From Dusk Till Dawn

di Iander
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Breaking the Rules ***
Capitolo 2: *** New Perspective ***
Capitolo 3: *** Upside Down ***
Capitolo 4: *** Afterglow ***
Capitolo 5: *** Demons ***
Capitolo 6: *** The end where I begin ***
Capitolo 7: *** Shades of Gray – A Stark Contrast ***
Capitolo 8: *** Losing Control ***
Capitolo 9: *** Superheroes ***
Capitolo 10: *** Back to the Start ***



Capitolo 1
*** Breaking the Rules ***


 
From Dusk Till Dawn
 
 
 
A Redeagle86,
per aver dato vita a questa fantastica avventura
 
Alla Je,
che si è sorbita tutto questo in anteprima,
che c’è sempre, nonostante tutto
 


Capitolo 1
Breaking the Rules
 

Contesto: Iron Man


 
“I gotta be tough, gotta be stronger
And take the time to understand
This city can’t get any colder
Stab you in the back while shaking your hand”


Virginia “Pepper” Potts si riteneva una lavoratrice pratica ed efficiente: scrupolosa, solerte, sapeva svolgere le sue mansioni in modo impeccabile. Del resto, era il minimo che ci si aspettasse da lei, in un’azienda del calibro delle Stark Industries.
 
Fin dalla sua assunzione, circa dieci anni prima, aveva dimostrato di riuscire a gestire perfettamente il carico non indifferente di lavoro che le spettava, senza mai perdere il controllo o cedere alla pressione a cui si era inevitabilmente sottoposti, quando si occupava una posizione tanto ambita quanto stressante come la sua. La capacità di mantenere la calma ed essere padrona di se stessa in ogni situazione erano senza ombra di dubbio i suoi punti di forza. Non solo: tra i numerosi requisiti in suo possesso figuravano ottime doti comunicative e una significativa predisposizione alla diplomazia; qualità del tutto rilevanti, quando si aveva a che fare con un capo suscettibile, egocentrico e megalomane come Tony Stark.

In tutti questi anni di lavoro come assistente personale, Pepper aveva fatto del suo meglio per stabilire un cordiale rapporto professionale tra di loro, basato sulla fiducia, sull’onestà e sul rispetto reciproci, e condito da una vivace quanto immancabile ironia. Non era stata proprio una passeggiata: complice la straordinaria intelligenza che possedeva, nonché una bellezza esteriore di cui era perfettamente a conoscenza, il signor Stark sapeva come mettere in soggezione il suo interlocutore e farlo capitolare con una o due delle sue disarmanti uscite. Pure a lei aveva inizialmente riservato lo stesso trattamento, ma Pepper, consapevole del suo valore e del ruolo che ricopriva, non si era fatta scoraggiare: l’ultima cosa che voleva era farsi mettere i piedi in testa dal suo principale, pertanto ad ogni sua ironica affermazione rispondeva con lo stesso tono, senza peraltro risultare insolente. Tony aveva dimostrato di apprezzare la sua faccia tosta e poco a poco il loro rapporto aveva assunto una connotazione paritaria. In tutta onestà, era serenamente convinta di aver fatto un ottimo lavoro e si riteneva soddisfatta dell’equilibrio che si era venuto a creare: nonostante le numerose difficoltà e i contrattempi quotidiani, spesso dovuti a certi improvvisi colpi di testa del suo superiore, si trovava bene in quella posizione e svolgeva i suoi incarichi senza particolari preoccupazioni.

Eppure, nell’ultimo periodo aveva dovuto fare i conti con una realtà completamente diversa. La cattura e la conseguente prigionia di Tony in Afghanistan avevano inevitabilmente finito per intaccare la sua nota compostezza professionale; sebbene avesse sempre cercato di mantenere un certo grado di distacco dall’ambiente lavorativo, non aveva potuto fare a meno di lasciarsi coinvolgere emotivamente dalle circostanze e di sentirsi sinceramente in pena, sapendo il suo titolare in balia di terroristi violenti e senza scrupoli. Il colonello Rhodes aggiornava regolarmente lei e il signor Stane sulla situazione e aveva più volte assicurato che tutti gli sforzi erano concentrati nella ricerca del covo, con buone probabilità di individuarlo al più presto, eppure non aveva potuto fare a meno di angosciarsi e di temere il peggio ogni volta che un notiziario compariva in tv [1]. Ad un certo punto, aveva iniziato a sentirsi anche in colpa: come sua assistente, ruolo che le permetteva di essergli più vicina dello stesso Stane, avrebbe dovuto insistere sul piano della sicurezza e convincerlo ad adottare misure ancora più restrittive, trattandosi di una zona di guerra ed essendo lui un bersaglio decisamente a rischio. Andava così fiera della sua professionalità e poi falliva nei momenti cruciali… Del tutto imperdonabile.

Poi un giorno, Tony era riuscito a fuggire grazie alla prodigiosa armatura che aveva costruito ed era tornato. Avrebbe ricordato per sempre il profondo sollievo e la gioia incontenibile che aveva provato, quando le avevano comunicato la notizia del suo ritrovamento. Il giorno del suo rientro si era fiondata sulla pista dell’aeroporto e aveva atteso con trepidazione l’atterraggio dell’aereo militare, l’ansia che finalmente defluiva mentre Tony le si avvicinava a passo sostenuto e sguardo fisso, sebbene visibilmente provato. In quel momento si era resa pienamente conto di quanto le fossero mancati lui e le sue provocazioni, e aveva risposto con ritrovato gusto alla frecciatina sui suoi occhi rossi.

Ma se pensava che a quel punto le cose avrebbero gradualmente ripreso il proprio corso, si sbagliava di grosso. Senza neanche passare in ospedale per un controllo, Tony aveva convocato una conferenza stampa e annunciato la sua irremovibile decisione di chiudere la divisione fabbricazione armi. La sua scelta aveva comprensibilmente scatenato un putiferio e Pepper non aveva potuto fare altro che rimboccarsi le maniche e gettarsi con vigore nella fossa dei leoni, tamponando per quanto possibile le disastrose conseguenze. Onestamente non comprendeva la volontà del suo capo e i motivi che lo avevano spinto in quella direzione, considerando la controversa personalità di Tony Stark: nell’arco della sua vita aveva più volte compiuto scelte opportuniste e tra le sue prerogative non figuravano certo i sani principi, nessuno avrebbe potuto biasimarlo se avesse reso la vendetta la sua principale occupazione, intensificando la produzione di armi. Ad ogni modo, Pepper non ci aveva pensato troppo su: per quanto eccentrico e anticonformista, Tony non era uno sprovveduto e sapeva il fatto suo; evidentemente, doveva avere per la testa un piano B. Si era dunque concentrata sui suoi compiti, cercando di fare del suo meglio anche in quella situazione.

Si stava appunto occupando di questo, quando Tony le aveva chiesto di aiutarlo a sostituire il reattore che aveva nel petto. Ora, di richieste strambe ne aveva ricevute molte nel corso degli anni, alcune davvero discutibili, ma questa era senza alcuna ombra di dubbio letteralmente assurda: come diavolo gli era venuto in mente di domandarle una cosa simile, con il serio rischio di ucciderlo e senza averla prima accuratamente preparata? A volte Pepper si stupiva della leggerezza con cui Tony Stark prendeva la vita. Al contrario, lei non aveva potuto fare a meno di agitarsi all’idea di ciò che stava per fare: l’autostima e tutte le numerose qualità che la contraddistinguevano erano svanite di colpo, nel momento in cui aveva provato ad inserire la mano nella cavità del reattore. Tony era però riuscito a tranquillizzarla, dicendole con tono fermo e sguardo fisso nel suo che era la persona più capace, qualificata e fidata che avesse mai conosciuto. Quelle parole avevano avuto il potere di calmarla e di far riaffiorare la sua determinazione; del resto, fino quel momento niente era mai riuscito a fermarla, figurarsi un innocuo filo di rame.

Ripensandoci a mente fredda, quella era stata la prima volta in cui Tony le aveva detto apertamente che opinione avesse di lei. Certo, era perfettamente consapevole che lo avesse fatto affinché lei si sentisse più sicura e ritrovasse la lucidità, tuttavia qualcosa nel suo tono le diceva che non erano solo vuote parole di circostanza dettate dal momento, lui… le pensava davvero. Credeva realmente in ciò che aveva detto. Non che fosse una sorpresa, ben inteso: era consapevole di lavorare bene e di essere una fidata assistente, ma sentirselo dire proprio da lui era senz’altro gratificante. Per questo quando aveva erroneamente estratto la calamita dalla cavità, si era sentita in dovere di rassicurarlo, anziché cedere al panico: voleva dimostrargli che la sua fiducia era ben riposta e che sarebbe sicuramente riuscita a rimediare al danno.

E ce l’aveva fatta davvero: si era fatta coraggio e aveva collegato il reattore alla placca base, inserendolo poi nella cavità. Ciononostante, non aveva la minima intenzione di ripetere l’esperienza e si era premurata di metterlo subito in chiaro. Lui le aveva risposto con una frase apparentemente innocua, ma di forte impatto: non aveva nessuno, se non lei. Quelle parole le si erano impresse nella mente, assieme allo stupore per quella seconda, sincera rivelazione: non si aspettava di contare così tanto per lui. Ricordava di essere rimasta in silenzio, troppo colpita per trovare su due piedi una risposta.

Nei giorni successivi aveva spesso ripensato a quel momento. Lo stava facendo tuttora, seduta alla scrivania con pile di documenti che richiedevano la sua attenzione. Per la prima volta nella sua vita, Pepper non riusciva a concentrarsi: la sua mente era totalmente rivolta a quel complicato enigma che Tony Stark rappresentava. Pensò che in quella grotta dovesse aver preso una bella botta in testa per iniziare ad esprimere con tanta scioltezza pareri così personali, e le venne da ridere. Ma il sorriso che le aveva increspato le labbra svanì in fretta, quando pensò che sì, la prigionia aveva avuto un profondo impatto sulla sua vita e sulla sua persona e che, molto probabilmente, Tony non sarebbe più stato lo stesso. Si chiese quali fossero i suoi pensieri a riguardo, se avesse parlato con qualcuno della sua traumatica esperienza. Era probabile che si fosse aperto con il colonello Rhodes, ma Pepper lo conosceva ormai abbastanza bene da sapere che, se lo aveva fatto, era solo per tranquillizzare l’amico ed alleviare il suo senso di colpa. Non per sfogarsi o trovare conforto.

Pepper inclinò la testa di lato, assorta, e prese tra le dita la penna fino quel momento abbandonata sulla scrivania, facendola roteare con lentezza. Ora era fortemente combattuta. Da un lato, sentiva il bisogno di adoperarsi in qualche modo e di offrire il suo aiuto: era brava ad ascoltare le persone senza giudicare, non le sarebbe costato nulla tendere la mano e rendersi disponibile per una chiacchierata liberatoria. Dall’altro, lei e Tony erano entrambi molto discreti e gelosi della propria intimità: prima di allora, non si era mai interessata alla sfera privata del suo capo, né aveva mai discusso con lui di aspetti personali della loro vita. Certo, negli anni era capitato di fare accenno a qualche particolare e di esprimere alcuni commenti a riguardo, come nel caso dei genitori di Tony, ma si era sempre trattato di brevi scambi di circostanza dettati dal caso, e non da un reale coinvolgimento. Pepper sapeva bene quanto lui desiderasse tenere per sé i propri pensieri e mantenere con lei un rapporto cordiale, ma distaccato: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un’assistente invadente e ficcanaso. Probabilmente, la caratteristica che più apprezzava di lei era proprio il suo riserbo.  

D’altro canto, nei giorni scorsi Tony si era esposto notevolmente e in pochi istanti aveva manifestato i suoi pensieri più di quanto avesse mai fatto in dieci anni; magari era un modo indiretto per farle capire che era pronto ad aprirsi con lei. Oppure si trattava di un semplice lampo di follia dovuto all’eccitazione del momento e non significava proprio niente. Pepper sospirò, crucciata, e decise che ci avrebbe pensato ancora un po’ su, prima di fare un passo falso.

Rivolse di nuovo la sua attenzione ai fogli ordinatamente impilati davanti a lei e cominciò a ricontrollarne il testo, per essere sicura che non ci fossero errori e che si potesse procedere con le firme. Iniziò a scorrere le pagine una dopo l’altra, attenta, soffermandosi ogni tanto su qualche frase e valutando se fosse il caso di riformularla, per poi proseguire con la lettura. Una volta terminata la revisione, riordinò i fogli in plichi ordinati e li sistemò sulla scrivania, poi si sporse sul tavolino alla sua sinistra per prendere un bicchiere d’acqua e bere un sorso. Nel compiere il gesto, il suo sguardo si soffermò sul reattore Arc che Tony aveva in precedenza nel petto e che ora sostava accanto alla brocca: lui le aveva detto esplicitamente di buttarlo, eppure Pepper non riusciva a decidersi a farlo. Non si trattava di nostalgia o sentimentalismo – lei era pratica e razionale tanto quanto Tony – solo le sembrava… ingiusto distruggere un oggetto così significativo, che gli aveva permesso di sopravvivere e di liberarsi dalla prigionia. Non che a lei fosse venuta un’idea migliore, nel frattempo: onestamente non sapeva cosa farne e aveva temporeggiato, lasciandolo per il momento sul tavolino in attesa che le venisse qualche trovata brillante. Rimase per qualche istante ad osservarlo, di nuovo persa nei pensieri che avevano caratterizzato gli ultimi giorni; infine si riscosse, si alzò e prese tra le mani i documenti: era giunto il momento di sottoporli all’attenzione del suo riluttante superiore.

«Signor Stark, sto per scendere» annunciò all’interfono e, senza attendere una risposta, si diresse alle scale del laboratorio: era sicura che lo avrebbe trovato lì, a lavorare su qualche nuovo marchingegno. Da quando era tornato, passava quasi l’intera giornata in quel posto, circondato da computer, cavi e congegni di ogni sorta; forse era il suo personale modo di ritrovare un contatto con la realtà. Ed eccolo lì, infatti, una cassetta degli attrezzi al suo fianco e uno dei suoi robot meccanici come supporto, l’attenzione totalmente rivolta a quello che sembrava uno… stivale? Aveva deciso di chiudere con le armi per lanciarsi nella costruzione di calzature metalliche? Pepper corrugò la fronte, perplessa, ma si astenne dal fare commenti. Si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò con passo sicuro al banco da lavoro, poggiandovi con cura i plichi che aveva preparato. «Signor Stark, dovrebbe firmare questi documenti».

Lui continuò per qualche istante a lavorare su alcuni cavi all’altezza della caviglia dello stivale, poi con un sospiro appoggiò la pinza sul tavolo e si rivolse al robot che lo assisteva: «Ferro Vecchio, passami uno straccio. Di che si tratta?» le chiese, sbrigativo, pulendosi le mani. 

«Sono i verbali per il prossimo consiglio di amministrazione e alcune dichiarazioni per la stampa. Deve firmare qui, qui, e… qui. E poi a pagina 5, 11 e 14 di questo plico» spiegò, scorrendo le pagine e indicando i punti esatti in cui apporre le firme. Tony seguì con lo sguardo le sue dita veloci, autografando svogliatamente i documenti.

«Ecco fatto. Confido che abbia fatto un ottimo lavoro, nel cercare di arginare gli effetti della conferenza» le disse, dando un’occhiata veloce alle dichiarazioni per la stampa ma senza soffermarsi a leggerne il contenuto.

«Ovviamente. Non che avessi altra scelta: qualcuno doveva pur tentare di limitare i danni» replicò Pepper, abbozzando un sorriso saputo.

«Touché» ribatté Tony. Appoggiò la penna sul tavolo e la guardò. «È tutto, signorina Potts?».

«Sì, è tutto, signor Stark». Pepper riprese i documenti, gli diede le spalle e si incamminò verso la porta. A pochi passi dal raggiungerla si fermò, la mente di nuovo attraversata dai ricorrenti pensieri degli ultimi giorni. Si chiese se fosse il caso di gettare all’aria il buon senso e provare a parlargli: era vero, aveva deciso di aspettare e rifletterci un po’, ma Tony sembrava tranquillo e forse non l’avrebbe presa male, se il suo tentativo si fosse rivelato un azzardo. Prese un veloce respiro e si voltò, prima di cambiare di nuovo idea: «Tony… va tutto bene?»

Lui, nel frattempo, aveva ricominciato a trafficare con gli attrezzi e non sembrava aver notato il suo breve conflitto interiore. Alla sua domanda alzò gli occhi e li fissò nei suoi; un lampo di curiosità gli attraversò per un attimo lo sguardo. «Certo, Pepper. Tutto a meraviglia, se nei prossimi minuti Ferro Vecchio non deciderà di mandare all’aria due intere giornate di lavoro» rispose burbero, lanciando un’occhiataccia al robot, il quale abbassò sconsolato il braccio meccanico.

«No, io… non intendevo questo» replicò Pepper, avvicinandosi di qualche passo al suo superiore. «Mi chiedevo se lei stesse bene… davvero. Insomma, ha vissuto un’esperienza traumatica e ci sono state delle conseguenze significative, mi domandavo se per caso le andasse di parlarne» concluse, soppesando le parole. Poi, temendo che Tony potesse fraintendere le sue intenzioni, si affrettò ad aggiungere: «Mi creda, non voglio ficcanasare o farmi i fatti suoi, non lo farei mai. Ma mi farebbe molto piacere esserle d’aiuto in qualche modo, anche solo per due parole» chiarì, tornando a guardarlo negli occhi.

Tony aveva piegato le labbra in un sorriso tirato; sebbene cercasse di mostrarsi disinvolto, il suo corpo si era inevitabilmente irrigidito, sentendo la sua richiesta. «Tranquilla, Pepper. So bene che lei non è una persona invadente» la rassicurò. Il suo sguardo vagò lungo la stanza, soffermandosi sui banchi ricoperti di attrezzi senza però vederli davvero. Pepper lo osservò con attenzione: sembrava combattuto. La posa che il suo corpo aveva assunto lasciava intendere che non gli andasse molto a genio di parlare della prigionia, ma allo stesso tempo era come se volesse dirle qualcosa e stesse riflettendo con cura. Pazientò, in silenzio, lasciandogli tutto il tempo che gli serviva per decidersi.

Dopo qualche istante, Tony rialzò lo sguardo su di lei: non sembrava infastidito, solo… molto stanco. «Non le nascondo che non sono stati dei mesi facili. Quegli stronzi sanno essere molto persuasivi… però non è andata così male. Avevo un valido compagno di cella che mi ha dato tutto il supporto di cui avevo bisogno e che mi ha sostenuto nel progetto di fuga, ad ogni costo. Mi ha aiutato a non impazzire e gliene sarò grato per sempre». Il suo sguardo si fece per un attimo distante, come se si trovasse ancora tra le pareti anguste di quella grotta. Si riscosse dopo qualche secondo e il suo corpo si rilassò, mentre un sorrisino furbo si delineava sulle sue labbra: «E poi, sono riuscito a volgere il loro piano a mio favore e a costruire qualcosa di stupefacente. Direi che è andata bene, anche se le conseguenze sono ben visibili» aggiunse, tamburellando le dita sul reattore Arc che aveva nel petto. «Beh, non sempre si può avere tutto. Dico bene?»

Pepper si lasciò sfuggire un sorriso. Era davvero felice che Tony avesse deciso di aprirsi con lei. Sì, non si era dilungato molto e aveva concentrato i suoi pensieri in poche frasi, ma apprezzava senza dubbio lo sforzo: lo conosceva bene e sapeva quanto gli fosse costato lasciarsi andare. Si chiese se fosse il caso di insistere e chiedergli più dettagli, magari riguardo al suo compagno di cella, ma qualcosa nello sguardo di Tony le disse che non era il caso. Non in quel momento, comunque. Glielo avrebbe chiesto un’altra volta. Così si limitò a rispondere: «È vero. O forse sarebbe meglio dire che nemmeno lei può avere sempre tutto».

Tony sbuffò una risatina, gli occhi che brillavano: «Già, questa volta mi tocca darle ragione. Devo essermi rammollito, ultimamente. Vedrò di rimediare».

Pepper lo guardò e annuì, complice. Si chiese se dovesse dirgli ciò che pensava davvero di lui o se fosse meglio girare sui tacchi e andarsene. Ci rifletté per qualche istante, poi decise che per una volta valeva la pena essere sincera e oltrepassare quel labile confine che li separava. Si portò una mano alla fronte, sistemando una ciocca dispettosa, e prese un breve respiro. «Io penso che lei abbia compiuto un’impresa davvero straordinaria. Nessun altro avrebbe potuto riuscirci. E non lo dico per via della sua intelligenza o del suo talento nel costruire qualsiasi marchingegno, qualità indiscutibilmente importanti, ma… non abbastanza per sopravvivere». Si inumidì le labbra, avvertendo una leggera tensione scorrerle nelle vene. «Ciò che alla fine ha davvero fatto la differenza è stata la sua forza d’animo. Non si è fatto piegare da quei terroristi e li ha battuti giocando al loro stesso gioco».

Le labbra di Tony si incurvarono in un sorriso amaro. «Già. A volte, però, la forza d’animo non basta a salvare qualcuno» mormorò, incolore.

«Purtroppo no. Però è un buon punto di partenza, da non sottovalutare» ribatté lei con naturalezza. Inclinò appena il capo, osservandolo con più attenzione. «E se posso permettermi, Tony, credo che lei abbia anche un grande cuore» aggiunse, sincera. Poi aggrottò le sopracciglia, senza riuscire a nascondere una leggera smorfia di avversione. «Beh, questo ho avuto modo di constatarlo concretamente, devo dire». Le sue dita si agitarono frenetiche, al pensiero del pus viscido e puzzolente che aveva dovuto toccare.  

«Questo è davvero un colpo basso, signorina Potts!» la riprese lui, fintamente scandalizzato. Poi la sua espressione si fece più seria, pur mantenendo un’aria serena. «Grazie, Pepper. Apprezzo il suo sostegno» aggiunse, dopodiché tornò a rivolgere la sua attenzione agli attrezzi abbandonati sul tavolo. Il discorso poteva considerarsi chiuso.

Pepper colse il sottointeso di quel gesto e capì che era ora di lasciarlo lavorare. Prima di andarsene, lo guardò un’ultima volta e disse: «Prego, signor Stark. Se vorrà ancora scambiare due parole, può contare su di me». Non attese una sua risposta – sapeva che non sarebbe arrivata – aprì la porta e iniziò a salire le scale.

Tornò alla sua postazione e appoggiò i documenti sulla scrivania; più tardi avrebbe provveduto a scannerizzarli e ad inviarli. Si lasciò cadere sulla sedia con un sospiro esterrefatto, incredula per ciò che era appena successo: per la prima volta, avevano oltrepassato il limite che caratterizzava il loro distaccato rapporto “capo – assistente” e senza riportare alcun danno, il che non era assolutamente scontato, quando si aveva a che fare con Tony Stark. Pepper sapeva di non doversi esaltare troppo, era importante che continuasse a non farsi coinvolgere troppo dall’ambito lavorativo, eppure non poteva fare a meno di sentirsi felice per questo traguardo.  Dopotutto, anche lei non aveva nessuno, se non lui: era inevitabile, quando si ricopriva una posizione come la sua per dieci anni. Si finiva inevitabilmente per tagliare fuori tutto, anche gli affetti più cari. Non ne andava fiera, ma forse alla fine ne era valsa la pena: questo primo passo avrebbe potuto persino permettere loro di essere amici, in futuro.

Ripercorse con la mente la loro conversazione. Rivide le espressioni di Tony, mentre le parlava e si lasciava andare: non avrebbe saputo valutare fino in fondo il suo stato d’animo, ma tutto sommato le era sembrato ben disposto. Sintetico, certo, ma non sfuggevole come si aspettava. Quanto a lei, credeva di aver fatto bene a non calcare la mano: rischiava di risultare inopportuna e di scatenare la reazione opposta, ovvero di farlo chiudere in se stesso. Ci sarebbe stato tempo per sondare più a fondo i suoi pensieri, doveva solo avere pazienza. Ciò che importava, comunque, era che Tony stesse bene e che avesse superato quell’esperienza scioccante; non che ne fosse sicura – tutti continuavano a sostenere che soffrisse di stress post-traumatico – ma certamente stava facendo progressi. Sospettava che il progetto su cui stava lavorando in quel momento ne fosse in parte responsabile.

Le sfuggì un sorriso, ricordando ciò che gli aveva detto a proposito del cuore. Non poté fare a meno di considerare che si era decisamente meritato quella stoccata: era, si disse, una piccola e soddisfacente vendetta per l’assurda richiesta che le aveva rivolto qualche giorno prima. Nel pensarlo, il suo sguardo si soffermò nuovamente sul vecchio reattore: lo prese e lo rigirò tra le mani, osservandone i dettagli, assorta. Di colpo, un’illuminazione improvvisa le attraversò la mente. Tutto sommato, non c’era bisogno di buttarlo. Sorrise tra sé e sé: ora sapeva che cosa farne.
 

 
“So I’m taking the chance, walking away, breaking the rules
Nobody here can tell me what to do
I’m out on my own, making my way
Trying to be someone that I can be proud of one day”
 
Breaking the Rules – Jack Savoretti


 


Note:
[1] Ho immaginato che Rhodey fornisse regolari aggiornamenti a Pepper e a Stane. In questo capitolo, Pepper si riferisce a Rhodey chiamandolo Colonello Rhodes: ho pensato che, pur conoscendosi da diversi anni, lei lo consideri semplicemente come un caro amico del suo capo, a cui non dare eccessiva confidenza. Nell’adattamento italiano di Iron Man, inoltre, Pepper si rivolge a lui dandogli del “lei”.



Ciao a tutti! Questa storia è il frutto di un esperimento che mi ha impegnata molto in questi mesi ed è, inoltre, il mio primo vero tentativo di produrre qualcosa di complesso e strutturato; spero che il risultato finale sia apprezzabile. Si tratta di una raccolta incentrata sull’evoluzione di Tony e Pepper, come personaggi singoli e come coppia: ogni capitolo si riferisce ad un film diverso, seguendo l’ordine cronologico del MCU. Il punto di vista si alternerà tra quello di Pepper e quello di Tony.
 
Questo capitolo si svolge nel bel mezzo di Iron Man, grossomodo dopo che Pepper ha aiutato Tony a sostituire il reattore, ma prima che lei glielo riconsegni in versione cimelio. Il punto di vista è quello di Pepper: mi è piaciuto analizzare la prospettiva che nel film non ci viene mostrata, ovvero quella di chi è rimasto a casa, nella sfibrante attesa di conoscere le sorti di Tony, e di chi si ritrova poi a dover avere a che fare con lui e i suoi nuovi colpi di testa, senza sapere che cosa gli stia passando per la mente.
 
La canzone che ho scelto per accompagnare questo capitolo è “Breaking the Rules” di Jack Savoretti: nei dieci anni che precedono il film, il rapporto che lega Tony e Pepper è sempre stato professionale e diplomatico, ma soprattutto distaccato. Ciò che è accaduto a Tony ha però inevitabilmente rotto l’equilibrio, dando il via ad un lento avvicinamento tra di loro. Pepper sente sempre di più la necessità di oltrepassare la linea che fino a quel momento ha ben marcato la loro distanza: per lei significa, a tutti gli effetti, infrangere le regole.
 
Conto di aggiornare regolarmente ogni venerdì: vi aspetto dunque venerdì prossimo con il secondo capitolo, questa volta dal punto di vista di Tony.
 
Ringrazio vivamente Redeagle86, a cui ho dedicato questo capitolo, per aver dato il via con le sue storie meravigliose alla mia lunga e intensa relazione con Efp: grazie per aver accompagnato quei giorni spensierati in cui ero solo una ragazzina con la testa piena di sogni. A te, che sei stata l’inizio di tutto, non potevo che dedicare il primo capitolo di questa avventura. E grazie alla Je, che ha sopportato per mesi i miei deliri senza mai mandarmi a quel paese, che mi ha sostenuta anche quando volevo mollare tutto: non potevo desiderare un’amica migliore ♥
 
Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander



 

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Capitolo 2
*** New Perspective ***


    
From Dusk Till Dawn


 
A suni,
per le risate che lasciano senza fiato
 
Capitolo 2
New Perspective


Contesto: Iron Man 2
 
“I feel the salty waves come in
I feel them crash against my skin
And I smile as I respire because I know they’ll never win
There’s a haze above my TV
That changes everything I see
And maybe if I continue watching
I’ll lose the traits that worry me
 
Can we fast-forward to go down on me?”


«Ferro Vecchio, prova a sbagliare ancora e ti rottamo all’istante». Tony scoccò l’ennesima occhiata eloquente al suo aiutante robotico, colpevole di aver quasi mandato in corto circuito una sezione della sua armatura; quello, in risposta, emise un verso meccanico di disappunto, abbassando il braccio meccanico e arretrando leggermente. Tony si passò una mano sul viso e sospirò, seccato, poi si apprestò a saldare con precisione chirurgica alcuni componenti metallici del torace.

Quel sabato, il tempo a Malibu era stranamente uggioso: dalle finestre squadrate del laboratorio faceva capolino un cielo grigio e denso di nuvole e in sottofondo, nei rari momenti in cui il rumore della saldatrice non riempiva la stanza, si sentiva chiaramente la pioggia sferzare contro l’edificio. Tony non aveva battuto ciglio di fronte a quel meteo vagamente atipico, decidendo di trascorrere il pomeriggio nel modo più ordinario che conosceva, ovvero armeggiando con la Mark VI [1]: aveva giusto un paio di upgrade appena ultimati da installare e collaudare.

Armatura e computer, pezzi di ricambio e calcoli. Tutto perfettamente nella norma, non fosse per la persona che in quel momento occupava il divanetto dall’altra parte della stanza: Pepper sedeva placida con le gambe rannicchiate, un libro tra le mani e l’espressione assorta. Il fatto che stessero condividendo lo stesso spazio senza al contempo litigare, ridefinire accordi lavorativi o mettere i bastoni tra le ruote al cattivo di turno, ma solo per il piacere di trascorrere del tempo insieme, rendeva perfettamente l’idea di quanto la sua vita di recente fosse cambiata radicalmente.

Per la prima volta da diversi anni, si trovava in una relazione seria e stabile. Questo, ragionò, rappresentava senza alcun dubbio una svolta epocale per lui – se si escludevano un elettromagnete nel petto corredato di apposito reattore, un’armatura high-tech e un presente come supereroe. Tony onestamente non ricordava l’ultima volta in cui aveva avuto una storia degna di essere definita tale; era però sicuro che fosse passato decisamente molto tempo. E tuttavia, non sentiva l’irrefrenabile bisogno di fuggire a gambe levate di fronte a quel nuovo e insolito legame, anzi: non solo non si sentiva oppresso come aveva inizialmente temuto, ma stava addirittura cercando di impegnarsi davvero per far funzionare le cose tra loro. Ciò non era affatto scontato, quando si parlava di Tony Stark. 

Le sue labbra si incurvarono in un sorriso sghembo, cogliendo l’ironia della situazione. Scrollò appena la testa, divertito, posò la saldatrice sul banco da lavoro e si sporse verso il pc alla sua destra: iniziò a digitare una lunga sequenza di codici con mani esperte, poi premette il tasto enter e avviò il caricamento delle nuove impostazioni nell’armatura. Aspettò che il sistema completasse la procedura e tamburellò distrattamente le dita sul tavolo, appoggiando il mento sul palmo sinistro. I suoi occhi saettarono su Pepper, immobile e rilassata di fronte a lui: la sua ragazza sembrava quasi trovarsi su un altro pianeta, tanto era concentrata. La sua ragazza. Definirla così gli faceva ancora uno strano effetto.

Prima di allora, rifletté, non aveva mai sentito la reale necessità di avere una persona fissa al suo fianco: complice una vita alquanto frenetica e al di sopra delle righe, per lui contavano solo incontri fugaci e superficiali, privi di complicazioni di ogni sorta; la sua mente era già impegnata a sufficienza così e tanto gli bastava. Certo, negli anni gli era capitato di stringere legami saldi e duraturi: Rhodey ed Happy ne erano un chiaro esempio, per non parlare di Obadiah – un brivido gli percorreva ancora la schiena al ricordo – ma nemmeno con loro si era mai lasciato andare del tutto, evitando di esternare a pieno i suoi pensieri più profondi. Non si trattava di una strana forma di pudore o di scarsa fiducia nei loro confronti, niente affatto; semplicemente, la sua vita era stata quasi sempre caratterizzata dalla solitudine. Fin dalla giovane età si era abituato a tenere per sé le considerazioni più intime, unico e vero spettatore delle proprie vicissitudini, e non aveva mai sentito la reale necessità di rendere gli altri partecipi di ciò che davvero pensava dentro di sé.

Ora, invece, le cose erano diverse: da qualche mese a questa parte Pepper aveva iniziato a ricoprire un ruolo sempre più importante e significativo nella sua quotidianità. Per la prima volta, si era ritrovato a condividere momenti, gesti e pensieri con qualcuno, ad aprire la propria mente senza celarla dietro a un velo di apatia, permettendole così di vedere più di quanto chiunque altro avesse mai fatto. Tony corrugò appena le sopracciglia, nel ripensare a quanto gli fosse sembrato strano e inusuale, all’inizio: ricordava di essersi messo sulla difensiva, preso in contropiede dal sincero interesse che lei manifestava anche per gli aspetti più banali; onestamente, non capiva perché Pepper ci tenesse così tanto a conoscere tutto ciò che lo riguardava. Si era lasciato andare poco a poco, cominciando ad apprezzare i risvolti di quella piacevole intrusione. Aveva realizzato come Pepper non lo ascoltasse per pura e semplice adulazione, come d’altronde faceva la stragrande maggioranza delle persone, ma perché era davvero interessata alla sua opinione, ai suoi reali pensieri; e lui non aveva disdegnato la sua genuina curiosità, trovando sempre meno difficile aprirsi e accontentarla. Aveva come l’impressione di aver iniziato a demolire, mattone dopo mattone, una barriera difensiva che negli anni aveva inconsapevolmente costruito attorno a sé; e, stranamente, non si sentiva contrariato al riguardo.

Inclinò appena la testa, studiandola con più attenzione. Pepper appariva tranquilla e riposata, nonostante fosse rientrata solo la sera prima da una settimana di lunghe ed estenuanti riunioni in giro per gli Stati Uniti; Tony non riusciva davvero a comprendere dove trovasse tutta quella energia: sembrava che niente riuscisse a metterla fuorigioco. In seguito alla catastrofe della Stark Expo, aveva dovuto insistere un po’ per convincerla a mantenere la posizione di amministratore delegato: ne era seguita una serie di battibecchi vivaci e accese discussioni, ma alla fine Pepper aveva accettato. Seppur mostrando una certa riluttanza, non era riuscita a nascondere una buona dose di compiacimento: era ben consapevole di avere tutte le capacità per gestire al meglio un’azienda in preda al caos come lo erano le Stark Industries in quel momento, ripristinando l’ordine; e lui concordava totalmente.

Lo sguardo di Pepper saettava veloce da una riga all’altra, rincorrendo le parole. Una ruga le increspò la fronte, mentre si imbatteva in un passaggio particolarmente complesso. A Tony parve quasi di percepire l’ostinazione con cui affrontava anche un semplice libro, come del resto aveva sempre fatto nella sua vita. Si lasciò scappare un lieve sorriso ricordando il giorno in cui l’aveva conosciuta: la rivedeva ancora precipitarsi come una furia nel suo ufficio, aggirando ingegnosamente la sicurezza, e sbattere con forza i documenti contabili sotto al suo naso, segnalando un errore che lui stesso aveva commesso e che avrebbe comportato una perdita enorme per le Stark Industries [2]. La sua incrollabile determinazione e la sua profonda lealtà lo avevano davvero colpito, al punto da proporle su due piedi di diventare la sua assistente personale. Una vigorosa stretta di mano aveva dato il via ad una lunga e intensa collaborazione che aveva portato Pepper a divenire ben presto una delle poche persone di cui si fidava ciecamente, forse l’unica alla quale avrebbe affidato senza esitazioni la propria vita.

Negli anni aveva avuto modo di apprezzare sempre di più le sue capacità, il suo fine intuito e la sua discrezione, sebbene in cuor suo non potesse fare a meno di ritenerla un po’ troppo rigida. Eppure, nonostante la considerasse un tipino grazioso e indiscutibilmente brillante, in dieci anni di lavoro Pepper non era mai stata oggetto dei pensieri molesti e indecenti che in genere riservava, senza tanti scrupoli, al genere femminile: era come se una parte della sua mente l’avesse collocata in una zona off-limits, decisamente al di fuori del suo raggio d’azione. Tony non ne era molto stupito: lei era un’assistente dedita e instancabile, sapeva gestire alla perfezione i suoi sbalzi d’umore e tamponare i danni che più o meno consapevolmente causava, era assolutamente naturale che il suo inconscio avesse cercato di preservare ad ogni costo il loro rapporto; creare motivi di imbarazzo o farla fuggire oltraggiata non era certo nei suoi interessi.

Poi era stato rapito in Afghanistan e con il suo ritorno, le cose tra loro avevano cominciato a cambiare, incrinando un equilibrio consolidato negli anni: avevano iniziato a trascorrere più tempo assieme, condividendo sempre più apertamente i propri pensieri e oltrepassando un limite che entrambi avevano cautamente rispettato fino a quel momento. Si erano avvicinati sempre di più, scoprendosi l’uno il sostegno dell’altra; quasi non si era accorto di aver cominciato a guardarla con occhi diversi, finché non se l’era trovata improvvisamente di fronte a quella galeotta serata di beneficenza: Tony era seriamente convinto di aver avuto una vera e propria epifania in quell’occasione, che lo aveva portato a riconsiderare tutto il loro rapporto [3].

Nella sua testa aveva iniziato a farsi sempre più spazio la convinzione che Pepper fosse quella giusta, che nessun’altra avrebbe mai potuto essere migliore di lei e che tanto valeva sugellare il summenzionato fatto in grande stile: fiondarsi in gioielleria a comprare un anello gli era sembrata la cosa più ovvia da fare. Neanche per un istante gli era passata per la mente l’idea di essere preda di uno dei suoi noti colpi di testa e di star decisamente affrettando le cose, certo che no. Ma proprio quando stava per farle la galante proposta, un attimo prima di annunciare al mondo intero di essere Iron Man, Pepper aveva pensato di liquidarlo con due frasi ben piazzate, raffreddando all’istante il suo spirito infervorato; a lui non era rimasto altro che incassare il colpo con quanta più dignità possibile, decidendo saggiamente di rifilare l’anello ad un alquanto sbigottito Happy, in attesa di tempi migliori [4].

Ripensandoci a mente fredda, forse era un bene che la sua proposta fosse sfumata nel nulla: prima di tutto, aveva evitato un’eventuale reazione contraria alle aspettative – vedendo come aveva reagito quando l’aveva salvata dall’imminente esplosione alla Stark Expo, ciò non era decisamente da escludere. E poi beh, le cose tra di loro avevano comunque seguito il loro corso e finito per aggiustarsi a dovere, senza il bisogno di forzarle con matrimoni improvvisati. Tony incrociò le braccia al petto e annuì con espressione solenne: era meglio andarci con calma e aspettare ancora qualche annetto, prima di fare il grande passo; dopotutto, l’anello era in buone mani: poteva lasciarlo in custodia ad Happy ancora per un po’. 

Un sonoro bip lo riscosse dalle lunghe elucubrazioni in cui era sprofondato. Tony sbatté le palpebre e abbassò lo sguardo sul computer: un indicatore luminoso sullo schermo segnalava che il caricamento si era appena concluso. Riprese a digitare un’altra serie di comandi, passando all’installazione del successivo upgrade. In sottofondo, il rumore della pioggia si era fatto più lieve: ora si udiva solo un leggero ticchettio, accompagnato di tanto in tanto dal suono di pagine sfogliate.

Mentre terminava di inserire l’ennesima sequenza di formule, si rese conto con un accenno di stupore che quel giorno faticava a concentrarsi, nonostante stesse trascorrendo il tempo nel modo che più preferiva. Non vedeva l’ora di terminare il lavoro e di indossare l’armatura per constatarne i miglioramenti, eppure la sua mente continuava ad indugiare sulla sua relazione stabilita e sui benefici che aveva apportato alla sua vita solitaria. Oh, era ben consapevole che ciò dipendesse soprattutto da Pepper: era indiscutibilmente una donna intelligente e sagace, oltre che affascinante. Aveva un sottile senso dell’umorismo che ben si accostava al suo ed era una persona estremamente curiosa: pur non avendo le competenze fisiche e meccaniche necessarie per capire nel dettaglio ogni procedimento, si interessava sinceramente ai suoi progetti e lo ascoltava blaterare per ore sui nuovi prototipi di armature che intendeva realizzare. Tony non poteva fare a meno di notare come lei si stesse rivelando sempre più una presenza piacevole e confortante; aveva la netta sensazione che a breve non sarebbe più riuscito a farne a meno. Decisamente un bel passo avanti, per qualcuno che fino a quel momento si era ben guardato dall’intraprendere una relazione seria.
 

 
“Taking everything for granted
But we still respect the time
We move along with some new passion
Knowing everything is fine
And I would wait and watch the hours fall
In a hundred separate lines
But I regain repose and wonder how I ended up inside
 
Can we fast-forward to go down on me?”
 

Si ritrovò a fissare lo sguardo su di lei, per l’ennesima volta in quel pomeriggio. Notò che anche Pepper aveva fatto notevoli progressi, di recente: da semplice e ordinaria assistente personale, ad amministratore delegato di una delle aziende più importanti del mondo, a fidanzata di Tony Stark: non male, per una persona che aveva sempre cercato di mantenere un basso profilo. Qualunque altra donna al suo posto non avrebbe fatto altro che ostentare quella sfilza di successi, ma non lei. Tony si accigliò, aggrottando le sopracciglia con espressione vagamente offesa: non solo Pepper non si vantava di aver accalappiato il playboy più in voga del momento, ma dall’interesse con cui in quel momento stava leggendo e si isolava dal mondo, si sarebbe quasi detto che fosse in compagnia di un sacco della spazzatura.

Strinse le labbra di riflesso, imbronciandosi appena. Uno dei numerosi motivi per cui prima di allora si era ben guardato dall’impegnarsi con una donna era che non tollerava che qualcuno gli imponesse di fare qualcosa che non gli andava, limitando la sua libertà e i suoi spazi personali: una fidanzata lo avrebbe inevitabilmente costretto a dedicarle tempo e attenzioni, distraendolo da occupazioni ben più importanti e impedendogli di fare tutto ciò che voleva quando lo voleva. Non era minimamente disposto a rinunciare alla sua indipendenza, di cui era estremamente geloso. Con Pepper, questo non si era verificato: sia perché lei non era affatto il tipo di persona che opprime il compagno con richieste assurde e noiose, sia per la loro sempre più evidente sintonia, sia perché, proprio come in quell’esatto momento, spesso riuscivano a trascorrere del tempo insieme godendosi l’uno la presenza dell’altra, pur dedicandosi a passatempi diversi. Tony avrebbe dovuto esserne contento, in fondo era proprio ciò che desiderava, eppure non riusciva a sentirsi del tutto soddisfatto. O meglio: lo era stato fino a quel preciso istante, ora invece cominciava ad essere stufo della sua palese indifferenza. Gli sfuggì uno sbuffo risentito: Pepper poteva anche degnarsi di sollevare ogni tanto lo sguardo dalle pagine e dedicargli qualche attenzione, al posto di ignorarlo in di continuo.

Tony incrociò le braccia al petto e strinse gli occhi, abbandonandosi contro lo schienale della sedia girevole. Fece schioccare la lingua e rivolse un’occhiata crucciata allo schermo di fronte sé, quasi come se fosse lui il responsabile del suo improvviso malumore. Rimase fermo e in silenzio per qualche istante, valutando che cosa fare. D’un tratto, non smaniava più all’idea di provare l’armatura. Per la verità, non aveva più nemmeno molta voglia di concludere il lavoro. Il suo ego oltraggiato esigeva attenzioni e beh, lui aveva decisamente intenzione di accontentarlo. Spense il programma con uno scatto secco, recuperando una posizione eretta. «JARVIS,» chiamò «occupati tu degli ultimi aggiornamenti. Domani si collauda».

«Sì, signore» rispose la voce meccanica dell’intelligenza artificiale, apprestandosi a eseguire quanto richiesto.

Tony si alzò e si sgranchì la schiena, poi si diresse a grandi passi verso la cucina che occupava un angolo del laboratorio. «Il genio ha concluso la sua opera ed è tornato tra i comuni mortali» annunciò solenne, passando accanto al divano su cui lei sedeva.

Pepper interruppe la lettura e sollevò lo sguardo, lasciandosi sfuggire una risatina. «Che onore riaverla tra noi» lo canzonò, stando al gioco.

L’ennesimo sorriso sghembo gli incurvò le labbra. «Indubbiamente lo è. Caffè?» le chiese, versando il liquido scuro in una tazza.

Pepper annuì, poi chiuse il libro e lo posò sul tavolino. «Sì, grazie. Come procede con l’armatura?» domandò, accettando la tazza che lui le porgeva e facendogli spazio accanto a sé sul divano.

«Mmh, bene. Ho sostanzialmente finito di installare gli upgrade principali. Domani faccio un salto da Rhodey a pavoneggiarmi un po’» rispose gioviale, sorseggiando disinvolto la bevanda densa e amara.

Pepper scosse la testa, divertita. «Non c’è bisogno di deriderlo così apertamente» gli fece notare.

Lui si strinse nelle spalle, in volto un’espressione di finta noncuranza. «Gli ricordo solo il suo posto. Gli ho concesso di tenere l’armatura, ma ciò non toglie che rimarrà sempre il numero due. Deve capirlo e accettarlo, fa parte della vita» replicò, ragionevole.

Pepper strinse gli occhi, guardandolo con condiscendenza. «Sai, io non credo che Rhodey si faccia questo tipo di problemi».

Tony fece un gesto vago con la mano. «Non ne sarei così sicuro. Quell’uomo è una continua sorpresa. Prima mi cerca in lungo e in largo per il deserto piangendo la mia scomparsa e poi mi sfascia la casa, mi picchia e si frega l’armatura. Noto un certo bipolarismo».

Lei alzò gli occhi al cielo, ridacchiando. Per sua fortuna, evitò saggiamente di specificare perché Rhodey si fosse comportato in quel modo: ne sarebbe conseguito un battibecco infinito e più volte affrontato.

Tony posò la tazza vuota sul tavolino e occhieggiò il libro, rivolgendogli uno sguardo truce: non aveva certo dimenticato la sua colpevolezza. «È interessante, quello? Mi sembravi molto concentrata, prima» buttò lì, noncurante. «Fin troppo, oserei dire».

Pepper si illuminò. «Oh sì, offre spunti davvero niente male che–» si interruppe sentendo le sue ultime parole e gli rivolse un’occhiata accigliata. «Cosa intendi dire? Ti senti forse trascurato?» indagò, increspando le labbra in un sorriso saputo.

Tony si passò una mano tra i capelli, dissimulando. «Giammai» sostenne. «Cominciavo solo a temere che quel libro fosse in realtà un qualche aggeggio strampalato delle Hammer Industries e che ti avesse ipnotizzata senza rimedio».

«Oh, ma che sciocchezza!» sbuffò lei, con esasperato divertimento. Poi la sua espressione si addolcì e lo scrutò a fondo, inclinando appena la testa. Tony sapeva che lei aveva compreso il reale motivo alla base di quello scambio di battute: era sempre più brava a leggergli dentro. Gli accarezzò lieve una guancia, poi la sua mano scese piano sul mento e sul collo, fino a soffermarsi sulla luce azzurra che si intravedeva attraverso la maglietta. Il suo sguardo si fece più intenso, mentre studiava assorta il reattore.

«Non riesco ancora a credere che tu non mi abbia detto che stavi per morire» pronunciò infine, dando voce ai pensieri che affollavano la sua mente. «A volte sei davvero un testone».

Lui le prese la mano, allontanandola dal suo sterno e intrecciando le loro dita. «Sì, lo so. Ma non volevo farti impensierire. Un gesto molto altruista, se posso dirlo».

Pepper inarcò un sopracciglio, rivolgendogli un’occhiata densa di biasimo. «Ah, giusto. Peccato che tu mi abbia fatto impensierire lo stesso, tenendomelo nascosto». Scosse il capo, dolcemente rassegnata; cominciava a non prendersela più per quello che era successo. Buon segno. «Se me ne avessi parlato, avrei capito certi tuoi colpi di testa. Avrei potuto starti più vicino, fare qualcosa di più invece di condannare con asprezza ogni tuo comportamento» concluse, senza nascondere l’amarezza. Tony sapeva che non era ancora riuscita a perdonarsi per non aver compreso ciò che gli stava accadendo: pur avendo intuito che qualcosa non andava, non si era resa conto di quanto grave fosse la faccenda.

«Ma lo hai fatto» si affrettò a rassicurarla. «Ti sei occupata delle Stark Industries e hai impedito alla nave di affondare. Ottimo modo per starmi vicino, davvero» proferì.

Lei gli rivolse un’occhiata grata, sebbene non sembrasse totalmente convinta. «Adesso è tutto a posto, vero? Non rischierai più di morire avvelenato dalle radiazioni?» indagò, lo sguardo che tornava a scrutare con insistenza il reattore.

Tony ruotò appena gli occhi, senza riuscire a trattenere uno sospiro divertito. «Per l’ennesima volta, non c’è più pericolo. Il nuovo elemento si è integrato alla perfezione e non causerà danni alla mia salute. È una soluzione stabile e definitiva, puoi stare tranquilla».

Lei sorrise lieve, confortata. Rimasero in silenzio per qualche istante, persi nei propri pensieri. Infine, Pepper tornò a guardarlo. «Ѐ bello che sia stato tuo padre a consegnarti la chiave per la tua salvezza» osservò.

«Già. A quanto pare, darmi la giusta spintarella per raggiungere il successo era ciò che gli veniva meglio… Accidenti». Tony sbuffò una risata e si grattò una tempia. «Ammetto di averlo un po’ rivalutato. È stato un pessimo padre, su questo non ci piove, ma posso concedergli, diciamo, qualche attenuante».

La mia migliore creazione sei tu.

Quella frase breve e concisa gli si era impressa a forza nella mente. Non aveva più guardato quel vecchio nastro in cui per la prima volta suo padre aveva espresso ciò che pensava di lui – dopotutto, non era affatto un tipo sentimentale – ma nelle settimane successive gli era capitato spesso di accarezzare quelle parole con il pensiero, soppesandole con lentezza per coglierne fino in fondo il significato. Non aveva perdonato suo padre per la fredda indifferenza che gli aveva rivolto quando era vivo, ma aveva la percezione di aver stabilito con lui un legame un poco più saldo.

Avvertì Pepper stringergli la mano. Tony si riscosse, accorgendosi di essersi perso un momento nei ricordi, e si sentì leggermente a disagio: nonostante stesse imparando ad aprirsi con lei, certi argomenti erano ancora troppo delicati per lui, troppo dolorosi. Aveva bisogno di tempo per mettere completamente a nudo la sua anima e lei, di nuovo, lo sapeva e non lo forzava in alcun modo.

Si schiarì la voce, recuperando il suo solito tono allegro. «Comunque, alla fine si è risolto tutto per il meglio e ora abbiamo una fonte di energia pulita e priva di controindicazioni. Qual è il suo parere in merito, signorina Potts?» la stuzzicò, inclinando appena il capo e rivolgendole un’occhiata attenta.

Pepper nicchiò, portando un dito sotto al mento e assumendo un’espressione fintamente pensierosa. «Oh certo, signor Stark, lei ci ha indubbiamente salvati tutti e fornito qualcosa di straordinario» replicò, con tono adulatorio e al tempo stesso giocoso. «Stava solo per combinare un bel macello nel mezzo, ma ok. Sono solo dettagli irrilevanti, no?» concluse, con evidente ironia.

«Proprio così» convenne lui. Le lasciò la mano per posarla sulla sua coscia, accarezzando la pelle morbida; poi la fece scorrere sempre più su, oltre il bordo dei larghi pantaloncini che indossava. «Passando invece ai dettagli rilevanti, ne avrei giusto un paio da sottoporre con urgenza alla sua attenzione» sussurrò.

A Pepper sfuggì una risatina ebete, subito soffocata dalle sue labbra maliziose.
 

 
“Stop there and let me correct it
I want to live a life from a new perspective
You come along because I love your face
And I’ll admire your expensive taste
And who cares? Divine intervention
I want to be praised from a new perspective”

New Perspective – Panic! At the Disco




Note:
[1] Stando al sito https://marvelcinematicuniverse.fandom.com/wiki/Marvel_Cinematic_Universe_Wiki, la Mark VI è l’armatura che Tony utilizza dal momento in cui scopre il nuovo elemento in Iron Man 2 fino a poco prima della battaglia finale contro Loki e i Chitauri in The Avengers.

[2] Nel libro “Iron Man” di Peter David viene raccontato questo aneddoto, secondo cui Pepper viene assunta come assistente contabile alle Stark Industries. Durante un controllo contabile, si accorge di un importante errore di calcolo nel finanziamento di un progetto che avrebbe comportato una grossa perdita per l’azienda; lo sottopone al suo superiore, il quale le risponde di lasciar perdere perché Tony Stark in persona ha fatto quei calcoli e che l’avrebbe licenziata se si fosse impuntata. Pepper allora si precipita nell’ufficio di Tony e quando la sicurezza prova ad avvicinarsi per portarla fuori, lei li avvisa di starle lontano perché ha con sé dello spray al peperoncino. Tony a quel punto ricontrolla i calcoli e si accorge che lei ha ragione: ha invertito due cifre e dunque il progetto non è più da ritenersi valido dal punto di vista finanziario. Le propone allora di diventare la sua assistente personale ed è così divertito dalla scenetta dello spray (palesemente un bluff perché lei non sa mentire) da appiopparle il soprannome di “Pepper”. Non so se questo libro possa considerarsi canon a tutti gli effetti, ma quando mi sono imbattuta in questo aneddoto su internet mi è piaciuto così tanto che ho deciso di inserirlo.

[3] Non posso fare a meno di pensare che, pur provando qualcosa senza esserne del tutto consapevole, Tony abbia visto davvero Pepper per la prima volta con occhi diversi proprio in quell’occasione: in quel momento è ancora un playboy superficiale, il suo comportamento mi sembra coerente con il personaggio che ci viene inizialmente mostrato.

[4] Riferimento al finale di Spider-Man: Homecoming.



Ciao a tutti! Ecco il secondo capitolo, che si svolge qualche mese dopo gli eventi di Iron Man 2. Questa volta il punto di vista è di Tony, che si ritrova ad analizzare il suo presente da una nuova prospettiva: ho provato a calarmi nella sua mente folle ed eccentrica e confesso di essermi divertita ad esasperare pensieri e considerazioni. Spero di essere riuscita a rappresentare in modo credibile la contraddizione vivente che questo benedetto uomo incarna.
 
Ho voluto inoltre approfondire il contesto pre-Iron Man e provare ad immaginare come siano andate le cose. E sì, ci ho buttato dentro anche l’episodio dell’anello: mi sono arrovellata un sacco per cercare di dare una spiegazione credibile a un qualcosa che non può avere una spiegazione sensata, e alla fine me la sono cavata con un uno dei noti colpi di testa di Tony.
 
Questo è stato di gran lunga il capitolo più difficile da scrivere di tutta la raccolta. Ho scritto e riscritto più volte intere sezioni e il risultato finale è questo: spero lo apprezzerete. Nel prossimo capitolo, tornerà il punto di vista di Pepper.
 
Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander

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Capitolo 3
*** Upside Down ***


 
From Dusk Till Dawn
 
 

A vannagio,
per avermi fatto scoprire un mondo meraviglioso
 
 

Capitolo 3
Upside Down


Contesto: The Avengers

 
“It feels sometimes this hills to steep
For a girl like me to climb,
But I must knock those thoughts right down
I’ll do it in my own time
 
I don’t care,
I’m halfway there,
On a road that leads me straight to who knows where?”


La scarpa pestò senza volerlo un frammento di vetro, che si frantumò in pezzi più piccoli. Pepper alzò velocemente il piede e abbassò lo sguardo sul pavimento: doveva fare attenzione o rischiava di farsi male sul serio; i mocassini che indossava non erano proprio adatti per l’ispezione che stava compiendo. Non che fosse facile, comunque: la Hall della Stark Tower era disseminata di cocci e detriti di ogni genere di materiale.

Lasciò vagare lo sguardo lungo l’ampia sala, provando inutilmente a quantificare i danni. Il lungo e raffinato bancone della reception, posto al centro della stanza, presentava una profonda apertura frastagliata nel mezzo, come se fosse stato colpito frontalmente da un enorme proiettile – inorganico, umano o alieno, non le era dato saperlo. Ironia della sorte, l’elegante logo delle Stark Industries si era salvato: impresso sulla sinistra del bancone, a poca distanza dal foro, mostrava solo qualche lieve bruciatura. I suoi occhi scivolarono a destra, sulla confortevole e moderna zona attesa che occupava un angolo della stanza: le poltrone color antracite che aveva scelto personalmente neanche un mese prima ora giacevano inerti a terra, sfondate e parzialmente distrutte.

Riprese a muoversi, il cuore stretto in una morsa al pensiero di tanta devastazione, e si imbatté nel coccio di un vaso; si abbassò sulle ginocchia e lo raccolse, maneggiandolo con cura per non tagliarsi: doveva trattarsi di uno dei due grandi vasi posti ai lati dell’ingresso. Il frammento tra le sue mani non aveva più il candore che lo caratterizzava, era bensì ricoperto di polvere e annerito in alcuni punti. Lo osservò per qualche istante, lo sguardo perso sulla superficie ammaccata, poi lo lasciò di nuovo cadere a terra e quello si ruppe in più pezzi. Non si stupì del suo gesto incurante: era troppo sfinita e amareggiata per preoccuparsi di qualcosa che non si poteva più salvare.

Si avvicinò a lenti passi a ciò che rimaneva delle imponenti vetrate: ne percorse con lo sguardo l’alto profilo lineare, osservò a lungo le crepe frastagliate che si aprivano in diversi punti sulla superficie levigata. Ne sfiorò una con un gesto distratto, poi incrociò le braccia sul petto e guardò fuori. All’esterno la desolazione era la stessa: l’asfalto era ricoperto di polvere e cumuli di macerie, gli edifici presentavano spaccature in più punti e diverse macchine giacevano squarciate ai lati della strada. I resti alieni erano già stati accuratamente prelevati e portati altrove; il risultato della loro distruzione, tuttavia, era ancora ben visibile. Pepper fece una smorfia di fronte a quel panorama disastrato, poi fissò un punto indefinito in lontananza e inspirò a fondo, dando finalmente sfogo ai pensieri che aveva trattenuto sino a quel momento.

Per quanto negli ultimi giorni avesse cercato ripetutamente di tranquillizzarsi e di darsi un tono, non poteva fare a meno di sentirsi angosciata per Tony e per quello che aveva fatto durante la Battaglia: aveva combattuto all’ultimo sangue contro alieni distruttori, creature terrificanti e senza scrupoli che avevano messo a ferro e fuoco la città seminando morte e devastazione, beffandosi degli sciocchi umani che tentavano con ogni mezzo di fermarli. Come se tutto questo non fosse sufficiente, Tony aveva ben pensato di prendere tra le mani un missile pronto ad esplodere e di trasportarlo attraverso il portale alieno con il serio rischio, oltre a rimanere coinvolto nella deflagrazione, di restare bloccato nello spazio, condannato a morte certa. Questo non era successo, d’accordo, ma la probabilità era stata molto alta e lei non poteva semplicemente fare finta di niente: era stato solo per un insperato colpo di fortuna, se era riuscito ad attraversare il whormhole proprio un attimo prima che si chiudesse. Se poi pensava a quando l’aveva visto precipitare in caduta libera dal cielo, inerte… poteva sentire ancora il cuore fermarsi per un istante e un dolore agghiacciante paralizzarle il corpo. Certe volte si chiedeva come Tony potesse essere così incosciente, come potesse lanciarsi in missioni suicide senza nemmeno riflettere, senza curarsi di chi lo attendeva a casa.

D’altro canto, comprendeva perfettamente che quelle considerazioni erano frutto di un ragionamento egoista: nonostante tutto, Tony era un supereroe e non aveva fatto niente di più e niente di meno di ciò che qualunque altro Avenger al suo posto avrebbe fatto. Pepper capiva che le sue azioni erano state inevitabili e assolutamente necessarie: la priorità era salvare New York e quante più vite possibili, e se per riuscirci una pedina doveva essere sacrificata beh, era una perdita più che accettabile per tutti. Non per lei, comunque: la vita di Tony valeva più di una città, di uno stato o di un continente intero. Scosse la testa con espressione infastidita, davanti a quegli avari pensieri: si era sempre considerata una persona altruista, dedita al prossimo e sensibile alle tematiche sociali, ma da quando Tony era diventato una parte fondamentale della sua vita, dando il via ad una relazione che si fortificava giorno dopo giorno, per lei niente aveva più importanza di saperlo al sicuro, sano e salvo. Era inevitabile, quando si amava qualcuno così intensamente.

Si rese conto che la Battaglia di New York era solo la punta dell’iceberg: altre ne sarebbero arrivate, quasi sicuramente più pericolose; l’universo era ancora un’incognita per loro, ma Pepper ora sapeva che minacce insidiose si nascondevano tra i suoi abissi e che, prima o poi, avrebbero trovato il modo di giungere fino a loro. Ed era certa che Tony non si sarebbe mai tirato indietro: avrebbe affrontato ogni ostilità con sguardo fiero e un’uscita delle sue adatta all’occasione. Ne era perfettamente consapevole ed era il caso che cominciasse ad abituarsi all’idea, se voleva davvero stare con lui. Del resto, quando aveva scelto di iniziare una relazione con Tony Stark, inevitabilmente l’aveva iniziata anche con Iron Man: scinderli era impossibile, l’unica opzione disponibile era accettare il pacchetto completo. Prendere o lasciare.

Un sospiro rassegnato le sfuggì dalle labbra socchiuse; Pepper abbassò il volto e appoggiò debolmente la fronte contro l’infisso della vetrata. Strinse gli occhi e si artigliò con forza le braccia, le dita che affondavano nella pelle tenera. Non era solo un dolore secco e angosciante quello che provava in quel momento per la sorte del suo compagno, no: il senso di colpa era altrettanto forte, al punto da chiuderle la gola in una morsa. Tony aveva scelto consapevolmente di compiere un’azione suicida, buttando all’aria ogni prudenza, ma lei non aveva risposto alla sua telefonata, perdendosi quelle che avrebbero potuto essere le sue ultime parole. Ciò era davvero imperdonabile: si lamentava tanto con Tony perché spesso e volentieri si mostrava incostante e non dava peso alle cose essenziali, e poi lei non si degnava nemmeno di tenere costantemente il cellulare a portata di mano in un momento così critico. Patetica. Sapeva che prima o poi sarebbe scesa a patti con quello sbaglio, con il tempo riusciva sempre a vedere le cose da un’altra prospettiva e con giudizi più miti, ma ora non ci riusciva. Si riteneva del tutto ingiustificabile. Certo, quando il cellulare aveva iniziato a squillare non si stava perdendo in frivolezze: il suo sguardo angosciato era puntato sull’edizione straordinaria del notiziario, il quale trasmetteva in diretta da New York, e in quelle immagini aveva cercato freneticamente qualche traccia di lui, sperando di vederlo prima o poi apparire per assicurarsi che stesse bene. Eppure lo aveva avuto a portata di uno squillo – una sua iniziativa, tra l’altro: inconsueto, rispetto al solito – e aveva sprecato la preziosa occasione di parlare con lui.

D’altro canto, Tony non aveva dato segno di essersela presa per questo e non l’aveva colpevolizzata in alcun modo: aveva semplicemente minimizzato con il suo solito tono gioviale e sostenuto di aver avuto tutto sotto controllo in ogni istante. A detta sua, con quella chiamata voleva solo dirle di prenotare per cena all’Eleven Madison Park [1]: il tempo di piazzare il missile, di darsi una sistemata e l’avrebbe raggiunta. Pepper non si era fatta ingannare nemmeno per un istante da quella finta allegria, ma non aveva insistito.

In tutta onestà, fino a quel momento non avevano davvero parlato di quanto successo. Saputo del disastro, aveva ordinato al pilota del jet di dirigersi comunque a New York, incurante delle sue proteste: la priorità era cercare di raggiungere Tony, per quanto possibile. Erano atterrati all’aeroporto proprio mentre la Battaglia si concludeva. Con non poche difficoltà era riuscita ad arrivare alla Stark Tower, immersa in un mare di polvere e distruzione, e a fatica si era fatta strada fino all’ampio salone da cui, neanche una settimana prima, aveva orgogliosamente illuminato la torre.

Lo aveva trovato lì, con un’escoriazione sulla fronte e l’armatura ammaccata in più punti, mentre scherzava con i suoi compagni di squadra e beveva un drink. L’incontenibile sollievo che aveva provato nel vederlo vivo aveva scacciato di colpo l’ansia e la paura che aveva patito fino a quel momento, lasciandole le gambe inferme e tremanti. Sentendo la porta aprirsi, Tony si era voltato verso di lei e aveva di riflesso spalancato le braccia per accoglierla, nel vederla corrergli incontro. Pepper si era informata singhiozzando delle sue condizioni, mentre tastava con frenesia il suo volto e ogni parte dell’armatura che riusciva a raggiungere. «Sto bene, calmati. È finita» le aveva detto, cercando di tranquillizzarla. Gli aveva chiesto scusa per non aver risposto al cellulare e lui aveva ribattuto con quell’assurda storiella del ristorante; le aveva poi presentato gli altri supereroi e lei era rimasta saldamente al suo fianco, un braccio a circondargli la schiena, come se non riuscisse ancora a credere che fosse davvero lì, sano e salvo.

Dopo aver consegnato Loki in custodia allo Shield, gli Avengers erano usciti a mangiare lo Shawarma in un locale nelle vicinanze e, sebbene avessero esteso l’invito anche a lei, Pepper aveva gentilmente declinato: aveva bisogno di starsene un po’ ferma, assaporando la ritrovata quiete, e li aveva guardati uscire assieme, stanchi e stralunati. Nei giorni successivi lei e Tony avevano preferito il silenzio, beandosi della reciproca presenza e amandosi senza sosta, con l’urgenza di sentirsi vivi. Poi Thor era tornato ad Asgard portando con sé Loki e il Tesseract, e Tony si era buttato a capofitto nei progetti di restauro della torre, animato a detta sua da brillanti propositi. Non sembrava esserci spazio per parole che entrambi faticavano a pronunciare, come se accennare di nuovo a tutto quell’orrore potesse in qualche modo vanificare gli sforzi compiuti per vincerlo. E se Tony, giorno dopo giorno, sembrava star meglio fisicamente e mentalmente, dando prova di aver superato lo scontro senza strascichi, lei al contrario scivolava nella direzione opposta, ansia e dolore e frustrazione che si rincorrevano nel suo petto senza darle tregua. Fino a quel momento aveva evitato di soffermarsi con dovizia sui suoi reali pensieri: complice il timore di ciò che avrebbe scoperto, non voleva che Tony vedesse il suo malessere interiore prima che lei avesse avuto modo di fare chiarezza e di elaborarlo; Pepper sapeva quanto quella Battaglia gli fosse costata e non voleva caricare le sue spalle di ulteriori pesi, senza essere sicura di riuscire a reggerli lei in primis.

Quel giorno aveva dunque lasciato Tony ai suoi progetti, affermando di voler dare un’occhiata di persona alle varie sezioni della torre e fare una stima dei danni. Lui l’aveva guardata inarcando un sopracciglio, osservando che altre persone erano preposte a questo; con un’alzata di spalle, lei aveva risposto con noncuranza che ogni buon capitano controlla che la sua nave sia a posto e si era diretta disinvolta all’ascensore: un’ottima scusa per allontanarsi e trovare una valvola di sfogo all’inquietudine che da giorni ribolliva nel suo petto.

Ed eccola lì, incurvata sotto il peso di emozioni contrastanti, finalmente libera di lasciarsi andare. Nel tempo che aveva trascorso davanti a quella vetrata non era riuscita a fare chissà quali strabilianti progressi, ma perlomeno aveva iniziato a sbrogliare la matassa di pensieri contundenti da cui era oppressa; era un compito delicato che avrebbe richiesto tempo e comprensione, ma pensava di essere riuscita a stabilire un punto di partenza e che fosse arrivato il momento di parlarne con Tony. Con un sospiro lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e raddrizzò il busto. Scrollò appena le spalle e la testa, recuperando il controllo, e si passò velocemente una mano sulla frangia, riordinandola distrattamente; poi si voltò e si diresse verso il centro della sala, guadagnando con calma la porta che l’avrebbe di nuovo condotta ai piani superiori.

Malgrado all’inizio avesse usato quel pretesto per esigenze personali, voleva davvero sincerarsi delle condizioni della torre per capire meglio quanti e quali tipi di intervento sarebbero occorsi; dopotutto, era pur sempre la sua creatura. Mentre saliva le scale che l’avrebbero condotta al primo livello – uffici commerciali – ripensò a quando aveva proposto a Tony di costruire l’edificio. Da sempre la sede principale delle Stark Industries si trovava a Long Beach[2]: luogo paradisiaco e indubbiamente di classe, la sua posizione più defilata rispetto alle grandi metropoli costituiva una risorsa preziosa quando si producevano armi e tecnologie militari, al riparo da occhi indiscreti. Ma poi Tony aveva deciso di chiudere con gli armamenti e quell’isolamento si era rivelato non più così necessario: come amministratore delegato, Pepper aveva pensato che avrebbe fatto comodo avere una sede più centrale, che potesse rilanciare l’azienda ed avvicinarla in maggior misura ai consumatori, possibilmente in un importante snodo economico. Quando ne aveva parlato con Tony, le era venuto spontaneo proporre New York City e, in particolare, Manhattan: si trattava di una zona strategica non solo per gli Stati Uniti, ma per il mondo intero. Lui aveva accolto con entusiasmo la sua proposta e insieme si erano lanciati nel progetto di una torre ecosostenibile, completata a tempi record.

La sua era stata una pensata davvero brillante; peccato che Loki ne avesse colto subito i benefici, il che aveva comportato una torre distrutta e una ristrutturazione da eseguire ancor prima dell’inaugurazione. Pepper non poté fare a meno di sospirare seccata, mentre percorreva i corridoi con ritrovato vigore: anni di lavoro, pianificazioni e aspettative buttati nell’arco di una giornata. Tony non ne aveva fatto un dramma: aveva commentato dicendo che quel disastro doveva evidentemente essere il risultato di un volere divino e che poteva trovare un’altra destinazione d’uso alla torre. Aveva iniziato a parlare di un quartier generale degli Avengers, con laboratori, palestre, sale riunioni e dormitori – rigorosamente separati – e si era lanciato a capofitto nel progetto. Ora si stava per l’appunto occupando di questo, molti piani più in su.

Pepper non aveva battuto ciglio di fronte alla sua idea, pressata da emozioni più urgenti. In quel momento, mentre passava da un ufficio all’altro, da un piano all’altro, pensò che tutto sommato la posizione più periferica di Long Beach non fosse così male e che potevano rimanere in quella sede ancora per un po’. Diede un’ultima occhiata alla disastrata sala riunioni del reparto tecnico e decise che la sua ispezione poteva anche concludersi. Si avviò lungo il corridoio diretta agli ascensori e rispose con un lieve sorriso al saluto di un operaio che veniva dalla direzione opposta, trasportando secchi di calcinacci: i lavori di recupero e di smaltimento delle macerie erano cominciati poco dopo la fine della Battaglia e ora stavano interessando proprio l’area in cui si trovava lei. Una volta terminata la rimozione dei detriti, sarebbe iniziata la vera e propria ricostruzione; per allora, Tony avrebbe sicuramente ultimato i disegni.

L’ascensore saliva dolcemente, dondolando appena. Pepper osservò i numeri dei piani susseguirsi sull’indicatore luminoso e si preparò mentalmente al confronto. Stava appunto pensando da dove iniziare, quando un trillo familiare le annunciò di essere giunta a destinazione e le porte scorrevoli si aprirono con un lieve cigolio. I suoi occhi vagarono lungo la sala deturpata in più punti e si soffermarono infine sull’oggetto dei suoi pensieri, il quale sostava di fronte al bancone, assorto, e le dava le spalle.

Tony si accorse del suo arrivo e si voltò verso di lei, lo sguardo soddisfatto fisso su un progetto che teneva tra le mani. «Oh eccoti, proprio te cercavo. Devi assolutamente vedere come ho reinventato il laboratorio! Bruce si divertirà un mond– che succede?» si interruppe, notando la sua aria sfinita. «L’ispezione è andata peggio del previsto? Hai trovato una nuova e terrificante forma aliena nell’ufficio di Happy?» aggiunse, tentando di sdrammatizzare.  

Pepper si avvicinò a lui e si lasciò cadere su uno sgabello di fortuna, sospirando. «No, ma la torre è un completo disastro. Gli unici uffici con danni più leggeri sono quelli amministrativi».

Tony le rivolse un sorrisino saputo. «Toh guarda, proprio la zona di tua competenza. Anche i Chitauri sapevano che la vera minaccia terrestre da non fare imbestialire sei tu» la punzecchiò. «Tornando a noi, ti stavo appunto parlando del laboratorio e…».

Pepper aveva alzato gli occhi al cielo con ironia alla sua battuta, ma subito dopo la sua espressione si era fatto di nuovo seria. Non poteva più rimandare. «Tony,» lo interruppe «dobbiamo parlare».

Lui si bloccò, aggrottando la fronte. «Ma stiamo parlando. O almeno, io stavo parlando, prima che tu te ne uscissi con un’ovvietà» puntualizzò, leggermente piccato.

Pepper non si fece impressionare. «Non in quel senso. Intendevo dire che dobbiamo parlare sul serio. Della Battaglia, del missile, di tutto quello che è successo. Sono passati giorni e ancora non abbiamo toccato l’argomento» replicò.

«Sei sicura di non voler prima sapere di più del mio progetto? Ho avuto un’idea davvero geniale, sai. Ben inteso, le mie idee sono sempre geniali, ma questa è veramente brillante…».

«No. Prima parliamo di quello che è successo» ribatté lei, ferma.

Tony fece spallucce, si appoggiò al bancone dietro di sé e vi posò sopra il disegno. «Va bene, come vuoi» acconsentì.

Pepper inspirò, fissandosi le mani giunte in grembo. Si prese qualche secondo per riordinare i pensieri, poi alzò il viso e gli rivolse uno sguardo intenso. «Questa Battaglia mi ha fatto molto preoccupare» esordì. «Non che le altre volte non lo fossi, ma ora è diverso. Alieni, nuove dimensioni... Siamo di fronte a qualcosa di troppo grande».

Tony annuì distrattamente, incrociando le braccia al petto. «Sì,» ammise «l’asticella si è alzata di molto, grazie alla diva con la fissa per i cubi».

Lei corrugò appena le sopracciglia, scrutandolo con più attenzione. «Che cosa hai intenzione di fare, adesso?» lo incalzò.

Lui si strinse nelle spalle. «Beh, ora è il momento di raccogliere i pezzi. Sicuramente dovremo riconsiderare un po’ tutto – la nostra organizzazione, il rapporto con lo Shield... Dobbiamo prepararci ad affrontare minacce ben più serie» proferì.

«E scommetto che tu agirai in prima linea» commentò Pepper, rivolgendogli un’occhiata rassegnata. Per quanto avesse cercato di mantenere un tono neutro, non era riuscita a nascondere una punta di amarezza.

Anche Tony se ne accorse: sollevò lo sguardo su di lei e la osservò per qualche istante prima di parlare. «Ѐ naturale» replicò infine. Poi la sua espressione si addolcì un poco e le sue labbra si incurvarono in un ghigno divertito. «Anche se non volessi, mi ritroverei Nick Fury sulla porta di casa in men che non si dica».

Pepper sbuffò una risatina mesta. Sapeva molto bene che nessuno poteva costringerlo a fare qualcosa che non voleva, lo aveva appurato in diverse occasioni nel corso dei dieci anni trascorsi al suo fianco, ma non lo disse.

Il silenzio calò sull’attico della Stark Tower. Entrambi si persero nelle proprie riflessioni, intenti ad analizzare i risvolti che la Battaglia di New York avrebbe comportato. Fu Pepper a romperlo, per affrontare un’altra questione che le stava a cuore. «Mi hai fatto prendere una paura terribile, quando hai attraversato quel portale con il missile» riprese, seria. «Ho davvero temuto il peggio. Per non parlare di quando sei precipitato in caduta libera. Ho creduto che…» la sua voce si incrinò sull’ultima sillaba. Deglutì, cercando di calmarsi.

«Lo so, non è stato un bel vedere» le concesse Tony, toccandosi la nuca a disagio. «Ma devi considerare che non stavo lavorando da solo. C’era un’intera squadra con me ed ero certo che sarebbero intervenuti se qualcosa fosse andato storto. È andata così, infatti» ragionò, gesticolando.

Pepper gli rivolse un’occhiata densa di biasimo e increspò le labbra in un sorriso sarcastico. «E se fossi rimasto bloccato al di là del portale? E se l’esplosione del missile ti avesse colpito e ucciso? Anche allora i tuoi amici sarebbero intervenuti?» lo rimbeccò.

Tony distolse lo sguardo dal suo. Strinse tra le mani i bordi del bancone, osservandosi la punta delle scarpe, e aggrottò le sopracciglia. «Mi dispiace, ok? Lo so che ho rischiato molto, ma dovevo farlo. Ero l’unico in grado di intervenire, l’unico che potesse intercettare quel missile e spingerlo oltre il portale prima che esplodesse. Non potevo tirarmi indietro» decretò, sollevando il viso e fissandola convinto.

Pepper scosse piano la testa con rassegnazione, sospirando. «Lo so» ammise «e so anche che non ho il diritto di chiederti di tirarti indietro. Non posso e… non voglio. So quanto tutto questo significhi per te».  Lo sapeva, se ne rendeva conto ogni giorno di più. E capiva che si trattava di una condizione che doveva imparare ad accettare, per quanto le costasse. Eppure, pensò, un compromesso si poteva trovare. «Però… magari potresti fare più attenzione, la prossima volta. Agire con più prudenza e tenerti possibilmente alla larga da gesti suicidi» suggerì, più conciliante.

«Ma certo» la rassicurò Tony, comprensivo. «Non per vantarmi, ma ho già in mente qualche modifica interessante da apportare all’armatura, a questo proposito. Ci sto lavorando. Mi piace fare l’eroe, mi rende molto affascinante, ma vorrei tenere al sicuro la mia pellaccia ancora per un bel po’» concluse, facendole un occhiolino [3].

Pepper annuì, confortata: evidentemente, non era così indifferente alla questione come le aveva fatto credere all’inizio. Il suo volto si distese un poco e lei lo osservò più a fondo, soffermandosi sulle leggere occhiaie che gli adombravano appena lo sguardo. «Tu stai bene? Seriamente? Hai affrontato una battaglia con effetti devastanti, hai combattuto contro nemici molto più pericolosi delle altre volte. Senza contare il missile… sei sicuro di sentirti bene?» indagò, apprensiva.

«Io sto benone» la rassicurò lui, mostrandosi del tutto a suo agio. «Quegli alieni surfisti da quattro soldi ci hanno fatto sudare parecchio, ma avevamo tutto sotto controllo. Io avevo tutto sotto controllo. Ci siamo mossi bene, tentando di contenere il più possibile l’area dello scontro». Puntò per qualche istante lo sguardo oltre le ampie finestre dell’attico, scrutando la città illuminata dal sole del mattino. Si accigliò appena, corrugando le sopracciglia. «Certo, New York ha subito diversi danni, ma le cose sarebbero potute andare molto peggio. Siamo stati fortunati» proferì. Poi inclinò la testa e il suo sguardo si fece più attento, sondando il suo. «Ma non è solo questo a preoccuparti, vero? C’è qualcos’altro che ti turba».

Pepper esitò, mordendosi un labbro. Il suo corpo si irrigidì, le mani strinsero nervose la stoffa della gonna; sentì la gola chiudersi, mentre spiacevoli pensieri tornavano ad assalirla come sale su una ferita aperta. Gli rivolse un sorriso triste. «Io… non posso fare a meno di sentirmi in colpa per la telefonata. So che mi hai detto di lasciar perdere» si affrettò ad aggiungere, impedendogli di ribattere, «ma non ci riesco. Potevano essere le tue ultime parole e io non sono nemmeno capace di tenere in mano un maledetto cellulare» sbuffò, sprezzante. «Tu avevi bisogno di me in quel momento e io non c’ero. Come posso ritenermi una …degna compagna, se non riesco nemmeno ad esserci quando l’uomo che amo sta andando in contro alla morte?».

«Tesoro, non è così. E poi ti ho detto che ti chiamavo per…».

«Oh, per favore!» lo zittì Pepper, fulminandolo lo sguardo. «Non ricominciare con la storiella del ristorante. Non puoi davvero pensare che io creda a quell’assurdità!» sbottò.

Tony alzò le mani, colpevole. «E va bene. Non è vero che ti ho chiamato per il ristorante, lo ammetto. Ma sono sincero quando dico che non ti devi tormentare» esordì. «In realtà, è stato JARVIS a suggerire di chiamarti e ho pensato che per una volta potevo anche sforzarmi un po’e… dirti qualcosa di carino» esitò, rivolgendole un’occhiata meditabonda. «Immaginavo che molto probabilmente non avresti risposto, so bene quanto ti dai da fare per questa azienda. Ma non importa, perché era come se fossi lì con me anche allora. Tu ci sei sempre, in ogni momento, e questo per me significa tutto». Si avvicinò a lei, le prese le mani tra le sue e la fece alzare delicatamente. Guardò i suoi occhi e cercò di trasmettervi tutto ciò che sentiva. «Non angustiarti per questo, ti prego. Non ce n’è bisogno» terminò, accarezzandole lo zigomo con una nocca e dandole un leggero buffetto.

Pepper sorrise sollevata, per poi gettargli le braccia al collo e stringerlo a sé. Sussurrò un tremulo “mi dispiace” mentre accostava la testa alla sua. Tony la strinse a sua volta, accarezzandole lieve la schiena con la mano destra. Restarono in silenzio per qualche istante, godendosi l’abbraccio, poi lui si scostò appena e posò le labbra sulle sue. Pepper ricambiò il bacio con trasporto, aggrappandosi alle sue spalle per sentirlo più vicino. Tony sorrise divertito, prima di approfondire il contatto e avvolgerle più saldamente la vita con le braccia. «Va meglio?» le chiese infine, un luccichio impertinente negli occhi.

Pepper annuì con dolcezza. «Direi di sì, grazie».

«Perfetto. Perché è ora che tu veda il mio grandioso progetto, rimarrai a bocca aperta!» annunciò ilare, prendendola per mano e trascinandola verso il bancone. Lei ridacchiò, felice, e si lasciò condurre. Prese posto alla sua sinistra mentre lui srotolava un disegno e cominciava a premere in vari punti. Diversi settori comparirono all’istante e Tony iniziò concitato ad illustrarle la loro funzione. Pepper si fece coinvolgere dal suo entusiasmo, osservando le grafiche in 3D dei nuovi locali e suggerendo qualche modifica da apportare qua e là.

Riuscì finalmente ad accantonare l’inquietudine e a sentirsi un poco più sollevata. Sapeva che quella situazione era solo temporanea e che ben presto nuove minacce sarebbero sorte, ma si sentiva fiduciosa: aveva un valido compagno su cui contare e avrebbero affrontato insieme tutto ciò che il futuro riservava, amandosi e sostenendosi a vicenda; questo, per il momento, le bastava. 

 

 
“I’ll tell you what
What I have found,
That I’m no fool
I’m just upside down
[…]
Sometimes life can taste so sweet
When you slow it down,
You start to see the world a little differently
When you turn it upside down”
 
Upside Down – Paloma Faith




Note:
[1] Si tratta del ristorante menzionato da Tony in Infinity War, mentre parla al telefono con Pepper, secondo l’adattamento italiano.

[2] Stando alle fatture delle spedizioni mostrate in Iron Man, la sede delle Stark Industries si trova a Long Beach, California.

[3] Ho immaginato che Tony, avendo seriamente rischiato di morire trasportando il missile oltre il portale, avesse già iniziato a pensare, nei giorni successivi alla Battaglia di New York, alla creazione di armature comandate a distanza. È qualcosa che poi svilupperà a fondo nei mesi seguenti e che troverà la sua concreta realizzazione in Iron Man 3, tuttavia ritengo credibile che il suo gesto estremo lo abbia portato a riflettere fin da subito su come tutelarsi meglio in futuro.




Ciao a tutti! Eccomi con il terzo capitolo: si svolge alla fine di The Avengers, più precisamente subito prima del finale in cui Tony e Pepper osservano i progetti della nuova torre nell’attico della Stark Tower: si tratta di un vero e proprio continuum spazio-temporale.
 
Il punto di vista è di Pepper: ho trovato molto interessante analizzare cosa abbia significato per lei la Battaglia di New York e soffermarmi in particolare sulla sua inquietudine per ciò che è successo a Tony. Ho inoltre affrontato la questione “telefonata”: penso che molti, vedendo la scena del film, si siano chiesti quali possano essere stati i pensieri di Pepper nel momento in cui si è accorta della chiamata persa; ho provato a dare una risposta. Il suo punto di vista mi ha permesso, infine, di restituire l’immagine di un Tony apparentemente tranquillo, che sembra “aver superato lo scontro senza strascichi”: in realtà, come ben sappiamo, non è così.

A partire da questo capitolo, le cose iniziano a farsi più difficili: comincia infatti a manifestarsi la componente angst. L’inquietudine è un aspetto ricorrente nel percorso di crescita individuale che Tony e, di riflesso, Pepper si ritrovano ad affrontare e che troverà ampio spazio in alcuni dei prossimi capitoli. Prometto di non abusarne.

Per quanto riguarda il contesto, ho provato ad immaginare come sia nata l’idea della Stark Tower, che Tony nel film definisce “la creatura di Pepper”; ho cercato inoltre di trovare un senso logico agli spostamenti che ci vengono mostrati nella successione dei film: da Malibu a New York per poi tornare di nuovo a Malibu. Ho impiegato davvero molto tempo a tentare di ricostruire il tutto in maniera coerente, spero che funzioni.

Una piccola precisazione sulla hall della Stark Tower, per la quale mi sono presa una licenza poetica: ho scelto di rappresentarla parzialmente disastrata e non del tutto intatta e immacolata così come ci viene mostrata in Endgame perché trovo davvero inverosimile che non presenti alcun danno, nemmeno un vetro rotto, tanto per dire: la Stark Tower è l’epicentro della Battaglia, l’origine stessa del portale alieno. In diverse riprese ci viene mostrata ammaccata in più punti su tutta la lunghezza, in Homecoming la Grand Central Station, che si trova immediatamente davanti alla torre, è addirittura quasi distrutta: l’interno non è altro che un cumulo di detriti. Ho quindi ricreato un ambiente più disastrato, specchio della devastazione interiore che i nostri protagonisti provano in questo momento, cercando di adattare la mia descrizione al luogo che ci viene mostrato in Endgame.

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander




 

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Capitolo 4
*** Afterglow ***


 
From Dusk Till Dawn
 




A Shilyss,
per avermi dato la spinta di cui avevo bisogno


 
Capitolo 4
Afterglow


Contesto: Iron Man 3
 

“Stop the clocks, it's amazing
You should see the way the light dances off your head
A million colours of hazel, golden and red
Saturday morning is fading
The sun's reflected by the coffee in your hand
My eyes are caught in your gaze all over again”


Il cielo era azzurro e terso quel mattino di mezza estate, così limpido da sembrare irreale. Di tanto in tanto era solcato da un gabbiano, le lunghe e bianche ali che si stagliavano nette contro lo sfondo ceruleo. In sottofondo si udiva solo il lento scrosciare delle onde contro la riva, un ritmico sciabordio in grado di rasserenare anche l’animo più inquieto.

Tony sospirò di piacere, assaporando l’insolita tranquillità. Il sole gli accarezzava dolcemente la pelle del viso mentre ammirava lo splendido panorama offerto dalla laguna. Nonostante vi avesse soggiornato in numerose occasioni, Venezia riusciva sempre ad affascinarlo come se fosse la prima volta: era impossibile non lasciarsi ammaliare dagli scorci suggestivi e dall’atmosfera di eterna bellezza che permeava la città.

Si portò con calma il drink alle labbra, sorseggiandolo senza fretta. Sentì provenire dal bagno il ronzio del phon, chiaro segno che Pepper era uscita dalla doccia e si stava asciugando con cura i lunghi capelli ramati. Complice una notte particolarmente intensa, quella mattina se l’erano presa comoda e si erano alzati molto più tardi del solito: erano quasi le undici quando si erano decisi a fare colazione. Non che avessero particolari urgenze, dopotutto erano in vacanza; tuttavia, erano entrambi tipi mattinieri e non amavano indugiare troppo tra le lenzuola – se non per piacevoli motivi, si intende.

Mentre aspettava che Pepper finisse di prepararsi, Tony aveva deciso di godersi il clima mite di quella giornata spaparanzato su una comoda poltroncina da giardino della loro terrazza privata, curata in ogni minimo particolare: dai vasi di fiori colorati al parapetto in legno che non ostruiva la vista sul mare, dalle sedie a sdraio in vimini alla piscina privata rivestita a mosaico, ogni dettaglio era studiato per garantire uno stile raffinato e signorile, tutt’altro che stucchevole. Nonostante il passare degli anni, il Cipriani manteneva intatta la sua classe e l’eleganza, dimostrandosi la scelta perfetta per una vacanza rilassante e del tutto confortevole [1].

Cominciando a sentirsi accaldato, Tony prese a slacciare con lentezza i bottoni della leggera camicia che indossava, scostandone i lembi ed esponendo il petto. Erano passati quasi cinque mesi dall’intervento durante il quale tutte le schegge impiantate nel suo torace erano state rimosse: la cicatrice si stagliava netta sullo sterno, un perfetto cerchio rosso in corrispondenza del foro in cui fino a poco tempo prima alloggiava il reattore. Nelle ultime settimane aveva iniziato a non sentire più dolore, segno che il suo corpo si stava ormai riprendendo definitivamente; e tuttavia, quando era sovrappensiero gli veniva ancora naturale portare una mano a tamburellare sul reattore, salvo poi ricordarsi che non c’era più.

Ci aveva messo un po’ a riabituarsi all’idea di essere un uomo normale; non un uomo comune – il suo intelletto aveva dato prova di una netta superiorità in più occasioni – ma normale, in grado di vivere senza dover dipendere costantemente da un oggetto di metallo collocato nel petto. Ne era ovviamente felice considerando le numerose grane che quell’aggeggio gli aveva procurato, tra cui una morte per avvelenamento scampata per un soffio, eppure un paio di volte gli era capitato di sentirsi quasi… nostalgico, nei suoi confronti. Tony arricciò il naso con sdegno, ripensandoci: non avrebbe mai creduto di potersi definire tale – e se ne guardava bene dall’ammetterlo, persino con se stesso. Ciononostante, quel minuscolo reattore aveva costituito una parte fondamentale di lui per cinque lunghi anni, dando inizio ad una nuova e strabiliante vita che, altrimenti, avrebbe difficilmente visto la luce: aveva avuto bisogno di farsi impiantare un cuore di metallo per capire che poteva essere una persona migliore, dedita a scopi più nobili; e gli era servito farselo togliere e gettarlo nell’oceano per comprendere che, nonostante tutto, lui era Iron Man e lo sarebbe stato per sempre.

L’intervento era stato lungo e rischioso, ma perfettamente riuscito e ora poteva definirsi un uomo nuovo di zecca; lo stesso discorso, seppur in circostanze diverse, valeva per la sua dolce metà. Prima di sottoporsi all’operazione si era dedicato interamente a Pepper, cercando di trovare un modo per bilanciare il siero presente all’interno del suo corpo e renderlo del tutto inoffensivo. Per riuscirci aveva impiegato qualche settimana e si era avvalso dell’aiuto di JARVIS: non che dubitasse delle proprie capacità – dopotutto, era un genio – ma voleva essere sicuro al 100% di aver fatto tutto correttamente e di ottenere un risultato ottimale; aveva già messo in pericolo Pepper in troppe occasioni, questa volta voleva garantirle solo certezze.

Lei si era mostrata decisamente coraggiosa: nonostante l’agitazione di fondo e il timore di perdere il controllo finendo per esplodere, aveva cercato di mantenere la calma fin da subito e di non cedere al panico. Aveva totalmente riposto la fiducia nei suoi confronti: sapeva che l’avrebbe riparata, glielo aveva promesso, e sapeva che lui stava dando il massimo per riuscirci nel più breve tempo possibile.

Qui risiedeva una delle tante, straordinarie peculiarità di Pepper che non finivano mai di stupirlo: credeva fermamente in lui, al punto da mettere la sua stessa vita nelle sue mani. Non si trattava di venerazione o di banale ingenuità, al contrario; lei sapeva sondare a fondo il suo animo e riconoscere ogni suo pregio, più di quanto sarebbe mai riuscito a fare lui stesso. Si fidava senza indugio del suo modo di agire, nonostante in passato le avesse offerto innumerevoli occasioni per ricredersi. Negli ultimi tempi era stato decisamente avventato e l’aveva messa in pericolo in continuazione: prima aveva rischiato che la Mark 42 la colpisse mentre cercava di svegliarlo da un incubo insistente, poi aveva deliberatamente comunicato il suo indirizzo ad un terrorista senza scrupoli, decretando di fatto la distruzione della sua casa. Se in quell’occasione Pepper ne era uscita sana e salva era solo perché lui aveva avuto la prontezza di farle indossare la sua armatura, ma le conseguenze avrebbero potuto essere devastanti; lui stesso l’aveva scampata per un pelo, e solo grazie al pronto intervento di JARVIS. Per di più, non era stato in grado di tenerla al sicuro come si era prefissato e aveva lasciato che quel folle di Killian la catturasse, iniettandole Extremis: per un insperato e provvidenziale colpo di fortuna, il corpo di Pepper aveva tollerato il siero e non era esploso, ma questo non lo esonerava di certo dalle sue responsabilità. Infine, non era riuscito ad afferrarla mentre precipitava da quella gru sospesa nel vuoto, assistendo impotente alla sua caduta tra le fiamme; solo quel maledetto siero le aveva permesso di salvarsi e di sopravvivere, non certo la sua prontezza di riflessi.

Un brivido gli percorse la schiena, rivivendo con la mente quegli attimi; il cuore si fece pesante e un ansito gli sfuggì dalle labbra socchiuse. Poggiò il bicchiere sul tavolino accanto a sé e si passò la testa tra le mani, improvvisamente inquieto. Trascorse qualche istante prima che si decidesse a sollevare il viso, inspirando profondamente. Doveva calmarsi e riprendere il controllo: erano passati mesi ormai, era tutto finito e Pepper era al sicuro. Ma soprattutto, aveva capito la gravità dei suoi errori e non aveva alcuna intenzione di ripeterli. Era un uomo nuovo ora, diverso.

Non intendeva soffermarsi ulteriormente su quei dolorosi ricordi; oltre ad essere ormai avvezzo a quel tipo di pensieri, se vi avesse indugiato oltre avrebbe finito per diventare un musone per il resto della giornata e Pepper avrebbe capito – come sempre – che qualcosa non andava. Non aveva intenzione di farla preoccupare – di nuovo – né di rovinare anche solo un momento di quell’agognata vacanza: complici il rientro a lavoro di Pepper dopo settimane di assenza e la sua lunga riabilitazione post-operatoria, non avevano avuto modo di ritagliarsi un momento interamente per loro e ora che finalmente si trovavano a Venezia, doveva filare tutto liscio. Inoltre, aveva programmato una serata perfetta e non poteva permettersi errori.

Raddrizzò il busto, sgranchendosi appena, e si riappoggiò allo schienale della poltrona. Il suo volto contratto prese a distendersi, mentre gli occhi tornavano al presente e si riempivano dell’intenso azzurro della laguna. Osservò una barca avanzare pigramente in lontananza, lasciando una scia di spuma bianca dietro di sé. La sua mente gradualmente si svuotò e una lieve sensazione di calma iniziò a diffondersi nel corpo. In sottofondo, il ronzio del phon era cessato; Pepper doveva essere passata al viso, al quale si dedicava velocemente ogni mattina. Non ci avrebbe messo molto a raggiungerlo all’aperto.

Solo qualche mese prima, ripensare a certi eventi traumatici gli avrebbe quasi sicuramente scatenato un attacco di panico: l’aria avrebbe iniziato a mancargli e lui si sarebbe ritrovato ad annaspare, impotente. Ora, invece, riusciva quasi sempre a mantenere il controllo e a provare niente di più di un leggero turbamento temporaneo. Certo, talvolta gli capitavano crisi più profonde, ma ultimamente si erano fatte sempre più sporadiche; le rare volte in cui si manifestavano, le mani di Pepper erano lì, sulle sue, e i suoi occhi sereni e confortanti lo aiutavano a riprendere il contatto con la realtà. 

Da quando aveva preso coscienza di soffrire di disturbo da stress post-traumatico, si era ritrovato ad accettare l’evidenza che persino il famigerato e sprezzante Tony Stark aveva bisogno di uno strizzacervelli. All’inizio non era stato per niente facile ammetterlo: era convinto che, con un po’ di pazienza e tranquillità, le cose avrebbero ripreso il proprio corso e gli attacchi di panico sarebbero gradualmente scomparsi. Inutile dire che non era andata così: far finta che il problema non esistesse si era rivelato del tutto inefficace, oltre che controproducente. Fallito il tentativo di sfruttare Banner come psicoanalista, Tony si era dovuto alla fine arrendere e si era rivolto ad un professionista. Pepper aveva caldamente approvato, sostenendo che non ci fosse nulla di male nell’accettare un po’ di aiuto e che ne avrebbe tratto senza alcun dubbio molti benefici. Le prime sedute erano state caratterizzate da una certa diffidenza, ma in seguito aveva dovuto riconoscere che tutto sommato non era così male aprirsi con qualcuno e lasciarsi andare: complice la sua mania di protagonismo, gli era risultato via via sempre più facile e naturale esprimere i suoi pensieri più profondi, prendendo lui stesso conoscenza di alcuni aspetti di sé di cui, fino a quel momento, non era pienamente consapevole. Aveva colto l’opportunità di guardarsi dentro a fondo, esplorando gli angoli più reconditi del suo io interiore; dopo mesi trascorsi a brancolare nell’ansia e nell’inquietudine, era stato un decisivo toccasana riprendere il controllo della propria mente e riguadagnare piena fiducia nelle proprie abilità. Ora non poteva dire di essere del tutto guarito, ma sicuramente aveva fatto notevoli progressi.

Prima di iniziare a soffrire di attacchi di panico, non si era reso conto di poter avere bisogno di aiuto. Sapeva di non stare proprio bene – restare sveglio per 72 ore di fila non era affatto normale – ma pensava che col tempo si sarebbe sistemato tutto da sé. La Battaglia di New York aveva avuto sicuramente un forte impatto sul suo animo: del resto non capitava tutti i giorni di combattere contro un’invasione di alieni, di tenere tra le mani un missile pronto ad esplodere e di attraversare un portale con il rischio di rimanere bloccato nello spazio, ma a parte una considerevole scarica di adrenalina e numerose ammaccature, non pensava di aver subito altre conseguenze. Nei giorni successivi si era sentito un po’scosso a riguardo, convenendo che l’avventura appena affrontata fosse un po’ fuori dalla sua portata, ma credeva di essere ancora in preda all’eccitazione del momento e di dover semplicemente attendere che le acque si calmassero. Quando ne aveva parlato con Pepper, alla Stark Tower, aveva deciso di minimizzare e di non rivelarle il suo reale turbamento per non affliggerla più di quanto già non fosse: si sentiva così in pena per quanto accaduto, che non se l’era sentita di darle ulteriori motivi di preoccupazione; per una volta aveva scelto di prendersi lui tutto il peso sulle sue spalle, invece di scaricarlo su quelle degli altri. Ma onestamente, nemmeno lui era consapevole di quanto fosse profondo il suo turbamento e di come stesse iniziando a mettere radici nel suo animo.

Nei mesi successivi, aveva ripreso la sua vita di sempre ed era tornato ad armeggiare nel suo laboratorio con nuove idee e upgrade da apportare alle sue armature. Ben presto si era accorto di non riuscire a dormire più di cinque ore consecutive e svegliarsi nel cuore della notte senza alcun motivo era diventata la consuetudine. A tutto ciò si erano aggiunti gli incubi, prima solo accennati e poi sempre più vividi e reali; non andare a dormire era diventata la naturale conseguenza, mentre dentro di sé si faceva sempre più insistente il pensiero che ciò che stesse facendo non fosse abbastanza, che i miglioramenti che aveva ideato non fossero sufficienti e che doveva fare di più, di più, di più. Non solo per sé, ma anche e soprattutto per salvaguardare Pepper: quando ci si ritrova a sfiorare la morte con un dito, è inevitabile rendersi conto di quanto precaria sia la vita e fare tutto ciò che è possibile per proteggere gli affetti più cari. Pepper era l’unica cosa che contava davvero e lui doveva fare l’impossibile per garantire la sua sicurezza. E così aveva iniziato a produrre compulsivamente un’armatura dietro l’altra, un progetto dietro l’altro, modifiche brillanti che si rivelavano ben presto insufficienti; il suo lavoro si era tramutato in una ricerca senza sosta della perfezione, così vicina eppure così lontana.

Col senno di poi, non si stupiva di aver iniziato ad essere preda di attacchi di panico: erano forse la conseguenza più naturale, quando si era in balìa dell’ossessione e di incubi ricorrenti. Per imparare a contrastarli, aveva dovuto guardare a fondo dentro di sé e rendersi conto a pieno delle sue capacità: era un meccanico, un inventore e uno scienziato, aveva tutti i mezzi necessari per contrastare potenziali minacce. Non aveva reale motivo di sentirsi vulnerabile: l’armatura e il reattore Arc erano solo un’appendice, che lo potenziavano e lo fortificavano, certo, ma che non lo definivano; lui era Iron Man nell’animo, non solo nel costume. Era giunto a questa conclusione durante una delle ultime sedute dallo psicoterapeuta e nella sua mente aveva iniziato ad affacciarsi l’intenzione di sottoporsi all’operazione che così a lungo aveva rimandato: togliere tutte le schegge impiantate nel suo petto. Fino a quel momento si era concesso di tergiversare, sia perché l’intervento era lungo e molto rischioso, ma anche perché in un angolo remoto della sua mente vigeva l’infondato pensiero che, senza il reattore Arc piazzato nello sterno, non avrebbe più potuto ritenersi fino in fondo Iron Man. Era un’idea assurda, ora se ne rendeva conto, tuttavia aveva cullato inconsapevolmente quella considerazione per anni senza mai riuscire a vincerla. Nel momento in cui aveva realizzato che Iron Man risiedeva nella sua stessa essenza, era diventato più facile scalfire quel pensiero e accettare di poter vivere privo del suo cuore di metallo, senza per questo vanificare il suo proposito di vigilare sul mondo.

Un leggero rumore di passi riecheggiò alle sue spalle, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Tony si raddrizzò e si sistemò con un tocco dell’indice gli occhiali da sole mentre Pepper attraversava l’ampia portafinestra che dava sul terrazzo e si avvicinava, chinandosi per lasciargli un veloce bacio sulla guancia.

«Che mattinata splendida!» esordì, prendendo posto sulla poltrona accanto a lui e sospirando soddisfatta. Teneva tra le mani una tazza di caffè da cui si sollevavano piccole volute di vapore, diffondendone l’aroma attorno a loro. 

«Finalmente!» esclamò Tony, fintamente risentito. «Cominciavo a pensare che fossi scappata con il concierge».

Lei alzò gli occhi al cielo, ridacchiando. «Bugiardo» replicò. Il suo sguardo venne immediatamente catturato dall’eccezionale panorama che si snodava davanti a loro. «Questo posto è semplicemente magnifico. Quando hai proposto Venezia non pensavo che l’avrei trovata rilassante, ma ammetto di dovermi ricredere» proferì, deliziata.

Tony fece roteare leggermente il liquido nel bicchiere, osservandolo assorto. «Venezia è così, fa sempre questo effetto» sentenziò, enigmatico.

Pepper spostò lo sguardo su di lui corrugando appena le sopracciglia, senza che la sua aria felice ne fosse intaccata. «Tutto ok? Mi sembri un po’ troppo pensieroso, considerando le prodezze di questa notte» lo punzecchiò con un accenno di malizia.

Tony si riscosse, i suoi propositi di nuovo bene a mente, e le rivolse un’espressione allegra. «Ma certo! Sai, quando un uomo attende così tanto, finisce inevitabilmente per cimentarsi con la filosofia» osservò, vagamente canzonatorio.

«Addirittura. Chissà se è successa la stessa cosa a tutti quelli che hai fatto aspettare tu» ironizzò lei, lanciandogli un’occhiata eloquente.

«Ne dubito. Accade solo alle persone intelligenti».

Pepper sbuffò una risatina e posò la tazza ormai vuota sul tavolino. Si rilassò contro la poltrona e chiuse gli occhi, godendosi il tepore. Tony si perse ad osservare il modo in cui la luce del sole danzava su suoi capelli, in un gioco di sfumature ramate. Sentì nel petto un moto di orgoglio misto a gratitudine, per il fatto che lei facesse parte della sua vita.  

«Ho preparato qualcosa di speciale per stasera» annunciò, gioviale.

Lei lo sbirciò di sottecchi. «Ma davvero? Spero per te che non sia un altro coniglio gigante» lo redarguì, eloquente.

Tony aggrottò le sopracciglia, guardandola storto. «No. Sarebbe problematico farlo entrare nel jet, al ritorno» considerò spiccio. «No, è qualcos’altro. Per la precisione, sarà proprio la serata ad essere speciale» aggiunse.

Pepper inclinò la testa e lo scrutò con attenzione, curiosa. «E cioè?».

«Ѐ una sorpresa, non posso dire nulla. Ho le labbra cucite» rispose, mimando la chiusura di una zip.

Pepper alzò le mani, un sorrisino divertito ad incresparle le labbra. «D’accordo, non insisto. Tanto lo so che finirai per farti scappare qualcosa» lo stuzzicò.

Tony fece spallucce, rivolgendole un ghigno furbo. «Io non ci scommetterei». Finì in un unico sorso il suo drink, per poi sgranchirsi energicamente le braccia. «Beh, cosa ti va di fare oggi? Giriamo Venezia in gondola come una coppietta sdolcinata? Restiamo qui e ci godiamo la Jacuzzi? O preferisci riprendere il discorso di stanotte?» ammiccò, lanciandole un’occhiata maliziosa.

Pepper rise e scosse la testa. «Non sono venuta a Venezia per passare le giornate in camera» proferì, spostando lo sguardo su di lui. Gli occhi le brillavano come ogni volta in cui aveva una delle sue pensate. «In realtà, qualcosa di molto interessante che potremmo fare oggi ci sarebbe» annunciò.

Tony inclinò la testa, guardandola con sospetto: quel tono innocente non gli piaceva per niente. «Vale a dire?» indagò.

Pepper si arrotolò tra le dita con disinvoltura una ciocca dei lunghi capelli e gli rivolse un sorrisino che non faceva presumere niente di buono. «Voglio visitare il Museo Pegghy Guggenheim [2]» dichiarò, compiaciuta.

Tony roteò gli occhi, insofferente: era decisamente peggio di quanto pensasse. «No, ti prego. A parte il fatto che quel nome mi fa fare agghiaccianti associazioni e io sono in vacanza, ci sono così tante altre cose da fare, perché non–».

Lei assottigliò lo sguardo, bloccando sul nascere ogni sua proposta. «Io voglio visitare quel museo» sottolineò, decisa. «Devo forse ricordarti che tu hai osato regalare la nostra collezione di arte moderna ai boyscout?» [3].

«Tecnicamente, era la mia collezione…».

«La nostra collezione. O forse è meglio dire la mia, dal momento che l’ho curata da sola per anni. Accompagnarmi a visitare quel museo è il minimo che tu possa fare per rimediare al danno» sentenziò, incrociando le braccia sul petto.

Tony si lasciò sfuggire un sospiro seccato, abbandonando la testa contro lo schienale della sedia. «E va bene…» le concesse, riottoso. Poi la rialzò di scatto, la mente attraversata da un’idea geniale. «Tesoro, potrei accompagnarti lì e aspettarti fuori. Tu puoi fare con calma e prenderti tutto il tempo che ti serve, io me ne starò buono sulla gondola e mi godrò il panorama in–» la sua voce si spense sull’ultima sillaba e si ritrovò a deglutire, osservando l’occhiata minacciosa che la sua dolce metà gli stava scoccando.

«Tu. Entrerai. Con. Me.» scandì Pepper. «Fine del discorso» decretò, alzandosi per prepararsi ad uscire.

Tony abbassò la testa, definitivamente sconfitto. Lei se ne accorse e, passandogli accanto, gli lasciò una lieve carezza incoraggiante sui capelli. «Forza,» lo esortò «vedrai che non sarà così male».

«Come no» borbottò lui, una volta certo che lei fosse rientrata. Rivolse uno sguardo corrucciato al cielo. Per il suo quieto vivere, forse era meglio fare due chiacchiere con quei boyscout.

***
 
“We were love drunk, waiting on a miracle
Trying to find ourselves in the winter snow
So alone in love like the world had disappeared
Oh, I won't be silent and I won't let go
I will hold on tighter 'til the afterglow
And we'll burn so bright 'til the darkness softly clears
 
Oh, I will hold on to the afterglow”
 

Tony si lisciò distrattamente una piega della camicia candida, poi sollevò le mani e sistemò appena il colletto. La lieve brezza serale gli solleticò il viso, mentre lui avanzava di qualche passo sul terrazzino. Si girò per l’ennesima volta a controllare se Pepper fosse pronta. «Tesoro? Faremo tardi» le ricordò.

«Ci sono quasi! Solo un attimo!» la voce di lei giunse dal bagno, trafelata. Tony sospirò, controllando nuovamente l’orologio; non erano proprio in ritardo, ma se avessero continuato così lo sarebbero stati di certo. E la sua sorpresa non avrebbe avuto lo stesso studiato effetto.

Quel pomeriggio avevano fatto decisamente tardi: dopo aver visitato il museo – stranamente Tony non l’aveva trovato così deleterio, né era stato ossessionato da ricorrenti pensieri sul Capitan Ghiacciolo – avevano deciso di visitare Venezia come due turisti qualsiasi, infilandosi nelle calli affollate di visitatori. Si erano armati di occhiali da sole e cappelli di paglia per non farsi riconoscere e avevano iniziato a girovagare senza meta, godendosi gli scorci improvvisi in cui si imbattevano. Entrambi erano già stati a Venezia in diverse occasioni e potevano affermare di conoscerla ormai bene, ma questa volta avevano avuto modo di scoprire un altro lato di quell’incantevole città: l’avevano esplorata lasciandosi condurre dall’istinto e dall’entusiasmo, come ragazzini ridacchianti in preda all’euforia.

Rientrati in hotel, avevano avuto giusto il tempo di una doccia veloce prima di prepararsi per la cena. Nonostante avesse detto di non voler insistere, Pepper aveva provato ripetutamente ad ottenere dettagli sulla loro serata: Tony trattenne un sorriso, ripensando ai trucchetti che si era inventata per trarlo in inganno ed estorcergli informazioni, ma lui aveva stoicamente resistito. Se voleva, era perfettamente capace di chiudere la bocca. Si passò una mano tra i capelli e inspirò a fondo l’aria salmastra, sogghignando fiero.

Proprio in quel momento Pepper si precipitò fuori, un lungo e aderente vestito rosso che le lasciava scoperta la schiena e una pochette color oro tra le mani. Tony la guardò, ammirato. «Sei uno schianto» fischiò. Poi le rivolse un’occhiata più attenta, un sorrisino furbo che gli increspava le labbra «Credo di aver appena avuto un déjà-vu. Questo vestito me ne ricorda un altro di un certo ricevimento, ma con qualcosa… di me» concluse [4].

Pepper ridacchiò, lo sguardo che brillava. «Ebbene sì, è una versione rivisitata di quel vestito. Mi piaceva l’idea di intonarmi a te, per una volta» replicò, sistemando appena la stoffa satinata della gonna. Lo prese poi sottobraccio, lasciandosi condurre. «Allora? Mi vuoi dire finalmente dove mi porti?» lo incalzò, senza più riuscire a tenere a freno la curiosità.

«Un attimo di pazienza e lo scoprirai» rispose lui. Rientrarono nella suite e si diressero alla porta, percorrendo poi il lungo corridoio che portava all’esterno del complesso. Una volta fuori, Pepper si diresse automaticamente al piccolo molo da cui partiva la barca che li avrebbe portati al di là del Canale della Giudecca, ma Tony tirò i loro gomiti intrecciati e la fece fermare. Lei si voltò, interdetta, e lui indicò il locale alla loro destra: era uno dei ristoranti del Cipriani, l’unico con la vista sul Bacino di San Marco.

Pepper corrugò appena le sopracciglia. «Per la nostra serata speciale hai scelto… il ristorante dell’hotel?» chiese, perplessa.

Tony trattenne uno sbuffo e le rivolse un’occhiata sarcastica. «Non iniziare a fare la scettica. Concedimi almeno il beneficio del dubbio».

La prese per mano ed entrò nel ristorante. Il cameriere che li accolse lo riconobbe subito e si affrettò a condurli al loro tavolo. Salirono un’elegante scala di marmo e attraversarono una sala poco affollata, poi l’inserviente imboccò un piccolo corridoio e infine svoltò a destra, cedendo loro il passo. Tony spinse avanti Pepper, che oltrepassò la porta e si bloccò, senza fiato.

Era una saletta più piccola di quella che avevano varcato, riservata esclusivamente a loro; un tavolo rotondo e apparecchiato con cura stanziava al centro, accompagnato da due eleganti poltrone color crema. Ma non era quella la caratteristica più stupefacente: oltre il tavolo, ampie finestre si aprivano sul Canale della Giudecca, rivelando un panorama mozzafiato. Il Campanile di San Marco svettava, fiero, accanto al Palazzo Ducale dall’iconica superficie rosata; a sinistra, le cupole e le torrette campanarie della Basilica della Salute si stagliavano contro il cielo chiaro, in perfetta armonia con l’ambiente circostante. Il sole stava tramontando e la sua luce avrebbe senz’altro illuminato gli edifici e il mare sottostante di un caldo bagliore, ma le nuvole avevano prepotentemente occupato il cielo, diminuendone l’intensità. Poco male: l’atmosfera si era fatta più tenue, colorando la volta celeste di un blu soffuso che contrastava con il chiarore rosato nascosto dalle nubi; il riverbero del tramonto brillava dolcemente sul mare.

Pepper si lasciò sfuggire un ansito di meraviglia e Tony le si affiancò. «Che ti dicevo? Dovresti avere più fiducia in me, ogni tanto» le sussurrò all’orecchio, un sorrisetto canzonatorio ad incurvargli le labbra.

Lei si riscosse e lo guardò, gonfiando comicamente le guance. «Oh, ma piantala! Per una volta che hai un’idea brillante…» lo rimbeccò, ma sorrideva entusiasta.

Tony le scostò galantemente la sedia e lei si accomodò, appoggiando il mento su una mano e puntando lo sguardo sulla vista incantevole che si apriva oltre le finestre. «È meraviglioso» sospirò. «Come lo hai scoperto?» gli chiese poi, osservandolo attenta.

Lui fece un gesto vago con la mano: «Ah, devo aver sentito cantare un loquace uccellino» minimizzò. Per la verità, aveva scandagliato Venezia per giorni alla ricerca di un posto adatto, senza trovare nulla di abbastanza soddisfacente. Dopo aver scartato l’ennesimo locale, aveva deciso di andare a prendere un drink consolatorio al lussuoso bar dell’hotel, dove era stato servito da un giovane barman a cui non mancava di certo la parlantina: aveva iniziato a bombardarlo di domande sul suo soggiorno in Italia, sul suo rapporto attuale con gli Avengers, sull’improbabile necessità di sconfiggere qualche strano nemico a Venezia, a cui Tony aveva risposto sbrigativo, deciso a liquidarlo in fretta. Aveva iniziato a guardarsi intorno, alla ricerca di una via di fuga, e il suo sguardo si era imbattuto in uno dei dépliant disposti con cura affianco al bancone: al centro del volantino campeggiava una vista incantevole sul Bacino di San Marco. Aveva quindi chiesto informazioni al suo molesto interlocutore, il quale gli aveva spiegato che si trattava di uno dei ristoranti dell’hotel; con un occhiolino decisamente esagerato, gli aveva consigliato di andarci al calar del sole per un effetto garantito.

Tony sorrise tra sé, ricordando quell’assurda conversazione. Si passò una mano sul mento, ricomponendosi, poi prese la bottiglia di vino dal cestello di ghiaccio posato alla sua sinistra e riempì i due calici. «Per poco non abbiamo perso il tramonto» borbottò, rivolgendole un’occhiata ammonitrice. «Mi sono impegnato così tanto e tu rischiavi di mandare all’aria tutto».

«Oh ma dai, sei tu che hai perso tempo perché non riuscivi a scegliere tra la Jacuzzi e la doccia!» ribatté lei con vivacità, poi gli rivolse un sorriso dolce e intrecciò le dita con le sue.

Tony annegò nel suo sguardo intenso, mentre il mondo attorno a loro si zittiva e svaniva di colpo. Negli ultimi tempi, si era sempre più reso conto di quanto Pepper fosse divenuta fondamentale per lui: il loro rapporto si era fatto solido e profondo; erano diventati l’una il pilastro dell’altro, l’uno la forza dell’altro. Rischiare di perderla gli aveva fatto capire pienamente quanto la sua vita dipendesse da lei, come non riuscisse più a privarsi della sua presenza costante, del suo sostegno, dei suoi gesti pieni di affetto. Perdersi nei suoi sorrisi era ormai diventata una dolce abitudine di cui non poteva più fare a meno. E, si disse, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggere il loro amore e garantirne la felicità.

Sorrise, facendo tintinnare i loro calici. Era l’inizio di una nuova era.
 

 
“The weather outside's changing
The leaves are buried under six inches of white
The radio is playing, Iron & Wine
This is a new dimension
This is a level where we're losing track of time
I'm holding nothing against it, except you and I”
 
Afterglow – Ed Sheeran




Note:
[1] Il Belmond Hotel Cipriani è un hotel di lusso di Venezia, collocato sull’isola della Giudecca. Viene menzionato in Iron Man 2, subito i dopo i fatti di Monaco: Tony propone a Pepper di prendersi delle ferie e di andare insieme al Cipriani. Dal modo in cui ne parla si percepisce, inoltre, che abbiano ha già frequentato in più occasioni quell’hotel.

[2] Il Museo Peggy Guggenheim è uno dei principali musei di Venezia: raccoglie alcune delle migliori opere d’arte del XX secolo, spaziando tra le maggiori correnti del Novecento. Comprende capolavori di grandi artisti come Picasso, Mondrian, Pollock e molti altri. Peggy è inoltre il nomignolo di Margaret Carter, il primo amore di Captain America.

[3] Riferimento ad Iron Man 2: nel film, Pepper si lamenta con Tony per aver ceduto la collezione ai boyscout, poco prima che lui la nomini Amministratore Delegato.

[4] Doppio riferimento: la frase “ma con qualcosa di me” è una citazione ripresa da The Avengers e pronunciata da Tony quando la Stark Tower viene illuminata, mentre il vestito è uguale a quello che Pepper indossava al ricevimento in Iron Man, questa volta in versione scarlatta.




Ciao a tutti! Sono leggermente in ritardo rispetto al solito, ma sono riuscita a pubblicare il quarto capitolo entro i tempi! Come avrete capito, si svolge mesi dopo gli eventi di Iron Man 3 ed è uno dei capitoli a cui sono più affezionata: credo che questo dipenda molto, oltre che dalla cornice suggestiva e affascinante di Venezia, dal fatto che, contrariamente ai più, io ho amato questo film. Uno dei motivi è sicuramente quello di aver messo in luce la vulnerabilità di Tony, aspetto assolutamente non scontato.

In questo capitolo, Tony riflette sulla sua vita in seguito agli eventi che l’hanno caratterizzata fino a questo momento e su se stesso, sulla maturazione che ha raggiunto: dalla decisione di affrontare l’intervento, a quella di rivolgersi ad un psicoterapeuta per superare il disturbo, al ruolo sempre più importante di Pepper nella sua vita. Mi è piaciuto analizzare tutto questo da un punto di vista più riflessivo, meno folle rispetto al solito. Ho cercato di restituire un’atmosfera tranquilla e rilassata e non posso fare a meno di considerare questo capitolo come la quiete prima della tempesta: sapendo che cosa ci aspetta con i film successivi, la calma che qui si percepisce è decisamente effimera. Lo stesso finale, nel quale Tony raggiunge una consapevolezza da “uomo nuovo e diverso”, verrà sostanzialmente ribaltato. D’altronde, lui è pur sempre una contraddizione vivente e di strada da fare ne ha ancora parecchia.

Per l’ambientazione al Cipriani, ho scelto la Suite Palladio come suite di Tony e Pepper, che potete vedere qui. Per la cena, invece, mi sono basata su questa foto: è una delle prime immagini in cui mi sono imbattuta cercando l’hotel su Google e mi ha colpita subito. A onor del vero, non si tratta del ristorante dell’hotel ma della Suite Dogaressa: non l’ho scelta come suite per i nostri ciccini perché non dispone del giardino, mi sono dunque presa la libertà di considerarla una saletta del ristorante (che tra l’altro esiste davvero e si trova esattamente accanto a questa suite).

Una piccola precisazione sulla canzone che accompagna il capitolo e che ne fornisce il titolo: “afterglow” in inglese indica letteralmente la luce dopo il tramonto, al calar del sole. Oltre a costituire l’ambientazione della cena, l’ho scelta anche per un motivo più astratto: il calar del sole è il momento che precede l’oscurità e le tenebre notturne ed è, metaforicamente parlando, la fase della storia in cui ci troviamo ora.

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander
 


 

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Capitolo 5
*** Demons ***


   
From Dusk Till Dawn


 
A Bluemary,
che ha saputo fare dei contrasti un'arte
 

 
Capitolo 5
Demons

 
Contesto: Avengers – Age of Ultron

 
“When the days are cold and the cards all fold
And the saints we see are all made of gold
When your dreams all fail and the ones we hail
Are the worst of all and the blood's run stale
I want to hide the truth, I want to shelter you
But with the beast inside, there's nowhere we can hide”

 
«…E sono davvero felice di poter finalmente annunciare l’inizio della collaborazione tra le nostre aziende. I nostri progetti riceveranno senz’altro una calda accoglienza a livello mondiale, ne sono certa». Pepper concluse il suo intervento con un breve cenno del capo, mentre intorno a lei si diffondevano mormorii di assenso e approvazione. L’Amministratore Delegato della Ledger Entreprises [1] si affrettò a concordare, affermando di trovarsi di fronte a un’epocale svolta tecnologica. Chiunque l’avesse vista in quel momento non avrebbe potuto fare a meno di notare la professionalità con cui conduceva riunioni di importanza cruciale per il futuro delle Stark Industries, mostrandosi del tutto a suo agio. Dai suoi occhi non traspariva alcuna traccia del tormento interiore che da settimane, ormai, si agitava nel suo animo.

Pepper mantenne un sorriso affabile e disinvolto, lo sguardo fisso sullo schermo in cui figuravano i suoi interlocutori. Quando il display si oscurò e la video conference si concluse, rilasciò un lungo sospiro e rilassò il busto, appoggiandosi contro lo schienale della sedia. Dopo settimane di mosse e contromosse, era riuscita ad ottenere un risultato davvero ottimo per le Stark Industries: una collaborazione con una delle aziende più all’avanguardia nel settore elettronico su scala globale, nonché condizioni contrattuali decisamente vantaggiose per loro. Condizioni, peraltro, concesse senza dover calcare eccessivamente la mano. Del resto, il fatto che Iron Man fosse legato a stretto filo con le Stark Industries costituiva un’attrattiva irresistibile, anche per le compagnie più restie ad accettare compromessi.

Sbuffò con sarcasmo, realizzando che quello fosse uno dei pochi modi, se non addirittura l’unico, in cui al momento Tony contribuiva all’avvenire dell’azienda alla quale, fino a qualche anno prima, aveva dedicato tutto se stesso; poi erano subentrati Iron Man, gli Avengers e nemici sempre più ostili e il suo interesse per le Stark Industries nel tempo era progressivamente calato. Certo, negli ultimi anni aveva supervisionato diversi progetti e dopo l’attacco a Malibu Point si era impegnato in prima persona per trasferire stabilmente la sede principale a New York – d’altronde, la sua presenza era sempre più richiesta alla nuova Avengers Tower e traslocare era diventata la conseguenza più ovvia. Ma in seguito alla faccenda di Ultron, Tony si era chiuso in se stesso e aveva ripreso a trascorrere intere giornate nel suo nuovo laboratorio, senza curarsi di altro all’infuori di ciò che stava progettando.

Pepper si alzò e chiuse con uno scatto il fascicolo che aveva davanti a sé, porgendolo alla responsabile commerciale che attendeva in silenzio al suo fianco; la istruì brevemente sulle precisazioni da fare includere nel contratto e poi si diresse alla porta, abbandonando la sala riunioni. Percorse a passi lenti il lungo corridoio immacolato, la mente di nuovo immersa in pensieri contorti, e in pochi minuti raggiunse il suo ufficio, chiudendosi la porta alle spalle: aveva decisamente bisogno di un po’ di quiete. Prese posto alla sua scrivania, digitando le credenziali di accesso sulla tastiera del pc e preparandosi mentalmente alla sfilza di mail che avrebbe trovato. Mentre attendeva che il computer si avviasse, rivolse in automatico un’occhiata all’orologio posizionato sulla parete di fronte: erano quasi le 20. Pepper corrugò la fronte, perplessa: non si era resa conto di aver fatto così tardi. Poco male, pensò seccata. Di certo a casa qualcuno non la stava aspettando con estrema impazienza.

Aprì con un clic del mouse una relazione sul lancio del loro nuovo prodotto ed iniziò a controllarne il contenuto, per essere certa che riportasse tutte le informazioni essenziali. Iniziò a digitare alcuni commenti e osservazioni, salvo poi interrompersi e puntellare con uno scatto i gomiti sul tavolo, poggiando il volto sulle mani congiunte. Inspirò a fondo, avvertendo la compostezza scivolare via dalle sue spalle per lasciare posto alla tensione, nonostante i suoi sforzi continui per tenerla a bada; per quanto cercasse di concentrarsi interamente sul lavoro, escludendo ogni distrazione, una parte della sua mente non poteva fare a meno di pensare a Tony.

Tony e le sue ombre, che ogni volta sembravano sconfitte ma che puntualmente si ripresentavano, senza dargli tregua. Pepper aveva davvero creduto che, dopo l’operazione e le sedute con lo psicoanalista, avesse finalmente trovato una sorta di stabilità, un nuovo punto di partenza. Le sembrava che avesse imparato dai suoi errori e che stesse procedendo nella giusta direzione; l’idea della Iron Legion, a cui aveva iniziato a pensare qualche tempo dopo essere rientrati da Venezia, ne era un esempio lampante: un piccolo esercito di armature gestito da JARVIS e che non richiedeva il suo costante controllo. Pepper sapeva che l’Iron Legion era solo il primo passo di un progetto che Tony aveva iniziato a considerare sempre più indispensabile: la creazione di una sorta di barriera difensiva a protezione del mondo, in grado di contrastare qualsiasi nemico; proprio per questo aveva iniziato a progettare un’intelligenza artificiale insieme al Dottor Banner, con l’obiettivo di migliorare e superare JARVIS, rendendolo di fatto del tutto autonomo e capace di ostacolare ogni minaccia. Onestamente, Pepper non si era sentita molto tranquilla all’idea di un supervisore robotico, ma Tony sapeva quello che faceva e le sue creazioni si erano spesso rivelate decisamente brillanti; inoltre, Bruce collaborava attivamente al progetto Ultron e avrebbe sicuramente sostenuto un approccio cauto e ragionevole.

Poi gli Avengers erano andati in missione a Sokovia e qualcosa era cambiato drasticamente. Tony non si era dilungato molto sull’accaduto, ma le aveva accennato ad una visione catastrofica nella quale lui era l’unico Avenger sopravvissuto e la Terra veniva invasa e distrutta dagli alieni. Non le serviva conoscere ogni dettaglio per capire quanto quella visione dovesse averlo turbato: per lui niente era peggio di non riuscire a fare tutto il possibile per salvare il mondo. Pur trattandosi di un’illusione, Tony doveva essersi sentito oltremodo responsabile e l’urgenza di giungere a un punto di svolta nella creazione di Ultron si era resa insostenibile.

E ci era riuscito: Ultron aveva finalmente visto la luce e il perfetto sogno di Tony poteva dirsi realizzato; tuttavia, le cose non erano andate come previsto e l’intelligenza artificiale si era rivoltata contro il suo creatore, morte e distruzione come unico intento. Quando tutto ciò era accaduto, Pepper era lontana e impegnata in una serie di convegni, ma non ci aveva messo molto a rendersi conto di quanto la situazione fosse sfuggita loro di mano: prima Johannesburg, poi Seoul e infine la stessa Sokovia, la devastazione si era diffusa a macchia d’olio senza che i Vendicatori potessero evitarlo. Avevano tentato in ogni modo di limitare i danni e di mettere in salvo quante più persone possibili, ciononostante Sokovia era stata totalmente distrutta, lasciandosi dietro una lunga scia di morte. Ma questa volta, la catastrofe non era stata provocata da orde di alieni piombati dal cielo con l’intento di distruggere e colonizzare il pianeta: Ultron era stato creato nei laboratori dell’Avengers Tower, per la prima volta erano le loro stesse mani ad essere intrise di sangue; o, per meglio dire, quelle di Tony.

Per Pepper non era stato difficile immaginare quanto lui si sentisse responsabile per tutto questo: ciò che aveva creato con l’intento di proteggere il mondo da ogni minaccia, garantendo una pace perpetua, si era rivelato un completo fallimento. Aveva messo il suo genio al servizio del mondo, creando invece un’arma di distruzione di massa. Uno scherzo del destino davvero di cattivo gusto, persino per Tony Stark.

Dopo essersi finalmente ricongiunti, aveva cercato in più occasioni di parlarne e offrirgli conforto, ma lui si era chiuso in se stesso respingendo ogni dialogo. Pepper aveva atteso, paziente: confidava che Tony avesse solo bisogno di metabolizzare i fatti, di accettare le sue responsabilità e di imparare a conviverci, traendone insegnamenti per il futuro. Ma i giorni passavano e niente di tutto ciò accadeva: Tony sprofondava nel senso di colpa, rifiutando ogni aiuto e isolandosi dal mondo, persino e soprattutto da lei. A nulla era valso attendere, provare approcci diversi, fingere che andasse tutto bene: lui aveva eretto intorno a sé un muro invalicabile, dedicandosi all’unica cosa che rappresentava per lui un porto sicuro: armeggiare nel suo laboratorio.

La dimostrazione di quanto quella vicenda avesse inferto una ferita profonda e dolorosa nel suo animo risiedeva inequivocabilmente nella sua decisione di prendersi una pausa e ritirarsi dagli Avengers. Avrebbe potuto rimboccarsi le maniche e dedicarsi interamente alle nuove leve, mettendo a loro disposizione le sue conoscenze, il suo genio e la sua esperienza. Sarebbe stato un ottimo modo per iniziare a porre rimedio ai suoi errori e redimersi, avrebbe avuto un nuovo scopo a cui guardare; invece aveva preso la direzione opposta, scegliendo di allontanarsi dal gruppo. Quando aveva provato a sondare cautamente il terreno al riguardo, Tony aveva liquidato in fretta la faccenda, sostenendo che prendersi una pausa era in quel momento la cosa più giusta da fare.

Pepper sospirò, sentendosi impotente. Non si poteva continuare così, era logorante per entrambi: per lui, che non riusciva a trovare una via di uscita e per lei, che assisteva alla sua disfatta senza poter fare nulla per impedirlo. Era come se l’equilibrio che avevano faticosamente raggiunto, fatto di fiducia e sostegno reciproci, si stesse sgretolando giorno dopo giorno, silenzio dopo silenzio: l’amore, che costituiva il solido collante di quel mosaico di sentimenti sfaccettati, faticava sempre di più a sostenere i brandelli lisi di un rapporto un tempo saldo e inscalfibile.

Scosse la testa e si apprestò a spegnere il computer: in quelle condizioni era inutile continuare, non riusciva proprio a concentrarsi; tanto valeva chiudere tutto e andare a casa. Si alzò e indossò il cappotto, abbottonandolo con cura, poi compose l’interno di Happy e lo avvisò che stava uscendo. Percorse a ritroso i corridoi, gettando un’occhiata distratta all’openspace deserto; raggiunse con calma la hall e attraversò l’ingresso. Happy la attendeva in piedi, accanto all’auto. Quando la vide, le rivolse uno sguardo comprensivo: era al corrente della piega che recentemente la situazione aveva preso. Non fece commenti, limitandosi a salutarla, e si mise alla guida, mentre lei prendeva posto sui sedili posteriori.

Pepper fissò lo sguardo sul finestrino, osservando in silenzio le vie trafficate di New York scorrere accanto a lei; cercò di concentrarsi sul paesaggio urbano che si snodava sotto ai suoi occhi, eppure non riusciva a fare a meno di chiedersi che cosa avrebbe trovato, una volta a casa. Una parte di sé sperava vivamente che Tony si fosse ripreso, che fosse riuscito a riemergere dal torbido oceano di tormento e malessere in cui era immerso; l’altra parte, ben più realistica, era perfettamente consapevole che niente fosse cambiato nell’arco delle dodici ore in cui erano stati separati. Si ritrovò a chiedersi che cosa fare, come muoversi. Ma più ci pensava e meno riusciva a trovare una soluzione; cominciava a credere che non fosse nemmeno possibile trovarla, se Tony non le permetteva di aiutarlo.

«Eccoci arrivati». La voce di Happy interruppe il filo dei suoi pensieri, mentre accostava con precisione accanto al marciapiede.

Pepper si riscosse e gli rivolse un breve sorriso. «Grazie, Happy. Ci vediamo domani» lo salutò, aprendo la portiera dell’auto. Un attimo prima di posare un piede sull’asfalto si bloccò, la mente attraversata da un’intuizione improvvisa; ruotò il busto verso l’interno e incrociò il suo sguardo nello specchietto retrovisore. «Senti, Happy… So che ti sembrerà una domanda strana, ma ti dispiacerebbe tornare a lavorare per Tony? Non fraintendermi,» si affrettò ad aggiungere, bloccando sul nascere il suo tentativo di ribattere «mi trovo bene con te e apprezzo che tu abbia insistito per scortarmi a casa e in ufficio, ma…».

«La prudenza non è mai troppa» affermò lui, facendo spallucce.

«…io credo di essere al sicuro, ora. Ultron è una storia passata, ormai, e non ci sono altre minacce all’orizzonte. Posso cavarmela» continuò Pepper, con voce ferma. «Tony invece non se la sta passando bene e… credo che continuerà così ancora per molto. Se tornassi a lavorare per lui, potresti tenerlo d’occhio, no? Mi sentirei più tranquilla, sapendo che una persona amica vigila su di lui» terminò, conciliante.

Happy assottigliò appena lo sguardo, scrutandola con attenzione. Infine, annuì piano. «Io onestamente preferirei continuare ad occuparmi della sua sicurezza. Ma se proprio ci tiene… farò una chiacchierata con Tony. Non le assicuro niente, però» precisò.

Pepper gli rivolse un ampio sorriso, rincuorata. «Grazie Happy. Lo apprezzo molto. Buona serata» si congedò, scendendo dalla macchina e salendo i pochi gradini che conducevano alla porta di ingresso. Infilò la chiave nella toppa e fece scattare la serratura, udendo distrattamente il rombo dell’auto che si allontanava alle sue spalle.

Sebbene Tony disponesse di un alloggio personale e alquanto spazioso all’Avengers Tower, si era categoricamente rifiutato di farla vivere lì, in mezzo a un branco di zoticoni con manie di protagonismo. Aveva sostenuto che avevano bisogno di privacy e di una casa tutta per loro, e così avevano optato per una villetta appena fuori città, dotata di ogni comfort e lontana da occhi indiscreti. Dopo la distruzione della villa di Malibu, l’avevano resa la loro dimora principale; Tony soggiornava alla Tower di tanto in tanto, quasi sempre quando lei era in trasferta per lavoro.

Spinse piano la porta, che si aprì cigolando appena: ad accoglierla, solo il buio e il silenzio. Avanzò di qualche passo nell’ampio ingresso, posando distrattamente le chiavi e la borsa sul mobile alla sua destra. Si tolse il cappotto e lo appese, poi si diresse in cucina. Il suo sguardo scivolò sulle superfici intonse, perfettamente in ordine: Tony non doveva essersi nemmeno preso la briga di salire e tentare di preparare qualcosa per cena; d’altronde, di recente sembrava che neanche ci abitasse in quella casa. Strinse tra le mani il ripiano in marmo dell’isola e inspirò profondamente, cercando di calmarsi. Attese qualche secondo, riflettendo con cura. Valutò se fosse il caso di mettere qualcosa sotto ai denti, prima di andare a scovare il suo riottoso compagno; infine stabilì che affrontare il problema aveva decisamente la priorità.
 

 
“When you feel my heat, look into my eyes
It's where my demons hide, it's where my demons hide
Don't get too close, it's dark inside
It's where my demons hide, it's where my demons hide”
 

Scese uno dopo l’altro i gradini che conducevano al piano seminterrato, i passi che riecheggiavano appena nel silenzio che avvolgeva la casa, e aprì delicatamente la porta del laboratorio: tentare un approccio civile non avrebbe di certo guastato, pensò. Un disordine sempre più evidente regnava in quell’angolo della loro abitazione che lei cominciava quasi a considerare estraneo: cavi e dispositivi di vario genere erano sparpagliati sugli scaffali e sui banconi, ancora più ingombri di quello che ricordava. I robot, un tempo sempre attivi e intenti a lavorare su strani congegni, ora sostavano immobili e rassegnati accanto ad una parete. Tony occupava la solita postazione in fondo alla stanza, lo sguardo totalmente concentrato sullo schermo di un computer.

«Oltre a passare intere giornate qui dentro, ora hai deciso anche di morire di fame?» esordì Pepper, chiudendo distrattamente la porta dietro di sé e avvicinandosi di qualche passo.

Udendo la sua voce, Tony si riscosse e le rivolse una veloce occhiata, prima di tornare a fissare lo schermo. «Ciao. E comunque no, ho spizzicato qualcosa dal frigo qui sotto. Già di ritorno?» osservò.

Lei lo guardò incredula: diceva sul serio? «Già di ritorno?! Tony, sono quasi le 21!» sottolineò.

Tony inarcò appena le sopracciglia, gli occhi sempre puntati sul display. «Ah, davvero? È incredibile come il tempo passi velocemente, quando ci si diverte» buttò lì, scrollando le spalle.

Pepper strinse le palpebre. «Ma non mi dire» sbuffò, sarcastica.

Prese a muoversi nel laboratorio, osservandosi attorno e tentando di dare un senso al caos incontrastato da cui era circondata. Su uno scaffale, tra una cassetta degli attrezzi e una scatola piena zeppa di cavi, scorse alcune bottiglie di vetro vuote. Si accigliò, prendendone una in mano: l’odore intenso che emanava era inequivocabile.

«E queste? Hai ricominciato anche con l’alcol, adesso?» chiese, voltandosi verso di lui [2].

Tony storse il naso. Lo vide muovere per un rapido istante le pupille nella sua direzione, prima di tornare a digitare qualcosa sulla tastiera del computer. «Solo un goccio ogni tanto. Non so neanche da quanto siano lì, quelle bottiglie» minimizzò, incolore. «Un bicchierino sporadico mi fa più che bene. Mi mette in moto il cervello» aggiunse, come se fosse tutto a posto. Continuava a non guardarla.

L’esasperazione che aveva covato in quei giorni si fece d’improvviso più intensa, insostenibile. La sentì premere inesorabile contro il petto, scalpitante. «Tony,» sbottò, secca «dovresti davvero smetterla».

Questa volta, Tony sollevò gli occhi e la guardò. Corrugò appena la fronte, percependo la durezza del suo tono. Fu solo un istante: la sua espressione si fece di nuovo impassibile, quasi assente. «Di fare cosa?» chiese, noncurante.

«Questo. Quello che continui a fare da settimane, ovvero marcire qui dentro per creare qualcosa di… non so cosa» berciò lei, allargando le braccia ad indicare l’ambiente circostante.

«Io non sto marcendo qui dentro» puntualizzò Tony.

Pepper inarcò eloquentemente un sopracciglio. «No?!».

«No» ribatté lui, sostenuto. Si puntellò con gli avambracci sul bancone, evitando di guardarla negli occhi. «Per tua informazione, ho qualcosa di geniale tra le mani. Mi sto solo adoperando per terminarlo nel più breve tempo possibile» concluse, stringendosi nelle spalle.

«Ah, certo» replicò lei, canzonatoria. «Dunque è solo una fortuita coincidenza che tu abbia ripreso a bere e che ti sia isolato qui dentro, giusto?» rimarcò, retorica. Incrociò le braccia al petto e gli rivolse un’occhiata stizzita: eccolo lì, il muro invalicabile tra di loro. Lui le parlava, eppure non le diceva davvero ciò che pensava, ciò che provava. Ma questa volta non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sviare. «Tu ti stai di nuovo facendo ossessionare» sentenziò, schietta «e sai benissimo che questo atteggiamento non porta a niente».

«Non è vero!» si difese energicamente lui.

«Sì, invece!» ribatté Pepper, perdendo definitivamente la pazienza. «Sono settimane che continui così, settimane! Pensi che non me ne sia accorta, solo perché fino ad ora mi sono limitata a tacere?».

Tony sollevò una mano e inspirò a fondo. «D’accordo, riconosco di essere stato un po’sfuggevole di recente, ma da questo a –».

«È palese, Tony» lo interruppe, brusca. «Ti stai di nuovo chiudendo in te stesso, proprio come hai fatto dopo New York». Un silenzio assordante calò su di loro. Rimasero a fissarsi per lunghi istanti, una verità sempre più chiara che si faceva strada nelle loro menti, quando Pepper si decise a continuare. «E io comincio davvero ad averne abbastanza» ammise, stanca.

Lui si lasciò sfuggire un sospiro e abbassò la testa, nervoso; si passò una mano sul volto e per qualche istante non disse nulla. Pepper poteva quasi vedere il suo cervello riflettere febbrile, valutando cosa rispondere. “Parlami” si ritrovò a pensare, disperatamente; avrebbe dato qualsiasi cosa perché lui si aprisse e le permettesse di aiutarlo a sostenere un peso troppo grande per una sola persona, anche per Tony Stark. Dopo quella che parve un’eternità, Tony si strinse la radice del naso tra pollice e indice e si decise finalmente a guardarla, gli occhi densi di ombre.

«Tu non capisci. Non puoi capire – come potresti?» cominciò, scrollando la testa con frustrazione.

Pepper non batté ciglio. Si limitò ad osservarlo, in attesa. «Beh, prova a spiegarmelo. Farò uno sforzo» lo incalzò.

Lui la studiò per lunghi istanti, infine schioccò la lingua e rilasciò un pesante sospiro. «Io devo rimediare, in un modo o nell’altro. Devo. Ho causato morte e distruzione, non posso starmene semplicemente qui con le mani in mano, come se non fosse successo niente!» decretò con vigore. Poi le rivolse un’occhiata stralunata, come se non riuscisse a capacitarsi fino in fondo di averlo detto ad alta voce.

Pepper annuì lentamente. «È vero» convenne. «Devi rimediare, ma non così». Inclinò la testa, sondando a fondo il suo sguardo. Una breccia si stava lentamente aprendo in quella barriera impenetrabile che lui si ostinava ad erigere: era l’occasione che aspettava, poteva finalmente attraversarla e ristabilire un contatto, tentando di risanare quel rapporto in continuo deterioramento.

«Tony» riprese, assumendo un tono di voce sicuro e al tempo stesso conciliante «Non stai reagendo nel modo corretto, credimi. Quello che è successo a Sokovia è una vera tragedia e penso di poter immaginare come ti senti».

Tony scosse la testa, le labbra piegate in un sorriso amaro. «Non puoi. Nessuno oltre a me può saperlo davvero».

Pepper lo scrutò con attenzione. Per quanto si ostinasse ad isolarsi nella sua sofferenza, lei non aveva alcuna intenzione di demordere. «Ma posso provarci, almeno» replicò.

Lui negò ancora, sbuffando una risatina infelice. «Fidati, no. Io stesso fatico a raccapezzarmi».

«Va bene» concesse, spiccia. «Ciò non toglie che tu la stia gestendo in modo sbagliato». Si avvicinò a lui e gli prese le mani tra le sue, in una stretta salda eppure confortevole. «Non possiamo cancellare quello che è successo e non possiamo fare finta che non sia mai avvenuto. Ma dobbiamo andare avanti» insistette, cercando il suo sguardo. «Non potevi prevedere che sarebbe andata così. Le tue intenzioni erano ammirevoli, volevi solo garantire la pace» osservò, con tono ragionevole.

«E invece ho causato l’effetto opposto, pensa un po’» mormorò lui, sarcastico.

Pepper accarezzò le sue mani, cercando di trasmettergli tutto il suo sostegno attraverso le dita. «Volevi rendere il mondo un posto migliore e sicuro. Non è questo ciò che conta, alla fine?» provò.

Tony non rispose, limitandosi a spostare lo sguardo sul bancone ma senza vederlo davvero. Pepper capì che non stava facendo abbastanza e sentì dentro di sé l’urgenza di avvicinarsi ancora, di provare a colmare quella distanza che si intensificava ogni giorno di più. «Dovresti smettere di passare tutto il tempo qui dentro. Potresti provare ad uscire, vedere qualcuno… dedicarti ad altro» esitò, incerta. «Da quant’è che non vedi Rhodey?» chiese.

Lui si strinse nelle spalle, assorto. «Boh. Da qualche settimana, penso».

«Perché non lo chiami? Lo sai che verrebbe subito» suggerì lei, osservandolo attenta.

Tony contrasse le labbra in una piega dura. «Non mi va. E poi avrà sicuramente da fare» rispose.

«Per te troverebbe sempre del tempo, lo sai» considerò Pepper. Evitò di fargli notare che prima di allora non si era mai fatto problemi in merito agli impegni di Rhodey, e che si stava nascondendo dietro l’ennesima scusa: non voleva contrariarlo e spingerlo a chiudersi di nuovo in se stesso. Era ben consapevole di starsi addentrando in un terreno pericoloso, con l’alto rischio di incrinare ulteriormente il precario equilibrio in cui si trovavano.

Valutò con attenzione come muoversi, cosa dire. Una parte di sé avrebbe voluto continuare ad assecondarlo, con l’intento di riuscire a far sì che lui la vedesse finalmente come un’alleata; un’altra, invece, desiderava scuotere il suo animo, indurlo a reagire anche a costo di farsi odiare. Inclinò la testa, riflettendo febbrile. Infine, decise che valeva comunque la pena tentare: forse, insistendo un po’, sarebbe riuscita a farlo ragionare. «Perché non fai un giro al Complesso? Stare in compagnia ti farà bene. E già che ci sei, potresti dare un’occhiata ai nuovi membri» propose quindi, speranzosa. «Potresti davvero fare la differenza. Sarebbe un ottimo modo per ricominciare a vivere e lasciarti lo sconforto alle spalle».

Tony sbuffò, improvvisamente infastidito. «Ne abbiamo già parlato, Pepper, e ti ho detto che non sono per niente la persona adatta. Pensi davvero che potrei presentarmi davanti a loro e pretendere di dispensare consigli e morali? Io, che ho distrutto un’intera nazione perché non so accettare i miei limiti?» sbottò, senza curarsi di nascondere il risentimento. Scostò bruscamente le mani dalle sue, indietreggiando di qualche passo e fremendo di rabbia. Dolore e frustrazione e amarezza si rincorrevano senza sosta nei suoi occhi.

Pepper percepì distintamente una frattura farsi strada implacabile tra di loro; si stava di nuovo allontanando da lei. «Tony, per favore. Se solo ci pensassi un po’ sopra, capiresti che…» tentò, cauta.

Lui non le permise nemmeno di terminare la frase. Si girò di scatto, dandole le spalle. «Ho detto di no. Ci ho già riflettuto a sufficienza, non serve a niente insistere» decretò.

Pepper si ritrovò a fissare la sua schiena, che conosceva così bene e tuttavia non le era mai sembrata così estranea. Alzò di scatto una mano, per poi bloccarla a mezz’aria e lasciarla ricadere contro il fianco. Scosse appena il capo, cercando di fare mentalmente ordine. «Ascoltami. Io capisco che non sia per niente una situazione facile, ma possiamo trovare una via d’uscita» esordì, con voce salda. Mosse qualche passo verso di lui. «Non sei solo. Io sono qui, siamo insieme, possiamo affrontare qualsiasi cosa. Ma devi darmi modo di aiutarti».

Lui si passò una mano sul volto. «Non puoi aiutarmi. Nessuno può, nemmeno tu» mormorò, voltandosi appena. Un istante dopo dovette essersi reso conto di ciò che aveva detto, perché schioccò la lingua e le rivolse un’occhiata di scuse. «Mi dispiace. Non è colpa tua. È qualcosa che devo capire e risolvere da solo» precisò.

Pepper incassò le sue parole con un dolore sordo nel petto, ma non vacillò: era decisa a non arrendersi. Non ancora. «Sì, che posso aiutarti. Se solo tu…».

«No. Questa volta è diverso» stabilì lui, con voce ferma. Rimasero a scrutarsi per lunghi istanti, poi Tony scosse la testa e si appoggiò pesantemente al bancone. «Basta, Pep. Smettila. È tutto inutile» rimarcò con durezza.

Pepper lo osservò, sbigottita. Un ansito spezzato le sfuggì dalle labbra socchiuse. D’un tratto, lo vide per come era davvero: lontano, inarrivabile. La breccia si era chiusa, il muro si era fatto, se possibile, ancora più insormontabile.

Come un fiume in piena, percepì distintamente la frustrazione diffondersi nelle vene. Niente di ciò che diceva sembrava fare effetto: più tentava di raggiungerlo e più lui gli sfuggiva, sempre un passo al di fuori della sua portata. Decise che avrebbe tentato con ogni mezzo, anche a costo di sbattergli crudelmente la verità in faccia. «Non puoi riportare in vita quelle persone. Non puoi più fare niente per loro, lo capisci?» affermò, schietta.

Lui incassò le spalle, incurvandole sotto il peso di quell’affermazione. «Lo so. Ma questo non implica che non possa creare qualcosa che mi permetta di trovare un po’ di sollievo». 

Pepper sentì la rabbia montare dentro di sé e prevalere sul misto di sensazioni contrastanti che provava: eccolo lì, il nocciolo del problema. «Ti stai curando solo del tuo senso di colpa. A te non interessa fare ammenda, tentare di rimediare attivamente ai tuoi errori. Vuoi solo liberarti la coscienza» sentenziò, senza preoccuparsi di celare la durezza delle sue parole.

Tony non rispose, né diede segno di volerlo fare; il suo corpo vibrò per un istante, ma un attimo dopo ritrovò la sua compostezza. Si limitò ad afferrare un prototipo posato accanto a lui e a rigirarselo tra le mani, osservandolo assorto.

Sentendo che il silenzio continuava a protrarsi, Pepper capì che non avrebbe ottenuto altre risposte da lui. Non in quel momento, almeno. Scelse comunque di lanciare un ultimo affondo, nella speranza di riuscire finalmente a scuoterlo. «Tutto questo non ti porterà da nessuna parte. E lo sai».

Prese ad allontanarsi in direzione della porta, abbandonandolo al suo cieco tormento. Salì le scale quasi di corsa, rabbia e dolore che si agitavano dentro di lei ad ogni passo. Raggiunse infine il salotto e si lasciò cadere sul divano. Si portò le mani al volto ed espirò con forza, cercando di calmarsi, di riprendere il controllo per valutare con attenzione ciò che era appena accaduto.

Ripercorse con la mente ogni frase, ogni sguardo, ogni silenzio. Pensò che avrebbe potuto fare un altro tentativo, magari utilizzando maggior cautela, ma qualcosa dentro di sé le diceva che non sarebbe servito a nulla. Questa volta, Tony non stava affrontando normali difficoltà o quotidiani incidenti di percorso; erano i suoi demoni ad affollargli la mente e ad opprimerlo, demoni che lui stesso aveva creato nell’assistere alla distruzione causata da Ultron, la sua creatura. Si trattava di un dolore al di fuori della sua portata, che forse non avrebbe mai potuto toccare e comprendere fino in fondo, un dolore che si originava e si concludeva in Tony e che lo circondava, isolandolo da tutto il resto.

Si rese conto che spettava a Tony trovare il modo di affrontare quella distanza e decidere di percorrerla, riducendola un passo alla volta mentre combatteva dall’interno le ombre che lo opprimevano. Capì che per lei era inevitabile a quel punto fare un passo indietro, lasciandolo affrontare la propria battaglia e limitandosi a seguirlo con lo sguardo, anche a costo di perderlo.

Sorrise con profondo rammarico: stare ferma a guardare non le era mai sembrato così difficile.


 
“They say it’s what you make
I say it’s up to fate
It’s woven in my soul
I need to let you go
Your eyes, they shine so bright
I want to save that light
I can’t escape this now
unless you show me how”
 
Demons – Imagine Dragons




Note:
[1] Piccolo omaggio a Heath Ledger. 

[2] Nei fumetti, Tony sviluppa in più occasioni una vera e propria dipendenza dall’alcol, mentre invece nei film del MCU questo aspetto viene solo toccato in maniera superficiale. Considerando la caratterizzazione del personaggio, ho ritenuto più coerente la versione del fumetto e l’ho adattata al mio contesto.




Ciao a tutti! Eccomi con il quinto capitolo, che si svolge poco dopo Age of Ultron, nell’arco di tempo che precede Civil War. Il tema principale è, chiaramente, il tormento di Tony per ciò che è accaduto a Sokovia: per la prima volta, è stato un suo errore a causare morte e distruzione e tutto questo ha un impatto non indifferente sulla sua psiche. È sicuramente un passaggio vitale per la sua maturazione.
 
Il punto di vista è quello di Pepper: ho trovato molto interessante analizzare tutta questa sofferenza attraverso occhi esterni. Gli occhi di chi, appunto, si ritrova ad avere che fare con una persona che sta visibilmente male, ma che non vuole o, meglio, non può farsi aiutare. Spero di essere riuscita a rendere in modo credibile la sua frustrazione e la sua determinazione nel tentare di stabilire un dialogo, in un continuo oscillare tra un approccio cauto e uno più brusco. Al tempo stesso, ho cercato di renderle giustizia lodando la sua capacità di riuscire a gestire senza crollare lavoro e relazione: trattandosi di un personaggio secondario, nel MCU tutto questo non viene molto approfondito.

Questo capitolo pone le basi per ciò che avverrà nel prossimo: in primis per Tony e la sua introspezione, ma anche per la loro rottura. A questo proposito, il momento che ho deciso di raccontare qui non è esattamente quello in cui decidono di prendersi una pausa, ma quello in cui Pepper si rende conto di non poter fare nulla per aiutare Tony. Il che non esclude che nei giorni successivi non ne abbiano riparlato, in modo pacifico o urlandosi contro; ma è, inevitabilmente, il primo passo concreto che porterà alla loro separazione in Civil War.

Ho infine scelto di inserire Happy e il loro scambio di battute per tentare di spiegare perché, a partire da Homecoming (ad essere precisi, da Civil War, considerando che nel primo film di Spider Man si vedono i flashback di CW) lui abbia ripreso a lavorare per Tony occupandosi di Peter, se fino a quel momento aveva praticamente sempre lavorato per Pepper: ho trovato coerente che glielo abbia chiesto lei, per sentirsi un po’ più tranquilla.

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander
 

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Capitolo 6
*** The end where I begin ***


 
From Dusk Till Dawn

A Futeki,
per ogni meraviglioso nuovo inizio


 
Capitolo 6
The end where I begin


Contesto: Captain America – Civil War
 
“Sometimes tears say all there is to say
Sometime your first scars won't ever fade away

Tried to break my heart, well it's broke
Tried to hang me high, well I'm choked
Wanted rain on me, well I'm soaked, soaked to the skin
It's the end where I begin”


Dicono che con il passare del tempo si impari a fare tesoro degli errori commessi, per evitare di ripeterli in futuro. Dicono che con l’avanzare dell’età si diventi più saggi, più riflessivi, in grado di valutare con attenzione le situazioni in cui ci si imbatte. Dicono anche che l’esperienza fortifichi e renda la mente più acuta, più lungimirante. Beh, se tutte queste osservazioni andavano considerate come la regola, allora lui poteva senza alcun dubbio definirsi l’eccezione che la conferma.

Tony trattenne uno sbuffo sarcastico, dondolandosi appena sulla sedia girevole: poco ma sicuro, lui si collocava al di fuori della media, e non solo dal punto di vista dell’intelligenza o della ricchezza. Per quanto ci provasse, per quanto ogni volta pensasse di avere imparato la lezione e di essere pronto ad affrontare la vita in modo diverso, puntualmente finiva per sbattere il muso contro a un muro e a dover ammettere che no, non era cambiato proprio niente.

Incrociò le braccia al petto e allungò le gambe di fronte a sé, inspirando a fondo. Il silenzio che avvolgeva il suo ufficio al Complesso contribuiva ad amplificare il misto di sensazioni contrastanti di cui era in balìa da ormai diversi giorni: eppure, più cercava di analizzarle, di trovarvi un senso, e meno ne veniva a capo. Aveva davvero creduto che non ci potesse essere niente di peggio di Ultron, che in quell’occasione avesse toccato il fondo e che da quel momento in poi non avrebbe potuto fare altro che risalire; invece, pensò con amarezza, aveva avuto modo di appurare che il peggio doveva decisamente ancora arrivare, che la sua discesa verso il baratro non si era affatto conclusa.

Il suo volto si incupì, mentre tornava a riflettere su ciò che era successo. A sua discolpa, osservò, poteva dire di non aver passato dei momenti proprio facili. La distruzione di Sokovia lo aveva fatto sprofondare nello sconforto e nel senso di colpa, che lo logoravano dall’interno in un crescendo costante, senza dargli tregua: per la prima volta nella sua vita aveva dovuto accettare l’idea di poter fallire irrimediabilmente, proprio lui che, da quando era nato, non aveva fatto altro che collezionare record e prodigi in una scia infinita di successi. Era stato davvero un duro colpo da digerire, che lo aveva portato a chiudersi sempre più in se stesso e a progettare il R.I.M.B.A.: l’idea di poter trovare sollievo in qualche modo, per quanto fugace ed effimero, aveva costituito un’attrattiva davvero irresistibile. Si era dunque gettato a capofitto nella creazione di un sorprendente esperimento terapeutico, assistito da quell’inquietante inventore di nome Beck, che gli aveva garantito una dolce illusione, ma che non aveva riempito affatto il vuoto incessante che sentiva dentro di sé [1].

Ci aveva messo un po’ a capire che non era quello il modo giusto di affrontare il problema: negare l’evidenza non lo appagava, serviva solo a farlo precipitare ancora di più nella spirale di dolore e frustrazione di cui era preda; era stata questa nuova consapevolezza a spingerlo finalmente a reagire e ad affrontare i suoi demoni.

Poi erano giunti gli accordi e la possibilità di fare ammenda per i suoi errori si era d’un tratto concretizzata: l’idea di un comitato esterno posto a sorveglianza degli Avengers, in grado di mettere un freno alle loro azioni spesso eccessive e prive di limiti era come un balsamo sulla sua coscienza tormentata. Tony era ben consapevole di quanto tutto questo fosse necessario e lo era tutt’ora, nonostante i recenti e amari sviluppi: per gli indifesi, la loro sconsideratezza poteva rappresentare una minaccia pari a quella di un branco di alieni piombati dal cielo. Ma non si trattava solo di questo, ragionò: sebbene fosse ormai indiscutibile che gli Avengers andassero moderati e rimessi in riga, per Tony gli accordi significavano prima di tutto un decisivo punto di svolta per sé; un punto fermo e irremovibile da cui ripartire. Un comitato superiore avrebbe senz’altro inibito il suo estro creativo, limitando la sua libertà di costruire e progettare tutto ciò che gli passava per la testa senza alcun riguardo per le conseguenze: niente più Ultron, intelligenze artificiali dubbie o contorti esperimenti. Negli anni aveva sempre accolto con sfida ed entusiasmo ogni proposta del suo genio, che sviluppava senza alcun tipo di condizionamento morale; ora era giusto che imparasse finalmente di dover sottostare a dei limiti. Porsi al servizio di un bene superiore cedendo per una volta il controllo era un compromesso che, a questo punto, poteva accettare.

Si era ripetuto questo mantra in continuazione, mentre sottostava alle direttive di Ross e cercava di blandire i suoi riluttanti compagni di squadra. Lo aveva tenuto bene a mente anche quando aveva fatto confinare Wanda al Complesso, o quando aveva cercato di convincere Steve sulla vitale necessità di quel cambiamento. Se lo era ribadito con insistenza persino mentre si confrontava con Natasha dopo lo scontro di Lipsia, negli occhi ancora ben impressa la vista di Rhodey che eseguiva la tac e nel cuore l’angoscia insistente per la sua sorte. Si era comportato come un fedele e impeccabile soldatino ligio al dovere, non c’era alcun dubbio. Così devoto ed obbediente da non dare ascolto a nessun parere contrario, sordo ad ogni eventualità che ciò che stava perseguendo con tanta ostinazione non fosse poi del tutto corretto.

Si ritrovò a strabuzzare gli occhi incredulo, nel realizzare come la sua realtà si fosse decisamente capovolta: era sempre stato una testa calda, incline a soddisfare unicamente i propri interessi e senza mai farsi persuadere da alcuno scrupolo morale; la sfrontatezza aveva rappresentato per anni il suo biglietto da visita, accompagnato da una buona dose di menefreghismo e irriverenza. Il suo dibattito con il senatore Stern a Washington ne era un chiaro esempio [2]. Se qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe fatto quella fine, rifiutando ogni impulso personale per sottomettersi e sostenere gli schemi del tanto odiato sistema, come minimo gli avrebbe riso in faccia.

Scosse la testa con uno sbuffo, per poi spostare lo sguardo sul panorama che si intravvedeva dalle ampie finestre. Lo lasciò vagare con lentezza sulle cime degli alberi che spuntavano sulla sinistra, oltre il vasto spiazzo verde che circondava l’edificio, poi lo fissò sul cielo grigio e coperto di nuvole, specchio ideale del suo umore da ormai diversi giorni. Puntellò un gomito sull’elegante scrivania in mogano e posò una guancia sul palmo della mano, le labbra incurvate in un sorriso amaro. Aveva dimostrato in più occasioni di saper essere un fedele e cocciuto sottoposto ma, ironia della sorte, proprio nel momento in cui avrebbe dovuto dare ampio sfoggio di questa sua nuova predisposizione, aveva gettato tutto alle ortiche senza alcun tentennamento. La faccenda della Siberia bruciava ancora con intensità dentro di lui, in un turbine di dolore, rabbia e frustrazione che si dibatteva senza sosta nel suo animo, e sospettava che avrebbe continuato a farlo ancora per molto.

Si portò meccanicamente una mano al petto, nel punto esatto in cui si era trovato il reattore inerte e distrutto, spezzato con vigore da chi, quanto ad ostinazione, non aveva nulla da invidiargli. Un lampo di irritazione gli attraversò lo sguardo e di riflesso strinse le labbra, irrigidendo la mascella; le dita si serrarono di scatto in un pugno, mentre un moto di profonda frustrazione tornava a scorrergli nelle vene. Si era lasciato manipolare come un ragazzino alle prime armi, in beffa alla sua straordinaria intelligenza e al buon senso recentemente acquisito, reagendo esattamente come Zemo si aspettava. Non c’era stato posto per il dialogo, per la ragionevolezza o per la prudenza, non aveva in alcun modo provato a dare ascolto a Rogers per capire com’erano andate esattamente le cose; aveva lasciato che il dolore e la rabbia accecante si diffondessero lungo il suo corpo e si era limitato ad assecondare l’impulso insistente di eliminare Barnes seduta stante, cedendo alla sete vendetta. Non certo la mossa più azzeccata, per il più strenuo sostenitore degli accordi, nonché del compromesso.

Onestamente, rifletté, il buon senso era decisamente andato a farsi fottere mentre assisteva agli ultimi istanti di vita dei suoi genitori: avrebbe sfidato chiunque a restare calmo e ragionevole, di fronte a certe immagini devastanti. Anche in quel momento, ripensando allo sguardo angosciato e impotente di sua madre, poteva sentire di nuovo il sangue andargli alla testa e doveva sforzarsi per non cedere all’istinto di spaccare subito qualcosa. Si alzò di scatto e prese a percorrere a rapidi passi la stanza, cercando di sfogare l’inquietudine sempre più intensa e pressante.

Era ben consapevole di aver lasciato che il suo corpo si muovesse guidato esclusivamente dall’impulso e dalla disperazione, ma Barnes non aveva tentato in alcun modo di difendersi, di fornire spiegazioni: si era limitato a fissarlo, in silenzio, e ad attendere la sua reazione, in una muta ammissione di colpevolezza; non c’era davvero altro modo per definire il suo atteggiamento. E Rogers, il maledetto paladino delle cause perse, si era subito schierato a sua difesa: neanche per un istante si era messo dalla sua parte e lo aveva appoggiato, nemmeno di fronte a uno scempio così evidente.

Tony arrestò il suo incedere di fronte alla scrivania e scagliò un violento pugno contro la superficie lucida e intonsa. Il dolore si diramò come una scarica dalla mano al braccio e gli permise di ritrovare un contatto con la realtà, nel crescendo di rabbia e dolore in cui era immerso. Strinse con forza tra le dita i bordi del tavolo e chinò il viso, inspirando a fondo. Per qualche istante il silenzio nel suo ufficio si fece quasi assoluto. Infine, sentendosi un poco più calmo, Tony si raddrizzò e si passò con lentezza una mano sul viso. L’ennesimo sbuffo sarcastico gli sfuggì dalle labbra socchiuse: per quanto ci provasse, non poteva proprio fare a meno di biasimare Steve e la sua evidente ipocrisia. Ricordò come, fin dal loro primo incontro, il Capitano non avesse fatto altro che riempirsi la bocca di ideali: aveva sostenuto fino alla nausea quanto fosse fondamentale basare il loro rapporto sulla sincerità e sul sostegno reciproci. Ma poi, nel momento più cruciale, era saltato fuori che il segreto più devastante lo custodiva proprio lui. Mai, nemmeno una volta Rogers aveva tentato di metterlo al corrente di una verità così vitale per lui, che aveva tutto il diritto di conoscere. Il suo era un gesto imperdonabile, del tutto ingiustificabile.

Nelle lunghe e tediose giornate trascorse al Complesso aveva avuto modo di soffermarsi a lungo su quanto accaduto, analizzando a mente più lucida ogni sfumatura dei fatti. Un angolo recondito del suo animo sapeva che Rogers aveva cercato di proteggerlo e che Barnes non aveva consapevolmente ucciso i suoi genitori, vittima a sua volta degli intrighi dell’Hydra; ciononostante, il suo cuore devastato non poteva fare a meno di ritenere l’uno un pomposo ipocrita buono solo a parlare e l’altro l’esecutore materiale del delitto, e dunque colpevoli. Era più forte di lui: in quel momento, il suo orgoglio ammaccato non riusciva a vederla in modo diverso. Voltò appena la testa a destra e lanciò un’occhiata obliqua al cassetto chiuso sotto alla scrivania: il vecchio cellulare giaceva lì dentro da giorni e, per quel che lo riguardava, vi sarebbe rimasto ancora a lungo. Tony sapeva che prima o poi avrebbe parlato con Rogers, ma non sarebbe stato lui a fare il primo passo, ne era certo.

Come a voler ribadire quella consapevolezza, diede le spalle al tavolo e avanzò di qualche passo verso la finestra. Infilò distrattamente le mani in tasca e tornò ad osservare l’esterno, lo sguardo perso in un punto indefinito del prato. Ironia della sorte, la catastrofe che la Siberia aveva comportato non era nemmeno l’aspetto peggiore di tutta la situazione; se da un lato confidava che il tempo avrebbe sanato le sue ferite, conducendolo a più miti consigli, dall’altro non poteva fare altro che constatare con amarezza per l’ennesima volta quanto, ormai, fosse inesorabilmente solo. La squadra degli Avengers si era divisa, attraversata da una frattura netta e incurabile; il progetto a cui negli ultimi anni aveva dedicato tutto se stesso si era rivelato inconcludente. Non che non fosse preparato: nel corso della sua vita aveva affrontato diverse situazioni critiche, alcune davvero disperate. Ma in passato, dopo ogni disfatta, c’era sempre una presenza silenziosa e confortante ad accoglierlo, a sostenerlo e ad infondergli la spinta necessaria a ripartire. In quel momento, l’assenza di Pepper pesava come un macigno sul suo petto già notevolmente provato. Ora più che mai si rendeva conto di quanto la sua vita dipendesse da lei, di quanto la sua presenza fosse diventata una costante preziosa. La solitudine non aveva fatto altro che amplificare ancor più ciò che provava.

Si aggrappò con le mani agli infissi della finestra e chiuse gli occhi, chinando il volto. C’erano momenti in cui gli sembrava di sostenere un peso troppo grande per le sue spalle, temprate dalle battaglie eppure così umane; anche adesso lo sentiva premere, inesorabile, e spingerlo verso il basso. Ma questa volta non c’erano mani calde e forti a sostenerlo, né sguardi limpidi e confortarti capaci di spazzare via anche le ombre più dense. C’erano solo lui e il misto di angoscia e rancore che gli opprimeva la gola. Mai come in quel momento aveva trovato il suo ego così fuoriluogo, così… indigesto.

Eppure, se ora si trovava in quella situazione, poteva biasimare solo se stesso. Era stato lui a farla allontanare con il suo comportamento scostante e vittimista, anche se non lo aveva fatto intenzionalmente: era a tal punto immerso in un dedalo di ombre vischioso e soffocante, da non riuscire a vedere nient’altro se non la propria sofferenza. Aveva eretto un muro attorno a sé e allontanato chiunque, persino lei. E quando, a fatica, aveva iniziato ad intravvedere la luce in fondo al tunnel, era stata Pepper a fare un passo indietro, chiedendogli del tempo per capire se fosse davvero disposta a continuare la loro relazione. Lui, a malincuore, aveva accettato quella pausa e l’aveva lasciata andare, pur comprendendo il suo punto di vista. Anche adesso, a mesi distanza e con un pesante fardello sul petto, poteva capire Pepper se aveva deciso di rinunciare ad una vita in costante pressione, inseguendo un uomo incapace di fermarsi. La capiva, eppure la voleva disperatamente accanto a sé di nuovo.

Tony inspirò a fondo e strinse tra le dita la radice del naso, cercando di tenere a bada la frustrazione. Il suo maledetto orgoglio gli impediva di prendere il cellulare e chiamarla, per cercare un conforto che solo lei sembrava potergli garantire. E tuttavia, dentro di sé sapeva di non avere il diritto di chiederglielo; non dopo tutti i problemi che le aveva causato.

Scrollò la testa e sbatté con forza le palpebre, riscuotendosi. Doveva davvero smetterla di sguazzare in quei pensieri deprimenti e angoscianti: non portavano a nulla, anzi; riuscivano solo a peggiorare il suo umore. Per di più, aveva un tutore da ultimare che aveva già trascurato abbastanza. Ok che Rhodey era suo amico ed era un tipo paziente, ma Tony aveva davvero intenzione di restituirgli la piena mobilità il prima possibile. Era, osservò con ironia, motivo di felicità per il suo amico e un peso in meno sulla coscienza per lui.

Riprese posto alla sua scrivania e avviò il progetto sul computer. Inclinò la testa e scrutò con attenzione lo schema del tutore, chiedendosi quali altre modifiche apportare. Tamburellò per qualche istante le dita sul tavolo, assorto. L’idea dell’aria condizionata non era affatto male, osservò; Rhodey lo aveva detto solo per ribattere a tono alla sua provocazione, eppure più ci pensava e più lo trovava geniale. Del resto, aveva già inserito il riscaldamento nel costume del ragazzo; l’aria condizionata era solo un’ulteriore, piccola aggiunta. Ridacchiò tra sé, mentre procedeva con la progettazione: non vedeva l’ora di vedere la faccia che avrebbe fatto Rhodey, accorgendosi di un raffreddamento nella zona creativa [3].

Trascorse un’ora, durante la quale era quasi riuscito ad accantonare i brutti pensieri e a concentrarsi sul lavoro, quando udì un leggero bussare alla porta. Tony alzò gli occhi al cielo, sbuffando: eppure gli sembrava di essere stato alquanto eloquente sul non voler essere disturbato per nessuna ragione al mondo.

«Chiunque tu sia, sei pregato di levarti di torno all’istante» scandì, senza nemmeno voltarsi e riprendendo a studiare una particolare giuntura del tutore. Sentì la maniglia abbassarsi, seguito dal lieve cigolio della porta che si apriva: il seccatore doveva avere davvero molto fegato, per sfidarlo in quel modo. Beh, si disse, lo avrebbe rispedito da dove veniva in men che non si dica.

«Ciao, Tony».

Il suo cuore perse un battito. Sgranò gli occhi con stupore, nel riconoscere quella voce, la sua voce. Aveva così tanto desiderato sentirla, da non riuscire a credere che fosse reale. Si girò di scatto, per constatare che non si trattasse di uno scherzo beffardo del suo cervello e che lei fosse davvero lì. Pepper sostava sulla soglia, il soprabito elegante tra le braccia e un’espressione incerta sul viso.

Tony le rivolse un’occhiata stralunata, improvvisamente a corto di parole. «…Ciao, Pep» incespicò. Scosse la testa per riprendersi dallo shock e si schiarì appena la voce. «Come mai qui? È successo qualcosa alle Stark Industries?» indagò. Non osava davvero sperare che lei fosse lì per un altro motivo al di fuori del lavoro; aveva la sensazione che in quel momento non avrebbe retto ad un’altra batosta.

Pepper negò con un lieve cenno della testa. «No, alle Stark Industries è tutto ok. Io… sono passata per vedere come stavi» rispose, stringendo appena la presa sull’indumento.

Lui arricciò lievemente il naso e schioccò la lingua. «Oh, io sto bene. Benone, a dire il vero» replicò, minimizzando. «Devo ancora abituarmi alla convivenza con questi tipi anticonformisti, ma a parte questo è tutto a posto» aggiunse, scrollando le spalle.

Pepper inarcò un sopracciglio, scoccandogli un’occhiata eloquente. «Tony. Dico sul serio» ribadì. Poi il suo sguardo si fece più attento, soffermandosi sul suo zigomo destro. «Che hai fatto all’occhio?» chiese, non riuscendo a nascondere un filo di apprensione.

«Oh, questo?». Tony si indicò il livido violaceo, sbattendo le palpebre disincantato. «Non è niente, solo un piccolo diverbio con braccio di ferro. Ma oserei dire che è in via di guarigione. Un altro paio di giorni e non si vedrà più nulla» la rassicurò, disinvolto. Fece poi un breve cenno verso le sedie girevoli, invitandola implicitamente ad entrare.

Pepper continuò a scrutare il suo viso, apparentemente non del tutto convinta. Infine annuì e mosse qualche passo all’interno della stanza, chiudendosi la porta alle spalle; scostò una sedia e vi appoggiò con cura il soprabito e la borsa, poi si sedette. Tony si accomodò di fronte a lei, accavallando le gambe con finta noncuranza. Dentro di sé, cercava in ogni modo di tenere a bada la tensione crescente. Si osservarono in silenzio per qualche istante, studiandosi a vicenda con curiosità e una punta di imbarazzo. Infine, Pepper prese un profondo respiro.

«Ho saputo della Siberia» esordì, senza tentennamenti.

Tony corrugò le sopracciglia, interdetto. «Ah sì? Come?» le chiese. Un istante dopo, un lampo di comprensione gli attraversò il volto. «Ѐ stato Rhodey, vero?» indovinò, abbozzando un sorrisino ironico. «Più invecchia e più diventa pettegolo. Che ti ha detto?».

Pepper scrollò appena le spalle, osservandosi distrattamente le dita intrecciate in grembo. «Non molto, in realtà. Solo che hai passato un gran butto momento… e che c’entrano i tuoi genitori» esitò appena, riportando lo sguardo su di lui. Sebbene cercasse di mostrarsi tranquilla e disinvolta, poteva scorgere distintamente l’ansia nelle sue iridi azzurre.

Tony si grattò distrattamente una tempia, storcendo le labbra in una smorfia contrariata. «Sì beh, questo riassume bene le circostanze» concordò.

Lei inclinò appena la testa, scrutandolo con attenzione. Nonostante il periodo di lontananza, sembrava non aver perso la capacità di sondare il suo animo e di coglierne ogni sfaccettatura, superando senza sforzo la maschera di distaccata compostezza che offriva al mondo. «Ne vuoi parlare?» lo invitò, cauta.

Tony inspirò a fondo, puntando lo sguardo sul soffitto bianco e asettico della stanza. Si concentrò su una piccola crepa che si apriva in un angolo, appena accennata eppure ben visibile. «Mi è stato, per così dire, gentilmente riferito che i miei genitori non sono morti in un incidente d’auto, come ho sempre pensato» pronunciò, asciutto.

Pepper aggrottò la fronte e spalancò la bocca, manifestando pieno stupore per ciò che aveva sentito. «Che cosa?» sfiatò, incredula. Scosse la testa, senza riuscire a capacitarsene. «Ma non può essere. Insomma, abbiamo visto tutti le foto dell’impatto, era chiaramente…» si interruppe di colpo, mentre la consapevolezza si faceva sempre più evidente nel suo sguardo. «Aspetta. Vuoi dire che non è stato un caso?».

«No, infatti. L’incidente era solo una copertura. Si è trattato di un omicidio bello e buono» confermò lui, scrollando le spalle. «Oh, ed è stato James Barnes. Prima li ha fatti uscire di strada e poi li ha freddati senza pietà» concluse, gesticolando appena.

Un lieve ansito sfuggì dalle labbra di Pepper. Si passò una mano sul viso, cercando di riprendersi dallo shock. «Non riesco a crederci» sussurrò.

«Già. Eppure è così» confermò Tony. Puntò lo sguardo oltre la finestra: il cielo si era fatto, se possibile, ancora più cupo. Alcune gocce di pioggia avevano iniziato a rigare le vetrate. «Cap sapeva tutto, per inciso» riprese poi. «Ma si è ben guardato dal dirmelo. Vatti a fidare degli amici…» commentò. Aveva cercato di suonare disinvolto, ma le sue parole erano intrise di amarezza. Sentì le mani di Pepper, calde e forti, stringere le sue con delicatezza e al tempo stesso con vigore. Avvertì una stretta al cuore, rendendosi conto per l’ennesima volta di quanto quei gesti confortanti gli fossero mancati. Si costrinse a scacciare quegli scomodi pensieri dalla mente per concentrarsi sugli occhi lucidi di Pepper.

«Mi dispiace così tanto, Tony» sussurrò lei, sinceramente addolorata.  Tony annuì appena e ricambiò la stretta, esprimendo con i gesti ciò che faticava a dire a voce. In sottofondo, si udiva solo il ticchettare della pioggia farsi sempre più insistente.

«Speravo che non se ne fossero resi conto, che fosse successo tutto in fretta» mormorò Tony, infine. «Speravo che lei non avesse sofferto. E invece ho scoperto che le cose sono andate anche peggio di quanto immaginassi» aggiunse, osservando le loro dita intrecciate.

Pepper gli rivolse un’occhiata angosciata. «È una cosa terribile» convenne. «Vorrei poter fare qualcosa…».

«Sei qui. Questo significa molto, per me» la rassicurò lui, tornando a guardarla. Non erano vuote parole di circostanza: lo pensava davvero.

Pepper lo fissò di rimando, sorridendogli con affetto. Gli accarezzò lieve il dorso della mano. «Che cosa hai intenzione di fare, ora?» si informò. «Dov’è Barnes? È stato arrestato?».

Tony scosse la testa, le labbra piegate in un ghigno canzonatorio. «No. Cap lo ha nascosto da qualche parte. Anche lui si è nascosto, così come il resto degli Avengers clandestini».

«Beh, lo troveranno, prima o poi» osservò lei. «E potrai ottenere giustizia con un processo».

Tony storse il naso, negando di nuovo. «Ne dubito. Cap sostiene che la mente di Barnes era controllata dall’Hydra, che non lo ha fatto intenzionalmente. Come se questo potesse davvero cambiare le cose, per me» spiegò, senza riuscire a trattenere un sonoro sbuffo. «Ma un giudice potrebbe riconoscere delle attenuanti».

Pepper si strinse nelle spalle. «Non è detto. Ci sono tanti altri fattori da tenere in considerazione» precisò. Poi inclinò la testa, un luccichio complice negli occhi. «E comunque, puoi sempre permetterti gli avvocati migliori» ironizzò, e Tony percepì distintamente le sue labbra incurvarsi in un sorriso divertito. Rimasero a guardarsi per qualche istante, un poco più sereni, e infine lei gli rivolse un’occhiata più intensa. «Supererai anche questa, Tony» riprese, con tono sincero. «Potrà volerci del tempo, ma ne uscirai. Come sempre, del resto».

Tony inspirò a fondo, inarcando appena le sopracciglia. «Sì, sicuramente» concordò, più per rassicurarla che per reale convinzione.

Tolse le mani dalle sue e si alzò, cercando di schiarirsi la mente. Si passò una mano tra i capelli e mosse qualche passo verso un mobiletto che sostava poco più in là, sul quale erano posati dei bicchieri e una bottiglietta di Whiskey. «Ma che terribile ospite sono diventato» esordì. «Non ti ho neanche offerto da bere. Gradisci qualcosa? Tè? Succo? Birra? Chiedo a FRIDAY di controllare cosa è rimasto in cucina» le propose, gioviale.

Pepper scosse appena la testa. «No ti ringrazio. Sono a posto così».

Tony strinse le palpebre, osservandola con attenzione. «Sicura? Beh, io credo che berrò un goccetto» proferì, versando il liquido nel bicchiere.

Lei lo guardò compiere il gesto con espressione decisamente accigliata, ma prima che potesse esprimere il suo disappunto, si affrettò ad anticiparla. «Lo so cosa stai per dire. E sono d’accordo con te, se vuoi saperlo» precisò. «Ma ti assicuro che sono pulito, adesso. Ho, diciamo, imparato a bere con moderazione».

Pepper emise un sospiro rassegnato. «E va bene» concesse, increspando le labbra in un sorrisetto esasperato e al tempo stesso divertito. Evidentemente doveva aver colto il suo bisogno di cambiare argomento, perché iniziò ad illustrargli i prossimi lanci e le riunioni cruciali che si sarebbero svolte, di lì a poco, alle Stark Industries. Lo aggiornò, inoltre, sugli sviluppi della September Fondation: alcune proposte del MIT erano davvero interessanti e avrebbero potuto dare il via a collaborazioni notevoli. Lui si limitava ad ascoltare e ad annuire di tanto in tanto, beandosi della sua presenza, della sua risata, dell’entusiasmo contagioso che le permeava la voce mentre parlava di un lavoro che, nonostante lo stress costante e le quotidiane difficoltà, non finiva mai di appassionarla.

Infine, il silenzio calò nuovamente nella stanza. Ma questa volta, l’atmosfera era rilassata, più serena: le chiacchiere di Pepper avevano stemperato la tensione che aveva aleggiato fino a poco prima. Tony assaporò ancora per qualche istante quella ritrovata tranquillità: si sentiva come se avesse preso una boccata d’aria dopo una lunga ed estenuante apnea.

«È stato gentile da parte tua passare a vedere come stavo» le disse infine, sincero. «Non eri costretta a farlo. Soffiate di Rhodey a parte, si intende» concluse, ammiccando nella sua direzione.

Pepper ridacchiò appena alle sue parole, un guizzo divertito negli occhi. «Volevo assicurarmi di persona che tu stessi bene» ammise, stringendosi nelle spalle. «E poi… c’era qualcos’altro di cui ti volevo parlare» aggiunse, tornando a guardarlo.

Tony sentì l’ansia ricominciare a premere con insistenza dentro di sé, spazzando via la serenità. Sapeva a cosa si riferiva: doveva essere giunta ad una soluzione in merito al loro rapporto. Posò con uno scatto il bicchiere sul mobile e si affrettò a ribattere, con tutta la ragionevolezza che possedeva; non desiderava affatto ascoltarla mentre troncava definitivamente la loro relazione.

«Va bene. Non c’è bisogno che tu dica altro, ho capito perfettamente…».

«Tony, aspetta un secondo. Lasciami parlare, per una buona volta…».

«…non devi preoccuparti, so gestire la situazione e non darò di matto…».

«…non hai capito. Non intendevo questo, volevo solo dirti che…».

«…puoi mantenere la carica di Amministratore Delegato. Sei decisamente più adatta di me, lo sei sempre stata…».

«…oh insomma, perché devi sempre saltare alle conclusioni? Se ti fermassi solo un secondo, capiresti che…».

«…e io non creerò problemi, davvero. Potrai portare avanti le tue iniziative…».

«…non sono venuta fin qui per chiudere con te. Io sono qui per restare».

«…e ci aggiorneremo regolarmen– Cosa?!». Tony boccheggiò, interdetto. Non poteva aver sentito bene, era assurdo.

Pepper sorrise incerta, felice di essere riuscita finalmente a interrompere il fiume di parole con cui la stava investendo.

«È così. Resto» confermò. «Ho avuto modo di riflettere a fondo, in questi mesi. Ho analizzato i miei sentimenti… e valutato i compromessi che sono disposta ad accettare». Si sistemò una ciocca dei lunghi capelli ramati dietro l’orecchio, prendendo un lieve respiro. «La verità è che … io sono convinta che in un modo o nell’altro finirai per farti seriamente del male, per non dire ammazzarti. Ma so anche che non posso essere davvero felice, se non sono al tuo fianco. Ho pensato che, se non posso fermarti o farti smettere, posso comunque starti accanto e fare del mio meglio per sostenerti» concluse, inclinando un poco la testa e studiando la sua reazione.

Tony sentì distintamente la gola chiudersi in una morsa piacevole, mentre l’agitazione poco a poco scivolava via dal suo corpo. Era addirittura meglio di quanto potesse immaginare, pensò. «Beh, io…» esitò, improvvisamente a corto di parole. Si grattò distrattamente una tempia, riflettendo. «Sono felice di sentirtelo dire» riprese poi, con voce più ferma. «Davvero. Molto felice. E credo di poterlo accettare. Insomma, non che io sia nella posizione adeguata per accettare qualcosa, ma… No, non era questo che volevo dire». Emise uno sbuffo divertito e si passò una mano tra i capelli, in difficoltà. «Accidenti, non ci so proprio fare. Ma penso tu abbia capito. No?».

Lei gli rivolse un sorriso entusiasta e annuì, per poi stringergli di colpo le braccia attorno al collo. Tony barcollò appena, sorpreso dallo slancio, ma ricambiò subito la stretta. La sentì ridacchiare contro di sé, mentre prendeva ad accarezzargli con dolcezza la schiena. Capì che, d’ora in avanti, avrebbe fatto davvero di tutto per non perderla, a qualunque costo.

«Pep,» mormorò «questa volta sarà diverso, vedrai. Posso prometterti che…».

«No» lo interruppe lei. Si scostò un poco e gli posò un dito sulle labbra. «Non fare promesse che sai di non riuscire a mantenere» aggiunse, scoccandogli un’occhiata eloquente.

Tony scosse la testa, divertito. Lo conosceva davvero meglio di chiunque altro, constatò. «Ok, va bene» si arrese. Tornò a stringerla a sé con forza, accostando la testa alla sua e inspirando a fondo il suo profumo. Per la prima volta da diversi giorni, il suo animo si sentiva in pace.

«Ma se proprio ci tieni a fare qualcosa,» riprese lei, dopo qualche istante «potresti seriamente cercare di tenerti alla larga dalle missioni suicide…».

Tony alzò gli occhi al cielo, sbuffando una risatina. Notò con profonda soddisfazione che anche lui, ormai, la conosceva piuttosto bene: era assolutamente certo che lo avrebbe detto. «Affare fatto» concesse, senza esitazioni.

«…ed evitare di gettarti nella mischia d’impulso, senza riflettere. Questo sarebbe molto gradito» concluse Pepper.

«Ovviamente» concordò. Incurvò le labbra in un sorrisetto irriverente. «Non per vantarmi, ma sono diventato molto più giudizioso adesso, sai? L’unica cosa ribelle che faccio è mettere in attesa il segretario Ross quando mi telefona».

Lei scoppiò a ridere e gli rifilò un pizzicotto sul fianco. Tony la guardò con un luccichio impertinente negli occhi, ridendo con lei, e infine posò le labbra sulle sue.

Negli ultimi mesi aveva decisamente toccato il fondo. Era scivolato negli abissi più cupi del suo animo tormentato, lasciandosi avvolgere da tenebre sempre più fitte e soffocanti. Ma stava imparando a gettarsi alle spalle tutto quel dolore per tornare a guardare la luce davanti a sé, lontana eppure, d’un tratto, molto più vicina. La strada era ancora lunga e faticosa, ora però aveva una solida motivazione e un valido sostegno per ricominciare a percorrerla a testa alta, passo dopo passo.

 
“Now I'm alive and the ghosts are gone
I've shed all the pain, I've been holding on
What don't kill a heart only makes it strong
 
Sometimes we don't learn from our mistakes
And sometimes we've no choice but to walk away, away”

The end where I begin – The Script
 
 


Note:
[1] Mi sono presa una licenza poetica per quanto riguarda il discorso R.I.M.B.A, discostandomi un po’ da quanto detto in Spider-Man: Far From Home: a questo punto degli eventi e con l’evoluzione che Tony ha raggiunto, trovo davvero inverosimile che si sia appropriato di un’invenzione non sua. Preferisco pensare che abbia sviluppato il progetto da solo e che Beck lo abbia assistito sulle questioni “biologiche”, dal momento che Tony non ha queste competenze per sua stessa ammissione.

[2] Riferimento ad Iron Man 2: si tratta dell’udienza a Washington, durante la quale Tony viene invitato a consegnare l’armatura agli Stati Uniti.

[3] Doppio riferimento: il primo è al costume di Peter che, come si vede in Homecoming, dispone effettivamente del riscaldamento. Il secondo, invece, è una citazione diretta di Tony ripresa da Iron Man 3.




Ciao a tutti! Eccomi con il sesto capitolo, forse il più denso di contenuti e riflessioni di tutta la raccolta: mi scuso se il risultato finale è un po’ pesante, giuro che ho tagliato il più possibile e cercato di toccare i nodi cruciali nel modo più sintetico che ho trovato!
 
Questo capitolo si svolge poco dopo i fatti di Civil War: è, a tutti gli effetti, una pietra miliare sia per trarre le somme di ciò che è accaduto fino a questo momento, sia per porre le basi per ciò che avverrà in futuro. Il punto di vista è quello di Tony, che si ritrova ad analizzare tutto ciò che è successo, a partire da Ultron, per poi passare agli accordi e terminare con la Siberia. Le sue considerazioni sono sì il frutto di una metabolizzazione, ma sono ancora molto fresche: per questo motivo ho scelto di rendere più radicali i suoi pensieri in merito a Bucky e a Steve, oltre al fatto che, per lui, giustificarsi sempre e comunque è forse ciò che gli riesce meglio.
 
Ho inoltre approfondito la questione della rottura con Pepper, anticipata nello scorso capitolo: si scopre che è stata Pepper a chiedere la pausa, non tanto per l’evidente autolesionismo di Tony, sicuramente importante, quanto per la necessità di capire se sia davvero disposta a stare al fianco di una persona che non è mai capace di fermarsi. Il momento che ho deciso di rappresentare è proprio il loro ricongiungimento: vedendo i film mi sono spesso chiesta come fossero tornati insieme, e questa è la spiegazione che ho provato a darmi.

Piccola precisazione sul dialogo: ho provato a cimentarmi con le “battute sovrapposte”, che nei film di Iron Man erano decisamente ricorrenti nei dialoghi tra Tony e Pepper.

Dedico, infine, questo capitolo a Futeki ♥, a cui va il merito di avermi fatto scoprire la meravigliosa canzone che fa da cornice a questa shot e che mi ha ispirata nella scelta di associare una canzone ad ogni capitolo, condividendone il titolo. Se non fosse stato per tutte le storie stupende che hai scritto e che mi hanno accompagnato nel cupo lockdown dello scorso anno, sono certa che non sarei mai riuscita a produrre qualcosa di mio e per questo ti ringrazio di cuore ♥

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander



 

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Capitolo 7
*** Shades of Gray – A Stark Contrast ***


 
From Dusk Till Dawn

 
 
A Miyuki chan,
per ogni istante di spensieratezza


 
Capitolo 7
Shades of Gray – A Stark Contrast

 
Contesto: Spider-Man – Homecoming


“When the world and I were young, just yesterday
Life was such a simple game a child could play
 
It was easy then to tell right from wrong
Easy then to tell weak from strong”


 
Le dita scorrevano agili e veloci sulla tastiera, digitando lunghe scie di parole. Pepper non staccava lo sguardo dallo schermo del pc, concentrata sulle frasi che via via apparivano, disposte in paragrafi ordinati. Continuò a digitare con disinvoltura un concetto dietro l’altro, cancellando di tanto in tanto qualche vocabolo qua e là per sostituirlo con uno più incisivo. Infine, strinse le mani davanti al petto e rilesse il testo che aveva appena terminato di scrivere, annuendo soddisfatta tra sé: quel discorso avrebbe senz’altro sortito l’effetto sperato alla conferenza della settimana successiva.

Si appoggiò allo schienale del divano, flettendo le braccia e rilassando il collo. Quel pomeriggio aveva deciso di lavorare da casa, godendosi l’atmosfera tranquilla e confortevole del salotto, così diversa dal caos frenetico dell’ufficio a cui era ormai abituata. Prima di uscire, Tony le aveva detto che quel giorno non avrebbe fatto tardi: in mattinata aveva alcune faccende da sbrigare al Complesso, ma niente di particolarmente impegnativo; poi avrebbe passato un po’ di tempo con Rhodey, per verificare che la nuova versione dell’armatura di War Machine che aveva appena finito di realizzare – a prova di tutore, l’aveva bonariamente definita – funzionasse correttamente e per considerare eventuali miglioramenti da apportare. A suo dire non ci avrebbe impiegato molto e prevedeva di rientrare presto: avrebbero potuto così trascorrere un po’di tempo insieme e rilassarsi a dovere. Pepper aveva allora pensato di aspettarlo a casa, approfittandone per portarsi avanti con alcuni lavoretti che in ufficio finiva puntualmente per trascurare.

Inspirò a fondo, assaporando il silenzio e la tranquillità inusuali in cui era immersa. La luce del sole filtrava dalle finestre aperte, inondando il salotto di un caldo bagliore dorato. Pepper inclinò appena la testa e fece scivolare lo sguardo lungo la stanza, osservando assorta il modo in cui la luce rischiarava le superfici.

Lei e Tony erano tornati a vivere in quella casa nella periferia newyorkese poco dopo aver deciso di riprendere la loro relazione [1]. Inizialmente, non ne era stata molto felice: temeva che le vecchie ombre, che negli ultimi mesi prima della separazione avevano caratterizzato sempre più la loro convivenza in quel luogo, si sarebbero rifatte vive, offuscando tutti i buoni propositi che si erano imposti per far ripartire il loro rapporto. Era una paura infantile, se ne rendeva conto, eppure non aveva potuto fare a meno di sentirsi un po’ inquieta al pensiero. Aveva presto finito per ricredersi: le cose avevano davvero ripreso a funzionare tra di loro, senza particolari intoppi; quelle mura erano tornate spettatrici di risate spensierate, di sguardi complici e vivaci battibecchi.

Eppure, nonostante stessero vivendo un periodo sereno, Pepper sapeva che era presto per cantar vittoria, che diversi ostacoli erano ancora ben presenti lungo la loro strada e che lasciarseli alle spalle avrebbe richiesto tempo e impegno in abbondanza. La Siberia e lo scontro con Captain America rappresentavano tutt’ora un nervo scoperto per Tony, il quale continuava imperterrito ad arroccarsi sulla sua posizione e apparentemente non accennava a retrocedere. Ma Pepper lo conosceva ormai così bene da sapere che, nonostante le sue esternazioni categoriche, a modo suo stava reagendo a quanto accaduto e cercava di trovarvi un senso, elaborando giorno dopo giorno ogni sfumatura di brusche emozioni contrastanti. Lei gli stava accanto, solido appoggio in un mare in tempesta, ascoltandolo quando aveva bisogno di parlare e offrendogli un silenzio confortante quando le parole erano di troppo. Tutto questo non le pesava, anzi: era felice di averlo ritrovato e di poter di nuovo condividere gioie e dolori con lui; era convinta di aver fatto la scelta giusta, malgrado le difficoltà che avrebbero sempre costellato la loro relazione. Ora era davvero pronta ad impegnarsi per far funzionare le cose, a non darsi per vinta di fronte alle difficoltà. Dal canto suo, Tony aveva dimostrato di aver capito i suoi errori e di non aver intenzione di ripeterli ancora: da quando si erano riuniti, in quella grigia giornata al Complesso, non aveva più cercato di tagliarla fuori, di celarle la sua mente e le sue emozioni. Considerando i precedenti, era un enorme passo avanti.

Fece scorrere una mano tra i lunghi capelli, che portava sciolti e appena ondulati sulle spalle. Tornò a fissare lo schermo del computer, ricontrollando ancora una volta il contenuto del discorso e salvandolo nella sua cartella personale. Stava per passare al prossimo file quando pensò che poteva anche concedersi una piccola pausa: in effetti, cominciava a sentire il bisogno di bere qualcosa. Si tolse il pc dal grembo e lo appoggiò con cura sul tavolino di fronte, poi si alzò e si diresse in cucina con l’intento di prepararsi una corroborante tazza di caffè.

Fece ritorno in salotto pochi minuti dopo, la tazza fumante ben stretta tra le mani, e si risedette sul divano con un sospiro soddisfatto. Cominciò a sorseggiare il liquido bollente, soffiando appena sulla superficie, mentre con una mano afferrava il telecomando e accendeva la tv. Spezzoni di documentari e di telefilm scorsero sotto i suoi occhi mentre passava distrattamente da un canale all’altro, senza la reale intenzione di guardare qualcosa, quando incappò in un’edizione straordinaria di un telegiornale locale. Corrugò appena la fronte, osservando le immagini di uno Staten Island Ferry tranciato a metà e sul punto di affondare, tra le urla dei malcapitati passeggeri; una piccola scritta posta in un angolo dello schermo indicava che stavano trasmettendo in diretta. Pepper non poté fare a meno di pensare che quelle stranezze e quegli incidenti, così atipici in passato, stessero iniziando a diventare piuttosto ricorrenti e che bisognava avere un’abbondante dose di fortuna per riuscire ad evitarli. Proprio mentre ricordava quali pericoli aveva corso lei negli scorsi anni – e per colpa di qualcuno con evidenti manie di protagonismo e scarsa consideratezza – vide Iron Man comparire sullo schermo, intento a riunire i lembi squarciati del traghetto e a saldarli in unico pezzo. Dietro di lui, Spider-Man si lanciava da una ragnatela all’altra, provando inutilmente ad inseguirlo. Pepper sorrise tra sé e scosse la testa, divertita: a quanto pare, il giovane Parker ne aveva combinata un’altra delle sue.

Negli ultimi tempi Tony le aveva spesso parlato di lui, raccontandole come qualche mese prima avesse conosciuto quell’allegro ragazzino del Queens, così giovane eppure con un potenziale davvero promettente. Le aveva spiegato di averlo coinvolto nella faida tra gli Avengers e di averlo fatto combattere al suo fianco a Lipsia, consegnandogli inoltre una versione nuova di zecca e super accessoriata del suo costume. Per Pepper era stato inevitabile rendersi conto di quanto Peter dovesse averlo colpito: prima di allora, Tony non aveva mai investito il suo prezioso tempo e il suo ingegno per realizzare un costume destinato a qualcun altro, men che meno si era messo a regalare a destra e a manca i suoi costosissimi prodotti – ad eccezione di Rhodey che, beh, l’armatura se l’era presa con la forza e si era poi fermamente rifiutato di restituirla.

Ben inteso, Tony non aveva donato quel costume a cuor leggero: consapevole di star mettendo una bomba nelle mani di un quattordicenne, prima di consegnarlo a Peter aveva saggiamente preso degli accorgimenti, dotando il costume di una serie di protocolli; così facendo, sperava di impedirgli di mettersi deliberatamente in pericolo. Quando Pepper aveva fatto una leggera ironia sulla questione, sostenendo di trovare davvero singolare questo suo eccesso di zelo, lui aveva ribattuto spiccio di non volere altri pesi sulla coscienza. Aveva poi aggiunto con tono più conciliante di credere nel potenziale di Peter e di aver semplicemente deciso di dargli ciò di cui aveva proprio bisogno, ovvero una piccola spintarella: voleva che Peter muovesse i propri passi da solo, imparando a conoscere le proprie capacità e i propri limiti, mentre lui osservava i suoi progressi da lontano e gli lasciava il giusto spazio. Pepper sapeva che quel particolare rapporto che aveva instaurato con il ragazzo lo stava portando a fare sempre più spesso paragoni con il legame che era esistito tra lui e suo padre: per lei era facile immaginare che Tony non intendesse affatto comportarsi come Howard, il quale non lo aveva mai sostenuto nella sua sfilza di brillanti successi, nonostante lui avesse cercato in ogni modo di attirare la sua attenzione. Ma al tempo stesso, non voleva nemmeno diventare l’ombra di Peter.

Pepper inclinò lievemente la testa, scrutando con più attenzione Tony attraverso lo schermo. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso saputo: era sempre più evidente come lui rivedesse in Peter se stesso e come volesse impedirgli di compiere i suoi stessi sbagli, nella speranza di renderlo, così, una persona migliore. Beh, a giudicare da quanto vedeva in tv, con Iron Man che saldava sbrigativo il traghetto e Spider-Man che gli arrancava dietro, impotente, non doveva esserci riuscito molto bene.

Sbuffò una risata nel realizzare come, puntualmente, ogni piano ideato da Tony Stark finisse per rivoltarglisi contro. Altro che rientrare presto e trascorrere del tempo insieme: considerando tutto il trambusto, sicuramente non se la sarebbe cavata tanto in fretta. Il suo sorriso si incrinò appena, avvertendo i loro piani sfumare nel nulla per l’ennesima volta; ma subito dopo scosse la testa con vigore, ritrovando il buonumore: Tony si stava finalmente assumendo delle responsabilità, dedicando la sua attenzione a qualcun altro che non fosse lei o se stesso. Peter era uno dei pochi aspetti positivi che la guerra tra gli Avengers aveva comportato, trascorrere del tempo con lui gli avrebbe fatto senz’altro bene. Si augurò che non fosse troppo severo, nella ramanzina che avrebbe senza dubbio seguito i fatti di quel pomeriggio.

Spense la tv e riportò lo sguardo sul pc, abbandonato sul tavolino. Sapeva di dover continuare il lavoro in sospeso, portandolo possibilmente a termine, eppure in quel momento non aveva per niente voglia di rimettersi a visionare complicati file o ad analizzare statistiche di mercato. Si sentiva così tranquilla e rilassata, immersa in quell’atmosfera confortevole, da non voler smorzare quello stato d’animo in alcun modo. All’improvviso le attraversò la mente il pensiero di prendersi il resto del pomeriggio per sé: dopotutto, anche l’Amministratore Delegato delle Stark Industries aveva diritto a un po’ di riposo… no? La sua convinzione vacillò appena, mentre percepiva il lato più intransigente della sua coscienza pressarla affinché si rimettesse subito al lavoro. Dopo qualche attimo di strenua lotta mentale, la voglia di relax ebbe la meglio: in fondo, quando era tornata con Tony si era imposta di non farsi più assorbire totalmente dal lavoro, e di imparare a ritagliarsi del tempo per sé e per lui. Abbassò con uno scatto lo schermo del pc e si alzò, improvvisamente convinta, poi attraversò la stanza diretta alla libreria ben rifornita che sostava sul lato opposto. Scorse velocemente i titoli, indecisa su cosa scegliere, poi la sua attenzione venne catturata da un libro che aveva iniziato molto tempo prima, senza peraltro riuscire a finirlo né a continuarlo, per ovvia mancanza di tempo. Lo prese in mano e ne accarezzò lievemente la copertina, poi si voltò e tornò indietro; riprese posto sul divano, raccogliendo le gambe e assumendo una posa più rilassata. Iniziò a leggere con calma, gustandosi ogni pagina con ritrovato piacere e immergendosi sempre di più nella lettura, perdendo la concezione del tempo.

 
“It was easy then to tell truth from lies
Selling out from compromise
Who to love and who to hate
The foolish from the wise”
 

«Signorina Potts, il signor Stark è rientrato».

La voce robotica di FRIDAY infranse bruscamente il silenzio, interrompendo la sua lettura nel bel mezzo di un capitolo piuttosto interessante. Pepper sbatté un paio di volte le palpebre, recuperando a poco a poco il contatto con la realtà. Si accorse di essersi quasi distesa e si raddrizzò, assumendo una posizione più eretta, poi si sporse in avanti e premette un pulsante su un piccolo congegno posato sul tavolino: le immagini della videosorveglianza apparvero all’istante sottoforma di ologramma, mostrandole i vari punti della casa. Pepper puntò lo sguardo sul laboratorio e individuò Tony proprio nell’attimo in cui usciva con uno scatto dall’armatura, per poi cominciare a spostarsi lungo la stanza; sebbene la sua espressione apparisse imperturbabile, o almeno così le sembrava per quello che le immagini le permettevano di vedere, notò che i suoi movimenti erano un po’ troppo secchi, come se fosse… innervosito. Ne ebbe la conferma quando lo vide posare con stizza una valigetta su uno scaffale, con decisamente poca delicatezza per quella che era, senza alcun dubbio, una sua creazione. Pepper sospirò appena, osservandolo riprendere a muoversi per la stanza: doveva essere andata addirittura peggio del previsto. Pochi istanti dopo, Tony uscì dal laboratorio e lei immaginò che l’avrebbe raggiunta nel giro di quaranta secondi, o forse venti, a giudicare dal passo sostenuto.

Spense l’ologramma e si preparò mentalmente all’inevitabile confronto. Diede una veloce occhiata alla stanza, accorgendosi solo in quel momento di come il salotto fosse quasi in ombra: la luce calante filtrava appena dalle finestre, allungandosi in strisce sottili sul pavimento e rischiarando la stanza di un tenue barlume aranciato; doveva essere il tramonto. Non fece nemmeno in tempo a rendersi conto di quanto tempo avesse passato a leggere, che la porta si aprì con forza. Tony si precipitò all’interno, il volto livido. Pepper si inumidì le labbra e lo scrutò con attenzione, stringendo appena le palpebre.

«Ehi, bentornato» lo salutò con voce allegra. «Tutto ok?» chiese poi, tastando il terreno.

Sentendo la sua voce, Tony si voltò a guardarla; sembrava che nemmeno si fosse accorto della sua presenza, a giudicare dallo sguardo stralunato che le rivolse. «Sì. Anzi no, direi proprio di no» rispose concitato, confermando i suoi sospetti. «A proposito, scusa il ritardo ma non hai idea di quello che è successo oggi pomeriggio» aggiunse poi, dirigendosi a passo spedito verso il mobile bar e versandosi un bicchiere di liquore. Pessimo segnale.

Pepper lo seguì con lo sguardo. «A dire il vero, un po’ ce l’ho» replicò. Tony sollevò gli occhi e la guardò, perplesso. Lei si strinse nelle spalle, abbozzando un sorriso. «Ho visto le immagini dell’incidente in tv, poco fa» buttò lì, a mo’ di spiegazione.

Tony annuì distrattamente, mentre afferrava con decisione il bicchiere e si appoggiava al mobile dietro di sé. Osservò il liquido ambrato per qualche istante, poi sbuffò seccato. «Quel ragazzino è un pericolo pubblico, altro che supereroe» esordì, sarcastico. «Lo sai cosa ha fatto? Ha staccato il localizzatore dal costume per impedirmi di sapere dove fosse e cosa stesse facendo. Ha bypassato il Protocollo Triciclo senza farsi alcuno scrupolo. Ci sarà un motivo se l’ho chiamato in quel modo, no? Mi sembra evidente!» esclamò, perdendo definitivamente la calma.

Pepper sollevò le sopracciglia, divertita. «Che coraggio» commentò.

Tony non diede segno di averla sentita, preso com’era a dar sfogo alla sua irritazione. «Come se poi potesse davvero riuscire a farmela. A me! Non sono certo il primo tontolone che passa per strada» sentenziò, profondamente risentito.

Pepper non riuscì a trattenere un sorriso, nell’osservare il suo palese sdegno. A quanto pareva, pensò, aveva trovato qualcuno in grado di dargli parecchio filo da torcere. «No, non direi» lo assecondò, conciliante.

«E pensare che lo avevo persino chiamato per complimentarmi per Washington!» rincarò Tony, indispettito. Scosse la testa, imbronciandosi appena. «Questi ragazzini d’oggi…» mormorò.

Lei non fece commenti, limitandosi a scrutarlo più a fondo: il fatto che avesse deciso di chiamare personalmente Peter, anziché sbolognare il tutto ad Happy come spesso faceva in tante altre circostanze, era l’ennesima dimostrazione di quanto tenesse a lui.

Tony bevve qualche sorso, cercando di calmarsi e di riprendere il controllo. «Gli avevo detto di starne fuori» proseguì dopo qualche istante con voce grave. «Gli avevo detto di lasciare questa faccenda a persone più qualificate. Ma no, lui deve sempre fare di testa sua! È un miracolo che nessuno ci abbia rimesso la pelle».

Pepper annuì, improvvisamente seria. Quell’incidente poteva avere conseguenze molto più drammatiche. «Sì, per fortuna è andato tutto bene» concordò. Poi inclinò appena la testa, osservandolo con un luccichio birichino negli occhi. «Comunque, tu non ti sei comportato tanto diversamente quando hai iniziato a vestire i panni Iron Man. Se non hai causato troppi danni è stato solo grazie al tuo intelletto fuori dal comune, oltre ad una buona dose di fortuna» puntualizzò, sorniona.

Tony sollevò il mento, indispettito. «Questo non c’entra, non– si può sapere da che parte stai?» sbottò, lanciandole un’occhiata accusatoria.

Pepper fece spallucce. «Dalla tua, ovviamente. Stavo solo cercando di essere obbiettiva» proferì, con tono ragionevole.

«Sì beh, non è questo il punto» replicò lui sbrigativo, per poi bere un rapido sorso. «Pensavo che avesse più giudizio, che avesse capito come muoversi, e invece non è così. Mi ha davvero deluso» aggiunse, aggrottando le sopracciglia con evidente risentimento. Per qualche istante non disse nulla, perso nei suoi pensieri, e infine scrollò le spalle. «Ad ogni modo, ora ha finito di fare il fenomeno della situazione. Mi sono fatto riconsegnare il costume» annunciò, soddisfatto.

Pepper fece schioccare la lingua, sospirando. Avrebbe dovuto immaginarlo. «Oh, Tony… era proprio necessario?».

«Certo che lo è!» replicò lui con enfasi, facendo ondeggiare pericolosamente il liquido nel bicchiere. «Per quel che mi riguarda, con il suo comportamento sconsiderato si è giocato la possibilità di essere un supereroe. Quel ragazzino ha chiuso con me» stabilì con un gesto secco della mano.

Pepper restò in silenzio per qualche secondo, scegliendo con cura le parole. «Io credo che tu sia un po’ troppo duro con lui» esordì, calma. «È vero, ha sbagliato e merita una punizione, ma le sue intenzioni erano buone. Non è questo ciò che conta, dopotutto?».

Tony scosse la testa con vigore. «Non quando metti deliberatamente a rischio la vita delle persone, senza peraltro avere le capacità necessarie per far fronte alla situazione. Cos’è, lo difendi adesso?» le chiese, assottigliando le palpebre con sospetto.

«No. Non sto dicendo che abbia fatto bene a comportarsi così. È giusto che si prenda le sue responsabilità» chiarì lei, con tono fermo. «Ma al tempo stesso, penso che non vada totalmente colpevolizzato».

Tony incurvò le labbra in un ghigno divertito. «Mi permetto di dissentire» replicò, vagamente canzonatorio.

«Stammi a sentire, per una buona volta» lo zittì lei, spiccia. «Il fatto è che tu tendi a vedere tutto in bianco o nero, giusto o sbagliato. E invece non funziona così, ci sono tante sfumature di grigio nel mezzo, da tenere in considerazione» proferì, ragionevole.

Lui inarcò un sopracciglio, perplesso. «Beh, io credo che in questo caso ci sia ben poco grigio, se posso dirlo» affermò. «Si tratta di essere realistici: il ragazzo ha appena dimostrato di non meritare il costume. È oggettivo, non ti sembra?» concluse, allargando le braccia con enfasi davanti a sé.

Pepper si inumidì le labbra, riflettendo sulle sue parole. «Sì e no» rispose infine. «Quello che sto cercando di dire è che ciò di cui Peter ha bisogno non è un castigo a vita, ma di avere qualcuno che lo segua, qualcuno con capacità più affinate delle sue e con una buona dose di esperienza sulle spalle. Una guida, in poche parole. Che tenga a lui e che lo incoraggi. In fondo, ha ancora così tanto da imparare» concluse, stringendosi nelle spalle.

Tony si grattò il mento, fingendosi pensieroso. «Fammi capire… quella guida dovrei essere io?» ipotizzò, sprezzante.

Pepper non si fece intimidire dal suo evidente sarcasmo. «Beh, mi sembri la persona più adatta» affermò, asciutta.

Lui alzò gli occhi al cielo, trattenendo uno sbuffo incredulo. «Io non ho tempo per queste cose» puntualizzò.

Pepper gli rivolse un’occhiata biasimevole. «Tony, certo che ne hai. E non ti costerebbe nulla, anzi» rincarò.

In risposta, Tony finì l’ultimo sorso e appoggiò il bicchiere sul mobile con un gesto secco, poi incrociò le braccia al petto. «Senti, non ho alcuna intenzione di fare da balia a un ragazzino ribelle. Fine del discorso» chiarì, categorico.

«Non si tratta di fare la balia. Tutto questo potrebbe avere risvolti interessanti anche per te» sostenne lei. Non riusciva davvero a credere che lui non lo capisse: era così ottuso, a volte.

«Beh, ti ringrazio per la gentile offerta, ma rifiuto con piacere» ribatté Tony, con ritrovata ironia. «Ho ben altro a cui pensare» aggiunse poi, scrollando le spalle.

Pepper sospirò, esasperata. «Stai commettendo un errore e te ne renderai conto. Peter è un bravo ragazzo, in fondo, con dei sani principi» osservò.

Lui annuì appena, fissando assorto il pavimento. «Certo. Ma al momento questa è la mia decisione» ribadì. Poi incontrò il suo sguardo scettico e fece schioccare la lingua. «Ci penserò su, ok? Ma ora non chiedermi di più».

Pepper si aprì in un sorriso soddisfatto: poteva anche concludere l’assalto, per il momento. «Va bene» concesse. «Dagli tempo e un’altra possibilità: vedrai che non ti deluderà» proferì infine.

«Sì, d’accordo». Tony liquidò la faccenda con un cenno della mano. Poi le rivolse un’occhiata maliziosa, improvvisamente dimentico della discussione. «Ora… possiamo, finalmente, venire a noi? Mi era sembrato che avessimo una serata in sospeso» ammiccò, muovendo qualche passo verso di lei.

Pepper sollevò le sopracciglia, puntando lo sguardo oltre la finestra: il cielo si stava scurendo sempre di più. «Sì beh, più che serata, ormai la definirei nottata» constatò, critica.

Ma una sonora risata le sfuggì dalle labbra quando lui se la caricò improvvisamente sulle spalle, per poi prendere ad incamminarsi in direzione della camera da letto.


***


«…vi dico che è andata così. Il ragazzo è intervenuto ed ha impedito a quella banda di pazzi di rubare l’aereo». Happy parlava con tono concitato, ancora incredulo per quanto accaduto. Si era precipitato a casa loro non appena terminato il sopralluogo sulla scena del disastro, per metterli tempestivamente al corrente della situazione. «Se non lo avesse fatto, avremmo di certo perso il carico» concluse, grave.

Pepper si passò una mano tra i capelli scompigliati, lasciandosi cadere sul divano. «Oh mio Dio…» gemette, sconvolta.

Tony le rivolse un’occhiata veloce, prima di guardare Happy con espressione accigliata. «Happy, non dovevi assicurarti che filasse tutto liscio? Eri tu il responsabile del trasloco!» puntualizzò, allargando le braccia con enfasi.

«Sì, ma nessuno aveva parlato di tentativi di sabotaggio con armi e dispositivi alieni!» si difese lui, energico. «Ad ogni modo, il ragazzo ci ha salvati, è evidente. La cosa più strabiliante è che ci sia riuscito senza nemmeno utilizzare il costume accessoriato» aggiunse, sinceramente stupito. 

Pepper incrociò lo sguardo di Tony e gli rivolse un sorrisino saputo. «Che ti avevo detto? È in gamba!» affermò, entusiasta.

Tony alzò le mani, ammettendo controvoglia la sconfitta. «Ok va bene, hai vinto. Non c’è bisogno di infierire» precisò con tono piccato, ma stava visibilmente trattenendo un sorriso soddisfatto. Pepper sapeva che, nonostante le sue dichiarazioni perentorie, dopo l’incidente del traghetto aveva continuato a lavorare al costume di Peter, creandone una versione nuova fiammante. Sospettava che fosse anche decisamente più sicura, a prova di sabotaggio.

«D’accordo,» riprese Tony «direi che è il momento di fare due chiacchiere con il ragazzo. E di rivedere alcune decisioni» annunciò. Si grattò per qualche istante la tempia, meditabondo, prima di metterli al corrente delle sue intenzioni. «Ok, questo è il piano: tu, Happy, ti occuperai di andare a prenderlo e di portarlo al quartier generale. Ma non dargli troppe informazioni, intesi? Lasciamolo sulle spine. Mentre tu, tesoro,» proseguì, voltandosi nella sua direzione «potresti organizzare la conferenza stampa? Mi sento in vena di grandi annunci».

Pepper sorrise, deliziata. «Ma certo. Domani informerò i giornali» garantì.

Happy guardò Tony a bocca aperta. «Intende dire che gli permetterà di fare parte della squadra?» chiese, del tutto incredulo.

«Beh, perché no?» fece spallucce lui. «Dopotutto, si è liberato un bel po’di spazio al Complesso, di recente. È arrivato il momento di rimpiazzare un certo vecchietto sovversivo».
 

 
“It was easy then to know what was fair
When to keep and when to share

But today, there is no day or night
Today, there is no dark or light
Today, there is no black or white
Only shades of gray”

Shades of Gray – Monkees
 




Note:
[1] Si tratta della stessa casa in cui ho ambientato il quinto capitolo.



Ciao a tutti! Rieccomi con il settimo capitolo, ci stiamo poco a poco avvicinando alla conclusione di questa raccolta.

Dunque, come avrete capito il capitolo si svolge immediatamente dopo la discussione tra Tony e Peter in Homecoming, scena che ho particolarmente amato: nel film ci viene mostrato chiaramente il punto di vista di Peter e la piega che prende la sua vita in seguito a questo evento; io ho invece provato ad immaginare cosa sia successo “lato Tony”: mi sono divertiva molto a descriverlo mentre è su di giri per via delle sue beghe con un quindicenne e si sfoga con quella santa donna di Pepper. Il punto di vista è proprio di quest’ultima: mi sono soffermata su ciò che lei pensa a proposito di Tony, della loro relazione e del suo rapporto con Peter.

Si tratta di un capitolo sereno, scanzonato, in cui appunto un Tony un po’ schizzato si lamenta di Peter, con Pepper che cerca di mediare. Tony Stark per me rappresenta molto bene la classica persona che vede tutto in bianco o nero, buono o cattivo; a maggior ragione, trovo verosimile che lui sia così drastico nella sua visione delle cose quando è infuriato o su di giri come in questo caso. Pepper invece è molto più comprensiva e ragionevole, e prova a fargli capire che, se Peter venisse seguito da qualcuno con più esperienza, potrebbe benissimo fare grandi cose. Ho quindi cercato di collegare il tutto per spiegare come Tony alla fine di Homecoming se ne esca con la sua considerazione sul “giusto mentore”.

La scena finale non era prevista, inizialmente: il capitolo doveva concludersi con la battuta di Pepper sulla serata che è diventata nottata. Ma poi ho finito di scrivere quel dialogo e la parte finale si è praticamente scritta da sola; ne ho approfittato allora per chiudere il cerchio, raccontando anche il momento in cui Tony decide di includere Peter nella squadra. E poi beh, più Happy più party.

Un’ultima precisazione sulla seconda parte del titolo, “A Stark Contrast”: si tratta del titolo di un brano della colonna sonora di Spider-Man: Homecoming composta da Michael Gioacchino. H deciso di aggiungerlo al titolo del capitolo perché a mio parere rende molto bene l’idea di uno scontro tra membri della stessa famiglia, tra due Stark, appunto. Mi piaceva sottolineare come, già in questa fase, Tony consideri Peter il suo figlioccio e come Peter veda in Tony una figura paterna a tutti gli effetti.

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander


 
 

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Capitolo 8
*** Losing Control ***


 
From Dusk Till Dawn


 
Ad Amy Tennant,
per il suo modo unico di raccontare
 

Capitolo 8
Losing Control
 
 
Contesto: The Avengers – Infinity War
 

 
“I feel a change in the atmosphere
I never thought I'd end up back here
Divided, alone, afraid
In a breath my chains reappear”
 
 
L’impatto contro il suolo è secco, destabilizzante. Ne percepisce chiaramente il rimbombo dentro di sé, mentre il fianco cozza contro il terreno e le sue mani di colpo stringono l’aria. Annaspa, sconcertato, cercando di incamerare a forza ossigeno nei polmoni. Il respiro gli si è incastrato da qualche parte in fondo alla gola, lasciandolo senza fiato.

Il palmo sinistro si scontra con la superficie ruvida, arrestando la sua caduta. Lo solleva, lo osserva incredulo. Le dita sono interamente ricoperte di polvere. Se di terra o resti umani, non sa dirlo. Ha importanza? No. Non cambia ciò che è appena successo. Serra il pugno con forza, sente la bile invadergli il palato. Inspira bruscamente. Si raddrizza, siede stringendosi le mani in grembo. Il tormento che gli logora il cuore e lo stomaco non accenna a placarsi.

Il ragazzo non c’è più. Si è dissolto nel nulla. Cenere nell’aria sospinta dal vento. Ciò che prima grondava vita da ogni poro ora non è altro che pulviscolo inerte. Niente più sprazzi di entusiasmo irrefrenabile, niente più “Signor Stark”, niente più citazioni di film discutibili, niente niente niente.

Una fitta gli attraversa il petto, implacabile. Boccheggia, cercando di resistere a un dolore che si propaga a dismisura, che sperava di non dover mai provare. Non è pronto, non lo è mai stato. Non aveva considerato di sopravvivere a Peter, di assistere impotente alla sua distruzione. Si era prefissato di salvarlo, a qualunque costo. Era disposto a sacrificarsi, pur di saperlo vivo e incolume; lo aveva stabilito tra sé quando aveva accettato a malincuore la sua presenza sull’astronave. E invece ha fallito. Inesorabilmente. Di nuovo.

A nulla sono valsi i suoi tentativi di tenerlo al sicuro. Che senso ha avuto fargli le ramanzine, predicare la prudenza? Che senso ha avuto costruirgli un costume intuitivo, a prova di pericolo? Che senso ha avuto cercare di proteggerlo ad ogni costo? Niente di tutto questo è servito. È stato tutto inutile. Peter non c’è più, si è sbriciolato davanti ai suoi occhi. Non lo ha salvato.

Il peso del fallimento grava sulle sue spalle curve, le stesse spalle che, solo una manciata di minuti fa, braccia avide di vita hanno artigliato con disperazione. Non voglio morire, non voglio morire. Le ultime parole del ragazzo rimbombano incessanti nella sua mente provata, come spilli acuminati che affondano e tormentano senza tregua. Ansima, si stringe il petto con una mano. Scuote la testa, non riesce a trovare pace. La sconfitta non hai mai avuto un sapore così amaro.
 

 
“Just another thorn in my side
I try again and fail
I seal my fate, it's almost too late
I try to hold on, but it's slipping, slipping away”

 
L’aria di Titano è pesante e acre, densa di polvere, fumo e frammenti di roccia. Detriti senza tempo ricoprono la superficie di quel pianeta maledetto, dimenticato. Il sole scivola piano lungo l’orizzonte, tingendo il cielo di un vivido rosso sangue che ferisce lo sguardo. Sente distrattamente l’aliena blu parlare, da qualche parte dietro di lui. Non l’ascolta. Porta le mani al viso e serra gli occhi. Si affanna a trovare un appiglio in quel mare di dolore che avvolge e non lascia scampo. Sta perdendo il controllo.

Pepper.

Il suo nome lampeggia di colpo nella mente, un faro di luce nel caos di lucida follia in cui precipita sempre di più. Accarezza con il pensiero ogni lettera, si aggrappa con tutte le sue forze a quel ricordo dolce e confortante. Si chiede se stia bene, se sia al sicuro, se sia ancora viva. L’ansia si insinua di colpo nel suo animo ammaccato e dolente, si propaga inesorabile fino a raggiungere il cuore. Sente la terra mancare sotto di sé, la sua bocca si spalanca in un grido muto carico di orrore. Non può averla persa. Non può avere perso anche lei.

Si passa le mani sul viso sporco di sangue e sudore. Cerca di tenere a freno il terrore gelido e pungente che gli occlude la gola. Il solo pensiero di Pepper che si sgretola e svanisce in una nube di polvere è insostenibile, intollerabile, come sale su una ferita aperta. Non può accettarlo. È dolore che si aggiunge ad altro dolore, è precipitare nel baratro senza alcuna speranza di risalire. Niente ha più senso se lei non c’è più. Un ansito spezzato gli sfugge dalle labbra schiuse. Ora sa che non può vivere senza di lei. Non può. È qualcosa di inconcepibile, non può sopportarlo, lo sa. Le mani gli tremano senza sosta, il suo stesso mondo sta già iniziando a sfaldarsi, non ce la fa, non può, non ce la fa, non–               

Respira.

Si costringe ad inspirare a fondo, tenta di calmarsi. Non è il momento di crogiolarsi nella disperazione. Deve assicurarsi che Pepper sia sana e salva. Deve vederla con i propri occhi e sentire la sua pelle calda sotto le dita. Basta gingillarsi, basta frignare. Deve tornare a casa. Fa leva sulle ginocchia e si alza, barcollando appena. Una fitta lancinante gli attraversa il lato sinistro dell’addome, la vista si annebbia per qualche istante. Porta la mano a sfiorare appena lo squarcio rattoppato che Thanos gli ha inferto, segno indelebile di una battaglia che lo ha visto soccombere. Ancora.

Contrae la mascella, china il viso. Stringe le nocche fino a farle sbiancare. Le immagini dello scontro gli affollano la mente, come spiriti irriverenti che si divertono a perseguitarlo. Una rabbia accecante gli serpeggia nelle vene e brucia il suo orgoglio ammaccato. Anni trascorsi a costruire armature, sempre più forti, sempre più potenti, sempre più invincibili. Eppure, non è servito a nulla. Se non fosse stato per quello stregone pazzo e masochista, ora giacerebbe a terra con gli occhi riversi. E il reattore Arc? Il suo vanto, il frutto della sua rivalsa? Del tutto inutile. Nient’altro che un gingillo decorativo, dinnanzi al potere di quattro gemme dell’infinito.

Sferra un violento calcio a uno dei tanti rottami accartocciati che lo circondano. Traballa pericolosamente, per poco non cade a terra. Collera e frustrazione si dibattono senza sosta nel suo animo, vivide e incessanti. Oh, ma in fondo non è tutta colpa sua. Avrebbe potuto – dovuto – fare di più, lo sa, ma dopotutto lui è solo un uomo di latta. Nessuno avrebbe mai creduto che sarebbe riuscito a fermare Thanos da solo, ad impedirgli di prendere la gemma del tempo. Avevano bisogno di qualcosa di più forte, di più potente. E lui, di nuovo, lo sapeva, lo aveva previsto. Un’armatura a protezione del mondo. Lo aveva detto! Aveva cercato di farlo capire ai suoi ingenui compagni di squadra, ma niente. Lo avevano accusato di fare lo stesso gioco dello Shield, lui, che aveva portato un missile nucleare attraverso un portale a costo della sua stessa vita. Thor lo aveva guardato dall’alto in basso, sprezzante. E Cap, il difensore delle cause perse, aveva avuto la brillante quanto inutile idea di ribadire l’importanza di essere uniti. A sentir lui, non serviva un’armatura protettiva, nemmeno di fronte a una minaccia spropositata. Avrebbero perso insieme, se necessario [1]. Beh, dov’è Cap adesso? Dov’era, mentre lui dava tutto se stesso per battere Thanos?

Si afferra le braccia con le mani e vi affonda con forza le dita. Tenta nuovamente di calmarsi, di ritrovare la lucidità mentale. Non è questo il momento di inveire, ha ben altre priorità. Prima deve tornare a casa. Poi avrà tutto il tempo di prendersela con quei perfettini da strapazzo. Sempre che siano ancora vivi. Di colpo ripensa ai suoi amici, ai suoi compagni di squadra. Si chiede chi sia sopravvissuto, chi invece no. Rhodey, Happy, Nat,… i nomi sfilano nella sua mente uno dietro l’altro. Spera sinceramente che stiano tutti bene. Anche Rogers. Nonostante tutto.

Basta con i pensieri distruttivi. Si guarda intorno, mette a fuoco il paesaggio desolante che lo circonda. La carogna blu è seduta poco più in là, lo osserva in silenzio. Dal suo viso non traspare alcuna emozione. Poco male. Lui è su di giri a sufficienza per entrambi. Si volta ancora, studia attentamente ogni cosa. E poi la vede. La nave dei suoi improvvisati alleati è lì, arenata tra cumuli di detriti. È un po’ ammaccata, ma sembra in buone condizioni. Non è rimasta coinvolta nello scontro, non dovrebbe aver riportato danni ingenti. E comunque, può sempre ripararla.

Riporta di nuovo lo sguardo sull’aliena. «Ehi, tu. Alzati» la esorta con voce rauca. Lei obbedisce senza smettere di fissarlo. Si avvicina a lenti passi, si ferma. Lo guarda, in attesa. Le indica con un gesto secco la sagoma dell’astronave. «Vedi quella? Dobbiamo controllarla e rimetterla in sesto. È il nostro unico biglietto di ritorno» snocciola, incolore. Poi si avvia, zoppicando appena. Non si volta per vedere se lei lo stia davvero seguendo. Dopo qualche istante sente i suoi passi leggeri dietro di sé. Non se ne stupisce. Nessuno vorrebbe davvero restare bloccato su un pianeta del genere.

Punta lo sguardo sulla nave. Ad ogni falcata, sente la determinazione crescere dentro di sé, mentre un lento sorriso sghembo prende a disegnarsi sulle sue labbra. Ce la farà anche questa volta. Come sempre.

 
“And I build it all up just to watch it crash down
And I'm digging all up what I buried underground

I'm losing, I'm losing control
I'm losing control
I'm losing control
Control
Control
Control
Control”

Losing Control – Red
 
 
 

Note:
[1] Mi riferisco alla discussione che avviene tra gli Avengers in Age of Ultron, dopo che Ultron si manifesta per la prima volta e scappa dall’Avengers Tower.




Ciao a tutti! Ecco l’ottavo capitolo, forse il più particolare di tutta la raccolta. Ho provato a sperimentare un po’ e spero che il risultato finale sia apprezzabile.

Dunque, questo capitolo si colloca alla fine di Infinity War: è il diretto proseguo dell’ultima scena in cui appare Tony, che ha appena assistito alla dissoluzione di Peter e, indirettamente, alla vittoria di Thanos. È l’unico dei dieci capitoli a ricollegarsi in maniera così diretta ad una scena dei film e, proprio per questo, si differenzia in maniera netta: qui le riflessioni di Tony qui non sono lunghe e articolate, il risultato cioè di un’elaborazione a freddo, ma istantanee, discontinue, vissute a caldo in quell’esatto momento. Sono le sensazioni il vero fulcro del capitolo, siano esse esteriori (la consistenza della polvere sulle dita, il cielo rosso, il dolore al fianco,…) o interiori (il dolore per la morte di Peter, l’angoscia per Pepper, il senso di colpa,…); di fatto, guidano l’intera introspezione. Ho intenzionalmente utilizzato il presente: è forse il tempo verbale che più si presta ad una narrazione di questo tipo.

In mezzo a questo caos sfaccettato, ho comunque cercato di stabilire un filo conduttore in ciò che Tony prova: si passa dal dolore per la morte di Peter, all’angoscia per la sorte di Pepper, alla rabbia accecante nei confronti di Steve e di chi non lo ha ascoltato, alla determinazione nel trovare un modo per tornare a casa. In tutto questo, in sottofondo, vige un senso di colpa costante perché, nonostante tutto, ha fallito per l’ennesima volta.

Per la descrizione di Titano, della luce rosso sangue e del modo in cui Tony reagisce a livello di mimica facciale al pensiero che Pepper non ci sia più, ammetto di essermi ispirata all’Urlo di Munch (oltre che alle effettive ultime immagini di Titano presenti in Infinity War).

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander


 

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Capitolo 9
*** Superheroes ***


 
From Dusk Till Dawn


 
Al Leo,
per tutte le preziose consulenze a tema Marvel


 
Capitolo 9
Superheroes


Contesto: The Avengers – Endgame
 
“All the life, she has seen
All the meaner side of me
Now she’s stronger than you know
A heart of steel starts to grow"


Non sempre le cose vanno come vorremmo: a volte è inevitabile perdere qualcosa di estremamente prezioso, senza poter fare nulla per impedirlo. Eppure, la vita è comunque meravigliosa. Nonostante le avversità e la sofferenza, la vita va vissuta a pieno e celebrata con gioia. Pepper ne era profondamente convinta: davanti ad ogni difficoltà aveva sempre cercato di non farsi scoraggiare, affrontando i problemi con grinta e un sorriso sicuro sulle labbra. Lo pensava tuttora, con un futuro non più così roseo dinnanzi a sé e il peso di molte responsabilità a gravarle sulle spalle: la vita è meravigliosa.

Pepper puntò un gomito sull’elegante scrivania del suo ufficio e si passò una mano sul viso stanco, massaggiando con lentezza una tempia. Rilasciò un profondo sospiro e poi si costrinse a liberare la mente da quei pensieri ricorrenti per tornare a concentrarsi sulla relazione del nuovo progetto, stilata con cura dal dipartimento tecnico e disposta davanti a sé in fascicoli ordinati. Inclinò la testa e la scrutò con attenzione, crucciata: si stava dimostrando più difficile del previsto, e non solo perché la sua mente si ostinava a vagare altrove. Nonostante dirigesse quell’azienda da ormai diversi anni, faticava ancora a comprendere fino in fondo i procedimenti fisici e meccanici alla base delle creazioni delle Stark Industries: le occorreva la massima concentrazione e una buona dose di impegno per sviscerarne i meccanismi. Quello, osservò, era decisamente il campo di Tony: lui avrebbe impiegato solo pochi istanti per valutare i progetti e decidere se approvarli o meno. Ma Tony non c’era e l’arduo compito ora toccava inevitabilmente a lei.

Strinse le palpebre, combattiva: non aveva alcuna intenzione di farsi mettere i piedi in testa da una innocua relazione. Ci sarebbero voluti tempo e pazienza, ma alla fine ce l’avrebbe sicuramente fatta. Riprese a scorrere le pagine con attenzione, segnando con una penna rossa i punti che non la convincevano. Nel suo ufficio alle Stark Industries regnava il silenzio, rotto solo di tanto in tanto dal rumore del vento che soffiava contro l’edificio. Aveva quasi terminato la lettura quando un leggero bussare interruppe la sua concentrazione.

«Sì?» Pepper sollevò lo sguardo, mentre la porta si apriva con delicatezza e la sua segretaria faceva capolino.

«Mi scusi, signora Stark. Ho qui le schede tecniche che aveva richiesto» esordì lei, entrando nella stanza.

«Grazie, Bambi» [1]. Pepper prese i fascicoli che le porgeva e li sistemò con cura accanto alla relazione. «C’è altro?» chiese poi, accorgendosi che la donna era rimasta accanto alla scrivania.

Lei esitò, leggermente a disagio. «Sì. La lista di associazioni da finanziare tramite la Fondazione Stark è pronta, serve la sua firma per l’approvazione» proferì infine, prendendo una cartellina trasparente dai plichi che teneva tra le braccia e posandola delicatamente sul tavolo elegante.

Pepper si inumidì le labbra, intenerita dalla sua reazione. Nonostante fosse ormai passato qualche tempo dalla Battaglia contro Thanos, le persone non potevano fare a meno di muoversi con estrema cautela quando in sua presenza dovevano parlare di Tony o, come in questo caso, fare accenno a qualcosa che lo riguardava. Nei loro occhi leggeva una sincera pena e un dispiacere profondo per ciò che era accaduto, per ciò che lei e sua figlia stavano affrontando. Eppure, il loro comportamento non la infastidiva, anzi: sapere che quelle persone empatizzavano con il suo dolore al punto di sentirlo come proprio, era un’ulteriore dimostrazione di come Tony fosse riuscito a lasciare un segno tangibile nei loro cuori.

«Non c’è problema» rispose conciliante.

Aprì la cartellina e iniziò a scorrere la lunga lista di associazioni, soppesando con attenzione gli obiettivi che ciascuna di esse si era prefissata. Con la sconfitta di Thanos e il periodo di pace che ne era seguito e durava tuttora, la Fondazione Stark aveva scelto di ampliare i propri orizzonti, impegnandosi a supportare gli enti che fornivano aiuto a coloro che erano tornati dal Blip. L’elenco che teneva tra le mani era solo il primo passo di un importante percorso a lungo termine e Pepper confidava che i risultati non avrebbero tardato a manifestarsi. Il suo sguardo si fermò a metà della lista e indugiò su un particolare nominativo, “The Salvation Army”. Pepper aggrottò le sopracciglia, chiedendosi per quale motivo quel nome le fosse familiare. Impiegò solo qualche istante a ricordare: era l’associazione per la quale lavorava May, la zia di Peter; gliene aveva parlato Happy giusto qualche giorno prima [2]. Le sue labbra si incresparono in un sorriso lieve: finora non aveva avuto molte occasioni per parlare con lei e conoscerla meglio, ma le era comunque sembrata una donna combattiva e leale. Di certo avrebbe fatto buon uso del fondo che la Fondazione avrebbe versato e Tony sarebbe stato felice di aiutarla.

Firmò il documento e chiuse la cartellina, poi la porse alla sua assistente e le rivolse un sorriso caldo, luminoso. «Queste associazioni vanno bene, mi sembrano tutte ottime. Possiamo procedere con il finanziamento» la informò.

Vide con chiarezza il volto di Bambi distendersi, ogni traccia di tensione scivolare via. Lei prese la cartellina e annuì, ricambiando il sorriso. «Certamente» replicò, per poi dirigersi verso la porta e chiuderla con delicatezza dietro di sé. Pepper rimase per qualche istante a fissare il punto in cui si era trovata la sua segretaria, la mente di nuovo immersa in dolorosi pensieri, poi scosse la testa con decisione e puntò di nuovo lo sguardo sui fascicoli: aveva un lavoro da terminare.

Venti minuti più tardi, posò la penna sul tavolo ed emise un sospiro liberatorio: aveva finalmente finito di analizzare la relazione. Rilesse per scrupolo tutti i punti che aveva segnato, controllando di non aver tralasciato nulla; il giorno successivo li avrebbe sottoposti al coordinatore tecnico. Si appoggiò allo schienale della sedia girevole e chiuse gli occhi, assaporando la tranquillità inusuale che regnava nell’ufficio. Dopo qualche istante si alzò e si sgranchì la schiena, per poi avvicinarsi alle ampie finestre che si aprivano alle sue spalle e osservare il traffico newyorkese del tardo pomeriggio che fluiva lento e indifferente diversi piani più in basso. La vita aveva ripreso a scorrere, le famiglie si erano riunite, la normalità stava gradualmente tornando. Giorno dopo giorno, il mondo si apprestava a lasciarsi alle spalle quei cinque anni di orrore e a voltare definitivamente pagina, ignaro del dramma silenzioso che imperversava dentro di lei, sotto la sua facciata calma e composta.

Pepper stava cercando in ogni modo di reagire ed essere forte, fronteggiando un dolore intenso e devastante, capace di schiacciare sotto il suo peso implacabile anche l’animo più impavido. Nonostante in certi momenti le sembrasse di non avere più l’energia necessaria per muovere un passo dopo l’altro, era consapevole di non potersi lasciare andare: aveva una figlia da crescere, un’azienda da dirigere, la vita di centinaia di persone dipendeva da ogni sua decisione, anche la più insignificante. Non poteva arrendersi e lasciarsi vincere, anche se a volte poteva sembrare la scelta più facile.

Incrociò le braccia al petto e si lasciò sfuggire un sospiro stanco. Osservò distrattamente il volo di alcuni uccelli nel cielo limpido di Manhattan, senza vederli davvero. Negli ultimi tempi le capitava spesso di ripensare agli ultimi istanti di Tony, di riviverli con forza attraverso la mente come se in questo modo potesse tenerlo ancora un po’ con sé. Sapeva che era sbagliato, che così non sarebbe riuscita ad elaborare il lutto né a trovarvi un senso, eppure non riusciva a farne a meno.

Occhi che si guardano e che dicono più di mille parole, mani che si stringono alla ricerca di un vano conforto, o semplicemente della forza necessaria a dirsi addio. Attimi di una vita insieme che scorrono in uno sguardo, sorrisi che sanno e dicono tutto, intrisi di amarezza per qualcosa che era ed ora non sarà più. E un dolore secco al cuore, che lacera e riduce in brandelli ogni cosa, che fa tremare le labbra ma che non le impedisce di sorridere con tutto l’amore che sente in ogni fibra squarciata di sé, illuminando gli ultimi istanti di una vita vissuta a pieno.

Pepper prese un respiro profondo, cercando di respingere il groppo che sentiva in gola. Si passò le dita sotto agli occhi, scacciando velocemente le lacrime che stavano prendendo forma. Impiegò qualche minuto per riprendere il controllo, e infine sentì una calma effimera eppure tanto agognata diffondersi nelle vene. Inclinò appena il capo, osservando distrattamente ora il cielo che si scuriva poco a poco, ora le vetrate degli edifici accese dalla luce del sole calante. Il dolore che sentiva era intenso e pungente, ma Pepper sapeva che con il tempo avrebbe imparato a conviverci, a considerarlo suo malgrado una parte di sé di cui non poteva privarsi. Si trattava di una serena rassegnazione, di chi sa che le cose sono andate come dovevano andare.

Ripensò a quando, davanti alle ampie vetrate della Stark Tower in quella che le sembrava un’altra vita – eppure erano passati solo pochi anni – aveva ritenuto del tutto inaccettabile che Tony si sacrificasse per il bene comune [3]. Ora, invece, riusciva a vedere l’altra faccia della medaglia: aveva capito quanto fosse fondamentale per Tony salvare il mondo e fare la differenza, come non potesse tirarsi indietro di fronte alle minacce ma fare tutto ciò che era in suo potere per toglierle di mezzo; come non avrebbe potuto più guardarsi allo specchio, se non lo avesse fatto. Pepper lo aveva capito e, soprattutto, lo aveva accettato. Per questo, seppur una parte di sé avrebbe dato qualsiasi cosa per riaverlo al suo fianco e lenire la morsa inesorabile che le stringeva costantemente il cuore, era serena riguardo al suo sacrificio.

Il rumore ripetuto di un clacson premuto con forza interruppe il filo dei suoi pensieri. Pepper sbatté le palpebre e si riscosse, osservando le auto sfrecciare in basso sulla strada trafficata. Aveva perso la concezione del tempo. Di colpo sollevò il polso e controllò l’ora sull’orologio sottile e semplice che portava: erano quasi le 18, doveva andare a prendere Morgan. Mise in ordine la scrivania e spense il computer, appuntando rapidamente sull’agenda alcune incombenze da sbrigare il giorno dopo. Prese la borsa e uscì, percorrendo a lenti passi il candido corridoio che portava agli ascensori e salutando con un lieve sorriso gli impiegati ancora presenti. Raggiunse il piano interrato e si avvicinò alla sua auto, parcheggiata poco più in là. Ingranò la retromarcia e fece manovra, poi si immise nel traffico newyorkese.

Con il progressivo ritorno alla solita routine di tutti i giorni, molti dei suoi amici si erano più volte offerti di aiutarla con la bambina. Pepper aveva sorriso di fronte alla loro disponibilità, uno dei numerosi modi in cui dimostravano il loro affetto per lei e Tony. Aveva però deciso di ricorrervi solo quando strettamente necessario: sapeva quanto fosse importante trascorrere del tempo con Morgan e seguirla di persona nella sua crescita; per questo stava cercando di conciliare il più possibile la vita lavorativa con quella privata, dedicando il giusto tempo ad entrambi gli ambiti. Quel giorno, però, aveva dovuto partecipare a diverse riunioni, che l’avevano tenuta impegnata per quasi tutto il pomeriggio. Ne aveva parlato con Rhodey un paio di sere prima e lui si era offerto di andare a prendere la bambina a scuola e di badare a lei per tutto il tempo necessario. Stava appunto raggiungendo la sua piccola e confortevole casa in periferia, dove si era trasferito poco dopo la Battaglia: il dolore per la perdita di Tony aveva colpito duramente anche lui e Pepper comprendeva bene il suo improvviso bisogno di isolarsi.

Si ritrovò ben presto di fronte all’edificio in mattoni che ormai le era sempre più familiare. Parcheggiò con cura la macchina sul ciglio della strada e spense il motore. Prima di scendere, controllò velocemente il suo aspetto nello specchietto retrovisore: sistemò una ciocca sfuggita dall’acconciatura e si pettinò la frangetta, poi aprì la portiera e percorse i pochi passi che la separavano dalla porta d’ingresso. Il volto sorridente di Rhodey comparve qualche secondo dopo aver suonato il campanello. «Ciao, Pepper» la salutò, dandole un bacio sulla guancia. «Entra, Morgan è di là».

«Grazie, Rhodey. Spero che sia stato un pomeriggio tranquillo» rispose, seguendolo in casa.

«Tranquillissimo. È davvero una bambina adorabile» la rassicurò lui, poi mosse qualche passo verso il salotto. «Ehi, Morgan! Guarda chi c’è!» chiamò.

Morgan era distesa su un folto tappeto rosso, circondata da una marea di pastelli. Sentendosi chiamare, sollevò lo sguardo concentrato dal foglio colorato che aveva davanti a sé e lo puntò sull’ingresso. Vedendola lì in attesa, con un sorriso felice sulle labbra, il volto della bambina si illuminò. «Mamma!» urlò, alzandosi in fretta e correndo a tuffarsi tra le sue braccia spalancate.

«Ciao, amore mio» la salutò Pepper, dandole un bacio affettuoso sui capelli. «Come stai? Hai fatto la brava con lo zio Rhodey, oggi?».

Morgan annuì con decisione. «Sì, sono stata bravissima. Io e lo zio abbiamo fatto tanti giochi insieme» rispose contenta.

«Zio Rhodey conferma» convenne lui. «Sono un po’ ammaccato. Credo di non avere più l’età per queste cose» sospirò, massaggiandosi il collo con una mano.

Pepper si lasciò sfuggire una risatina, sinceramente divertita. «Anche Tony lo diceva. Si lamentava in continuazione, ma poi puntualmente li trovavo sdraiati per terra a svolgere qualche strana missione» proferì, un sottile velo di malinconia ad accompagnare le sue parole. Poi si rivolse alla bambina, prendendo tra le dita una ciocca scura e sistemandogliela con cura dietro l’orecchio. «Forza, è ora di andare a casa. Prendi le tue cose e dai un bacio allo zio».

La bambina scosse la testa, corrugando appena le sopracciglia. «Ma mamma, non ho finito il mio disegno» protestò. «Mi manca poco».

Pepper si accigliò appena. «Lo finisci a casa, dopo cena. Abbiamo già disturbato lo zio a sufficienza, per oggi» replicò, ragionevole.

«Lascia che finisca il disegno, Pepper, non c’è problema. Davvero. Ti offro qualcosa da bere, nel frattempo» propose Rhodey.

Pepper osservò per qualche istante il volto sorridente dell’amico, poi riportò lo sguardo sulla figlia. «E va bene. Ma non metterci troppo, intesi?» rispose, lanciandole un’occhiata eloquente.

Morgan annuì solenne, poi tornò a spaparanzarsi sul tappeto. Pepper si alzò e seguì Rhodey in cucina, rivolgendogli uno sguardo di scuse. «Perdonaci per il disturbo. Ti sono davvero grata per quello che fai per noi».

Lui fece un gesto vago con la mano, minimizzando. «Figurati, non mi pesa affatto, anzi. È il minimo che possa fare, per voi e… per lui» la sua voce quasi si spense sulle ultime parole. Le diede le spalle, aprendo l’anta del frigorifero. «Allora, cosa preferisci? Ho della birra, qualche bibita…».

«Un bicchiere d’acqua andrà benissimo, ti ringrazio» replicò. Prese posto su una delle sedie che circondavano il tavolo, mentre lui vi posava sopra due bicchieri e una brocca.

«Com’è andata al lavoro, oggi?» le chiese, versandole da bere.

«Oh, bene. Una classica giornata piena di impegni» si schermì lei. «E tu, invece? Come procede all’aeronautica?».

«Tutto liscio come l’olio» rispose, bevendo un sorso. «Stiamo vivendo uno dei periodi di pace più lunghi e tranquilli, da un decennio a questa parte. Meglio goderselo» aggiunse, facendo spallucce.

«Già» concordò Pepper, rigirandosi il bicchiere tra le mani. Parlarono per un po’ del più e del meno, delle Stark Industries, di come stessero procedendo i lavori di ricostruzione del Complesso. Si informarono a vicenda sulle sorti degli Avengers superstiti, poi rimasero in silenzio, ciascuno immerso nei propri pensieri. Fu Rhodey, infine, a spezzarlo.

«Mi manca» proruppe. «Mi manca davvero da morire».

A Pepper non servì sentirgli pronunciare il suo nome. Sapeva perfettamente a chi si riferisse. «Lo so».

 «Non riesco a credere che l’abbia fatto sul serio. Che si sia sacrificato così, senza pensare alle conseguenze» sbottò lui, la voce intrisa di frustrazione. Per quanto ci provasse, Rhodey non riusciva ad accettare la morte dell’amico: era convinto che avrebbe potuto esserci un altro modo, che avrebbero potuto salvare il mondo senza dover necessariamente perdere Tony. Pepper glielo aveva sentito ripetere più volte.

«Sai che non si sarebbe mai tirato indietro» ragionò, stringendosi nelle spalle. «L’ha fatto per noi, affinché potessimo vivere una vita piena, priva di minacce. L’ha fatto per Morgan, perché fosse al sicuro. Niente per lui contava più di questo».

Mentre lo diceva, sentì la sua compostezza incrinarsi piano piano: gli angoli della bocca si abbassarono, una ruga le attraversò la fronte, le spalle si incurvarono sotto un peso invisibile eppure del tutto percepibile. Se ne rese conto, ma permise comunque alle sue difese di abbassarsi perché si trovava con Rhodey, qualcuno che comprendeva bene il suo dolore e che lo condivideva a pieno. A lui poteva concedere di intravvedere lo strazio che corrodeva il suo animo dall’interno. Il silenziò calò di nuovo nella stanza, carico di sofferenza e di una profonda malinconia che ormai conoscevano in ogni sfumatura. Poi Pepper si ricompose, richiuse dentro di sé tutto ciò che provava e gli rivolse un lieve sorriso. «Beh, è un notevole passo avanti, rispetto al Tony del passato» sdrammatizzò.

Rhodey la scrutò a fondo, studiando la sua espressione. Per un attimo, le sembrò che volesse dire qualcosa, ma non lo fece. Scosse la testa e ricambiò il suo sorriso. «Ammiro la tua forza d’animo, Pepper. Sei un esempio per tutti» affermò infine.

Un rumore di passi concitati interruppe la loro conversazione. Morgan fece capolino dalla porta, entusiasta. «Ho finito!» annunciò euforica, per poi avvicinarsi a loro e posare il disegno sul tavolo. «Guardate» li esortò, arrampicandosi sulle gambe di Pepper e sistemandosi tra le sue braccia.

Pepper osservò il disegno: raffigurava un prato verde punteggiato di alberi, con delle montagne sullo sfondo; al centro, Morgan aveva disegnato un laghetto, affiancato da una sorta di capanno. «Wow, che bello!» commentò, dandole un bacio sulla guancia. «Che posto è?».

«È il posto dove si trova papà adesso» rispose la bambina, con voce cristallina. Un silenzio stupito scese nella stanza, prima che lei cominciasse ad illustrare il disegno. «Lì c’è il laghetto, qui c’è il garage. E tanti fiori gialli».

«Gialli? Non rossi?» chiese Pepper, riscuotendosi e osservandola con attenzione. Morgan aveva visto più volte suo padre armeggiare con la sua armatura rossa e oro; immaginava che, pensando a Tony, le venisse più spontaneo associare a lui quel colore.

«No, gialli. Come il sole. Vedi?» Morgan indicò con eloquenza il sole. «Mi piace tanto, il giallo» mormorò [4].

«È un disegno davvero bello, scricciolo. Bravissima» Rhodey le scompigliò i capelli in un moto d’affetto. «Potrai fare la pittrice, da grande!» affermò, facendole l’occhiolino.

Morgan ci pensò su per qualche secondo, poi scosse la testa ridendo. «Io voglio costruire tante cose belle come il mio papà!» replicò, sicura.

Pepper e Rhodey si guardarono, increduli; poi Pepper si lasciò sfuggire un sorriso e scosse la testa, accarezzando i capelli di sua figlia. «Questo è il gene Stark, temo. Generazione dopo generazione, alla fine spunta sempre fuori».


***

 
“All the hurt, all the lies
All the tears that they cry
When the moment is just right
You’ll see fire in their eyes”
 

«Cosa ti va di mangiare, tesoro? Facciamo le polpette?» Pepper guidava con calma, lo sguardo concentrato sulla strada poco trafficata. Si erano lasciate alle spase le ultime case da qualche minuto, ormai, e accanto a loro scorrevano prati immersi nel buio.

Morgan sedeva sul suo seggiolino, sul sedile posteriore. «Non so». Tormentava l’orsetto di pezza che teneva tra le mani, lo sguardo appena corrucciato. «Possiamo chiedere a Peter di venire da noi stasera?» chiese infine.

Pepper sollevò lo sguardo e lo puntò sulla bambina attraverso lo specchietto retrovisore. La sua espressione si addolcì, rendendosi conto di quanto sua figlia si fosse affezionata in così poco tempo a quel ragazzo allegro ed educato. Non lo conosceva da tanto, eppure ormai era come se fosse uno di famiglia. Non riuscì a trattenere un sorriso: il giovane Parker aveva fatto breccia a colpo sicuro nei cuori degli Stark, padre e figlia. «Adesso è troppo tardi, Morgan. Peter domani deve andare a scuola, e anche tu. Gli chiederemo di venire nel fine settimana, d’accordo?» propose.

La bambina inclinò appena la testa, non troppo convinta. «Ok» rispose.

Pepper la osservò di nuovo, intenerita. Si chiese cosa potesse fare per risollevarle il morale. Un’intuizione le attraversò ben presto la mente. «Sai cosa possiamo mangiare?» domandò, con tono allegro e al tempo stesso complice. «Un bel cheeseburger gigante!».

Il viso della bambina si illuminò di colpo. «Con doppio formaggio?» chiese, gli occhi che le brillavano.

«Con doppio formaggio» confermò Pepper, apprestandosi a compiere una piccola deviazione prima di tornare a casa. Sapeva che il cheeseburger l’avrebbe resa felice – del resto, la mela non cade mai troppo lontana dall’albero.

Raggiunse in poco tempo il loro ristorante di fiducia – Tony si era assicurato che ce ne fosse uno nelle vicinanze, quando avevano scelto di trasferirsi da quelle parti – e ordinò i panini, aspettando pazientemente mentre la bambina saltellava allegra al suo fianco. Ritirarono la cena e poi risalirono in macchina, riprendendo la strada di casa. Le loro voci concitate riempivano l’abitacolo e sovrastavano la radio accesa, mentre percorrevano gli ultimi chilometri che le separavano dalla loro destinazione. Dopo qualche minuto, Pepper rallentò e svoltò leggermente per immettersi su una stradina sterrata. Percorse il vialetto a passo d’uomo, in sottofondo lo scricchiolio dei sassi accompagnato dal frinire dei grilli, e parcheggiò infine l’auto sullo spiazzo antistante la casa. Aiutò Morgan a scendere ed entrarono, chiudendosi la porta dietro di loro. Sua figlia corse di sopra a riporre lo zaino, mentre lei posava la cena sul tavolo ed iniziava ad apparecchiare.

Nonostante ogni angolo di quella casa le ricordasse Tony in maniera dolce e al tempo stesso dolorosa, non aveva avuto il cuore di venderla e trasferirsi. Quel posto aveva rappresentato un porto sicuro per cinque meravigliosi anni, in cui avevano scoperto la felicità di essere una famiglia, condividendo gioia e dolore, pianti e risate. Sapeva inoltre quanto Morgan amasse quella dimora, quanto adorasse trascorrere le giornate in giardino all’aria aperta; non voleva costringerla a vivere in una città caotica prima del necessario. No, pensò, non se la sentiva di traslocare. Forse un giorno lo avrebbe fatto, ma per il momento stavano bene lì.

Morgan la raggiunse in cucina e presero posto a tavola, parlando della scuola e scambiandosi risatine tra un boccone e l’altro. Dopodiché, armate di ghiaccioli, si spaparanzarono sul divano a guardare cartoni animati, godendosi la vicinanza reciproca. Trascorsero la serata così, strette l’una tra le braccia dell’altra, con Pepper che le accarezzava i capelli e Morgan che ridacchiava allegramente per qualche scena buffa. Poi Pepper guardò l’orologio e decise che era ora di andare a letto. La aiutò con delicatezza a fare il bagno e la accompagnò nella sua cameretta. Morgan si mise il pigiama e si infilò a letto sbadigliando. Pepper si sedette accanto a lei, sistemandole il cuscino e le coperte.

«Mamma?» chiese la bambina, stropicciandosi gli occhi.

«Dimmi, tesoro».

«Secondo te a papà piace il mio disegno?». Le mani di Pepper, intente a sollevare il copriletto, si bloccarono a mezz’aria. Si accorse di come lei parlasse del padre sempre al presente, come se non se ne fosse andato davvero.

Terminò di rimboccare le coperte, sorridendo con dolcezza. «Ma certo. Ti direbbe che è stupendo, che sei una piccola artista» la rassicurò.

Morgan si zittì. Corrugò le sopracciglia scure come faceva sempre quando pensava a qualcosa e fissò per un po’ la parete di fronte a lei. «Vorrei tanto farglielo vedere» proferì infine.

Pepper avvertì distintamente il fiato bloccarsi all’altezza del petto e una morsa spiacevole stringerle lo stomaco. Le accarezzò la testa con dolcezza, desiderando confortarla in qualche modo, poi inclinò il viso e la scrutò con attenzione, soffermandosi sui suoi occhi nocciola così simili a quelli di Tony. Non ebbe bisogno di pensare troppo a cosa dirle: la risposta era proprio davanti a sé. «Oh, ma lui lo vede, sai? Vede tutto quello che fai. Lui è sempre con te. È qui dentro» replicò, indicando il suo cuore «e non andrà mai via».

Morgan si guardò il petto, ragionando per qualche istante sulle parole della madre, poi annuì con convinzione. «Allora farò tanti disegni per lui. Così sarà sempre contento!».

«Mi sembra un’ottima idea» concordò Pepper. Poi le diede un bacio sulla fronte e un buffetto sul naso. «Buonanotte» la salutò.

Si alzò e spense la luce, apprestandosi ad uscire. Socchiuse la porta e rimase a guardare sua figlia attraverso la fessura, in viso un’espressione intenerita. Avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere affinché il sacrificio di Tony non fosse stato vano, si disse. L’avrebbe tenuta al sicuro, standole accanto e guardandola realizzare un passo dietro l’altro, un sogno dopo l’altro.

Ti darò tutto l’amore che potrò [5].


***


Pepper entrò in camera da letto, passandosi distrattamente una mano tra i capelli ancora umidi. Si avvicinò al comò sul quale teneva creme e cosmetici vari e ne prese una per il viso, cominciando a spalmarsela con delicatezza. Massaggiò con gesti lenti le guance e il mento, poi risalì lungo gli zigomi e percorse la ruga appena accennata delle occhiaie. Lo specchiò le restituì l’immagine di una donna che si avvicinava alla mezza età, la cui evidente bellezza cominciava poco a poco ad incrinarsi sotto al peso di un dolore che logora e non da tregua. Pepper osservò i suoi occhi azzurri, un tempo così caldi e accesi, ora spenti e malinconici. Un giorno sarebbero tornati a brillare, pensò. Morgan sarebbe sicuramente riuscita a farli splendere di nuovo.

Prese a spazzolare i lunghi capelli ramati, pettinando le folte ciocche con cura. Nonostante il doloroso lutto che stava vivendo, che avrebbe richiesto tempo e pazienza per essere elaborato ma che non l’avrebbe mai abbandonata del tutto, Pepper considerò che, in fondo, la vera vincitrice morale di quella Battaglia era lei. Aveva avuto infatti l’opportunità di accompagnare Tony nel suo straordinario percorso di vita, che lo aveva portato dall’essere un menefreghista mercante di morte a dare la sua vita per la salvezza degli altri. Nei lunghi e felici anni trascorsi insieme, prima come semplice e fidata assistente, poi come compagna di vita leale e premurosa, aveva avuto modo di supportarlo, amarlo e sostenerlo; il suo stesso amore aveva contribuito a renderlo l’uomo che era. Era fiera di Tony, pensò, lo era con ogni fibra del suo essere, nonostante l’amaro epilogo a cui erano stati destinati. Ma Pepper aveva imparato che c’erano cose più importanti dell’amore senza fine che lega indissolubilmente due persone, che a volte è necessario sacrificare qualcosa di caro e prezioso per il bene di tutti. E il bene di tutti, realizzò, era anche il suo. E poi aveva una bellissima bambina, esatto riflesso del padre, che doveva guidare e crescere con amore: un motivo del tutto valido per guardare al futuro con speranza. Era così orgogliosa di sua figlia, così vispa e intelligente, da non avere alcun dubbio che la vita le avrebbe riservato una lunga serie di successi da gustare con calma, uno dopo l’altro. E se un giorno Morgan avesse davvero voluto seguire le orme di Tony, sarebbe stato suo compito darle tutto il sostegno di cui avrebbe avuto bisogno. Lo avrebbe fatto senz’altro.

 “Ho vinto” pensò, scostando le coperte e sdraiandosi sul lato destro del materasso. “Tra tutti, chi ha vinto, alla fine, sono io”. Eppure, il suo letto era freddo e vuoto, gli occhi di Tony non le avrebbero più sorriso come se lei fosse il bene più prezioso al mondo e le sue braccia non l’avrebbero stretta a sé mai più.


“She’s got lions in her heart
A fire in her soul
 
When you’ve been fighting for it all your life
You’ve been struggling to make things right
That’s how a superhero learns to fly”

Superheroes – The Script




Note:
[1] Secondo il sito https://marvelcinematicuniverse.fandom.com/wiki/Bambi_Arbogast, Bambi Arbogast è la segretaria di Pepper. Appare brevemente in Iron Man 2.

[2] Come mostrato in Spider – Man: Far From Home.

[3] Si tratta di un riferimento al capitolo 3.

[4] Il giallo è il colore che più facilmente viene associato alla felicità, soprattutto da parte dei bambini. Mi piaceva l’idea di questo contrasto, nel quale gli adulti danno per scontato che lei utilizzi il rosso, colore che caratterizzava Tony, mentre Morgan, con la naturalezza tipica dei bambini, sceglie il giallo perché associa suo padre alla felicità.

[5] Piccolo omaggio rivisitato al meraviglioso libro di Agnese Borsellino, “Ti racconterò tutte le storie che potrò”.




Ciao a tutti! Spero non mi odierete troppo per questo capitolo decisamente drammatico: confesso che lo avrei volentieri evitato, ma mi ero ripromessa di attenermi a quanto raccontato nei film ed era, ahimè, un passaggio obbligato.

Dunque, il capitolo si colloca qualche tempo dopo Endgame e il punto di vista è chiaramente quello di Pepper: ho cercato di immaginare come siano andate le cose, come lei e sua figlia siano ritornate alla normalità, se così si può definire. Il mio intento era sicuramente quello di rendere omaggio a un personaggio forte e straordinario come Pepper, dall’inizio alla fine. E si conclude così la sua evoluzione, che l’ha portata ad essere la donna forte e saggia che ben conosciamo: una supereroina ha tutti gli effetti, come recita il titolo.

Dopo averlo nominato diverse volte, Rhodey fa la sua prima apparizione concreta. Al momento non ci è stato detto praticamente nulla sulla sua vita post Endgame, ho immaginato che sia ritornato a lavorare per l’aeronautica militare e che abbia accantonato gli Avengers, almeno per ora. E compare anche Morgan: spero di essere riuscita a fare un buon lavoro con lei, ero un po’ in difficoltà. Mi piace pensare che, anche se Tony non c’è più, abbia comunque stretto un bellissimo rapporto con Peter, come se fossero una famiglia a tutti gli effetti. Per il suo disegno, mi sono vagamente ispirata al disegno che il Principe George ha fatto nei mesi scorsi per la festa della mamma, dedicato a Lady Diana: lo potete vedere qui.

Il prossimo sarà l’ultimo capitolo: posso anticiparvi che sarà una sorta di bonus.

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander

 

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Capitolo 10
*** Back to the Start ***


 
From Dusk Till Dawn


 
A Rosmary,
che riesce ad emozionarmi come nessun altro
 
A Leila91,
per il miglior supporto che si possa desiderare


 
Capitolo 10
Back to the Start


Contesto: The Avengers – Endgame, What if?

 
“If I could go, go into my heart
And search for all the places I left the spark
To find a way, way back to the olden days
Before it started falling apart”


«Ho agganciato il bersaglio, sono in posizione». Spider-Man si acquattò contro una parete, guardingo. Il rosso acceso del suo costume si intravvedeva appena, nel buio che avvolgeva la via.

«Molto bene. A che distanza ti trovi?».

Lo vide sporgersi con circospezione oltre il muro e osservare rapido il nemico. «Direi 10, 12 metri al massimo» valutò. «Posso lanciare una ragnatela contro il lampione sull’altro lato del vicolo e utilizzarlo come perno. Gli sarei addosso in men che non si dica e potrei atterrarlo».

«D’accordo. Ma fai attenzione: hai un unico tentativo per coglierlo di sorpresa».

Peter si portò una mano all’orecchio coperto dalla maschera, in corrispondenza della ricetrasmittente. Annuì con vigore, staccandosi dalla parete. «Sicuro» confermò. Controllò velocemente che gli spara-ragnatele fossero carichi e funzionanti, poi si mise in posizione e prese un respiro profondo. Lanciò una ragnatela contro il lampione poco più in là e scattò in avanti, pronto a sfruttare la spinta per colpire il nemico con un–

Bada boom.

Un forte clangore metallico si diffuse nell’aria. Spider-Man finì gambe all’aria, andando a sbattere malamente contro la parete di un edificio. Il coperchio in ferro del bidone che aveva preso in pieno roteò per qualche secondo sull’asfalto prima di posarsi definitivamente a terra, seguito dal bidone stesso che rovesciò il suo maleodorante contenuto ovunque.

Attratto dal fragore, il nemico si voltò di scatto nella sua direzione. Si avvicinò velocemente sollevando il braccio, la mano che scompariva per lasciare posto alla canna circolare di un’arma. Un getto di polvere bianca investì Peter in pieno, senza che lui potesse difendersi in alcun modo.

Il ragazzo agitò convulsamente le braccia davanti a sé. «Ok, va bene, hai vinto!» affermò a fatica, sollevando le mani. «Basta, mi arrendo!».

«Uno a zero per l’ammasso di ferraglia. Esercitazione conclusa». Tony si passò una mano sugli occhi, senza riuscire a trattenere uno sbuffo divertito. Attraverso lo spesso vetro davanti a cui sostava, vide il robot numero 4 dell’Iron Legion smettere di spruzzare la sostanza polverosa e reinserire la canna all’interno dell’avambraccio.

Peter si rialzò e cominciò a spazzolare con gesti secchi il costume, tossendo. Si tolse di scatto la maschera, lanciando un’occhiata truce al suo avversario. «Dovevi proprio spararmelo in faccia?!» inveì, agitando il pugno con cui stringeva la maschera. «Indosso questa, d’accordo, ma il tessuto è traspirante. Mi si è infilata tutta la polvere nel naso» si lamentò, starnutendo.

Il robot lo osservò di rimando con i suoi occhi impassibili, restando in silenzio.

«Ah, ma che te lo dico a fare» sospirò Peter, poi si voltò verso la parete alle sue spalle e fissò il vetro rettangolare che si trovava in alto, al centro. «Signor Stark, dobbiamo sistemare questo punto».

Tony si massaggiò la radice del naso, nascondendo un sorrisetto. «Io te l’avevo detto di utilizzare l’Iron Spider. La sua maschera è impenetrabile».

«Ma l’Iron Spider non è adatto per un sopralluogo nel quartiere!» protestò il ragazzo, allargando con enfasi le braccia. «Dovrebbe essere utilizzato solo in casi di assoluta necessità» osservò.

«…che al momento non sono previsti, così come nel prossimo futuro. Dovresti smetterla di fissarti su questi aspetti, sai?».

«Oh, ma non si tratta solo di questo. A me piace molto, questo costume» replicò Peter. Iniziò a saltellare allegro sul posto e a lanciare qualche pugno davanti a sé, come se volesse testare la qualità del tessuto. «E poi, preferisco restare con i piedi per terra. Non mi va di ricorrere ad armi troppo potenti se non è proprio necessario» concluse, con tono sicuro.

«D’accordo, fa come vuoi» si arrese Tony, alzando gli occhi al cielo. Onestamente non capiva per quale motivo il ragazzo non volesse sfruttare ogni mezzo a sua disposizione. Lui non si era certo fatto questo tipo di problemi, quando creava le sue armature: costruita una versione nuova e avanzata, la precedente finiva di riflesso nella sua collezione o smantellata, a seconda di quanto si fosse dimostrata utile. Si strinse nelle spalle, liquidando in fretta la questione: per quel che lo riguardava, finché non si metteva nei pasticci il ragazzo poteva fare quello che voleva. «Dai Pete, va a cambiarti. Per oggi abbiamo finito» lo esortò, iniziando a digitare una sequenza di codici sulla console posta sotto al vetro.

L’ambientazione di periferia svanì dopo qualche istante, lasciando posto all’ampia e sgombra palestra del Complesso. La luce tornò ad inondare la stanza, mentre i droni che avevano contribuito a creare l’illusione si rimettevano a posto ronzando, posizionandosi ordinatamente sugli appositi sostegni lungo le pareti. Peter li osservò muoversi, incantato: sebbene li avesse utilizzati ormai diverse volte nei suoi allenamenti, doveva ancora abituarsi a quella strabiliante tecnologia. Non erano certo cose che si vedevano in giro così spesso. Si riscosse velocemente e tornò a guardare il suo mentore. «Vado!» asserì, per poi correre in direzione della porta.

Tony lo seguì con lo sguardo, osservandolo uscire. Diede un’ultima occhiata alla palestra, vuota e silenziosa: chissà che cosa avrebbe detto il Capitano, vedendo la sua stanza preferita invasa da tutti quei congegni futuristici. Dubitava che ne sarebbe stato contento, abituato com’era al suo semplice e concreto sacco da box. Un sorriso nostalgico gli incurvò le labbra, mentre si decideva ad abbandonare la sua postazione e si avviava con calma. «FRIDAY, rimanda il robot in laboratorio, insieme al resto dell’Iron Legion» ordinò.

«Sì, capo» rispose subito l’intelligenza artificiale.

I suoi passi a tratti incerti e zoppicanti risuonavano lungo il corridoio deserto. Tony cercò di non badare troppo alle fitte lievi ma insistenti che sentiva sul lato destro del corpo: il suo livello di sopportazione si stava alzando sempre di più, ragionò, o forse il suo corpo stava guarendo più in fretta del previsto. Si augurò che fosse davvero così. Il tutore sobrio e funzionale che indossava, così simile a quello di Rhodey, lo aiutava a stabilizzare la gamba offesa, sostenendo il peso del suo corpo e permettendogli di camminare; non fosse stato per il dolore, quasi non si sarebbe accorto di indossarlo. Impiegò qualche minuto per raggiungere lo spogliatoio maschile e si fermò accanto alla porta, appoggiandosi contro la parete. Si sfilò gli occhiali e li pulì con lentezza, assorto.

Non si pentiva di aver deciso di seguire personalmente il ragazzo. Sebbene fosse molto giovane e fin troppo entusiasta, Peter aveva ampiamente dimostrato di avere la stoffa del supereroe. Tony era del tutto convinto che, con un bel po’ di allenamento e un valido sostegno, avrebbe potuto fare grandi cose; forse, un giorno, lo avrebbe addirittura superato. Sorrise tra sé, scuotendo appena la testa. Ci sarebbe stato tempo, per questo. Ora Peter era un adolescente pieno di energia, che andava seguito e appoggiato. Aveva talento, certo, e fremeva per dimostrare il suo potenziale, ma avrebbe raggiunto ogni traguardo con calma, con i giusti tempi. Non aveva alcuna intenzione di spingerlo a bruciare le tappe, come lui stesso aveva fatto in passato.

Il ragazzo uscì proprio in quel momento dallo spogliatoio, stringendosi lo zaino sulle spalle. Si passò una mano tra i capelli umidi e gli si affiancò. «Allora?» lo incalzò «Come sono andato oggi?».

Tony nicchiò, incamminandosi con lui verso l’ingresso. «Beh, direi che non sei andato così male» replicò, gioviale. «Se escludiamo il fatto che ti sei fatto sgamare proprio nel momento cruciale» aggiunse, con evidente ironia.

Peter, che inizialmente aveva incurvato le labbra in un sorriso entusiasta, si imbronciò appena sentendo le sue ultime parole. Le sue spalle si afflosciarono, manifestando chiaramente la sua delusione. «Non l’ho proprio visto, quel maledetto bidone» mormorò, a mo’ di scuse.

«Lo immaginavo. Anzi, lo avevo previsto: l’ho posizionato di proposito in quel punto, per vedere se lo avresti considerato» proferì, studiando di sottecchi la sua reazione.

Peter si voltò a guardarlo, la fronte aggrottata. «Non vale! Non può manipolare così ogni cosa» protestò.

«Posso eccome, invece. Stiamo parlando della mia tecnologia» replicò lui, allargando il braccio sinistro come a sottolineare l’evidenza. «E comunque, stiamo divagando» riprese. «Il punto è che devi imparare a fare più attenzione, Pete. Questa era un’esercitazione, d’accordo, ma sul campo non puoi permetterti di essere così maldestro. Un passo falso e sei out. Devi essere più riflessivo, agire meno di impulso».

Peter inarcò un sopracciglio, con evidente perplessità. «Beh, lei non mi è sembrato così riflessivo, quando ha comunicato il suo indirizzo in diretta tv al Mandarino» gli fece notare.

Tony si strinse nelle spalle. «Anche i migliori possono sbagliare, a volte» replicò spiccio. Poi gli rivolse un’occhiata sorniona, le labbra incurvate in un sorriso divertito. «Dai, non c’è bisogno di fare quella faccia lunga. La tua strategia, in fondo, era buona. Devi lavorare un po’ di più sui dettagli, ma stai facendo un ottimo lavoro» proferì, sincero.

Il ragazzo annuì appena, ma non rispose; continuò a camminare tenendo lo sguardo puntato davanti a sé, la fronte corrugata mentre rifletteva sulle sue parole. Tony poteva quasi vedere gli ingranaggi della sua mente muoversi febbrili, ragionando e ipotizzando. Il suo intento era quello di confortarlo, eppure non gli sembrava di aver sortito l’effetto sperato. Si avvicinò a lui e gli circondò le spalle con il braccio sinistro, dandogli un paio di pacche leggere con la mano. «La prossima settimana possiamo lavorare insieme alle modifiche del tuo costume, se ti va. Ho giusto qualche trucchetto interessante da insegnarti. E potrai scegliere di persona i potenziamenti da inserire» affermò, facendogli l’occhiolino.

Peter sollevò di scatto la testa e lo fissò con sguardo incredulo. Tony sorrise tra sé, osservando la sua reazione. Nonostante avessero iniziato a trascorrere ormai diverso tempo assieme, il ragazzo si stupiva ancora di come lui lo considerasse. Stentava a credere di essere diventato così importante per lui e Tony non ne era affatto sorpreso: per Peter, in fondo, cinque anni erano passati in un battito di ciglia, senza che neanche se ne accorgesse. Non li aveva trascorsi con un dolore sordo sul fondo del cuore, con il profondo rammarico di chi non si perdona per non aver saputo fare di più. Ma avrebbe senz’altro avuto tempo per abituarsi a quell’inusuale ruolo di figlioccio, rifletté. Del resto, lui non aveva proprio intenzione di andare da nessuna parte.

Gli strinse appena la spalla, rivolgendogli un’occhiata sardonica. «Pronto? Sei ancora tra noi?» lo pungolò.

Peter si riscosse con un cenno del capo, un sorriso entusiasta che prendeva a disegnarsi sulle sue labbra. «…S–sì, certo! Davvero? Che ficata!» rispose euforico.

Tony ridacchiò, soddisfatto della sua reazione.

L’ingresso ampio e moderno del Complesso si aprì davanti a loro, attraversato da un viavai di persone che si muovevano frenetiche in tutte le direzioni. La ricostruzione dell’edificio si era conclusa da poco, eppure l’ambiente pullulava già di attività. Tony sospettava che ci fosse la mano di Fury, dietro a tutto questo. Scrollò le spalle, divertito: quell’uomo non si smentiva mai, nemmeno in tempo di pace. Gli sguardi dei dipendenti li seguirono mentre attraversavano l’atrio in direzione dell’uscita, curiosi eppure discreti: non si erano ancora del tutto abituati a quella strana accoppiata, mentore e allievo, patrigno e figlioccio, due supereroi che erano sopravvissuti e avevano vinto una battaglia epica. Tony non ci faceva quasi più caso, ormai; almeno, non lo importunavano.

Varcarono le porte girevoli e si ritrovarono all’aperto, alla luce del pomeriggio che rischiarava il verde paesaggio intorno a loro. Tony estrasse le chiavi della macchina e pigiò un tasto: questa si mosse dallo spiazzo sul fianco dell’edificio e si avvicinò lentamente, posizionandosi di fronte a loro.

Si voltò verso il ragazzo, osservandolo attraverso le lenti scure. «Ah già, quasi dimenticavo» si ricordò. «Ti va di venire a cena da noi, stasera? Puoi chiedere anche a May, se ti va» gli propose.

«Stasera?».

«Sì, esatto. A Pepper andava di fare una cenetta in compagnia. Quell’ingrato di Rhodey ha rifiutato. Impegni militari, ha detto. Sì, come no. Chissà che avrà da fare» replicò, corrugando le sopracciglia. Si strinse nelle spalle e fece schioccare la lingua. «Ma lasciamo perdere gli affari loschi di Rhodey. Allora? Vieni?».

Peter annuì, allegro. «Sì, va bene» confermò. «Non so se zia May sia libera, però. Ultimamente è spesso impegnata con The Salvation Army» aggiunse [1].

Tony fece schioccare la lingua. «Ah giusto, l’associazione» ricordò. «Bella iniziativa».

«Sì, è vero. Conta molto per lei» ammise il ragazzo, sorridendo. «E se non è là…» arricciò appena il naso, meditabondo. «…di solito è con Happy» concluse.

Tony lo scrutò al di sopra degli occhiali, stringendo appena le palpebre. «Happy, eh?».

«Già. Ma non ne so molto. Non ci tengo proprio a saperlo, in realtà». Peter si agitò sul posto, leggermente a disagio.

Lui puntò lo sguardo in lontananza, assorto. Non riuscì a fare a meno di pensare a quanto fosse piccolo il mondo: a New York vivevano più di 8 milioni di persone, eppure uno dei suoi migliori amici decideva di iniziare una relazione proprio con la zia del suo figlioccio. «Beh, vorrà dire che estenderemo l’invito anche a Happy. Fa pur sempre parte della famiglia» considerò. E poi, a Pepper avrebbe sicuramente fatto piacere, per non parlare di Morgan.

«D’accordo» replicò Peter, tranquillo.

Tony decise che era ora di andare, se non voleva fare tardi. Aprì la portiera dell’auto, apprestandosi a salire. «Io ora vado a prendere Morgan a scuola. Vuoi un passaggio?» gli propose.

Il ragazzo scosse la testa. «No, grazie. Scott mi ha detto che oggi sarebbe passato di qui e mi ha chiesto di fare due chiacchiere» rispose. Poi si accorse dell’occhiata condiscendente che gli stava rivolgendo, e inarcò un sopracciglio. «Che c’è?».

Un sorriso sghembo incurvò le labbra di Tony. «Socializzi con le schiappe adesso?».

Peter spalancò la bocca, incredulo. «Ma…» cominciò.

Tony sbuffò una risatina allegra. «Sto scherzando. E va bene, aspetta pure» proferì. Poi si sedette stringendo appena le labbra per le fitte di dolore, che si costrinse ad ignorare – uno stupido tutore e una menomazione non gli avrebbero impedito di guidare le sue amate decapottabili – e chiuse la portiera. «Ci vediamo stasera» lo salutò, avviando il motore e sporgendo il braccio dal finestrino.

Peter agitò una mano, sorridente. «A dopo!».

Ingranò la marcia e si lasciò alle spalle la facciata compatta e autorevole del Complesso, percorrendo a velocità costante la strada che lo avrebbe condotto alla Grande Mela. Il vento gli scompigliava i capelli e gli accarezzava il volto, mentre gli alberi e la campagna punteggiata di verde lasciavano sempre più spazio a costruzioni e fabbricati di ogni genere. Staccò la mano sinistra dal volante e si massaggiò lentamente la spalla destra contratta, lasciandosi sfuggire un sospiro liberatorio mentre avvertiva la tensione affievolirsi un poco. Era ormai passato poco più di un anno dall’epica Battaglia contro Thanos e, tutto sommato, non se l’era cavata così male. Un’ustione gli attraversava la parte destra del viso, insinuandosi sotto l’attaccatura dei capelli; un tutore gli ricopriva il braccio e la gamba, restituendogli una notevole libertà di movimento, pur dovendo comunque prestare attenzione.

In seguito allo schiocco con cui aveva ribaltato le sorti della Battaglia e sconfitto Thanos, aveva trascorso alcuni mesi in coma, la vita appesa a un filo. Circondato dal sostegno degli affetti più cari e usufruendo delle cure migliori del pianeta, aveva vinto anche quella battaglia, l’ennesima e forse l’ultima, e si era svegliato. Se era riuscito a cavarsela con così poco, era merito di una delle sue geniali intuizioni: mentre lui e Bruce lavoravano al nuovo guanto, aveva notato che l’energia emessa dal reattore Arc era in grado di contrastare, seppur non al 100%, gli effetti dei raggi gamma emessi dalle gemme. Aveva allora pensato di dotare la sua armatura di numerosi mini-reattori per precauzione – nella remota ipotesi che le cose potessero andare diversamente da come avevano previsto. Li aveva disposti strategicamente attorno ai gomiti e lungo le braccia, nascosti sotto il metallo scarlatto. La sua intuizione si era rivelata corretta: quando aveva rubato le gemme a Thanos e le aveva indossate sul dorso dell’armatura, l’energia dei reattori aveva formato una sorta di cuscinetto attorno alla mano, limitando gli effetti altrimenti distruttivi delle gemme. Tony fletté appena le dita della mano destra, le più esposte, e le sue labbra si incurvarono in una smorfia di dolore. Le conseguenze del suo gesto erano ancora ben visibili sul suo organismo e sospettava che sarebbe stato così ancora per parecchio tempo; ma se avesse seguito con costanza e pazienza l’intenso percorso di riabilitazione che aveva intrapreso, le probabilità di riuscire a recuperare in buona misura l’uso del lato destro del suo corpo erano molto alte.

Nella sua brillante deduzione, non aveva però calcolato un aspetto fondamentale: i pesanti effetti che il suo sistema nervoso centrale avrebbe subito. Il potere smisurato delle gemme aveva intaccato il cervello, rendendogli di fatto impossibile sostenere sforzi mentali impegnativi e ripetuti. Il che aveva inevitabilmente significato dire addio ad Iron Man: niente più armatura, niente più missioni, niente più salvataggi, né fisicamente né tramite il comando a distanza; il rischio di un corto circuito fatale era troppo alto. E Tony non aveva alcuna intenzione di passare il resto della sua vita come un vegetale, dopo tutto ciò che aveva fatto per preservarla. Si era trovato di fronte ad una svolta che in passato aveva spesso considerato, ma mai davvero soppesato fino in fondo. La fine di un mito, di un’era, di un percorso intenso e straordinario che lo aveva cambiato e reso un uomo migliore.

Persino adesso, a distanza di mesi, il pensiero di non poter più usare la sua armatura gli faceva uno strano effetto. Lui, che aveva sfidato ogni limite possibile per un semplice umano, ora doveva sottostare a mille vincoli: aveva volato fino ai confini dell’atmosfera, attraversato un portale alieno e combattuto all’ultimo sangue su un pianeta lontano e adesso doveva convivere quotidianamente con un tutore, prestando attenzione ad ogni movimento che compiva e cercando di non esagerare. Ma non si era dato per vinto e si era attivato per poter riottenere una vita pressoché normale: Peter, Morgan, Pepper,… le motivazioni non gli mancavano di certo. Aveva finalmente l’occasione di dedicarsi a loro senza ulteriori preoccupazioni e non intendeva sprecarla in alcun modo. E poi, aveva riflettuto, poteva ancora trascorrere del tempo ad armeggiare in laboratorio, a patto di non esagerare: era un compromesso del tutto accettabile. Tony sorrise tra sé, scivolando nel traffico cittadino. Aveva affrontato l’inferno ed era tornato, ritrovandosi a smettere i panni del supereroe per vestire quelli più tradizionali del mentore, del padre e del marito: non poteva fare a meno di pensare che fosse un’opzione più che valida.

Parcheggiò con cura nei pressi del Midtown West School [2] e scese dall’auto facendo attenzione. Si accorse di essere in anticipo e decise di aspettare Morgan tenendosi un po’ a distanza dall’edificio, in un posto più appartato. Onestamente, cominciava a non poterne più di essere assillato ad ogni passo dalle persone che volevano ringraziarlo per aver salvato il mondo: contrariamente ai lavoratori del Complesso, che si limitavano ad osservarlo con espressioni più o meno meravigliate, la gente comune tendeva ad accalcarsi intorno a lui e ad importunarlo concretamente. Si rese conto di essere diventato più schivo, per quanto Tony Stark potesse esserlo davvero; si strinse nelle spalle, senza stupirsi più di tanto: si finisce inevitabilmente per cambiare, quando si tiene il potere dell’infinito sul dorso di una mano.

Il cellulare vibrò per un istante nella tasca dei pantaloni e Tony si riscosse dalle sue riflessioni. Era Peter: lo informava che anche May e Happy sarebbero venuti a cena. Rispose velocemente con un pollice alzato, poi scrisse un altro messaggio a Pepper per avvertirla degli ospiti. In quel momento sentì un rumore di passi concitati farsi sempre più forte e sollevò lo sguardo, riponendo il telefono: Morgan stava scendendo lentamente in gradini, guardandosi intorno. Tony agitò un braccio in aria e aspettò che lei lo raggiungesse.

«Eccola qui!» esordì quando gli fu accanto. Si piegò lentamente sulle ginocchia, cauto. «Ciao, Maguna» la salutò, dandole un bacio sulla guancia. «Tutto a posto?».

«Ciao, papi» replicò lei, ricambiando il bacio. «Sì, tutto ok».

«Molto bene». Si rialzò e le scompigliò i capelli scuri. «Dammi lo zaino, te lo porto io» la esortò.

La bambina lo scrutò con i suoi occhi nocciola, inclinando il capo. «Sicuro? Ce la faccio».

«Ma certo» rispose, gioviale. «Sono pur sempre Iron Man, non lo dimenticare». Le sfilò con delicatezza lo zaino e se lo caricò sulla spalla sinistra. Prese Morgan per mano e l’accompagnò alla macchina, aprendo la portiera posteriore e aiutandola a sistemarsi sul seggiolino. Dopodiché si sedette a sua volta e inserì la retromarcia.

«Com’è andata oggi a scuola?» le chiese.

Morgan si aprì in un sorriso soddisfatto. «Bene. Ho preso una A nella prova di matematica» rispose, contenta. Poi si corrucciò appena, aggrottando le sopracciglia sottili. «Però Aaron mi ha detto che ho preso quel voto solo perché tu sei il mio papà».

Tony strinse le palpebre divertito, osservandola attraverso lo specchietto retrovisore. «Davvero?».

«Sì» confermò lei, annuendo con vigore. «E ha anche detto che sono una femmina e che le femmine sono stupide».

Tony inarcò le sopracciglia e sbuffò una risata esterrefatta. «Ma pensa. E tu cosa hai fatto?» si interessò, preparandosi al peggio.

Morgan si strinse nelle spalle, osservando gli edifici di Manhattan scorrere accanto a lei. «Gli ho detto che non è vero e che è un brutto invidioso. Lui ha preso una D» replicò, senza nascondere una traccia di compiacimento.

«Ottima risposta, molto diplomatica» convenne lui, rilassandosi. Per un attimo aveva temuto di essere presto convocato dalla preside per una rissa tra marmocchi. Forse Morgan aveva preso più da Pepper, pensò. «Vuoi che ci parli io? Non ti disturberà più, te lo assicuro» garantì.

La bambina sorrise felice, scuotendo la testa. «No papà, non serve».

Tony la scrutò con più attenzione. «Sicura? So essere molto persuasivo» sogghignò.

Morgan scosse di nuovo la testa, decisa. «No» ripeté.

Tony nascose un sorriso: sua figlia era orgogliosa e desiderava cavarsela da sola, proprio come tutti gli Stark. Aveva preso qualcosa anche da lui, allora. Si decise a lasciare perdere. «Sono appena stato con Peter, sai?» esordì, cambiando discorso. «Ha centrato un bidone e si è spiaccicato contro una parete» aggiunse, scimmiottando comicamente il rumore della caduta.

Morgan scoppiò a ridere. «Ma sta bene, vero? Si è fatto male?» domandò.

«Sta benissimo» la rassicurò lui. «Sta così bene che stasera cenerà con noi. Sei contenta?».

La bambina si illuminò di colpo. «Oh sì, che bello!» esclamò entusiasta. «Devo fargli vedere i miei giocattoli nuovi! Viene subito?» si affrettò a chiedere.

Tony scosse la testa, divertito dalla sua reazione. «No, ci raggiungerà più tardi. Adesso andiamo a casa e lo aspettiamo, d’accordo?». Un attimo dopo, un’intuizione gli attraversò la mente. Dopotutto, non dovevano per forza rientrare subito. «Anzi, sai cosa ti dico? Mi è venuta voglia di un ghiacciolo. Che ne dici, Maguna? Pit-stop a Central Park con ghiacciolo incluso?» propose, conoscendo già la risposta.

Morgan alzò il pugno verso l’alto, euforica. «Sììì!» esultò.

Tony rise apertamente, preparandosi a svoltare al prossimo incrocio. Neanche per un istante aveva avuto dubbi: i ghiaccioli, osservò, vincono sempre.

***

Tony parcheggiò l’auto sullo spiazzo accanto alla casa e scese, per poi aprire la portiera posteriore e slacciare la cintura di Morgan. La bambina balzò a terra e saltellò allegra in direzione dei gradini che conducevano alla porta. Tony la seguì con calma, il volto disteso in un’espressione serena. Salì a sua volta i pochi scalini e si fermò un’istante sulla veranda, guardandosi intorno: la luce del tramonto illuminava dolcemente le cime degli alberi, che si riflettevano in mille sfumature dorate sul laghetto placido che costeggiava lo chalet. Era uno spettacolo meraviglioso, pensò, di cui non si sarebbe mai stancato. Si riscosse scuotendo appena la testa, poi si apprestò a seguire Morgan e ad entrare in casa.

Pepper sedeva in salotto e teneva tra le mani alcuni documenti di lavoro; altri plichi ordinati erano disposti sul tavolino elegante di fronte a lei, mentre alle sue spalle la cena cuoceva lentamente sui fornelli. Morgan l’aveva già raggiunta e le sedeva accanto sul divano; stava finendo di raccontarle della scuola, esponendole con enfasi ciò che aveva fatto quel giorno. Dopo qualche istante si alzò, affermando di dover andare a preparare i suoi giocattoli per Peter. Pepper le sorrise e le accarezzò i capelli con affetto, per poi guardarla salire le scale entusiasta.

Tony le si avvicinò, baciandola sulle labbra. «Allora? Com’è andata oggi? Le Stark Industries sono sopravvissute ad una giornata senza di me?» indagò sornione.

Pepper sbuffò una risata, intrecciando le dita con le sue. «Guarda che prima che decidessi di riprendere in mano l’azienda, era una consuetudine non averti tra i piedi» ribatté, con evidente ironia. Poi il suo sguardo si fece più serio. «Domani abbiamo la riunione con il consiglio di amministrazione. Devi promettermi che starai buono e non darai di matto» intimò, lanciandogli un’occhiata eloquente.

Tony sbuffò e sciolse la stretta, per poi dirigersi ai fornelli. «Io odio i consigli di amministrazione» si lagnò.

«Beh, ti toccherà fare uno sforzo, temo» replicò Pepper divertita, iniziando a raccogliere tutti i documenti e a riporli con cura dentro a una ventiquattrore.

Lui non rispose, prendendo invece a sollevare i coperchi delle pentole e ad occhieggiarne il contenuto. «Mmh, che profumino» commentò, assaggiando la zuppa di mais e patate. Si bloccò con il cucchiaio a mezz’aria e si voltò verso di lei, lo sguardo attraversato da uno strano luccichio. «Sai, è un peccato che ci abbia pensato tu, alla cena» proferì. Strinse le palpebre, concentrato. «Questa sera mi sento in vena di sperimentare. Avrei potuto creare una nuova versione delle mie speciali omelette».

Pepper inarcò pesantemente un sopracciglio, avvicinandosi a lui. «Non mi sembra il caso di servire cibo radioattivo ai nostri ospiti» osservò candida, mentre prendeva un mestolo di legno dal contenitore delle posate.

Tony la guardò storto, vagamente offeso. «Noto che oggi le battutine sarcastiche si sprecano, signora Stark. Siamo particolarmente di buon umore?» la incalzò, avvolgendo la sua vita sottile tra le braccia.

Pepper rise divertita e continuò a mescolare, poi controllò ancora una volta la zuppa e spense il fuoco. Gli strinse il polso in una carezza affettuosa, allontanandolo infine da sé. «Dai, abbiamo poco tempo. Saranno qui a momenti».

Tony si spostò di lato e aprì uno sportello della credenza, estraendo con attenzione i piatti in ceramica. Cominciò ad apparecchiare la tavola, mentre lei si chinava e dava un’occhiata allo stufato che cuoceva nel forno. Poi lo raggiunse e lo aiutò a disporre posate e bicchieri.

«Quasi non mi sembra vero di poter vivere una vita tranquilla e normale» proferì Pepper dopo un po’. Tony sollevò gli occhi, osservandola con attenzione. Sentendo il suo sguardo su di sé, lei si strinse appena nelle spalle. «Beh, con la faccenda dei viaggi nel tempo e tutto quello che ti è successo, onestamente non mi aspettavo che filasse tutto liscio» ammise.

Tony annuì lentamente, inumidendosi le labbra. Spostò meccanicamente lo sguardo sul braccio destro, avvolto dal tutore, e di nuovo pensò che se l’era davvero cavata con poco. «Già. Abbiamo corso un bel rischio, però è andata bene» replicò, tornando a guardarla. «E questa volta, non manca niente. Abbiamo tutto quello che prima non avevamo» aggiunse.

Le labbra di Pepper si incurvarono in un sorriso gioioso. «È vero» concordò. Un lampo di sincero orgoglio gli attraversò lo sguardo e Tony sapeva che era profondamente felice che lui avesse deciso di lasciare il suo rifugio protetto per aiutare gli Avengers con i viaggi nel tempo. Se non lo avesse fatto, in quel momento un’atmosfera di dolore avrebbe senz’altro aleggiato tra di loro.

Era andato tutto bene: il mondo era salvo e loro stavano bene, erano ancora tutti insieme. Si rese conto di quanto fosse fortunato ad essere lì, vivo e vegeto, circondato dalla sua famiglia. Aveva rischiato tanto, per un attimo aveva creduto che non avrebbe più potuto vivere tutto questo; e invece ce l’aveva fatta e ne era valsa decisamente la pena. I suoi occhi indugiarono sul viso sorridente di Pepper: si ritrovò a considerare quanto fosse fondamentale per lui il loro rapporto, a come si fosse evoluto nel tempo, diventando sempre più importante e imprescindibile. Ripensò a come lei ci fosse sempre stata per lui, in ogni momento e in ogni circostanza, appoggiando con vigore ogni sua azione, anche la più sofferta. E capì che non avrebbe mai più voluto deluderla, che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per essere degno di lei e per non mettere più deliberatamente in pericolo la loro felicità. Avrebbe imparato a stare tranquillo, al suo posto, un passo indietro per poterne poi fare altri mille in avanti.

Il suono squillante del campanello si diffuse nella stanza, rompendo il silenzio. Pepper terminò di sistemare la tavola e si voltò. «Eccoli!» esclamò, per poi dirigersi all’ingresso e aprire la porta, salutando calorosamente i suoi ospiti. Peter entrò per primo, rispondendo al saluto con un sorriso entusiasta.

«Peter!» esclamò Morgan, facendo capolino dalla cima delle scale. Il ragazzo sollevò immediatamente gli occhi. «Ciao, Morgan!» proruppe, per poi fiondarsi a salire i gradini.

May varcò la soglia, in viso un’espressione radiosa: teneva tra le mani una torta e la salutò con un bacio sulla guancia. Happy entrò dopo di lei e si chiuse la porta alle spalle. Pepper prese la confezione colorata che May le porgeva e li invitò ad entrare con un sorriso allegro.

Tony rimase in disparte, ancora parzialmente immerso nei suoi pe nsieri: osservò la sua famiglia allargata ridere e parlare, ne constatò la felicità, la serenità. D’un tratto, gli riaffiorarono alla mente le parole di Yinsen, pronunciate ormai diversi anni prima ma ancora ben impresse dentro di lui.

Non sprecare la tua vita.

Non lo avrebbe fatto di certo, si disse: nonostante in passato avesse rischiato molto, d’ora in avanti avrebbe fatto tutto ciò che poteva per non metterla più in pericolo. Ne era sicuro.

Si riscosse con una lieve scrollata e si avvicinò, accogliendo May con un bacio sulla guancia e dando una sonora pacca sulla schiena a Happy. Peter scese in quel momento le scale portando Morgan a cavalluccio sulla schiena, entrambi in preda alle risate. Pepper gli passò accanto e lui le diede un rapido bacio a fior di labbra, per poi prendere posto a tavola.

Fecero tintinnare i calici, brindando con gioia. Tony aiutò sua moglie a distribuire i piatti fumanti e rivolse un sorriso a sua figlia, che parlava concitata con Peter, lo sguardo acceso. Sentì nettamente la felicità invadergli il cuore: non c’era nessun altro posto in cui avrebbe voluto trovarsi, per nessuna ragione al mondo.

Tutto sommato, rifletté, ricominciare da zero ed essere solo Tony Stark non gli sembrava affatto male.
 

 
“I might find it waiting in the corner
Somewhere in the dark
If I could go, go to where it all began
Yes, I would take it back to the start”

Back to the Start – Michael Schulte




Note:
[1] Si tratta dell’associazione per la quale May lavora in Spider-Man: Far From Home, alla quale ho accennato anche nel capitolo 9.

[2] Il Midtown West School è una scuola elementare situata a Midtown, Manhattan. La scelta è del tutto casuale.



Ciao a tutti! Sono leggermente in ritardo, ma… ecco a voi l’ultimo capitolo della mia raccolta, il “bonus”. È un What-if?: ho provato ad immaginare come sarebbero andate le cose se Tony non fosse morto in seguito allo schiocco. Come avrete notato, il capitolo si pone in contrasto con il nono, che invece si rifà per filo e per segno ai fatti di Endgame: se in quell’occasione ho sentito il dovere di approfondire quella specifica e triste prospettiva, in questa ho tentato di ribaltare gli eventi, nella vana illusione di fingere che le cose siano andate diversamente. Ho cercato di ricreare l’happy-ending che avrei voluto vedere per Tony, permettendogli attraverso la scrittura di vivere quel futuro che meritava senza alcun dubbio; in cuor mio, è così che doveva andare. Lascio a voi la libertà di scegliere quale dei due finali prendere per vero.
 
Passando a questioni più “tecniche”, mi sono scervellata un sacco per trovare un escamotage che permettesse a Tony di sopravvivere in qualche modo e alla fine sono arrivata a questa soluzione: l’idea, cioè, che l’energia combinata di più reattori Arc potesse riuscire a contrastare il potere delle gemme in modo da salvargli la vita. Che le gemme emanino soprattutto raggi gamma lo dice proprio Banner in Endgame, tutto il resto è una mia congettura. Non so quanto questo possa essere attendibile, ma vabbé… fate finta che lo sia. Dunque, Tony sì sopravvive, ma con conseguenze evidenti soprattutto dal punto di vista nervoso: il suo cervello è compromesso e non può più indossare l’armatura senza rischiare di morire. Mi piaceva l’idea che si salvasse, ma che allo stesso tempo perdesse irrimediabilmente qualcosa di molto prezioso e così è: in sostanza, deve forzatamente rinunciare a ciò che lo ha definito e cambiato nei precedenti quindici anni. Significa, ancora una volta, ripartire da zero, ricominciare da capo.
 
Il capitolo si focalizza sugli affetti più cari di Tony, in una sorta di carrellata conclusiva: Tony ha iniziato a seguire concretamente Peter e a dedicare più tempo a Morgan e a Pepper, tornando inoltre a farsi un po’ più carico delle Stark Industries. Piccolo appunto su Scott: niente contro di lui, la battutina è stata fatta non per screditarlo, ma perché, conoscendo Tony, immagino che continui in più occasioni a sfottere chi in Civil War stava dalla parte di Capitan America.
 
Ed eccoci alla fine di questo viaggio che per me ha significato davvero molto. Ci tengo a ringraziare di cuore tutti coloro che hanno seguito, recensito o semplicemente letto la mia storia. Ma il ringraziamento più speciale e sentito va sicuramente a Leila91, alla quale ho dedicato il capitolo: ti sarò per sempre grata per tutto il supporto e per le meravigliose parole che hai speso per me ♥ non potevo sperare in un tifo migliore. :* L’altra dedica è invece per Rosmary, autrice davvero straordinaria: se in tutti questi anni non ho mai abbandonato definitivamente Efp è solo merito tuo e delle tue splendide storie ♥
 
Sono davvero felice di essermi messa alla prova con questo importante progetto. Non so se scriverò ancora (penso di essere più portata per la lettura che per la scrittura), ma… chissà. Magari avrò qualche altra illuminazione improvvisa e tornerò a riempire pagine su pagine di parole. Per il momento, è un arrivederci. Grazie a tutti, di nuovo ♥
 
Iander

 

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