Shori tornò indietro. Era riuscita a fare i suoi acquisti.

Mostrò loro un foglietto. «'Grande benedizione'» lesse, fiera. «L'ho aperta pensando a tutti e quattro. Vado ad apprenderla all'albero!»

Gen fu felice per tutti loro.

    


    

«Sono dei dango.»

Sulla porta di casa sua, Gen le offriva un pacchetto.

«Non ho trovato nient'altro di aperto sulla strada» si giustificò lui.

Raggiante, Makoto ricevete il piccolo vassoio in cartone e lo appoggiò sul bancone della cucina.

Lui gradì molto la sua reazione. «Il primo sorriso dell'anno.»

Il primo? Era almeno il centesimo per lei. «È solo il primo che vedi bene.» Ed era tutto per lui.

Gen fece un passo in avanti, entrando in casa. «Questo invece è il primo bacio.»

Lei non capì cosa intendesse finché lui non le separò le labbra con la bocca, cingendola per la vita mentre la assaggiava con la lingua, intensamente, facendole perdere forza nelle gambe.

Riuscì a staccarsi da lui. «Il primo bacio è stato ieri sera.»

Pochi secondi dopo la mezzanotte, Gen non aveva resistito e le aveva sfiorato la bocca con la sua davanti a tutta la sua famiglia - un momento in cui Makoto si era sentita affogare in un mare di imbarazzata felicità.

«Questo era il primo vero bacio.» Lui si chinò a togliere le scarpe. «Il primo di un migliaio, se teniamo un buon ritmo in questo 1997.»

Ridendo, lei lo aiutò a spogliarsi della giacca. «Grazie del cibo.» Al pensiero, sospirò. «C'è una cosa che non potrò fare bene quest'anno: il primo pranzo. Ho la dispensa vuota.»

Non aveva avuto il tempo di passare in un supermercato.

Gen ricordò la ragione e scosse la testa, per non pensarci. «Non importa. Mangiamo fuori.»

«I ristoranti saranno pieni.»

«Troveremo qualcosa. Nel frattempo, i dango terranno tranquilla la fame.»

Non era una cattiva idea.

Gen captò i suoni nell'aria. «La nona di Beethoven?»

«Sì, come da tradizione.» L'aveva ascoltata in sottofondo a ogni capodanno quando viveva con i suoi genitori. Conservava la musicassetta di quella melodia classica come un tesoro.

Mostrò a Gen la cucina. «Stavo cercando di tirar fuori una torta da portare a Rei.»

Lui si chetò. «Allora oggi hai sentito di nuovo le tue amiche?»

«Stanno tutte come ieri. Nessuna di noi crollerà all'improvviso, non preoccuparti.»

«Non temevo questo.»

Forse, ma lui le aveva guardate tutte come se fossero bombe a orologeria colme di spavento, pronte a scoppiare a piangere da un momento all'altro.

«Siamo abituate. Abbiamo molta esperienza.»

Gli lanciò un'occhiata e vide la stessa espressione che lui aveva avuto sulla spiaggia di Yokohama, mentre osservava disperato la sua gamba squarciata.

Makoto la agitò inconsciamente, come per accertarsi che ci fosse ancora. «Stiamo bene. Forse oggi Usagi vorrà parlare del matrimonio. Comunque avremo da lavorare.»

«Lavorare?»

«Be', il nonno di Rei ci ha ospitato per giorni, no? Rei lo aveva convinto dicendo che lo avremmo aiutato al tempio per Capodanno. Oggi sono carichi di lavoro.»

Lui si ricordò dell'incombenza e trinse i denti. «Giusto.»

Makoto ridacchiò. «Non preoccuparti, lavorerò io per tutti e due. Hanno bisogno soprattutto di qualcuno che distribuisca i talismani al tempio.»

Lui le sfiorò una ciocca di capelli, sull'orecchio. «Indosserai un kimono?»

«Quello che mi darà Rei.» Quasi si vergognò. «Non ho un bel kimono da mettere. Non pensavo che...»

«Non ti sto criticando» rise lui, ma Makoto si appuntò di andare al più presto in un buon negozio, a prendere due kimono: uno per l'inverno, elegante e caldo, e uno per l'estate, fresco e seducente. Finalmente aveva qualcuno per cui agghindarsi. «Sono sempre andata al tempio con le mie amiche. Pensavo di prendere un bel kimono per la festa dei vent'anni...»

«Ti stai giustificando.»

Sì, non poteva farne a meno.

Sereno, Gen si sedette al tavolino, invitandola con una mano a riposarsi vicino a lui. «C'era una cosa che avrei voluto fare con te, oggi.»

«Hm?»

«Il primo sole dell'anno. Volevo andare da qualche parte a vedere la prima alba.»

A Makoto mancò il fiato. Era un'idea tremendamente romantica, una cosa che aveva sempre desiderato fare col suo ragazzo. «Tecnicamente, non si è ancora visto il primo sole.»

«Perché è nuvoloso?»

Esatto. «Se ti va - se puoi - magari domattina...»

Il sorriso di lui conteneva una traccia di tenerezza. «Non chiedermelo come se potessi dirti di no.»

Ma lui poteva.

«Makoto, . Andiamo domani, dove vuoi tu se hai in mente un posto.» Fece una pausa. «Ah, però...»

«Cosa?»

«Avevo pensato di recuperare l'appuntamento della vigilia di Natale. C'è quel posto che non ti ho ancora fatto vedere. Be', possiamo tardare di un altro giorno se...»

«No!» lo bloccò lei. «Voglio andarci!»

Lui avvicinò il volto al suo. «Avevi scritto 'felicità'.»

Makoto non capì.

«Sulla tua agenda. L'ho visto il giorno che ho lavorato al tuo negozio.»

Oh, sì. E in quel ventiquattro dicembre lei lo aveva quasi perso. «La felicità dev'essere domani.» Non voleva più rimandarla. Ogni momento era prezioso e sfuggente.

Lui stava riflettendo. «Può essere una felicità completa. Se ti va un tour de force, possiamo svegliarci alle sei e goderci l'alba delle otto. Poi torniamo in città e ti porto a-»

Lei gli coprì la bocca con un dito. «Non dirmelo.»

«Vuoi la sorpresa?»

«Sì.» Proprio come lui l'aveva originariamente concepita.

Gen respirò contro la sua bocca. «C'è un problema con questo piano.»

«Quale?»

«Questa notte con te io non voglio dormire.»

Quando la baciò, per un momento neppure Makoto desiderò un istante di sonno. Era passata una giornata intera da quando lo aveva avuto in sé, tra le braccia, pelle contro pelle nel suo letto. In quelle ore aveva pensato a un mucchio di cose diverse, ma quando lo aveva avuto accanto, la consapevolezza dei loro corpi vicini le aveva causato fremiti continui, deliziosi in quanto intensi e brevissimi. Era in grado di controllarsi, ma ora che erano da soli, senza nessuno a disturbarli...

Gli offrì il collo scoperto. Sentendo la mano di lui sulla parte bassa della schiena, si lasciò trascinare sopra le sue ginocchia. C'era qualcosa che stava dimenticando, qualcosa di importante...

Se ne ricordò quando strofinarono tra loro i bacini. «Oh.»

«Cosa?»

«Non...» Fu travolta dalla delusione. «Oggi non posso.»

«Non puoi?»

«Noi... Questo.»

Gen si allontanò un poco. «Questo?» Incredulo, la sfiorò sullo stomaco, sotto la maglia.

Addolorata, lei annuì.

«... perché?»

Vinse l'imbarazzo per parlarne. «Io... non potrò per qualche giorno.»

Gen ebbe mille pensieri prima di trovare quello giusto. Gli si deformò la faccia.

Lei riuscì a stento a evitare la risata. C'era una parola giusta per descrivere la reazione di lui e non era delusione. «Sei affranto

Il divertimento di Gen si mischiò alla disperazione. «Ridi di me?»

Makoto lo abbracciò. «Mi dispiace. Il mio ciclo è iniziato ieri.»

Lui esalò un sospiro di patimento. «... fino a quando?»

Lei si fece due conti. «Altri tre giorni, compreso oggi.»

«Quindi... per il quattro?»

«Sì.»

«È il mio compleanno.»

Makoto quasi cadde a terra. «Mi ero dimenticata! Non ho ancora pensato al tuo regalo!»

Gen la strinse più forte. «Sistemato. Sarai tu il mio regalo.»

«Ma figurati. Pensavo a un regalo serio.»

«Più serio di te? Magari con quella vestaglia rosa e niente sotto...»

Lo colpì giocosamente su una spalla. Le morì la battuta in gola quando si ricordò un altro particolare. «Il quattro gennaio tu compi...»

«Ventidue anni» completò lui, incerto.

Lei non ebbe nulla da dire.

«Non lo sapevi?»

No. Aveva intuito che lui avesse quell'età - per via dell'anno che frequentava all'università - ma non ne era stata sicura. Non aveva chiesto.

Invece di trovarla una mancanza terribile, Gen si intenerì. «Abbiamo tante cose di cui parlare.»

Lei gli accarezzò una guancia. «Sì.»

«E pensare che hai già conosciuto la mia famiglia...»

Infatti era imperdonabile. «Tu hai ascoltato tante cose di me... Ho parlato più io, vero?»

Sotto le sue mani, lui scrollò le spalle. «Se vorrai sapere qualcosa di me, basterà chiedere.»

Be', di fronte a tanta apertura... «Secondo te, a Shori io piaccio davvero?»

«Hm?»

«Oggi sembrava che mi stesse ancora valutando.» Anche se, la sera prima, avevano trovato una bella intesa durante la loro sfida a Go. Makoto era partita con l'intenzione di perdere per entrare nelle sue grazie, ma la determinazione di Shori l'aveva portata usare tutto il suo ingegno per vincere. Alla fine aveva perso per una singola mossa sbagliata, ma persino la sorella di Gen si era resa conto che la sua era stata pura sfortuna. A fine gara si erano strette la mano.

«Ho sorpreso Shori portandoti a casa nostra» spiegò Gen. «Lei fa sempre così: quando pensa di aver concesso troppo, fa un passo indietro. Stamattina già andava scherzando sul fatto che eri la sua futura cognata.»

In estasi, Makoto quasi non riuscì a crederci.

«Ti ha accettato» confermò Gen. «È solo che le piace fare la misteriosa.»

Lei sperava che fosse così. Scese dalle gambe di lui, per smettere di tentare entrambi. «... hai avuto tante ragazze.» Lo sapeva già, ma voleva avere una sensazione più chiara del passato di lui.

Gen era confuso: non capiva cosa gli stesse chiedendo.

«È stata tua sorella a parlarne. Diceva che... le hai provate tutte.»

«Ah, ha detto così?»

Non era quella la parte importante. «Ti piace conquistare. Hai conquistato anche me.»

Lui provò a capire dove lei stesse andando a parare.

«Voglio essere io a conquistarti, Gen.»

Lo rallegrò. «Lo hai già fatto.»

Sì, ma... «Voglio che ti affidi a me. Voglio che siamo pari nel nostro rapporto.»

«Lo siamo già.»

Come esempio di parità le veniva in mente soprattutto il loro piccolo scontro accanto al fiume, e si era trattato solo di una dimostrazione di forza fisica.

«Makoto. L'altra notte.»

«Che vuoi dire?»

«Il modo in cui mi hai fatto... abbandonare.» Lui faticò a usare quella parola. «Non mi era mai successo con nessun'altra.»

Rivivendo il momento, Makoto si riempì di un senso di vittoria sottile, una sensazione di possesso che era dolce e lenitiva. «Veramente?»

Gen annuì. «E visto che ti ho già offerto cuore e anima, tanto vale lasciare che mi pialli fino alla fine. Hai lo strumento adatto, sai? Il tuo viso, la tua voce, tu... Questa è la prima volta in tutta la mia vita che sono innamorato.»

Lei sentì il battito che accelerava. Dal petto un senso di calore e leggerezza si diffuse alle sue mani, alla testa... Era come volare, sapendo di essere a un passo dall'apice della felicità. Per raggiungerla, rischiando di esplodere, le bastava un unico tocco.

Con un brivido, sfiorò un dito di Gen. «Adesso mi sto sciogliendo.»

Sorrisero con le guance vicine. Ancora una volta lei trovò incredibile che quella prossimità le permettesse di restare intera. Ma con Gen andava così: era come disfarsi e ricompattarsi in continuazione, sapendo di essere più forte con lui e al contempo totalmente scoperta, senza difese per ogni suo gesto, per ogni sua parola.

Lui le stava baciando sulla mascella. «Se solo....»

«Cosa?» Si tenne alle sue spalle, ancorandosi per non ricadere sulla schiena.

«Vorrei essere in grado di farti sciogliere completamente già adesso.»

Bastava un po' di pazienza. «So cosa si prova.» Ne ricordava ogni particolare.

«In realtà...» Gen scosse la testa.

«Hm?»

«Ogni volta che è successo, mi hai distratto. Non ho fatto tutto quello che potevo per te.»

Lui era tornato al discorso precedente - molto dolce, ma non veritiero. «No. Mi sono davvero sciolta come neve al sole.» 

«Forse solo la volta che ho usato la bocca.»

Perché lui doveva essere così preciso? «Elimini il romanticismo.»

Gen la riportò sulle proprie gambe. «È questo che voglio dire: è sempre stato molto piacevole. Per me troppo, ma... L'ultima volta tu non sei nemmeno venut-» Si bloccò sulla parola. «Cioè, non hai provato quello che ho provato io.»

Lei non lo aveva trovato fondamentale. «Ho provato qualcosa di altrettanto bello: averti tutto per me.» Lo strinse forte.

Per qualche attimo, Gen non disse niente. «Devo rimediare» decretò infine.

Makoto sospirò. «Dai troppa importanza alle sensazioni fisiche.»

«Ne parleremo dopo la prossima volta. Se tu sapessi cosa puoi provare, non diresti così.»

Lei si allontanò fino a guardarlo in faccia. «Sei condiscendente.»

«Sei testarda. Dopo il mio compleanno, avrai cambiato idea.»

«E se non succede?»

«Proveremo un'altra volta. E un'altra volta ancora, poi di nuovo, e infine...»

Risero.

Makoto gli accarezzò la testa. «Ti amerei anche se non mi toccassi mai.»

Lui soffrì. «Ne morirei. Tu sei fatta per essere toccata.»

Era una frase eccitante, che sembrava più adatta a un film che a lei. Incoraggiata, Makoto provò un azzardo. «... sono uno schianto?»

La scelta del termine lo incuriosì.

«Tua sorella diceva che sei stato con ragazze bellissime...»

«Io sto con una ragazza bellissima. Penso a te tutto il tempo.»

Rinfrancata, volle scusarsi. «Non sarò sempre insicura. È solo che, almeno una volta, volevo sentirti dire che...» Anche se fosse stato vero solo per lui, le sarebbe bastato.

«Non l'ho detto per farti contenta.» Gen le sollevò il viso, per farsi guardare. «Non dico cose a cui non credo. Ma se non ti dirò abbastanza cose belle, picchiami, perché sarò bugiardo per omissione.»

«Parli sempre di violenza» sorrise lei, commossa.

«Non sono ancora abituato a lasciar uscire altre parole. Ma non le dirò per conquistarti, Makoto. Un tempo le ho dette con secondi fini, per uno scopo.» Incrociò i suoi occhi. «Con te no. Ci sono cose che dico senza nemmeno voler parlare, perché mi sento quasi ridicolo quando...»

Lei capiva e non aveva bisogno di sentirlo andare avanti. «In fondo, non c'è bisogno di parlarne.» Inspirò dalla sua guancia. «So già tutto.»

«Ah, sì?»

«Parla il tuo odore. È penetrante, piacevole. Dice che stai cercando di attirarmi, per stare abbracciati.» Passò le labbra sulla linea della sua tempia. «Mi fa sapere che ci tieni tanto a essere bello per me, perché mi vuoi disperatamente vicina.»

«Quante cose vere...»

Lungo tutti i punti di contatto tra i loro corpi, Makoto vibrò. Quella stava diventando una piccola e deliziosa tortura.

«Saprò sempre cosa vuoi dirmi» gli disse.

«Forse ti sorprenderò lo stesso.» Con la punta della lingua, Gen tracciò una scia lungo il suo collo, fin dietro l'orecchio.

Ansimando, lei si staccò. «I dango.»

Lui abbassò la mano, smettendo di toccarla. «I dango.»

Scoppiarono a ridere e lei si spostò verso la cucina. «La fame sazierà gli altri appetiti.»

«Speriamo di no, o prenderò un quintale prima del quattro gennaio.»

Felice, Makoto canticchiò il ritornello della nona sinfonia di Beethoven e si mise al lavoro per servire i dolci.

    


    

«Allora non c'è più niente da muovere?»

Yuichiro Kumada si pulì le mani dalla polvere. «Niente. Grazie per avermi aiutato a spostare tutti i pacchi.»

Gli scatoloni che avevano portato nel retro del gazebo erano pieni di amuleti. Gen ne prese uno. «Li venderete tutti?»

«Oggi è giorno di grandi affari.»

«Serve una mano?»

«Sì, ma non c'è più posto per un'altra persona che serva i clienti. Lo dirò al maestro: il prossimo anno dobbiamo attrezzarci.»

Forse quell'anno i tempi erano più affollati solo per via degli incidenti su scala mondiale di due giorni prima.

Kumada osservò il suo silenzio. «Nel bosco c'è pace.» Gli indicò gli alberi dietro le sue spalle, lontano dalla folla. «Io ci vado quando voglio riflettere.»

Il consiglio era gentile. «Grazie.»

Mentre camminava sotto le fronde del bosco Hikawa - come lo aveva ribattezzato nella propria mente - Gen pensò.

Da quando aveva ritrovato Makoto a Yokohama,era la prima volta che stava da solo e si sentiva tranquillo. Come condizione gli pareva anomala. Aveva la sensazione che ci fosse ancora qualcosa da fare, una battaglia da combattere, un nemico a cui fare attenzione.

Se era tutto finito, la sua nuova vita gli sembrava ancora più strana: non voleva più stare da solo. Ogni suo pensiero, ogni minimo progetto, includeva Makoto. Aveva pensato che fosse la smania di rivederla, di avere un momento pacifico da solo con lei. Ma avevano appena trascorso insieme tante ore e, se lui pensava a un momento qualunque dei prossimi giorni, si trovava ancora a chiedersi quali programmi avesse fatto Makoto, per capire come far coincidere i loro piani.

Era assurdo. Era innamorato di lei, voleva stare con lei, ma adesso non riusciva più a esistere da solo?

Si era rimbecillito o era una cosa normale?

La sua sciarpa si era impigliata nella lampo della giacca. Mentre infilava le mani per tirarla fuori, sentì qualcosa dentro la tasca interna, all'altezza del petto.

Tirò fuori un pacchetto dimenticato di sigarette.

A Makoto non piacerà se fumo.

Per sfida a quel pensiero, tirò fuori l'ultima superstite del pacchetto e cercò l'accendino.

Quando l'ebbe in mano, giocò con la miccia e sospirò.

Probabilmente quella era l'ultima sigaretta che avrebbe mai fumato.

L'accese e inalò. Piegando la testa all'indietro, colorò il cielo di una piccola nuvola grigia - respiro caldo che si condensava al gelo e vapori tossici che macchiavano l'aria.

Già, fumare non era una cosa salutare. Lui non era mai diventato un fumatore abitudinario, ma una volta ogni tanto...

Tra gli alberi apparve Alexander -ovvero Golden Boy Foster in tutta la sua biondezza, bardato di un cappotto da sartoria con cui Gen si sarebbe fatto vedere solo ad un prossimo funerale. Il peggio era che Foster nemmeno lo faceva apposta: non si atteggiava come lui aveva pensato inizialmente. Era nella sua natura andarsene in giro come se ci fosse un fotografo pronto a immortalarlo a ogni angolo di strada.

Quando Foster lo vedeva, si impettiva, e almeno questa era una cosa che Gen riusciva a comprendere: in lui suscitava lo stesso tipo di reazione.

«Fumi» furono le prime parole del ragazzo di Ami Mizuno, un rimprovero contro cui Gen aguzzò i denti.

«Si muore di freddo.»

«Hanno inventato la lana. E le bibite calde.»

Non sopportava quel tono di superiorità. «Non ti ho offerto di farti un tiro, Golden Boy. Tieni per te i tuoi giudizi.»

Invece di rispondergli, Foster si chetò. Non lo sfidò più con gli occhi e neppure con le parole; esausto, si allontanò di un paio di passi e rimase a fissare l'orizzonte con una smorfia dolorante, appena nascosta. Aveva un po' di colore sulle guance, come se fosse affebbrato.

Si era allontanato dal fumo e Gen si sentì in colpa.

Tirò fuori un fazzoletto e spense il mozzicone semi-integro.

Con il primo argomento che gli venne in mente, provò a fare conversazione. «Sai se Makoto ha mai fumato?»

Foster non dovette nemmeno pensarci. «Compra verdure biologiche.»

Già. Se n'era accorto persino lui, che la conosceva poco. I suoi occhi erano fissi sul pugno in cui Gen teneva stretta la sigaretta.

«Stai pensando di smettere?»

«Non è mai stata un'abitudine. Era solo una cosa che facevo ogni tanto.»

Sorrise tra sé, senza darlo a vedere. Il suo mondo si era decisamente capovolto: trovava piacevole parlare con Foster, che nella sua condizione malconcia gli inspirava un minimo di simpatia.

In fondo, si trovavano in situazioni simili. Anzi, lui forse era l'unica persona sul pianeta che stesse vivendo un problema simile al suo. Da quanto aveva sentito, Foster era messo peggio: Mizuno lo aveva lo stretto attorno al mignolo e lui saltava solo quando lo diceva lei.

Le guerriere Sailor forse avevano capacità particolari di persuasione, o magari erano solo comuni ragazze - e loro dei fortunatissimi malcapitati.

Inspirò aria pulita, fredda. «È il primo dell'anno.» Giorno di nuovi inizi e piccole rinunce per un bene superiore. «E questa era l'ultima sigaretta che fumavo.»

«Un proposito?»

«No, uno stato di fatto. Stavo pensando che non sono più single.»

Foster lo guardò come se fosse stupido.

Gen ci passò sopra. «Mi sono reso conto che non voglio più essere single.» Terminando di dirlo, risentì la frase e fu disgustato da se stesso: che discorsi faceva con uno sconosciuto?

Aveva voglia di parlare con qualcuno che stesse vivendo la sua stessa esperienza, ecco la verità. Avrebbe scelto Kumada se non lo avesse sentito già lontano per ciò che era diventato - più simile a Makoto e alle altre che a lui.

Foster lo osservò e aggrottò la fronte. «Io non ho i tuoi blocchi emotivi.»

Ecco: provava a comunicare e si beccava un insulto. «Dovevo immaginarlo. Come una ragazzina, vivi felice l'idea della favola eterna.»

«Con più palle di te, senza lamentarmi.»

Gen lasciò perdere. Era stato uno stupido ad aprire bocca. Marciò via.

«Ehi.»

Si voltò, solo per la stanchezza con cui Golden Boy aveva pronunciato la parola. C'era un'ombra di pentimento dietro quella sillaba.

Per il freddo Foster si era stretto nel cappotto. «La tua vita non è un vizio che devi abbandonare. Non ti sembrerà così in futuro.»

Parole di incoraggiamento.

«Ci si vede, Golden Boy.»

Gen tornò indietro rinfrancato, con una destinazione in mente: il bagno di casa Hino. Al tempio chiese rapidamente il permesso a Kumada.

«Certo» rispose lui, dandogli la chiave per entrare nella loro abitazione.

Gen si rifugiò in bagno e con l'acqua e un po' di sapone provò a liberarsi di tutte le tracce di fumo. Passò un fazzoletto bagnato sulla giacca e si sciacquò la bocca. Uscì da casa Hino profumato d'aria. Andò in cerca di Makoto.

La incontrò sul retro del santuario, che parlava con Aino mentre entrambe facevano una pausa dal lavoro.

Appena lo vide, lei si scusò e gli andò incontro. «Ti stai annoiando?»

«No.» Al freddo le labbra di Makoto erano screpolate e i suoi occhi lucenti. Senza resistere, Gen le umettò la bocca con un bacio, poi la tastò sulla tunica, sopra le tasche. «Niente burro cacao, oggi?»

«L'ho lasciato nella borsa.» Makoto sorrise, tenendosi vicina a lui, splendida nel trasporto che provava, identico al suo.

Aino canticchiò. «Trovatevi una camera!» 

Lui e Makoto rotearono insieme gli occhi al cielo. 

Ti amo, pensò Gen. 

Tenné per sé la dichiarazione: certe cose non si dicevano in pubblico.

Aveva davvero bisogno di conservare un po' della virilità che aveva costruito in ventidue anni di esistenza, altrimenti Makoto non lo avrebbe più voluto.

Lei gli strinse le mani. «Hanno bisogno di me per altre due ore. Se vuoi, puoi uscire dal tempio e tornare dopo. O torna a casa; ci sentiamo per telefono più tardi.»

«No, rimango nei paraggi.» Non avrebbe resistito senza vederla fino alla mattina dopo.

Makoto si colorò di felicità, guance rosa d'eccitazione e occhi che diventavano di un verde fiammante. «Servirò più clienti che posso. Finirò in fretta!»

Aino sospirò. «Se rimango qui comincerò a cantare ballate d'amore.» Rientrò nel retro del gazebo.

Furono soli e Makoto lo guardò negli occhi, i loro respiri che si mischiavano. «Alla fine è uscito il sole...»

«Per quest'anno è andata. Ci sarà sempre il prossimo anno...»

La menzione del futuro la riempì di sicurezza.

Lui avrebbe continuato a parlarne fino a che lei non avesse più avute paure da dimenticare. «Ma se vuoi vedere un'alba insieme, devi solo dirlo.»

«Domani voglio il nostro appuntamento speciale. Il nostro primo vero appuntamento dell'anno, per cominciarlo in grande stile.»

Decisamente sì.

Come due pali della luce, rimasero coi piedi piantati nel terreno, senza trovare la volontà di staccarsi.

«Vado» disse lei.

«Vai» la incoraggiò Gen.

Makoto rubò un bacio prima di danzare via con un piccolo salto. Rientrò nel gazebo con un sorriso, chiudendo la porta prima di ripensarci.

Gen tornò a far funzionare i polmoni e sospirò.

Per la reazione, rise di se stesso lungo tutta la strada verso la scalinata del tempio. Infine, stiracchiò braccia e gambe, aprendosi al mondo.

Se quello era l'amore, lui era pronto a metterci la firma vita natural durante.

     

   

1 gennaio 1997 - Makoto e Gen. Felicità - FINE

   

   


   

   

NdA: Ho scritto questa storia senza pensarci troppo. Ho voluto sentirmi come Gen e Makoto, che sono due creature d'istinto. Quando sono felici, si lasciano trasportare, non si creano tante paranoie. Be', Makoto un po' sì, ma quando non c'è davvero motivo di preoccuparsi, si lascia trascinare volentieri da Gen.

Questo sarebbe stato un capitolo molto lemon se non fosse stato per le circostanze spiegate da Makoto. Ciò vuol dire solamente che le scene che ho in mente da tipo un anno e passa per lei e Gen saranno ambientate nel giorno del compleanno di lui. Spero di far fare la ola ai fan di questa coppia :)

 

Grazie per aver letto.

Se amate questi due, spero di avervi già fatti un po' felici (loro lo sono di sicuro ;) ).

 

ellephedre

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Capitolo 2
*** 4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno ***


corrente naturale 2

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno

 

Ogni volta che guardava la rosa rossa, Makoto sospirava. Ne accarezzava i petali e si avvicinava per odorarne il profumo. Ricordava le labbra di Gen sulle proprie mentre tenevano insieme lo stelo del fiore, attenti e delicati per non pungersi, nascosti in un angolo della serra.

Era stato un momento perfetto, romantico come lei non avrebbe mai potuto immaginare.

Tutto il loro appuntamento speciale di quel martedì era stato magnifico. Avevano chiacchierato per ore camminando tra i padiglioni della fiera a cui lui l'aveva portata, mentre rimiravano piante e mobili. Makoto aveva osservato il mobilio incantata, Gen con occhio più clinico. Lui si era portato dietro un blocchetto in cui aveva riprodotto i pezzi che aveva preferito, discorrendo poi della qualità di materiali e forme. Era attento quando si trattava di ciò che poteva creare con le mani; non c'era dettaglio che lasciasse al caso.

Nella parte botanica dell'esposizione, la gioia era stata tutta di lei, ma Gen era stato contento di seguirla. Aveva azzeccato il posto in cui portarla e la sua gioia si era mischiata a una buona dose di fierezza. 

'Ho scelto bene, sono stato bravo'.

Makoto glielo aveva letto in faccia più volte e ne aveva sorriso senza farne un segreto. Preso in giro, Gen aveva scrollato le spalle e l'aveva baciata tutte le volte che lei si era trovata in bocca una battuta.

Makoto amava i baci, soprattutto quelli che si erano dati quel giorno. Sfioramenti di labbra morbidi, con assaggi accennati che preludevano a un'intimità a cui non si erano potuti lasciare andare in pubblico. La sensazione di piacere era stata più intensa del normale, il desiderio più dolce e languido nella sua mente. Per lei quell'eccitazione era rappresentata dalla rosa, che era riuscita a mantenere sana e vivace da quando Gen gliel'aveva regalata.

Se solo avesse avuto più spazio sul davanzale della finestra, avrebbe comprato un vaso intero di quei fiori.

Per il futuro, decise, voleva un appartamento con balcone. La sua casa le era sempre piaciuta, così come la sua vita, ma... Ora era diventata avida di felicità e voleva di più. Se lo sarebbe guadagnato con la pasticceria che avrebbe aperto. Con duro lavoro, creatività e impegno, avrebbe raggiunto tutti i suoi obiettivi.

I lavori nel locale erano ultimati, perciò era tempo di dedicarsi alla decorazione degli ambienti - una delle attività più divertenti che potesse immaginare. Le piacevano gli oggetti carini e aggraziati. Quelli per il suo negozio dovevano dare un'idea di accoglienza e semplicità. Avrebbe trascorso molti pomeriggi a cercarli, dopo la scuola.

Sospirò.

Aveva ancora diversi compiti da completare prima della fine delle vacanze. Il giorno precedente era riuscita a finire solo la metà degli esercizi di inglese che le erano stati assegnati.

Concentrò l'attenzione sulla lama della forbice che impugnava in mano e lisciò l'intera lunghezza del nastro che aveva avvolto attorno al pacco, arricciandolo dalla base fino alla punta.

Perfetto. Aveva incartato il regalo di Gen.

Il telefono squillò. Lei andò a prendere il cordless, un occhio puntato sul tavolo in cui aveva lasciato la scatola incartata. Non era sicura di aver azzeccato il dono; poteva solo sperare in bene.

«Pronto?»

«Ciao.»

«Rei.» Sorrise riconoscendola. «Tutto bene?»

«Certo. Ti chiamavo per parlarti del compleanno di Hotaru.»

Ah, giusto. «Quindi Hotaru-chan rimarrà qui a Tokyo per il sei?»

«Sì. Ne ho parlato con suo padre e lui è d'accordo. Ci vedremo di mattina per festeggiare.»

«Dove andiamo?»

«In un parco giochi.»

Possibile? «È un'idea di Minako?»

«No, ci ho pensato io. Vorrei che ci divertissimo tutti senza pensieri, come ragazzini. Porterò personalmente Hotaru sulle giostre più spericolate. Voglio che quella bambina si liberi.»

Sembrava quasi un proposito da sorella maggiore. «È una bella idea. Ci sarà un posto dove potremo mangiare una torta?»

«Ho organizzato tutto. C'è un piccolo chiosco che terrà in frigo un dolce portato da noi. Poi ci offriranno sedie e tavoli per mangiare in compagnia.»

Non avrebbe dovuto dubitare di Rei. «Ci saranno anche Haruka e Michiru?»

«Ho provato a convincerle, ma hanno un posto dove vogliono portare Hotaru di sera. Una cosa da ragazze grandi, hanno detto.»

Erano le solite. «Potrebbero fare anche una cosa da ragazze piccole e venire con noi di mattina.»

«Non dirlo a me; per Michiru la mia idea è infantile. Avresti dovuto sentire come ha sorriso quando gliel'ho detto...»

Lo immaginava: Michiru Kaiou sorrideva sempre degli altri, come se fossero tutti bambini a cui poteva dare un colpetto di incoraggiamento sulla testa. La sua non era superbia, solo una condiscendenza buona, di cui non poteva fare a meno.

«Secondo me non vuole rischiare» proseguì Rei. «Te la immagini Michiru su un ottovolante? Tutta la sua compostezza si scioglierebbe come neve al sole.»

Makoto ridacchiò.

«Usagi l'avrebbe convinta a venire, ma in questi giorni ha in testa solo il suo matrimonio. Ancora non ne ha parlato ai suoi genitori.»

Ahia. «Più Usagi-chan tarda, più sarà difficile.»

«Già, ma lei e Mamoru hanno fissato una cena con i suoi per questo sabato. Ne parleranno allora.»

«Non la invidio.» Makoto aveva avuto a che fare da poco solo con la madre di Gen. Nonostante il buon carattere della signora, ne era ancora terrorizzata. Temeva ciò che era e il modo in cui lei poteva influenzare la visione che Gen aveva del loro rapporto. Da quel che sapeva, il padre di Usagi covava istinti omicidi nei confronti del povero Mamoru.

«A te come va?» domandò Rei. «Domani è il compleanno di Gen, no?»

Già. «Sono preoccupata. Gli ho comprato un regalo, ma non so se è quello giusto.»

«Che cos'è?»

«Un kit di matite da disegno. Al negozio mi hanno detto che sono le più quotate tra i professionisti.»

«... Gen disegna?»

«Sì, per hobby. Fa anche schizzi di progetti architettonici, però... Forse ha già matite come queste. O magari avrebbe preferito qualcosa di più sportivo, per esempio roba per la corsa o per la boxe. Ma non so quali attrezzi ha in casa. O se parliamo di abbigliamento, non so che numero di scarpe porta, né la sua taglia di vestiti...»

«Sarà XXL.»

«Ha le spalle larghe, ma non è grasso.» Infatti si chiedeva come lui riuscisse a trovare degli indumenti da mettersi.

«Scherzavo. Ma perché la scelta del regalo ti mette in ansia?»

«Gen è istintivo, ma valuta tutto. Forse questo regalo così artistico gli farà pensare che io lo ritengo... troppo artistico?» Non aveva un gran vocabolario, continuava a ripetersi.

«Perché sarebbe un male?»

«Non è un male, ma lui ci tiene a non apparire troppo...» Come poteva dirlo?

«Sensibile?»

Esatto! «Ci tiene a sembrarmi un duro.»

Rei si lasciò sfuggire una risatina.

Makoto quasi si risentì. «Non prenderlo in giro.»

«Andiamo. Il tuo ragazzo ha sempre quest'aria da 'spacco il mondo'... È il suo modo di essere. Un po' come Yu, che se gli chiedi una cosa è già pronto a servirti per l'eternità. Pensi di riuscire a manipolarlo?»

«Eh?»

«Gen. Se trovi il modo giusto di trattarlo, lo rendi felice e al contempo gli fai fare quello che vuoi tu quando ti serve. Così tutti contenti.»

Quel ragionamento era proprio da Rei. «Non penso di avere tanta presa su di lui.»

«Non fare l'ingenua. Quando vi ho visti insieme, lui ti seguiva come un Akita fedele. Sono animali possessivi ed esigenti, ma completamente leali.»

Era una buona descrizione per Gen. «Hai dei consigli da darmi?»

«Biancheria intima.»

Lei avvampò sulle guance. «Eh?»

«Uno come lui sarà sicuramente una persona molto visiva e fisica.»

«... Come fai a dirlo?»

«Quando eravamo a casa di Mamoru e tu eri mezza inferma e in pigiama, il tuo Gen ti guardava la scollatura.»

Makoto volle morire d'imbarazzo.

«Sfrutta i tuoi punti di forza, Mako-chan. Non vederla come furbizia da parte tua; alla fine, sarai tu quella che si sentirà soggiogata. Piacevolmente, si intende.»

Le uscì un sospiro incredulo. «Wow.»

«Che cosa?»

«Stiamo parlando dei nostri fidanzati. Mi sentivo un po' esclusa sapendo che lo facevi solo con Usagi ed Ami.» Ora anche lei era come loro, finalmente.

«Con Ami non si parla molto di queste cose. Anche se alcune volte quella ragazza se ne viene fuori con certe osservazioni... Con Usagi stai attenta: è così candida su quello che accade tra lei e Mamoru che finirai col volerle dire tutto anche tu.»

«Tutto cosa?»

«Capirai poi. Comunque io sono la regina per quel che riguarda le strategie amorose. Chiedi a me ogni volta che vuoi un consiglio.»

«Lo farò.»

Rei ne fu soddisfatta. «Allora domani passerai tutta la giornata con Gen?»

«Quasi tutta, sì. Per la festa di Hotaru, sai già l'ora?»

«Ci troviamo davanti al parco di Ueno alle dieci, va bene?»

«Certo.»

«Ah, un'ultima cosa. Con gli uomini funziona anche la strategia dell'attesa.»

Già. Lei l'aveva messa in atto involontariamente. «Non sono molto brava a frenare Gen.»

«Lo so, sei capitolata in meno di un mese. Ma puoi sempre esercitarti.»

Makoto si divertì. «Non arriverò mai ai tuoi quattro anni.»

Rei ringhiò. «Questa battuta è vecchia

Ma era ancora uno spasso. «Devi imparare a riderne come Yuichiro. Ci vediamo sabato.»

«Sì» sospirò Rei. «A sabato. 'Notte.»

«'Notte. E grazie.»

Makoto riattaccò e guardò il soffitto, raccogliendo le idee. Ora le rimaneva solo da preparare le torte.

Aveva fatto due passi verso la cucina quando il telefono squillò di nuovo. Provò a indovinare chi era, un giochetto mentale in cui si dilettava di tanto in tanto.

Questa è Minako.

Almeno, avrebbe voluto che fosse lei, poiché in quei giorni la sentiva distante. «Pronto?»

«Ciao.»

La voce maschile la fece sciogliere sulla moquette di casa. «Ciao

Aveva davvero usato quel tono da gattina smielata?

All'altro capo del telefono, Gen rise piao. «Stai per andare a dormire?»

«È presto, sono le dieci. Mi preparo a farti una torta per domani.»

«Hm. Non farla per tutta la mia famiglia. Mia madre ne comprerà una.»

«Be', non voglio scavalcarla, però... Mi ingrazio lei e le tue sorelle se vi offro un altro dolce, giusto? Avevo pensato di fare una piccola torta per me e per te, poi una torta grande da farti portare a casa. La tua famiglia potrà mangiarla con calma; non ci metterò su panna o altre cose che vanno facilmente a male.»

«Shori si è messa a dieta.»

«Ah.»

«Apposta per il mio compleanno. Ha detto di dover far spazio per la torta che tu avresti sicuramente preparato.»

Makoto scoppiò a ridere.

Udì il sorriso sereno di Gen, un suono quieto che le fece desiderare di averlo con lei già quella sera.

«Domani pranzi con la tua famiglia» gli disse. «La sera sarà per noi?»

«Sì. Non vedo l'ora.»

Anche lei, a tal punto che volle essere audace. «Io e te, domani... Recupereremo il tempo perso.»

«Non è stato tempo perso. Ma questo proposito mi vede in prima linea, con un'armata di impazienza alle spalle.»

Lei poteva descrivere nello stesso modo il proprio entusiasmo. «In realtà, già oggi... Ma sono solo ventiquattrore in più di attesa.»

Lui fece una pausa. «Già oggi, cosa?»

«Ehm...» Non seppe come spiegargli. «Voglio dire che non ci sono più ostacoli. Sono spariti questa mattina.»

Gen non parlò e Makoto pensò di avergli fornito troppi dettagli. «Gen?»

«Sono le dieci e cinque.»

«Sì» mormorò perplessa, guardando l'orologio.

«Se corro, sono a casa tua in mezz'ora.»

Eh?

«Non hai sonno, vero?»

No, ma... «Non ho ancora fatto la torta.»

«Ho più foga che fame.»

Makoto esplose in una risata così forte che dovette coprirsi la bocca.

Gen non era stato da meno con le risa. «Vado ad avvertire mia madre. Sarò lì tra poco.»

Cosa? Lui avrebbe detto a sua madre che stava uscendo alle dieci di sera per venire da lei? La signora l'avrebbe creduta una ragazza promiscua, o troppo facile, sicuramente molto innamorata, ma... «Gen.»

Tu-tu-tu.

Sospirando, Makoto chiuse la chiamata e fece dei calcoli mentali. Doveva essere come Creamy Mami e compiere un prodigio: preparare una torta, farsi il bagno e cambiarsi in mezz'ora.

Al lavoro!

   

Trentotto minuti dopo era davanti al cassetto della biancheria a rimuginare, coi capelli appena asciugati. Squillò il citofono.

«Ahhh!»

Corse a rispondere. «Sì!» si limitò a dire, premendo il pulsante di apertura. Tornò al cassetto e afferrò le prime mutandine carine che si trovò davanti. Solo quando le ebbe indosso notò che il reggiseno coordinato non era in vista, probabilmente disperso nella cesta delle cose da lavare.

Udì i passi di Gen fuori dall'appartamento, che per la fretta colpivano lo zerbino mandandolo a sbattere contro la porta.

Dato che non c'era più tempo, annodò la vestaglia alla vita, provando a coprire con le braccia le punte dei seni ben visibili sotto la stoffa. In quello stato era praticamente seminuda, ma lei avrebbe voluto essere sensuale, non sfacciata. Mesta, si diresse alla porta.

Poteva chiedere a Gen il tempo per terminare di cambiarsi?

Lui lo avrebbe trovato inutile, considerato che si sarebbero spogliati di lì a poco. Lei voleva farlo - bramava di farlo - ma...

Si nascose dietro la porta mentre gli apriva. «Ciao...»

Gen entrò. La sua felicità si attenuò quando notò che di lei poteva vedere solo la testa. «Ciao» la salutò. «Tutto a posto?»

«Non ho finito di vestirmi.» Tenne le braccia intorno al torso mentre si appoggiava con la schiena alla porta, per chiuderla.

Lui tolse le scarpe e fece scattare la serratura. «Okay.» La osservò, confuso ma non smanioso quanto lei aveva pensato.

Si guardarono per qualche istante.

Togliendo la giacca, Gen sollevò le sopracciglia, divertito. «Puoi vestirti, sai? Non ti mangio.»

Lei voleva essere mangiata, solo che...

Lui agitò le narici e guardò verso la cucina. «Sei riuscita a preparare la torta.»

«Sì, è in forno. Per questo non ho avuto il tempo di...»

«Non hai avuto tempo perché sono arrivato troppo in fretta.»

Già. «Non ti sembra sciocco se vado in bagno a mettermi qualcosa? Anche se dopo...»

Lui non rispose a voce. Si limitò a contemplare la sua esitazione, adorandola.

Coi dubbi dissolti, Makoto fece un passo avanti e lo abbracciò.

L'odore del collo di lui, il respiro che le sfiorava la tempia, le braccia che la stringevano, il seno senza costrizioni contro il suo petto... Non voleva più altri vestiti, ne voleva di meno. Desiderava stringerlo senza più smettere.

Gen le aveva preso la testa in una mano. Stava affondando il naso nei suoi capelli. «Così diventa difficile aspettare.»

Lei inspirò, sorridendo contro il suo orecchio. Non disse niente; cercò di provare invece di pensare, l'unica cosa giusta da fare quando erano insieme.

Notò un taglietto fresco e minuscolo sulla guancia di lui. «Oh.» Sfiorò la pelle su quel punto.

Gen capì. «Colpa del rasoio. L'ho usato in fretta stasera.»

Immaginarlo di corsa mentre si sistemava per venire da lei la riempì di dolcezza. «Vieni.» Si separò da lui senza incontrare proteste - i loro due corpi in sintonia nell'essenza, a discapito della distanza.

Tenendolo per mano, lo condusse verso il comodino accanto al letto, dove girò la manopola che regolava l'intensità della lampada. La accese.

«Tira la tenda» disse a Gen, riferendosi al pannello rigido che separava la zona del letto da quella della cucina. Non lo usava spesso, ma a volte era bello creare atmosfera dividendo gli ambienti. Avevano almeno venti minuti prima che la torta finisse di cuocere.

Quando lui ebbe dispiegato per intero il pannello semi-trasparente, lei spense la luce sul soffitto e allargò le braccia, invitandolo ad avvicinarsi.

Nella penombra trovare Gen sotto le proprie mani fu prezioso, importante. Rispose al bacio che lui cercò. Lo accarezzò sulle spalle, sul petto, tracciando i contorni di ogni rilievo. Aveva desiderio di lentezza, di scoperta.

Senza fretta, cominciò a spogliarlo della felpa, lasciando salire l'indumento sopra lo stomaco di lui e tirandolo su, oltre le braccia. Era lei a guidare i loro movimenti; Gen la lasciava fare nonostante il respiro spezzato e veloce, visibile nei suoi muscoli tesi.

A torso nudo, lui le cercò il ventre con la mano, infilando le dita nell'apertura della vestaglia.

«No» protestò lei, serena. «Ho poche cose addosso.»

Gen non capì perché quello fosse un problema, ma Makoto lo fece sedere sul letto. Armeggiò delicatamente con la zip dei pantaloni che lui indossava, stuzzicandolo con un'unghia sullo stomaco rigido. Gen si tenne a stento dritto sulle braccia - una reazione adorabile, sensuale, che le suscitò una vampata di calore al basso ventre.

Gli aprì la patta dei pantaloni e lo spinse ad andare ancora più indietro. Si appoggiò con le ginocchia sul materasso, sopra di lui, dove si tenne ferma per un istante.

Gen provò a toccarla, ma lei gli prese le mani, stringendole.

In quel momento lo possedeva: possedeva i sensi di lui, nonché il corpo che la bramava e la cercava. Aveva l'amore di Gen, così come la bocca calda a pochi centimetri dalla sua, che con un bacio era capace di stordirla.

Non resistette. Chinò la testa e mischiò i loro respiri. A labbra schiuse si trovarono con un assaggio veloce, che strappò a entrambi il respiro.

Lei non comandò più, si offrì.

Si beò delle mani di lui tra i capelli, che le scioglievano la coda. Aderì al suo corpo languida, abbandonata, in attesa di sentirlo aumentare la pressione tra di loro con i palmi aperti sui fianchi, che forti la afferravano.

In due si sdraiarono lentamente, prima di lato e poi lui sopra di lei, la bocca di Gen che la percorreva sul petto mentre le scioglieva il nodo della vestaglia.

Con le palpebre abbassate, tremanti, Makoto non guardò lui, ma la parete tenue della stanza. La vide sfocarsi mentre il suo corpo ribolliva e Gen la trovava su un seno nudo, prendendone la punta in bocca. Lui esclamò qualcosa, un suono debole che uscì anche a lei nell'ardore del momento, mentre si contorceva per la delizia.

Si strofinò a lui con le gambe, col bacino, scivolandogli con le dita sulla schiena. La sua mente si annebbiò. Cercò un bacio necessario e vi affondò dentro. Si mosse con Gen mentre sospiravano e continuavano a premere l'una sull'altro le labbra, affamati di sapore.

Non notò quando terminarono di spogliarsi: le sembrò solo che i vestiti di entrambi fossero d'un tratto spariti. Il proprio corpo non ebbe più senso come entità unica finché lui non la trovò con una mano tra le gambe e, alitandole sul collo, leccandola sui capezzoli, iniziò a muovere su di lei un dito in un minuscolo cerchio, premendo dove il piacere le accendeva tutti i nervi.

Makoto vibrò, tenendosi ferma a forza, in offerta per la mano di lui, incantenata. Interruppe l'estasi solo quando fu giusto incastrarsi a Gen, stringendogli le spalle con le mani e annullandosi insieme. Durò tanto, o così le parve. Il tempo si mosse in una realtà diversa dalla loro.

Ogni bacio umido, ogni dondolio intenso, ogni affondo dentro il suo corpo... Ne volle sempre uno di più, anche quando si riempì e si saziò di lui, rimanendo a stento con le forze per accarezzargli un braccio.

Adagiati l'uno di fianco all'altra, in pace, riposarono.

Il sonno non la prese. Girandosi, respirò contro il petto di Gen, sistemando pigramente l'orecchio dove gli batteva il cuore. Il ritmo del suo battito la cullò.

Sveglio, lui la tenne contro il petto a lungo prima di abbassarsi, sorridere e baciarla di nuovo.

Makoto lo fece sdraiare sulla schiena, delicatamente. Lo guardò, lo adorò.

Non poteva esserci momento più bello, più perfetto, in una singola vita umana.

DRIIINN!

Sussultò assieme a lui. 

«Il forno» disse, esplodendo in una risatina.

Scivolò via dal letto, afferrando per un lembo la vestaglia e scostando il pannello rigido. Si diresse in cucina. «Ah...» Per un momento faticò a ricordarsi cosa doveva fare con la torta. Si coprì malamente il corpo e, afferrando una presina, aprì l'anta del forno.

Il profumo del dolce si librò nell'aria. L'odore era ricco e invitante. «È venuta bene» informò Gen.

«Lo sento da qui.»

Proteggendo l'altra mano con un guanto, Makoto tirò fuori la torta e la sistemò sul bancone.

Trovandosela davanti, rifletté: aveva pensato di rimanere sveglia finché la torta non si fosse raffreddata, ma... Prese l'orologio da polso che aveva sul tavolino, settò l'ora e coprì la torta con un telo. «Domani la decoro.»

«Cosa hai fatto?»

«Devo metterla in un contenitore quando si è raffreddata.»

Tornò indietro, verso il letto. Appena riuscì a toccarla, Gen le tolse la vestaglia.

«Ancora?» commentò lei, senza riuscire a mettere forza nella protesta.

Lui scrollò le spalle. «Mi piaci senza niente addosso.» La fece sdraiare accanto a sé, sotto le coperte, e la guardò. Era felice.

A lei sfuggì uno sbadiglio.

Prima che fosse riuscito a riderne, Gen l'aveva imitata.

«Ecco il sonno» disse Makoto, andandogli più vicino.

«Succede quando si fa bene l'amore.»

Lei sorrise in silenzio. Amava sentirlo parlare in quel modo. Quello che avevano condiviso non era stato solo sesso; si era trattato di un'esperienza completa, la prima di moltissime altre.

Appoggiò la testa nell'incavo del suo collo. «Buonanotte.»

«... ti sveglierai tra poco? Non farlo.»

«Lasciami il mio lavoro di cuoca.»

Sorrisero e Gen si rassegnò. «Allora buonanotte, per ora.» La baciò sui capelli.

Dormirono.

   


     

Era molto tempo, pensò Gen, che non si svegliava con la luce del sole così forte sugli occhi.

Si era fatto tardi, forse erano già le nove.

Voltò la testa.

Cauto, liberò il polso intorpidito dalla testa di Makoto, prendendosi un momento per far sparire il formicolio.

Prima di ripensarci, rotolò su un fianco e ricadde in piedi sul pavimento, alzandosi. Aveva bisogno di andare in bagno.

Vagò nudo per l'appartamento, entrando nell'unica altra stanza della casa.

Tra le quattro mura di piastrelle, rabbrividì per il gelo: di mattina quel bagno era ghiacciato.

Mezzo addormentato, si risvegliò quando ebbe finito e si sistemò davanti al lavabo. Girò la chiave del rubinetto, cominciando a lavare le mani e sciacquando la bocca. Alzando la testa, si osservò allo specchio e stiracchiò soddisfatto le braccia.

Era stata una grande notte.

Non gli era dispiaciuto nemmeno essere svegliato dall'orologio che Makoto aveva settato. Quando l'aveva riavuta tra le braccia, dopo pochi minuti, il calore dei loro corpi uniti lo aveva fatto riaddormentare in un momento.

Uscì dal bagno e nel tragitto verso il letto raccolse i pantaloni che erano finiti a terra. Li piegò in due su una sedia, poi cercò la felpa e le calze.

A Makoto non piaceva il disordine. Con un appartamento tanto piccolo era naturale: non c'era molto spazio per muoversi.

La osservò. Ancora profondamente addormentata, lei era sdraiata a pancia in su, le labbra aperte e le braccia allargate libere, infreddolite. La pelle d'oca si interrompeva sulle spalle, ma Makoto doveva sentire freddo anche sul petto, fino a dove era scoperta.

Lui tornò a sdraiarsi nella parte di letto in cui si era svegliato. Cercò di non spostare troppo il peso sul materasso, ma lei ricadde ugualmente con la testa verso una spalla. Immobile, lui attese il respiro successivo.

Le narici di lei si erano mosse appena. Makoto non ebbe altre reazioni: il suo sonno era rimasto profondo.

Gen osservò lo sfarfallio delle ciglia scure sulle sue guance. Erano delicate e folte, belle come le labbra semiaperte che di mattina sembravano più paffute e carnose. Con quel colore rosa scuro, invitavano a morderle piano, leccandole.

Piegando la testa Makoto aveva esposto all'aria un lato del collo, una parte che lui sapeva sensibile e morbida. Le spalle di lei terminavano con la sottolineatura del deltoide, le linee del muscolo visibili sotto la pelle, persino a riposo. Le clavicole erano...

Be', non aveva mai badato a delle clavicole, ma voleva riempire di baci l'avvallamento tra quelle ossa.

Poi... poi il corpo di lei finiva lì. La trapunta le proteggeva i seni, una situazione a cui lui pose rimedio tirando un poco l'ammasso di stoffa verso il basso, fino a scoprire le punte di carne turgide che svettavano sul suo petto. A bocca aperta, rimirò i due personali doni divini che gli aveva concesso il cielo.

Incredibile. Non aveva mai visto due tette tanto perfette, gonfie e sode anche da sdraiate.

Al contatto con l'aria i capezzoli di Makoto iniziarono a diventare ancora più duri, facendogli venire l'acquolina in bocca. Avevano una dimensione ideale: sui due monti di carne non erano bottoni troppo piccoli che gli sfuggivano dalle dita, bensì estremità deliziose che si adattavano ai suoi polpastrelli quando lui le stuzzicava.

L'areola... Gen ne aveva viste di grandi, piccole, normali, belle. Quelle di Makoto erano una corona, che gli indicavano dove toccarla per farla gridare. Non che lui l'avesse fatta urlare fino a quel momento, non per davvero.

Lei inspirò di nuovo e Gen le lanciò una rapida occhiata.

Makoto dormiva ancora.

Lui riabbassò gli occhi: quei seni gli riempivano le mani. Per tutta la vita aveva pensato di preferire seni di dimensioni ridotte, che non cadevano mai e rimanevano alti senza aiuto, ma nel corpo di Makoto si era compiuto un miracolo: lei aveva due globi rotondi che si adagiavano sul petto fieri e svettanti, creando una scollatura che con certi reggiseni... Fortunatamente, a lei non piacevano gli scolli a triangolo, o lui non avrebbe avuto pace immaginandola in giro vestita in quel modo.

«... cosa stai guardando?»

Colto sul fatto, sorrise impenitente. «Te.»

«Io sto più sopra» mormorò lei.

Divertito, lui la guardò negli occhi verdi. «Sì.» Appena sveglia, lei era una visione. «Sei anche qui.» 

Makoto si adagiò su un fianco, coprendosi il petto con un braccio. Col movimento creò involontariamente due curve talmente provocanti, talmente belle...

«Ehi» lo chiamò.

«Hm?»

«Ma guarda quanto ti piacciono.»

Non lo avrebbe negato. «È vero.»

Mangiandosi un labbro, Makoto si coprì anche con l'altro braccio. «Anche io li trovo belli, però...» Rise piano. «Sembra che appena mi giro, tu li guardi.»

«Non è così.» Si concentrava anche su altre parti del corpo di lei: la rientranza dei fianchi verso la vita, le gambe lunghe, il magnifico sedere... Ma se a pochi centimetri dal viso aveva quei due bei seni nudi, la sua attenzione era tutta per loro.

Makoto lo osservava, muovendo le dita sul proprio sterno, indecisa. «Se questa è la tua parte preferita...»

Non era così. «È sempre stata il fondoschiena» confessò. «Sei tu quella che mi sta facendo cambiare idea.» Sotto la trapunta la trovò sulla curva del fianco.

«Ti piace il sedere?» Makoto voltò la testa, per guardarsi. «Non lo tocchi mai.»

Lui la smentì in quel momento, facendola saltare sul letto.

«Ehi!»

Gen trattenne i singulti di divertimento. «Hai visto come reagisci?»

«Mi hai sorpreso! Dev'essere una cosa più tranquilla, dolce...»

Be', ma così c'era un problema. «Col tuo sedere non mi vengono in mente idee molto dolci.»

In Makoto il rossore partì dal petto e risalì veloce lungo il collo, invadendole le guance.

Lui abbassò la testa, baciandola sul collo, usando la lingua per assaggiarle la pelle salata. Il retrogusto dolce invase tutte le sue papille gustative. Cominciò a scendere oltre la linea delle clavicole. «Tanti auguri a me.»

Makoto sobbalzò. Lui si sentì afferrato per le spalle. Si ritrovò atterrato - schiena contro il letto, inerme come un pupazzo.

«Me n'ero dimenticata!» Da novella Ercole, Makoto divenne un concentrato di arti morbidi e leggeri, che calarono su di lui assieme a una carezza sulla fronte. «Buon compleanno.» Lo disse con un sospiro, baciandolo sulla tempia, sulla guancia, sulle labbra.

Ti amo da impazzire, pensò Gen.

Era tempo di dimostrarglielo.

La strinse per la vita, portandola ad appoggiarsi su di lui col petto. La sensazione dei capezzoli duri contro i suoi pettorali fu paradisiaca.

«... ti piace?» gli domandò lei.

Lui la guardò negli occhi. Muto, annuì.

Usando le braccia per sostenersi, Makoto si morse un labbro prima di decidere come procedere. Scivolò su di lui verso l'alto, sfiorandolo con la punta dei seni sulla faccia. Rise quando lo sentì rilasciare un sospiro. «Sono la mia arma segreta?»

«Ne hai tante» confermò lui. Poi si assicurò di avere una buona presa sulla sua vita e ribaltò entrambi, facendola sdraiare sulla schiena.

Makoto era curiosa. «Cosa fai?»

«Realizzo una fantasia.» Armeggiò con le gambe di lei, aprendole e piegandone una di lato.

«... quale?»

Le si spezzò il respiro quando lui si appoggiò contro la sua apertura, senza entrare. Voleva essere certo che lei fosse abbastanza bagnata, ma soprattutto voleva far fremere entrambi per l'anticipazione. Con una coscia aveva spinto un ginocchio di Makoto verso l'alto. Vi incastrò sotto il braccio.

«Così è...» Makoto interruppe il mormorio quando con le dita lui tracciò delle linee sul suo stomaco, fino al basso ventre. Infine, inarcò verso l'alto l'intero bacino.

«Funzionerà bene» le spiegò lui.

«... Come?»

«Tra poco lo scopri.» Scese con la mano. Con le nocche la sfiorò tra le pieghe del sesso, insistendo, cercando del fluido fresco.

Makoto fece forza con le braccia e lo attirò sopra di sé, per avere la sua bocca. Mentre la baciava lui la chiudeva col corpo in una gabbia. Sperimentò ancora una volta che lei non aveva alcun problema di flessibilità, ma cercò di non pesarle troppo sulla coscia. Per uscire da quella posizione, separò le pieghe tra le gambe di lei con le dita, accarezzando. Makoto si tese.

Lui le appoggiò un bacio sotto la mascella. «Voglio che sia più intenso.» Riuscì ad allontanarsi, tornando dritto.

Makoto lo strinse per un avambraccio, cercando di trattenerlo. «Ma mi piace quando mi stai sopra.»

Lui raggiunse la massima durezza in un secondo. «Lo so.» Le prese un seno in mano, incapace di resistere. «Questo sarà meglio.» Dondolando coi fianchi, si strofinò contro il centro di lei, la carne calda e soffice che non gli opponeva resistenza. La consistenza in quel punto era divina: non c'era niente di più liscio, setoso, tenero di...

Tornò a respirare. La vista non lo aiutava a ricordarsi di prendere aria. Sdraiata, Makoto si agitava dolcemente, graffiando con una mano le lenzuola.

Lui sentì la sensazione di umido che aveva cercato, solo un goccio, ma si ritrasse quanto bastava e afferrò Makoto per la vita. Quando trovò l'incastro, fece forza sulla presa e scivolò, affondò - la stretta rovente che gli strappava un suono dalla gola.

Aprì gli occhi.

Sembrava sempre la prima volta - con le gambe di lei aperte, il suo viso travolto, conquistato, e l'interno di quel corpo che lo spremeva inconsciamente, troppo energico e femminile per starsene inerme ad aspettarlo.

Lui represse l'istinto di gettare la testa all'indietro e spingere come un forsennato. Guardò gli occhi di Makoto, il colore, la pupilla nera e larga.

Non chiuderli.

Si ritrasse ed entrò di nuovo, modellandola attorno a sé, premendo.

Lei abbassò le palpebre, tentando il controllo del respiro. Il suo petto era irrorato di sangue, i suoi capezzoli gonfi.

Lui ne sfiorò uno con due dita. «Okay.» Non seppe perché lo disse. Andava tutto bene, era ovvio. Con l'altro braccio spinse sotto il ginocchio piegato di lei, raddrizzandolo fino ad avere un polpaccio sulla spalla.

«Aspetta...»

Scosse la testa. Chiuse come poteva la connessione tra cervello e nervi del basso ventre, e con la spinta dei fianchi iniziò a imporre un ritmo.

Piano, ma non troppo. L'importante era la costanza, la resistenza. Era proprio quella che faceva fremere Makoto di disperazione.

«Gen...»

Lo so, lo so. Anzi, no.

Si fermò e, sollevando il bacino unito di entrambi, prese l'altra gamba di lei e la spostò sotto di sé. In quella posizione non poteva sedersi e doveva appoggiarsi completamente sulle ginocchia, ma non aveva importanza. Erano incastrati come due forbici. Sconvolta, Makoto piegò il torso di lato.

Lui le strinse una coscia contro lo stomaco, riprendendo a entrare dentro di lei, trovando profondità nuove e ancora più bagnate.

«Ah!» gemette Makoto. Provò a coprirsi la bocca con le dita, poi rinunciò a farlo e serrò i denti.

Lui tremò. Non l'aveva mai avuta tanto completamente, tanto bene... Rallentò il movimento e si impose un ordine. Costanza, ritmo. E attenzione, perché appena riprese a immergersi nel corpo di lei provò a capire dove fosse il punto giusto che-

Makoto ricadde con la testa sul letto, ansimando.

Lui capì di aver trovato la zona che cercava e, concentrato, la tormentò con perseveranza e forza contenuta.

Makoto spalancò gli occhi. Mise un palmo sulle proprie labbra, senza premere abbastanza da coprire i suoni. Con l'altra mano stava per strappare la federa del cuscino.

Su di sé Gen cominciò a sentire la morsa di muscoli spugnosi che si stringevano. Cambiò l'angolazione, di pochissimo, per provare a sfiorarla sul clitoride col pube.

Makoto sobbalzò col bacino, gridò. In risposta il suo ventre lo attanagliò con una tale forza che... Il nodo di muscoli si sciolse e pulsò forte intorno a lui. A occhi chiusi Gen seguì l'estasi di quel ritmo, serrando i denti, provando a non perdere.

Solo un altro po', resisti!

Lo aiutò ad andare avanti l'incredulità dei gemiti di lei, che Makoto stava provando a tenere bassi in mezzo alla corrente di follia. Erano suoni di abbandono totale, di rapimento.

Lei ne ruppe uno più alto, capitolando di nuovo, e Gen seppe che poteva lasciarsi andare. Le sue anche non gli appartennero più: cercarono più frizione, più pressione, e altro calore in lei, premendo. Dentro Makoto erano sensazioni massime: non c'era nessuna plastica a impedirgli di sentire che lei era la cosa più perfetta e assoluta, la più magnifica che...

Aprì gli occhi mentre si liberava. La vista di Makoto sdraiata su un fianco, che ancora tremando lo guardava, fu il pugno definitivo per lui, o forse la carezza finale. In lei rilasciò tensione, controllo, volontà. Se ne andò tutto quanto, salvo la soddisfazione immensa di sentire quanto di umido e denso le stava immettendo in corpo.

Con le membra prosciugate di forze, faticò a districarsi dalle sue gambe senza schiacciarla. Si aiutò con le braccia per spostarsi di lato e sdraiarsi sulla schiena.

Lo invase la più grande sensazione di benessere che avesse mai conosciuto.

Inerme, per lunghi momenti, respirò beatitudine.

Accanto a lui Makoto ansimava forte.

Qualcosa gli toccò un braccio: lei si stava spostando sul materasso.

Lui trovò la forza di voltare la testa.

Makoto lo guardava, in ansia.

«... cosa?» le domandò. Riuscì a rotolare su un fianco.

Lei aderì al suo corpo, abbracciandolo.

Gen la coprì con una mano sulla schiena. «Cosa?» domandò di nuovo. Mosse le dita sulla pelle di lei, cercando un brivido, una risposta.

«... niente.» Makoto appoggiò la guancia contro il suo petto e gli circondò un fianco con la gamba, cercando...

Lui ebbe un dubbio. «Non ti è piaciuto?» Non aveva senso.

«No, certo. Ma mi mancava... questo.»

Stare abbracciati?

Comprese. Quella era una reazione normale: le donne volevano spesso essere abbracciate alla fine, soprattutto quando il rapporto era stato intenso.

«Certo» le disse all'orecchio, combattendo contro un attacco di sonno.

Strofinò la guancia contro la tempia di lei, riempiendosi le narici del suo profumo, ora mischiato a quello di un lieve sudore. Era stato lui a causarlo.

Makoto sollevò la testa. Aveva ancora uno sguardo che si attendeva qualcosa.

Gen glielo diede con un bacio leggero, che lei continuò e aprì in un sorriso felice, finalmente appagato.

Era quella la contentezza che lui voleva vedere nel suo viso. «Ti amo» le disse.

Avendo sentito tutto quello di cui aveva bisogno, Makoto si rifugiò contro di lui. «Anche io.»

Riposarono.

  


  

Makoto terminò di versare lo strato di cioccolato sopra la torta che aveva preparato per la famiglia Masashi. Le mancava da aggiungere una spruzzata di palline bianche per creare un disegno e la scritta, "Buon compleanno, Gen!"

L'idea la faceva fremere di gioia.

In bagno l'acqua smise di scorrere. Gen aveva terminato di farsi la doccia.

Lei si era fatta il bagno solo la sera prima, ma aveva dovuto ripeterlo quella mattina. Due sessioni di soddisfacente intimità tendevano ad avere degli effetti sul fisico di una persona. Di uno si era resa conto solo di recente: la volta che lei e Gen avevano usato il preservativo, non aveva dovuto curarsi di cosa sarebbe... be', di cosa sarebbe uscito da lei dopo essere entrato. Come una sciocca, si era autoconvinta che il suo corpo avrebbe assorbito qualunque inconveniente.

C'erano altre cose che non sapeva?

Magari poteva parlarne con Rei, e soprattutto con Usagi. Forse Ami avrebbe saputo consigliarle un buon libro in merito.

Di certo Gen aveva esperienza - troppa per lei. Non si era ancora fatta un'idea chiara di cosa aveva provato con lui un'ora prima, su quel letto.

Due orgasmi, ovviamente. O forse era stato uno solo con due picchi, ma comunque l'esperienza era stata...

Strofinò le cosce tra loro, sentendole molli. Ricordava ancora l'intensità delle contrazioni del ventre, la ferocia della stretta ritmica dei muscoli.

Chiuse gli occhi.

Aveva urlato. Le mura del suo appartamento non erano spesse, i vicini potevano averla sentita.

Sprofondò nella vergogna.

Se una cosa simile si ripeteva, lei doveva... Be', innanzitutto doveva far capire a Gen come si era sentita.

Provare tanto piacere era una cosa buona, sconvolgente, meravigliosa, ma... Qualcosa in lei - una parte forte di lei - aveva preferito l'esperienza quando c'era stata meno tecnica e più sentimento. Forse per Gen c'era stato tanto sentimento comunque, ma a lei erano mancati gli abbracci, guardarlo negli occhi, baciarlo mentre non pensavano a niente nel diventare una cosa sola, stando in completo contatto.

Invece quella mattina lui era rimasto molto concentrato. Più che su di lei, sulla posizione dei loro corpi, su cosa fare e quando farlo. Era riuscito molto bene nel suo intento, ma... Non era così che lei voleva fare l'amore con lui. Quelle erano situazioni che potevano riproporre tra loro tra qualche tempo, qualche volta.

Guardò la porta del bagno.

Non voleva scontentarlo, ma ci teneva a fargli capire quanto avesse apprezzato le loro esperienze precedenti. Lei non aveva bisogno di sforzidi grandi tecniche. Trovava importante avere l'abbandono di lui, tutta la sua testa, senza immaginare nemmeno per un istante che Gen stesse consciamente usando arti che aveva imparato con altre persone.

Voleva averlo tutto per sé. Voleva essere speciale e unica ai suoi occhi, in ogni modo.

La porta del bagno si aprì. Gen uscì con un asciugamano in testa. «Anche oggi i miei capelli hanno un profumo da donna.»

La connessione la intenerì. Avere qualcosa di suo su di lui. «La prossima volta posso comprare uno shampoo da uomo.» Si bloccò.

Aveva appena detto che gli avrebbe preso qualcosa da tenere nel suo appartamento, di fatto legandolo a quella casa.

Lui non comprese i suoi dubbi. «Prendo io lo shampoo. Se c'è un buco in quell'armadio, ti lascio un cambio di emergenza, così posso venire a passare la notte qui senza troppi piani.»

Lei si alleggerì di un peso. «Pensavo che... Di solito a un ragazzo non piace quando lei cerca di parlare di cose come spazzolini, o vestiti da tenere in casa...» Gli uomini si sentivano ingabbiati.

Strofinando la testa umida con l'asciugamano, Gen rise. «Tu guardi troppi drama.»

Eh no, non era così ingenua. Quelli non erano concetti che esistevano solo negli sceneggiati. «Tu non ti sei mai sentito così?»

Gen prese la domanda sul serio. «Sì. Ma questa volta ho chiesto io un posto nell'armadio.» Si avvicinò e la baciò velocemente sulla bocca. «Se cominci a sentirti intrappolata, dimmelo.»

Felice, lei si allungò a prendergli il phon. «Ecco.»

«Grazie.» Lui fece per tornare in bagno, poi si fermò. «Ascolta... hai tempo prima di pranzo?»

Naturalmente sì, quella giornata era dedicata a lui. «Per cosa?»

«Vorrei andare al cimitero, a trovare mio padre.»

Makoto lo guardò negli occhi. Gen abbassò i suoi verso il pavimento. «Ho pensato... Voglio andarci oggi, prima di tornare a casa. Con te, se non è una cosa pesante.»

«Certo» disse lei. Aspettò di vederlo alzare la testa per sorridere. «Vengo sicuramente.»

Sollevato e ancora incerto, Gen si diresse verso il bagno. «Asciugo i capelli.»

Lei annuì e lo lasciò andare via.

  

«L'anno scorso ho ricevuto una moto per il mio compleanno» le raccontò Gen, in macchina. «Era da parte di entrambi i miei genitori, ma era mio padre a sapere quanto ci tenessi. Stavo risparmiando per comprarla. Lui mi aveva detto che dovevo farcela da solo. Poi quella mattina mi porta sulla strada fuori casa, mi dà delle chiavi in mano e mi indica la moto. Pensavo che stesse scherzando. Mi sono sentito... Come un bambino, credo. Sai, quando sei ancora sicuro che possono arrivare sorprese enormi che non ti aspetti? Man mano che passano gli anni, ti rendi conto che devi lavorare per ottenere quello che desideri, però, a volte, chi ti vuole bene riesce a farti ricordare il passato.»

Makoto annuì. Le si spezzò cuore pensando che lui aveva dovuto vendere quella moto pochi mesi dopo, per racimolare il denaro necessario per mantenere la propria famiglia. Ma a Gen non sembrava importare. Di prezioso gli era rimasto quel ricordo. Lui sorrideva pensandoci, guardando oltre il parabrezza.

«I miei hanno litigato a marzo. Erano in una fase di stagna: mia madre si lamentava che non uscivano mai, perché mio padre era sempre stanco per fare tutto quando tornava dal lavoro... Era vero, a volte lui era in coma e trovava le energie solo per mettersi davanti alla tv. Ha lavorato tanto per finire di pagare la casa. Mi ricordo di quanto i miei genitori fossero tesi allora e poi di come abbiano fatto pace. Non so in che modo.» Rise. «A partire da aprile, papà ha rallentato il ritmo. Si è preso più giorni liberi. A giugno lui e mia madre hanno fatto una vacanza di due settimane. Io sono rimasto a casa a occuparmi di Shori e Miki. Mi sentivo così adulto e responsabile.»  Il suo nuovo sorriso fu amaro, ironico.

Gen divenne quieto. «Gli ultimi mesi sono stati buoni per papà.» Si immise nella strada di ingresso al parcheggio del cimitero.

Makoto non disse niente quando trovarono posto e iniziarono a scendere calmi, senza fretta.

Fece il giro del furgone. Gen l'aveva aspettata per cominciare ad avanzare.

«Tornerò questa domenica» continuò lui. «Con mamma, Shori e Miki. Ma prima volevo...»

«Oggi è una giornata speciale.»

Gen annuì. La guardò e si accese un poco. «Tante cose sono cambiate nella mia vita.» La prese per mano. «Volevo che lui vedesse la più importante.»

Le indicò con la testa la direzione su cui incamminarsi e Makoto lo seguì.

Il cimitero era un posto vasto, sobrio e calmo. Era simile - pensò lei - al luogo in cui erano stati seppelliti simbolicamente i suoi genitori, nella prefettura in cui avevano vissuto insieme. Sua nonna riposava in un cimitero più piccolo invece, proprio lì a Tokyo.

Makoto non andava spesso a trovarla. Davanti alla lapide il vuoto che aveva sentito era stato feroce in passato, ma a nonna Junko era sempre piaciuto vederla sorridente. Makoto pensava a lei quando le cose andavano bene; le sembrava il modo più giusto per ricordarla e onorarla.

Le mancavano i suoi genitori. Nonostante tutti gli anni che erano passati, la loro morte non era ancora un evento chiuso nella sua testa. Forse perché non c'era stato un saluto, né un'avvisaglia di quello che sarebbe successo - un orribile incidente aereo. Ricordava i loro abbracci, quando poteva. Sempre più spesso immaginava di poter tornare indietro e dire loro addio, per fissarsi in testa i loro volti mentre le trasmettevano con una sola espressione quello che avevano provato per lei in dieci anni di vita.

Con Gen camminarono lungo stradine ordinate, su un percorso che lui conosceva a memoria.

«Ecco» disse infine lui, lasciandola andare e ponendosi in piedi da solo davanti a una lapide circondata da piccoli fiori colorati. La contemplò.

Makoto rimase indietro, a leggere la scritta. 

Akito Masashi

Data di nascita e di morte. Poche cifre che racchiudevano una vita colma di esperienze: amori, dolori, errori, vittorie, impegno, lavoro. L'intera esistenza di una persona che era riuscita a circondarsi di una famiglia.

Padre e marito amato

Fece un passo verso Gen e lui incrociò il braccio col suo, senza chiudere la stretta. Lei gli sfiorò le dita.

«Makoto» mormorò lui. Non si era rivolto a lei, stava facendo un discorso silenzioso.

Makoto lo sentì emettere un sospiro debole e adagiò la testa contro la sua spalla, accarezzandogli il braccio con entrambe le mani. Lui piegò la faccia verso i suoi capelli.

Lei non lo sentì piangere, ma seppe che lui lo stava facendo, che stava ricordando e sentendo, ancora una volta, il dolore per tutto quello che non avrebbe mai più vissuto con suo padre.

In piedi su quel prato, lei lo accompagnò nella sua sofferenza.

    


    

Di pomeriggio Makoto si ritrovò da sola, con una nuova piccola torta già preparata e Gen che era tornato a casa a festeggiare con la sua famiglia.

Era giusta la breve separazione, per poi rivedersi solo quella sera. Nemmeno Gen aveva capito di aver bisogno di un po' di spazio, ma Makoto lo aveva intuito al posto suo: lui aveva già fatto molto nel soffrire con lei per una perdita tanto personale.

Prese il comunicatore Sailor. Aveva voglia di parlare con... «Usagi?»

Il volto di lei apparve sul piccolo schermo. «Mako-chan! Come stai?»

Era contenta di non averla allarmata. «Scusa se sto usando il comunicatore per chiamarti, ma...»

«Figurati! Sono utili, no? Poi non mi avresti trovata in casa. Sono in giro a fare shopping!»

Oh. «Dove?»

«Qui a Juuban! Vuoi raggiungermi? Mi sto prendendo una fetta di torta al Crown.»

Non avrebbe potuto chiedere di meglio. «Sarò lì tra poco.»

«Magnifico, ti aspetto!»

    

Entrando nel locale, Makoto avvistò Usagi ed ebbe la sensazione di vedere al contempo la ragazza che conosceva e una persona nuova. Usagi Tsukino sorseggiava un frappé da una cannuccia - un gesto usuale per lei - ma guardava fuori dalla finestra, assorta e grave in volto. Aveva preoccupazioni ed esperienze che non poteva più permettersi di dimenticare.

Era passato tanto tempo da quando erano venute per la prima volta in quel posto, entrambe ragazzine delle medie oppresse da un destino più grande di loro, ma ancora spensierate.

«Usagi-chan.»

Lei la vide e si illuminò. «Makoto!» Balzò in avanti. «Che bello che tu sia qui!»

Usagi la faceva sempre sentire come se fosse un regalo alla sua giornata. «Siamo fortunate ad essere entrambe libere oggi.»

«Eh, già.» Usagi si sedette al suo fianco.. «Uno penserebbe che durante le vacanze ci sia solo tempo libero, ma Rei si sta buttando sullo studio per l'esame di ammissione, Minako è in giro a diventare una stella ed Ami... hai sentito? È in Italia

Quello sì che si chiamava un uso intelligente dei loro poteri sovrannaturali.

Usagi sospirò. «Peccato che Mamo-chan stia già lavorando, altrimenti tutti insieme avremmo potuto... Sai, nascosti in un angoletto del bosco Hikawa» si avvicinò fino a sussurrare, «noi trasformate in guerriere Sailor e pam! Teletrasporto! Ci saremmo trovati tutti nel posto dei nostri sogni.»

Makoto sorrise. «Non saremmo stati d'accordo su un solo luogo.»

«Hai ragione. Io in questi giorni ho voglia di spiaggia!»

Usagi era senza dubbio una creatura estiva. «A me invece non sarebbe dispiaciuta una baita in montagna. Magari in Europa...» Tra alte vette innevate, al caldo davanti a un camino...

Usagi rilasciò un sospiro felice. «È così bello sognare, ma soprattutto sapere di poter rendere quei sogni realtà.» Riflettendoci, lei si intristì.

«Cosa c'è che non va? Il tuo matrimonio?»

Usagi glielo confermò con un cenno della testa. «Non è una felicità completa finché sono costretta a nasconderla. Sabato ne parlerò a mamma e papà. So già che mio padre non reagirà bene, ma anche mamma ha cominciato a farmi strani discorsi... Mi ha parlato dell'importanza di aspettare e darsi tempo quando una coppia è giovane.»

Era naturale. «Non scoppieranno di felicità all'annuncio, Usagi, ma è meglio che lo sappiano comunque. Come mai state aspettando per dirglielo?»

«Mamo-chan non riesce a tornare a casa a un'ora decente in questa settimana. Lo stanno uccidendo di lavoro.»

Giusto. E, se ricordava bene, in quell'ufficio Mamoru aveva già ottenuto tutta la comprensione possibile nell'ultima settimana di dicembre - durante le battaglie - con assenze o uscite anticipate. Non c'erano alternative, dunque. «Rei mi ha detto che cenerete a casa dei tuoi sabato.»

«La sera della verità» annuì Usagi. «Mi innervosisce non poter dire niente prima. Devo stare attenta a togliere e a rimettere l'anello.» Ci giocò in quel momento, accarezzando i due piccoli diamanti. «Inoltre... Mi sembra di avere dentro questa cascata di felicità da tenere bloccata a tutti i costi. Oggi ho provato a sfogarmi con gli acquisti.»

Giusto, Makoto aveva visto i sacchetti. «Che cosa hai comprato?»

Usagi li aprì senza entusiasmo. «Cose carine, ma non speciali.» Le mostrò una camicia bianca, con un bello scollo a V, decorata con un filo rosa sul colletto. «Poi c'è questa gonnellina.» Era un capo bordeaux, la tinta unita e scura inusuale per Usagi.

«Hai bisogno di idee?» tentò Makoto. Provò a darle la sua. «Io stavo pensando di andare...» si guardò attorno, controllando che fossero sole, «ehm, in un negozio di biancheria intima.»

Usagi spalancò gli occhi. «Oh, ah! Aspetta! Dov'è Gen?»

«Ehm...» Naturalmente era stata individuata subito la ragione della sua idea.

«Voglio dire, perché non sei con lui? Oggi non è il suo compleanno?»

«Sì, siamo già stati insieme questa mattina. Adesso Gen è con la sua famiglia, ci rivedremo questa sera. Ceniamo fuori.»

Usagi rilasciò un sospiro. «Per fortuna! Pensavo che aveste litigato.»

Davano quell'impressione?

Usagi sbatté una mano in aria. «Nahh, sono io che di solito mi innervosisco in queste occasioni! Sai che non do mai il tormento a Mamo-chan, ma quando arriva il mio compleanno...»

Sì, lo sapeva. Usagi tendeva a crearsi molte aspettative, ma soprattutto a pretendere che Mamoru le indovinasse tutte.

Makoto sorrise. «Va tutto bene tra me e Gen. Solo che...»

Usagi si sporse verso di lei. «Solo che, cosa?»

Usagi sarebbe stata la voce dell'esperienza. «Ecco, ti è mai capitato che Mamoru...» No, non voleva immaginare lui, solo attingere dalla conoscenza di Usagi in fatto di relazioni. «Ti sei mai sentita come se voi due aveste vissuto insieme una cosa bella ma che ti ha lasciata... stranita?»

Serafica, Usagi sbatté le palpebre, in attesa di sentirla elaborare.

Makoto si rannicchiò nelle spalle, imbarazzata. «Mi riferisco a una cosa.... sessuale.»

Usagi spalancò la bocca, incredula.

Ehi, stava ridendo di lei!

«No, no! Non rido perché...» Usagi si fece ancora più vicina. «Wow. Così presto?»

Makoto ebbe l'impressione che si fossero comprese benissimo sull'argomento. «Già.»

«Per forza. Gen saprà tante di quelle cose...»

Era stata Usagi a chiedergli assieme a Rei quante ragazze lui avesse avuto in passato, durante una specie di terzo grado che Gen aveva accettato solo perché aveva fatto a sua volta domande sulla loro condizione di Sailor.

Usagi rimuginò. «Ma cosa ti ha fatto?»

Makoto combatté con tutte le proprie forze per frenare il rossore. «Non è... cioè, tutti e due... Era solo una posizione strana.»

«Da dietro?»

Non avrebbe mai immaginato Usagi tanto diretta su certe questioni. «Veramente...»

«La prima volta che Mamo-chan l'ha fatto, non sapevo cosa pensare. Perché era stato quasi impersonale, però-»

Sì! «Impersonale! Come se fossimo più due corpi invece che io e lui.» Ma come stava parlando?

«Ma certo.» Usagi era comprensiva. «Però, allo stesso tempo, è stato più intenso di tutte le volte precedenti, no?»

Lei non voleva pensarla così. «Intenso come sensazioni, ma come sentimenti...»

«Sei solo confusa, Mako-chan. Quando non lo guardi negli occhi, non sai cosa sta pensando lui e sei sola con te stessa. Per questo le sensazioni sono più forti: niente ti distrae. Se non lo conosci ancora bene, può sembrarti che sia solo un esercizio fisico, però... Mamo-chan mi ha detto che era come un regalo, per la fiducia che gli stavo dando. Quindi per lui c'era ancora più emozione.»

Sorpresa, Makoto valutò la nuova prospettiva.

«Ma se Gen avesse aspettato qualche altra settimana» continuò Usagi, «tu non ci staresti pensando tanto. Almeno ne è valsa la pena?»

Per il modo in cui sorrideva, Usagi sembrava già conoscere la risposta.

Makoto sentì un gran caldo al viso. «Sì, anche se non è stato... da dietro.»

«Oh. Cioè?»

Sotto la linea del tavolo, Makoto usò le dita di due mani per dimostrare.

Usagi si era sporta in avanti. «Ah, sì! Lo abbiamo fatto!»

Makoto avvampò. Dubitava che in due anni e mezzo ci fosse qualcosa che Usagi e Mamoru non avessero fatto insieme.

«In quella posizione c'è molta pressione su...» Usagi smise di parlare e rise. «Dài, ti prendo in giro! Non scenderò così nel dettaglio. Comunque non fare quella faccia: ormai sei entrata anche tu nel club di noi pervertite. Manca Minako, poi devo solo convincere Ami a lasciarsi andare e...»

Il capo di quel club sembrava proprio Usagi.

Usagi le sparò con una mano, imitando la loro amica venusiana. «Ehi, è stata tua l'idea del negozio di biancheria intima! Ed è ottima! Ecco dove posso prendere qualcosa di speciale! Magari proprio per il matrimonio.» Occhieggiò le proprie buste. «Hai fame?»

«No, ma...»

«Allora andiamo! Ti offro qualcosa per strada, ho deciso cosa voglio prendere!»

Ridendo, Makoto si ritrovò trascinata fuori dal Crown.

    

Era entrata una sola volta in quel negozio. L'aspetto sofisticato le aveva fatto pensare a prezzi elevati, ma soprattutto a uno stile lontano da lei: in passato non le erano serviti capi sensuali, fatti per attirare l'attenzione. Solo di recente aveva provato qualche acquisto azzardato in fatto di biancheria, una scelta vincente: almeno aveva avuto qualcosa da indossare durante la sua prima notte con Gen.

Oltrepassò le porte, curiosa, ammaliata dai colori tenui e dalla disposizione ordinata degli indumenti. Ogni modello aveva il suo stand e perciò risultava ancora più prezioso alla vista. Provò a guardare qualche etichetta, controllando le taglie. Le sue speranze si infransero contro un muro di delusione. Si era dimenticata del suo solito problema: non era semplice trovare biancheria intima della sua misura.

«Coppa D?» La commessa fece una smorfia davanti alla domanda. «Non abbiamo molto qua fuori, ma forse in magazzino...»

Quasi sicuramente neanche in retrobottega avevano qualcosa, ma Makoto volle tentare comunque. «Se potesse aiutarmi...»

«Vedo cosa posso fare.» Solerte, l'addetta al negozio sparì.

Makoto si unì a Usagi. Deliziata, lei toccava tutti i modelli; poteva permettersi di indossarli.

«Ah!» Usagi teneva tra le mani un reggiseno di pizzo azzurro. «Com'è carino questo!»

«Sicuramente ti sta.» Makoto era invidiosa.

Usagi notò il suo sospiro. «Come mai questa voce?»

«Scusami, è solo che... mi piace tutto, ma non mi entra quasi niente. La commessa è andata a vedere se trova qualcosa per me.»

«Ohhh.» La delusione di Usagi fu quasi pari alla sua. Poi le guardò il seno. «Be', pensandoci, non è facile compatirti.»

Makoto si imbronciò. «Non ha senso che sia bello se non posso vestirlo bene.»

«Su, ogni donna ha qualcosa per cui soffrire! A me stanno tutti questi» Usagi le indicò con la mano larga ogni reggiseno del negozio, «ma continuo a desiderare che mangiando mi cresca la ciccia sul petto. Poi ci sei tu che non hai bisogno di altro volume, ma desideri ardentemente modelli che ti donino e che non trovi.» Usagi si accese come una lampadina. «Chiama Ami!»

«Eh?»

«All'estero la tua taglia non è più comune? Chiedile di prenderti qualcosa come souvenir!»

Oh. Magari non come souvenir, ma se avesse detto ad Ami che le rimborsava la spesa... Già, l'idea di Usagi era geniale. «Hai ragione!» Lo avrebbe fatto una volta tornata a casa.

Usagi stava già pensando ad altro. «Hai visto se c'è una parte dedicata ai corredi da sposa?»

Le sembrava di aver visto molto bianco su una parete. «Là sul retro.»

Usagi sgusciò via proprio mentre tornava la commessa. 

«È il suo giorno fortunato!»

Makoto non credette alle proprie orecchie. «Davvero?»

La signorina annuì. «La nostra nuova manager ha deciso di variare il campionario. Ha la sua stessa taglia, sa? Ha pensato di specializzare il nostro negozio offrendo una maggiore varietà nella dimensione delle coppe.»

Oh! Se le avesse fatto vedere qualcosa che non fosse di cotone e a tinta unita, avrebbe fatto di lei una loro cliente per la vita! 

La commessa la condusse al bancone. «Sono solo una decina di modelli, ma spero che siano di suo gusto.»

Per Makoto dieci era come dire mille.

Quando avvistò il modello in seta nera con fili d'argento, seppe di aver trovato quello che faceva al caso suo.

         

«È proprio bello» Usagi guardava con aria sognante il suo sacchetto chiuso.

«Lo so.» Raramente Makoto era stata tanto soddisfatta di un acquisto. «Anche il completino che hai preso tu è bellissimo.»

«È solo il primo di una lunga serie.» Usagi sollevò il pugno in aria, poi si sgonfiò come un palloncino. La sua andatura perse la cadenza del salto e Makoto seppe che stava per sentire qualcosa di serio da lei.

«Tutti i soldi che ho vengono da qualcun altro, sai?» Usagi guardò mesta il marciapiede. «Se li finisco, l'unica scelta che ho è chiederne altri. Non li ho guadagnati.»

Era normale, lei era ancora giovane.

«Mi sto per sposare, Mako-chan. Dovrei essere in grado di mantenermi da sola almeno per le piccole spese.»

 Questo era vero. «Stai pensando di trovare un lavoro?»

«Luna dice che non è una buona idea adesso. Sarò impegnata a organizzare il matrimonio, però...» Usagi scosse la testa. «Non lo so, ci devo pensare. Mi sembra importante cambiare la mia situazione.»

«Quando andrai all'università, avrai più tempo.»

«Hai ragione.»

Makoto ebbe voglia di abbracciarla. «Sei matura già nel capire l'importanza di lavorare.»

«Ma è giusto che stia pensando solo a me stessa? Dopo tutto quello che è successo?»

Aveva davanti una futura regina ora. «Hai sacrificato tanto. Hai bisogno di riconquistare un po' di serenità.» Le massaggiò la schiena. «Non c'è qualcosa che adesso tu possa fare per il mondo, perciò non c'è niente di male se pensi a rilassarti e al matrimonio che sogni da sempre.» Guardò Usagi negli occhi e per un momento, ancora una volta, non le parve vero. «Usagi-chan. Stai per sposarti.»

Riaccese la gioia di lei. «Ti ricordi?» Usagi tremò col sorriso. «Quella volta abbiamo comprato una rivista per spose; abbiamo commentato le pagine tutto il pomeriggio!»

Makoto aveva in mente quella giornata lontana come se fosse ieri. «Adesso per te è un desiderio che sta diventando realtà.» Chiuse Usagi in un abbraccio forte. «Te lo meriti. Tra qualche giorno penserai al resto, ma per ora... permettiti di essere felice.»

«Non farmi piangere!»

Si staccarono ridendo, con Usagi commossa. «Non voglio essere la sola che sta bene! Ci ho pensato e ho capito meglio cosa volevi dirmi prima.»

Oh? Si riferiva al discorso a...?

«Imponiti, Mako-chan!»

«Eh?»

«Scommetto che stai cercando di essere tanto dolce e carina con Gen. È il tuo solito blocco, ma tu sei più di questo! Non frenarti, mostrati come sei. Vedrai che così ti sentirai padrona della situazione. Farai cose ancora più perverse senza vergognartene!»

Makoto controllò disperata i loro dintorni. «Shh!»

Usagi ridacchiò. «Mi ascolterai?»

«Ah...» Se l'aveva capita bene, sì, ma... «Non è che mi freni di proposito.»

«Certo, certo. Lui ha più esperienza, ma tu hai forza di volontà. Inoltre, ora sai quanto possa essere piacevole essere sopraffatta dalle sensazioni. Fallo a lui.»

Makoto ebbe un ricordo e si leccò un labbro. «In realtà...»

Usagi spalancò gli occhi. «Lo hai già fatto?»

Be', sì. «Durante la prima notte.»

La risatina di Usagi fu deliziosa. «Ti ho sottovalutata!»

Nelle vene Makoto sentì scorrere una sensazione di potenza quasi dimenticata. «Hai ragione. Ascolterò il tuo consiglio.»

«Ascolta solo la tua natura. Stanotte vinceranno le donne!»

Makoto preferì non chiederle cosa volesse dire. Rise e continuò la sua passeggiata con lei.

     


      

Rivedendo Makoto quella sera, Gen rimase senza parole. Sotto il capotto nero, che sottolineava la vita, non vedeva niente del corpo di lei, ma nella luce della sera risaltava il rossetto rosso che Makoto aveva messo sulle labbra. Lei aveva sciolto i capelli e i suoi occhi verdi sembravano più accesi e brillanti circondati com'erano di scuro.

Quando fu a pochi centimetri da lui, Gen si aspettò di vederla arrossire e abbassare lo sguardo, ma Makoto lo fissò in aperta contemplazione. Gli mise una mano sulla spalla e lo fece chinare, per baciarlo su una guancia. Il colore della sua bocca sottolineò il suo sorriso. «Ho portato una cosa» gli sussurrò.

Lui non smise di guardarla in faccia. 

Lei gli mise davanti agli occhi un piccolo panno. Glielo appoggiò sulla guancia, strofinando piano la superficie umida contro la sua pelle.

«Per pulirti quando servirà.» Makoto tirò fuori anche un piccolo tubo decorato, il rossetto incriminato. «Questo invece è per sporcarti.»

Gen si fece rigido nei lombi. «Ah-ha.»

Makoto sorrise, tornando se stessa. «Dove andiamo?»

«Di sopra?»

Lei scosse la testa. «Dopo.» Sollevando le braccia, gli fece vedere i sacchetti di carta voluminosi che lui non aveva neanche notato.

«Qui ci sono il tuo regalo e la nostra torta. Andiamo a scartarli in un ristorante.»

Infatti lui ne aveva scelto uno, ma in quel momento... Chiuse gli occhi e provò a far funzionare il cervello. «Va bene, andiamo.»

Mentre si voltava per fare il giro del furgone, Makoto lo afferrò per un braccio. «Ti ho colpito?»

Lui adorò quella domanda. «Sì.» Si chinò per avere un bacio, ma Makoto si ritrasse.

«Pazienza.» Lei risplendeva. «Sarà tutto migliore con un po' di attesa.»

Incredulo, Gen le aprì la portiera. Makoto stava cercando di... conquistarlo.

Cercando di non farsi vedere, sorrise felice mentre si dirigeva dalla propria parte della macchina.

    

«Sei tu a tuo agio qui» le disse, seduti al tavolo del ristorante. Era un posto tranquillo, che fino a quella sera lui aveva visto solo dall'esterno. L'atmosfera del luogo gli era parsa giusta quando un pomeriggio, fermo a un semaforo, aveva visto due tavoli dalle finestre, entrambi occupati da coppie diverse in età e aspetto, simili solo nell'atteggiamento casuale con cui si concentravano sul partner che avevano davanti. Un posto per coppie, aveva pensato, e gli era venuta subito in mente Makoto.

Aveva provato a descriverle sommariamente il tipo di ristorante. Lei ora si adattava al luogo meravigliosamente con il vestito semplice, nero, che le avvolgeva il corpo.

«Sembra che sia a mio agio?» ripeté Makoto, tagliando con delicatezza la carne sul piatto. «Mi piace sentirmi diversa a volte.»

Più che diversa, lei gli sembrava solo nuova. Ogni volta che credeva di averla capita, e di essere contento di quello che aveva trovato, veniva sorpreso con la visione di un altro lato di lei che ancora non comprendeva.

La luce negli occhi di Makoto non era cambiata. «Non sembra che io stia recitando?»

Gli piaceva sedare quell'insicurezza. «No.»

«Non ho avuto molto a che fare col mondo degli adulti... Ma poi penso, 'Sono adulta anche io ormai'. Quindi oggi ho voluto mettermi queste cose che mi fanno sentire... come sono quando mi trovo con te. Grande.»

Lui si riempì. Di cosa non lo seppe, ma 'amore' era una parola troppo blanda. «Lo sei.»

Makoto sorrise. «Lo vedo quando mi guardi.»

Lei passava dall'incertezza a un tono da seduttrice nata che gli stava facendo venire voglia di chiedere velocemente il conto.

Guardò il proprio piatto mezzo pieno e si affrettò a terminare di mangiare.

«Oggi mi sono vista con Usagi.»

La ascoltò. 

Makoto rifletté tra sé. «Lei sta cercando di pensare ai problemi di tutti i giorni, al suo matrimonio... Ma si sente in colpa per non preoccuparsi di cose più serie.» Makoto sapeva già che i tavoli accanto a loro erano occupati, perciò non entrò nei dettagli. «Mi ha fatto pensare. Forse c'è qualcosa di sbagliato nel modo in cui voglio affrontare i prossimi tre anni della mia vita.»

Gen la fissò.

«Aprirò la pasticceria» gli confermò Makoto. «Ma non so ancora di preciso cos'altro fare per prepararmi a quello che verrà dopo. Non vorrei continuare ad agire come se, dimenticandomene, sarà tutto a posto alla fine.»

Non c'era un commento che lui avesse da offrire su quella faccenda.

Makoto studiava la sua reazione. «Non ne parlerò molto con te in futuro. So che...»

«Non hai bisogno di evitarlo.» Lui non era così debole.

Makoto comprese la sua disposizione sull'argomento. «Ci penserò ogni tanto. A volte vorrò parlarne. Siccome non avrò il ruolo di Usagi e non ho capacità di comando come Rei, o l'intelligenza di Ami... non sarà una cosa che entrerà tanto nella mia vita. Non ho neanche la presenza di Minako, perciò... dovrò trovare un mio posto all'interno di questo futuro. Questo non cambierà la mia esistenza di tutti i giorni, per adesso. Forse sarò solo una ragazza che comincerà a leggere molte riviste e a guardare programmi politici noiosi e complicati.»

«Posso subire questa tortura con te.»

«Avrò paura di opprimerti, Gen. Ma mi sembrava giusto parlarne, almeno una volta.»

Se serviva a tranquillizzarla, lei aveva fatto bene. «Non mi sottovalutare.»

«Non è così.» Makoto scosse la testa. «È solo una cosa che volevo dire. Io sarò anche tutto questo in futuro, nel bene e nel male.»

«Nel bene» precisò lui.

Lei fu felice. «E tu? Stai finendo il terzo anno. Comincerai a cercare un lavoro nel tuo campo?»

Makoto stava cambiando argomento. Gen lo accettò. «Col rimborso dell'assicurazione la mia famiglia è al sicuro ora. Ma c'è la ditta di mio padre. Ci sono Watanabe, Sato e Nakamura. Devo trovare qualcuno che mi rimpiazzi nel gestirli.» Il pensiero non era piacevole come aveva pensato un tempo.

«Ti sei affezionato al lavoro? A loro?»

«Li conosco da una vita. È strana l'idea di lasciar andare... questo.» Un altro pezzo di suo padre, la ditta che lui aveva tirato su dal nulla e gestito per vent'anni.

«Datti tempo.»

Sì, aveva bisogno di capire cos'era meglio fare. Voleva sentire di prendere la decisione giusta per le persone di cui si era reso direttamente responsabile. «Devo pensare a loro.»

Makoto si incuriosì. «A loro tre va bene? Non ti hanno mai visto come un bambino? In questi ultimi mesi, voglio dire.»

No. «È successo in fretta. Sono andato a sostituire mio padre quattro giorni dopo che lui se n'era andato. Non c'era nessuno che sapesse posare un parquet e io avevo bisogno di qualcosa da fare. Loro, di qualcuno che li guidasse. Andava bene chiunque a quel punto: mio padre non era solo il loro datore di lavoro, erano amici da anni. Serviva normalità. Senza parlarne, ho presto il suo posto e abbiamo provato ad andare avanti come se nulla fosse cambiato.» Loro lo avevano sostenuto, senza saperlo.

«Sei stato molto bravo.»

Avrebbe dovuto suonargli banale come complimento, ma gli sembrò di sentirlo dire da un'altra voce - maschile e più adulta - e si ritrovò con un groppo duro alla gola.

Addolorata, Makoto cercò il suo sguardo. Lo incrociò e provò a sorridere. «Ho un negligée sotto il vestito.»

Gli sfuggì una risata incredula. «Cosa?»

Lei arrossì. «Non so se si chiama così perché è corto, comunque... l'ho comprato oggi. L'ho indossato.»

I pensieri di Gen virarono in una direzione completamente nuova. «Ah-ha.»

Makoto afferrò la confezione in cui aveva chiuso il suo regalo, usandola per coprirsi il petto. «Prima devi aprire questo. E dobbiamo mangiare la torta.»

«Non sto dicendo niente» sorrise lui.

Lei era divertita. «Non hai bisogno di farlo.» Appoggiò il regalo sul tavolo. «Spero che ti piaccia. Ma se ho sbagliato, la prossima volta farò meglio.»

«Non hai sbagliato.»

«Come fai a saperlo?»

«Quel regalo fa il rumore di matite che sbattono l'una contro l'altra. A meno che non sia un set per colorare...»

Lei si disperò. «Non è giusto! Hai già capito!»

Non era un problema. «Farò la faccia sorpresa quando lo apro. Tu tieni pronta una di quelle salviette, dovrai pulirmi la bocca. Non sto bene col rossetto.»

Makoto ridacchiò e lui fu contento. Quello era davvero uno dei migliori compleanni che avesse mai trascorso.

Non avrebbe potuto chiedere nulla di meglio.

     

Nella strada verso casa, con Makoto fecero un gioco: sulla bocca non erano permessi baci, solo sfioramenti e respiri. Il collo invece era territorio libero. Fuori dalla porta di lei, Gen le massaggiò la base della nuca con le dita, solleticando con le labbra la pelle sotto il suo orecchio. «Perché non apri la porta?»

Makoto non stava girando la chiave. «Mi distrai.»

Lui rinnovò i propri sforzi.

Lei riprese il controllo della mano e fece scattare la serratura. Entrando in casa, lo tenne lontano con le dita aperte sul petto, accendendo la luce. Si sfilò il cappotto, appendendolo veloce alla parete. Non smetteva di guardarlo e di sorridere mentre toglieva le scarpe coi tacchi, perdendo quei pochi centimetri che l'avevano resa ancora più accessibile per lui.

Gen tolse a sua volta la giacca e si liberò dei mocassini in cuoio. L'attesa era migliore quando stava per essere annullata.

Avanzò mentre Makoto indietreggiava.

«Fino a dove scapperai?» le domandò.

Lei scrollò le spalle. Rise nell'abbraccio con cui lui la prese e il bacio che seguì... Gen si sporcò di rosso tutta la faccia, volentieri. La cosa che lo eccitò di più non fu il sapore, ma i suoni che fece Makoto - respiri spezzati, gemiti sommessi che trasmettevano tutto il desiderio di lei. Il suo corpo era morbido, perfetto contro di lui. Si focalizzò sulle gambe di lei - che non aveva mai dimenticato - e con due mani cercò l'orlo della sua gonna, sollevandolo piano, accarezzando la carne nella salita.

Makoto si allontanò di nuovo, con una macchia di colore sbiadita sulla bocca.

Sfatta di passione, lei era tremendamente bella.

Camminando all'indietro Makoto salì sul letto e lo invitò ad avvicinarsi. Lui non se lo fece ripetere due volte e la raggiunse.

«Usa solo le mani» gli disse lei.

Un piccolo ordine che lo infiammò ancora di più.

Acconsentendo a tenersi distante, riportò le dita sulle sue gambe, tirando su la gonna, lentamente. Voleva godersi il momento.

Gli venne un infarto alla vista delle autoreggenti. Makoto si frenò dal dire qualcosa - una giustificazione, forse. Ma quelle erano calze normali e lui non avrebbe mai pensato che finissero sotto la coscia, dove erano la cosa più sexy ed eccitante che... Cambiò idea quando le alzò il vestito oltre la vita, scoprendo degli slip di seta neri, con un piccolo gioiello sul ventre. Il tessuto era identico sul negligée che dal petto si apriva a metà sul suo stomaco, in due lembi volanti.

Makoto terminò di spogliarsi da sola, sostituendosi alle mani che lui aveva lasciato ferme sulla sua vita. Accettò una carezza sul ventre, rimanendo ferma.

Travoltò, Gen provò a farla sdraiare, ma lei si oppose. «No.» Premette sulle sue spalle e li tenne entrambi dritti. «Prina togliti i vestiti.»

Lui si liberò di camicia, cintura, pantaloni e calze in un tempo inferiore ai sette secondi.

Makoto rise di gusto. «Così va meglio.» Aprì le braccia e lo accolse. Sul letto ribaltò la loro posizione e gli cadde sopra.

Lui respirò l'odore dei suoi capelli. «Sei così buona.»

«... come persona?»

«Buona da mangiare.»

Makoto rise e si sollevò su di lui, seduta. Allungandosi di lato, accese la lampada e spense la luce sul soffitto.

Gen le accarezzò il ventre; l'ombelico era incorniciato da quel meraviglioso indumento aperto agganciato alle spalle da due fili neri, i seni sostenuti da un reggipetto nero. Makoto portò un braccio dietro la schiena e fece saltare il gancio. «Con questo negligée bisognerebbe dormire» mormorò, abbassando delicatamente le spalline del reggiseno, facendo attenzione a non lasciar scendere la camiciola. «Ma non potevo andare in giro senza niente sotto.»

Il pensiero di lei seminuda gli tolse il fiato. La afferrò forte sui fianchi mentre Makoto si gettava alle spalle il reggiseno scuro. Lei si abbassò e i suoi seni liberi lo sfiorarono sul petto. Solo quel che le rimaneva addosso del negligée separava le loro carni. 

Makoto gli passò le dita tra i capelli. Sospirò mentre le mani di lui la percorrevano lungo il torso, salendo. «Aiutami a togliere le calze.» Seduta su di lui, portò le gambe verso le sue spalle, appoggiandosi con tutto il peso del bacino proprio sul suo basso ventre.

Lei notò la sua reazione. «È piacevole?» Dondolò coi fianchi sul rigonfiamento di lui.

Per Gen parlò la bocca aperta.

Senza dire niente, lei portò le mani alla fascia scura della calza sulla gamba destra; cominciò a srotolarla verso il ginocchio.

Lui la aiutò con l'altra gamba, passandole le mani sulla coscia, scendendo sul polpaccio. A piede libero le massaggiò la pianta col pollice, causandole un sorriso.

«Soffri il solletico?» le domandò.

Ricordò l'ultima volta che l'aveva toccata in quel modo, per guarirle la ferita causata da un coccio di ceramica.

«Non lì.» Makoto ritrasse la gamba e si sollevò in ginocchio su di lui. Per la prima volta, sembrò incerta. «Voglio fare una cosa.»

Gen teneva le dita sull'elastico dei suoi slip. Lei poteva pretendere il mondo in quel momento. «Cosa?»

«Questa volta voglio essere io quella che si muove.»

Se l'aveva capita bene, l'idea era geniale. «Certo.»

«Guidami, ma con le parole.» Makoto infilò un dito sotto l'elastico dei propri slip, trovando il proprio centro. A gola secca lui si unì a quella carezza, lei che sospirava e cominciava a muoversi contro la sua mano, facendosi sentire per intero, bollente e già un poco umida. Makoto si adagiò piano sopra di lui, provando a togliersi confusamente le mutandine. Gen non la aiutò, continuando ad accarezzarla tra le gambe.

Con un sorriso spezzato, lei imprigionò la sua mano accanto alla testa. «Faccio io.» Lo baciò. Lui affondò nel calore delle sue labbra, della sua lingua, finché il palmo di lei non lo trovò sull'erezione e massaggiò. A occhi aperti sentì che Makoto passava a baciarlo sulla guancia, strofinandoglisi addosso con tutto il corpo mentre non smetteva di stimolarlo.

Lei cominciò ad abbassargli i boxer. «Tira su il sedere.»

Divertito, lui eseguì e cooperò con lei per sfilare l'indumento, finché giunti alle ginocchia ci pensò da solo.

Makoto si sollevò sulle braccia. Era nervosa, ma non disse una parola mentre si sbilanciava all'indietro e lo prendeva in mano, aprendosi per trovare il punto giusto di contatto, la propria apertura - in quel momento il regalo più intimo che potesse fargli.

Qualunque cosa farai, andrà bene. Lo avrebbe detto a voce in un'altra occasione, ma la vide così determinata che non le fece il torto di rassicurarla o darle consigli. Makoto era dotata di un istinto naturale che doveva solo scoprire.

Anche lei resistette all'uso delle parole. Lo accolse nel proprio ventre, abbassandosi piano.

Entrambi strinsero i denti.

Makoto aveva pensato che si sarebbe sentita al comando, forte, ma in quella posizione era più scoperta e disarmata che mai.

Va bene? Una donna sensuale, che conquistava, non lo avrebbe chiesto.

Studiò la sensazione di avere Gen in sé, col peso del proprio corpo che premeva su entrambi. Non riusciva ancora a racchiuderlo completamente; per quel minimo di esperienza che aveva acquisito, sapeva che ci voleva più insistenza per trovare un'unione completa. 

Si sollevò su di lui e scese di nuovo. Era eccitante vedere come Gen la guardava.

Ora ci riesco. Con una terza spinta verso il basso fece aderire completamente i loro bacini, una scoperta che la sconvolse.

Si era sentita come punta.

Forse, se andava avanti col peso...

Lo strofinio sulla parte alta tra le gambe le fece sfuggire un ansito.

Aprì gli occhi.

Aveva il controllo di quel piacere, ma anche di Gen che quieto, appassionato, la osservava. Per lui quell'ultimo movimento non era stato altrettanto sconcertante.

«Fallo ancora» le disse lui. Poiché le aveva chiesto di guidarla, Makoto obbedì, dondolando coi fianchi.

Serrò le palpebre mentre la mano di Gen la aiutava a sostenere il peso del torso premendo su un suo seno, le altre dita che la cercavano sullo stomaco. Sorrise e gemette quando lui la stuzzicò sull'ombelico.

«Qui invece provi solletico?»

Lei annuì a bocca aperta, spostandogli la mano. Portò il suo palmo alle labbra, baciandolo.

Incapace di fermarsi, assaggiò la delizia estrema dello sfregamento tra i loro corpi, dentro e fuori, trovando un ritmo con le ànche.

Guardò Gen. Osservandolo in viso trovò la volontà per smettere.

«Perché?» domandò lui.

Lei appoggiò le mani sul suo stomaco. «Non sono io che devo impazzire.»

Si sollevò e scese su di lui. Come premio ebbe il modo in cui Gen si tese. Inglobandolo di nuovo, fu attenta a stringerlo forte coi muscoli. Lui scattò ad afferrarle i fianchi, ma lei proseguì senza sosta, aumentando il ritmo quando lo vide gettare all'indietro la testa. Bramosa, si sporse in avanti e lo mordicchiò sul collo.

Gen la prese per la vita, per capovolgerla, ma Makoto usò la propria forza e mantenne entrambi dove stavano, lui soggiogato e a sua completa disposizione. «Senti com'è» mormorò, stringendolo dentro di sé, per fargli capire quanto potere avesse su quello che lui provava. Quelle sensazioni erano sue; lei poteva esaltarle, comandarle, per non farlo più pensare a niente.

Non lo fermò quando iniziò ad agitare i fianchi, sollevandosi a ritmo con lei. Fu una reazione istintiva, naturale, che la fece fremere in risposta.

Provò a chiudere gli occhi.

Sentì le mani di Gen sul torso, che prendevano quella specie di negligée di seta, sollevandolo fino a toglierglielo da sopra le braccia. Lui riprese a dondolare con lei, le mani strette sui suoi seni.

Makoto riuscì a mantenere un minimo di manovra, ma erano in due a muoversi ora e gli strofinii contro il proprio bacino si trasformarono in piccoli colpi, mentre le dita di lui sui capezzoli... Invece di opporsi, si abbandonò e fece pressione su ogni spinta.

Sentì la tensione di Gen, che sotto di lei diventava rigido come una tavola prima di afferrarle i fianchi e muoverla scompostamente assieme a lui.

L'orgasmo la colpì feroce, rapido. Trovò immensa soddisfazione nella possibilità di cavalcare al massimo ogni ondata di piacere, con quasi totale libertà di movimento.

Le spinte si quietarono.

Gen era... stravolto. Tremava, ma lei non ebbe pietà e continuò a strofinarsi su di lui, per spremere gli ultimi brividi. Senza fiato, lui accennò a ridere.

Lei si sollevò dal suo corpo. Senza accorgersene gli cadde accanto, più stremata di quanto aveva pensato. Sorrise contro la sua spalla, impossibilmente appagata.

«Sei una potenza» fu il complimento di Gen.

Lei cominciò a sussultare per le risate. 

Lui si adagiò sul fianco. «Dico sul serio.»

«Lo so.»

«Quando ti dai da fare...»

Non c'era bisogno di lodarla tanto. «Anche tu.» Lo baciò leggera sulla bocca e cercò un abbraccio, ubriaca di felicità. Con due dita gli scostò i capelli dalla fronte lievemente umida.

Sedato, Gen la studiava. «Perché stamattina non eri così?»

«Mi hai sorpreso.»

Adorava il modo in cui stavano parlando, a bassa voce, chiusi in un mondo loro.

«Era solo questo?» indagò Gen.

Mentre lo aveva davanti, lei esplorò la profondità di dubbi che aveva cercato di non vedere dentro se stessa. Confessò. «Voglio che tu mi stringa e che mi guardi. Sempre.»

«Ti guardavo, Makoto.» 

«Devi perderti con me quando siamo insieme.» Come succedeva a lei. «Non pensare tanto, non usare tecniche... Non troppe» sorrise. «Amami quando sei con me.»

Gli causò una smorfia di sofferenza. «L'ho fatto. Tutte le volte.»

«Stamattina... amavi quello che stavamo facendo.» Naturalmente ne era innamorata anche lei, ma... «Non sono ancora pronta per...»

«Okay. Ma ho sbagliato a non farti capire, non a...» Gen intrecciò gli occhi coi suoi e concentrato parlò. «Adesso, che respiriamo. Prima, mentre ci muovevamo. È come non smettere mai di ballare con te. Sono cosciente di quello che fai, di quello che senti. Nella mia testa non ci sono più solo io, è sempre una cosa... doppia. Tienilo a mente.»

Era finita in un mare, pensò Makoto, una landa mobile di felicità che la cullava nelle proprie onde. E non era sola.

Abbassò le palpebre e appoggiò la fronte contro quella di lui. 

Il freddo della stanza cominciò a farsi sentire. Si abbracciarono per tenersi al caldo.

«Non ho tanto sonno.»

«È presto» sbadigliò lei. «Abbiamo mangiato da poco.»

«Tu hai sonno.»

«No. Questo è... rimbambimento.»

«Cosa?» sorrise lui.

«Ha un nome? Lo conosco da poco, perciò lo chiamo così.»

«Non so se ha un nome. Quello che gli hai dato è buono.»

Makoto lo guardò in faccia e scoppiò in una risatina. 

«Cosa?»

«Il rossetto.»

Lui le strofinò una guancia. «Anche tu ce l'hai.»

«Aspetta, prendo lo struccatore.»

«Non ti alzare.»

«Solo un attimo.»

Quasi saltellando, Makoto andò in bagno. Prese il liquido struccante, dei dischetti di cotone e infine... Felice, annodò attorno al polso l'elastico per capelli. Tornò indietro. «Non è stato facile evitare di farmi una coda stasera.»

«Stai bene.»

«Sono abituata a tenere i capelli legati. Inoltre...» Gli mostrò la banda con le due sfere verdi. Era stato lui a regalargliela, un mese prima. «Mi piace ancora di più farmi la coda da quando ho questo laccio.»

Gen soffrì, diviso tra tenerezza e rimorso. «Devo farti regali migliori.»

«Era il primo.» Terminò di pulirlo sulla bocca, poi passò a togliere le tracce di colore dal proprio viso. Tornò a sdraiarsi accanto a lui. «Rimarrà un regalo speciale.»

Lui provò a ricordare. «Mi sentivo in colpa. Stavo cercando di non farti pensare che ero stato un idiota.»

Perché l'aveva gettata a terra in combattimento? Inconsciamente, era stato allora che lei aveva cominciato a considerarlo come un potenziale fidanzato. «Io stavo cercando di non pensare che eri giusto per me. Non volevo accorgermene.»

«Ah, sì?»

«Sei stato bravo a insistere.»

«Modestamente...»

Makoto appoggiò la testa sul suo petto. Sul cuore di lui aprì una mano che Gen prese.

Con le dita danzarono un lento privo di ritmo, colmo d'intesa.

"È come non smettere mai di ballare con te."

Al ricordo di quelle parole, innamorata, si addormentò.

   

  

4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno - FINE

     


  

 

NdA: in ritardo, ho finito questo episodio. Mi piace, è venuto come volevo, come lo immaginavo da tanto tempo, quasi da quando Makoto e Gen si erano appena messi insieme.

Dedico questa storia a chi ha amato questa coppia come me. In particolare ricordo Rox, thembra, Morea. Ma sento che sto dimenticando qualcuno (perdonate, è l'ora, l'una del mattino) e se è così sappiate che voglio citarvi tutti quanti. Questi due sono insieme, con questo entusiasmo e questa passione, anche grazie a voi, perché da principio con Gen ero convinta di aver creato un personaggio maschile semi-stereotipato, che ho imparato ad amare anche grazie a come me lo avete fatto vedere voi.

Un bacio.

ellephedre

 

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Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno

 

Ogni volta che guardava la rosa rossa, Makoto sospirava. Ne accarezzava i petali, si avvicinava per odorarne il profumo. Ricordava le labbra di Gen sulle proprie mentre tenevano insieme lo stelo del fiore, attenti e delicati per non pungersi, nascosti in un angolo della serra.

Era stato un momento perfetto, romantico come lei non avrebbe mai potuto immaginare.

Tutto il loro appuntamento speciale di quel martedì era stato magnifico. Avevano chiacchierato per ore camminando tra i padiglioni della fiera a cui lui l'aveva portata, mentre rimiravano piante e mobili. Makoto aveva osservato il mobilio incantata, Gen con occhio più clinico. Lui si era portato dietro un blocchetto in cui aveva riprodotto i pezzi che aveva preferito, discorrendo poi della qualità di materiale e forme. Era attento quando si trattava di ciò che poteva creare con le mani; non c'era dettaglio che lasciasse al caso.

Nella parte botanica dell'esposizione, la gioia era stata tutta di Makoto, ma Gen era stato contento di seguirla. Aveva azzeccato il posto in cui portarla e la sua gioia si era mischiata a una buona dose di fierezza.

'Ho scelto bene, sono stato bravo'.

Makoto glielo aveva letto in faccia più volte e ne aveva sorriso senza farne un segreto. Preso in giro, Gen aveva scrollato le spalle e l'aveva baciata tutte le volte che lei si era trovata in bocca una battuta.

Makoto amava i baci, soprattutto quelli che si erano dati quel giorno. Sfioramenti di labbra morbidi, con assaggi accennati che preludevano a un'intimità a cui non si erano potuti lasciare andare in pubblico. La sensazione di piacere era stata più intensa del normale, il desiderio più dolce e languido nella sua mente. Per lei quell'eccitazione era rappresentata dalla rosa, che era riuscita a mantenere sana e vivace da quando Gen gliel'aveva regalata.

Se solo avesse avuto più spazio sul davanzale della finestra, avrebbe comprato un vaso intero di quei fiori.

Per il futuro, decise, voleva un appartamento con balcone. La sua casa le era sempre piaciuta, così come la sua vita, ma... Ora era diventata avida di felicità e voleva di più. Se lo sarebbe guadagnato con la pasticceria che avrebbe aperto. Con duro lavoro, creatività e impegno, avrebbe raggiunto i suoi obiettivi.

I lavori nel locale erano ultimati, perciò era tempo di dedicarsi alla decorazione degli ambienti - una delle attività più divertenti che lei potesse immaginare. Le piacevano gli oggetti carini, aggraziati. Quelli per il suo negozio dovevano dare un'idea di accoglienza e semplicità. Avrebbe trascorso molti pomeriggi a cercarli, dopo la scuola.

Sospirò.

Aveva ancora diversi compiti da completare prima della fine delle vacanze. Il giorno precedente era riuscita a finire solo la metà degli esercizi di inglese che le erano stati assegnati.

Concentrò l'attenzione sulla lama della forbice che impugnava in mano e lisciò l'intera lunghezza del nastro che aveva avvolto attorno al pacco, arricciandolo dalla base fino alla punta.

Perfetto. Aveva incartato bene il regalo di Gen.

Il telefono squillò.

Makoto andò a prendere il cordless, un occhio puntato sul tavolo in cui aveva lasciato la scatola incartata. Non era sicura di aver azzeccato il regalo; poteva solo sperare in bene.

Premette sul tasto di risposta. «Pronto?»

«Ciao.»

«Rei» sorrise. «Tutto bene?»

«Certo. Ti chiamavo per parlarti del compleanno di Hotaru.»

Ah, giusto. «Quindi Hotaru-chan rimarrà qui a Tokyo per il sei?»

«Sì. Ne ho parlato con suo padre e lui è d'accordo. Ci vedremo di mattina per festeggiare.»

«Dove andiamo?»

«In un parco giochi.»

Possibile? «È un'idea di Minako?»

«No, ci ho pensato io. Vorrei che ci divertissimo tutti senza pensieri, come ragazzini. Porterò personalmente Hotaru sulle giostre più spericolate. Voglio che quella bambina si liberi.»

Sembrava quasi un proposito da sorella maggiore. «È una bella idea. Ci sarà un posto dove potremo mangiare una torta?»

«Ho organizzato tutto. C'è un piccolo chiosco che terrà in frigo un dolce portato da noi. Poi ci offriranno sedie e tavoli per mangiare in compagnia.»

Non avrebbe dovuto dubitare di Rei. «Ci saranno anche Haruka e Michiru?»

«Ho provato a convincerle, ma hanno un posto dove vogliono portare Hotaru quella sera. Una cosa da ragazze grandi, hanno detto.»

Erano le solite. «Potrebbero fare anche una cosa da ragazze piccole e venire con noi di mattina.»

«Non dirlo a me. Per Michiru la mia idea è infantile. Avresti dovuto sentire come ha sorriso quando gliel'ho detto...»

Lei lo immaginava: Michiru Kaiou sorrideva sempre degli altri, come se fossero tutti bambini a cui poteva dare un colpetto di incoraggiamento sulla testa. La sua non era superbia, solo una condiscendenza buona, di cui non poteva fare a meno.

«Secondo me non vuole rischiare» proseguì Rei. «Te la immagini Michiru su un ottovolante? Tutta la sua compostezza si scioglierebbe come neve al sole.»

Makoto rise.

«Usagi l'avrebbe convinta a venire, ma in questi giorni ha in testa solo il suo matrimonio. Ancora non ne ha parlato ai suoi genitori.»

Ahia. «Più Usagi-chan tarda, più sarà difficile.»

«Già, ma lei e Mamoru hanno fissato una cena con i suoi per sabato. Ne parleranno quella sera.»

«Non la invidio.» Makoto aveva avuto a che fare da poco solo con la madre di Gen. Nonostante il buon carattere della signora, ne era ancora terrorizzata. Temeva ciò che che lei era e il modo in cui poteva influenzare la visione che Gen aveva del loro rapporto. Da quel che sapeva, il padre di Usagi covava istinti omicidi nei confronti del povero Mamoru.

«A te come va?» domandò Rei. «Domani è il compleanno di Gen, no?»

Già. «Sono preoccupata. Gli ho comprato un regalo, ma non so se è quello giusto.»

«Che cos'è?»

«Un kit di matite da disegno. Al negozio mi hanno detto che sono le più quotate tra i professionisti.»

«... Gen disegna?»

«Sì, per hobby. Fa anche schizzi di progetti architettonici, però... Forse ha già matite come queste. O magari avrebbe preferito qualcosa di più sportivo, per esempio roba per la corsa o per la boxe. Ma non so quali attrezzi ha in casa, o se parliamo di abbigliamento, che numero di scarpe porta, né la sua taglia di vestiti...»

«Sarà XXL.»

«Ha le spalle larghe, ma non è grasso.» Infatti si chiedeva come lui riuscisse a trovare dei vestiti da mettersi.

«Scherzavo. Ma perché la scelta del regalo ti mette in ansia?»

«Gen è istintivo, ma valuta tutto. Forse questo regalo così artistico gli farà pensare che io lo ritengo... troppo artistico?» Non aveva un gran vocabolario, continuava a ripetersi.

«Perché sarebbe un male?»

«Non è un male, ma lui ci tiene a non apparire troppo...» Come poteva dirlo?

«Sensibile?»

Esatto! «Ci tiene a sembrarmi un duro.»

Rei si lasciò sfuggire una risatina.

Makoto quasi si risentì. «Non prenderlo in giro.»

«Andiamo, il tuo ragazzo ha sempre quest'aria da 'spacco il mondo'... È il suo modo di essere. Un po' come Yu, che se gli chiedi una cosa è già pronto a servirti per l'eternità. Pensi di riuscire a manipolarlo?»

«Eh?»

«Gen. Se trovi il modo giusto di trattarlo, lo rendi felice e al contempo gli fai fare quello che vuoi tu quando ti serve. Così,tutti contenti.»

Makoto si divertì. «Non penso di avere tanta presa su di lui.»

«Non fare l'ingenua. Quando vi ho visti insieme, lui ti seguiva come un Akita fedele. Sono animali possessivi ed esigenti, ma completamente leali.»

Era una buona descrizione per Gen. «Hai dei consigli da darmi?»

«Biancheria intima.»

Makoto avvampò sulle guance. «Eh?»

«Uno come lui sarà sicuramente una persona molto visiva e fisica.»

«... Come fai a dirlo?»

«Quando eravamo a casa di Mamoru e tu eri mezza inferma e in pigiama, il tuo Gen ti guardava la scollatura.»

Makoto volle morire d'imbarazzo.

«Sfrutta i tuoi punti di forza, Mako-chan. Non vederla come furbizia da parte tua; alla fine, sarai tu quella che si sentirà soggiogata. Piacevolmente, si intende.»

Lei rilasciò un sospiro incredulo. «Wow.»

«Che cosa?»

«Stiamo parlando dei nostri fidanzati. Mi sentivo un po' esclusa sapendo che lo facevi solo con Usagi ed Ami.» Ora anche lei era come loro, finalmente.

«Con Ami non si parla molto di queste cose. Anche se alcune volte quella ragazza se ne viene fuori con certe osservazioni... Con Usagi stai attenta: è così candida su quello che accade tra lei e Mamoru, che finirai col volerle dire tutto anche tu.»

«Tutto cosa?»

«Capirai poi. Comunque, io sono la regina per quanto riguarda le strategie amorose. Chiedi a me ogni volta che vuoi un consiglio.»

«Lo farò.»

Sentì Rei annuire al telefono. 

«Allora domani passerai tutta la giornata con Gen?»

«Quasi tutta, sì. Per la festa di Hotaru, sai già l'ora?»

«Ci troviamo davanti al parco di Ueno alle dieci, va bene?»

«Certo.»

«Ah, un'ultima cosa. Con gli uomini funziona anche la strategia dell'attesa.»

Già. Lei l'aveva messa in atto involontariamente. «Non sono molto brava a frenare Gen.»

«Lo so, sei capitolata in meno di un mese. Ma puoi sempre esercitarti.»

Makoto si divertì. «Non arriverò mai ai tuoi quattro anni.»

Rei ringhiò. «Questa battuta è vecchia

Ma era ancora uno spasso. «Devi imparare a riderne come Yuichiro. Ci vediamo sabato, allora.»

«Sì» sospirò Rei. «A sabato. 'Notte.»

«'Notte. E grazie.»

Makoto riattaccò felice e guardò il soffitto, raccogliendo le idee. Ora le rimaneva solo da preparare le torte.

Aveva fatto due passi verso la cucina quando il telefono squillò di nuovo. Provò a indovinare chi era, un giochetto mentale in cui si dilettava di tanto in tanto.

Questa è Minako.

Almeno, avrebbe voluto che fosse lei, poiché in quei giorni la sentiva distante. «Pronto?»

«Ciao.»

La voce maschile la fece sciogliere sulla moquette di casa. «Ciao

Aveva davvero usato quel tono da gattina smielata?

All'altro capo del telefono, Gen sorrise. «Stai per andare a dormire?»

«È presto, sono le dieci. Mi preparo a farti una torta per domani.»

«Hm. Non farla per tutta la mia famiglia. Mia madre ne comprerà una.»

Oh. «Be', non voglio scavalcarla, però... Mi ingrazio lei e le tue sorelle se offro loro un altro dolce, giusto? Avevo pensato di fare una piccola torta per me e per te, e una torta grande da farti portare a casa. La tua famiglia potrà mangiarla con calma; non ci metterò su panna o altre cose che vanno facilmente a male.»

«Shori si è messa a dieta.»

«Ah.»

«Apposta per il mio compleanno. Ha detto di dover far spazio per la torta che tu avresti sicuramente preparato.»

Makoto scoppiò a ridere.

Udì il sorriso sereno di Gen, un suono quieto che le fece desiderare di averlo con lei già quella sera.

«Domani pranzi con la tua famiglia» gli disse. «La sera sarà per noi?»

«Sì. Non vedo l'ora.»

Anche lei, a tal punto che volle essere audace. «Io e te, domani... recupereremo il tempo perso.»

«Non è stato tempo perso. Ma per questo proposito mi vedi in prima linea, con un'armata di impazienza alle spalle.»

Poteva descrivere nello stesso modo il proprio entusiasmo. «In realtà, già oggi... Ma sono solo ventiquattrore in più di attesa.»

Lui fece una pausa. «Già oggi, cosa?»

«Ehm...» Non seppe come spiegargli. «Voglio dire che... Non ci sono più ostacoli. Sono spariti questa mattina.»

Gen non parlò e Makoto pensò di avergli fornito troppi dettagli. «Gen?»

«Sono le dieci e cinque.»

«Sì» mormorò perplessa.

«Se corro, sono a casa tua in mezz'ora.»

Eh?

«Non hai sonno, vero?»

No, ma... «Non ho ancora fatto la torta.»

«Ho più foga che fame.»

Makoto esplose in una risata così forte che dovette coprirsi la bocca.

Gen non era stato da meno con le risa. «Vado ad avvertire mia madre. Sarò lì tra poco.»

Cosa? Lui avrebbe detto a sua madre che stava uscendo alle dieci di sera per venire da lei? La signora l'avrebbe creduta una ragazza promiscua, o troppo facile, sicuramente molto innamorata, ma... «Gen.»

Tu-tu-tu.

Sospirando, Makoto chiuse la chiamata e guardò l'ora. Doveva essere come Creamy Mami e compiere un prodigio: preparare una torta, farsi il bagno e cambiarsi in mezz'ora.

Al lavoro!

  

Trentotto minuti dopo era davanti al cassetto della biancheria a rimuginare, coi capelli appena asciugati. Squillò il citofono.

«Ahhh!»

Corse a rispondere. «Sì!» si limitò a dire, premendo il pulsante di apertura. Tornò al cassetto e afferrò le prime mutandine carine che si trovò davanti. Solo quando le ebbe indosso notò che il reggiseno coordinato non era in vista, probabilmente disperso nella cesta delle cose da lavare.

Udì i passi di Gen fuori dall'appartamento, che per la fretta colpivano lo zerbino mandandolo a sbattere contro la porta.

Dato che non c'era più tempo, annodò la vestaglia alla vita, provando a coprire con le braccia le piccole protuberanze sul petto. In quello stato era praticamente seminuda, ma avrebbe voluto essere sensuale, non sfacciata.

Mesta, si diresse alla porta.

Poteva chiedere a Gen il tempo per terminare di cambiarsi?

Lui lo avrebbe trovato inutile, considerato che si sarebbero spogliati di lì a poco. Lei voleva farlo - bramava di farlo - ma...

Si nascose dietro la porta mentre gli apriva. «Ciao...»

Gen entrò. La sua felicità si attenuò quando notò che di lei poteva vedere solo la testa. «Ciao» la salutò. «Tutto a posto?»

«Non ho finito di vestirmi.» Tenne le braccia intorno al torso mentre si appoggiava con la schiena alla porta, per chiuderla.

Lui tolse le scarpe e fece scattare la serratura. «Okay.» La osservò, confuso ma non smanioso quanto Makoto aveva pensato.

Si guardarono per qualche istante.

Togliendo la giacca, Gen sollevò le sopracciglia, divertito. «Puoi vestirti, sai? Non ti mangio.»

Lei voleva essere mangiata, solo che...

Lui mosse le narici e guardò la cucina. «Sei riuscita a preparare la torta.»

«Sì, è in forno. Per questo non ho avuto il tempo di...»

«Non hai avuto tempo perché sono arrivato troppo in fretta.»

Già. «Non ti sembra sciocco se vado in bagno a mettermi qualcosa? Anche se dopo...»

Lui non rispose a voce. Si limitò a contemplare la sua esitazione, adorandola.

I dubbi dissolti, Makoto fece un passo avanti e lo abbracciò.

L'odore del collo di lui, il respiro che le sfiorava la tempia, le braccia che la stringevano, il seno senza costrizioni contro il suo petto... Non voleva più altri vestiti, ne voleva di meno. Desiderava stringerlo senza più smettere.

Gen le aveva preso la testa in una mano. Stava affondando il naso nei suoi capelli. «Così diventa difficile aspettare.»

Lei inspirò, sorridendo contro l'orecchio di lui. Non disse niente; cercò di provare invece di pensare, l'unica cosa giusta da fare quando erano insieme.

Notò un taglietto fresco e minuscolo sulla guancia di lui. «Oh.» Sfiorò la pelle sopra quel punto.

Gen capì. «Colpa del rasoio. L'ho usato in fretta stasera.»

Immaginarlo di corsa mentre si sistemava per venire da lei la riempì di dolcezza. «Vieni.» Si separò da lui senza incontrare resistenza, i loro due corpi in sintonia nell'essenza, a discapito della distanza.

Tenendolo per mano, lo condusse verso il comodino accanto al letto, dove girò la manopola che regolava l'intensità della lampada. La accese.

«Tira la tenda» disse a Gen, riferendosi al pannello rigido che separava la zona del letto da quella della cucina. Non lo usava spesso, ma a volte era bello creare atmosfera dividendo gli ambienti. Avevano almeno venti minuti prima che la torta finisse di cuocere.

Quando lui ebbe dispiegato per intero il pannello semi-trasparente, lei spense la luce sul soffitto e allargò le braccia, invitandolo ad avvicinarsi.

Nella penombra trovare Gen sotto le proprie mani fu prezioso, importante. Rispose al bacio che lui cercò. Lo accarezzò sulle spalle, sul petto, tracciando i contorni di ogni rilievo. Aveva desiderio di lentezza, di scoperta.

Senza fretta, cominciò a spogliarlo della felpa, lasciando salire l'indumento sopra lo stomaco di lui e tirandolo su, oltre le braccia. Era lei a guidare i loro movimenti; Gen la lasciava fare nonostante il respiro spezzato e veloce, visibile nei muscoli tesi.

A torso nudo, lui cercò il suo ventre con la mano, infilando le dita nell'apertura della vestaglia.

«No» protestò lei, serena. «Ho poche cose addosso.»

Gen non capì perché quello fosse un problema, ma Makoto lo fece sedere sul letto e armeggiò delicatamente con la zip dei pantaloni che lui indossava, stuzzicandolo con un'unghia sullo stomaco rigido. Gen si tenne a stento dritto sulle braccia - una reazione adorabile, sensuale, che le suscitò una vampata di calore al bassoventre.

Gli aprì la patta dei pantaloni e lo spinse ad andare più indietro ancora. Si appoggiò con le ginocchia sul materasso, sopra di lui, dove si tenne ferma per un istante.

Gen provò a toccarla, ma lei gli prese le mani, stringendole.

Lo possedeva in quel momento: possedeva i sensi di lui, il corpo che la bramava, che la cercava. Aveva l'amore di Gen, così come la bocca calda a pochi centimetri dalla propria, che con un bacio era capace di stordirla.

Non resistette. Chinò la testa e mischiò i loro respiri. A labbra schiuse si trovarono con un assaggio veloce, che strappò loro il respiro.

Lei non comandò più, si offrì.

Si beò delle mani di lui tra i propri capelli, che le scioglievano la coda. Aderì al suo corpo languida, abbandonata, in attesa di sentirlo aumentare la pressione tra di loro con i palmi aperti sui fianchi, che forti la afferravano.

In due si sdraiarono lentamente, prima di lato e poi lui sopra di lei, la bocca di Gen che la percorreva sul petto mentre le scioglieva il nodo della vestaglia.

Con le palpebre abbassate, tremanti, Makoto non guardò lui, ma la parete tenue della stanza. La vide sfocarsi mentre il suo corpo ribolliva e Gen la trovava su un seno nudo, prendendone la punta in bocca. Lui esclamò qualcosa, un suono debole che uscì anche a lei nell'ardore del momento, mentre si contorceva per la delizia.

Si strofinò a lui con le gambe, col bacino, scivolandogli con le dita sulla schiena. La sua mente si annebbiò. Cercò un bacio necessario; vi affondò dentro. Si mosse con Gen mentre sospiravano, e continuavano a premere l'una sull'altro le labbra, affamati di sapore.

Non notò quando terminarono di spogliarsi; le sembrò solo che i vestiti di entrambi fossero d'un tratto spariti. Il proprio corpo non ebbe senso come entità unica finché lui non la trovò con una mano tra le gambe e, alitandole sul collo, leccandola sui capezzoli, iniziò a muovere su di lei un dito in un minuscolo cerchio, premendo dove il piacere le accendeva tutti i nervi.

Makoto vibrò, tenendosi ferma a forza, in offerta per la mano di lui, incantenata. Interruppe l'estasi solo quando fu giusto incastrarsi a Gen, stringergli le spalle con le mani, annullarsi insieme.

Durò tanto, o così le parve. Il tempo si mosse in una realtà diversa dalla loro.

Ogni bacio umido, ogni dondolio intenso, ogni affondo dentro il suo corpo... Ne volle sempre uno di più, anche quando si riempì e si saziò di lui, lasciandola a stento con le forze per accarezzargli un braccio.

Adagiandosi l'uno di fianco all'altra, in pace, riposarono.

Il sonno non la prese. Girandosi, respirò contro il petto di Gen, sistemando pigramente l'orecchio dove gli batteva il cuore. Il ritmo del battito la cullò.

Sveglio, lui la tenne contro il petto a lungo prima di abbassarsi, sorridere e baciarla di nuovo.

Lei lo fece sdraiare sulla schiena, delicatamente. Lo guardò, lo adorò.

Non poteva esserci momento più bello, più perfetto, in una singola vita umana.

DRIIINN!

Sussultò con lui. 

«Il forno» disse, esplodendo in una risatina.

Scivolò via dal letto, afferrando per un lembo la vestaglia e scostando la tenda rigida. Si diresse in cucina. «Ah...» Per un momento faticò a ricordarsi cosa doveva fare con la torta. Si coprì malamente il corpo e, afferrando una presina, aprì l'anta del forno.

Il profumo del dolce si liberò nell'aria. L'odore era ricco e invitante. «È venuta bene» informò Gen.

«Lo sento da qui.»

Proteggendosi l'altra mano con un guanto, Makoto tirò fuori la torta e la sistemò sul bancone.

Trovandosela davanti, rifletté: aveva pensato di rimanere sveglia finché la torta non si fosse raffreddata, ma... Prese l'orologio da polso che aveva sul tavolino, settò l'ora e coprì la torta con un telo decorato. «Domani la decoro.»

«Cosa hai fatto?»

«Devo metterla in un contenitore quando si è raffreddata.»

Tornò indietro, verso il letto. Appena riuscì a toccarla, Gen le tolse la vestaglia.

«Ancora?» commentò lei, senza riuscire a renderla una protesta.

Lui scrollò le spalle. «Mi piaci senza niente addosso.» La fece sdraiare accanto a sé, sotto le coperte, e la guardò. Era felice.

A lei sfuggì uno sbadiglio.

Prima che fosse riuscito a riderne, Gen l'aveva imitata.

«Ecco il sonno» disse Makoto, andandogli più vicino.

«Succede quando si fa bene l'amore.»

Lei sorrise in silenzio. Amava sentirlo parlare in quel modo. Quello che avevano condiviso non era stato solo sesso; si era trattato di un'esperienza completa, la prima di moltissime altre.

Appoggiò la testa nell'incavo del collo di lui. «Buonanotte.»

«... ti sveglierai tra poco? Non farlo.»

«Lasciami il mio lavoro di cuoca.»

Sorrisero e Gen si rassegnò. «Allora buonanotte, per ora.» La baciò sui capelli.

Dormirono.

  


    

Era molto tempo, pensò Gen, che non si svegliava con la luce del sole così forte sugli occhi.

Si era fatto tardi, forse erano già le nove.

Voltò la testa.

Cauto, liberò il polso intorpidito dalla testa di Makoto, prendendosi un momento per far sparire il formicolio.

Prima di ripensarci, rotolò su un fianco e ricadde in piedi sul pavimento, alzandosi. Aveva bisogno di andare in bagno.

Vagò nudo per l'appartamento, entrando nell'unica altra stanza della casa.

Tra le quattro mura di piastrelle, rabbrividì per il gelo: di mattina quel bagno era ghiacciato.

Mezzo addormentato, si risvegliò quando ebbe finito e si sistemò davanti al lavabo. Girò la chiave del rubinetto, cominciando a lavare le mani e sciacquando la bocca. Alzando la testa, si osservò allo specchio. Stiracchiò soddisfatto le braccia.

Era stata una grande notte.

Non gli era dispiaciuto nemmeno essere svegliato dall'orologio che Makoto aveva settato. Quando l'aveva riavuta tra le braccia, dopo pochi minuti, il calore dei loro corpi uniti lo aveva fatto riaddormentare in un momento.

Uscì dal bagno. Nel tragitto verso il letto raccolse i pantaloni che erano finiti a terra. Li piegò in due su una sedia, poi cercò la felpa e le calze.

A Makoto non piaceva il disordine. Con un appartamento tanto piccolo era naturale: non c'era molto spazio per muoversi.

La osservò. Ancora profondamente addormentata, lei era sdraiata a pancia in su, le labbra aperte e le braccia allargate libere, infreddolite. La pelle d'oca si interrompeva sulle spalle, ma Makoto doveva sentire freddo anche sul petto, fino a dove era scoperta.

Lui tornò a sdraiarsi nella parte di letto in cui si era svegliato. Cercò di non spostare troppo il peso sul materasso, ma lei ricadde ugualmente con la testa verso una spalla. Immobile, lui attese il suo respiro successivo.

Le narici di lei si erano mosse appena. Makoto non ebbe altre reazioni, il suo sonno era rimasto profondo.

Gen osservò lo sfarfallio delle ciglia scure sulle guance di lei. Erano delicate e folte, belle come le labbra semiaperte che di mattina sembravano più paffute e carnose. Con quel colore rosa scuro, invitavano a morderle piano, a leccarle.

Piegando la testa Makoto aveva esposto all'aria un lato del collo, una parte che lui sapeva sensibile e morbida. Le spalle di lei terminavano con la sottolineatura del deltoide, le linee del muscolo quasi visibili sotto la pelle, persino a riposo. Le clavicole erano...

Non aveva mai badato a delle clavicole, ma voleva riempire di baci l'avvallamento tra quelle ossa.

Poi... poi il corpo di lei finiva lì. La trapunta le proteggeva i seni, una situazione a cui lui pose rimedio tirando un poco l'ammasso di stoffa verso il basso, fino a scoprire le punte di carne turgide sul petto. A bocca aperta, rimirò i suoi due personali doni divini.

Incredibile.

Non aveva mai visto due tette tanto perfette, gonfie e sode anche da sdraiate.

Al contatto con l'aria i capezzoli di lei iniziarono a diventare ancora più duri, facendogli venire l'acquolina in bocca. Avevano una dimensione ideale: sui due monti di carne non erano bottoni troppo piccoli che gli sfuggivano dalle dita, bensì estremità deliziose che si adattavano ai suoi polpastrelli quando lui le stuzzicava.

L'areola... Gen ne aveva viste di grandi, piccole, normali, belle. Quelle di Makoto erano una corona, che gli indicavano dove toccarla per farla gridare.

Non che lui l'avesse fatta urlare fino a quel momento, non per davvero.

Makoto inspirò di nuovo e Gen le lanciò una rapida occhiata.

Lei stava ancora dormendo.

Riabbassò gli occhi: quei seni gli riempivano le mani. Per tutta la vita aveva pensato di preferire seni di dimensioni ridotte, che non cadevano mai e rimanevano alti senza aiuto, ma nel corpo di Makoto si era compiuto un miracolo: lei aveva due globi rotondi che si adagiavano sul petto fieri e svettanti, creando una scollatura che con certi reggiseni... Fortunatamente, a lei non piacevano gli scolli a triangolo, o lui non avrebbe avuto pace immaginandola in giro vestita in quel modo.

«... cosa stai guardando?»

Colto sul fatto, sorrise impenitente. «Te.»

«Io sto più sopra» mormorò Makoto.

Divertito, lui la guardò negli occhi verdi. «Sì.» Appena sveglia, lei era una visione. «Sei anche qui.» 

Makoto si adagiò su un fianco, coprendosi il petto con un braccio. Col movimento creò involontariamente due curve talmente provocanti, talmente belle...

«Ehi» lo chiamò lei.

«Hm?»

«Ma guarda quanto ti piacciono.»

Sorrise. «È vero.»

Mangiandosi un labbro, Makoto si coprì anche con l'altro braccio. «Anche io li trovo belli, però...» Rise piano. «Sembra che appena mi giro, tu li guardi.»

«Non è così.» Si concentrava anche su altre parti del corpo di lei: la rientranza dei fianchi verso la vita, le gambe lunghe, quel suo magnifico sedere... Ma se a pochi centimetri dal viso aveva quei due bei seni nudi, la sua attenzione era tutta per loro.

Makoto lo osservava, muovendo le dita sul proprio sterno, indecisa. «Se questa è la tua parte preferita...»

Non era così. «È sempre stata il fondoschiena» sorrise. «Sei tu quella che mi sta facendo cambiare idea.» Sotto la trapunta la trovò sulla curva del fianco.

«Ti piace il sedere?» Makoto voltò la testa, per guardarsi. «Non lo tocchi mai.»

Lui la smentì in quel momento, facendola saltare sul letto.

«Ehi!»

Gen trattenne i singulti di divertimento. «Hai visto come reagisci?»

«Mi hai sorpreso! Dev'essere una cosa più tranquilla, dolce...»

Be', ma così c'era un problema. «Col tuo sedere non mi vengono in mente idee molto dolci.»

In Makoto il rossore partì dal petto e risalì veloce lungo il collo, invadendole le guance.

Lui abbassò la testa, baciandola sul collo, usando la lingua per assaggiarle la pelle salata. Il retrogusto dolce invase tutte le sue papille gustative. Cominciò a scendere oltre la linea delle clavicole. «Tanti auguri a me.»

Makoto sobbalzò. Lui si sentì afferrato per le spalle e si ritrovò atterrato schiena contro il letto, inerme come un pupazzo.

«Me n'ero dimenticata!» Da novella Ercole, Makoto divenne un concentrato di arti morbidi e leggeri, che calarono su di lui assieme a una carezza sulla fronte. «Buon compleanno.» Lo disse con un sospiro, baciandolo sulla tempia, sulla guancia, sulle labbra.

Ti amo da impazzire, pensò Gen.

Era tempo di dimostrarglielo.

La strinse per la vita, portandola ad appoggiarsi su di lui col petto. La sensazione dei capezzoli duri contro i pettorali fu paradisiaca.

«... ti piace?» disse lei.

Lui scattò a guardarla negli occhi. Muto, annuì.

Usando le braccia per sostenersi, Makoto si morse un labbro prima di decidere come procedere. Scivolò su di lui verso l'alto, sfiorandolo con la punta dei seni sulla faccia. Rise quando lo sentì rilasciare un sospiro. «Sono la mia arma segreta?»

«Ne hai tante» confermò lui. Poi si assicurò di avere una buona presa sulla vita di lei e ribaltò entrambi, facendola sdraiare sulla schiena.

Makoto era curiosa. «Cosa fai?»

«Realizzo una fantasia.» Armeggiò con le gambe di lei, aprendole e piegandone una di lato.

«... quale?»

Le si spezzò il respiro quando lui si appoggiò contro la sua apertura, senza entrare. Voleva essere certo che lei fosse abbastanza bagnata, ma soprattutto voleva far fremere entrambi per l'anticipazione.

Con una coscia aveva spinto un ginocchio di Makoto verso l'alto. Vi incastrò sotto il braccio.

«Così è...» Makoto interruppe il mormorio quando con le dita lui tracciò delle linee sul suo stomaco, fino al bassoventre. Lei inarcò verso l'alto l'intero bacino.

«Funzionerà bene» le disse.

«... Come?»

«Tra poco lo scopri.» Scese con la mano. Con le nocche la sfiorò tra le pieghe del sesso, insistendo, cercando del fluido fresco.

Makoto fece forza con le braccia e lo attirò sopra di sé, per avere la sua bocca. Mentre la baciava lui la chiudeva col corpo in una gabbia e sperimentò ancora una volta che lei non aveva alcun problema di flessibilità; cercò ugualmente di non pesarle troppo sulla coscia. Per uscire da quella posizione, separò le labbra tra le gambe di lei con le dita, accarezzando. Makoto si tese.

Lui le appoggiò un bacio sotto la mascella. «Voglio che sia più intenso.» Riuscì ad allontanarsi, tornando dritto.

Makoto lo strinse per un avambraccio, cercando di trattenerlo. «Ma mi piace quando mi stai sopra.»

Lui raggiunse la massima durezza in un secondo. «Lo so.» Le prese un seno in mano, incapace di resistere. «Questo sarà meglio.» Dondolando coi fianchi, si strofinò contro il centro di lei, la carne calda e soffice che non gli opponeva resistenza. La consistenza in quel punto era divina: non c'era niente di più liscio, setoso, tenero di...

Tornò a respirare. La vista non lo aiutava a ricordarsi di prendere aria. Sdraiata, Makoto si agitava dolcemente, graffiando con una mano le lenzuola.

Lui sentì la sensazione di umido che aveva cercato, solo un goccio, ma si ritrasse quanto bastava e afferrò Makoto per la vita. Quando trovò l'incastro, fece forza sulla presa e scivolò, affondò - la stretta rovente che gli strappava un suono dalla gola.

Aprì gli occhi.

Sembrava sempre la prima volta - con le gambe di lei aperte, il suo viso travolto, conquistato, e l'interno di quel corpo che lo spremeva inconsciamente, troppo energico e femminile per starsene inerme ad aspettarlo.

Represse l'istinto di gettare la testa all'indietro e spingere come un forsennato. Guardò gli occhi di Makoto, il colore, la pupilla nera e larga.

Non chiuderli.

Si ritrasse ed entrò di nuovo, modellandola attorno a sé, premendo.

Lei abbassò le palpebre, tentando il controllo del respiro. Il suo petto era irrorato di sangue, i suoi capezzoli gonfi.

Lui ne sfiorò uno con due dita. «Okay.» Non seppe perché lo disse. Andava tutto bene, era ovvio. Con l'altro braccio spinse sotto il ginocchio piegato di lei, raddrizzandolo fino ad avere un polpaccio sulla propria spalla.

«Aspetta...»

Scosse la testa. Chiuse come poteva la connessione tra cervello e nervi del bassoventre, e con la spinta dei fianchi iniziò a imporre un ritmo.

Piano, ma non troppo. L'importante era la costanza, la resistenza. Era proprio quella che faceva fremere Makoto di disperazione.

«Gen...»

Lo so, lo so. Anzi, no.

Si fermò e, sollevando il bacino unito di entrambi, prese l'altra gamba di lei e la spostò sotto di sé. In quella posizione non poteva sedersi e doveva appoggiarsi completamente sulle ginocchia, ma non aveva importanza. Erano incastrati come due forbici. Sconvolta, Makoto piegò il torso di lato.

Lui le strinse una coscia contro lo stomaco, riprendendo a entrare dentro di lei, trovando profondità nuove e ancora più bagnate.

«Ah!» Makoto provò a coprirsi la bocca con le dita. Rinunciò a farlo e serrò i denti.

Lui tremò. Non l'aveva mai avuta tanto completamente, tanto bene... Rallentò il movimento e si impose un ordine. Costanza, ritmo. E attenzione, perché appena riprese a immergersi nel corpo di lei provò a capire dove fosse il punto giusto che-

Makoto ricadde con la testa sul letto, gemendo.

Lui capì di aver trovato quello che cercava e, concentrato, lo tormentò con perseveranza, con forza contenuta.

Lei spalancò gli occhi. Mise un palmo sulle proprie labbra, senza premere abbastanza da coprire i suoni. Con l'altra mano stava per strappare la federa del cuscino.

Su di sé Gen cominciò a sentire la morsa di muscoli spugnosi che si stringevano. Cambiò angolazione, di pochissimo, per provare a sfiorarla sul clitoride.

Makoto sobbalzò col bacino, gridò. In risposta il suo ventre lo attanagliò con una tale forza che... Il nodo di muscoli si sciolse e pulsò forte su di lui. A occhi chiusi Gen seguì l'estasi di quel ritmo, serrando i denti, provando a non perdere.

Solo un altro po', resisti!

Lo aiutò ad andare avanti l'incredulità dei gemiti di lei, che Makoto stava provando a tenere bassi in mezzo alla corrente di follia. Erano suoni di abbandono totale, di rapimento.

Lei ne ruppe uno più alto, capitolando di nuovo, e Gen seppe che poteva lasciarsi andare. Le sue anche non gli appartennero più: cercarono più frizione, più pressione, e altro calore in lei, spingendo. Dentro Makoto erano sensazioni massime: non c'era nessuna plastica a impedirgli di sentire che lei era la cosa più perfetta e assoluta, la più magnifica che...

Aprì gli occhi mentre si liberava. La vista di Makoto sdraiata su un fianco, che ancora tremando lo guardava, fu il pugno definitivo o forse la carezza finale. In lei rilasciò tensione, controllo, volontà. Se ne andò tutto quanto, salvo la soddisfazione immensa di sentire quanto di umido e denso le stava immettendo nel corpo.

Con le membra prosciugate di forze, faticò a districarsi dalle sue gambe senza schiacciarla. Si aiutò con le braccia per spostarsi di lato e sdraiarsi sulla schiena.

Lo invase la più grande sensazione di benessere che avesse mai conosciuto. Inerme, per lunghi momenti, respirò beatitudine.

Accanto a lui Makoto ansimava forte.

Qualcosa gli toccò un braccio: lei si stava spostando sul materasso.

Gen trovò la forza di voltare la testa.

Makoto lo guardava, in ansia.

«... cosa?» le chiese. Riuscì a rotolare su un fianco.

Lei aderì al suo corpo, abbracciandolo.

Gen la coprì con una mano sulla schiena. «Cosa?» domandò di nuovo. Mosse le dita sulla pelle di lei, cercando un brivido, una risposta.

«... niente.» Makoto appoggiò la guancia contro il suo petto e gli circondò un fianco con la gamba, cercando...

Lui ebbe un dubbio. «Non ti è piaciuto?» Non aveva senso.

«No, sì. Ma mi mancava... questo.»

Stare abbracciati?

Ah. Quella era una reazione normale: le donne volevano spesso essere abbracciate alla fine, soprattutto quando il rapporto era stato intenso.

«Certo» le disse all'orecchio, combattendo contro un attacco di sonno.

Strofinò la guancia contro la tempia di lei, riempiendosi le narici del suo profumo, ora mischiato a quello di un lieve sudore. Era stato lui a causarlo.

Makoto sollevò la testa. Aveva ancora occhi che si attendevano qualcosa.

Gen glielo diede con un bacio leggero, che lei continuò e aprì in un sorriso felice, finalmente appagato.

Era quella la contentezza che lui voleva vedere nel suo volto. «Ti amo» le disse.

Avendo sentito tutto quello di cui aveva bisogno, Makoto si rifugiò contro di lui. «Anche io.» Riposò.

 


 

Makoto terminò di versare lo strato di cioccolato sopra la torta che aveva preparato per la famiglia Masashi. Le mancava da aggiungere una spruzzata di palline bianche per creare un disegno e la scritta, "Buon compleanno, Gen!"

L'idea le faceva fremere le mani di gioia.

In bagno l'acqua smise di scorrere. Lui aveva terminato di farsi la doccia.

Lei si era fatta il bagno solo la sera prima, ma aveva dovuto ripeterlo quella mattina. Due sessioni di soddisfacente intimità tendevano ad avere degli effetti sul fisico di una persona. Di uno si era resa conto solo di recente: la volta che lei e Gen avevano usato il preservativo, non aveva dovuto curarsi di cosa sarebbe... be', di cosa sarebbe uscito da lei dopo essere entrato. Come una sciocca, si era autoconvinta che il suo corpo avrebbe assorbito qualunque inconveniente.

C'erano altre cose che non sapeva?

Magari poteva parlarne con Rei, e soprattutto con Usagi. Forse Ami avrebbe saputo consigliarle un buon libro in merito.

Di certo Gen aveva esperienza; troppa per lei.

Non si era ancora fatta un'idea chiara di cosa aveva provato con lui un'ora prima, sul letto.

Due orgasmi, ovviamente. O forse era stato uno solo con due picchi, ma comunque l'esperienza era stata... Strofinò le cosce tra loro, sentendole molli. Ricordava ancora l'intensità delle contrazioni nel ventre, la ferocia della stretta ritmica dei muscoli.

Chiuse gli occhi.

Aveva urlato. Le mura del suo appartamento non erano spesse, i vicini potevano averla sentita.

Sprofondò nella vergogna.

Se una cosa simile si ripeteva, lei doveva... Be', innanzitutto doveva far capire a Gen come si era sentita.

Provare tanto piacere era una cosa buona, sconvolgente, meravigliosa, ma... Qualcosa in lei - una parte forte di lei - aveva preferito l'esperienza quando c'era stata meno tecnica e più sentimento. Forse per Gen c'era stato tanto sentimento comunque, ma a lei erano mancati gli abbracci, guardarlo negli occhi, baciarlo mentre non pensavano a niente nel diventare una cosa sola, stando in completo contatto.

Invece quella mattina lui era rimasto molto concentrato. Più che su di lei, sulla posizione dei loro corpi, su cosa fare e quando farlo. Era riuscito molto bene nel suo intento, ma... Non era così che lei voleva fare l'amore con lui. Quelle erano situazioni che potevano riproporre tra loro tra qualche tempo, qualche volta.

Guardò la porta del bagno.

Non voleva scontentarlo, ma ci teneva a fargli capire quanto avesse apprezzato le loro esperienze precedenti. Lei non aveva bisogno di sforzi, di grandi tecniche. Trovava importante avere l'abbandono di lui, tutta la sua testa, senza immaginare nemmeno per un istante che Gen stesse coscientemente usando arti che aveva imparato con altre persone.

Voleva averlo tutto per sé. Voleva essere speciale e unica ai suoi occhi, in ogni modo.

La porta del bagno si aprì. Gen uscì con un asciugamano in testa, sorridente. «Anche oggi i miei capelli hanno un profumo da donna.»

La connessione la intenerì.

Avere qualcosa di suo su di lui... «La prossima volta posso comprare uno shampoo da uomo.» Si bloccò.

Aveva appena detto che gli avrebbe preso qualcosa da tenere nel suo appartamento, di fatto legandolo a quella casa.

Lui non comprese i suoi dubbi. «Prendo io lo shampoo. Se c'è un buco in quell'armadio, ti lascio un cambio di emergenza, così posso venire a passare la notte qui senza troppi piani.»

Lei si alleggerì di un peso. «Pensavo che... Di solito a un ragazzo non piace quando lei cerca di parlare di cose come spazzolini, o vestiti da tenere in casa...» Gli uomini si sentivano ingabbiati.

Strofinando la testa umida con l'asciugamano, lui rise. «Tu guardi troppi drama.»

Eh no, non era così ingenua. Quelle non erano cose che esistevano solo negli sceneggiati. «Tu non ti sei mai sentito così?»

Gen prese la domanda sul serio. «Sì. Ma questa volta ho chiesto io un posto nell'armadio.» Si avvicinò e la baciò velocemente sulla bocca. «Se cominci a sentirti intrappolata, dimmelo.»

Felice, Makoto si allungò a prendergli il phon. «Ecco.»

«Grazie.» Lui lo prese e fece per tornare in bagno. Si fermò. «Ascolta... hai tempo prima di pranzo?»

Naturalmente sì, quella giornata era dedicata a lui. «Per cosa?»

«Vorrei andare al cimitero. A trovare mio padre.»

Makoto lo guardò negli occhi. Gen abbassò i suoi verso il pavimento. «Ho pensato... Voglio andarci oggi, prima di tornare a casa. Con te, se non è una cosa pesante. Se vuoi.»

«Sì» disse lei. Aspettò di vederlo alzare la testa per sorridere. «Certo che vengo.»

Sollevato e ancora incerto, Gen si diresse verso il bagno. «Asciugo i capelli.»

Lei annuì e lo lasciò andare via.

 

«L'anno scorso ho ricevuto una moto per il mio compleanno» le raccontò Gen, in macchina. «Era da parte di entrambi i miei genitori, ma era mio padre a sapere quanto ci tenessi. Stavo risparmiando per comprarla. Lui mi aveva detto che dovevo farcela da solo. Poi quella mattina mi porta sulla strada fuori casa, mi dà delle chiavi in mano, mi indica la moto... Pensavo che stesse scherzando. Mi sono sentito... Come un bambino, credo. Sai, quando sei ancora sicuro che possono arrivare sorprese enormi che non ti aspetti? Man mano che passano gli anni, ti rendi conto che devi lavorare per ottenere quello che desideri, però, a volte, chi ti vuole bene riesce a farti ricordare che...»

Makoto annuì. Le si spezzò cuore pensando che lui aveva dovuto vendere quella moto pochi mesi dopo, per racimolare il denaro necessario per mantenere la propria famiglia. Ma a Gen non sembrava importare. Di prezioso gli era rimasto quel ricordo. Lui sorrideva piano pensandoci, guardando oltre il parabrezza.

«I miei hanno litigato a marzo. Erano in una fase di stagna: mia madre si lamentava che non uscivano mai, che mio padre era sempre stanco quando tornava dal lavoro... Sì, a volte lui era in coma e trovava le energie solo per mettersi davanti alla tv. Ha lavorato tanto per finire di pagare la casa. Mi ricordo di quanto i miei genitori fossero tesi allora e poi di come abbiano fatto la pace. Non so in che modo.» Rise. «A partire da aprile, papà ha rallentato il ritmo. Si è preso più giorni liberi. A giugno lui e mia madre hanno fatto una vacanza di due settimane. Io sono rimasto a casa a occuparmi di Shori e Miki. Mi sentivo così adulto e responsabile.»  Il nuovo sorriso fu amaro, ironico.

Gen si fece quieto. «Gli ultimi mesi sono stati buoni per papà.» Si immise nella strada di ingresso al parcheggio del cimitero.

Makoto non disse niente quando trovarono posto e iniziarono a scendere calmi, senza fretta.

Fece il giro del furgone. Gen l'aveva aspettata per cominciare ad avanzare.

«Tornerò questa domenica» continuò lui. «Con mamma, Shori e Miki. Ma prima volevo...»

«Oggi è una giornata speciale.»

Gen annuì. La guardò e si accese un poco. «Tante cose sono cambiate nella mia vita.» La prese per una mano. «Volevo che lui vedesse la più importante.»

Le indicò con la testa la direzione e Makoto lo seguì.

Il cimitero era un posto vasto, sobrio, calmo. Era simile - pensò lei - al luogo in cui erano stati seppelliti simbolicamente i suoi genitori, nella prefettura in cui avevano vissuto insieme. Sua nonna riposava in un cimitero più piccolo invece, proprio lì a Tokyo.

Makoto non andava spesso a trovarla. Davanti alla lapide il vuoto che aveva sentito era stato feroce in passato, ma a nonna Junko era sempre piaciuto vederla sorridente. Makoto pensava a lei quando le cose andavano bene; le sembrava il modo più giusto di ricordarla, di onorarla.

Le mancavano i suoi genitori. Nonostante tutti gli anni che erano passati, la loro morte non era ancora un evento chiuso nella sua testa. Forse perché non c'era stato un saluto, né un'avvisaglia di quello che sarebbe successo - un orribile incidente aereo. Ricordava i loro abbracci, quando poteva. Sempre più spesso immaginava di poter tornare indietro e dire loro addio, per fissarsi in testa i loro volti mentre le trasmettevano con una sola espressione quello che avevano provato per lei in dieci anni di vita.

Con Gen camminarono lungo stradine ordinate, su un percorso che lui conosceva a memoria.

«Ecco» disse infine Gen, lasciandola andare e ponendosi in piedi da solo davanti a una lapide circondata da piccoli fiori colorati. La contemplò.

Makoto rimase indietro a leggere la scritta. 

Akito Masashi

Data di nascita e di morte. Poche cifre che racchiudevano una vita colma di esperienze: amore, dolore, errori, vittorie, impegno, lavoro. L'intera esistenza di una persona che era riuscita a circondarsi di una famiglia.

Padre e marito amato

Fece un passo verso Gen e lui incrociò il braccio col suo, senza chiudere la stretta. Gli sfiorò le dita.

«Makoto» mormorò lui. Ma non si era rivolto a lei, stava facendo un discorso silenzioso.

Makoto lo sentì emettere un debole sospiro.

Adagiò la testa contro la sua spalla, accarezzandogli il braccio con entrambe le mani. Lui piegò la faccia verso i suoi capelli.

Lei non lo sentì piangere, ma seppe che lui lo stava facendo, che stava ricordando e sentendo, ancora una volta, il dolore per tutto quello che non avrebbe mai più avuto con suo padre.

In piedi su quel prato, lo accompagnò nella sua sofferenza.

   


   

Di pomeriggio Makoto si ritrovò da sola, con una nuova piccola torta già preparata e Gen che era tornato a casa a festeggiare con la sua famiglia.

Era giusta la breve separazione e poi rivedersi solo quella sera. Nemmeno lui aveva capito di aver bisogno di un po' di spazio, ma Makoto lo aveva intuito al posto suo: Gen aveva già fatto molto nel soffrire con lei per una perdita tanto personale.

Prese il comunicatore Sailor. Aveva voglia di parlare con... «Usagi?»

Il volto di lei apparve sul piccolo schermo. «Mako-chan! Come stai?»

Era contenta di non averla allarmata. «Scusa se sto usando il comunicatore per chiamarti, ma...»

«Figurati! Sono utili, no? Inoltre, non mi avresti trovata in casa. Sono in giro a fare shopping!»

Oh. «Dove?»

«Qui a Juuban! Vuoi raggiungermi? Mi sto prendendo una fetta di torta al Crown.»

Non avrebbe potuto chiedere di meglio. «Sarò lì tra poco.»

«Magnifico, ti aspetto!»

 

Quando, entrando nel locale, Makoto avvistò Usagi, ebbe la sensazione di vedere al contempo la ragazza che conosceva e una persona nuova. Usagi Tsukino sorseggiava un frappé da una cannuccia - un gesto usuale per lei - ma guardava fuori dalla finestra, assorta e grave in volto. Aveva preoccupazioni ed esperienze che non poteva più permettersi di dimenticare.

Era passato tanto tempo da quando erano venute per la prima volta in quel posto, entrambe ragazzine delle medie oppresse da un destino più grande di loro, ma ancora spensierate.

«Usagi-chan.»

Lei la vide e si illuminò. «Makoto!» Si alzò. «Che bello che tu sia qui!»

Usagi la faceva sempre sentire come se fosse un regalo alla propria giornata. «Siamo fortunate ad essere entrambe libere oggi.»

«Eh, sì.» Usagi si sedette con lei. «Uno penserebbe che durante le vacanze ci sia solo tempo libero, ma Rei si sta buttando sullo studio per l'esame di ammissione, Minako è in giro a diventare una stella ed Ami... hai sentito? È in Italia

Quello sì che si chiamava un uso intelligente dei loro poteri sovrannaturali.

Usagi sospirò. «Peccato che Mamo-chan stia già lavorando, altrimenti tutti insieme avremmo potuto... Sai, nascosti in un angoletto del bosco Hikawa» si avvicinò fino a sussurrare, «noi trasformate in guerriere Sailor... Teletrasporto! Ed ecco che ci saremmo trovati tutti nel posto dei nostri sogni.»

Makoto sorrise. «Non saremmo stati d'accordo su un luogo solo.»

«Hai ragione. Io in questi giorni ho voglia di spiaggia!»

Usagi era senza dubbio una creatura estiva. «A me invece non sarebbe dispiaciuta una baita in montagna. Magari in Europa...» Tra alte vette innevate, al caldo davanti a un camino...

Usagi rilasciò un sospiro felice. «È così bello sognare, ma soprattutto sapere di poter rendere quei sogni realtà.» Riflettendoci, si intristì.

«Cosa c'è che non va? Il tuo matrimonio?»

Usagi annuì. «Non è una felicità completa finché sono costretta a nasconderla. Sabato ne parlerò a mamma e papà. So già che mio padre non reagirà bene, ma anche mamma ha cominciato a farmi strani discorsi... Mi ha parlato dell'importanza di aspettare e darsi tempo quando si è una coppia giovane.»

Era naturale. «Non scoppieranno di felicità all'annuncio, Usagi, ma è meglio che lo sappiano comunque. Come mai state aspettando per dirglielo?»

«Mamo-chan non riesce a tornare a casa a un'ora decente in questa settimana. Lo stanno uccidendo di lavoro.»

Giusto. E, se ricordava bene, in quell'ufficio Mamoru aveva già ottenuto tutta la comprensione possibile nell'ultima settimana di dicembre - durante le battaglie - con assenze o uscite anticipate. Non c'erano alternative, dunque. «Rei mi ha detto che cenerete a casa dei tuoi. Sabato?»

«La sera della verità» annuì Usagi. «Mi innervosisce non poter dire niente prima. Devo stare attenta a togliere e a rimettere l'anello.» Ci giocò in quel momento, accarezzando i due piccoli diamanti. «Inoltre... Mi sembra di avere dentro questa cascata di felicità da tenere bloccata a tutti i costi. Oggi ho provato a sfogarmi con gli acquisti.»

Giusto, Makoto aveva visto i sacchetti. «Che cosa hai comprato?»

Usagi li aprì senza entusiasmo. «Cose carine, ma non speciali.» Le mostrò una camicia bianca, con un bello scollo a V, decorata con un filo rosa sul colletto. «Poi c'è questa gonnellina.» Era un capo bordeaux, la tinta unita e scura inusuale per Usagi.

«Hai bisogno di idee?» tentò Makoto. Provò a darle la sua. «Io stavo pensando di andare...» si guardò attorno, controllando che fossero sole, «ehm, in un negozio di biancheria intima.»

Usagi aprì gli occhi in due tempi. «Oh, ah! Aspetta! Dov'è Gen?»

«Ehm...» Naturalmente era stata individuata subito la ragione della sua idea.

«Voglio dire, perché non sei con lui? Oggi non è il suo compleanno?»

«Sì, siamo già stati insieme questa mattina. Adesso Gen è con la sua famiglia, ci rivedremo questa sera. Ceniamo fuori.»

Usagi rilasciò un sospiro. «Per fortuna! Pensavo che aveste litigato.»

Davano quell'impressione?

Usagi sbatté una mano in aria. «Nahh, sono io che di solito mi innervosisco in queste occasioni! Sai che non do mai il tormento a Mamo-chan, ma quando arriva il mio compleanno...»

Sì, lo sapeva. Usagi tendeva a crearsi molte aspettative, ma soprattutto a pretendere che Mamoru le indovinasse tutte.

Makoto sorrise. «Va tutto bene tra me e Gen. Solo che...»

Usagi si sporse verso di lei. «Solo che, cosa?»

Usagi sarebbe stata la voce dell'esperienza. «Ecco, ti è mai capitato che Mamoru...» No, non voleva immaginare lui, solo attingere dalla conoscenza di Usagi in fatto di relazioni. «Ti sei mai sentita come se voi due aveste vissuto insieme una cosa bella ma che ti ha lasciata... stranita?»

Serafica, Usagi sbatté le palpebre, in attesa di sentirla elaborare.

Makoto abbassò la testa. «Una cosa.... sessuale.»

Usagi spalancò la bocca.

Ehi, stava ridendo di lei!

«No, no! Non rido perché...» Usagi si fece ancora più vicina. «Wow. Così presto?»

Makoto ebbe l'impressione che si fossero comprese benissimo sull'argomento. «Sì.»

«Giusto. Gen saprà tante di quelle cose...»

Era stata Usagi a chiedergli assieme a Rei quante ragazze lui avesse avuto in passato, durante una specie di terzo grado che Gen aveva accettato solo perché aveva fatto a sua volta domande sulla loro condizione di Sailor.

Usagi rimuginò. «Ma cosa ti ha fatto?»

Makoto combatté con tutte le proprie forze per frenare il rossore. «Non è... cioè, tutti e due... Era solo una posizione strana.»

«Da dietro?»

Non avrebbe mai immaginato Usagi tanto diretta su certe questioni. «Veramente...»

«La prima volta che Mamo-chan l'ha fatto, non sapevo cosa pensare. Perché era stato quasi impersonale, però-»

Sì! «Impersonale! Come se fossimo più due corpi invece che io e lui.» Ma come stava parlando?

«Ma certo.» Usagi era comprensiva. «Però, allo stesso tempo, è stato più intenso di tutte le volte precedenti, no?»

Lei non voleva pensarla così. «Intenso come sensazioni, ma come sentimenti...»

«Sei solo confusa, Mako-chan. Quando non lo guardi negli occhi, non sai cosa sta pensando lui e sei sola con te stessa. Per questo le sensazioni sono più forti: niente ti distrae. Se non lo conosci ancora bene, può sembrarti che sia solo un esercizio fisico, però... Mamo-chan mi ha detto che era come un regalo, per la fiducia che gli stavo dando. Quindi per lui c'era ancora più emozione.»

Sorpresa, Makoto valutò la nuova prospettiva.

«Ma se Gen avesse aspettato qualche altra settimana» continuò Usagi, «tu non ci staresti pensando tanto. Almeno ne è valsa la pena?»

Per il modo in cui sorrideva, Usagi sembrava già conoscere la risposta.

Makoto sentì un gran caldo in viso. «Sì, anche se non è stato... da dietro.»

«Oh. Cioè?»

Sotto la linea del tavolo, Makoto usò le dita di due mani per dimostrare.

Usagi si era sporta in avanti. «Ah, sì! Lo abbiamo fatto!»

Makoto avvampò. Dubitava che in due anni e mezzo ci fosse qualcosa che Usagi e Mamoru non avessero fatto insieme.

«In quella posizione c'è molta pressione su...» Usagi smise di parlare e rise. «Dài, ti prendo in giro! Non scenderò così nel dettaglio. Comunque, non fare quella faccia: ormai sei entrata anche tu nel club di noi pervertite. Manca Minako, poi devo solo convincere Ami a lasciarsi andare e...»

Il capo di quel club sembrava proprio Usagi.

Usagi le sparò con una mano, imitando Minako. «Ehi, è stata tua l'idea del negozio di biancheria intima! Ed è ottima! Ecco dove posso prendere qualcosa di speciale! Magari proprio per il matrimonio.» Occhieggiò le proprie buste. «Hai fame?»

«No, ma...»

«Allora andiamo! Ti offro qualcosa per strada, ho deciso cosa voglio prendere!»

Ridendo, Makoto si ritrovò trascinata fuori dal Crown.

 

Era entrata una sola volta in quel negozio. L'aspetto sofisticato le aveva fatto pensare a prezzi elevati, ma soprattutto a uno stile lontano da lei: in passato non le erano serviti capi sensuali, fatti per attirare l'attenzione. Solo di recente aveva provato qualche acquisto azzardato di biancheria, una scelta vincente: almeno aveva avuto qualcosa da indossare durante la sua prima notte con Gen.

Oltrepassò le porte, curiosa, ammaliata dai colori tenui e dalla disposizione ordinata degli indumenti. Ogni modello aveva il suo stand e perciò risultava ancora più prezioso alla vista. Provò a guardare qualche etichetta, controllando le taglie.

Le sue migliori speranze si infransero contro un muro di delusione. Si era dimenticata del suo solito problema: non era semplice trovare biancheria intima della sua misura.

«Coppa D?» La commessa fece una smorfia. «Non abbiamo molto qua fuori, ma forse in magazzino...»

Quasi sicuramente neanche in retrobottega avevano qualcosa, ma Makoto volle tentare comunque. «Se potesse aiutarmi...»

«Vedo cosa posso fare.» Solerte, l'addetta al negozio sparì.

Makoto si unì a Usagi. Deliziata, lei toccava tutti i modelli; poteva permettersi di indossarli.

«Ah!» Usagi teneva tra le mani un reggiseno di pizzo azzurro. «Com'è carino questo!»

«Sicuramente ti sta.» Makoto era invidiosa.

Usagi notò il suo sospiro. «Come mai questa voce?»

«Scusami, è solo che... mi piace tutto, ma non mi entra quasi niente. La commessa è andata a vedere se trova qualcosa per me.»

«Ohhh.» La delusione di Usagi fu quasi pari alla sua. Poi le guardò il seno. «Be', pensandoci, non è facile compatirti.»

Makoto si imbronciò. «Non ha senso che sia bello se non posso vestirlo bene.»

«Su, ogni donna ha qualcosa per cui soffrire! A me stanno tutti questi» Usagi le indicò con la mano larga ogni reggiseno del negozio, «ma continuo a desiderare che mangiando mi cresca la ciccia sul petto. Poi ci sei tu che non hai bisogno di altro volume, ma desideri ardentemente modelli che ti donino e che non trovi.» Usagi si accese come una lampadina. «Chiama Ami!»

«Eh?»

«All'estero la tua taglia non è più comune? Chiedile di prenderti qualcosa come souvenir!»

Oh. Magari non come souvenir, ma se avesse detto ad Ami che le rimborsava la spesa... Già, l'idea di Usagi era geniale. «Hai ragione!» Lo avrebbe fatto una volta tornata a casa.

Usagi stava già pensando ad altro. «Hai visto se c'è una parte dedicata ai corredi da sposa?»

Le sembrava di aver visto molto bianco su una parete. «Là sul retro.»

Usagi sgusciò via proprio mentre tornava la commessa. 

«È il suo giorno fortunato!»

Makoto non credette alle proprie orecchie. «Davvero?»

La signorina annuì. «La nostra nuova manager ha deciso di variare il campionario. Ha la sua stessa taglia, sa? Ha pensato di specializzare il nostro negozio offrendo una maggiore varietà nella dimensione delle coppe.»

Oh! Se le avesse fatto vedere qualcosa che non fosse di cotone e a tinta unita, avrebbe fatto di lei una loro cliente per la vita! 

La commessa la condusse al bancone. «Sono solo una decina di modelli, ma spero che siano di suo gusto.»

Per Makoto dieci era come dire mille.

Quando avvistò il modello in seta nera con fili d'argento, seppe di aver trovato quello che faceva al caso suo.

    

«È proprio bello» Usagi guardava con aria sognante il suo sacchetto chiuso.

«Lo so.» Raramente Makoto era stata tanto soddisfatta di un acquisto. «Anche il completino che hai preso tu è bellissimo.»

«È solo il primo di una lunga serie.» Usagi sollevò il pugno in aria, poi si sgonfiò come un palloncino. La sua andatura perse la cadenza del salto e Makoto seppe che stava per sentire qualcosa di serio da lei.

«Tutti i soldi che ho vengono da qualcun altro, sai?» Usagi guardò mesta il marciapiede. «Se li finisco, l'unica scelta che ho è chiederne altri. Non li ho guadagnati.»

Era normale. Lei era ancora giovane.

«Mi sto per sposare, Mako-chan. Dovrei essere in grado di mantenermi da sola almeno per le mie piccole spese.»

 Questo era vero. «Stai pensando di trovare un lavoro?»

«Luna dice che non è una buona idea adesso. Sarò impegnata a organizzare il matrimonio, però...» Usagi scosse la testa. «Non lo so, ci devo pensare. Mi sembra importante cambiare la mia situazione.»

«Quando andrai all'università, avrai più tempo.»

«Hai ragione.»

Makoto ebbe voglia di abbracciarla. «Sei matura già nel capire l'importanza di lavorare.»

«Ma è giusto che stia pensando solo a me stessa? Dopo tutto quello che è successo?»

Aveva davanti una futura regina ora. «Hai sacrificato tanto. Hai bisogno di riconquistare un po' di serenità.» Le massaggiò la schiena. «Non c'è qualcosa che adesso tu possa fare per il mondo, perciò non c'è niente di male se pensi a rilassarti e al matrimonio che sogni da sempre.» Guardò Usagi negli occhi e per un momento, ancora una volta, non le parve vero. «Usagi-chan. Stai per sposarti.»

Riaccese la gioia di lei. «Ti ricordi?» Usagi tremò col sorriso. «Quella volta abbiamo comprato una rivista per spose; abbiamo commentato le pagine tutto il pomeriggio!»

Makoto aveva in mente quella giornata come se fosse ieri. «Adesso per te è un desiderio sta diventando realtà.» Chiuse Usagi in un abbraccio forte. «Te lo meriti. Tra qualche giorno penserai al resto, ma per ora... permettiti di essere felice.»

«Non farmi piangere!»

Si staccarono ridendo, Usagi commossa. «Non voglio essere la sola che sta bene! Ci ho pensato, e ho capito meglio cosa volevi dirmi prima.»

Oh? Si riferiva al discorso a...?

«Imponiti, Mako-chan!»

«Eh?»

«Scommetto che stai cercando di essere tanto dolce e carina con Gen. È il tuo solito blocco, ma tu sei più di questo! Non frenarti, mostrati come sei. Vedrai che così ti sentirai padrona della situazione. Farai cose ancora più perverse senza vergognartene!»

Makoto controllò disperata i loro dintorni. «Shh!»

Usagi ridacchiò. «Mi ascolterai?»

«Ah...» Se l'aveva capita bene, sì, ma... «Non è che mi freni di proposito.»

«Certo, certo. Lui ha più esperienza, ma tu hai forza di volontà. Inoltre, ora sai quanto possa essere piacevole essere sopraffatta dalle sensazioni. Fallo a lui.»

Makoto ebbe un ricordo e si leccò un labbro. «In realtà...»

Usagi spalancò gli occhi. «Lo hai già fatto?»

Be', sì. «Durante la prima notte.»

La risatina di Usagi fu deliziosa. «Ti ho sottovalutata!»

Nelle vene Makoto sentì scorrere una sensazione di potenza quasi dimenticata. «Hai ragione. Ascolterò il tuo consiglio.»

«Ascolta solo la tua natura. Stanotte vinceranno le donne!»

Makoto preferì non chiederle cosa volesse dire. 

Sorrise e continuò la sua passeggiata con Usagi.

   


    

Rivedendo Makoto quella sera, Gen rimase senza parole. Sotto il capotto nero, che sottolineava la vita, non vedeva niente del corpo di lei, ma nella luce della sera risaltava il rossetto rosso che Makoto aveva messo sulle labbra. Lei aveva sciolto i capelli e i suoi occhi verdi sembravano più accesi e brillanti, circondati com'erano di scuro.

Quando fu a pochi centimetri da lui, Gen si aspettò di vederla arrossire e abbassare lo sguardo, ma Makoto lo fissò in aperta contemplazione. Gli mise una mano sulla spalla e lo fece chinare, per baciarlo su una guancia. Il colore della sua bocca sottolineò il sorriso. «Ho portato una cosa» gli sussurrò.

Lui non smise di guardarla in faccia. 

Lei gli mise davanti agli occhi un piccolo panno. Glielo appoggiò sulla guancia, strofinando piano la superficie umida contro la sua pelle.

«Per pulirti quando servirà.» Makoto tirò fuori anche un piccolo tubo decorato, il rossetto incriminato. «Questo invece è per sporcarti.»

Gen si fece rigido nei lombi. «Ah-ha.»

Makoto sorrise, tornando se stessa. «Dove andiamo?»

«Di sopra?»

Lei scosse la testa. «Dopo.» Sollevando le braccia gli fece vedere i sacchetti di carta voluminosi che lui non aveva neanche notato.

«Qui ci sono il tuo regalo e la nostra torta. Andiamo a scartarli in un ristorante.»

Infatti lui ne aveva scelto uno, ma in quel momento... Chiuse gli occhi e provò a far funzionare il cervello. «Va bene, andiamo.»

Mentre si voltava per fare il giro del furgone, Makoto lo afferrò per un braccio. «Ti ho colpito?»

Lui adorò quella domanda. «Sì.» Si chinò per avere un bacio, ma Makoto si ritrasse.

«Pazienza.» Lei risplendeva. «Sarà tutto migliore con un po' di attesa.»

Incredulo, Gen le aprì la portiera. Makoto stava cercando di... conquistarlo.

Cercando di non farsi vedere, sorrise mentre andava dalla propria parte della macchina.

  

«Sei tu a tuo agio qui» le disse, seduti al tavolo del ristorante. Era un posto tranquillo, che fino a quella sera lui aveva visto solo dall'esterno. L'atmosfera del luogo gli era parsa giusta quando un pomeriggio, fermo a un semaforo, aveva visto due tavoli dalle finestre, entrambi occupati da coppie diverse in età e aspetto tra loro, simili solo nell'atteggiamento casuale con cui si concentravano sul partner che avevano davanti. Un posto per coppie, aveva pensato, e gli era venuta subito in mente Makoto.

Aveva provato a descriverle sommariamente il tipo di ristorante. Lei ora si adattava al luogo meravigliosamente con il vestito semplice, nero, che le avvolgeva il corpo.

«Sembra che sia a mio agio?» ripeté Makoto, tagliando con delicatezza la carne sul piatto. «Mi piace sentirmi diversa a volte.»

Più che diversa, lei gli sembrava solo nuova. Ogni volta che credeva di averla capita, e di essere contento di quello che aveva trovato, veniva sorpreso con la visione di un altro lato di lei che ancora non comprendeva.

La luce negli occhi di Makoto non era cambiata. «Non sembra che io stia recitando?»

Gli piaceva sedare quell'insicurezza. «No.»

«Non ho avuto molto a che fare col mondo degli adulti... Ma poi penso, 'Sono adulta anche io ormai'. Quindi oggi ho voluto mettermi queste cose che mi fanno sentire... come sono quando mi trovo con te. Grande.»

Lui si riempì. Di cosa non lo seppe, ma 'amore' era una parola troppo blanda. «Lo sei.»

Makoto sorrise. «Lo vedo quando mi guardi.»

Lei passava dall'incertezza a un tono da seduttrice nata che gli stava facendo venire voglia di chiedere velocemente il conto.

Guardò il proprio piatto mezzo pieno e si affrettò a terminare di mangiare.

«Oggi mi sono vista con Usagi.»

La ascoltò. 

Makoto rifletté tra sé. «Lei sta cercando di pensare ai problemi di tutti i giorni, al suo matrimonio... Ma si sente in colpa per non preoccuparsi di... cose più serie.» Makoto sapeva già che i tavoli accanto a loro erano occupati, perciò non entrò nei dettagli. «Mi ha fatto pensare. Forse c'è qualcosa di sbagliato nel modo in cui voglio affrontare i prossimi tre anni della mia vita.»

Gen la fissò.

«Aprirò la pasticceria» gli confermò Makoto. «Non so ancora di preciso cos'altro fare per prepararmi a quello che verrà dopo, ma... Non vorrei continuare ad agire come se, dimenticandomene, sarà tutto a posto alla fine.»

Non c'era un commento che lui avesse da offrire su quella faccenda.

Makoto studiava la sua reazione. «Non ne parlerò molto con te in futuro. So che...»

«Non hai bisogno di evitarlo.» Lui non era così debole.

Makoto annuì piano. «Ci penserò ogni tanto. A volte vorrò parlarne. Siccome non avrò il ruolo di Usagi e non ho capacità di comando come Rei, o l'intelligenza di Ami... non sarà una cosa che entrerà tanto nella mia vita. Non ho neanche la presenza di Minako, perciò... dovrò trovare un mio posto all'interno di questo futuro. Questo non cambierà la mia esistenza di tutti i giorni, per adesso. Forse, sarò solo una ragazza che comincerà a leggere molte riviste e a guardarsi programmi politici noiosi e complicati.»

«Posso subire questa tortura con te.»

«Avrò paura di opprimerti, Gen. Ma mi sembrava giusto parlarne, almeno una volta.»

Se serviva a tranquillizzarla, lei aveva fatto bene. «Non mi sottovalutare.»

«Non è così.» Makoto scosse la testa. «È solo una cosa che volevo dire. Io sarò anche tutto questo in futuro, nel bene e nel male.»

«Nel bene» precisò lui.

Lei fu felice. «E tu? Stai finendo il terzo anno. Comincerai a cercare un lavoro nel tuo campo?»

Makoto stava cambiando argomento. Gen lo accettò. «Col rimborso dell'assicurazione la mia famiglia è al sicuro ora. Ma c'è la ditta di mio padre. Ci sono Watanabe, Sato e Nakamura. Devo trovare qualcuno che mi rimpiazzi nel gestirli.» Il pensiero non era piacevole come aveva pensato un tempo.

«Ti sei affezionato al lavoro? A loro?»

«Li conosco da una vita. È strana l'idea di lasciar andare... questo.» Un altro pezzo di suo padre, la ditta che lui aveva tirato su dal nulla e gestito per vent'anni.

«Datti tempo.»

Sì, aveva bisogno di capire cos'era meglio fare. Voleva sentire di prendere la decisione giusta per le persone di cui si era reso direttamente responsabile. «Devo pensare a loro.»

Makoto si incuriosì. «A loro tre va bene? Non ti hanno mai visto come un bambino? In questi ultimi mesi, voglio dire.»

No. «È successo in fretta. Sono andato a sostituire mio padre quattro giorni dopo che lui se n'era andato. Non c'era nessuno che sapesse posare un parquet e io avevo bisogno di qualcosa da fare. Loro avevano bisogno di qualcuno che li guidasse. Andava bene chiunque a quel punto: mio padre non era solo il loro datore di lavoro, erano amici da anni. Serviva normalità. Senza parlarne, ho presto il suo posto e abbiamo provato ad andare avanti come se nulla fosse cambiato.» Loro lo avevano sostenuto, senza saperlo.

«Sei stato molto bravo.»

Avrebbe dovuto suonargli banale come complimento, ma gli sembrò di sentirlo dire da un'altra voce - maschile e più adulta - e si ritrovò con un groppo duro alla gola.

Addolorata, Makoto cercò il suo sguardo. Lo incrociò e provò a sorridere. «Ho un negligée sotto il vestito.»

A lui sfuggì una risata incredula. «Cosa?»

Lei arrossì. «Non so se si chiama così perché è corto, comunque... l'ho comprato oggi. L'ho indossato.»

I pensieri di Gen virarono in una nuova direzione. «Ah-ha.»

Makoto afferrò la confezione in cui aveva chiuso il suo regalo, usandola per coprirsi il petto. «Prima devi aprire questo. E dobbiamo mangiare la torta.»

«Non sto dicendo niente» sorrise lui.

Lei era divertita. «Non hai bisogno di farlo.» Appoggiò il regalo sul tavolo. «Spero che ti piaccia. Ma se ho sbagliato... la prossima volta farò meglio.»

«Non hai sbagliato.»

«Come fai a saperlo?»

«Quel regalo fa il rumore di matite che sbattono l'una contro l'altra. A meno che non sia un set per colorare...»

Lei si disperò. «Non è giusto! Hai già capito!»

Non era un problema. «Farò la faccia sorpresa quando lo apro. Tu tieni pronta una di quelle salviette, dovrai pulirmi la bocca. Non sto bene col rossetto.»

Makoto sorrise e lui fu contento. Quello era davvero uno dei migliori compleanni che avesse mai trascorso.

Non avrebbe potuto chiedere nulla di meglio.

    

Nella strada verso casa, lui e Makoto fecero un gioco: sulla bocca non erano permessi baci, solo sfioramenti, respiri. Il collo invece era territorio libero. Fuori dalla porta di lei, Gen le massaggiò la base della nuca con le dita, solleticando con le labbra la pelle sotto il suo orecchio. «Perché non apri?»

Makoto non stava girando la chiave. «Mi distrai.»

Lui rinnovò i propri sforzi.

Lei riprese il controllo della mano e fece scattare la serratura. Entrando in casa, lo tenne lontano con le dita aperte sul petto, accendendo la luce. Si sfilò il cappotto, appendendolo veloce alla parete. Non smetteva di guardarlo e sorridere mentre si toglieva le scarpe coi tacchi, perdendo quei pochi centimetri che l'avevano resa ancora più accessibile per lui.

Gen tolse a sua volta la giacca, si liberò delle scarpe. L'attesa era migliore quando stava per essere annullata.

Avanzò mentre Makoto indietreggiava.

«Fino a dove scapperai?» le domandò.

Lei scrollò le spalle. Rise nell'abbraccio con cui lui la prese e il bacio che seguì... Gen si sporcò di rosso tutta la faccia, volentieri. La cosa che lo eccitò di più non fu il sapore, ma i suoni che fece Makoto, respiri spezzati, gemiti sommessi che trasmettevano tutto il desiderio di lei. Il suo corpo era morbido, perfetto contro di lui. Si focalizzò sulle gambe di lei - che non aveva mai dimenticato - e con due mani cercò l'orlo della sua gonna, sollevandolo piano, accarezzando.

Makoto si allontanò di nuovo, il viso una macchia di colore sbiadita sulla bocca.

Sfatta di passione, lei era tremendamente bella.

Camminando all'indietro Makoto salì sul letto e lo invitò ad avvicinarsi. Lui non se lo fece ripetere e la raggiunse.

«Usa solo le mani» gli disse lei.

Un piccolo ordine che lo infiammò ancora di più.

Acconsentendo a tenersi distante, riportò le dita sulle gambe di lei, tirando su la gonna, lentamente. Voleva godersi il momento.

Gli venne un infarto alla vista delle autoreggenti. Makoto si frenò dal dire qualcosa - una giustificazione, forse. Ma quelle erano calze normali e lui non avrebbe mai pensato che finissero sotto la coscia, dove erano la cosa più sexy, che... Cambiò idea quando le alzò il vestito oltre la vita, scoprendo degli slip di seta neri, con un piccolo gioiello sul ventre. Il tessuto era identico sui due lembi di indumento che cadevano, aperti, ai lati dello stomaco di lei.

Makoto terminò di spogliarsi da sola, sostituendosi alle sue mani che erano rimaste ferme sulla vita. Accettò una carezza sul ventre, rimanendo ferma.

Travoltò, Gen provò a farla sdraiare, ma lei si oppose. «No.» Premette sulle sue spalle e li tenne entrambi dritti. «Prina togliti i vestiti.»

Lui si liberò di camicia, cintura, pantaloni e calze in un tempo inferiore ai sette secondi.

Makoto si divertì. «Così va meglio.» Aprì le braccia e lo accolse.

Sul letto, ribaltò la loro posizione e gli cadde sopra.

Lui respirò l'odore dei suoi capelli. «Sei così buona.»

«... come persona?»

«Buona da mangiare.»

Makoto rise e si sollevò su di lui, seduta. Allungandosi di lato accese la lampada e spense la luce sul soffitto.

Gen le accarezzò il ventre; l'ombelico era incorniciato da quel meraviglioso indumento aperto senza nome, agganciato alle spalle da due fili neri, i seni sostenuti da un reggipetto nero. Makoto portò un braccio dietro la schiena e fece saltare il gancio.

«Con questo negligée bisognerebbe dormire» mormorò, abbassando delicatamente le spalline del reggiseno, facendo attenzione a non lasciar scendere la camiciola. «Ma non potevo andare in giro senza niente sotto.»

Il pensiero di lei seminuda gli tolse il fiato. La afferrò forte sui fianchi mentre Makoto si gettava alle spalle il reggiseno scuro. Lei si abbassò e i suoi seni liberi lo sfiorarono sul petto, i due triangoli di seta l'unica cosa che separava le loro carni. 

Makoto gli passò le mani tra i capelli. Sospirò mentre le mani di lui la percorrevano lungo il torso, salendo. «Aiutami a togliere le calze.» Seduta su di lui, portò le gambe verso le sue spalle, appoggiandosi con tutto il peso del bacino proprio su...

Lei notò la sua reazione. «È piacevole?» Dondolò coi fianchi sul rigonfiamento di lui.

Per Gen parlò la bocca aperta.

Senza dire niente, Makoto portò le mani alla fascia scura della calza sulla gamba destra; cominciò a srotolarla verso il ginocchio.

Gen la aiutò con l'altra gamba, passandole le mani sulla coscia, sul polpaccio. A piede libero le massaggiò la pianta col pollice, causandole un sorriso.

«Soffri il solletico?» le domandò.

Ricordò l'ultima volta che l'aveva toccata in quel modo, per guarirle la ferita causata da un coccio di ceramica.

«Non lì.» Makoto ritrasse la gamba e si sollevò in ginocchio su di lui. Per la prima volta, sembrò incerta. «Voglio fare una cosa.»

Gen teneva le dita sull'elastico dei suoi slip. Lei poteva pretendere il mondo in quel momento. «Cosa?»

«Questa volta voglio essere io quella che si muove.»

Se l'aveva capita bene, l'idea era geniale. «Certo.»

«Guidami. Con le parole.» Makoto infilò un dito sotto l'elastico dei propri slip. A gola secca lui si unì a quella carezza, lei che sospirava e cominciava a muoversi contro la sua mano, facendosi sentire per intero, bollente e già un poco umida. Makoto si adagiò piano sopra di lui, provando a togliersi confusamente le mutandine. Gen non la aiutò, continuando ad accarezzarla tra le gambe.

Con un sorriso spezzato, lei imprigionò la sua mano accanto alla testa. «Faccio io.» Lo baciò. Lui affondò nel calore delle sue labbra, della sua lingua, finché il palmo di Makoto non lo trovò sull'erezione e massaggiò. A occhi aperti sentì che lei passava a baciarlo sulla guancia, strofinandoglisi addosso con tutto il corpo mentre non smetteva di stimolarlo.

Lei cominciò ad abbassargli i boxer. «Tira su il sedere.»

Divertito, Gen eseguì e cooperò con lei per sfilare l'indumento, finché giunti alle ginocchia ci pensò da solo.

Makoto si sollevò sulle braccia. Era nervosa, ma non disse una parola mentre si sbilanciava all'indietro e lo prendeva in mano, aprendosi per trovare il punto giusto di contatto, la propria apertura - in quel momento il regalo più intimo che potesse fargli.

Qualunque cosa farai, andrà bene. Lo avrebbe detto a voce in un'altra occasione, ma la vide così determinata che non le fece il torto di rassicurarla o darle consigli. Makoto era dotata di un istinto naturale che doveva solo scoprire.

Anche lei resistette all'uso delle parole. Lo accolse nel proprio corpo, abbassandosi piano.

Entrambi strinsero i denti.

    

Makoto aveva pensato che si sarebbe sentita al comando, forte, ma in quella posizione era più scoperta e disarmata che mai.

Va bene? Una donna sensuale, che conquistava, non lo avrebbe chiesto.

Studiò la sensazione di avere Gen in sé, col peso del proprio corpo che premeva su entrambi. Non riusciva ancora a racchiuderlo completamente; per quel minimo di esperienza che aveva acquisito, sapeva che ci voleva più insistenza per trovare un'unione completa. 

Si sollevò su di lui e scese di nuovo. Era eccitante vedere come Gen la guardava.

Ora ci riesco. Con una terza spinta verso il basso fece aderire completamente i loro corpi, una scoperta che la sconvolse.

Si era sentita come punta.

Forse, se andava avanti col peso...

Lo strofinio sulla parte alta tra le gambe le fece sfuggire un ansito.

Aprì gli occhi.

Aveva il controllo di quel piacere, ma anche di Gen che quieto, appassionato, la osservava. Per lui quell'ultimo movimento non era stato altrettanto sconcertante.

«Fallo ancora» le disse lui. Poiché le aveva chiesto di guidarla, Makoto obbedì, dondolando coi fianchi.

Serrò le palpebre mentre la mano di Gen la aiutava a sostenere il peso del torso premendo su un suo seno, le altre dita che la cercavano sullo stomaco. Sorrise e gemette quando lui la stuzzicò sull'ombelico.

«Qui invece provi solletico?»

Lei annuì a bocca aperta, spostandogli la mano. Portò il suo palmo alle labbra, baciandolo.

Incapace di fermarsi, assaggiò la delizia estrema dello sfregamento tra i loro corpi, dentro e fuori, trovando un ritmo con le anche.

Guardò Gen. Osservandolo in viso trovò la volontà per smettere.

«Perché?» domandò lui.

Lei appoggiò le mani sul suo stomaco. «Non sono io che devo impazzire.»

Si sollevò e scese su di lui. Come premio ebbe fu il modo in cui Gen si tese. Inglobandolo di nuovo, fu attenta a stringerlo forte coi muscoli. Lui scattò ad afferrarle i fianchi, ma lei proseguì senza sosta, aumentando il ritmo quando lo vide gettare all'indietro la testa. Bramosa, si sporse in avanti e lo mordicchiò sul collo.

Gen la prese per la vita, per capovolgerla, ma Makoto usò la propria forza e mantenne entrambi dove stavano, lui soggiogato e a sua completa disposizione. «Senti com'è» mormorò, stringendolo dentro di sé, per fargli capire quanto potere avesse su quello che lui provava. Quelle sensazioni erano sue; lei poteva esaltarle, comandarle, per non farlo più pensare a niente.

Non lo fermò quando lui iniziò ad agitare i fianchi, sollevandosi a ritmo con lei. Fu una risposta istintiva, naturale, che la fece fremere in risposta.

Provò a chiudere gli occhi.

Sentì le mani di Gen sul torso, che prendevano quella specie di negligée di seta, sollevandolo fino a toglierglielo da sopra le braccia. Lui riprese a dondolare con lei, le mani strette sui suoi seni.

Makoto riuscì a mantenere un minimo di manovra, ma erano in due a muoversi ora e gli strofinii contro il proprio bacino si trasformarono in piccoli colpi, mentre le dita di lui sui capezzoli... Invece di opporsi, si abbandonò e fece pressione su ogni spinta.

Sentì la tensione di Gen, che sotto di lei diventava rigido come una tavola prima di afferrarle i fianchi e muoverla scompostamente assieme a lui.

L'orgasmo la colpì feroce, rapido. Trovò immensa soddisfazione nella possibilità di cavalcare al massimo ogni ondata di piacere, con quasi totale libertà di movimento.

Le spinte si quietarono.

Gen era... stravolto. Tremava, ma lei non ebbe pietà e continuò a strofinarsi su di lui, per spremere gli ultimi brividi. Senza fiato, lui accennò a ridere.

Lei si sollevò dal suo corpo. Senza accorgersene gli cadde accanto, più stremata di quanto aveva pensato. Sorrise contro la spalla di lui, impossibilmente appagata.

«Sei... una potenza» fu il complimento di Gen.

Lei cominciò a sussultare per le risate. 

Lui si adagiò sul fianco, divertito. «Dico sul serio.»

«Lo so.»

«Quando ti dai da fare...»

Non c'era bisogno di lodarla tanto. «Anche tu.» Lo baciò leggera sulla bocca e cercò un abbraccio, ubriaca di felicità. Con due dita gli scostò i capelli dalla fronte lievemente umida.

Sedato, Gen la studiava. «Perché stamattina non eri così?»

«Mi hai sorpreso.»

Adorava il modo in cui stavano parlando, a bassa voce, chiusi in un mondo loro.

«Era solo questo?» indagò Gen.

Mentre lo aveva davanti, lei esplorò la profondità di dubbi che aveva cercato di non vedere dentro se stessa. Confessò. «Voglio che tu mi stringa. Che mi guardi. Sempre.»

«Ti guardavo, Makoto.» 

«Devi perderti con me quando siamo insieme.» Come succedeva a lei. «Non pensare tanto, non usare tecniche... Non troppe» sorrise. «Amami, quando sei con me.»

Gli causò una smorfia di sofferenza. «L'ho fatto. Tutte le volte.»

«Stamattina... amavi quello che stavamo facendo.» Naturalmente ne era innamorata anche lei, ma... «Non sono ancora pronta per...»

«Okay. Ma ho sbagliato a non farti capire, non a...» Gen mise gli occhi sui suoi e concentrato parlò. «Adesso, che respiriamo. Prima, mentre ci muovevamo. È come non smettere mai di ballare con te. Sono cosciente di quello che fai, di quello che senti. Nella mia testa non ci sono più solo io, è sempre una cosa... doppia. Tienilo a mente.»

Era finita in un mare, pensò Makoto. Una landa mobile di felicità che la cullava nelle proprie onde. E non era sola.

Abbassò le palpebre e appoggiò la fronte contro quella di lui. 

Il freddo della stanza cominciò a farsi sentire. Si abbracciarono per tenersi al caldo.

«Non ho tanto sonno.»

«È presto» sbadigliò lei. «Abbiamo mangiato da poco.»

«Tu hai sonno.»

«No. Questo è... rimbambimento.»

«Cosa?» sorrise lui.

«Ha un nome? Lo conosco da poco, perciò lo chiamo così.»

«Non so se ha un nome. Quello che gli hai dato è buono.»

Makoto lo guardò in faccia e scoppiò in una risatina. 

«Cosa?»

«Il rossetto.»

Lui le strofinò una guancia. «Anche tu ce l'hai.»

«Aspetta, prendo lo struccatore.»

«No, non ti alzare.»

«Solo un attimo.»

Quasi saltellando, Makoto andò in bagno. Prese il liquido struccante, dei dischetti di cotone e infine... Felice, annodò attorno al polso l'elastico per capelli. Tornò indietro. «Non è stato facile evitare di farmi una coda stasera.»

«Stai bene.»

«Sono abituata a tenere i capelli legati. Inoltre...» Gli mostrò la banda con le due sfere verdi. Era stato lui a regalargliela, un mese prima. «Mi piace ancora di più farmi la coda da quando ho questo.»

Gen soffrì, diviso tra tenerezza e rimorso. «Devo farti regali migliori.»

«Era il primo.» Terminò di pulirlo sulla bocca, poi passò a togliere le tracce di colore dal proprio viso. Tornò a sdraiarsi accanto a lui. «Rimarrà un regalo speciale.»

Lui provò a ricordare. «Mi sentivo in colpa. Stavo cercando di non farti pensare che ero un idiota.»

Perché l'aveva gettata a terra in combattimento? Inconsciamente, era stato allora che lei aveva cominciato a considerarlo come potenziale fidanzato. «Io stavo cercando di non pensare che eri giusto per me. Non volevo accorgermene.»

«Ah, sì?»

«Sei stato bravo a insistere.»

«Modestamente...»

Makoto appoggiò la testa sul suo petto. Sul cuore di lui aprì una mano che Gen prese.

Con le dita danzarono un lento privo di ritmo, colmo d'intesa.

"È come non smettere mai di ballare con te."

Al ricordo di quelle parole, innamorata, si addormentò.

  

  

4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno - FINE

     


  

 

NdA: in ritardo, ho finito questo episodio. Mi piace, è venuto come volevo, come lo immaginavo da tanto tempo, quasi da quando Makoto e Gen si erano appena messi insieme.

Dedico questa storia a chi ha amato questa coppia come me. In particolare ricordo Rox, thembra, Morea. Ma sento che sto dimenticando qualcuno (perdonate, è l'ora, l'una del mattino) e se è così sappiate che voglio citarvi tutti quanti. Questi due sono insieme, con questo entusiasmo e questa passione, anche grazie a voi, perché da principio con Gen ero convinta di aver creato un personaggio maschile semi-stereotipato, che ho imparato ad amare anche grazie a come me lo avete fatto vedere voi.

Un bacio.

ellephedre

 

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Capitolo 3
*** Fine gennaio 1997 - Routine ***


corrente naturale 3

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Fine gennaio 1997 - Routine

   

Alla fine avevano trovato una loro routine. Due o tre volte a settimana, Gen cenava da lei la sera, seduti l'uno davanti all'altra sul tavolo basso della cucina, con una scodella di cibo in mano. Fino a quel momento Makoto non si era mai ripetuta col menù: aveva un'inventiva illimitata in cucina.

«Come al solito, per te c'è un dolce anche questa sera.» Si alzò. «Le ragazze hanno finito quello di ieri, per cui, oggi...» Aprì teatralmente il frigo. «Tiramisù!» Tirò fuori un piccolo vassoio e lo posò sul tavolo.

«Grazie» sorrise lui. «Ma tu non lo mangi?»

«Magari domani a pranzo, o come merenda. Oggi sono sazia.»

Lei lo era spesso dopo cena. Gen l'aveva notata servirsi più volte porzioni piccole, che assaggiava con lentezza.

«Non devi preparare dei dolci apposta per me.»

Makoto scrollò le spalle. «A me fa piacere. Mi piace guardare mentre li gusti. E sentire i suoni di gradimento che ti escono dalla gola.»

«Ah, sì?» Il tono del discorso era appena cambiato. 

Lei sorrise, un labbro incastrato sotto i denti. «Se posso darti simili soddisfazioni, sono felice.»

Lui strisciò intorno al tavolo. «Vieni qui.»

Makoto si dimenò un poco nella sua presa, giocando a resistergli. «Dobbiamo finire di mangiare.»

«Il dessert non scappa. Un po' come la spalla di questo maglione.» La tirò su, riportandola al proprio posto dal punto in cui era caduta sul braccio, come aveva fatto Makoto più volte durante la sera.  Si abbassò a baciare la pelle che ricopriva quel delizioso muscolo e lo sentì fremere sotto le labbra. «Avevi freddo?»

«Hmn...» Makoto era concentrata sulla sua bocca.

«Ti direi...» Gen leccò un poco, «che non devi denudarti in pieno inverno per attirarmi. Ma vederti con questa spalla mezza nuda mi ha fatto venire delle gran belle idee.»

«Veramente?»

Lui udì il tono di voce roco e sollevò gli occhi. Le prese la nuca in una mano mentre Makoto abbassava la testa. Si baciarono a bocca aperta, voraci.

Lei gli circondò il collo con le braccia, poi gli salì sopra e urtò il tavolo con un ginocchio, quasi sbalzando l'intero ripiano. Risero, poi lui cercò di nuovo le sue labbra. Lei si scostò. «Aspetta...» Gli regalò un piccolo bacio prima di tirarsi su. «Prima metto via il dolce.»

Lui non le lasciò la mano. «Fallo dopo.»

«Ma si scioglie.» Makoto lanciò un'occhiata al lavandino e fu colpita da una nuova idea. «Meglio se lavo velocemente i piatti, altrimenti si sentirà l'odore del cibo fino a domattina.»

Gen le lasciò la mano.

Rimase a pensare mentre, guardando il tavolo, notava i bicchieri sporchi e i piattini puliti - da dessert -  che lei aveva tirato fuori da poco.

Capì il problema e si alzò. Mentre Makoto riponeva in frigo il dolce, lui portò i bicchieri verso il lavabo. «Sto scombinando i tuoi ritmi, non è vero?»

Quando Makoto cucinava, era metodica e molto ordinata. Come una professionista, la sua cucina era immacolata durante la preparazione dei cibi. Appena lei terminava una pietanza - se i tempi di cottura glielo permettevano - si dedicava alla pulizia degli utensili impiegati durante la preparazione. Sul suo piano di lavoro, durante le varie fasi, si vedeva a stento una briciola o una goccia di sporco. Makoto teneva molto alla sua cucina, nonché a lasciarla pulita.

Senza curarsi di ciò, lui quasi sempre pretendeva la sua totale attenzione dopo cena. Di frequente finivano a lavare i piatti la mattina dopo - o più spesso lo faceva Makoto da sola, poiché si svegliava per prima, senza che lui nemmeno se ne accorgesse.

Lei aveva iniziato a far scorrere l'acqua. «Sì, preferisco lavare i piatti appena finito. A volte, in queste sere, ho faticato a rimanere sdraiata a letto con te senza pensare alla cucina sporca.»

Incredibile. «Potevi dirlo.»

«Non sempre avevo voglia di farlo. Spesso ero stremata e troppo felice per muovere un muscolo.»

Lui le accarezzò la coda, sfiorandole la base del collo. «Sono io quello che si sta prendendo uno spazio che era solo tuo in questa casa. Spazio e tempo. Aiutami a capire se sto esagerando.»

Lei fece un passo verso di lui, per strofinare la nuca contro la sua mascella. «No. A volte vorrei che fossi qui tutti i giorni, per questo non dico nulla. Vorrei ancora di più di quello che mi stai dando. Quando penso queste cose, mi fermo a riflettere e mi do un paio di schiaffetti.» Rise. «Sai com'è... In fondo mi servono anche dei momenti liberi per studiare, per pulire la casa, per fare la spesa, per farmi bella per te...»

Lui mise la mano sotto il getto dell'acqua e le passò le dita bagnate sulle labbra. «Ancora di più?»

Il respiro di lei accelerò. «Ah....» Ad un centimetro dalla sua bocca, si risvegliò. «Prima i piatti!»

Ridendo, Gen fece un passo indietro. «Ne approfitto per andare in bagno.»

Adocchiò da fuori lo spazzolino che aveva comprato per quella casa. Spesso finiva per utilizzarlo solo di mattina: lavarsi i denti dopo cena non era sempre una priorità. Per lui e Makoto non era ancora terminata la fase in cui a entrambi bastava guardarsi negli occhi per saltarsi addosso. 

Erano passate più di tre settimane da quando avevano la libertà di dedicarsi l'uno all'altra in quel modo. Ormai non c'erano più guerre, non c'erano più pericoli.

Si voltò.

Con in mano un piatto e una spugnetta, Makoto inclinò la testa di fronte alla sua attenzione.

«Fa molto rapporto domestico» dichiarò lui.

«Hm?»

«Nonostante le mie intenzioni, passiamo la maggior parte del nostro tempo insieme qui a casa tua.»

«Si risparmia per il cibo. Inoltre, dopo il lavoro tu sei stanco.»

«Anche per te è più comodo non uscire.»

«Certo. Studio mentre cucino.»

Davvero? Quando ne aveva il tempo, se preparava cose sempre nuove e complicate? «Mi piace stare con te, Makoto, ma non voglio che ti occupi di me come se io abitassi qui.» Gli sovvenne un aspetto di quella situazione. «Mia sorella ha detto che da qualche tempo a questa parte c'è più cibo nella nostra dispensa. Per metà della settimana ormai non mangio più a casa.» Tornò verso il salotto e si diresse alla scrivania, tirando fuori un blocchetto. «Farò la spesa per te qualche volta. Segna quello di cui c'è bisogno.»

«Gen... non è necessario.»

«Non stai spendendo di più in cibo da quando stiamo insieme?»

«Sì, ma è un piacere.»

«Lo sarà anche per me. Comprerò il cibo con cui ci preparerai le cose deliziose che cucini.»

Makoto arrossì. Abbassò lo sguardo sul bicchiere che stava lavando. «Posso dirti una cosa?»

«Certo.»

«Mi piace da morire parlare di queste cose con te. Come se fossimo una coppia che...» Non ebbe il coraggio di terminare. «Non sentirti in colpa se non mi porti fuori. La verità è che a me piace tantissimo accoglierti la sera, qui a casa mia.»

Addolorato, lui strinse i denti. «Non parlare così mentre lavi i piatti.»

«... perché?»

«L'idea era quella di frenarci col sesso per cinque minuti. Ma se parli in questo modo...»

Lei mimò il segno di una cerniera chiusa sulle labbra. «Capito. Silenzio.»

«Per cinque minuti» le ricordò lui.

Soddisfatto nel vederla annuire, andò in bagno.

Guardandosi nello specchio sopra il lavandino, spalmò felice il dentifricio sopra lo spazzolino.

Chi aveva bisogno di uscire? La perfezione era già in quel posto.

  

  

Fine Gennaio 1997 - Routine - FINE

 


 

NdA: scena breve, ma più o meno è così che - una volta raccontate le vicende principali - vorrei esprimermi nelle varie raccolte dedicati alle coppie di cui mi scrivo. Non sempre avrò una storia precisa da sviluppare; l'idea è quella di trasmettere l'essenza della quotidianità e del rapporto che si viene a instaurare tra i personaggi, quando mi viene in mente la scena giusta da descrivere.

Spero che questa vi abbia detto qualcosa di più su Makoto e Gen. Oggi non pensavo affatto di scrivere di loro. Sapete come mi è venuta l'idea?

Ho visto un episodio della terza serie in cui Makoto aveva un maglione rosa con uno scollo un po' largo e ho pensato che a Gen un indumento simile sarebbe proprio piaciuto.

Da qui questa scenetta :)

Se avete una parola di commento, sarò felicissima di sentirla :)

Grazie di aver letto!

 

ellephedre

 

 

 

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Capitolo 4
*** Inizio febbraio 1997 - Corsa e cinema ***


makoto_gen_cinema

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Inizio febbraio 1997 - Corsa e cinema

 

Correre in inverno, la mattina. Makoto si riempì d'aria i polmoni, aumentando l'ampiezza della falcata. Mancava solo un angolo e avrebbe raggiunto il parco e l'albero sulla piccola collina. Era il suo obiettivo di metà percorso.

Coraggio!

Mai come nell'ultimo mese si era lasciata andare con gli esercizi. Si era concentrata molto su Gen: uscire con lui, preparargli da mangiare, passare del tempo insieme... Occupazioni soddisfacenti che le portavano via tempo. Per non perderne troppo, nelle ultime settimane si era limitata a qualche esercizio di rafforzamento muscolare dentro casa.

Con la corsa era fuori forma e lo sentiva nella fatica con cui il suo cuore pompava il sangue. Cominciava ad avere il fiatone, ma non le dispiaceva: faticare era nel suo DNA, la rinvigoriva.

Arrivò nella piazzola del parco, il torso madido di sudore sotto la felpa di cotone leggera.

Ancora un centinaio di metri...

Avvicinandosi al tronco dell'albero, notò un corridore che proveniva dalla direzione opposta.

Incredula, spalancò la bocca. «Gen!»

Lui la notò. Senza smettere di correre, esplose in un sorriso.

Lei accelerò il passo, fiondandosi come un razzo su di lui. «Ciao!!» Si aggrappò alle sue spalle.

In volteggio fecero un mezzo giro.

Lui era estasiato. «Ciao! Cosa ci fai qui?»

«Ci corro!»

«Non ti ho mai vista!»

«Ah...» Si strinse nelle spalle, staccandosi e ridacchiando. «Negli ultimi due mesi non ho avuto tempo!»

Gen capì subito. «Così si spiega. Io ho scoperto questo posto solo da poco.»

Lei si illuminò. «Ci passi spesso? Fa parte del mio percorso!»

Lui non riuscì a credere alle propre orecchie. «Allora magari ci vedremo anche di mattina. A che ora passi di qui?»

«Alle sette, a giorni alterni.»

Gen strinse i denti. «Io alle sette e mezza.»

Lei gli diede una pacca sulla spalla. «Dài, non importa! È un caso incredibile che ci piaccia lo stesso posto per correre!»

Lui sollevò un braccio, indicando un punto dietro le proprie spalle. «Da qui sono cinque chilometri a casa mia. Li ho calcolati con questo strumento.»

Lei osservò il moderno contapassi che lui stringeva al polso. «Misura le distanze percorse?»

Gen annuì. «Volevo fare dieci chilometri, per questo mi sono spinto fino a qui.»

Lei era solo felice di rivederlo. Anche se...

Gen terminò di recuperare il fiato. «Magari passo a fare la doccia a casa tua, dopo.»

Di sabato? «Pensavo che oggi fossi occupato con la spesa per tua famiglia e le pulizie di casa.»

«Sì» concesse lui, osservandola per capire la ragione della sua ritrosia. «Posso ritardare di un paio d'ore... A meno che non ti stia interrompendo.» Rise. «Hai altri piani per la giornata, vero?»

Esatto. «C'è un film.»

«Vai a vederlo con le altre?»

Non proprio. «Minako ormai non può più stare in pace per strada. Rei ed Ami accompagnano Usagi a dare un'occhiata a negozi per il suo gran giorno. Io mi unirò a loro appena finita la proiezione.»

Gen s'incuriosì. Appoggiandosi contro il tronco dell'albero, iniziò a fare stretching con le gambe. «Pensavo che non ti perdessi queste gite per nulla al mondo.»

Tranne che per il nuovo film d'amore coi suoi attori preferiti. Aspettava di vederlo da quando ne avevano annunciato l'uscita, perciò non voleva attendere un giorno di più.

Piegò la pianta del piede verso la natica, stirando i muscoli della coscia. «Tarderò di poco per Usagi. È tutto programmato, vado al primo spettacolo.»

Gen stava pensando. «Sapevi di dover andare da sola al cinema e non mi hai chiesto di accompagnarti?»

Lo aveva fatto apposta. «Non è il tuo genere di film.»

«Niente azione, quindi. Niente sport...» Gen terminò il suo rapido elenco. «È un film per donne» comprese.

«È da vedere con delle ragazze» confermò lei.

«Ma vai da sola?» Gen la scrutò in volto. «Ah. È un altro modo per non infastidirmi.»

Non c'era bisogno di riderne, lei stava cercando di fare del proprio meglio.

«Continui a stare sulla difensiva, Makoto. Non hai idea di quante ragazze mi costringessero a vedere film di questo tipo dopo nemmeno due settimane che uscivamo insieme.»

Appunto. Per loro si era trattato sicuramente di una specie di test che lei non aveva alcuna necessità di fare: non aveva bisogno di sapere cosa Gen fosse disposto a fare per lei. «Ci sarei andata con le mie amiche, ma in loro mancanza non è necessario torturare te.»

Lui rifletté, stiracchiando le braccia sopra la testa. «Be'... non mi piace saperti sola al cinema.»

«Guarda che non è pieno di molestatori.»

«Se ci fossero, tu spaccheresti a tutti le ossa.» Gli uscì una risata «Mi riferivo al fatto che è strano andarci da soli. Vengo con te.»

Era una concessione che sapeva di sacrificio. Inoltre, saperlo annoiato accanto a lei sulla poltroncina del cinema non era la sua idea di divertimento. «Veramente...»

Lui alzò le mani, interrompendola. «Ora torno a casa e completo le pulizie con Miki e Shori, così ho il pomeriggio libero.»

«Ma la spesa?»

«Questa settimana le mie sorelle si sono arrangiate con piccole compere. Al massimo facciamo la spesa più grossa domani.»

Makoto non ebbe più scuse da sfornare.

Divertito, Gen cominciò a correre sul posto. «Ti sento dubbiosa. Ne parliamo questo pomeriggio?»

Rassegnata, lei annuì. «Il cinema è...» Gli disse il luogo e l'orario dello spettacolo. «Buona corsa.»

«Altrettanto. Niente bacio?»

Contenta per la richiesta, lei gliene schioccò uno sulle labbra. «A dopo!»

«A dopo.»

Corsero via, ognuno in direzione di casa.

  

Makoto - notò Gen - lo attendeva davanti alla biglietteria del cinema con due ingressi in mano. «Non ti piacerà.»

«Il film?» Le indicò i biglietti. «Quanto è costato il mio?»

«Offro io. Poi non dire che non te l'avevo detto.»

Lei si stava preoccupando troppo. «Guarda che riesco a reggere una commedia romantica. Di solito è la parte comica che la rende sopportabile.» Provò a farsi una risata, ma Makoto non si divertì.

«È un dramma» lo informò.

Ahi. «Muore qualcuno?»

Lei sussultò.

«No, non c'entra mio padre. Non mi dà fastidio vedere una storia di morte.» Con tutto quello che aveva passato, non lo colpiva più nulla. «Voglio solo capire che tipo di film è.»

«Dal trailer non è chiaro come va a finire. C'è di mezzo una malattia grave...»

Fantastico, un drammone strappalacrime. Cercò di non far trasparire il proprio orrore. «Okay.»

«Se ti annoi, possiamo uscire.»

Così era troppo. «Non sono mai uscito da un cinema a metà film.» Al massimo, aveva dormito. «Inoltre, non sei qui perché volevi vederlo?»

Infelice, lei rimuginò. «Questo tipo di storie mi fanno commuovere. Non prendermi in giro se piango.»

Non era un mostro. «So che se ti commuovi fai sul serio.»

Lei cercò di capire se stava scherzando.

«Makoto. Questo è il tuo film e io mi sono invitato da solo. Non ti rovino l'esperienza.»

Lei volle dargli fiducia. «Va bene. Allora andiamo a comprare i pop-corn ed entriamo.»

  

Peggio di una commedia romantica mal fatta, pensò Gen, c'era solo un dramma romantico ben fatto che costringeva a riflettere.

Il film raccontava la storia di un tizio che, suo malgrado, si innamorava di una ragazza affetta da una malattia neuro-degenerativa senza possibilità di cura. La protagonista femminile era forte: non si piangeva addosso e meritava rispetto.

Chissà come mai, si domandò, esisteva gente che provava un perverso piacere nel guardare storie tragiche come quella.

Aveva un senso cercare apposta il dolore? Per lui era una tortura.

Al suo fianco Makoto era rannicchiata nella poltroncina del cinema. Si asciugava le lacrime con il dorso della mano.

"Non voglio la tua pietà!"

"Non te la sto dando! Voglio solo che rimaniamo insieme!"

Gen si estraneò di proposito dalla pellicola, alzando gli occhi al soffitto della sala.

Udì un debolissimo singhiozzo di Makoto.

«Ehi» mormorò, ma fu certo che lei non l'avesse udito. La circondò con un braccio. È solo un film.

Lei strofinò la guancia contro la sua spalla, aggrappandosi alla sua maglia. Si calmò con un lungo sospiro.

Rimasero in quella posizione fino alle ultime scene della pellicola.

Non veniva raccontata una fine vera e propria. Si terminava con una carrellata di immagini di vita quotidiana dei due protagonisti, momenti felici che lasciavano capire che era quello il modo in cui i due avevano deciso di affrontare il tempo che rimaneva loro da passare insieme.

Sulle note di una melodia struggente, partirono i titoli di coda.

Makoto lasciò passare qualche momento prima di tornare alla realtà. «Mi è piaciuto tantissimo.»

Sì, era chiaro.

«A te?»

Per fortuna col buio lei non poteva vederlo. «Era una storia... dura.»

«Già. Molto triste.»

Non poteva negare che il film gli avesse lasciato una sensazione di peso alla bocca dello stomaco, ma non la gradiva. Non avevano già vissuto abbastanza tragedie reali?

Makoto si girò sulla poltrona, abbracciandolo forte. «Vedere storie tanto terribili, e come le persone riescano comunque a essere felici...» Lo baciò alla base del collo. «Non lo so. Mi rende ancora più felice pensare che io invece posso toccarti, abbracciarti... A noi non deve più accadere niente di così brutto.»

Brutto no. Ma c'erano delle grosse difficoltà nel loro avvenire.

Come diceva lei, anche lui aveva imparato che esistevano eventualità peggiori nella vita. Solo la morte bloccava una persona dal cambiare il proprio futuro. Per parte sua, aveva la libertà di plasmare i propri giorni ed era l'unica cosa che voleva.

Il nodo sgradevole dentro di lui iniziò a sciogliersi. «Per questo volevi vederlo?»

«Hm?»

Si accesero le luci in sala.

«Ti piace sentirti triste per come poi ti senti felice?»

Makoto glielo confermò rannicchiandosi nelle spalle. «È una fissa.»

Era una fissa tenera e un poco comica.

Lei cominciò ad alzarsi; aveva gli occhi lievemente arrossati. «Prima che si faccia troppo tardi, vado dalle ragazze. Non ti dispiace se ti lascio solo?»

«Era previsto.»

«Ma ti sento più scosso di quello che vuoi farmi notare.»

«Cosa?» 

Makoto recuperò la giacca. «Ridi, ridi. Ma secondo me stanotte non ti dispiacerà venirmi a trovare.»

Lui si alzò a sua volta. «Da quando mi dispiace?»

«Allora diciamo che ti piacerà di più.»

«Questo film non c'entra niente.»

Makoto infilò sopra la testa la tracolla della borsa. «Quando uno protesta troppo...»

Gen smise di parlare: se le andava bene pensarla in quel modo, che facesse pure.

Lei gli prese il viso tra le mani, tenendolo fermo per un bacio. «Scusa. Qualunque sia il motivo, stanotte voglio starti molto vicina. Ti piace come idea?»

«Certo.»

Lei si ritrasse con una smorfia colpevole. «La prossima volta vengo a vedere questi film con le ragazze.» Cominciò ad andare. «Ciao, tesoro!»

Si fermò dopo due passi, sorpresa quanto lui per il termine che aveva usato. «Ah... forse non ti sta bene come soprannome. Ne troverò uno migliore.»

Meglio così. «Nel caso, Gen-chan non mi piace molto.» 

Makoto capiva. «Non è abbastanza virile.»

Lui studiò il suo tono. «Mi stai prendendo in giro?»

«Mai! Ci vediamo stanotte!»

Lo lasciò in mezzo alla sala, divertito, a contemplare una possibilità.

Mako-chan?

Era un nome dolce da usare per lei, forse troppo. Non gli rendeva l'idea di Makoto nella sua complessità.

Mako, provò.

Ci giocò per qualche secondo e soddisfatto immagazzinò il nome.

Lo avrebbe usato quando gli fosse risultato naturale, come aveva appena fatto lei.

Al ricordo, uscì dal cinema con un sorriso a trentadue denti.

 

 

Inizio febbraio 1997 - Corsa e cinema - FINE

 


 

NdA: niente, quando uno ha la mano per scrivere e un minimo di ispirazione, le cose vanno :D Avevo in mente da un po', per Gen e Makoto, la questione corsa - loro due che si incontrano in uno stesso posto - e la questione 'film da donne'. Come dicevo nella pagina Facebook in risposta a una fan della coppia, questi due li ho raccontati troppo a casa di lei (e a fare sesso :D) Volevo vederli in contesti più vari.

Sono soddisfatta di questa piccola storiella perché penso che mi sia riuscita corta e nonostante ciò bene, ma questo potete essere solo voi a dirlo davvero :)

 

Grazie per aver letto!

Elle

 

 

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Capitolo 5
*** 14 febbraio 1997 - San Valentino studiato ***


corrente naturale 5

 

Note: questo capitolo era in origine presente nella raccolta 'San Valentino'. L'ho revisionato leggermente per questa ripubblicazione nella raccolta giusta e mi sono stupita enormemente nel constatare che per la maggior parte era già scritto bene, senza troppi orrori :D

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

14 febbraio 1997 - San Valentino studiato

 

È il giorno dell'amore, canticchiò tra sé Makoto. Giorno di cioccolatini a forma di cuore.

Terminò di disegnare con la panna sulla torta di cioccolato fondente. Aveva scritto un solo numero sul dolce, in deliziose nuvole di bianco gustoso.

 

1

 

Assaggiò la coda di panna rimasta attaccata al beccuccio del sacco decoratore. Era densa al punto giusto e pronta a sciogliersi sulla lingua, semplicemente perfetta. La torta del primo mattino era pronta. La fece roteare sul piano girevole e corse a prendere il telefono.

Tornando in cucina col cordless già attaccato all'orecchio, rimirò la propria crezione.

Dall'altra parte della linea immaginò Gen che recuperava il cellulare dove lo aveva abbandonato, dentro il borsone da lavoro.

«Ehi...» le rispose lui a bassa voce, languido. «Ciao, Mako.»

«Buongiorno.» Erano le sette e mezza e lei lo aveva svegliato: il tono di Gen era tanto roco e lussurioso solo di mattina, quando lui era ancora innamorato del sonno appena abbandonato.

Lo sentì rilasciare uno sbadiglio rigenerante. «Buongiorno anche a te» le disse.

Makoto lo vide nella propria mente con gli occhi gonfi, che stiracchiava le braccia con movimenti che da lenti diventavano energici, il pigiama ancora caldo del letto. Si pentì di non aver imparato a teletrasportarsi. «Scusa per l'ora, ma ero impaziente di sentirti. Sai cos'ho qui per te?»

«Hmm... no.»

«Un dolce al cioccolato. Vorrei che iniziassi la giornata assaggiandolo, quindi mi chiedevo... Posso portartelo all'incontro col gruppo di studio, vero?» Verovero? Aveva imparato che se concludeva in quel modo una frase, Gen non riusciva a dirle di no.

«Eh?»

Lui non era ancora sveglio. «Oggi. So dove vi incontrate per terminare il progetto. Porto questa torta, ce n'è un po' anche per i tuoi compagni di studio.»

«Ah... certo.» Il suono di un sorriso le confermò che era tutto a posto. «Sei capitata a proposito con la chiamata, sai? Stavo lasciando suonare la sveglia, sarei arrivato in ritardo. Vado a farmi una doccia, ci vediamo là.»

«Okay!»

«Sono contento che vieni.»

Era naturale. «A dopo!»

Riattaccarono insieme.

Lei sarebbe stata stra-felicissima di incontrarlo di persona nel giro di un'oretta. Era il 14 febbraio, San Valentino: stava insieme a Gen insieme da poco più di due mesi. Avevano mancato di festeggiare a dovere il secondo mesiversario per mancanza di tempo, ma si sarebbero rifatti quel giorno. Lui non conosceva ancora il dettagliato programma di sorprese che lei aveva in mente.

Ridacchiando inscatolò la torta.

Nessun progetto di architettura l'avrebbe fermata!

  


  

«Davvero? Veramente oggi lui ha detto di non essere impegnato.»

Bastò quella dichiarazione a mettere in forse la giornata di Makoto.

«Come?» Posò la torta sul tavolo della biblioteca dell'università, nell'angolo del grande salone dedicato ai gruppi di studio e discussione.

Gen le aveva fatto sapere che si sarebbe incontrato lì con i due compagni di corso assieme a cui doveva terminare il progetto necessario a superare l'esame; aveva menzionato che uno di loro era una ragazza. Adesso Makoto l'aveva davanti, ma non riusciva a ricordare il suo nome.

Prima le aveva detto... 'Ciao, io sono Makoto'. E l'altra aveva ribattuto, 'Ciao, io sono Kimura' - ecco il nome - 'Tu sei...?'

Per Makoto la risposta era stata immediata e felice. Io sono la ragazza di Gen Masashi.

In quel momento era arrivata la risposta che non capiva, perciò se la ripeté in testa.

Veramente lui oggi ha detto di non essere impegnato.

Cercò di dare un senso alla frase.

La ragazza - Kimura - le offrì un sorriso interrogativo. «Hajima si incontrerà con la sua fidanzata stanotte, ma per Masashi non c'erano problemi, lui era libero. Ha detto che dovevamo finire entro stasera e che poteva restare tutto il tempo che ci voleva.» Scrollò le spalle. «Mah... si sarà dimenticato, no? A volte gli uomini sono così.»

Makoto avrebbe sorriso malamente assieme all'estranea se non avesse notato il modo in cui lei era tornata a sedersi, il gomito appoggiato sullo schienale della sedia e le gambe incrociate sotto la gonna corta. Kimura-san era una studentessa universitaria con la linea degli occhi accentuata di nero e le labbra velate di un rossetto chiaro. Lo sguardo era il suo punto di forza, intenso e sfrontato.

«O forse ha mentito di proposito» continuò soddisfatta. «A volte gli uomini fanno anche questo.»

Makoto era un'avida consumatrice di sceneggiati televisivi sin dall'età di dodici anni, quando la sua cara nonna le aveva fatto scoprire 'Amore per sempre', un drama di mezz'ora con cui si intrattenevano durante la cena. Nelle puntate dell'ultima settimana la protagonista Arisa aveva cominciato a temere un tradimento da parte del fidanzato. Il sospetto si era insinuato in lei nella puntata del lunedì e, arrivato venerdì, Arisa aveva fatto di tutto - complottato alle spalle di lui per coglierlo in flagrante, spettegolato con mezza famiglia allargata, contattato un'agenzia investigativa per indagare sulla faccenda - senza venire a capo di niente.

Makoto preferiva metodi più diretti. Aprì la confezione della torta. «Desideri un po' di dolce?»

La sua avversaria rimase interdetta. Sbatté le ciglia ricoperte da due strati di mascara.

Makoto armeggiò tranquilla con piattini e posate di plastica, fino a servire una fetta di dolce già tagliata: era una ragazza previdente e organizzata. «Favorisci pure, è uno dei miei dolci migliori. L'ho preparato per tutti e tre.»

Kimura lanciò una lunga occhiata alla torta di cioccolato, poi cedette alla tentazione. Dopo averne assaggiato un po', fu certa che non contenesse alcuna dose di veleno e lanciò un'occhiata affamata al resto del dolce - un grosso cuore a cui ora mancava un pezzo.

Le sarebbe piaciuto che quell'immagine corrispondesse a come si sentiva lei, ma niente da fare. «Buono, vero? Sto per aprire una pasticceria.» Si accomodò sorridente davanti all'estranea, a braccia incrociate. «Ho conquistato Gen prendendolo per la gola.»

Alla menzione di lui, Kimura la fissò.

«Che dire? Gli piacciono le ragazze dolci che sanno fare i dolci. A volte mi fa i complimenti dicendo che profumo di panna e fragola. Di te direbbe che hai il sapore di... un'insalata. Con tanto aceto.» Sorrise. «Ovviamente nei sogni in cui finite insieme e che fai solo tu.»

Kimura aprì la bocca piena di cioccolato.

«Aspetta aspetta, ecco un'altra cosa che gli piace di me: so far uso di violenza. Nell'ultimo anno sono arrivata al livello di un quarto dan di karate. Pratico judo, mi diletto di kung fu... Mi piace menare le mani. Mi permette di sfogare la rabbia, ho un problema di controllo. Un attimo sono tranquilla e quello dopo...» Scosse la testa.

Kimura non si muoveva più, neppure sbatteva le palpebre.

«Riesco a buttare a terra persino lui, capisci? Tutti quei muscoli e io» schioccò le dita, «lo stendo come niente. Ehh, ma gli piace, è un tipo di particolare.» Si alzò e allegra indicò il dolce. «Penso che ci siamo capite. Adesso mi porto via un pezzettino della torta, va bene?»

La sua ex avversaria si limitò a boccheggiare.

Makoto non le badò più e recuperò per davvero una fetta del cuore di cioccolato, la più grossa. La appoggiò su un fazzoletto pulito, quindi sistemò per bene la borsa sulla spalla e si diresse verso l'uscita.

Si fermò poco fuori le porte scorrevoli e attese, paziente.

Gen arrivò un paio di minuti dopo.

«Ehi!» Allargò le braccia felice e le venne incontro.

«Ciao» gli rispose lei, mostrandogli il palmo aperto. «Guarda cosa ti avevo portato.»

Lui adocchiò la torta, confuso. Con un passo in avanti lei gliela spalmò tutta sulla faccia.

Godette nel vederlo soffocare di cioccolato.

«I fazzoletti sono di là.» Marciò via lapidaria, rifiutandosi di ascoltare richiami attutiti da strati di pan di spagna.

Da bravo testardo Gen si pulì con una manata e cominciò a inseguirla di corsa, ma, da guerriera professionista, lei lo seminò con un unico salto laterale.

Dilettante.

Lo osservò prendere la direzione sbagliata. Soffocando uno stupido groppo alla gola, scese dall'albero in cui si era nascosta e se ne andò.

   


   

Rispondi.

Col telefono attaccato all'orecchio Gen massaggiò l'apertura delle narici. Gli veniva da starnutire, nel naso gli era rimasto del cioccolato. Afferrò il fazzoletto e si pulì velocemente.

Il telefono dell'appartamento di Makoto continuava a squillare a vuoto.

Hajima era arrivato in tempo per vederlo mentre tornava indietro, diretto verso il bagno degli uomini. Non aveva ancora smesso di ridere.

«Dimenticarsi di San Valentino... Come hai fatto a non vedere le pubblicità in giro?»

Gen strinse i denti. «Tu pensa al progetto, dobbiamo finire oggi. Io non ho pensato che a questo durante tutta la settimana, non ho visto nessuna pubblicità. Oggi per me era mercoledì, il 14 del mese, mancano ancora tre settimane al primo esame. Lavoravo di giorno, studiavo di notte. Non mi ricordavo del dannato San Valentino!» Si zittì mentre premeva il bottone di fine comunicazione sul telefono. Reinoltrò in automatico la chiamata.

Rispondi.

Makoto non poteva essere andata a scuola se era venuta a trovarlo così presto di mattina, e senza uniforme. Dov'era finita?

Hajima lo guardava solidale. «Non se la sarà presa tanto. O si sarà sfogata con la torta.»

Kimura ebbe la decenza di guardare per terra. Le era già mancato il buon senso di astenersi dal chiedere una nuova fetta di dolce, oltre che il cervello per comportarsi con dignità. Quando all'inizio lo aveva visto entrare col collo striato di cioccolato, aveva commentato 'Ma è un mostro!' e Gen aveva capito di non avere due sorelle per niente: riconosceva puzza di guai da una sola frase.

Si era fatto raccontare parola per parola tutto quello che Kimura aveva detto a Makoto. Non aveva nemmeno dovuto buttare minacce sul piatto: si era sporto in avanti, le mani piantate sul tavolo, e Kimura aveva confessato tutto tremando.

Il problema era più grave di una semplice dimenticanza, benché si trattasse del giorno San Valentino. Makoto era convinta che lui avesse cercato di rendersi disponibile per un'altra donna. O no? Lei non poteva credere sul serio a una storia tanto ridicola. Inoltre si era fatta valere da dio - da dea - con Kimura.

Ma ora non rispondeva al telefono, né a casa sua né al negozio, dove aveva appena fatto installare la linea.

Gen non poteva muoversi da lì - doveva terminare quel dannato progetto, dato che il giorno dopo ne aveva un altro ancora da portare avanti, con un altro gruppo di lavoro. Ma anche se avesse potuto muoversi, cosa avrebbe risolto? Sarebbe andato in giro per Tokyo a cercarla a vuoto?

Non esisteva un metodo per localizzarla senza sapere... Fermò il pensiero e si alzò in piedi.

A volte essere legato a Giove aveva suoi vantaggi.

Fece scorrere sul tavolo i fogli che aveva tirato fuori, verso Hajima e Kimura. «Qui c'è la mia parte di lavoro, studiatevela e dite se vedete problemi. Vado a fare una chiamata.»

    

«Pronto?»

Gen tirò un sospiro di sollievo. «Ciao, Kumada. Puoi farmi parlare con Hino?»

Ci fu un momento di silenzio. «Gen?»

«Sì.» Gli aveva detto che preferiva essere chiamato Masashi, ma Yuichiro Kumada non lo ricordava mai.

«Ciao» disse lui. «Ah... perché?»

«Devo trovare Makoto.» Venne colpito da un'idea. «Non è lì, giusto?»

«Non è qui. Voglio dire, non lo so. Anzi, non è possibile che sia a casa. In realtà nemmeno io ci sono.»

Aveva bevuto? «Stai rispondendo al telefono.»

Kumada liberò una risata. «Sì! Abbiamo installato un aggeggio che direziona le chiamate da me quando in casa non c'è nessuno. Basta premere un bottone, è ingegnoso. Ha insistito Rei per comprarlo, dice che servirà adesso che anche lei sarà sempre fuori. Per via dell'università.»

Gen non aveva capito niente.

«Se sto ricevendo la chiamata io» spiegò Kumada, «significa che il maestro sta meditando e Rei è uscita. Quindi Makoto non può essere a casa nostra. Hmm, l'hai persa?»

«Sì.» Forse Makoto era con Hino?

«È San Valentino.»

«Ormai lo so.»

Kumada scoppiò a ridere. «E io che pensavo di essere l'unico ad avere dei problemi. Comunque, per risolvere chiama Alexander.»

«Che me ne faccio di Golden Boy?»

«Niente, ma è San Valentino. Sarà assieme ad Ami. Ed Ami ha-»

«Il suo computer. È vero, grazie.» Riattaccò.

Solo qualche secondo dopo si ricordò di non avere il numero di Alexander Golden Boy Foster. Ritelefonò a Kumada e tre minuti dopo stava chiamando il ragazzo di Mizuno.

«Pronto?»

«Sono Gen, mi servirebbe parlare con Ami.»

Da parte di Golden Boy vi fu un momento di silenzio. «Chi ti ha dato questo numero?»

«Kumada» strinse i denti Gen. «Per parlare con Mizuno. Di Makoto.»

Altri due attimi muti.

«Se vuoi parlare con Ami, prima parli con me.»

Dannazione. «Mizuno non è con te, giusto?»

«No e per questo sono di cattivo umore. Noto che sei nella stessa condizione, salute compare. Ora, vuoi continuare a perdere tempo o mi dici cosa vuoi da lei?»

«Voglio che mi dica dov'è Makoto.»

«Saltato l'appuntamento?»

Gen detestava dipendere dalle persone. Dipendere da Foster, poi... «Mi ha frainteso su una cosa e ora ho bisogno di trovarla.»

«Questa è divertente. Che le hai fatto di tanto grave da dover ricorrere a poteri Sailor per recuperarla?»

«Non sono affari tuoi.»

«Allora nemmeno il numero del telefono portatile di Ami sarà affare tuo.»

Giusto, anche Mizuno ne aveva uno. Ormai era prezioso. «Occhio per occhio. Che le hai fatto tu?» Non si sarebbe umiliato da solo.

«Io niente, ci siamo imposti di studiare da settimane. Sto studiando, sta studiando anche lei. Ci vedremo solo stasera.»

Lo studio era una maledizione comune. «Makoto pensa che io abbia detto a un'altra ragazza che non sono fidanzato. Credo. E si è arrabbiata perché mi sono dimenticato che era San Valentino. Forse.»

«Cosa?»

La risata gli provocò un battito sordo dentro la testa. «Fuori il numero di Mizuno.»

«O hai detto a un'altra donna che non eri impegnato o non lo hai fatto, non ci sono vie di mezzo.»

C'erano! «Ho usato proprio quella parola, 'impegnato'! Mi riferivo a oggi, ho detto che non era impegnato oggi e perciò avevo del tempo per studiare, solo per questo. Sono stufo di parlarti della mia vita.»

«Sono sadico quando sono triste e solo. Uno che dice di non avere impegni nella giornata di San Valentino sta sostenendo di essere single.»

Gen si impose calma. «Sì. Ma Makoto non ci crede veramente.»

«Perché?»

Gli spiegò sinteticamente quello che lei aveva detto a Kimura, solo per non perdere altro tempo e ottenere il dannato numero di Mizuno.

«Non hai ancora capito perché Makoto è arrabbiata?» Golden Boy se la stava spassando.

«Non mi interessa quello che pensi.»

«Le hai rovinato San Valentino. Ti aveva preparato una torta, è venuta a portartela alle nove di mattina e ha trovato un'altra tizia che ti ronzava attorno e tu che nemmeno ricordavi che giorno era.»

Gen fu costretto a riflettere.

«Il numero di Ami è... Hai da segnare?»

«Sì.» Prese nota delle cifre. «Grazie» bofonchiò alla fine.

Seguì un sospiro. «Che l'amore sia con te.»

Gen rimase con la cornetta attaccata al telefono. «Per tutto il tempo hai parlato come una ragazza. Quando sei depresso, perdi anche le palle?»

Al telefono Golden Boy sorrise. «Fottiti.»

Ecco una conversazione da uomini, rise Gen.

Riattaccarono.

      

Alla fine si rivelò tutto inutile: Mizuno si limitò a dirgli che Makoto era arrivata al negozio.

Gen scelse un approccio telefonico: se fosse andato di persona avrebbe perso due ore tra andata, spiegazioni e ritorno, col risultato di togliere due ore alla serata che poteva ancora trascorrere insieme assieme a Makoto. Avrebbe finito entro le sette, lo giurò a se stesso.

Lo squillo della chiamata si interruppe e lei rispose. «Ciao. Ho dato solo a te questo numero.»

Gen l'aveva già sentita arrabbiata e Makoto non era mai stata tanto tranquilla e... letale. «Ciao. Hai fatto bene a terrorizzare Kimura. Era un'illusa.»

«Mi chiami per parlarmi di un'altra ragazza?»

Era partito col piede sbagliato. «Mi ero dimenticato che giorno era oggi, per questo ho detto a quei due che questo mercoledì non avevo impegni.»

«Va bene.»

«La torta era... buona.» Anche in faccia a lui.

Makoto fece silenzio «Ci avevo scritto sopra 'uno'. Era il primo dei quattro dolci che volevo darti oggi. Sto mangiando il numero due, sono dei biscotti. Te li avrei portati per merenda al pomeriggio.»

Makoto che faceva fuori un dolce era all'apice della propria ira - o delusione. «Mi dispiace.»

Lei emise un suono confuso. «Dispiacerà a te. Il quarto dolce era solo crema di cioccolato. Pensavo di lasciartela mangiare dal mio stomaco.»

... cosa?

Makoto sbatté una mano contro una superficie dura. «Sono arrabbiata!»

«Sai che è tutta la settimana che ho in testa solo lo studio.»

«Lo so! E non mi interessa se non è colpa tua, ma oggi - a San Valentino - non dovevo trovarmi davanti una stupida che mi dice che ti sei dimenticato apposta di che giorno è!»

«Lasciala perdere, l'ho messa al suo posto! Mi dispiace se ti sei arrabbiata, non volevo-»

«Avevo tanti piani!» Makoto abbassò di colpo il tono della voce. «Avevo preparato... tante cose. Era il nostro primo San Valentino...»

Oh no, non così. Non con quel tono affranto, quando lui era lontano e non poteva fare altro che usare le parole per farsi perdonare. «Abbiamo la serata, mi libererò in tempo. È una promessa.»

Il silenzio di lei non fu incoraggiante. «No, non lavorare di fretta. Il resto non conta.»

Quella conversazione stava diventando come lo schianto di un treno al rallentatore. «Per favore, torna qui al pomeriggio, come avevi programmato.»

Makoto non disse niente.

«Se non fosse per questo dannato progetto, verrei io da te e staremmo insieme ogni minuto che manca da qui e mezzanotte. Torna, voglio vederti.»

«Gen... Non ti preoccupare. Pensa al progetto, ci vediamo stasera.»

Lei non lo aveva capito. «Non lo sto dicendo per te, Makoto. Torna indietro più tardi, seguiamo i tuoi piani. Se è San Valentino, è anche il nostro giorno.»

La breve risata di lei fu un suono di salvezza. «Guarda che non ti lascio lo stesso leccare il cioccolato via da me.»

«In pubblico? Anche io sono contrario.»

Il fragore della sua allegria mise tutto a posto.

«Nemmeno dalla bocca?» insistette lui.

«Neppure da quella» ribadì Makoto, la sua voce un invito a provarci. «Allora...» Tornò insicura. «Vengo dopo?»

«Sì.»

Al telefono Gen udì un sospiro rapido, sollievo e impazienza.

«Ciao.»

«Ciao.»

    

«Questo» Makoto baciò il biscotto, «è l'ultimo rimasto.» Lo appoggiò sulla bocca di Gen, decisa a salutarlo solo in quel modo. I contatti erano vietati.

Lui addentò un pezzo della massa di farina e cioccolato e le prese la mano prima che lei potesse spostarla. Riuscì a farle fare un passo nella sua direzione, ma Makoto si ritrasse in tempo per evitare l'abbraccio.

Si trovavano in un angolo nascosto dell'ingresso del salone studio, dove quella mattina gli aveva macchiato il viso di cioccolato.

«Sei ancora arrabbiata?»

«No.» Adesso pensava a un gioco, una sorta di prova di forza per se stessa. Per tutti e due. «Mi dispiace per la torta.» Aveva esagerato. Si sarebbe scusata anche dieci volte se fosse stato necessario.

«Te l'ho detto, era buona.»

«In faccia?»

Gen scrollò le spalle. «Era anche meglio della violenza con cui hai minacciato Kimura.»

Sorrisero insieme.

«Non ho mai visto una rissa tra donne a causa mia» fantasticò lui.

«Non ci sarebbe stata nessuna rissa. Avrei vinto io per K.O. al primo colpo.»

«È vero.»

Makoto si ritrovò abbracciata, il respiro di Gen sulla bocca e il proposito della distanza svanito come neve al sole.

«L'avresti distrutta» le surrussò lui.

Lei allontanò le labbra in tempo per evitare il bacio, ma non abbastanza in fretta per impedire un contatto leggero che le infiammò i nervi della bocca.

Femminuccia. Va bene essere dolce, ma non diventare così malleabile.

Gen la guardò per un momento e capì tutto quanto. Le tenne ferma la testa con le mani - le dita che volevano scioglierle i capelli - e si prese quello che volevano entrambi.

Fu un bacio caldo, umido, intenso come una carezza su tutto il corpo, così piacevole da farla sciogliere.

Tirandosi indietro, Makoto quasi si pentì. «Vado a casa.» Si liberò dall'abbraccio e gli lanciò un sorriso veloce.

Gen stava assaggiando il gusto rimasto sulle labbra. «Va bene. Arrivo alle otto.»

«Al negozio, passa da lì.»

Si salutarono con uno sguardo.

  


  

Il problema era un non problema, concluse in serata Makoto.

Non ce l'aveva con Gen per aver attirato una piattola, né per essersi dimenticato di San Valentino. Non ce l'aveva più con lui, semplicemente: capiva le circostanze, quanto lui fosse stato impegnato e con la testa occupata durante l'ultima settimana.

Le era rimasto solo da chiedersi perché fosse pronta a cadere ai suoi piedi nel giro di pochi secondi, dopo appena qualche parolina giusta - bella, certo, ma che non richiedeva molto sforzo.

A Gen piaceva che lei fosse dolce, ma anche forte. Anche lei si piaceva di più quando si conquistava da sola qualcosa.

Perciò, San Valentino mio, piani cambiati: non sarai un giorno di concessioni, ma di conquista.

Terminò di accendere la seconda candela rosa, il fusto lungo coordinato allo stile dei due piatti già serviti.

Il tavolo di casa sua avrebbe creato un'immagine più romantica rispetto al tavolino nuovo del negozio, semplice e leggero, ma nel suo appartamento sarebbero stati pericolosamente vicini al letto - un luogo troppo invitante dopo che aveva parlato a Gen della sua idea con la crema al cioccolato. Non gli aveva detto che intendeva usarla anche su di lui, ma quella sarebbe stata solo un'altra delle esperienze che intendeva prendersi e assaporare a tempo debito.

Il campanello nuovo del negozio suonò.

Dietro la porta di vetro Gen aveva inclinato la testa, le mani infilate in un paio di pantaloni diversi da quelli che aveva indossato durante il pomeriggio, scuri e ben stirati. Anche la camicia e la giacca erano spuntate fuori dal nulla.

Dove hai preso questi vestiti? Doveva averglieli portati all'università una delle sue sorelle; erano ragazze generose e disponibili quando si chiedeva loro una mano.

Lei voleva esordire chiedendo a Gen com'era andato il progetto, ma quella era una domanda da Makoto quotidiana e aveva tanto tempo per trovare risposta.

A sua volta indossava qualcosa di diverso dal solito, un abito rosa pallido che le fasciava il corpo, bello da vedere anche abbandonato a terra. Più tardi, da un'altra parte.

Aprì la porta, appoggiandosi all'anta. «Benvenuto.»

Gen guardò il suo viso, poi tutto il resto di lei. «Ciao» disse con riverenza.

Makoto gli indicò il tavolo. «La cena è servita.» Per evitare il tocco della sua mano si mosse lungo un immaginario cerchio, rimanendo inaccessibile e misteriosa.

Il tintinnio della porta che si chiudeva regalò una nota di atmosfera alla penombra.

Spostò una sedia, invitandolo a prendere posto.

Lui sorrise. «Sei la padrona del ristorante?»

Lei annuì. «Sei il primo ospite stasera. Voglio trattarti molto bene.»

«Il primo?» Gen si accomodò, seguendola con lo sguardo come se la stesse già toccando - come se la stesse già stringendo tra le braccia.

Makoto sentì un formicolio lungo tutta la schiena. «Ci sono altri pretendenti. Ma ho scelto di averti per primo, e se sarai il migliore...»

Lui aveva appoggiato il mento sul palmo della mano. «Lo sarò.»

Per concentrarsi Makoto guardò il cibo. «Oggi la casa offre roastbeef inglese, purè di patate e insalata come contorno. Una cucina esotica per un ospite speciale.» Sistemò il tovagliolo sulle gambe e usò il telecomando della saracinesca, chiudendo l'entrata. «Per un po' di privacy» sorrise. «Il locale è aerato da una finestra aperta nell'altra stanza.»

Lui guardò senza motivo il pavimento. «Chiedo scusa, mi è caduta una cosa.» Si chinò di lato e sparì col busto sotto al tavolo.

Makoto si sentì accarezzare su una gamba e soffocò una risatina.

Gen tornò su. «Recuperata» sussurrò.

Lei cercò di mantenersi seria. «Cosa avevi perso?»

«Una persona. Sapevo che era ancora lì, ma dovevo sentirla.»

«Non ti preoccupare.» Strappò delicatamente un petalo dalla rosa rossa che svettava dentro il vaso sottile al centro del tavolo. «Qui hai tutto quello di cui hai bisogno.» Soffiando forte fece volare via il petalo, nella sua direzione.

«Ah, è arrivata la mia ragazza. Ciao.»

Makoto sorrise. «Ciao.»

  

«Decorazioni rigide» commentò Makoto, mostrandogli i risultati dei suoi sforzi pomeridiani, disposti su tutto il bancone nel locale cucina.

Candele anche lì, notò Gen.

Makoto gli stava indicando delle formine bianche. «Mi serviranno per i dolci che esporrò in vetrina. Saranno quelli a presentarmi ai miei clienti. Ho iniziato a fare qualche prova con questa pasta bianca di zucchero che si chiama Satin Ice. Oggi l'ho usata per costruirci fiori e colombelle.»

A Gen venne da pensare: c'era qualcosa di sbagliato se trovava sexy la parola 'colombelle'? Forse era il modo in cui si erano mossi i capelli di lei mentre parlava: la ciocca ondulata accanto alla sua guancia gli chiedeva di intrecciarla attorno al dito e non lasciarla più andare.

Makoto si chinò in avanti, donandogli la vista della schiena, il tessuto rosa e morbido che aderiva al suo corpo abbracciandole le natiche rotonde.

Lei scoprì un vassoio al centro del bancone. «Questa invece è la torta numero tre, quella che ho preparato per noi due. Da mangiare durante la settimana» sorrise. Non gli diede il tempo di commentare: afferrò uno dei cuori rosa della decorazione e glielo infilò in bocca. «Buono, vero?»

Vero sì. Vero tutto quello che le sarebbe uscito dalle labbra.

Makoto gli causò un lamento assaggiando il dito con cui gli aveva porto il dolce.

Districandosi senza sforzo dall'abbraccio che lui cercò, fece un passo indietro. «Non mi hai parlato del tuo progetto. Ora l'hai finito?»

«Sì.» Dovette concentrarsi per ricordare i dettagli. «Abbiamo mantenuto la struttura a stella. Romantico, hm?»

Makoto sgranò gli occhi. «Abbiamo?»

«Kimura non c'entra niente. Neanche Hajima. Ho detto abbiamo perché mi hanno corretto sui dettagli, ma il progetto è mio.»

Lei sembrò stranamente sollevata. «Struttura a stella, hm?»

«Dovevamo immaginare una città del futuro. Tanto valeva essere creativi e audaci. È stata una buona idea quella di riprendere il mio vecchio disegno.» Continuava a dirselo da solo, ma era fiero di quel lampo di genio. «Pagherà in sede di valutazione finale.»

Makoto sorrise al nulla. «Sì, per l'esame.»

«Cos'hai da ridere?» indagò lui.

«Niente.» Makoto lo toccò sulle spalle, indugiando nella carezza. «Mi piaci molto con questi vestiti.»

Finalmente avevano finito di rincorrersi. Era stato un bel gioco, ma il premio finale era migliore. «Mi stai facendo dire qualcosa di cui mi pentirò, ma... amo il rosa. Su di te, almeno - è la mia unica scusa.» Fece scorrere la mano sulla gamba di lei, tirando su il tessuto.

Invece di socchiudere gli occhi, Makoto si morse un labbro. «Attento, è delicato.»

«Lo so.»

«No, è veramente delicato. L'ho cucito io, non molto bene.»

L'aveva fatto lei?

Makoto indicò l'abito. «Era più lungo» sussurrò. «Liscio. Aveva uno scollo diverso.» Si toccò con reverenza il seno. «In questa settimana l'ho accorciato per creare queste piccole onde, poi mi sono messa a pensare a come tagliarlo sul petto. Ho scelto di tenerlo su con una spalla sola. Ne è valsa la pena, solo che...» Finì col sorridere a bassa voce. «Poi rovino tutto raccontandoti questi particolari e annoiandoti a morte.»

Costruttrice. Quando Makoto aveva un'idea, buttava giù le fondamenta e costruiva da sola quello che le serviva. Se ancora non andava bene, lei la cambiava a piacimento.

Le accarezzò la parte nuda della schiena. «Oggi non abbiamo cenato a casa tua.»

Makoto esitò nel rispondere, poi gli concesse uno spiraglio. «Ho pensato che potesse essere diverso... qui.»

«Perché qui dobbiamo aspettare?» Lei sapeva benissimo a cosa si riferiva.

«Forse.» La vide scrollare le spalle, trattenendo un sorriso sull'angolo della bocca, dove sapeva di rossetto, cibo, zucchero e Makoto.

Era furba, riconobbe lui. Geniale.

La intrappolò tra sé e il tavolo. «E se aspettiamo prima di rientrare a casa tua?»

Makoto comprese solo quando lui iniziò a spostare via gli strumenti di lavoro dal bancone, dietro la sua schiena. Aveva contribuito lui stesso al montaggio di quel piano da cucina, perciò sapeva che era solido e in grado di reggere il peso di entrambi. «Hai avuto l'idea di questo posto, hai preparato la cena, hai creato l'atmosfera... Lascia che ora contribuisca.»

«Non hai pazienza.» Ma lei aveva ricambiato la sua stretta e ora stava cercando di sedersi sul tavolo.

«Non ti ho mai fatto vedere quanto posso andare piano. Sarà questo il giorno.»

Le uscì un sorriso soffice.

Lui rimaneva conquistato quando lei non lo prendeva sul serio: la loro esperienza era molto diversa nei numeri, ma identica quando stavamo insieme. Ogni volta che voleva spogliarla, toccarla dappertutto e privarla di ogni ragione, cadeva dentro la sua stessa trappola. Era la cosa migliore che gli fosse mai capitata.

Makoto stava lasciando una scia di baci lenti lungo la sua gola. «Sai che mi sono dimenticata di accendere una cosa?»

Accendere?

Lei afferrò un telecomando e puntò un angolo della stanza. Partirono dei suoni.

Musica. Altra atmosfera.

Gen fissò lo stereo posato sopra il piano cottura.

Makoto ridacchiò a bassa voce. «Ho esagerato? Ma se mi dimostri che ci sai fare anche in quest'occasione, hai vinto tu.»

Gen abbassò lo sguardo su di lei. Makoto aveva le guance arrossate nonostante l'audacia dimostrata. Era allegra, viva di fronte ad una serata piena di possibilità.

L'aveva giocato. «Sapevi che sarebbe finita così.»

«Oh, no. Ma conosco i miei polli, i miei dolci e i miei Gen. So che effetto possono farmi. Sono venuta preparata.» Lei si sdraiò, i capelli sparsi sul tavolo, gli occhi che brillavano.

Domani ti dirò quanto sei bella.

«Sono al plurale?» le chiese. Si chinò su di lei.

«Sei tanti e uno solo.» Makoto lo baciò. «A volte non ti ricordi di San Valentino e sei insensibile. Spesso dici di non essere romantico.» Gli diede un secondo bacio. «Ma mi assecondi nelle mie sciocchezze. Dici di essere pratico e poi immagini città a stella.» Altro bacio e una risata. «Domani scoprirò una cosa nuova di te, vero?»

«Vero sì.»

«Ora puoi amarmi?»

«Lo faccio già.»

Non parlarono più.

 

14 febbraio 1997 - San Valentino studiato - FINE

 

 


 

NdA originali del 16/02/2012 : 

Olè, non sono finita nel rating Rosso! Forse alcuni di voi lo avrebbero preferito :D Per questa storia dal titolo originalissimo ho voluto provare a concentrarmi sul romanticismo più puro.

Forse lo avrete intuito dalle conversazioni di Gen con Yuichiro e Alexander, ma avrei altre idee per questa giornata di San Valentino. Sono ancora vaghe, quindi per ora dichiaro la storia chiusa. Quando avrò tempo e ispirazione, dopo aver scritto cose più importanti (Verso l'alba, cough) scriverò perché Alexander è sadico e depresso e perché Yuichiro sente di avere problemi con Rei. Gli episodi avranno un sapore simile a questo. Per Usagi e Mamoru è meglio che prima scriva la fine di Verso l'alba, capirete in seguito ;)

Dimenticavo: qui ho inserito un importantissimo indizio futuro che ho in mente da un trilione di anni. Avrete ulteriore delucidazioni con l'epilogo di Verso l'alba :)

Grazie di aver letto! Se avete un pensiero su questa storia sarà un premio enorme per me!

ellephedre

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Capitolo 6
*** Marzo 1997 - Scoperte ***


corrente naturale 6

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Marzo 1997 - Scoperte

  

Sdraiata, stremata, appagata. E abbracciata da qualche minuto - sorrise Makoto - alla persona con cui era capitolata per l'estasi.

Lei e Gen riposavano in silenzio, uno dei suoi momenti preferiti. Sotto l'orecchio che aveva appoggiato al petto di lui pulsava un battito calmo, rilassante. Se provava a non fiatare, si rendeva conto di come l'aria passava attraverso il corpo di Gen sollevandogli il torace. Allargò il palmo sul suo stomaco. Lui non reagì, la lasciò fare. Makoto si beò dei propri capelli sparsi sul suo torace.

Questa è intimità.

Sciolse i nodi dei fili scuri con le dita, lisciandoli sul corpo di Gen - un modo per pettinarsi e coccolarlo.

Sbadigliò e pensò di dormire, ma la tenne sveglia la bellezza del momento. Arricciò le dita dei piedi, solleticando le gambe di lui. Lo immaginò sorridere - sapeva che Gen lo stava facendo - ma non sentì il bisogno di controllare. Era un bel gioco.

Lui iniziò a muovere la mano. A volte lo faceva sulla sua nuca, altre volte sulla schiena, sulla vita.

Col polpastrello del pollice Gen disegnò una linea, poi un cerchio, regalandole piccoli brividi. Era un'esperienza di cui lei non si sarebbe mai stancata.

Gli sfiorò il petto con le labbra, baciandolo e stringendosi a lui. Lo sentì inspirare forte e il modo in cui la strinse suggerì una reazione che lei provò a controllare abbassando gli occhi.

Trattenne a stento una risata. «Sei insaziabile!»

Gen non provò nemmeno a negarlo.

Lei si sollevò su un braccio e gli strinse il naso tra due dita. «Non era un complimento.»

Lui agitò la testa, per liberarsi. «Per me lo è. Non vedi quanto mi piaci?»

Nel sentire quelle frasi lei si eccitava e al contempo roteava gli occhi al cielo.

Perché caricare di un doppio senso erotico ogni parola? 

«Gen...» Si sedette sulle ginocchia. «Mi piace farti venire questi pensieri, ma mi fa anche sorridere.»

Lui si preparò ad ascoltarla, o forse a prenderla in giro dall'alto delle proprie conoscenze. 

Makoto non si lasciò più intimidire: stava acquisendo sicurezza. «Cosa ti ha eccitato adesso? Che ti abbia abbracciato? O il bacio?»

«Tutti e due. Mi schiacciavi i seni contro il fianco.»

Avrebbe dovuto immaginarlo. Abbassò lo sguardo sui due globi di carne che aveva sul petto e li prese in mano, sollevandoli. «Queste sono solo parti del corpo, sai?»

«Oh, . Lo so.»

Incorreggibile. «Non eccitarti di più, ascolta.» Spostò i palmi sul petto di lui. «Non siamo così diversi. Esattamente in questi due punti io ho solo un po' di ciccia che tu non hai.»

Lui scoppiò a ridere.

Makoto cercò di non imitarlo. «Andiamo!» Bussò alla sua nuca.

«Non è un'immagine che mi piace!»

Uff. «Non sto cercando di...»

«Togliermi l'eccitazione?»

Esatto. «Ma tu pensi troppo al sesso, anche nei momenti più tranquilli.» Si afferrò di nuovo i seni. «Questi sono belli, ma-»

«Non ci sono 'ma' mentre me li punti addosso.»

Per ostinazione, lei insistette. «Anche se ti piacciono-»

«Ci muoio dietro.»

Makoto soffocò una risata. «Non sono nati per il sesso, altrimenti non farebbero questo.» Portò le mani su una sola mammella, schiacciando forte da due lati, in modo da fare pressione sull'interno. Ottenne ciò che aveva cercato, una goccia di liquido biancastro che fuoriuscì lentamente dal capezzolo.

«Uhò!» Gen si tirò su. «Cos'è quello

«Una specie di latte. Un liquido che lubrifica l'interno.»

Gen si piegò in due dal ridere. «Non avevo mai visto una cosa simile!»

Lei sospirò e cercò di scuoterlo per le spalle. «Oggi sei proprio sciocco!»

«No, scusa!» Lui le prese i polsi. «È solo che... Ora devo assaggiare.»

«No!» Makoto unì di corsa le braccia, ma Gen non la lasciò andare.

«Ti prego. Mentre lo faccio puoi parlare.»

Il modo in cui lo disse fu talmente sentito e comico che lei cedette.

«Ehi, è sparito.»

Abbassando lo sguardo, Makoto constatò la situazione. Si era agitata troppo. «La punta è ancora umida, però...» Provò a strizzare forte l'altro seno. Non sempre usciva qualcosa, ma in quel caso fu fortunata.

Gen la guardava affascinato. «Mi sembra di essere in un documentario. O in una fattoria.»

Adesso lo ammazzava.

Lui le bloccò strategicamente le mani. «Lascia che ti dica che sapore ha.»

Avvampando, Makoto provò a ricomporsi. «Non è latte vero.» Si tese col torso quando sentì il passaggio veloce della lingua di lui sul capezzolo. «Ho scoperto anni fa che usciva qualcosa quando premevo molto forte, solo una goccia. Non avevo nessuno a cui chiedere, perciò ho dovuto- Cosa stai facendo?!» Si ritrasse dalla bocca di lui, che aveva cominciato a succhiarla. «Non esce così!» Esplose in una risata.

«Dovevo provare. Per la scienza.»

Quasi le mancò il respiro per gli spasmi di divertimento.

«Okay, okay. Facciamolo per il sesso allora.»

«Basta!» Stava morendo!

Ridendo, Gen le coprì la bocca con un bacio a stampo. «Ci sei? Riprenditi!»

«Sì, sì...» La risata morì mentre cercava di seguire il ritmo dei piccoli baci che lui le dava sulle labbra.

«Stavi dicendo? Ascoltavo.»

Lei inspirò una bella boccata d'aria. «Dicevo che ho dovuto cercare nei libri. Ero preoccupata, avevo tredici anni. Ma è una cosa normale per alcune donne. Quella che esce è solo una sostanza che tiene lubrificati i canali interni al seno.»

«Da cui un giorno uscirà del latte. Era questo che volevi dimostrarmi?»

Lui era ancora divertito.

«No» disse lei. Quasi, pensò. «Dicevo che i seni hanno questa forma per uno scopo. Così come le gambe si piegano per aiutarci a saltare, o cose simili.»

«Tutto con lo scopo di non eccitarmi.»

Makoto aveva imparato a capire quando lui scherzava, perciò non disse niente.

Gen scosse la testa. «Mi dispiace, non ha funzionato.»

Sorrisero nel baciarsi di nuovo.

Senza fretta lui si tirò indietro. «Ti dimostro che sono intelligente. Ho capito il significato nascosto di tutto questo discorso.»

Ah, sì?

Gen annuì. Si sdraiò di lato e le prese la testa tra le mani, rallentando ogni movimento. Le sfiorò il labbro inferiore con la lingua, indugiò su ogni centimetro della sua bocca. Scivolò con le mani tra i suoi capelli.

Accesa, fu Makoto a cercare un abbraccio. Tremò nel toccarlo, nel ricevere le sue carezze. Le cercò, ne diede. Amò con tutto il suo essere il modo in cui aderirono l'uno all'altra su ogni parte del corpo. Non potevano sopravvivere separati, non volevano. Andavano lenti perché l'istante non finisse.

Prolungarono l'unione con ogni bacio, con ogni piccola e profonda spinta.

Lei ballò molto piano con lui nella massima intimità che conoscevano insieme, esaltando dal nulla sensazioni che divennero deliziose, irrefrenabili.

Infine si lasciò andare, affondando il viso nel suo collo, il respiro di Gen contro l'orecchio.

Dopo molti minuti di pace, nel secondo momento di torpore esausto di quella sera, domandò. «Che cosa volevi dimostrarmi di aver capito?»

Si era sdraiata con gambe e braccia distese accanto a lui, senza toccarlo. Dopo tanto contatto la separazione era benefica, tenera. Ognuno si stava riappropriando del proprio fisico.

«Volevi questo, no?»

Lei voltò la testa per guardarlo.

Gen teneva gli occhi chiusi. «Volevi qualcosa di romantico e mentale.»

Incredula, osservò il soffitto. Ragionò su quello che gli aveva detto, su come poi aveva reagito e giunse a una conclusione.

«Sei... bravo.» La conosceva davvero bene.

«Già. Ogni tanto ti va un po' di sesso selvaggio, mentre altre volte sei in vena di qualcosa di più calmo.»

Lo colpì senza voglia su una spalla.

Lui sorrise. «Devo solo decifrarti bene.»

Come se facesse tutto da solo. «A volte ti butto io sul letto. In quei casi non puoi fraintendermi.»

«Lo ammetti.»

Lei scrollò senza vergogna le spalle.

«Ti fai più problemi a dirmi quando ti va qualcosa di dolce.»

«Solo quando tu parti in quarta.»

«Colpa mia, allora. O del tuo bellissimo e funzionante seno.»

Lei sospirò. «Non smetterai più di prendermi in giro, vero?»

Lui appoggiò la testa su un braccio. «No, mi hai... educato. Meglio di un libro di anatomia. L'assaggio ha aiutato.»

Makoto si coprì la faccia con le mani.

Gen si avvicinò al suo orecchio. «C'è un altro posto in cui hai un sapore più buono.»

«Eh, no!» Dovette prendere il controllo. «Quello la prossima volta. Ora si dorme!»

Gen si stiracchiò e rise. «Agli ordini!» Sdraiato, allargò le braccia per accoglierla.

Lei si sistemò contro il suo fianco, sazia di sensazioni.

«'Notte» la salutò lui.

In risposta lei lo baciò sul petto. Soddisfatta, dormì.

 

  

Marzo 1997 - Scoperte - FINE

 


 

NdA: la storia è praticamente nata in diretta, questa sera, sul gruppo Facebook dedicato alle mie storie (Sailor Moon, Verso l'alba e oltre).

E' stato strano scrivere così di getto, vincendo la mia naturale resistenza a rileggere mille volte tutte. La versione pubblicata qui su EFP è quella definitiva.

Non so bene come giudicarla, o come giudicare la storia. Ditemi voi, per favore (sto con le manine unite)

 

ellephedre

 

P.S.  Dato che ho preoccupato leggermente una mia lettrice quando ho parlato in uno spoiler dettagliato del fenomeno fisiologico di cui narra Makoto, vorrei andare un po' sul medico.

Ecco una citazione:

"Succede talvolta che schiacciando leggermente il capezzolo si abbia una secrezione. Quando il fatto riguarda entrambe le mammelle la causa è generalmente fisiologica e, quindi, non preoccupante. Nel periodo premestruale, nella fase che precede la menopausa e durante la gravidanza questo evento può capitare."

Riassumendo tutto quello che ho trovato sul web, in lingua italiana e non, c'è da preoccuparsi principalmente se la fuoriuscita è spontanea, dolorosa, se c'è presenzi di noduli nel seno, se il colore del liquido è diverso dal bianco, ecc... Naturalmente, un dottore risponde meglio a qualunque domanda.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Marzo 1997 - Litigio ***


corrente naturale 7

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Marzo 1997 - Litigio

La tv era accesa. Le espressioni sul volto di Makoto mentre la guardava erano impagabili.

«Kasumi! Non posso credere che tu lo abbia fatto!»

«Hiromi, ascoltami! Io e Hiroyuki credevamo che tu fossi andata via per sempre! Stavo solo cercando di...»

«Di consolarlo? Che bel modo hai scelto! Pensavo fossi mia amica!»

«Sei stata tu ad andare via! Hai lasciato sia lui che me!»

La bocca di Makoto era aperta in una O di sorpresa. Seguiva rapita ogni parola dello sceneggiato tv, soffrendo assieme ai protagonisti. Sullo schermo volò uno schiaffo e lei sobbalzò, scandalizzata.

Partì la pubblicità. Gen si concesse una risata smorzata.

Makoto stava scuotendo la testa. «Che situazione!»

Come faceva lei a immedesimarsi tanto? «È tutto inventato.»

«Sì, ma sono cose che capitano. Quella ragazza, ad esempio: doveva andare a studiare lontano e ha troncato la sua relazione perché non voleva far soffrire il suo fidanzato. Lo avrebbe fatto aspettare per anni se non avessero rotto. Lei lo amava tanto e stava cercando di non essere egoista. Poi, con la lontananza, si è accorta di non poter stare senza di lui. Altri ragazzi la cercavano, ma lei aveva in mente solo la persona che amava davvero. È tornata indietro, ma nel frattempo il ragazzo e la sua amica...»

«Se la sono spassata. Lui non ha protestato, no?»

Makoto lo guardò con occhi nuovi. «Conosci la trama?»

Purtroppo sì, ammise Gen. «Anche in casa mia guardano questo drama all’ora di cena.»

Makoto si sentì compresa. «È appassionante!»

I gusti di lui viravano in altre direzioni, ma lo sceneggiato era divertente proprio per le reazioni che causava in Makoto, così come in sua madre e nelle sue sorelle. A Gen sembrava che in quelle storie loro cercassero emozioni che nella realtà le facevano rabbrividire. Makoto detestava l'idea del tradimento, ma in tv era una situazione che la attraeva morbosamente.

Lei stava ancora pensando. «Mi fa molta rabbia Kasumi, l'amica, però comprendo le sue ragioni. Si è sentita abbandonata da Hiromi. Lei e Hiroyuki stavano cercando di farsi forza a vicenda e, passando tanto tempo insieme...»

Come se fosse inevitabile. «Perciò se tu mi abbandoni per studiare all’estero, io sono autorizzato a consolarmi con una delle tue amiche?»

Makoto gli tirò contro il tovagliolo, ridendo. «Io non vado da nessuna parte!»

Allora anche lei la trovava una cosa ridicola. «Ma se andrò via io, starò attento agli amici maschi che ti ronzano intorno. Ormai ho capito come andrebbe a finire.»

L'allegria di Makoto si sciolse in una punta di dolcezza, più seria del solito. Lei si alzò e, dopo aver fatto il giro del tavolo, si appollaiò accanto a lui, le braccia attorno al suo collo e una gamba sopra la sua. «Io non penserei mai a nessun altro.» Posò un bacio lungo e leggero sulla punta del suo naso - una rassicurazione affettuosa che per lui era un concentrato di sensualità.

Le spostò una ciocca dei capelli dietro l'orecchio. «Perché guardi queste storie di tradimenti? Non ti capiteranno mai.»

Lei lanciò un'occhiata al televisore. «Hmm... Mi piace sentirmi travolta da queste emozioni dolorose. Sono situazioni che hanno a che fare con la realtà . anche se non mi succederanno mai, come dici tu. Perché sono fortunata.» Aveva avvicinato il viso al suo per sorridere e Gen ne approfittò per un bacio. Aveva appena iniziato a renderlo profondo quando la pubblicità terminò.

Makoto si staccò da lui in un lampo. «Ricomincia!»

Gen tornò a mangiare, sospirando. Ma Makoto non aveva distolto completamente l'attenzione dal suo volto. Gli prese le bacchette di mano e lo imboccò con uno spaghetto. «Ahh-!»

Lui rise e mangiò. Invece di tornare al proprio posto, lei trascinò la propria scodella sul tavolo, per rimanergli seduta accanto.

Dopo cena riassettarono insieme, la radio a far da sottofondo alle loro faccende. Mentre cambiava la lenzuola, Makoto mormorava la melodia della canzone in onda.

Una volta lei aveva avuto il coraggio di chiedergli perché lui venisse a trovarla le notti del mese in cui, per via del suo ciclo, erano impossibilitati ad avere rapporti sessuali. Gen le aveva quasi riso in faccia. La sua risposta si trovava in quei momenti: era bello starle intorno, anche quando non parlavano e nemmeno si guardavano. Makoto era Makoto, in tutto. Nel profumo che lasciava nell'aria, nel modo in cui muoveva, persino nel tipo di ambiente di cui si circondava - un luogo ordinato come la sua cucina, organizzata con metodo e decorata nei dettagli.

Gen non poteva fare a meno di sorridere mentre asciugava il bancone.

«A cosa pensi?»

«Alla volta in cui mi hai chiesto perché venivo a casa tua se non potevamo fare sesso.»

Lei arrossì. «Non l'ho detto così.»

Lui scrollò le spalle.

«Stavo solo cercando di non darti false speranze. Fino a quel giorno tutte le volte che eri venuto da me eravamo stati a letto insieme.»

Sì, non aveva torto. «Però sappiamo fare anche altro quando siamo soli.»

Makoto rimase in silenzio, senza dire più nulla.

Be'?

Le sfuggì un sorriso. «A me piacciono tanto questi giorni. Però quando non ci sono - ehm - ostacoli, tu pensi a una sola cosa. Come quella volta che abbiamo giocato a carte: è diventata una partita di strip-poker. O quando ci siamo messi a vedere un film: la trama horror mi ha fatto venire i brividi e tu ne hai approfittato per consolarmi a modo tuo. Quando ci mettiamo a pulire la casa prima o poi ti strusci addosso a me e-»

«Ehi.» Quanto era lunga quella lista? «Come se fosse solo un'idea mia.»

Il sorriso di Makoto si allargò. «Adoro tutto quello che facciamo. Ma... amo anche questi momenti tranquilli. Perciò questi giorni mi piacciono particolarmente.»

Gen pensò di non menzionare il fatto che l'ostacolo fisico non gli impediva di voler fare sesso con lei. Si tratteneva più che altro per il suo confort, per non infastidirla. Comunque non era ossessionato. Ci sarebbe stato un problema tra loro solo se lui non avesse voluto fare sesso. E nonostante le sue dichiarazioni, anche Makoto era entusiasta nell'incoraggiarlo.

Provò comunque a riflettere sul discorso di lei.

Makoto picchiettò il cuscino con una mano. «Il letto è pronto. Ora vado a farmi un bagno.»

Lui annuì. Era un peccato non poterla accompagnare dentro la vasca, ma non disse niente mentre lei si chiudeva nell'altra stanza. Nell'attesa di poter fare a sua volta una doccia, si sdraiò sul letto e guardò il telegiornale.

    

Più tardi, stringendosi a Gen sul materasso, per la prima volta Makoto notò un problema. «Il letto affonda troppo, vero?»

«Hm?»

Quello di Gen era stato un mormorio. Lui stava per addormentarsi; la doccia serale lo rilassava.

«Il materasso non è abbastanza rigido» chiarì Makoto. «A volte, quando mi sveglio, sento fastidio alla schiena.»

Lui strizzò gli occhi, per guardarla meglio. «Hm... già. Quello che ho in casa è più duro.»

Oh. A lei piaceva molto la morbidezza del suo materasso - ci aveva sempre dormito benissimo da sola - ma in effetti, da quando era arrivato lui... «Forse per questo, ogni tanto, ti fanno male le spalle.»

Gen sbadigliò. «Magari.»

Quel giorno lei aveva visto una telepromozione sull'importanza del materasso nel garantire un adeguato riposo. Per via del suo fisico magico non aveva mai malanni duraturi, ma aveva massaggiato più volte le spalle rigide di Gen. Lui attribuiva i dolori alla postura sbagliata che assumeva mentre studiava, ma... se si fosse trattato del materasso?

Gli toccò una spalla, per farlo voltare. «Domani andiamo in qualche negozio?»

«Va bene.»

Accettò l'abbraccio di lui e non disse altro. Il materasso affondava sotto il loro peso, ma per lei dormire accanto a Gen era come al solito celestiale.

  


  

Il giorno seguente Gen alzò lo sguardo verso l'insegna del negozio a cui Makoto lo aveva portato. «Perché vuoi guardare dei materassi?»

«Voglio scoprire se ne esistono di più comodi.» Lei lo prese per una mano e impresse abbastanza forza nella stretta da trascinarlo di peso oltre la porta d'ingresso. 

Stava pensando di comprare un materasso nuovo? Era un'idea folle secondo lui: lei non aveva idea di quanto costavano.

«Salve!» Makoto salutò la commessa del negozio e le spiegò subito cosa stava cercando: un prodotto di qualità, abbastanza morbido da offrire un sonno comodo ma al contempo rigido a sufficienza da sostenere le loro schiene.

«Oh sì, è importante!» le fece eco la donna. «Fa bene a preoccuparsene. Ha già in mente una marca?»

Mentre parlavano, Gen lanciò un'occhiata ai cartelli coi prezzi. Adocchiandone un paio, deglutì. «Makoto?»

Si voltò anche la commessa, ma con un cenno della testa lui indicò di volere un momento di privacy. Portò Makoto in un angolo del negozio. «Stai solo indagando o vuoi davvero comprarne uno?»

«Prima proviamoli. Se troviamo quello che fa per noi, varrà la pena comprarlo.»

Lui non era d'accordo. «Hai visto quanto costano?»

Lei non si sorprese nel vedere le cifre. «I prezzi sono uguali a quando ho comprato il mio. Mi avevano detto che non era niente di che, infatti era in promozione. Ora capisco perché costava così poco.»

Ma di che parlava? «Il tuo materasso va benissimo.»

«Ti fa venire il mal di schiena.»

«È per il lavoro, sollevo cose. E sto piegato quando studio. Questa storia c'entra con la domanda che mi hai fatto ieri?» Proprio mentre si stava per addormentare. Lei lo aveva colto alla sprovvista, in un istante di debolezza.

Makoto era piccata. «Senti, non ti sto chiedendo il permesso di comprare un nuovo materasso per casa mia. Ho intenzione di farlo e basta.»

Gen non gradì né il tono né l'argomentazione. «Non compreresti il materasso per te stessa. Lo prenderesti perché dormo con te e insieme affondiamo al centro.»

«Vedi che te ne sei reso conto? Il materasso che ho in casa è scomodo.»

Non era un buon motivo per spendere tanti soldi. «I materassi non sono cose che si comprano su due piedi, devono durare per anni. Il tuo è quasi nuovo!»

«Ma non è adatto. Perché ti scaldi tanto?»

Lui identificò il motivo. «È un acquisto troppo importante. Mi sento come se mi stessi regalando un televisore, o un armadio. Non si fa.» Prese una decisione che lo fece sentire subito meglio. «Comprerò io il materasso. In fondo serve a me.» Lei non risentiva nemmeno della scomodità: non aveva mai avuto dolori di alcun genere. 

Makoto era stizzita. «Il materasso starà a casa mia. Devo comprarlo io.»

Non voleva dire niente. «Non ne vorresti uno nuovo se non fosse per me.»

«Non c'entra. Andrà sul mio letto, sarò io che ci dormirò sopra tutte le notti.»

A quello scopo lei poteva usare il vecchio materasso, senza bisogno di cambiarlo. «Makoto... Non mi farò regalare una cosa simile da te. È troppo.»

Lei sgranò gli occhi, incredula. «Perché stai facendo queste storie? Ho solo deciso che voglio prendere un nuovo materasso per casa mia, per tutti e due. Perché ti dà fastidio?»

«Un materasso non è una cosa che si regala.» Al massimo si comprava insieme, ma regalarlo stabiliva una sorta di... rapporto di forza. Già lui viveva a casa sua per quasi metà mese, senza partecipare alle spese se non per quel poco di cibo che gli veniva permesso di comprare. Ma un materasso? Non aveva bisogno di essere mantenuto. «Posso prenderlo io per entrambi.»

Makoto fece un grosso respiro. Si voltò verso la commessa, accennando un sorriso. «Io e il mio ragazzo dobbiamo parlarne meglio. Torneremo un'altra volta.»

Uscirono dal negozio, con grande sollievo di Gen.

Appena girato l'angolo, Makoto si girò di scatto. «Non lo prenderai tu. Comprerò io questo nuovo materasso.»

Lui separò le labbra per ribattere, ma lei non lo lasciò nemmeno cominciare. «Quello che dici non ha senso! Prima sostieni che un materasso non si regala, poi vuoi prenderlo tu? Per casa mia?»

Ma lui non glielo aveva offerto senza un motivo! «Tu vuoi comprarlo per me. Hai sempre amato il tuo materasso!» Glielo aveva sentito dire! «Che c'è di male se per una volta compro io una cosa? Tanto non pago nient'altro!»

Makoto si indignò. «Perché dovresti pagare qualcosa? Sei mio ospite!»

Ospite! «Sto a casa tua per metà settimana. Mi dà fastidio non contribuire, ma tu insisti a-»

«'Fastidio'? A me piace poterti offrire la mia casa! Mi piace quando stai con me.» Le si spezzò la voce, ma l'irritazione vinse sulla tristezza. «Come può scocciarti una cosa del genere? Per me è bella.»

Gen si calmò. «Mi piace che tu sia felice, ma... non arriviamo a questo. Un materasso è un'esagerazione. Non voglio questo regalo.»

Makoto si sforzò di respirare lentamente. «Un giorno avrei avuto comunque bisogno di un materasso nuovo, visto che questo non è adatto a due persone.»

«Stai aprendo una pasticceria. Non è il momento di investire su un oggetto che ha il prezzo di un mobile.»

Makoto spalancò la bocca. «Non iniziare a gestire le mie finanze! Io... io ero venuta qui pensando che fosse una cosa carina, che potevamo fare insieme!»

Ma lui alla fine non aveva detto di no! «Torniamo al negozio, allora. Lascia che compri il materasso.»

Makoto si impettì ancora di più. «Se ti sembra assurdo che lo prenda io perché costa tanto, non ha senso che lo prenda tu per una casa che non è tua!»

Lei doveva decidersi. «Vuoi che passi il mio tempo con te, ma non che sia casa mia.»

Makoto si indignò. «Ti ho offerto un cassetto. In bagno hai uno spazio tuo!»

Sì. E lui non pretendeva di avere diritti neppure su un metro quadrato di quell'appartamento solo perché aver iniziato a contribuire in maniera più attiva alla gestione economica, ma l'esclusione lo infastidiva. Sentiva che gli veniva proibito di dare qualcosa che per lui era naturale offrire. Prendere il materasso sarebbe stato... giusto. Avrebbe avuto qualcosa di suo là dentro, qualcosa che aveva dato a entrambi a sua volta. «Voglio acquistare io il materasso.»

Makoto si irrigidì. «Non posso accettarlo. Sarà il mio materasso, rimarrà sul mio letto.»

«Che differenza fa?» Tanto lo usavano insieme. E anche se lei lo avesse usato da sola, lui era contento di poterle regalare una comodità.

«È casa mia, Gen. Se mi aiuti per una cosa come il materasso, è come se non potessi farcela da sola.»

Che storia era quella? «Non ho mai pensato che-»

«E il giorno in cui lo userò con qualcun altro, come mi sentirò?»

... cosa?

Makoto perse colore in viso. «Voglio dire... un materasso è per sempre. Non è un regalo che si fa in una relazione iniziata da poco, se non c'è la certezza che...»

«Che un giorno non lo userai con un altro uomo?» Gen si sentì ribollire. «Se ci stai già pensando, compratelo da sola.»

«Aspetta-!»

Allontanò di scatto la mano di lei, per non farsi toccare. «Non voglio più parlarne.»

«Volevo solo dire che non so niente del futuro! Nemmeno tu vuoi pensarci e... e all'improvviso parli di comprare addirittura un materasso! Come se...»

Era stata lei ad aver dato il via a tutta quella storia. Aveva detto tutto lei, anche le cose sbagliate.

Makoto aveva smesso di ribattere e Gen non dovette parlare per comunicare quanto quella conversazione fosse finita per lui.

In silenzio, si voltò e se ne andò per la propria strada.

    


     

«Che cosa gli hai detto?!»

Makoto chiuse gli occhi, costernata. «Non so come mi sia uscita. Anche Usagi mi ha sgridata.»

«Aspetta. Ripetimi tutta la scena.»

Nel raccontarla di nuovo a Rei al telefono, Makoto rivisse il momento nei più piccoli e dolorosi dettagli.

«Perché all'improvviso hai tirato fuori la possibilità di un altro ragazzo?»

«Non intendevo farlo! Non ci stavo nemmeno pensando!» La frustrazione la vinse di nuovo. «Pensavo solo a Gen. Ogni volta che io e lui finiamo a parlare di un futuro lontano, ci interrompiamo, passiamo oltre. È... normale. Lo capisco. Ma non ha senso che poi lui voglia comprare un materasso al posto mio se non mi dà la sicurezza che... be', che rimarrà assieme a me per usarlo.»

Il solo pensiero che ci fosse un futuro in cui Gen non faceva parte della sua vita le causava sofferenza. Non voleva immaginarlo. Era d'accordo con lui nell'andare avanti piano piano, coi loro tempi. Tuttavia, finché non avesse avuto certezze su loro due, non voleva pensare all'avvenire, in alcun modo.

«Sei stata tu a tirare fuori la storia del materasso.»

«Lo so!»

«Lui si è solo offerto di comprartelo.»

A parte tutto il resto - motivazioni che continuavano a sembrarle giuste - era consapevole della buona volontà dietro le intenzioni di Gen. «Mi ha spiazzato.» Era quella la verità.

«Perciò hai reagito dicendo sciocchezze.»

Sì, come suo solito.

«Era molto arrabbiato?»

Oh, sì. Gen non si era fatto nemmeno sfiorare da lei. Non aveva potuto sopportare la sua vista. «Non so quando vorrà parlarmi di nuovo.»

«Dovrai costringerlo ad ascoltarti. Ma vai da lui solo quando avrai le cose giuste da dire.»

Era per questo che cercava supporto. 

«Mako-chan, forse non sono la persona giusta per darti consigli. Io sarei scoppiata quando lui ha detto che aveva il diritto di regalarti il materasso, ma tu non potevi fare altrettanto. Che maschilista!»

Esatto! «Per questo mi sono arrabbiata!»

«E quando ti ha ricordato che stai aprendo la pasticceria? Come se tu non fossi capace di decidere da sola in cosa spendere i tuoi soldi!»

Giusto, proprio così! «È stato talmente... arrogante!»

«Supponente.»

«Pensa di sapere tutto lui!»

«Sì, be'... per questo non mi va a genio. Ma credevo che a te piacesse questo suo modo di fare.»

Solo per certe cose. «Gen non è perfetto.» Come lei d'altronde. «Ma non avevamo mai litigato in questa maniera.» 

«Prima o poi una discussione forte è inevitabile. In questo caso hai avuto la sfortuna di essere tu quella che l'ha conclusa male.»

Già, e ne era sempre più profondamente pentita. 

«Ne hai parlato con Ami?»

«Ehm... no.» Si vergognava al pensiero di raccontare ad Ami quella storia. Era stata molto immatura.

Rei comunque pareva capirla. «Ami prenderebbe le parti di Gen. Darebbe ragione anche a te, ma sarebbe più obiettiva nell'assumere il punto di vista di lui. È quello che ti serve.»

Ami non era la sola a saper decifrare le persone. «Gen ti sta così antipatico?»

Rei sospirò. «No, ma il tipo di relazione che avete ti rende troppo vulnerabile a lui.»

Makoto non comprese. «In che senso?»

«A me sembra che tu ti faccia guidare da Gen in tante cose. Capisco che questo ti piaccia, solo che... mi sento strana ad affidarti a lui. Non so come funziona la vostra relazione; non so se ti tratta come meriti. Per ora mi fido solo perché ti ama. È l'unica cosa di cui sono sicura.»

Makoto si intenerì. «Ti preoccupi per me.»

«Certo.»

Seppe che dall'altra parte Rei stava facendo una smorfia noncurante, cercando di nascondere l'imbarazzo anche se nessuno la stava guardando.

Volle rassicurarla. «È solo una finta, sai?»

«Cosa?»

«L'impressione che lui mi guidi. Glielo lascio fare. Glielo chiedo. Ma permetto che mi porti solo dove voglio io. Non lo avrei scelto se non capisse che cosa desidero ogni volta, senza parole.»

Rei rimase in silenzio. 

«Davvero questo ti sorprende?»

«No, ora che me l'hai detto. Solo che è una cosa così... romantica. E passionale.»

Già, sospirò Makoto. Voleva ritrovare quell'intesa. «Come posso farmi perdonare?»

«Digli la verità.»

«Eh?»

«Lui risponde bene ai confronti diretti. Digli la vera ragione per cui sei ancora costretta a pensare che dovrai trovare un altro ragazzo un giorno. Digli che hai paura.»

«Non posso. Sarebbe come chiedergli di prendere ora una decisione. È un impegno che lui non è ancora disposto a...»

«Ma è davvero così? Ha detto di voler comprare il materasso per entrambi. Forse non sa ancora bene cosa vuole in futuro con te, ma gli uomini si comportano in questo modo. Più che parlare, agiscono secondo quello che provano. Vuole regalarti il materasso e ha detto di voler contribuire maggiormente alle spese della casa. Questi sono già impegni. Si sta muovendo in quella direzione con te.»

Anche Makoto se n'era accorta. Ne era molto contenta e non le sembrava giusto chiedere a Gen di spingersi oltre.

Rei emise uno sbuffo. «Basta che ti decidi. Probabilmente se chiedi scusa in maniera molto contrita e poi ti butti tra le sue braccia, lui ti perdonerà lo stesso, senza bisogno di ragioni.»

Le sfuggì un sorriso. «Dovrei lasciar passare qualche giorno.»

«Non esageriamo. Da persona gelosa ti assicuro che, se Yu avesse detto a me quello che tu hai detto a Gen, io ci starei pensando ogni minuto della giornata.»

Il pensiero la fece soffrire fisicamente. «Allora vado da lui stasera.»

«Però avvicinalo solo se non ti sembra nero di rabbia. Io non ti ascolterei se fossi di quell'umore.»

Makoto ebbe un'illuminazione. «Sai, penso di aver capito perché Gen ti urta.»

«Che c'entra ora?»

Ridacchiò. «Voi due vi somigliate. A presto, Rei, grazie!» Riattaccò prima di essere travolta dalle proteste. 

   

Quel pomeriggio Gen andò ad allenarsi. In palestra, davanti al sacco di sabbia, sistemò con decisione i guantoni sulle mani.

«Gen!»

Rispose con un cenno della testa all'amico che lo aveva chiamato.

«È da un po' che non ti vedo qui nel weekend!»

Già.

Kato, compagno di tanti allenamenti, lo guardò meglio in faccia. «Hm. Non hai voglia di parlare, eh?»

Iniziando a riscaldarsi, Gen fece entrare in contatto i guantoni. «No.»

Kato annuì. «Va bene, ci si vede. Picchia duro!»

Scagliandosi contro il sacco, fu proprio quello che Gen fece.

    


   

Alle nove di sera Makoto si presentò alla porta di casa Masashi.

Alla fine aveva parlato anche con Minako del suo dilemma. L'aveva chiamata soprattutto per risentirla - Minako le mancava - ma era stato utilissimo per lei avere qualcuno a difenderla con spensieratezza, permettendole di sfogare tutti quei piccoli risentimenti che doveva cancellare prima di parlare con Gen.

«Presuntuoso, so-tutto-io, non sa accettare una gentilezza, non ti lascia spiegare...»

Minako aveva preso le sue parti al punto da imporle di rispondere a nome di Gen.

«Visto? Ti ho dato argomenti per capirlo!»

Makoto aveva riconosciuto la strategia. «So di essermi comportata peggio. Andrò a cercarlo dopo cena.» Per dargli il tempo di sbollire, senza lasciarlo penare troppo.

«Queste litigate mi fanno tenerezza. Amatevi! È l'unica cosa che conta!»

Aveva salutato Minako con un sorriso dipinto sul volto.

Davanti alla porta della casa di Gen era meno felice e più incerta. Suonò il campanello.

«Apro io!» udì e seppe dalla voce che non stava per vedere Gen sull'uscio.

Shori Masashi scostò la porta. Vedendola, la squadrò da capo a piedi. «Ah, è quella che ci ruba il fratello.» Aveva parlato a voce bassa e sorrideva. Non aveva intenzione di farsi sentire.

«Ciao» la salutò Makoto.

«Ciao. A momenti Gen vive più da te che da noi.»

Makoto si sentì in colpa. «Mi dispiace.»

Shori Masashi fece svolazzare una mano per aria. «Qua non abbiamo bisogno di lui, altrimenti Gen non andrebbe via. È un bene che non ci stia più addosso come un tempo.»

Fu un discorso che Makoto comprese solo a metà.

«Avete litigato? Oggi lui ha una faccia...»

Makoto inspirò. «Puoi chiedergli di uscire?»

«Figurati! Se non fosse in bagno sarebbe già alla porta!»

Udirono una chiave che girava nel corridoio.

«Eccolo, sta arrivando. Saluto mamma e Miki da parte tua.»

Makoto si rese conto di essere stata una maleducata. «Entrerei per farlo personalmente, solo che...»

«Certo, certo, situazione tesa. Se va tutto bene, domani vieni a pranzo. Mamma voleva invitarti da un po'.»

Makoto offrì un inchino della testa. «Grazie.»

Gen comparve in corridoio. Senza disturbarli, sua sorella Shori tornò al piano di sopra.

In silenzio, lui fece gli ultimi passi che li separavano, fermandosi davanti a lei senza parlare. La guardava in faccia, in attesa di una sua dichiarazione.

«Mi dispiace per oggi.»

Lui non ebbe reazioni.

Makoto si fece forza. «Vorrei spiegare, se vuoi ascoltarmi. Possiamo uscire un momento?» Indicò il giardino alle proprie spalle.

Lui non aveva ancora detto nulla, ma prese la giacca. «Ci vorrà più di un momento.» Prima di uscire di casa, controllò di avere le chiavi. Infine tornò indietro, dirigendosi verso il salotto.

Makoto lo sentì spegnere la televisione, poi seppe che lui stava andando a salutare sua madre. Se fosse stata una giornata qualunque, lei avrebbe gridato 'Buonasera' alla signora. Sospirò, nervosa, torturandosi le mani. Quando Gen tornò alla porta, gli lasciò spazio per passare, dirigendosi verso il cancello. Stavano per andare nel suo appartamento, era chiaro. Gen voleva parlare, quindi potevano sistemare il problema già quella sera stessa.

Si mossero verso il furgone. Makoto salì nel sedile del passeggero e attese che Gen montasse alla guida. Lui entrò nell'abitacolo, poi non mise le chiavi nel motore. Rimase muto, immobile, in attesa.

Oh. Aveva intenzione di ascoltarla in macchina. «Io... non ho detto quella cosa per ferirti.»

Lui persistette in un silenzio risoluto. Lei seppe di non poter continuare se non abbassando gli occhi sulle proprie mani. «L'ho detto perché un materasso mi ha fatto pensare agli anni che verranno. Non ho menzionato un altro ragazzo per ripicca, solo che... mi rende triste la possibilità di non stare più insieme a te un giorno. Siccome ci stavo pensando, ne ho parlato.» Stava sfiorando il discorso che si era ripromessa di non fare per intero, ma un cenno era necessario per permettergli di comprendere da dove le fosse uscita un'idea tanto infelice. «Lo dicevo più a me stessa che a te. Non mi sono resa conto di cosa mi usciva dalla bocca.»

«Lascerai che compri il materasso?»

... tutto qui quello che lui aveva da dire?

Il silenzio di Gen esigeva una risposta.

Makoto represse a stento il fastidio. «Quella è un'altra faccenda.»

Lui strinse le mani sul volante, guardando fuori dalla finestra. «È di questo che abbiamo discusso.»

Invece no. «Possiamo parlarne ancora, se vuoi.»

Gen batté il pollice sul clacson, irritato. D'improvviso si tirò indietro con la schiena e fece partire il motore. «Sì» fu tutto ciò che disse. 

Makoto non aggiunse altro mentre col furgone andavano verso casa sua.

    

Per Gen la faccenda era semplice: aveva bisogno di comprare quel materasso. Se Makoto non aveva avuto intenzione di dire quello che aveva detto - se davvero non pensava già di ospitare in casa sua, un giorno, un altro ragazzo, e di usare con lui il letto che ora occupavano insieme - allora doveva permettergli di prendere il materasso. Doveva lasciare che fosse suo, come il posto che aveva in quel letto e nella vita di lei.

Salirono le scale del suo palazzo, senza parlare. Gen le lasciò aprire la porta dell'appartamento ed entrò in casa. Makoto chiuse l'anta con un tonfo. «Perché è così importante?»

E glielo chiedeva pure? «Hai parlato di un altro uomo.»

«Ma ti ho spiegato perché!»

«Allora dimostrami che è vero. Lascia che il materasso sia mio.»

Makoto ebbe un momento di comprensione, poi corrucciò la fronte. «Ti eri intestardito prima che io finissi la discussione.»

«Perché ci sono tanti altri buoni motivi perché sia io a comprarlo.»

«Allora parliamo di quelli.»

Adesso per lui non contavano più. «Non serve. Ho già detto la mia ultima parola su questa storia. Lo prenderò io.»

Makoto si indignò. «Questa è mancanza di fiducia! Tu non mi credi!»

Esatto. Era stata lei a dargliene motivo. 

Makoto tremò dalla rabbia. «Come se fosse colpa mia! Io ti darei tutto se solo tu mi dicessi che...!» Inorridì, ma non per essersi lasciata sfuggire una stupidaggine. Scosse la testa e si zittì, ma Gen sapeva cosa era stata sul punto di chiedergli. Lo sentì come un peso sul petto.

Makoto guardò il pavimento. «Tu devi credere in quello che ti dimostro ogni volta che siamo insieme. Io mi fido di quello che tu provi ora per me. Se tra noi non c'è fiducia...»

'Cos'altro abbiamo?' Gen detestò le parole non dette. «Per crederci ti serve regalarmi un materasso?»

Makoto sbottò. «Se ti dà tanto fastidio, non lo compriamo! Era solo un regalo che tenevo a farti!»

Lui si sentì in colpa. «Non si tratta di voler rifiutare un regalo...»

«Ma è la tua ultima parola.»

No, dannazione, per lei poteva cambiare idea. «Tu mi dai troppo, Makoto. Mi lasci usare questa casa come se fosse mia. Mi prepari le cene e i bento, pulisci prima che sia riuscito a pensarci da solo. Cuci, stiri, riordini...» Aveva perso il conto delle cose che lei faceva. Neanche sua madre aveva mai fatto tanto.

«Mi piace prendermi cura di te.»

La sua voce sottile gli fece male. «Allora lascia che ti dia almeno un materasso.»

«Perché? Non voglio niente in cambio.»

Diavolo. «Un regalo così grande mi fa sentire come un ragazzino che non è capace di comprarsi queste cose da solo!»

«Non voglio farti da mamma!»

Infatti era peggio. «Divento parte di una coppia in cui ricevo tanto senza aver preso alcun impegno.»

Makoto si irrigidì. Gen sentì di aver detto qualcosa di sbagliato, ma Makoto parlò prima di lui.

«Ho capito. Ti fa sentire a disagio che io faccia la mogliettina senza che tu mi abbia chiesto né promesso niente.»

Dannazione, no!

Il viso di Makoto si deformò in una smorfia. «Non lo faccio per ottenere qualcosa da te!»

«Non era quello che volevo dire!» Gen coprì la distanza tra loro in due passi.

Le spalle di lei scivolarono via dalle sue mani. «Allora cosa?»

«So che tu fai tutto per gentilezza. Non era un problema finché non ci hai aggiunto il materasso.»

«Lo faccio per amore, non per gentilezza.»

Gen si zittì. Come erano arrivati a quel punto? «Lo so.»

«Non ti ho chiesto alcun impegno. So che tu non ne hai presi con me.»

«Non è vero.» Si era impegnato con tutto il suo essere in quel rapporto. «Volevo dire che un materasso non si regala dopo tre mesi di relazione. È una cosa che si fa quando si sta per comprare casa insieme, o quando ci si fidanza, o...»

Makoto si stava deprimendo sempre di più. «Non vuoi che te lo regali perché non vuoi farmi credere che arriveremo mai a quel punto.»

«No!» Ma se voleva regalarle lui il materasso! Si trattenne dal mettersi le mani nei capelli. «Sento che ti sfrutto, Makoto. È solo questo. Mi offri cose che si dovrebbero dare dopo anni di relazione e io non ho ti ancora dato niente che abbia altrettanto valore.» Finalmente lo aveva detto bene. Ma non aveva terminato. «Voglio prenderti quel materasso perché mi è sembrato giusto appena ci ho pensato. Se è per entrambi e resta qui, c'è qualcosa di mio, per te, in questa casa.» 

Makoto abbandonò la tristezza. Prese una delle mani con cui lui aveva cercato di toccarla. «Era quello che pensavo anche io. Un oggetto così è per tutti e due e... volevo tanto che ce ne fosse uno nel mio appartamento.»

Tornare a comprenderla gli diede enorme sollievo. «Va bene.»

Lei aveva una preghiera negli occhi. «Compriamolo insieme, Gen. Sarà una cosa che prenderemo in due, per noi.»

... suonava ancora più giusto di quello che aveva pensato lui. Fu un'illuminazione. «È perfetto.»

Lei esplose in un sorriso. Gli gettò le braccia al collo e lo strinse talmente forte da fargli male - un dolore piacevole, benvenuto.

Gen sentì ancora il bisogno di chiarire. «Non penso che fai cose per me con secondi fini...»

Makoto si allontanò piano, per guardarlo in faccia, senza smettere di stringerlo. «Io invece voglio dire una cosa sulla tua gelosia. Ci tenevi a lasciare il segno col materasso?»

Be', non lo avrebbe negato.

Makoto sorrise del suo imbarazzo, poi divenne seria. «Non avrò bisogno di un oggetto per ricordarmi di te, Gen. Ci saranno parti fondamentali di me che saranno per sempre tue.» Si assicurò di avere i suoi occhi, affinché capisse. «Per l'eternità.»

Lui le prese la nuca e chiuse gli occhi con lei nell'incontrare la sua bocca. Spense il cervello.

Usò le mani, il corpo, per riempirsi e riempirla di sensazioni. Tutto, pur di non pensare al fatto che lui non aveva alcuna eternità da offrire.

Ma ora erano ancora in una piccola casa, lei non era millenaria e lui poteva ancora darle tutto quello che era, senza trasformarsi in qualcosa che...

Non so se riuscirei.

Provò a dimenticarlo.

   

Makoto si addormentò per ultima dopo che ebbero fatto l'amore. In lei aleggiava ancora una consapevolezza, un senso di colpa.

Aveva quasi chiesto a Gen di decidersi - di dirle, ora e subito, che l'amava con tanta sicurezza da voler passare con lei secoli e secoli, anche se questo avrebbe trasformato la sua vita, anche se avrebbe significato perdere la sua famiglia, la sua natura. 

Perché le mie amiche hanno questo e io no?

Perché Gen non l'amava abbastanza?

Si sentiva meschina nell'avere quei pensieri. Covava desideri così egoisti perché più passava il tempo, più non riusciva a immaginare di vivere la propria vita senza Gen. Voleva persino litigare ancora per cose come quelle - per un materasso, per scegliere una casa, una macchina, se prendere un cane... Ed era stupida. Nella sua testa stava immaginando una vita normalissima.

Neppure da sola riusciva ancora a concepire come sarebbe cambiata la sua esistenza di lì a poco. Non sapeva cosa avrebbe fatto, quando, a novant'anni, non fosse stata una vecchia nonnina circondata da una famiglia numerosa, pronta a spegnersi. Lei sarebbe rimasta giovane, una ragazza, con secoli di tempo da riempire davanti a sé - una vita enormemente lunga. E voleva trascinare Gen in quell'abisso di incertezza?

Non lo biasimava.

Non lo incolpava.

Voleva solo che quel loro presente si allungasse all'infinito.

Molto piano, lo abbracciò più forte.

Non gli aveva mentito.

Ricorderò per sempre quanto sei caldo quando ti stringo. La sensazione dei tuoi capelli sulle mie dita. Il tuo respiro sulla mia guancia.

Tutto era già parte di lei. Voleva solo... un giorno in più. Ogni giorno, giorno dopo giorno, voleva solo un altro domani con lui.

Per quella sera, si accontentò di quella notte e si addormentò.

   


    

«È il migliore! Avete scelto benissimo! Questo materasso ha il suo prezzo, ma si ammortizzerà negli anni, con un riposo confortevole e sereno che vi lascerà soddisfatti!»

Gen sorrideva. «Ce lo ha già venduto. Lo prendiamo.»

La commessa del negozio saltellò verso la cassa. «Da questa parte!»

Makoto era allegra. «L'abbiamo fatta contenta.»

«Immagino la sua commissione. Ma è stata una buona idea unire le nostre finanze. Quando si tratta di comprare cose come queste, non mi va di risparmiare. Infatti ho intenzione di prendere questo fantastico televisore...»

Makoto sussultò. «Non per casa mia!»

Gen rise. «Per la mia famiglia. Il televisore che abbiamo è vecchio, è ora di cambiarlo.»

Coi soldi arrivati dall'assicurazione ora lui non doveva più risparmiare. Era più rilassato sul denaro e lei ne era felice.

Gen le rivolse un sorriso furbo. «Se farai la brava, ne prenderò uno anche a te.»

Per rimetterlo al suo posto, lei aprì una mano sul suo fondoschiena e gli strizzò un gluteo.

Lui sobbalzò.

Makoto si concesse una risatina. «Comportati bene.»

La commessa sbatteva gli occhi, ignara. «Tutto a posto?»

«Certo» rispose Gen, diplomatico.

Makoto se la rise tra i denti per tutto il tempo che furono alla cassa.

 
    

Marzo 1997 - Litigio - FINE

 


  

NdA: Torno a farmi viva con questa storia e con questa coppia, perché quando mi ispirano devo ascoltarli e scrivere di loro :)

Volevo dedicare una menzione speciale e Eleonora, che sul gruppo Facebook Verso l'alba e oltre ha disegnato a fumetti alcune scene di questa storia (la prima gita al negozio di Makoto e Gen) solo dopo averne visto l'anteprima. Sono cose che mi commuovono ç_ç

Inoltre volevo citare anche Simona/ggsi, che continua a ricordarmi che Gen è un micione, al punto da avermi quasi indotto a mettere questo sottotitolo al capitolo: 'La storia di come Gen voleva comprare una cuccia per sé e la padrona' :D

Grazie a tutti voi che mi leggete di esserci e seguirmi :)

 

ellephedre

 

 

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Capitolo 8
*** Aprile 1997 - Questione di prospettiva ***


corrente naturale 8

 

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Aprile 1997 - Questione di prospettiva

 

Per gran parte della sua vita Makoto aveva pensato che le sue mani fossero troppo grandi. Le dita avevano qualche centimetro di troppo sulla punta per essere davvero belle e sul dorso spuntavano delle venuzze. Le giunture erano allungate, snelle. Erano mani allenate da combattente.

Lei le guardava e pensava, 'Se solo...' Sognava mani piccole dalle linee morbide, come quelle di una ragazza carina e dolce che tutti gli uomini volevano proteggere.

Ma io non voglio essere protetta.

Rifletteva in continuazione su quella contraddizione. Voleva sentirsi come una principessa delle favole - adorata, amata, con qualcuno che provasse il bisogno di tenerla lontano da tutti i mali del mondo. Al contempo, desiderava il ruolo di cavaliere. Nella sua testa la fiaba perfetta era quella in cui contribuiva al proprio salvataggio al fianco dell'eroe senza paura, alla pari con lui.

Perché io non sono indifesa. Sarebbe bello curarci l'uno dell'altra insieme.

Quel sogno ogni tanto la deprimeva. Viveva in un mondo in cui non suscitava quel tipo di sentimento nei ragazzi, solo a causa dell'aspetto con cui era nata.

Io non sono brutta.

Non in viso - per quanto non fosse neppure bellissima - ma era il suo corpo il problema. Era nata nel paese sbagliato, forse nel mondo sbagliato. Del sesso sbagliato? No, a lei piaceva molto essere una ragazza, ma il suo fisico... Qualunque pregio potesse avere, i ragazzi vedevano solo che lei era troppo grande e grossa, con caratteristiche maschili persino nella posa - spalle dritte e decise, mai piegate. La ragazza perfetta era piccolina, gracile e fine, una bambolina. Non era previsto che fosse attraente essere alte, avere muscoli visibili e arti importanti, tutt'altro che delicati.

Lei avrebbe potuto smettere di allenarsi, ma a cosa sarebbe servito? Sarebbe rimasta sempre alta. Aveva le spalle larghe come alcuni uomini - le sue erano persino più definite della media maschile. I suoi polsi non erano sottili e gentili, avevano una circonferenza che era... be', erano normali e proporzionati al resto di lei. Quindi erano grandi, proprio come le sue ginocchia o i suoi piedi. Tolti seno e fianchi, avrebbe potuto tranquillamente essere scambiata per un uomo. 

Non riusciva a vivere pensandoci in continuazione. D'altronde - si ripeteva - il suo aspetto era un problema solo quando pensava a una storia d'amore. Per il resto del tempo, il suo corpo le piaceva molto.

Non me ne vergogno. Essere alta e grande le permetteva di fare cose impossibili per una ragazza comune. Picchiava bulli a mani nude. Batteva anche quelli più grossi di lei - era facile, erano così lenti.

Le piaceva svettare sopra le folle. Voi siete bassi e io no, non conoscerete mai il mio vantaggio.

Adorava essere più veloce degli altri nella corsa. Le ragazze non potevano competere con la lunghezza delle sue gambe e la maggior parte dei maschi aveva meno muscoli di lei nelle cosce. Per questo in fondo lei li compativa. Come potete essere meno forti di me?

Essere agile era parte del suo essere, la galvanizzava. Non avrebbe saputo esistere nei panni di una ragazzina goffa che aveva continuamente bisogno dell'aiuto di un maschio quando capitava di menare un po' le mani.

Era combattuta.

Poi aveva conosciuto Usagi e le altre.

     

"Mako-chan, tu sei molto carina!"

Erano state le prime a farla sentire tanto femminile.

"Che seno!" aveva commentato Minako.

Makoto si era vergognata. "È troppo grosso, vero?" Sgraziato e fuori luogo in una ragazzona come lei.

Minako aveva riso. "Per gli uomini non esiste un seno troppo grande!"

Makoto aveva sorriso al complimento, ma in cuor suo aveva saputo diversamente. Per i ragazzi c'erano caratteristiche che, per quanto buone, potevano passare in secondo piano se una donna non si adeguava a canoni di bellezza standard - irraggiungibili per una come lei. 

Una volta era andata a fare compere con Ami. In due erano state impacciate ed esistanti nello scegliere i vestiti, in attesa dell'arrivo delle altre. Vedendola guardare giacche e pantaloni, Ami aveva commentato innocentemente, "Ti piace stare comoda."

Makoto aveva scrollato le spalle. "Non penso che mi stiano bene abiti troppo femminili."

"Perché no?"

Non aveva saputo come rispondere alla domanda, perché Ami pretendeva risposte serie e articolate. Quella volta Makoto si era resa conto che in testa aveva solo tante scuse. Si era buttata: aveva provato un top aderente e una gonna lunga - abbastanza coprenti per farla sentire a suo agio, pur essendo capi che sottolineavano le sue forme.

Allo specchio si era piaciuta molto.

Ami le aveva fatto i complimenti. "Stai benissimo."

Anche Rei aveva contribuito alla sua autostima. "Perché porti sempre i pantaloncini invece di una minigonna?"

"Mi muovo meglio."

"Dài, non devi sempre prepararti a combattere mentre sei con noi. Una minigonna ti starebbe bene, ti ho vista col costume Sailor."

"... non so se è adatta a me."

"Guarda che fai vedere le gambe come con quei pantaloncini. Su, provane una delle mie!"

"No! La tua taglia è troppo piccola!"

"Esagerata, parli come se fossi enorme rispetto a me. Ti starà giusto un po' cortina, ma tanto siamo tra amiche."

Anche le altre l'avevano incoraggiata e così Makoto aveva scoperto di non essere tanto più grossa delle sue amiche - piuttosto, si vestiva come se lo fosse. La minigonna di Rei le cadeva sulle cosce tre o quattro centimetri troppo in alto per essere decente, ma per il resto... "Mi piace." 

Con un pollice bene in alto, Rei aveva annuito. "Hai visto? Rendi giustizia a quella mini!"

     

Da allora Makoto aveva iniziato a valutare con più benevolenza il proprio corpo. Era alta, ma aveva le sue buone qualità. Anche lei poteva indossare abiti molto femminili, per valorizzare la bella rientranza dei fianchi, il sedere alto - merito dell'allenamento - e tutto il resto: braccia e cosce sode, arti forti, ginocchia ben formate. Non era brutta: era solo... grande.

Vivo in un mondo di uomini troppo piccoli, è questo il problema.

Ogni tanto si godeva un po' di sport in tv, ma come una sciocca aveva sempre ritenuto che i giganti di certe discipline fossero scherzi della natura, un po' come lei.

Siamo fuori dalla norma, ma non è una cosa negativa. Abbiamo una 'nostra' norma. Rispetto a certi nuotatori, professionisti dell'atletica o boxeador, lei era persino piccola. Era un peccato che la maggior parte di quegli uomini vivessero in paesi lontani.

Non si era scoraggiata. A differenza degli uomini giapponesi, in fondo lei non dava tanta importanza all'altezza.

Non voleva un ragazzo che fosse a tutti i costi più alto di lei: riusciva a immaginare senza problemi di abbassarsi per un bacio o un abbraccio. Non trovava svilente l'idea di camminare fianco a fianco con un uomo che fosse più basso - anche se avere qualcuno alto almeno quanto lei era il suo ideale. In realtà le bastava una persona che la apprezzasse per quello che era e che non la facesse mai sentire male per le dimensioni del suo fisico.

Se possibile, voleva di più. Se solo avesse incontrato qualcuno che avesse trovato bello il fatto che le sue gambe fossero lunghe e le sue braccia forti. Qualcuno che non dovesse passare oltre quelle caratteristiche, ma che ne fosse attratto.

Era un bel sogno.

Nel tempo si era invaghita di diversi ragazzi che l'avevano snobbata, ma aveva imparato a smettere di sentirsi male a causa loro. Era fastidioso e lei viveva meglio quando si sentiva forte, carina e felice di essere nel proprio corpo. Se un ragazzo non la guardava con lo stesso interesse, scrollava le spalle e lo dimenticava subito. Minako aveva insistito su quel punto, convincendola: non valeva la pena di struggersi per qualcuno che, evidentemente, non era la persona che l'avrebbe fatta felice.

Lui era là fuori, da qualche parte.

Non importa se non mi considererai minuta, ma considerami giusta, desiderabile.

Si era attesa di aspettare molti e molti anni per avere qualcosa di lontanamente simile.

Era stata più fortunata. 

 


 

«Stai facendo qualcosa di strano.»

Makoto ridacchiò in silenzio, la guancia appoggiata contro la tovaglia che lei e Gen avevano steso sull'erba del parco. «Cosa intendi?»

Sdraiato, lui aprì un occhio. «Stai confrontando la misura delle nostre mani?»

Lei tenne l'avambraccio incrociato con quello di lui, i loro palmi appoggiati l'uno contro l'altro, le dita aperte.

«Sì.»

Lui non disse niente e Makoto non provò a spiegargli. Era un discorso lungo, che si era trascinato per anni.

Era guarita dalla sua bassa autostima prima di incontrarlo, ma con lui aveva scoperto un piacere nuovo, banalissimo. «Mi piace essere più piccola di te.»

Se ne beava: la stazza di Gen le ricordava in continuazione che non era sola nell'essere più grande e alta della gente comune. La loro era una meravigliosa differenza in cui lui le faceva compagnia. Inoltre... Non ne avrebbe avuto bisogno, ma era un di più sentirsi minuta accanto a un altro essere umano. Rafforzava l'idea che lei non fosse mai stata veramente troppo alta, ma che si fosse solo paragonata alle persone sbagliate.

«Un giorno potremmo andare in Europa del Nord. O in Russia. Ami mi ha detto che lì le persone sono tutte molto alte.» Loro si sarebbero sentiti normalissimi in quei paesi.

Gen si divertì. «È questo il problema? Ti senti troppo grande?»

Non più. «Mi sento normale. Ma quando mi conviene, mi piace essere più grossa del prossimo.» A spalle dritte e braccia incrociate intimidiva ancora la maggior parte dei prepotenti che incontrava sul proprio cammino, bassi o alti che fossero.

Gen stava ridendo tra sé. «Non sei grossa.»

«Non sono piccola.»

«Per fortuna.»

Makoto si incuriosì. «In che senso?»

«Quando mi abbasso a baciarti non mi viene il torcicollo.»

Ah. «Sono felice di essere una scelta conveniente.»

Lui glissò sul discorso. «Come fai a definirti grossa?»

Makoto sospirò. «Rispetto alle altre ragazze.»

«Hm. Io ne ho conosciute tante. Non c'è molta differenza di dimensioni tra te e loro.»

Lui aveva una prospettiva tutta sua. «È più l'idea che per essere davvero carina bisogna essere piccoline e fragili.»

«Quelli sono gli standard della massa di uomini bassi e privi di muscoli. Si vergognano a confrontare le loro braccia scheletriche con quelle di una persona in forma.»

Makoto esplose in una risata. Solo con Gen poteva fare quel tipo di discorsi.

Lui si girò su un fianco, per circondarla con un braccio. «Se tu fossi minuta e fragile, mi vengono in mente tante cose che non potremmo fare insieme...»

«Lottare?»

«Diciamo così.»

Makoto affondò con la testa nella sua spalla. «Che perverso che sei!»

Risero insieme, cercando di non attirare troppo l'attenzione.

Lei gli diede un bacio sulla guancia, spingendolo a tornare sdraiato. Gli salì sopra con metà del corpo e sospirò di gioia, tornando a rilassarsi.

Dopo un bel pic-nic all'aperto era bello riposare.

«Tra te e una ragazza piccolina e delicata, avrei scelto mille volte te, solo per l'aspetto.»

Questo la rendeva molto felice. «Grazie.»

«Non devi ringraziarmi. Piuttosto, sai una cosa? Anche se essere così alto mi ha fatto sbattere con tante porte, e certe stanze sono claustrofobiche, sono contento di non essere basso. Ti avrei voluta lo stesso, ma sarebbe stato più difficile attirarti.»

Quante sciocchezze. «Ci saremmo scelti lo stesso, a vicenda.» Lo abbracciò forte. «Ora basta parlare di dimensioni. Coccoliamoci.»

Lo sentì ridere per il termine, ma sulla sostanza Gen non protestò.

Con me non lo fai mai.

Contenta, Makoto appoggiò la testa sul petto di lui.

 

 

Aprile 1997 - Questione di prospettiva - FINE


NdA: questa storia è nata dopo un mio piccolo studio sui canoni di bellezza giapponesi (ho letto diversi articoli e alcune testimonianze dirette). I loro canoni sono molto diversi da quelli occidentali. Qui considereremmo un'amazzone come Makoto una ragazza molto bella, mentre invece per occhi giapponesi la bellezza femminile sta nell'avere occhi grandi, un corpo piccolo (se formoso meglio, ma che sia delicato e infantile nelle dimensioni è il top), una pelle lattea. Una ragazza che esce da questi canoni non sarà apprezzata per la sua diversità - almeno non generalmente. Non è previsto.

Qui in Occidente ci sono limiti su cose diverse - potremmo definirli canoni meno stringenti, ma in fondo non è vero.

La bellezza è una questione di prospettiva, naturalmente. La contraddizione per me stava nel fatto che una persona che qui giudicheremmo bella - come Makoto - in un altro paese potesse sentirsi brutta proprio per le caratteristiche per cui altrove sarebbe apprezzata. Un po' in tutte le versioni di Sailor Moon si indicava che lei aveva problemi col suo fisico, ma non ne ho capito la portata - credevo che stesse esagerando - finché non ho approfondito la questione. Ne ho parlato in Verso l'alba, se non sbaglio - i concetti di base non mi erano nuovi, li avevo già. Suppongo che sia stato leggere le testimonianze che mi abbia fatto dare vedere la questione secondo un approccio più personale e sentito. Quindi ho voluto scriverne.

In ogni dove, alla fine, il gioco è imparare ad apprezzare se stessi, quindi ho voluto dedicare un piccolo pezzo a questo percorso in Makoto. Ricordo vagamente che nella prima serie vestiva abbastanza maschile, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Mi piace immaginare che le sue amiche abbiano avuto su di lei l'influenza che ho descritto.

Poi, appunto, non penso che Gen abbia risolto tutti i suoi problemi. Lui è un 'di più', per una ragazza che era già contenta di se stessa. Ma naturalmente è sempre bello veder soddisfatti piccoli desideri che uno credeva irrealizzabili. A Makoto ho voluto dare questo da molto tempo :)

Spero che la storia vi sia piaciuta.

Elle

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Capitolo 9
*** Maggio 1997 - Nostalgia ***


corrente naturale 9

 

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Maggio 1997 - Nostalgia

 

A tavola suo padre rideva. Era sempre lui a scherzare in famiglia, rendendo allegre le loro riunioni. Di fianco a lui il viso di sua madre era acceso, quello delle sue sorelle estasiato. Amavano tutti ascoltarlo. Poi era Gen a parlare della sua giornata. Suo padre gli prestava attenzione mentre mangiava, così come sua madre, Shori e Miki. Ridacchiavano per una battuta che era riuscito a fare, si scambiavano racconti personali. Era bello cenare insieme.

Poi Gen sbatteva gli occhi e suo padre era sparito dal proprio posto. Non era più a tavola, se n’era andato.

Perché? Dentro di sé lo sapeva, lo temeva.

Aprì gli occhi. Al buio, capì di essere nella realtà di un lungo incubo: suo padre era morto l’estate scorsa.

Ebbe voglia di scendere al piano di sotto, per controllare che lui davvero non fosse più nella sua stanza, a dormire con sua madre. Era stupido, illogico: si trovava a casa di Makoto.

Era passato tanto tempo da quando suo padre se n’era andato per sempre.

Nella sua testa erano recenti il sogno, i ricordi.

Solo ieri avevano cenato tutti e cinque a tavola, con sua madre e le sue sorelle. Solo ieri era andato da suo padre quando aveva voluto approvazione per qualcosa. Gli aveva raccontato dei suoi progetti all’università, di come andavano bene. Suo padre annuiva, lo spronava come al solito. Tra loro, ogni tanto, si prendevano una birra e parlavano sul patio, tra uomini. I loro sport preferiti erano la boxe e il baseball. Ne parlavano solo loro due, tranquilli, le domeniche o le sere davanti alla tv.

Gen voleva farlo ancora. Ma era impossibile, non aveva più un padre.

Un groppo gli attanagliò la gola. Accanto a lui, sul letto, Makoto dormiva. Sentiva il respiro di lei, la sua presenza.

Scivolò di fianco e la strinse. Lo fece stare meglio avere il suo corpo contro il petto, persino udire il mormorio di protesta.

Ricordarsi che era passato tanto tempo - tutti i mesi in cui l’aveva conosciuta - non cambiò nulla nella sua testa. Sembrava ancora solo ieri che poteva dire ‘papà’ e avere una risposta.

Non voleva sentirsi così. Non voleva stare male.

Affondò la testa contro il collo di Makoto, provando a riempirsi il naso del suo profumo. C’era, era un odore caldo e buono, così vivo.

Lo baciò. Fammi dimenticare.

Non resistette, dovette esagerare e scendere. Dimenticava meglio con i seni di lei premuti sulla faccia, ma non abbastanza. Era come un bambino che si rifugiava, si nascondeva. E singhiozzava, dannazione.

No.

Prese un capezzolo di lei in bocca, provando ad eccitarsi. Sentì il corpo di Makoto che si tendeva, una mano che si muoveva confusa sulla sua spalla. Udì un suono - un lamento eccitato - e tra le labbra ebbe un nocciolo che si induriva. Era rosso nella sua mente, turgido, saporito contro la sua lingua.

Questo, pensò, e portò la mano sull’altro seno di lei, per non smettere. Usò il pollice e l'indice sull’altra punta, stimolando allo spasimo anche quella.

Ecco l’oblio, la normalità. L'essere vivo.

Makoto sollevava il bacino, dimenandosi piano nel suo abbraccio. La mano di lei si era svegliata tra i suoi capelli.

«Gen…» Fu un gemito e una richiesta - anche di parole.

Lui non voleva dirne nessuna, non voleva pensare.

Scese lungo lo stomaco di lei, baciò. Quella di Makoto era una pelle paradisiaca, quasi salata, talmente ricettiva… Le infilò la lingua nell'ombelico, giocandoci. Ottenne una serie di meravigliosi brividi, tutto il ventre di lei che si sollevava contro la sua bocca. Tenerle le braccia ferme con le mani era giusto, era uno scambio. Dovevano perdersi insieme nelle sensazioni invece di combatterle.

Di più, vero?

Si spinse oltre sotto le coperte; sentì che gli mancava l’aria, ma non ci badò. Makoto provò a spostarsi con le gambe, ma lui sistemò la testa tra le sue cosce. Tenendole aperte leccò - peli, la prima volta, ma sentirli ruvidi sulla lingua, intrisi di sapore, lo portò solo ad abbassarsi di più col naso, per trovare la carne morbida e liscia. Il secondo assaggio fu centrato: scivolò tra tante piccole pieghe umide. Sobbalzando, Makoto emise un suono di involontario godimento.

Il suo odore era diverso dal solito, molto più intenso. Erano l'aroma e il sapore pungenti del sesso che avevano fatto prima di dormire - col fluido di lei che ancora non si era seccato sulla sua carne. Gli venne da ridere alla possibilità di stare assaggiando anche se stesso, ma si limitò a non scendere oltre e non smise di premere la lingua contro il bottoncino duro che aveva trovato. Le era venuto dentro, perciò là fuori c’era solo Makoto, solo lei e il modo in cui stava agitando piano le ànche contro la sua bocca, sempre più a ritmo.

Così, pensò lui, sentendo dentro di sé il tremore che le provocava con un movimento giusto della punta della lingua, il dondolio trattenuto del bacino contratto e smanioso-

Makoto trafficò veloce con le mani, buttando via le coperte e permettendogli di respirare. Disse il suo nome due volte, in ansiti consecutivi, veloci, prima di afferrargli la testa con tutto un palmo e iniziare a ondeggiare al ritmo delle sue leccate, senza più ordine. Sobbalzò all'improvviso e in quell'orgasmo si perse anche lui. Si inebriò della sua voce spezzata, femminile e deliziosa, e del pulsare lieve che sentiva sotto le labbra.

Lei era così giusta - perfetta da amare, la persona migliore in cui perdersi.

Appoggiò il viso contro il suo ventre e per un attimo respirò.

Volevo così tanto che lo conoscessi anche tu.

Sentì di nuovo il petto che si stringeva. Non lo sopportò. Sollevò il torso e nel buio, con la mano, allineò la propria erezione all’entrata di lei, senza aspettare. Affondò.

Makoto gli afferrò i polsi. «Gen!» Non cercò di spostarsi, ma bloccata com’era non avrebbe potuto.

Non dirmi di smettere, per favore.

Cercò di trattenersi dall’assecondare la forza della stretta scivolosa di lei. Riuscì a stare fermo.

Makoto smise di tenergli forte le mani. Spinse di rimando contro il suo bacino - un tentativo la prima volta, una scelta la seconda.

Senza fiato, lui la prese per la vita. Da seduto iniziò a spingere ed ebbe tutto il controllo che lei gli aveva dato. Privo di ostacoli, cominciò a premere con sempre maggior intento.

Sentì come Makoto gli rispondeva e si lasciava andare. Con l'intero corpo lei divenne un concentrato di istinto - allargò le gambe, inarcò la schiena per favorire gli affondi, graffiandogli i gomiti.

Lui abbandonò i pensieri. Si riempì del piacere di entrare nel suo ventre, tenendola bloccata, controllata.

Poteva farle tutto quello che voleva, al ritmo da lui deciso, con la forza che più gli andava - la soddisfazione più grande sapere che lei lo desiderava quanto lui e con ogni movimento lo incitava, godeva.

Lo spasmo con cui iniziò a liberarsi nel suo corpo lo fece diventare rigido su tutta la schiena. Fu talmente forte e intenso che… Non controllò le ultime spinte, furono loro a comandarlo.

Infine, sentì un indolenzimento alle mani quando allargò le dita, per la forza con cui aveva tenuto contratti i muscoli.

Si preoccupò, massaggiando la pelle che aveva afferrato, in cerca di reazioni di dolore. Ma Makoto gli trovò le mani con le sue, le chiuse nelle proprie. Prese lei il comando, costringendolo con gran facilità a sdraiarsi sul suo corpo, poi su un fianco. Tenne il volto contro il suo collo. Non stava cercando conforto, voleva offrirlo. Gli accarezzò la schiena, ascoltando il respiro che lui non riusciva a calmare.

«Cosa c’è?» gli domandò.

Lui non trovò la forza di stare zitto. «Mi manca mio padre.»

Non lo infastidì il sussulto, il silenzio.

«… hai fatto un sogno?»

Gen annuì al nulla, contro la testa di lei.

Makoto tremò e lo strinse forte. Soffrì con lui.

Contro i suoi capelli Gen provò a trattenersi.

«Fa male, hm? Farà sempre male.»

Già. Perché suo padre non sarebbe mai più tornato.

Ansimò, iniziò a piangere. Si vergognò.

A denti stretti odiò la sofferenza, la nostalgia. Quando Makoto gli accarezzò la nuca piano, come se fosse piccolo e solo, odiò solamente che suo padre non ci fosse più.

Avevo ancora bisogno di te.

Non glielo avrebbe mai detto se fosse stato vivo, non lo avrebbe mai pensato. Ma avrebbe avuto bisogno di lui tra dieci anni, tra trent’anni. 

… gli sarebbe mancato per il resto della sua esistenza.

Rassegnato, pianse ancora un po’, fino al silenzio. Sentendo le lacrime calde di Makoto contro la guancia, si sentì meno solo e si addormentò. 

  

Maggio 1997 - Nostalgia - FINE

 


NdA: ... ho pensato che uno come Gen verrebbe invaso da queste idee, di tanto in tanto. Suo padre era molto importante per lui.

Vedevo Gen che reagiva nel modo che ho descritto, cercando di dimenticare in una maniera fisica, per spazzare via il dolore rimpiazzandolo con sensazioni che più di tutte, nella sua testa, gli danno l'idea di essere vivo, acceso. Gli si è ritorto contro? Non proprio. Aveva davvero bisogno di lasciarsi andare ancora, anche se riteneva insensato che la nostalgia fosse ancora così forte dopo tanto tempo.

Niente, spero di aver reso bene ciò che volevo trasmettere con questa storia.

Elle

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Capitolo 10
*** Maggio 1997 - Nella stanza da bagno ***


Corrente Naturale - maggio 1997

 

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

Maggio 1997 - Nella stanza da bagno

     La sua era una vasca piccola. Quando faceva il bagno Makoto si rannicchiava su se stessa, sdraiandosi sulla schiena. Immergeva i capelli finché l'acqua quasi non le entrava nelle orecchie.

Nell'istante in cui i suoni si attutivano, sentiva di entrare in un mondo differente, privo di peso: il suo corpo galleggiava, lei stessa non aveva più responsabilità o preoccupazioni. Le fatiche della giornata si scioglievano assieme ai suoi muscoli.

Soffiò sulla superficie dell'acqua, osservando le increspature create dall'aria. Si voltò di lato, sostenendosi con un gomito, senza scopo, semplicemente perché poteva. Emerse con metà della gamba. Sporse il piede oltre il bordo della vasca, stiracchiando le dita stanche, provate da una giornata trascorsa senza quasi sedersi.

Il citofono di casa suonò.

... Gen era arrivato in anticipo.

Uscendo dall'acqua, lei si passò velocemente un asciugamano sul corpo, per non bagnare il pavimento. Passò dal bagno alla stanza principale della casa, fino a raggiungere il citofono sulla parete. Premette il tasto che apriva il portone al piano sottostante e tolse la sicura all'entrata.

Tornò indietro, con calma.

Quando Gen entrò nel suo appartamento, un minuto dopo, si era già reimmersa in acqua.

«Makoto?»

«Sono qui.»

Sentì i passi di lui, poi lo vide sulla porta.

«Ehi.»

Rivederlo con un sorriso, la sera, era un premio. «Ciao!» Caricò il saluto di felicità.

«Fai un bagno?»

Annuì mentre lui si avvicinava, fino ad accucciarsi accanto alla vasca.

«Volevo stare dentro per un po'» gli spiegò, «così poi ti lasciavo il posto. Sei arrivato prima.»

Quieto, lui appoggiò il mento sul bordo in ceramica. 

Lei lo graziò con un piccolo bacio, causandogli un sorriso. «Sei stanco?»

«Sì.»

Makoto intuì che non era questo che lo turbava.

Lui era rimasto a guardarla. Diversamente da quando era spensierato, negli occhi con cui stava osservando il suo corpo nudo c'era una riflessione, che non includeva lei.

È successo qualcosa?

Fu paziente. Invece di domandare allungò una mano, inumidendo la fronte di lui con una carezza.

Per la beatitudine, Gen chiuse gli occhi. «Se solo la tua vasca fosse più grande...»

Lei aveva pensato la stessa cosa. «È un peccato che per un bagno ci entriamo solo uno alla volta.» Inumidì le palpebre di lui con le dita, piano, accarezzandole.

Gen emise un sospiro flebile. «Oggi è andata bene al negozio?»

«Mi hanno commissionato tre torte per la prossima settimana. Gli affari stanno decollando.»

«Certo. Sei la migliore in cucina.»

Lei si voltò a pancia in giù nell'acqua, tenendosi all'altezza di lui con le braccia. «A te com'è andata? Avete finito di lavorare sul piano di quel palazzo?»

Lui tardò un momento a rispondere. «È andata bene, erano soddisfatti. Ottime rifiniture, hanno detto. Ho passato i complimenti a Sato.»

«Ne sarà stato contento.»

Gen annuì. «Mi hanno offerto di fare altri lavori insieme.»

Oh? Non era una cosa cattiva. Stavano parlando di una buona società di costruzioni, con una ventina di dipendenti e molti contratti all'attivo, su locali di grandi dimensioni. Eppure, Gen non sembrava felice. «Non ti piace come idea?»

«Il proprietario ha detto che tra qualche tempo potevamo parlare di unirci. Fondere le ditte, sai? Loro che assorbono noi.»

Makoto iniziò a comprendere la ragione della sua incertezza.

Gen si era seduto completamente sul pavimento, una gamba allungata sulle piastrelle.

«Non sei tenuto ad accettare.»

«Quando me l'ha detto, il mio primo pensiero è stato... . Come se finalmente mi stessi liberando di un peso.»

Makoto capì subito cosa stava provando lui, da cima a fondo. Si sporse in avanti, uscendo col torso dall'acqua per adagiare la guancia alla sua. «Non sentirti in colpa.»

Lui non disse nulla.

«Ti sei sempre preoccupato per Sato, Nakamura e Watanabe. È un sollievo sapere che potresti non avere più la responsabilità del loro futuro. È normale.»

«Non mi ero reso conto di essere pronto a sciogliere la ditta. Anche se sapevo che un giorno sarebbe successo.»

La ditta era stata creata da suo padre. «Non lo stai lasciando andare solo perché non continui il suo lavoro.»

Gen emise un lungo sospiro. «Non mi dispiaceva come occupazione. Si guadagna bene. Essere autosufficiente senza spendere la mia parte del risarcimento è... una cosa buona.» Si voltò verso di lei. «Per il futuro pensavo di tornare a farlo, di tanto in tanto, quando avessi avuto bisogno di denaro. Per avere un'entrata in più, magari durante le vacanze. Finché faccio solo l'assistente.»

Certo, era un'idea sensata.

Ma nel guardarla Gen stava avendo un'esitazione.

Makoto capì solo in quel momento che avevano parlato di un futuro distante nel tempo. Lui sarebbe diventato assistente in uno studio di architettura appena avesse terminato l'università, e per allora la nuova vita di lei sarebbe già cominciata.

Lavorare durante le vacanze per avere più soldi era un progetto che apparteneva a una vita comune e semplice, che non sarebbe mai stata quella che loro due avrebbero avuto insieme.

Non gli permise di pensarci troppo. «Se cedi la ditta e rimani in buoni rapporti con loro, magari chiameranno te per una mano in più, quando ne avranno bisogno.»

Come lei, Gen scelse di non affrontare un problema per cui ancora non avevano soluzioni. Annuì. «Mi sembra lo stesso di lasciar andare una parte di mio padre.»

In silenzio, Makoto condivise la sua nostalgia, la sua sofferenza. Si allungò con un braccio fuori dalla vasca, prendendogli la mano e portandola alla bocca. «Lui sapeva qual era il tuo sogno. Avrebbe voluto che tu seguissi la tua strada.» Lo baciò sul dorso delle dita, forte. «Comunque non succederà subito. Ti abituerai all'idea. E se non accadrà... non dovrai fare niente. Potrai tenere la ditta per sempre.»

Strappargli un sorriso la rese felice.

Quando respirò di nuovo, Gen si era liberato di un pensiero opprimente.

Makoto scivolò all'indietro nell'acqua. Pur piegata com'era, riuscì a mettersi con lo stomaco all'insù. Poiché non aveva rinunciato a tenergli la mano, quasi sprofondò con la testa.

«Attenta.» Gen la tenne sollevata. «Fai la sirena?»

«Nel mio piccolo stagno. Poi l'acqua sarà tutta per te.»

Lui la lasciò andare e sollevò la maglietta sopra la testa. «Cominciò a pulirmi.»

Oh, sì. Era sempre un piacere osservarlo senza vestiti. «Quando vuoi ti lavo la schiena.»

Lui stava già slacciando il bottone dei jeans. «Dopo lo faccio io a te. Quel bastone di spugna non funziona bene come le mie mani.»

Era una verità tanto grande che lei non lo contraddisse.

Gen stava sorridendo.

«Cosa?»

«Mi è venuta un'idea.»

«Quale?»

Lui aprì la bocca e... non parlò. «Sarà una sorpresa.»

Divertita, Makoto si rassegnò. «Okay.»

«Una sera di questa settimana» continuò lui. «Preparati.»

«Come?»

«Comportati come al solito. Poi un giorno, quando meno te lo aspetti...»

Ormai se lo aspettava, ma non voleva rovinargli la festa. In fondo, era come diceva lui: la prospettiva di qualcosa di nuovo e diverso già la allettava. Le sorprese di Gen erano così, quando gli venivano in mente: spezzavano la routine. Spesso erano esperienze comuni con un pizzico di novità, capaci di cambiarne la prospettiva.

Una mattina per esempio si erano svegliati molto presto, per correre insieme. Non l'avevano fatto nel solito parco. 'Solo per cambiare scenario' aveva detto Gen, ed erano andati alla scoperta di un altro quartiere, lontano mezz'ora di macchina.

Un'altra volta ancora erano andati in un ristorante thailandese - una cucina che nessuno dei due aveva mai provato. Di proposito avevano ordinato le portate più strane che avevano incontrato nel menù.

A lui piaceva la quotidianità, ma occasionalmente gli piaceva anche uscirne e la portava con sé in quegli esperimenti.

Lei era avventurosa soprattutto dal punto di vista culinario. «Oggi ho trovato una ricetta interessante su un libro. Sta cuocendo nel forno.»

«Che cos'è?»

«Una cosa completamente nuova.»

«Carne, pesce, verdure?»

Il sorriso di Makoto si allargò. «Sorpresa.»

Senza vestiti, Gen si inginocchiò davanti a lei. «Ti sei fatta furba.»

Si scambiarono un bacio caldo, delizioso, poi lui si allontanò verso il manico della doccia appeso al muro opposto. Si sedette sullo sgabello, facendo partire il getto dell'acqua sopra la testa. 

Makoto tornò a rilassarsi nel suo bagno, lanciandogli occhiate ogni volta che le andava.

Sprofondò volontariamente nella vasca.

Che serata fantastica.

 

 

Maggio 1997 - Nella stanza da bagno - FINE

 


 

NdA: Solo una nota, sulle abitudini di pulizia dei giapponesi. È una cosa che devo sottolineare meglio in Verso l'alba, ma da quel che ho capito, hanno tutti, nel bagno, una postazione che fa scorrere l'acqua direttamente sul pavimento. Lì, seduti su uno sgabello, si insaponano per bene e si risciacquano. A differenza nostra intendono il bagno non come un momento di pulizia, ma di totale relax. Quindi bisogna entrare nell'acqua della vasca già puliti.

Sul resto della storia... niente, mi piacerebbe sapere che ne pensate :)

Grazie di aver letto!

Elle

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Capitolo 11
*** Giugno 1997 - Accoglienza e sorprese ***


Corrente Naturale - giugno 1997

 Nota bene: c'è una premessa a questa storia. Bisogna leggere il capitolo 'Biancheria intima Sailor' in Plenilunio per capire :) Questa scena segue quel pomeriggio tra ragazze.

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Giugno 1997 - Accoglienza e sorprese

 

Wow, pensò Makoto, con gli occhi fissi sul proprio petto. Il completino intimo Sailor in due pezzi faceva apparire il suo seno ancora più voluminoso! Grazie alle coppe imbottite, le sue tette erano più enormi che mai. Con la vestaglia aperta si rimirò nello specchio del salotto, mettendosi di profilo.

Gen sarebbe rimasto secco alla prima occhiata!

Ridacchiò e, coprendosi, tornò alla preparazione dei suoi cupcake. Quel giorno aveva pensato a una nuova decorazione di stelline con piccoli pianetini, per creare un effetto stellare.

Sentì girare la chiave di casa e saltellò in avanti, entusiasta.

Aprendo la porta, Gen mise piede nel suo appartamento. Scorgendola sorrise d’istinto, poi la sua allegria divenne sospetta. «Ciao. Perché fai quella faccia?»

«Devi vedere una cosa!»

Mentre toglieva le scarpe, lui la squadrò da capo a piedi. «Okay.» Aveva già intuito il tipo di sorpresa.

«Prima togliti la giacca!»

L’ordine lo divertì. «Va bene. Fatto.»

Appena lui ebbe le mani libere, Makoto sciolse il nodo della vestaglia e spalancò i lembi. «Ta-daa!»

Gli occhi di Gen volarono fuori dalle orbite. Anche la mascella gli era caduta a terra. Appena si ricompose, Makoto attese di udire un commento sagace, ma lui fece silenzio, mordendosi le labbra per non ridere.

Lei strinse gli occhi. «Be’?»

«Cosa?»

«Non hai niente da dire?»

Lui soffocò un suono. «Che reazione vuoi che abbia?»

Lei non ci cascò. Si piegò in avanti, unendo le braccia, per schiacciare in avanti il seno. «Non ti piace il mio nuovo completino?»

Gen riusciva a frenare le parole, ma non il movimento degli occhi: aveva le pupille fisse sulla sua scollatura. 

«È il tuo primo costume Sailor» commentò.

Uh? «Be’, sì. Da allora ho fatto un bel power-up.»

«Ah-ha. Già.» 

Oh, insomma! Perché diavolo si stava trattenendo? Non si era mosso dall’ingresso!

Lei tornò dritta e tirò fuori il petto, sollevando un braccio dietro la testa. «Quindi non apprezzi?»

Lui finse pure di pensarci. «Be’…»

Era credibile come un gatto davanti a una scodella di latte. Balzando in avanti lei gli si avvinghiò addosso, le gambe intorno ai suoi fianchi. «Certo che ti piace!»

Gen scoppiò a ridere, afferrandola. «Mi sei saltata addosso tu!»

«Uh?»

Lui la strinse meglio sotto le natiche, per impedirle di cadere. Sfiorando un nastro, si sporse a guardare. «Ah, dietro c’è pure il fiocco?»

Lei iniziò a comprendere. «Non volevi essere tu a fare il primo passo.»

Lui iniziò a camminare verso il letto, annuendo. «Ti ho già dato troppo potere. Penserai che con la giusta biancheria intima puoi farmi fare quello che ti pare.»

Oh, ma lei non lo pensava, lo sapeva. La sua era una certezza assoluta.

Gen le lesse nel pensiero. «Stai chiedendo una punizione.»

Tanta audacia fece partire le sue sopracciglia verso l'attaccatura dei capelli. «Che vuoi fare? Sculacciarmi?»

Lui assaggiò l’idea con troppo gusto. Makoto si divincolò tra le risate, cadendo sul materasso.

Gen le fu addosso. «Dove vai?»

Venne afferrata per il fiocco rosa sul fondoschiena e voltata in un secondo.

Di fronte alle risata vittoriosa di lui, incrociò le mani davanti alla faccia. «Sparkling wiideee…»

Gen le bloccò le mani. «Se mi incenerisci col tuo fulmine, mandi a fuoco anche il tuo regalo.»

Le sfuggì un ansito. Spinse Gen all’indietro, tastandolo sulle tasche dei pantaloni. «Dove, dove?»

Lui rimuginò. «Allora, è lungo, duro…»

Lei non credette alle proprie orecchie. «Che volgare!»

Lui scoppiò a ridere e cercò nella tasca del fondoschiena. «Oppure è piccolino, brillante…»

A brillare furono gli occhi di lei, appena videro la piccola scatola. «Che cos’è?!» Si coprì la bocca con le mani.

«Un ciondolo.» Lui glielo fece vedere. Era una fogliolina, legata a una sottile collana d’argento. «Perché sono passati più di sei mesi da quando stiamo insieme.»

Ohh! Lei si sciolse in una pozza di tenerezza. «Me n’ero scordata!»

«Speravo di sentirtelo dire. Ora il potere è nelle mie mani: sono quello che si è ricordato del mancato mesiversario-»

Makoto lo picchiò su una spalla e si appropriò del regalo. Rimirandolo, fremette di gioia.

Gen la stava accarezzando sullo stomaco, finalmente beandosi del suo corpo. «Vuoi dire che questa roba non è per un’occasione speciale?»

«Certo che no.»

Lui le fece mettere da parte la scatolina. «Sono proprio fortunato.»

Makoto lo accolse tra le braccia, sdraiandosi. «Vediamo di dimostrarti quanto.» Appoggiò la bocca su quella di lui e cancellò ogni pensiero.

  

Giugno 1997 - Accoglienza e sorprese- FINE

  


 

NdA: Questa storiella di 700 parole è nata da una semplice domanda che mi è stata posta nel gruppo FB: 'Vero che farai vedere come reagisce Gen al completino Sailor?' Pensavo di aver già fatto sapere come reagiva lui di fronte a Makoto che si mostra in queste vesti, ma dal nulla mi è venuta in mente questa scena che mi sembrava dire cose nuove, quindi... Ta-daa! Eccola ;P

Vi soddisfa?

Elle

 

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Capitolo 12
*** Giugno 1997 - A ballare fuori ***


Corrente Naturale - giugno

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Giugno 1997 - A ballare fuori

 

Makoto camminava per strada, di sera, spalancando le braccia come per abbracciare il crepuscolo. La vita era bella. 

Durante quella giornata il suo negozio aveva registrato un nuovo record di incassi. Le banconote erano letteralmente straripate dalla cassa, rendendole difficile la chiusura. Trasportava il gruzzoletto che si era guadagnata nella borsa. Il giorno dopo lo avrebbe depositato nello sportello automatico della banca. Le veniva la tentazione di trattenere qualcosa per sé, ma voleva essere precisa: prima avrebbe ripianato i debiti che aveva contratto per aprire la pasticceria, poi avrebbe speso a volontà. In prospettiva, stava risparmiando per assumere un aiuto che la affiancasse al bancone. Incredibilmente non riusciva più a gestire tutto da sola ad appena due mesi dall'apertura del locale. Se le cose continuavano così, avrebbe potuto permettersi solo delle vacanze striminzite in estate. Non andava bene: nelle ultime settimane aveva visto poco Gen e voleva passare con lui più giorni possibile in agosto.

Pensando al suo ragazzo, accelerò il passo. Era possibile che lo trovasse a casa quella sera. Gli aveva dato le chiavi, per comodità.

Appena giunse davanti al portone del condominio suonò il citofono, per darsi la gioia di sentire la voce di lui.

Gen non la deluse. «Sì?»

Il timbro ovattato che uscì dall'interfono le causò un fremito. «Sono io!» esultò.

Lui le aprì con una risata.

Makoto percorse i due piani di scale a passi larghi, arrivando sulla porta con un salto pieno di energia. 

Gen la attendeva con l'uscio aperto. «Ehi! Sei allegra!»

Lei gli gettò le braccia al collo, riempiendogli di baci il viso. «Tanto!»

Mentre si spogliava delle scarpe e della borsa, gli raccontò la propria giornata. «Non ho fatto conti precisi, ma dovrei essere in attivo sul leasing delle attrezzature in cucina. Naturalmente ho da ripianare l'acquisto dei mobili e la ristrutturazione del locale...»

«Così mi fai sentire in colpa.»

Risero, con lui che la seguiva verso l'armadio incastrato nella parete.

«Mi hai già fatto pagare pochissimo e di questo passo coprirò presto tutti i miei debiti. Non riesco a crederci! Vale la pena alzarsi all'alba tutte le mattine.»

Lui la aiutò a togliere l'elastico dai capelli. «Ti sei scelta un lavoro impegnativo, ma non ti lamenti mai.»

«Non si può essere infelici quando si fa qualcosa che si ama.»

Mentre si spogliava, Gen piegò i vestiti recuperò i vestiti che stava mettendo da parte, portandoli nella cesta dei panni sporchi. «Perché non vai a farti una doccia? Ti rilassi un po'. Ti faccio un massaggio se vuoi.»

Era un'offerta così gentile. «Mi piacerebbe, ma devo preparare qualcosa di veloce per cena.»

«Ecco... sapendo che non ti aspettavi molto, ci ho pensato io.»

Lei sgranò gli occhi. Lui guardò imbarazzato il soffitto. «Non è niente di che. Hai troppa fame per preoccuparti del gusto, vero?»

Commossa, lo strinse a sé con entrambe le braccia.

Gen le massaggiò la schiena con fare fin troppo amichevole per lo stato di semi-nudità che la caratterizzava. Doveva avere proprio un aspetto esausto, pensò Makoto. Invece di tentare un approccio, lui la stava accudendo. Gen iniziò un massaggio che sciolse i muscoli contratti delle sue spalle, poi passò alle tempie, disegnando piccoli cerchi.

Trattenendo gli ansiti di godimento, Makoto si sostenne a lui per non riversarsi come un budino sul pavimento. «Sei troppo buono con me. Non riusciamo più a uscire insieme come prima.»

«Non mi serve uscire. Mi basta vederti qui.»

La loro vita era molto cambiata rispetto a qualche mese addietro. Nell'ultimo mese lui aveva deciso di collaborare sempre di più con l'impresa che voleva assorbire la ditta di suo padre e di fatto nelle ultime due settimana aveva lavorato solo un paio di giorni. «Ora tu esci un sacco senza di me. All'università vedrai tante ragazze...»

Il commento gli generò una risata bassa di divertimento. «Sei gelosa?»

«Non di loro. Solo della possibilità che hanno di vederti e di passare del tempo con te nella tua aula, o all'università durante il giorno...» Era l'unico motivo per cui le dispiaceva non essere diventata una studentessa universitaria come Usagi, Ami e Rei. Loro avevano più tempo da trascorrere con i fidanzati e le amiche.

Gen intuì la sua tristezza e la sfiorò con le labbra sullo zigomo. «Quando sono in classe io penso sempre a quando tornerò qui a vederti.»

Era una frase così dolce da risultare strana in bocca a lui. «Ti manco tanto.»

«Hm?»

«Stai dicendo cose tenerissime.»

Lui esibì un sorriso largo. «Quando non le dico me lo rinfacci, e quando le dico mi fai notare che non sembro io.»

«Dài, no! Mi piace tanto sentirti parlare così.» Fece una mezzagiravolta con lui, prendendogli il volto tra le mani, quasi danzando mentre lo baciava. «Mi manchi tanto anche tu. E dopo tutte queste coccole e massaggi, sono pronta a farmi toccare come ti piace di solito.»

«Secondo me preferisci dormire.»

Affatto. «Voglio fare l'amore, anche se magari poi crollerò dal sonno.»

Lui la prese in parola e le passò una mano sotto le ginocchia, sollevandola. «Proviamo.»

     

Makoto si svegliò poco dopo il loro amplesso - o almeno fu la sensazione che ebbe notando che la luminosità della stanza non era cambiata. Gen era seduto a tavola, a mangiare distrattamente mentre leggeva una rivista. La televisione e la radio erano spente, per non disturbarla.

«Mi sono addormentata.»

Lui si sorprese di vederla con gli occhi aperti. «Ehi. Ti è venuta fame?»

Aveva un certo appetito, ma a non farla cadere in un sonno profondo era stata la sensazione di incompiutezza del loro momento. Era stato lui a dedicarsi a lei, estrapolando sensazioni intense dalle sue membra stanche, con carezze mirate. L'ondata dell'orgasmo era stata rigenerante e al contempo contundente per il suo cervello stanco. Non era riuscita a rimanere sveglia abbastanza da ricambiare.

Scostò da sé la trapunta con cui era stata coperta. «Cos'hai preparato?»

«La mia specialità. Katsudon.»

Adorava quel piatto: le ricordavano le cene casalinghe di quando era stata bambina. Mentre lui si alzava a servirle il cibo, lei andò rapidamente in bagno a pulirsi, poi tornò a sedersi a tavola. Per non restare nuda recuperò una vestaglia, stringendola sulla vita.

Assaggiò il primo boccone della cena, gradendo il gusto ricco dell'impanatura che si dissolveva sulla lingua. 

Gen la osservava, appagato. «Ti è bastato un quarto d'ora di sonno per sembrare più fresca.»

Lei si toccò il viso. «Avevo occhiaie così brutte?»

«No. Se non ti avessi conosciuta bene non avrei saputo che eri spossata.»

Meglio. Al negozio non poteva avere l'aspetto di uno zombie. Forse doveva comprare del fondotinta, controllandosi allo specchio durante la giornata.

«Ho avuto un'idea.»

Mentre mangiava assaporando ogni morso, Makoto attese di sentire cosa gli fosse venuto in mente.

«Come premio per i tuoi successi di pasticciera e negoziante, ti porterò fuori, per una cosa che non abbiamo ancora fatto insieme.»

Oh?

«Ballare.» 

Lei si accese in ogni terminazione nervosa. «Sì!» Lo desiderava da tanto e non aveva avuto ancora il coraggio di chiederglielo.

Lui rimuginò. «Magari posso farti conoscere alcuni dei compagni della palestra che frequento...»

Fu difficile trattenere la smorfia. Sarebbe stata un'uscita di gruppo?

Gen scosse la testa. «Solo se li troviamo per caso. Di solito si muovono sempre negli stessi locali.»

Allora sì. «Sono curiosa di conoscerli se ci saranno, ma mi piacerebbe che la serata fosse soprattutto per noi.»

«Certo. Mi metterò in tiro, come immagino non veda l'ora di fare anche tu.»

Al solo pensiero le mancò il fiato. «Ti ho visto vestito bene solo a San Valentino. E per il matrimonio di Usagi e Mamoru!»

Gen non si vergognò del suo essere molto casual. «Sarò più come a San Valentino.»

Al solo pensiero lei si eccitò. Decise in quel momento che dopo il pasto non le sarebbero mancate le energie per concludere ciò che avevano interrotto prima.

Gen la guardava con un luccicchio nelle pupille. «Anche tu metterai qualcosa di speciale?»

Assolutamente sì. Per l'occasione era disposta a farsi un regalo. «Questa volta non mi cucirò da sola il vestito, lo comprerò. Voglio un bell'abitino da sera stretto, magari un po' provocante. E dei tacchi!» Aveva in mente il paio giusto, lo aveva visto in un negozio sulla strada per il lavoro.

Gen stava cercando di non salivare, fingendo indifferenza.

Lei giocò a stringergli il naso. «Ti piacerò tanto!»

Felice, lui scostò il viso per sfuggire alla presa. «Facciamo una sera del fine settimana? Da giovedì a sabato, un giorno che sei poco stanca. Basta che mi fai sapere verso l'ora di pranzo.»

Lei aveva già deciso la data. «Facciamo questo venerdì, il 25!»

La precisione lo stupì. «Perché quel giorno?»

«Ecco... non ridere, ma mi piace considerarlo il nostro vero mesiversario.»

Lui ricordava bene di averle fatto un regalo per quella ricorrenza appena qualche giorno prima. Inoltre aveva in mente alla larga cos'era successo nel dicembre precedente. «Ci siamo messi insieme poco dopo il tuo compleanno. Era passata meno di una settimana.»

Sì. «Era l'11 in realtà. Ma...» Si vergognò un poco a parlarne. «Mi piace pensare che la nostra relazione sia iniziata quando tu... quando ho capito che...»

Lui si ricordò cos'era successo il venticinque dicembre - un Natale al contempo tragico e rivelatorio per entrambi. «Quando hai capito che ti amavo?»

Makoto si intenerì al ricordo. «Quando ho capito che saresti rimasto con me anche se ti avevo mentito su chi ero. Era una cosa che non pensavo sarebbe mai successa. Per questo per me la nostra storia è iniziata idealmente a Natale. È romantico, no?»

Era dolce, pensò Gen. «Vada per venerdì 25.» Avrebbe scelto un posto dove il deejay proponeva spesso dei lenti per le coppie. Makoto lo avrebbe adorato.

Lei proseguì a mangiare giocando a imboccarlo, poi si sbarazzò del piatto prima di aver finito. Spostò il tavolino basso di lato mentre scioglieva il nodo della vestaglia, sedendosi a gambe aperte su di lui. Alla vista del suo corpo da amazzone, coi seni turgidi e un sorriso eccitato, Gen smise di connettere le sinapsi.

«È il mio turno» mormorò Makoto, poi gli coprì la bocca con la propria.

 


 

In previsione del loro appuntamento speciale, Makoto aveva comprato una nuova piccola insegna per il negozio - un cartello da apprendere dietro la porta che permetteva di indicare una chiusura anticipata. L'aveva appeso con tre giorni di anticipo, per far sapere ai nuovi clienti abituali che quel venerdì non avrebbero trovato la pasticceria aperta fino alle sette e mezza di sera. Alcuni si erano dispiaciuti - uscivano dal lavoro tardi, non sarebbero arrivati in tempo per comprare qualcosa - ma quando Makoto aveva raccontato di voler festeggiare una ricorrenza importante col suo ragazzo, erano stati tutti solidali.

«Certo, chiudi prima! Sei giovane, divertiti!»

«Ti comprerò il doppio di questi dango oggi, così ne avrò qualcuno per domani. Scatta una foto del tuo ragazzo e appendila sul muro, vogliamo vederlo!»

Era diventata amica di molti dei suoi avventori. Le piaceva chiacchierare mentre incartava i loro ordini. La gente gradiva: la trovavano simpatica e calorosa e le raccontavano volentieri delle loro vite. Makoto ormai conosceva molti dei loro nomi.

Sarebbe stato sfacciato appendere una foto di Gen in negozio? Glielo avrebbe chiesto. Magari poteva far incorniciare alcune di quelle che si era fatta scattare con lui durante l'inaugurazione.

Rientrando in casa, non ci pensò più. Doveva prepararsi. Finalmente poteva indossare il bellissimo paio di sandali alla schiava che si era regalata. Li tirò fuori dalla scatola, tenendoli in equilibrio sui palmi. Erano neri, con un tacco di dieci centimetri e un gioco di lacci in cuoio che le avvolgeva i piedi, denudandoli e slanciandone la forma.

Senza ancora aver indossato il vestito, si guardò allo specchio, a figura intera, con indosso solo la biancheria intima e i sandali. Girò su se stessa, squadrandosi da dietro, ammirando il modo in cui le calzature mature rendevano più lunghe e sinuose le sue gambe. Per quanto riguardava il sedere... Per fortuna non aveva perso tonicità nonostante il poco esercizio, ma quelle mutandine di cotone non la valorizzavano.

Frugò nel cassetto e trovò degli slip in pizzo neri, adatti alla serata. Erano comodi e al contempo sexy, ma non era riuscita a recuperare il reggiseno coordinato. Andare in giro con la biancheria spaiata in un'occasione come quella era triste. Pensando al vestito che aveva comprato, si illuminò.

Andò a prenderlo e lo infilò da sopra la testa, provando a indossarlo senza reggiseno. Il tessuto aderente le premeva contro la pelle. Accennò un passo di danza e verificò di persona che il suo petto non ballonzolava. Le spalline dell'abito sostenevano il suo davanzale, ma... guardò meglio e rilasciò una smorfia. In rilievo si vedevano i capezzoli! Così era indecente.

Le venne in mente il reggiseno senza spalline che aveva nascosto in fondo al cassetto. Non era mai riuscita ad utilizzarlo, perché da solo non sosteneva nulla, ma con quell'abito si rivelò la soluzione ideale: le sollevava un po' troppo la scollatura, ma almeno così non sembrava uscita da un manga erotico. Più o meno.

Provò a sporgersi in avanti, di fronte allo specchio, unendo le braccia.

Be', la decenza era questione di punti di vista, ma Gen e le altre persone che l'avrebbero vista se ne sarebbero fatti una ragione. Per una volta - una volta nella vita - lei voleva permettersi di apparire sexy senza avere paura di essere volgare. Non lo era, vero? Anche con quei seni troppo grandi e la gonna corta.

Passò al trucco, scegliendo un rosa delicato per le labbra e un mascara nero per le ciglia. Il velo di ombretto verde che applicò sulle palpebre fece risaltare il colore dei suoi occhi.

Optò per non legare i capelli, lasciandoli ricadere morbidamente sulle spalle. Stava dando loro un po' di volume quando Gen suonò al citofono. Gli aprì il portone cliccando sul pulsante, poi si dedicò alla ricerca del paio di orecchini a pendente che aveva acquistato per l'occasione. Dal bagno lo sentì entrare in casa.

«Sei pronta?»

«Sì, ho persino messo le scarpe. Guarda quanto sono alta.»

Gli andò incontro. Sulla porta del bagno si fermò, rimanendo a bocca aperta. Gen stava benissimo! Quando si metteva una bella camicia e dei pantaloni in tessuto non lo batteva nessuno.

Lui era inebetito quanto lei. La squadrò due volte da capo a piedi, senza sapere come commentare il suo aspetto.

Makoto gli passò accanto, diretta al piccolo specchio dell'ingresso, con in mano gli orecchini. «Sto bene?» Gli permise di ammirare il movimento del suo fondoschiena mentre camminava. 

«Uh...»

Col passare dei minuti si era convinta di essere bellissima, ma così lui faceva risorgere i suoi dubbi. «È esagerato? Sembro... un'accompagnatrice?»

«No! E se qualcuno lo pensa, lo ammazzo.»

Lei rabbrividì per la carezza che ricevette lungo la schiena. «Ho letto su una rivista che i vestiti neri e corti ora non sono più considerati volgari se li si porta bene.»

«Tu non sei volgare, sei... Sembri quell'attrice dai capelli rossi, di quel film che ti piace tanto.» Gen rifiutava di ammettere che ricordava bene il titolo della pellicola.

«Pretty Woman? Julia Roberts?»

Lui rammentò troppo tardi a quale mestiere si era dedicata la protagonista. «Sì, ma non nel senso che sembri una escort.»

Makoto scoppiò a ridere. «Se parli del vestito nero che le comprava Edward, a quel punto ormai lei era una signora di classe! Davvero le somiglio?»

Coi capelli mossi e il sorriso capace di illuminare un palazzo, agli occhi di lui Makoto era mille volte più bella. Col fisico messo in risalto da quel vestito era imparagonabile all'attrice di Hollywood, solo perché era infinitamente più provocante. Aveva acquistato un'altra taglia di reggiseno? E i suoi fianchi erano diventati più formosi.

Lui stava ancora cercando di non guardarla troppo, per non farsi venire un infarto al pensiero di portarla fuori abbigliata in quel modo.

Il suo silenzio stava generando altre incertezze in Makoto.

«Sei perfetta. Andiamo?»

Lei terminò di allacciare un orecchino e prese in mano una piccola borsa a tracolla. Vederla avanzare di nuovo permise a Gen di focalizzarsi sui suoi piedi fasciati dai tacchi. Per poco non gli scappò un altro brontolio. 

 «Che c'è?» gli domandò lei. 

«Niente.» Aveva la tentazione di chiederle di restare in casa, non solo per spogliarla pezzo per pezzo, ma soprattutto per non permettere al resto della popolazione maschile di gettarle un'occhiata quella sera. L'avrebbero immaginata nuda a ogni passo. Sulla porta guardò l'espressione speranzosa di lei, che non vedeva l'ora di uscire.

«Peccato avere solo il furgone, non è adatto a portarti in giro stasera. Vuoi che prendiamo un taxi?»

«Ma no, esagerato!»

Uscirono dall'edificio, continuando a scherzare. Nella propria testa Gen decise la linea d'azione. 

A che serviva apparire palestrato ed essere in grado di mettere su un grugno spaventoso, se non a far pentire gli estranei dei loro pensieri impuri? Se qualcuno si fosse fatto sfuggire un fischio o un commento che avesse fatto sentire Makoto a disagio, prima si sarebbe beccato un pugno sul naso, poi si sarebbe pentito di essere nato.

    

Per Makoto entrare in un locale per adulti era un'esperienza nuova. Fino a quel momento era andata solo al ballo della palestra, all'università.

Gen le aveva detto di aver scelto un posto non troppo chiassoso, dove si riusciva a fare un minimo di conversazione. C'erano anche dei tavoli comodi a cui sedersi. 

Mentre si muovevano nella folla, fu piacevole per lei notare che il suo abbigliamento era consono al luogo. C'erano ragazze molto più svestite di lei. Avevano meno roba da mostrare, ma a scoraggiare sguardi troppo lascivi nella sua direzione sarebbe bastato il broncio assassino adottato da Gen, nonché la mano che lui aveva posato in pianta stabile intorno ai suoi fianchi.

Al bancone lei ordinò un drink analcolico. Meglio non iniziare la serata annebbiandosi la testa. Gen, che era più abituato a bere, ordinò una semplice birra.

Mentre aspettavano, lui le indicò un angolo nascosto della sala. «Di là c'è meno gente. Sono appena le nove, sicuramente c'è posto.»

Makoto si sentì sciocca. «A causa dei miei orari siamo venuti troppo presto, vero? La serata si animerà più tardi.»

«Meglio così. Quando questo posto si riempie non si riesce nemmeno a respirare, si balla tutti attaccati.»

Oh. «Lo frequentavi di notte?»

Lui non cercò di negare. «All'inizio. Poi io e i miei amici abbiamo capito che si riusciva a parlare meglio se si veniva prima delle dieci. Ci si poteva stravaccare sui divani e stare comodi.»

Makoto interpretò la frase. «Riuscivate a rimorchiare più facilmente.»

Gen non la prese come una frecciata, ma scosse la testa. «Non ti permetterò di immaginarmi con altre donne, Mako.»

La sua era stata solo curiosità.

Sciolto, lui avvicinò la bocca alla sua, beandosi del suo profumo. «L'esperienza guadagnata mi è servita a rimorchiare la ragazza più bella che abbia mai incontrato. Se adesso stessi con un'altra donna, la mollerei subito dopo averti vista.»

Lei lasciò che le sue parole la riempissero di piacere, permettendogli di scivolare con le labbra lungo la linea della sua mascella. Quel tocco intimo, in pubblico, la faceva sentire come se fossero una coppia rodata, ancora più in sintonia. 

Ricevettero i loro drink e andarono alla ricerca di un tavolo. Procedendo verso l'angolo che Gen aveva in mente, vennero fermati da una voce maschile tuonante.

«Gen!»

«Yoshi!»

Gen e il ragazzo corpulento, con un fisico da boxeador massiccio, si scambiarono una gomitata cameratesca. 

«Da quanto non ti vedo? Pensavo che-» Il tipo la notò al fianco di Gen e si interruppe. «Oh, wow, guarda qui. Non sei venuto da solo.»

Gen non si fece problemi a massaggiarle la vita con una mano. «Lei è la mia ragazza, Makoto Kino.»

Makoto chinò la testa. «Piacere.»

«Piacere mio! Lo hai accalappiato, eh?»

Lei non capì cosa intendeva, ma non ebbe il tempo di chiedergli nulla: il ragazzo li stava già sorpassando.

«Corro in bagno. Gen, gli altri sono di là, al solito tavolo. Torno subito!»

Gen non smetteva di sorridere. «È uno dei miei compagni di palestra. Non ci becchiamo più spesso come una volta, ma se vuoi possiamo spostarci da un'altra parte.»

«No, andiamo a salutare i tuoi amici.»

Al tavolo che Gen aveva frequentato c'erano quattro ragazzi. Quando intravidero Gen si alzarono tutti insieme, scambiandosi saluti con pugni chiusi e pacche energiche sulla spalla.

«Allora sei vivo!»

«Hai ripreso ad uscire! Ti sei forse mollato con-?» Un'occhiata di Gen bastò a far notare la presenza di Makoto.

Lei era rimasta in disparte ma avanzò di un passo, tenendo le spalle serrate, molto più di quanto avesse inteso. Si sentiva così impacciata. «Buonasera. Io sono Makoto Kino.»

Uno degli amici di Gen apprezzò parecchio la sua vista. «Ah, be'! Ah, be'! Ora capisco perché Gen non esce più con noi!»

Un altro dei ragazzi le fece posto sul divano. «Non stare in piedi, mettiti comoda!»

Gen intercettò il movimento, ponendosi tra lei e il suo amico. «Fatti in là. Credi davvero che te la metterei vicino?»

Ci fu una risata generale.

«Sei geloso! Ma ti capisco!»

A Makoto sembrò una compagnia inoffensiva. Si stavano comportando tutti in maniera spavalda, ma nessuno di loro la stava fissando più di tanto sotto la linea del collo.

Un altro dei ragazzi - il più basso, con uno sguardo da cagnolone inoffensivo - si sporse in avanti sul divanetto in pelle. «Tu sei quella con cui Gen sta insieme da dicembre?»

«Sì» confermò lei.

«Ce lo hai portato via!»

Gen non rimase più in silenzio. «Non uscivo con voi già da un po'.»

«Perché eri sempre triste per via dei tuoi problemi, poi lavoravi troppo. Speravamo che quando ti fossi ripreso saresti tornato a conquistare ragazze insieme a noi, invece niente! Hai incontrato lei e zac! Hai perso la testa, sei capitolato, sei diventato un desaparecido per gli amici!»

Makoto rilasciò una grassa risata.

«Riusciamo a parlargli solo in palestra! E anche lì ormai viene poco.»

«Hai perso tono» lo redarguì uno dei suoi compari, tastandogli un braccio.

«Ho cambiato orari. Ora studio e lavoro meno di prima. Penso di riuscire a inserire un'altra sessione alla settimana.»

Makoto era troppo curiosa per rimanere zitta. «Si univa a voi per conquistare ragazze? Quando venivate qui?»

«Oh, sì! Ma adesso che bisogno ha, giusto? Guardati un po', sei uno schianto!»

Il complimento la fece arrossire. Era strano sentirsi riempire di lodi da una compagnia di ragazzi. «Grazie.»

«Macché grazie! Mollalo e mettiti con me!»

Gen spinse di lato la testa al suo amico, stando attento a fargli un po' male. «Non potrebbe mai stare con un maleducato come te. Non le hai nemmeno detto il tuo nome. Lui è Taro Kanata. Qquest'altro è Shiro Kurumi...»

Il terzo ragazzo si presentò da solo. «Io sono Hideaki Sato e lui è Isamu Kazushita. Adesso dovrebbe tornare un altro nostro amico, Yoshi Harada.»

«Lo abbiamo incontrato venendo qui» li informò Gen. «Questo è solo un saluto, non posso rimanere a questo tavolo con voi che sbavate dietro alla mia ragazza. Su, fate pena, andate a parlare con qualcuna invece di stare qui tra voi uomini!»

«Che palle, non possiamo nemmeno farci una bevuta?»

«Non sei venuto qui di venerdì sera per l'alcol. Se non mettete qualche donna a questo tavolo, la mia ragazza rimane tutta sola mentre vi parlo.»

«Ah, è una sfida?» Isamu Kazushita si alzò, sistemando la cintura dei pantaloni allentata. «Adesso vado e torno vincitore con una femmina!»

«Vai!» fu il coro d'incoraggiamento generale. 

Con più posto sul divano circolare, gli altri si spostarono per offrire loro più spazio.

Makoto disse la sua. «Gen pensa che mi annoi a parlare con voi, ma non è vero.»

«No, no, vuole che non ti guardiamo troppo!» Una risata corale si librò in aria mentre Gen scuoteva la testa.

Shiro-san batté le mani sulla ginocchia. «Al posto di Gen non starei mica qui. Adesso che ci penso è per questo che non usciva più di casa!»

I loro discorsi facevano continuamente riferimento al sesso, ma in una maniera cameretesca che Makoto supponeva fosse tutta maschile. «Gen mi ha aiutato a mettere in piedi il mio negozio. Ci siamo conosciuti mentre me lo ristrutturava.»

«Hai capito! Perché non ho fatto il muratore!?»

Uno dei ragazzi, Hideaki-san, la smise con le battute. «Hai un negozio tuo? Cosa fai?»

«È una pasticceria. Sono una cuoca.»

Taro-san si portò una mano al petto, colpito mortalmente. «Cucina persino, come la mia mamma! Makoto-san, sposami!»

Gen allungò una gamba sotto il tavolo, calciandolo scherzosamente.

Makoto si rannicchiò contro il braccio che lui le aveva messo sulle spalle, deliziata: era stranissimo e piacevole vederlo in mezzo ai suoi amici.

Hideaki-san era interessato a fare conversazione. «Sembri una sportiva.»

«Sì. Pratico il karate e qualche altra arte marziale.»

I ragazzi la presero d'improvviso sul serio. «Uhò! Che cintura sei?»

«Cintura nera» rispose Gen con fierezza.

«Grande, davvero?!»

«Non ho mai incontrato una donna cintura nera!»

«Sarebbe in grado di farti arrancare» sottolineò Gen.

«Ora le stai sparando!»

«Per niente.»

Al tavolo tornò Yoshi-san. «Avete conosciuto la ragazza di Gen! Sono rimasto indietro!» Spinse di lato uno dei suoi compari, per sedersi con poca grazia.

Gen aveva una domanda per lui. «Tu non ti stavi vedendo con una?»

«Sì, cavolo, ma è finita. Pensi che sarei qui con questi se avessi una donna con cui uscire?»

«Ti sei fatto mollare?»

«Nahh, la storia non stava andando da nessuna parte. Eravamo troppo diversi. A lei piacevano le mostre di quadri.»

Un brontolio generale gli fu solidale.

Yoshi-san inquadrò Makoto. «Per certe cose voi donne siete più cerebrali.»

Lei non era d'accordo. «Io non ne so niente di arte, a meno che non parliamo di cinema o libri.»

«Vedi? Tu però leggi!»

«Anche Gen legge.»

«Voi donne di più!»

Forse perché lei non faceva che divorare romanzi rosa, ma... «Devi solo trovare il genere giusto. Prova con gli horror. O i polizieschi.»

L'amico di Gen scosse la testa. «Io preferisco guardare la tv. Voglio riposare la testa dopo il lavoro.»

«Anche quella può essere arte. Hai fatto bene a non stare con una ragazza che ti faceva sentire in colpa per quello che ti piace.» Si ricordò di avere un drink e lo sorseggiò. «Ci sono tante donne che guarderebbero la tv con te. Per esempio ho quest'amica che quando sta davanti al televisore si rilassa e non pensa ad altro. Guarda di tutto.»

«È single?»

«Hm, è sposata da poco.»

«Vedi la iella?!»

Makoto si unì alla risata del gruppo.

La conversazione continuò su quel tono per qualche altro minuto, poi nel locale alzarono il volume della musica. Qualche coppia iniziò a ballare, facendo fremere Makoto. Nella penombra del posto i gioielli delle ragazze catturavano la luce mentre le avventrici si dimenavano assieme ai loro compagni, alcune persino col drink ancora in mano.

Gen notò la direzione del suo sguardo. «Andiamo?»

Lei non se lo fece ripetere. «Sì. A dopo, ragazzi!»

Gli amici di Gen, rimasti soli al tavolo, ebbero la possibilità di osservarla di spalle mentre andava via. Non temendo più la decapitazione, parlarono liberamente tra loro.

«Fiuuu! Una sventola!»

«Sembra a posto.»

«Che bocce!»

«Che culo! In tutti i sensi, anche per Gen!»

Yoshi Harada rise mentre beveva la propria birra. «Lui si meritava un po' di fortuna dopo quello che ha passato.»

«La ruota giro, amico! Un anno si piange, l'altro si ride!»

L'alcol li aveva resi filosofici. «Vero! Brindiamo a... a trovarci una ragazza come Makoto-san!»

Gli altri non si unirono al brindisi, scoppiando a ridere.

«Sarò più fortunato se chiedo un unicorno agli dei!»

«Voi non ci credete abbastanza! Per questo vi accontentate della prima che passa! Ci vuole sicurezza! È questo che piace alle donne!»

«Io ho ricevuto tre due di picche in un quarto d'ora. Va' in pista e dimostraci che basta crederci! Su, alzati e fai l'uomo!»

Yoshi Harada non se lo fece ripetere, saltando in piedi. «O donna, o morte!» Si gettò nella mischia.

 

Makoto si muoveva al ritmo della musica concitata, felicissima dal fatto che Gen fosse capace di starle dietro. «Sai ballare anche la dance!»

«Te l'avevo detto!»

«Pensavo che al massimo facessi così.» Si mosse con fare robotico, spostando il peso da un piede all'altro, dondolando come una marionetta. Imitava la maggior parte degli uomini che danzavano nel locale.

Gen era fiero di essere diverso. «Per tirare di boxe bisogna avere un buon gioco di gambe.» Lui la catturò per la vita, volteggiando. «Sai che gli uomini capaci di ballare sono anche bravi a letto? Dovresti sapere che è vero.»

Makoto scoppiò a ridere contro il suo orecchio. Lui si stava facendo sfuggire un sacco di frasi fatte quella sera, come se trovarsi in quel posto lo avesse fatto tornare al passato. Conoscerlo in quella veste era strano e al contempo elettrizzante: si sentiva come se lui stesse cercando di conquistarla daccapo, mettendo in atto tutte le mosse a cui era abituato per conquistare una donna.

Si separarono un poco quando la canzone terminò, preparandosi al nuovo brano.

La voce calda del deejay dietro la consolle si fece sentire per la prima volta. «Ora qualche minuto dedicato alle coppie. Signori, cercate una dama speciale. Le signore smaniano per queste due canzoni.»

Appena udì le prime note del nuovo disco, Makoto si portò una mano al petto. «Ohhh!»

Era il brano del film Labyrinth! Quello romanticissimo che faceva da sfondo al ballo magico di Sarah col re degli gnomi!

Gen non riconobbe la canzone, ma Makoto gli si attaccò al collo. «Per favore, la balliamo?»

«Sì, sì...» Divertito, lui dondolò piano stringendola a sé, aguzzando le orecchie per tentare di capire perché quella musica fosse tanto speciale.

 

There's such a sad love

Deep in your eyes A kind of pale jewel

Open and closed Within your eyes

I'll place the sky

Within your eyes

 

Makoto aveva mormorato a memoria ogni parola, sorprendendo Gen.

«Dove l'hai sentita?»

«Viene da un film, te lo farò vedere. C'è questa ragazza con un vestito bianco meraviglioso, da favola. Danza con un re malvagio che la desidera tanto ed è una cosa così romantica...» Fu lei a prendere in mano le redini del loro ballo, imponendo a lui di spostarsi lungo una curva aggraziata, come se scivolassero sul pavimento.

As the pain sweeps through,

Makes no sense for you

Every thrill is gone

Wasn't too much fun at all,

But I'll be there for you u-u

As the world falls dooown

 

Gen capì presto la base del movimento, adattandosi alla musica e improvvisando nel momento in cui ripartì una strofa simile alla prima. Esaltata, Makoto allungò un braccio di lato posando l'altro sulla spalla di lui, come se stessero danzando un valzer. I loro piedi si muovevano senza esitazioni, conoscevano il percorso. Nell'istante in cui la voce del cantante si addolcì, Gen la guidò in un volteggio liscio, elegante, che la fece diventare la principessa di un piccolo sogno.

Between the stars

I'll leave my love

Between the stars

 

Riunendosi a lui Makoto gli prese la testa tra le mani, cercando un bacio sentito. Stretta al suo corpo, proseguì la danza ad occhi chiusi.

Era una serata magica - una serata perfetta.

  


  

Prima di tornare in macchina fecero una passeggiata nel quartiere, godendosi la brezza notturna dell'inizio dell'estate.

Makoto si era alzata alle quattro e mezza di mattina quel giorno, ma non era stanca. Camminava tenendosi per mano con Gen alla ricerca di qualcosa che incorniciasse adeguatamente le sue sensazioni. Lo trovò nelle vicinanze di un minuscolo laghetto artificiale, in un piccolo parco. Posò la testa sulla spalla di lui, ammirando lo specchio d'acqua.

«I tuoi amici mi sono piaciuti.»

«Tu sei piaciuta un po' troppo a loro.»

Lei si lasciò sfuggire una risatina. «È stato bello capire com'eri prima che ti incontrassi.»

«Ero... diverso. Davo troppe cose per scontate.»

Come la sua presenza di suo padre e il fatto che lo avrebbe avuto accanto per decenni a venire.

Makoto strinse un po' più forte il tessuto della sua camicia. «Non era colpa tua.»

Gen premette le labbra contro la sua fronte.

Lei chiuse gli occhi, per godersi il contatto. Riuscì a reprimere uno sbadiglio. «Usciremo altre volte come stasera?»

«Hm-mh. Tante.»

Tante, infinite volte.

Il mesiversario si sarebbe trasformato in anniversario, almeno uno. Poi... Ma per il momento erano insieme e lei straripava di una felicità che non voleva contenere. «Ti amo come il primo giorno» gli disse.

Lui la trovò una dichiarazione scioccamente tenera. «Perché questo discorso?»

«Perché è vero.» E non voleva perdere l'occasione di dirglielo, finché poteva. 

Gen lo accettò. «Sai che potrai dirmelo anche domani?»

«Sì.»

«E dopodomani.»

«Hai ragione.»

Lui la guardò negli occhi, senza respirare. «Ricorderò questo - adesso - per sempre, Mako. Ogni momento con te è così.»

Nessuna promessa avrebbe potuto darle più pace. Lo baciò e lo strinse, con un pizzico di disperazione e tutta la pienezza della propria anima.

Gen la accarezzava i capelli. «Su, ora andiamo a casa. Stai morendo di sonno.»

Makoto fece di sì con la testa. Allacciata al suo corpo si avviò insieme a lui verso il furgone.

  

Giugno 1997 - A ballare fuori - FINE

  


 

NdA: Era da una vita che volevo scrivere questo episodio, ma nella mia testa non aveva abbastanza corpo e veniva fuori molto più superficiale di come in effetti l'ho trasposto ora. Sono soddisfatta <3 (col cuore perché ci vuole per i sentimenti che mi hanno suscitato questi due).

Questo è il video della canzone che Makoto e Gen hanno ballato in quel locale. Si tratta di 'As the world falls down' di David Bowie, colonna sonora del film del 1986, Labyrinth.

Bramo di sentire i vostri commenti su questo capitolo, se è riuscito ad emozionarvi o a dirvi qualcosa.

 

Elle

 

Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 13
*** Luglio 1997 - Incontro con l'ex ***


Corrente naturale - luglio 1997

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

Luglio 1997 - Incontro con l'ex

 

Al negozio era una di quelle giornate che Makoto avrebbe rivissuto dieci volte. Stava vendendo tantissimi dolci. La mattina studenti e mamme casalinghe avevano fatto incetta dei mochi e manju appena sfornati. Ormai era pomeriggio e da venti minuti era entrato un gruppetto di studentesse universitarie. Una di loro era una cliente abituale, che aveva pensato di far conoscere la pasticceria alle sue amiche. Per Makoto non c'era nulla di più soddisfacente del passaparola.

Le ragazze chiacchieravano allegramente al loro tavolo, gustandosi le ultime briciole di pasticcini e una fetta di torta. Era un momento di pausa, ideale per dare una pulita al bancone.

«Shizuka, non girarti.»

«Perché?»

«Ho appena visto il tuo uomo ideale. È proprio come piace a te.»

La ragazza si divertì a sufficienza da stare al gioco. «Cioè?»

«Grosso, sensuale... con un che di animalesco.»

«A questo punto voglio vederlo.»

Anche Makoto alzò gli occhi sulla strada, per curiosità, guardando oltre la vetrina del negozio. Quello che vide le impose di soffocare una risata. Parlavano di qualcuno che lei conosceva molto bene.

«Ma quello è Gen!»

Sentire il suo nome nella bocca di un'estranea le tolse il fiato.

La ragazza stava radunando le amiche intorno a sé, accovacciandosi sul tavolino. «Presto, giratevi!»

«Non penso che verrà qui, sta smanettando nel retro del furgone. Chi sarebbe questo Gen?»

«Un mio ex.»

«Uh, racconta!»

«Siamo stati insieme per un po' in seconda superiore. Non ha funzionato.»

«Te lo sei fatta scappare? Non posso credere che sia stata tu a lasciarlo: è proprio il tuo tipo.»

«Invece sbagli, l'ho mollato io. Era un po' troppo serio.»

«Da quando questo ti ha mai fermata?»

«Da quando mi dà fastidio ricevere ordini. Anche se in certe situazioni, se capite cosa intendo, il suo essere autoritario mi piaceva tantissimo

Il cumulo di risatine depositò del gelo nello stomaco di Makoto.

«Forse dovresti riprovarci, Shizuka-chan. Guarda, sta venendo da questa parte.»

Makoto non seppe cosa le prese, ma scappò in cucina. Rimase nell'altra stanza, con un orecchio teso, chiedendosi cosa aspettava di sentire. La porta del negozio si aprì, agitando il campanello sulla cima. Per un momento lei maledì la musica di sottofondo che aveva diffuso nel locale: non avrebbe sentito quasi nulla se avessero parlato piano. Forse doveva andare di là e...

Fece un saltello all'indietro quando Gen spinse l'anta della cucina, entrando.

Lui sorrideva, ignaro. «Ehi, sei qui.»

«Ehi» deglutì lei. Si ritrovò con la vita circondata dalle sue mani.

«Sono passato a trovarti.»

Gli sorrise, ma si ritrasse inconsciamente quando lui si chinò per un bacio.

Gen se ne accorse. «Che c'è?»

«Io... Penso che di là ci sia una ragazza che conosci. Sapeva chi eri prima che entrassi nel locale.»

«Ah, sì?» Gen girò la testa, poi tornò a concentrarsi su di lei. «Non l'ho vista, magari dopo la saluto. Come va oggi?»

«Io... bene. È una buona giornata. Ho venduto quasi tutto quello che avevo preparato per la colazione.»

Lui ne era felice. «Te l'avevo detto. Andrà sempre meglio.»

«Già...»

La sua poca voglia di comunicare non mancò di confonderlo. «Quella tipa ha detto qualcosa di strano?»

«No. Solo che un tempo stavate insieme.» 

«Ah.» Gen la lasciò andare, comprendendo la fonte del suo fastidio. Senza dire altro, tornò nella parte anteriore del negozio, oltrepassando l'anta bassa che chiudeva l'area del bancone. Makoto non avrebbe potuto essere più a disagio.

«Shizuka?»

«Gen!» La ragazza finse sorpresa. «Quanto tempo che non ci vediamo.»

«Già. Come va?»

«Bene, bene... Hm, sono qui con le mie amiche, abbiamo scoperto questo posto. Ma vedo che lo conosci anche tu.»

«Diciamo che sono di casa.»

«Ah, okay... Senti, cosa fai adesso? Lavori?»

«Ogni tanto, mentre frequento Architettura alla Todai.»

«Todai? Complimenti!»

«Grazie.»

Makoto non poté fare a meno di notare che lui non ricambiò i convenevoli al punto da chiedere alla tipa cosa stesse facendo lei al momento. 

«Torno di là. È stato un piacere rivederti, Shizuka.»

«Anche per me. Hmm, senti...»

La sedia andò a stridere sul pavimento. La ragazza si era alzata in piedi.

«Se ti va di risentirci, io ho sempre lo stesso numero.»

«Temo di averlo perso.» Nella voce di Gen vi era una nota di palese divertimento. «Ne ho persi parecchi da quando sto con la mia ragazza. Una cosa seria.»

«Ah... be', ci ho provato.»

«Lo so, sei la solita. Ciao!»

«Ciao!»

Gen tornò nel retro del negozio, fiero dello scambio. Makoto invece era in imbarazzo e non sapeva per cosa. «Cosa volevi dimostrare?» bisbigliò.

«Che non avevi niente di cui preoccuparti.»

«Perché non le hai detto che ero io la tua ragazza?»

«Pensavo di farlo, poi mi sono ricordato che non era il caso di farti perdere clienti. Ma se vuoi che mi corregga, torno di là.»

«No, no.» Per istinto femminile seppe che il gruppetto di amiche smaniava per andare via. Infatti, quando tornò alla cassa, si stavano tutte alzando, dirette a pagare. Grazie a Gen che non aveva detto nulla della loro relazione, poté guardare in viso l'ex di lui senza sentirsi troppo a disagio. Si trattava di una tipa bassa molto carina, con capelli vaporosi e trucco appariscente. Su altre ragazze il rossetto rosa shocking sarebbe apparso fuori luogo e volgare, mentre su di lei era solo... vivace e femminile. Provò un poco di invidia per la sua bellezza da fatina.

«I dolci erano tutti buonissimi» dichiarò l'amica dell'estranea - la cliente abituale. «Tornerò senz'altro.»

Mentre ringraziava, Makoto notò che la signorina Shizuka non si univa al complimento. Era stata respinta e, sapendo che Gen era 'di casa', probabilmente non si sarebbe più fatta rivedere nei paraggi.

Era un sollievo.

L'intero gruppo uscì nel giro di pochi secondi, salutando.

Quando furono soli nel negozio, Gen uscì dal retro. «Soddisfatta?»

«Per cosa?»

«Hai guardato in faccia com'era una delle ragazze con cui sono stato. Sei sempre stata curiosa.»

Makoto non sapeva come commentare. 

«Non ti somiglia» continuò lui. «Non somigli a nessuna delle mie ex.»

Era questo che gli aveva fatto pensare? «Non mi interessava essere diversa da loro. O uguale.» Semplicemente, aveva dato un volto al passato di lui - anche se il passato di Gen aveva decine di volti.

«Voi donne fate sempre il confronto.»

Ecco, lui aveva appena detto la cosa sbagliata. «Forse le tue precedenti ragazze erano gelose e si paragonavano a quelle venute prima. Io no.»

«Non ne hai motivo infatti. Sai quella cosa che le ho detto, dei numeri di telefono? Prima di incontrarti, non li avevo mai eliminati.»

Lei ne fu assurdamente felice, ma dopo un momento si indignò. «Vuoi dire che prima pensavi di tradire la ragazza con cui stavi con quelle precedenti?»

«No.» Lui scoppiò a ridere. «Ma non mi era venuto in mente di mettere mano alla rubrica telefonica. Non avevo tempo da perdere. Invece, quando mi sono messo con te, mi è sembrato importante dare un taglio con ciò che era stato.»

Okay, così la storia le piaceva molto di più. 

Si sporse a dargli un bacio. «Grazie per essere venuto a trovarmi.»

«Posso chiederti qualche avanzo? È da quando ho finito il pranzo che ho voglia di qualcosa di dolce.»

«Ah, sei qui per questo.»

«No, per questo.» Lui le prese la nuca a coppa e la impegnò in un lungo e passionale bocca a bocca. «Ma se ci aggiungi il dessert, mi fai felice.»

Per farlo felice, avrebbe fatto qualunque cosa. Lo portò davanti alla vetrina colma di leccornie. «Scegli quello che vuoi.»

 


 

Di sera Makoto era arrivata alla consapevolezza di essere una bugiarda. Sì che si paragonava alla ex di Gen. Il fatto che fossero così diverse avrebbe dovuto renderla felice, ma sin dal primo pomeriggio le era rimasto in testa un particolare dell'incontro con il gruppetto di ragazze.

Al momento del pagamento, nessuna di loro - compresa la fatina Shizuka - aveva pensato che lei potesse essere la fidanzata di Gen. L'avevano adocchiata e avevano visto... la cuoca della pasticceria. La commessa al bancone. Una tipa anonima con la coda a cavallo e una cuffietta in testa che non avrebbe mai potuto catturare l'attenzione di un ragazzo come lui.

Per la frustrazione infilò la tuta e si dedicò a una routine di respirazione combinata ad arti marziali. Da quando aveva aperto il negozio aveva poco tempo per allenarsi al parco ed era diventata brava a farsi bastare uno spazio di due metri per due per i suoi esercizi. Tirando calci controllati in aria perse la cognizione del tempo e trasalì quando il citofono sulla parete squillò.

Gen era già arrivato.

Gli aprì e iniziò a far scorrere l'acqua nella vasca. Tornò indietro per girare la serratura della porta d'ingresso, in modo da lasciarla aperta, poi andò a rifugiarsi in bagno. Mentre si spogliava, si guardò allo specchio. Sulla fronte aveva una leggera patina di sudore. Il suo viso privo di trucco era arrossato e sulla testa qualche capello si ergeva dritto in aria, come attraversato da una corrente elettrica.

Un maschiaccio, inutile negarlo.

Si infilò nella vasca. Sotto il getto rigenerante della doccia tirò la tendina, per evitare di creare un lago sul pavimento.

Quando riaprì gli occhi, un minuto dopo, trovò Gen che la guardava sereno da uno spiraglio, appoggiato con un fianco sul lavandino. «Lavorato tanto?»

Lei annuì, allungando le membra sotto il massaggio dell'acqua.

«Avrei dovuto portarti qualcosa di pronto da mangiare invece di farti cucinare.»

Ma ormai la cena era il pasto più importante della sua giornata. «Mi rilassa trafficare con le pentole.»

Lui guardò in direzione della cucina. «Tra quanto sarà pronto?»

Le era venuta voglia di qualcosa di elaborato. «Un'altra mezz'ora.»

«Perché non riempi la vasca con l'acqua calda? Riposati con un bel bagno.»

«Ormai sto sporcando tutto lavandomi qui.»

Aprendo la tenda, lui interruppe la sua doccia senza chiedere. Prima che lei potesse protestare la trascinò fuori con un braccio, bagnandosi tutti i vestiti.

«Dài!» La risata le era uscita dal cuore.

Gen recuperò un asciugamano e le tamponò i capelli bagnati, prendendone un altro per avvolgerglielo intorno al corpo. «Sei pulita. Ora riempiamo la vasca.»

«Che prepotente.»

«So di cosa hai bisogno.»

«Non avevo ancora usato lo shampoo.» Ma la sua era una protesta priva di mordente.

Gen girò le manopole sulla parete per far uscire l'acqua dal rubinetto inferiore. «Laverai la testa dopo.» Regolò la temperatura.

Makoto andò a sedersi sul water chiuso, osservando i propri piedi nudi. Almeno quelli erano carini, nonostante la sua altezza.

Lui notò il suo silenzio e si sedette sullo sgabello lasciato in giro per la stanza, di fronte a lei. Non parlò: la contemplò, godendosi la sua compagnia. Infine le prese un piede, schiacciando col pollice l'interno della pianta. Makoto emise un gemito.

«Male?»

«È.. un dolore buono. Eppure uso scarpe basse.»

«Ma stai in piedi tutto il giorno.»

Gli lasciò continuare il massaggio, concentrandosi sui muscoli che si scioglievano.

«Quando riuscirai a prendere un'aiutante?»

«Non lo so. Devo ancora fare i conti...»

«Dovresti potertelo permettere. Un negozio con un afflusso di clienti così alto non può essere gestito da una sola persona.»

«Sono solo agli inizi.»

«Ma lavori tredici ore al giorno.»

Guidata com'era dall'entusiasmo, non le sembrava tanto. Tuttavia, col passare delle settimane, il peso della stanchezza iniziava a farsi sentire. La sera non si era mai addormentata tanto in fretta come in quei giorni. «Si vede tanto che sono stanca? In faccia.»

«Hai le palpebre pesanti.»

Fantastico. E non era neppure truccata o carina come una studentessa universtaria che scorrazzava libera da mattina a sera.

Sobbalzò nel sentire le labbra di Gen sulla pianta del piede.

«Che fai?»

«Mi dedico a un fetish. Potrei farlo anche mentre sei nella vasca da bagno, col piede fuori tutto da agguantare.»

La risata le emerse dal petto. «C'è una parte del corpo femminile che non ti piaccia?»

«Del tuo corpo? No.»

Un'ondata di piacere si diffuse lungo tutte le sue membra. Allungò la gamba e agitò le dita del piede contro la sua maglietta. «È mezza fradicia. Toglila.»

Lui obbedì senza aspettare.

Ecco, pensò Makoto. Le altre ragazze potevano essere ninfe aggraziate e delicate principesse, ma creature simili non erano adatte a contenere la prestanza del fisico possente di lui. Liberandosi dell'asciugamano lo raggiunse e gli salì in braccio, animata non dal desiderio, ma dalla semplice voglia di stringerlo. Gen non si lamentò per come gli stava bagnando i pantaloni: recuperò l'asciugamano piccolo che le era quasi caduto dalle spalle e le massaggiò con cura le spalle ancora umide, poi la base della nuca.

«Cos'hai?»

«Non lo so» rispose lei.

Lui decise che non aveva senso insistere. Ricambiò l'abbraccio e poco dopo cominciò a far scorrere le labbra lungo il suo collo, soffiando piano. Al primo brivido, posò la bocca sulla sua pelle, ispirando. «Profumi anche senza bagnoschiuma.»

Lei non sarebbe mai stata paga di quei complimenti. «Che profumo ho?»

«Odori di buono. Di te.» Salì con le mani verso i suoi seni. Accarezzò i due capezzoli con le dita, nello stesso momento. Il modo in cui lei si tese accelerò l'intensità delle sue attenzioni.

«Se fossi cieco, ti starei addosso solo per come profumi.» Scese con la mano tra le sue gambe, cercando tra i petali della sua carne le prime gocce fluide di piacere. Makoto tremò, aggrappandosi alla sua schiena. Le giunse un sussurro all'orecchio.

«Ti rilasserebbe venire? Ancora e ancora...»

Quasi incapace di annuire, lei serrò le palpebre e si abbandonò completamente alle sue carezze.

     

Fece il suo bagno in uno stato di catalessi, adagiata nella vasca piena di acqua calda come una bambina priva di forze. Per quanto era alta - o per quanto era piccola la vasca - i suoi piedi sporsero dal bordo, dando a Gen qualcosa con cui giocare. Una decina di minuti in immersione le ridiedero energia. Quando riaprì gli occhi, dopo un breve sonno, trovò Gen con la guancia adagiata contro la sua caviglia, che guardava un punto imprecisato del muro di piastrelle. 

«Ti ho lasciato solo.»

Gli causò un sorriso. «Non mi sono sentito solo.»

Finito il bagno, mangiarono semi-nudi - lei in slip e maglietta e lui solo coi pantaloni. Tra loro l'atmosfera era ancora carica e a pasto finito lei non perse tempo: girò attorno al tavolo e gli dimostrò fisicamente la sua gratitudine.

Mezz'ora dopo erano sdraiati sul letto, con lei rivolta verso la tv, i piedi dal lato della testa di lui. Gen apprezzava mentre facevano zapping tra i canali, senza prestare troppa attenzione allo schermo acceso. Una mano di lui era chiusa sulla rotondità di una sua natica e di tanto in tanto, col mignolo, accarezzava il bordo che separava i due globi, causandole un brivido.

Avevano terminato da dieci minuti di rotolarsi tra le coperte, ma di quel passo avrebbero ricominciato molto presto.

Makoto rabbrividì in seguito ad un'altra leggerissima stimolazione, smettendo di fingere di guardare la televisione. Col dito, dopo essere affondato, Gen era salito invece di scendere. Non era la prima volta quel giorno, o in generale: non si faceva problemi a toccarla in quel punto, specie quando gli capitava di afferrarla per il sedere, per qualunque motivo. Non le era sembrato che ci fosse dietro un'intenzione precisa, ma il fatto che lui non avesse mai spostato - o non spostasse - la mano da quell'apertura era significativo.

«Hai mai...?» La domanda le era uscita di bocca prima di sapere come formularla.

Il silenzio di lui era attento e quando lei si girò, lo trovò che la stava guardando, in attesa di sentirla terminare.

Ricalibrò la frase. «Hai mai pensato di farlo in un altro modo?»

«In un altro modo?»

Arrossì, perché lui non la stava prendendo in giro: non l'aveva proprio capita. Si era espressa come una sciocca. «Hai mai desiderato entrare... dall'altro lato, in una ragazza? Vicino a dove stai toccando» chiarì.

Gen sollevò le sopracciglia, immobilizzando la mano.

Makoto deglutì l'imbarazzo. «Come ipotesi.»

«Hmm...» Lui non sapeva come rispondere. Per lei era chiaro che aveva una risposta precisa in testa, ma stava decidendo come comunicargliela.

«Mi interessa» dichiarò infine. «Ma non a tutti a costi.»

«In che senso?»

«Nel senso che non devi sforzarti di considerarlo se non ti piace l'idea.»

Lei rimase con la testa appoggiata sul braccio, guardando nel vuoto. «Potremmo provare, una volta.»

Non udì alcuna replica. Non aveva bisogno di guardarlo in faccia per sapere che reazione stava avendo: un misto di choc ed euforia.

Preferì non incontare i suoi occhi, per non ritrattare. Stava compiendo un passo importante per una coppia stabile.

Non resistette a una seconda domanda. «Sarebbe la prima volta per te?»

Il silenzio di lui cambiò umore.

Gen era sospettoso. «Perché lo chiedi?»

«Io... Per sapere.»

Lui ritrasse la mano. Non era un buon segno.

Lei cercò di spiegarsi. «È carino pensare che sarei la tua prima volta, almeno per questo.»

«Sei già stata la prima per tante cose.»

«Quando si tratta di sentimenti» puntualizzò.

Gen abbandonò il cuscino, mettendosi a sedere. «Sei stata la prima per quello che conta. Mako... con questo discorso c'entra il fatto che oggi hai incontrato una ragazza con cui sono stato?»

«No...» Si rese conto che era una menzogna solo quando la pronunciò.

Gen si risentì e lei dovette sollevarsi, per toccarlo.

«Sarebbe così strano? Tu sei stato il primo per me. Per me essere la prima a farti provare una nuova esperienza fisica sarebbe... bello.»

«Sarebbe sbagliato. Stiamo parlando di una pratica che può provocare dolore. Tu saresti capace di sopportarlo, costringendoti, solo per... cosa? Superare le mie ex?»

Non riuscì a venirsene fuori con una risposta che non suonasse patetica. Anche se le piaceva pensare che non sarebbe stata tanto stupida, forse lo sarebbe stata - come durante la loro prima volta, quando non aveva detto niente di fronte alle fitte che lui le aveva provocato. 

Gen era a un passo dall'irritazione, ma si calmò. «Sai cosa mi stai dicendo? Che non sono riuscito a farti capire quanto è importante il modo in cui mi fai sentire. Come se ogni cosa che ti ho detto l'avessi ripetuta con facilità ad altre.»

Lei non lo credeva, ma... «Non so com'eri con loro.»

«Non andavo a dichiarare in giro che mi scuotevano l'anima. Non le cercavo in continuazione. Non dicevo 'ti amo' ogni due per tre. Anzi, non lo dicevo mai, non ricordi?»

Riportare alla mente il dettaglio le aprì un mondo di comprensione. Si sentì idiota. «Hai ragione. Scusa.»

«Non farmi più proposte del genere per superare rivali inesistenti. Se un giorno ti verrà di nuovo in mente... che sia perché ti piace l'idea di provare, non per altro.»

«Ma in verità...»

Lui scosse la testa. «Adesso non posso crederti.»

Lei lo accettò. Per farsi perdonare, gli prese il volto tra le mani. «Hai davvero tanto pazienza con me.»

Gen soffiò via il fastidio. «Ne vale la pena.»

Lei gliene era molto grata. Si sentì abbracciare.

«Vieni qui.»

Lui fu così buono da ripeterle all'orecchio le decine di modi in cui lei era stata la prima - nella sua vita, nel suo cuore, nella sua anima.

A Makoto non restò che chiedersi perché fosse stata così sciocca quel giorno. 

Aveva la determinazione a non esserlo più, ma non la certezza che ci sarebbe riuscita.

 

Luglio 1997 - Incontro con l'ex - FINE

  


 

NdA: Io vado avanti e poi torno indietro nel tempo. È possibile che lo faccia ancora con Corrente Naturale, visto che non ho mai dedicato un capitolo all'apertura della pasticceria di Makoto. 

Ho voluto inserire in questo mese di luglgio 1997 l'incontro con una ex ragazza di Gen per rendere più logica l'irritazione che lui proverà, un mese dopo, nel sentire che Makoto è ancora gelosa del passato. Potete leggerlo nel capitolo successivo, se non lo ricordate.

Ma prima siate buoni e lasciatemi una recensione :P

 

Elle

 

Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 14
*** Agosto 1997 - in vacanza al mare ***


Corrente Naturale - agosto 1997

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Agosto 1997 - In vacanza al mare

  

La sabbia dorata, l'acqua cristallina, l'orizzonte azzurro... Trovarsi sulla spiaggia con Gen era un sogno diventato realtà.

Makoto spremette la crema solare sulla mano e iniziò a spalmarla sulle braccia.

Gen era seduto accanto a lei, con i piedi affondati nella sabbia. Appena erano arrivati, dopo aver sistemato le loro cose e l'ombrellone, lui era entrato in mare per una rapida nuotata di riscaldamento. Dai suoi capelli continuavano a cadere piccole gocce d'acqua che scivolavano lungo la sua schiena, indugiando sui rilievi dei muscoli come minuscole perle prima di evaporare al sole.

Lei allungò una mano verso una sua spalla, solo per avere il piacere di toccarlo. Ricevette in cambio un sorriso.

«Ti aiuto?»

«Dopo.» Quel giorno era decisa a conseguire una bella abbronzatura. Aveva comprato un due pezzi privo di spalline, per non ritrovarsi i segni del costume. Voleva una pelle delicatamente bronzea, senza arrivare a scottarsi. L'aiuto di una buona protezione solare era indispensabile.

Gen la osservò durante la sua accurata opera di applicazione della crema, stringendo gli occhi senza volerlo.

«Sei un testardo. Perché non porti degli occhiali da sole?» Gli aveva detto di prenderne un paio a Tokyo, ma lui aveva dichiarato che non gli servivano.

«Sbiadiscono i colori. La luce non mi dà fastidio.»

«Ma se tieni le palpebre socchiuse.»

«Sto bene così.»

Lei si rassegnò a perdere quella battaglia. «Dài, vieni più vicino. Metto questa crema anche a te.»

Almeno per quello, Gen non protestò. Appena ebbe le sue mani sulla schiena, lui piegò la testa all'indietro, rilasciando un lamento di piacere. «Paradiso: sole, mare, e le mani di una bella ragazza sulla pelle.»

Il complimento le causò un sorriso. Ma lui aveva scelto un modo particolare di descrivere quella beatitudine. «Era una cosa comune per te?»

Rilassato, Gen tenne gli occhi chiusi, offrendo il viso alla furia diretta del sole del primo pomeriggio. «Cosa?»

Lei gli girò la testa nella sua direzione, per avere modo di spalmargli la protezione anche sulla faccia. «Avevi spesso una ragazza che ti metteva la crema solare?»

Lui corrugò la fronte, senza allontanarsi dalle sue mani. «Parlavo di te, Mako.»

L'uso del nomignolo quasi la distrasse, ma non aver ricevuto una risposta alla sua domanda la spinse a indagare. «È successo ogni estate?»

Gen sollevò le palpebre. «Perché stiamo parlando del passato?»

Per una sorta di... masochistica curiosità, che era cresciuta nelle ultime settimane ma che covava da tempo. Gestiva meglio l'idea di ciò che era stato quando conosceva i fatti per intero, soprattutto quando si trattava di lui e delle sue ex.

Gen comprese che ragionamenti stava facendo. «Gli anni scorsi andavo in vacanza in gruppo, tra amici.»

Per Makoto fu un sollievo sentirlo. «Allora non sei mai stato in vacanza con una ragazza, da solo?»

Gen fece una pausa. 

Oh.

«Una volta.»

«Per quanti giorni?»

In volto lui aveva scritto un rifiuto. «Sai già che ho avuto delle relazioni che sono durate più di qualche settimana. Vuoi solo torturarti.»

Forse. Il suo problema era che faticava a capire come fosse possibile entrare tanto in intimità con altre persone senza che questo lasciasse degli strascichi, o dei ricordi importanti. Voleva comprendere fino a che punto quelle esperienze avessero plasmato Gen - sesso a parte. Su quell'ultimo aspetto non aveva dubbi.

Vedendo che quel pensiero non le passava, lui rese la bocca una linea severa. «È stato due anni fa. La vacanza è durata cinque giorni. Ho rotto con quella ragazza appena siamo tornati a casa.»

Brutale. 

Gen valutò la sua reazione, poi si alzò. «Se mettermi quella roba addosso ti mette di cattivo umore, ne farò a meno.» Tornò verso l'acqua, lasciandola sola, seduta sul loro asciugamano.

Lei balzò in piedi. «Gen!»

Di malavoglia, lui rallentò.

Era la prima volta che lo irritava tanto. Lo raggiunse di corsa, toccandolo su un braccio. «Non volevo farti arrabbiare.»

Gli uscì un sospiro che suonò esausto. «Stiamo insieme da otto mesi, Makoto. Non dovresti più confrontarti con le mie precedenti ragazze.»

Una vocina nella testa le disse, 'Tu però le hai frequentate per otto anni.' La ignorò. 

Gen era ancora rivolto verso il bagnasciuga. «Senti, non è la prima volta che ti confronti con loro. Non risolveremo la cosa oggi. Siccome abbiamo appena iniziato la nostra vacanza, preferisco andare in acqua finché non ci pensi più.»

Quel rifiuto di parlare l'avrebbe fatta arrabbiare se non fosse stata subito in grado di capirne la ragione: Gen era scocciato e, visto che era una persona calma, quella reazione non era nata da un giorno all'altro. Evidentemente su quel punto negli ultimi mesi lui era stato molto più paziente di quanto le avesse dato a intendere. L'ultima uscita di lei sul tema, circa un mese fa, non doveva aver aiutato il suo umore.

Lo sfiorò su una mano, prima che potesse andarsene. «Tesoro.»

Lui si voltò, colpito dall'appellativo.

«Non ti farò più nessuna domanda se ti dà fastidio. Però, senza discutere, mi piacerebbe farti capire che la mia non è solo gelosia.»

In lui l'irritazione sparì. «Okay.»

Mentre si sedevano sulla sabbia bagnata, Makoto cercò le parole giuste. «Penso che il problema sia che non ho mai avuto una vera relazione prima di incontrarti. Forse riuscirei a capire meglio come una persona può dimenticare tutto ciò che c'è stato un tempo. Diventa sempre così poco importante, dopo?»

Quando udì Gen sospirare, si rese conto che, senza volerlo, aveva fatto una domanda che riguardava loro due.

«Mako, se tu avessi avuto altri ragazzi prima di me... Be', penso che giudicheresti ancora importanti quelle storie. È fondamentale la ragione per cui si entra in una relazione. Fin dall'inizio tu cercavi l'amore. Tanti anni fa io volevo solo... passare un po' di tempo in compagnia. Volevo sperimentare, imparare. Giocare» ammise. «Non sceglievo la nuova ragazza con cui stare cercando quella giusta. Mi importava solo che lei avesse qualcosa d'interessante per me in quel momento. La relazione durava finché il mio interesse reggeva.» Si assicurò che lei avesse compreso prima di continuare. «Visto che per me iniziava in questo modo, e non sceglievo con troppo criterio, non ci mettevo molto a scoprire che io e la ragazza eravamo incompatibili in qualcosa di fondamentale. Non lo trovavo un problema. A volte, se lei era gentile e accomodante, continuavo a starci insieme ugualmente. Per questo non ho rimpianti o grandi ricordi. Non sceglievo qualcuno di cui potermi innamorare.»

Era il punto che la lasciava più incredula. «Non è mai successo? Non hai mai iniziato a provare qualcosa di più?» Com'era possibile? Come si poteva fare l'amore tante volte, con la passione che lui ci metteva, e non sentire di entrare in intimità con un'altra persona, cominciando a provare almeno un po' di affetto?

«Alcune mi stavano più simpatiche di altre. Ho iniziato a tenere a qualche ragazza, ma... Quando pensavo che le avrei fatto male lasciandola, capivo che era finita. Perché anche se ero dispiaciuto, lo avrei fatto comunque prima o poi.»

Non era la storia completa. «Qualche volta sei stato mollato, no?»

Lui annuì. «Avevano capito prima di me che non ero abbastanza coinvolto.»

... perciò era tutto così semplice?

Gen aveva rammentato qualcosa, con riluttanza. «La ragazza con cui sono andato in vacanza al mare. È stato un grosso errore. C'era intesa tra noi, e quella volta mi ero convinto a provarci sul serio. Per questo sono partito solo con lei e non più in gruppo: mi sembrava un passo avanti. Dopo tre giorni passati insieme mi sentivo intrappolato. Avrei anticipato il rientro, ma non mi andava di pagare due volte il viaggio di ritorno. E sarebbe stato maleducato, no? Mi sono costretto a rimanere cercando ragioni per non ammettere di essermi sbagliato così tanto. È stato uno smacco.»

Le sfuggì un sorriso.

Gen le dedicò un lungo sguardo. «Nemmeno io so come si esce da una relazione seria.»

Una relazione come la loro. «Perciò... io non diventerò qualcosa che vuoi dimenticare?»

Era stata una domanda molto stupida. 

Seppe che Gen non avrebbe risposto e abbassò gli occhi. Si ritrovò col fiato di lui sulla bocca.

Il bacio fu il punto che Gen decise di mettere su quella faccenda.

     


     

«Te l'avevo detto.»

Di sera Makoto si stava prodigando a spalmargli del latte doposole sulla schiena provata.

Chi aveva inventato il nome 'latte', si domandò Gen, per un prodotto come quello? Fino a prova contraria, non si mangiava. 

La voce di lei era cantilenante e dolce mentre lo rimproverava. «Domani mi ascolterai quando ti dico che la crema va rimessa ogni due ore, come minimo, e ogni volta che esci dall'acqua.»

Qualcuno gliel'aveva spiegato in passato - forse sua madre. Lui sapeva anche che nelle estati precedenti aveva già imparato quella lezione, eppure, con l'arrivo del primo sole estivo, gli sembrava puntualmente ridicolo doversi ricoprire di crema per difendersi dalla forza del sole. Come avevano fatto gli antichi, senza quei rimedi? Erano sopravvissuti comunque, no? Era un fastidio sopportabile, a suo modo di vedere. Anche se quella roba lenitiva era fantastica sulla pelle. «Mettine ancora.»

«Oltre il primo strato non si assorbe. Ti vedo stanco. Dormi.»

«Dovevamo uscire.» Era la loro prima serata in quella località di mare. Sbadigliò.

«Ci saranno le prossime sere. Riposa, su. Le scottature sono come ferite da cui il corpo deve riprendersi.»

Gen strizzò gli occhi. «Sto bene.»

Makoto gli massaggiò la nuca. «Fai ugualmente un pisolino.»

Avrebbe obiettato a sentirsi trattato come un bambino se non avesse cominciato a sentire la magia delle dita di lei sulla testa. Si rilassò.

Il sonno incombette su di lui e lo prese.

     

Riaprì gli occhi nel buio.

Cercò Makoto nello spazio sul letto accanto a lui, ma lo trovò vuoto.

Dov'era lei? Quanto aveva dormito?

Si alzò, squadrando l'area del monolocale che avevano affittato mentre i suoi occhi si abituavano alla mancanza di luce.

La porta della veranda era aperta e lasciava filtrare aria fresca.

Insonnolito, si diresse fuori.

Era una notte senza luna. La sagoma scura di Makoto era accucciata sul prato.

Fece rumore avanzando e lei si voltò prima che lui potesse parlare. «Ehi» lo salutò.

«Cosa fai qui?»

Makoto si spostò sul telo da mare che aveva disteso a terra, per fargli posto. «Mi godevo la nottata.»

Gen si sedette vicino a lei, sbadigliando. Impiegò un momento a focalizzare il cielo.

Makoto appoggiò la testa contro la sua spalla. «Quante stelle, vero? Abbiamo fatto bene a venire qui.»

Già. Avrebbero potuto optare per località più frequentate e vicine a Tokyo, ma a entrambi era piaciuta l'idea di un luogo isolato, magari vicino a qualche bosco o montagna. Makoto non aveva optato per un campeggio solo perché preferiva avere una cucina.

Lui percepì il silenzio di lei.

«Il cielo era così nel posto in cui abitavo da bambina.»

«Coi tuoi genitori?»

Lei mosse la testa, per annuire. «Quando sono andata a vivere con la nonna, Tokyo non mi piaceva perché non c'erano le stelle. Troppa luce. Troppa gente.»

Gen la lasciò parlare.

«Mentre stavo seduta qui, mi sono ricordata una cosa. Da piccolina, l'unica cosa di cui avevo paura era il buio. Quando non c'era la luna non volevo andare fuori la sera, neppure a prendere un gelato. Ero sicura che sarebbero arrivati tanti mostri a mangiarmi.»

Gli sfuggì una risata bassa.

Makoto lo picchiò sul braccio, senza energia. «Avrò avuto quattro anni, non ricordo bene. Una notte papà e mamma mi hanno messo davanti una candela. 'Facciamo un gioco' hanno detto. Invece di mettermi a dormire, papà mi ha preso in braccio e siamo andati in giardino, con mamma, mentre lei ci faceva strada col lume. Mi ricordo che stringevo forte mio padre, cercando di non nascondere la faccia nel suo petto. Non volevo vedere nulla, soprattutto il buio. Mi hanno incoraggiato ad aprire gli occhi. 'Ci siamo noi con te.' Poi mamma ha soffiato forte la candela. Io ho urlato. Credo di aver cominciato a piangere, ma loro mi hanno consolato. Mi massaggiavano la schiena. 'Abbiamo solo spento la candelina che avevamo in mano' hanno detto. 'Guarda quante ce ne sono ancora là sopra.' Ed era vero. C'erano tante candele nel cielo. Mamma e papà si sono seduti con me, su un telo come questo. Si sono messi a inventare storie su ogni singola stella. Io stavo in mezzo a loro e ascoltavo. Alcune storie erano così appassionanti che mi sono messa a saltare, a ridere. Poi cadevo in mezzo ai loro corpi e mi sentivo afferrare. Ricevevo tanti baci.»

Makoto smise di raccontare.

Lui la massaggiò sulla spalla, stringendola con attenzione, senza troppa forza. Comprendeva la forza di quei ricordi, la loro importanza.

Lei strofinò un occhio contro il suo pigiama. «Me n'ero scordata, sai?»

«Eri una bambina.»

«Sì, ma... quel giorno ero così felice, e ho dimenticato lo stesso.»

«No, qualcosa è rimasto. Non hai più avuto paura del buio, giusto?»

Lei chinò la testa talmente a fondo che Gen seppe che stava piangendo.

«Già.»

Non erano solo lacrime di tristezza.

«Andiamo. Hai ancora tante stelle da guardare.»

Makoto gli gettò le braccia al collo, premendo involontariamente sulla scottatura. «Sono sempre più belle.»

A lui non importò del dolore, ricambiò l'abbraccio.

Lentamente, il silenzio si portò via la sofferenza di lei. Infine, Makoto si pulì il viso e alzò di nuovo gli occhi al cielo. «Forse non ci ho pensato più per tutto quello che vedo adesso là sopra.»

«Cosa?»

«... ricordi ancora più lontani.»

Gen non seppe se era perché si era svegliato da poco, o perché Makoto gli aveva appena raccontato di quando era una bambina normale e impaurita, ma non provò disagio nel sentirla parlare della sua antica vita. Era rilassato. Era in pace, nel posto giusto e con la persona giusta. «Cosa ti accadeva a quel tempo?»

Lei rilasciò la tensione. «Non a me. A Giove. Percepivo l'immensità del mondo in cui viveva. Ogni stella per lei era una sorella che metteva ordine nel cosmo. La loro grandezza e forza non la spaventavano. Pensava... 'Un giorno sarò come loro. Lascerò il mio segno in questo universo'.»

Parole in cui c'era talmente tanto di Makoto, che per la prima volta lui sentì un equilibrio in ciò che lei - e loro - potevano essere nella realtà che fino a quel momento si era rifiutato di esplorare.

«... ti fa paura?» si sentì domandare.

«No.» Voleva saperne di più. «Cos'altro hai sognato?»

Da Makoto sgorgarono racconti maestosi, imprecisi, lontani. Gen li ascoltò finché lei, stremata, non si addormentò sul telo sopra il prato, sotto le stelle da cui proveniva la sua stessa essenza.

Lui guardò il cielo con occhi nuovi.

Riuscirò mai a farne parte?


  

Agosto 1997 - In vacanza al mare - FINE

  


 

NdA: Prima che mi azzanniate: ho intenzione di raccontare anche a voi cosa ha sognato/ricordato Makoto in relazione al suo antico passato. E' molto tempo che mi limito ad accennare alla cosa. In questo frangente mi interessava di più parlare della reazione di Gen. Per lui, più che il dettaglio di queste storie, è importante la reazione che ora prova nell'ascoltarle. Ma desidero includere in questa raccolta anche i ricordi di questo passato, per legarla di più alla saga in generale, e perché tutto ciò fa parte di Makoto. Ora che lei e Gen hanno iniziato a parlarne, è finita la fase del 'non voglio sentire, meglio rimandare' di lui. Si è aperta una domanda finale per Gen. Questo farà evolvere la loro relazione. 

Ogni vostro commento è graditissimo :)

 

Elle

 

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Capitolo 15
*** Agosto 1997 - Di notte, nell'afa ***


correntenaturale - calura

 

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Agosto 1997 - Di notte, nell'afa

Alle undici di sera facevano trenta gradi a Tokyo. Le finestre dell'appartamento di Makoto erano spalancate, ma non correva un filo d'aria. Per dormire Gen aveva indossato solo un paio di boxer e stava valutando se toglierli. L'aria condizionata di casa sua gli mancava da morire. «Makoto.»

«Sì?» fece lei dal bagno. 

«Compriamo un condizionatore portatile.»

Non udì risposta, solo il fruscio di uno spazzolino da denti.

Mesi prima con Makoto avevano litigato per l'acquisto del nuovo materasso e da allora Gen aveva imparato a non imporle grossi regali per la casa. Anche se l'idea del condizionatore era sua, era meglio proporre di dividere la spesa, per non irritarla.

Lei terminò di sciacquare la bocca. «Va bene, ne prenderemo uno facendo a metà. Grazie.»

«Non ringraziarmi, il condizionatore servirà anche a me.» Tra l'altro, non avrebbe pagato lui la corrente elettrica per farlo funzionare. Avrebbe voluto dividere anche quella spesa, ma Makoto era testarda.

Lei uscì dal bagno. «Non ricominciamo con questo discorso. Il condizionatore lo vuoi tu, ma starà qui e in fondo farà bene anche a me. Quindi è giusto che ne paghi la metà.»

Lui scelse di non dire più nulla. D'altronde era concentrato sul nuovo pigiama di Makoto, dallo scollo squadrato largo, così ampio che le cadeva completamente da una spalla, stando a malapena in equilibrio sull'altra.

«Non è della tua taglia.»

Lei lisciò il tessuto bianco e leggero sullo stomaco, fiera. «Era di mia nonna. È l'unico pigiama che non mi fa sudare in serate come questa.»

Be', a lui non sembrava la migliore qualità di quell'indumento. Mentre Makoto si muoveva per controllare che la porta di casa fosse chiusa, il pigiama le era sceso fino a metà braccio. Lei non fece nulla per rimetterlo a posto, tornò indietro con mezzo seno di fuori, comoda. Avvicinandosi, notò la direzione del suo sguardo. «Lo so, mi cade.»

Lui non aveva da lamentarsi.

Makoto rimase a posto la spallina. Nel salire sul materasso tirò su l'orlo del pigiama - semi-trasparente alla luce della lampada. A Gen venne un colpo quando lei portò l'indumento sui fianchi, lasciandogli intravedere una natica nuda.

«... non porti gli slip?»

Makoto sbadigliò, sdraiandosi. «L'estate scorsa ho scoperto che sto più fresca senza. Con tutto questo caldo, almeno tra le gambe mi arriva un po' d'aria.»

Tanto valeva non mettersi niente, allora.

Lei si stiracchiò, preparandosi a dormire.

«Comunque...» volle dire lui.

Makoto aprì un occhio.

«Ti sta bene. Il pigiama.» Sembrava quasi una camiciola d'ospedale, innocente con quel paio di ricami piazzati sul petto. Il modo in cui la denudava a caso, senza secondi fini, era... eccitante. La combinazione del corpo favoloso di lei, a malapena coperto, accessibile da talmente tanti punti... «È sensuale.»

«Era di mia nonna.»

Lui preferiva non ricordarlo. «Adesso lo indossi tu.»

Makoto aveva girato la testa, per guardarlo. «Gen.»

«Hm?»

«Il solo pensiero che mi sfiori mi fa venire caldo.»

«... Ah.»

«Buonanotte.»

Lei spense la luce dell'abat-jour. Furono al buio.

Gen rimase a guardare il soffitto. L'obiezione di Makoto era sensata e fino a cinque minuti prima anche lui aveva avuto sonno. Solo che...

Magari avrebbe fatto più fresco di mattina; mancavano solo sei o sette ore. Cinque, se svegliava Makoto in anticipo, quando lei era intorpidita dal sonno e molto ricettiva.

Il lampione in strada mandava un po' di luce nella stanza. Quando i suoi occhi si abituarono alla penombra, Gen riuscì a vedere una gamba piegata sul letto, morbida e delicatamente curvata, sicuramente soffice al tocco.

Sospirò, sentendo un'ondata di calore al bassoventre. 

Prese una decisione. Si mise in piedi, muovendosi verso la cucina.

«Cosa fai?»

Invece di rispondere, terminò di staccare il ventilatore dalla sua posizione sul ripiano. Lo portò in braccio fino al comodino di Makoto, muovendosi a memoria nella poca luce. Posò a terra l'abat-jour per fare spazio, staccò la spina e riuscì a inserire al suo posto quella del ventilatore, non senza fatica. Le pale cominciarono a ruotare veloci. 

Makoto non commentò mentre lui spostava un poco all'indietro il mobile, così che il soffio fosse abbastanza distanziato dal letto. 

«Ora fa meno caldo» le disse.

Per intuito, seppe che lei stava sorridendo.

«Mi viene il mal di gola se quello resta acceso tutta la notte.»

«Mi alzerò a spegnerlo.» Gen fece il giro del letto, tornando al proprio posto.

«Quando?»

Scrollò le spalle. «Dopo.»

«Dopo... cosa?»

Non le rispose, godendosi il venticello che arrivava su di loro.

La risatina di Makoto fu improvvisa. «Hai un pensiero fisso!»

«Avevi detto di avere caldo.»

Makoto continuò a ridere, poi espirò rassegnata. «Gen... Sai che suderemo tanto. Vuoi davvero dormire tutto appiccicaticcio?»

In bocca a lei quella parola suonò divinamente erotica. «Se me lo dici in questo modo... Sì.»

Makoto si stava ancora divertendo. «Hm... non mi va di rendertela così facile. Usa l'inventiva.»

«Hm?»

«Con questa afa un po' d'aria non ci salva. Dimostra di essere bravo... con pochissimo contatto. Una sola mano.»

Gen si sentì diventare più duro. «Bravo a...?»

Makoto si voltò di lato, rivolta verso di lui. Sul suo corpo la stoffa del pigiama creava pieghe leggere, lasciando intravedere in controluce la linea dei suoi fianchi.

«Fammi venire. Solo con cinque dita.»

Per lui fu un colpo di piacere al bassoventre. 

'Nessun problema', 'certo', 'ai tuoi ordini'.

Pensò a molte frasi fatte in risposta, ma alla fine non disse niente. Approfittò della spallina che era di nuova scesa dal suo posto e si limitò ad abbassare il tessuto sul petto di Makoto. Liberò un seno e giocò col capezzolo.

Lo sentì inturgidirsi contro l'unghia. 

Disegnò il contorno dell'areola, il petto di lei che si tendeva al tocco.

Mormorò. «È ancora fresco questo pigiama?»

«... sì.»

«Sicura? Meglio toglierlo.» Lo tirò giù, lungo il torso di lei. Makoto sollevò la schiena per facilitarlo.

Gen fece scendere il tessuto fino alla vita, dove le massaggiò a mano aperta lo stomaco.

«Il palmo è concesso?» Lo allontanò, lasciando solo i polpastrelli sulla pelle di lei. Solleticò l'entrata dell'ombelico. «Faccio come vuoi tu.»

«Il palmo...», Makoto respirava forte, «va bene.»

«Uno strappo alla regola?» Insinuò le dita sotto quello che era rimasto del pigiama, sfiorandole il monte di Venere. Ritrasse la mano e Makoto inspirò un'enorme boccata d'aria.

«Per quello che mi hai chiesto, ci vuole pazienza.» Tornò al suo seno, pizzicando una ad una le punte. Smise di parlare e fece con le dita ciò che avrebbe voluto farle con la lingua. Proseguì fino a farla tremare, il torso di Makoto che si sollevava smanioso, per cercare altra stimolazione. Lui sollevò la mano, portandogliela alle labbra.

Lei regalò un bacio soffice al suo pollice, poi accolse in bocca il suo indice, accarezzandolo con la lingua.

Gen si sentì bruciare. «Sai cosa mi aveva eccitato?»

«... no.»

Il mezzo gemito fu molto appagante.

Abbassò la mano lungo il suo corpo. «Dormire senza slip. Se lo fai... Non posso resistere.»

Makoto inarcò i fianchi, invitando la discesa delle sue dita.

Gen arrivò tra le sue gambe, si immobilizzò. La pelle di lei era completamente liscia.

Makoto stava ansimando. «Io... Col caldo è igienico.»

Dalla gola gli uscì un suono. Si trattenne, accarezzò. Non era la prima volta che viveva quell'esperienza al tatto, ma era la prima volta con lei. Sulla linea del'inguine, sulla giuntura tra le gambe, Makoto era... era seta, le dita di lui scorrevano come su nessun'altra parte del suo corpo.

Si godette quei lembi di pelle, aumentando l'attesa.

Makoto lo sfiorò sul collo con una carezza. Lui la ricompensò con una mano sulle pieghe, umide al primissimo tocco. 

«Allora non avevi troppo caldo.»

«Sì, ma il ventilatore-»

Entrò in lei con un dito, prima lentamente e poi per intero, togliendole la parola. Manovrò con la mano, per spostare il suo liquido in una scia più in alto, dove uno sfregamento di pollice l'avrebbe fatta gridare.

Al contatto Makoto scattò coi denti, frenando l'ansito.

«Goditela.» E ondeggiò con la mano sulla parte più intima e calda di lei, imparandone di nuovo la risposta, la fremenza.

Scorse il viso di Makoto nel buio mentre le si avvicinava sempre di più, trattenendosi dal baciare la bocca aperta.

Una mano gli afferrò la spalla. «Gen!»

Un gemito, l'inizio dell'escalation. Makoto si abbandonò al ritmo dei propri fianchi, pretese più pressione e velocità, maggiori affondi. Lui la accontentò con due dita unite e il pollice che da fuori roteava rapido sul suo clitoride.

Colse il primo spasmo, ne seguì il pulsare, assecondandone il ritmo. Da capo a piedi, con le braccia di lei che si allungavano sopra la testa e le gambe che si piegavano, vide un metro e settanta di orgasmo e desiderò baciarne ogni punto.

Tremò con lei, senza smettere di muovere la mano, fino alla fine. 

Quando allontanò le dite fradicie, dovette domandare. «Sei sudata?»

Makoto stentò a recuperare il fiato. «S-sì.»

«Peccato.»

Si spostò verso i piedi del letto, aprendole le ginocchia. Non poteva avere pietà.

«Aspetta-...»

Mise la testa tra le sue cosce. «Non volevi essere pulita?»

Fu attento e delicato per non sovrastimolarla, ma non la lasciò bagnata neppure su un centimetro. O meglio, la bagnò di saliva, ma era inevitabile: niente avrebbe potuto impedirgli di sentirla con la lingua senza ostacoli, in ogni insenatura e rilievo, ma soprattutto di assaggiare ciò che si era guadagnato.

Quando finì, seduto tra le sue gambe aperte, volle essere chiaro. «Devo...» Aveva un concetto in mente, ma gli mancò la parola giusta da farle ascoltare.

«Scoparmi?»

Spalancò gli occhi.

Makoto emise una risatina flebile. «'Fare l'amore' è troppo poetico adesso.»

Sì. «Devo entrare dentro di te fino a smettere di ragionare.» Gli parve più adatto. L'altro termine... Non era contrario, ma sentiva ancora qualcosa, quando la guardava, che non c'era in quella parola. Tenerezza, per il modo in cui le si era scompigliati i capelli e per come lei lo stava accarezzando sul braccio.

«Ti abbraccerei se non facesse così caldo.»

Gli piacque il suo sorriso. «Eviterò troppo contatto, non preoccuparti.» Abbassò i boxer e incastrò il bacino al suo. «Sarà un po'... animalesco.»

Makoto aveva tirato la testa all'indietro. «Va bene.»

Lui non aveva avuto dubbi sulla risposta e in un angolo della mente cercò di ricordarsi di domandarle che cosa fosse cambiato negli ultimi due giorni, per le piccole prove d'audacia dimostrate quella sera. Sul momento, dimenticò tutto nell'unirsi al suo corpo.

Tenendola per la vita, spinse ripetutamente in lei che lo riceveva, con forza, mentre Makoto si adeguava naturalmente al ritmo. Sobbalzarono insieme, si inarcarono, la parte più bollente del ventre di lei che lo stringeva, lasciandosi plasmare, prendere. Non fece attenzione alla sua voce, ma gli entrò in testa un grido sottile, acuto, e i suoi muscoli si contrassero tutti insieme. Venne sferzato da un piacere violento, assoluto. Lo alimentò con spinte calcolate, profonde, spremendosi fino all'ultima goccia.

Inerme, non rispettò l'intento inizialmente di distanza e le cadde lentamente addosso. 

Makoto lo circondò con le braccia, esausta. «Resta fermo.»

Incapace di rispondere, lui rimase a sentire il soffio del ventilatore sulla schiena. L'aria asciugò piano la patina di sudore sui loro corpi.

Portò una mano alla tempia di Makoto, scostando fili di capelli ondulati. «Di questo passo ci ammaliamo davvero.» Trovò la forza di alzarsi, o così credette: mettendo il piede a terra, la sua gamba cedette.

Makoto lo afferrò per un braccio. «Ehi!»

Lui riuscì a non cadere. «Idiota.» Rise con lei mentre spegneva il ventilatore.

Sul letto, Makoto stava srotolando sulle gambe il pigiama. «Tanto vale dormire senza niente.»

Proprio come aveva pensato lui. Si disfece a sua volta dei boxer, camminando impacciato finché non riuscì ad abbandonarli a terra. Si gettò a pancia in giù sul letto. Abbracciò il cuscino.

«Che romantico.»

«Se vuoi che ti stringa, devi solo dirlo.»

Dalla mancanza di una risposta capì il dilemma di Makoto e rise. «Col condizionatore, domani. O sotto una doccia.»

Lei si stiracchiò di nuovo, chiudendo gli occhi. «Belle idee.»

Guardandola, Gen non riuscì a resistere e si sporse per rubare il bacio della buonanotte.

Makoto si rannicchiò nelle spalle, felice. «È calda anche la tua bocca!»

«Ma ne è valsa la pena.»

«Tanto.» Lei si soffermò a osservarlo. «Dormi bene, amore mio.»

A lui si bloccò in gola la risposta. Non gli importò dell'afa: le prese una mano e la tenne stretta.

Mentre il sonno li avvolgeva, la teneva ancora tra le dita, i loro palmi sudati, disposti al sacrificio.

Dormì senza lasciarla andare.

  

Agosto 1997 - Di notte, nell'afa - FINE

  


 

NdA: Uh. Ehm, uh, cough-cough. In questo capitolo sono stata spudorata :D

Ho una mezza idea di cosa abbia portato Makoto a tali livelli di disinibizione. In un capitolo della raccolta di Rei, 'Di fiamme e quiete', parlavo di Makoto che lodava un romanzo rosa che a suo dire conteneva del 'gran sesso'. Immagino che la ragazza abbia continuato su tale strada, spingendosi verso letture ancora più erotiche :P Ce la vedo Makoto a farsi influenzare da una lettura simile, per due motivi.

Uno: nel primo anime c'era questo episodio della quarta serie in cui lei diceva di essere una buona lettrice. Makoto non sente i libri a livello di Ami, che li usa per apprendere nozioni e assimilare esperienza. Makoto li sente col cuore e i sensi, non è mai paga di emozioni.

Due: in fondo la vedo come una persona priva di pudori. Per lei non averli non esclude il romanticismo, come ho cercato di far vedere in questo capitolo. Sono due parti complementare di lei.

Makoto è forte, audace, anche nella sfera intima insomma. Ormai con Gen stanno insieme da otto mesi, ora c'è molta confidenza tra loro. Questo non significa che lei disdegnerà sessioni più tranquille, dolci. Ne avrà sempre bisogno.

Hm. Mi chiedo se sono riuscita a trasmettere tutto questo, più che con le mie parole qui, con ciò che ho raccontato finora di lei. Fatemi sapere :)

 

Elle

 

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Capitolo 16
*** Gennaio 1998 - Amici che vanno avanti ***


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di ellephedre

 

 

 

Gennaio 1998 - Amici che vanno avanti

 

Dopo l'incontro di quel pomeriggio con le ragazze, in celebrazione del ritorno in Giappone di Ami, Makoto era riuscita a riprendere in mano il libro che aveva abbandonato. Appoggiarlo sul comodino, un paio di giorni addietro, era stato al contempo un sollievo e una sofferenza. Amava quell'autrice di storie romantiche, ma l'incipit del suo ultimo romanzo aveva toccato in lei corde scoperte. Come poteva leggere di un amore tormentato, che non aveva speranza di realizzarsi?

Nella storia una giovane nobile si invaghiva di uno stalliere, nell'Inghilterra del 1800. Il loro amore era segnato fin dalla nascita: due persone così diverse non avevano alcuna possibilità di stare insieme, in nessun modo e da nessuna parte. Questo non aveva impedito ai due ragazzi di desiderarsi con ogni goccia del loro spirito. Erano cresciuti insieme, avevano giocato insieme... e d'improvviso, diventati grandi, avevano iniziato a desiderarsi. Era il primo amore che avessero mai conosciuto, ma se solo il ragazzo avesse provato ad avvicinarsi alla protagonista, sarebbe stato allontanato per sempre - forse persino ucciso dalla famiglia di lei, per la grave onta arrecata. Eppure, anche in quelle condizioni, i due giovani non riuscivano a separarsi. La ragazza, in particolare, si tormentava. Come poteva vivere, immaginando che lui un giorno si sarebbe sposato con un'altra? Che senso aveva per lei respirare, esistere, se lui non era vicino a lei? Ma tenendolo con sé lo condannava a una vita di servitù che lui non meritava. Era tutto sbagliato, ma nessuno dei due voleva rinunciare a quell'amore.

Veder espressa la propria sofferenza a parole aveva tolto il fiato a Makoto. Aveva chiuso il libro e si era raggomitolata sul letto, cercando di non farsi travolgere da pensieri cupi.

Lei e Gen avevano resistito per un anno. Avevano festeggiato da poco il loro primo anniversario ed erano più uniti che mai.

Tuttavia, ancora, nessuno dei due si azzardava a parlare di futuro. Era una conferma continua della distanza che esisteva tra i loro propositi sull'avvenire. Gen non aveva cambiato idea su quello che voleva nella vita e lei non si sentiva di biasimarlo.

Cercava di non pensarci e di godersi il presente. Lui era un fidanzato che non si risparmiava nell'amarla. Era qualcosa di prezioso e per ora tutto ciò che Gen poteva darle.

Rivedere Ami aveva rasserenato Makoto. Si era informata periodicamente su come stesse la sua amica durante la lunga assenza di Alexander. Vedere Ami triste e sola, tra settembre e ottobre, l'aveva depressa. Aveva voluto credere con tutta se stessa che una storia bella come quella che Ami e Alex non potesse finire in maniera tanto misera.

Se fosse andata così sarebbe stato... orribile. Desolante.

Le sue paure erano svanite col sorriso di Ami, a inizio novembre, appena lei aveva risentito Alexander. Lui non si era mai dimenticato di lei. Non avrebbe potuto, per quanto lontano fosse andato, per quanto tempo fosse passato da loro ultimo incontro.

Makoto aveva versato una piccola lacrima di felicità per loro, tutta sola, sentendosi una sciocca per il sollievo da cui era stata invasa. 

Ami era poi andata a trovare Alexander in America, per le vacanze di fine anno. Erano tornati a Tokyo solo da un giorno, con grandi novità: avevano deciso di andare a vivere insieme. Inoltre, incredibilmente, la giudiziosa e riflessiva Ami aveva deciso di buttarsi nell'ignoto: era intenzionata ad avere subito un bambino.

Ami madre.

Era una pazzia, ma Ami era sicura di quello che faceva. Entro il duemila sarebbe diventata planetaria come lei e Minako e non avrebbe più potuto avere bambini con Alexander. Ami stava correndo per non perdere l'unica opportunità che le rimaneva. Incredibilmente, non aveva paura.

Per Makoto era come assistere a una seconda favola.

Prima Usagi e Mamoru - principi che si erano amati in un altro tempo e che ora si erano ritrovati, vincendo gli ostacoli del destino, fino a sposarsi. E ora, Ami e Alexander, due ragazzi più normali, che avevano deciso di rischiare e costruire una vita insieme fin da subito, pur sapendo dei cambiamenti epocali che li avrebbero visti protagonisti in futuro.

Galvanizzata dalla felicità che la circondava, Makoto aveva dato un'altra possibilità al suo libro romantico. Ora sentiva di avere la forza di affrontare righe dolorose su un amore che non si sarebbe mai realizzato. Dopotutto, stava leggendo un romanzo rosa: il lieto fine era assicurato.

Era sdraiata sul letto, immersa nella lettura, quando Gen entrò in casa sua con la chiave.

«Ciao!» Abbandonò il libro di lato e corse da lui che le veniva incontro, coinvolgendolo in un lungo abbraccio. Non poté esimersi anche da un affettuoso bacio a stampo.

Il calore dell'accoglienza sorprese Gen. «Ciao anche a te. Come mai così allegra?» Guardò dietro le sue spalle e rilasciò una smorfia. «Ah, stai leggendo uno dei tuoi libri. Anche questa volta lo preferirai a me?»

Sentirlo geloso di un insieme di pagine la divertì. «Finisco di leggere il capitolo e sono tutta per te.»

Gen tornò all'ingresso, per togliersi la giacca. «Oggi hai rivisto Ami?»

«Sì! Alexander ancora no, per caso ti ha chiamato?»

«No, ma me lo aspettavo. Mi chiamerà quando avrà tempo, adesso sarà occupato. Sta cercando di convincere Ami a trasferirsi da lui, giusto?»

«Non ci sarà bisogno di convincerla. Ne parlano oggi con la madre di Ami. Lei potrebbe trasferirsi già domani.»

Gen approvò in pieno. «Finalmente! Mizuno si sta dando una mossa!»

«Ehi, non prenderla in giro. Lei era solo... prudente.»

«Però la lontananza è servita a mettere in chiaro le sue priorità. Golden Boy aveva ragione ad attuare la sua strategia.»

Quello era un discorso nuovo per Makoto. «Quale strategia?»

«Non è stato calcolatore come stai pensando, questa è una mia interpretazione. Quando mi ha detto che lui e Mizuno non si stavano sentendo, non ho pensato bene di lei.»

«Be'... anche io ho avuto dei dubbi. Ami stava sbagliando, ma alla fine ha capito da sola che errore stava commettendo.»

«Infatti. Se ora sta correndo per andare a convivere con lui, vuol dire che la terapia d'urto le ha fatto bene.»

Tornando seduta, Makoto incrociò le gambe e finse di tornare a guardare il suo libro mentre completava la notizia. «Lei e Alex hanno deciso di fare anche un'altra cosa.»

«Hm?» Gen si era tolto le scarpe e l'aveva raggiunta sul letto, premendo la faccia contro i suoi capelli. Adorava il profumo del suo shampoo.

Makoto cercò di assegnare un'inflessione comica alla novità. «Vogliono avere un bambino.»

Non era nella posizione per guardarlo in faccia, ma sentì che Gen smetteva di respirare. 

«Cosa?» bofonchiò lui dopo diversi secondi.

Makoto si sdraiò su un fianco, continuando a fingere che fosse un discorso come un altro. «Che follia, vero? Però... Ami è convinta. Ha detto che lei e Alex ci stavano pensando da tempo. Ora che andranno a vivere insieme non ha più senso aspettare.» Non resistette e si girò verso di lui. «Presto noi ragazze diventeremo zie!»

Gen racimolò un briciolo di entusiasmo nel ritrovarsi davanti la sua faccia. «Già.»

Makoto non diede al senso di disagio tra loro il tempo di concretizzarsi. «Non essere cattivo con Alex quando gli parlerai di questa cosa. Se lui ha deciso... Congratulati e basta.»

Gen se la prese per essere stato giudicato un insensibile. «Non gli importerebbe certo del mio parere. Comunque... ci avranno pensato parecchio.»

«Due come loro? Senza dubbio.»

Per qualche secondo nessuno dei due seppe cos'altro dire.

Alla disperata ricerca di un argomento, Makoto si focalizzò sul libro che teneva tra le mani, sollevnadolo a mezz'aria. «Adesso mi odierai...»

«Oh, no. Stai di nuovo per paragonarmi agli uomini delle tue storie?»

Lei si morso un labbro. «Solo un pochino. Sai che tu non mi hai mai scritto una lettera?»

«Una lettera? Con dentro cosa?»

«Frasi. Frasi carine.» Rise vedendo la faccia stranita di lui. «Nemmeno nel libro la protagonista aveva ricevuto una lettera dall'uomo che amava. Ma le sarebbe piaciuto. E sai cosa mi è venuto in mente? Tu non mi hai mai scritto lettere, ma hai fatto quel disegno di me nella pasticceria. È stata una cosa tremendamente romantica.»

«Romantica? Era un regalo.»

«Mi ha fatto capire che pensavi a me. Era come una lettera d'amore. Forse quello è il momento in cui ho iniziato a innamorarmi seriamente di te.»

«Col disegno?» Gen era incredulo.

«Sì. Un giorno me ne farai un altro?»

«Se vuoi...»

Makoto baciò un angolo della sua bocca, adorando la sua confusione. «Credevi di avermi fatto innamorare per qualcos'altro?»

«Hm, sì. Per esempio, per aver aspettato a baciarti.»

«Anche quello è stato tremendamente dolce, però...» Come poteva spiegargli? «Il disegno comunicava che riempivo così tanto i tuoi pensieri che non potevi fare a meno di fare qualcosa per esprimere quello che provavi. E mentre disegnavi il mio viso, lo ricordavi; significava che ti ero rimasta impressa nei dettagli... Mi avevi guardato desiderandomi, magari senza neppure accorgertene.»

Lui sorrideva. «Ho capito, ho capito. Sei soddisfatta solo quando invadi ogni angolo della mia mente.»

Makoto gli salì sopra, a cavalcioni. «Esatto!»

Mentre veniva abbracciata, appoggiò il mento sulla sua spalla e si permise di comunicargli un piccolo desiderio. «Un giorno mi scriverai due righe? Qualcosa di semplice....»

«Va bene.»

Oh, avrebbe conservato quelle parole come un cimelio prezioso, per l'eternità. Per secoli interi.

«Tu non hai intenzione di scrivermi qualcosa?»

Si lasciò travolgere da un sorriso. «Ti piacerebbe?»

«Qualcosa di hot sarebbe stuzzicante. Con tutte le cose che leggi...»

«Perverso!»

«Ho i miei gusti, Mako!»

«Hm...» Si tirò lievemente indietro, ispirata. Tracciò un dito lungo il suo stomaco. «Vuoi che ti descriva cosa ti farei quando sei a mia disposizione, come ora?»

«Oh, sì.»

Makoto si lasciò prendere dalla vena letteraria. «Allora... »

Alla fine, più che raccontare, mise in pratica, ma Gen non trovò nulla di cui lamentarsi.

  

Gennaio 1998 - Amici che vanno avanti

  


 

NdA: Lo stallo di questa raccolta si è momentaneamente interrotto, perché ho già in mente l'episodio di febbraio. Finora, come sottolineato anche qui, i due ancora soffrono in silenzio e non parlano di quello che sarà il loro futuro. Ma nel febbraio del 1998 le cose cambieranno. In meglio o in peggio? Lo scoprirete nel prossimo capitolo.

Per spingermi a scriverlo presto ditemi che pensate di questo ;)

 

Elle

 

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Capitolo 17
*** Febbraio 1998 - Lettera d'amore ***


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Febbraio 1998 - Lettera d'amore

«Un ragazzo ti ha mai scritto qualcosa, Shori?»

Sua sorella stava sistemando i capelli davanti allo specchio e si fermò nell'atto di allacciare la coda, alta sulla nuca. «Perché me lo chiedi?»

«Per sapere» rispose Gen. Si stava scervellando da giorni su cosa scrivere a Makoto, faticando non solo a scegliere le parole, ma persino gli argomenti.

Shori era sospettosa, non era da lui farle simili domande. «A che ti serve?»

Confessare era l'unica opzione. «Sto cercando di capire cosa vuole leggere Makoto. Mi ha chiesto di scriverle una lettera.»

Il sorriso di sua sorella si allargò fino a tagliarle in due la faccia. «Scriverai una lettera d'amore per San Valentino?»

Lui cercò di non imbarazzarsi: non era certo il primo a fare qualcosa di sciocco per la propria ragazza. «Allora? Da donna, cosa vorresti leggere in una lettera del genere?»

«Be', i tuoi sentimenti.»

Era un suggerimento troppo generico. «Makoto li conosce già. In che modo dovrei infiocchettarli? Serve che parli di episodi specifici o...?»

«Se pensi che dire cose romantiche equivalga a infiocchettare, parti già col piede sbagliato.» Shori incrociò le braccia, dandosi l'aria di donna saggia. Adorava mettersi sul suo stesso piano, le volte che Gen lo concedeva. «Mi piacerebbe istruirti, ma non sono la persona adatta: io sono come te, mi vergogno persino a sentire 'mi piaci'. Chiedi a Miki. Lei ha già ricevuto qualche lettera d'amore.»

Lui cercò di non trasalire. Stavano parlando di sua sorella di quindici anni, che la sera indossava ancora il pigiama con gli orsetti?

Shori capì il proprio errore. «Ops. Non dovevo dirlo?»

Nessuno lo aveva informato di possibili pretendenti, di sicuro di proposito. Sospirò e prese la via delle scale, diretto al foglio bianco che lo attendeva sulla scrivania.

Shori lo chiamò dal basso. «Non rovinare la festa a Miki! Ha dei piani per San Valentino!»

«Non farò niente» dichiarò rassegnato. Non si sarebbe neppure confrontato con Miki sulle sue preferenze in materia di lettere d'amore. Aveva già fatto un grande sforzo per parlarne con Shori, davanti a sua sorella minore si sarebbe sentito troppo stupido. Doveva conservare un minimo di autorità. Restava il problema: mancavano un paio di giorni a San Valentino. Forse doveva andare in qualche biblioteca, a cercare esempi di missive romantiche.

Nella sua stanza ricadde col sedere sulla sedia, abbandonando la testa all'indietro.

Tutti quegli sforzi stavano rendendo l'intera operazione troppo costruita. Ormai non aveva problemi a dire a Makoto 'ti amo',  tutte le volte che lei voleva ascoltare quella dichiarazione. Ma si sentiva ridicolo a scrivere su carta simili parole, per di più elaborando sul concetto. Aveva provato ad andare a braccio, ma ne era saltato fuori un testo penoso.

 

"Da quando ti conosco, sto bene ogni giorno con te.

Ti scrivo questa lettera per farti un regalo di San Valentino, perché voglio farti felice.

Non so bene cosa dire, ma... mi piaci. Mi piace tutto di te.

Ti amo - ormai riesci a farmelo dire senza problemi - al punto che te lo sto scrivendo in una lettera..."

 

Rileggendo le quattro righe, si era reso conto che sembrava venisse costretto a buttare giù quel testo, come se non ne avesse alcuna voglia. In parte era la verità, ma persino lui capiva che non era il caso che trasparisse. Perché poi si stava impegnando tanto? Probabilmente Makoto si era già dimenticata della piccola promessa che gli aveva estorto. Di certo non se la aspettava come regalo di San Valentino. In teoria lui avrebbe potuto rimandare, ma... tergiversare era contro la sua natura. Non serviva a nulla e non faceva che nascondere il pensiero che aveva rimandato in un angolino della mente. Poi se lo ritrovava in testa nei momenti più inaspettati, a ossessionarlo. Meglio liberarsene e basta.

... liberarsene? Era proprio l'emblema del romanticismo.

D'impulso iniziò una nuova lettera. "Non sono un romantico" scrisse.

Alla nuova riga rimase con la penna sospesa per aria, non sapendo come proseguire.

Shori aveva detto che una ragazza in una lettera voleva leggere i suoi sentimenti. I suoi veri sentimenti - lasciando stare l'imbarazzo che lui provava all'idea di metterli per iscritto. Pertanto la domanda che doveva farsi era solamente... 'Cosa provo per Makoto?'

Aveva una risposta ben definita in testa, articolata in impeti ed ansie che non erano adatti ad una lettera d'amore. Chissà come mai Makoto voleva vedere i suoi pensieri impressi in un foglio. Forse per leggerli, rileggerli e... Intuendo la verità, Gen appoggiò la punta della penna sulla carta.

Le parole aleggiavano nell'aria, transitorie. Gli scritti invece rimanevano eterni, ad imperitura memoria. Dunque, era questo? Makoto continuava a pensare a un periodo in cui non sarebbero più stati insieme?

Avrebbe potuto andare da lei a dirle di smetterla con quelle paure, ma non ne aveva diritto. 'Per sempre' era una promessa che non riusciva a esprimere a fronte della vita che Makoto avrebbe condotto. A volte si convinceva che, se si fosse trattato solo di lui...

Ma aveva delle persone per cui era responsabile. Sua madre, Shori e Miki. In qualunque cosa si fosse invischiato rimanendo con Makoto, avrebbe trascinato la sua famiglia con sé - anche se si fosse allontanato da loro. Non poteva prendere una simile decisione per altre tre persone.

Inoltre lui amava Makoto - da morire - ma non era sicuro che avrebbe amato l'esistenza eterna e impostata in cui lei lo avrebbe costretto a vivere. Non era nemmeno certo che l'avrebbe amata Makoto stessa, ma... se era Giove, col tempo lei si sarebbe adattata.

Quindi la lettera poteva servirle come ricordo? 

Se lui fosse stato codardo - o sensato, doveva ancora capirlo - un giorno lontano, molti anni dopo che si fossero separati, Makoto avrebbe riletto quella lettera, ricordandosi del ragazzo che tanto aveva amato in passato. Solo pensarci gli comprimeva il petto.

Non voglio lasciarti.

Con quelle parole lui avrebbe espresso un sentimento onesto, ma contraddittorio se in futuro avesse finito con l'interrompere la loro relazione.

O magari sarebbe stata Makoto a mollarlo. Era innamorata di lui, ed era estremamente paziente con la sua indecisione, ma tra qualche tempo poteva stufarsi di non avere un responso chiaro sul loro futuro insieme. 

Il foglio con un'unica riga lo guardava di rimando, carico di significati che solo lui poteva assegnargli.

Non gli andava più di partire con 'Non sono un romantico'. Appallottolò quell'ennesima prova e fece scivolare sulla scrivania un foglio nuovo, intonso, deciso a scrivere poche affermazioni chiare - senza contesto, giusto per cominciare.

Ti amo.

Banale, ma vero.

Amo ogni giorno che passo con te.

Sempre banale e ancora più sdolcinato, ma altrettanto vero. 

Cercò di farsi venire in mente dei momenti a cui fare riferimento, delle sensazioni... Qualcosa che gli permettesse di scrivere ciò che provava senza esprimere concetti conflittuali. Non potevano esserci 'se' o 'ma', né promesse che non era certo di poter mantenere o cose dette a metà.

Adoro i tuoi occhi verdi.

... era uno scrittore patetico. Ma già che c'era...

Vorrei guardarli per il resto della mia vita.

Rileggendo, rallentò il respiro. Quel desiderio non era una specie di promessa?  No. Se voleva guardare gli occhi di Makoto per il resto della sua vita, non gli bastava chiederlo a lei. Era possibile che un giorno Giove non avrebbe più voluto essere legata a un misero essere umano.

Lui non si figurava in testa una Makoto crudele, che di punto in bianco gli diceva che tra loro era finita. Lo immaginava accadere lentamente. Lei che si prendeva sempre più responsabilità di governo. Lei che si occupava di cose più grandi di loro, accorgendosi col tempo che un ragazzo che voleva solo una vita comune non era la persona adatta a stare al suo fianco.

Nel proprio futuro Gen aveva immaginato la rincorsa verso il sogno di diventare architetto. Col tempo, una famiglia. Quando si fosse sentito pronto, dei figli, perché no? Tutto ciò mentre continuava a lavorare ai propri progetti. In quello scenario riusciva a vedere Makoto accanto a sé, con la sua pasticceria. Ma lei avrebbe abbandonato il negozio tra non più di tre anni. Avrebbe detto addio a tutti gli sforzi che stava facendo in quei mesi per dirigersi verso una vita che le richiedeva responsabilità immani. Lei non lo stava mettendo in dubbio: era serena, sicura. Il problema era solo suo, che non riusciva a capire la determinazione con cui lei era disposta a rinunciare a tutto quanto.

Tuttavia, proprio per questo...

"Adoro i tuoi occhi verdi.

Vorrei guardarli per il resto della mia vita."

Era vero, no? Non era una promessa, era semplicemente quello che provava. 

Se avesse potuto, avrebbe scelto di guardare Makoto negli occhi ogni giorno, per quel che rimaneva della sua semplice esistenza.

    


       

Makoto non stava più nella pelle: era arrivato San Valentino! Lei e Gen erano in strada, davanti a un cinema, in fila per comprare i biglietti di una pellicola che smaniava di vedere da settimane. «Sicuro di voler vedere questo film proprio oggi?»

Gen la teneva a braccetto, stringendosi nel cappotto nero che aveva indossato - il più elegante che possedeva. «Sono sicuro, ne parli da settimane. Non troviamo mai il tempo - o la voglia. Nel weekend ti ho fatto restare a casa troppe volte.»

Come se lei avesse protestato. «Anche io ero stanca, non mi andava di uscire.» Nel giorno di pausa dal lavoro dedicava volentieri quel poco di energia che aveva a lui.

«Di questo passo» ragionò Gen, «il film sarebbe andato fuori programmazione.»

A lei non sembrava. «Titanic continua a incassare tanto. Sono curiosa! Ha fatto piangere persino Ami - e Rei, che è un cuore di pietra glaciale per queste cose. Dice sempre che non si fa incantare dalle sdolcinatezze, ma se questo film l'ha commossa...»

«Siamo già qui, non devi convincermi.»

In un certo senso aveva cercato di convincere se stessa. Adorava l'idea di vedere un film romantico col suo ragazzo, ma San Valentino per quanto la riguardava era un giorno dedicato a tutti e due. Voleva che Gen se lo godesse almeno quanto lei e non le sarebbe dispiaciuto troppo se lui avesse deciso di farla uscire da quella fila, magari per portarla in una bella camera d'albergo. Lei avrebbe pagato volentieri la metà, non era questione di soldi. San Valentino era una notte magica. Ovviamente stare con Gen era un'esperienza preziosa in ogni momento - soprattutto in frangenti come quelli, in cui lui faceva di tutto per accontentarla.

Aggrappandosi al suo braccio lo tirò a sé, per stampargli un bacio sulla guancia. «Grazie. Prometto che dopo non sarò troppo stanca per passare altro tempo insieme. Domani non apro il negozio, ormai lo sanno tutti i miei clienti.»

«Fino ad oggi hai fatto gli straordinari.»

Tremava al solo pensiero dell'orda di San Valentino che aveva appena terminato di affrontare. «È finita. Piuttosto, mi dispiace di non essere riuscita a prepararti un dolce più elaborato...»

Lui digrignò i denti. «Visitando il tuo negozio mangio cioccolato da settimane. Sono pieno.»

Le uscì una risatina. «L'anno scorso sono stata più brava. Quest'anno il nostro San Valentino è incentrato su te che mi porti a vedere un film che voglio io, ma il prossimo anno...» Si interruppe, senza volerlo. Presumere che sarebbero stati insieme tra dodici mesi era azzardato.

Gen aveva voltato la testa nella sua direzione. Legò gli occhi scuri ai suoi per qualche interminabile secondo, senza sbattere le palpebre. Poi prese una decisione. «Il prossimo anno organizzerò io qualcosa di speciale.»

Nel cuore di Makoto si diffuse un calore corroborante, dilagante. Gli bastava una parola, un'intenzione, per renderla completa, viva, una supernova di felicità e commozione. «Va bene.» Nascose la faccia contro la sua spalla.

Gen la conosceva abbastanza da capire cosa stesse cercando di nascondere. «Non piangere prima che sia iniziato il film. Non ho portato abbastanza fazzoletti.»

Aveva ragione lui, non era tempo di lacrime. «Ne ho portati io. Magari ne servirà qualcuno anche a te.»

«Per il film? Non penso.»

Capiva la sua perplessità, ma... «Ami ha detto che Alex si è commosso.»

«Golden boy non fa testo.»

Oh, era il solito! «Anche Yuichiro è rimasto colpito. E Usagi ha detto che secondo lei persino Mamoru era strano dopo il film.»

Messo davanti all'evidenza, Gen mostrò i primi dubbi.

Lei era ansiosa di sapere come avrebbe reagito. Si sarebbe girata a guardarlo in continuazione, per tutta la durata della pellicola. Non vedeva l'ora di entrare in sala.

      

Tre ore e mezza più tardi, la notte era calata su Tokyo e il viso di Makoto era rigato di lacrime appena asciugate. Tanta commozione metteva Gen a disagio: gli faceva venire voglia di abbracciarla e rattristarsi insieme a lei. «Dài» la incoraggiò, mentre si muovevano verso la macchina. «Quei due si sono ricongiunti nella morte, no?»

Invece di consolarla, le sue parole la confusero. «Ma Rose non era morta.»

«Come no? Si addormentava e sognava il tizio mentre tornava giovane. Non è possibile solo nell'aldilà?»

Makoto si perse in una breve riflessione. «Secondo me era solo un sogno. Rose ha rivisto Jack da giovane perché si trovava sopra il Titanic, nel mare. Dopo il racconto che aveva fatto agli altri, i ricordi erano freschi nella sua mente. Chissà quante volte era tornata indietro nel tempo, nei suoi sogni, con la speranza di rivivere quei giorni lontani. Presto potrà ricongiungersi con Jack nell'aldilà, ma... non so. Non mi era venuto in mente che fosse morta proprio in quel momento, addormentata su quel letto. È troppo deprimente.»

Gen non voleva rattristarla di più, perciò non insistette con un'idea di cui continuava a rimanere convinto.

Nell'aria frizzante di metà febbraio, Makoto rimase aggrappata al suo braccio. «Sai che ti amo come Rose amava Jack? Anzi, come Jack amava Rose.»

Simili tenerezze erano proprio da Makoto. «Lo so. Hai fatto l'impossibile per salvarmi la vita, mettendoti a rischio.»

Lei si sorprese, come se non si fosse aspettata un riferimento preciso al loro passato. «Già. Ma volevo dire che...» Lo guardò in volto. «Mi rende felice la sola idea che tu sia vivo. Ora ti sono vicina, però... se fossi lontano da me, mi basterebbe sapere che tu stai bene. Penserei a te anche da morta, vegliandoti.» Abbozzò un sorriso, rendendosi conto dell'esagerazione che le era uscita di bocca. «Ti aleggerei intorno come un fantasma invadente! Rimarrò viva, non preoccuparti, così non ti infesterò la vita.»

Gen la strinse con più forza, involontariamente. Non poteva immaginarla morire prima di lui. «Tu vivrai per mille anni.»

Makoto smise lentamente di camminare. «Me ne basterebbero altri cento.» Fece una pausa, più pregnante di quello che aveva inteso. «Anzi, me ne basterebbero cinquanta se significasse che non vivrei un solo giorno più di te.»

Come faceva a mandargli sempre in pezzi il cuore? Per rimanere integro Gen la strinse con entrambe le braccia, baciandola.

Continuò a respirare solo per l'ardore con cui lei rispose a ogni suo gesto, tenendogli la testa tra le mani, mentre lui affondava le dita nei suoi capelli. 

Non poteva darle proprio ora le tre righe strimizinte che aveva scritto nella sua patetica lettera. Alla fine non era riuscito ad aggiungere altro e le sue misere dichiarazioni sembravano ancora più povere dopo tutto il romanticismo del film.

Staccandosi, Makoto respirò contro le sue labbra. «Portami a casa prima che San Valentino finisca.»

      

A letto, dopo aver dissetato la loro passione, Gen non riuscì a rimanere sdraiato sulla schiena come suo solito. Avevano spento la luce e avrebbe dovuto dormire, ma rimaneva sdraiato su un fianco, con una mano che sfiorava la schiena di Makoto e l'altra che, dall'alto, le muoveva indolentemente qualche filo di capelli. Lei aderiva al suo corpo in pace, le gambe intrecciate alle sue senza emettere suono.

Gen si concentrò sul calore della pelle sotto le sue mani e a non più di un centimetro dalla bocca. L'odore dolce e inteso di Makoto gli penetrava nelle narici. Non avrebbe potuto percepirla maggiormente nemmeno se fosse riuscito a guardarla in faccia, alla luce. Appoggiò le labbra sulla sua fronte, piano. Scese sul naso, donando anche lì un bacio. Lei emise un sospiro beato.

Fermandosi, lui le scostò la frangetta.

«Non smettere.»

Era un ordine che lo rendeva felice. «Se fosse per te, dovrei baciarti sempre.»

«Hm-hm.»

Accontentarla era un piacere. Procedette con più calma, quasi cercando di infliggerle una piccola tortura. O forse, era semplicemente bello prendersi il tempo di percepire appieno ogni singolo contatto di labbra, dal momento in cui appoggiava la bocca sulla sua pelle fino a quando produceva quel piccolo suono bagnato, separandosi da lei.

«Gen?»

«Hm?»

Per lunghi secondi Makoto non proseguì, privando l'aria persino del suono del suo respiro.

«Non lasciarmi andare finché proprio non potrai.»

Lei doveva smetterla: con una sola frase era capace di mandarlo in paradiso o gettarlo negli inferi della disperazione. «Cosa vuol dire?»

«Solo... avrò sempre bisogno di un altro di questi baci.» Makoto si mosse contro il suo corpo, allungandosi, baciandolo sul mento, sulle labbra, con delicatezza infinita. Lo abbracciò con la stessa cura. «Non lasciarmi senza l'ultimo bacio. Mi farebbe male non averlo ricevuto.»

Il solo pensiero già gli generava dolore. «E dopo l'ultimo?»

Vi fu un lungo silenzio.

«Non lo so. A volte parlo senza pensare.»

A Gen non riusciva. Proprio perché non sapeva cosa dire - o promettere - riempì Makoto di baci e amore disperato.

   


   

Nei due giorni successivi Gen percepì che Makoto si comportava in maniera anomala. Strano, pensava che la loro serata di San Valentino si fosse conclusa bene. Alla fine si era lasciato sfuggire persino qualche dichiarazione particolarmente romantica: era arrivato a citare il testo della canzone finale di Titanic, traducendolo per Makoto, che non aveva la sua stessa padronanza dell'inglese. Lei gli era parsa serena la mattina dopo, ma nelle ultime due chiamate che si erano scambiati aveva avuto poco tempo per parlargli e sempre qualcos'altro da fare. A lui non sembrava casuale.

La chiamò di nuovo quella sera, per avvertirla che sarebbe passato a trovarla al negozio, all'ora di chiusura. Lei lo fermò subito. «Oggi ho una cosa da fare a casa di Ami.»

«Ah... okay.»

«Possiamo vederci dopo?»

Rasserenato, lui annuì. «Passo a prenderti, fammi sapere quando.»

Alle otto si trovava sotto casa Foster. Makoto era appena uscita dal portone e stava correndo verso il suo furgone, raggiante.

L'ondata di allegria lo stranì. «Tutto a posto?»

«Sì!»

«Come mai ridi in quel modo?»

Makoto si moderò. «Ecco... abbiamo parlato del matrimonio di Ami! Ho avuto la conferma che farò io la torta! Realizzerò anche delle statuine, come per Usagi. Cercherò di farle ancora più carine e precise ora che ho tempo!»

Se il suo entusiasmo era dovuto a quello, era comprensibile: Makoto adorava creare con le mani, nei piccoli lavoretti metteva tutta se stessa. Lui la capiva: quando realizzava i propri disegni si impegnava allo stesso modo.

Nel tragitto verso casa Makoto gli parlò per esteso dei progetti che aveva per la torta. «Con cinquanta invitati ci vorranno almeno cinque strati. Magari potrei fare una composizione variegata... Sai, non una torta classica a piramide. Devo chiedere cosa preferiscono.»

Arrivarono davanti al condominio in cui abitava.

«Sali?» gli chiese lei.

Gen si era dimenticato di precisare. «Domani devo essere in un posto alle sette e mezza. E mi sono dimenticato di portare vestiti di ricambio.»

Lei si rammaricò con lui. «Sono a casa tua, vero?»

Già. «Vorrei salire, ma se mi addormento nel tuo letto...»

«Poi non ti svegli più. Non preoccuparti, guarda che viso stanco che hai. Cos'hai fatto oggi?»

«Gli altri mi hanno chiesto una mano per una ristrutturazione. Ne ho approfittato, mi hanno pagato bene.»

Makoto conosceva il vero motivo dei suoi sforzi. «Lo hai fatto perché ti è piaciuto, non per i soldi.»

Ebbene sì. Gli mancava il lavoro manuale. Ogni tanto aveva bisogno di costruire qualcosa.

Sorridendo, lei decise di intrattenerlo con qualche chiacchiera prima di salutarlo. «Ti confesso una cosa. Andrò a rivedere Titanic con le ragazze.»

Gen cercò di non fissare il soffitto con troppa esasperazione. «Ancora?»

«Tutte vogliamo guardarlo di nuovo, questa volta insieme! Minako ha un sacco di commenti da fare ed Ami vuole vederlo al cinema per la prima volta. Sullo schermo di un aereo non rende.»

Titanic era proprio il film per ragazze perfetto: anche le sue sorelle ne erano state conquistate.

«Rei» gli raccontò Makoto, «ha avuto l'ispirazione per un'altra canzone romantica. Non venderà come quella di Celine Dion, ma ho sentito qualche strofa ed è stupenda! Rei è bravissima con le parole, butta lì tutti i sentimenti romantici che normalmente nasconde.»

A proposito di quelli.... Gen ricordò che in macchina aveva ancora la busta con la lettera che non era riuscito a consegnarle. Anche se era incompleta, magari a lei avrebbe comunque fatto piacere leggerla. «Senti...» Si sporse ad aprire il vano nel cruscotto, dal suo lato. «L'altro giorno mi sono ricordato di una cosa che mi avevi chiesto. La stavo preparando per San Valentino, ma alla fine il risultato non mi ha convinto. Non è una lettera nel vero senso della parola, sono appena tre righe... Prendila come una prova, okay? Dammi dei suggerimenti, così potrò scrivertene una migliore.»

Comprendendo cos'aveva in mano, Makoto sussultò. «È una lettera d'amore?»

Sentir associate a lui quelle parole lo imbarazzò. «Più o meno. È una bozza.»

Senza perdere tempo, lei estrasse il foglio dalla busta e lesse.

"Ti amo

Amo ogni giorno che passo con te.

Adoro i tuoi occhi verdi.

Vorrei guardarli per il resto della mia vita."

     

Il silenzio che si diffuse nell'abitacolo durò a lungo. A disagio, Gen deglutì. Makoto non stava reagendo in alcun modo. Guardava le parole della lettera e non diceva nulla.

Mantenendo un certo contegno, lui evitò di incalzarla e si mise a fissare il volante, in attesa. Non le avrebbe domandato se era stato troppo sdolcinato. Non avrebbe denigrato ulteriormente la propria incapacità di scrittura, né avrebbe detto o fatto qualunque altra cosa che lo facesse passare per uno stupido più grande di quello che già era.

Udì un rapido inspirare. Gli occhi di Makoto erano diventati lucidi.

«Mako, non...»

A lei tremarono le labbra. Un singhiozzo improvviso la costrinse a coprirsi la faccia. «È bellissima! È perfetta così, la terrò per sempre!»

... quindi era come aveva creduto: la lettera era pensata per diventare un ricordo.

Non riuscì a frenarsi; non ce la fece proprio più. «Ci sarò io a dirti queste cose di persona. Per sempre.»

Scoppiando a piangere, lei si arrampicò oltre il cambio, salendogli in braccio.

Lui cercò di non farsi travolgere dalla stessa infelicità, o l'avrebbe stritolata. La consolò strofinandole la schiena, parlando anche a se stesso. «Basta. Basta.»

Lei annuì contro il suo collo, deglutendo e tentando di respirare.

«Domani» le disse. «Domani andiamo insieme da Ami, okay? Le chiediamo di studiarmi col suo computer. Così cominciamo a capire come funziona questa cosa del... dell'immortalità.»

Con un sussulto, lei smise del tutto di singhiozzare. «... Veramente?»

Sì, pensava di sì. E al diavolo tutto il resto, almeno per il momento. Andando avanti con quella incertezza si sarebbe distrutto da solo. Nemmeno la sua famiglia avrebbe voluto vederlo in quello stato. 

Makoto non si era ancora scostata per guardarlo. Dopo un po' appoggiò il viso contro il suo collo. «Adesso non credo di riuscire a lasciarti andare.»

Andava bene lo stesso. «Dormo da te e mi sveglio alle cinque. Mi inventerò qualcosa.»

Le braccia di lei lo strinsero energicamente, con quell'ardore che lui non si era concesso, per non scoppiare. «Non so se ti merito.»

Certo che sì. Dio, certo che sì.

   


     

Makoto avrebbe dovuto sentirsi felice. Era immensamente felice, ma al contempo era preoccupata. Cos'aveva fatto promettere a Gen? 

In quei giorni, con tutti i suoi piagnucolii, lo aveva fatto sentire in colpa. 'Non lasciarmi senza l'ultimo bacio' di qui, 'ti amerò anche da morta' di là... Lui teneva moltissimo a lei, per forza si era sentito in dovere di replicare a modo e di farla sentire meglio. Makoto sapeva di esagerare riducendo le sue intenzioni in quel modo - c'era la lettera, dopotutto - ma...

Nel buio della notte, guardò il viso di lui senza riuscire a dormire. 

Le sembrava di essere un'enorme egoista. Stava andando tutto come voleva lei: avrebbe avuto il suo potere, il suo destino Sailor e un ragazzo che la amava così tanto da sacrificarsi pur di starle accanto per l'eternità che doveva affrontare.

... non era giusto.

Dov'era il lieto fine di Gen? Non poteva incentrarsi completamente su di lei, lui non era quel tipo di ragazzo. 

Gen sarebbe stato felice rinunciando al suo sogno di diventare architetto? Oh, un giorno lontano avrebbe finito col progettare la nuova Crystal Tokyo, ma ci sarebbe voluto molto tempo.

Come avrebbe potuto acquisire esperienza rimanendo a fianco di una persona che avrebbe messo in pericolo la sua vita? Sarebbe stato in grado di trovarsi un lavoro? Sarebbe stato sicuro per lui muoversi per il mondo senza un qualche tipo di protezione? Delle guardie del corpo lo avrebbero soffocato. Magari, tutti insieme, sarebbero riusciti a inventarsi uno scudo magico o qualcosa di simile per proteggere le persone che amavano, ma non era una soluzione che poneva fine a tutti i problemi. La loro presenza sarebbe stata ingombrante nelle vite di coloro che si sarebbero trascinati dietro.

A Gen per esempio non sarebbe piaciuto quando, presentandosi a qualcuno, gli altri avessero visto prima di tutto il suo collegamento con lei. Non sarebbe stato Gen Masashi, architetto, bensì Gen, il compagno di Giove.

Per non parlare di tutto il resto. Per lui sarebbe stato devastante perdere la sua famiglia. Sua madre, le sue sorelle... Miki e Shori, lentamente, sarebbero diventate più vecchie di lui. Un giorno Gen sarebbe stato come lei, solo al mondo. Guardandosi attorno si sarebbe accorto di essere circondato unicamente di ricordi. Ecco cosa significava per loro parlare insieme di immortalità. 

Per non svegliarlo, Makoto cercò di non accarrezzarlo con troppa energia.

Voleva passare il resto della sua vita con lui, ma non avrebbe mai dovuto accettare alcuna promessa da parte sua.

        

Il giorno dopo, l'aiutò molto che Gen avesse da lavorare. Avrebbe dovuto essere un giorno di riposo per lei, ma siccome la sua testa era piena di pensieri, nulla le serviva più che impegnare le mani, per distrarsi.

Pulì la casa da cima a fondo, in appena una mattinata. Il pomeriggio si diresse al negozio, decisa a dare una pulita generale anche al locale. Lei e la sua assistente - Eleonora-san - erano scrupolose in cucina, ma magari si erano fatte sfuggire qualche angolino impolverato nella zona in cui sostavano i clienti. Aveva dato una controllata al meteo: si prevedeva bel tempo, pertanto avrebbe dato una ripassata alla vetrina esterna. La sera sarebbe tornata a casa in tempo per preparare a Gen una buona cena. Era da un po' che non mangiavano qualcosa di elaborato. 

Non si erano accordati per cenare insieme, ma dopo il loro ultimo discorso era certa che lui sarebbe passato, per discutere di quando andare trovare Ami. Lei però era sempre più certa che fosse meglio aspettare.

Alle tre del pomeriggio, mentre era fuori dal negozio con secchio e stracci, fece un incontro che non si aspettava. «Ami!»

La sua amica era avvolta in un cappotto rosso, un colore inusuale per lei. Al collo portava una sciarpa bianca e in testa indossava un berretto di lana molto femminile, con una decorazione floreale. In mano teneva un pacchetto. «Ciao, Mako-chan. Scusa la sorpresa.»

«Come facevi a sapere che ero qui?» 

Con un po' di imbarazzo, Ami picchiettò la borsa che le pendeva dal braccio. «Ho controllato la tua posizione col computer.»

Makoto cercò di non ridere troppo forte. «Mi pedini!»

Ami accolse lo scherzo. «Non volevo disturbarti, ma ero in giro e volevo darti questo.» Allungò nella sua direzione il pacchetto, attendendo che lei avesse le mani libere per riceverlo.

«Che cos'è?»

«Un libro di quelli che piacciono a te. Ho fatto delle ricerche, è un titolo valido. Se ce l'hai già dimmelo, ho conservato lo scontrino.»

Makoto non si era attesa un regalo. «Non è il mio compleanno.»

«È solo un pensiero» si giustificò Ami. «Per quello che hai fatto per me e Alex l'altro giorno. È grazie a te se ora posso parlare con tutti del mio stato, senza ansie.»

La stava ringraziando per la previsione che lei aveva chiesto a Usagi e Rei, con riguardo al suo futuro con Gen. Il rischio era stato quello di ricevere una risposta che non le sarebbe piaciuta, ma per Makoto ne era valsa la pena. Il suo scopo era stato quello di capire se le loro amiche fossero in grado di vedere il futuro quando si trattava di questioni molto personali, che riguardavano proprio i membri del loro gruppo. Usagi e Rei avevano confermato di non riuscire a prevedere se Gen sarebbe rimasto nella sua vita per sempre e Makoto aveva avuto la prova che Ami poteva raccontare a tutte della sua recente gravidanza, senza il timore di ricevere brutte notizie con riguardo al suo bambino.

Makoto era felicissima di essere stata d'aiuto e non si pentiva di nulla. Forse però quell'esperimento l'aveva resa più vulnerabile alle proprie paure, facendo reagire Gen di conseguenza.

Accarezzò il libro ancora avvolto nella carta da regalo. «Non dovevi.»

«Mi ha fatto piacere.» Ami notò il palo lavavetri che stringeva tra le dita. «Stai pulendo il negozio? Ti do una mano.»

«Oh no, ho praticamente finito! Sai, in verità capiti a proposito.»

«Hm?»

Caricandosi del secchio, invitò Ami ad entrare nel locale. «Ieri Gen è tornato a interessarsi al mio potere. Sai, a come può influenzarlo per il futuro.»

Ami comprese subito. «Ykèos?»

«Già.» Cercò di apparire noncurante, o almeno non eccessivamente preoccupata. «Tu poi hai studiato più a fondo questo legame?»

«No, ho solo le informazioni di base. Ti interessava qualche aspetto in particolare?»

Non voleva che prendesse la domanda per il verso sbagliato, ma... «Mi chiedevo se secondo te esiste la possibilità di... rescindere l'ykèos.»

Ami sbatté più volte le palpebre.

Makoto agitò le mani in aria. «Amo Gen. Lo amo così tanto che vorrei lasciargli la possibilità di scegliere.»

«Ma certo» comprese finalmente Ami. Si sedette e dedicò grande attenzione al suo problema, riflettendoci su mentre Makoto andava a svuotare il secchio con l'acqua sporca.

Quando lei tornò nella parte anteriore del negozio, Ami aveva elaborato una prima riflessione. «Non so se sia possibile rescinderlo volontariamente, se non smettendo di amare una persona. Ma non credo che questo legame sia stato pensato per essere una costrizione, sai? Se qualcuno non volesse questo 'dono', è possibile che esista un meccanismo per non imporlo.»

Era una speranza. «Anche continuando ad amare la persona?»

L'espressione di Ami non lasciò presagire una risposta positiva. Nel suo sguardo entrò una nota di pena. Stava immaginando ciò che Makoto aveva in mente: lasciare libero Gen, se necessario, pur faticando a dimenticarlo per anni - decenni persino.

Makoto cercò di spiegarsi. «È solo un'ipotesi, non so ancora cosa voglio. Cioè, so che vorrei passare il resto della mia vita con Gen, come tu con Alexander. Ma ci sono aspetti del nostro futuro su cui lui non ha ancora riflettuto a sufficienza e...»

Nel volto di Ami si aprì un mondo di comprensione. «So cosa vuoi dire.»

Giusto. «Avevi paura anche tu, per Alex.»

Ami sorrise, come se il riassunto fosse un eufemismo. Smise di preoccuparsi di se stessa e tornò a pensare a lei. «Non mi sono mai concentrata sull'ykèos però. Pensavo che, col tempo, se Alexander avesse deciso di allontanarsi da me, avrei smesso di trasmettergli una parte del mio potere.»

«Lo avresti dimenticato?»

Ami non disse niente.

«Avresti messo di amarlo?»

La sua amica diede voce alla desolazione che lei gli stava trasmettendo. «Temi di non riuscire a dimenticare Gen anche se non lo vedessi mai più.» Non fu una domanda.

Sentire quelle parole ad alta voce mise Makoto in ansia. «Sto solo ipotizzando, davvero. Non mi piace l'idea di intrappolare Gen. Vorrei potergli dire che sarebbe libero di vivere una vita normale se scegliesse... un'altra strada, lontano da me.»

Ami tirò fuori il computer della borsa. «Non sono in grado di dirti niente finché ne parliamo solo in teoria. Inizio ad immagazzinare dati.»

Era sensato, ma non mancava uno dei protagonisti principali della ricerca? «Gen non è qui.»

«Oh, ecco io...» Ami dibatté con se stessa prima di parlare. «Non volevo farti preoccupare, ma dopo quello che abbiamo scoperto su Yuichiro - e dopo che Alexander è stato molto male quel paio di volte, l'anno scorso... non ho voluto correre rischi con Gen. Ho creato una scheda per lui sul computer, quindi adesso sono in grado di rintracciarlo e studiarlo ovunque si trovi.»

«Oh.» Cielo, quanto era stata ingenua. Si era preoccupata solo del futuro, ma avrebbe potuto causare problemi a Gen persino nel presente. «La volta che l'hai studiato, cos'hai visto?»

Ami teneva gli occhi bassi, come se ancora si vergognasse della propria iniziativa. «Non l'ho propriamente studiato. Ho solo impostato il computer affinché emettesse un suono di avvertimento se gli fosse successo qualcosa. Una febbre alta per esempio, come ad Alexander.»

Makoto rabbrividì in silenzio.

Ami digitò più lentamente sulla tastiera. «Ho creato una scheda per Gen verso la fine dell'estate, ma adesso che ci penso...»

«Cosa?»

«Il tuo potere non aveva ancora dato via all'ykèos allora.»

Makoto boccheggiò. «Ancora no?» 

«Ho pensato che fosse perché... c'era ancora un pizzico di incertezza tra voi...»

Una nuova idea le entrò in testa a Makoto, causandole un piccolo buco nel cuore. «Pensi che sia possibile per una persona non accettare il legame, se non è convinta di volere l'amore che sta ricevendo?»

«Non credo.» Ma nella voce di Ami si era insinuato il germe del dubbio. Tornò a dedicarsi al computer. «Senza fare altre ipotesi, basta vedere che invece ora...» Si interruppe mentre il computer emetteva un suono.

Seduta accanto a lei, Makoto si mise sull'attenti. «Cosa?»

Ami guardava lo schermo e rispose solo dopo aver trovato le parole per comunicarle la notizia. «Su Gen non c'è alcuna parte del potere di Giove.»

... non c'era?

Sotto choc, Makoto cercò di trovare la forza di deglutire, di respirare.

Perché stava reagendo in quel modo?

... non era forse ciò che aveva voluto? Gen era ancora libero di prendere tutte le decisioni che voleva, in autonomia.

Ma perché non si era instaurato alcun ykèos tra loro? Forse lei lo amava abbastanza da non volerlo ingabbiare? O magari il suo amore era sempre stato monco, per paura. O forse ancora, nonostante tutto, la verità era solo che Gen aveva la possibilità di rifiutare quel legame.

Inconsciamente, senza neppure rendersene conto, magari lui aveva tenuto Giove lontano da sè.

Oh, lei non lo avrebbe biasimato. Non lo avrebbe biasimato affatto.

   


   

Di sera, Gen era più determinato che mai ad avere delle risposte. Se Makoto non aveva già cucinato qualcosa, pensava di portarla fuori a cenare, così magari dopo potevano passare a casa Foster. La chiamò per non intralciare i suoi piani. Lei rispose al primo squillo.

«Pronto?»

«Ciao, sono in macchina. Pensavo di stare insieme anche stasera - sono passato a prendere dei vestiti da casa. Vuoi mangiare fuori per caso?»

«Ho già preparato qualcosa. Vieni da me.»

«Okay. Senti, per quello che ho detto ieri...»

«Dài, non al telefono!» Il tono, allegro all'improvviso, gli suonò... tirato. «Ne parliamo durante la cena.»

C'era qualcos'altro di cui parlare? «Va bene. Arrivo tra mezz'ora.»

«Ti aspetto.»

 Trentacinque minuti dopo era nel suo appartamento. Entrò in casa, deciso ad affrontare subito l'argomento, ma il profumino speziato della cena lo distrasse. Oh. Ramen e tempura fumanti! Il suo stomaco cantò un inno alla gioia.

La serenità di Makoto lo convinse che la conversazione poteva aspettare.

«Bentornato» lo salutò lei, aiutandolo a togliere la giacca come una mogliettina premurosa.

Lui non riuscì a trattenersi dall'afferrarla in un abbraccio giocoso. Appoggiò sul suo collo un paio di baci veloci, che la fecero ridacchiare.

«Lasciami, altrimenti non riesco a servire la cena!»

Gen tornò sull'ingresso, a liberarsi delle scarpe  Per amor di ordine, aprì il borsone che aveva portato con sé e andò a riporre i vestiti nella parte di cassetto che Makoto gli aveva offerto. Era meglio occuparsi subito di quella piccola incombenza, così non ci avrebbe pensato lei. Makoto era il genere di persona che accettava un po' di disordine in casa, ma per via del poco spazio a disposizione aveva imparato a non lasciare in giro neppure un po' di caos, pena l'esserne piano piano sommersa.

Gen mangiò con gusto la cena di tre portate. Durante il pasto finì col notare il modo in cui lo sguardo di Makoto vagava nel nulla.

«Pensi che Ami e Alexander» le domandò, «siano tipi da accettare una piccola visita serale?»

La frase focalizzò l'attenzione di lei. «Gen.»

Lui rimase in attesa.

«Oggi Ami è passata a trovarmi al negozio, per caso.»

«Ah.» 

Il silenzio lo portò a formulare un'ipotesi. «Le hai domandato di...?»

«Sì.»

... c'era un motivo per cui, invece di parlarne, lei esitava? «Cosa ti ha detto?»

Makoto teneva gli occhi fissi sul tavolo. «Sappiamo troppo poco del legame di potere che fornirà la vita eterna alle persone che scegliamo. Ora come ora, l'unica certezza è che tra noi due... non si è ancora formato.»

... cosa?

Lei incontrò il suo sguardo, con una determinazione che gli lasciò pensare che avesse riflettuto a fondo sulla faccenda. «È positivo. Non significa che io non ti ami - non può essere così - ma, se ancora non ti influenzo col mio potere... è meglio. Credo a quello che mi hai detto ieri. Non c'è bisogno che me lo provi adesso, prendendoti degli impegni.»

Come avrebbe potuto prenderne, se per lui fosse stato impossibile vivere mille anni? «Ci sono delle alternative? Usagi potrebbe fare qualcosa?»

«Può darsi. Non stiamo a preoccuparcene ora.»

Come poteva parlare così? «Non è strano che le altre tue amiche abbiano creato questo legame con i loro compagni, e tu ed io no?»

Makoto evitò a stento una smorfia. «Magari dipende dal fatto che loro non sono planetarie come me. Forse il mio potere è troppo forte per te e quindi... non so, magari ti sto proteggendo evitando di apporlo sul tuo corpo. Inconsciamente» aggiunse, come per non fargli pensare che da parte sua vi fossero incertezze che potevano avere causato il fenomeno.

Gen memorizzò l'istante di disagio. «Non sei preoccupata?»

Makoto scosse piano la testa, affondando le bacchette nel ramen che non aveva ancora terminato. «Ieri sono stata una sciocca a piangere in quel modo per la tua lettera. La faccio troppo tragica, per tutto. So che sistemeremo in qualche modo se un giorno vorrai vivere sempre con me. Ci penseremo quando sarà necessario. C'è tempo.»

La tranquillità con cui lei stava accettando la situazione gli fece pensare che, chissà come, ci avesse ripensato.

... non aveva apposto quell'ykèos su di lui. Significava che, nel profondo di sé, forse aveva dei dubbi.

Gen umettò le labbra secche. «Ieri non ho detto quelle cose solo per far felice te.»

Makoto si commosse - in una maniera compostae adulta. «Lo so.» Fece il giro del tavolo e si sedette sul pavimento, per racchiudergli la testa tra le braccia. «Qualunque cosa ci voglia - Usagi o tutto il potere di Giove - io troverò il modo di darti una vita lunga mille anni, se vorrai. Ma ieri, anche se all'inizio ero tanto felice, poi ho cominciato a pensare a che sacrificio sarebbe stato per te.»

Sapere che stava pensando a lui lo rilassò e lo irritò al contempo. «Sono decisioni che posso prendere da solo.»

«Certo. Non arrabbiarti.»

«Non sono arrabbiato.» Era desolato.

Dopo che aveva finalmente trovato la forza di fare quel salto, si ritrovava catapultato di dieci passi indietro, nel mare di incertezze che aveva deciso di ignorare per amore.

Si scostò lievemente, per cercare risposte nel viso di lei.

Makoto non sfuggì al suo sguardo. «Non importa cosa dica il computer. Se dipendesse solo dai miei sentimenti, egoisticamente ti avrei già legato a me per il resto della nostra vita.»

Era ciò che lui aveva bisogno di sentire. «Non devo dare troppo peso a questo ykèos che non c'è, quindi?»

Lei cercò di non implorare troppo. «Sì, per favore.»

Non le avrebbe mai rifiutato nulla. Ricambiò il suo abbraccio con più forza, con Makoto che saliva sulle sue gambe.

Ebbe sulle labbra un'altra promessa - una dichiarazione del valore che gli aveva offerto lei - ma non riuscì a farla. Finché non aveva la sicurezza di una vita lunga, non poteva promettere niente. 

Forse tutto sarebbe andato a posto, ma se non fosse stato così...

Sarebbe finito dentro una tomba mentre Makoto era appena all'inizio della sua millenaria vita. A quel punto, qualunque frase, per quanto bella e sentita, sarebbe stato solo il ricordo di una promessa che non era riuscito a mantenere.

     

Febbraio 1998 - Lettera d'amore - FINE

  


 

NdA: Se avete seguito la pubblicazione delle anteprime sul gruppo Facebook, avrete visto come abbia faticato a venirmene fuori con l'ultimo pezzo del capitolo. Nella mia testa era chiaro il sentimento che volevo trasmettere, ma dopo una rilettura completa della prima parte mi sembrava che ci fossero troppe smancerie. In seguito che lo stile fosse troppo povero. Ieri, grazie a qualche lettura interessante, nella mia testa è spuntata d'improvviso la consapevolezza di avere in mano gli strumenti linguistici per terminare. Ho quindi aggiunto qualche dettaglio a livello di descrizione - che arricchisse il testo - e sono riuscita a terminare il capitolo senza colpo ferire.

Adoro sentirmi così, continuerò a leggere il libro che ho attualmente in mano - "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi - sperando che mi vengano nuove ispirazioni. Ma credo di sì, a volte mi manca davvero, solamente, la sensazione di essere capace di trasmettere adeguatamente le idee che ho in testa.

Fatemi sapere come vi ha fatto sentire questo capitolo! 

Le tribolazioni di Makoto e Gen sono solo agli inizi.

 

Elle

 

Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 18
*** Marzo 1998 - Bambini ***


Corrente naturale

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Marzo 1998 - Bambini

Un bambino, gioì Makoto. Un altro bambino nel loro gruppo dopo il figlio di Ami e Alexander. Rei e Yuichiro avrebbero avuto una deliziosa femminuccia e Makoto lo sapeva da neppure qualche ora.

Incapace di resistere oltre, comunicò alla sua assistente Eleonora che lasciava il negozio prima della chiusura. Invece di dirigersi a casa, fece una deviazione verso una merceria, dove si rifornì di gomitoli di lana colorati.

A casa provò a consultare un manuale prima di inforcare i ferri, ma per l'entusiasmo partì troppo veloce. Combinò un piccolo disastro, ma non si scoraggiò: erano anni che non lavorava a maglia.

Quando ebbe preso la mano, iniziò a pensare alla dimensione dell'oggettino che voleva creare: un paio di scarpine deliziose da neonato. Le stava facendo gialle per il momento, per decidere in seguito a chi donarle per prima tra Ami e Rei.

Provò a calcolare la dimensione del piedino che intendeva ricoprire. Non sarebbe stato più grande del suo palmo.

Misurando l'ampiezza con la punta delle unghie, si ritrovò a immaginare un piede con dita minuscole che si dimenavano. Sarebbe stato un piedino caldo, con piccolissime rughe, liscio e profumato. Le veniva già voglia di baciarlo.

Canticchiò: chi avrebbe ospitato per primo a casa sua? Visto il poco entusiasmo di Rei, probabilmente si sarebbe trattato della sua piccola. Sarebbe stato bellissimo farle da babysitter! Adorava i bambini piccoli e non aveva quasi mai occasione di averci a che fare.

Decise di accendere la radio, per dare un sottofondo musicale al suo lavoro. Durante l'inizio della prima pubblicità la toppa della porta d'ingresso fece un primo giro. Sorpresa, Makoto rimase a fissare l'uscio fino a che Gen non entrò in casa.

«Ciao!» lo salutò. «Non ti aspettavo.»

«Lo so. Anche io pensavo che fossi al negozio. Sono passato di lì, volevo farti una sorpresa.»

«Ti sei liberato prima?»

«Ah-ha, oggi il professore era malato...» Gli occhi di lui erano scesi sulle sue mani indaffarate. «Che fai? Ora lavori anche a maglia?»

«In effetti sono molto meno brava a fare questo che a cucire, però l'occasione lo richiedeva. Preparati per la novità!»

«Quale novità?»

«Oh, forse devo aspettare che te lo dica Yuichiro. Lo hai sentito oggi?»

«Kumada? No. Cosa dovrebbe dirmi?» Studiando il suo entusiasmo Gen iniziò a produrre una risata. «Non avrà mica chiesto a Hino di sposarlo.»

«Ma se erano in crisi fino a una settimana fa.»

«Sarebbe proprio da lui risolvere in questa maniera.»

«In effetti mi sa che tra poco lo farà comunque. Sta per diventare papà.»

Gen quasi mancò il materasso nel sedersi. «Cosa?»

«Non ci credevo nemmeno io!» A momenti saltellava sul letto. «Lui e Rei stanno per avere una bambina!»

«Ma... Eh?»

Non le sfuggì il motivo dello scombussolamento del suo ragazzo. «Lo so, non avrebbero dovuto essere in grado di procreare insieme - non adesso, almeno - ma a quanto pare qualcosa non ha funzionato nelle precauzioni di potere. La loro piccola ne ha un po'.»

«Potere?»

Makoto annuì. «E non è quello di Rei. È molto strano a pensarci bene e nemmeno lei sa spiegarselo. Ovviamente adesso ha altri pensieri per la testa. La sua vita è sottosopra.»

Gen ancora non aveva smesso di sgranare gli occhi. «Le tue amiche si stanno riproducendo senza controllo.»

«A noi non succederà, non preoccuparti.»

Percepì l'improvvisa rigidità di lui e desiderò non aver detto nulla. «Voglio dire... Ami e Rei non sono pianeti come me. Io sto su un'altra barca.»

Gen non disse nulla. Quando alzò gli occhi per controllare, Makoto vide che lui stava lisciando le coperte del letto con un dito. «Credo» le disse, «che sia comunque meglio cominciare ad usare dei preservativi.»

Per non rischiare di avere bambini insieme. 

Per un attimo le parve un segnale chiaro del fatto che Gen non desiderasse avere figli con lei, ma si disse immediatamente di smetterla.

Era ridicolo, lui voleva solo essere prudente. Lei aveva talmente tanto da fare che non voleva bambini in quel momento. Li voleva un giorno... e per un istante si era quasi dimenticata che comunque il problema per loro non sussisteva. «Se preferisci usare precauzioni» chiarì, «per me va bene. In ogni caso pare che i poteri di previsione di Rei siano tornati in forze. Se lo desideri chiederò a lei conferma del fatto che non avremo problemi in questo senso.»

Il cenno di assenso di lui fu rapido e distratto.

Makoto riprese a muovere i ferri tra le dita.

«Cosa stai creando?»

«Delle scarpine da bebé. Mancano tanti mesi, ma non sono riuscita a trattenermi. Sono piena di amore materno per i bambini di Ami e Rei!»

Il sorriso di lui si accese solo a metà.

Le venne in mente di dirgli qualcosa per fargli capire che non c'era motivo di sentirsi a disagio, ma, mentre continuava a intrecciare i fili di lana, si rese conto che c'erano molte ragioni per essere straniti e confusi dalle novità che stavano coinvolgendo persone vicine a entrambi.

Li costringeva a confrontarsi con una realtà che era così lontana dalle loro esperienze attuali da essere in genere relegata di solito a un angolino della mente - insieme ai pensieri su come sarebbero stati tra vent'anni e su cosa avrebbero fatto da grandi.

Gen si alzò, dirigendosi verso il tavolo al centro della stanza. Si mise comodo facendo scricchiolare le dita dei piedi. Dopo essersi sgranchito, iniziò a sfogliare indolentemente una delle riviste aperte sul ripiano.

Non sfogliava mai riviste.

Makoto parlò prima di pensare, sentendo che stava per porre una delle domande più importanti della propria vita. «Tu vuoi dei bambini?»

Gen sobbalzò con le spalle. «Cosa?»

Lei evitò di ripetere la domanda solo per non balbettare. Con ogni istante che passava però stava prendendo coraggio.

Per qualche secondo lui mosse la bocca senza produrre suono. Sapeva benissimo cosa avrebbe significato risponderle. «Non lo so» dichiarò alla fine. «Non adesso.»

«Ma un giorno?» insistette lei.

Gli lasciò il tempo di formulare le parole e, quando lo sentì esitare, alzò gli occhi. Gli comunicò con lo sguardo che non desiderava risposte di circostanza o altre ipotesi. Neppure parole che servissero solo a farla contenta. 

«Immagino di sì» confessò infine lui.

Lei non si era aspettata nulla di diverso. Gen era fatto per diventare un padre. Aveva un piglio autoritario e tanto amore da riversare su persone di cui poteva prendersi cura.

«Io adotterò» affermò lei, mentre tornava ad agitare i ferri. Si rese conto di cosa stava sottointendendo su loro due non includendolo nel discorso, ma quello era un momento di verità assoluta che meritava rispetto. Deglutì. «I nenonati mi piacciono, ma non sarà importante che si tratti di bambini piccoli. Un bambino con cui poter già parlare sarà comunque bello. Sento che avrò tanto da dargli.»

Lui cercò di dire qualcosa, ma non riuscì.

Lei avrebbe tanto voluto dirgli che ovviamente quei bambini sarebbero stati figli di tutti e due, ma sarebbe stata un'imposizione e forse una falsità. L'unica certezza che aveva nella vita erano i secoli per cui sarebbe vissuta ed era sicura che, almeno ogni cento anni, avrebbe adottato un bambino. Sarebbe stato troppo solitario stare senza. Dopotutto, non le sarebbe toccato un piccolino tutto suo, dai piedi minuscoli, per altri nove secoli e anche in quel caso... Quella bambina, l'erede di Giove, non sarebbe stata figlia di Gen. Nemmeno il potere di Usagi poteva piegare in quel modo un'energia planetaria.

Capiva come questo potesse ferirlo. Capiva perché fosse più allettante e semplice la prospettiva di una vita normale, con un bambino del proprio sangue da concepire nei prossimi dieci anni.

Un bambino col viso di Gen era qualcosa di cui il mondo aveva bisogno, a prescindere dalla madre da cui fosse nato.

Mosse più velocemente i ferri, cercando di smettere di pensarci. «Scusa. Ho pensato troppo a questi bambini che nasceranno; fare queste scarpine mi ha fatto sragionare! È che sono carine, no?» Gli mostrò la dimensione che aveva in mente.

Lui guardava lo spazio che lei aveva segnato con le dita. Era calmo, quieto al punto da essere spento. «Sarai una zia grandiosa.»

Esatto, per ora questo le bastava. «Scusa di nuovo.»

«Non chiedere scusa.»

«Ma mi dispiace.»

«Perché tieni a me.»

Lei non ebbe bisogno di annuire velocemente; non c'era nervosismo nella sua risposta. «Con tutta l'anima che ho.»

«Con tutta l'anima che ho io, Mako, voglio che nella vita tu abbia tutto quello che desideri.»

La comprensione la riempì di un'ondata di malinconia. «Grazie.»

Dopo un sorriso lui non disse più nulla. Mentre lei lavorava ai ferri sbagliando metà punti e lui fingeva di leggere, non parlarono per più di un quarto d'ora.


     

Marzo 1998 - Bambini - FINE

  


 

NdA: Rieccomi con questi due! In una maniera triste, ma vi avevo avvertito: ora inizia la loro grande scalata. Non sarà un percorso semplice.
Siate buoni, fatemi sapere che pensate di questo aggiornamento!

 

Elle

 

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Capitolo 19
*** Agosto 1998 - In estate la passione ***


correntenaturale - calura

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Agosto 1998 - In estate la passione

  

La beatitudine era un concetto effimero finché non si riposava sdraiati su una spiaggia, sotto il sole, con un venticello fresco che solleticava la pelle. A pochi metri di distanza lo scroscio delle onde gli cullava la mente. Gen sapeva che non sarebbe stato lo stesso senza Makoto accanto: la schiena di lei era morbida sotto le sue dita, setosa come un frutto maturo. Gli bastava aprire gli occhi per trovarsi davanti le sue natiche rotonde che tendevano il tessuto elastico di un bikini verde. Se avesse saputo cogliere l'inquadratura, avrebbe fotografato la propria mano baciata dal sole che aleggiava sulla colonna vertebrale di lei, a pochi centimetri dal costume, coi polpastrelli che giocavano coi minuscoli peluzzi visibili solo alla luce diretta del giorno. L'immagine gli avrebbe ricordato un momento di pace assoluta, di contatto. Quando toccava Makoto si sentiva vicino a lei come in nessun altro modo.

«Mi rimarrà il segno della tua mano sulla schiena...»

Il mormorio lo fece sorridere. «Per via dell'abbronzatura?»

«Già. Mi vuoi marchiare?»

«No. Adesso trovo un altro posto da accarezzare.»

Makoto si stiracchiò e si voltò su un fianco. «Sento che allarghi il palmo quando passa qualcuno, come per coprirmi.»

«Non per coprirti, per ricordare che ci sono. Lo faccio solo quando passano dei maschi.»

«Siamo sdraiati vicini. Sanno già che stiamo insieme.»

«Non riesco a trattenermi, è un istinto. Ti guardano perché non possono farne a meno, ma un'occhiata di un secondo è tutto quello che permetto. Se vogliono sbavare su un sedere da favola, è meglio che si comprino una rivista.»

Appagata dal complimento, Makoto si sedette sulle ginocchia. «Mi viene voglia di fare una cosa, per stuzzicarti.»

«Cosa?»

«Potrei slacciare il reggiseno sulla schiena. Sai, per ottenere una bella abbronzatura.»

Sarebbe stata una bella idea in una spiaggia privata. «Così farai diventare uomo il ragazzino di tredici anni a tre ombrelloni di distanza. Quando sei arrivata e ti ha visto il seno, gli stavano scoppiando gli occhi.»

«Sei un perverso! È solo un bambino.»

Meglio che non le dicesse a che età aveva scoperto la masturbazione.

Makoto si chinò a baciarlo sulla bocca. «Vado a cucinare il pranzo. Raggiungimi dopo, okay?»

Perché mai? «Vengo con te, non devi servirmi.»

«Ma a me piace.»

Gen si alzò e si sporse verso il suo orecchio. «Non sono questi i servizi che amo ricevere da te.»

Makoto rabbrividì e mentre raccoglieva le loro cose sussurrò, «In quel campo non amo solo dare.»

Lui fece per darle una pacca sul sedere, ma lei scappò veloce in avanti, ridendo, diretta al promontorio che portava all'uscita dalla spiaggia.

 

Entrando nell'appartamento che avevano affittato, Gen si lasciò sfuggire una smorfia. In casa l'aria era densa e calda, afosa. Si stava peggio dentro quelle quattro mura che fuori. Il sole del primo pomeriggio picchiava dritto su di loro.

«Meglio chiudere le ante» commentò Makoto, appoggiando borsone e asciugamano sulla sedia più vicina.

«Faccio io» disse lui, e andò a serrare le finestre di tutta la casa. Per provare a recuperare un po' di fresco trafficò col telecomando del condizionatore attaccato alla parete. Non era un aggeggio moderno, ma secondo l'agenzia immobiliare faceva il suo lavoro. Nel tempo che impiegò a farlo funzionare, Gen sentì scorrere l'acqua della doccia.

«Fai un bagno?» domandò.

«Mi risciacquo dal sale» rispose Makoto.

Hm, poteva farlo anche lui. Si mosse per raggiungerla, ma appena arrivò sulla soglia del bagno si fermò, imbambolato.

Makoto aveva lasciato la porta aperta. Sotto lo spruzzo della doccia, voltata di schiena, indossava solo gli slip del costume, il viso sollevato verso il getto d'acqua che le infradiciava la testa, scivolandole sul corpo.

Lei possedeva la curva dei fianchi più perfetta che lui avesse mai visto. Dai suoi capelli l'acqua viaggiava lungo la schiena, indugiando nella piccola rientranza delle fossette che davano inizio al suo sedere. Il lycra bagnato del costume le abbracciava le natiche. In controluce la sua pelle ricoperta da rivoli e gocce appariva dorata, più scura. Per essere più divina Makoto doveva solo essere nuda.

Gen levò la maglietta che indossava, gettandola sul pavimento. Arrivando alle spalle di lei le cinse la vita con le mani.

Con un piccolo sussulto Makoto voltò. «Vuoi risciacquarti anche tu?»

Vederla gli aveva mozzato il respiro. Il suo viso era...

«Cosa c'è?»

«Ti sei abbronzata.»

«Davvero?»

Annuì. Dentro casa si notava di più. Le labbra di lei erano più rosate e accese, i suoi denti apparivano più bianchi, i suoi occhi più verdi. L'acqua che continuava a scorrerle sul volto aveva tirato indietro la frangia, liberandole la fronte.

Makoto era bella in una maniera che si era quasi scordato di aver visto. L'immagine usciva direttamente dall'estate precedente, quando erano andati in spiaggia per la prima volta. Come aveva potuto fare a meno di vederla così?

Lei rideva. «Vieni sotto la doccia. Quest'acqua dolce è una delizia!»

Gen si avvicinò per baciare la vera delizia - lei - ma appena ricevette il getto dell'acqua in viso, gemette. Tirò indietro la testa e si lasciò sfuggire un ansito di godimento.

«È fantastica, vero?»

Lui bevette a bocca aperta gli spruzzi, beandosi del gusto fresco. Sulla pelle la sensazione era rigenerante: non aveva sentito il sale del mare addosso finché non era stato lavato via dal suo corpo.

Makoto gli causò un brivido posando un bacio sul suo collo.

«Anche tu hai preso un po' di colore, sai?»

Non era in grado di focalizzarsi sulle parole se sentiva i suoi capezzoli duri che gli premevano contro il torso.

Makoto lo distrasse ancora di più percorrendolo con le mani dal petto sino allo stomaco. Chinò la testa, sfiorando con le labbra il contorno di un pettorale.

«In spiaggia c'erano momenti in cui volevo leccarti dalla testa ai piedi.»

Gen trovò la forza di respirare. «Bastava dirlo. Tornavamo qui in meno di un minuto.»

«Ma io volevo rimanere vicino all'acqua. Sulla sabbia, sotto il sole...»

Come la capiva. «Senza il costume avrei potuto farti questo.» Le prese i seni a piene mani, usando i pollici per stuzzicare in piccoli cerchi due delle parti che preferiva in lei. Erano rosate, più scure dei monti pallidi e gonfi che gli rimpievano i palmi. Chissà come sarebbe stato vedere anche quelle punte baciate dal sole, leggermente bruciate...

Makoto aveva abbandonato la testa all'indietro, tornando a baciare e assaggiare lo spruzzo della doccia.

«Preferisci l'acqua a me.»

Lei gli offrì un sorriso beato. «Vi voglio tutti e due. È perfetto stare così.»

Oh, sì. Era l'estate al suo massimo. Come stare sotto una piccola cascata tutta loro.

Aprì la bocca su quella di Makoto, per sentire il sapore della sua lingua. Gemettero insieme nel piccolo spazio del bagno, avvolti da una nuvola di vapore fresco. Si gustarono con lentezza, riscoprendo daccapo il sapore che avevano dopo una giornata sotto il sole, mentre l'acqua si insinuava tra le loro bocche. Bevvero e si baciarono, respirando a fatica, continuando a cercarsi senza saziarsi.

Gen non aveva alcuna intenzione di smettere di adorare la bocca di Makoto, ma sentiva il bisogno fisico di averla nuda contro di sé. Trovò l'elastico del suo bikini, tirandolo giù lungo i fianchi. Spogliarla era erotico quasi quanto stringerla senza più nulla addosso.

Aggrappata a lui, Makoto insinuò le dita nell'elastico dei suoi boxer fradici. Trovò la sua erezione e la accarezzò con intento.

Per il piacere Gen serrò gli occhi.

Makoto gli sfuggì dalle braccia, scivolando coi seni lungo il suo corpo fino a fargli sentire un capezzolo contro la coscia. Vi si strofinò contro lussuriosamente mentre si inginocchiava meglio sul pavimento, accanto allo scarico. Posò baci aperti sul muscolo più basso del suo ventre mentre gli abbassava il costume.

Gen cercò di tirarla su per un braccio, ma il bollore della bocca di lei contro l'asta della sua erezione gli fece cambiare idea.

Si morse le labbra, gemendo in silenzio, diviso tra il piacere che Makoto gli stava donando e la vista del suo corpo, troppo parziale per soddisfarlo. Chinata com'era ad adorarlo Makoto era splendida, ma in quella posizione lui poteva toccarle solo il viso e se lei continuava così... Strinse i denti quando lei raccolse tra le mani i suoi testicoli. Se continuava così tutto quanto sarebbe finito in fretta, troppo in fretta.

La sollevò di peso, scuotendo la testa.

«No?» gli domandò Makoto.

«Non ora.»

Le strattonò via il bikini fino a levarglielo da sotto i piedi. Makoto cercò di aiutarlo a fare lo stesso coi boxer, ma lui ci pensò da solo. Lei gli si schiacciò contro, baciandolo dove capitava - sotto l'orecchio.

«Non mi vuoi in ginocchio per te?»

Il membro di Gen arrivò alla massima erezione.

«Non mi vuoi dentro di te?»

Gli occhi di Makoto si annebbiarono. «Contro la parete della doccia?»

Era un'idea stupenda, considerato che avevano posto. Pensandoci, era la posizione ideale anche per altre idee.

Makoto lo aiutò nel farsi sollevare fino ad avere la schiena contro le piastrelle del bagno. La presa delle sue gambe era salda e forte intorno alla sua vita, tanto che non aveva quasi bisogno di sostenerla. La schiacciò comunque contro la parete: aveva intenzione di farle perdere ogni concentrazione.

Invece di penetrarla, trovò il suo sesso con le mani. Makoto aprì le labbra, sorridendo di godimento mentre la doccia le bagnava con violenza le palpebre chiuse. Lo credeva un mero preliminare.

Lui giocò con la sua carne calda, percorrendo ogni insenatura, guadagnandosi mugolii e e carezze sulle spalle. Poi usò le dita per entrare nel corpo di lei. Dopo la morbidezza stretta degli inizi trovò una zona in rilievo ruvida, a poca distanza. La conosceva, sapeva cosa causava a Makoto. La massaggiò coi polpastrelli, causandole piccoli sussulti.

«Gen...»

Makoto si allontanò dall'acqua per respirare e lui rimase concentrato sul suo viso. Poteva baciare quelle labbra rosse. strofinare e accarezzare quelle guance, farsi guardare supplicante da quegli occhi verdi...

Andando più a fondo trovò il centro del corpo di lei con le dita, facendola irrigidire sino alla punta dei piedi. Stava toccando una protuberanza larga e rotonda, dura, che in quel momento era bassa nel ventre di Makoto. Era una parte di lei che chiedeva contatto e tanta attenzione. Lui non si fece pregare e glieli offrì.

Le provocò un sospiro di tale abbandono che il suo corpo prima si sciolse, poi iniziò a dondolare, cercando da solo altro piacere. Lui non glielo negò, ma proseguì apposta con lentezza.

Makoto iniziò a picchiarlo piano sulla spalla, girando con la testa da una parte all'altra. «Basta! Non voglio le dita...»

«Fa male?»

«No...»

Allora avrebbe subito. Gen trovò col polpastrello il piccolo foro della sua cervice, strofinandolo piano. «Ricordi quando ci baciamo in questo punto?»

Makoto ansimò in risposta, veloce. Era sempre più tesa ed eccitata.

Lui continuò a parlare al suo orecchio. «Mi muovo per incontrarti esattamente qui, perché se solo potessi entrare più a fondo dentro di te...»

Stimolò l'intera corona di quel piccolo organo, poi estrasse le dita da lei.

«No!»

Agitandosi nelle sue braccia, Makoto cercò di unire i loro bacini. Fu una lotta bloccarla dall'impalarsi su di lui e Gen la vinse solo arrivando a stimolarla sul clitoride.

Makoto trattenne a forza un grido.

Gen la schiacciò tra sé e il muro, senza smettere di muovere con insistenza le dita sulla sua piccola cresta. «Lasciati andare.» Affondò il naso nel suo collo e inebriato non riuscì a smettere di baciarla su quei lembi di pelle. Rigida, lei muoveva convulsamente le mani sulle sue spalle, rabbrividendo dappertutto.

«Lasciati venire. Fammelo sentire.»

Gli spasmi dei muscoli di Makoto raggiunsero un picco e deflagrarono, perdendosi in un ritmo incontrollato.

Il gemito lungo e acuto che le sfuggì dalla gola fu di immensa soddisfazione per lui. Seguì le ondate dell'orgasmo di lei passo per passo, guardandola in viso e rispondendo con la mano al movimento bramoso dei suoi fianchi.

La osservò di nuovo da capo a piedi mentre si dimeava - un premio per lui - poi fissò meglio i suoi seni e si ritrovò a boccheggiare. I capezzoli le erano diventati più appuntiti, gonfi e duri. Ne catturò uno in bocca, causandole un singulto che seppe di piccola protesta. Ma il ventre di lei era di altro avviso.

«Sai cosa farò adesso, vero?»

A corto di fiato, Makoto recuperò forza nelle gambe, tornando a sollevarsi su di lui. «Muoviti.»

Gen avrebbe riso se la sua erezione non fosse già affondata in lei. Quasi gridò lui stesso: Makoto era bollente e vellutata, la perfezione fatta corpo femminile. Spinse in lei coi fianchi, forte, a ripetizione, udendo un mugolio in risposta a ogni movimento. Si spostò di lato, di poco, solo perché l'acqua smettesse di colpirli.

Si appoggiò meglio contro il muro e riprese a martellare col bacino. Makoto aveva cercato di guardarlo, ma smise, gettando la testa all'indietro.

Lui decise di afferrarle le natiche, per tenerla ferma mentre cercava di posizionarsi nel modo che gli avrebbe concesso di...

«Ahh!»

Ecco. Premette in modo che la punta del suo membro incontrasse il rilievo più intimo e sensibile del corpo di lei, così puro da rimanere sempre chiuso. Poteva toccarlo solo quando Makoto era molto eccitata, baciarlo in quella maniera, e sentire l'effetto che le faceva.

Se lo godette appieno, cercando senza remore di aprirla ancora di più mentre gemendo lei sussultava e lo stringeva.

Venne mentre la faceva venire più forte che mai, non seppe nemmeno lui quante volte.

Quando smisero di muoversi, spossati, Makoto rilasciò un lamento.

Con una mano Gen serrò la doccia. «Ti... ti porto sul letto?»

«... riesci?»

Lui impiegò diversi secondi a muoversi. Si riprese solo quando Makoto fu sul punto di scendere, abbracciandola più forte per impedirglielo. «Non ti faccio cadere.»

Si sentì accarezzare la testa mentre barcollava verso la stanza.

Makoto era riuscita ad afferrare un asciugamano nel percorso, ma bagnarono comunque le lenzuola quando vi finirono sopra, spaparanzati su tutta la superficie.

Dopo un po', lui trovò la forza di allungare una mano per toccarle lo stomaco. «Non ti ho fatto male, vero?»

Makoto si sollevò su un braccio e con più energia di quanto dovesse essere possibile, apparve col viso sorridente sopra il suo. «È successo una sola volta. Ti ho quasi slussato una spalla, ricordi?»

In effetti...

«Invece adesso sei ancora tutto intero» concluse lei, chinandosi a baciarlo.

Completamente stremato e appagato, Gen accettò ogni singolo gesto di riconoscenza e affetto, senza muoversi.

Quando ebbe abbastanza forze si sollevò e la fece sdraiare, piegandosi in avanti per posare un bacio sonoro dritto sopra il suo pube.

«E questo?» sorrise Makoto.

«Ringraziavo. Se non fosse per lei...»

«Lei?»

«Sì. Lei che è imprevedibile, dolce, accoglientissima. Cambia di giorno di giorno, non è mai la stessa. Scoprirla è sempre una sorpresa. E regala a tutti e due di quegli orgasmi...»

Makoto stava avendo un attacco di risa. «Stai trattando la mia vagina come se fosse una persona?»

Lui la tenne stretta per i fianchi, per posare da fuori un altro bacio su quel fantastico organo. «Ma quale persona, è una dea. Non sminuirla.»

Ricadde divertito sul letto mentre Makoto si dimenava sull'altro lato, tenendosi lo stomaco per i sussulti.

Lui si stiracchiò, recuperando l'asciugamano e portandolo ai capelli. Iniziò a strofinare.

Makoto si colpì forte il petto prima di riuscire a parlare. «Anche io ho qualcosa da dire sul tuo coso.»

'Coso'?

Lei gli tappò la bocca con le mani, per non udire le sue risate.

«Io penso» dichiarò seria, «che lui abbia una cotta per me.» Gli liberò il viso.

«Una cotta, eh?»

Makoto annuì. «Si mette sull'attenti appena gli mostro un minimo di attenzione. Basta che io lo guardi, ma funziona anche fargli vedere la scollatura, o il sedere. A quel punto va in estasi ed è pronto a tutto. Il bello è che si comporta così solo con me.»

Gen le passò l'asciugamano sulla schiena, avvolgendole con delicatezza la testa. «Sì, il signor Coso prima era meno discriminante. Ma adesso è innamorato.»

Makoto diede una pacca al suo basso ventre. «Perché ha incontrato qualcuno alla sua altezza. Io riesco a sfinirlo e gli do tutto quello che vuole.»

Come non essere d'accordo? «Per oggi gli manca giusto la parte con te in ginocchio.»

Makoto gli rubò l'asciugamano. «Così impari a fermarmi.» Scappò in bagno e gli lanciò un altro telo con cui asciugarsi. «Vado a cucinare! Sono piena di energia!»

Lui invece voleva dormire su quel letto per almeno mezz'ora.

«Gen?» lo chiamò Makoto dalla cucina.

«Sì?»

«Ti faccio un dolce! Quale vuoi?»

Un dolce? «Non hai gli strumenti.»

«Mi arrangerò con quello che trovo! Sarà divertente.»

«E gli ingredienti?»

«Andiamo a comprarli, faccio il dolce stasera! Tutto per te!»

Gen non riuscì a rimanere sdraiato sul materasso. Quando lei gli parlava in quel modo il suo petto si espandeva, minacciava di scoppiare.

«Il pranzo invece sarà una sorpresa, okay? Ti leccherai i baffi.»

Lui si avvolse l'asciugamano intorno alla vita e la raggiunse nell'altra stanza. Rise. «Cucinerai nuda?»

Lei alzò un dito. «Giusto! Me n'ero dimenticata!»

Andandole incontro l'avvolse nel suo asciugamano, baciandola su una guancia - il punto che le piaceva di più quando si sentiva romantica. Gen voleva confessare più che mai che in quei momenti era il bacio che preferiva anche lui.

«Non cucinerai senza di me» le disse infine.

«Perché?»

Scrollò le spalle. «Prima o poi devo imparare altre ricette.»

«Ci sono già io che cucino bene.»

Certo, e non sarebbe mai arrivato ai suoi livelli, ma se preparandole un dolce un giorno aveva la speranza di farla sorridere come capitava a lui... «Lasciami fare da assistente.»

Lei se lo meritava.

Makoto si riempì di un sorriso. «Andiamo a vestirci.»

La seguì in camera.

Voleva imparare a fare tante cose per lei. Tante, troppe.

Aveva solo bisogno di tempo e di un mondo che non cambiasse troppo presto tutto ciò che erano.

Così, forse, tra loro non sarebbe cambiato niente, anche quando fosse cambiato tutto.

Le strinse la mano, ma Makoto non seppe mai perché.


  

Agosto 1998 - In estate la passione - FINE

  


 

NdA: Ecco la lemon promessa sul gruppo FB, con un mesetto di ritardo. Spero che ne sia valsa la pena, fatemi sapere :)

 

Elle

 

Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 20
*** Agosto 1998 - Effusioni ***


correntenaturale - calura

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Luglio 1998 - Effusioni

  

Di lunedì mattina, Makoto passò una mano sul vetro offuscato del bagno, per guardare il proprio riflesso. Abbozzò un sorriso, sollevò le sopracciglia, fece un paio di smorfie carine. Soddisfatta, lanciò un bacio alla propria immagine. Era uno di quei giorni in cui si trovava più bella del solito. La sua pelle appariva più luminosa, le sue labbra più piene e le sue ciglia più lunghe. Probabilmente era merito della doccia. Quale modo migliore di iniziare una calda giornata estiva, se non rinfrescandosi da capo a piedi?

Ora, se voleva mantenersi fresca, doveva scegliere bene cosa mettersi.

Era un bel dilemma. Da un po' non aveva tempo di fare acquisti. Era sempre così difficile trovare capi che non si appiccicassero alla pelle con l'arrivo dell'afa.

Seminuda, coi capelli ancora bagnati sulle spalle, si inginocchiò sul pavimento, aprendo l'ultimo cassetto del suo guardaroba. Era quello che controllava meno di frequente. Forse lì dentro c'era qualcosa di utile.

Tirò fuori una magliettina sbiadita, un paio di pantaloncini jeans sdruciti e una marea di calze spaiate. In fondo al cassetto recuperò un vestitino. Lo allargò tra le mani, tirandolo su.

Era proprio minuscolo. Quand'era l'ultima volta che lo aveva messo? Prima che le crescesse il seno, poco ma sicuro. L'abitino era bianco, con due spalline molto sottili che sorreggevano due triangoli che avrebbero dovuto coprirla sul petto.

Valeva la pena di fare un esperimento. Portò l'indumento sopra la testa, calandolo sul corpo. Per farlo calzare dovette fare un secondo tentativo, allungando le spalline che - ora rammentava - fungevano come quelle di un reggiseno. Bei tempi quelli in cui si sarebbe potuta permettere di non indossarne uno.

Andò allo specchio posizionato accanto all'ingresso. Nel vedersi, spalancò la bocca. Ora ricordava perché non aveva mai messo quel vestito! Era delizioso, ma semi-trasparente. Il tessuto lasciava intravedere il colore delle sue areole. Purtroppo era il minore dei problemi: i triangoli di stoffa le coprivano appena metà seno, lasciandole mezzo petto di fuori. Sembrava una specie di gravure model, pronta per un servizio fotografico per soli uomini.

Udì un sibilo. Ahh, l'acqua nella teiera stava bollendo!

La versò nella sua tazza da colazione preferita, canticchiando mentre sceglieva la variante aromatica di té da gustare quella mattina.

Era bello avere una giornata libera, di tanto in tanto. Per la pasticceria aveva assunto due collaboratrici, ma era sempre necessaria la sua presenza negli orari di apertura. Inoltre aveva spesso commissioni speciali per matrimoni o altre ricorrenze - faccende che non poteva delegare. Forse doveva smettere di accettare nuovi ordini. Il suo piccolo business era abbastanza cresciuto. Anche assumendo una terza persona, sarebbe stato difficile stare dietro alla crescente popolarità della sua pasticceria. Doveva puntare a essere un servizio familiare, molto esclusivo. In fondo, aveva giusto un altro annetto pieno prima di dover dire addio a tutto quanto.

Scosse la testa, tornando al presente. Non aveva senso focalizzarsi su ciò che sarebbe stato. In quel momento aveva una casa da pulire.

Si diresse al cesto dei panni, per scegliere i vestiti con cui caricare la lavatrice.

Una gocciolina d'acqua le cadde dai capelli lungo la schiena, ricordandole del vestito che indossava.

Certo che era proprio fresco. Non le arrivava neppure a metà coscia, lasciandole le gambe completamente libere. I triangoli di tessuto le sostenevano il seno, a modo loro. Non dover portare due strati di stoffa sul petto era una cosa nuova.

Per quel giorno il meteo prevedeva una massima di 34°. Con qualunque altro indumento era destinata a sudare, ma forse con quell'abitino... Si decise. Sarebbe rimasta così, tanto nessuno poteva vederla. 

Saltellò verso il bagno e recuperò la spazzola, rimirandosi allo specchio mentre pettinava i capelli bagnati. Afferrando i lembi volanti della gonna, accennò due passi graziosi di danza.

Sì, era proprio carina quel giorno. E aveva deciso il suo prossimo acquisto: avrebbe scandagliato i negozietti di Tokyo cercando quello stesso tipo di tessuto leggero, in un'altra variante di colore. Rosa, magari. Si sarebbe cucita un abito identico a quello, con le sue attuali misure. Ne sarebbe venuto fuori qualcosa di delizioso e abbastanza decente da essere indossato fuori casa.

Il silenzio del suo appartamento cominciò ad annoiarla. Era ora di mettere su un po' di musica! Non c'era niente di meglio di un buon canale radio per conciliare le faccende domestiche.

Si mise all'opera.

   

Quel giorno Gen si sentiva fortunato. L'incontro con Shimazaki presso il sito di nuova costruzione si era concluso prima delle nove di mattina. Il committente non si era presentato a causa di un imprevisto. Irritato, l'architetto Shimazaki aveva mandato tutti a casa per mezza giornata. 

Dirigendosi verso la propria moto, Gen tirò fuori il telefono. Non si trovava lontano dall'appartamento di Makoto, poteva fare un salto da lei. Erano tre giorni che i loro orari non coincidevano.

Chiuse il cellulare. Le avrebbe fatto una sorpresa. Lei credeva che non si sarebbero visti fino a mercoledì.

Erano in una di quelle pause alle visite notturne su cui ogni tanto Makoto insisteva. 'Tua madre inizierà a chiedersi perché non ti trasferisci qui, visto che stai sempre da me.'

Lui non poteva darle torto. Non si sentiva ancora a suo agio all'idea di lasciare la casa della sua famiglia. Ogni volta che stava lì, Shori, e soprattutto Miki, lo travolgevano coi loro racconti e con richieste di consigli. Volevano la sua approvazione e attenzione. Anche sua madre era serena e appagata quando lui era in casa. Tutti desideravano ancora un po' di quell'unità familiare in cui avevano vissuto per tanti anni, prima che suo padre se ne andasse. Ogni cosa era cambiata da allora, ma Gen le avrebbe fatte cambiare ancora di più avesse deciso di trasferirsi.

Con sua madre avevano affrontato il discorso, qualche settimana prima.

'Puoi andare, se vuoi.'

'Io e Makoto non abbiamo ancora parlato di questo, mamma.' Era la verità.

La perplessità di sua madre era stata evidente. 'Lei è una ragazza e state insieme da un po'. Con tutto il tempo che passi a casa sua, avrà iniziato a farsi delle idee.'

Gen aveva cercato di buttarla sul ridere. 'Mi stai cacciando?'

'Sto cercando di darti dei consigli da mamma. Mi sarebbe piaciuto che restassi sotto il mio tetto ancora per tanto tempo, ma sarebbe stato possibile solo tu non avessi già trovato la ragazza giusta. Lei vive e si mantiene da sola, è un'adulta. Tu passi un sacco di tempo a casa sua. Sto solo dicendo che è normale che ci siano delle aspettative da parte sua. Non fare lo sciocco se non vuoi perderla.'

Non si era aspettato di sentir dire cose simili a sua madre. 'Guarda che va tutto bene tra me e Makoto.'

'E spero che vada bene ancora a lungo. Anche tu sei maturo per la tua età, Gen, ma devo ancora incontrare un ragazzo di ventitré anni che non si faccia venire i brividi all'idea di impegnarsi seriamente con una donna. Ti sto avvertendo: non fare sciocchezze. Anche se Makoto-san è arrivata presto nella tua vita, sarà molto difficile incontrarne un'altra come lei.'

L'approvazione di sua madre per Makoto lo riempiva sempre di soddisfazione, per cui si era concentrato su quella parte del discorso. 'Grazie per preoccuparti, mamma. Le dirò che l'apprezzi.'

'Lei lo sa già.'

Era vero anche quello. Makoto e sua madre andavano straordinariamente d'accordo. Miki la adorava e Shori la trovava molto simpatica. Era tutto... perfetto. O lo sarebbe stato, se lui e Makoto avessero potuto fare piani che andassero oltre l'anno.

Gen non era così convinto che Makoto lo volesse sotto il suo tetto in pianta stabile. Lei lo desiderava, nel profondo, ma... Da qualche tempo, lui aveva provato ad accennare al futuro. Puntualmente, lei cambiava discorso. Gen pensava di sapere perché. Lui non le aveva detto, 'Ti seguirò, ti starò accanto per l'eternità, mentre tu difendi e governi la Terra.' Aveva semplicemente menzionato piani che prevedessero lui e lei, nelle loro rispettive esistenze, per quel che ne sapevano adesso. Lui stava facendo un apprendistato presso un architetto, il suo sogno di sempre. Non era disposto a mettere in pausa la sua vita, firmando come lei carta bianca. Non ne vedeva la necessità. Voleva rimanere se stesso negli anni a venire, e continuare ad amare Makoto mentre lei diventava ciò che sentiva di dover essere. Quando avessero capito come sarebbe stata la nuova realtà di lei, di Giove - quella destinata a proseguire per mille anni - avrebbero deciso cosa fare della loro relazione.

Non era una questione di amore.

Se si fosse trattato solo di amore...

Lui non possedeva l'abnegazione totale di Yuichiro, né era come Alexander, che senza una sola preoccupazione per l'avvenire stava costruendo persino una famiglia con Ami Mizuno. 

Quel pensiero non lo atterriva. Figli, matrimonio, convivenza... Fossero stati quelli il problema.

Voleva solo assicurarsi di non vivere il resto dei suoi anni in una gabbia. Voleva poter decidere che cosa essere, che cosa diventare. Essere noto per sempre come 'il compagno di...' sarebbe stato fastidioso, ma mai quanto l'essere incatenato a un ruolo delineato, delimitato, in qualità consorte di una personalità politica e probabilmente militare come non se ne erano mai viste sulla Terra.

La sola idea di mettere in pericolo sua madre, Shori e Miki... Non ci voleva nemmeno pensare, o la sua decisione sarebbe stata devastante, ma chiara.

Le rimanenti conseguenze bastavano a coltivare i suoi dubbi. Lui compativa profondamente i miseri consorti dei comuni regnanti ancora esistenti sul pianeta - persone senza voce e con un'agenda fitta di impegni di rappresentanza su cui non avevano controllo. Manichini, per la maggior parte. Usagi e Mamoru avrebbero comandato sul nuovo regno terrestre, ma era facile immaginarsi almeno mezzo secolo di tumulti che avrebbero impegnato a pieno titolo ogni singola guerriera Sailor - loro e le loro famiglie.

Lui voleva plasmare il proprio futuro da solo. Non sentiva di poter resistere in una vita in cui fosse stato privato di quella scelta.

Non avrebbe dovuto nemmeno pensarci, dannazione. Le persone comuni non erano costrette a prendere simili decisioni. A Makoto chiedeva solo un po' di... normalità.

Al momento lei voleva la stessa cosa, perciò... il tempo avrebbe sistemato quella questione, no? Con lentezza e pazienza lui le avrebbe fatto capire di cosa aveva bisogno e che in nessun modo questo significava che volesse rinunciare a lei.

Era rimasto seduto sul sellino della moto, in silenzio.

Strinse i manubri tra le mani, accedendo il motore.

Quando pensava al futuro spesso gli veniva mal di testa.

Si trovavano ancora nel presente. Tanto valeva viverlo appieno.

Partì.

   

Makoto occhieggiò la cesta di panni puliti. Doveva stirare.

Il solo pensiero di essere sommersa dal vapore del ferro da stiro generò una gocciolina di sudore dietro il suo orecchio. Andò al rubinetto della cucina e si bagnò il collo con dell'acqua fredda.

Non poteva rimandare quell'incombenza per tutta l'estate; i vestiti non perdevano le pieghe da soli.

Coraggio, si disse. Avrebbe potenziato di una tacca il ventilatore e con un po' di televisione avrebbe superato anche quella sfida.

Andò all'armadio a muro accanto alla porta d'ingresso. Dietro le giacche e gli ombrelli aveva trovato un buco per l'asse da stiro. Lo caricò tra le braccia e lo portò in mezzo alla stanza, aprendolo tra il clangore ferroso dei tubi di sostegno.

Suonò il citofono.

Chi poteva essere? Un venditore porta a porta, o forse un vicino che aveva dimenticato le chiavi del portone.

Prese in mano il ricevitore. «Sì?»

«Indovina chi è.»

Il cuore le balzò in gola. «Gen!»

«Apri» rise lui.

Piena di gioia, Makoto gli obbedì immediatamente. Si voltò lesta per controllare lo stato della casa. Corse a rimettere l'asse da stiro al proprio posto e mise via un paio di panni che aveva lasciato distrattamente sul tavolo. Stava per preciparsi in bagno a darsi una sistemata, ma sentì bussare alla porta - due tocchi allegri.

Ridendo, aprì l'anta con energia. «Ciao!»

Sulla bocca di Gen rimase bloccata una parola. Lui calò con gli occhi sul suo seno.

Makoto si ricordò di quel poco che la copriva. Si schiaffò le braccia sul petto. «Non guardare!»

«Ahh....» Gen entrò in casa, chiudendo piano la porta dietro di sé. Serrò le labbra spalancate. «Hm.»

«È solo una cosa che ho messo per non morire di caldo.»

«È così che ti vesti quando non ci sono?»

Lei iniziò a ridere.

«Devo non esserci più spesso.»

Smettendo di fare la sciocca, Makoto abbassò le braccia. Non era niente che lui non avesse già visto. «Oggi sei riuscito a liberarti?» Portò le mani intorno al suo collo, ma Gen continuò a non guardarla in viso, gli occhi chini.

«Hmm...» mugugnò.

Lo aveva anche reso incapace di parlare.

Rassegnata e divertita, si allontanò da lui, dirigendosi verso la cucina per sistemare gli ultimi piatti sparsi. «È un vestito di quando avevo tredici anni.»

Lo sentì soffocare un'imprecazione.

«Cosa?» Si voltò.

«Niente.»

Non gliela raccontava giusta. «Non sapevo che venivi, altrimenti avrei messo su qualcosa di normale. Così almeno ti saresti ricordato di salutarmi.»

Gli diede la schiena e pochi attimi dopo sentì le mani di lui sulla vita, come aveva voluto.

«Ciao.»

Col bacio sulla tempia Gen si fece perdonare tutto quanto.

Makoto si girò tra le sue braccia, accarezzandogli le spalle. «Come mai non sei al lavoro?»

«Il cliente non si è presentato. Sono libero fino a dopo pranzo.»

Era fantastico. «Mi mancavi.»

«Anche tu.»

Indugiarono in un bacio lento, profondo. Le mani di Gen scesero sui suoi fianchi. Makoto lo conosceva abbastanza da sapere che stava trattenendo un tocco più audace, per il modo in cui sfregava le dita sul suo vestito. Lo aveva eccitato con due miseri scampoli di stoffa.

Desiderosa di giocare, si separò da lui.

«Stavo per mettermi a stirare. Preferisci uscire?»

Gli lesse in faccia un 'Non scherziamo', ma Gen fu più diplomatico. «Rimaniamo qui. Tranquilli.»

La radio era ancora accesa. Per l'ennesima volta in quelle settimane partirono le note della sua canzone preferita. 

«My heart will go on!»

Gen alzò gli occhi al cielo.

Smettendo per un istante di badargli, Makoto si concentrò sulla melodia iniziale, attendendo trepidante le prime parole. La voce dell'interprete era dolcissima sulla frase d'esordio.

"Every night in my dreams, I see you, I feel you"

Lei capiva con tutta la sua anima la profondità di quel sentimento. Avere tanta nostalgia di una persona amata e ormai persa, ritrovandola continuamente nei propri sogni... «Voglio andare a rivedere il film.»

Sarebbe stata la terza volta e Gen non nascose la smorfia di dolore. «Non è fuori programmazione?»

«Lo riproporranno per due settimane al cinema di Juuban. Non metterti le mani nei capelli, non ti ci trascino di nuovo.»

Sorridendo per lo scampato pericolo, lui si accomodò al tavolo. «Ci vai con le ragazze?»

«Ci pensavamo da un po'. So che a te è piaciuta la parte dell'affondamento, ma la storia d'amore è la cosa più importante. Voglio piangere insieme alle mie amiche.»

«Masochiste.»

«Ti sei commosso anche tu!»

«Moriva tanta gente innocente. La mamma coi bambini, quei poveri musicisti...»

Makoto si lasciò sfuggire una risata. Nemmeno cambiando discorso Gen riusciva a smettere di lanciare occhiate alla sua scollatura.

Seduta dall'altra parte del tavolo rispetto a lui, si sollevò sulle mani, mettendo in risalto i seni uniti. «Mi passi quella rivista dietro di te?»

Lui impiegò due secondi a connettere, poi tastò con la mano dietro la propria schiena, senza voltarsi.

«Che esagerato!» scoppiò a ridere a lei.

Lui non finse di non capire. Sorrise impenitente. «Quei bottoncini stanno per scoppiare.»

Makoto abbassò lo sguardo. Oh, era vero: due dei bottoncini bianchi all'altezza dello sterno erano usciti dalle asole. Provò a rimetterli al loro posto, ma si sentì stringere troppo il petto e lasciò perdere.

Gen stava praticamente sbavando. «È una specie di sogno che si avvera.»

Senza capire, lei prese il telecomando dello stereo e spense la radio. «Mi sono fatta vedere in capi più sexy.»

«Sì, ma... questo dovrebbe essere un vestito normale. Con la taglia sbagliata e il modo in cui incastona i tuoi seni, stringendoti il corpo...» Emise un soffio. «È così innocente da essere quasi... pornografico.»

«Cosa?»

Udendo il suo tono, lui strinse i denti. «In senso buono.»

«Esiste un senso buono?»

Gen deglutì. «Nel senso che, visivamente, mi ecciti da impazzire.»

Nei momenti più disperati lui se ne usciva con mosse da campione.

Respirando con lentezza, per farsi ammirare, lei accarezzò il tavolo con un dito. «Allora è un bene che abbiamo tutta la mattina a disposizione.»

Gen iniziò ad alzarsi.

«Ah-ha. Chi ha detto che puoi muoverti?»

Alzando un sopracciglio, lui si immobilizzò.

«Non mi pare giusto che tu sia l'unico a goderti questi piaceri... visivi. Ho i miei diritti.»

Gen sollevò gli angoli delle labbra. «Cosa posso fare per te?»

Makoto lo osservò sul torso, la camicia a maniche corte aperta sul collo fino alla linea dei pettorali. Per lavoro lui era stato costretto a indossare pantaloni lunghi. «Avrai caldo con tutta quella roba addosso.» Scivolò all'indietro sulle ginocchia, senza alzarsi dal pavimento. Picchiettò il bordo del letto. «Vieni a metterti comodo.»

Lui si mosse con calma deliberata, il respiro carico, quasi affannoso. La ragione era evidente nel rigonfiamento dei suoi pantaloni.

Era potente essere capace di ridurlo in quello stato. Makoto sentiva forte, in una maniera deliziosamente femminile, quando era in grado di farlo muovere ai propri comandi con la sola promessa di una carezza.

Sedendosi sul letto, lui si appoggiò all'indietro sulle mani, rabbrividendo quando lei gli accarezzò un ginocchio.

Makoto si sistemò tra le sue gambe. «Povero tesoro. Costretto a stare così coperto.» Si sollevò leggermente, allungando le mani per sciogliergli i bottoni della camicia. A ogni asola liberata, sfiorò la sua pelle col dorso delle unghie.

Gen era immobile, teso.

Makoto appoggiò un bacio sul suo sterno, sfiorandogli il bacino rigido con lo stomaco.

Lui inspirò veloce.

«Fosse per me» sussurrò lei, «dovresti andare in giro sempre a torso nudo.» Sotto il venticello del ventilatore, senza fretta e con un poco di crudeltà, indugiò con le labbra a pochi centimetri dai suoi addominali, aspettando di sfilare il bottone dal proprio alloggio prima di abbassarsi a baciare di nuovo. Gen ritrasse lo stomaco involontariamente, rabbrividendo.

«Mako...»

Il sospiro spezzato la scaldò. A mano aperta, lo percorse dal collo fino all'addome - una carezza unica con cui indugiò su ogni rilievo dei suoi muscoli. Stuzzicò il bordo dei suoi pantaloni e le palpebre di lui tremarono. Con gusto, per far crescere l'attesa, lei appoggiò la bocca sull'ultimo lembo di pelle scoperta, tre volte. Si godette il gemito sordo e salì di nuovo con le mani, per stuzzicargli i capezzoli piatti. Se solo fossero stati sensibili come i suoi... Sollevandosi, li baciò ugualmente, con ardore.

Alzò la testa per guardare il volto di Gen. Seguì i suoi occhi mentre tornava a muoversi, leggendovi dentro.

«Avrai caldo anche qui.» Gli sfiorò la patta dei pantaloni con una mano, facendogli stringere i denti. Smettendo di torturarlo, sciolse a memoria la cintura di cuoio, appoggiando i gomiti sulle sue ginocchia. Gen era talmente eccitato che sulle sue guance era comparso un velo di colore, adorabile in lui.

Makoto percorse i suoi fianchi sotto l'orlo dei pantaloni. Non furono necessarie parole: Gen sollevò il sedere, permettendole di far scivolare l'indumento oltre i suoi glutei, lungo le cosce ruvide. Lei proseguì fino ai polpacci, poi con una carezza sulla pianta di un piede nudo, gli fece capire che doveva alzare le gambe. Terminò di spogliarlo delicatamente dei pantaloni, come fosse al suo servizio. Li piegò con cura, godendosi il ruolo. Si stava comportando... da ancella.

Appoggiò i pantaloni sul tavolo e tornò a concentrarsi su Gen, posando le mani sulle sue ginocchia. «Mi vuoi senza slip?»

Mangiandosi l'aria, lui deglutì. «Sì.»

Maliziosamente, lei sollevò la gonna solo sui fianchi, per non permettergli di vedere. Fece scendere il pezzo di cotone sottile lungo le gambe, muovendosi con grazia, fino a liberarsi completamente. Ansiosa, tornò da lui. «Sai... Vorrei essere la tua più sfrenata fantasia.»

Gen agitava il petto nello sforzo di respirare. «Lo sei già.»

Audace, lei infilò una mano nell'apertura dei suoi boxer, accarezzandolo. Lui si morse un labbro, senza mai chiudere gli occhi. Per il suo piacere la vista era molto importante.

«Potrei tirarlo fuori, e baciarne la punta.»

Per Gen l'ossigeno stava diventando un bene sopravvalutato.

«Ma preferisco avere tutto» concluse Makoto, insinuando una mano nei suoi boxer all'altezza del sedere, per tirare via quell'ultima barriera.

Lui la aiutò al meglio delle proprie possibilità, anche col cervello mezzo fritto. Quando fu finalmente nudo, invece di abbassare il viso sul suo membro, Makoto si spinse in avanti col corpo, creando uno spazio per la sua erezione esattamente tra i suoi seni gonfi.

Per un momento lui vide bianco, per il sangue che gli era esploso in testa.

Makoto gli lanciò un sorriso - tremendamente dolce, e per questo così sensuale. «Le tue parti preferite, insieme.»

Lui riuscì ad articolare una frase. «Manca la tua bocca.»

Dandogli ragione, lei chinò la testa, avvolgendolo con le labbra.

Gen sentì di essere morto e andato nel Nirvana. Gemette, trattenendosi dall'afferrarle la nuca, andando invece a stringere le lenzuola tra le dita.

Makoto gli fece sentire il bollore umido e ruvido della propria lingua, poi spostò le mani, andando a raccogliere i seni così che sembrassero più pieni attorno alla sua asta.

Lui picchiò il materasso col pugno.

Lei si lasciò sfuggire un rapido sorriso, senza smettere di rendere omaggio alla sua erezione.

Lui stava per esplodere. E non voleva, aveva bisogno di vederla continuare, di sentirla continuare.

Conoscendolo quasi meglio di se stesso, Makoto lo massaggiò sulla base, stringendo, per mettere un freno alla sua eccitazione. 

«Sei... divina.»

«Di più.» Lei si adoperò a dimostrarlo, donandogli con la bocca piaceri che lui fu sicuro di non avere mai provato.

Per poco non arrivò al culmine quando un capezzolo roseo le sfuggì dal vestito, strofinandosi contro il suo bassoventre. 

Makoto lo frenò di nuovo. «Scelgo io quando. Tu goditela.»

Gen lo fece senza alcuna riserva, infilandole le dita tra i capelli per farle capire quanto gli piacesse una suzione intensa, regolare. Si ridusse ad ansimare come un animale.

Makoto gli strappò il culmine con un grido. Col bacino teso Gen si morse le labbra fino a quasi tirare via sangue.

Lei non si perse neppure una goccia del suo orgasmo.

Incurante della dignità, lui si abbandonò sul letto, occhi chiusi e braccia distese. Aveva visitato l'aldilà di ogni religione esistente. Era in pace con l'universo.

Sentì che la pressione sul letto variava. Makoto si stava sistemando accanto a lui, girando intorno... alla sua testa?

Aprì gli occhi e si ritrovò a guardare il viso sereno di lei, capovolto. Col corpo, rannicchiata, Makoto aveva creato una specie di guscio sopra di lui. Ora lo contemplava.

I suoi occhi erano del colore dell'erba, il verde intenso che i fili assumevano dopo essere stati bagnati dalla pioggia. Gen trovò la forza di sollevare un braccio, per sfiorarla sul mento. Lei aveva una pelle così morbida...  Makoto abbassò le palpebre, sorrise. Sulle sue guance crebbe un'ombra di gioia, una sfumatura tenera di rosa. 

Come era riuscito ad avere qualcuno di così perfettamente puro nella sua vita? 

Non gli piaceva sentirsi romantico perché gli faceva male. Era un dolore fisico per lui rendersi conto di quanto fosse forte quello che provava per lei, consapevole che un giorno poteva non averla più accanto. Gli veniva voglia di urlare, distruggere qualcosa, disperarsi. Ma non era quel tipo di persona. Era calmo, con la testa sulle spalle.

E pieno di speranza.

Trascinò una mano di Makoto sotto la bocca, per baciarla.

Gratitudine, amore, reverenza. Erano buoni sentimenti da provare.

Lei gli passò le dita sulla fronte, quasi facendolo addormentare.

 

Era così felice. Senza fare troppo rumore, Makoto sgattaiolò in bagno. Stare con Gen era indescrivibile perché un minuto lei poteva sentirsi una sirena ammaliatrice, priva di inibizioni, e quello dopo una ragazzina alla prima cotta, emozionata all'idea di ricevere un bacio.

Sotto il getto del rubinetto, sciacquò bene la bocca. Gen aveva ancora la fissa di esitare a baciarla troppo profondamente appena dopo che si era liberato tra le sue labbra. Stranamente, non concepiva che lei potesse provare lo stesso fastidio a parti invertite. Ovviamente per lei non c'erano problemi. Si trattava in entrambi i casi di semplici fluidi corporei. Grazie alla loro buona alimentazione tutti e due avevano un sapore mite, lievemente salato e affatto spiacevole. 

Quando gli parlava così, lui scoppiava a ridere.

Quel giorno lo aveva rivoltato come un calzino. Se quell'esperienza non finiva nella personale top ten di lui, lei non era più degna di chiamarsi Makoto Kino.

Tornò in camera, a passi felpati.

Senza muoversi, ancora voltato, Gen parlò. «Dov'eri andata?»

«Sei resuscitato?»

«Ce l'ho fatta.»

Le scappò una risata. Fece il giro del letto, per potervi salire guardandolo in faccia. Come se non lo avesse appena stremato, lui si concentrò di nuovo sul suo petto.

«Mi sa che due bottoni si sono sacrificati.»

«Come? Oh, no!» Li cercò con lo sguardo sul pavimento.

Gen le prese una mano. «Li ritroverai.»

«Speriamo. Comunque, ne è valsa la pena.»

Lui chiuse gli occhi, rivivendo l'esperienza. «Come ti è venuto in mente?»

«Ho i miei segreti.»

«Non vuoi dirmeli?»

Preferiva di no. «Così rimarrai sorpreso la prossima volta che ne sfodero uno nuovo.»

Gen annuì. «Ragionevole.» La tirò piano verso di sè. «Ma ora tocca a me.»

Makoto abbassò gli occhi sul suo bacino, dove il suo organo sessuale giaceva sfinito. «Non per deluderti, ma...»

Lui liberò una risata alta. «Non ho solo quello, sai?»

Ah, no?

«Mi pareva di ricordare che ti fossi spogliata di un paio di slip. Non vorrei che fosse stato per nulla.»

«Hm» assentì lei, incuriosita e già un poco accaldata. La sua pelle stava ancora traspirando per lo sforzo di qualche minuto addietro, ma non le importava.

Con le mani alzate, Gen le indicò di venire avanti - un gesto veloce, provocatorio nella sua arroganza. Gli calzava a pennello in quel momento.

Sostenendosi con le braccia, Makoto gli fu sopra. «E ora?»

Lui scosse la testa. «Vieni più avanti.»

Muovendo le gambe ai lati del suo torso, lei salì fino all'altezza del suo petto. «Così?»

«Più avanti ancora.»

Makoto comprese e avvampò, già pregustando le sensazioni. «Sei sicuro?» Anche mentre lo chiedeva stava muovendo le gambe, per posizionare le ginocchia oltre le spalle di lui. «Non ti... soffoco?»

«Sono capace di spostarti.» E per dimostrarglielo, con le mani lui la posizionò, a gambe aperte, direttamente sopra il suo viso, quasi facendola cadere in avanti.

Makoto provò un minimo di vergogna. Per via della gonna non riusciva più a vederlo in faccia. «Forse dovrei andare a lavarmi.»

«Vediamo.»

Una leccata lungo tutta la sua carne le fece spalancare la bocca.

«Sei perfetta.»

Lei scoprì di non avere niente a cui aggrapparsi. «Gen... spostiamoci, così non...» Fu costretta a stringere i pugni, tenendosi sollevata a mezz'aria sulle cosce mentre lui la stimolava.

Sarebbe scivolata in avanti, o indietro, senza alcuna possibilità di... Raddrizzò la schiena di colpo, stringendo le mani sui capelli di lui.

Come poteva dirglielo? Come poteva confessargli che, a volte, la sensazione della sua lingua le provocava un piacere più acuto, più intenso, di qualsiasi altra cosa, di qualunque altro momento... Perse di nuovo la facoltà di pensare.

Quando lui iniziò a frugare più in basso, lontano dal suo punto più sensibile, Makoto capì, ricordò. Quell'atto non era esattamente migliore, bensì diverso dagli altri. Non c'era niente come quella stimolazione diretta che potesse portarla al culmine tanto in fretta, ma se solo pensava a quando si univano, e a quando lo sentiva entrare a fondo dentro di sé... Ondeggiò contro la sua faccia, con attenzione quasi dolorosa per il bisogno di muoversi.

Gen le strinse il sedere, affondando le dita nei suoi glutei. «Non pensare. Goditela.»

Makoto mugolò, sentendo che le labbra di lui si chiudevano attorno all'apice delle sue pieghe, succhiando via l'aria. Cercò di calmarsi, per cavalcare al meglio l'ondata dei sussulti crescenti. Gen rallentò a sufficienza da permetterglielo, poi, senza pietà, la costrinse a vivere di piccoli spasmi deliziosi, accendendoli e sedandoli con baci e brevi leccate.

Lei iniziò a tirargli i capelli. Per smettere affondò le dita nella propria chioma, afferrando a piene mani delle ciocche. Il ventilatore le fece aria sul petto, dove il vestito si era ormai disfatto.

«Sì!» mugolò.

Gen la premiò con una passata di lingua insistente, che le causò un altro sussulto.

Aveva una voglia pazza di mettersi a gridare.

«Ti prego!»

Erano sfoghi, lamenti, ma si rivelarono la chiave per incitarlo. Lui le regalò una serie continua di baci e assaggi celestiali, divini. Era lui il dio, lei al confronto...

Senza chiudere per un attimo la bocca, tenendosi muta a fatica, Makoto si mantenne in un equilibrio infinito sull'orlo dell'orgasmo. Quando perse il controllo, il gemito le uscì come un pianto.

Liberata, si lasciò travolgere dall'assolutezza del piacere fisico, sentendo che il piacere raggiungeva ogni fibra del suo corpo.

Alla fine si accorse di aver smesso di sostenere da sola il proprio peso. Gen la stava aiutando con le mani. 

Si sollevò da lui, ricadendo sul letto con la schiena. «Wow.»

Gen le fu sopra, a baciarla sullo stomaco, sullo sterno, sollevandole la gonna fino alla vita. «Non puoi essere stanca.»

«Invece sì.» Nella pace dei sensi, non trovò la forza di aprire gli occhi. «Perché?»

Comprese la ragione senza bisogno di una risposta a voce - una ragione dura, insistente e di nuovo vitale. 

Gen la stava abbracciando, mordendola piano sui capezzoli.

Lei lo tenne per le spalle. «Non penso di poter...» Ma le sue parole si persero in un ansito quando lui si insinuò nel suo corpo. L'unione diviene magia, pura perfezione, quando furono intrecciati da capo a piedi, in grado di baciarsi mentre ondeggiavano, dondolavano, spingevano.

Quello era il meglio. Era il meglio ogni volta che ricominciavano, tutte le volte che lei poteva stringerlo tra le braccia.

Si abbandonò all'esperienza, all'amore. Con dita e mani, bocca e gambe, occhi, ventre, gli offrì ogni senso che aveva, per percepirlo in tutto ciò che ora - odore, voce, peso, la consistenza stupenda del suo corpo e la ruvidezza della sua guancia contro il viso. E il calore, intenso dentro di lei e tra i loro bacini madidi di sudore.

Appagati, si separarono appena il ventilatore tornò a direzionarsi verso di loro.

Mugugnarono insieme, di godimento. Con quel poco di forza che avevano, risero.

Rivolti al soffitto, rimasero ad attendere il nuovo getto d'aria.

Non c'era momento in cui Makoto si sentisse più romantica. «Un giorno balliamo quella canzone?»

«Hm?»

«Quella di Titanic.»

Non sentendo risposta, strinse gli occhi per l'imbarazzo, arrossendo.

Udì la risata bassa di Gen.

«Non prendermi in giro!»

«Non ho detto di no!»

Prendendo coraggio, lei rotolò di lato, fino ad appoggiarsi su un gomito. «Non hai detto di sì.»

«Mi fa ridere che ti vergogni.»

«Perché devo essere io a chiederti queste cose.»

Lui sollevò una mano, toccandole il viso. «Sii paziente con me. Alla fine dirò sempre sì.»

«Ad un ballo in pubblico?»

Gen provò con tutte le sue forze a non deformare il viso in una smorfia.

Makoto crollò a ridere contro la sua spalla.

Lo sentì tremare mentre lui la imitava.

Appoggiò un bacio contro la sua clavicola. «Scusa per queste sciocchezze. A volte con te vorrei fare qualcosa di così... Non lo so. Qualcosa che fosse in grado di far uscire questa forza che mi preme sul petto. Qualcosa che fosse capace di...»

«Tornare a farti respirare?»

Si sollevò. «Sì. Qualcosa che non sia sesso, perché fare l'amore non basta.» Si chinò, le mani a racchiudere il suo viso. Lo baciò sulla fronte. «Anche se non voglio smettere di provarci.»

«Vieni qui.» Gen la strinse a sé con le braccia, incurante del caldo. «Restiamo così» mormorò. «Un giorno basterà. E se non sarà mai sufficiente...»

«Possiamo rimanere abbracciati per sempre.»

«Hm-hm» annuì lui.

E Makoto si sentì completa in ogni angolo della sua anima.

  

Luglio 1998 - Effusioni - FINE

  


 

NdA: I'm back! O meglio, Makoto e Gen sono tornati, alla massima potenza. Come spiegavo nel gruppo Facebook, ho avuto l'idea di saltare un anno della loro vita perché era tanto che volevo scrivere questa lemon su loro due - è partito tutto dall'idea di quel vestito di lei. Rileggendo la raccolta fino al capitolo ambientato nell'agosto del 1997, mi pareva che non fosse necessaria, per il ritmo dell'intera storia, un'altra lemon, ma ovviamente questo capitolo non poteva che essere ambientato in estate. Come fare dunque? Ho saltato un anno :P Così potrò tornare più in là a raccontare cos'è successo tra la seconda metà del 1997 e il 1998, e ho anche avuto a che fare con una Makoto e un Gen in un diverso punto della loro relazione. Si comprendono meglio, penso siano più in sintonia. Al tempo stesso iniziano a farsi più concreti i problemi che il futuro sta per creare ad entrambi. Ed è su questo tema che si svilupperà la fine del 1998 e l'inizio del 1999 in questa raccolta.

Continuate a seguirmi se volete sapere e soprattutto fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo :) E dell'amore di Makoto per Titanic :D

 

Elle

 

Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 21
*** AU SPOILER - Makoto rivela a Gen che... ***


correntenaturale - calura

 

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

AU SPOILER - Makoto rivela a Gen che...

 

NdA: In questa storia mi diverto a immaginare come reagirà Gen quando Makoto gli rivelerà di essere incinta. E' una storia AU perché le circostanze in cui avverrà questa rivelazione nella storyline ufficiale saranno completamente diverse. Ma mi veniva spesso domandato come si sarebbe comportato Gen nell'occasione e siccome manca ancora tanto tempo per saperlo, ho voluto descrivere un modo in cui la cosa potrebbe succedere in un mondo più semplice per i nostri protagonisti.

 


 

Makoto sgranò gli occhi davanti alle due linee rosa sullo stick di plastica. Crebbe in lei un sorriso.

Appoggiò con reverenza il test di gravidanza sulla mensola dello specchio, osservandolo, rimirandolo.

Portò le mani alla bocca e pianse di gioia.

Sarebbe diventata mamma!

Avrebbe avuto un bambino! Lo avrebbe cresciuto e gli avrebbe insegnato tutto quello che... Ripensare ai suoi genitori e a sua nonna, la famiglia che aveva perduto, le causò dolore. Loro sarebbero stati così felici di sapere di quel giorno. Ma non erano lì per ascoltarla.

Ma se ci fossero stati...  Avrebbero sorrisero e l'avrebbero abbracciata, contenti: finalmente anche lei stava formando una famiglia sua e aveva sempre più persone che la amavano a circondarla.

La malinconia lasciò il posto alla felicità più assoluta. Doveva dirlo a Gen!

Non ebbe bisogno di guardare l'orologio per ricordarsi che erano solo le dieci del mattino. Lui quel giorno era occupato fino a tarda sera.

Meglio così, poteva rivelarlo prima alle ragazze! Anzi, doveva correre subito da Ami!

Afferrò il comunicatore. «Ami-chan? Ciao!»

«Mako-chan? Ciao.»

«Posso venire a casa tua? Con tutte le ragazze!»

«Eh?»

«So che mi sto autoinvitando, ma ne varrà la pena! Le chiamo, va bene?»

«Ehm... Okay.»

«A tra poco!»

Makoto chiuse la chiamata e premette subito il pulsante per parlare con Usagi.

 

«Sono curiosa!» Usagi batteva le mani. Erano sedute tutte nel salotto di Ami, attorno al tavolo, Iria-chan e Adam-chan sistemati insieme nel recinto giochi di lui.

«Come mai ci hai convocate qui? Cos'è successo?» Usagi rilasciò un ansito. «Ahhh! TI SPOSI!»

Makoto non fece in tempo a chiarire che Usagi le aveva già afferrato la mano. «Dov'è l'anello, fammelo vedere! Quando te l'ha dato?!»

Rei tirò via Usagi per le spalle. «Vuoi calmarti?! Lasciala parlare!»

Makoto era imbarazzata. «No, Usagi-chan, non mi sposo.» Non ancora almeno. Si sorprese lei stessa: non avrebbe mai pensato di avere un bambino prima del matrimonio. Ridacchiò. «Però la notizia che voglio darvi è altrettanto bella. È una cosa meravigliosa.»

Usagi non stava più nella pelle. «Che cos'è, che cos'è?»

«Aspetta, Ami deve aiutarmi.» Si avvicinò a lei, parlandole in un orecchio.

Usagi rilasciò un grido muto. Si batté le mani sulla bocca aperta, mentre anche Rei e Minako spalancavano le labbra. Saltarono sulle ginocchia quando Ami tirò fuori il suo computer, sorridendo perché sapeva già cosa cercare.

Usagi piagnucolava per la commozione. «Non ci credo!!»

Rei le afferrò un braccio. «Non dirlo! Lascia che parli Makoto!»

Makoto stava di nuovo per mettersi a piangere di felicità. Si trattenne, nell'attesa di vedere sullo schermo di Ami la conferma.

Il cuore cominciò a batterle nel petto mentre l'analisi del computer si focalizzava sulla parte centrale del suo corpo. Smise di respirare, finché un 'bip' accese in lei un universo di luce.

«Ecco...» Ami voltò verso di lei lo schermo con delicatezza, mentre le altre scattavano in piedi, per guardare da dietro le sue spalle.

Minako la circondò con le braccia. «Mako-chan...»

Usagi urlava senza voce. Le prese la testa, per schioccarle un bacio su una guancia. Ami asciugava una lacrima col dorso della mano libera. «Sono così contenta per te!»

Rei le strinse forte i polsi. «Sei felice, vero?»

«Certo!»

Rei appoggiò la fronte contro la sua, gli occhi chiusi. «Già, tu sei nata per fare la mamma. Sarai grandiosa.»

Makoto la abbracciò, sopraffatta. Da sopra le spalle di Rei vide l'incertezza negli occhi di Ami, mentre lei ancora guardava lo schermo.

«Cosa c'è?»

«Ehm... Mako-chan...»

Makoto ebbe un sussulto. «C'è qualcosa che non va?»

«No, è solo che...» Ami si sporse piano sul tavolo, facendosi spazio tra le altre, mettendo di nuovo il computer al centro dell'attenzione. «Qui non c'è un solo punto. Ce ne sono due.»

«Una doppia energia?» ipotizzò Minako.

«No, significa che sono...»

Usagi rilasciò uno strillo. «GEMELLI!»

Makoto venne assordata dalla verità. Afferrò il computer di Ami, sotto choc. «Fammi vedere! Ingrandisci l'immagine!»

Ami trafficò con le dita sulla tastiera, confusamente, finché lo schermo non zoomò ulteriormente sulla parte bassa dell'addome di Makoto, facendo distinguere con chiarezza la presenza di due punti separati, che venivano identificati come due diverse entità.

Makoto schiacciò il computer di Ami così forte che quasi lo incrinò. «AHHHH!»

«AHHH!» gridò con lei Usagi. Le gettò le braccia al collo e saltarono insieme sul pavimento, mentre Ami si riprendeva il computer con un grosso sorriso. Intorno a loro Minako ballava. «Come hai fatto?!»

Rei rideva. «Solo tu!»

Makoto si coprì la bocca con le mani. «Due! Non riesco a crederci!»

Ami guardava intenerita il computer. «Hanno ventidue giorni. Vuoi sapere anche il sesso?»

«No!» la fermò Makoto. «Dovrà esserci anche Gen! Prima devo dirglielo!» Le girò la testa. Come l'avrebbe presa lui? Un solo bambino già cambiava tutto, ma due...

Minako le appoggiò una mano sulla schiena. «Troppa eccitazione, sediamoci. Andrà tutto bene, Mako-chan. Anche se sono due.»

«Lo so, solo che...» Non riuscì a concretizzare una sola obiezione. Era piena di dubbi e incertezze che venivano schiacciati dalla gioia che stava provando. «Sono contenta!»

Minako riconobbe che era passato il suo momento di debolezza e le diede una pacca energica sulla spalla. «E brava Makoto! Non fai mai le cose a metà!»

Usagi smise di saltellare e si sedette davanti a lei. «Due, Mako-chan! Ti compreremo un mucchio di cose!»

Rei annuiva. «Io ed Ami abbiamo già abitini da passarti. Sia da maschio che da femmina.»

Usagi batteva di nuovo le mani. «Non vedo l'ora di scoprire cosa saranno! Dopo che l'hai detto a Gen devi chiamarci subito! Anzi, voglio essere presente domani!»

Rei si scandalizzò. «Impicciona!»

«Dopo che avranno avuto il loro momento, per chi mi prendi?!» Usagi era fuori di sé dalla gioia. «Ohh, sono così invidiosa! Quando si decide ad arrivare Chibiusa?» Strinse un pugno. «Io e Mamo-chan dobbiamo darci dentro!»

Makoto rideva. «Ti farò sapere cosa sono appena possibile. E vedrai che Chibiusa arriverà presto!»

Minako era pronta a scherzare. «Troppi bambini, ragazze! Qua sono l'unica che si è salvata!»

Giocosamente, Rei tirò fuori la lingua. «Nel mio caso è stato un incidente, ma se non ti muovi finirà che anche in questo sarai l'ultima del gruppo!»

Minako si indignò, ma Usagi proseguì. «Eh, sì. Io non ho intenzione di rimanere indietro con Mamo-chan!»

«Ma senti queste! Io e Shun ce la stiamo prendendo comoda! Ma quando arriverà il mio turno ne sfornerò come minimo tre tutti d'un colpo!»

Scoppiarono a ridere, ma Rei mosse un dito in aria. «Attenta. Quando ci sono in gioco poteri come i nostri non bisogna mai esprimere desideri troppo strani.»

«Che vuoi dire?»

«Be', Makoto desidera da sempre una famiglia e guarda cos'è successo: due allo stesso tempo. Ed Ami? Quando si è decisa ad avere un bambino ha fatto centro al primo colpo.»

Minako aveva una luce furba negli occhi. «Quindi in fondo anche tu volevi un bambino dal tuo Yu?»

Prima che Rei potesse inalberarsi, Usagi emise un versetto di gioia. «Com'è successo, Mako-chan? Se i tuoi bimbi hanno ventidue giorni, sai quando è capitato, no?»

Nel sentirli chiamare in quel modo Makoto si sciolse.

Minako guardava per aria. «Il 'come' è un film vietato ai minori.»

«Non sei romantica, Minako! Io sono sicura che sia sempre un momento speciale! Ami mi ha raccontato il suo!»

Tutti gli occhi furono su Ami. Lei arrossì. «Ha insistito...»

Usagi decantò le circostanze. «Si erano appena ritrovati dopo settimane di lontananza. La passione li ha travolti!»

Ami si coprì gli occhi con le mani.

Minako rise sguaiatamente. «Ma che arrossisci a fare! Il frutto del tuo misfatto è là che gioca!»

Si voltarono tutte verso i bambini. Tra minuscoli grugniti, Adam stava strattonando Iria per la tutina, mentre lei si ribellava.

Ami e Rei scattarono in piedi, per fermare la rissa.

Makoto sorrideva. «Sono così teneri.»

«E birbanti!» le ricordò Minako. «Guarda cosa combinano quando sono insieme. Tu ne avrai due da gestire!»

«Non terrorizzarla!» Rei aveva preso in braccio Iria, che si dimenava per tornare nel recinto, a combattere. «Sono problemi a cui si pensa a tempo debito. Questo è il momento di festeggiare.»

«Esatto!» concordò Usagi. Prese le mani di Makoto, supplicante. «Ti prego, dimmi che li avete concepiti in un momento speciale.»

«Ehm...» Makoto cercò di fare mente locale. Farsi strada tra i ricordi risultò più complesso del previsto. «Devo pensarci.» Magari con davanti un calendario, ma non era sicura di riuscire a identificare l'occasione. «Io e Gen facciamo l'amore così spesso che-» Si zittì, arrossendo.

Rei aveva stampato in volto un sorriso diplomatico. «Diciamo che questi bambini sono stati concepiti all'interno di un generale quadro di romanticismo.»

«O ninfomania» aggiunse Minako. Makoto la colpì su una spalla, strappandole una risata. Il suono venne sovrastato da un urlo di Iria, che non riuscendo a tornare a terra stava dando voce al proprio malcontento. Rei la appoggiò sulle spalle e provò a consolarla, senza successo. Pochi secondi dopo Adam si unì al suo pianto disperato.

Minako aprì una mano sulla scena. «Ed ecco come il romanticismo di una relazione vola via dalla finestra.»

Usagi era imbronciata. «Non dire così! I bambini non sono facili da gestire, ma-»

Gli strilli di Iria toccarono nuovi massimi di decibel e Makoto fece una smorfia.

Non la aspettavano tempi semplici.

   

Dopo aver lasciato le sue amiche, Makoto non si scoraggiò. Voleva preparare qualcosa di molto carino per dare a Gen la notizia. Desiderava essere originale e tenera. Nella strada verso il suo appartamento le venne l'idea giusta.

Lo avrebbe detto con un dolce.

Una torta? Era fattibile e con la decorazione giusta poteva creare un capolavoro, ma... voleva più attesa. I biscotti facevano al caso suo.

Avrebbe composto la frase chiave che avrebbe rivelato a Gen la verità con più biscotti.

Sapeva anche quali parole scegliere! Gen avrebbe stentato a capire, ma poi... Ridacchiò. Sarebbe stato un momento unico!

Si abbracciò lo stomaco.

Due!

Due bambini tutti suoi!

Due maschi, due femmine? Un maschio e una femmina?

Non vedeva l'ora di vederli giocare insieme, di vestirli, di assistere ai primi sorrisi... Lei amava i neonati!

Li adorava anche quando piangevano. Temeva solo di perdere troppo sonno e naturalmente doveva decidere come gestire la pasticceria, ma... ci avrebbe pensato poi! Quello era il giorno suo e di Gen. Il giorno della loro nuova famiglia.

Chiuse gli occhi.

Ti prego, reagisci bene.

Sapeva che Gen sarebbe stato vicino a lei e ai bambini nei mesi che sarebbero seguiti, ma sul momento la notizia poteva sconvolgerlo. Quella gravidanza sulla carta era sembrata a entrambi impossibile, quindi lui non aveva mai pensato che loro potessero avere una famiglia. Non era preparato.

Forse lei doveva iniziare con un discorso introduttivo?

Così però gli avrebbe rovinato la sorpresa.

... forse non c'era un modo ottimale per dirlo. Doveva semplicemente buttarsi e... sperare.

Non deludermi, per favore. Sii assurdamente felice, come me.

 

Gen sbadigliò. Era sabato sera. Anche quel giorno aveva lavorato fino a tardi. L'internato che stava facendo gli piaceva molto, ma non gli lasciava molto tempo libero, neppure nei weekend. Aveva creduto di conoscere il duro lavoro quando si era occupato della ditta di suo padre, ma allora - in qualità di titolare - aveva avuto margini per scegliere i suoi orari. Come stagista appena assunto doveva uscire dal lavoro per ultimo ed entrare per primo. Sarebbe andata avanti così per un po' - almeno sei mesi, forse un anno. In seguito le sue mansioni sarebbero diventate più interessanti e il suo stipendio sarebbe cresciuto.

Aveva un progetto: andare a vivere ufficialmente insieme a Makoto, in una casa più grande. L'appartamento di lei era accogliente ma piccolo. Per due persone ci volevano più stanze, magari uno studio per lui e una stanza degli hobby per lei. Era un sogno da persone adulte.

Ah, e Makoto voleva un cane. Era un animale che richiedeva tempo, ma appena il suo lavoro si fosse stabilizzato, lui aveva intenzione di accontentarla.

C'era solo bisogno di qualche altro sacrificio. Tra qualche tempo avrebbe traslocato insieme a Makoto e avrebbero iniziato per davvero una vita insieme. Magari con un anello di mezzo, come insisteva a dire Alexander.

"Che aspettate a sposarvi?"

"Che bisogno c'è?"

"Praticamente vivete già come se foste sposati. Anche se tu per metà del tempo stai ancora a casa di mamma."

Gen aveva lasciato perdere la frecciata. "Devo occuparmi anche della mia famiglia. Comunque, il matrimonio ha senso solo con una casa."

"Allora ci hai già pensato."

"Alla casa? Certo, quella di Makoto è troppo piccola."

Alexander aveva roteato gli occhi al cielo. "Okay, sei pratico. Ma se continui ad aspettare, Makoto sarà costretta a scriverti col neon che vuole una proposta. Non sarà contenta."

Perché tanta insistenza? "Lei è a posto come stiamo ora."

Alexander gli era parso perplesso. "Ami dice che quando viene da noi fa sempre i complimenti per la casa, e passa tutto il suo tempo addosso ad Adam."

Be', i bambini erano fuori discussione e non per sua volontà. "So che a Makoto un giorno piacerebbe sposarsi, ma non è un progetto semplice." Era convinto che lei concordasse. "Voi altri avete creato false aspettative."

"Che significa?"

"Per sposarsi ci vogliono i soldi e una buona posizione lavorativa." O quantomeno delle minime certezze su una carriera. "Mamoru lavora da quando aveva diciassette anni e ha ricevuto in eredità abbastanza da comprarsi un grande appartamento. Kumada è ricco di famiglia e adesso è soddisfatto facendo il padre, e tu... Tunon sei un esempio da seguire. Hai guadagnato una sicurezza economica vendendo foto del tuo sedere.»

"Era una foto di schiena."

Sì, ma la pubblicità di quei jeans lo faceva ancora sganasciare dalle risate. Non l'avrebbe fatta dimenticare a Golden Boy per il resto dei suoi giorni.

"La pianti?"

Gen smise di ridere tra sé. "Comunque solo ora la pasticceria di Makoto è ben avviata, mentre io sono agli inizi. Riesco a stento a tornare a casa la sera." Non era così che si iniziava un matrimonio. Ci voleva più tranquillità, più stabilità.

E loro non avevano fretta, no? In verità avevano dieci vite davanti a sé.

Golden Boy aveva sorseggiato la sua bibita. Si incontravano di tanto in tanto a pranzo, lavorando vicini.

"Ti farò un favore. Chiederò ad Ami di scoprire cosa vuole Makoto."

Come se lui ne avesse bisogno. "Lo so meglio delle sue amiche."

Golden Boy aveva sorriso. "Su questo argomento Makoto non ti dirà mai niente."

"Quando lei vuole qualcosa, me lo dice chiaramente."

"Non in questo caso" aveva insistito Alexander. "Il silenzio è d'oro per le donne."

Sì, e Golden Boy le capiva un po' troppo bene. "Io mi preoccupo per come funziona la tua testa. Te lo dico da anni."

"Ridi, ridi. Sto cercando di evitare che tu ti riduca all'ultimo momento, come è successo a me."

Le loro situazioni erano completamente diverse. Nel caso suo e di Makoto non ci sarebbe mai stata di mezzo una gravidanza che li avrebbe costretto ad accelerare i tempi. "Perché oggi parli di queste cose?"

"Perché credo che Ami abbia cercato di farmele intuire."

"Eh?"

"Non perché te le dicessi - anzi, non vorrebbe che te ne parlassi, mai. Ami pensa che a Makoto manchi qualcosa. Se se n'è accorta lei significa che non te ne sei accorto tu."

... anche in questo si sbagliava. Gen sapeva bene che Makoto desiderava una famiglia, e che vedendo quella delle sue amiche la voleva ancora di più.

Alexander lo aveva scrutato. "Se non puoi darle tutto, dalle il meglio che puoi."

Era quello che lui stava cercando di fare. "Vuole una casa con giardino. Costerà molto" nemmeno i soldi che aveva ricevuto in eredità da suo padre sarebbero bastati, "per questo dobbiamo lavorare."

Alexander aveva masticato il suo riso con calma e Gen aveva considerato chiuso il discorso.

"A volte vorremmo regalare una Ferrari quando basterebbe un'utilitaria, ma data con amore."

Gen si era lasciato sfuggito un sospiro. "In un'altra vita sei stato una donna. Per forza."

Quella conversazione lo aveva fatto riflettere nei giorni successivi. Potevano volerci anni per risparmiare abbastanza da comprare il tipo di casa che desiderava senza che lui e Makoto si svenassero. Forse rimandare tutto quanto non era necessario.

A malincuore, doveva ammettere che Golden Boy aveva ragione: anche se avessero dovuto aspettare del tempo per sposarsi, Makoto sarebbe stata felice di ricevere quel tipo di proposta. Non le sarebbe nemmeno importato dell'anello - non tanto, almeno: per lei contavano il valore di un gesto, di un sentimento.

Sarebbe stata contenta anche se lui si fosse trasferito a vivere permanentemente nel suo monolocale, per quanto ci fosse poco spazio, anche senza avere la certezza che un giorno ne avrebbero avuto di più.

Ma sarebbe stato così. E un giorno si sarebbero sposati. Nella sua testa era talmente chiaro che forse aveva tralasciato l'importanza che aveva ribadirlo.

Hm.

Mentre saliva le scale del condominio di Makoto, fece scriocchiolare le spalle.  

Doveva cominciare a guardare degli anelli?

... non ne aveva voglia. Aveva così poco tempo libero che dedicarlo a fare shopping gli pareva uno spreco.

Ma doveva iniziare a farsi un'idea dei prezzi per capire se il progetto di una proposta aveva senso nell'immediato. Makoto era modesta nei gusti, ma in una gioielleria facevano pagare anche la modestia.

Un'altra cosa a cui pensare.

Sospirò, scocciato con se stesso. Era felice al lavoro ma desiderava più tempo. Tutto quello che lo faceva stare bene era...

Makoto gli aprì la porta di casa, colma di felicità. "Bentornato!"

Ecco.

Lui non desiderava nient'altro.

   

Dopo una settimana di lavoro Gen era esausto. Per preparare al meglio il campo per la notizia, Makoto lo coccolò con un massaggio alle spalle, un asciugamano caldo da passare sul viso e un'ottima cena.

Era arrivato il momento del dessert.

Lui era stranito. «Oggi sei allegra. Cos'è successo?»

«Una cosa» sorrise lei. Danzò verso il frigo.

«Che cosa?»

«Te lo dico con due dolci!» Alla fine non era riuscita a contenersi. Tirò fuori dal frigorifero la torta che aveva preparato, strategicamente nascosta da un coperchio scuro. Dalla credenza recuperò le tre scatoline decorate in cui aveva posizionato i suoi biscotti.

«Quanta roba.»

«C'è da festeggiare.»

Gen guardò i dolci con sospetto, divertito dal suo entusiasmo. «Okay.»

Makoto gli mise davanti le tre scatoline - il primo passo della più grossa sorpresa della vita di lui. «Aprile.»

Gen sciolse i fiocchi sulle scatole. Makoto sorrise di fronte alla sua calma: lui non si limitava a scostare di lato i nastri perché sapeva quanta attenzione lei avesse messo su quel particolare.

Gen guardò dentro la prima scatola. Prese tra le dita il primo biscotto. «C'è scritto sopra il mio nome.»

«Esatto. Dentro c'è un'altra parola.»

Lui stava iniziando a incuriosirsi. «È una sorpresa elaborata.» Posizionò i biscotti sul piatto che lei gli aveva messo davanti, in ordine. L'altro biscotto indicava la particella del soggetto.

«L'occasione lo richiede. Ora prendi la seconda scatolina.»

Lui la aprì e scoprì il secondo di cinque biscotti. «'Presto'» lesse.

Makoto annuì, mentre lui leggeva l'altra parola. «'Sarai'.»

Impaziente, lei si affrettò a posizionare i biscotti con le particelle che davano un senso alla frase.

Gen era perplesso. «'Gen, presto sarai...?'»

Makoto strinse tra le mani l'ultima scatolina. Non spaventarti. Fu sul punto di dirlo, ma si trattenne. Con mani tremanti, avvicinò la scatola a lui.

Gen aveva colto il suo nervosismo, ma non sembrava credere che dentro quella confezione potesse esserci nulla di sconvolgente.

Tolse il coperchio e prese tra le dita i due biscotti che si trovavano all'interno, insieme. Lei li aveva decorati apposta con maggior cura.

«Pa-pa.» Gen corrugò la fronte. Rifletté. «Papà?»

Nel leggere la parola con l'accento giusto lui sgranò gli occhi. Si voltò a guardarla.

Makoto fremette, in attesa di sentire la sua prima reazione.

«... hai adottato un cane?»

Lei spalancò la bocca. «No!»

Gen si guardò intorno, come cercando tracce di un cucciolo. «Allora... sei andata a sceglierlo?»

A Makoto venne quasi da piangere. «No.»

Lui continuava a guardarla, senza capire.

Makoto non riuscì a credere di doverlo dire ad alta voce. «Sono incinta.»

Gli entrò in testa il significato della parola. I suoi occhi si aprirono un poco. «In che senso?»

Incredula, Makoto boccheggiò.

Gen la osservava senza sbattere mezza palpebra.

«Ho fatto un test di gravidanza.»

Lui le era parso immobile prima, ma ora non respirava nemmeno.

«È positivo.»

«È sbagliato.»

«Sono andata da Ami. Lei me li ha-... l'ha confermato col computer.»

Nel volto di Gen iniziò a diffondersi il terrore.

Makoto non poté essere clemente. «Sono incinta. Davvero.»

Lui finalmente comprese. «Avrai un bambino

Non le importò ancora di correggerlo sul numero. «Avremo.»

Gen balbettava. «Ma non- Tu non- Non doveva essere-» Inghiottì aria. «Sei INCINTA?!»

Makoto avrebbe riso se non avesse sentito nel suo tono un'accusa. «Non l'ho fatto apposta.»

«No, non-» Gen non riuscì a dire più niente. Passò dallo sgomento alla comprensione, di nuovo allo spavento, scivolando verso la preoccupazione senza mai smettere di guardarla in faccia. Sciolse i muscoli del volto. «Un bambino?»

Makoto annuì, in apprensione. «Il nostro.»

Gen tornò a respirare. «Mako...»

Non deludermi, non deludermi-

Gen allungò un braccio verso di lei. Makoto salì sopra il tavolo per raggiungerlo, gettandosi tra le sue braccia, per non guardarlo in faccia.

«Com'è possibile?» domandò lui.

«Non lo so. Ma sono incinta da ventidue giorni esatti.»

Lo sentì assorbire il numero e smettere di nuovo, per un momento, di inghiottire aria. Faticava ad accettare la realtà.

'Non pensavo che fosse possibile', 'Non sono pronto', 'Non avevi detto che...'

Si preparò ad ascoltare quelle obiezioni, reazioni a caldo che doveva perdonare. Si affidò all'abbraccio con cui lo stava percependo e su cui stava imprimendo forza soprattutto da sola.

Sentì d'improvviso la stretta di lui che aumentava.

«Mako...»

Voltò la testa, incontrando i suoi occhi.

«Veramente?»

Ma questa volta l'indecisione conteneva una traccia di felicità.

Lei si permise di far trasparire la propria gioia mentre annuiva.

Gen schiacciò la bocca sulla sua. Le prese la testa tra le mani, con disperazione. Quando si staccò, stringeva forte gli occhi. Si passò una mano sulla faccia. «Ce la faremo.»

Makoto iniziò a sorridere.

Gen parlava per metà a lei, per metà a se stesso. «Non importa come. Sono qui con te.»

Anche io sono qui per te. Lui iniziò a farle tenerezza. «Allora sei contento?»

«Credo di sì. Cioè, sì!» Strofinò il volto contro il suo, forte, sfiorandola con baci. «Incredibile!»

Makoto volle fargli da àncora. «Lo so. Ti amo tantissimo.»

Gen si riprese. «Anche io.» Si staccò dal bacio in cui lei lo aveva coinvolto. «Da quanto lo sai?»

«Da stamattina. Ho un ritardo di sei giorni.»

Lui boccheggiò. «Perché non me l'hai detto prima

«Perché non- Pensavo che ci fosse qualcosa che non andava. O forse che il mio ciclo fosse andato via per sempre, dato che il mio corpo è strano. Non ero sicura di niente, perciò ho fatto il test.» Per scherzo, per speranza. Non ci aveva creduto nemmeno lei finché non aveva visto le due strisce rosa che si materializzavano sullo stick. Andò a prendere il test dal cassetto in cui lo aveva nascosto.

Gen lo ricevette in mano, per controllare con i suoi stessi occhi. «E dopo sei andata da Ami?»

Makoto annuì.

Lui comprese. «Lo hai visto.»

«Ecco...»

Gen non la guardava più, pensava. D'un tratto abbassò gli occhi sul suo corpo. Allungò la mano verso il suo ventre, toccandola col palmo aperto.

«Allora c'è.»

Makoto gioì della soddisfazione di lui.

«Com'è?»

«Brilla.» Brillavano tutti e due.

Lei e Gen si strinsero di nuovo. Dondolarono insieme, cullandosi.

«Domani vengo a vederlo anche io» mormorò lui. Ebbe un sussulto. «Maschio o femmina?»

«Non ho voluto scoprirlo.»

Lui rilasciò un sospiro. Le regalò un primo sorriso disteso. «Dovevi dirmelo. Dovevo venire con te già oggi.»

«Volevo essere sicura. E volevo guardare la tua faccia mentre te lo dicevo.» Avrebbe conservato quel ricordo per tutta la vita. Scoppiò a ridere. «Non dimenticherò mai che hai pensato a un cane!»

«Volevi un cucciolo!»

Oh, lo voleva ancora, da far crescere coi loro bambini. «C'è un'altra cosa che devo dirti...»

«Dopo aver scoperto di essere incinta sei andata ad adottare un cane.» Gen sorrideva e si allungò sul tavolo. «Sento che è questo. Prendo una fetta di torta per assorbire la notizia.»

Makoto non riuscì a fermarlo in tempo: lui aveva già sollevato il coperchio.

Sulla torta campeggiava una scritta. 'Sono due!'

Gen la lesse. «In che senso?»

«Ehm...»

«Due cosa? Due...» Collegò la frase all'evento. Sbiancò.

Makoto si sentì in colpa. «... Gemelli.»

Fu come se avesse trapassato il cervello di Gen con un fulmine.

Si azzardò a continuare. «C'erano due puntini sullo schermo del computer di Ami. Non ci credevo nemmeno io.»

«Gemelli?!»

Stava per venirgli un infarto. «Ehm, non so se ci sia qualche precedente in famiglia, ma...»

Il torso di Gen virò pericolosamente di lato. Lui riuscì a non cadere appoggiandosi al tavolo. «Due.»

Makoto annuì, timida. «Sì. Avremo due bambini.»

Gli uscì una risata, un suono semi-inquietante.

«Gen?»

La risata virò verso il singhiozzo. «Quando becco il bersaglio...»

Eh?

«I miei ragazzi sono stati troppo efficienti.»

Makoto capì e gettò la testa all'indietro. «Sono io che ho prodotto due ovuli!»

Lui sobbalzò e la raggiunse. «Allora sono diversi?»

«Cosa?»

«Due ovuli non sono gemelli diversi? I bambini non avranno la stessa faccia.»

Oh! Non ci aveva pensato! «Non sono sicura. Ho solo visto che i puntini non erano vicini.»

«Allora magari saranno di sesso diverso.»

Makoto si pentì di non essere stata la prima a pensarci. «Hai ragione.» Volle prenderlo in giro. «Ma potrebbero comunque essere due bambine.»

Lui rimase interdetto solo per un secondo. «Forse.» Annuì, sempre più convinto. «Tre principesse.»

Makoto si sciolse di tenerezza. «Tre?»

Lui la attirò a sé per la vita. «Hai ragione. Una regina e due principesse. Sarò molto contento.»

Makoto lo baciò su una tempia, stringendolo fortissimo. «Per farti ancora più felice, ti farò un regalo.»

«Un altro?»

«Un cane. Ho capito che lo desideri tanto.»

Gen esplose in una risata. «Prima ci vuole la casa con giardino. E un'altra cosa.»

«Hm?»

«Quella sarà la mia sorpresa. Non ne fai solo tu.»

Makoto non chiese. Si godette la felicità, il momento. Era piena d'amore. E di fame. «Mangiamo la torta.»

«Giusto, ora mangi per tre.»

Ma no.

«Niente nausee?»

«Sono fortunata per ora.» Stava benissimo.

Gen adocchiò la torta con sospetto. «Hai bisogno di nutrienti.»

«La torta mi nutre.»

«Hm. Come eccezione non farà danni. D'ora in poi avrai bisogno di riposare di più.»

«Non sono stanca.»

«Non dovrai diventarlo. Niente stress. Non dovrai sollevare pesi.»

Diceva una cosa del genere a lei? «I bambini sono al sicuro. Hanno tre settimane e sono più piccoli di un'unghia.»

«Sono minuscoli, perciò bisogna proteggerli.»

La tenerezza vinse sull'irritazione. Quasi. «Gen.»

«Hm?»

«Se vogliamo sopravvivere a questi nove mesi, devi lasciarmi fare. Sono io la mamma, so come comportarmi.» Lo avrebbe imparato. Si sarebbe informata.

Lui non la stava contraddicendo, ma aveva qualcosa da dire. «E io sono il papà. Ho anche io i miei compiti.»

Di nuovo intenerita, Makoto ebbe un'immagine improvvisa di come sarebbero stati i mesi della sua gravidanza assieme a Gen: un momento avrebbe voluto strozzarlo, l'altro baciarlo.

«Perché sorridi?»

«È un segreto.»

«Ne hai tenuti troppi.»

«D'ora in poi insisterai per sapere tutto, vero?»

«La conoscenza è la base di una buona gestione.»

Makoto prese una cucchiaiata di torta e gliela infilò in bocca. «Mangia.»

E lo zittì col dolce.

   

«Potremmo fare così» disse Gen il giorno dopo a Ami Mizuno, mentre lei ancora non aveva acceso il computer per studiare di nuovo i suoi figli. «Rivelerai il sesso a me. Così Makoto dovrà aspettare per scoprirlo.»

«Vuoi ancora vendicarti per ieri?»

Erano seduti a tavola, di prima mattina. Alexander faceva colazione accanto a loro. «L'ha presa male, eh?»

Nel volto di Makoto brillò un sorriso. Si apprestò a raccontare, ma Gen intervenne. «E' una faccenda privata.»

«L'hai presa male» fu sicuro Alexander. «Un giorno saprò tutto.»

Ami sollevò gli occhi dal computer. «Tu non l'hai presa meglio. Ed eri preparato.»

Gen la adorò per il suo insperato aiuto.

«Comunque ti ho superato, Golden Boy. Due al prezzo di uno. Visto che potenza?»

Mentre Makoto ed Ami roteavano gli occhi al cielo, Alexander si lasciò sfuggire un ghigno. «Sì, bravo. Hai fatto tutto doppio. Doppi turni di poppate, doppie crisi di pianto, doppi cambi di pannolini, doppie notti insonni-»

«Sii gentile» lo fermò Ami.

Gen stava deglutendo. Sapeva tutto quanto - aveva visto quanto gli altri fossero stati devastati nel fisico da un solo bambino nei primi mesi - ma aveva bisogno di concentrarsi sulle cose positive.

Alexander aveva preso in braccio Adam. «Non preoccuparti. Poi arriva il momento in cui ti chiamano 'papà' e passa tutto. Vero, Adam?» Portò il bambino davanti alla faccia. «Dì 'papà'. Pa-pà, pa-pà!»

L'importante era non diventare altrettanto scemi, pensò Gen.

Makoto lo sfiorò su una manica. «Su. Scopriamo cosa saranno i nostri bambini.»

Gen annuì. Era pronto.

  

AU SPOILER - Makoto rivela a Gen che... - FINE

  


 

NdA: Ecco! Gli estratti hanno avuto un certo successo nella pagina Facebook, ma sono troppo curiosa di sapere che ne pensate della storia completa :) E se avete notato gli indizi che ho disseminato in merito a cose che ci saranno anche nella storyline ufficiale, hehe.

Elle

 

Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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