Sei di picche, due Re, due Regine e... due di cuori

di Merry brandybuck
(/viewuser.php?uid=1153850)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pastiglie, sigarette e chiacchiere sul tetto ***
Capitolo 2: *** Piste da seguire e giochetti ***
Capitolo 3: *** Vodka, risse e questura ***



Capitolo 1
*** Pastiglie, sigarette e chiacchiere sul tetto ***


Sei di picche, due Re, due Regine e… due di cuori

Capitolo 1: Pastiglie, sigarette e chiacchiere sul tetto

 

Il campanello trillò tre volte. I nove abitanti dell’edificio erano a casa perché Maedhros aveva un febbrone da cavallo e da circa due settimane era a letto, in preda ai deliri; sua madre scese ad aprire la porta, sapendo già chi si sarebbe trovata sull’uscio: Fingon F. Nolofinwion.

 

Il ragazzo sembrava essere invecchiato di trent’anni: le sue normalissime rughe d’espressione si erano fatte più marcate, gli occhi blu scuri erano lucidi e gonfi, i capelli erano sporchi come tutto il resto del suo corpo ed erano scarmigliati, il volto era smagrito e la pelle era grigia, una maschera di cera; nel complesso sembrava stesse per svenire ai suoi piedi. Anche lei era stanca, ma il giovane aveva realmente subito un tracollo “ Amore della zia, come hai fatto a ridurti così ?” la voce le uscì a fatica, probabilmente perché stava fingendo di avere la situazione sotto controllo; non si era nemmeno resa conto di averlo apostrofato con un epiteto tutt’altro che appropriato, ma fa niente. L’altro le rispose in un singhiozzo “ Stia tranquilla: sono solo in pensiero per Mae, tutto qui” la donna sorrise, comprensiva, e gli mise una mano sulla spalla: “ Ho sette figli, riconosco quando qualcuno dice una bugia; immagino che i tuoi genitori non sappiano che stai messo in queste condizioni, giusto ?” Lui annuì; la scultrice lo prese per mano e lo condusse nell’atrio “ Adesso vai di sopra e ti lavi che ti si sente anche a 50 chilometri di distanza, poi che ne dici di passare la notte da noi ?” aprì l’anta di un armadio e ne tirò fuori un accappatoio celeste; glielo appese ad un avambraccio e poi lo lasciò andare di sopra.

 

Findekano si sentiva sempre a disagio a girare per la villetta della famiglia Fëanor senza la compagnia di Nelya o di Ty perché non era sempre stato ben visto dagli altri giovani: soprattutto dopo l’ultima volta che Kurvo gli aveva preso di nascosto il cellulare e aveva scoperto le sue chat con il maggiore… Salì le scale silenziosamente, reggendosi al corrimano, e percorse il corridoio quatto quatto; sentì un’imprecazione partire dalla prima stanza a sinistra: si precipitò a vedere cosa era successo, si fermò sulla soglia e buttò dentro la testa. La scena che gli si prospettò davanti era strana anche per quei matti: Carnastir, in canotta bianca e jeans, stava sbraitando contro Curufin, vestito di tutto punto, mentre quest’ultimo tentava vanamente di distribuire le carte per giocare a poker “ Sei diventato così stupido da non riuscire a dare una mano di carte ? Dimmi allora per quale stramaledetto motivo giochiamo a Teresina se non conosci i fondamentali !” Si alzò di scatto e solo in quel momento si accorse che il cugino era sul passo; quando gli fu davanti rimase fermo un paio di secondi, fece la sua solita espressione iraconda mista ad infastidita ( al suo interlocutore sembrava un cavallo con le froge dilatate) e poi gli puntò l'indice sul petto: “ Levati di mezzo, sei sempre tra i piedi, perennemente attaccato alle gonne di mio fratello !” Il corvino rimase un attimo sorpreso dal tono brusco, ma si trovò ancora più scosso dopo che l’altro gli diede un ceffone in pieno volto; si spostò, involontariamente, dal passaggio e si ritrovò a barcollare fino all’ingresso di un’altra camera: diede un veloce sguardo all’interno. I gemellini Amrod e Amras erano seduti per terra e stavano esaminando il contenuto di una scatola che avevano rovesciato; il ventitreenne si avvicinò e si inginocchiò al loro fianco per capire cosa stessero osservando con così tanta attenzione: sul pavimento c’erano due diari, delle matite colorate, dei bozzetti, delle lettere, due spade di legno e un paio di vecchie Nintendo: “ Bambini perché avete messo in disordine ?” chiese e subito si pentì: come aveva fatto a pronunciare quella frase così odiosa che gli diceva sua madre quando era piccolo ? Non è che si stava trasformando in lei ? ebbe un brivido. I bimbi girarono un attimo il capo e poi ripresero la loro contemplazione “ Stiamo guardando le cose che ci ha regalato il fratellone o, come dicono i grandi, i ricordi che ci ha lasciato” Fingon si spaventò: quella coppia di pesti era sempre stata pazza e scatenata, ma adesso stavano dicendo parole troppo serie per i loro nove anni “ Ma Russo è qua sopra: potete andare a trovarlo quando volete, basta salire una rampa di scale...” i due incrociarono le gambe “ La mamma dice che non possiamo vederlo” “ E perché ? Sta tanto male ?” questionò l’altro, preoccupato “ Sì, ma non è per questo… Mami non lo dice a noi; ne parlava l’altra sera con papà, mentre eravamo sotto il tavolo: lei dice che non dobbiamo vedere com’è conciato Mag Mag…” il più grande li accarezzò sulla testa: “ Voi state calmi: vi prometto che entrambi torneranno presto a giocare con voi” Poi si alzò e se ne andò; adesso che gli avevano messo la pulce nell’orecchio, era maggiormente intenzionato ad andare a vedere di persona quello che stava accadendo, quando qualcosa lo afferrò per la chioma e lo strattonò all’indietro: provò a girarsi, ma non fu necessario dato che riconobbe subito l’odore di cannella e biscotti al cioccolato che aveva avuto nelle narici ogni giorno fino alla fine della quinta superiore. “ Celegorm !” Il biondo rise: “ Vedo che ti ricordi ancora di me: da quando ti sei trasferito per andare all’università non sei più venuto a trovarmi; perché, Fin’ ?” Intanto gli cinse il collo con un braccio e continuò a prenderlo bonariamente in giro; l’amico notò compiaciuto che non era cambiato di una virgola: sempre gli stessi riccioli colore del grano, le iridi azzurre, il sorriso sfacciato, il telefono nella tasca anteriore dei calzoni e il tatuaggio verde sul bicipite. Vedendo che l’ex compagno di banco cercava spiegazioni e non gli dava corda, il Fëanorion tirò un sospiro: “ Sei qui per lui, giusto ?” Gli fece un cenno affermativo: “ So che non mi lascerai in pace se non vuoto il sacco, quindi eccoti la nuda e cruda verità… Ha iniziato a sentirsi male la sera del 7 quando era ancora a casa sua; il giorno dopo ha deciso di andare comunque al lavoro, anche se già gli era difficile stare in piedi: infatti la mattina del 9 Mako era al bancone del negozio di dischi e ha ricevuto una chiamata in cui gli diceva che non aveva la forza di muoversi e gli chiedeva di venire ad aiutarlo. Non c’era certamente la possibilità di lasciarlo da solo in quelle condizioni, ma portarlo nell’appartamento del musicista non si poteva perché è già piccolo e in più ha degli inquilini, io praticamente vivo nel campus, allora ci siamo detti portiamolo a casa di Ma’ e Pa’, lasciamolo lì una settimana fino a che non si riprende e poi pace, amen; peccato che sono quattordici giorni esatti che ha la febbre a 40 senza variazioni e nessuno capisce per quale motivo: lo abbiamo portato dal medico e ha detto che non era nulla. Adesso siamo tutti tesi e impauriti perché non sembra intenzionato a migliorare: Curufinwe non riesce più a giocare a carte ( e sai quanto ci guadagnava in termini economici ), Moryo è diventato ancora più insopportabile del solito, i piccoli non hanno alcuno svago visto che le scuole sono chiuse per le vacanze estive e non hanno amici qui nel quartiere, mentre invece Kano è andato proprio fuori di melone” “ In che senso ?” “ Seguimi e vedrai” il giovine salì gli scalini di legno fino all’ultima porta che sembrava essere l’accesso ad uno spazio buio; l’ospite sapeva benissimo che quella era la “ cameretta” di Maitimo: conservava dei ricordi, diciamo, piuttosto caldi di quel posto… L’amico mise mano alla maniglia e provò ad aprire, ma con scarso successo: “ Mag, Maag, Maaag… MAAAG !” Dall’altra parte qualcuno gli rispose biascicando: “ Idiota, guarda che è aperto” riprovò di nuovo e l’antone si spalancò con uno scricchiolio sinistro; il flavo si diresse verso la finestra e sollevò la tapparella: la luce inondò la stanza, illuminando uno spettacolo pietoso. Russandol era sdraiato nel giaciglio, avvolto nel lenzuolo, con una pezza sulla fronte, la faccia bagnata dai sudori freddi, le gote arrossate, gli occhi chiusi, la capigliatura ramata raccolta in una treccia e incrostati di sporcizia, le labbra pallide e socchiuse, che emettevano gemiti e parole insensate; la camera era rimasta la stessa se non che tutt’intorno al letto erano disseminati dei contenitori di pastiglie, balsami, un termometro, piatti e posate, un catino pieno d’acqua e un tavolino: sull’ultimo era accasciata una palla di capelli mori. Il cugino si mise a raccogliere le scatole e a leggere le etichette: Tachipirina 1000, nurofen, voltaren, okiTask, Reinzina respirabene, spray Froben per la gola, Levotus, Toradol, Diazepam, rescue remedy e infine… pasticche di Citalopram; gettò uno sguardo al suo amico, che annuì tristemente: “ Mio fratello ha ricominciato con i medicinali” l’altro era allucinato: “ Ma sono dieci anni che ne aveva cessato il consumo” Maglor sollevò il cranio e si tirò su in una posizione passabilmente scomposta: “ Che volete ?” Le sue braghe erano sozze da far paura e la sua maglia dei Metallica era macchiata in più punti; anche il volto sciatto e stanco non aiutava “ Vi ho fatto una domanda” disse piccato; il fratello minore gli sussurrò qualcosa in un orecchio e questo strabuzzò gli occhi: “ TI SEI PER CASO BEVUTO IL CERVELLO ? MI SPIEGHI PERCHÉ LI DOVREMMO LASCIARE SOLI” rispose stizzito: naturalmente con tutto il casino che stava facendo, il malato se ne accorse e si mise a mugolare. Findekano andò nel panico “ Ma che accade ?” il moro mise un palmo sul viso del ragazzo e poi gli mise l’artefatto a mercurio sotto l’ascella; aspettati i dieci minuti di rito, estrasse l’aggeggio e lesse i risultati “ 39.1: è scesa rispetto a stamattina” fece un sorriso e poi diede una pacca sulla schiena del parente: “ Facciamo un patto: io vado a lavarmi, tu stai qui con Mae e poi quando torno vai tu in doccia, d’accordo ?” L’erede di Fingolfin non se lo fece ripetere e quasi buttò fuori gli altri due a pedate; quando se ne furono andati, si sedette sulla sponda del materasso e prese ad accarezzare le orecchie del suo amato, sussurrandogli a fior di pelle: quel profumo speziato e quella cute bollente gli fece tentare la pazzia di sdraiarsi al fianco del ventisettenne e di accostare le sue guance a quelle del compagno “ Anche da malato rimani sempre bellissimo Maitimo” l’altro improvvisamente aprì gli occhi, lo mise a fuoco e poi gli lanciò uno sguardo felice: “ Non ci posso credere: sei tornato Fin’...” mormorò, febbricitante; gli schioccò un bacio a fior di labbra e richiuse stancamente le palpebre. Subito dopo l’attimo di coscienza del fulvo, Makalaurë rientrò in stanza, fregandosi i capelli bagnati con uno strofinaccio, beccandolo con le mani nel sacco: “ Non riesci a stargli staccato neanche a pagare oro, vero ? Sei solo fortunato che non lo dica a mio padre; adesso fila subito a lavarti”.

 

Il giovane si ritrovò a guardarsi nello specchio del bagno aspettando che l’acqua si scaldasse a sufficienza ( aveva scelto la temperatura preferita di Kanafinwe, contrassegnata da una striscia di smalto ceruleo), intanto che si scioglieva le trecce; si soffermò a guardare le piastrelle plumbee, nascoste dai pigiami dei componenti della famiglia. Il cellulare mandò il suono di una notifica: Turco gli aveva mandato un messaggio su whatsapp: “ Non finire l’acqua calda; il babbo uscirebbe dalla grazia di Dio. Stasera per cena c’è l’insalata di riso della mamma” si buttò immediatamente in doccia: il signor Curufinwe, comproprietario e capo generale della sezione di Sviluppo e Ricerca sui prototipi della Noldor, non lo aveva mai preso in simpatia per via dei litigi che aveva avuto col fratellastro, quindi era meglio non farlo arrabbiare se non voleva trovarsi col fondoschiena sul marciapiede. Il getto rovente gli investì la schiena; dopo una prima sciacquata doveva scegliere quale shampoo usare: annusò la fragranza delle sei boccette dei figli e optò per usare quella del Fosco. Se ne versò un pochino sul palmo se lo passò sui capelli; non avendo tempo di riflettere sul senso della vita si sciacquò e uscì: si vestì in fretta e furia, si asciugò la chioma, si fece le trecce e corse fuori dal bagno. Quando la genitrice lo vide correre in cucina al pian terreno si mise a ridere: “ Vai piano; mangeremo tra mezz’ora: intanto tu vai ad aiutare quegli scalmanati a mettere in ordine” non gli rimase che obbedire; risalì i due piani di scale e si occupò di aiutare i bambini a pulire le loro camere. Dovette stare molto attento a non rompersi la schiena e a non farsi uscire un’ernia a ventitré anni, perché i piccoli continuavano a saltargli addosso; si chiedeva come Maedhros avesse fatto a sopravvivere per molto più tempo di lui a sei fratelli minori: glielo avrebbe sicuramente chiesto quando si sarebbe ripreso. Portò il suo ausilio anche a Mag, che gli stava preparando un sacco a pelo nella camera che condivideva col primogenito; misero a posto e poi provarono a ridare un certo contegno al degente: pulirono il suo viso, cercarono di lavargli il capo e gli misero una veste pulita. Finalmente quando la luce stava iniziando a cambiare, Nerdanel chiamò tutti a tavola: halleluja, si mangia.

 

Il pasto non fu propriamente piacevole: il capofamiglia continuava a guardarlo in cagnesco, Kanafinwe non era venuto, Atarinkë continuava a girare una carta di picche tra il pollice e l’indice, Caranthir sembrava ancora più minaccioso con le cicatrici che la boxe gli aveva lasciato in faccia e senza Nelyafinwe l’atmosfera era glaciale. I gemelli non davano segno di accorgersi di nulla, mentre la madre e Tyleko cercavano in tutti i modi di metterlo a suo agio, con scarsi risultati: quando aprivano un argomento di conversazione nessuno si dimostrava un minimo collaborativo; in sintesi la cena fu un vero fallimento. Subito dopo aver sparecchiato, il moro stava andando nuovamente a controllare il suo “Moroso segreto” quando la donna lo fermò: “ Vedi da solo che siamo in una situazione difficile; chi mi preoccupa di più però è Mako: conto su di te per farlo rinsavire” lo aveva guardato dritto nelle orbite, facendolo sentire ancora più a disagio di quanto non lo fosse già; lui giurò anche se non capiva bene cosa dovesse fare. Quando spalancò la porta della stanza vide che la finestra che dava sul tetto era aperta; simultaneamente la sua mente creò vari scenari possibili e si ritrovò ad urlare “ Oddio mio, che cos’ha fatto ?!?” Buttò il naso fuori dal davanzale, già pronto a vedere un cadavere steso in terra, ma tirò un sospiro di sollievo: Maglor era seduto sul tetto, coi piedi poggiati sulla grondaia, la scatola dei suoi farmaci a fianco e una sigaretta stretta tra le labbra; il suo profilo scuro era in contrasto con le luci calde del tramonto e i suoi capelli neri ancora umidi gli davano quell'aria da poeta maledetto che lo aveva sempre contraddistinto. Il giovane si calò piano piano e si avvicinò “ Posso sedermi qui con te ?” chiese “ Fai quel che vuoi, basta che non caschi di sotto” gli rispose quello tra una boccata e l’altra; si sfilò di tasca un pacchetto della Marlboro e gliene offrì una: Fin’ non rifiutò “ Cosa c’è che non va ?” il ventiseienne rise “ Tutto. Non mi sentivo così male da quando mi costringevano ad andare sul Tagada; ti ricordi ? C’eravate tu, Ty e Turgon tutti gasati e io che dovevo farmi portare in braccio da Russandol…” rise “ Puoi essere un po’ più specifico, per favore ?” non gli era mai piaciuto lo stile enigmatico del cugino; questo sospirò “ Per prima cosa Mae sta da schifo e non riesco a farmene una ragione; due, vogliono espropriarmi del negozio: tre, nostro padre ha rincominciato con la storia della ragazza” “ Cosa ?” “ Adesso è il turno Celegorm: sai che a ventitré anni mio papà aveva già un lavoro stabile, una moglie e un figlio, bla bla bla… Ecco nessuno di noi gli ha ancora dato dei nipoti e lui se ne è fatto un cruccio: continua a dirmi che devo trovarmi una fidanzata e fare un figlio al più presto. Eccheccazzo ! Se davvero vuole un erede perfetto che lo chieda a Curvo !” Il suo interlocutore si grattò il mento “ Ma lui ha solo quindici anni…” “ Chissene” sbuffò l’altro, spegnendo la cicca su una tegola “ Mi sono rotto di essere una bambolina che il babbo comanda a bacchetta ! Vorrei una vita tutta mia !” “ Se evitassi di strillare lo zio non ti sentirebbe” “ E IO VOGLIO CHE TUTTO IL MONDO SAPPIA CHE DA OGGI SONO UN UOMO NUOVO, CHE RIESCE A NON VERGOGNARSI DELLE SCELTE CHE HA PRESO E HA PORTARE AVANTI TUTTI I SUOI SOGNI !” Si era alzato in piedi e agitava le braccia, come impazzito; fortunatamente il parente lo fece acquietare prima che si facesse del male “ Sai che sono d’accordo con te ?” un’espressione di gioia si dipinse sulla faccia dell’amico “ Per la prima volta da mesi sono felice; raccontami un po’ di te. Come te la passi ?” La loro serata fu fantastica; rientrarono solo quando fuori fu buio pesto: il giovine si buttò nel suo giaciglio provvisorio e si mise a pensare. Ma perché tutti evitavano di parlare della sua “ non-relazione” ? Forse si vergognavano, la ripudiavano, la trovavano controversa ? Oppure sostituivano la parola Amore con la parola Incesto ? Probabilmente anche Mae si vergognava di loro due, dei loro baci, di tutte le carezze che si erano dati, di quello che c’era tra di loro. Strinse forte la mano del suo amato e guardò il soffitto: aveva troppi dubbi da risolvere in una sola notte, meglio rinunciare; annusando quell’odore che lo calmava e gli rendeva tutto possibile, si addormentò.

 

La tana della scrittrice 

Hi ! How are you ? Preciso che non ho ricevuto alcun pagamento per nominare le marche scritte nel testo: comunque eccoci qui con una Russingon ( lo so che la stavate aspettando impazienti); non c’è molto da dire, quindi… mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento. Saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

Merry

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Piste da seguire e giochetti ***


Capitolo 2: Piste da seguire e giochetti

 

Quando Fingon aprì gli occhi capì che qualcosa non andava; si tirò a sedere ancora intontito e, guardatosi intorno, vide il lenzuolo del fulvo abbandonato ai piedi del letto: si alzò e stava per riavvolgere il corpo dell’amico, ma d’improvviso si mise ad urlare spaventato. Immediatamente Maglor gli fu accanto e anche lui rimase atterrito alla vista di quella scena; lo prese per le spalle, tentò di scuoterlo e poi si scapicollarono giù per le scale: dovevano chiamare aiuto. In corridoio era ancora buio e per la fretta i due inciamparono, finendo lunghi distesi per terra; si rimisero in piedi e corsero verso la camera degli adulti: spalancarono la porta con così tanta foga che sembrava volessero scardinarla. I coniugi, che stavano dormendo abbracciati e avvolti nelle lenzuola candide, non si accorsero di nulla fino a che i ragazzi non li strapazzarono per svegliarli: il signor Curufinwe aveva assunto uno sguardo tutto fuorché tranquillo: “ Allora, due immensi deficienti, vi pare normale venirci a svegliare con tutto questo malgarbo alle cinque di mattina di una domenica di Luglio !” I due non sapevano se continuare a essere cortesi o se mandarlo a quel paese per l’epiteto che aveva usato; comunque il suo tempo di reazione velocissimo ( un vero record per il Nolofinwion, abituato al suo genitore che ci metteva un quarto d’ora a formulare una frase di senso compiuto senza ricorrere ad una tazza di caffè) li stupì tanto che dovettero sostenersi a vicenda per non barcollare: il Feanorion buttò fuori l’aria dai polmoni con uno sforzo immane: “ Padre… Maedhros è sparito !”

 Nerdanel balzò in piedi, atterrita; intanto anche gli altri fratelli erano accorsi per via del rumore e stavano radunandosi davanti alla soglia: pure l’uomo era leggermente spaventato. “ Che cosa intendete ?” chiese con crescente apprensione. I due lo tirarono per un braccio fino a quando non furono nella stanza; la scultrice entrò per prima e quando vide il giaciglio vuoto non si sconvolse troppo: “ Non vi ha sfiorato l’idea che possa essere uscito dall’ingresso proprio come avete fatto voi ?” Curufin era troppo infastidito per poter partecipare alle ansie degli altri presenti: il cugino si strinse il setto nasale in preda allo sconforto: “ Il problema è che Kano aveva chiuso la porta a chiave dall’esterno e io avevo chiuso la finestra !” Celegorm, ancora troppo intontito per capire la situazione, si appoggiò alla parete: “ Ma perché avreste dovuto fare una cosa del genere ?” Makalaurë si grattò il capo imbarazzato: “ Sai che Fin’ soffre di sonnambulismo ? Ecco, mi sono detto che visto che Nelyafinwe aveva la febbre alta da tanto tempo, non pensavo che si riuscisse ad alzare in un battito di ciglia e che al massimo il nostro amico qui presente se ne sarebbe accorto, quindi per essere sicuri che nessuno gironzolasse per casa in piena notte ho chiuso a chiave; solo stamane, quando ho sentito un grido, sono corso di qui e ho aperto”. La ramata dovette sedersi un attimo a riflettere: i ragazzi erano ancora sotto shock; il padre si mise a misurare a grandi passi la stanza: “ Allora, o nostro figlio è diventato il mago Houdini oppure quello scellerato è stato aiutato da qualcuno” e puntò il dito contro il nipote; la moglie lo fulminò con lo sguardo: “ Tesoro piantala con queste tue stupide insinuazioni; in più non ti permetto di apostrofare così il nostro bambino” quello sbuffò esasperato: “ Amore mio, tesoro della mia vita, luce dei miei occhi devi capire che quello che ti ostini a chiamare “ bambino” adesso ha ventisette anni !”…

Intanto i gemelli si erano avvicinati al davanzale; si erano chinati a osservare qualcosa sul pavimento quando si scostarono improvvisamente: “ M-m-mami, Pa-pa-papi… venite a vedere” Tutti si avvicinarono e videro che i piccoli avevano ragione ad essere timorosi: sul parquet c’era una chiazza abbastanza larga di sangue semi-rappreso e delle impronte della stessa sostanza erano ben visibili sul telaio della finestra. Il cugino appoggiò un indice su una delle tracce e lo strisciò; una lunga scia rossa evidenziò il suo percorso: era ancora fresco. Questo attirò l’attenzione di tutti i presenti: i più piccoli scapparono tra le braccia dei genitori, i due mori provarono a mantenere la calma, mentre il castano e Tyleko cercavano di capire come seguire il fulvo; era scontato che fosse andato sul tetto ( anche se non si sapeva bene per quale stramaledetto motivo), ma essendo appena stato malissimo nessuno si capacitava di come avesse potuto mantenere un equilibrio tale per non cascare di sotto. Un altro dubbio che attanagliava le viscere di tutti era dove si fosse diretto il loro caro fuggitivo: non poteva andare da qualche amico perché il più vicino abitava a tre miglia dalla loro abitazione e che fosse andato verso il centro città era escluso, perché era in pigiama e non era suo solito farsi vedere in disordine. I più agili dei giovani provarono a uscire e a percorre la via, ma la loro madre li bloccò “ È troppo pericoloso per voi, vado io” il marito le diede una mano a uscire e i suoi figli corsero al piano inferiore per aiutarla eventualmente a scendere: e fu così che alle sei e mezzo del mattino nel quartiere di via Tirion si vide una splendida dama dai capelli rossi in camicia da notte in piedi su un tetto. Lei si calò con incredibile destrezza tenendosi aggrappata alle tegole e in poco tempo la videro appesa alla grondaia; il secondogenito aprì le braccia per prenderla al volo, ma ella riuscì ad atterrare sulle proprie gambe: vedendo il suo erede che era rimasto lì con un palmo di naso e un'espressione da ebete, gli battè una mano sulla spalla: " Bimbo mio, ricorda che i tuoi genitori erano due acrobati quando avevano la tua età". 

La pista marchiata da quello che prima era cruore proseguiva dietro l’edificio, stando appresso alla bianca parete, ma senza sporcarla; davanti a essa stavano un prato molto grande in alcuni punti inaridito dalle troppe volte in cui era stato calpestato, un tavolo di marmo, due panche, un paio di betulle altissime e un faggio di dimensioni impressionanti: Fëanaro era stato un vero portento nel progettare e realizzare tutta la magione. Findekano rimase sorpreso di quanto bene si rammentasse quel giardino e dei suoi profumi deliziosi; prese un respiro mentre abbassava le palpebre fino a che il cielo aranciato non sparì: concesse alla sua mente un brevissimo momento per vagare nei suoi nostalgici ricordi… Maitimo aveva sedici anni ed essendo già molto responsabile per la sua età gli erano stati affidati i fratellini e i cuginetti: “  Apri la bocca e manda giù” aveva detto, con tono materno, a Makalaurë intanto che gli metteva una pastiglia antidepressiva sulla lingua: naturalmente il quindicenne lo aveva guardato infuriato ma mantenendo sempre gli occhi catatonici come da un po’ di tempo a quella parte per colpa della sua leggera depressione; poi entrambi si avvicinarono al tavolo dove Carnastir stava studiandosi l’intero programma della seconda elementare per recuperare le insufficienze ( già all’epoca odiava studiare) mentre Curufinwe, essendo nato da solo quattro anni, aveva ancora la libertà di passare la giornata a pasticciare un foglio. Lui e Celegorm stavano giocando a calcio e Turgon stava leggendo, nel frattempo che Irissë si rotolava sul prato; il biondo era agguerrito e calciava la palla così forte che rischiavano che finisse oltre la recinzione: il flavo non era mai stato conosciuto per la sua moderazione ed era molto facile che esagerasse in qualcosa. Ma il corvino era ancora ignaro di ciò che stava per accadere: l’adrenalina e l’euforia gli montavano dentro insieme all’idea di non poter perdere; mentre il vento gli scorreva tra le ciocche della chioma mora si guardava intorno cercando di vedere se il rosso di cranio lo stava osservando. Era pronto a battere il suo migliore amico ed esultare; scorse di sfuggita il suo compagno di banco che caricava a testa bassa come un toro e formulò un piano: sarebbe arrivato a meno di un metro dall’avversario, gli avrebbe levato il pallone e poi si sarebbe scansato. Aveva velocizzato il passo e si era lanciato verso il suo nemico; aveva quasi messo il piede in fallo, ma era riuscito a rimanere sul suo percorso: peccato che per colpa di questo disguido aveva perso di vista ciò che stava facendo. Infatti quando aveva rialzato il volto non aveva fatto in tempo a spostarsi che il cugino gli era venuto addosso con la stessa potenza di un treno merci; si erano scontrati, tirandosi una testata di dimensioni epiche: il ramato, che aveva assistito alla scena senza riuscire a evitare il disastro, era subito corso in loro aiuto: “ Olè sapevo che vi sareste tirati una craniata ! Ci avrei scommesso l’anima ! State bene ?” Aveva messo le mani sulle loro fronti e tastandole aveva cercato di capire se si fosse rotto qualcosa; suo fratello aveva cominciato a ridere e il biondo aveva iniziato a fare il ragazzo forte e senza paura che resiste al dolore: quando aveva provato ad alzarsi, gli era preso un capogiro e Maglor era dovuto venire a sorreggerlo e a portarlo in casa. Il Nolofinwion invece era rimasto seduto tenendosi stretta la testa; digrignava i denti nel tentativo di non mostrare quello che stava provando quando aveva sentito due dita che gli accarezzavano il mento: aveva incrociato lo sguardo del cugino che gli stava sfiorando la faccia: “ Ti fa ancora tanto male ?” I suoi occhi erano dolci e cercava di sembrare comprensivo ma al contempo non andare contro alle indicazioni dategli dal babbo “ S-s-sì…” il ragazzo lo aveva abbracciato e poi se l’era preso in collo; era rientrato al chiuso e lo aveva posato con la massima delicatezza sul tavolo: “ Ti va del gelato alla vaniglia ?” gli aveva chiesto, mentre era chino sul congelatore. Quando gli aveva annuito di rimando, il maggiore si era girato porgendogli un cono a due gusti e una busta di piselli congelati; quest'ultima gliel’aveva messa sopra il livido per dargli un po’ di sollievo: “ Meglio ?” “ Sì, grazie Mae” in risposta un sorriso grande come il mondo: “ Non ringraziarmi: sei il mio migliore amico, farò sempre di tutto per renderti felice e alleviarti le sofferenze” e detto ciò lo aveva tirato a sé: Fin’ per la prima volta si era sentito davvero al sicuro, stretto tra le braccia di una persona che era sicuro volesse il suo bene; fu proprio quel giorno che il dodicenne aveva sentito qualcosa accendersi nel proprio cuore, qualcosa che avrebbe trasformato il suo rapporto con Russo, e riconobbe quel sentimento che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita…

Il giovane si ridestò dal suo torpore scuotendo il capo: era andato avanti per inerzia e si trovava ancora vicino agli zii e ai cugini; la scia di fluido si era interrotta o per lo meno si era trasformata in goccioline vermiglie, più difficili da seguire. Svoltarono dietro l’angolo della villetta; accostandosi alle finestrelle giunsero fino alla porta lignea della cucina: era spalancata. Avevano già capito perfettamente chi fosse lì dentro ma per non fare una figura barbina preferirono buttare dentro solamente il naso e poi, nel caso, entrare; tutti i presenti diedero una sbirciatina da dietro l’uscio e dovettero faticare molto per astenersi dal ridere: Nelyafinwe era in piedi vicino al lavello, vestito con dei pantaloni ed una maglia evidentemente della misura sbagliata ( calcolando che aveva i calzoni che arrivavano a mezzo polpaccio e la T-shirt che somigliava più ad un top che ad altro, non potevano certamente essere i suoi abiti), che aveva già preparato la tavola e stava cucinando la colazione per tutti. La madre non resistette e corse a lui “ Maitimo ! Ma allora stai bene !” Fece un saltello e il figlio dovette piegare le ginocchia per poter ricevere le carezze di lei; quando la donna si staccò, fu il turno dei fratelli che saltarono addosso al maggiore con tutta la forza che avevano: “ Maedhros, porca miseria; la prossima volta che mi fai prendere uno spavento simile giuro che prima ti curo e poi ti ammazzo !” Makalaurë era quasi in lacrime dalla contentezza, nel frattempo che gli altri si mettevano a tavola; anche il padre fece il suo ingresso e la sua reazione stupì tutti i parenti: prese la rincorsa e con un balzo abbracciò il primogenito. Rimasto coi piedi a penzoloni per via della considerevole altezza dell’erede, l’uomo solitamente anaffettivo prese ad accarezzarlo e a stringerlo: “ Il mio ragazzone finalmente sta bene; sono nuovamente sereno…  anche se dobbiamo chiarire un paio di cosette” lo mollò e si sedette con la sua naturale compostezza. Il capofamiglia iniziò il suo interrogatorio: “ So già da dove sei passato e della tua guarigione a dir poco miracolosa, ma mi chiedo perché lo hai fatto” il fulvo risolse con estrema facilità l’arcano: “ Stamane mi sentivo benissimo dopo la febbre, ma avevo fame; ho provato ad aprire la porta: era chiusa dall’esterno. Ho capito che c’era lo zampino di Mag, quindi ho deciso di usare la via più facile e sono uscito dalla finestra” l’adulto non sembrò del tutto soddisfatto e continuò: “ Secondo punto: perché il sangue in giro per casa ? Che adesso dobbiamo lavare pure le tegole” L’imbarazzo più totale: “ Nel tentativo di non svegliare il mio compagno di stanza…” Fingon arrossì quando incrociò lo sguardo del più grande: “ … mi sono mosso al buio e mentre aprivo la finestra mi sono dato la maniglia sul naso, che ha iniziato a sanguinare in maniera incontrollata” i riguardi del maggiore erano una panacea per ogni male e un palliativo per ogni malattia; il genitore si preparò per l’ultimo quesito: “ E ultimo, ma non meno importante: perché sei vestito come se fossi appena uscito da un circo ?” solo lui riusciva a dire una frase simile rimandendo perfettamente serio: “ I miei vestiti erano luridi quindi, sapendo quanto ti da fastidio vederci in disordine, sono andato in lavanderia a cercare qualcosa da mettermi: peccato io abbia trovato solo la roba di Curvo” il quintogenito si mise a strillargli contro ma venne zittito da dei pancakes caldi col burro; i piatti preparati  erano deliziosi e la compagnia era fantastica: il Valoroso respirò quell’aria meravigliosa e mentre si infilava una forchettata di cibo in bocca pensò di essere in pace e che nulla sarebbe potuto andare storto. Quella sensazione durò relativamente poco. 

 

Circa alle sei del pomeriggio qualcuno suonò il campanello; Nerdanel rimase un attimo di stucco nel vedere lo strano visitatore: Turgon T. Nolofinwion. Il giovane aveva la camicia letteralmente fradicia di sudore, i capelli mori legati in un’ordinatissima coda di cavallo e spiaccicati in testa, la fronte umida, gli occhi quasi neri che lasciavano trasparire una gigantesca furia, il viso tirato da un leggero fastidio e le occhiaie che gli arrivavano a mezza guancia: la scultrice cercò di rimanere il più gentile possibile: “ Il mio nipotino adorato ! Come stai ? Che ci fai da queste parti, gioia ?” Lui era rigido come una tavola anche dopo il tono amorevole che aveva usato: “ Zia, è un’emergenza: mio fratello Fin’ è qua da voi ?” “ Certo, tesorino; è arrivato ieri pomeriggio e sembrava preoccupatissimo per Nelyo: in più era anche trasandato all’indescrivibile quindi lo abbiamo tenuto da noi per la notte, pora creatura…” l’interlocutore rillassò i muscoli per un istante: “ Devo portarlo a casa: nostra madre è in pensiero” Intanto gli abitanti della villa accorsero ( tutti tranne Maedhros e il suo amico) e, appreso il volere del ventiduenne, mandarono a chiamare il cugino; Fingon arrivò, bello come il sole, ma quando vide l’espressione funerea del fratellino la sua gaiezza si spense. “ Dobbiamo andare…” gli venne intimato; prese la giacca dall’attaccapanni e, salutati i parenti, seguì il minore: improvvisamente sentì qualcuno afferrargli una mano e voltandosi vide Russandol: “ Vi accompagno alla macchina” il Saggio si era già incamminato: “ Sono venuto in bici” i due rimasero stupiti: il preferito di Nolo e odiava andare sulle biciclette e se lo faceva era solo in caso di estrema necessità. Appena svoltato l’angolo della via e controllato che il fratello fosse abbastanza lontano, Findekano spinse il fulvo contro un muro e lo abbracciò; si beò per qualche momento del calore emanato dalla pelle del maggiore e del suo profumo: gli baciò al volo quelle labbra carnose che finalmente avevano ripreso colore e gli sussurrò maliziosamente all’orecchio: “ Stai pur certo che non lascerò la città per molto tempo: verrò presto a trovarti, Maitimo”. Corse via, lasciando il rosso imbambolato; nel frattempo il minore aveva preso il suo veicolo e si era accomodato sul sellino. Il primogenito mise un piede sul portapacchi e si tirò su in posizione eretta, tenendosi alle spalle del secondo: si fidava a fare quella cosa solo se Russo o Turg erano alla guida, perché era sicuro che non avrebbero fatto frenate brusche o inchiodate; partirono in direzione della loro abitazione e la tensione era palpabile: “ Sei uno sconsiderato ! Un irresponsabile della peggior specie ! Pensa che la mamma stava pensando di chiamare le pompe funebri: un funerale costa dai 3000 ai 5000 euro… tu non c’hai manco i soldi per crepare !” Il corvino ebbe un brutto presentimento e si mise una mano in tasca; prese il cellulare e provando ad accenderlo, si rese conto che la batteria era morta: aveva dato un sacco di preoccupazioni inutili alla sua famiglia, era rimasto isolato per tutta un’intera giornata e non aveva guardato il telefono per altri due giorni, avevano ragione a essere arrabbiati. “ Abbiamo chiamato alla tua università e i tuoi compagni di stanza ci hanno detto che eri ritornato a casa; abbiamo cercato di contattarti tutto il sacrosanto giorno, FOTTUTISSIMO IMBECILLE, ci siamo presi una paura boia” “ Scusami, ero troppo in ansia e non ho pensato a ciò che facevo…” “ Delle tue scuse me ne interessa un emerito, se consenti; adesso avresti proprio bisogno di una calcolatrice” il suo tono era prettamente sarcastico: “ Perché, scusami ?” “ Per calcolare quanti storcioni ti tirerà il babbo, stupido beota !” Stavano quasi per urlarsi addosso, riempiendosi di insulti ( in realtà, Fin’ si subiva la cascata di ingiurie dell’altro) quando il guidatore si diede una calmata: “ Facciamo un giochetto, ok ?” L’altro era sotto shock: non aveva mai visto un cambiamento di emozioni così rapido, ma annuì timorosamente: “ Allora, io dirò una parola e tu me ne dirai un’altra che ti viene in mente; inizio subito: Paura” il maggiore pensò bene a cosa dire: “ Amore” “ Segreto” “ Cugino” “ Finrod” “ Mae” “ Incidente” “ Macchina” “ Strada” “ Municipio” “ Leggi” “ Governo” “ Trappola” “ Giochetto” la questione si chiuse lì: il Valoroso andò in panico al sol pensiero che il fratello avesse potuto anche solo immaginare qualcosa a riguardo della sua relazione; mentre si faceva prendere dall’incertezza, l’altro lo riportò alla realtà: “ Comunque Aredhel è stata invitata in una discoteca la prossima settimana: sai cosa vuol dire, vero ?” “ Piano family ?” “ Eh già” sogghignò quello. 

Si fermarono davanti ad una casetta ordinata e pulita; mentre scendevano sul marciapiede Turundo lo strinse tra le braccia: “ Fratellone, sono contento che non ti sia successo niente…” mormorò: “ Andiamo” lo esortò dopo qualche minuto; attraversarono la strada e si ritrovarono davanti al portone: Fingon prese un respiro per scaricare lo stress e battè qualche colpo sull’asse lignea. Non sarebbe sicuramente potuta andare peggio di così.

 

La tana della scrittrice 

Aloha kākou! Pehea 'oe ? Questo capitolo mi ha esaltato un minimo, ma penso che la bomba sarà il prossimo; per cortesia fatemi sapere nei commenti se vi piace questo stile di Russingon e se volete che continui la storia: non credo ci sia molto altro da spiegare, quindi… mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Vodka, risse e questura ***


Capitolo 3: Vodka, risse e questura

 

Sabato sera finalmente arrivò e Aredhel era già pronta per andare in discoteca; si era messa un vestito candido e i tacchi alti, si era acconciata i capelli e aveva preso i documenti: doveva pur dimostrare di avere diciannove anni per poter bere. Si diede un’ultima spazzolata alla chioma e si accinse a scendere al piano di sotto; era nel corridoio quando Turgon le si parò davanti, sbarrandole la strada: “ Dove intendi andare, signorinella ?” Lei emise uno sbuffo: “ Guarda che te l’ho già detto la settimana scorsa: vado in discoteca a ballare !” “ Non ho ancora l'alzheimer a differenza del nonno, me lo ricordo esattamente dove vai; intendevo dove stai andando senza di me” Improvvisamente apparve anche Fingon, facendo il suo ingresso con un elegante moonwalk: “ Non vi scordate di me” la ragazza aveva uno sguardo enigmatico spiccicato in faccia, che lasciava comunque trasparire la sua voglia di incendiarli; ma sapeva che non se li sarebbe mai tolti dalle corna tanto facilmente, quindi seguì la filosofia del “ se non puoi combatterlo fattelo amico”: “ Va bene ragazzi, avete vinto: andremo tutti insieme. Chi guida ?”. I due si scompisciarono dalle risate: “ Pensi davvero che papà ci lascerebbe prendere la sua macchina ?” chiese il maggiore, ancora piegato a metà; quella gli ribattè in modo sarcastico: “ Visto che il posto è dall’altra parte della città credo ci siano solo due alternative: la prima è andare in auto e la seconda è volare”; ancora ridacchiando andarono a prendere le giacche e, controllato di aver preso anche le chiavi, si avviarono a passo di marcia. Irissë si guardava in giro e dopo un susseguirsi marciapiedi, svincoli, incroci e semafori tutti uguali vide un cartello familiare; le venne un mezzo infarto quando percepì un sorriso diabolico sul volto del primogenito: “ Non ci serve diventare un aereo della Thorodhor per andare alla balera: ci basta solo chiedere alle persone giuste” Dopo aver svoltato l’angolo si ritrovarono davanti alla villetta dei Feanorians; la giovane ci avrebbe scommesso l’anima che anche i cugini avevano messo il naso dentro la questione e che pure loro sarebbero venuti, ma non se la prese: quella banda di matti portava sempre un po’ più di divertimento alle feste. Si stavano avvicinando quatti quatti quando un ululato strozzato uscì dall’edificio; allarmati, i Nolofinwions corsero verso l’ingresso credendo che qualcuno si stesse sentendo male e Turondo si attaccò al campanello come un ossesso: un trillo, due, tre di fila. Dall’altra parte si udirono dei passi e sull’uscio apparve Celegorm, bello come il sole e tranquillo come se fosse sotto effetto del Valium: “ Benarrivati ! Pronti per divertirc… ma cosa sono quelle facce ? Somigliate a uno che ha appena scorto un fantasma” nel vederlo così calmo, i corvini rimasero leggermente stupiti: la prima a riprendersi fu la minore: “ Come giustifichi questi gridi che provengono da casa tua ? Sembra che stiano sgozzando un maiale  !” il biondo sorrise, imbarazzato, e si grattò la nuca: “ Non è nulla di grave: come ogni anno Maedhros sta tagliando i capelli a Maglor e, come puntualmente accade, si sta consumando una tragedia greca” Con un gesto gentile li fece entrare; passando per l’ingresso, vicino allo studio, poterono sentire il Rondò alla Turca sparato a tutto volume, segno che il capofamiglia stava lavorando e che la moglie stava disegnando un progetto per una statua: evidentemente non volevano sapere nulla di ciò che avrebbero fatto i figli durante la serata. Salirono le scale e proseguirono fino a che non giunsero davanti alla porta del bagno; con una spintarella il flavo aprì e davanti a loro si prospettò uno spettacolo impressionante: Kanafinwe era seduto con la testa nel lavandino, i due fratelli più piccoli gli tenevano ferme le braccia e gli altri le gambe, mentre Nelyafinwe armato di forbici gli spuntava la chioma. Il musicista si lamentava in preda al panico e ad ogni lacrima mista a versi da morente il ramato gli rispondeva un po’ infastidito: “ Mag hai ventisei anni, porca miseria: già per me è difficile andare dritto se poi ti muovi è la fine ! Guarda, non ti sto tagliando manco un centimetro; non fare il bambino per cortesia !” Secondo Findekano, Russandol era ancora più bello con le guance rosse, il volto sudato, gli occhiali sulla punta del naso e la lingua tra i denti; così chino e concentrato gli sembrava un vero parrucchiere, di quelli che hanno studiato a scuola: era insolitamente sexy anche se così conciato. Quando si accorse di loro, li salutò distrattamente ma comunque cercando di far sembrare di avere la situazione sotto controllo: “ Ciao ragazzi ! Non preoccupatevi, fra pochissimo sarò da voi; fatemi prima finire questa cosa e poi sono tutto vostro” si poteva notare che tutti i suoi fratelli erano già vestiti di tutto punto, mentre lui era ancora in pantaloni della tuta e canottiera, con uno chignon disordinato e le infradito ai piedi: non gli avevano lasciato nemmeno il tempo di prepararsi, quelle pesti. Nel vederlo così straordinariamente occupato, l’erede di Fingolfin decise di dargli una mano a velocizzare il processo: si fece largo tra gli spettatori e, messosi davanti a Makalaurë, gli puntò un dito contro la carotide: “ Ora fermo, taci e mosca !” gli intimò; questi si imbalsamò e il rosso poté finire il lavoro in una manciata di minuti. Nel momento in cui il giovane si alzò la combriccola venne prontamente scacciata ( quasi a calci nel sedere) dal giovine; quando il ventisettenne lo squadrò come se fosse totalmente fuori di testa, gli rispose con un sorriso dolce: “ Preparati con calma Maitimo; noi ti aspettiamo giù” e chiuse la porta, spingendo gli altri verso il corridoio. 

 

Dopo circa dieci minuti Fin’ era quasi pronto per suicidarsi: già gli ci stava volendo uno sforzo immane per non cedere all’istinto di salire di sopra ed infilarsi in doccia con il suo amato, in aggiunta i due gemellini gli stavano saltando sulle ginocchia nel frattempo che quelli intorno a lui ciarlavano chiassosamente; nessuno che gli desse una mano neanche a pagare. Ad un certo punto si sentì un lieve cigolio e Maedhros fece irruzione in mezzo a quel casino in tutto il suo divino splendore: indossava una camicia bianca, calzoni gessati, scarpe da ginnastica e un chiodo poggiato sulle spalle: “ Allora rimba, andiamo o no ?” Con quegli occhi grigi che sprizzavano euforia e un sorriso sincero piantato in volto, si mise a correre giù, attaccandosi ai corrimani, mentre i parenti gli stavano dietro a fatica; arrivato allo svuota tasche aveva afferrato le chiavi della macchina e stava per uscire di volata quando si udì un richiamo di suo padre: tutti i ragazzi rimasero pietrificati sui gradini. Il maggiore si avvicinò alla soglia dell’ufficio ed entrò nella stanza col capo chino, causato dal timore reverenziale; gli altri si schiacciarono alla parete per ascoltare meglio il discorso, in particolare il suo amante: se il ramato non sarebbe potuto venire, lui sarebbe stato a casa a fargli compagnia. Dall’altra parte si udivano i due uomini che parlavano in una lingua straniera; il corvino la conosceva già: l’aveva vista scrivere e l’aveva sentita parlare dal nonno, dal suo babbo e dagli zii, ma le uniche persone della sua generazione a padroneggiarla erano la prole di Fëanor. All’improvviso Kano, che si era posizionato poco sopra di lui, scoppiò a ridere e dovette tapparsi la bocca con un palmo per evitare di farsi scoprire; si voltarono in sua direzione, ma questi fece un gesto strano come se volesse dire che non avrebbe parlato neanche sotto tortura cinese: visto che non riusciva a trattenersi si precipitò fuori e poi mimò il fatto che sarebbe rimasto vicino all’auto fino a che non sarebbero partiti; tutti decisero di seguirlo e di imitarlo. Amrod e Amras si misero a giocare sul vialetto sterrato mentre i grandi sbuffavano, appoggiati alle portiere del minivan; dovettero attendere un paio di minuti prima di vedere il loro autista varcare l’uscio, seguito dallo sguardo truce del papà, e poter entrare in macchina: naturalmente si scatenò il sempreverde finimondo per decidere i posti. “ Io sto davanti !” “ Stammi bene a sentire, sbarbatello infame: tu hai solo quindici anni e io sono molto più vecchio di te, ho il diritto di dire che il posto vicino a Russo è mio” “ Questo si chiama nonnismo !” “ Esatto pivellino” Kanafinwe era più agguerrito che mai e non avrebbe mai mollato il suo sedile nemmeno se avessero provato a levarcelo col piede di porco, ma per sua sfortuna poté continuare a dibattere con Curvo: infatti, Nelya rimase a fissarli per qualche istante prima di contrarre tutti i muscoli in uno spasmo adirato: “ Piantatela di fare i bambini o giuro, solennemente sulla tomba di babushka, che non vi accompagnerò mai più da qualche parte per tutta la vostra intera esistenza, sia anche in ospedale !” aveva alzato la voce e, cosa peggiore, aveva fulminato i presenti con lo sguardo. Fin’ si mise seduto sul posto dietro a quello del rosso, di fianco a Tylekormo, davanti a Turgon; accanto al secondogenito stava Aredhel e dietro di loro sedevano Carnastir e Curufin: al posto del pilota e del copilota si erano accomodati i maggiori. Il musicista e il quintogenito avevano il volto dipinto di un’espressione contrita: evidentemente si erano pentiti di aver fatto arrabbiare il fratellone; il ramato tolse il freno a mano e premette dolcemente l’acceleratore, uscendo lentamente dal cancello. Un breve tratto di strada fu silenzioso, per paura che partisse un’altra sfuriata, ma poi Ty fece una domanda abbastanza strana: “ Il viaggio è ancora lungo; qualcuno può mettere della musica ?” Senza la benché minima esitazione il moro si mise a cercare un disco nel cruscotto; ne tirò su uno a caso e lo inserì nel mangiadischi: una musica anni 90’ si diffuse pian piano nell’abitacolo… 

 

Arrivarono alla discoteca che sembravano dei deficienti: tutti che cantavano stonatissimi a squarciagola e che se la ridevano come non ci fosse un domani. Parcheggiato il loro mezzo e preso il portafoglio, si misero in coda per entrare; Irissë venne subito affiancata da Turukano e Turkafinwe che,da bravi iperprotettivi, la isolarono da potenziali pericoli e attaccabrighe: non volevano che le accadesse nulla di male. Fingon stava guardando la lunga fila di persone che scorreva quando sentì un braccio intorno alle spalle; si voltò, pronto a urlare, ma vide la figura imponente di Russandol che lo aveva tirato a sé con aria indifferente: il ventitreenne si avvicinò, godendosi il calore di quell’abbraccio che per tutto il mondo simboleggiava una profonda amicizia, ma per lui era la più grande dimostrazione di amore che il suo fidanzato gli avesse mai fatto. Mentre il sole spariva dietro il profilo dei grattacieli, i nostri otto giovani varcarono le porte di una delle più famose ( e losche) balere della città di Arda: il Beledrian. Già da subito dovettero strizzare gli occhi per potersi adattare alla bassissima luminosità: c’era un sacco di gente ammassata l’una sull’altra, musica a palla, luci stroboscopiche, persone ubriache fradice, aria di stalla, pregna di sudore, zone di luce e d’ombra, un bancone pieno di superalcolici e baristi indaffaratissimi nel servire i clienti; roba da vida loca, insomma. Quando erano ancora vicino all’ingresso Maglor scorse tra la folla il suo ex compagno di classe al Conservatorio e grande amico Daeron, quindi salutò sbrigativamente i parenti e si diresse da lui; Caranthir vide la sua ragazza Halet e mollò tutti per andare da lei, intanto che la Bianca e Tur’ si allontanavano verso la pista: dopo solo cinque minuti erano rimasti in tre. Si spostarono dal flusso di persone che stavano entrando e si trovarono in fianco a delle poltroncine grigie e luride da far spavento; il biondo si lanciò sopra di esse, stravaccandosi; gli altri due stettero un po’ più composti. “ Non so voi, ma io ho una sete pazzesca: che ne dite di berci qualcosa ?” domandò il flavo, in penombra, e immediatamente il fratello mise mano al portafoglio; quello gli bloccò il polso: “ Oggi non si paga” uno sbuffo rassegnato misto a seccato: “ Guarda che non possiamo rapinare il bar; siamo già stati fotografati con la polizia, sulla prima pagina del giornale, e ti ricordi la reazione del babbo” il minore rise: “ Guarda qua” il Nolofinwion aveva una paura boia di cosa il cugino avesse intenzione di fare, ma rimase piacevolmente sorpreso: il Fëanorion aveva tirato fuori un oggetto misterioso dalla tasca del giacchetto e ora sotto una delle luci scintillavano il suo tatuaggio verde e una bottiglia da litro di vodka. Il maggiore si tenne il setto nasale per non lanciare imprecazioni, mentre l’altro stappava la bevanda; ne tracannò due sorsate e poi la tese ai compari: “ Eddai, solo un pochino !” Il Valoroso la afferrò, ancora titubante, e ne bevve un goccio, prima di passarla al suo amato; questi arrivò a svuotarla fino al primo segno e poi ricominciò il giro. L’alcolico finì nel giro di mezz’ora: per fortuna quasi tutti i giovanotti avevano portato qualcosa ed era bastato andare a chiedere. Reggendo bene avevano finito per scolarsi cinque bottiglie in tre e poi erano rimasti spaparanzati nel loro cantuccio; a un certo punto Fin’ sentì una strana scarica elettrica lungo la spina dorsale che lo spinse ad accostarsi alle guance rosse d'ebrezza di Nelyafinwe: si sentiva come se quella pelle fosse una calamita da cui non riusciva a staccarsi. Iniziò a passargli l’indice sul cavallo dei pantaloni mentre l’altro sospirava, con le palpebre abbassate; d’un tratto quest’ultimo si mise a mormorare nella strana favella familiare, quasi fosse ancora sotto gli effetti delle febbri, ma l’amato gli tappò le labbra con un dito: “ Io non parlo la tua lingua, ma questo…” gli avvinghiò una natica “ … non ha bisogno di spiegazioni; l’unica cosa che devo capire è quando mi dici porcherie”* concluse lascivo, prima di baciarlo con ardore. Quando si rese conto di dove erano le mani del moroso, Maedhros balzò dalla posizione in petto a Cristo a quella seduta nel giro di tre secondi netti e fermò quel che stava accadendo: “ Non qui, non ora”; constatando l’espressione delusa dello zito, provò subito a rimediare subito al suo errore e gli offrì di andare a ballare: mentre il ventitreenne si allontanava verso la pista gli lanciò un ultimo fischio: “ Non preoccuparti, tu vai intanto: ti raggiungo tra poco !” 

 

L’erede di Fingolfin stava iniziando a preoccuparsi: era almeno un quarto d’ora che ballava da solo e il suo Maitimo non si era ancora fatto vivo; probabilmente era andato a controllare che i suoi fratelli non stessero facendo casino in giro per il locale, ma non riusciva a non stare in pensiero. Era così tanto immerso nella sua bolla di pensieri fumosi che non si accorse di aver urtato qualcuno: infatti un losco energumeno, grosso quanto un armadio a due ante si voltò, facendogli gli occhiacci: “ Uè cerchi botte ?!  Cerchi botte ?!?” accortosi che uno gli stava urlando qualcosa, il giovane si girò di scatto e si incassò nelle spalle: “ Ah scusami, non ti avevo visto, mi dispiace” il gigante iniziò a spintonarlo con violenza inaudita e altri membri della sua cricca si misero ad accerchiarlo: “ Cazzo vuoi, frocio di merda ?” A quella provocazione il ragazzo cominciò a prendersela sul personale: “ Chiamami ancora così e ti rimescolo i connotati” un ceffone gli colpì in pieno la guancia destra e l’ematoma bruciò come un marchio a fuoco; preso alla sprovvista perse l’equilibrio all’indietro, finendo seduto sul pavimento sozzo. Un calcio gli centrò in pieno le reni e un dolore lancinante si propagò su per la schiena, bloccandolo in terra; venne afferrato per i baveri e venne scosso con una foga del diavolo: intontito com’era non riusciva a reagire o a fare qualunque cosa per provare a difendersi. Lo scagliarono al suolo e l’aggressore gli tenne ferma la testa, preparando un pugno da infrangergli sul volto; Findekano serrò la mascella, chiuse i pugni e gli occhi, aspettando quel colpo che gli avrebbe quasi sicuramente spaccato la faccia… 

 

L’impatto non avvenne mai: riaprendo gli occhi scorse il viso del suo fidanzato; il mondo continuava a girare a velocità vorticosa e la luce gli dava un violento fastidio. I piantagrane sembravano essersi momentaneamente allontanati e al suo fianco c’era anche Celegorm, che nonostante fosse ubriaco marcio era venuto ad aiutarlo; il Saggio e Aredhel lo avevano visto mentre cercava disperatamente di pararsi in qualche modo ed erano venuti a soccorrerlo: ma il più preoccupato rimaneva sempre il fulvo. “ Fin’, Fin’ mi senti ? Stai bene ? Stai svenendo ?” Avrebbe voluto strappargli quelle labbra perfette a morsi se solo non si fosse sentito così nauseato; le forti braccia di Nelya gli sorressero la parte bassa del torso nell’aiutarlo ad alzarsi e poi lo strinsero con forza: “ Vieni, andiamo a casa”. Pian piano tutti e cinque si diressero verso l’uscita ( gli altri li avrebbero raggiunti dopo) senza far troppo caso a chi si scansava per farli passare; attraversarono tutta la gigantesca sala e si ritrovarono in pochissimo tempo davanti alle porte: mancavano solo un paio di metri. Stavano per uscire, quando gli attaccabrighe si rifecero vivi: come un grosso muro iniziarono a isolarli e quelli più grossi e cattivi cominciarono a malmenarli; i nipoti di Finwe non sapevano più che fare e sulle prime rimasero a prenderle come dei beoti. Ma quando sembrava che non ci fosse via di fuga arrivò un aiuto inaspettato: Carnastir, che li stava seguendo da lontano in compagnia della sua bella, prese ad agitarsi in mezzo alla calca per attirare l’attenzione dei fratelli: “ In cerchio ! Mettete al centro i feriti e i deboli ! Alzate la guardia e colpite duro !” Vedendo che non riuscivano a reagire chiese ausilio a Maglor e Curufin: avrebbero dovuto avvicinarsi a forza di gomitate e comunicare le sue direttive agli altri; i due eseguirono con fin troppa solerzia. Tyleko e Fingon vennero messi sotto protezione perché avevano i movimenti troppo lenti per una scazzottata del genere ( uno dal male e l’altro dall’alcol); gli altri iniziarono a tirare pugni a destra e a manca. Irissë si beccò un colpo sulla mascella, Turgon si prese un occhio nero e Maedhros venne colpito sul naso: i restanti fortunatamente non ricevettero lesioni rilevanti. Lo scorrere del tempo si congelò; erano loro e i violenti, nessun’altro incluso: tra sangue sudore e un’indicibile fatica riuscirono a bucare la sacca. Mentre si rendevano ancora conto di cosa avevano fatto qualcuno nella folla urlò una frase chiara e nitida: “ Siamo fottuti: arriva la madama !” Il più grande cadde dalle nuvole e si scambiò degli sguardi confusi coi compari; la ragazza fece ricorso a tutta la sua saggezza da amica di personaggi implicati in faccende non propriamente legali: “ Sette sette sette, insieme fan ventuno; arriva la pula qui non c’è più nessuno”*1. Dopo un primo attimo di stupore gli altri seguirono il suo consiglio: si caricarono in spalla Turkafinwe e il primogenito di Nolo e si misero a correre verso l’uscita meno distante; spintonarono tante persone che correvano in giro come vacche impazzite, ma riuscirono a raggiungere una delle uscite di sicurezza. Dall’afa irrespirabile passarono all’aria fresca della sera che batteva sulla loro pelle; una cancellata recintata da filo spinato si parava loro davanti: si poteva sentire la tensione e il panico che si stava generando. “ E adesso che si fa ?” chiese Kano “ Ora si scavalca” concluse Mae. Le sirene della polizia si stavano avvicinando pericolosamente quando Fin’ sentì che il suo corpo veniva sollevato e spostato al di là della recinzione, appena in tempo per non essere visto; si allontanarono in fretta e furia: nel frattempo che tutti ansimavano, spompati dallo sforzo, Findekano sentì le forze venirgli meno e chiuse gli occhi, sapendo di essere ormai al sicuro… 

 

Si risvegliò in un posto che gli sembrava familiare e iniziò a guardarsi intorno: era stato messo disteso sul sedile posteriore della macchina dei Fëanorians, di fianco a suo cugino; provò a sollevarsi con estrema lentezza e a controllare se ci fosse qualcuno vicino a lui. La portiera era aperta e i parenti erano seduti fuori; quando provò a scendere, accorse subito sua sorella per aiutarlo a camminare: guardandola si vedeva che era gonfia per le botte, ma le avevano messo del ghiaccio quindi presto il liquido sarebbe stato drenato. Tutti sembravano in pensiero ed era davvero facile capire il perché: stavano fissando le porte spalancate del commissariato. “ Quando sei finito nel mondo dei sogni ci siamo resi conto che Moryo non c’era; infatti è rimasto bloccato nella calca. L’hanno preso i pulotti e ora lo stanno tirando fuori” suo fratello aveva una sigaretta stretta fra le labbra. Attesero una ventina di minuti, pieni d’ansia, quando finalmente videro riemergere dalla luce tre figure alte e snelle: erano Russandol, col naso fasciato, Carnastir e Curufin, che era così sudato da somigliare a un gamberone tempura; arrivarono con calma e montarono in auto, premendo l’acceleratore a tutto gas. Era calato un silenzio di tomba, che andava a nascondere un dubbio che attanagliava le viscere di tutti i presenti; questo dilemma venne espresso da Tyleko, perché si sa che vino veritas: “ Ma non abbiamo chiamato papà, Mo non è ancora indipendente e tu non sei il tuo tutore legale; come hai fatto ?” Il ramato ridacchiò e poi tirò fuori dalla tasca una carta d’identità: “ Dobbiamo ringraziare il fatto che Curvo sia identico a papà e che papi abbia la stessa memoria di una sedia: ha scordato i documenti nel cruscotto e il resto lo capirete da soli” si misero a ridere, ora che il peggio era passato. Mae tirò un sospiro di sollievo: anche oggi era riuscito a proteggere quella banda di deficienti a lui tanto cari.

 

La tana della scrittrice 

Kia ora koutou katoa! Kei te pēhea koe? Parto spiegando gli asterischi: il primo è riferito a una traduzione del ritornello della canzone “ Talk dirty to me” di Jason Derulo, mentre il secondo asterisco è riferito a un detto popolare divenuto famoso dopo l’uso spropositato che ne hanno fatto i black block. Anyway vi chiedo come al solito di commentare cosa ne pensate nella sezione commenti; mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3967200