Come ti senti

di Mondschein
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


La maggior parte delle volte non è facile iniziare una relazione. Troppi possono essere i dubbi e le incomprensioni che si interfacciano con la realtà dei fatti. Bisogna avere la maturità necessaria di affrontare insieme a un'altra persona la vita di coppia, e molti non ce la fanno a stare al passo con il proprio partner. Non basta l'amore, ci vogliono fiducia, amor proprio e la consapevolezza di affrontare qualcosa che è più grande della persona che si ama. E Mikasa lo avrebbe capito a tempo debito.


 

Si erano conosciuti al mare in un giorno ventoso, tant'è vero che era fastidioso stare per cinque minuti sdraiati sul telo. 
«Vado a mettere i piedi a bagno» disse Mikasa ai suoi genitori, Carla e Grisha, alzandosi e pulendosi le cosce piene di sabbia che le sfregava la pelle candida. Aveva sempre odiato la spiaggia, non solo perché non si faceva altro che stare sotto il sole e abbronzarsi, ma per tutte quelle volte che si scottava e si annoiava, avrebbe preferito di gran lunga stare a casa da sola. I suoi genitori però le avevano negato questo suo desiderio. Passava le sue giornate a studiare, diceva sua madre, a guardare anime al computer oppure a leggere fumetti, e una settimana al mare le avrebbe solo fatto bene! 
«Non allontanarti troppo» ammonì Carla, indirizzando uno sguardo veloce alla figlia, per poi rivolgere di nuovo la sua attenzione alla rivista le cui pagine svolazzavano a causa del vento. 
«Hai messo la crema?» chiese invece suo padre, sempre apprensivo. 
«Sì, sì» rispose seccamente, e si allontanò mentre sistemava i capelli in una coda alta. Le erano cresciuti molto e adesso le arrivano alle spalle. A pensarci non si era mai curata molto dei suoi capelli, da quando si era lasciata con Floch. Aveva passato dei mesi d'inferno, ma grazie alla sua migliore amica Sasha e alla sua famiglia si era risollevata. Tuttavia, era ancora troppo scossa dopo quella relazione finita decisamente male, e non aveva intenzione di fare gli stessi errori. Per questo motivo aveva iniziato a trascurare il suo aspetto, facendosi crescere i capelli un po' come capitava a loro. 
Eren l'aveva convinta a tagliarli, perché, secondo lui, stava meglio con un taglio corto e Mikasa gli aveva promesso che l'avrebbe fatto; contava sempre su Eren, anche per le cose banali. Anche se si differenziavano di un solo anno, erano sempre andati di comune accordo e si aiutavano a vicenda per qualsiasi cosa. 
Ma c'erano dei momenti - ad esempio ora in spiaggia, - che proprio avrebbe voluto urlargli contro di quanto fosse uno stronzo. Lasciarla da sola con i loro genitori mentre lui e la sua scorribanda di amici se ne andavano chissà dove, era un gesto deplorevole. E meno male che non voleva immaginarsela da sola a casa! 
Gli avrebbe mollato felicemente due ceffoni in faccia, così da fargli vedere le stelle. Alla prossima vacanza si sarebbe imposta di più con i suoi parenti. 
Arrivò finalmente a riva e mise i piedi nell'acqua. Le venne un brivido di freddo ma subito si rilassò grazie alle onde del mare che si infrangevano sul bagnasciuga. Il mare quel giorno era mosso, non le piaceva e non sarebbe entrata da sola. 
Si accovacciò e poi distese le gambe, sedendosi portando le mani dietro di sé per sostenersi. Con quel vento che le sferzava il viso, immaginò di essere protagonista in una di quelle pubblicità estive. 
"Voglia di estate e mare, allora provate la nuova linea estiva di costumi da bagno", oppure, "Troppo caldo e la pelle si infiamma? Previeni subito, con la nuova crema solare doppia protezione!
Sorrise, e cacciò dalla sua caviglia un'alga fastidiosa che le si era appiccicata all'improvviso. Mikasa aveva una fantasia effimera, ma non potendola condividere con nessuno, poteva solo farlo con se stessa. 
Sì, appena Eren torna gli terrò il muso per tutto il giorno, pensò mentre guardava le nuvole cambiare velocemente la loro forma. 
Intanto, solo il vociare dei bambini e delle altre persone la tenevano in compagnia. Alcuni discorsi che sentiva erano in italiano, per cui non ci capiva assolutamente niente. 
Quella era una meta scelta da molti turisti tedeschi, ma di ragazze interessanti con le quali fare amicizia non ne aveva trovata mezza. Forse a causa del suo carattere poco estroverso. Che ci poteva fare se era una persona selettiva? 
Diede un'occhiata alla sua sinistra e intravide due ragazzi giocare a palleggio, poi tornò a fissare il mare con aria annoiata. Avrebbe pagato oro se solo le fosse concessa la possibilità di tornare a Monaco, tra i suoi libri, fumetti, serie tv e... 
«Attenta!» 
Mikasa si voltò in tempo prima che una palla le colpisse la testa. Portò le mani in avanti e la palla rimbalzò sui suoi palmi e cadde accanto a lei, trascinata via dall'onda. 
«Mi dispiace molto, ti sei fatta male?» Una voce calda, suadente e gentile. Sì, la colpì nel petto fin da subito, anche perché chi l'avrebbe detto che proprio un tedesco le si avvicinasse? Appena alzò lo sguardo sul ragazzo, restò affascinata dal suo aspetto. Era bello, davvero molto bello. 
«No.» Mikasa si alzò recuperando la palla, trovandola inaspettatamente molto leggera. «Ecco, tieni.» 
«Grazie, con questo vento va dove le pare e piace» ridacchiò lui, leggermente imbarazzato, o così parve a Mikasa. Si fermò a guardarla un po' troppo a lungo finché la ragazza non rispose. «In effetti... quella palla la usano i bambini di solito.» 
Una frase che a Mikasa non piacque mentre la pronunciava. Suonava così fuori luogo che per un momento pensò che sarebbe stato meglio scavare una fosse e buttarcisi dentro. 
«Ma lo so! Il mio amico non ne aveva altre» disse lo sconosciuto ridendo di gusto. Non si era offeso, per la gioia di Mikasa. 
«Ah, in questo caso, meglio che niente» affermò con un'alzata di spalle. 
«È la stessa cosa che dice il mio amico, ma il mio strano motto è: mai accontentarsi. Ancora scusami per la quasi pallonata in faccia. Ci vediamo!» 
Alzò velocemente la mano come segno di saluto e Mikasa ricambiò allo stesso modo. Lo osservò mentre si allontanava e poi si guardò intorno, come per accertarsi che nessuno dei suoi familiari l'avesse vista. 
Appena fu sicura che non c'erano sguardi indiscreti, decise di immergersi fino a metà coscia nell'acqua, per far vedere ai genitori quanto fosse penoso fare il bagno in solitudine. Almeno così si sarebbero sentiti in colpa.

***

«Alla buon'ora» disse Mikasa appena vide suo fratello arrivare sotto il loro ombrellone. Aveva abbassato gli occhiali da sole e lo stava fissando con uno sguardo di fuoco, altro che scottature dai raggi solari. 
«Che c'è? Abbiamo giocato a calcetto nell'altra spiaggia» rispose prendendo una bottiglia d'acqua dalla borsa. Guardò per un attimo i due teli vuoti dei genitori, poi passò la sua attenzione su Mikasa. «Papà e mamma?» 
«Sono andati a fare una passeggiata circa un quarto d'ora fa» rispose visibilmente scocciata, riprendendo a leggere dal telefono. Doveva restare offesa con lui per tutto il tempo e così avrebbe fatto. 
Eren si distese sul suo asciugamano, dopo aver sciolto i capelli rendendoli ancora più disordinati. «Capisco, allora, appena tornano di' loro che stasera vado a mangiare una pizza con Connie, Reiner e Berthold. Penso vengano anche delle loro amiche.» 
Mikasa si voltò verso di lui con una sopracciglia alzata e si tolse gli occhiali. «Perché dovrei dirglielo io?» 
Eren poggiò la testa sul palmo della mano mentre si girava su un fianco. «Tra poco viene Connie e ci facciamo un ultimo bagno insieme.» 
«Grandioso.» Mikasa indossò di nuovo gli occhiali e tornò a concentrarsi sulla sua lettura. I libri in quelle circostanze erano il miglior antidoto su tutto. 
«Sei arrabbiata?» chiese Eren, titubante. Capiva alla svelta quando Mikasa lo era, anche se gli era difficile trovare cosa le provocasse questo malessere. Di solito lei aveva l'abitudine di chiudersi a guscio e non dire niente a nessuno. Ma Eren dovette ricredersi appena lei si voltò di scatto, mettendosi in posizione seduta. 
«Se sono arrabbiata?» si tolse gli occhiali, «sono furibonda. Mi avete convinta a venire fin qui, però io non mi sto proprio divertendo.» 
«Guarda che siamo solo al secondo giorno di vacanza, e poi ti avevo chiesto di venire con me e i miei amici stamattina.» 
«Appunto, sono tuoi amici, non miei. Io non mi trovo bene con loro. Per questo volevo stare a casa in santa pace.» 
«Sei tu che non sai come divertirti! Sempre a leggere su quel dannato telefono, ma fatti degli amici veri e non virtuali.» 
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mikasa schiuse le labbra sorpresa e si alzò infuriata. «Vaffanculo.» 
Indossò la sua vecchia maglietta nera dei Thirty Seconds To Mars, che le stava decisamente larga, e i pantaloncini del medesimo colore. Afferrò la borsa con dentro i suoi effetti personali mentre Eren cercava di farla ragionare. 
«Me ne torno in camper. E non scordarti di dire ai tuoi genitori che te ne vai con i tuoi amici stasera.» Quando si arrabbiava con Eren sottintendeva sempre la sua adozione e che Carla e Grisha fossero in primo luogo i genitori di Eren, e non i suoi.
«Aspetta Mika-» provò a rincorrerla ma lei lo spintonò via con una forza da far invidia a qualunque ragazzo della sua età. Andare in palestra dà i suoi frutti, pensò ironicamente Mikasa. Si girò di spalle e continuò a camminare con la sua andata veloce e decisa. 
L'area camper dava proprio sulla spiaggia: era molto grande, con le piazzole per i camper, le roulette e gli chalet. C'erano bar e ristorante e accanto la piscina, frequentata soprattutto dai genitori con i loro bambini. 
Mikasa percorse un lungo tratto di strada prima di arrivare alla postazione del camper di famiglia. Era un Chartago ma se l'erano potuto permettere grazie al lavoro ben retribuito di Grisha. Ce l'avevano ormai da tre anni, ed era in ottime condizioni, spazioso e comodo. Mikasa lo adorava solo perché sembrava una specie di camera d'albergo mobile. Aprì il camper con l'unica chiave che avevano ed entrò, posando il borsone sopra la poltrona. 
Sospirò rammaricata e prese un asciugamano per farsi la doccia. Era piena di sabbia e ovviamente era una cosa che odiava più del mare. La sua pelle candida era segnata dal rossore, anche se si era messa la crema solare protezione 50, la sua era comunque delicata. 
Finito di lavarsi, lasciando i capelli sciolti e bagnati, indossò abiti comodi e puliti, perennemente neri, il suo colore prediletto e si sistemò sul suo letto, sopra a quello di Eren. 
Ogni qualvolta che andavano in vacanza in quel posto infernale faceva amicizia con amiche diverse, mai una che andava lì l'anno successivo. Invece Eren era sempre stato fortunato, perché come loro, le famiglie dei suoi amici erano abitudinari e tornavano sempre in quel campeggio. 
Mikasa quell'anno avrebbe voluto cambiare locazione, ma no, i suoi genitori volevano viziare Eren fino agli sgoccioli. Per questo è cresciuto testa di cazzo, pensava Mikasa, mentre guardava Instagram. Vide le stories di suo fratello che giocava con i suoi amici. Scosse il capo e chiuse l'app per andare a leggere le sue amate storie scaricate illegalmente sul telefono. Perse la cognizione del tempo mentre leggeva, trasportata animatamente dalla storia che poco a poco si sarebbe conclusa, venne però distratta dal bussare alla porta. 
«Mikasa, ci sei?» 
Sua madre. 
Sospirò e scese giù dal letto andando ad aprire ai suoi genitori. «Ovvio che ci sono. Pensavate che vi avrei lasciati fuori dal camper come cani abbandonati?» 
Tornò alla sua postazione mentre riceveva sguardi di disapprovazione da parte di Carla. «Non ti sei di nuovo asciugata i capelli con il fon? Lo sai che ti verrà il mal di testa.» 
«Me ne farò una ragione» rispose Mikasa non prestando troppa attenzione. 
Grisha si avvicinò a lei, posando una mano sulla spalla della ragazza. «Mika, c'è qualcosa che ti turba?» 
«Tutto, papà.» Non lo guardò in faccia e si distese su un fianco dando loro le spalle. 
«Dov'è Eren?» Il suo tono era seccato. Suo fratello faceva la bella vita e aveva tutte le libertà di questo mondo. A lei non le era stato concesso di restare da sola a casa per dieci giorni. Cosa pensavano? Che era un'imbranata e che non sapeva badare a se stessa? 
«E' rimasto in spiaggia con Connie. Stasera visto che non c'è vorresti venire con noi a fare una passeggiata in centro città?» 
Col cazzo, avrebbe voluto rispondergli. Ma era pur sempre suo padre, l'uomo che aveva deciso di adottarla nonostante avesse già la bellezza di sette anni. Molti genitori rifiutavano di compiere quel passo con un bambino di età già grande, perché era consapevole che la coppia non era la sua famiglia biologica. 
«Non ho tanta voglia» sospirò Mikasa alla fine. 
Carla guardò il marito e scosse il capo, un modo per dire di non insistere. La lasciarono in pace, almeno per il tempo di farsi la doccia e poi, insieme a sua mamma, Mikasa si decise a cucinare. 
Chiacchierano per tutta la durata del pasto e finita la cena, i genitori si premunirono, dicendole che non sarebbero tornati troppo tardi a casa. 
Rimasta di nuovo sola, Mikasa si preoccupò di andare a lavare i piatti. Da sola ci avrebbe impiegato un po' di più, perché bisognava raggiungere i lavandini comuni e fare dietrofront, sempre con tutta la roba all'interno di una bacinella. Carla aveva pensato per quella sera di utilizzare i piatti e le forchette di plastica, almeno ci sarebbero state stoviglie in meno da lavare. 
Svolto anche quel lavoro noioso e salita di nuovo in camper guardò l'ora. Erano solamente le nove e mezza. Avrebbe potuto vedere un film, ma non voleva consumare tutti i giga a disposizione per quella settimana. 
Acconciò i capelli in una treccia francese e soddisfatta del risultato, si specchiò, trovando il suo aspetto molto bello. Rifletté un momento sul da farsi, e ricordandosi del bar del campeggio aperto di notte per i giovani, pensò che sarebbe stato carino passare una serata diversa dal solito. 
Uscì di casa mettendosi le scarpe da ginnastica, indossò una maglia larga che sistemò dentro i pantaloncini blu jeans a vita alta. Era vestita in maniera molto casuale, tanto non doveva far colpo con nessuno. 
Come ben sperava, appena era arrivata in prossimità del bar, era aperto, con la musica da disco a palla e una moltitudine di giovani dentro a bere cocktail e divertirsi con gli amici. 
Deglutì, pentita già di quella scelta, ma entrò lo stesso dentro il locale, cercando di ambientarsi e leggendo l'elenco dei drink offerti. 
A diciassette anni non poteva permettersi di bere alcolici, così ordinò al barista un Red Sunset in un inglese impeccabile e aspettò, incrociando le braccia sul bancone. Si guardò in giro incuriosita dai volti dei giovani lì presenti. Il chiacchiericcio generale e la musica a palla le rendeva impossibile capire chi stesse parlando in italiano e chi no; se era fortunata, qualche tedesco l'avrebbe trovato. 
Prima di ricevere il suo drink, un viso familiare le catturò l'attenzione e fu felice e imbarazzata allo stesso tempo mentre riconosceva il ragazzo che le aveva tirato per sbaglio il pallone addosso. 
Il barista la fece tornare con i piedi per terra, e dopo averlo ringraziato afferrò il suo drink e iniziò a berlo, immaginando come avrebbe fatto ad approcciarsi a quel ragazzo. La prima cosa importante da considerare: non era da solo. Era insieme a tre ragazzi, uno che aveva visto insieme a lui quel pomeriggio in spiaggia, mentre gli altri due erano dei completi sconosciuti. La sua idea era andare lì, salutarli, chiedergli gentilmente se poteva unirsi al loro tavolo. Sì, nella sua testa pareva già un fallimento totale. 
Sospirò e tornò a bere due sorsi del suo drink, mettendo su un broncio scocciato. Si sentiva una sciocca a pensare solo di poter "provarci" con un tipo conosciuto per caso in spiaggia. Appena avrebbe finito il suo drink sarebbe tornata in camper sconsolata. Si sarebbe messa a letto a leggere, aspettando i suoi genitori che avevano passato una serata piacevole loro due in compagnia. 
E lei sola, come sempre. 
«Ciao.» 
O forse no. 
Mikasa si voltò seguendo la voce e quasi non le andò di traverso il Red Sunset. Quel ragazzo l'aveva riconosciuta e aveva avuto il coraggio di andare a parlarle. Si pizzicò di nascosto il braccio per essere sicura di non stare sognando. 
«Ehi.» 
Il suo cuore iniziò a palpitare per il nervoso. A volte desiderava essere una ragazza estroversa e solare, che non si fa problemi a fare amicizia con gli altri, invece era nata e cresciuta fastidiosamente introversa e scettica. Per questo motivo faceva fatica a fare amicizia. 
«Sei sempre da sola, come mai?» chiese il ragazzo, forse era un suo modo per approcciarsi. 
«A quanto pare, sì» rispose in modo vago, sorridendo appena, e non lo guardò in faccia.
«Come ti chiami?» 
«Mikasa, e tu?» 
«Jean. Ti va di venire al mio tavolo?» 
Le sembrava una cattiva idea infiltrarsi come un parassita all'interno di un gruppo in cui non conosceva nessuno. Però quel ragazzo l'aveva gentilmente invitata a far loro compagnia... o gli stava semplicemente facendo pena. 
Avrebbe colto la palla al balzo, per ironia.
«Mh, d'accordo.» Accettò l'invito senza fare troppe storie e il ragazzo ricambiò con un sorriso genuino, contento, come se non avesse desiderato altro. Lo seguì fino al tavolo in cui erano seduti i tre amici di Jean, il quale la presentò al resto del gruppo. 
«Ragazzi, lei è Mikasa. Mikasa ti presento Marco, il proprietario della palla per bambini - il ragazzo moro con le lentiggini ridacchiò divertito, - e loro sono Marlo e Hitch.» 
«Sei cinese?» chiese Hitch puntandole il bicchiere pieno di chissà quale alcolico. La sua faccia annoiata non diede una buona impressione a Mikasa e cercò di non far trasparire il suo caratterino velenoso. 
«No, ho origini giapponesi» rispose con calma mentre si sedeva accanto a Jean. Posò il suo bicchiere con ancora un po' di Red Sunset sul tavolo, ma c'era più ghiaccio che altro lì dentro. La musica era assordante, quasi le veniva voglia di andarsene via da quel posto, e in fretta. 
«Da dove vieni, Mikasa?» chiese Marco gentilmente, piegandosi un po' in avanti per vederla meglio, visto che Jean gli copriva la visuale. 
«Da Monaco, e voi?» 
«Che coincidenza!» esclamò Jean sorpreso. «Anche io vengo da Monaco. Una città in provincia.» 
«Ma dai...» esalò Mikasa, stupita persino lei della inusuale coincidenza. 
«Anche io» disse Marco, «ma io ora abito in Italia con i miei nonni per l'università. Sono avvantaggiato perché so ben parlare l'italiano!» 
Interessante, pensò Mikasa. A primo attrito aveva paura di conoscere chissà quali persone pazze e squilibrate, invece fino a ora erano normali. 
«Noi due invece abitiamo a Berlino» parlò Marlo, indicando con il pollice se stesso e la ragazza seduta accanto a lui, che non aveva smesso di bere. 
Mikasa annuì impercettibilmente mentre ascoltava con attenzione il racconto di Marlo, regredendo sempre di più l'entusiasmo provato poco prima. Scoprì, in realtà, che non gliene fregava nulla di cosa studiasse Marlo o come si fossero conosciuti lui e Hitch. Ogni tanto le capitava di lanciare delle occhiate al ragazzo seduto accanto e avrebbe tanto voluto sapere qualcosa in più su di lui. Ma a "rovinare" la serata era quella noiosa coppietta di fidanzati, che per la gioia di Mikasa alzarono i tacchi per tornare al loro chalet. Hitch era tutt'altro che sobria. 
La decisione unanime fu quella di tornare tutti ai propri alloggi. Non era nemmeno troppo tardi, ma Mikasa decise che per il momento andava bene così, perché tanto i suoi genitori stavano facendo ritorno in camper. 
«Tu in che direzione vai?» chiese Jean quando furono fuori dal bar, dopo aver pagato il conto. 
«Nella zona camper, dall'altra parte.» 
«Oh, vuoi che ti accompagni?» 
L'io interiore avrebbe risposto che se la sarebbe cavata da sola, che non c'era bisogno di fare il cavaliere per fare un favore tanto scontato quanto squallido. Ma d'altro canto voleva conoscere proprio lui, no? Mettere via l'orgoglio non le costò nemmeno tanta fatica. 
«Se vuoi, se non ti reca disturbo.» 
«Macché! - si voltò verso Marco, - tu vai pure, arrivo tra un quarto d'ora.» 
«Va bene amico, buonanotte Mikasa.» Salutò la ragazza e camminò nel senso opposto al loro. Jean le spiegò che era insieme a Marco in vacanza, l'aveva raggiunto in città dove alloggiava dai suoi nonni e poi in macchina erano venuti in campeggio per passare la settimana al mare. 
«E quindi quanti anni hai?» 
«Diciannove, e tu?» 
«Diciassette.» 
Calò un momento di silenzio, nel frattempo camminavano a passo lento, senza fretta di raggiungere il camper di Mikasa. A un certo punto Jean prese dalla tasca dei suoi pantaloni un pacchetto di sigarette e ne tirò fuori una che mise fra le labbra. La accese in un solo colpo e fece lungo tiro, sbuffando via il fumo dalla parte opposta a Mikasa. 
«Ah, ti dà fastidio per caso?» 
Mikasa scosse il capo. «No, tranquillo. Anche il mio ex fumava, sono abituata.» 
Le balenò in mente un bruttissimo ricordo, in cui Mikasa alla sola età di quindici anni supplicava Floch, suo coetaneo, di non fumare di fronte ai suoi genitori. Se solo avessero saputo che frequentava un fumatore, conoscendoli, si sarebbero messi in guardia e probabilmente le avrebbero fatto aprire gli occhi subito. Non che ci fosse qualcosa di male perché fumasse, ma intercettando la sua compagnia di amici, avrebbero capito la vera persona che aveva celato per tutto il tempo in cui si stavano conoscendo. Mikasa ci era rimasta davvero male, perché aveva captato immediatamente la relazione tossica di cui si era impelagata. Ci aveva tenuto sul serio a Floch e lasciarlo era stato un brutto colpo. Ma l'aveva fatto per se stessa e per la sua famiglia, che aveva capito la gravità della situazione. 
«Ex, eh?» commentò Jean, risvegliandola da quel fiume di pensieri. «E adesso sei impegnata?» 
«No, no.» Fu urgente il suo diniego a quella domanda. Come se, al solo pensiero di un'altra relazione, la turbasse. 
«Brutta esperienza? Ti posso capire.» 
«Come mai?» chiese, sperando di non essere troppo invasiva. Ma Jean non si indispettì e, anzi, rispose senza vergogna alla domanda. 
«Sono stato con un tipo per circa nove mesi, poi, mentre io mi crogiolavo sul da farsi, lui mi ha lasciato, così.» Si strinse nelle spalle e Mikasa quasi non ricevette un colpo secco sul petto, simile a una pugnalata, ma più intensa. 
Con un tipo... quindi era gay? 
«Cercava di inculcare nella mia testa che finché stavo con lui potevo definirmi cento per cento omosessuale, ma non è così porca puttana!» 
Sorrise a quella enfasi, allora la domanda le sorse spontanea. «Sei bisessuale?» 
«Certo» disse con una punta di orgoglio, fiero di quella consapevolezza e la cosa che più entusiasmò Mikasa era che ne stava parlando a lei come se fosse una cara e vecchia amica. Senza imbarazzo alcuno.
«Questa si chiama discriminazione. Come può il tuo ragazzo dirti che, visto che ti sei messo con lui, sei sicuramente gay ai massimi livelli? Non ha senso! Per darti un esempio stupido: se vedo una ragazza bella non vado a nascondermi sotto un telo a negare che quella ragazza lo sia davvero.» 
«Stessa cosa se ti metti con una ragazza e fai un complimento a un ragazzo?» 
Jean le puntò le due dita strette intorno alla sigaretta. «Esatto!» 
«Ma ciò che dici potrebbe presumere che tu voglia dire a qualsiasi ragazzo o ragazza che incontri che sono belli e che te li faresti. Se fossi fidanzato non credi che il tuo ragazzo o ragazza sarebbero gelosi?» 
«Non intendevo questo» inspirò un'altra boccata di fumo. «In una relazione se c'è fiducia non vai a pensare che l'altra persona ti stia tradendo a prescindere. Questo significa che il tuo presunto fidanzato ha anche la libertà di dire e ammettere che un'altra ragazza è bella, ma finisce lì. E magari tu puoi anche metterti accanto a lui e dire "eh, sì, hai proprio ragione", per poi tornare a fare le solite zozzerie, capisci ora?»
Mikasa scoppiò a ridere, influenzando Jean, ma fu questione di un attimo, e un sorriso mesto le si formò sulle labbra. «Il mio ex era geloso di tutto. Persino di mio fratello.» 
Jean aggrottò le sopracciglia e spense la sigaretta contro un palo della luce e la buttò nel primo cestino che era capitato lungo la strada. «Di tuo fratello?» 
«Sì, ecco... io sono stata adottata.» 
«Oh.» 
«E sapere che non eravamo fratelli di sangue gli faceva pensare a cose strane. Ammetto che mio fratello è molto più bello del mio ex, ma non mi sognerei mai di innamorarmi di lui in quel senso. Sinceramente mi fa anche schifo l'idea di esserne attratta.» 
«Eh sì, immagino.» 
Restarono per qualche istante in silenzio, camminando per le vie intersecate del campeggio. Molti camperisti erano ancora svegli: c'era chi stava fuori sotto la tenda, al tavolo giocando a carte, chi guardava la tv, chi chiacchierava animatamente e chi ancora restava seduto fuori a godersi la frescura della sera. 
Erano quasi arrivati al camper e Mikasa sentiva il bisogno di stare ancora un po' con lui. Sperava che l'indomani potesse ancora avere l'opportunità di vederlo e conoscerlo più a fondo. 
«Hai avute anche altre relazioni?» chiese lei, vedendo in lontananza il suo camper. 
«Sì, a quattordici anni ho avuto una storia con una mia compagna di classe. Ma ero praticamente un bambino, non ne capivo niente di relazioni.» 
Mikasa annuì comprendendo la situazione. La sua prima relazione seria la rese consapevole di quanto fosse stato acerbo il suo sentimento verso Floch. Ma era maturata molto dopo la rottura, e adesso vedeva in altro modo quel genere di cose. Ed era contenta, almeno in questo, di non essersi concessa a Floch. 
«Siamo arrivati.» Si fermò davanti al camper e sorrise quando scorse la faccia stupita di Jean. Il ragazzo fischiò. «Caspita, questo sì che è un bel camper.» 
«E pensa che mio padre fa il modesto.» Risero all'unisono, e poi si guardarono negli occhi, uno di fronte l'altra. 
«Ti ringrazio di questa serata.» 
«Grazie a te, Jean. Se non ti fossi avvicinato probabilmente me ne sarei tornata qui subito.» Le sue parole erano intrise di rammarico e gratitudine. Jean non aveva idea di quanto fosse contenta di aver parlato con lui. 
«Allora ti auguro una buonanotte, domani ci becchiamo in spiaggia?» Se non fosse stato per il buio, Mikasa avrebbe intravisto un leggero rossore formatosi sulle guance del ragazzo. 
«Sicuro, Jean.» 
Non vedo l'ora, avrebbe voluto dirgli, ma tenne per sé quelle parole. Restarono ancora per un attimo a fissarsi come due pesci lessi, finché Mikasa non distolse lo sguardo, dando due colpi di tosse. 
«Bene, allora buonanotte.» 
Prese le chiavi del camper dalla borsa e si avvicinò alla porta. Jean ricambiò di nuovo il saluto con un cenno del capo e quando le diede le spalle, Mikasa entrò dentro il camper vuoto. 
Si lasciò andare in un sospiro e non riuscì a nascondere il sorriso formatosi sulle sue labbra. Ancora non credeva di essere riuscita a fare una blanda amicizia, e forse finalmente avrebbe potuto passare quei giorni in compagnia di quei ragazzi. 
Andò a dormire appena i suoi genitori furono rientrati dalla lunga passeggiata. Altro che un'ora, erano rimasti fuori la bellezza di due ore e mezza. Eren invece non era ancora rientrato e gli aveva mandato un messaggio per conto di Carla, per sapere almeno a che ora tornasse e se avessero dovuto lasciare la porta del camper aperta. 
Arrivata la risposta del fratello, Mikasa poté finalmente addormentarsi, intercettando la figura e il viso di Jean, protagonista dei sogni di quella notte.

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Il giorno successivo, Mikasa e la sua famiglia raggiunsero la spiaggia verso le otto e mezza. 
Orario inusuale per gli Yeager, ma avevano deciso di andare al bar a fare colazione e poi a cercare il posto migliore nella spiaggia pubblica. 
Eren era l'unico che sembrava uno zombie. Nel messaggio della sera prima aveva scritto che sarebbe rientrato senza ombra di dubbio all'una. Invece aveva ritardato, come il suo solito, per cui aveva dormito sì e no quattro ore quella notte. Carla si era imbestialita perché non accettava un comportamento del genere e come punizione l'aveva costretto ad alzarsi presto per andare con loro.
Eren aveva delle occhiaie da far spavento e Mikasa lo sfotteva ben volentieri. 
«Sei un cazzone, la prossima volta vedi di tornare almeno a mezzanotte.» 
«Stai scherzando?» ringhiò mentre era disteso sul telo. 
I loro genitori li avevano lasciati da soli sotto gli ombrelloni per andare a fare il primo bagno del giorno. Mikasa si stava spalmando la crema solare ed Eren aveva tutta l'intenzione di dormire fino a mezzogiorno in spiaggia. 
«Siamo in estate e in vacanza, di coprifuochi non ne voglio sentir parlare» puntualizzò Eren, distendendosi e indossando gli occhiali da sole per nascondere le profonde occhiaie che si erano formate a causa delle mancate ore di sonno. 
Mikasa levò gli occhi al cielo senza ribattere; quando Eren si intestardiva nelle sue convinzioni era inutile inculcargli un altro punto di vista. Afferrò il cellulare e si sistemò a pancia in giù, pronta per continuare a leggere il suo psycho-thriller preferito. 
Mikasa sussultò quando sentì Eren rivolgerle la parola. «Non avevo mai notato che quel costume ti risaltasse così tanto il seno.» 
«Eren!» Si coprì il petto con il braccio e tirò al fratello il barattolo della crema solare addosso, colpendolo sul fianco. «Ma che hai in quella testa bacata? E poi pensavo stessi già dormendo.» 
«Ahia, ma sei tu che ce l'hai bacata! - allontanò indispettito il barattolo, - e poi ringraziami o qualche maniaco potrebbe vederti, volerti e portarti via da me.» 
«Cretino.» Scosse il capo e si concentrò sullo schermo del telefono. Ma la lettura risultò più faticosa del previsto poiché sentiva nella sua testa un chiodo fisso che non voleva smettere di tormentarla. Ai suoi genitori e men che meno a suo fratello non aveva rivelato dell'uscita al bar la notte scorsa. Sembrava un sogno ricordarsi quell'ora passata fuori, come se in realtà fosse stato tutto frutto della sua immaginazione. 
Jean, Marco, Marlo e Hitch non li aveva intravisti neppure per sbaglio in giro per il campeggio o al bar. Riflettendo, arrivò alla semplice conclusione che, come Eren, a loro piaceva dormire fino a tarda mattina. Era inutile quindi crogiolarsi, non conosceva affatto le loro abitudini, ciò nondimeno doveva illudersi che quei ragazzi volevano sul serio passare le loro giornate insieme a lei. 
L'unica a cui l'aveva raccontato era stata Sasha, amica fedele fin dai tempi delle elementari. Le aveva scritto in maniera entusiasta, era contenta di quel passo avanti e che aveva messo da parte la corazza che la proteggeva da ogni singolo sconosciuto che provava ad approcciarsi a lei. Sasha conosceva fin troppo bene Mikasa e la capiva perfettamente. 
Una parte di sé era davvero grata di avere un'amica come lei, capace di sostenerla nei momenti di maggiore difficoltà. Se non ci fosse stata Sasha a trasmettere quelle sicurezze che pezzetto dopo pezzetto le si erano sgretolate, forse ancora oggi navigherebbe in un limbo di tristezza e angoscia che attanagliava il suo petto, nascosto sotto la corazza che si era costruita per proteggersi da chi le stava attorno, mostrandosi per quello che in realtà non era. Le sarebbe bastato poco per una ragazza buona e introversa come lei chiudersi in se stessa senza fidarsi facilmente di qualcuno. Sasha era riuscita a smuoverla e farle capire che "non tutti in questo mondo sono degli emeriti figli di puttana". E da allora aveva cominciato a rivivere la sua vita da single che tanto le era mancata. 
«Che caldo» esalò Mikasa mettendosi seduta e osservando il mare. I suoi genitori erano tornati da poco sistemandosi sulle loro sedie; suo padre sotto l'ombrello a leggere una rivista che parlava di scienze mediche, mentre sua madre al sole per abbronzarsi. 
Carla si girò verso di lei e sentendo quel commento accennò un sorriso. «Perché non vai a farti un bagno? L'acqua è magnifica.» 
«Vieni con me?» 
Carla spostò lo sguardo verso suo marito e poi su suo figlio, il quale dormiva profondamente, e accettò di buon grado la richiesta di Mikasa. Si incamminarono sulla sabbia verso il mare, zigzagando tra i vari ombrelloni e bagnanti. 
Mikasa immerse i piedi nell'acqua fresca e sospirò di sollievo. Seguì Carla fino a che l'acqua non le arrivasse al bacino. 
«Ti stanno davvero bene i capelli raccolti così.» 
«Grazie.» Sorrise a sua madre, portando una mano a toccare la treccia. Era stata lei a insegnarle alcune acconciature fai da te. 
Di mestiere Carla faceva la parrucchiera e Mikasa da piccola, insieme a Eren, passava molto tempo al suo negozio. Seguendo così da vicino il suo lavoro avrebbe voluto fare anche lei quel tipo di carriera. Non era male, sua madre avrebbe potuto aiutarla e magari, dopo aver seguito dei corsi specifici, avrebbero lavorato insieme. 
Ma questo era un sogno che aveva da bambina. Adesso per lei era impensabile seguire le orme di Carla, non tanto perché non le piaceva, ma perché crescendo aveva iniziato a sviluppare interessi molto differenti da quelli che aveva all'età di dieci anni. Era giusto così. 
«Come ti senti oggi?» chiese Carla, immergendosi fino alle spalle. 
Mikasa rispose con un cenno del capo. «Bene, vedere Eren buttato giù dal letto da papà è stato uno spasso.» 
Carla levò gli occhi al cielo. «Quel ragazzo mi farà impazzire» ridacchiò e sul viso di lei si formarono delle piccole rughe dettate dall'età. Carla aveva quarantaquattro anni, eppure aveva un aspetto giovane e molto bello. Aveva un fascino invidiabile, anche se lo nascondeva sempre. Non per sua volontà, ma prima di se stessa metteva davanti a sé la vita dei suoi figli. 
Secondo Mikasa doveva concedersi uno stacco da quella quotidianità per fare qualcosainsieme a Grisha. Loro due si meritavano di passare qualche momento da soli, ma erano sempre preoccupati per Eren e Mikasa. Credevano che se la potessero prendere se li avrebbero lasciati soli. Ovviamente i due fratelli si mettevano sempre a ridere su questa questione, perché ormai erano grandi e non avevano più bisogno, in parte, dell'apprensione dei genitori addosso. 
«Ma come ti senti, tesoro? Sembri molto triste.» Ed ecco che sua madre aveva iniziato a preoccuparsi per lei. 
«Sto bene» rispose, abbassando lo sguardo sull'acqua per nulla cristallina. La sabbia sollevata rese difficile scorgere il fondale, non le si vedevano neppure i piedi. 
Carla sospirò osservando sua figlia. Amava lei come amava Eren, ma alcune volte le riusciva difficile capirla fino in fondo. Non perché fosse la sua figliastra, ma perché, a differenza di Eren, lei aveva molto più autocontrollo e riusciva sempre a nascondere le sue vere emozioni. In quel momento appariva tranquilla, si era appena immersa e nuotava con tutta calma, godendosi l'acqua. Ma il sesto senso di Carla le diceva che le stava nascondendo qualcosa, e lei voleva almeno capire cosa. 
«Ieri sera c'erano dei vestiti piegati sul sedile di fronte il vostro letto.» 
Mikasa ebbe una piccola reazione e si voltò verso Carla, che sorrideva genuinamente. «Non mi hai raccontato che cosa hai fatto ieri sera da sola.» 
«Ho letto.» Fu la risposta più veloce che avesse mai dato. Come se ce l'avesse lì da chissà quanto tempo. 
«Leggi tanto, non hai trovato qualche amica dell'anno scorso?» 
«Certo che no... non ci siamo mica scambiate i numeri di telefono.» Fremette dal timbro di voce che aveva usato, scaricando una rabbia repressa solo con quella frase. Osservò l'espressione adombrata di sua madre e si sentì in colpa per averle risposto così malamente, ma non ebbe la forza di chiederle scusa. Dopotutto non era forse stata costretta ad andare con loro in vacanza? 
«Ieri sera sono andata al bar da sola» sospirò, guardando verso la spiaggia. «E ho conosciuto delle persone, ma non le ho viste oggi.» 
«Capisco.» Carla fece un mezzo sorriso. «Speriamo che rincontrerai questi ragazzi, come sono?» 
«Be', sembrano simpatici.» Si strinse nelle spalle, e ripensando a Jean iniziò a credere che con lui avrebbe avuto qualche chance per saldare una pseudo amicizia. Almeno non avrebbe passato tutto il tempo a disprezzare quella vacanza.

***

Le ore in spiaggia passarono molto veloci e arrivata l'ora di pranzo, Mikasa smise di illudersi del fatto che avrebbe rivisto Jean. Ancora non si era fatto vivo e per di più tra poco avrebbe sloggiato insieme alla sua famiglia per andare a mangiare un boccone da qualche parte. 
Si era già portata avanti indossando la maglia, ma doveva ancora aspettare suo padre e suo fratello che stavano finendo di giocare a una partita a carte. 
Era tedioso guardarli mentre imprecavano l'uno contro l'altro, per questo motivo si allontanò da loro per immergere i piedi nell'acqua un'ultima volta quella mattina. E fu un bene prendere quella decisione. 
Con le braccia conserte e lo sguardo puntato da qualche parte fisso sui bagnanti, Mikasa potè scorgere il chiodo fisso dei suoi pensieri. 
Era come se entrambi avessero una calamita nei loro occhi, perché appena si rese conto della sua presenza, Jean alzò lo sguardo posandolo su di lei. 
La riconobbe, le sorrise e la raggiunse. 
Mikasa ricambiò quel sorriso. 
«Buongiorno! Da quanto sei qui?» 
«Da questa mattina, i miei genitori sono voluti venire presto.» 
«Ah, cavoli, noi siamo arrivati giusto giusto dieci minuti fa. Mi dispiace, forse ci stavi aspettando?» 
Mikasa a quel punto si vergognò a dare una risposta. Poteva dire sì o no, l'effetto sarebbe stato diverso ma comunque devastante da entrambe le parti. 
Ma Jean fu lesto a cambiare argomento. «Ti va di mangiare con noi? Che devi fare?» 
Si sentì colta alla sprovvista. «Ecco, non lo so...» 
«Abbiamo panini a sufficienza per tutti, e poi volevamo passare al bar a prenderci un gelato.» 
L'idea la allettava parecchio. Avrebbe potuto passare un pomeriggio diverso. 
«Kirschtein?! Non ci posso credere!» 
I due ragazzi sussultarono sentendo quella voce tremendamente familiare. Si girarono di colpo e Mikasa sgranò gli occhi vedendo Eren avvicinarsi precipitosamente a loro. 
«Chi non muore si rivede, Yeager.» 
La ragazza posò lo sguardo su Jean, più che esterrefatta. Si conoscevano? Come era possibile? 
«Che diavolo ci fai qui e con mia sorella per giunta?» 
«È lui tuo fratello?» 
Tutto in quel momento era caduto in uno stato confusionale. Per prima Mikasa, che non si capacitava del fatto che aveva parlato con una persona che suo fratello già conosceva. 
Eren la superò, mettendosi testa a testa contro Jean, che era decisamente più alto di lui di quasi dieci centimetri. «Senti un po' faccia da cavallo, non è che hai cattive intenzioni?» 
«Eren!» Mikasa provò a mettersi in mezzo a loro, ma senza successo. 
«Ma che stai farneticando, dannato? Sono un gentiluomo con le ragazze!» 
«Ah, adesso non ti interessa più il cazzo? Frocetto dei miei stivali?» 
«Ma frocio lo sarai tu! Deficiente!» 
Un gay e un bisessuale che si insultavano dandosi del frocio; Mikasa era scombussolata. E poi come si permetteva a gettare insulti gratis? 
«Ma vi sentite quando parlate?!» s'intromise in quella folle discussione, portando su di lei la loro attenzione. «Eren, rovini sempre tutto!» 
«No, Mikasa!» 
Ma lei non lo stava più ascoltando. Si allontanò dai due ragazzi il più in fretta possibile. Era tentata di urlare loro degli improperi, ma non era il caso visto che c'era un sacco di gente che avrebbe potuto sentirla. Sapeva che il tedesco di per sé per gli italiani pareva una lingua cattiva, e se la sentivano urlare, li avrebbe definitivamente traumatizzati. 
Jean era scioccato e avrebbe voluto raggiungere Mikasa per spiegarle tutto con calma. Eren però aveva altri piani. 
«Vado io, non ti avvicinare a lei!» 
Jean non rispose a quel torto ingiustificato. Non aveva diritto di controllare sua sorella in quel modo. Forse lo faceva perché ai tempi delle medie non erano mai andati d'accordo e quella consapevolezza fece sorridere mentalmente Jean. Considerava Eren troppo immaturo per la sua età, o forse era solo una facciata del suo carattere esuberante. In fin dei conti erano sempre stati simili sotto quel punto di vista, ma questo non doveva giustificare il comportamento che aveva mostrato di fronte a Mikasa. Ci era rimasta male, glielo aveva letto in faccia, e come poteva stare lontano da quella ragazza che lo aveva colpito fin dal primo sguardo? 
Non poteva, semplicemente non poteva.

***

«Eren, giuro che se parli ancora ti spacco la faccia.» 
Lo sguardo raggelante di Mikasa fece zittire il ragazzo, che preso dallo sconforto abbassò il viso sul suo piatto di insalata. 
Carla e Grisha si scambiarono un'occhiata e quest'ultimo prese parola. «Non è il caso di agitarsi. Mi potete spiegare brevemente che diavolo è successo?» 
Eren diede una veloce occhiata a Mikasa, che rifiutò di spiccicare parola. «Abbiamo incontrato Kirschtein, vi ricordate il mio compagno di classe delle medie?» 
«Il ragazzo con il quale finivi ogni due per tre in punizione?» chiese Carla alzando una sopracciglia. 
«Uhm, sì» confermò il ragazzo un po' in imbarazzo. Quegli anni erano stati l'inferno per i loro genitori. Eren era propenso a cacciarsi sempre nei guai, ma passati quegli anni travagliati si era calmato. Le medie erano state pessime e frenetiche, non vedevano l'ora che se ne andasse al liceo. 
«E quindi? Qual è il tuo problema?» 
«Il mio problema, papà?» sbottò Eren. «Non mi va che un tipo come lui vada in giro con Mikasa, chissà com'è diventato negli anni!» 
«Ma hai il cervello fuso!» Mikasa era furibonda. Era impensabile per lei che suo fratello potesse reagire in maniera tanto infantile. Nemmeno a dieci anni era così esageratamente arrogante. «Come puoi dire certe cose? Sono capace di capire se una persona è, o non è, con la testa sulle spalle. E poi si tratta di una conoscenza estiva, poi chissà se lo rivedrò più!» 
«Ovvio che vi rivedrete! Abita a Monaco pure lui!» 
«Ora finiscila! Mi sono veramente stancata di sentirti parlare!» 
«Basta, tutti e due» tuonò Carla, posando il bicchiere sul tavolino da campeggio. Si erano sistemati nella piazzola vicino al camper a mangiare, l'ombra della tendina li proteggeva dal sole cocente. «Eren, devi finirla di comportarti come un bambino. Mikasa ha ragione, non ha tre anni che non sa di chi fidarsi o meno.» 
Il cuore di Mikasa si fece più leggero sentendo quelle parole. Non solo Carla mettendosi in una giusta posizione riusciva a capire entrambi i suoi figli, ma riusciva la maggior parte delle volte a placare quei riverberi incontrollati. 
«Se tua sorella vorrà uscire con questo ragazzo meglio per lei, almeno così sarà un po' più contenta di questa vacanza.» 
«Vorremmo conoscerlo, è possibile?» disse Grisha guardando sua figlia, che annuì impercettibilmente. 
Eren restò in silenzio e con lo sguardo abbassato, offeso dalla ramanzina di sua madre. 
Il pasto continuò senza che Eren pronunciasse parola e Mikasa non era intenzionata a rivolgersi a lui, perché era ancora troppo arrabbiata per la scenata di pochi minuti prima. 
Eren non la salutò nemmeno quando ebbe finito di mangiare. Entrò in camper dicendo loro che si sarebbe messo a letto per riposare un po'.
«Io ora vado al mare, raggiungo Jean.» 
I suoi genitori le diedero il permesso, così prese solo il borsone e si avviò da sola verso la spiaggia. 
Jean non sapeva del suo arrivo e questo rendeva ansiosa la ragazza che si era ripromessa di andare da lui a chiedere scusa, nonostante il nervoso provato a causa di Eren. Una scenata del genere suo fratello avrebbe potuto risparmiarsela. Sapeva che lo faceva perché teneva tanto a lei, che voleva proteggerla anche a costo di farsi odiare. Ma ormai erano grandi, non aveva bisogno delle attenzioni che riceveva da quando erano diventati ufficialmente fratelli. Ciononostante, si era ripromessa che ne avrebbe parlato con lui quando si sarebbero calmate le acque. 
Arrivò in spiaggia e si stupì di vedere così poche persone. Probabilmente erano andate tutte a mangiare nei loro camper. 
Vide immediatamente l'ombrellone di Jean e il suo amico Marco, e si avvicinò prendendo prima un bel respiro, armandosi di coraggio e buona volontà. Si tolse le infradito per poter camminare sulla sabbia: mossa stupida, perché scottava come lava. 
«Ehi!» 
«Mikasa!» Marco l'aveva vista per prima, e appena pronunciò il suo nome, Jean aveva levato lo sguardo stupito su di lei. Il ragazzo si alzò portando le mani sui fianchi. 
«Mi volevo scusare per il comportamento di mio fratello. È uno zuccone, ma non lo fa per male, è solo troppo apprensivo.» 
«Già, lo avevo immaginato.» Jean ridacchiò e la invitò a sedersi sui loro teli, ma Mikasa rifiutò di buon grado e tirò fuori dalla sua borsa il telo e lo posò a terra accanto a quelli di Marco e Jean. I due ragazzi si scambiarono un'occhiata d'intesa mentre Mikasa sfilava la maglia che la copriva fino a metà coscia, mostrando loro le sue belle forme. Il costume se l'era cambiato, mettendo quello amaranto, il suo preferito. 
«Se ripenso alla scenata di stamattina mi sale l'imbarazzo.» 
«Mi spiace davvero Jean, era impensabile per me che voi due foste conoscenti.» 
«Di cosa ti preoccupi Mikasa? Loro due sono sempre stati cane e gatto. Se sono sopravvissuti alle medie, figurati adesso.» Marco ridacchiò, dicendo a Mikasa che anche lui era stato un loro compagno delle medie. 
«E di certo non dobbiamo ascoltare le sue lamentele. Se vuoi stare insieme a noi ben venga!» 
Tutto sommato Mikasa stava bene con loro. La facevano ridere e avevano passato delle ore molto divertenti giocando a palla oppure a carte. Avevano anche fatto il bagno per ben due volte e Mikasa aveva perso la cognizione del tempo. Dapprincipio era questo ciò che si aspettava dalla vacanza: trovare qualcuno con cui stare per ore e ore, andando di comune accordo fin da subito, scoprendo passioni e interessi comuni.

***

Jean era riuscito a fare buona impressione a Grisha. Per Carla non aveva avuto il minimo problema, ma del giudizio del padre era titubante. 
Mikasa aveva cercato di non illudersi, ma suo papà l'aveva stupita quando strinse la mano di Jean con voga. Era felice di aver passato quel piccolo test, persino Jean sembrava più tranquillo ora che aveva conosciuto i suoi genitori. Mancava solamente Eren all'appello, ma il ragazzo era sparito insieme ai suoi amici, quindi Mikasa aveva deciso che gli avrebbe parlato quella sera dopo cena. 
Dovevano risolvere la questione e lei era testarda quanto Eren, non avrebbe ceduto tanto facilmente. Avrebbe parlato con lui anche sotto costrizione, non le interessava se avesse cercato di ignorarla. 
«Quindi adesso che abbiamo l'approvazione dei tuoi, possiamo uscire insieme?» ridacchiò Jean. 
Mikasa ci mise un po' a rispondergli. «Così suona male.» 
«E dai, scherzavo!» 
Si sentiva grata del fatto che Jean non la vedesse come una spasimante. Era un bel ragazzo, su quello non c'era ombra di dubbio. Avrebbe fatto faville se ci avesse provato con qualche altra ragazza o ragazzo del campeggio, ma lui non si era mai pavoneggiato, non aveva mai tentato di rimorchiare nessuno. Si godeva la vacanza con i suoi amici divertendosi insieme a loro, e questo gli bastava. E così andava bene pure a Mikasa. 
La sera fu decisiva per Eren. Sebbene detestasse faccia da cavallo non poteva fare la figura dell'idiota di fronte a sua sorella. 
I suoi genitori erano d'accordo sulla loro frequentazione, perché lui doveva andare controcorrente? Erano stati anni preadolescenziali, era normale per dei ragazzini delle medie azzuffarsi per un nonnulla. Soprattutto se si trattava di Eren e Jean, due teste calde irrazionali. 
Con un'espressione a dir poco seccata, fece pace con Mikasa e Jean, il quale era venuto a prendere la ragazza. 
«Se ti va di unirti a noi, sei il benvenuto.» 
Ma no, che noia, avrebbe voluto dire Eren. Era sicuro che gli amici di Jean erano noiosi e non voleva trascurare di certo i suoi. Ognuno sarebbe rimasto al sicuro nel proprio territorio onde evitare stragi e battibecchi inopportuni. 
«No, grazie. Mi vedo con...» 
«Bene, non fare cazzate e vedi di non tornare troppo tardi. O ti vengo a cercare. Tanto saprò come trovarti visto che pubblicate tutto nelle stories.» 
Eren grugnì indispettito, ma non ribatté, perché sua sorella aveva perfettamente ragione. «Be', non fare tardi pure tu.» 
Lanciò un'occhiata torva a Jean, che ricambiò con un sorriso salace che gli diede sui nervi. 
«Tranquillo» rispose Mikasa, facendo finta di non notare la tensione palpabile tra i due ragazzi. 
Lo salutarono e andarono via, raggiungendo gli altri tre del gruppo. 
I due fidanzati erano sempre l'uno appiccicato all'altra, mentre Marco e Jean parlavano con Mikasa in mezzo, suggellando interessi simili. 
Marlo aveva proposto di andare verso il centro, in un locale che lui conosceva bene. Non era situato proprio al centro cittadino, ma era comunque una via pedonale molto comoda da raggiungere dove si agglomeravano i giovani. 
Mikasa non era molto propensa ad andarci, ma non voleva lamentarsi del fatto che non gradiva i locali affollati e rumorosi. 
Appena arrivarono al pub, c'era un trambusto da far venire il mal di testa, ma tutto sommato non c'erano molte persone. Ordinati i loro drink avevano occupato la misera pista da ballo, muovendosi a ritmo di musica. 
Hitch si trovava a suo agio e si divertiva come una scatenata, bevendo e strusciandosi sul suo ragazzo senza il minimo pudore. 
A un certo punto Mikasa venne tirata fuori dalla calca, incontrando gli occhi di Jean. «Mi accompagni fuori per una sigaretta?» 
Rispose con un cenno del capo e lo seguì con il polso intrappolato nella presa ferrea di Jean, in modo tale da non perdersi in mezzo a quella marmaglia di giovani. 
Giunti fuori presero una bella boccata d'aria fresca. Si allontanarono da lì, percorrendo la strada accanto alle vetrine dei negozi chiusi. 
Jean tirò fuori la sigaretta e se l'accese. 
«Devi per forza farlo?» 
«Che cosa?» 
«Fumare.» 
«Pensavo non ti desse fastidio.»
«No, infatti.» 
Mikasa si chiedeva perché e come si arrivasse a fumare. Lei aveva provato tante volte, perché Floch l'aveva indotta a farlo, e sempre si era rifiutata di continuare dopo una singola boccata. 
Le faceva schifo. Neppure nei suoi periodi più stressanti le era mai balzata l'idea di fumare con il solo scopo di rilassarsi. 
«Ho un po' il vizio, lo ammetto» disse Jean guardando la stecca che bruciava lentamente. 
«Forse è un po' colpa di mio padre. Lui è medico chirurgo e non sopporta le persone che fumano. Ha avuto a che fare con molti pazienti fumatori.» 
«Meno male che non ho fumato davanti a lui!» 
Scoppiarono a ridere e poi calò di nuovo il silenzio tra loro. 
«Volevo chiederti una cosa» proruppe Mikasa, tenendo però lo sguardo su una vetrina di un negozio d'abbigliamento. «Come fai a sapere che mio fratello è omosessuale? Quando vi siete visti vi siete insultati entrambi.» 
«Strano ma vero, io lo seguo su instagram, anche se non lo uso quasi mai. Tuo fratello l'ha sbandierato di qua e là, per questo lo so.» 
Mikasa sorrise. «E' stato quando ha fatto coming out con i nostri genitori. Era al settimo cielo.»
Jean annuì. «E poi ci siamo incrociati qualche anno fa a un Pride. È stato scioccante per entrambi, ma non ci siamo rivolti la parola.» 
«Capisco.» 
«Ha mai trovato qualcuno?» 
«Niente di serio.» 
«Allora forse è per questo che è frustrato», ridacchiò, facendo un ultimo tiro di sigaretta. 
Mikasa lo guardò aggrottando la fronte. «Frustrato? Ma ti pare? Sicuramente ha delle storie spassionate con migliaia di ragazzi. Hai visto quanto è seguito sui social?» Si fermò appena si rese conto di una cosa. 
Jean la guardò alzando una sopracciglia e lei scosse la testa. «Niente, forse hai ragione.» 
Poteva dire che sapeva qualcosa sulla vita sentimentale di Eren, ma era da un po' che non ne parlavano. Dopo quello che era successo, Mikasa non voleva più saperne e non chiedeva nemmeno ai suoi amici se avessero interessi per qualcuno. Era un rifiuto un po' autoimposto, che non c'entrava nulla con la sua volontà. 
L'ultima volta che aveva sentito parlare Eren di una cotta, era stato un anno e mezzo prima, quando ci aveva provato con un ragazzo più grande di lui ma che lo aveva rifiutato alla bell'e meglio. Il tipo si chiamava Levi, e frequentava un circolo equestre a trenta minuti da Monaco. Lo aveva conosciuto grazie al suo amico Armin, che aveva invitato Eren a vederlo in una gara di salto ostacoli. Fu da quel giorno che Eren si faceva "le trippe mentali". 
Raccontò a Jean questa storia e non ci furono battutine o cose simili. Ascoltò in meticoloso silenzio, come se quell'argomento lo rispettasse a prescindere da Eren.
«E di te? Mi dici niente della tua relazione passata?» 
Certo, doveva aspettarselo. In fin dei conti suo fratello non poteva permettersi di essere al centro dei suoi dialoghi. 
«Non c'è niente da dire, in realtà» mentì. Si morse il labbro e fissò i suoi piedi. 
«L'altra volta mi avevi detto che era sempre geloso. Non è che era uno possessivo?» 
Aveva centrato il bersaglio. 
«Oh, gesù» imprecò, notando che Mikasa non aveva negato. «Era un pazzo?» 
«Era megalomane, ma non in modo eccessivo. Alla fine avevamo quasi quindici anni quando ci siamo messi insieme. Mi ha allontanato dalle mie amicizie e mi ha indotto a stare con lui e i suoi amici. Ma a me stava bene. Anche quando mi diceva di vestirmi in un modo piuttosto che in un altro, non lo faceva sembrare una cosa anomala. Ecco.» 
«Be', se lo amavi... e poi?» 
«E poi nulla, i miei genitori mi hanno sempre detto che lui era un ragazzo poco di buono, che dovevo stare attenta perché il suo gruppo di amici segue un po' la strada della delinquenza. Ho aperto gli occhi solo quando mi ha detto chiaro e tondo che Eren non gli piaceva, che gli stavo troppo attaccata e che non era normale avere un rapporto così intimo con un fratello. Abbiamo litigato, in modo molto acceso a casa sua. Io me ne sono andata piangendo ed è lì che si è formata una crepa indelebile nel nostro rapporto. Più i giorni passavano e più mi saliva l'ansia quando stavo con lui. Quando poi ho riallacciato i rapporti con una mia vecchia amica, Sasha, abbiamo di nuovo litigato.» 
Fece una breve pausa. «Alla fine me ne sono fatta una ragione e l'ho lasciato. Anche se non è stato facile. Avevo paura di incrociarlo per strada, magari mentre andavo a scuola, quindi per un bel po' mi sono fatta accompagnare dai miei o da Sasha. Eren mi ha aiutato a bloccarlo ovunque, ma c'erano sempre numeri strani che mi mandavano messaggi orribili.» 
«Tipo?» Jean però poteva immaginarli. 
Mikasa si strinse nelle spalle. «Stronza, puttana... cose così. Ho sofferto.» 
«Mi spiace, hai avuto un grande coraggio a uscirne da sola, sai?» 
«Me l'ha detto anche la mia terapeuta» affermò con un leggero tremolio nella voce. «Ma alla fine non ero da sola, c'era la mia famiglia a supportarmi, e anche Sasha.»
«Lui è stato il bastardo che cercava di negarti tante cose belle. Queste persone è meglio lasciarsele alle spalle come ricordi. Sono esperienze, possono capitare, purtroppo.» 
Mikasa annuì solamente, provando uno strano senso di angoscia. Era da molto che non ne parlava con qualcuno della sua relazione passata e tante volte era riuscita a non pensarci più. Ma faceva ancora male, forse un dolore indelebile costretto ad affievolirsi ma mai a scomparire. 
Jean era stato carino a dire quelle parole perché si sentiva che era dispiaciuto, o che comunque comprendeva un po' quel tipo di dolore. E non l'aveva nemmeno giudicata. 
Sospirò. «È passato ormai.» 
«Sei stata tanto male? Penso che tu lo amassi.» 
«Mi sembra ovvio» sbottò e si morse il labbro inferiore. «Sì, insomma. È stato il mio primo ragazzo serio, capisci?» 
«Certo, certo. Dai, sei una bellissima ragazza. Vedrai che troverai qualcuno che ti amerà tantissimo e ti tratterà con rispetto.» 
Mikasa arrossì a quel complimento, non se l'aspettava così su due piedi. Non sapeva come replicare. «Floch mi amava per com'ero...» 
Jean strabuzzò gli occhi, le mani tenute nelle tasche dei pantaloncini. «Se ti amava perché non ti lasciava libera di vestirti come volevi?» 
«Ma questo è un altro discorso!» 
«No, è lo stesso. Se per caso tu fossi la mia ragazza - e in quel momento il cuore di Mikasa partì in quarta, battendo contro la cassa toracica come un mantra, - io non ti farei allontanare dai tuoi amici, e non sarei nemmeno geloso di Eren! Non deciderei nulla per te, sei tu a fare le tue scelte, no?» 
«Ho già sentito una frase simile» replicò imbarazzata. 
«Ah, lo so, anche io.» Jean rise e portò una mano tra i suoi capelli, tirandoli indietro, e Mikasa pensò che fosse il gesto più sensuale che gli abbia mai visto fare. 
«Fai l'università?» Cambiò di colpo il discorso, non ne poteva più di fidanzati. 
«Sì, facoltà di psicologia.» 
«Ma dai...» 
«Già, vorrei specializzarmi in psicologia criminale. O una cosa simile.» 
«Fico, è una strada interessante quella che hai scelto, anche se un po' lunga.» 
«Me ne sono fatto una ragione. E tu?» 
«Io sono ancora al liceo» rispose Mikasa prendendo il cellulare in mano per vedere l'ora. 
«Sì, ma che vorresti fare?» 
«Penso scienze dell'educazione. Vorrei diventare educatrice di bambini.» 
«Bellissimo!» esclamò forse con troppa enfasi. «E come mai?» 
«Forse perché sono rimasta colpita dal centro infantile dove mia mamma mi ha lasciata. Diciamo che mi sono trovata bene.» 
«Ti ha lasciata?» 
«Non per suo volere, adesso è in Giappone, ma all'epoca era sola e senza lavoro e non poteva tornarci insieme a me.» 
«Ho capito, e la senti ancora?» 
«Sì, ogni tanto. Siamo andati a trovarla una volta. È stato un bel viaggio. Ti stai chiedendo se vorrei stare con lei? Direi di no. Dovrei imparare meglio il giapponese, e non mi va troppo.» 
Jean sbuffò divertito, perché aveva senz'altro colto il senso d'ironia nella sua voce, e aveva anche compreso che non si sarebbe separata così facilmente dalla sua famiglia. Era cresciuta insieme a loro ed erano passati undici anni, sicuramente non avrebbe lasciato la sua casa e le persone che amava. 
Fu uno squillo a interrompere la loro lunga chiacchierata e Jean rispose a Marco. Parlò velocemente dicendo che era con Mikasa fuori dal locale e che sarebbe tornato indietro insieme a lei. Appese la telefonata e fece cenno alla ragazza di andare. 
«Comunque io vorrei fare psicologia perché... mia mamma ha sofferto molto quando mio padre è venuto a mancare.» 
Mikasa schiuse le labbra. «Mi dispiace, è successo da poco?» 
Scosse il capo in segno di diniego. «Quando avevo sei anni. È stata dura, ma per mia madre molto di più. Andava da uno specialista e ogni tanto portava anche me. Credo che sia il percorso giusto da fare.» 
«Sono sicura che lo sarà.» 
Jean le sorrise genuino. Insieme, con le braccia che si sfioravano, tornarono dal loro gruppo di amici.

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Capitolo 3
*** 3 ***


 

«È fuori!» urlò Connie facendo il gesto con le mani, raccogliendo subito dopo la palla uscita dalla linea di campo. 
Jean imprecò, scusandosi con la sua squadra. «Mi spiace, la colpisco sempre troppo forte.» 
«Meglio così, il punto va a noi.» Eren rise di gusto, beccandosi un terzo dito da Jean. 
«Fottiti.» 
«Ma fottiti tu!» 
«Finitela» sospirò Mikasa raccattando la palla dalle mani di Connie. Si posizionò dietro la linea di campo ricoperto dalla sabbia, pronta a battere con una schiacciata. 
Non ricordava a chi era saltata l'idea di giocare tutti assieme a pallavolo. I due gruppi si erano incontrati al bar e uno degli amici di Eren, forse Reiner, aveva proposto con cortesia di giocare a pallavolo qualche volta se ne avevano voglia. Tutti accettarono di buon grado e il pomeriggio stesso avevano deciso di andare al campo. 
«Palla!» trillò Mikasa, prima di battere, direzionando la palla in modo perfetto verso il campo avversario. Tornò indietro dopo due palleggi ed ebbero l'opportunità di fare nuovamente punto. 
«Sì, cazzo!» esclamò Reiner, dopo aver schiacciato la palla a rovescio. 
«Ancora due punti Mikasa! E abbiamo vinto!» esclamò Connie estasiato e alzò il pollice in su.
«Vi piace vincere facile, eh? Senza offesa ragazzi, ma non sapete giocare.» 
Jean lo disse con il sorriso, ma odiava aver scelto a caso i membri della sua squadra; purtroppo non conosceva le loro capacità e il suo spirito competitivo stava soffrendo.
Quando la partita si concluse con la vittoria della squadra di Eren, decisero di andare in spiaggia per passare le ultime ore del pomeriggio a rilassarsi sotto il sole, che pian piano scendeva verso ovest. 
«Non ho ancora visto l'alba» disse Jean perso un po' nei pensieri. Mikasa rivolse a lui un'occhiata veloce e poi tornò a guardare le onde infrangersi nella sabbia. 
«Dobbiamo svegliarci alle sei o prima, ti rendi conto?» Marco sorrise, sapendo quanto il suo amico detestasse svegliarsi presto la mattina. Jean non replicò, stringendosi nelle spalle. Si voltò verso Mikasa che era seduta a poche braccia lontana da lui che parlava con Hitch di qualcosa, ma non sembrava molto attenta al monologo della loro amica. 
«Mika, tu ci saresti domani mattina all'alba?» 
Destò a Mikasa la sua completa attenzione che strabuzzò gli occhi e scosse il capo, come se non avesse capito. «Come?» 
«Volevo sapere se domani verresti venire con me a vedere l'alba.» 
Mikasa sembrò pensarci su, ma la sua risposta voleva essere lesta e chiara: sì.
«Perché no?» disse invece, ma a Jean bastò lo stesso per renderlo felice. 
«Perfetto!» 
«E quindi domani andrete via?» Mikasa non ebbe nella voce nessun tono particolare. Era una domanda che però la faceva rattristare. 
«Purtroppo sì, il tempo della mia vacanza è finito.» Jean era dispiaciuto e spostò il suo sguardo sul mare. «Mi mancherà.» 
Il mare non sarebbe stata l'unica cosa che gli sarebbe mancato, e quella consapevolezza lo rendeva a dir poco nervoso. 
Mikasa era stata un'ottima compagnia e gli dispiaceva pensare che se avesse potuto, sarebbe rimasto ancora qualche giorno. 
La conosceva a malapena, e proprio quando il loro rapporto sembrava essersi consolidato, ecco che rischiava di essere troncato a causa della distanza. Distanza si fa per dire, visto che abitavano entrambi a Monaco, ma si sarebbero più rivisti anche al di fuori delle vacanze? 
Jean sperava di sì. 
«Domani vengo con te a vedere l'alba.» 
E a quelle parole Jean divenne paonazzo, ma poi sentì le sue guance accaldarsi. Si affrettò ad alzarsi, evitando di farsi vedere dalla ragazza in quello stato. 
«Così sia!» disse spensierato e raggiunse Connie e gli altri a giocare a palla in mare.

***

La sveglia suonò alle cinque e venti e Mikasa si affrettò a spegnerla. Fece attenzione a non svegliare la sua famiglia quando si alzò per prepararsi. 
Fu pronta in un quarto d'ora, mentre il buio e il silenzio ancora avvolgevano il campeggio dormiente. Trovava strana quella quiete quasi anormale, ma si voleva godere quegli attimi in cui camminava per raggiungere lo chalet di Jean, prima che potesse dimenticarne la sensazione. A Monaco mancava proprio questo: l'aria satura di profumo di pini e salmastra, grazie alla brezza che arrivava dal mare, e il cinguettio degli uccelli senza che venissero disturbati da altri suoi disturbanti. 
Sarebbe tornato tutto alla normalità una volta rincasati nella loro città tra traffico di auto e smog.

Jean l'aspettava fuori dallo chalet e si avviarono in silenzio verso la spiaggia deserta. Nessuno quel giorno aveva avuto la loro stessa idea, ed era strano come quella spiaggia potesse apparire così diversa senza l'affollamento. 
Una volta seduti, il cielo aveva iniziato a schiarirsi a est, e i primi guizzi di luce davano spazio all'aurora rosata. 
Il loro silenzio rese etereo quel momento magico, fino a quando Jean non prese parola: «Mi prometti che ci rivedremo?» 
Mikasa si era voltata verso di lui con sorpresa, il cuore le martellava in petto ferocemente. 
«Sì» rispose senza esitazione. Jean la guardò con un'espressione indecifrabile. Se era rimasto sbalordito dalla sua risposta non lo dava a vedere. 
Il sole cominciò a sorgere, il mare che brillava grazie ai suoi delicati raggi, ma Mikasa li scorse troppo tardi. Fu in quel momento che lei si avvicinò al suo viso, socchiudendo gli occhi. Baciò con delicatezza Jean, che non aveva fatto nulla per allontanarsi. Al contrario, aveva ricambiato il bacio portando una mano sul viso di lei, in modo tale da non farla fuggire.
Carpe diem. 
Jean aveva sempre cercato di applicare questa locuzione latina di cui, da bravo ignorante, non conosceva la fonte. Difficile da seguire, perché l'uomo ha la brutta abitudine di pensare troppo. Eppure, Mikasa se n'era fregata, non aveva riflettuto prima di catturare le sue labbra fra le proprie. E Jean non si era scansato. 
Erano riusciti a cogliere quel momento facendolo proprio. Loro due da soli, con il sole a fargli da testimone silente. 
Si alzò il vento appena si separarono. 
Mikasa sollevò le ginocchia, tenendole strette al petto e nascondendo il sorriso spontaneo formatosi dopo essersi alienata fra i pensieri. Lo stesso era per Jean, ma restò a guardare l'alba senza nascondere il sorriso e tenendo alta la testa come un uomo fiero. 
«Bello, eh?» Mikasa spezzò il silenzio. «Anche se, onestamente, preferisco di gran lunga il tramonto.» 
«Anche io.» Jean non aggiunse altro, non ce n'era bisogno. 

Mikasa ripensò a quel bacio con ostinazione fino a quando i suoi genitori non si svegliarono. Erano le otto, orario consueto al risveglio della famiglia Yeager. Eren si svegliò un po' più tardi, ma anche lui si rese conto, come i genitori, che sua sorella aveva la testa da un'altra parte. Poi si ricordò di che giorno fosse, e fu lì che a Eren venne l'illuminazione. 
«Sei uscita stamattina?» 
Mikasa annuì sotto l'ombra della tenda del loro camper. Facevano colazione e i loro genitori erano andati insieme a comprare al bar dei cornetti appena sfornati. 
«E...?» 
«E niente, che devo dirti?» rispose bruscamente la ragazza, come intimorita da qualcosa. Eren non sapeva che combatteva contro la voglia di raccontargli tutto e la sua parte più discreta, quella che aveva timore di una reazione negativa da parte sua. Viste le loro divergenze passate, era possibile che avrebbe dato di matto, nei peggiori dei casi. 
«Che avete fatto?» Eren sembrò irremovibile, anche se non stava usando un tono insistente. Semplice curiosità, perché non si aspettava nulla di quello che era successo tra loro. 
«Ci siamo baciati.» 
Lo disse, e un infinitesimale secondo dopo, Eren si stava strozzando con il succo di frutta al mango. 
«Sei seria?» 
«Ti sembro il tipo di persona che scherza?» Il suo sguardo severo nascondeva un sentimento di paura e insicurezza. E se fosse stato uno sbaglio? 
«No, cioè... cazzo, proprio Faccia...» 
«Eren!» 
Il ragazzo la guardò con gli occhi spalancati. Cercò di scacciare dalla sua mente qualsiasi commento che avrebbe ferito Mikasa. Insultare Jean sarebbe stato un affronto inestimabile, soprattutto nel momento in cui Mikasa aveva in volto un'espressione combattuta. 
«Jean è diventato sicuramente una persona migliore da quando l'ho conosciuto.» 
«Eravate ragazzini...» 
«Vero» confermò Eren, «ma questo non significa che mi sta meno sulle palle.» 
Mikasa non ribatté e abbassò lo sguardo, fissando distrattamente il terreno erboso. Eren non sapeva come consolare le persone, faceva schifo sotto quel punto di vista, però quello che fece dopo fu la prima cosa che gli balzò per la testa. Si alzò dalla sedia e andò ad abbracciare Mikasa, che a differenza sua era rimasta in piedi appoggiata al camper. 
Entrambi si strinsero l'un l'altra, e Mikasa disse: «Sono stata io a baciarlo.» 
«Non avevo dubbi.» Se la rise Eren quando sciolsero l'abbraccio. «Cosa intendi fare con lui?» 
«Non lo so» rispose dopo un attimo di silenzio, volgendo l'attenzione da un'altra parte, impensierita. «Credo che non sono pronta per un'altra relazione, adesso.» 
«Respira e datti tempo, Mikasa.» 
«E se lo illudessi?» 
«L'importante è... fare chiarezza, anche se per lui può essere una batosta, ma meglio prima che dopo.» 
«Ma a te sta bene?» 
Eren spalancò gli occhi incredulo, e poi le sorrise dolcemente. Che pessimo fratello era stato finora? 
«Io voglio solo vederti felice» disse alla fine, scaldando il petto di Mikasa. «E poi l'ho visto come si comporta con te in questi giorni, non ha niente a che vedere con lo stronzo.» 
Floch era ancora un tasto dolente per sua sorella, ma quando pronunciò quell'appellativo poco simpatico, per la prima volta dopo mesi la vide sorridere divertita. 
«Hai ragione, sono contenta che tu lo veda in questo modo.» 
Eren si convinse che Jean fosse caduto come manna dal cielo. Aveva aiutato inconsapevolmente sua sorella a uscire dal baratro creatosi dopo la rottura con Floch. Non era stato facile sentirla piangere in camera sua nei primi mesi, e ancor meno era stato piacevole vederla sempre chiusa in casa perché non aveva voglia di passare nei luoghi comuni dove andava sempre con la comitiva del suo ex.
Aveva bisogno di cambiare legami, di conoscere nuove persone. Solo così avrebbe superato il malessere che agognava in lei. 

La mattinata era passata in fretta, e mancava poco alla partenza. Jean e Marco avevano passato le ultime ore a sistemare la macchina, piena fino all'orlo dei loro bagagli. In fondo era una misera C1 ad accompagnarli in quel viaggio abbastanza lungo. Mikasa li aveva raggiunti in prossimità della loro partenza e Jean stava perdendo le speranze di poterla vedere un'ultima volta. Credeva che si fosse pentita del bacio che si erano scambiati solo otto ore prima e pensava che ormai avesse perso ogni contatto con lei, anche se il numero di telefono se l'erano già scambiato. 
Non evitò nemmeno per un istante il suo sguardo e gli sorrise imperturbata. Si chiese allora fino a che punto era stato serio quel bacio recondito, ma non ebbe la possibilità di parlarne con lei privatamente, non in quel momento in cui c'erano Marco, Hitch e Marlo. 
I due fidanzati furono veloci con i congedi, premunendosi di farsi sentire durante l'anno prima di incontrarsi nuovamente l'estate successiva. Mikasa se stava in disparte e quando si allontanarono, potè abbracciare Marco. 
«Spero di rivederti, magari quando tornerò a Monaco per Natale. Possiamo organizzarci e vederci.»
«Mi sembra un'ottima idea. Stammi bene.»
«Vado solo a riempire le borracce, ci serve acqua fresca per superare questo caldo micidiale.» Si allontanò da loro e fece calare un silenzio imbarazzante. 
«Allora... domani hai l'aereo, giusto?» chiese Mikasa. 
«Sì, dormo ospitato dai nonni di Marco a casa loro e poi mi accompagnano in mattinata all'aeroporto.»
Mikasa annuì, non sapendo cos'altro aggiungere. Ma ci pensò Jean: «Ci scriviamo, vero?»
«Sì, ma Jean... vorrei dirti una cosa prima.»
Jean deglutì una dose consistente di saliva, pensando che lo stesse per scaricare. 
«E' stato bello stamattina. Lo rifarei, ma vorrei del tempo per riflettere.»
«C-certo, anche io... cioè, ho pensato anche io la stessa cosa.» 
«Quindi va bene così?» 
«Sì, perché vorrei conoscerti meglio, ovvio.» La sua voce tremava dalla gioia e Mikasa fu contenta di accorgersene. Si avvicinò a lui, e la distanza fu colmata dall'abbraccio di Jean, che la strinse forte tra le sue forti braccia. Poteva contare su di lui d'ora in avanti e sapeva anche che avrebbe fatto di tutto pur di non perdere la sua amicizia. Forse ci sarebbe stato ancora del lavoro da fare con i suoi sentimenti, ma nulla di veramente irraggiungibile e insuperabile. Non vedeva l'ora di raccontare tutto a Sasha, che sarebbe stata entusiasta della sua piccola avventura estiva, se così poteva essere definita. Una volta separati, Mikasa diede a Jean un pegno, una cosetta che avrebbe voluto vedere su Jean una volta incontrato a Monaco. 
«Per me?» Jean afferrò l'elastico nero della ragazza che annuì con un leggero sorriso sulle labbra. 
Si portò i capelli all'indietro e si fece un codino, mostrando i lati della testa rasati. Mikasa si trovò a pensare che Jean fosse davvero un gran bel ragazzo. 
«Io non ho niente da darti.» 
«Non importa, è bello sapere che hai il mio elastico con te.» 
Quel pensiero sembrò soddisfare entrambi, e fu in quel momento che Marco decise di tornare da loro. Il ragazzo con le numerose lentiggini sul viso (rese più evidenti a causa dell'abbronzatura) non sapeva niente di quello che era accaduto la mattina. Ma non era stupido, e credeva che tra il suo migliore amico e la ragazza stava nascendo qualcosa. Che fosse solo amicizia o qualcosa in più, per ora voleva essere discreto e immaginare che Jean si trovasse molto bene con Mikasa. 
Mikasa augurò ai due buon viaggio prima che salissero in auto. Marco si mise al posto del guidatore e Jean la guardò dal finestrino, che poi abbassò. 
«Ti faccio sapere quando siamo arrivati.» 
«Sì, aspetterò con ansia, ok?» 
Marco annuì e la salutò con un frettoloso gesto della mano e accese il motore. Finché non fu lontana, Mikasa non aveva cessato di guardare la macchina allontanarsi. Allo stesso modo, Jean non aveva smesso di fissare la ragazza dallo specchietto. Era triste pensare che si stessero separando in quel modo blando e spassionato, ma non potevano fare diversamente. Tutto sommato si erano chiariti, non avevano fatto finta che non ci fosse mai stato nulla tra loro, ma infondo si conoscevano da una settimana, ed era impensabile che tra loro si fosse creato un sentimento maturo. 
Qualcosa c'era, ma ci sarebbe voluto più tempo del previsto per iniziare un vero e proprio rapporto. 
Mikasa tornò in camper, trovando Eren che l'aspettava per andare insieme verso la spiaggia. Si cambiò, indossando il costume e quando volle legarsi i capelli si ricordò di non avere più il suo elastico. Sorrise spontaneamente e uscì, chiudendo la porta del camper a chiave. 
«Non ti leghi i capelli?» chiese Eren ingenuamente. Da quando li aveva lunghi era solita legarseli perché le recavano fastidio. 
Ma non quel giorno. 
«Ho perso il mio elastico.» 
Era un segreto che Mikasa voleva tenersi solo per sé.

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Capitolo 4
*** 4 ***


 

Da quel giorno per cinque lunghe settimane si erano sentiti per telefono e via messaggio. Mikasa era stata molto impegnata prima dell'inizio della scuola, il suo ultimo anno, e si era ripromessa di chiudere con Floch una volta per tutte. 
L'ex ragazzo aveva avuto la brillante idea di presentarsi alla porta di casa sua, ma per sua grande sfortuna, aveva trovato alla porta Eren, che non era di ottimo umore già per conto suo. Figurarsi vedere all'ingresso proprio l'ex di sua sorella. 
Eren l'aveva cacciato in malo modo, dicendogli di non farsi mai più vedere, minacciandolo di fare qualcosa di molto grave alla sua persona. 
Saputo cosa era accaduto, Grisha lo aveva rimproverato per il modo in cui si era approcciato, ma Mikasa aveva apprezzato il gesto tanto esagerato quanto premuroso da parte di suo fratello. 
A scuola Floch non le rivolgeva nemmeno più la parola, talmente era rimasto turbato dalla sfuriata di Eren. Se mai solo ci avesse riprovato con lei l'avrebbe davvero vista brutta. Persino il suo gruppo di amici si era fatto da parte, complici di numerose frecciatine infantili e fuori luogo. 
Sasha era contenta di come erano andate le cose e sperava con gioia di conoscere Jean un giorno. Ma prima Mikasa doveva vedersela da sola, e capire come sarebbe andata con lui. Se si fosse dimostrata l'ennesima delusione, sarebbe stata l'ultima volta, e avrebbe scelto una vita da single. Inutile dire che Sasha l'aveva presa in giro fino alla nausea. 
«Sei stata solo sfortunata, ed è pure stato il tuo primo ragazzo, perciò non ti crucciare» aveva ripetuto Sasha. «Adesso che ti sei liberata di quello stronzo puoi guardare oltre e adescare tanti altri bei pesciolini. Tipo quel Jean, di cui mi hai parlato.» 
«Ma non voglio iniziare una nuova storia.» 
«Datti tempo, ti dico, ma non rinunciare a lui. Diventate amici, fine della storia. E poi glielo hai detto tu stessa, no?» 
Sì, glielo aveva detto proprio il giorno della sua partenza. Ore dopo il loro primo bacio. Primo e unico, precisamente.

Mikasa era stata la prima a cercarlo e, anche se non se lo aspettava, si erano trovati subito in una bella sintonia anche a parlare per messaggio. Jean era sempre stato carino con lei, perché le chiedeva spesso come stesse, e se passasse bene le sue giornate. Ogni tanto si chiamavano se non potevano messaggiare al telefono, ed era bello per Mikasa averlo anche solo come amico. 
Dopodiché avevano iniziato a vedersi di persona; da soli o con la compagnia dei loro amici non faceva differenza, ma Mikasa sentiva che tra loro vi fosse uno strano feeling, qualcosa che riusciva ad accomunarli. A renderli molto più affiatati. 
Nonostante non sentisse un bisogno essenziale di avere un fidanzato, Jean poteva essere il suo ragazzo ideale. In fatto di musica aveva più o meno i suoi gusti, amavano il kebab e il sushi, e si guardavano le stesse serie tv. Si consigliavano film e anime da guardare. 
E mai una volta Jean era stato persistente. Lui continuava la sua vita tra studio e il piccolo lavoretto part-time che aveva trovato da poco, e Mikasa concludeva il suo ultimo anno al Ginnasio. 
Non v'erano convenevoli particolari tra loro e non avevano mai più accennato del bacio, come fosse un argomento che, per il momento, non era il caso di affrontare. E se da una parte Mikasa si sentiva tranquilla, dall'altra non riusciva ben a focalizzare i sentimenti che provava per lui. Era chiaro che ci fosse un profondo affetto, persino Jean le mostrava affettuosità. Qualche cosa la bloccava, ed era fermamente convinta che col passare del tempo avrebbe fatto chiarezza. Ma non fu così semplice come immaginava. 
Una sera erano andati a teatro a vedere un'opera lirica: Madame butterfly. Jean aveva sempre voluto vederlo e Mikasa gli aveva regalato due biglietti. Uno per lui, e l'altro per un suo accompagnatore, e Jean non ci aveva pensato due volte a chiederle di andarci assieme. 
«Perché no?» aveva detto, in fondo lo desiderava profondamente. 
Si erano divertiti, e tutto il tempo si erano tenuti a braccetto o per mano. Anche durante tutto lo spettacolo non smettevano di cercarsi. Ogni tanto si giravano a guardarsi, avvicinavano il viso per parlare tra loro a bassa voce e commentare le scene. E poi cercavano uno la mano dell'altra e se la stringevano. 
Nient'altro. 
Il finale tragico dell'opera aveva fatto impazzire Jean, e Mikasa trovò esilarante il modo in cui l'aveva presa. 
Costernato, Jean accompagnò la ragazza fin sotto casa continuando a parlare animatamente dell'opera per tutto il tragitto. E Mikasa non desiderava essere in nessun'altro posto. 
Quando l'auto si fermò, Jean le diede la buonanotte con un dolce bacio sulla guancia. 
«Grazie, Jean, per la serata.» 
«Grazie a te, che mi hai regalato i biglietti. E sono stato molto bene con te... come sempre.» 
Lei sorrise, arrossendo un po' sulle guance. «Dobbiamo tornarci in teatro allora, un'altra volta. È bello.» 
«Infatti, poi non so perché ma ogni cosa che faccio insieme a te è sempre bellissimo.» 
Non seppe come rispondere, ma ci pensò Jean a parlare. «Oh, cavolo. Sono risultato tanto melenso?» 
Lei levò gli occhi al cielo. «Un pizzico, troppo, lo sai che sono poco romantica.» 
«Farò io la controparte romantica, sta' tranquilla.» Risero all'unisono. 
Mikasa tese la mano verso quella di Jean e la strinse forte. Era calda, morbida e confortevole. In quei mesi di frequentazione si era resa conto che stava così bene con Jean, che faceva di tutto pur di vederlo. A casa sua l'aveva invitato solo una volta, e le dispiaceva, perché a casa di Jean c'era andata molto più spesso. Il problema è che c'erano i suoi genitori e suo fratello, di certo non poteva cacciarli via di casa. Preferiva di gran lunga starsene da sola con il ragazzo, che fortunatamente - messo tra molte virgolette, - viveva solo con sua madre. Coincidendo con gli orari di lavoro e i loro impegni era più fattibile starsene da soli e tranquilli. 
«Domani hai da fare? Vieni da me? Giochiamo un po' alla Play.» 
«Sì, sì. Perfetto. Sarebbe magnifico.» 
«Ti vengo a prendere io alle quattro. Puntuale...» 
«Come sempre» concluse lei la frase sotto l'ombra di un sorriso divertito. Jean annuì e portò la sua mano dietro la nuca di Mikasa. Avvicinarono i loro visi e Jean le diede il solito bacio sulla guancia. 
Sentì non solo le farfalle allo stomaco, ma anche pterodattili impazziti, e se avesse avuto un po' più di coraggio, lo avrebbe baciato sulle labbra. Ma non lo fece, non si sentì pronta. 
Scese dall'auto e salutò per l'ultima volta Jean prima che ripartisse. 
Dopo un lungo sospiro, mentre osservava la macchina andarsene, raggiunse il portone di casa. Non si accorse che sul marciapiede vi era accostata una moto che a lei non era nuova.
Salì al secondo piano in ascensore e si guardò per un attimo allo specchio e osservò il punto sul quale le labbra di Jean si erano posate. Percepiva ancora il loro tocco umido e caldo. 
Notò persino come i suoi capelli, nonostante l'umidità fossero in perfette condizioni. Il taglio corto aveva molto vantaggio. 
Entrò in casa con l'umore basso a causa dei soliti pensieri che la affliggevano, ma furono interrotti quando vide un casco per motociclo appoggiato sul tavolo. Sentì delle risate provenienti dalla camera di Eren, e si sorprese del fatto che a quell'ora tarda ci fosse ancora Levi. 
Con tutta la calma possibile arrivò al corridoio. Vedendo la porta completamente aperta vi si appoggiò e improvvisamente le risate cessarono. 
«Mikasa! Non ti ho sentito entrare.» Eren si era scollato da Levi giusto in tempo. Erano vestiti e non stavano facendo niente di sconcio, per fortuna. 
«Ciao, Mika» la salutò Levi, cordialmente. Si era seduto con la schiena contro la spalliera del letto di suo fratello, e aveva il telefono in mano. 
Strano, pensò Mikasa, pare lo tenga al contrario. 
«Stavate urlando, ci credo che non mi avete sentita.» Le sue parole uscirono un po' atone, non riuscendo a mostrarsi granché divertita. «Mamma e papà? Sono ancora dai nonni?» 
«Sì, hanno chiamato e hanno detto che sono appena partiti. Arriveranno tra un'ora.» 
«Okay.» 
Senza dire un'altra parola, Mikasa entrò in camera sua e si chiuse la porta alle spalle. Si cambiò d'abito, indossando il pigiama, e poi andò in cucina per prepararsi una tisana. 
Eren parlò di qualcosa dall'altra parte e dopo qualche minuto vide arrivare Levi. Si sedette senza troppe cerimonie al tavolo, di fronte a lei. 
«Hai tagliato i capelli» notò subito. 
Mikasa annuì. «Sì, stavano diventando troppo lunghi. Tipo quelli di Eren.» 
«Eren se li lega sempre come un allocco.» 
«Ti piacciono lunghi su di lui» constatò Mikasa, sorridendo. 
«Mi piacciono troppo» ammise, sorridendo. «Ti stai facendo una tisana? Posso averne un po'?» 
«Sto scaldando dell'acqua in più apposta.» 
Da quando Levi aveva iniziato a frequentarsi con Eren, sembrava essere entrato ormai a far parte della famiglia. Carla lo adorava, e preparava sempre i suoi piatti migliori per far sentire a proprio agio il ragazzo. Invece, Grisha parlava con lui di qualsiasi argomento e gli interessava molto ascoltare Levi che parlava delle sue gare di equitazione e dei suoi lavori al maneggio. Da quando era piccolo ne era appassionato, perché suo zio era proprietario del maneggio, e probabilmente un giorno sarebbe spettato a Levi portare avanti l'eredità. 
Anche a Mikasa stava simpatico, a suo modo. Era più grande, aveva ventisei anni, ma ne dimostrava sei in meno, ed era maturo e responsabile, tutto il contrario di Eren. Forse fu per questo motivo che aveva del tutto ignorato le avance del giovane Yeager, anche se aveva affermato che non lo interessava e basta. 
Levi probabilmente le avrebbe dato dei consigli utili riguardo la situazione con Jean perché, se aveva capito bene, persino  lui inizialmente era incerto se cominciare o no una relazione con Eren. 
«È già pronto.» Mikasa versò in tre tazze l'acqua bollente. Aggiunse le bustine di tè e le portò al tavolo. Levi aveva appoggiato la zuccheriera e il miele al centro, e fu in quel momento che Eren fece la sua rumorosa entrata. 
«Porca puttana, sono inciampato sulle mie scarpe.» 
«Questo perché le lasci sempre in giro.» Levi scosse più volte la testa, indignato. Era stanco di dire a Eren le solite cose. Sarebbe rimasto il solito cialtrone disordinato. 
Mikasa se ne restò in silenzio, dando però ragione a Levi con un'occhiata divertita. 
«È un vizio il mio.» Eren si accomodò sul posto a sedere vicino a Mikasa, così da darle un bacio sulla guancia, per salutarla, visto che pochi minuti prima lo aveva trovato "impegnato" con Levi sul letto. Era un insolito gesto affettuoso preso da poco, perché Eren poteva essere considerato anaffettivo fino al midollo. Non mostrava mai il suo lato tenero, ma da quando aveva iniziato a frequentare Levi si poteva dire che le cose erano cambiate per lui, e in meglio. Anche se, per Mikasa, rimaneva il solito ragazzino pronto a mostrare il suo carattere di merda alla prima occasione. 
«Com'è andata con Faccia da Cavallo?» chiese Eren infilando dentro il tè ben due cucchiaini di zucchero. 
«Ah, allora eri con lui» commentò Levi. 
«Sì» rispose, «è andata bene con Jean.» Restò per qualche attimo in silenzio, con lo sguardo abbassato sulla sua bevanda fumante. 
«E?» la incitò Eren, curioso di sapere se fosse successo qualcosa di eclatante. 
«E niente, cosa vuoi che ti dica?» 
«Fai sul serio?» Eren aveva aggrottato le sopracciglia, portando la mano sulla fronte. «Sono passati sei mesi, Mikasa.» 
«Quindi? Cosa vuoi dire?» 
«Non puoi pretendere che ti aspetti per tutto questo tempo!» 
«Non lo sto facendo attendere. Noi...» Si morse il labbro, cercando le parole giuste da dire. «Io sto cercando di capire se ne vale la pena, e sono a un passo così per capirlo.» 
«Ma...?» disse Levi, rivolgendo l'attenzione sulla ragazza. 
«È complicato, odio ammetterlo, ma lui mi piace tantissimo, e giuro che non lo sto facendo apposta a soppesare la mia scelta.» 
«Se ti piace ma non sei convinta, perché diavolo lo stai illudendo?» Disinvolto come al solito, Eren. 
Mikasa ormai aveva capito che parlare con lui di queste cose era quasi inutile. Eren sapeva bene cosa significava "essere rifiutati" perché non esistono vie di mezzo quando si vuole stare o no con una persona. Secondo lui, Mikasa tentennava perché infondo non lo voleva davvero, e il suo cervello lo rifiutava, ma il suo cuore continuava imperterrito a sperare. Per questo si trovava in un bivio difficile, che poteva superare solo facendo un attento esame di coscienza. 
«Lascia perdere allora.» 
No, avrebbe voluto dirgli, ma Levi parlò al posto suo. «Se le piace perché dovrebbe lasciare perdere?» 
Levi aveva una strana serenità nel dire le cose. A tratti poteva sembrare severo, ma in qualche modo riusciva a empatizzare con le persone più di chiunque altro. «Ti trovavi nella sua stessa situazione, o sbaglio?» 
Eren mise un'espressione imbronciata, che diede conferma alla sua domanda. Levi sorrise e bevve un sorso di tè, afferrando la tazza dai bordi, come era solito fare. 
«Tu provavi a fare finta di nulla, ma hai continuato a sperare che io mi accorgessi di te. Ed è qui che c'è una cosa errata: io mi sono sempre accorto di te soltanto che qualcosa mi bloccava.» 
«Come se potessi ferirlo senza che se lo meritasse» concluse Mikasa e Levi annuì, guardandola. «E poi cosa ti ha fatto cambiare idea?» continuò.
Eren si girò a guardare il suo ragazzo, aspettando la risposta con una curiosità immensa. 
Levi ci pensò su prima di rispondere adeguatamente. «Non ho cambiato nessuna idea» disse, stupendo i due fratelli. «Potevo soccombere alla mia insicurezza o superarla, e scegliendo la prima non avrei mai risolto ciò che mi tormentava.» 
Eren sorrise leggermente quando Levi cercò il suo sguardo. 
«E cos'è che ti tormentava?» insistette Mikasa, non soddisfatta di quella risposta. Levi scrollò semplicemente le spalle stringendo poi la mano di Eren sotto il tavolo. Un gesto nascosto ma pieno di sentimento. 
«Sapere che avrei potuto perdere un'occasione, e non vale solo per l'amore, ma anche per tante altre cose, sei d'accordo?» 
Mikasa restò senza parole e finì per restare in silenzio, bevendo il suo tè tenendo stretta la tazza tra le sue mani. 
«Jean mi piace» affermò all'improvviso. «Ed è un bravo ragazzo, anche bello.» 
«Bello...» Eren alzò gli occhi al cielo, in parte in disaccordo. 
«È bello» insistette Mikasa lampante. «Sii oggettivo per una volta.» 
«Sì, è bello.» 
«Grazie, Levi.» 
«Ma le dai corda?» Eren pizzicò il fianco di Levi, indispettito. Tutti e tre si misero a ridere e Mikasa riuscì a sentirsi un po' più leggera, meno in colpa. 
Fin da quando l'aveva conosciuto aveva provato per Jean una graduale attrazione, e adesso si sentiva stranamente impaziente di parlare con lui e di chiarire una volta per tutte. 
Bevuta la sua tisana, si congedò dicendo ai due ragazzi che sarebbe andata in camera a dormire. Per ore restò sveglia sotto le coperte a immaginarsi il pomeriggio dell'indomani. Per una volta, però, si convinse che avrebbe lasciato tutto al caso.

***

«Ma una sistemata ogni tanto?» 
Jean portò la mano dietro la nuca con fare nervoso. Sentì le guance andare a fuoco per l'imbarazzo di una brutta figura. Eppure aveva pulito la casa quella mattina, aveva sistemato il quintale di vestiario abbandonato sulla sedia e aveva messo il restante a lavare. Aveva addirittura lavato il bagno due volte sperando fosse pulito e splendente. Forse aveva dimenticato qui e là lattine di birra e cartoni della pizza, qualche foglio scritto e i piatti sul lavandino ancora da lavare. Tutto sommato la sua camera da letto era in ordine rispetto al salotto! 
«Sto scherzando» disse Mikasa. Lo colpì sulla schiena amichevolmente e si mise a sedere sul letto di Jean. 
Il ragazzo sbatté gli occhi un paio di volte prima di accomodarsi accanto a lei. La tv era già accesa con la schermata della home della Playstation. 
Mikasa si tolse le scarpe come fosse un rito, e le posò al lato del letto. Portò le gambe incrociate sul materasso e si rivolse a Jean: «Allora, giochiamo?» 
Jean si rese subito conto che fosse allegra. Una visione mistica, visto che di solito conteneva il suo entusiasmo. Quel giorno, invece, da quando era andato a prenderla, era sicuro che qualcosa dentro di lei era cambiato. In meglio, ovviamente, ma non capiva cosa fosse capitato per farla rallegrare in quel modo. Scosse la testa e afferrò il joystick. 
«Ad Assassin's Creed?» 
«Di nuovo?! No! Mi avevi detto che giocavamo a Final Fantasy.» 
Jean scoppiò a ridere. «Sto scherzando» le fece il verso, e ricevette una leggera spinta. 
«Che cretino.» 
Il gioco partì dopo cinque minuti e cominciò l'intro che portò a Mikasa un sacco di emozioni. Sia perché era da tempo che voleva conoscere la storia di questo famosissimo videogioco, sia perché Jean sembrava interessato alle sue origini. I dialoghi aveva deciso di metterli in lingua originale, e non era un caso se da quando si conoscevano, a Mikasa sembrava che la cultura nipponica fosse negli interessi di Jean. 
Parlando con Marco, era uscito fuori che Jean non aveva mai dimostrato di avere un debole per il giappone. Ma da quando aveva conosciuto Mikasa le cose erano cambiate drasticamente.
Questo dettaglio le aveva fatto tenerezza, visto che mai nessuno si era interessato a lei con quella genuinità. Tendeva sempre ad allontanare chi provava a opprimerla, ma Jean era sorprendere sopra ogni sua aspettativa. 
Con tranquillità le aveva chiesto se capiva quello che dicevano ed era ovvio, visto che sua madre biologica le parlava solamente in giapponese, eppure ne rimaneva comunque affascinato quando gli rispondeva un sì lampante. 
Guardò l'ora quando arrivarono al boss finale di quella missione. Avevano fatto a turno con il joystick, ma quell'ultima battaglia se la giocò Jean, che aveva decisamente più maestria a maneggiare e controllare i pulsanti. 
Una volta finito, pregò Jean di smetterla e con noncuranza si distese sul materasso. 
«Come stai?» chiese il ragazzo dopo aver spento il televisore e la console. 
«Stanca.» 
«Oh, giocare alla Play per te è così stancante?» 
Mikasa gli rispose con un semplice cenno del capo. 
Jean la osservò per qualche istante e poi le si stese accanto, posando lo sguardo sul soffitto bianco della sua camera da letto. Le loro spalle si toccavano e per Jean fu una sensazione piacevole, anche se si respirava un'aria un po' imbarazzante. Mikasa era rimasta in silenzio, ed ebbe sentore di un segreto che non voleva rivelare ad alta voce. 
Forse la annoio, pensò Jean. 
Ma sapeva di aver torto, e infatti, appena Mikasa si sistemò su un fianco per guardarlo, ne ebbe la conferma. 
«Che succede?» chiese Jean dopo alcuni secondi di silenzio. 
Mikasa scosse il capo, probabilmente era stata colta da l'esitazione, e riuscì a parlare. «Te lo ricordi il bacio?» 
Jean si sollevò sui gomiti, sentendo il cuore palpitare all'impazzata. «In spiaggia?» 
Mikasa annuì. 
«Certo... certo che me lo ricordo.» 
«Era da un bel po' che non ci pensavo. Sembra passato un secolo.» 
Mikasa tentava a non abbassare in nessun caso lo sguardo. Voleva mostrarsi sicura di sé in quel discorso che si era preparata dalla mattina. Preparata per modo di dire, visto che si era dimenticata ogni monologo interiore che si era studiata. 
«È vero» asserì Jean. 
«Non ti scoccia aspettare?» 
Jean la fissò sbalordito e poi si mise seduto a gambe incrociate sul letto. «Aspettare che cosa?» sibilò, stringendo le mani sulle sue ginocchia. 
Mikasa fu messa all'angolo. Si chiese se in verità a Jean non le importasse nulla di lei, che se l'era tutto immaginato nella sua testa: gli sguardi, le loro mani intrecciate e i baci morbidi sulle guance. 
Jean sbuffò sorridendo e il suo viso si fece leggermente rosso. «Scusa, mi sono espresso male. Quello che intendo dire è...» 
«Jean, tu mi piaci.» 
Il tempo si fermò. 
«Mi dispiace se ho cercato di tirare per le lunghe ma non mi sentivo pronta. Forse nemmeno adesso lo sono, ma è vero se ti dico che sei un ragazzo d'oro e che mi piace avere te al mio fianco.» 
Mikasa si sentì avvolgere dalle braccia di Jean. La strinse forte, poggiando il palmo della mano sulla sua nuca e affondando le dita tra i suoi capelli neri. 
Mikasa fu sopraffatta da un sentimento latente, che con quell'abbraccio riuscì a venir fuori senza troppe difficoltà. 
Con quelle parole era riuscita a far breccia nella corazza che la imprigionava, liberandosi di un peso enorme a cui era stata vittima da tempo. 
Non servivano parole, perché Jean le stava trasmettendo tutto l'affetto e la felicità solo con quell'abbraccio, che non voleva che si sciogliesse. 
Si sentiva al sicuro tra le sue braccia. 
«Tu mi piaci da quando ci siamo baciati» affermò Jean, dopo averla allontanata per guardarla negli occhi. «Ho pensato: "cazzo, è stata una fortuna averla incontrata".» 
«Fortuna?» ripeté Mikasa confusa, ma con un leggero sorriso sulle labbra. 
«Sì, perché sei una persona meravigliosa.» 
«Su questo non sono d'accordo.» 
Jean ridacchiò. «E io non credo di essere un ragazzo d'oro.» 
«Con me lo sei.» 
«Touché.» 
Mikasa sospirò cercando di calmarsi. Le era appena venuta la tachicardia e non era una sensazione piacevole visto che era in compagnia di Jean e non a casa sua. Ma era una tachicardia anormale, perché sentiva allo stesso tempo le farfalle allo stomaco. 
Dire a Jean che gli piaceva l'aveva prosciugata di ogni energia in suo possesso. Non aveva dovuto sforzarsi troppo, ma si sentiva stanca lo stesso. 
Adesso che cosa sarebbe accaduto tra loro? Era stata troppo avventata? Avrebbe dovuto aspettare ancora e dirglielo per messaggio? No, non sarebbe stato lo stesso, e poi avevano la possibilità di vedersi. Nascondersi dietro lo schermo l'avrebbe resa una codarda, e Mikasa non lo era affatto. Si ritrovò a sospirare e Jean continuò a guardarsi le mani, torturandole. Sembrava che non avesse le palle di provarci con lei e Mikasa, dubbiosa, le venne persino in mente che forse Jean avrebbe preferito che non fosse una donna. 
Non sapeva nemmeno lei come fosse arrivata a un pensiero aberrante come quello, ma le parole di Levi le insorsero come un mantra nella sua testa: "Potevo soccombere alla mia insicurezza o superarla." 
Mikasa non aveva intenzione di soccombere. 
Seguendo il proprio istinto, Mikasa si mise a cavalcioni su Jean e gli strinse le spalle e, senza tirarsi indietro, lo baciò. 
Jean fu stregato dalla sua risolutezza. Ricambiò il bacio portando una mano tra i capelli di Mikasa, e da quello che sembrava qualcosa di piccolo e insignificante, si trasformò in vera e propria passione. 
Le loro mani si spostavano in ogni angolo del loro corpo e le loro intimità costrette nei jeans si muovevano l'una contro l'altra in modo lento e sensuale. 
Mikasa non era mai stata dubbiosa o a disagio a pensare di scopare con Jean. L'enorme differenza tra lui e il suo ex era sostanzialmente questa. Con Jean avrebbe voluto concedersi, perché sapeva che lui sarebbe stato gentile e non insistente. E lo voleva, Mikasa. Voleva davvero che Jean fosse la sua prima volta. 
Non fu difficile dirigere il gioco. Aiutò Jean a spogliarsi, e man mano che andavano avanti tutte le loro insicurezze crollavano. 
Jean era rapito dalla bellezza di Mikasa che sembrava addirittura una dea scesa in terra. 
Toccò senza indugio la sua intimità coperta solo dalle mutande nere in pizzo, e trovò esaustivo il fremito che Mikasa ebbe dopo quel contatto. Era così rossa sulle guance che gli aveva fatto una strana impressione. 
Era imbarazzata? A disagio? 
Scacciò via quelle domande non appena Mikasa ebbe la meglio su di lui. Lo distese sotto di sé, baciandolo al collo fino al petto. 
Jean riusciva a percepire il tremore nelle sue mani ed ebbe l'impulso di stringerne una per confortarla, per farle capire che non v'era motivo di avere paura. E Mikasa a quel contatto sorrise. 
Un'ora dopo erano sotto le coperte abbracciati. A Jean gli era venuta voglia di una sigaretta, ma non voleva alzarsi per lasciare sola Mikasa. 
La teneva stretta sotto braccio e le accarezzava distrattamente un seno, mentre lei era accoccolata al suo petto con gli occhi chiusi. 
Erano stati solo dei preliminari, eppure a Mikasa sembrava di aver superato una grande barriera. Non vedeva l'ora di informarsi meglio ed era probabile che ne avrebbe parlato con sua mamma, anche per chiederle consiglio riguardo ai rapporti sessuali. 
Sarebbe stato imbarazzante, con Eren lo era stato davvero tanto. Se suo padre aveva reagito in modo strano quando seppe che suo figlio aveva fatto il "grande passo", chissà come avrebbe reagito sapendo che anche lei era riuscita a farlo. Sul suo viso le spuntò un sorriso spontaneo, e Jean se ne accorse. 
«Che c'è?» 
Mikasa scosse la testa. «Niente, pensavo» rispose, accarezzando il petto di Jean coperto da un leggero strato di peluria. 
«Come ti senti?» chiese Jean a quel punto. 
«Bene» sorrise Mikasa, mentre alzava lo sguardo per vedergli il viso. «Mai stata meglio.» 
«Meno male.» Jean le accarezzò la spalla. 
«Voglio scoprire di più sul sesso.» 
Jean rise un po' imbarazzato. «Stai scoprendo un lato di te che non conoscevi? Non è che per caso sei ninfomane?» 
Mikasa lo colpì sul braccio. «No.» 
«Non argomenti nemmeno la tua risposta?» 
«Jean!» 
«Sto scherzando.» Le baciò la fronte. Un contatto tanto leggero quanto intimo, e la sua spontaneità colpì il petto di Mikasa come una freccia. «Allora mi dovrò comprare dei preservativi?» aggiunse con un sorriso malizioso. 
«Se non vuoi rischiare una gravidanza, direi di sì.» Mikasa scrollò le spalle e per un attimo immaginò di avere in futuro dei figli insieme a Jean, il quale fu attraversato dallo stesso pensiero. Nessuno dei due osò condividere quell'immagine fantasiosa. 
«D'accordo allora.» 
«Jean.» 
«Sì?» 
«Ti voglio bene.» 
Jean spalancò gli occhi, sbalordito di quanta spontaneità ci aveva messo Mikasa per dirlo. Non era una cosa da niente, quelle tre parole valevano molto più di un "ti amo". 
«Anch'io ti voglio bene.» 
Si baciarono di nuovo, colti da un mero affetto che provavano l'uno verso l'altra. 
Creare un legame può essere difficile e fatale. Ci vogliono coraggio e amor proprio per poter affrontare qualcosa di così intimo insieme a un'altra persona: condividere sogni, felicità, dubbi, insicurezze e tanto altro. 
Mikasa e Jean avevano ancora tanto da scoprire ma, per il momento, volevano godersi l'attimo tra quelle morbide e calde coperte. 





 

Fine

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