Legacy

di Nocturnia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Who we are ***
Capitolo 2: *** The right answer ***
Capitolo 3: *** Our blood; our pain ***
Capitolo 4: *** (Α)&(Ω) ***



Capitolo 1
*** Who we are ***


dddd
"You said you just wanted to be my brother from now on.
I lied, he said."
- Cassandra Clare -




Legacy


I



1.

Quando George li guarda non vede né Ethan né Cecily - solo loro.
È c'è qualcosa di estraneo nel modo in cui combattono - in cui si flettono e scivolano l'uno sulle spalle dell'altro, perfetti, uguali.
È irriverente, Jacob: è tutto quello che Ethan non era - impetuoso, beffardo, assoluto.
È razionale, Evie: una lama che taglia, e non lascia traccia di sé - imperturbabile, distante.
Li conosce da una vita, eppure ogni giorno si ritrova più a disagio, più confuso.
Evie salta, Jacob ride - rotola di lato, evitandola.
È solo la tua immaginazione, si ripete; sono gemelli. Sono cresciuti insieme. Hanno condiviso il grembo materno. Stai diventando vecchio e le tue paranoie stanno peggiorando e...
"Sei lento." lo riprende Evie, girandogli intorno in punta di piedi.
Jacob alza un sopracciglio, arcua appena un angolo delle labbra - ed eccola di nuovo quella sensazione umida che striscia sulla pelle e lì si appiccica, facendoti sentire fuori posto, scomodo.

Smettila; ti stai inventando le cose.

George sposta il peso da un piede all'altro, schiarendosi la gola.
Evie e Jacob lo ignorano, concentrati l'uno nell'altro - muscoli tesi, contratti.
E sono diversi, Evie e Jacob - così tanto da toccarsi ogni volta, da diventare un riflesso spietato.
"Oh, lo dici adesso, sorella?"

E ieri? Cosa hai detto ieri, Evie?

George inspira con forza, incrociando le braccia al petto.
"Lo dico sempre." ribatte lei, nella voce un'inflessione ironica - calda.
Jacob snuda i denti nella parodia di un sorriso, Evie solleva il mento - avanti; fammi vedere di cosa sei capace, fratello.
Quando impattano l'uno nell'altro George non può fare a meno di chinare il capo e sentirsi nel mezzo di una situazione privata e impossibile.


I saw you there
all I wanted was to start with you
was the hardest thing I ever had to do
'til I made you care.

Sul tetto del mondo i gemelli Frye sono due profilo nerissimi e distanti - il quieto mormorio di Evie e la risata asimmetrica di Jacob.
Greenie, l'aveva chiamato, girandogli intorno come un lupo in caccia.
E così eri tu il preferito di papà, aveva continuato, alzando un sopracciglio.
Non la metterei in questi termini, era stata la sua replica, pacata.
Jacob aveva liberato un suono di gola, a metà tra il derisorio e l'irritato.
Non fare caso a mio fratello, si era intromessa Evie, inclinando il mento verso il basso - giù, dove Londra moriva ogni giorno e risorgeva ogni notte.
E si era ritirato, Jacob; si era dissolto nelle ombre, riapparendo poi al fianco di sua sorella - tap tap, tap tap; un piede battere sulle tegole, scandendo la pioggia.
E nessuno dei due l'aveva più guardato - né Evie, concentrata nel seguire i movimenti della Thorne, né Jacob, le mani in tasca e una rigidità nelle spalle strana, fuori posto.
Henry reclama il proprio posto nel buio e scaccia il dubbio nelle leggi del Credo.


2.

A volte si chiede cosa diavolo si era aspettato suo padre? Cosa, se non creare un'arma unica, un corpo unico, un respiro unico.
"Avresti mai voluto conoscerla?"
Jacob fissa il cielo vuoto di stelle, tace.
"La mamma, dico."
"No. Forse. Alcuni giorni sì."
Evie emette un grugnito, lo colpisce con il gomito nel fianco.
"Un esempio di chiarezza, Jacob Frye."
Jacob distende le gambe nell'erba umida, ridacchiando.
"Sarebbe stato diverso? La nostra vita, intendo. Tutta questa storia del Credo e dei Templari e..."
"No." ribatte lui, asciutto.
Evie si volta, fissandolo.
E noi?, sembrano chiedergli i suoi occhi; saremmo stati diversi, Jacob?
Tra le sue braccia Evie è l'unica cosa che abbia importanza.


Yo, brother
you sure heard me
Banging on the big drums for your love
you called me baby then.

Londra è vecchia; una città piena di metallo e polvere, che avanza verso il futuro a grandi passi, lasciando dietro di sé solo carcasse e macerie.
Da quando hanno lasciato Crawley tutto è cambiato - non loro.
Evie si stropiccia le palpebre pesanti, ondeggiando insieme ai movimenti del treno.
"Dovresti dormire."
"Anche tu."
"Ho del lavoro da fare."
Jacob si china oltre la sua spalla, scivolando con lo sguardo sui documenti che Henry ha passato loro qualche ora prima.
"Lucy Thorne non andrà da nessuna parte, Evie."
"Non puoi saperlo."
Jacob schiocca la lingua contro il palato, intrecciando le dita nei suoi capelli - schiudendole sulla nuca, attorno il collo.
"Vieni a letto."

Vieni con me.

Ed Evie sa che dovrebbe continuare a cercare il frammento dell'Eden; che è importante e che i Templari hanno un secolo di vantaggio e che...
"I Rooks la stanno tenendo d'occhio."
Evie sospira, rilassandosi contro il suo petto - nell'aria tabacco e whisky.
"Pensavo non ti importasse della missione."
Jacob le bacia una tempia, sorridendo.
"Infatti non me ne frega nulla; o quasi."
Evie socchiude un occhio, fissandolo.
Jacob spegne la lampada sulla scrivania, traendola a sé.
"Solo qualche ora." mormora lei, lasciando che le tolga gli stivali, la pesante giacca umida di pioggia e sudore - blandisca una pelle tiepida, uguale alla sua.
Jacob annuisce e nella penombra della carrozza è lo stesso profilo che ha sempre cercato quando tutto era troppo - la paura, gli allenamenti, le pretese di suo padre, le sue assurde punizioni.
Raggomitolati l'uno nell'altro ascoltano il silenzio distendersi e riempirsi.


3.

Sulle loro spalle grava il peso di infinite vite perse per il Credo - affogate nella croce templare, liberate dal sangue.
Nei loro occhi brucia una determinazione che i Rook ammirano, da cui si lasciano consumare.
Henry li aveva accolti con il cuore colmo di speranza, nella memoria Ethan e i suoi insegnamenti - il suo dignitoso silenzio, la sua incrollabile fede nella Confraternita.
Il Credo è tutto, Jayadeep, ripeteva sempre.
Il Credo è ciò che può guidarti fuori dall'oscurità, dalle tue incertezze, il suo mantra, la sua verità.
Green si volta, incontrando lo sguardo di Jacob - il viso appena inclinato verso destra, negli occhi un'espressione curiosa, inquisitoria.
"A cosa stai pensando, Greenie?"
"A tuo padre."
"Oh." dice solo, arricciando un angolo delle labbra.
"Mi ha salvato la vita."
"Che brav'uomo."
"Lo era. Ero stato condannato alla pena capitale in patria, ma lui mi aiutò a scappare e a crearmi una nuova identità."
"Adorabile." ribadisce Jacob, nella voce una nota aspra, pungente.
Henry aggrotta le sopracciglia, studia la sua prossemica - le dita che tamburellano sul pomello del bastone, le narici appena dilatate.
"Sai." esordisce poi all'improvviso, interrompendo il flusso dei suoi pensieri "Papà era fissato con il Credo: con le sue regole e i suoi dogmi. Citava spesso assassini del passato - un certo Ezio, un tipo furbo, se vuoi sapere la mia opinione, e il traditore, Shay."
Henry segue i suoi movimenti, ruotando su se stesso - ascolta, incerto su dove voglia arrivare.
"Il Credo è la via, Jacob." lo imita lui, muovendo le mani nell'aria.
"Il Credo reca in sé tutto quello di cui hai bisogno, Jacob." prosegue, abbassando la voce di qualche ottava.
Green si umetta le labbra, cercando di cogliere qualcosa - di dare un nome al suo disagio.
Jacob si ferma, sollevando il viso verso il cielo - nero e gonfio di pioggia.
"Nulla è reale, tutto è lecito."
Henry tace, aspetta - attorno a loro la gelida stretta di Londra e delle sue miserie.
"In questo credo, Greenie." mormora Jacob, togliendosi il cappuccio e mostrandogli un volto durissimo, fuori posto - che ha perso ogni traccia di familiarità.
"È uno dei vecchi pilastri del Credo."
Jacob curva le labbra in un sorriso sbilenco, freddo.
"Lo so."
"Ormai quasi nessuno lo ricorda."
Jacob ride - un suono basso, di gola, che vibra e percuote.
"Ma io sì, Greenie." controbatte  "Io sì. E anche Evie." conclude, dando alle ultime parole un senso ambiguo, inesorabile.
Il suono di un carrozza in arrivo li riporta alla missione - oh, a quanto pare Lynch si è deciso ad alzare il culo dalla sua poltrona - Jacob di nuovo una maschera beffarda e spregiudicata.
Londra ingoia tutti i loro segreti in silenzio.


Talked to me like your best friend
when the time was right you were so good
asked me what I like
and I said...

A volte si ferma a riflettere su chi siano; cosa, oltre un'eredità scomoda e pesante.
A volte si sveglia affogando e lo trova sempre al suo fianco - una presenza costante e calda, rovinosamente sua.
A volte il pensiero la colpisce all'improvviso, le attraversa la mente come una scossa elettrica - l'afferra per i piedi, facendole provare una vertigine uguale a quella prima di ogni balzo.

"Signor. Frye; i bambini sono spaventati. È normale si comportino in questo modo."

Tump.

"Non dovrebbero: sono il loro padre."

Evie lo accoglie con un cenno del capo, Jacob si tocca appena la tesa del cappello.

"Sì, ma non l'hanno mai conosciuta né vista, signor. Frye."

"Avete trovato i Blighter?"
"In parte."

"Non possono piangere tutto il tempo."

Evie si siede, lasciando ciondolare le gambe oltre il bordo del tetto.

"Le consiglio di lasciarli fare, signor. Frye. Dividerli adesso potrebbe creare un ulteriore trauma emotivo e renderli... inefficienti."

Jacob le si affianca, colpendola leggermente con la spalla.
"Greenie non è stato di grande aiuto; su questo nostro padre aveva ragione."
Evie si massaggia le tempie, scoccandogli un'occhiata stanca.
"Manca totalmente d'istinto omicida: un gattino sarebbe più pericoloso."
"Ha resistito tutti questi anni da solo, a Londra. In mezzo ai Templari. Di questo devi dargliene atto."
Jacob si scrolla nelle spalle, liquidando la sua affermazione con un gesto distratto della mano.
"So che non ti piace."
"Oh, al contrario: è così carino e gentile che quasi mi dispiace per lui."
Evie si umetta le labbra, percependo il sarcasmo nella voce di suo fratello.
"Non è facile."
Jacob le rivolge uno sguardo consapevole, serio.
"Siamo sempre stati noi due e basta." prosegue Evie, aprendo e chiudendo le dita per togliersi il freddo dalle ossa.
Jacob tace, la ascolta - ed è in questi momenti che si trovano, uguali, ancora raggomitolati l'uno nell'altro come nel ventre di Cecily.
È in questi momenti che Jacob smette di ridere ed Evie di disciplinarsi - di essere la figlia devota e lui il ribelle della famiglia.
"Lo siamo ancora." mormora Jacob, nelle sue parole una vena angosciata - spaventata.
Evie si volta, guardandolo - un viso che conosce, di cui può ripercorrere ogni cicatrice, ogni spigolo.
Jacob deglutisce, china il capo - Londra enorme davanti a loro, gigantesca.

Lo siamo ancora, Evie?

"Sempre."

"Cosa vuoi farne di loro, Ethan?"
"Un'arma."
"Sono bambini."
"Sono assassini."
"Potrebbero scegliere di essere qualcos'altro, ci hai mai pensato?"
"No."
"Ethan..."
"Insieme ricostruiranno ciò che abbiamo perduto; insieme seguiranno il Credo, le sue leggi."

Insieme.

Evie accoglie il corpo di Jacob contro il proprio e respira.


4.

Non sono i primi, non saranno gli ultimi.
La storia è un terribile e blasfemo insieme di sangue e carne - assassini, templari; fratelli, sorelle. Tutti ingranaggi di una macchina senza fine, coda e testa di un serpente eterno, divoratore.
George si chiede se abbia fatto bene a tacere; se lo domanda nel cuore della notte, quando le notizie delle rivolte a Londra si susseguono come colpi di proiettile.
Ci pensa mentre si allena, quando mangia, persino prima di addormentarsi.

"Non puoi dividerli."
"Come, prego?"
"Ho detto, non puoi dividerli."

Era stato lui a suggerirlo a Ethan; lui e nessun'altro.

"Hanno bisogno di provare le loro abilità anche da soli."
"Sì, ma non sarà mai una cosa definitiva."
"Oh, davvero? E perché mai, George?"

Inspira con forza, sfregandosi le mani tra loro - umide di sudore, gelide.

"Li ho visti combattere, Ethan: sono più di una squadra. Sono un corpo unico. Si muovono come se fossero la naturale estensione l'uno dell'altro."
"Sono stati allenati per questo."
"Sì, ma..."

George scrolla il capo, apre la bocca, richiudendola subito dopo.

"Ti sei mai chiesto cosa potrebbe succedere se uno dei due dovesse morire?"

Dispiega la lettera di Henry, rileggendola per la decima volta - frugando tra le sue parole, i suoi dubbi.

Silenzio.

"Che cosa ho fatto?" mormora nel buio della cucina.

"Prega di non scoprirlo mai, Ethan Frye."

Libera un singulto strozzato, mordendosi l'interno della guancia per non urlare - era fuori controllo, George; l'edificio ha preso fuoco e nulla poteva fermarlo. Ci ho provato, ma è per questo che adesso ho un occhio nero ed Evie dice che poteva andarmi decisamente peggio...

"Non lascerò che Evie muoia."
"Lo so, Jacob, ma è un rischio dell'essere assassino."
"No."
"Jacob, la perdita fa parte della missione. Del Credo."
"Se lei muore, brucerò ogni cosa."
"So che vuoi bene a tua sorella, ed è giusto che sia così, ma..."
Jacob aveva riso - un suono sgradevole, fuori posto sul viso di un ragazzino di appena tredici anni.
"Bene?" aveva ripetuto, fissandolo come se avesse appena detto una stronzata epocale.
George aveva aggrottato le sopracciglia, irritato da quell'improvviso scoppio d'ilarità.

Ripiega il foglio, stropicciandolo poi tra le dita.

"Se Evie muore, la Confraternita viene con me."

Lo getta nelle fiamme del camino, osservandolo accartocciarsi in se stesso e diventare null'altro che un pugno di cenere.

"Se Evie muore, tutti voi venite con me."

"Nulla è reale, tutto è lecito." sussurra al buio; dalla sua memoria  - tra i suoi ricordi - gli occhi di Jacob Frye bruciano di un sentimento terribile.


Don't stop swaying, baby
you soothe my soul, and I stop searching
when I get lost in the rhythm
everything stops hurting.

Agnes ha visto tanti bambini abbandonati, dalle gambe gonfie e il capo ormai glabro - gentile concessione del dover strisciare nei cunicoli delle miniere.
Ha guardato nei loro occhi già vuoti, ascoltato parole adulte - amare.
Ha rubato alle spalle di Kaylock per dar loro qualcosa - anche solo un giorno in più.
Si rassetta la gonna, dandosi un colpetto sul fianco, dove la vecchia anca continua a fare i capricci.
Appoggia la mano sul pomello della porta, ruotandolo - clack.
Agnes aggrotta le sopracciglia, interdetta; riprova, ottenendo sempre lo stesso risultato.
Si fruga nelle tasche del grembiule quando la signorina Frye socchiude la porta, fissandola.
Agnes nota lo sguardo attento, vigile; sbuffa, indicando la carrozza alle sue spalle.
"È vuota." puntualizza, sul volto un cipiglio contrariato, ruvido.
Evie continua a fissarla in silenzio, il viso ridotto a una lama di pelle pallida e un solo occhio azzurro, teso.
"Il signor. Jacob dovrebbe smetterla di passare il suo tempo tra bische clandestine e bordelli."
Evie persevera nel suo silenzio e Agnes non può fare a meno di notare le dita contratte sullo stipite, la piega infastidita delle labbra.
Agnes inspira con forza, sotto il braccio un cestino con quella che avrebbe dovuto essere la loro colazione.
"Tutto bene, signorina Frye?"
"Notte lunga." le risponde Evie, quieta.
"Devo chiamare il signor. Green o qualcun altro?"
"No."
Agnes alza un sopracciglio, la redarguisce con la stessa espressione che riservava ai bambini disobbedienti - e per un attimo Evie rivede suo padre, la sua faccia contrariata, a volte triste.
"Ho preso il pane. E il tè che mi aveva chiesto."
Evie allunga la mano e si appoggia alla porta quando il treno affronta una curva particolarmente lunga - a terra una massa confusa di vestiti e armi.
Agnes le allunga il cestino, Evie segue il suo sguardo - irrigidisce la linea della mandibola.
"Grazie." le dice, richiudendosi la porta alle spalle.
Agnes rimane ancora qualche minuto fuori dalla carrozza, abbozza un sorriso furbo, di chi ne ha viste tante, belle e brutte.
"Ah, se il signor. Jacob avesse preso la metà del buonsenso della signorina Frye. Ma che dico la metà, almeno un terzo basterebbe." borbotta tra sé e sé, raccogliendosi la gonna alle caviglie e rientrando nel proprio vagone.
Evie la ascolta allontarsi, voltandosi poi verso l'interno della stanza e fissando il profilo addormentato di suo fratello - le lenzuola arrotolate fino ai piedi, la bocca socchiusa.
Sotto la lingua il suo sapore è più forte della vergogna.


5.

È l'unica cosa che ha conosciuto da sempre - fin da quando erano nati a quattro minuti di distanza, le sue piccole dita strette attorno la caviglia di Evie.
Non sa se sia possibile per un infante ricordare, ma lui saprebbe riconoscere il suo odore tra mille, persino nel mezzo del mercato di Crawley.
Abbiamo ucciso nostra madre, gli aveva detto una notte, fissandolo dal fondo del letto.
Jacob si era stropicciato le palpebre, sei anni e un padre sconosciuto nella stanza accanto.
Siamo assassini, il mormorio sfiatato, debole.
Evie aveva liberato un respiro tremulo, lungo le guance lacrime grosse, pesanti.
Voglio tornare a casa, aveva confessato, ma dov'era casa?
Non più nella tenuta in campagna della nonna; non certamente qui, a Crawley - dove loro padre li aveva cominciati ad addestrare e a plasmare.
Jacob le blocca il montante sinistro, scarta quello destro - le colpisce con il gomito il fianco, viene sorpreso da un calcio nella coscia che gli fa quasi perdere l'equilibrio.
E nemmeno lui sa quando è iniziato tutto; quando Evie è diventata di più, quando la rabbia e la frustrazione e la colpa hanno parlato per loro - sangue tra i denti, nella rena.
E lottano, Evie e Jacob; quindici anni e un groviglio di desideri che mordono e affondano.
Vorrebbero ferirsi - farsi male, e soffocare qualsiasi cosa sia questo - ma è come colpire se stessi, uno specchio che non fa altro che ingannarli e dirgli che va tutto bene, che è normale, che nulla è reale, tutto è lecito.
Jacob ansima, passandosi il dorso della mano sulla fronte - sul sopracciglio un taglio profondo, che lascerà la cicatrice.
Evie assottiglia gli occhi, solleva i pugni chiusi - attorno all'ombelico l'impronta violacea delle sue dita.

"Vuoi ancora tornare a casa, Evie?"
"No."
"Ti piace tanto Crawley?"
"No, idiota. Non è per quello."

Ma ci sei tu, e tanto basta.

Davanti a Ethan non sono altro che due ragazzini che stanno crescendo; a volte confusi, altre spietati - arroganti.
Dentro, la forza dei loro sentimenti sta spaccando ogni regola del Credo.


Don't stop swaying, baby
take it slow
and I keep yearning.

Oh.

"Fuori."
Henry apre la bocca per ribattere, Evie si volta, gelandolo sul posto.
"Ho detto fuori."
Green preme le labbra in una linea sottile, contraddetta.
Evie non arretra, schiude appena le dita della mano destra - un fruscio delicato, metallico.
"Non sono stata abbastanza chiara?"
Ed è in questi momenti che Evie brucia - assomiglia orrendamente a suo fratello.
Henry le riserva un'ultima occhiata delusa, sbattendosi la porta della carrozza alle spalle - dietro di lui un vago sentore di patchouli e sandalo.
Attorno a loro il ritmico rollio del treno, qualche civetta in caccia - plic plic, plic plic; sangue e sconfitta.
Evie inclina il mento verso Jacob, sul viso troppo - microespressioni che si rincorrono una dietro l'altra.
"Che cosa hai fatto, Jacob?"
Lo sguardo che le riserva spezza ogni resistenza.


6.

Si sveglia di soprassalto, guardandosi intorno disorientata.
"Sono io."
Evie sbatte le palpebre una, due volte: cerca di mettere a fuoco la figura davanti a sé.
Jacob si fa spazio al suo fianco, raggomitolandosi contro la sua schiena.
"Un altro incubo?"
Non risponde, appoggiandole entrambe le mani tra le scapole - fredde, umide di sudore e adrenalina.
Evie si volta, cercandogli gli occhi nell'oscurità della stanza.
Passeranno, vorrebbe dirgli, ma sarebbe una penosa bugia.
Ti abituerai, vorrebbe rassicurarlo, ma le parole si annodano sulla lingua, morendo.
Evie sospira, nascondendo il viso contro il suo petto - due bambini che la guerra ha appena reclamato per sé.
Le lacrime di Jacob sono anche le sue.


Again I fall
lighter than the morning dew (fresh)
'cause I always never knew
what I'm stumbling on.

Vorrebbe urlargli contro.
Vorrebbe vomitargli addosso tutta la rabbia che prova, tutto quello che ha soffocato per anni - nostro padre aveva ragione! I tuoi metodi sono terribili e sbagliati e...
"Nostro padre è morto!" grida più forte Jacob, il volto una maschera di cenere e sangue.
Evie snuda i denti, puntandogli un dito contro.
"Ha dato fuoco a un cazzo di teatro, Jacob! Ha quasi ucciso centinaia di persone innocenti."
Jacob scuote la testa come una bestia riottosa, tra i capelli brandelli di legno e stoffa.
"Non avrebbe dovuto..."
"Tu non avresti dovuto fidarti di un uomo come Roth."
"Non mi fidavo." sibila lui, ferito "Credevo di poterlo controllare; di avere una certa... influenza su di lui; un legame."
Evie arretra, quasi fosse stata colpita fisicamente.
Jacob le riserva uno sguardo astioso, furioso.
"Tu non c'eri, Evie."
"Non darmi la colpa." mormora lei, asciutta.
"Ma è la verità."
"Non sei più un bambino." mastica Evie, in gola un nodo acido e pesante.
"Neppure tu." ribatte Jacob, gelido.
Evie accartoccia il viso in un'espressione confusa, in cui delusione e impotenza si sovrappongono senza sosta.
"Perché, Jacob?"

Perché ci stai facendo questo?

"Perché cosa, sorella cara?" la deride lui, sfregandosi le mani sui pantaloni sdruciti.
Evie si aggrappa agli insegnamenti di Ethan - mai lasciare che i sentimenti compromettano la missione, mai. - ripete il Credo come un mantra, una preghiera.
"Perché Roth? Ti avevo detto che..."
"Certo." bercia lui, la voce un timbro basso, gutturale "Tu dici sempre, sorella. Tu; la migliore, la cocca di papà. Tu e il Credo, tu e sempre tu."
Evie percepisce qualcosa strapparsi al centro del petto - tirare, e sfilacciarsi tra le costole, srotolandosi fino alle viscere.
Si vede dargli le spalle, lasciandolo solo tra le proprie miserie.
Si osserva gettargli addosso poi la caraffa dell'acqua, la teira, persino una sedia.
Lo studia mentre rimane immobile, lasciandosi colpire e ruggendo qualcosa - forse un'altra sequela di insulti, forse ricordi.
Tu mi hai abbandonato, grida Evie.
Tu e sempre tu, ripete, saltandogli addosso e colpendolo in pieno viso.
E non bastava il senso di colpa, la devastante sensazione di essere nel giusto nonostante tutto - una morale che a Londra aveva scoperto essere così diversa, stretta per la loro pelle, le loro voglie.
Non bastava il desiderio a tenerla sveglia di notte, le infinite menzogne che si raccontava ogni giorno nel far finta che fosse poco più di un capriccio, una curiosità.
Non bastava guardare negli occhi Henry e non provare nulla - né gioia né tristezza.

Niente era mai abbastanza per cancellare il suo sapore, la sua pelle.

Evie colpisce il pavimento vicino alla sua testa e Jacob osserva la lama celata sfiorargli la tempia, ripetendo la traiettoia di una vecchia ferita.

Nulla è reale, tutto è lecito.

"Un'ultima missione e poi sarà finita."
Jacob tace, fissandola - tutto improvvisamente troppo calmo, immobile.
"Ognuno per la sua strada." aggiunge, guardandolo negli occhi.
Jacob allunga le dita verso il suo viso, sfiorandole appena le guance - umide, arrossate.
Evie inspira, seguendo i suoi movimenti - cauti, quasi avesse paura di romperla.
"No." mormora lui, la rabbia adesso sostituita da una stanchezza vecchia, pesante.
"Non prenderai la decisione per entrambi." prosegue, il suo respiro sfiorarle la curva del collo.
Evie chiude gli occhi, premendo le labbra tra loro.
"Non più." sancisce, intrecciando le dita nei suoi capelli e lasciando libero un sentimento sbagliato, contorto.
Evie ritrae la lama, aggrappandosi alle sue spalle come quando erano piccoli e il mondo un posto oscuro e perverso.

Ma adesso è quell'oscurità: è dentro di loro, artigliata al loro cuore, nel loro futuro.

"Mi hai lasciato, Jacob."

Mi hai abbandonato.

"Anche tu, Evie: anche tu."

E avrei lasciato bruciare Londra se non avessi temuto il tuo disprezzo.

L'alba li troverà ancora l'uno nelle braccia dell'altro.


7.

Quando avevano quattro anni Jacob le baciava sempre le palpebre prima di andare a dormire - 'notte, Evie.
Quando ne avevano cinque prese la pessima abitudine di litigare per ogni dolce che passasse la porta di casa, finendo per macchiarle ora una guancia, ora le mani.
Rideva poi, Jacob, baciandola dove la cioccolata l'aveva sporcata e porgendole metà di quello che aveva rubato dalla credenza.
A sei anni papà tornò nelle loro vite e nulla fu più uguale a prima.
Dissero addio ai pigri pomeriggi passati in cucina a fissare le pentole borbottare, alle mattinate in riva al lago e studiare i lucci sbucare a pelo d'acqua.
Ho paura, Evie, le diceva ogni notte per i primi mesi a Crawley.
Non mi piace stare qui, aggiungeva, e allora gli baciava lei le palpebre, accarezzandogli i capelli.
Ethan non vide mai la necessità di dare loro due stanze separate: in fondo, nella Confraternita poco aveva importanza, se non la missione e il mantello indossato.
Uomo, donna; il Credo univa, rendeva tutti uguali - assassini, liberatori.
Quando chiudeva la porta alle sue spalle correvano l'uno nel letto dell'altro, contandosi le ferite ancora aperte, quelle che sarebbero diventate cicatrici.
A sette anni Jacob quasi perse un occhio perché non riuscì a evitare un suo affondo, a otto lei rischiò di compromettere per sempre la caviglia sinistra.
A nove non era rimasto molto di quei bambini che dondolavano i piedi nell'erba alta e rincorrevano i grilli al tramonto - una scintilla sopita, che covava sotto la cenere, tra i ricordi.  
Evie scivola sotto le coperte, circondandogli la vita con le braccia.
Jacob si sporge verso di lei, baciandole le palpebre - un gesto vecchio, confortante.
Hanno dieci anni - a tavola un augurio asciutto, spremuto fuori a forza, quasi costasse a loro padre più fatica d'uccidere un uomo.
Jacob solleva le ginocchia verso l'alto, racchiudendo Evie contro il suo petto.
"Auguri, Evie."
"Auguri, Jacob." mormora lei, tirando fuori da sotto la camicia un biscotto grande quanto la sua faccia.
Jacob alza un sopracciglio, divertito.
"Oh. La cocca di papà ha disobbedito alla regole?"
Evie lo addenta, scoccandogli un'occhiata beffarda.
"Lo mangio tutto io se non lo vuoi."
Jacob ride e morde l'altra metà.


Yo, sister
you sure heard me
singing in the rain for some love
you took me unaware.

Il mattino li accoglie seduti l'uno vicino l'altro, le dita intrecciate tra loro e addosso ancora il sangue della notte.
Evie fissa il chiarore dell'alba sfiorarle la punta dello stivale, Jacob segue il suo sguardo, rafforzando la presa attorno le sue dita.
"Non so cosa fare."
"Io sì."
Evie abbozza un sorriso stanco, guardandolo di sbieco.
"La fai facile, Jacob."
"Perché lo è."
Evie si chiede se non abbia ragione lui: se in fondo non abbia importanza chi siano, ma cosa.
"Non sarebbe la prima volta che succede; neppure nella Confraternita."
Evie tace, ripete mentalmente tutti quei nomi - Altaïr Ibn-La'Ahad, Ezio Auditore, Connor, Kassandra - sfoglia le pagine a margine, quelle che la storia tende a non raccontare (a non volere sapere).
"Lo so."
Jacob solleva lo sguardo verso di lei, il viso segnato da bave di sangue coagulato e fuliggine.
Evie descrive piccoli cerchi con il pollice contro il palmo della sua mano, assorta.
"Il Victorianum ci giudicherebbe una disgrazia."
Jacob libera un suono di gola, derisorio.
"Chiamano libertà il capitalismo e progresso la schiavitù: l'ipocrisia del mondo non mi interessa, Evie."
Il sole avanza nel cielo, cercando di farsi strada tra le tende socchiuse.
Jacob apre la bocca, richiudendola subito dopo.
"Sei mia sorella, Evie."
"E questo dovrebbe aiutarmi?"
"No."
Evie solleva di scatto la testa, fissandolo.
Jacob le rivolge uno sguardo serio, doloramente pieno.
"Henry mi ha chiesto di andare in India con lui."
"Lo so: vi ho sentiti."
Evie si morde il labbro inferiore, nel petto un calore acido, che le ustiona la gola, le parole.
"Dovrei andarci."
"Dovresti."
"È una brava persona."
"Oh, lo è davvero il nostro Greenie, no? Un uomo perbene, che chiede prima di entrare - con permesso, signorina Frye, posso..."
Evie lo attira a sé, cercandolo in un bacio scomposto, disperato.
Tutto in lei grida e strappa e consuma e...

Jacob.

Sulla sua bocca la risposta giusta è sempre la stessa.


8.

Dicono che la prima volta di tutto si ricorda con una chiarezza disarmante, quasi un fermo immagine.
Dicono che sia possibile rievocare l'odore che aleggiava nella stanza, che clima c'era fuori dalla finestra, persino l'ora esatta.
Evie si era sempre considerata una persona con un'ottima memoria, ma non avrebbe saputo dire con certezza quando aveva capito che Jacob era di più.
Ricorda averlo raggiunto dopo una discussione particolarmente accesa con loro padre, lungo il braccio un taglio trasversale e arrossato.
Ricorda le sue spalle contratte, l'improvvisa consapevolezza di aver davanti un ragazzo, non più un bambino.
Ricorda di essersi sentita fuori posto con addosso nulla più di una camicia spiegazzata - i capelli ancora umidi dopo il bagno e nell'aria il primo respiro dell'estate dei loro tredici anni.
Papà lo fa per il nostro bene, gli aveva detto, quieta.
Jacob si era voltato, rivolgendole uno sguardo furibondo - contrariato.
Papà è uno stronzo, era stata la replica stizzita, accompagnata da un dito medio.
Evie aveva inspirato con forza, tirando verso il basso l'orlo della camicia - acutamente consapevole della propria pelle nuda, del respiro di Jacob vicino al suo fianco.
Stai sanguinando, aveva aggiunto senza un vero perché - tutto pur di smettere di sentire ogni rumore, ogni crepitio, persino lo sfregare dei piedi di Jacob nell'erba.
Sì, be', lasciami qui a morire; ci metterò qualche ora, ma almeno papà sarà contento, la replica piccata.
Evie aveva scosso la testa, allungandosi verso di lui istintivamente.
Fammi vedere, aveva sospirato, toccandogli le costole per farlo arretrare.
Ed era stato allora che Jacob si era come arrotolato, sgranando gli occhi.
Evie l'aveva fissato, le dita sospese a mezz'aria e uno sguardo interdetto - consapevole.

Lo senti anche tu, Jacob?

Il desiderio è una corrente che attraversa entrambi e avvampa.


Said things to make me care
now, the time is ripe, and you're so good
ask me what I like, and I say.

Siamo nati insieme, moriremo insieme, le aveva detto la notte precedente la loro prima missione.
E non era da Jacob motteggiare parole così serie - non dal Jacob che tutti conoscevano.
Evie gli aveva sorriso, puntandogli l'indice contro.
Il posto in prima fila è mio, fratello, aveva proclamato tra il serio e il faceto; vederti morire non è uno spettacolo a cui vorrei mai assistere.
Sfidavano la morte e la irridevano ogni volta che si nascondevano nell'ombra, che si lanciavano da un tetto all'altro, che sfoderavano la lama e respiravano e si preparavano a colpire e affondavano e...
"Evie." la chiama - la supplica.
"Evie." ripete - una preghiera, un desiderio.

"Te lo concedo, ma subito dopo toccherà a me."
"Non dire stupidaggini, Jacob: la Confraternita..."
"Non mi interessa."

Evie reclina il capo all'indietro, accoglie la sua lingua nella piega del collo, tra i seni.

"Jacob..."
"No."

E dovrebbe fare male; almeno un po'.
Un atto del genere dovrebbe essere accompagnato da una punizione esemplare - da un dolore fisico terribile, che incida nella pelle tutto il suo orrore.
Jacob morde, un corpo caldo che brucia sotto le sue mani - per lei.

"La Confraternita avrà sempre bisogno di uno di noi."
"Che sia tu allora la favorita al ruolo di Mentore, sorella."

Evie percepisce la voglia farsi liquida, seguire le dita di Jacob lungo l'addome, tra le cosce - strapparle più di un gemito e liberarla.
E sono un groviglio di pelle sporca d'entrambi, sangue e mormorii privi di vergogna - adesso, Jacob: continua, non ti fermare.
Sono un complimento sussurrato a mezza bocca mentre gli preme i talloni nella schiena - sei bellissima -  e lo accoglie con una facilità imbarazzante, familiare.
Sono una confessione e una resa - una richiesta e una condanna.
Sono un ammasso indistinto di sapori e odori: colori che hanno le stesse sfumature - le stesse, tragiche, linee sbavate di sangue e altro.

"Non morire, fratello."

Sono un momento assoluto come la loro vita - un tutto che assorda, spegnendosi in un orgasmo che li lascia morbidi l'uno nelle braccia dell'altro, uniti.

"Non farlo tu per prima, sorella."

Jacob nasconde il viso tra i suoi capelli, singhiozza una sola parola - resta.

"Una corsa fino al treno?"
"Chi arriva prima paga da bere!"

Evie ascolta il proprio cuore battere all'unisono con il suo - siamo nati insieme - si chiude attorno a lui come una promessa - moriremo insieme.
Arrendersi non le è mai parso più naturale di adesso.


9.

Non c'è rifugio nelle parole del Credo, salvezza.
Evie le rilegge fino a quando non le fanno male gli occhi; fino a quando non sente il rumore della finestra aprirsi e il profilo di Jacob comparire nell'ombra.

Tump.

"Papà è già sveglio."
Jacob inclina il viso verso di lei, distante.
"Anche tu."
Evie preme le labbra in una linea sottile - che la tua lama non tocchi mai la carne di un innocente - rafforzando la presa sui margini del libro.
"O non sei neppure andata a letto?"
"Ci sono sdraiata sopra al mio letto, Jacob."
"Sai cosa intendo."
Jacob si siede sui talloni, addosso l'odore del fumo e un retrogusto acido di orchidea.
"E quello non è il tuo letto." puntualizza, quieto - troppo.
Evie dilata appena le narici - nasconditi in piena vista - ignorandolo.
Jacob schiocca la lingua contro il palato ed Evie è sicura di potere sentire quel suono gocciolare sarcasmo.
"Non ti lamentare poi se ti ritrovi le coperte sporche di fango: i tetti ne sono pieni." le dice, buttandosi sul suo letto, appoggiando entrambi gli stivali sul fondo.
Evie chiude di scatto il libro - mai compromettere la Confraternita - fissandolo con uno sguardo pieno di rabbia.
"Dove sei stato?"
"In città."
"Potevi avvisarmi."
Jacob si volta e nei suoi occhi c'è la sua stessa nota rabbiosa.
"Certo: così l'avresti detto a papà e io mi sarei ritrovato in punizione. Di nuovo."
"Sta solo cercando di renderci dei bravi assassini: di non farci ammazzare sul campo."
"Stronzate."
Evie si alza, azzerando la distanza che li separa.
"A te non importa mai di niente, nemmeno di me."
Jacob solleva lo sguardo, sul viso un'espressione neutra, impenetrabile.
"Non mi ascolti e fai sempre come ti pare."
"Nulla è reale, tutto è lecito: lo diceva anche il buon vecchio Altaïr, no?" le ribatte lui, indicando il libro abbandonato sulle lenzuola.
Evie lo colpisce dritto nello stomaco ancora prima che abbia il tempo di pensare - di fermarsi.
"Sei uno stronzo."
Jacob si alza di scatto, snudando i denti.
"E tu così piena di te stessa e del Credo da non vedere più in là del tuo naso."
"Io vedo tutto, idiota: tutto." rimarca lei, unendo l'indice con il pollice.
Jacob ride - un suono a metà tra il divertito e il crudele.
Evie non arretra quando allunga le dita verso la sua nuca e lì le lascia, fissandola con un'intensità dolente, quasi malinconica.
"Avrai anche il dono della Vista, sorella, ma certe cose devi prima ammettere esistano per vederle."
Evie apre la bocca, non sa cosa rispondere - nella mente i dubbi di Auditore, la fatica di Altaïr, le parole di Kenway.

"Oh, Ah Tabai: se nulla è reale, perché credere in qualcosa? Se tutto è lecito, perché non inseguire ogni desiderio?"

I passi di Ethan spengono ogni altra possibilità.


Don't stop swaying, baby
you soothe my soul, and I stop searching
when I get lost in the rhythm
everything stops hurting.

Evie lo studia con attenzione, scivolando su ogni cicatrice, ogni avvallamento.
"Questa me la ricordo." gli dice, fermandosi poco sotto il ginocchio "Avevi quattro anni e sei caduto dallo sgabello in cucina."
Jacob arcua appena un angolo delle labbra, inarcandosi sotto le sue mani - rilassato.
"Volevo i biscotti alla cannella."
"Volevi i biscotti alla cannella." ripete lui, quieto.
Evie prosegue la sua esplorazione, riservandogli un interesse vivo, curioso.
"Se non fossi rotolato in tempo di lato questa..." aggiunge lei, percorrendo con l'indice un cordolo biancastro che lo taglia dall'ombelico fino le prime costole "ti sarebbe costata la vita."
Jacob socchiude gli occhi, liberando un hum di gola, soddisfatto.
Evie imbroncia le labbra, punzecchiandolo ripetutamente.
"Ahia." ribatte lui, scostandosi appena - fintamente ferito.
"Ho pensato saresti morto."
"Come sei premurosa."
"Non sto scherzando."
"Nemmeno io." mormora Jacob, inclinando il viso verso di lei.
Evie lo fissa per qualche minuto, sorprendendosi della propria totale assenza di imbarazzo - di come sia naturale toccarlo ed essere nuda davanti a lui.
"Potremmo morire domani."
Jacob allunga le dita verso la sua guancia, prendendole il mento tra il pollice e l'indice.
"Anche stasera, sorella."
Evie gli afferra il polso, reclinando il viso nel palmo della sua mano.
"Sei tu quello positivo della famiglia; io quella che risolve i problemi, ricordi?"
Jacob si curva verso di lei ed Evie si ritrova ancora una volta stupita da quanto sia facile baciarlo e lasciare che le schiuda le cosce, accettare un sentimento di cui aveva solo letto nei libri, che non poteva esistere - non tra loro due.
Evie gli cerca gli occhi - gli stessi che aveva conosciuto da sempre.

"Ma la cosa più importante è che il Credo non è unico, Evie, ma due cose opposte e simultanee nello stesso tempo."

Uccidere per perseguire la pace.
Inseguire la conoscenza per chiedere obbedienza alla regole.
Svelare il pericolo di una fede cieca pur abbracciandola per primi.

"Chiami giusto ciò che i Templari chiamano sbagliato; chi ha ragione allora, Evie? Noi o l'altro lato della storia? E come lo decidiamo? Con il lancio di una moneta?"

Jacob le preme le mani tra le scapole, spingendola verso il proprio petto - e affonda, Evie, lascia che la realtà si scomponga, diventando mille e nessuna.

Nulla è reale, tutto è lecito.

Chiama il suo nome, lo accoglie in sé - umida, ancora sporca d'entrambi.
Sulla sua bocca le risposte non sono mai sembrate più semplici.


10.

Li guarda mangiare in silenzio; nessun battibecco, nessuna replica sarcastica.
Evie taglia il pollo in pezzi sempre più piccoli, Jacob mastica e mastica e mastica e sembra voler esplodere, fuggire dalla cucina come un proiettile.
Ethan beve un sorso d'acqua, fissandoli da dietro il bordo del bicchiere.
"Come è andato l'allenamento?"
"Bene." dicono all'unisono, neutri - troppo.
"George dice che scopri il fianco sinistro quando attacchi."
Evie sposta la carne qua e là per il piatto, tace.
"E tu che invece ignori completamente i rudimenti della difesa."
Jacob deglutisce, scoccandogli un'occhiata in tralice.
Ethan alza un sopracciglio, per nulla impressionato.
"Là fuori queste due cose possono fare la differenza tra la vita e la morte."
Evie apre la bocca, richiudendola subito dopo - le labbra premute in una linea biancastra, tesa.
Jacob scosta la sedia da tavolo, lasciando metà della sua cena nel piatto.
Ethan vorrebbe dire qualcosa - qualsiasi - ma il singulto di Evie lo distrae dai suoi intenti.
Le rivolge uno sguardo perplesso, indagatore.
"Mi sono andate di traverso le carote." bofonchia, alzandosi anche lei.
"Vado a dormire; sono stanca." aggiunge, raccogliendo i piatti e svuotandoli.
Ethan inspira con forza, quel cosa c'è? Puoi parlarmente, Evie. Anche tu, Jacob schiacciato in gola, aggrappato alle sue corde vocali come un parassita.
Senza Cecily si scopre un uomo intrappolato in se stesso.


Don't stop swaying, baby
take it slow
and I keep yearning.

Qualcosa si è rotto; qualcosa è cambiato.
La tensione della notte precedente sembra essersi dissipata, ma attorno ai gemelli Frye vi è adesso una consistenza nuova, densa.

Impenetrabile.

Henry scorre tra le pagine di Lucy Thorne, scivola con l'indice lungo le note a margine di Evie, dalle quali emerge il ritratto di una donna appassionata, pericolosa.
Ed eccola di nuovo quella sensazione - crepitante, strisciante.
Si fa strada lungo la sua pelle, facendogliela accapponare - qualcuno cammina sulla tua tomba, Jayadeep.
Henry solleva lo sguardo, li guarda - Jacob con i piedi sulla scrivania e la tesa del cappello a coprirgli il viso; Evie flessa in avanti, sulla mappa di Londra e i probabili nascondigli di Starrick.
Ed è una scena normale; innocente.
È un'immagine nitida, che non può nascondere nulla - né ombre, né segreti.

Allora perché Jacob tace, e non li sbeffeggia per le loro ricerche?

Evie ruota la mappa, Henry sposta lo sguardo su Jacob  - da quanto lo sta fissando?
Ha occhi freddi, Jacob; non sono azzurri come quelli di sua sorella, ma possiedono una sfumatura ambrata capace di farlo assomigliare a un rapace in caccia.

Un'aquila che ha appena trovato la sua preda.

Sanno ridere, quegli occhi, ma la maggior parte delle volte che se li è ritrovati addosso erano scostanti, blandamente irritati.
"Dovrò tornare a fare visita a Lucy Thorne." mormora Evie, sospirando.
Henry si schiarisce la voce, Jacob sorride - snuda i denti.
"Vengo con te." le dice, alzandosi e stiracchiandosi all'indietro.
Evie annuisce con un cenno del capo, indossa il guanto, infilando la pistola nella fondina.
"Io cercherò di procurarmi un invito per il ballo a Buckingham Palace." aggiunge Henry, zelante.
Jacob indossa il lungo cappotto scuro, ridacchiando.
"Ottima idea, Greenie."
"Cerca di non combinare altri disastri." lo riprende lui, in bilico tra la confusione e il fastidio.
Jacob lo guarda da sopra la spalla, sul fondo della pupilla una scintilla strana - così seria da fargli passare ogni voglia di ribattere.
Evie gli tocca appena il gomito, sussurrandogli qualcosa a mezza bocca.
Jacob lo fissa ancora qualche secondo, voltandosi e incamminandosi poi verso la fine della carrozza.
Gli occhi di Evie sono pieni dello stesso, pesante, silenzio.


11.

C'è un momento prima di saltare in cui ti chiedi e se?
C'è un istante - un respiro - in cui i tuoi piedi si staccano dal suolo e volano, e tu ti ritrovi lì, sospeso metri da terra a domandarti e se?

E se mancassi la presa? E se cadessi? E se...?

In quello spazio Evie ha sempre scacciato il dubbio con il Credo - con una memoria fisica e muscolare.
Corri, preparati, flettiti, salta.

Ed eccoti tutta intera dall'altra parte del mondo.

Evie fissa il fondo di Londra dal ciglio del tetto, aprendo e chiudendo le mani in pugni chiusi.
"Credo che Greenie sospetti qualcosa."
Si umetta le labbra, le strade arrotolarsi in loro stesse, diventare un confuso ammasso di catrame e voci.
"O meglio: che abbia percepito che qualcosa è cambiato."
Una prostituta si sistema sotto la gonna rossa e gialla - sputa per terra, scaldandosi attorno a un fuoco improvvisato.
"Non gli piace: posso sentirlo anche senza i sensi dell'aquila."
Evie socchiude la bocca, tra i denti l'aria gelida della città - sotto la lingua un retrogusto di fumo e pioggia.
"Ma è troppo onesto per arrivare a capire di noi."

Di come abbiamo sempre sanguinato l'uno per l'altro, chiamato i nostri nomi nel mezzo della notte - soffocato il nostro orgasmo e dio, quanto eri bella mentre mi mordevi le dita e venivi e...

Evie sussulta, colta di sorpresa dalla mano di Jacob nella propria.

"Non farlo mai più."
"Evie..."
"No. Non saltare mai più senza di me."
"Volevo solo dimostrare a nostro padre di esserne in grado."
"Due centimetri più a destra e saresti morto, Jacob."

Jacob le rivolge uno sguardo morbido, comprensivo.

"Tu e le tue regole, Evie; il Credo un giorno ti ucciderà."

"La casa di Kenway è vuota."
Evie solleva il viso verso il suo, combattuta - sempre la prima della classe, la brava ragazza ligia al dovere, la cocca di papà.

Non stamattina, quando l'ha svegliato con la bocca tra le cosce.
Non la notte prima, quando si è piegata per lui - a lui.
Non quando gli chiede di farle male, di distruggere la gabbia che lei stessa si era creata - l'eredità di loro padre un fardello pesante, un lignaggio greve.

Jacob le sorride, coprendosi il capo con il cappuccio e facendo altrettanto con Evie.

"Come faremo se qualcuno dovesse scoprirlo?"
"Diremo la verità."
"Jacob, non... non lo accetterano mai."
"Ai tempi di Bayek era pratica comune: rinnegheranno persino uno dei loro fondatori?"

"Sei pronta?"
Evie inspira, Jacob allarga le braccia - salta, e lei con lui.

"Cosa c'è di sbagliato in noi?"
"Niente."

Mentre rimangono sospesi sopra al niente, Evie si rende conto che cadere adesso fa un po' meno paura.


Don't stop swaying, baby
you soothe my soul, and I stop searching
when I get lost in the rhythm
everything stops hurting.


Soldatini della storia, ostaggi delle sue leggi - della sua inesorabile ruota.
Lucy Thorne indossa la croce templare come una medaglia - ride, e le cammina intorno con calma, senza fretta.
"Evie Frye." motteggia, allargando le braccia.
"A cosa devo l'onore?" prosegue, sollevando il mento in un gesto beffardo.
Evie si flette leggermente sulle cosce, tra le dita la confortante presenza della lama celata - il suo Credo.
"La collana."
"Oh, questa." mormora Lucy, sollevando fili d'argento e quarzo latteo.
Evie indurisce lo sguardo, Lucy smette di sorridere - chiude la mano in un pugno chiuso.
"Tutto questo potere; questo mare di infinite possibilità e nessuno abbastanza coraggioso da usarlo."
"Nessuno dovrebbe possederlo." ribatte Evie, attenta.
Lucy aggrotta le sopracciglia, sinceramente perplessa.
"Suggerisci quindi di lasciarlo lì dove si trova? Di permettere all'umanità di continuare ad ammazzarsi a vicenda e piangere poi miseria e fallimento?"
"Non sta a noi decidere."
Lucy si ferma, fissandola.
"Eppure eccoti qui, Evie Frye; a decidere chi di noi due debba avere un pezzo di Eden."
Evie scatta, Lucy è più veloce, infrangendo la vetrata della cattedrale e gettandosi nel vuoto.

"Che differenza c'è allora tra noi e loro, sorella? Lo decide il lancio di una moneta?"

Il dubbio si annida tra i suoi pensieri e mastica.


12.

"Io credo tu lo faccia apposta."
Evie inspira, espira - il capo incassato tra le spalle, le mani strette attorno i bordi del lavabo.
"A mettermi in imbarazzo, intendo."
Digrigna i denti, il sudore una patina gelida lungo la schiena, sulla pelle.
"La fottuta perfetta e coscienziosa Evie Frye."
Si volta, scoccandogli un'occhiata furiosa - selvatica.
"Non lusingarti tanto, Jacob: quello faccio va al di là della tua comprensione."
Jacob incrocia le braccia al petto, appoggiandosi allo stipite della porta.
"Oh, ed eccola di nuovo quella nota arrogante e supponente."
"Cosa vuoi?" sibila lei, deglutendo a fatica - la lingua asciutta, piena di parole aggrovigliate e sbagliate.
Jacob si scrolla nelle spalle, sul viso un sorriso derisorio - frustrato.
"Io niente."
"Stronzate."
"Evie Frye! Pensavo papà ti avesse insegnato a non usare un linguaggio scurrile."
"Pensavo avessi imparato ad accendere il cervello prima di usare i pugni."
Jacob si porta una mano al petto, schiudendo la bocca in una o esagerata.
"Così mi ferisci."
Evie lo studia per qualche minuto - fuori i primi fiocchi di neve dell'inverno, dentro la stessa stanza che avevano condiviso da sempre.
"A te non importa nulla della Confraternita."
Jacob non risponde, continua a fissarla in silenzio.
"Non te ne frega un cazzo del Credo, degli insegnamenti di papà."
Jacob non cambia posizione, tace - dal piano di sotto il quieto crepitare del fuoco, la porta dello studio di Ethan che si chiude.
Evie lo guarda, negli occhi una scintilla delusa, supplice.
"Io cerco solo di essere brava." mormora, quieta "Di non sbagliare e di non..."

Di essere abbastanza per entrambi.

Jacob inclina il capo verso destra in un movimento incuriosito - attento.
"Nostro padre non ti amerà di più perché gli obbedisci come un cagnolino."
Evie scuote la testa, arretrando.
"Ci ha abbandonati."
"Sì, ma..."
Jacob sbatte la mano contro il muro, improvvisamente vicino - a un respiro dal suo.
"Perché hai tanto bisogno di compiacerlo? È davvero questo che vuoi? Essere come lui?"
Evie preme le labbra in una linea sottile, raddrizzando le spalle - fronteggiando un profilo uguale al suo.
"Non si tratta solo di noi, Jacob."
Jacob alza un sopracciglio, chinandosi verso di lei.
"E invece sì, Evie; non si è mai trattato d'altro."
Evie gli punta l'indice contro, snudando i denti.
"E tu, fratello? Tutto quello che fai è per opposizione a papà." mastica, acida "Non sei poi così diverso da me."
Jacob la fissa con un'intensità spaventosa, frugando nel suo viso, non lasciandole alcuna via di fuga.
"L'amore non si supplica, Evie." le dice poi, nella voce una nota tesa, forzata "Né si guadagna. Alcune volte c'è e basta."

E quello di papà è morto con nostra madre.

"Non scambiare mai il senso di dovere con qualcos'altro." conclude, allontanandosi lentamente - scivolando via da lei come un'ombra.
Anni dopo Evie si renderà conto che Jacob aveva semplicemente accettato la verità molto prima di lei.


Don't stop swaying, baby
Oh
And the Sun goes down
Don't stop swaying, baby.

I Rook sono una realtà confusa e rumorosa; infrangono boccali di birra sul bancone, ridono, e nel mezzo Evie si sente piccola, fuori posto.
Sono anche tuoi, le aveva detto Jacob, ma i Rook erano una chiara estensione di suo fratello - chiassosi, dalle nocche sbucciate e il sangue caldo.
Si rigira il bicchiere tra le dita, quieta - un profilo pallido, in cui l'unica nota di colore sono un pugno di lentiggini sugli zigomi.
Uno dei Rook spacca una sedia sulla schiena di un altro, ma è tutto un gioco per loro e ben presto si risolve in un groviglio di risate e battute di dubbio gusto.
Evie getta un'occhiata distratta alla sua sinistra, nota come alcuni la guardino un po' interdetti, persino dubbiosi.
Sa quale dovrebbe essere la sua condizione in un'epoca come questa: l'ha studiata.
Beve un sorso d'assenzio, lasciando che le bruci la gola, il petto.

"Signorina Frye: lei ha una tale passione per la missione e il Credo."

Non è stupida; non fino a quel punto.

"Evie... posso chiamarla Evie, vero signorina Frye?"

Finisce in un colpo solo il suo bicchiere, ne ordina un secondo - scivola con lo sguardo sulle cameriere dai vestiti stropicciati e il trucco pesante.

"Sono tulipani rossi, Evie: ti piacciono?"

Clink.

Evie sbatte le palpebre, fissando il liquido incolore - ci aggiunge una zolletta di zucchero, ruotando il fondo del bicchiere affinché si sciolga più in fretta.

"L'India è un posto bellissimo in primavera; lo è sempre, ma credo di essere un po' di parte nel dirlo."

Tump.

Un'ombra si allunga sul tavolo, silenziosa.
Evie solleva lo sguardo, incontra quello di Jacob.

"Greenie si è innamorato, uhm?"

Ruota la sedia, appoggiandosi con le braccia incrociate allo schienale - le dita fasciate e dalle quale fioriscono ancora gocce di sangue.

"Mi ha chiesto di andare in India con lui quando tutto sarà finito."

Uno dei Rook sale sul bancone, intonando fuori tempo una canzone - Come into the Garden, Maud, di Alfred Lord Tennyson - alcuni fischiano, altri lo seguono.

"Perché no? Non ho mai visto una tigre."

Evie inspira con forza, lo fissa -  the brief night goes in babble and revel and wine. O young lordlover, what sighs are those for one that will never be thine? But mine, but mine - Jacob le restituisce un sorriso sbilenco, in cui l'affetto si mescola a qualcosa di più crudo.

"Mi ha chiesto di sposarlo. Non subito, ma di pensarci almeno."

Jacob le percorre il braccio con la punta delle dita, intorno a loro fumo e alcol - le risate sguaiate dei Rook e quelle sottili delle puttane di strada.

"Sempre un galantuomo il nostro Greenie."

Evie beve l'assenzio in un unico sorso, schioccando la lingua contro il palato.

Una risata a metà, ruvida.

Jacob si china verso di lei, appoggiandole il mento sulla spalla e sospirando - dietro di loro il rumore del legno spezzato e il tintinnio dei bicchieri che vengono riempiti.

"Lui che sa come trattare una donna, uhm?"

Evie intreccia le dita nei suoi capelli, accarezzandogli la nuca - oh, gli inarrestabili gemelli Frye; stessa altezza, stesso sorriso diabolico - chiudendo gli occhi quando sente le sue labbra sfiorarle la curva del collo.

"Moglie. Madre. È questo il ruolo che vuoi per te, sorella?"

Il rullio delle voci dei Rook cresce, Jacob la chiude in un abbraccio impaziente, intimo.
Evie si abbandona contro il suo corpo e lo stringe a sé fino a quando non sono di nuovo uno.


13.

Adesso lo sa.

Lo sente.

Nell'arena il sangue ruggisce, il respiro si accorcia - diventi null'altro che muscoli e pelle.
Jacob si abbassa di scatto, ruota, togliendo il piede d'appoggio al suo avversario - Topping fischia, battendo le mani in aria.
"Signori! Chi vuole scommettere contro l'impavido Jacob Frye?" grida, scuotendosi come un pupazzo a molla.
La folla urla, nelle orecchie il cupo rullio del proprio cuore, giù per la gola sabbia e sangue.

E lo sente anche lei.

L'altro uomo - un certo Ridley, se ricorda bene la presentazione - gli sfiora il fianco con il pugno sinistro, riesce a caricare il montante destro, spezzandogli l'ultima costola.
"Ooooh, signori; abbiamo forse trovato colui che metterà al tappeto Jacob Frye?"
Ridley sposta il peso da un piede all'altro, Jacob ne valuta i punti di forza - la massa, il peso - quelli deboli - una cicatrice sul ginocchio (rotto più volte), la lentezza.
Jacob snuda i denti, libero solo quando i muscoli bruciano, la mente si spegne - tutto diventa caccia e brutalità.

Confessare non è sufficiente. Bisogna anche comprendere; su questo suo padre aveva ragione.

Evie lo fissa dal punto più lontano della rena, un profilo in equilibrio tra luce e ombra.

Tra desiderio e paura.

Jacob descrive un semi cerchio con il piede, salta - crack: l'osso zigomatico, due molari, un incisivo.
Ridley perde l'equilibrio, arretra - primo affondo al ginocchio già malandato, secondo sotto il mento, a estinguere ogni pretesa di reazione.
"Jacob Frye! Sfortunato chi ha scommesso contro di te!" giubila Topping, un ometto nervoso e dalle dita veloci.
La follia diventa un tumulto di voci e rumori, nelle sue orecchie il suono accelerato del proprio respiro - a inguine una tensione scomoda, che il combattimento ha solo peggiorato.
Jacob solleva lo sguardo, la vede - un fruscio tra gli astanti, invisibile.
Gli occhi di Evie non lo abbandonano per un solo istante.


Hansel and Gretel are holding hands deep in the forest.
They are lost.
This is their own story.

"C'è sempre stato." gli dice quando sta ormai per scivolare nel sonno.
"Questo." specifica, indicando prima se stessa e poi lui.
Jacob socchiude gli occhi, sul soffitto rincorrersi ombre e riflessi della notte.
Evie lo studia in silenzio, le gambe incrociate tra loro e addosso nulla tranne lui.
"Ci ho pensato."
Jacob tace, inclinando appena il mento nella sua direzione.
"Vorrei poter dire che ricordo quando è iniziato, ma sarebbe una bugia."
"Evie Frye che ammette di non ricordare qualcosa: devo segnarmi la data sul calendario."
Evie aggrotta le sopracciglia, gettandogli addosso il cuscino.
Jacob abbozza un sorriso a metà, afferrandolo al volo e mettendoselo sotto la testa.
"Grazie: ne avevo proprio bisogno."
"È il mio." ribatte lei, petulante.
"Ah. Era il tuo."
"Sei un mostro."
Jacob ridacchia, afferrandola per la vita e trascinandola giù con lui - guadagnandosi una gomitata tra le costole e uno squittio molto poco minaccioso.
Per alcuni minuti rimangono così, in silenzio: cullati dal respiro l'uno dell'altro, dal rollio quieto della locomotiva.
"Neppure io." mormora all'improvviso Jacob "Non ricordo quando è iniziato: credo sia cresciuto con noi, Evie."
Evie si volta, appoggiandogli una mano sulla guancia.
"Non va bene."
Jacob schiocca la lingua contro il palato, emette un suono contraddetto - blandamente irritato.
"È un po' troppo tardi per i ripensamenti, non credi?"
Evie segue con la punta dell'indice le cicatrici che gli percorrono il petto, si ferma attorno al tatuaggio di un corvo.
Jacob le percorre la rotondità del seno con le dita, la percepisce inciampare nel suo stesso respiro - fermarsi, guardandolo.
"Sai cosa intendevo."
"No."
Evie preme le labbra tra loro, alzando un sopracciglio.
"Sei stupido, Jacob Frye, ma non così tanto."
Jacob le sfiora con il pollice il capezzolo, osservando la sua pupilla dilatarsi - qualcosa tornare a galla, famelico.
"E dire che hai sempre così tanto da parlare con Greenie, sorella. Sei così eloquente quando vuoi."
Evie snuda i denti, si mostra a lui per quella che è - non la ragazzina caduta fuori da Crawley e nemmeno l'assassina figlia di Ethan Frye.
"Oh, allora è questo che ti fa arrabbiare, uhm?"
"Affatto."
Evie si allunga contro il suo corpo finché non c'è nulla a dividerli - né vergogna né colpa.
"Se andassi in India con lui mi fermeresti?"
Jacob le percorre la curva del collo con le labbra, morde - le strappa un gemito sorpreso.
"Se accettassi la proposta e diventassi sua moglie, cosa faresti?"
Jacob sfrega i denti contro la sua pelle, schiudendole le cosce con un ginocchio - libera un suono soffocato, che assomiglia a un lamento.
"Se ti dicessi che lo amo e che può concedermi una vita onesta, cosa diresti, fratello?"
Jacob si scosta da lei quanto basta per guardarla negli occhi, sul viso un'espressione feroce, che le ricorda quella di un lupo all'angolo.
"Che nulla di noi è onesto, Evie; ma questo non lo rende meno autentico."
Evie lo fissa in silenzio, i loro profili tagliati dalla luce di una luna nitida, piena.
"Jacob Frye; allora ascoltavi durante le lezioni di filosofia." mormora poi sulla sua bocca, sorridendo.
"Sempre a sottovalutarmi." sussurra lui, spingendosi in lei - accartocciando l'immagine di Evie con Greenie in India mentre lo bacia e lo chiama e viene e...

Jacob.

La gelosia si spegne tra le sue cosce e nel suo nome.


14.

Londra avrebbe dovuto liberarla.
Londra avrebbe dovuto distrarla.
Londra l'aveva invece inghiottita, rendendola acutamente cosciente del respiro di Jacob nella carrozza accanto, del suo odore che ormai permeava ogni oggetto nella stanza.
Si chiama Bertha, aveva detto Agnes; è una buona locomotiva. Non ha mai mancato una stazione e corre veloce.
Evie si era guardata intorno, notando subito gli spazi ristretti, ben più ridotti di quelli a Crawley.
Prendo il divano, era stata la decisione di Jacob; tu puoi tenere il letto.
Evie si era limitata ad annuire, metà di sé già alla ricerca del frammento dell'Eden, l'altra intrappolata tra i propri desideri - annaspante.
Henry Green si era rivelato un uomo gentile, attento: acuto di mente e capace di pensare su lungo tempo - un sopravvissuto ai Templari e alla loro egida.
Greenie, Greenie, l'aveva subito canzonato Jacob; sono sicuro che tu puoi tutto, Greenie.
Evie ne era stata irritata, ma sotto, negli strati più nascosti di sé aveva riso - sogghignato nello stesso modo in cui Lucy Thorne aveva accolto le sue pretese di giustizia.
Non è il suo nome, gli aveva detto.
Greenie? Ma è così carino per un uomo come lui, era stata la replica.
Cortese, intendevi dire?, si era piccata Evie - ed eccola di nuovo quella risata sguaiata, uguale alla sua.
Jacob le aveva rivolto uno sguardo divertito, fissandola con una forza spaventosa - ed Evie si era sentita nuda dinnanzi a lui, come quando avevano dieci anni e completavano l'uno le frasi dell'altro.
Sai bene cosa intendevo, sorella cara, si era congedato baciandola su una guancia.
Evie aveva contratto la linea delle spalle, quella della mandibola - nello specchio il riflesso di una donna combattuta, divisa.
Jacob aveva sorriso, indugiando qualche secondo al suo fianco.

Ci si vede in giro, Evie.

Evie si scopre perdere un pezzo dopo l'altro.


The two have fallen in love, and so,
after a long quietness amidst the creatures of the night,
they begin to kiss.

Come può essere così facile dimenticare che è sua sorella?

Oppure è proprio per questo che è così, orrendamente, semplice?

Jacob ama definirsi un uomo lineare; segue un principio basilare di azione e reazione - offesa e risposta.
Si perde tra i capelli di Evie, incantato dal modo in cui si tende per lui - abbandona ogni pretesa e geme, morbida, umida.
Ed è un profilo diverso, selvatico: che ricorda aver intravisto nel mezzo dell'agone della lotta, quando il sangue grondava e nell'aria il lezzo del metallo era così forte da stordirti.
Non erano sparuti uccellini, ma predatori ed entrambi bruciavano dello stesso fuoco - una scintilla che aveva spinto Jacob a un estremo, Evie all'altro.

"Non hai mai pensato, nemmeno per un secondo, che fosse sbagliato?"
"No."
"Perché tu fai sempre quello che vuoi e detti le tue regole, giusto?"

Evie apre le dita contro la parete della carrozza, reclina il capo all'indietro, offrendogli la curva pallida del collo.

"Perché ho capito prima di te che era inutile negarlo; che non avrebbe cambiato ciò che sono."

E non le aveva detto tutta la verità, perché aveva passato mesi a combattere se stesso - desideri scomodi, erezioni inopportune.
Si era chiesto che cazzo gli fosse preso; se tutte quelle stronzate del Credo non l'avessero reso pazzo o malato.
Nulla spegneva quel pensiero e il tormento era diventato fisico - così prepotente da costringerlo ad allontarsi.

A farle male e prenderla in giro e persino privarla di un banale saluto.

Ed era poi crollato, Jacob; si era reso conto che si stava dilaniando dall'interno - che tutto in lui stava collassando e rovinando in una pila di macerie e polvere.

"Non potevo andare avanti così."
Evie aveva alzato un sopracciglio, accomodata contro il suo petto come quando erano piccoli.

Gli era sembrato di espandersi e contrarsi e strapparsi - perdersi senza via di uscita.

"Ho accettato quello che sono, Evie, e farlo mi ha riparato, in un certo senso."

Jacob la solleva per i fianchi, schiacciandola tra lui e la parete - le unghie di Evie lungo la schiena, ovunque.

"È sbagliato."
"E tu sai cosa è giusto?"
Silenzio.

Evie ansima sulla sua bocca, accoglie le sue spinte con movimenti languidi, eleganti.

"Pensavo di saperlo."
Jacob si era chinato su di lei, baciandole la fronte.

Ed è come eseguire una sinfonia senza spartito, ma perfettamente conosciuta.
È come respirare e liberarsi - guarire.
È come vivere - insieme, di nuovo.

"Forse nostro padre non aveva ragione su tutto."

Evie gli preme i talloni poco sopra le natiche, mormora contro la sua pelle - una supplica, una resa.
Jacob le cerca la bocca in un bacio scomposto, vorace; Evie libera un suono di gola, che muore sulle sue labbra - viene, e si aggrappa a lui con dita umide e calde.
Le loro voci sono le uniche che abbiano importanza.


15.

Ethan sta morendo; può sentirlo dal modo in cui si accartocciano i suoi polmoni quando respira, dal rantolo sfiatato che lo sveglia in piena notte.
Si solleva sui gomiti, stringendo i denti; il dolora al torace è straziante - punture che assomigliano a coltellate.
E riderebbe Ethan, se ne avesse il fiato.
E riderebbe del modo ridicolo in cui il destino ha deciso di ucciderlo - pleurite.
Si alza, piegandosi in avanti e lasciando ciondolare la testa tra le ginocchia.

Sto venendo a prenderti, Cecily.

Ha amato, Ethan; è bruciato di quel sentimento, una gloriosa fiamma che si era poi spenta con la morte di Cecily.

Erano così piccoli, indifesi.

Non riuscì a esserne felice, nemmeno per un secondo.
La levatrice gli porse due fagotti silenziosi, l'uno ancora stretto nell'altro - uguali, entrambi sereni, quieti.
Ethan avrebbe dovuto amarli; avrebbe dovuto sentire quello che chiamavano istinto paterno, forse gioia, conforto nel fatto che fossero sani, vivi.

Ma tra le sue costole vi era solo un buco nerastro e pieno di cenere.

E se ne era andato; era scappato, abbandonandoli per sei, lunghi, anni.

Poi era tornato. Sconfitto. Vinto da se stesso - dal passato.

Ethan si alza, dirigendosi verso la cucina - la brocca al sul comodino ormai vuota.
E lo avevano guardato quei due bambini - si erano cercati la mano, fissandolo con un cipiglio diffidente, confuso.
Jacob, Evie, aveva detto la nonna; questo è vostro padre, Ethan.
Ricorda ancora come Jacob si fosse frapposto tra lui e la sorella, aggrottando le sopracciglia.
Io non ti conosco, gli aveva detto, cercando di essere minaccioso.
Sono tuo padre, aveva ripetuto lui (come se potesse bastare).
Jacob aveva indurito lo sguardo e sebbene all'epoca l'avesse trovato divertente, anni dopo si era scontrato più volte con la stessa espressione.

Furiosa, selvatica; danneggiata.

Tossisce, curvandosi sopra il tavolo - aggrappandosi al bordo e rovesciando la ciotola con la frutta.

Ah, le gioie della vecchiaia.

Click.

Ethan si volta, li vede - si pulisce un filo di sangue dal mento con il dorso della mano.
"Non dovresti essere sveglio."
"Avevo finito l'acqua."
Evie si allunga verso di lui, aiutandolo a sedersi - ci penso io, papà.
Jacob lo fissa dallo stipite della porta, neutro.
"Tieni." gli dice poi, porgendogli un bicchiere pieno "Non dovresti fare sforzi."
Ethan annuisce, bevendone un sorso, poi un secondo - la gola contratta, asciutta.
"Non cambierà poi molto." mormora lui, trattenendo un altro eccesso di tosse.
Jacob sposta il peso da un piede all'altro, guardandolo.
Vorrebbe dirgli di smetterla; che se sta aspettando che crepi lì e adesso, be', può stare tranquillo: lo farà a breve.
Vorrebbe togliergli quell'espressione vuota dal viso, scrollarlo e dirgli sei un fottuto assassino, Jacob Frye. Piantala di fare la testa di cazzo e rendi onore alla Confraternita.
Ma più di tutto vorrebbe chiedergli perché?

Perché ignori anche tua sorella? Lei non ha colpe. Io le ho, ma lei è la tua famiglia.

"Jacob, mi andresti a prendere una coperta dalla stanza di papà?" lo interrompe dai suoi pensieri Evie, raccogliendo le mele cadute.
Jacob sposta appena il mento verso di lei e per un attimo - un respiro - qualcosa si agita sul fondo del suo sguardo: qualcosa che a Ethan sembra pesante, torbido.
"Jacob?" ripete Evie, la sua voce poco più di un sussurro.

Un fruscio nel silenzio.

Jacob dà loro le spalle, incamminandosi verso il piano superiore; fa ritorno pochi minuti dopo con entrambe le coperte, quella rossa e quella verde.
"Non sapevo quale volessi." le dice, piegandole sulla sedia.
"Vanno bene entrambe." ribatte Evie, appoggiandole sulle spalle di Ethan.
Ethan preme le labbra in una linea sottile, fissando il pavimento - le sue mattonelle chiare, sbeccate agli angoli.
"Vuoi che restiamo qui con te?" gli chiede Evie, sedendosi.
Jacob sbuffa, scoccandole un'occhiata irritata.
"No, non ce ne è alcun bisogno."
"Magnifico." borbotta Jacob "Allora io torno a letto."
"Io no."
Jacob si volta, squadrando Evie da capo a piedi.
"Manca un'ora all'alba; non credo valga nemmeno la pena di riaddormentarsi."
"Parla per te." sibila lui, indicandola.
Evie si scrolla nelle spalle, dirigendosi verso la stufa e accendendo il fuoco.
"Preparo il tè: uova o bacon?"
Jacob rimane immobile per alcuni secondi, sospirando poi e affiancandola.
"Faccio io: tu bruci sempre tutto."
"Non è vero." ribatte lei, piccata.
"Ah no? Le ultime uova erano nere come il carbone."
"Spero ti ci strozzi, Jacob Frye."
"Se non succede quello sicuramente mi avvelenerà prima il tuo pane tostato: più duro del cemento."
Ethan chiude gli occhi, li ascolta battibeccare alle sue spalle - sei un idiota, un idiota: e poi è successo solo una volta e...
La perdita di Cecily lo ha condannato ad amare nulla più di un ricordo.


Traveling like heat through each other's bodies,
they pass through centuries of insecurity
and into a rhythm where they are not afraid.

(Don't stop swaying baby).

Lucy Thorne è morta.
Lucy Thorne le ha riso in faccia prima di sputare sangue e spegnersi.
Non sapete quello che state facendo, le ha detto.
Un branco di tagliagole spaventati dal potere, incapaci di concepire un mondo diverso, sibilava mentre svaniva, respiro dopo respiro.
Una bilancia ha bisogno di due pesi per funzionare, il suo commiato; credete davvero di essere voi nel giusto?
Evie solleva il viso verso il cielo, offrendolo alla pioggia e al vento.
Era partita da Crawley piena di risposte e obiettivi - la sua passione è d'ispirazione, signorina Frye - giaceva ora tra i suoi stessi dubbi.
Posa lo sguardo sulla collana, incerta - un'ultima missione insieme e poi?

E poi Londra sarà libera, Evie. E noi con lei.

Le sue promesse sono l'unica cosa che non cambia mai.


16.

Lo svegliano le sue mani sulla spalla, lungo la schiena.
Jacob, lo chiama.
Jacob, lo supplica, ed è a quel suono soffocato - dolente - che si alza di scatto, mettendola a fuoco nell'oscurità della stanza.
Evie è china su di lui, le unghie conficcate nel fianco, a incidergli piccole mezzelune di sangue.
"Cosa c'è?" le chiede, cercandole istintivamente la mano.
Evie apre la bocca, richiudendola subito dopo - scuote il capo, inspirando con forza.
Ed è in quel momento che Jacob vede - comprende.
"Oh, Evie." mormora, abbracciandola.

Oh, Evie.

Aggrappati l'uno all'altro sono di nuovo i due bambini spaventati di quindici anni prima.


Mamma has led these children into the wild unknown
for reasons known, with father's help, of course,
they tried very hard to get back home,
but, of course, they could not.

(Don't stop swaying baby).

Ogni passo verso Starrick è uno più vicino al frammento dell'Eden - una sindone, questa volta.
Ogni passo verso la fine della missione è uno in più in loro stessi - nei loro desideri, nel modo in cui è sempre più normale cercarlo ogni notte, nelle mattine pigre e indolenti in cui né Henry né Agnes sono ancora arrivati sul treno.
Jacob si porta il lenzuolo fin sopra la testa, liberando un gemito infastidito.
"Chiude le tende."
Evie alza un sopracciglio, accendendo il fornello e cercando qualcosa da mangiare nella credenza.
"Agnes arriverà tra poco."
Jacob borbotta qualcosa - 'fanculo ad Agnes - si raggomitola più strettamente sotto le coperte.
Evie abbozza un sorriso, avvicinandosi in punta di piedi e punzecchiandogli una spalla.
"Ti troveranno nudo come un verme."
"Almeno avranno qualcosa da guardare."
"Esibizionista. E io come giustificherò la cosa?"
"Di' loro che sono svenuto ubricaco a letto e che non c'è stato verso di farmi spostare."
"Nel mio letto."
"Il divano erano troppo lontano."
Evie incrocia le braccia al petto, battendo un piede sul pavimento.
"Oh, certo. E ci crederanno di sicuro."
Jacob scosta appena il lenzuolo, fissandola con un solo, divertito, occhio.
"Potresti dire la verità."
Evie libera un suono nasale, una risata bloccata a metà.
"Cita uno dei tuoi autori preferiti: quel Lord Byron e qualcosa."
"Lord George Gordon Byron, ignorante."
"Sì, ecco, brava: quello."
Il bollitore comincia a fischiare, Evie lo ignora.
"Vorresti che lo facessi?"
Jacob si solleva sui gomiti, fissandola.
"Sì."
Evie si umetta le labbra, incerta.
"Ci butterebbero fuori dalla Confraternita."
Ed è così importante per te?, vorrebbe chiederle, ma sa che lo è, per cui tace e aspetta.
"Non lo accetterebbero mai."
"Probabilmente no."
"Diventeremmo dei paria."
"Un termine nuovo: l'hai imparato da Greenie?"
Evie scuote la mano nell'aria in un gesto irritato, liquidando la sua domanda.
Jacob sospira, alzandosi e avvicinandosi al suo profilo - addosso nulla più della sua camicia.
"Ci penseremo dopo Starrick."
Evie annuisce, pensierosa.
"E se vorrai ancora mantenere il segreto, be', uno in più cosa vuoi che sia." continua lui, sorridendole "Non è questa l'essenza degli assassini?"

Verità mai dette, custodite come il più terribile dei segreti.

Evie ridacchia, appoggiandogli il viso contro il petto - nella carrozza farsi strada un vago sentore di tè nero e pane tostato.
Il cuore di Jacob è un rullio quieto che la riporta sempre a casa.


17.

"Dovremmo dirlo a George."
Evie tace, gli stringe le dita con più forza.
"Organizzare il funerale, parlare con il Concilio."
Scivola con lo sguardo lungo il bordo del letto, fino alla testiera - i listelli sagomati in un intrico di foglie e fiori.
Jacob si schiarisce la voce, fa per avvicinarsi - viene trattenuto all'indietro da Evie.
"Devo controllare che..."
"Non c'è battito."
Jacob annuisce, tornando al suo fianco.
"Vuoi aspettare che sorga il sole?"
"Sì."
"Poi chiameremo George."
Evie si morde il labbro inferiore, ingoiando un grumo di saliva e lacrime.
"Sistemeremo tutto, Evie."
"Lo so."
Jacob si volta, la guarda - un profilo sottile, che la penombra rende quasi trasparente, impalpabile.
Evie dondola leggermente in avanti, sembra sul punto di crollare - non adesso, non quando lo sapevi, dovevi immaginarlo e...
"Evie." la chiama Jacob, cogliendola di sorpresa.
Solleva il viso verso il suo ed ecco di nuovo quel pugno al centro del petto - la sensazione di staccarsi dal proprio corpo e che tutto intorno a lei sia distante, grigio, indifferente.

Tranne lui.

"Siamo rimasti solo noi." mormora lei, nella sua voce una nota pesante, inevitabile.
Jacob ne studia le piccole espressioni in silenzio; il modo in cui la pupilla si dilata, le sopracciglia leggermente aggrottate - curiosità, paura.
"Io e te." ripete, rafforzando la presa sulla sua mano.
Jacob le circonda le spalle con un braccio, percependola tendersi contro il suo petto, arrendersi infine - chiudere gli occhi e scivolare con lui lungo la parete, abbracciati come la prima notte che arrivarono a Crawley.
"Non siamo più bambini." sussurra.
"No; decisamente no." replica Jacob, quieto.
Evie si morde l'unghia del pollice, fissando una macchia sul tappeto.
"Non dirlo a nessuno."
Jacob nasconde il viso tra i suoi capelli, baciandole una tempia.
"Che... che ho paura e che..."
Evie libera un gemito frustrato, Jacob soffoca quel grido nell'incavo del suo collo.
"Lo so, Evie. Lo so."
Nelle rovine di Crawley, ciò che resta della loro innocenza ride e muore.


And so, they find themselves
through the darkness, through the sadness,
making love, making peace, making music.

Il potere del frammento dell'Eden è osceno - terribile.
Brucia la stanza, ed Evie percepisce la pelle delle mani staccarsi, sollevarsi in piccoli frammenti rossi e neri.
Grida, Evie, ma c'è troppa luce e qualcosa la spinge all'indietro - uno schiaffo di calore e fuoco che la rispedisce quasi all'ingresso della cripta.
Starrick assorbe i loro colpi come se fossero niente - Evie può sentire la lama affondare nella carne, ruotare, eppure non vi è neppure una goccia di sangue.
"Allora può davvero restituire la vista ai ciechi." ringhia Jacob, nascondendosi dietro la colonna vicina.
"Non è il momento di scherzare." sibila lei, tenendosi il braccio ferito lungo il fianco.
Jacob le rivolge un sorriso sbilenco, dietro al quale sa nascondersi la rabbia e la paura.
Evie sgrana gli occhi, scuotendo con forza la testa.
"No. Non ci pensare nemmeno."
"Oh, avanti: non dirmi che sei preoccupata per me."

"Divertiti a infiltrarti nella fabbrica."
"E tu cerca di non morire su quel treno."

Evie getta un'occhiata alle sue spalle, rotola di lato non appena il fascio di luce si sposta alla sua sinistra - lo schiaccia contro la colonna, afferrandolo per il bavero del cappotto.
"Ti ucciderà."
"Se riesco a evitare quei lampi di luce andrà tutto bene."
Evie gli si avvicina ulteriormente, sul suo viso rincorrersi sentimenti contrastanti, che Jacob riesce a riconoscere con una facilità imbarazzante.
"Non sei così veloce come credi."
Jacob inclina mento verso destra, posando le dita sulla sua nuca - morbida, rovente.
"Potrai sempre dire che avevi un eroe per fratello, no?"
Evie sposta lo sguardo da Starrick a Jacob e viceversa, consapevole di come il primo si stia avvicinando a grandi passi - di quanto poco resti loro per combattere o morire.
"Evie." la chiama Jacob, ed è malinconico il bacio con cui si congeda - un groviglio di possibilità e speranze e occasioni ormai perdute.
"Ci vediamo dopo." la rassicura, scivolando via dalle sue dita come sabbia.
Avvolta dal potere del sudario Evie non si è mai sentita più piccola e fragile.


18.

"Mi dispiace molto per vostro padre."
Evie e Jacob si stringono nelle spalle, impegnati a sistemare la cucina dopo il funerale.
George posa lo sguardo sugli avanzi di una torta di mele, nota la perfetta sincronia con cui i gemelli si muovono per la stanza - Evie che si allunga verso la credenza e Jacob che le ruota attorno quasi danzassero.
"Se posso aiutarvi in qualche modo..."
"Qual è la prossima missione?" lo interrompe la voce di Jacob, monocorde.
George alza un sopracciglio, umettandosi le labbra.
"Può aspettare."
"Tutti muoiono." si intromette Evie, porgendo al fratello una teglia piena di biscotti "Nostro padre ci ha addestrati per un motivo; qual è il prossimo obiettivo?"
George regala loro un'occhiata perplessa, confusa.
"Non c'è nulla di male nell'elaborare il lutto."
Jacob sciacqua l'ultimo piatto rimasto, appoggiandolo sul tavolo.
"Siamo pronti." gli dice, negli occhi una vacuità che lo infastidisce - no, no, è diverso: che lo spaventa.
"Chiederò al Concilio."
Evie annuisce, fruga nel cassetto alla ricerca del tè aromatizzato alla vaniglia, Jacob gliela porge trovandola nella credenza vicino alla finestra.

Uno pensa, l'altro agisce. Evie è lo schema, Jacob colui che lo metterà in azione.

"Ci sono ancora quei muffin alla cannella?"
Jacob si inclina all'indietro, afferrandone due dal cestino sulla sedia.
Evie lo ringrazia con un cenno del capo, accettando il dolce con un sorriso stanco.

"Non puoi dividerli; quello che manca a uno lo possiede l'altro. Insieme sono come Londra e le sue macchine. Una combinazione perfetta, che avanza verso il futuro ingoiando vite e sputando fumo."

Il bollitore comincia a fischiare, Evie avvicina le tazze - Jacob vi immerge i filtri già pieni.

Non c'è posto per te qui, George: non lo vedi?
Non lo senti?

Davanti a lui Evie e Jacob si muovono al ritmo di una quotidianità così familiare da essere surreale.


They find themselves,
through the chaos, making sense.
This is what they want. This is who they are.
These are the things they need.

Se dovessi morire qui va bene così, e l'intensità di quel pensiero le strappa un sorriso tutto denti e sangue.
Se dovesse finire tutto, e adesso, va bene che tu sia al mio fianco, ed è Jacob a non arrendersi - a lottare per entrambi.

"Non ricordo quando è iniziato: forse c'è sempre stato."

Jacob cerca di rialzarsi, viene schiacciato al suolo da una scudisciata di luce che gli brucia il cappotto, la pelle.

"Se tu sanguini, io sanguino."

Evie aggira Starrick, ignora il dolore provocato dal toccare il frammento dell'Eden attivo - affonda una, due, tre volte, fino a quando non è sicura di aver maciullato il fegato, la vena porta.

"Devi prima accettarle alcune cose per comprenderle, Evie."

"Jacob, ora!" grida, ed è subito al suo fianco - colpisce, e strappa, movimenti coordinati, terribili nella loro simmetria.

"Stai creando un'unica arma, Ethan, ma sono due persone; due individui distinti. Sei sicuro di quello che stai facendo?"

Starrick grida, le rompe tre dita del piede con il tallone, riesce a sollevare il gomito fino al suo viso - crack; mandibola incrinata, un vago senso di nausea alla bocca dello stomaco.

"Se tu muori, io ti seguirò."

Jacob gli pianta la lama celata nel lato sinistro del collo, Evie in quello destro - squarciano, incontrandosi nel mezzo.

"Non avere paura Jacob; ci sono io con te."

Starrick rivolge loro un'ultima, disgustata, occhiata, crollando poi in avanti - il frammento dell'Eden un sudario che si spegne in un debole sfarfallio.

"Siamo rimasti solo io e te."

La cripta crolla nel buio, attorno a loro solo silenzio e polvere.

"E non è abbastanza?"

Evie cerca i suoi occhi, Jacob le restituisce lo stesso sguardo - nelle ossa una stanchezza vecchia, che si portano dietro fin da sempre.
"È vivo?"
Jacob si volta, fissando il corpo di Henry.
"Greenie? Credo di sì."
Evie annuisce bruscamente, si lascia andare lungo il sarcofago che conteneva la reliquia.
Jacob l'affianca, chiudendo gli occhi - sotto la pelle il sangue ruggisce, inquieto.
"Cosa ne facciamo di questa... cosa?"
Evie deglutisce, reclinando il capo all'indietro.
"Non lo so."
"Vuoi forse indossarla e governare Londra con la tua saggezza?" ha il coraggio di prenderla in giro Jacob, guadagnandosi un'occhiata piccata.
"No. Qualsiasi cosa sia, per dare prima prende, e lo fa da qualcun altro."
Jacob libera un hum di gola, così da basso da essere poco più di una vibrazione.
"E poi invecchieresti senza di me." aggiunge Evie, quieta "Diventeresti come nostro padre."
"Oh, una sorte peggiore della morte." mormora Jacob, abbozza un sorriso a metà.
Evie si scopre sorridere suo malgrado, allungando la mano verso la sua.
"Forse starebbe meglio addosso a te."
"Non dire idiozie. Ormai hai scoperto il suo nascondiglio: me la ruberesti per riportarla qui alla prima cazzata che faccio."
"Vero."
Jacob le stringe le dita tra le proprie, ampliando il sorriso.

"Mi sei mancata, Evie."

"Ti conosco, sorella carissima."

"Anche tu, Jacob; anche tu."

"Anche io, fratello adorato." ridacchia lei, punzecchiandolo con l'indice sulla spalla.

"Dici che potremmo continuare da dove ci eravamo fermati?"

Jacob respira tra i suoi capelli, accogliendola contro il proprio petto - chiude gli occhi, ascoltando loro.

"Nulla mi piacerebbe di più."

Nel ventre di Buckingham Palace riposano adesso i segreti di entrambi.


19.

L'ultima notte a Crawley la passano svegli, a fissare le ombre che si rincorrono sul soffitto della loro stanza.
L'ultima notte a Crawley è quella in cui si erano trovati l'uno nel letto dell'altro, braccia e gambe intrecciate così strettamente da non capire dove iniziasse o finisse l'altro.
L'ultima notte a Crawley li vede esplorarsi a vicenda - le dita di Eve sul petto, lungo l'addome, a contare cicatrici vecchie e nuove.
L'ultima notte a Crawley è una confessione e una resa - la bocca di Jacob sulla sua, a raccogliere parole di disperate, impazienti.
L'ultima notte a Crawley strappa loro ogni maschera, lasciandoli nudi dinnazi una verità che dovrà vedere Londra bruciare per finalmente urlare la sua presenza.
"Non possiamo rimanere qui."
"No." concorda Jacob, accarezzandole i capelli.
"Domani. Dopo la missione alle Ferris Ironworks."
"C'è un treno che passa giusto in stazione a quell'ora." aggiunge lui, massaggiandole la nuca.
Evie solleva lo sguardo, incerta.
"Il Concilio non approverà mai."
"Ha importanza?"
"Nostro padre avrebbe voluto che lo ascoltassimo."
Jacob scivola con il ginocchio tra le sue gambe, accomodandosi.
"Ah, dimenticati di nostro padre; puoi continuare la sua meravigliosa eredità a Londra."
Evie aggrotta le sopracciglia (come fa sempre quando riflette sopra qualcosa che ha catturato la sua attenzione), premendo le labbra in una linea sottile.
"Liberare Londra e le sue future generazioni dai Templari." mormora, descrivendo piccoli cerchi attorno al suo ombelico.
"Sai, per una volta potresti anche avere ragione, Jacob Frye." conclude poi, sfregando il viso contro il suo petto.
"Io ho sempre ragione, Evie Frye: sono gli altri a non comprendermi."
Evie borbotta qualcosa, si raggomitola sotto il lenzuolo - scivola nel sonno accompagnata dal quieto battito del cuore di Jacob.
Il futuro è proprio lì, davanti a loro: non devono fare altro che saltare e viverlo.


When the Sun goes down
(Don't stop swaying baby)
And I'm next to you
(Don't stop swaying baby)

Oh

(Don't stop swaying baby).

La guerra è finita,

ma ne è appena iniziata un'altra.

Jacob la fissa in silenzio, il viso contratto in una smorfia ferita, delusa.
"Si è fatto insistente Greenie, uhm?"
Evie tace, arrotolando tra loro i guanti.
"Cosa gli hai risposto?"
"Niente."
"Non ancora." ribatte lui, caustico.
Evie sposta lo sguardo lungo le pareti della carrozza, riluttante.
"Guardami."
"Cosa vuoi che ti dica?" sibila lei, nervosa.
"La verità."
Evie sgrana appena gli occhi, socchiudendo la bocca.
"Lo ami?"
Deglutisce, scuotendo la testa.
"No. Non credo."
Jacob libera una risata crudele, furiosa.
"Una persona non si ama a metà, Evie."
"Non lo so."
Jacob si alza di scatto, fissandola con un'intensità famelica - di quelle che lo accendono nella rena, quando sputa sangue e incassa colpi.
"È semplice, Evie: ti risolvo io l'arcano." mastica, guardandola dritta negli occhi.
"Vuoi passare il resto della tua vita con lui?" le domanda, chinandosi alla sua altezza.
"Ti piace l'idea di sposarlo e andare a vivere con lui in India e perché no, dargli anche due o tre marmocchi con cui nutrire le fila della Confraternita?"
Evie arriccia le labbra sui denti, colpita fisicamente dalle sue parole.
"Non la metterei in questi termini."
Jacob allarga le braccia attorno a sé, schiocca la lingua contro il palato - la deride, lasciando sanguinare ogni parte di sé.
"Oh, certo Evie, certo: perché i matrimoni sono tutti, come si dice... bianchi?" continua, muovendo le dita nell'aria.
"Henry è una persona gentile e..."
"Cazzo, sei davvero impagabile." grida Jacob, cogliendola di sorpresa "Una coppia dovrebbe anche scopare ogni tanto, Evie, o hai dimenticato come si fa?"
"Questo è scorretto."
"Tu lo sei."
Evie rovescia la sedia all'indietro, puntandogli un dito contro.
"Sei mio fratello!"
"E l'hai scoperto solo adesso, Evie?" le ribatte lui, frantumando le parole pur di non urlare.
Evie si guarda intorno, spaesata.
"Ne abbiamo già parlato tante volte." continua lui, nella voce una nota durissima, frustrata.
Evie china il capo, combattuta - spezzata.
"Sì, sono tuo fratello."
Jacob la raggiunge, sfiorandole il viso con il proprio.
"Sì, sono anche quello che ti scopa quasi ogni notte."
Evie vorrebbe mostrargli un'espressione disgustata - infastidita - ma non ci riesce e qualcosa in lei ride, saltellando da un lato all'altro della sua morale e dicendole che va bene così: nulla è reale, tutto è lecito e lei sta solo seguendo il suo istinto.
"Il mio sangue è anche il tuo." mormora, rimanendo così - sospeso a pochi centimetri da lei.
"Se tu sanguini, sanguino anche io." continua lei, ricordando le parole che si erano scambiati la prima notte a Crawley.
"Le tue lacrime sono anche il mio dolore." prosegue, prendendole il viso tra le mani.
"Se tu muori..." sussurra Evie, chiudendo gli occhi.
"Io ti seguirò." conclude Jacob, poggiando la fronte contro la sua.

"Promettilo, Jacob: promettimi che non mi lascerai mai sola."

Evie inspira con forza, aggrappandosi a lui come a l'unica cosa costante - l'unica che c'era sempre stata.

"Solo se lo farai anche tu, Evie. Non potrei sopportare di rimanere senza di te in questo mondo."

Jacob la trattiene a sé come se potesse sfuggirgli da un momento all'altro - diventare nulla più di un fantasma tra gli abissi della sua coscienza.

"La gente parla: i Rook parlano."
"Lasciali fare."

"Evie." la chiama lui.
"Evie." ripete.
"Evie, Evie, Evie." supplica - e c'è qualcosa di sbagliato in loro - siete solo tagliagole senza il senso del futuro - e forse va bene così. Forse è così che devono essere le cose - se nulla è reale, perché credere in qualcosa? Se tutto è lecito, perché privarsi di una voglia, un desiderio?

"Abbiamo liberato Londra: il Concilio lecca la suola dei nostri stivali, la Confraternita ci ammira. La regina ci ha nominato cavalieri dell'Ordine della Giarrettiera. Lascia che starnazzino, Evie. Noi siamo noi. Non abbiamo bisogno di loro."

Evie cerca la sua bocca, sa cos'è quel sentimento che le brucia nel petto, tra le cosce.

"Un giorno potremmo cadere dal piedistallo su cui credi di stare."
"Un giorno, Evie. Ma non oggi, né domani."

Jacob spegne le sue paure in un bacio che divora ogni altra incertezza.

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Capitolo 2
*** The right answer ***


ffff
II


"What you burnt, broke, and tore is still in my hands.
I am the keeper of fragile things and
I have kept of you what is indissoluble."
- Anaïs Nin -


1868

Pensava che lo scontro con Starrick l'avrebbe reso un più umile.
Pensava che l'aver baciato la morte gli avrebbe fatto riconsiderare il suo atteggiamento.

Pensava.

Jacob si lancia dai tetti della città come se tutto fosse suo - come se Londra fosse una sua estensione, la misera colonia di un ragazzino di campagna.
E gli aveva riso in faccia quando gli aveva chiesto se stava bene; aveva arricciato le labbra in quel sorriso derisorio e beffardo, irritante.
Magnificamente, Greenie, aveva chiosato.
Un po' rattoppato, ma nulla di che, la chiusa finale, dandogli le spalle e tornando a concentrare la sua attenzione su Evie.

Evie.

Henry stringe a sé l'erbolario, fissando la schiena di Evie - assicurandosi che sia sola.
Si schiarisce la voce, sorridendole.
"Oh, Henry." lo saluta lei, sulla scrivania documenti di spedizione dei Blighter e alcune annotazioni sparse.
"Evie." ribatte lui, allungandole il libro "Ti ho portato un regalo: per festeggiare la vittoria contro i Templari."
Evie alza un sopracciglio, studiando il pesante albo che stringe tra le dita - la costa dorata, sulla copertina una serie di immagini di fiori e piante.
"Grazie mille." ribatte lei, pacata - quasi disinteressata.
Henry lo appoggia sul tavolo, aprendolo.
"È un erbolario; non è ancora completo, ma potremmo cercare insieme quello che manca, no?"
"Certo." mormora Evie, sfogliando le pagine - rosa canina, calla, tulipani, miltonia.
Henry si umetta le labbra, incerto.
"Oh, il narciso." dichiara all'improvviso Evie.
"Secondo i greci rappresentava l'amore di sé." le spiega Henry, felice di poter intromettersi nel suo flusso di pensieri.
Evie ridacchia, arrossendo leggermente.
"Allora dovrei regalarne un mazzo a Jacob: sarebbero perfetti per lui."
Green inspira con forza, si trattiene dal dire quello che gli punge la lingua - oh, certo; forse è ora che vedi tuo fratello per quello che è: uno stronzo egoista.
Evie scivola con le dita da una pagina all'altra, si ferma sul disegno del crisantemo - rosso, così vivace d'assomigliare a una macchia di sangue.

Io amo.

Henry inclina il mento verso destra, perplesso - morte, lutto - ne ricorda il duplice significato.
"Non è un fiore adatto all'amore." contempla, guardandola.
"Dipende a chi lo chiedi." ribatte lei, assorta.
"Be', qui a Londra non è affatto di buon auspicio e nemmeno in India."
Evie abbozza un sorriso a metà, una smorfia che lo fa sentire a disagio, fuori posto.
"Morte e confessione; non è quello che facciamo ogni giorno noi assassini, Henry?"
Green tace, non sa cosa rispondere - comprende oscuramente come non si sta riferendo a lui, perché la morte lo disgusta e la confessione assomiglia più a una resa che una liberazione, ma non riesce a fare altro che osservarla mentre esce dalla carrozza, saltando sul tetto del treno.
Morte e confessione, gli aveva detto una notte Jacob, tra  i capelli il vento di Londra e il suo gelo.
In questo credo, Greenie; nella morte, perché inevitabile. Nella confessione, perché è l'unica occasione per liberarsi  - di posare le armi e vivere, la conclusione, sul viso un'espressione lontana, uguale a quella di Ethan.  
Davanti a lui un garofano a righe mostra i suoi petali come la peggiore delle rivelazioni.


Hey sister why you all alone?
I'm standing out your window.
Hey little sister, can I come inside, dear?


Signori, siamo Evie e Jacob Frye: da oggi lavorate per noi.

Così si era annunciato suo fratello ai Rook - tra le dita un tirapugni grondante sangue e sul viso un sorriso predatorio, famelico.
Evie l'aveva seguito, abituandosi a imporre la propria presenza spezzando ossa e rompendo nasi - fratturando ginocchia e ridendo alle sciocche pretese di uomini ben più grossi di lei di batterla.
Mia sorella, l'aveva acclamata Jacob, facendosi da parte e osservandola far sputare sangue ai Rook di strada.
La mia adorata sorellina, mormorava quando erano da soli, e lei precisava sempre d'essere la maggiore - sono nata quattro minuti dopo di te, idiota.
Evie scrocchia il collo prima a destra, poi a sinistra, sedendosi.
"Nottata difficile?" l'apostrofa Jacob, sollevando appena la tesa del cappello.
"Se i tuoi uomini imparassero a rispettarmi no: sarebbe stata anche una serata gradevole."
Jacob libera un suono di gola, appoggiando i piedi a terra e stiracchiandosi.
"La loro apertura mentale verso certe questioni è limitata."
Evie schiocca la lingua contro il palato, alzando un sopracciglio.
"Un eufemismo."
"Non tutti sono come me."
"Certo: perché tu sei un capolavoro, Jacob Frye."
"L'unico e il solo, Evie Frye."
Evie stringe gli occhi in due fessure minacciose, fissandolo.
"Porco."
"Non ho fatto ancora niente."
"L'hai pensato."
"Ah, questa maledizione della telepatia tra gemelli."
Jacob sorride, aprendo le dita davanti a sé.
"Domani troverai qualche gamba rotta."
"Che peccato."
"E diverse virilità danneggiate."
Jacob si alza, chinandosi poi verso il suo viso.
"Ah, questo deve aver fatto male."
"Molto." mormora Evie, percorrendogli le cosce con le mani.
Jacob le sfiora le guance, la bocca - emette un piccolo hum divertito quando percepisce la punta della sua lama celata vicino a inguine.
"Oh, Evie: questo andrebbe a svantaggio d'entrambi."
"Tu dici?"
Jacob amplia il sorriso ed è allora che Evie percepisce la sua lama gemella contro il fianco - poco sotto il seno sinistro.
"Jacob."
"Evie."
Le loro risate non hanno più nulla d'innocente.


1868/1869

Sei mesi; da tanto l'egida dei Templari è caduta, riducendoli negli angoli di una città che gli appartiene più - non del tutto.
Sei mesi ed Evie si è scoperta così oscenamente libera da non poter più smettere di correre e saltare e volare.
Jacob si è quasi addormentato contro la sua spalla, nel cielo i primi fuochi d'artificio scoppiano piano, discreti.
Evie inclina il mento verso di lui, osservandolo in silenzio - i capelli spettinati, la stessa espressione di quando erano piccoli e le rubava tutto lo spazio nel letto, allargandosi senza ritegno.

"Ho visto Greenie."
"Uhm."
"Cosa voleva?"
"Niente."

Ed è insistente Henry; la omaggia sempre con libri nuovi e fiori di cui conosce il significato, ma sceglie volutamente d'ignorarlo.

"Oh, signorina Frye; venga più vicino, voglio farle vedere questo dipinto. Oh, signorina Frye, che ne pensa dell'ultima notizia sul giornale? Oh, signorina Frye..."
"Smettila."

Davanti a lei esplodono corone d'oro e rosso, celebrando il nuovo anno - nell'aria l'odore pungente della neve, quello greve di Londra.

"Non mi piace."
"Lo so."
"Dovrebbe ormai aver capito che sei impegnata."
"Con chi? L'unico uomo che vede sempre qui intorno sei tu, Jacob."

Jacob si raggomitola più vicino al suo fianco, nascondendo il viso nella piega del suo braccio.

"Perché non torna in India? Da solo, possibilmente."
"La situazione nel suo paese è difficile. Sai che era stato esiliato per aver fallito; non può semplicemente rientrare e salutare tutti con un oh, salve; i Frye hanno riconquistato Londra, pace fatta?"

Evie gli accarezza la nuca, sorridendo all'espressione serena di suo fratello - ricordando.

"Lo giustizierebbero."
"Che facciano." era stata la replica di Jacob, asciutta "Non ho alcun interesse in Henry Green, il Fantasma."

La città brucia, la notte si illumina - divampa, e rende tutto brutalmente nitido, vivo.

"Mi ha chiesto di andare con lui. Per aiutarlo con la Confraternita."
Nessuna risposta.
"L'ingerenza dei Templari è forte e sono a corto sia di mezzi che di uomini."
"E per provare a farti innamorare del oh così gentile Jayadeep Mir."

Evie chiude gli occhi, appoggiando il viso contro quello di Jacob - baciandogli la fronte, le palpebre.

"Non succederà."
"E se volessi venire anche io con voi?"
"Potresti, ma chi terrà Londra e i Rook nel frattempo?"

"Sono sveglio." mormora lui, strappandole un sorriso divertito.
"Certo: e io sono la regina di Inghilterra." ribatte Evie, ridacchiando.

"Che bruci Londra, Evie: i Templari sono morti o in fuga. Non andrai da sola in India e per quanto? Mesi? Anni?"

"No, non puoi esserlo." replica Jacob, aprendo un occhio "Lei è più brutta e vecchia."

"Tornerò."
"No."
"Jacob, se non ci estendiamo anche nelle colonie avremo fatto tutto questo per niente."
"Io non l'ho fatto per la Confraternita o nostro padre!"

Evie gli pizzica il braccio, guadagnandosi un guaito oltraggiato.

"L'ho fatto per te."

"Che adulatore."
"Il migliore in circolazione, signora."
Evie lo bacia, ascoltando le sue mani lungo la schiena, fino alla nuca, dove stringono, e l'avvicinano di più al suo corpo - alla sua bocca.

"Lasceresti davvero Londra morire?"
"Sì."
"E giustiziare Henry?"
"Senza alcun ripensamento."
"Sei spietato."
"Anche tu, Evie; solo che non hai il coraggio d'ammetterlo."

La crudeltà è qualcosa che scoprirà presto essere naturale come una seconda pelle.


I wanna show you all my love,
I wanna be the only one,
I know you like nobody ever, baby.

Jacob sa che Evie non è ancora del tutto venuta a patti con quello che sono - che ripetono ogni notte, senza vergogna.
Lo vede dal modo in cui a volte guarda le altre coppie per strada, quando uno dei Rook discute la sua autorità - persino nelle battute maliziose che le rivolge Clara.
Sei una donna, le aveva detto una notte Alton, nel respiro troppa birra e whisky, Il capo qui è il signor. Frye, tu la sua delicata sorellina.
E gli aveva rotto tutte e due le braccia, Evie, riducendolo a un ammasso piagnucolante di muco e sangue.
Ripetilo, aveva sibilato a pochi centimetri dal suo viso tumefatto; ripetilo e ti faccio saltare le palle con questa stessa lama, spedendole alla tua puttana della settimana.
Non aveva bisogno della sua plateale approvazione, Evie, perché le azioni parlavano da sole - e diversi Rook si erano ritrovati in strada a piangere come bambini.
Jacob aveva alzato il bicchiere nella sua direzione, nulla più di una tacita approvazione - tra le cosce un'erezione scomoda, inopportuna al momento.
E cazzo se lo eccitava vedere Evie combattere nella rena o meglio ancora, schiacciare chiunque sfidasse la sua autorità.
Non è questo che sono le donne in questa epoca, aveva ringhiato poche sere prima.
Oggetti da vetrina, figure angeliche e del focolare, aveva sputato, pulendosi la bocca dal sangue e dalla bile.
Jacob si era limitato ad ascoltare, tamburellando di tanto in tanto con il bastone sul pavimento.
Gli spacco quella faccia di merda se ci riprova ancora, aveva promesso, togliendosi la camicia madida di sudore - e dio se era bella nuda e vestita solo di pelle e rabbia.
Ed era questo Evie; un lupo in caccia, un animale che apparteneva alle fredde e terrose foreste inglesi, non certo alle umide giungle indiane.
Evie si volta, un panno intriso d'alcol sul fianco e solo la luce della candela a illuminarle le mani, parte del viso.
Jacob le restituisce lo stesso sguardo, fermando i suoi movimenti
Si era alzato, inginocchiandosi poi al suo fianco.
"Forse ti serviranno dei punti."
Evie era rimasta in silenzio, studiando le sue mani esaminare la ferita, accostarne i bordi slabbrati.
"È superficiale, ma non vorrei facesse infezione." prosegue Jacob, tracciandone i contorni.
Evie lo osserva con occhi grandi, smangiati agli angoli; socchiude la bocca quando lo vede portarsi le dita alle labbra, saggiandole in punta di lingua.
"Dovrei chiamare Agnes." mormora Jacob.
"Sì."
"Chissà se è ancora sveglia."
Collidono, Evie e Jacob - si cercano nello stesso istante.
Collidono, ed è denti e sangue - vestiti gettati per la carrozza e un amplesso rapido, vorace.
Si incontrano nel mezzo, e non c'è spazio per loro in questo tempo - per una donna come Evie, che brucia di una forza assoluta, selvatica.
Non c'è spazio per Jacob, un uomo che ama con la stessa urgenza dissennata dei disperati - degli eroi ante litteram.
C'è una sincronia familiare nei loro movimenti - nel modo in cui Evie si schiude a lui, accogliendo le sue spinte.
C'è l'essere di nuovo uniti, forse una memoria genetica, forse il bisogno fisico di essere di nuovo insieme, aggrappati l'uno a all'altro come prima della nascita.
Jacob percepisce la ferita di Evie sanguinare, lungo l'addome fili rossastri e appiccicosi.
Dovrebbe fermarsi - non farlo, mormora lei.
Dovrebbe aspettare - più a fondo, Jacob; continua, lo incita.  
Ma non è fragile, Evie: non è uno di quei cosini che puoi trovare nelle case di Londra tutto sorrisi e modi leziosi - la cui forza è solo quella di sopportare e sopportare e ingoiare quanta più merda possibile.
E affonda, Jacob; viene inseguendo l'orgasmo di Evie - bagnato, che gli cola tra le cosce, costringendolo alla resa.
E grida, Evie, soffocando quel gemito contro la sua spalla - morde, lasciando impronte violacee che domani attireranno la curiosità di più di una persona.
Jacob si lascia andare sul corpo di Evie, tra di loro sangue e sudore e altro - dio, papà si rivolterebbe nella tomba, le aveva detto una volta e lei aveva riso, sorprendendolo.
Il treno continua la sua corsa, pigro - indolente su binari che conosce, dei quali ricorda ogni curva, ogni difetto.
Evie gli accarezza i capelli sulla nuca, baciandogli una tempia.
"Ho picchiato anche Audley."
"Hai fatto bene."
"Non vuoi neanche sapere il perché?"
Jacob libera una risata bassa, di gola - che riverbera nel suo petto, facendola inarcare contro di lui.
"No." sussurra, blandendola di nuovo tra le cosce - ancora sensibile, troppo.
Evie socchiude gli occhi, languida - acciaio e metallo sotto una pelle morbida, calda.
"Avrai avuto i tuoi motivi."
"E se l'avessi fatto solo per divertirmi?"
"Ancora meglio." ribatte Jacob, infrangendole il respiro in un bacio affamato, avido.
Evie intreccia le gambe attorno la sua vita, ride, ed è un suono sincero - libero.
Lupi e aquile non sono fatte per strisciare, ma per conquistare; l'agone della battaglia - la voglia - divora e non lascia spazio ad altro che non siano loro.


1869

Villa Kenway è un luogo pieno di fantasmi e memorie.
Ciondolano tende strappate, sfiorando pavimenti in cui il sangue dei padri è diventato quello dei figli - una storia che Evie conosce bene.
Si erge nel centro di Londra, fissandola con occhi morti e vuoti - sorvegliando una città che cresce batte uccide.  
Jacob l'affianca, sul viso un'espressione seria, attenta.
"Siete solo tagliagole senza il senso del futuro." mormora Evie, posando lo sguardo sul ritratto di Edward Kenway e dei suoi figli.
Jacob la fissa in tralice, camminando su tappeti logori e consumati dal tempo - nell'aria polvere e silenzio.
"Non c'è ordine senza controllo, né pace." prosegue, toccando con la punta delle dita il viso di un bambino di appena dieci anni.
"Pearl Attaway?"
Evie abbozza un sorriso a metà, contrito.
"No: Lucy Thorne."
Jacob tace, seguendo il suo sguardo.
Evie libera un sospiro stanco, incurvando le spalle in avanti.
"Non è forse la stessa cosa che facciamo con i Rook?" sussurra, gli occhi di Haytham Kenway un presagio spietato.
"Sì." risponde senza incertezze Jacob, cogliendola quasi di sorpresa.
Evie si volta, umettandosi le labbra.
"E non ne vedi l'ipocrisia, fratello?"
"Ogni giorno."
Un cardellino si posa sul bordo sbeccato di una finestra, cinguettando.
"La guerra non è finita." le dice poi, togliendosi il cappello e fissandone la fodera "I Kenway ne sono un esempio."
Evie aggrotta le sopracciglia, attorno a lei solo miseria e rovina - croci infrante, lame spezzate.
"L'America è nostra solo grazie a Connor Kenway."
Jacob sbuffa, un suono a metà tra il divertito e lo scettico.
"Le colonie sono un terreno fertile per i templari."
"Ho letto i documenti di Greenie." sibila lui, combattuto tra l'ovvio e i suoi desideri.
Evie gli stringe le dita attorno il braccio, attirandone l'attenzione.
"Se ti dicessi che non vorrei, staresti meglio?"
"No. Un po', forse."
"Non esiste un altro Connor Kenway, Jacob."
"Oh, magari ci fosse. Magari Greenie ha un figlio illegittimo da qualche parte."
Evie alza un sopracciglio, scettica.
"Giusto, cosa vado a pensare; come minimo non sa nemmeno come si usa il cazzo, figurati se ha messo incinta qualcuna laggiù."
Evie non dovrebbe, ma si ritrova suo malgrado ridere, battendogli la mano aperta sul petto.
"Non sarà per sempre."
Jacob la guarda, negli occhi la stessa espressione ferita di quando erano piccoli - sperduti Hansel e Gretel in un bosco di ferro e cuoio.
"Potresti venire con le nuove reclute e io tornerò spesso a Londra; da solo non sai nemmeno allacciarti la camicia."
"Immagino dovrò imparare." mormora Jacob, cupo.
Evie stringe i denti, nel petto un morso gelido, che le impedisce quasi di respirare.
"Non c'è un'altra strada per noi, fratello: siamo Assassini."
"Verrà il giorno in cui non lo saremo più." ribatte lui.
Evie annuisce, posandogli il viso nell'incavo del collo e chiudendo gli occhi.
All'anulare sinistro l'anello degli Assassini scava senza pietà.


Little sister can't you find another way
No more livin' life behind the shadow
Little sister can't you find another way
No more livin' life behind the shadow.

Quando George li rivede viene attraversato da una strana sensazione - strisciante, che gli fa annodare le viscere e ritirare i testicoli.
Evie ride, Jacob le prende la mano, facendole fare una piroetta sul ciglio della strada - e sono loro, eppure qualcosa è cambiato.
Londra rumoreggia attorno a loro, ribolle di una vita che a Crawley scorre ancora lenta, fuori dal tempo.
"Oh, George." lo saluta Jacob, togliendosi il cilindro e facendo un inchino esagerato.
"Mi prendi per il culo, Jacob?" ribatte lui, non riuscendo a trattenere un sorriso.
Jacob si porta una mano al cuore, spalancando gli occhi.
"Chi, io? Ma come puoi anche solo pensare una cosa simile di me, George Westhouse."
"Perché ti conosco." replica, ma una luce diversa sul fondo dei suoi occhi gli dice che no, tu non mi conosci più. Forse non l'hai mai fatto.
"Non dargli retta." si intromette Evie, i capelli spettinati e un vago rossore sulle guance "L'assenzio londinese gli ha sciolto la lingua."
"E non solo." mormora Jacob, scoccandole un'occhiata in tralice.
George si schiarisce la voce, studiandoli con attenzione - percepisce la finta offesa sul viso di Evie, nella voce di Jacob una flessione vorace, mascherata in fretta da un sorriso a trentadue denti.

Inganno e dissimulazione.

E c'erano stati diversi momenti in cui si era chiesto e se?
E se non mi fossi sbagliato?
E se quello che avessi intravisto fosse reale?
E se le abitudini di cui gli raccontava Ethan fossero stato altro?

"Insieme."
Ethan si era scrollato nelle spalle, spalmando una fetta di pane con il burro.
"È un'abitudine che hanno avuto fin da piccoli."
George aveva alzato un sopracciglio, osservando i gemelli con la coda dell'occhio, entrambi impegnati ad allenarsi in cortile.
"Hanno quattordici anni, Ethan: forse sarebbe il caso di modificare questo loro atteggiamento."
Ethan aveva sospirato, fissandolo.
"Non sei sempre tu a dirmi che non posso dividerli?"
"Sì, ma io intendevo sul campo; nell'addestramento. Umanamente."
Ethan posa il coltello, strofinando il bordo del tovagliolo tra il pollice e l'indice.
"La prima notta che li portai qui si aggrapparono l'uno all'altro come un unico ammasso di braccia e gambe. Sembrava di avere a che fare uno di quei giochi a incastro; cerchi di togliere un pezzo e te ne crolla un altro sul tavolo."
George ridacchia, immaginando la scena.
"Dormirono in un unico letto, avvolti così stretti e piangendo che pensavo gli sarebbe venuto un colpo."
Ethan smette di tormentare il tovagliolo, aggrotta le sopracciglia, come se gli fosse sopraggiunto un pensiero particolarmente scomodo.
"Nella Confraternita il sesso non ha importanza. Uomini, donne; sono retaggi perduti nel tempo. Siamo un unico corpo, un'unica lama."
George beve un sorso di tè, ascoltando.
"Gliel'ho chiesto, George: se volevano due camere separate." mormora Ethan, posando lo sguardo su Evie e Jacob, adesso impegnati a picchiarsi più che seguire i loro esercizi.
Ethan preme le labbra in una linea sottile, contrariata.
"Non è un problema, papà; hanno risposto. Non ci disturba affatto. Siamo abituati."
George appoggia la tazzina sul piattino con un click pungente, che taglia l'atmosfera ovattata della cucina.
"Abituati."
"Già."
"Ma ho visto che ci sono due letti nella stanza."
Ethan lo guarda, non dice altro - non ne ha bisogno.

E George ricorda quella conversazione che se fosse avvenuta adesso - l'intimità che avevano sempre mostrato i due gemelli, compagni d'arme e sangue.

E...?

Evie lo prende sotto braccio, sollevando l'altro verso il cielo.
"Dunque? Da cosa vuoi iniziare? Da Whitechapel dove il mio carissimo fratello ha arruolato i primi Rook, oppure da Bertha, il nostro fedele treno?"
Jacob li affianca, toccandosi la tesa del cilindro - le labbra distese in un sorriso furbo, ammiccante.
"Consiglio Whitechapel: chissà che non ti faccia bene un po' di movimento, George."
I dubbi infettano persino la gioia di vederli vittoriosi e vivi.


1869

C'è una quotidianità che ha cominciato ad alimentare le loro giornate; una serie di piccoli passi dietro l'altro.
Il potere non mantiene se stesso, le aveva detto Jacob, le nocche sanguinanti e negli occhi un'intelligenza guerriera, ferale.
Se vogliamo che Londra sia libera dobbiamo stabilizzarla; nutrirla, aveva proseguito, liberando un gemito quando si era tolto la camicia.
Evie lo osserva annusarne la stoffa, arricciando il naso.
"È un bel taglio."
"Già." ribatte lui, appallottolando la camicia e buttandola fuori dal treno.
"In quanti erano?"
"Dieci."
"Oh, così pochi?"
Jacob si inclina verso di lei, puntandole l'indice contro.
"Erano enormi, Evie."
"Immagino." ridacchia lei, alzandosi e dirigendosi verso l'armadietto sulla sinistra - un acquisto recente, necessario se volevano continuare a ricucirsi da soli.
"E armati."
Evie sorride al suo tono petulante, raccoglie ago e filo, alcol e bende.
"Avrei potuto morire."
"Oddio, no: poi chi mi salverà dal tuo fantasma?"
"Verrei a tormentarti tutte le notti; a tirarti i piedi e annodarti i capelli."
"Quello lo fai già."
Jacob libera un suono disperato, melodrammatico.
"Non hai pietà. Sorella degenere."
Evie si volta, sedendosi al suo fianco sul letto.
"Stai sporcando tutto di sangue."
Jacob tace, rivolgendole un sorriso sghembo.
"E no, non chiederemo ad Agnes di cambiarle e sai il perché."
Jacob si allunga verso il suo viso, guaisce quando Evie gli spinge la benda intrisa d'alcol nell'addome.
"Sei crudele."
"E tu un incosciente. Londra ha bisogno di tempo per guarire; se ci succede qualcosa..."
Jacob intreccia le proprie dita alle sue, sotto i polpastrelli sangue e carne viva.
"Londra è malata, Evie: per quanto tu creda importante la ricerca dei frammenti dell'Eden e la loro protezione ci sono cose peggiori là fuori."
Evie lo guarda, silenziosa.
"C'è la miseria, la fame: una violenza che affonda le proprie radici nella povertà più nera. I Rook sono..."
"Un branco di animali."
Jacob inspira con forza, annuendo bruscamente.
"C'è una cosa che ho imparato nell'ultimo anno." le confessa, socchiudendo gli occhi "I Templari aveva torto su molte cose, ma non su una."
Evie apre le dita attorno al suo ombelico, dove la benda va rapidamente tingendosi di rosso.
"Il controllo è tutto, Evie. Per quanto ci piaccia pensare che le persone sanno compiere le loro scelte da sole, non è così. Non ancora, almeno."
"Lo so." sussurra lei, chinando il capo.
Jacob le sfiora la nuca con la mano libera, posandole il mento nell'incavo del collo.

"Siete solo due ragazzini che pensano di risolvere tutto con un colpo di lama."

Sulle spalle - nel cuore - il mantello del Credo non è mai stato più pesante.


You whisper secrets in my ear
Slowly dancing cheek to cheek
It's such a sweet thing when you open up, baby.

Compiono oggi ventidue anni i gemelli Frye.
Agnes si è ricordata del loro compleanno ed è arrivata presto al treno, ancora fermo in una stazione sperduta poco fuori Londra.
Fischietta mentre accende il fuoco nella stufa, controllando di aver preso tutto al mercato - anche quel tè aromatizzato alla vaniglia che piace tanto alla signorina Frye.
Entra nelle prima carrozza, rassettandosi la gonna e sbattendo i piedi un paio di volte sui gradini, scrollandosi dalla suola il fango di Londra.
E se ne accorge solo quando smette di canticchiare il motivetto che le ha insegnato Nigel - quando una corrente d'aria fredda la sorprende lungo la nuca.

Il divano del signor. Frye è vuoto.

Intoccato, sarebbe meglio dire.
Aggrotta le sopracciglia, certa che almeno in quel giorno avrebbe evitato di ubriacarsi con i Rooks o di intrattenersi nelle bische clandestine.
"Aye, che disgraziato." borbotta, togliendo dalla busta il pane, le uova e i funghi appena comprati.

Tump.

Agnes si volta di scatto, le orecchie ben tese, i peli sulle braccia dritti.
Il silenzio non è una cosa insolita a quell'ora del mattino; la signorina Frye e suo fratello sono animali notturni e spesso dormono fino a tardi - o fino a quando riescono.
Eppure c'è qualcosa di stonato in quell'assenza; di regola l'accoglie il leggero russare del signor. Frye oppure il ronzio del treno sulle rotaie.

Una risata.

Agnes riconosce il timbro del signor. Frye - basso, morbido.
L'acqua nel pentolino comincia a bollire, distraendola appena.

Una seconda risata, seguita da un tonfo.

Agnes si avvicina alla carrozza della signorina Frye, sporgendosi verso il finestrino - ben coperto dalla tenda.
Vi appoggia sopra il viso, ascoltando - sentendosi un po' come una ladra.
"Sei un grandissimo idiota."
"Oh, vieni a dirmelo in faccia, sorella cara."
"Te la prendo a schiaffi quella faccia, e poi ti soffoco nel sonno."
"Ieri notte ci sei quasi riuscita. A soffocarmi, intendo."
Nessuna risposta.
Agnes inspira con forza, chiudendo le dita a pugno a preparandosi a bussare - perché non è cortese spiare le persone, soprattutto chi è stato così gentile da prenderti con sé e liberarti dall'egida di Starrick.
"Non... ti ho fatto male?"
Agnes socchiude la bocca, le nocche a pochi millimetri dalla porta.
Il signor. Frye ride, e Agnes crede si sia alzato in piedi perché percepisce un rumore distinto di passi, seguito da un fruscio leggero, quasi di stoffa.
"Evie, Evie, Evie." intona la voce del signor. Frye "Morire per mano tua sarebbe un onore."
Agnes sbatte le nocche contro la porta due volte in rapida successione, trattenendo il fiato.

Silenzio.

"Signorina Frye?"
"Oh, Agnes." la raggiunge la sua voce, quieta - forse un pelino acuta.
"Sei arrivata presto stamattina." aggiunge poi, nella carrozza rumori attutiti e di vestiti che vengono spostati, forse raccolti.
"È il vostro compleanno: volevo preparavi la colazione."
"Grazie mille." chiosa Evie, spostando appena la tenda e fissandola da dietro il finestrino "Mi sa che ieri notte ho fatto le ore piccole."
Agnes abbozza un sorriso teso, annuendo.
"Sa per caso dove si trovi suo fratello? Non è nella carrozza."
Evie apre la bocca, richiudendola subito dopo; sembra riflettere sulla sua domanda, valutando le opzioni.
"È stato fuori tutta la sera con i Rook; le solite cose. Un carico da intercettare al porto, qualche rissa, molto alcol."
Agnes sta ribattere che le sembra di aver sentito la sua voce quando Evie la precede, fermandola.
"Ha poi deciso di svegliarmi rientrando ubriaco nella mia carrozza e adesso dorme sul pavimento: a quanto pare il mazzo di fiori stropicciato che ha rubato da chissà dove non poteva aspettare."
Agnes aggrotta appena le sopracciglia, annuendo.
"Ci vediamo tra poco, Agnes; e grazie mille."
Evie richiude la tenda, lasciandola lì, incerta.

"Ieri notte ci sei quasi riuscita, Evie."

Ed è vero che signor. Frye non conosce le vergogna - triviale, inappropriato, audace (troppo).
Ed è vero che è pur sempre suo fratello e che la signorina Frye sembra trovare divertenti questi atteggiamenti, forse persino incentivarli alcune volte, ma...

Ma.

Agnes getta un'ultima occhiata alla porta chiusa della carrozza, perplessa - inquieta.
Dentro, il loro segreto si consuma ansito dopo ansito.


1869

"Buon Natale, Evie." le dice, baciandola tra i capelli - sulla pelle neve e cuoio.
Evie si stiracchia all'indietro, allungando un braccio verso di lui.
"Già sveglio?"
Jacob si toglie gli stivali, scivolando poi al suo fianco - strappandole un brivido.
"Sei gelido."
"Londra a dicembre non è proprio il massimo."
Evie si volta, raggomitolandosi contro il suo petto.
E sono sempre più frequenti questi momenti - quieti, intimi.
Si ritrova baciarlo di sorpresa nell'oscurità di Whitechapel, oppure sul ciglio di un tetto prima di un salto.
Lo cerca senza vergogna, sorpresa da quanto Jacob conosca il suo corpo - sappia ricostruirne ogni cicatrice, ogni spigolo.
Vorrebbe dire che ci sono volte in cui non ricorda che è suo fratello - che è solo un costrutto della sua mente - ma sarebbe una penosa bugia.
Evie sa benissimo chi è Jacob, e questo non la spaventa più.
Ci ha riflettuto diverse notti, fissando il suo profilo addormentato - la bocca socchiusa, i capelli spettinati sul cuscino.
Si era chiesta se fosse un sentimento reale - se non stesse solo colmando la sua solitudine e l'incapacità di fidarsi degli altri.

Di nulla che non fossero loro, e basta.

Aveva ragionato sulle conseguenze della loro relazione se fosse venuta allo scoperto e, per un attimo, non le era importato.

"Non sei poi così diversa da me, Evie: sei pur sempre saltata sul quel treno per Londra ignorando George, no?"

Si era immaginata senza di lui e non per qualche ora o qualche mese, ma per sempre, e il vuoto l'aveva inghiottita in una vertigine nerissima e appiccicosa.
Aveva proiettato se stessa in un mondo senza Jacob - in uno in cui la sua libertà era soffocata da un matrimonio o da un legame che non fosse con lui - e la gola le si era contratta in uno spasmo doloroso, bruciante.
Evie si umetta le labbra, quelle paure addensarsi attorno a lei - stringerla, e...

Tump.

Evie apre un occhio, fissando l'origine di quel rumore.
"È per te." le dice Jacob, percorrendole la schiena in punta di dita.
Evie si allunga verso il pacco rosso e argento, studiandolo con attenzione.
"Cos'è?"
"Il tuo regalo di Natale."
Evie assume un'espressione sempre più scettica, quasi aspettandosi che possa esplodere da un momento all'altro.
"Non morde."
"Allora punge."
"Evie Frye!" ride lui, arretrando leggermente - negli occhi una scintilla divertita, curiosa.
Evie borbotta qualcosa tra i denti, scuotendo il pacco su e giù.
"L'ultima volta mi hai regalato una rana. Morta."
"A mia discolpa era viva quando l'ho messa nella scatola."
"Peggio. Sai che odio le rane."
"Avevamo nove anni, Evie."
"E tu non sei cresciuto di un anno, Jacob Frye."
Jacob imbrocia le labbra, confermando la sua affermazione.
"Aprilo."
Evie incide con l'unghia del pollice il bordo della carta, spiando al suo interno.

Un libro.

"Dimmi che non è il Kamasutra."
"No." ribatte lui, piegando la bocca in una smorfia al pensiero di Henry "Forse l'unica cosa decente di cui ha parlato Greenie negli ultimi mesi."
"L'unica di cui ti sei interessato, è diverso."
Jacob emette un suono irritato, schioccando la lingua contro il palato.
"Non certo perché la usasse come scusa per scoparti."
Evie abbozza un sorriso furbo, fissandolo dal basso.
"Come se fosse così facile scoparmi, uhm, Jacob Frye?"
Jacob aggrotta le sopracciglia, perplesso.
"Non capisco se devo ridere o meno."
Evie scuote la testa, mettendosi seduta e avvolgendosi nelle coperte - il fuoco della stufa ormai del tutto spento.
Strappa la carta rimasta, contemplando un manoscritto che non aveva mai visto - Matilda, Mary Shelley.
Jacob le cerca gli occhi, inclinandosi verso il suo viso.
"Ti piace?"
Evie sorride, aprendolo con cautela - le pagine fresche di stampa, la costa blu scuro con dettagli dorati.
"Moltissimo."
"Non è mai stato pubblicato: lo scrisse nel 1819 e giaceva tra le carte dimenticate di suo padre."
Evie sgrana gli occhi, guardandolo.
Jacob le rivolge un'espressione soddisfatta, orgogliosa.
"So che ti piace Mary Shelley e ho cercato qualcosa di particolare."
Evie lo contempla ancora qualche secondo, appoggiandolo poi alla sua destra e sporgendosi verso Jacob - scivolando tra le sue cosce, contro il suo corpo.
Jacob mormora sulla sua bocca - dio, Evie - libera un gemito scomposto, eccitato.
Londra tace mentre loro gridano.


They say I'll only do you wrong
We come together 'cause I understand
Just who you really are, yeah baby.

Li guarda e vede solo orrore.
Li guarda e immagina gli organi di Evie impilati vicino al suo addome squarciato; sorride al pensiero del fegato sopra gli intestini, l'utero in una bella scatola indirizzata al signor. Jacob Frye, Whitechapel.
Sono sporchi; sono due maledetti infetti, ne è sicuro.
Sua mamma lo diceva sempre;

tua madre è morta, piccolo Jack.

le puttane le riconosci subito, Jack. Fidati del tuo istinto. Fidati del tuo spirito.

Le puttane come te, madre?

Jack si porta le ginocchia al petto, fissandoli.
E può annusare il lezzo dell'indecenza, percepirla sotto la lingua come il sapore del suo stesso sangue.

Ti ammazzerò. Un giorno ti strapperò quell'organo schifoso con il quale avveleni questo mondo.

Evie si volta, guardandolo dritto negli occhi - e Jack è sicuro che lo veda per quello che è,

un bambino mutilato in mostro e vittima.

Senza distogliere lo sguardo dal suo profilo si allunga verso Jacob, toccandogli il braccio.

Immagino cos'altro fai con quelle mani luride.

Jacob solleva il mento verso sua sorella, ancora seduto sui talloni - chinato sul pavimento a esaminare le tracce di alcuni Blighter rimasti.

Vi vedo, e mi date la nausea.

Evie si avvicina all'orecchio di Jacob, sussurrandogli qualcosa - uno scellino per succhiartelo, due per prenderlo - rivolgendogli uno sguardo sospettoso, incerto.

Ti vedo anche io, Jack.

Jacob lo guarda, Jack gli restituisce uno sguardo vuoto - apatico.
Anni dopo, nell'autunno più nero di Londra, la sua rabbia potrà finalmente avere sfogo.


1870

A volte ci pensano entrambi.
Ci sono notti in cui indugiano nel pensiero del e se tornassi a prenderla?
Se la indossassi solo ogni tanto - quando necessario?
Se la smettessi di incassare e tornare a casa sputando sangue e pezzi di me?

Nulla è reale, tutto è lecito.

Evie fissa il soffitto, il respiro una serie di piccoli ansiti affannati.
Jacob inclina il viso verso di lei, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte.
"Lo so." mormora, fissandola.
Evie aggrotta le sopracciglia, deglutendo.
"Sicuramente le cose sarebbero più facili."
"Per chi?" ribatte lei, il corpo nudo, lucido di sudore e altro.
Jacob si stringe nelle spalle, intrecciando le dita sul petto.
"Noi?"
Evie libera una risata asciutta, secca.
"Starrick sembrava cavarsela una meraviglia." prosegue Jacob, neutro.
"Non puoi pensarci davvero."
Jacob le rivolge uno sguardo pieno, deciso.
"Ci penso, Evie; e mi rispondo ogni volta che no, non posso prenderla. Per quanto mi piacerebbe, non posso."
"Come non potresti neppure scopare tua sorella?"
"Le due cose non si avvicinano neanche lontanamente."
Evie solleva il viso verso il suo, quieta.
"Pensavo fossimo ormai oltre questo, Evie."
"Lo siamo." ribatte lei, appoggiandosi su un gomito.
Jacob alza un sopracciglio in una silente domanda, fissandola.
"Hanno perduto il Koh-i-Noor."
Jacob le accarezza una guancia con il dorso della mano, aspetta.
"A quanto pare quello della regina Vittoria ne è solo una replica."
Evie inspira con forza, una parte di lei concentrata sulle ultime notizie dalla Confraternita, un'altra crudelmente sensibile alle dita di Jacob attorno la gola, sul seno.
"Nostro padre l'ha nascosto in India."
Jacob socchiude gli occhi, lo sguardo farsi torbido - preoccupato.
"La situazione..."
"Lo so." la interrompe lui, sollevandole il mento con il pollice "È da tempo che lo so, Evie."
"Non vorrei."
Jacob le riserva un sorriso triste, che si distende appena agli angoli.
"Neanche io."
"Tornerò."
Jacob si china verso la sua bocca, osservandola mentre si tende verso di lui, un magnifico arco di pelle e muscoli di cui conoscere la consistenza, il sapore.

Che trema, e viene per lui - solo per lui.

"Immagino che dovrò imparare a cavalcare gli elefanti; Greenie ne parla sempre come se fosse una cosa spettacolare."
Evie sorride, e Jacob è sollevato di vedere che nel suo sguardo non c'è nulla se non loro - una leggera malinconia che muta già in desiderio.
"Pensavo fossi più un tipo da bombe allucinogene e karas."
Jacob la sovrasta con il proprio corpo, sollevandole i fianchi per le natiche - affondando sulla sua bocca per non gridare quello che davvero vorrebbe dirle.
Evie mormora quelle parole per entrambi.


Little sister can't you find another way
No more livin' life behind the shadow
Little sister can't you find another way
No more livin' life behind the shadow

I shake up.

Tra le strade di Whitechapel, in equilibrio sulle guglie del Big Ben - non ha importanza.
I gemelli Frye vibrano con Londra, si vestono della stessa pelle - cuoio e acciaio.
Henry li osserva lanciarsi in avanti l'uno a un respiro dall'altro - comparire pochi secondi dopo sul tetto successivo, correre, e sovrapporsi in un unico profilo.

"Io non ti piaccio."
"Non capisco di cosa tu stia parlando."
"Greenie. Greenie, Greenie."

E ha ragione, Jacob: non gli piace.
È imprudente, avventato e volgare; un sorriso a mezza bocca, il totale sprezzo delle regole - del buonsenso.
È viscerale, Jacob: nasconde dietro una battuta uno spirito violento, feroce.
L'ha visto combattere e ha subito notato la scintilla eccitata che gli accendeva lo sguardo quando uccideva e picchiava e massacrava - e non per il Credo, ma per sé.

"Oh, e questo cos'è? Il Natale degli Assassini, Greenie?"

Guida i Rook con un pugno di ferro travestito da mano tesa - non rifiuta mai una rissa, la brutalità di uno scontro per strada, con chi contesta lui e la sua autorità.

"Mi hanno detto che hai vissuto per anni nelle fogne, sotto il Tamigi."
"Dovevo nascondermi."

Henry atterra a pochi metri dietro di loro, li studia sporgersi in avanti, Evie afferrare il colletto del cappotto di Jacob e strattonare - idiota; così ti farai scoprire.

"Ho saputo che laggiù in India hanno perso uno di quei mirabolanti frammenti dorati."
"Si chiamano dell'Eden, Jacob. E sì, a quanto pare non lo trovano più."
"Meraviglioso: e dire che non stiamo certo parlando di un paio di scarpe."

Ed è un pugno di bianco e giallo nella notte, Henry; un uomo che cerca di scacciare la molesta sensazione d'essere di troppo - di aver ormai perso ogni possibilità.

"Sei geloso, Greenie?"
"Di cosa?"
"Di Evie."

Evie ride a qualcosa che le appena sussurrato Jacob, dandogli una leggera pacca sulla schiena ed Henry la trova adorabile.

Ma.

Ma non è lui che guarda.
Non è a lui che rivolge lo sguardo quando ha bisogno di aiuto - non sarò sola contro Starrick; torni sul treno, signor. Green. - non è lui che cerca nel mezzo dello scontro, la mano che stringe fino a far sbiancare le nocche.

"No."
"Ah sì? Strano, ho trovato questo mazzo di fiori stamattina nella sua carrozza."

Evie si volta, le labbra ancora tese in un sorriso divertito, un po' infantile.
"A quanto pare i Blighter rimasti credono di poter importare reliquie rubate senza che ne veniamo a conoscenza." inizia, indicando verso il vicolo con un brusco cenno del mento.
"Non hanno mai brillato di furbizia." sottolinea Jacob, posando lo sguardo su Henry - nella pupilla una luce predatoria, che gli ricorda quella delle aquile in caccia.

"Fiori d'acacia e rose gialle. Il giglio bianco l'ho trovato un tocco di classe."
"Sono solo fiori. Un ringraziamento ad Evie per avermi aiutato e per quello che potrà fare in India, con la Confraternita."

No, non gli piace Jacob Frye; è tutto ciò che lui non è mai stato - sfacciato, irriverente, sanguigno.
Mentre le sue mani tremano al pensiero di togliere la vita a una persona quelle di Jacob no: si muovono veloci, nutrendo uno spirito selvatico, che solo in alcuni momenti ha intravisto anche in sua sorella.

"Sai qual è il bello di lasciar pensare agli altri di essere stupido?"
"Che ti sottovalutano."
"Esatto, Greenie: esatto."

Evie si cala maggioramente il cappuccio sul viso, tendendo i muscoli prima del salto.
"Pronto?"
Jacob storna lo sguardo, posandolo in quello di sua sorella.
"Sempre."

"Avresti potuto scegliere l'agrimonia. O la dalia. Il glicine, perché no. Invece hai voluto esagerare."

"Controllerò il perimetro; se i cecchini si spostano vi manderò il segnale pattuito." si intromette Henry, nella voce una nota irritata - che sfugge al suo controllo.

"Evie voleva regalarti un mazzo di narcisi."
"Oh, che pensiero gentile."
"Indicano l'amore per se stessi, Jacob: non è un complimento."
"Che io sappia significano anche cavalleria, rispetto; rappresentano la paura per un amore che si teme non sia corrisposto."

Evie annuisce, Jacob schiocca le dita verso di lui, beffardo.
"Chi arriva ultimo paga la cena?"
"Preparati allora a spendere fino all'ultima corona, sorella."
I gemelli Frye toccano il bordo del tetto nello stesso istante - si staccano dalle tegole e rimangono sospesi nel buio di Londra insieme, nel silenzio solo lo scintillio tetro delle loro lame.
Henry non può fare a meno di chiedersi se persino per un uomo come Jacob quello non sia troppo.

Immorale, sbagliato. Osceno.

La risposta che riesce a darsi non prende neppure in considerazione la morigerata e deliziosa Evie Frye.

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Capitolo 3
*** Our blood; our pain ***


Legacy (3)
III


"I fell in love with her when we were together,
then fell deeper in love with her in the years we were apart."
- Nicholas Sparks -


1888

È quello che aveva sempre temuto; il suo incubo ricorrente, l'orrore che la spingeva a svegliarsi nel mezzo della notte per controllare il respiro di Jacob - se fosse vivo e caldo e dio, perché era partita per l'India, perché?
Evie corre, ingoia un grumo di lacrime e paura - nella mente le ultime parole di Jacob.

Torna.
Whitechapel è persa.
I Rooks fuori controllo.
Mi dispiace, Evie. Mi dispiace così tanto.

Londra le è diventata estranea; una città che la bracca e la insegue come fosse un animale rabbioso - vuota di assassini e templari, oscenamente sventrata dal suo stesso figlio.
Evie atterra sul tetto di una casa bruciata, si ferma, trattenendo persino il respiro.

Ti vedo, brutta puttana.

Scivola verso la finestra aperta, rannicchiandosi nelle ombre - la paura mutare in furia e deflagrare, rischiando di accecarla.

Anche io ti vedo, Jack.

Senza Jacob, vivere non ha più alcun valore.


You, you’re everything I want
and I, I’m everything you need.

Le notizie che giungono dall'India non sono rassicuranti.
Seduti l'uno davanti all'altro si guardano sapendo quale dovrà essere la loro prossima mossa.
"C'è un traditore nella Confraternita."
Jacob studia la foto del Koh-i-Noor, ruotandola con la punta del medio.
"Lo stanno cercando tra le mura di Amritsar, ma credo sia il posto sbagliato."
Evie osserva suo fratello bere il decimo bicchiere di whisky, fissare i documenti con uno sguardo furioso, ferito.
"Jacob."
"Si fottano."
Evie sospira, passandosi le mani nei capelli.
"Il Koh-i-Noor è un artefatto più potente persino della Mela dell'Eden o della sindone di Starrick: non possiamo lasciarlo ai Templari."
Jacob si reclina all'indietro, appoggiando un piede sul ginocchio.
"Vaffanculo al Koh-i-Noor. Vaffanculo all'India e a quei cazzo di elefanti."
Si versa dell'altro whisky, scuotendo la bottiglia quando la trova vuota - imbrociando le labbra in una smorfia infantile, piccata.
"Potrai venire quando vuoi."
Jacob schiocca la lingua contro il palato, arricciando il naso.
"Tornerò a Londra ogni quattro mesi."
"Rassicurante."
Evie aggrotta le sopracciglia, osservandone la prossemica tesa, nervosa - per nulla addolcita dall'alcol.
"Ne stai facendo una questione di fiducia."
Jacob inclina il viso verso il suo, tace.
"So che non ti piace Henry."
"Un eufemismo."
"E che tu non piaci a lui."
Jacob beve un sorso di whisky, ridacchiando.
"Ma sono io, Jacob."
Evie si sporge verso di lui, afferrandogli la mano libera.
"Se tu sanguini, io sanguino." mormora, guardandolo.
Jacob le riserva uno sguardo incerto, nel quale frustrazione e tristezza si rincorrono in egual misura.
"Le tue lacrime sono anche il mio dolore." prosegue, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte.
"Se tu muori..." sussurra, scivolando al suo fianco.
"Io ti seguirò." conclude per lei Jacob, tra di loro le stesse parole di quella notte a Crawley - affranti, soli, sanguinanti.
Evie sorride, raggomitolandosi contro il suo petto e chiudendo gli occhi.
Quando Jacob si porta le mani al volto si accorge di star piangendo dopo anni.


1888.

Quella che ha davanti è una donna inquieta, perseguitata.
Abberline scorge nuove rughe d'espressione attorno le labbra, negli occhi una luce primitiva, ossessionata.
"Dov'è mio fratello?"
"Per quello che ne sappiamo lei è l'ultima assassina in città, signorina Frye."
Evie si volta, fissandolo.
"Lei crede sia morto."
"Non oso pensarlo, ma è una strana coincidenza che mentre uno spietato assassino devasta Londra suo fratello scompaia."
Evie indurisce lo sguardo, irrigidendo la linea delle spalle.
"Come si chiama?"
"Chi?"
"L'assassino che state cercando?"
"Lo chiamiamo lo Squartatore."
Evie inspira con forza - per cosa si usa questo? Ah già, giusto: per fare bambini da buttare poi nel Tamigi. - tutto in lei farsi liquido e gelido.
"Signorina Frye, potrebbe essere l'unica persona in grado di fermarlo."
Evie si guarda intorno, al centro del petto un grumo denso, pesante.
"Ho visto usare queste tecniche di inganno e dissimulazione solo una volta, signorina Frye, ed è stato con lei e suo fratello."

"Le donne sono tutte puttane."

"Faccia strada." mormora, asciutta.
"Vediamo in faccia questo mostro." conclude, incamminandosi giù per le scale.
Abberline la osserva confondersi nella nebbia di Whitechapel e diventarne parte.


This night is cutting into me
You tie me down, you watch me bleed
and we risk everything tonight.


L'India è rovente, umida; una patina appiccicosa che gli si incolla addosso, strappandogli il respiro.
Gli apprendisti alle sue spalle boccheggiano, alcuni facendosi vento con le mani, altri togliendosi direttamente cappuccio e mantello.
"Voglio morire." sibila uno di loro - Oliver, se ricorda bene.
"Cazzo, che caldo." ribatte un altro, sedendosi sul bordo del porto.
Jacob scocca a tutti loro occhiate interdette, resistendo all'impulso di spogliarsi e correre verso la prima fonte d'acqua.
"Piantatela di lamentarvi e alzatevi: non siamo qui per divertirci."
"Ah no?" lo interrompe una voce conosciuta - e dio, quanto gli era mancata.
Jacob si volta, incrocia il suo sguardo - addosso la sua stessa divisa, seppur gli sembri di un tessuto diverso, probabilmente più leggero.
Evie salta giù da un pila di casse, correndogli incontro e abbracciandolo.
Jacob si chiude attorno a lei come una tenaglia, respira il suo odore - sempre uguale, adesso intriso anche di una nota più decisa, forse ambra.
"Evie." mormora, e c'è tutto in quella parola - sei mesi di assenza e rimpianti.
"Jacob." replica lei, sfregandogli il naso nell'incavo del collo.
Oliver dà di gomito a Charlie - ma guardali; allora anche il capo ha un lato tenero - Jack si ritrae più nell'ombra, fissando Jacob ed Evie.

Io ti vedo, puttana.

Tra di loro il desiderio divora ogni pretesa.


1888

Mary Ann Nichols.

Io la conoscevo.

Gola recisa, vertebre del collo intaccate da una lama regolare, affilata.
Intestino rovesciato fuori dall'addome, organi genitali massacrati - un oggetto appuntito, probabilmente un coltello.

Io l'avevo già vista.

Elizabeth Stride.

In India, nel 1873. Con Jacob.

Catherine Eddowes.

Erano apprendiste. Ragazzine di strada, reclutate per la Confraternita.

Volto sfigurato, naso e lobo dell'orecchio sinistro asportati.
Palpebra dell'occhio destro mancante, addome sventrato da un unico taglio dalla gola al pube - stomaco e visceri estratti e poi appoggiati sulla spalla destra, rene sinistro e organi genitali rimossi e scomparsi.

Che cosa hai fatto, Jack?

Evie posa lo sguardo sull'ultima vittima - Annie Chapman.
Si inclina verso il suo corpo, notando l'assenza dell'anulare sinistro - dove avrebbe dovuto trovarsi l'anello della Confraternita.
Abberline tossisce, accostandosi un fazzoletto al naso.
"Qualche indizio?"
Evie annuisce, scoprendosi anestetizzata da tutto quel dolore - nella sua mente una sola, pulsante, idea.

E se avesse fatto lo stesso a Jacob?

Abberline sospira, affiancandola.
"Non potrò proteggere la vostra piccola organizzazione ancora a lungo, signorina Frye. I giornali accusano la polizia e i miei uomini accusano voi - lei."
Nessuna risposta.
"È mancata molto a Jacob."
Evie contrae le dita in un pugno chiuso, tace.
"Sa, questo disastro è iniziato molto prima di oggi."
Evie mantiene lo sguardo fisso sul volto di Annie, la ricorda ridere, e saltare da un albero all'altro.
"I Rooks sono fuori controllo da mesi e Whitechapel è caduta così in basso da essere irriconoscibile."
Evie percepisce la colpa scavare nella sua anima, toglierle ogni illusione - ogni speranza.
"Ci ha provato. Jacob, intendo. Ma non è stato abbastanza."
Non senza di lei, la silente accusa.
La memoria di suo padre ha corroso anche l'unica cosa abbia mai amato più di se stessa.


I, I am the misery you crave
and you, you are my faithful enemy.
This hunger seems to feed on me
A sacred sin, a dying breed
and we risk everything.

"Dici che vedremo una tigre?"
"Te lo sconsiglio." ribatte lei, fissando il cielo "Non sono animali socievoli."
Jacob l'affianca, i capelli ancora umidi, lo sguardo perso oltre l'orizzonte.
Ed è sempre uguale, suo fratello; ha qualche cicatrice in più - dovrai poi raccontarmi come te le sei fatte - eppure Evie può percepire un cambiamento nel suo sguardo, sotto la pelle.
"Quindi adesso risiedi qui?"
Evie annuisce, sporgendosi oltre il bordo della terrazza.
"Amritsar non è male: la sede della Confraternita aveva diverse stanze libere e sono stati contenti di offrimene una."
Jacob tace, non ha bisogno di dirlo perché Evie lo sappia.
"No, Henry non è qui."
Jacob inclina il mento verso di lei, negli occhi una luce vorace, bellicosa.
"A dire la verità non ci parliamo da tre mesi."
"Uhm."
"Dopo la sua riammissione nella Confraternita ha pensato che io fossi disposta nei suoi confronti."
Jacob perserva nel suo silenzio, fissa il via e vai di persone per le bancarelle che affollano le strade, ogni angolo della città.
"La mia cortese proposta di assisterli nella ricerca del traditore e dell'artefatto ha generato in lui alcune illusioni."
Jacob libera un suono derisorio, irritato.
Evie aggrotta le sopracciglia, perplessa.
"Se stai pensando che..."
"No." la interrompe Jacob, alzando una mano nella sua direzione "Stavo solo immaginando la sua faccia di merda."
Evie inspira con forza, stringendo il cornicione tra le dita.
"Non è stato uno spettacolo gradevole."
"Oh, che peccato essermelo perso."
"Jacob Frye." lo riprende lei, ma non c'è astio nella sua voce - rabbia.
"Evie." mormora lui, sorridendole.
Ed è sempre Jacob, ma al tempo stesso sta mutando sotto le sue mani - senza di lei.
E c'è adesso una nota dolente nel modo in cui la bacia - un'urgenza che non appartiene più all'età né alla giovinezza.
Morde, Jacob, e c'è una brutalità che spinge entrambi a collidere - una frenesia che supera le incertezze, la vergogna.
Evie geme quando Jacob affonda in lei senza preavviso - soffoca un grido contro la sua mano, scoprendosi già umida, bagnata.
E assomiglia a una lotta il loro ritrovarsi - una battaglia nella quale rovesciano mesi di frustrazione e distanza.
"Perché sei stata via così tanto?" mormora Jacob, lambendo in punta di lingua la curva piena del seno.
"Perché non sei venuto prima?" ribatte lei, premendogli la dita attorno la gola e stringendo - percependolo irrigidirsi lungo le braccia, tra le cosce.
E non serve a niente, lo sanno entrambi; hanno ruoli da interpretare, maschere da indossare.
"Mentore, uhm?" lo prende in giro lei, accogliendo le sue spinte ora languide, lente.
"Ho anche la mia spilla personale, da vero boss." ride lui, baciandole un angolo delle labbra.
"Già mi immagino vantartene per tutta Londra" sussurra Evie, socchiudendo gli occhi - morbida tra le sue braccia, arrossata sulle guance, lungo il collo.
Jacob nasconde il viso tra i suoi capelli, libera una risata di gola, soddisfatta.
L'alba li troverà ancora l'uno sulla bocca dell'altro.


1888

Jack sa; Jack vede.

Evie Frye è tornata a casa.

"Sai, pensavo di riservarle lo spettacolo finale."
Jacob digrigna i denti, cerca di deglutire - non ci riesce.
"Un boom di sangue e budella, uhm? Solo per la nostra cara Evie."
Jacob socchiude l'occhio ancora sano, percepisce ogni osso scricchiolare, ogni muscolo gemere.
Jack inclina il capo verso la spalla, sorride - un volto oscenamente bello per un maniaco omicida del suo genere.
"Sei un traditore, Jacob: un fottuto malato."
Jacob riderebbe se non gli facesse male persino respirare, libera un rantolo sfiatato - agonico.
Jack si china alla sua altezza, attorno a lui un lezzo denso di sangue e carne marcia.
"Io vi vedo, Jacob."
"Non so di che cazzo stai parlando." mastica, cercando di raddrizzarsi.
Jack abbozza un sorriso condiscendente, premendogli una mano sul ginocchio e stringendo - facendolo gridare e urlare e supplicare.
"Tu e la tua sporca puttana. Sei un debole, Jacob. Un miserabile che mi ha salvato solo per la lavare la propria colpa."
"Fottiti."
"Potrei fottere la tua adorata Evie."
Jacob snuda i denti, si sposta in avanti, cercando di assestargli una testata che non va a buon fine.
"Oh, credo che gradirà il mio regalo per il suo ritorno: e poi ho lasciato i Rooks liberi di fare quello che vogliono con lei. In fondo, se è abituata a scopare suo fratello non vedo che problema ci possa mai essere."
Jacob inspira con forza - due costole rotte, almeno cinque incrinate - si solleva sui gomiti, fissandolo.
"Ti ammazzerà, Jack. Ti farà a pezzi."
Jack schiocca la lingua contro il palato, indossando la sua maschera di tela bianca e il cilindro.
"Forse. O forse prima la ucciderò io, svuotandole quell'addome indegno e portandoti il suo utero. Ti piace come idea, Jacob? Almeno non si è mai riempito con un immondo bambino; sai che disgrazia sarebbe stata?"
Il silenzio di Jacob è pieno di paura e rabbia.


They can never know just what we’ve done
They can never know just what we’ve done
They will never know all the blood we’ve shed.

Quattro anni; da tanto la loro vita è diventata un viaggio continuo tra l'India e Londra.
Evie osserva la città crescere attorno a lei, addosso ancora l'odore dolciastro dell'ambra.
"È diversa." gli dice, sollevando il viso verso il cielo.
"Sta cambiando, Evie."
Annuisce, cercando di ritrovarsi nel mezzo di quella confusione di rumori e voci - di recuperare la ragazzina scappata da Crawley una vita fa.
Jacob l'affianca, nel suo profilo una tensione nuova - seria, dolorosamente adulta.
Evie inspira, bloccandosi a metà del gesto; viene schiacciata dalla consapevolezza del tempo che passa, abbandonandoli agli estremi del mondo.
Jacob inclina il viso verso di lei, nel suo sguardo la stessa, tremenda, comprensione.
"Mi manchi, Evie."
Evie fruga nei suoi occhi, trovandovi solo una solitudine uguale alla sua - nella quale si riflette tutte le notti da mesi.
"Lo so."
Jacob allunga appena le dita verso di lei, sfiorandole una guancia.
"Tornerai mai?"
Sono qui, vorrebbe dirgli, ma le parole le muoiono in gola, soffocandola.
Jacob ritrae le mano, lasciandola ricadere lungo il fianco.
"Il Koh-i-Noor è perduto, Evie: forse dovresti arrenderti a questa evenienza."
Evie sfrega le mani tra loro, cercando di scrollarsi di dosso il freddo di Londra - dei suoi rimorsi.
"Sì. Sì, forse dovrei." ripete, piano.
"Ma non lo farai."
Nessuna risposta.
"Perché tu sei Evie Frye; degna figlia di Ethan Frye, e la missione viene prima di tutto."
Evie solleva il viso di scatto, sorpresa; erano anni che Jacob non tirava in mezzo loro padre. Anni in cui il disgusto non avevano più permeato le sue parole, men che meno verso di lei.
"La nostra eredità..."
Jacob emette un suono sprezzante, scostandosi.
"Tu sei la mia eredità, Evie." mastica, fissandola in tralice "Tu l'unica cosa di cui mi importi."

"Londra può bruciare, Evie: i templari e tutto il loro fottuto tempio."

Londra ruggisce, un animale d'acciaio e pietra che continua a espandersi - a cacciare i più deboli, riducendo i forti a sbranarsi a vicenda.
Evie si aggrappa al suo polso, incurante di essere in mezzo alla strada - a Whitechapel, dove tutto era iniziato.
"Non posso, Jacob. Non ancora. Se il Koh-i-Noor si trova in India devo riprenderlo e portarlo al sicuro."
Jacob continua a fissare le porte del pub, le labbra piegate in una smorfia triste, solo in parte arrabbiata.
Evie appoggia la fronte contro la sua spalla, liberando un solo, piccolo, singhiozzo.
Sono stanca anche io, vorrebbe dirgli.
Sono così stanca di essere sola in un paese straniero, Jacob. Di dovermi spiegare, e di non essere compresa, vorrebbe confessargli, e sta per farlo, quando percepisce le sue dita sulla nuca - tiepide, rassicuranti.
"Torniamo al treno." mormora, posandole un bacio tra i capelli.
Evie chiude gli occhi, respira - rimane immobile sotto una pioggia sottile, fredda.
"I Rook possono aspettare." prosegue, continuando ad accarezzarle la nuca.

Londra può aspettare.

Evie si passa il dorso della mano sulle palpebre, tirando su con il naso.

Un gesto che Jacob ricorda - che ha già visto quando erano piccoli e abbracciati nello spazio tra i loro letti.

"Agnes ha comprato persino quel tè terribile che ti piace tanto."
Evie gli rivolge uno sguardo lucido, in cui è crudelmente facile specchiarsi.

Perché è quello che rivedi ogni notte prima di addormentarti, idiota.

"Alla vaniglia?"
"Cos'altro?" ribatte lui, offrendole la mano.
Evie osserva le sue dita tese qualche secondo, intrecciandole alle proprie in fretta, senza incertezze.
"Signora." le dice poi, sbattendo la punta del bastone a terra e facendo comparire un ombrello.
Evie si avvicina al suo fianco e ascolta il battito del cuore di Jacob riportarla a casa.


1888

Abberline è un profilo curvo, contratto in un smorfia disgustata, piena di orrore.
"Aveva solo venticinque anni."
Evie osserva ciò che è rimasto di Mary Jane Kelly come se non fosse lì con lei, nella stessa stanza in cui il sangue gronda dal materasso, inzuppando il pavimento dissestato.
Non è rimasto nulla del suo viso, se non un ammasso di carne e pelle scavata fino all'osso - una voragine dalla quale Mary urla, e l'accusa di ogni singola morte.
Abberline si volta, fissandola.
"Non posso più proteggervi."
Evie sposta lo sguardo alla sua destra - sul comodino ciò che resta dei seni, parte dello stomaco e i due polmoni - tra le mani un rosario di viscere e tra le cosce, smembrate e straziate, l'utero e il resto.
"Manca il cuore." percepisce se stessa contemplare, la sua voce un'eco lontana, distante.
Abberline tossisce un paio di volte, sembra trattenere un conato.
"Deve averlo portato via con sé."
"Hai sentito almeno una parola di quello che ho detto?" le ripete Abberline, ma Evie non c'è - si è appena trasformata in un ammasso di adrenalina e rabbia.
"Era una delle reclute di Jacob." mormora, inspirando con forza - giù per la gola sangue e merda.
"Il messaggio." continua, nelle sue parole una nota stridente - vicina all'isteria.
"Segui la scia di sangue oltre lo specchio." prosegue, negli occhi una scintilla febbrile, che Abberline riconosce come l'inizio della follia.

O dell'odio.

"Signorina Frye: non lasci che la sua collera la renda imprudente e..."
"Avrà la testa dello Squartatore, ispettore." proclama, e c'è qualcosa nel suo sguardo - una durezza risoluta, incrollabile.

Definitiva.

"Se morirò, lo porterò con me." conclude, arrampicandosi sulla finestra e poi verso il tetto.
Abberline si sporge oltre il bordo, rovesciando la testa all'insù - intravedendo solo un profilo sfocato, che salta da un palazzo all'altro.
I Frye hanno liberato Londra; insieme la salveranno o la vedranno morire.


The scarlet cross we bear until the bitter end
And they, they can never know just what we’ve done.

È passato il tempo tra le loro dita, sulla loro pelle.
Li ha feriti, scrivendo nuove storie, cicatrici di cui hanno seguito ogni contorno con le mani, in punta di lingua.
Non c'è traccia dell'artefatto e persino Henry si è arreso a un'evidenza più che chiara - Evie odia stare qui.
Jacob lo saluta con un lieve cenno del capo, sul viso un'espressione cupa, che lo rende orrendamente simile a suo padre.
"Greenie." gli dice poi, togliendosi il cilindro.
Ed è ancora Jacob, solo più pericoloso: ha perso l'imprudenza della giovinezza e adesso affronta la vita con un'efficienza che lo rende una perfetta macchina per uccidere.

Tutto quello che tu non sei mai stato.

"Jacob." replica lui, quieto.
"Ho saputo del tuo matrimonio: congratulazioni." aggiunge, lisciandosi una piega immaginaria sul cappotto.
"Grazie."
"Tua moglie è già incinta."
"Dicono sarà un maschio."
Jacob abbozza un sorriso a metà, freddo.
"Ah, le gioie della paternità. Allora non spari a vuoto, dopotutto." prosegue, battendogli una mano sulla spalla.
Henry lo fissa dritto negli occhi, Jacob ne sostiene lo sguardo e non c'è ironia nelle sue parole, né felicità: solo una sottile vena derisoria, forse persino crudele.
"Evie sarà pronta tra poco: la Confraternita e le reclute sono molto dispiaciute nel vederla andare via."
"Così vanno le cose." ribatte Jacob, arcuando appena un angolo delle labbra.
"Se avremo nuove notizie sull'artefatto non esiteremo a contattarvi."
Jacob annuisce, inclinando appena il mento verso il petto.
"Come vanno le cose a Londra?"
Jacob si stringe nelle spalle, emettendo un suono ambiguo - privo di significato.
"Ho saputo che c'è qualche problema con un tuo apprendista."
"Uhm."
"Il piccolo Jack, se non sbaglio."
Jacob ridacchia, continuando a lasciar scivolare il bordo del cilindro tra le dita.
"Ormai è alto più di me e te messi insieme, Greenie: un mostro di quasi due metri."
Henry sgrana gli occhi a quell'affermazione, ricordando un ragazzino esile e tutto ossa.
Sa che dovrebbe offrirgli il suo aiuto, ma non ci riesce - non vuole.
La sensazione strisciante che aveva avvertito fin dal primo giorno che l'aveva incontrato si era fatta più forte negli anni, facendogli drizzare i peli sulla nuca e stringere le viscere.

Jacob Frye era una bestia: un animale travestito da uomo, una creatura selvatica che non riusciva né a capire né a domare.

Eppure eccolo lì, impeccabile nel suo Chesterfield nero lungo fino al ginocchio - sotto coltelli affilati e la fedele lama celata al polso.
Jacob sposta poi lo sguardo oltre la sua spalla, schiudendo le labbra in un sorriso vero, autentico.

Che aveva visto solo quando entrava nella stanza lei.

"Evie." la chiama, e lei gli corre incontro, lasciando cadere la valigia sul ciglio della strada.
"Jacob." ride lei, ed Henry si sposta di lato, nel petto una vecchia ferita pungere, riportandolo indietro di almeno dieci anni.

"Torno a prendere mia sorella, Greenie. Comincio a pensare che quell'artefatto tu l'abbia nascosto sotto il letto di casa tua per farmi dispetto."

Jacob la stringe a sé - come farebbe un fratello - le bacia la fronte - come è normale che sia - le palpebre - un gesto di quando erano bambini.
Evie libera una risata leggera, che non le aveva mai sentito fare - non da quando era arrivata in India.
E brucia, Evie, cercando gli occhi di suo fratello - tra di loro un dialogo silenzioso e privato.

Uguale a quando Ajala lo guarda e gli dice ti amo, Jayadeep Mir.

I sospetti di Henry riemergono dalla palude nei quali aveva cercato di soffocarli.


1888

"Tieni: ho un pensierino per te."
Jacob solleva appena il viso dal petto, cercando di mettere a fuoco la stanza.
"Magari ti terrà compagnia: in fondo, dovresti riconoscerlo in fretta."

Plotch.

Jack gli schiude le dita, costringendolo ad aprire le mani.
"Ha urlato, se vuoi saperlo; e tanto."

Plotch. Plotch.

Jacob percepisce qualcosa di molliccio e viscido appoggiarsi sul palmo della mano, l'odore di sangue e metallo colpirlo come un pugno nello stomaco.
"Gliel'ho sfilato mentre era ancora viva, Jacob; proprio come si fa con i vitelli o le vacche. Una piccola incisione circolare e zac, via i legamenti, questo sacchetto immondo."
Jacob respira sempre più fretta, nella mente gridare una sola parola - no no no no no.
Jack si rialza, concedendogli qualche pacca condiscendente sulla testa.
"Sono stato bravo; potevo passare dalla via più facile - lasciare integra la sua dignità, diciamo, ma ho pensato perché mai? In fondo, se l'ha usata per fottersi suo fratello di cosa dovrei preoccuparmi?"

Plotch.

Jacob sgrana l'occhio ancora sano, comprende - snuda i denti, la parte ancora razionale di lui che esplode, dicendogli che no, Evie non si sarebbe mai fatta catturare, non è possibile, non...
"L'ho squarciata, Jacob; da parte a parte."
Jacob richiude le dita in un pugno chiuso, resiste all'impulso di lanciargli quello che adesso sa essere un utero in faccia - lo lascia poi cadere a terra, nel suo stesso sangue.
"Avresti dovuta vederla; dall'ombelico in giù non è rimasto più niente di riconoscibile ed è un bene, Jacob, un bene. Voglio dire: che fosse una puttana l'ho sempre saputo - così fottutamente precisa, puntigliosa - ma che fosse la tua, oh, questa è stata una rivoltante scoperta."
Jacob libera un suono asimmetrico, che sorprende persino Jack.
"Cosa stai facendo?"
E ride, Jacob: ride, perché sa che Evie è viva - che se fosse morta ora sarebbe, davanti a lui, nelle stesse condizioni che gli sta descrivendo Jack.
Ride, e graffia la sua voce - arrugginita, logora.
Jack avanza, scrollandolo con forza - facendogli sbattere la nuca contro la parete della cella.
"Smettila!" bercia, assestandogli un manrovescio che gli fa sputare un dente.
"Smettila, smettila!" ripete, colpendolo fino a quando quel suono non diventa un rantolio sfiatato - che tuttavia persiste, aggrappandosi ai suoi pensieri, a ciò che resta di entrambi.
Jack ansima, studiandolo in silenzio.
"Spero ti faccia molto male." sussurra Jacob, prima di perdere conoscenza.
Sul fondo della follia, Mentore e allievo si sono infine incontrati.


Nothing good will come of this
I’m screaming out with my last aching breath
I’ll be yours until my dying day
but I can never see you.

Sono cresciuti; questo il primo pensiero che gli attraversa la mente.
Dio, quanto sono vecchio, il secondo, accompagnato da un sorriso malinconico, un po' triste.
"Oh, guarda chi è venuto a trovarci." lo accoglie Jacob, stendendo il braccio verso l'interno della carrozza.
Evie si alza, negli occhi una scintilla divertita, uguale a quando era ancora una bambina.
"Allora? Le tue ossa hanno retto il viaggio fino a Londra?"
"Moccioso maleducato." lo apostrofa George, conficcandogli il pomello del bastone nel fianco "A guardarti in faccia sembri più vecchio di me."
Jacob si passa le mani nei capelli, ammiccando.
"Sei un pessimo bugiardo, George; la mia bellezza è incontestabile."
"Così pieno di te da bastare per tutta Londra." ribatte Evie, avvicinandosi.
George si lascia abbracciare, un po' imbarazzato - non più abituato a queste esternazioni di affetto.
E li guarda, George, l'instinto dell'assassino più forte di ogni altra cosa.
Li studia in silenzio mentre chiacchierano del più e del meno, Evie che prepara il tè e Jacob che taglia distrattamente il pane, ciarlando dei Rooks e dei pub in città.
Scompone la loro prossemica, i gesti delicati con i quali Evie sposta suo fratello di lato, quelli familiari con cui Jacob le toglie una ciocca di capelli dalla fronte, mettendogliela dietro l'orecchio.
Non parlano dell'India; non l'avevano fatto nemmeno quando Evie era appena rientrata, quasi tre anni prima.
Li aveva accolti in stazione con l'idea di trovarli diversi - Evie frustrata dal mancato recupero dell'artefatto e Jacob irritato dal suo atteggiamento - e invece si era trovato davanti due persone serene, così spudoramente contente da ricordargli quando erano piccoli e aveva regalato loro due lame gemelle.
Jacob posa il sandwich mezzo masticato nel piattino, guardandolo.
"Sei venuto a parlarci della casa di Crawley, giusto?"
George si schiarisce la voce, ritrovando il filo dei suoi pensieri.
"Sì."
Evie preme le labbra in una linea sottile, annuendo.
"Sto diventando vecchio." ammette "E le ultime due missioni mi hanno fortemente compromesso." prosegue, tamburellando con le dita sulla coscia.
Jacob fissa il punto da lui indicato, quieto.
"Hai rischiato di morire."
"Sì, be', un miracolo il proiettile non abbia reciso l'arteria; ma i tendini sono irrimediabilmente danneggiati, per cui dovrò dire addio ai salti sui tetti per sempre."
Evie gli sfiora il dorso della mano con le dita, comprensiva.
"Proponi di venderla?"
George alza un sopracciglio, incerto.
"È molto grande. Al momento mi sto occupando del mantenimento, ma sarebbe la scelta migliore."
Jacob si passa una mano tra i capelli, Evie sembra soppesare le sue parole, grattandosi l'interno del polso.
"A meno che voi non abbiate altri piani."
"Cosa intendi?" replica Evie, inclinando il capo verso la spalla.
George si raddrizza contro lo schienale, posando il bastone in grembo.
"La casa era stata concepita per ospitare una famiglia; Ethan e Cecily si erano aspettati di avere più di un bambino."
Jacob ed Evie si scambiano un'occhiata tesa, inquieta.
"Non voglio farmi gli affari vostri, siete due adulti ormai, ma avete superato entrambi i trent'anni e mi chiedevo se uno di voi avesse mai valutato la possibilità di... be', usarla."
Evie si umetta le labbra, scostandosi appena.
"Mi stai chiedendo se ho pretendente, George?"
"Se l'avete entrambi, a dir la verità."
Jacob appoggia un piede sul ginocchio, slacciandosi il primo bottone della camicia.
"Londra e la sua gestione ci occupano la maggior parte del tempo."
George sposta con la punta dell'indice un pezzo di pomodoro, annuisce.
"Nessuno di noi due ha tempo per una relazione." conferma Evie, tra le sue parole una flessione che George riconosce come ritrosia, disagio.
"Peccato: mi sarebbe piaciuto vedere gli inarrestabili gemelli Frye alle prese con dei marmocchi urlanti e strepitanti."
"Oh, bastano i Rooks." ribatte subito Jacob, nella sua voce una nota forzatamente allegra.
"E ci sono gli orfani: la città ne è piena e Clara sa sempre dove trovarne di nuovi."
George li guarda di sottecchi, frugando le loro espressioni, la curva dei loro corpi, i piccoli tic nervosi che non accorgono nemmeno di ripetere da sempre.

"Lo fanno spesso?"
"Cosa?"
"Questo." ribatte George, fissando la piccola Evie arrotolata tra le braccia di suo fratello.
Ethan si era scrollato nelle spalle, esausto.
"Da quando sono arrivati: Gwendolen mi ha detto che l'hanno fatto fin dal primo giorno nella culla."
George inclina il viso verso il basso, studiando l'espressione rilassata della bambina, il modo in cui intreccia le braccia e le gambe a Jacob.
"Sono bambini." aggiunge Ethan, soffocando uno sbadiglio.
"Ma cresceranno." gli dice George, trovandoli tragicamente carini - morbosamente legati.
"Per quel tempo si eviteranno come la peste; gli adolescenti non sopportano le invasioni dei loro spazi."
George aveva sfiorato la fronte di Evie, socchiudendo la bocca quando gli occhi di Jacob si erano aperti all'improvviso, fissandolo.
"Ehi." sussurra George, sorridendogli.
Jacob gli riserva unoa sguardo per nulla amichevole, aggrottando le sopracciglia.
"Sono un amico di vostro padre."
Ethan appoggia la testa contro lo stipite della porta, massaggiandosi le palpebre.
"Li hai svegliati?"
"No." mormora George, mantenendo il contatto visivo con Jacob.
"Jacob, smettila." lo apostrofa Ethan, sapendo già cosa aspettarsi.
Il bambino lo ignora, rafforzando la presa attorno sua sorella - per adesso più piccola di lui, esile.
Ethan sospira, avvicinandosi a George e prendendolo per un gomito.
"Usciamo. Fa sempre così. Che sia Nellie o io stesso, spalanca gli occhi appena tocchi Evie."
George si lascia accompagnare fuori dalla stanza, nella mente lo sguardo di Jacob - vattene. Non sei gradito qui.
Ethan si richiude la porta alle spalle, scendendo i gradini due alla volta.
"Devono ancora abituarsi." gli spiega, versandosi due dita di bourbon.
"Credo voglia proteggerla." aggiunge, bevendone un sorso "E sarebbe anche una cosa onorevole se non fosse che quando scenderanno in strada uno dei due potrebbe morire e l'altro non esserci per difenderlo."
George accetta il bourbon, pensieroso.
"Si alleneranno insieme." gli dice poi Ethan, schioccando la lingua contro il palato.
"Ne farò un'unica arma, un solo corpo: dove mancherà uno, arriverà l'altro."
George si era dichiarato d'accordo con quella proposta, trovandola rischiosa, ma perfetta per i due gemelli, già così visceralmente intrecciati l'uno nell'altro.
Ethan lo aveva congedato con un sorriso a metà, nostalgico - il tempo incapace di lenire il suo dolore.
Anni dopo, davanti la sua tomba, Jacob ed Evie non avevano pianto nemmeno una lacrima.

Jacob addenta il suo sandwich lasciato a metà, ruba dal piatto di sua sorella una fetta di pane - Ehi! Brutto schifoso. - Evie gli lancia contro il tovagliolo, colpendolo in piena faccia.

Un'unica arma, un solo corpo.

La casa di Crawley custodirà i loro segreti fino alla fine.


1888

"E così Evie Frye è tornata a casa, uhm?"
Jack la osserva dall'altro, inclinando il capo in un movimento curioso, che lo assomigliare a un rapace notturno.
"Io ti vedo, Jack." mormora Evie, studiandolo.
"Oh, lo so, Evie. Lo so."
Jack indica i propri occhi con le dita, puntandole poi su di lei.
"Hai tradito Jacob."
Jack salta, e quando atterra sposta diversi detriti con la sola forza del suo peso.
"Io?" ribatte, nella voce una nota furiosa a malapena contenuta.
"Io avrei tradito quel fottuto malato di tuo fratello?"
Evie rafforza la presa attorno ai propri karas, flettendo le cosce parallele al pavimento.
Jack ridacchia, scuotendo la testa.
"Io vi ho visti, Evie."
Nessuna risposta.
Jack solleva il mento verso l'alto, dilatando le narici.
"Ero gracile, ma veloce; agile come un ratto."
Evie non abbandona il contatto visivo, respira piano, sensibile anche al più piccolo spostamento d'aria.
"Mia madre lo diceva sempre."
Jack indossa una maschera in tela bianca - scompare, e (ri)nasce adesso lo Squartatore.
"Siete solo delle puttane che abbandonano i propri figli deformi in posti come questo."
"Tua madre è stata uccisa, Jack: dagli uomini di Starrick." sussurra, retrocedendo appena.
"E dov'era il tuo prezioso fratello mentre la sbudellavano e la stupravano davanti ai miei occhi, uhm?"
"Non è colpa sua." ripete, ma Jack è enorme davanti a lei - un cazzo di gigante senza più volto.
"Coraggio, guarda, dicevano: coraggio, ragazzino, non avere paura."
Jack avanza in due ampie falcate, Evie scarta di lato, ogni muscolo dolorosamente teso dall'adrenalina.
"Coraggio, marmocchio." ringhia, estraendo due coltelli lunghi quanto una spada corta "Impara come far godere una donna."
Evie vede il primo attacco arrivare, ruota all'indietro, atterrando sulla rampa di scale inferiore.
"Coraggio, signorina Frye." grida adesso Jack "Fammi un po' vedere se il tuo Credo può qualcosa contro il mio Credo."
Evie si volta e comincia a correre.


We, we knew how this would end
and we knew we’d die before we lived
but I’ll never let you go
I’ll never let you go.

Il nuovo Gran Maestro ha occhi acuti, di un azzurro così limpido da sembrare trasparenti.
Il nuovo Gran Maestro sa di loro - gli sorride da lontano, quieto nel suo posto in prima fila a teatro.
"Bedelia le Savage." mormora Evie, stretta in un corsetto blu pavone.
Jacob si allenta la cravatta, una Ascot rosso cupo, che le ricorda il colore del sangue coagulato.
"Il nuovo Gran Maestro." specifica Jacob, sedendosi al suo fianco.
Evie preme le labbra in una linea sottile, stropicciando la stoffa della gonna tra il pollice e l'indice.
"Pensavo non sarebbero più tornati."
Jacob intreccia le dita sull'addome, tamburellando sui bottoni di un gilet doppio petto jacquard nero e oro.
"Londra è una città difficile."
Evie alza un sopracciglio, fissandolo di sbieco.
"Ho imparato molto mentre eri in India, Evie." sospira Jacob, resistendo all'impulso di appoggiare i piedi sulla ringhiera della balconata.
"Non abbastanza da tenere fuori i templari da Londra."
Jacob indurisce lo sguardo, mostrandole una serietà a cui si è dovuta abituare i primi mesi - spigoli e angoli che la ferivano a ogni contatto, ogni respiro.
"Siamo entrambi necessari, Evie: finché il piatto della bilancia pende dalla nostra parte andrà tutto bene."
"E quando non lo farà più?"
Jacob si sporge verso di lei, fissandola negli occhi.
"Allora combatteremo, Evie; esattamente come abbiamo fatto quindici anni fa."
"Mi sembra un azzardo."
"Solo noi sappiamo dov'è il frammento dell'Eden."
"Ed Henry."
Jacob irrigidisce un nervo sotto la mandibola, sfiorandole una guancia con il dorso della mano.
"E Greenie. Sempre che non lo mangi prima una tigre. Il che ci farebbe un gran favore."
Evie libera un suono a metà tra la risata e lo sbuffo, picchiettandogli l'indice sul petto.
"Dov'è finito il fratello che tagliava la gola a chiunque indossasse una croce templare?"
Jacob sorride, inclinando appena il capo verso la spalla.
"Ha capito che senza un piano a lungo termine siamo solo tagliagole senza il senso del futuro."
Il teatro cala nel buio mentre Jacob la bacia senza vergogna.


1888

"Questo mondo è permeato dalla malattia." bercia Jack, colpendola al fianco - schiacciandole due costole, forse perforandole il polmone.
"Questa città è marcia, signorina Frye: putrida, fetida come i cadaveri sui quali è costruita."
Evie rotola di lato, sbattendo contro una parete e dandosi la spinta con i talloni per evitare il fendente di Jack.
"Il Credo ne è stato infettato, Evie: sta guastandosi dall'interno."
Jack riesce a pestarle una mano, strappandole un un grido a metà.
"Jacob motteggiava tanto di pulizia e onestà e correttezza, ma ha lasciato che una troia come Bedelia girasse indisturbata per le strade. Che bambini morissero, fossero un male necessario. Un merdoso danno collaterale."
Evie afferra una bomba fumogena, sganciandola dalla cintura e lasciandola scivolare tra gli stivali di Jack - correndo verso le scale quando esplode e nascondendosi nelle ombre del soffitto.
"Evie Frye!" grida Jack, tossendo.
"Sei patetica!" prosegue, buttando sull'impiantito il cilindro.
"Mostrami la tua faccia da puttana, codarda! Tu e tuo fratello siete un residuo, una fottuta scheggia di passato: una reliquia di un Credo morto, morto!" urla, graffiandole le orecchie, la mente.
Jack ruggisce - libera un suono orrendo, che assomiglia al latrato rabbioso di un animale.
Evie chiude gli occhi e quando li riapre vede.


They will never know all the blood we shed
The scarlet cross we bear until the bitter end
and they, they can never know just what we’ve done.

Non hanno venduto la casa di Crawley.
Sono rimasti quattro giorni e tre notti a fissarne le pareti, riscoprire vecchi anfratti e nascondigli con i quali giocavano da bambini.
"Non credo di poterne avere."
Jacob alza appena un sopracciglio, l'unico segno tangibile che sia ancora sveglio.
Evie si porta le ginocchia al petto, attorno a loro il silenzio di una casa vuota, nella quale ci sono solo loro e il crepitio del fuoco.
"Figli, intendo."
Jacob socchiude le palpebre, fissandola.
Evie inclina il viso verso di lui, quieta.
"Sarebbe già successo, no?"
"Potrei essere io." la sorprende Jacob, nella voce una nota assonnata, morbida.
Evie sembra riflettere su quella possibilità, viene presa in contropiede dalla domanda successiva.
"A meno che tu non ci abbia già provato."
Nessuna risposta.
"Sei stata via tanto, Evie." aggiunge lui, intrecciando le dita sull'addome.
"Vale anche per te."
Jacob schiocca la lingua contro il palato, scuotendo la testa.
"No." ribatte lui, mostrandole un'onesta disarmante.
"Avresti potuto."
"Cristo, Evie, devi sempre essere così sulla difensiva?" sbotta lui, stropicciandosi il viso con entrambe le mani.
Evie si raggomitola nell'angolo del divano, portandosi la coperta fino al mento.
Jacob appoggia i gomiti sulle ginocchia, guardandola in tralice.
"Sedici anni, Evie. Li ho contati."
Evie tace, parte del volto illuminata dal fuoco morente.
"Ci abbiamo sempre girato intorno, ma forse sarebbe ora di smetterla."
Evie si umetta le labbra, aggrottando le sopracciglia.
"Neanche io." mormora poi, posando lo sguardo sopra il camino.
Jacob si massaggia i polsi, aspetta.
"Henry è stato molto... insistente. E galante, a modo suo."
Jacob arriccia le labbra in una smorfia, tra i denti un Greenie e mezza bocca.
"Ma no, Jacob. Non era quella la vita alla quale ero interessata."
Le spalle di Jacob si raddrizzano, quasi si fossero liberate di un peso - e anche Evie si sente un po' più leggera, meno rattrappita in se stessa.
"Perché abbiamo tenuto la casa?"
Jacob sospira, reclinandosi all'indietro.
"Lo sappiamo entrambi, Evie."

Perché è qui che moriremo.
Che vogliamo tornare e vivere i nostri ultimi giorni - liberi, di nuovo insieme.

Evie gli si avvicina, circondandogli il petto con le braccia.

"Potremmo morire domani, sorella."
"Lo so."

Jacob le accarezza la nuca, assorto.

"Nulla è reale, tutto è lecito."

Evie gli allunga parte della coperta, stringendosi a lui come quando erano piccoli ed Ethan li trovava così, avvolti l'uno nell'altro e addormentati in cima alle scale, probabilmente nel tentativo di spiarlo nel suo studio.
Nel sonno, le voci di quei bambini non smettono mai di ridere.


1888

"Io non sono come te." ansima Evie, accoltellando per l'ennesima volta.
"Tu eri un assassino, adesso sei solo un mostro." sibila, trapassandogli il fegato e ruotando la lama molto, molto lentamente.
Jack si aggrappa alle sue braccia, fissandola con occhi lucidi di follia e rabbia.
Evie non ha paura e si riflette in quell'abisso di disperazione e morte - affonda, fino a quando non è sporca di sangue ovunque, persino nell'anima.
Jack sorride - fili rossi lungo il mento, tra i denti.
"Tu ed io..." mormora, espettorando saliva e sangue.
"Tu ed io siamo uguali." ride, giù per la gola un suono umido, gorgogliante.
Evie stringe le dita in pugni chiusi, si accorge di star gridando solo quando il respiro di Jack muore - tra le cosce una chiazza d'urina che va allargandosi.
"Ti odio." bercia Evie, dandogli un primo calcio.
"Ti odio, ti odio, ti odio." ripete, infierendo sul suo corpo inerte.
Uno dei pazienti scappa quando ne incrocia lo sguardo, e in una pozza d'acqua Evie vede se stessa - siamo uguali, io e te.
Si ferma a metà del corridoio, cercando di riprendere fiato.
"Sei pesante, grandissimo pezzo di merda." sussurra, gettando un'occhiata alle sue spalle.
"Ma non posso lasciarti qui, dove tutti ti troverebbero." continua, trascinandolo verso la cella dove crede sia Jacob.
Evie libera una risata aspra, gracchiante.
"Se Jacob è morto..."

"Siamo uguali, tu ed io."

Evie si ferma con la mano libera sul catenaccio della porta, nella smorfia che le deforma le labbra la prova di quanto la sua sanità sia sull'orlo del baratro.

Crick, crick, crack; non ho potuto catturare lo Squartatore, ispettore Abberline.
Mi dispiace tanto.

Evie inspira con forza, spingendo con la spalla sulla superficie in legno e quasi perdendo l'equilibrio quando riesce ad aprirla.

Jacob.

Davanti a lei il corpo di Jacob assomiglia già a quello di un fantasma.


I will never let you go
They can never know just what we’ve done
I will never let you go

We knew how this would end.

Sono cambiati, eppure non si sono mai persi.
Si sono cercati sul ciglio del mondo, quando tutto sembrava smarrito e mentre la guerra ruggiva, reclamando per sé tutto ciò che era rimasto della loro innocenza.
Jacob l'aveva baciata con un'urgenza disperata, febbrile.
Evie gli aveva preso il viso tra le mani, rassicurandolo.
Vieni anche tu, gli aveva detto.
Londra resisterà qualche mese senza di noi, si era illusa.
Jacob le riserva uno sguardo triste, appoggiando la fronte contro la sua.
"Sto perdendo i Rook." le confessa, guardandola.
Evie rafforza la presa sulle sue braccia, premendo le labbra tra loro.
"Ma tu lo sapevi già."
"Sì."
"Non è una bella situazione, Evie."
"Lo so."
Jacob chiude gli occhi, riaprendoli subito dopo.
"L'hanno trovato davvero?"
Evie annuisce, il viso un ovale pallido e freddo.
Jacob china il capo, tra di loro lo spazio di un respiro.
"Se è una cazzata di Greenie..."
"Non è stato lui a mandarmi la lettera: l'hai visto."
Jacob tace, le dita premerle nella carne, oltre la stoffa pesante del cappotto.
"Vieni con me." ripete Evie, e sa che i ruoli si sono invertiti - che Londra sta affogando nel suo stesso sangue, sventrata dal figlio prediletto.
Jacob le regala un sorriso malinconico, che le fa venir voglia di piangere e rimanere lì, seduta con lui per sempre.
"Cerca di esserci per il nostro compleanno, uhm?"
Evie apre la bocca, richiudendola subito dopo.
"È tra otto mesi a partire da domani." continua, baciandola languidamente, senza fretta.
"Credo siano più che sufficienti per andare a riprendere quel fottuto Koh-i e qualcosa e tornare."
Evie ride, ma Jacob riesce a percepire il piccolo singhiozzo che nasconde la sua voce - lo stesso pugno di lacrime e rassegnazione che soffoca anche lui.

"Ce l'ho fatta, Jacob; sono qui, è finita."

È il nove aprile 1888: il regno di Jack lo Squartatore ha appena avuto inizio.

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Capitolo 4
*** (Α)&(Ω) ***




(Α)&(Ω)



1.

"Tu conoscevi i tuoi genitori?"
"No."
"Erano assassini? Sono morti in missione?"
Una scrollata di spalle, seguita dal click della pistola nella fondina.
"No e ancora no."
Sam la studia in silenzio, incuriosito.
"Non credo di ricordare il tuo nome."
"Ah, pessima tecnica di corteggiamento. Non ti ho mai detto come mi chiamo."
Il ragazzo abbozza un sorriso a metà, leggermente imbarazzato.
"Rimedio subito: Sam Crowder, Confraternita britannica degli Assassini."
La ragazza infila un coltello tra il polpaccio e lo stivale, tendendogli la mano.
"Lydia Frye; stessa Confraternita della tua."
Sam apre la bocca in un o ridicola - sorpresa.
Lo sguardo di Lydia si illumina di una scintilla furba, divertita.
"Già: faccio questo effetto quando sentono il mio cognome."
Lydia gli batte la mano sulla schiena un paio di volte, oltrepassandolo; il ritratto dei gemelli Frye lo fissa dalla parete della sala in silenzio.


(A)

Londra è perduta.

Per adesso.

Evie posa lo sguardo fuori dalla finestra, il davanzale già ricoperto da un sottile strato di neve.
"Abberline ti credeva morto."
"Non ci è poi andato molto lontano."
Evie si volta, le palpebre pesanti di sonno e preoccupazione.
Jacob apre e chiude le dita delle mani lentamente, le nocche ancora gonfie e tumefatte.
"Il ginocchio è ridotto male."
Jacob tace, fermandosi nei suoi movimenti.
"Non sono sicuri tu possa tornare a camminare come prima."
"Magnifico."
Evie si alza, sedendosi al suo fianco.
"Ci proveremo comunque."
Jacob preme le labbra in una linea biancastra, l'occhio destro ormai completamente cieco.
Evie scivola sotto le lenzuola, sfiorandogli la benda che gli ricopre l'orbita svuotata.
"Adesso ho capito, Jacob." mormora, nella sua voce una nota spietata - durissima.
Jacob inclina il viso verso di lei, assorto.
Evie ne sostiene lo sguardo, sul fondo della pupilla una luce famelica - pericolosa.

Lupi e aquile non sono fatte per vivere nella giungla, ma per conquistare il cielo e la terra.

"Adesso so." confessa, cercandogli la bocca in un bacio esigente, pieno di tutto.

"Londra può bruciare, Evie. Londra e i templari e tutto il resto."

Ciò che sono nemmeno la morte può cambiarlo.


2.

La guerra è arrivata, ma loro questa volta non la combatteranno.
Sorvola i cieli, ruggisce nei mari, ma riposano le loro lame - quiete, saziate.
"Dove sono finiti i funghi?"
"Non ne ho la più pallida idea."
Evie libera un suono dal fondo della gola, irritato.
"Li hai mangiati."
"No."
"Jacob Frye, sei un pessimo bugiardo."
Una risata trattenuta, il fruscio di un giornale che viene richiuso.
"Ti odio."
"Sorella, sei crudele. Vuoi uccidermi di crepacuore?"
Evie gli lancia contro un uovo che Jacob afferra al volo, incrociando le caviglie sotto il tavolo.
"Sei come l'erba cattiva: non muori mai." ribatte lei, dandogli le spalle.
Jacob si alza, appoggiandole il mento nell'incavo del collo.
"Mi piacerebbe." mormora contro la sua pelle "Ma rimarrei solo, per cui declino l'offerta."

"E poi invecchieresti senza di me. Diventeresti come nostro padre."
"Un destino peggiore della morte."

Evie si blocca a metà del gesto di tagliare un pomodoro, cercandogli le mani e intrecciando le proprie dita alle sue.
"Siamo già vecchi, Jacob; non te ne sei accorto?"
"No." ribatte lui, baciandole una tempia "E nemmeno mi importa."
Evie chiude gli occhi, reclinandosi all'indietro.

"Il mio sangue è il tuo sangue."

La guerra avanza, implacabile.
Davanti a loro il tempo non è più una scommessa.


(Ω)

Sono soli i gemelli Frye; di nuovo sperduti in una foresta di lame e acciaio.
Sono soli, ma sono insieme - e non sono più bambini.

"Siamo Jacob ed Evie Frye, e da questo momento lavorate per noi."

Evie ha studiato la situazione, il terreno; ha visto i Rooks disperdersi, combattere tra di loro - sbranarsi come branchi di cani selvatici.
"Signori." esordisce, estraendo i due kukri che portava al fianco.
Uno dei Rooks si volta, seguito dagli altri.
Evie snuda i denti, sorride.
"Che cazzo vuoi?"
"È così che accogli il tuo capo?" ribatte lei, inclinando il mento di lato.
L'uomo ridacchia, scuotendo la mano nell'aria.
"Il mio capo? Tu? Per vedermi in ginocchio devi prima succhiarmelo, bella."
Il gruppo ride, ammiccando; Evie si unisce a loro, contando - uno: femore rotto, mascella fratturata. Due: spalla dislocata, setto nasale deviato. Tre: dita spezzate, tagli multipli all'addome.
Il quarto uomo viene sollevato verso l'alto, attorno al collo la corda del rampino - le guance paonazze, la lingua già gonfia.
Evie si scosta appena il capuccio dal viso, fissandoli.
"Dove si trovano gli accoliti di Jack?"
Nessuna risposta.
"Riproviamo: dove si trova la feccia di Jack?"
Uno degli uomini si scosta dalla folla, stropicciando il cappello tra le mani.
Evie gli concede un'occhiata fugace, asciutta.
"Io forse potrei sapere qualcosa."
Evie rimane immobile, aspetta.
L'uomo solleva lo sguardo, deglutendo e guardandola come se avesse appena visto un fantasma.
"Lei è... lei è Evie Frye, vero?"
Evie annuisce bruscamente, rafforzando la presa attorno l'impugnatura del kruki.
Dal gruppo si leva un mormorio sommesso, stupefatto.
"La sorella del capo." esclama uno.
"Del capo che avete così velocemente tradito." sibila lei, umettandosi le labbra.
"Jack ci ha detto..."
Evie lancia una lama a pochi centimetri da uno di loro, zittendoli.
"Questa città appartiene a Jacob ed Evie Frye, ficcatevelo bene in testa." proclama, nella sua voce una nota durissima, spietata.
"E se qualcuno vuole opporsi, be', sappia che Jack è a putrefarsi sul fondo del Tamigi."
"Quindi il signor. Frye è vivo!"
Evie posa lo sguardo su un ragazzino di appena quindici anni, una zazzera di capelli biondo sporco e un incisivo mancante.
"Vivo e vegeto." ribadisce lei, sollevando un'altra serie di mormorii confusi, meravigliati.
Evie sbatte un piede sul tavolo, attirando nuovamente la loro attenzione.
"Ora." continua lei "Se qualcuno volesse dirmi dove trovare quei relitti umani mi farebbe un immenso favore."
Estrae le doppie lame celate, ampliando il sorriso.
"Oppure possiamo fare con le cattive; questa puttana, come soleva chiamarmi Jack, è capace di farvi tornare le palle in gola e alcuni di voi dovrebbero ricordarlo."
Il ragazzino spintona di lato un uomo, affiancandola; ne segue poi un altro, e un altro ancora - alcuni imbarazzati da loro stessi, altri spaventati e mortificati.
Evie scende dal tavolo, aprendo le porte del pub e riversandosi con il primo, piccolo, gruppo in strada.

"Rooks, con me!"

Londra è i Frye: se loro la rivogliono indietro, l'avranno.


3.

Lydia salta, e con lei Sam.
È veloce la piccola Frye, e stacca tutti gli altri apprendisti di qualche metro buono.
Sam accelera, taglia per una strada laterale, appare al suo fianco.
Lydia gli scocca un'occhiata asciutta, che dicono essere uguale a quella di sua zia.
"Se ti supero, cosa vinco?"
Lydia abbozza un sorriso a metà, toccandosi appena il bordo del cappuccio.
"Non succederà mai, Sam." ribatte, sbattendo al suolo una bomba fumogena e arrotololandogli attono le caviglie un cavo che lo fa inciampare nei suoi stessi piedi.
Sam emette un suono sorpreso, cade in avanti, sbattendo il mento sulle tegole.
Lydia ride, aprendo le braccia e gettandosi di schiena verso il basso.
Tra di loro un gioco che non smette mai di ripetersi.


(A)

Quando Agnes lo rivede si porta le mani alla bocca, trattenendo un guaito ferito.
"Non sono ancora morto." la raggiunge la sua voce, più bassa di qualche ottava.
Jacob si tocca con l'indice la tesa del cilindro, nella sua postura qualcosa di profondamente sbagliato - il modo in cui si piega la sua schiena, trascinando il piede destro.
"Ma ci è mancato poco." aggiunge, appoggiandosi con entrambe le mani sulla testa di corvo del bastone.
Agnes raddrizza le spalle, lisciandosi le pieghe della gonna.
"Avrebbe dovuto avvisarmi."
Jacob abbozza un sorriso stanco, annuendo.
"Hai ragione, ma le cose si sono fatte un po' movimentate."
"Le avevo detto che Bertha sarebbe stata più sicura."
"L'hai fatto."
"Ma lei è il solito ignorante testardo."
Jacob ridacchia, scuotendo la testa.
"Dio, Agnese; vent'anni e ancora mi tratti come un ragazzino."
"Perché lo è." ribadisce lei, ruvida.
Jacob rimane immobile, negli occhi una luce quieta, risoluta.
"Evie è tornata."
Nessuna risposta.
"Mi ha salvato."
Agnes libera un sospiro tremulo, sedendosi un attimo nella poltrona consumata.
"Ci riprenderemo Londra, Agnes. E i Rook."
"Aye, sono troppo vecchia per queste cose, signor. Frye."
"Lo so. Ed è per questo che volevo darti questi."
Agnes si volta, attirata dal suono metallico di qualcosa che si posa su una superficie.
"Non li voglio."
"E invece li prenderai. Li userai per tuo figlio, per i tuoi nipoti e perché no: per rimettere a nuovo Bertha. Dicono che i tour in treno siano il futuro."
"Non mi servono."
Jacob allarga leggermente le gambe, e Agnes adesso può vedere quanto gli costi mantenere l'equilibrio.
"Grazie di tutto, Agnes."
Agnes solleva il viso verso il suo e per un attimo - un solo istante - è di nuovo il ragazzino sfrontato e impetuoso che li aveva liberati con il solo scocco di una lama.
"Chi penserà a lei, signor. Frye?" mormora, ma sa già la risposta.

"Evie è tornata, Agnes."

Jacob tamburella tre volte sulla tesa del cilindro, un sorriso a metà e negli occhi la stessa scintilla di quando.
I gemelli Frye escono dalla sua vita senza fare alcun rumore.


4.

Lydia a volte li guarda e si scopre studiare la mappa dei loro visi per immaginare sua madre.
Le hanno detto che era uguale alla zia Evie - stesso naso delicato, stessa piega delle labbra.
Ha sette anni, Lydia, e rovista sul fondo del piatto, schiacciando le patate con la forchetta.
Evie alza un sopracciglio, fissandola.
"Lydia Frye."
Nessuna risposta.
"Smettila di giocare con il cibo."
Lydia la ignora, disegnando due profili nel purè - abbozzati, ma pur sempre riconoscibili.
"E questi chi sarebbero?"
Lydia ruota il piatto, attirando anche l'attenzione di Jacob.
"Tu che fai il culo al nonno."
Evie sgrana gli occhi, Jacob soffoca una risata in un colpo di tosse - chi ti ha insegnato a parlare così, Lydia!
Il suo sangue racconta più di quanto lei possa immaginare.


(Ω)

Bedelia li fissa in silenzio, penzolante contro il fianco una manica vuota - lo stigma di uno scontro con Jack finito molto male.
"Sono sorpresa." li accoglie, le dita sotto la giacca, negli occhi una sfumatura sospettosa - guardinga.
"Non avrei mai immaginato che i gemelli Frye volessero parlarmi."
Jacob schiocca la lingua contro il palato, inclinando il capo di lato.
"Pensavo ti avesse uccisa."
"Altrettanto, Jacob Frye." ribatte lei, mantenendo lo sguardo fisso su Evie.
"Felice non ci sia riuscito."
Bedelia si batte l'indice sulla spalla sinistra, arricciando le labbra.
"Me l'ha tagliato lentamente, Frye. Molto lentamente. Ho potuto sentire ogni singolo nervo venir reciso, ogni più piccolo tendine saltare come la corda di un violino."
Jacob solleva il mento, la cicatrice biancastra che gli attraversa l'occhio destro ancora arrossata ai bordi.
"L'avevo addestrato bene."
Evie inspira con forza a quelle parole, Bedelia snuda i denti, furiosa.
"Hai creato un fottuto mostro, Frye. Questo fate voi assassini: date una lama in mano a degli psicopatici e poi li liberate per il mondo."
"Non mi pare voi templari siate da meno."
Bedelia tace, premendo le labbra in una linea sottile.
"Qual è il motivo del nostro incontro."
"Londra." la prende in contropiede Evie, aprendo le mani davanti a sé - vedi, non mordo? Non ancora.
Bedelia alza un sopracciglio, aspetta il seguito.
"La città è devastata."
"Grazie della notizia ovvia."
"Gli accoliti di Jack più numerosi di quanto ci aspettassimo."
"Quei cuccioli erano da affogare da piccoli, signor. Frye."
Evie lancia una mappa sul tavolo, la lama celata scintillare nella penombra della stanza.
"Questi sono solo alcuni quartieri in cui si sono rifugiati."
Bedelia butta un'occhiata alle sue spalle, scorgendo un insieme di strade cerchiate in nero.
"Volete che noi li uccidiamo per voi?"
Jacob ride - un suono asciutto, derisorio.
"No. Ma sappiamo quali sono i prossimi obiettivi."
Bedelia arretra leggermente, ruotando con l'anulare e l'indice la mappa - dilata le narici, avvampando lungo gli zigomi.
"No."
"Jack era un uomo meticoloso."
Bedelia si volta, sbattendo il pugno chiuso sulla scrivania.
"Sono bambini, donne. Famiglie intere." mastica, inferocita.
"E sono le vostre." aggiunge Evie, quieta.
Bedelia sposta lo sguardo da Jacob a Evie e viceversa, ancora dubbiosa.
"Tutto ha un prezzo: cosa volete?"
Jacob ruota il bastone tra le dita, battendolo poi sul pavimento con un tondo sordo.
"La loro morte."
Bedelia tace, fissandolo.
"Siamo assassini, ma sappiamo la differenza tra giusto e sbagliato."
Evie preme il pollice sulla leva di sgancio del rampino, Jacob fa altrettanto.
"Fanne quello che vuoi dell'informazione che ti abbiamo dato: se deciderai di fermarli, le famiglie dei tuoi alleati sopravviveranno e noi avremo una decina di accoliti in meno. In caso contrario..."
Jacob si stringe nelle spalle, Evie spalanca la finestra di lato, appoggiando un piede sul bordo e calcolando la distanza all'edificio successivo.
"... a te la scelta, Bedelia."
Evie salta, Jacob la segue: all'anulare sinistro la croce templare brucia.


5.

Evie fissa il calendario con un'espressione stolida, un po' ottusa.
Conta sulla punta delle dita qualcosa, e Jacob all'inizio non ci aveva fatto molto caso.
Evie è precisa; pignola, a dirla tutta.
Evie si ricorda persino quella volta che le aveva fatto il solletico mentre stava bevendo, facendole sputare tutto lungo la camicia.
Evie è così - animata da un bisogno di controllo che la rendeva suscettibile a strani comportamenti.
"Sono quattro mesi."
Jacob sta controllando un'informazione su un probabile frammento dell'Eden - e tutto per fare un favore a lei - quando glielo dice.
"Di cosa?"
"Che non sanguino più."
"Oh, meraviglioso."
Evie aggrotta le sopracciglia, si chiede se suo fratello sia stupido.
"Non hai capito."
Jacob scarabocchia qualcosa a margine del foglio, libera un piccolo hum hum di gola, distratto.
Evie gli assesta un pugno sulla spalla, facendolo sussultare.
"E questo per cos'era?" ribatte lui, stizzito.
Evie apre le mani davanti a sé come se fosse ovvio per cosa era.
"Non mi stai ascoltando."
"Ti ho sentito, Evie, ma non è una cosa normale per voi donne? Voglio dire, hai una certa età e non sono completamente sicuro di quali siano i tempi, ma..."
"Sono stata dal medico."
Jacob si zittisce all'improvviso, preoccupato.
Evie sospira, il viso un ovale pallido e nel quale le poche lentiggini risaltano ancora di più.
"È qualcosa di grave?" si costringe a chiedere Jacob, tra le costole un morso gelido, che gli stritola le viscere, il cuore.
Evie apre la bocca, richiudendola subito dopo.
"Forse dovrei sedermi."
Jacob si impone di rimanere calmo, ma vorrebbe solo afferrarla per le braccia e scuoterla e gridare e...
"Sarai padre."
Silenzio.
Evie lo fissa, negli occhi un'espressione che passa dalla paura alla confusione, diventando poi irritazione quando Jacob non replica nulla.
"Sei diventato sordo?"
Jacob sbatte le palpebre una, due volte.
Evie emette un verso frustrato, passandosi le mani nei capelli.
"Jacob Frye, giuro che se non..."
"Sei incinta."
"È quello che ho appena detto."
"Ed è mio."
Evie annuisce, guardandolo con attenzione.
"Pensavo... ormai credevo che..."
"Lo so."
"Come... voglio dire..."
"Ci sono dei rischi." aggiunge, stropicciando la manica del cappotto tra il pollice e l'indice.
Jacob solleva il viso verso il suo, attento.
"Sia per l'età, sia perché siamo fratello e sorella."
Nessuna risposta.
"Un ultimo salto?" gli propone, dentro quella domanda loro - tutto.
Jacob l'abbraccia e libera una risata che la svuota d'ogni incertezza.


(A)

Jack aveva detto che era morto.
Jack aveva riso mentre lo diceva, gocciolando sangue a ogni parola.
Jack li aveva raccolti sotto un'unica bandiera, un unico Credo - purga la città, libera il mondo.
I Rooks lo osservano in silenzio, studiandolo.
Alcuni sono volti nuovi, molti li conosce da prima - e non sopporta la loro espressione contrita, quasi avessero fatto una semplice cazzata il sabato sera al pub.

"Non sei pronto."
"Devo."
"Il ginocchio potrebbe cederti da un momento all'altro."

Un ragazzino fuorisce dal gruppo, avvicinandosi.
"Sei Jacob Frye."
"In persona."
Il ragazzino lo squadra da sotto in sù, alzando un sopracciglio.
"Ti manca un occhio."
"Riuscirei a beccare il tuo culo anche a metri di distanza."
Il ragazzino persevera nel suo studio, scivolando con lo sguardo lungo il pesante cappotto scuro, il bastone animato dalla testa di corvo.

"Io devo riprendere i Rooks, Evie. Devono vedere che sono ancora capace di guidarli - di controllarli."

"Tua sorella ha rotto il braccio ad Alton."
"Che peccato."
"E la mascella a Bart."
"Posso sentirne il rumore."
Il ragazzino ridacchia, scoccando un'occhiata divertita agli uomini alle sue spalle.
"Le aveva detto di fargli un pompino."
Jacob arcua un angolo delle labbra, posando lo sguardo su Bart - un metro e ottanta di muscoli e vergogna.
"Be', può sempre farselo da solo se gli spacco le ultime costole."
Il gruppo rumoreggia, tra di loro risate, qualche pacca sulle cosce.
"Sono stato via per un po' di tempo." dice, afferrando una sedia e ruotandola.
"Ma voi avete disertato molto prima." prosegue, sedendosi e appoggiando le braccia sullo schienale.
"Boss, noi..."
Jacob lo fulmina sul posto, la lama celata fuoriuscire dalla manica del cappotto come la testa di un serpente.
"Boss un cazzo." sibila, guardandoli "Avete compiuto una scelta ben precisa."
Il ragazzino sposta il peso da un piede all'altro, incuriosito.
"Vent'anni fa sono arrivato a Londra e alcuni voi c'erano: ricordano bene come mi sono fatto strada tra i Blighters e come vi ho salvato il culo." prosegue, nella voce una flessione gelida - spietata.
Uno dei più anziani abbassa lo sguardo, qualcun altro solleva invece il mento in un atteggiamento di sfida.
Jacob sospira, togliendosi il cilindro e porgendolo al ragazzino.
"Come ti chiami?"
"Paul, signor. Frye."
"Puoi tenermelo qualche minuto, Paul?"
Paul annuisce, prendendo il cilindro e ammirandone la fodera rosso borgogna.
Jacob si alza, ignorando la fitta che gli attraversa il ginocchio e risale fino ai testicoli; trasforma quel dolore in una rabbia brutale, che spegne ogni altro stimolo.
"Immagino abbiate tutti bisogno di un piccolo richiamo all'ordine."
Uno dei giovani avanza fino al centro del locale, negli occhi la stessa espressione di sempre - arroganza, supponenza.

Non poi molto diversa dalla tua all'inizio, uhm, Jacob?

Jacob sorride, assume una posizione difensiva - nella mente la voce di Evie, i suoi consigli.

Persino quelli di suo padre.

L'adrenalina della lotta riempie ogni altro pensiero.


6.

"Quindi avete deciso di riaprila."
Jacob socchiude gli occhi, schermandosi da un sole insolito per gennaio.
George lo affianca, incrociando le mani dietro la schiena.
"Non sapevo saresti venuto." lo apostrofa Jacob, fissandolo.
"Sono il custode di questa casa da prima che tu nascessi, Jacob Frye: nulla sfugge alle mie orecchie."
Attorno a loro vengono spalancate finestre, scrollati tappeti - controllati i materassi, esaminati mobili e pavimenti.
"Abbiamo pensato fosse una buona idea darle un po' d'aria."
George sposta il peso da un piede all'altro, quieto.
"Per i tempi difficili: per quando saltare da un tetto diventerà complicato."
"Mi sembra tu ti sia ripreso piuttosto bene." sottolinea George, indicando con la punta del bastone il suo ginocchio.
Jacob abbozza un sorriso a metà, sorveglia gli operai che stanno ora sistemando il tiraggio della canna fumaria.
"Ne sono rimasto sorpreso persino io."
George lo guarda, studiando la cicatrice che lo attraversa dal sopracciglio destro fin quasi metà guancia - un filo sottile, biancastro.
"Ti ha conciato proprio male."
Jacob si tocca distrattamente l'orbita - un gesto istintivo, che ripete spesso quando è nervoso.
"La Vista non ne è stata inficiata; dall'altro lato la mia visione periferica normale è pessima."
George gli appoggia una mano sulla spalla, stringendo.
"Sei stato bravo."
"Uhm."
"Ti sei ripreso i Rooks e Londra."
"Il Gran Maestro ha fatto il suo."
George sbuffa, ritraendo la mano.
"Si è limitata a fare quello che doveva."
Starrick non l'avrebbe fatto, si ritrova pensare Jacob, ma tace, perché ormai è morto, e con lui gran parte del suo tempo.
"E dimmi, come sta Evie?"
Jacob aspetta qualche secondo prima di rispondere, tormentandosi una pellicina del pollice.
"Bene."
"Non è venuta?"
"Aveva da fare; è sempre dietro a quei giocattoli dorati dell'Eden."
George ridacchia, scuotendo la testa.
"Ah, che bello vedere che certe cose non cambiano mai."
Jacob arcua appena un angolo delle labbra, slacciandosi il primo bottone della giacca.
George inspira con forza, nell'aria l'odore acre della polvere, quello freddo della neve.
"Immagino verrete qui in estate."
"Probabile."
"O quando cominceranno a farti male le ossa."
"Ti seppellirò prima." ribatte lui, divertito.
George gli concede uno sguardo limpido, che sembra scavargli dentro - metterlo a nudo.
"Sei un ragazzino impudente e arrogante, Jacob Frye."
"Lo prendo come un complimento, George Westhouse."
"Ricordi com'era la primavera a Crawley, no?"
Jacob annuisce, assorto - nella mente gli allenamenti con Evie e piedi nudi nell'erba.
"Si riempie di narcisi e calle rosse."
Jacob ascolta il quieto frusciare dei ricordi - della risata di Evie, di quella volta che si era disperata perché le aveva incollato i capelli con lo zucchero e l'acqua.
"Vostra madre le adorava." continua George, sollevando il viso verso il cielo.
Un ramo si spezza sotto il peso della neve caduta nelle ultime settimane - plof: atterra in un tonfo sordo, a malapena udibile.
"Hai fatto la scelta giusto."
Jacob percepisce la nota diversa nella voce di George - si volta, guardandolo.
George sostiene il suo sguardo, attorno agli occhi una fitta rete di rughe che si apre come una ragnatela quando sorride, e gli prende una mano tra le proprie.
"È un bel posto dove crescere, no?"
Jacob deglutisce, annuendo.
"Eravate felici."
Jacob tace, le dita di George calde, asciutte - rassicuranti.
"Forse non lo siete stati sempre, ma..."
George tace, quello strano sorriso sempre lì, adesso poco più di un'ombra.
"Sì, Crawley è un bel posto dove crescere un bambino." mormora poi, voltandosi di lato e schiarendosi la gola.
Jacob rimane immobile, fissandolo.

Lo sa.

George allarga poi le spalle, puntando lo sguardo sulla parete davanti a sé.
"Me lo concedi un tè, Jacob? In memoria dei vecchi tempi."

Perché l'orologio corre, e non si ferma mai.

Jacob gli posa una mano sul braccio - e dio, da quando è così sottile e fragile e vecchio e... - conducendolo verso la cucina.
George custodirà i loro segreti fino alla fine.


(Ω)

Evie si guarda intorno, confusa.
"Perché siamo qui?"
Scivola con lo sguardo su Westminster, alla loro sinistra il Tamigi scorre quieto, a malapena turbato dalla pioggia.
Jacob si siede al suo fianco, dandole un leggero colpo con la spalla.
"Sai che Agnes è partita verso l'Essex, no?"
Evie annuisce, fissando le carrozze che si accalcano in strada.
"Quindi non abbiamo più Bertha."
Evie alza un sopracciglio, guardandolo.
Jacob le porge la mano, invitandola.
"Ho preso un appartamento."
"Dove?"
"Qui."
Evie sgrana gli occhi in un'espressione comica, alzandosi di scatto.
"A Westminster?"
Jacob annuisce, ampliando il sorriso.
"Lungo Victoria Street: da qui possiamo anche controllare Bedelia e Whitechapel non è così lontana."
Evie apre e chiude le mani, muovendosi avanti e indietro sul cornicione - non sa cosa dire e Jacob si limita ad aspettare, la nebbia che va addensandosi attorno a loro.
Si ferma, chinandosi poi alla sua altezza e prendendogli il mento tra il pollice e l'indice.
"Se stai per chiedermi dove ho preso i soldi, be', sappi che..."
Evie gli cerca la bocca in un bacio vorace, che gli ricorda quando erano giovani - sorpresi e intimoriti da loro stessi, da quello che provavano e desideravano.
Tra i suoi capelli Jacob mormora sempre la stesse parole di allora.


7.

"Lo Squartatore è stato un disguido."
L'uomo inclina appena il capo verso la spalla, tace.
"Il Mentore l'ha creato, non io." puntualizza Bedelia, fissandolo.
L'uomo la studia con occhi quieti, di un color ambra che le ricordano quelli di Frye.
"Le famiglie sono salve, i membri dell'Ordine anche. Ho fatto quello che dovevo."
Bedelia si volta, divaricando leggermente le gambe.
"So chi sei, Victor Bolden."
L'uomo stende appena un angolo delle labbra, ascolta.
Bedelia indica il bavero sinistro della sua giacca con un brusco cenno del mento, indurendo lo sguardo.
"La tua croce nera parla per te."
L'uomo amplia il sorriso, togliendosi il cappello.
"Non sono qui per ucciderti."
"L'avresti già fatto." l'apostrofa Bedelia, nervosa.
Victor posa lo sguardo sul suo braccio mancante, studiandolo con attenzione.
"Hai pagato un pegno importante a Jack, vedo."
"E non solo quello." sibila Bedelia, una donna che ha conquistato il potere pezzo per pezzo, strappandolo dalle mani degli altri templari.
Victor avanza fino alla sua scrivania, sulle guance una rete di cicatrici biancastre che il fuoco rende solo più evidenti.
Spinge verso di lei una croce nera, picchiettandoci sopra con l'indice.
"La tua visione del mondo ci ha colpito, Bedelia. La tua alleanza con i Frye ti ha reso suscettibile di critiche, ma non per noi."
Bedelia lo fissa, negli occhi una scintilla incuriosita - sospettosa.
Victor si rimette il cappello, porgendole un piccolo inchino.
"Londra sarà importante per il futuro, Bedelia: l'equilibrio è fondamentale, non il potere fine a se stesso."
Bedelia lo osserva con attenzione, cercando di capire se sia un pericolo - una trappola.
"Spero di ricevere tue notizie presto." si congeda Victor, ritraendosi nelle ombre - assassino, templare: i guerrieri della Croce Nera servono un unico credo, un'unica fede.

La giustizia.

Davanti a lei la croce nera è una promessa e una minaccia.


(A)

Se ne è accorta svegliandosi in uno spazio tra la notte e l'alba, quando Londra rumoreggia, ma non grida ancora.
Se ne è accorta in una mattina indolente, pigra; mentre fuori pioveva e dentro Jacob chiamava il suo nome - indugiava sul suo corpo, tra le sue cosce.
Se ne è accorta durante un appostamento serale, Jacob reclinato contro un comignolo e lei protesa in avanti, verso la strada.

"Hai pensato a cosa vuoi fare per il nostro compleanno?"

Una domanda semplice; innocente.

"Io propongo una bella rissa di strada."

Evie aveva premuto le labbra in una linea sottile, esibendo la solita espressione contrariata di quando suo fratello diceva una cazzata.

"Certo; e per festeggiare un naso rotto."
"Quanto sei pessimista."

E si era resa conto che stavano parlando di un evento che avrebbe dovuto verificarsi mesi dopo - quasi tre, per la precisione.

"Una ricerca sulle ultime informazioni che abbiamo ricevuto sulla reliquia dell'Eden?"
"Uccidimi adesso, sorella ingrata."

Evie si siede, incrociando le gambe tra loro.
"Abbiamo ancora tempo per pensarci, Jacob." ribatte lei, controllando il filo della lama.
Jacob scivola al suo fianco, l'occhio cieco acceso da una luce traslucida quando usa la Vista.
"Con la fortuna che abbiamo spunterà qualcosa fuori dal buco del culo dell'India. O della Russia. Oh no, no, ancora meglio: direttamente dall'America."
Evie alza gli occhi al cielo, sospirando.
"Tu e l'India non andrete mai d'accordo."
"Hai saputo che Greenie ha altri due figli?"
Evie aggrotta le sopracciglia, perplessa.
"E tu come diavolo fai a saperlo?"
Jacob stende le labbra in quel sorriso furbo che le rifila da quando sono piccoli, orgoglioso di se stesso.
"Ho le mie fonti."
"E le usi per tenerti informato su Henry?"
Jacob annuisce e dio, quanto è infantile quando fa così.
"Sei un pettegolo."
"Ah. Solo solo attento ai dettagli; a quanto pare non riesce nemmeno a respirare."
"Uhm. E ti diverte la cosa, immagino."
"Moltissimo." chiosa Jacob, ampliando il sorriso.
Evie scuote la testa, ritraendo la lama.
"La Victoria sponge."
Jacob alza un sopracciglio, fissandola.
"Voglio una Victoria sponge. Da quando chiesi alla regina di fermare la sua politica espansionistica, be', non ne ho più mangiata una fetta."
Evie imbroncia le labbra al ricordo, sedendosi sui talloni.
Jacob ridacchia, intrecciando le dita nei i suoi capelli e baciandole una tempia.
Ed è in quel momento che se ne rende conto: che la realtà la colpisce come un pugno nello stomaco.
È in quell'istante che comprende come per loro ci sia un futuro - come se ne stiano tranquilli sulla cima di un tetto di Londra a parlare del loro prossimo compleanno.

"Potremmo morire domani, Jacob."
"Anche stanotte, sorella."

Evie percepisce qualcosa scollarsi da lei, cadere a terra e sciogliersi - al centro del petto un vuoto leggero, diverso.

"Abbiamo tempo, Jacob."

"Avrai tutto quello che vuoi, Evie." le dice, sollevandole il viso verso il suo.
Per la prima volta ci crede anche lei.


8.

È piccola, e ridicolmente fragile.
Jacob la fissa come se potesse rompersi anche solo guardandola, negli occhi un'espressione indecifrabile.
"Sembri un idiota." lo ammonisce Evie, socchiudendo un occhio.
Jacob tace, continua a studiare quello strano essere uguale a lui - loro - e la bambina gli restituisce uno sguardo perplesso, già irritato.
Evie sospira, massaggiandosi le tempie.
"Non morde."
Nessuna risposta.
"Jacob."
strana." dice poi, toccandola con la punta dell'indice.
"È un neonato, Jacob: non ne hai mai visto uno?"
"Sì. Be', non da così vicino."
Evie si alza, sporgendosi oltre la sua spalla.
"Ha tutte le dita dei piedi. E delle mani."
"Ho detto che avrebbe potuto avere dei problemi; non che li avrebbe avuti."
Jacob inclina il mento verso destra, osserva con attenzione la bambina - un ciuffo di capelli scurissimi e un'espressione scettica, uguale a quella di Evie.
"Non possiamo dirle chi siamo."
Evie sembra essere presa in contropiede da quell'affermazione, rimane in silenzio.
"La Confraternita." aggiunge Jacob, come se spiegasse già tutto.
Evie si umetta le labbra, a basso ventre un dolore tiepido, sopito.
"Non la proteggerebbero." spiega, e Evie sa che ha ragione.
Ne hanno parlato tanto prima, quando erano giovani e l'eccitazione li bruciava negli angoli delle strade, sul treno, sempre sul filo del niente - ne hanno discusso dopo, preparandosi al peggio.
"Diventerebbe un paria." mormora, irrigidendo un muscolo sotto la mandibola.
Evie si china sulla culla, fissando sua figlia - loro.
"Sarà tua nipote." gli dice, quieta.
"Sei sempre stato considerato incauto e non hai mai avuto una compagna fissa per i Rooks, né per la Confraternita." continua, toccandole una guancia con le dita.
"Hai avuto una figlia, ma non ne hai mai saputo niente prima di adesso - prima della lettera disperata di un ragazzo senza soldi e senza dimora."
Jacob annuisce, intrecciando le proprie dita a quelle di Evie.
"È morta di parto: come la nostra."
"Come la nostra." ripete Jacob, piano.
"Hai preso con te la bambina; ecco perché ci siamo assentati in questi mesi da Londra."
Jacob le si affianca, sfiorandole il dorso della mano con la propria.
"Sarai nonno, Jacob Frye." ridacchia lei, senza allegria.
La bambina sbadiglia, cercando di mantenere l'attenzione sue quelle due persone che la stanno fissando da ore e che sussurrano - dicono cose che non capisce, ma hanno una bella voce e...

"Benvenuta in questo folle mondo, Lydia Frye."

Lydia chiude gli occhi e sorride.


(Ω)

Ci sono notti in cui si ritrovano entrambi svegli, a fissarsi da una parte all'altra del letto.
Ci sono notti in cui i loro errori gridano, squarciando il silenzio.
Ci sono notti in cui Jack è di nuovo con loro, altre in cui l'India gli ha portato via Evie per sempre.
Ci sono notti in cui Roth ha vinto, e Jacob brucia insieme all'Alhambra.
Evie gli tocca appena una spalla, percependolo tendersi sotto le sue mani.
"Sei sveglio."
"Sì."
Jacob si volta, fissandola.
E ci sono parole sospese tra di loro - scampoli di un mondo in cui le torri toccheranno il cielo e si potrà leggere i libri su un rettagolo luminoso.
Ci sono incubi che sono ricordi e sogni che erano solo speranze - fantasmi che parlano un'altra lingua, indossano sempre la stessa lorica.

Assassini.

"Credo siano reali."
Jacob la guarda nelle penombra della stanza ed Evie nota come l'occhio destro emetta una debole luminescenza, segno di come abbia attivato la Vista.
"Alcuni di loro li conosco: li ho studiati. Ma gli altri..."

"Desmond Miles; tu può salvarli tutti. O fare la costa giusta, e liberare questo mondo da se stesso."

"Lo so."
Evie inspira con forza, sorpresa dall'ammissione di Jacob.
"Li vedo anche io, Evie. Da quando abbiamo toccato la sindone."
Evie soffoca un singhiozzo, si preme il palmo delle mani sulle palpebre.
Jacob la circonda con il proprio corpo - caldo, rassicurante.

"Nulla è reale, tutto è lecito."

Nel mezzo del tempo tutte quelle voci diventano Una.


9.

Sarà l'ultima volta che si vedranno.
Dai lati opposti del binario si studiano, Jacob ed Henry - alle spalle di quest'ultimo una piccola delegazione della Confraternita dell'India.
"Jacob."
"Greenie." ribatte lui, quieto.
È invecchiato, Henry: lo sono tutti, in fondo, ma su di lui grava il peso di una Confraternita smembrata, mutilata dall'interno.
"Ho saputo che il Koh-i-Noor è stato recuperato."
"In parte: l'aiuto di Evie si era rivelato provvidenziale, ma dovette tornare di gran fretta a Londra."
Jacob abbozza un sorriso storto alla velata accusa di Henry, solleva il viso verso di lui.
"Tra una pietra e un maniaco credo abbia compiuto la scelta migliore."
Un maniaco che ha sventrato Londra per colpa tua, gli suggerisce lo sguardo di Henry, ma Jacob sceglie volutamente di ignorarlo.
"Cosa ti porta in città?" chiede poi, spostando il peso da un piede all'altro.
"Un incontro con il re Edoardo VII."
Jacob tamburella con le dita sulla testa di corvo, annuisce.
"Un uomo divertente: un progressista. Ti piacerà."
Henry alza un sopracciglio, gettandogli un'occhiata incuriosita.
"Dicono sia particolarmente attivo con le signore dei Lord."
Jacob gli restituisce uno sguardo derisorio, che ricorda bene.
"Puoi dirlo, Greenie: ormai siamo adulti. Il re è famoso per scopare in giro, attrici comprese. Non ti cadrà la lingua."
Henry irrigidisce le spalle, fissandolo.
Jacob abbozza un sorriso, estraendo l'orologio dal taschino e controllando l'ora.
"Ora che ci siamo salutati come due rispettabili Mentori, direi che possiamo andare ognuno per la propria strada."
"Non potrei essere più d'accordo."
"Sia mai che il Concilio pensi poi che siamo in brutti rapporti."
"Assolutamente."
Jacob piega appena il capo in avanti, toccandosi la tesa del cilindro.
"Mi avrebbe fatto piacere vedere anche Evie."
"Era impegnata."
"Rimarremo in città qualche giorno."
"Riferirò."
Henry compie un passo in avanti, fissandolo dritto negli occhi.
"Non mi sei mai piaciuto, Jacob Frye."
Jacob snuda i denti, tace.
"Ma ti ho sopportato. Per il bene comune."
"Oh, che gentile."
"Sei un irresponsabile che ha rischiato di trascinare a fondo tutta Londra."
"Ma non è successo."
"Grazie ad Evie."
"A quanto pare nessuno di noi due sa fare niente senza Evie, uhm? Peccato solo sia mia sorella, non la tua."
Henry arriccia le labbra sui denti in un sorriso sgradevole, nel quale imprime tutto il suo disgusto.
Jacob si protende verso di lui, sulle nocche brillare un tirapugni in argento.
"Dillo, Henry. Cazzo, dillo. Sono anni che aspetti. Tira fuori le palle e dillo."
Green inspira con forza, la mano già al kukri - pomello in avorio, intarsi dorati.
"Tu non meriti Evie."
Jacob flette le dita della mano destra, nella cacofonia della stazione il crick crack delle sue ossa risuona chiaro come uno sparo.
"E lei è troppo gentile per vederti per quello che sei."
Jacob vorrebbe ridere a quell'affermazione, perché se Henry intravedesse anche solo un frammento di quello che è Evie, be', cambierebbe idea in fretta.
"Sei un vigliacco." mormora Jacob, sfiorandogli la guancia con il tirapugni.
Henry tende i muscoli della schiena, quelli delle braccia - aspetta.
Jacob si scosta, ritraendosi all'indietro in un movimento fluido - nell'occhio sano la stessa, fottuta, scintilla rapace di sempre.
"La mia risposta è ."
Silenzio.
"Alla tua domanda, Greenie. A quella cazzo di domanda che non riesci a fare dalla prima volta che ci hai visti. Che ti ripeti nella testa come il rullo di un tamburo."
Henry si umetta le labbra, sotto la pelle un pallore improvviso, malsano.
Jacob schiocca la lingua contro il palato, facendo scivolare il tirapugni nella tasca del cappotto.
"Ci si vede in giro, Greenie."
La nebbia di Londra rende il profilo di Jacob ancora più spietato.


(A)

"Oh, gli inarrestabili gemelli Frye."

Forse è perché hanno lo stesso sangue, la stessa pelle.
Forse è perché il simile cerca il simile e gli opposti si attraggono - e loro sono l'Uno e il Tutto fin da quando nati.

Forse.

Percorrono cicatrici vecchie e nuove, blandiscono un desiderio che da giovani li rendeva imprudenti, ora li rende liberi.
Evie ansima nell'incavo del suo collo, premendogli le unghie nella nuca - incidendo piccole mezze lune di sangue.
Ed hanno sanguinato, Jacob ed Evie: hanno scavato in loro stessi, dibattendosi contro una voglia che li rendeva soli e bagnati - l'uno ad ascoltare i respiri dell'altro dalla parte opposta della stanza.
Jacob le schiude le cosce, scivolando verso il basso - baciandole l'addome piatto, in cui una vecchia ferita ha lasciato un segno rossastro e irregolare.

"Stessa altezza, stesso sorriso diabolico."

E lo chiama, Evie: mormora il suo nome, lo dice mentre la voce le si spezza - muta in un gemito morbido, affamato.

"Un maschio e una femmina."

Si conoscono, Jacob ed Evie: terribilmente, oscenamente.
Si conoscono e non c'è più vergogna in quello che sono - che vogliono, e si confessano mentre cercano di resistere e aspettare, dio, Evie, sei così pronta, così...

"Voi dovete essere i gemelli Frye."

A volte è un incontro, altre una guerra.
Jacob sa che Evie può ribaltare le posizioni quando vuole ed è questo a eccitarlo - a strappargli una risata dopo, quando si scopre lui quello ridotto in ginocchio, grondante.
Evie lo attira a sé, baciandolo - sulla bocca ancora il suo sapore.

"Sono nata quattro minuti dopo di te, non dimenticarlo."

C'era stato un momento in cui avrebbero potuto fermarsi: un istante in cui girarsi dall'altra parte sarebbe stato possibile - prima di scoprire com'era morire l'uno nelle braccia dell'altro, venire e concedersi con un abbandono totale, assoluto.

"Da qui non si torna indietro, Evie."

Jacob azzera la distanza che li separa, spingendosi in lei con movimenti languidi, che le ricordano perché si trova qui, con lui - con suo fratello.

"Vale anche per te, Jacob."

Evie morde, affonda - lo trascina con sé in un orgasmo che spegne ogni altro pensiero.

"Tutto ciò che conosciamo morirà, Evie. Non rivedremo più la nonna o Nellie. Un giorno anche papà e George moriranno, e noi saremo soli."
"Lo so."

Ed erano pensieri da bambini spaventati; nascosti l'uno nel letto dell'altro, a promettersi che no, a loro non sarebbe successo. Loro ci sarebbero sempre stati, in vita e in morte.
Evie sorride, accarezzandogli i capelli sulla nuca - cullandosi nel calore del suo corpo contro il proprio.

"Non ti lascio, Jacob. Se tu sanguini, io sanguino."
"Neppure io, Evie."

Jacob scivola di lato, cingendole la vita con le braccia - tra le cosce un desiderio quieto, appagato.

"Se tu muori, io ti seguirò."

Per certe promesse vale la pena scommettere tutto e saltare.


10.

La bambina è piccola; un mese, non di più.
George la guarda con un misto di stupore e rassegnazione, come se non fosse strano che Evie stringa una neonata tra le braccia - lei, e Jacob.
"Si chiama Lydia." gli dice, scostando la coperta.
"È mia nipote." lo anticipa Jacob, appoggiato allo stipite della porta.
George scivola con lo sguardo lungo le pareti della stanza, la riconosce come quella che fu di Ethan e Cecily - ora una nursery in piena regola.
Evie si avvicina e la bambina apre gli occhi - un blu cupo, ridicolmente stizzito.
"Quando?" mormora George, sorridendo istintivamente al gesto di Lydia di corrugare le sopracciglia.
"Ho ricevuto una lettera un mese e mezzo fa; a quanto pare avevo una figlia."
George allunga l'indice verso Lydia, sfiorandole la guancia pallida.
"E dov'è adesso?"
"Morta." ribatte Jacob, quieto.
"Non sembri molto dispiaciuto." lo rimbecca George, muovendo le dita davanti al volto della bambina.
"Non la conoscevo nemmeno."
"E la madre?"
Jacob si stringe nelle spalle, Evie studia la scena con attenzione, cercando di cogliere segnali da parte di entrambi.
"Non lo so: il ragazzo era il suo fidanzato, a quanto pare. Avrebbero dovuto sposarsi, ma poi è arrivata la bambina e la situazione è precipitata."
George ridacchia quando Lydia gli afferra il mignolo, stringendo.
"Come hanno avuto il tuo nome?"
"La madre era un'informatrice dei Rooks." interviene Evie, sorridendo suo malgrado all'espressione rilassata di George "La ragazza, Sadie, ha sempre saputo chi fosse suo padre, ma non ha mai voluto averci niente a che fare."
"Immagino il perché se non ricordi neppure il suo nome." ribatte George, inclinandosi verso la culla.
"Cosa posso dire? Ero uno spirito libero." replica Jacob, ed Evie sa che stanno camminando su un terreno fragile - sottile.
George si solleva, fissandolo.
"Hai fatto la cosa giusta."
Jacob tace, guardandolo.
"Il ragazzo non sarebbe stato in grado di prendersene cura." aggiunge Evie "Ci ha chiamato proprio per questo."
George mantiene lo sguardo fisso su Jacob, studiandolo con attenzione.
"Una figlia."
"Già."
"Sarà divertente: un po' mi dispiace non essere qui quando diventerà un'adolescente come voi due."
"Speriamo abbia preso dalla zia."
George arcua appena un angolo delle labbra, liberando un suono simile a uno schiocco.
"I gemelli Frye; inarrestabili, terribili." mormora, nella sua voce una nota lontana, malinconica.
Lydia starnutisce, borbottando qualcosa.
George le riserva un'occhiata indulgente, affettuosa.
"La istruirete al Credo?"
Evie annuisce, controllando che la bambina non abbia bisogno di nulla.
"Deve saper difendersi: il nostro è un mondo pericoloso."
"Non avrei potuto essere più d'accordo." assentisce George, percependo il freddo della sera farsi strada nelle ossa, sotto la pelle.
Evie gli appoggia una mano sulla spalla - ah, l'intrepida Evie Frye; sempre così attenta, perspicace - prendendolo poi sotto braccio.
"Un tè prima di andare? In onore dei vecchi tempi."
Jacob sostiene lo sguardo di George - l'impetuoso Jacob Frye; un sorriso beffardo e il pugno veloce - negli occhi un'espressione nuova, che gli ricorda quella di Ethan.

"Sopravviveranno, George: sono l'ultima cosa che mi è rimasta di Cecily."

George posa la mano sopra quella di Evie, sorridendo.
"Solo se lo prepara Jacob: voglio vederlo litigare con la stufa."
Jacob alza le mani al cielo, Evie ride: dietro di loro Lydia è la promessa di un futuro diverso.


(Ω)

Londra crolla - brucia.
Si alzano volute di fumo dalle sue torri, si infrange contro i suoi argini il Tamigi - questa sarà l'ultima di tutte le guerre, hanno motteggiato mentre l'Europa si riempiva di sangue e macerie.
Buckingham Palace trema, la cripta resiste, aspettando.
Nella penombra della stanza il volto di Evie sembra tornare giovane - indietro a quella notte, quando caddero entrambi.
"La reliquia è al sicuro."
Jacob l'affianca, infilandosi i guanti.
"Dobbiamo andare, Evie." prosegue, guardandola.
Evie preme le labbra in una linea sottile, davanti a loro un sarcofago in pietra e marmo - anonimo, se non fosse per il potere che custodisce all'interno.
Un secondo boato scuote l'edificio, costringendoli a flettersi in avanti per mantenere l'equilibrio.
"Evie." la chiama - sempre.
"Ho paura." mormora, cogliendolo di sorpresa.
Jacob le si avvicina, sollevandole il viso verso il suo.
Ed è sempre la sua Evie, ma negli occhi c'è una scintilla spaventata - che inganna la sua vista e lo riporta a quando erano piccoli e soli.
"Mi parla, Jacob." sussurra, e non ha bisogno di specificare altro.
"Lo so."
"L'abbiamo toccata e lei ha toccato noi."
Jacob mantiene l'attenzione su di sé, sfiorandole le guance con i pollici.
"È questo che hanno sentito gli altri? Chi è venuto prima di noi?"
"Credo di sì."
Evie cerca di spostare lo sguardo sul sarcofago, Jacob preme, trattenendole il viso verso il suo.
"Il treno ci aspetta, Evie: dobbiamo andare."

Il nostro tempo a Londra è scaduto.

Il rumore degli aerei sulla città è assordante, ma lì, nelle viscere di Buckingham Palace, c'è solo un silenzio rarefatto - la sensazione di non esserci e al contempo di non essere mai stati più vivi.
Jacob le sorride, e sono di nuovo giovani quando la bacia - a terra il corpo esangue di Starrick e la sindone che canta, invitandoli.
Evie si aggrappa alle sue spalle, soffocando un grido contro la sua pelle.
Il sibilo delle bombe che cadono al suolo riesce a infrangere persino le spesse mura della cripta - scandisce la marcia dei soldati, amici e nemici.
Jacob le accarezza i capelli, la nuca - lascia che Evie si rompa, e si ricostruisca poi a nuovo.

Come avevano sempre fatto.

"Andiamo." gli dice poi, passandosi il dorso delle mani sugli occhi.
"Sono pronta." aggiunge, intrecciando le proprie dita alle sue.
Jacob annuisce, solleva il braccio verso l'alto - le riserva un'occhiata divertita, beffarda.
"Una corsa fino al treno?"
Evie alza un sopracciglio, sganciando anche lei il suo rampino - si prepara al salto, stringendosi a lui.
"Ci puoi scommettere." ribatte, sorridendo.
La reliquia tace, in attesa.


11.

Il figlio di Henry è un cosino nervoso, di appena sedici anni.
Stringe tra le mani il kukri di suo padre, spostando il peso da un piede all'altro.
Jacob lo trova ridicolmente uguale a Greenie, e lo dice mentre Lydia si aggrappa al suo polpaccio, cercando di arrampicarsi fino alla cintura.
Il ragazzino accenna un sorriso alla vista della bambina, sembra risvegliarsi solo quando Jacob gli schiocca le dita davanti al naso, facendolo sussultare.
"Mahesh Mir."
Lydia afferra la fondina della pistola, viene acchiappata da Evie, liberando un gridolino offeso.
"Cosa ti porta fino a Londra?" gli chiede Jacob, neutro.
Mahesh si schiarisce la voce, arrossendo leggermente - cristo santo: la sua copia sputata.
"Mio padre."
Jacob alza un sopracciglio, Evie placca un pugno di sua figlia.
"È successo qualcosa alla Confraternita?" si intromette Evie, chiudendo le mani di Lydia in una delle sue.
Mahesh si volta, negli occhi un'espressione dolente, afflitta.
"L'abbiamo perso."
Jacob tace, inclina il mento verso destra, invitandolo a continuare.
"Noi... ecco..."
"È morto." conclude per lui Jacob, nella voce una nota assente, fredda.
Mahesh sembra essere preso in contropiede dalla sua reazione, fissandolo quasi sdegnato.
Jacob schiocca la lingua contro il palato, scuotendo la testa.
"Mi dispiace per la tua perdita, ragazzo. Immagino ti abbiano mandato qui in quanto suo primogenito, uhm?"
Mahesh preme le labbra in una linea sottile, annuendo.
"Come?" domanda Evie, e il ragazzo sceglie di concentrarsi su di lei - ah, Evie: la cara e dolce Evie.
"Un'imboscata."
"Era tornato sul campo?" prosegue Evie, sorpresa.
"Sì. Le nostre fila sono sempre meno numerose e il nuovo Gran Maestro si è dimostrato lungimirante."
Evie posa lo sguardo sul ginocchio di Jacob, l'occhio cieco - riflette su cosa significhi per un assassino tornare in guerra così, un vecchio leone mai domo.
Jacob le restituisce un'occhiata quieta, nella quale brucia una forza che l'aveva sempre reso un animale da combattimento - nocche sbucciate e sangue tra i denti.
"Mi dispiace." gli dice poi, Lydia ormai del tutto disinteressata alla pistola di suo padre.
Mahesh inspira con forza, sorridendole.
"Grazie. Il Concilio ha pensato fosse giusto inviarmi qui per rinnovare i rapporti tra noi e la vostra Confraternita."
Evie afferra sua figlia prima che riesca a raggiungere le bombe esplosive sul tavolo, abbozza un sorriso - guarda poi Jacob in una richiesta silenziosa.

Lui non è Henry.

Jacob coglie il suo messaggio, si avvicina a Mahesh, tendendogli la mano.
"Non avrebbe saputo uccidere un uomo sordo e zoppo, ma era un bravo stratega tuo padre."
Mahesh guarda Jacob come se non sapesse se prendere la sua affermazione come un complimento o un'offesa, gli stringe goffamente la mano - percepisce i muscoli del braccio tendersi, sotto il guanto dita forti, che gli danno l'impressione di essere nella presa di una tenaglia.
"Nessun problema tra le nostre confraternite." aggiunge poi Jacob, piegando un angolo delle labbra all'insù.
Mahesh lo studia con attenzione, cercando di capire cosa intraveda sotto quest'uomo - chi sia Jacob Frye, Maestro Assassino di Londra.
Jacob ritrae la mano, Lydia conquista il tirapugni che suo padre ha dimenticato sulla scrivania.
Evie osserva sua figlia brandirlo come se fosse la cosa più normale al mondo.


(A)

"Credevo fosse immortale."
"Dava questa impressione."
"Mi mancherà."
Jacob solleva lo sguardo, posandolo sul viso di Evie.
Non ci sono lacrime a rigarle le guance, ma nella sua voce vi è un nodo pesante, umido.
"Abbiamo tempo, Evie." mormora, sfiorandole il polso.
Evie non ribatte, si limita a fissare la lapide davanti a sé - George Westhouse. 30 aprile 1820 - 13 luglio 1904.
"Continuo a pensarci."
Jacob sa di cosa sta parlando - una confessione che può fare solo a lui.
"È ancora così giovane." continua, sospirando.
Jacob butta un'occhiata alle sue spalle, dove Lydia sta chiacchierando con Abbie, la governante di casa Westhouse.
"Non siamo ancora morti, Evie."
"No, ma..."
Evie tace, ripensando all'ultima volta che ha quasi mancato una presa, a quella in cui è quasi caduta dal cornicione, in cui un criminale di strada l'ha quasi sorpresa.
Jacob le afferra la mano, appoggiandole la fronte contro la tempia.
"Per dare qualcosa, toglie a qualcuno; l'hai detto tu, ricordi?"
"Sì."
Jacob chiude gli occhi, baciandole un angolo delle labbra - rapido, sicuro che Lydia non possa vederli.
"Che prezzo sei disposta a pagare?"
Tutto, vorrebe dirgli, perché ogni mattina si alza un po' più stanca e ha paura che un giorno non si sveglierà del tutto o peggio: non lo farà lui e allora...
"Anche nostra figlia?"
Silenzio.
Evie abbozza un sorriso quieto, voltandosi verso di lui.
"Ci sono voluti quasi sessant'anni per farti diventare assennato, uhm?"
"Non ci scommetterei troppo." ribatte Jacob, spostandole una ciocca di capelli dal viso.
Le loro lame sonnecchiano, quiete.


12.

Hanno detto che sono dispiaciuti per lei.
Attorno a lei gli altri bambini l'hanno fissata a lungo e Lydia ha potuto scorgere incertezza nei loro sguardi, in altri ancora persino timore.
È perché sei la nipote di due Maestri Assassini, le hanno ripetuto.
Sei Lydia Frye; indossi un nome pesante, piccola mia, aveva aggiunto una novizia.
"Cosa è successo ai tuoi genitori?"
Lydia solleva il viso dalla mappa che sta studiando, aggrottando le sopracciglia.
"Sono morti?" prosegue il bambino, un nido di capelli neri e tra le dita una mela.
"Credo di sì."
"Non lo sai?"
Lydia si stringe nelle spalle, tornando alla cartina - e se Evie potesse vederla adesso si ritroverebbe a fissare il proprio riflesso di quando aveva sette anni.
"E non sei curiosa?"
"No."
Il bambino si inclina verso di lei, perplesso.
"Tutti hanno dei genitori."
"Sì, be', io ho mio nonno e mia zia. E mi bastano."
Lydia traccia una linea dal punto a al punto b, riprendendo a ignorarlo.
Il bambino si siede proprio vicino a lei, guardando quello che sta facendo.
"Sai, tutti dicono che bisogna stare attenti con te."
"Perché mio nonno è Jacob Frye."
Il bambino stacca il picciolo dalla mela, alzando un sopracciglio.
"E tua zia Evie Frye."
Lydia sospira, voltandosi.
Il bambino le sorride, porgendole una fetta di mela.
"Cosa vuoi?"
"Fare amicizia."
"Non ti aiuterò con le mappe e la geografia."
Il bambino non perde il suo smalto, appoggiando la fetta di mela vicino alla sua matita.
"E io prometto di non metterti al tappeto troppo spesso durante gli allenamenti."
Lydia gonfia le guance in un'espressione oltraggiata, il bambino si alza, richiamato da altri loro coetanei - ehi, Sam! Vieni qui! Abbiamo trovato un nido di vespe.
Anni dopo ritroverà quel bambino sui tetti accanto a lei e nel mezzo di una guerra che non farà prigionieri.


(Ω)

È una bambina intelligente, Lydia.
Jacob la guarda e a volte ancora non ci crede - non trova possibile che sia successo.

"E dire che da giovani non ci siamo certo risparmiati."

Evie si era scrollata nelle spalle a quell'affermazione, abbozzando un sorriso divertito.

"Non so cosa dirti: a volte succede. Agnes ebbe il suo ultimo figlio a quarantasette anni, che io ricordi."

La osserva arrampicarsi sull'albero dal quale Jacob era caduto almeno due volte da piccolo, di cui l'ultima facendosi molto, molto male.
"È più agile di te."
"Sembra una scimmia."
"Hai appena dato del primate a nostra figlia."
Jacob beve un sorso di tè, fissandola da sopra il bordo della tazza.
Evie tamburella con le dita sul tavolo, alzando un sopracciglio.
"Prima o poi ci farà delle domande scomode."
"Le ha già fatte." le ribatte Jacob, quieto.
Evie smette di muovere le dita, fissandolo.
Jacob continua a bere il suo tè, passando alla pagina successiva del giornale.
Sospira quando Evie schiaccia verso il basso la rivista, puntandogli contro l'indice.
"Cosa significa le ha già fatte?"
"Quello che ho appena detto, Evie: qualche giorno fa mi ha chiesto chi fossero i suoi genitori e perché non siano qui."
Evie si siede, incrociando le mani tra le cosce.
"Le ho risposto che sono morti, entrambi; che sua madre non ha superato il parto e suo padre è stato ucciso per un regolamento di conti."
"Criminali." ribatte Evie, asciutta.
Jacob allarga le dita davanti a sé, stringendosi nelle spalle.
"Avevo altra scelta? Né eroi, né assassini: semplicemente persone normali che sono state divorante da Londra e dalla sua avidità."
Evie si muove inquieta sulla sedia, gettando un'occhiata verso il cortile.
"Ne farà delle altre."
"Lo so."
"Dormiamo ancora in un'unica stanza, Jacob."
"La promiscuità tra i novizi e le reclute non è mai stata un problema."
"No, ma noi non siamo alla Confraternita."
Jacob ripiega il giornale, fissandola.
"E se anche le facesse queste domande, Evie?"
"Non puoi davvero pensare che..."
Jacob taglia l'aria con un gesto veloce della mano, brusco.
"Forse le farà, forse si risponderà da sola."
Cerca Lydia nel cortile, la trova intenta a inseguire una papera - correre nell'erba a piedi nudi come erano soliti fare anche loro.
"Anche nostro padre deve essersele poste, no?"
Evie si umetta le labbra, ripercorrendo con la memoria quegli anni - gli sguardi confusi di loro padre, quelli irritati, negli ultimi mesi rassegnati.

Consapevoli.

Lydia riesce a catturare la papera, la stringe tra le mani ridendo - e Jacob sa che adesso entrerà in cucina per fargliela vedere e perché nonno, guarda, ho usato la Vista e...
"Il segreto di Pulcinella." dice in un italiano un po' stentato Evie.
Jacob la fissa in silenzio, non del tutto certo del suo significato.
"È quello che avrebbe detto Ezio Auditore." gli spiega lei, sulle labbra un sorriso a metà.
La porta sul retro sbatte violentemente contro il muro, sul pavimento passi veloci, lo starnazzare disperato di un pennuto.
Jacob si alza, Evie segue il suo movimento - si incontrano nel mezzo, baciandosi.
"L'ho presa!" chiosa Lydia, comparendo sulla soglia della cucina.
Evie incrocia le braccia dietro la schiena, prova pietà per la papera che Lydia solleva come un trofeo.
Jacob ride e il suo cuore è un po' più leggero.


13.

Lydia sa quello che mormora la gente: conosce le loro parole, i sussurri con i quali credono di metterla in difficoltà.
Sam le rivolge uno sguardo morbido, toccandole una spalla con la propria.
"Sono solo degli stupidi."
"Non ha importanza."
E Sam sa che Lydia dice il vero: l'ha capito fin dalla prima volta in cui l'ha trovata china su una mappa più grande di lei, una matita dietro l'orecchio e un cipiglio concentrato sul volto infantile.
Non teme nulla, Lydia Frye, perché suo è il tempo in cui il mondo conoscerà nuovi mostri di acciaio e metallo - suo il tempo che vedrà l'Europa cambiare.
Sam estrae dalla tasca del cappotto due mele, porgendogliene una - un piccolo rituale che hanno instaurato fin dalla prima missione insieme.
"Un giorno diventerai un Maestro Assassino e li prenderai tutti a calci in culo."
"Non ho bisogno di arrivare a tale carica per farlo." ribatte lei, scegliendo la mela più lucida.
Sam ridacchia, sedendosi e lasciando ciondolare i piedi oltre il cornicione.
"Tua zia mette davvero paura quando ci si mette, eh?"
Lydia assottiglia gli occhi, dando un morso alla mela.
"Voglio dire; ha rovesciato sulla schiena quella recluta come fosse una tartaruga."
Lydia ridacchia, puntandogli l'indice contro.
"E dovevi vederla con il nonno: quando ci allenavamo insieme lo metteva sempre al tappeto."
Sam sorride e Lydia fa altrettanto, appoggiandosi al suo fianco.
"Domani torneranno a Crawley."
"È la scelta migliore." la rassicura Sam, accarezzandole la nuca.
"Londra è nostra per merito loro, ma non è più sicura." prosegue Lydia, quieta.
Sam tace, guardando la città accendersi in fuochi rossastri e famelici - il cielo nero e senza stelle.
"Resisteremo, Lydia." le promette Sam, chinandosi verso il suo viso.
"Lo so." replica lei, percorrendone i lineamenti in punta di dita - imprimendoli nella memoria, sotto la pelle.

E poi torneremo tutti a casa.

Lydia sorride, infrangendo il suo respiro - baciandolo, e strappandogli ogni altra parola.

"Divertiti con Churchill, Lydia."
"Ah. E tu non morire, Sam Crowder."

La storia ripete sempre se stessa.




(Α)&(Ω)

La guerra è finita,

e loro sono ancora qui.

La guerra è finita, e lei è ancora qui - al suo fianco.
Jacob la guarda mentre dorme e si porta una mano al petto - , dove un dolore sordo lo stritola al pensiero di alzarsi e non trovarla più, perduta per sempre.
Evie socchiude le palpebre, cercandolo a tentoni nel letto vuoto a metà - si volta, trovandolo seduto vicino la finestra.

"Abbiamo toccato la sindone e lei ha toccato noi."

Lo chiama, Evie, e c'è tutto nella sua voce - il suo sorriso, il modo in cui ancora lo riprende quando rompe qualcosa, la risata che libera alle sue battute un po' infantili.

"E poi invecchieresti senza di me."

Jacob si volta ed è di nuovo giovane - lo sono entrambi.
Ci sono notti in cui si sveglia e c'è quell'attimo - quel solo, terribile, istante - nel quale preme le dita contro il fianco e muore all'idea di non sentire più il battito del suo cuore, il suo respiro.

"Diventeresti come nostro padre."

Evie stende la mano verso di lui,

"Una sorte peggiore della morte, sorella mia."

e nei suoi occhi Jacob legge la stessa, devastante, paura.

"Il mio sangue è il tuo sangue."

E allora si svegliano entrambi nel momento più buio della notte, cercandosi come quando erano piccoli e respirando - perché ci sono ancora: sono lì, vivi, e la guerra è finita e...

"Se tu sanguini, io sanguino."

Jacob intreccia le proprie dita alle sue, scivolando contro il suo corpo - lasciando che Evie si raggomitoli contro il suo petto e liberi un sospiro tremulo, che lui sa contenere i suoi stessi pensieri.

"Mi sei mancata, Evie."

Evie disegna figure immaginarie nello spazio tra il suo collo e la spalla, segue i contorni di un vecchio tatuaggio - i Rooks e tutto ciò che hanno significato.

"Anche tu, Jacob. Anche tu."

Jacob chiude gli occhi, baciandole la fronte, le palpebre,

"Notte, Evie."

cercandola come la prima volta,

"Cosa c'è di sbagliato in noi, Jacob?"
"Niente."

ed Evie risponde, perché la pelle è sempre la stessa - il bisogno che li ha spinti a essere Uno e Tutto, a scontrarsi e ad amarsi senza riserve.

"Le tue lacrime sono anche il mio dolore."

E ne è valsa la pena; dibattersi tra le proprie ossa, combattere se stessi, alla fine arrendersi, e comprendere.

"Se tu muori..."

Evie si rovescia sotto di lui, negli occhi nessun rimpianto, nessun rimorso.

"...io ti seguirò."

Jacob cerca la sua bocca, la bacia come se fosse allora - sul treno, schiacciati da una missione più grande di loro, divorati da una voglia che li aveva lasciati nudi e ansanti sul pavimento della carrozza - come se fosse l'ultima possibilità, quando pensava che l'India gliel'avrebbe portata via per sempre, o Jack l'avrebbe ucciso prima che avesse l'opportunità di dirle...

"È finita, Jacob. Sono qui, con te."

Evie nasconde il viso contro il suo petto, chiudendo le dita nella sua camicia.
"Anche io, Jacob. Anche io."

"Ti ho sempre amata, Evie. Fin dall'inizio."

L'uno nella braccia dell'altro ascoltano i loro respiri quietarsi e vivere un altro giorno - ancora qui.

Ancora insieme.




"I loved her against reason, against promise,
against peace, against hope, against happiness,
against all discouragement that could be."
- Charles Dickens -



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