La Riunione delle Stagioni di Morgana_Redlights (/viewuser.php?uid=1070163)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Autunno è in ritardo! ***
Capitolo 2: *** 2. Inverno è sempre in anticipo ***
Capitolo 3: *** 3. Primavera è sempre in orario ***
Capitolo 4: *** 4. Estate arriva all’improvviso ***
Capitolo 5: *** 5. Che la Riunione abbia inizio! ***
Capitolo 1 *** 1. Autunno è in ritardo! ***
LA
RIUNIONE
DELLE STAGIONI
1.
Autunno è in ritardo!
Era una
notte buia. Il cielo era
trapuntato da milioni di stelle argentate ed una Luna, tonda e lattea,
illuminava quel manto tenebroso. Una portantina, nera come quella notte
oscura,
sfrecciava di gran carriera attraverso il Bosco Millenario. Il
cocchiere, un
gatto, anch’esso nero come la portantina, fumava un grosso sigaro ed i
suoi
occhi gialli come lanterne erano l’unica cosa distinguibile della sua
figura.
Il cocchiere schioccava in aria la sua bianca frusta per aizzare alla
corsa le
zucche stregate. Ad ogni schiocco la frusta sprigionava scintille
argentee,
lasciando una scia dietro di sé. I destrieri di quella portantina,
appunto
delle zucche stregate, erano intagliate nei modi più disparati: da
ghigni
feroci e ripugnanti, a delicate espressioni con decorazioni. Queste
saltellavano a più non posso, emanando fumi colorati dalle bocche e
dagli occhi
intagliati. I fumi, verdi, rossi, viola, blu, gialli, accompagnavano le
scintille della frusta in quella scia che si dissolveva velocemente
dopo il
loro passaggio. Le creature del bosco, sentendo quel forte trambusto,
si
scostavano in fretta dal loro cammino, rintanandosi nel folto e
osservando
sbigottiti quella portantina. Ma chi è che spronava il gatto con tutta
quella
premura? Era Autunno, vestita di tutto punto, che si recava come ogni
scadere
dell’anno alla Riunione delle Stagioni
ed era in ritardo! Reggendosi il cappello, si sporse dal finestrino
della
portantina e mentre i rossi capelli frustavano l’aria, urlò qualcosa al
cocchiere. Questo, inarcando un sopracciglio, inspirò del fumo dal
sigaro e
soffiandolo fuori, diede un altro colpo di frusta. Le scintille
schizzarono in
aria e le zucche, ormai quasi sfinite, aumentarono di più la loro
corsa.
Autunno ritornò a sedersi comodamente e, con l’ausilio di uno
specchietto, si
aggiustò l’acconciatura. Per tutte le stagioni!, perché doveva sempre
arrivare
in ritardo? Tutto d’un tratto la portantina di fermò e Autunno quasi
sbatté il
naso sul sedile di fronte. Il cocchiere miagolò qualcosa, sputando e
scendendo
dal sedile. Le zucche fumavano come ciminiere, erano esauste quelle
poverette.
Autunno scese con eleganza e pagò quel pazzo cocchiere in anticipo,
dicendogli
di aspettarla per la corsa di ritorno. Affermò, inoltre, che se avesse
tardato
gli avrebbe pagato doppiamente la corsa. Il gatto si tolse il cappello
e si
esibì in un inchino. Nessun problema, le disse, avrebbe atteso tutto il
tempo
necessario. Mentre la stagione si allontanava il pazzo cocchiere gatto
si
accese un secondo sigaro e gettò della polvere argentata sulle zucche
addormentate. Poi sedette sul sedile di legno a rimirare le stelle e
quella
Luna così grande che sembrava occupare tutto il cielo. I suoi occhi
come fari
seguirono Autunno avvicinarsi al falò e salutare le altre stagioni.
Mentre
tutte si sedevano attorno al fuoco, bevendo e parlando, il cocchiere,
seduto
sul seggio, si appisolò.
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Capitolo 2 *** 2. Inverno è sempre in anticipo ***
2.
Inverno
è sempre in anticipo
Il
Bosco Millenario era abbracciato dai
colori del tramonto. Le ombre degli alberi si allungavano sul
sottobosco e le creature
diurne si apprestavano a raggiungere velocemente le loro tane; mentre
gli
animali notturni emergevano dall’ombre per andare a caccia. Una
portantina,
pulita di tutto punto, percorreva il sentiero con andatura posata. Era
tinteggiata di bianco, ma con il cielo tutto aranciato, era diventata
anch’essa
tutta arancione. Il cocchiere, un grosso lampione ottocentesco, guidava
un
corteo di pupazzi di neve stregati. Questi ultimi, rotolavano come
ruote di una
carrozza, lasciando dietro di loro una scia di neve sbrilluccicante. Il
cocchiere teneva le lunghe briglie con le sue sottili braccia di ottone
e, di
tanto in tanto, dava un colpo per far correre più veloce i pupazzi.
All’interno
della portantina, Inverno, controllava ossessivamente l’orologio da
taschino.
Spero di non essere in ritardo, si diceva, altrimenti sai che figura!
Ma,
Inverno, non era mai in ritardo. Si massaggiava pensoso la corta
ricciuta barba
bianca e pensava alle sue mirabolanti imprese di quell’anno: erano
davvero
eccezionali! La candela del cocchiere divampò tutto d’un tratto, segno
distintivo che il poveretto aveva fatto uno starnuto, perciò si avvolse
in una
coperta per ripararsi dal freddo. Il Bosco Millenario non conosceva
stagioni,
poiché le ospitava tutte ogni anno, ma le stagioni si portavano con sé
ogniqualvolta che vi si recavano. Questo voleva dire che attorno alla
portantina di Inverno faceva un gran freddo. Come rotolavano quei
pupazzi di
neve! Il lampione aveva fatto aumentare loro la corsa, poiché Inverno
aveva
iniziato a presentare delle rimostranze per la loro lentezza. Con un
possente
colpo di redini, i pupazzi vorticarono sul posto, emettendo scintille
rosse e
argentee e continuarono la corsa con più vigore. Per via di tutto quel
gelo, il
cocchiere, cercò di scaldarsi aggiungendo una candela alla sua
lanterna, ma non
servì a risolvere il suo problema. Si accorse, però, che fortunatamente
si
stavano avvicinando al falò e si chiese perché il suo passeggero ci
tenesse ad
arrivare sempre così presto, dato che poi avrebbe dovuto aspettare con
impazienza. Il lampione infreddolito bussò sul finestrino, segno che la
destinazione era giunta. Arrestò adagio i pupazzi di neve, tirando
gradualmente
le lunghe redini della portantina. I pupazzi si alzarono e
stiracchiarono: ognuno
di loro indossava una lunga sciarpa di lana di colore diverso e avevano
tutti
un diverso ortaggio per naso. Inverno scese dalla portantina a fatica,
poiché
la sua mole era imponente e di grande possanza. Infatti, rispetto al
povero
cocchiere, era di tre volte più alto e lo sovrastava con sguardo
minaccioso. Si
lamentò di essere arrivato più tardi di due minuti rispetto all’anno
precedente
ed il lampione si scusò chinando la grossa lanterna, mentre le fiamme
al suo
interno seguivano il movimento, reclinandosi all’indietro. La fredda
stagione
sospirò, poi, allungando la paga al cocchiere, gli chiese di attenderlo
fino
alla fine della riunione. Il cocchiere annuì e si accese un piccolo
falò e ci
mise a scaldare dell’olio per tirarsi su il morale. Nel frattempo, i
pupazzi di
neve si rilassavano sonnecchiando sotto il folto, mentre il sole ormai
scompariva del tutto dietro agli alberi e la notte si rivelava, oscura
e
stellata.
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Capitolo 3 *** 3. Primavera è sempre in orario ***
3.
Primavera è sempre in
orario
Era
appena calata la notte e già le stelle
brillavano in cielo. Una grande luna, come un globo lattiginoso,
sorgeva nel
centro del Bosco Millenario e, mentre tutto giaceva in
quell’immortalità
secolare, uno sciamare sommesso andò spargendosi tra gli alberi. Era la
portantina di Primavera, tutta sgargiante nella sua vernice rosa
confetto, che
saettava a tutta velocità tra il folto millenario. Grosse lanterne
erano appese
al tettuccio spiovente della portantina ed oscillavano impazzite per la
furia
della corsa. Il cocchiere, un grosso coniglio pasquale, con un grosso
cilindro
rosa e un papillon rosso annodato stretto stretto al collo, immergeva
il grosso
zampone dentro un grosso sacco pieno di polline. Imprecando e
sbuffando, il
cocchiere, lanciava il polline allo sciame di bombi che trascinava la
portantina
e, questi, inseguivano le brillanti pepite d’oro come fossero briciole
di pane.
Primavera se ne stava tranquillamente seduta, senza proferire alcuna
parola
sull’anticipo o il ritardo del cocchiere. Poco le importava l’ora in
cui
sarebbe arrivata, tanto, si disse, io arrivo sempre in orario!
Giocherellando
con il suo peluche, la piccola Primavera, canticchiava una dolce
melodia,
scuotendo i ricciuti capelli rosa pallido e ondeggiando le corte
gambette.
Dall’alto del suo ruolo e, nonostante la sua presenza decisamente
adorabile, il
coniglio, si lasciava andare a frasi del tutto poco consone ad orecchie
di
bambini e pensava al perché si fossero scelte proprio quelle grosse api
come
cavalcature. Il polline, pensò, il polline non se ne andrà più dal mio
fitto
pelo morbido! Primavera, per pacificare il cocchiere, fece uscire la
mano dal
finestrino e, aprendola contro il vento, sprigionò una pioggia di
petali di
fiori di ciliegio. A quella vista, il cocchiere, si tolse il cappello,
rivelando le lunghe orecchie, e si lasciò scappare un sorriso.
Distratto
dall’incantevole magia della stagione dell’amore, il cocchiere, si era
dimenticato per un attimo di lanciare il polline e la portantina aveva
già
cominciato a rallentare la sua corsa, mentre il ronzio dei bombi si
stava
affievolendo. Ridestandosi, perciò, immediatamente dall’incanto, il
coniglio,
ne prese una grossa manciata a due zampe e la lanciò in aria, come
fossero
tante gocce d’oro. Le grosse api, vedendo piovere su di loro
quell’incanto, si
animarono maggiormente e la portantina subì una poderosa spinta in
aventi.
Primavera si tenne con le manine al sedile, imprecando a bassa voce e
rivelando, per un momento, la sua matura versione. Il cocchiere si
rimise il
cilindro in testa e, tossicchiando con imbarazzo, riprese l’andatura
costante,
finché in lontananza non distinse la radura ed il focolare
dell’incontro. Con
estrema maestria, l’orecchiuto cocchiere, diminuì il polline fino ad
arrestare
completamente i bombi e scese, con un abile balzo, dal suo posto. Aiutò
Primavera a scendere dalla portantina e, dopo che questa lo ebbe
pagato, si
allontanò salutandolo con la manina. Il cocchiere si tolse il cappello
e lo
posò dentro la portantina, accendendosi un fuoco e preparandosi una
zuppa di
carote e semi di girasole. Nel frattempo i grossi bombi ronzavano tra i
fiori
notturni liberi di riposare a dovere.
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Capitolo 4 *** 4. Estate arriva all’improvviso ***
4.
Estate
arriva all’improvviso
Fu
proprio in un momento imprevisto, che
il Bosco Millenario si riempì del profumo del mare e dei fiori di
campo. Uno scalpiccio
frenetico di zoccoli rimbombava tra gli alberi e faceva vibrare la
terra. Una miriade
di cavalli, purissimi destrieri dai diversi manti, galoppavano
trascinando
dietro di loro una portantina dorata come i raggi del sole. Il
cocchiere, un
grillo un poco brillo, suonava allegramente il violino al ritmo di una
vivace
ballata estiva. I cavalli, seguendo il ritmo del violoncellista,
galoppavano
allegramente, espandendo i loro nitriti nell’aria. Il grillo suonava
quel
violino come un’artista: mille e mille scintille dorate sprizzavano
dalla lunga
asta e le corde stridevano armoniose, come fossero il vento d’una sera
d’estate.
E proprio Estate, in quella portantina, se ne stava comodo comodo come
nulla
gli importasse. Quando arrivo, arrivo, si disse, io vengo sempre
all’improvviso!
Abbassando il finestrino, lasciò che il suono del violino entrasse
nella
portantina e che i polmoni si riempissero del profumo del mare. Il
grillo, con
le zampe posteriori, s’asciugò la fronte con un grosso fazzoletto a
pois. Sebbene
la brezza serale, faceva pur sempre caldo, Estate non si risparmiava
nemmeno
per la corsa! Per un attimo si prese una pausa. Estrasse dal sedile un
grosso
bibitone ghiacciato e ne tracannò mezzo, poi riprese subito il violino,
recuperando il ritmo che s’era andato rallentando. Le note uscirono un
poco
storte! Che diavolo c’era in quella bibita?! Dannato grillo ubriacone,
pensò
tra sé Estate, cosa si è messo nel bibitone? I cavalli andavano di qua
e di là,
ondeggiando come l’archetto del violino, mentre il grillo singhiozzava
e, con
gli occhi torbi, più nessuna nota ricordava. La portantina procedeva
zigzagando
e le creature del bosco tutte si allontanavano. Alla fine i fumi
dell’alcol si
diradarono ed il cocchiere riprese a suonare ordinatamente e con brio
crescente. Finalmente i poveri cavalli poterono andarsene dritti per la
loro
strada. Seguendo il ritmo del violino filarono in fretta e, senza
stanchezza,
raggiunsero finalmente la radura ed il falò. Il grillo smise adagio di
suonare
e fece segno ad Estate che poteva andare. La stagione scese dalla
portantina:
un alto e abbronzato uomo, perfetto in ogni lineamento, come fosse una
divinità. Il cocchiere rimase incantato dalla bellezza di Estate che,
con un
sorriso invitante, gli consegnò la paga e, pregandolo di aspettarlo
fino alla
fine della riunione, gli allungò la mancia. Il grillo si inchinò
profondamente
e, mentre la stagione si allontanava, il cocchiere lasciò che i cavalli
si
rinfrescassero nel laghetto. Il grillo estrasse la sua bibita e,
sdraiato sull’erba
senza stagione, sorseggiò alcol finché non venne notte.
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Capitolo 5 *** 5. Che la Riunione abbia inizio! ***
5.
Che
la Riunione abbia inizio!
Il
Bosco Millenario era immerso in
un’atmosfera magica. La notte ormai era calata e sugli alberi, immutati
dal
tempo, si dipingevano sinistre ombre create dalle alte fiamme del
focolare.
Quattro grossi tronchi erano sistemati in cerchio attorno al falò e le
tre
stagioni, Estate, Inverno, Primavera, stavano chiacchierando in attesa
di Autunno.
Inverno era in piedi di fronte ad Estate e scuoteva con fierezza la
grossa
pinta di birra, parlando animatamente di come fosse stato eccezionale
il suo
Natale. La fredda stagione era la più alta tra tutte e, anche, la più
imponente. Quella notte indossava una camicia bianca, le cui fibre
erano messe
a dura prova dai grossi muscoli e le cuciture stesse, di tanto in
tanto, si
lamentavano impercettibilmente, scricchiolando. Portava delle bretelle
nere che
sorreggevano un paio di brache nere a righe bianche, anch’esse tese al
massimo
delle loro capacità per via dei muscoli possenti. Un papillon rosso e
delle
eleganti scarpe nere completavano il suo abbigliamento. La figura di
Inverno,
nel complessivo, era quella di un uomo sui quarantacinque anni, con la
barba
corta, ma folta, ricciuta ed i bianchi capelli laccati all’indietro. I
suoi
occhi color ghiaccio erano un faro in quella notte buia. Estate, dal
canto suo,
ascoltava senza troppo interesse gli sproloqui altezzosi di Inverno.
Poco gli
importava del raccolto, del Natale, di tutte quelle cose che non
riguardavano
la sua stagione. Estate era una stagione disinteressata, amava le
feste, amava
rilassarsi e far rilassare gli altri. Poteva sembrare un ragazzo di
venticinque
anni, non di più! Indossava una felpa grigia con cappuccio, ma senza
maniche,
esibendo i muscoli magri e delineati di un giovane in forma. La zip era
abbassata a mostrare i lisci pettorali scolpiti e sobri e la sua
carnagione
color caramello. Portava un paio di bermuda kaki e un paio di infradito
blu. I
suoi capelli erano lunghi e lisci, scuri come la notte e resi gonfi
dall’acqua
salata. I suoi occhi verde smeraldo saettavano di qua e di là, cercando
qualcosa di interessante su cui posare lo sguardo, per estraniare le
sue
orecchie dal discorso di Inverno. Primavera, invece, se ne stava seduta
sul suo
tronco, con le braccia conserte ed uno sguardo cagnesco rivolto ad
Inverno.
Quanto detestava sentirlo sempre vantarsi di tutto, era insopportabile!
La
stagione dei fiori dimostrava non più di dieci anni, portava i capelli
tinti di
rosa leganti in delle strette treccine e gli occhi nocciola le
brillavano di
bagliori fiammeggianti. La piccola non arrivava al terreno, seduta
com’era su
quel grosso ceppo e, sgambettando, faceva oscillare le scarpette
laccate di
rosso. Indossava un vestitino tutto adornato di pizzi bianchi e
fiocchetti ed
il suo aspetto da bambolina era accentuato dalla carnagione color
porcellana.
Primavera pareva un’adorabile bimbetta, nel suo aspetto così dolce e
calmo, ma
dentro nascondeva una vera e propria diavolessa.
Finalmente
arrivò Autunno che, respirando
a fatica per la corsa, si accomodò subito sul tronco accanto a
Primavera. La
stagione delle zucche si scusò con tutte le altre per il suo ritardo e
prese a
tracannare con una certa grazia sgraziata un lungo bicchiere d’acqua.
Inverno
la osservò scuotendo il capo con disappunto; Estate ridacchiò, ma dal
canto suo
poco gli importava e Primavera, tenendo la brocca con due mani, le
versò più e
più volta acqua nel bicchiere. Autunno portava una lunga gonna blu
scuro
costellata di tanti punti dorati, pareva quasi un cielo stellato che,
con tutte
quelle fitte pieghe, si muoveva come avesse vita propria. Indossava,
poi, un
cardigan a coste color zucca. I lunghi capelli rossi le ricadevano, in
grossi
ricci, sulle spalle magre e gli occhi blu come la notte si confondevano
con il
cielo. Ai piedi portava un paio di scarponcini allacciati stretti e
delle calze
scure.
Essendo
arrivati tutti, la Riunione poteva
finalmente avere inizio!
Una
volta che si furono tutti accomodati
attorno al falò, Inverno prese la parola, come ogni anno, per
introdurre la
Riunione.
«A
tutti do un caloroso benvenuto all’Annuale Riunione delle
Stagioni. Eccoci
tutti qui! Allora, com’è andato il vostro anno? Se mi permettete di
cominciare
– nessuno mostrò interesse nell’obiettare – vi racconterò com’è andato
il
mio…Bene…Devo dire che ogni prodotto, quest’anno, è stato eccezionale
e, con
l’assistenza di Natale, è andato tutto splendidamente. La neve è scesa
copiosa
e tutte le montagne si sono innevate a dovere. Fantastico non trovate?
–
nessuno disse nulla. Primavera cacciò indietro uno sbadiglio che
sarebbe stato,
altrimenti, a dir poco maleducato – In ogni caso, a voi com’è andata?»
«Bene,
come ogni anno, il sole, la sabbia,
il mare…insomma tutti fantastico» dichiarò Estate, senza sbilanciarsi
troppo
emotivamente.
«Concordo,
tutto alla grande» annuì
Primavera verso Estate, trattenendo a stento del rancore represso nei
confronti
di Inverno.
«Autunno?»
«Tutto
bene!» esclamò la stagione, come
fosse stata colta nell’atto di combinare qualcosa. Tutti, di fatto, si
erano
accorti che da quand’era arrivata, Autunno sembrava tormentata da un
qualche
pensiero che, con tutte le sue forze, cercava di reprimere. Nessuno di
loro,
però, diede al suo disagio particolare peso.
Vi
starete chiedendo, però, se la riunione
delle stagioni non riguardi solo questo: chiacchiere futili e qualche
scaramuccia. No, no signori e signore, la Riunione
delle Stagioni era ed è molto di più. Infatti, oltre ai
convenevoli, le
quattro stagioni dovevano, ogni anno, portare con loro un racconto, una
storia
da condividere con tutte le altre. La storia o il racconto doveva
essere
qualcosa, avvenuto durante la stagione, che per loro era stato
significativo e
che si era realizzato grazie alle circostanze da loro ricreate. Questa
era la
Riunione. Il racconto o la storia si sarebbero impresse per sempre nel Memoriale delle Stagioni, sancito dal
focolare che ogni anno veniva acceso in onore al loro incontro. La
storia
doveva essere scritta su un foglio e bruciata nel falò, cosicché
potesse essere
registrata nell’ “archivio” del Bosco Millenario. Poteva succedere che
una
stagione non avesse nulla da raccontare, in quel caso, doveva donare al
focolare un oggetto o un elemento della natura che, per quella
stagione, era
stato particolarmente fruttuoso o stupefacente quell’anno.
«Prendo
di nuovo la parola, visto che
peccate tutti di iniziativa…» sorrise ironicamente Inverno, ergendosi
in tutta
la sua possanza «Se non vi dispiace darei inizio alla vera riunione,
portando
qui al focolare il mio racconto annuale: la mia storia parla di un
vecchio
burbero che trovò finalmente famiglia, grazie ad una tormenta di neve»
Il
racconto di Inverno fu lungo e senza
esclusione di colpi. Molti momenti furono intensi, altri più blandi, ma
il suo
racconto si sciolse con coinvolta partecipazione del pubblico.
“C’era
un uomo, un vecchio, burbero e serio che aveva deciso di vivere lontano
da tutti,
in alto sulle montagne. Un bel giorno, un mio giorno, il vecchio uscì di casa per andare a caccia. La neve
era alta e
faceva un gran freddo. Le montagne erano bellissime, quando io le
innevavo, ma
anche imprevedibili. Il vecchio cacciatore riuscì a prendere un
coniglio, prima
che il cielo si rannuvolasse e minacciasse bufera. Stava
capitando, sia
chiaro, non incito sempre le Bufere a manifestarsi. Allora
il vecchio ci vede bene che fosse il caso di ritornare a casa.
Mise coniglio e fucile in spalla e percorse, con sicurezza, la strada
del
ritorno. Mentre camminava, il vecchio burbero, si imbatté in un
bambino. Era
rannicchiato tra un cespuglio e un grosso abete e tremava di freddo.
L’uomo lo
osservò per un attimo, i suoi genitori sicuramente lo stavano cercando,
perciò
non ci badò e si incamminò di nuovo. Allora, in quel momento, decisi
che la
bufera si sarebbe abbattuta con più violenza. Sarei riuscito a
convincere
il vecchio a prendere con sé il bambino? Era
quasi giunto alla sua casa, quando si rese conto che nessuno avrebbe
salvato
quel bambino, che sicuramente si era perso nel bosco. Quel vento e
tutta quella
neve lo avrebbero sommerso. Il vecchio, per quanto venisse definito
cattivo,
tornò a prendere il bambino e lo accudì finché la tempesta non si
placò. Che
mossa geniale non trovate? Alla fine, la
mattina successiva, lo accompagnò al villaggio e, grazie all’assistenza
delle
forze dell’ordine, il bambino ritornò dalla sua famiglia. Ogni anno il
bambino
torna a far visita al vecchio, che chiama nonno della montagna.”
Inverno,
finita la storia, osservò la
reazione dei presenti, attendendo i complimenti che era sicuro gli
sarebbero
arrivati di dovere.
«Beh,
un bel lavoro, Inverno, come al
solito. Gran bel racconto. Tutta quella neve…troppo avvincente.»
convenne
Estate, con una punta di sarcasmo nel tono che, però, non fu colta da
Inverno
che accettò i complimenti come veritieri.
«Ebbene
grazie! Ora, sotto a chi tocca!
Primavera?»
«Se
non ti spiace, Primavera, andrei io.
Faccio presto. Durante la mia stagione non è successo nulla di
significativo,
perciò, quest’anno consegno un oggetto» dichiarò Estate e, prendendo da
dietro
il ceppo una stupenda conchiglia, la lanciò nel fuoco. Seguì Inverno
che vi
bruciò la busta con il racconto all’interno.
«Puoi
andare Primavera» le passò la parola
Estate, con un gesto della mano.
Il
racconto di Primavera, come ogni anno,
fu estremamente romantico e melenso. Sebbene il suo aspetto di bambina
ed i
suoi modo da adulta, Primavera, adorava le storie amorose come tutti
gli
adolescenti. Perciò, il suo racconto risultò estremamente tedioso per
Estate,
coinvolgente per Autunno che aveva un animo drammatico e noioso per
Inverno.
“La
storia è quella di un ragazzo delle superiori. Il ragazzo era
considerato da
tutte le ragazze il più bello, da tutti gli insegnanti il più
intelligenti e da
tutti i ragazzi il più abile negli sport. Non aveva mai voluto una
ragazza e
mai ne aveva illusa una sulla possibilità di avere una relazione con
lui. Per
questo motivo, da molti ragazzi, era considerato arrogante e vanitoso.
Il
ragazzo non amava mettersi in mostra, anche se dava sempre il cento per
cento
in tutto quello che faceva. Ci fu un giorno, un giorno molto
particolare, in
cui nella sua classe si iscrisse una nuova studentessa. Questa nuova
ragazza
era diversa da tutte le altre: non parlava quasi mai e si faceva sempre
i fatti
suoi. Si vestiva in modo semplice, anche se tutti la trovavano
graziosa. La
ragazza era molto brava a scuola, tanto da competere con il ragazzo e
lo era
anche negli sport. Il ragazzo cominciò ad essere molto interessato a
lei ed, un
giorno, decise di aspettarla dopo gli allenamenti di pallavolo. I due
ragazzi
tornarono a casa insieme, parlando di molte cose e scoprirono di avere
molti
interessi in comune. Il ragazzo si era già innamorato. Ovviamente
arrivai
io e portai con me gli spettacolari fiori di ciliegio che inondavano i
viali di
petali rosa. Così il ragazzo prese
coraggio e confessò alla ragazza i suoi sentimenti. La ragazza era
sorpresa,
poiché anche lei era innamorata di lui, ma credeva di non essere il suo
tipo.
Alla fine i due ragazzi si fidanzarono e…”
Primavera
fu interrotta da Inverno che non
poteva più trattenersi: «C’è da dire che quel giorno, oltre ai tuoi
amati
ciliegi, ho fatto venire giù neve! Dannazione, senza quel tocco di
classe,
altro che confessione amorosa. Te lo potevi scordare!» esclamò con
orgoglio.
Primavera,
già sull’orlo di una crisi di
nervi, sbottò con furia: «E’ proprio così, Inverno? Dannato te! Ogni
anno metti
lo zampino nella mia stagione! Devi smetterla. La tua è già
sufficientemente
lunga, perché diavolo devi mettere sempre la mani su quelle degli
altri?! Quel
momento era perfetto così com’era…sei un grosso maleducato!» e mentre
si sfogava,
la piccola Primavera si allungò. Alzandosi in piedi, adesso, sembrava
proprio
una donna adulta. Le trecce si erano allungate sopra il seno
prosperoso,
l’abito da bambolina era diventato un kimono di seta che le scendeva
sui
fianchi morbidi e le gambe snelle. Estate già pregustava una lite di
quelle che
non si vedevano da decenni e si accomodò con interesse per seguire lo
svolgersi
di quella vicenda. Autunno, dal canto suo, cominciò a sentirsi sempre
più a
disagio.
«Io?!
Io maleducato?!» tuonò Inverno,
ergendosi massicciamente ben oltre il volto di Primavera che, però, non
era per
nulla intimorita dall’aspetto della stagione: «Come osi bambina
insolente!
Senza il mio intervento la tua stagione sarebbe una completa noia! Solo
fiori e
porcherie amorose!» Primavera si arrossò in volto: «Po…porcherie
amorose?!
Brutto…brutto idiota, ma guarda cosa mi tocca sentire! Il tuo paesaggio
è così
deprimente…tutto bianco…e sarebbe la mia noiosa? Sei troppo altezzoso,
vuoi
sempre tutta la gloria!» balbettò per la rabbia.
Autunno,
ormai allo stremo delle forze,
cercò di intervenire in quella conversazione, provando a prendere la
parola.
Doveva assolutamente raccontare la sua storia, ormai non ce la faceva
più. Si
era portata persino un oggetto da consegnare al focolare, ma non ce la
faceva.
Aveva una paura fottuta, sarò bandita me lo sento, pensava.
«Scusate…»
provò a dire, ma nessuno la
ascoltò. Primavera ed Inverno ancora non accennavano a smettere ed
Estate era
troppo intento ad ascoltare. «Scusate!» riprovò più forte. Ancora
nessuno le
diede retta. Alla fine si decise, lo avrebbe detto urlando. Che
imbarazzo, si
disse, non credo di aver mai urlato in vita mia. «HO
PARLATO CON UN ESSERE UMANO!» gridò
e tutti si destarono. Cos’avevano appena
udito? Autunno, umano, parlare? Mai
nella storia della riunione annuale delle
stagioni era stata raccontata una cosa simile. Nel regolamento non
c’erano
specifiche a riguardo, ma era sempre apparsa a tutti come una regola
non
scritta, ma infrangibile. Autunno, invece, lo aveva fatto, cos’avrebbe
fatto il
focolare? Sarebbe stata approvata.
«Autunno…»
mormorò Primavera al colmo
dello stupore e si accorse della sua lettera, la raccolse e lanciò nel
focolare
con un gesto meccanico. Questa affermazione costrinse tutti a sedersi
ed
ascoltare la storia annuale di Autunno.
La
storia li sorprese? Questo non saprei
dirlo, ma fece comprendere a tutti molte cose importanti e, forse,
anche il
focolare ne comprese la naturale conseguenza evolutiva. Quel gesto
stava per
portare ad un cambiamento indispensabile.
“Stavo
andando in
giro per i fatti miei. Le foglie che
cadevano su quel laghetto nascosto tra gli alberi mi ricordavano tante
piccole
barchette colorate. Passato il boschetto si arrivava ad un ponticello
di legno
che era basso ed innocuo, come l’acqua che vi scorreva sotto:
trasparente si
insinuava tra i massi del fondale, scomparendo di nuovo nel folto. Fu
proprio su quel ponte che lo vidi. C’era
un uomo molto magro, indossava un completo di flanella ingessato e una
cravatta
consunta e snodata, lasciata libera sul petto. L’uomo era
insignificante, nella
sua figura, non ricordava nessuno di noto e nemmeno nessuno che avrebbe
lasciato un segno nella memoria di qualcuno. Era solo, come vuoto era
quel
boschetto. In mano teneva una pistola, un piccolo revolver. Gli occhi
umidi e
arrossati e le mani tremanti mi fecero pensare a qualcosa…un gesto che,
però,
non volevo dire…lo lascia sospeso in quel momento così denso. L’uomo
teneva,
nell’altra mano, un plico di foglio vergati a mano. Era uno
scrittore. Lo
avevo capito subito, ma la vita gli aveva sorriso di rado ed ormai era
al
limite. Era bravo, il talento non gli era oscuro, ma qualcosa ruotava
costantemente a suo sfavore. Sfinito dalla fame e dalla povertà, dalla
depressione ed il dissenso generale, aveva deciso di togliersi la vita.
Non
aveva nessuno che lo avrebbe pianto. Si
infilò la pistola nella bocca e chiuse gli occhi. Cosa potevo
fare? Non
volevo assistere ad un suicidio, la mia stagione era appena cominciata!
Mi
manifestai a lui nella forma che vedete anche voi adesso e lo fermai.
Gli diedi
un’occasione, a quel poveretto, un motivo per continuare la sua vita. E
allora
gli donai un po’ di ispirazione, ma solo pronunciando il mio nome.
Così,
durante la mia stagione, avrebbe scritto fino a consumarsi le mani e
tutto gli
sarebbe andato meglio. L’uomo che mi dedicò quasi ogni suo sonetto. E
si
racconta molto di lui in giro. Davvero, grazie a me,
quell’uomo è vivo.”
La
riunione si chiuse nel silenzio più
attonito, mentre Autunno, con po’ di timore, consegnava al focolare la
sua missione.
*La
storia di
questo scrittore è brevemente raccontata nel mio componimento Poeta d’autunno, per tutti coloro che
fossero interessati a leggerla.
**Chiedo
scusa a
tutti coloro che seguono la mia storia per la lentezza con la quale ho
pubblicato questo capitolo! Grazie per il sostegno.
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