Forget Me Not – L’alba di una Nuova Era

di Aceaddicted_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fine della Pirateria ***
Capitolo 2: *** Profumo Agrodolce ***
Capitolo 3: *** Lontane vicinanze ***
Capitolo 4: *** Aria di casa ***
Capitolo 5: *** Affari di Famiglia ***
Capitolo 6: *** Tra ghiaccio e fuoco ***
Capitolo 7: *** La Volontà della D. ***



Capitolo 1
*** La fine della Pirateria ***


“NUOVA EDIZIONE DEL GIORNALE – Marineford
Nelle ultime ore è stata decisa la data di pubblica esecuzione del comandante della 2ª flotta dei Pirati di Barbabianca, il famigerato Portgas D. Ace. L’esecuzione si terrà esattamente tra tre giorni alle ore 15.00 nella piazza principale di Marineford. Le maggiori figure della Marina e della Flotta dei Sette sono state ufficialmente convocate a presidiare l’evento di rilievo mondiale, in quanto alleati della Giustizia Mondiale. Sarà finalmente giunta a capolinea l’Era della pirateria? Sicuramente questo sarà un grande messaggio da parte della Marina.”
 
«Dobbiamo avvisare subito il capitano!» esclamò Hina voltandosi verso gli altri componenti della ciurma, ripiegando su sé stesso il giornale e tenendolo ben stretto tra le mani tremanti. Scattò correndo allarmata verso la poppa della Bloody Mary, facendosi strada tra i compagni ed arrivando incespicando ansimante davanti a quella porta di legno massiccio: la cabina del Capitano.
 
«Capitano…» mormorò bussando alla porta, cercando di mantenere una parvenza di calma sapendo che una volta comunicata la notizia sarebbe stata l’unica emozione mancante su quel brigantino.
 
«Stefanie, è arrivato il giornale. Apri è urgente!» continuò la Vice della Bloody Mary, battendo con più forza su quella maledetta porta e facendosi scappare un tremito di voce.
 
La porta si aprì e con essa apparve il Capitano dei Pirati di Forget Me Not, Stefanie Edward, nonché la figlia del grande Barbabianca. L’uomo più vicino all’One Piece dopo il Re dei Pirati Gol D. Roger.
A differenza del padre era una ragazza minuta, ma con una forza ed una determinazione da poter competere con Newgate stesso. Ad appena 20 anni si separò dalla ciurma dei Pirati di Barbabianca, prendendo il mare da sola, formò i Pirati di Forget Me Not e divenne una delle nuove leve nel Nuovo Mondo.
 
Figlia del mare anch’essa come il padre, possedeva un Paramisha: Memo Memo, il quale permette all'utilizzatore di manipolare i ricordi delle persone. Da questo potere ne derivò il nome di “Piratessa Forget Me Not”.
 
«Hina, cos’è tutta quest’agitazione?» domandò il Capitano, aprendo la porta di legno ed appoggiandosi ad essa con una spalla, scrutando la sua subordinata.
 
Cresciute assieme, Hina fu una dei primi compagni di Stefanie, con la quale fianco a fianco formarono la nuova ciurma diventando fidate sorelle di mare. Coetanee all’età di 24 anni, ambiziose di conquistare il Nuovo Mondo e lasciare i loro nomi alla storia. Avevano di certo entrambe grandi aspettative.
 
«Guarda qui, mi dispiace…» mormorò la giovane, abbassando lo guardo su quel maledetto giornale allungandolo all’amica.
 
Stefanie era confusa, sapeva che il suo fidato braccio destro non si lasciava sconvolgere tanto facilmente da un paio di notizie lette sul gazzettino del mare. Prese il giornale e fece calare lo sguardo sulla pagina di copertina.
 
Il cuore ebbe un sussulto. Il viso s’imbalsamò rivolto su quella pagina. Il cervello iniziò a correre, milioni di pensieri le balenarono in testa: ricordi, parole, momenti ed emozioni vissute. Non riuscì a tirar fiato. Era come se il proprio corpo fosse immobilizzato, non rispondeva.
 
Hina la guardò ed in preda alle lacrime decise di voltarsi, lasciando al proprio capitano, anzi la sua migliore amica, la privacy di non reagire davanti a lei. La porta si richiuse pesantemente e le spalle del minuto capitano si appoggiarono ad essa, nel disperato tentativo di non cadere atterra nel panico.
 
“Nelle ultime ore è stata decisa la data di pubblica esecuzione del comandante della 2ª flotta dei Pirati di Barbabianca, il famigerato Portgas D. Ace.”
 
Lesse e rilesse quelle prime righe, come se non sapesse più farlo o come se il proprio cervello stesse inventando tutto quanto, ma quelle parole erano lì. Quel nome era lì. “Portgas D. Ace”.
 
Stefanie tirò un profondo respiro, portò una mano al ventre per sentirne il movimento; quella sensazione di apnea continuava a persuaderla, accompagnandola fino alla poltrona all’interno della sua stanza. Allungò una mano tra i lunghi capelli ramati, setosi e lucenti, scostandoli dietro una spalla mentre chinò il capo verso il giornale per leggere l’intero articolo. Un profondo respiro e lasciò scorrere gli occhi sul quel breve paragrafo, mentre la sua mente continuava ad avere frame di ricordi.
 
“Non scapperò davanti a nessuno. Non perderò mai.”
 
«STUPIDO!» ruggì Stefanie battendo un pugno sul tavolo allontanandolo in seguito con una forte spinta. Poggiò i gomiti su di esso, la testa tra le mani.
 
“Non importa come, noi due dobbiamo vivere senza rimpianti! La prossima volta che ci vedremo, sarà all'apice della pirateria.”
 
Le gote si inumidirono, il respiro iniziò ad affannare insieme a quella morsa al cuore che faceva sempre più male, ritrovandosi a singhiozzare come una bambina inerme nella tempesta. Tre giorni e non avrebbe più potuto vedere quell’incosciente. Non avrebbe più potuto urlargli addosso quando prendeva tutto di petto senza riflettere; pensare non era sicuramente una delle sue doti di spicco.
 
«Non può andare così, sei uno stronzo duro a morire Ace...» bisbigliò in un autoconvincimento.
 
Si asciugò il viso velocemente, raccolse il giornale e si diede una sistemata generale. Il tempo correva. Era un capitano, una delle leve del Nuovo Mondo e si erano fatti una promessa. Non poteva certo finire così, tutti i loro progetti non potevano svanire in un soffio.
Uscì dalla propria cabina ed intorno a lei il silenzio più gelido l’avvolse, seguito dal frusciare del mare e dagli sguardi attenti e comprensivi della propria ciurma. Conoscevano il loro capitano, sapevano dei loro trascorsi. Avevano combattuto fianco a fianco con Pugno di Fuoco più di una volta, e più di una volta avevano visto lo strazio dei loro addii. Entrambi orgogliosi ed entrambi con un sogno da realizzare. Non c’era spazio per l’amore. Si erano ripromessi innumerevoli volte che sarebbe arrivato il loro momento assieme, avrebbero solo dovuto aspettare che giungesse. Lo amava, lo odiava, ma si erano fatti una promessa senza scadenza.
 
“Dovunque noi siamo, qualunque cosa facciamo, questo legame è indissolubile. Arriverà il giorno in cui vivremo assieme la vita che abbiamo sempre voluto. Tienilo ben a mente Fanie.”
 
Stefanie a passo deciso salì sulla parte più alta della Bloody Mary, mentre la ciurma dei Pirati di Forget Me Not si radunò sotto di essa in attesa del proprio capitano.
Una giovane donna, minuta, con il coraggio di una leonessa. Spiccava sulla vetta della poppa con i capelli che svolazzavano al vento, in attesa del suo ruggito.
 
«Pirati di Forget Me Not!» ruggì.
«Siamo tutti a conoscenza di ciò che sta per accadere a Marineford. Non mi dilungherò troppo nel discorso visto il tempo prezioso più che mai in questo momento. Come vostro Capitano ho sempre cercato di venire incontro alle nostre esigenze per il bene di tutti, ma questa volta devo farvi una richiesta del tutto egoistica. Non vogliatemi male. Siete liberi di seguirmi o meno, non proverò rancore verso nessuna e nessuno di voi. Siete la mia famiglia, i miei fratelli e proprio per questo ho bisogno di voi…» fece una breve pausa ad allontanare l’imbarazzo e la fragilità che in quel momento la stavano possedendo.
 
«Io, Stefanie Edward, salpo per Marineford all’istante. Con il vento a favore dovrei riuscire a raggiungere la fortezza entro la data dell’esecuzione di Ace. Non mi fermerete, quindi non sprecate energie, ma impiegatele nel seguirmi per chi deciderà di assecondarmi.»
«Alzi la mano chi è con me!» ruggì a conclusione la leonessa, alzando uno sguardo fiero e vibrante.
 
Da buon capitano si fidava della propria ciurma, avevano condiviso tanti momenti difficili ed altri tanti momenti di gioia, ma era la prima volta in cui si trovava costretta a scegliere: l’avventura o l’uomo che amava? Non poteva permettersi rimpianti, non qui e non ora.
 
Le mani della ciurma iniziarono ad alzarsi debolmente, tra gli sguardi scettici e titubanti di chi sapeva benissimo stessero andando incontro ad una delle battaglie più difficili della storia. La morte era una certezza a metà, non poteva negarlo, ma sapevano anche che non sarebbero stati da soli e che Barbabianca sicuramente si era già mosso in soccorso del suo pupillo. Conosceva i suoi uomini, orgogliosi fino alla morte, ma tanto buoni di cuore, avrebbero dato la vita per la propria famiglia.
 
«Siamo tutti con te!» un urlo si librò nel silenzio del mare, riecheggiando tra il fruscio del vento. Tutta la ciurma svettava i pugni in alto, con i volti ricolmi di fierezza e fiducia per quella giovane donna che vantava il nome di nuova promessa della Grand Line.
 
«Portgas D.Ace è stato un nostro grande alleato, a volte addirittura un compagno effettivo. Non si è mai tirato indietro nel darci una mano, nell’unirsi in battaglie che non gli appartenevano. Siamo in debito con lui e con te Capitano.» aggiunse Hina facendosi portavoce della ciurma, camminando incontro all’amica posandole una mano sulla spalla in segno di supporto.
 
Stefanie volse gli occhi attorno a sé, in silenzio e grata di essere circondata da donne e uomini meravigliosi che la supportavano in tutto e per tutto, aiutandola a crescere nel suo percorso alla conquista della Grand Line. Si era fatta da sola, o meglio con loro. Non aveva mai sopportato di essere considerata “La figlia di Barbabianca”, odiava tutto ciò ed anche per questo, a differenza di Ace aveva lasciato la ciurma di suo padre nella quale si erano conosciuti in giovane età.
Se avesse ripensato ora a quei giorni le sarebbe venuto da sorridere.
 
Appena salito a bordo della Moby Dicky, Ace era in perenne lotta con Barbabianca, cercando in tutti i modi di ucciderlo nonostante fosse l’uomo che l’aveva salvato dal vagabondare per i mari in cerca della sua strada. Odiava quel ragazzino arrogante, chiassoso e sopportava ancora meno che Marco lo vegliasse in quel modo tanto affettuoso, che fino ad ora aveva riservato solo per lei. Più crescevano e più si sentiva spodestata in quanto donna e debole confronto a quel giovane promettente. Newgate era riuscito con il tempo a far breccia nel cuore di Ace, il quale a sua volta instaurò rapporti di famiglia con l’equipaggio e rivelandosi un bravo ragazzo, caparbio ma di gran cuore e lealtà.
 
Una notte, mentre tutti dormivano, Stefanie trovò il giovane Ace sul ponte immerso nei pensieri con gli occhi lucidi e la testa ricolma di pensieri. Lo avvicinò silenziosa, facendolo imprecare nel trovarsela accanto.
 
«Cosa stai facendo?» gli domandò perplessa, osservandolo con gli occhi ingenui della giovinezza. Erano passati circa sei mesi da quando convivevano sulla stessa nave, ma Ace era sempre stato avverso nei suoi confronti e tanto meno lei, considerandolo un rivale.
 
«Monto la guardia, torna a dormire bambinetta.» schioccò severamente quella risposta, senza nemmeno degnarla di uno sguardo. Era una ragazzina, le donne non serviano su una nave pirata.
 
«Sarò anche una ragazzina, ma quello che sta piangendo come una femminuccia sei tu. Da solo e lontano dagli sguardi dei veri pirati. Chissà cosa penserebbe Mio Padre…» lo istigò Stefanie andando dritta con un colpo basso in pieno orgoglio. Anche se non lo ammetteva il giovane ragazzo provava grande stima per il Babbo, e di conseguenza molta soggezione nel dovergli dimostrare di poter essere un suo pari in futuro.
 
«Rimangiati subito quello che hai detto! Se lo dici a qualcuno ti butto in mare, tanto annegheresti! Diventerò un pirata e sconfiggerò chiunque intralci il mio cammino e mi guadagnerò la gloria che molti sognano! Soltanto allora sarà valso vivere la mia vita! Non mi importa se il mondo mi rifiuta, possono odiarmi quanto vogliono! Diventerò un grande pirata e proverò che sono il migliore di tutti! Non scapperò davanti a nessuno. Non perderò mai. Non mi importa se sarò temuto, quello che voglio è che il mondo conosca il mio nome!» gridò a tutto fiato Ace, scattando in piedi su un barile di Sakè accanto a loro, destrandosi insieme al suo pugnale facendolo ondeggiare come un vero pirata.
 
Stefanie rimase a guardarlo da sotto la sua figura, percependo per la prima volta la sua ambizione e la volontà di vivere libero. Sapeva solo una parte del passato di Ace, Marco più di una volta provò a mediare tra i due giovani per fargli fare amicizia, ma in quanto a testardaggine erano alla pari.
 
«Cos’è tutto questo casino? Filate in coperta a dormire, tutti e due!»
 
Una voce ruggì alle spalle della giovane, la quale sapeva benissimo appartenesse al padre. Ace si pietrificò aspettando di ritrovarsi scaraventato alla prua della nave, come metà delle volte che l’aveva fatto arrabbiare, ma questa volta nulla di tutto ciò accadde. Newgate accompagnò le giovani generazioni sottocoperta, aspettando che entrambi si mettessero nelle brande.
 
«Mi aspetto grandi cose da voi due. In primis che vi copriate le spalle a vicenda e poi che realizziate i vostri sogni e siate felici. Ora dormite seccature!» si congedò così l’uomo più temuto della Grand Line, lasciando i ragazzi avvolti nel buio insieme a quelle parole.
 
«Ace… quello che hai detto prima…» bisbigliò Stefanie voltandosi verso di lui.
«Ci riuscirò stai a vedere…» ribatté Ace sulla difensiva.
«Sono certa che il mondo conoscerà il tuo nome nel tempo… Buonanotte.» lo sorprese così la femminuccia che lui stesso sfotteva, ma dalla quale cercava tremendamente un appoggio, lasciandolo stupito ed appagato, facendolo addormentare con un sorriso sulle labbra.
 
«Allora è deciso, si salpa per Marineford!» un urlo si librò in aria, seguito da quello della sua ciurma che giurò così ancora una volta fedeltà al Capitano dei Forget Me Not.

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Capitolo 2
*** Profumo Agrodolce ***


Erano passati quattro anni da quando Stefanie, lasciò il proprio nido entrando a far parte della nuova generazione di pirati alla ricerca dell’One Piece. Ormai conosciuta lungo la Red Line con il nome di Piratessa Forget Me Not, sbarcò con la propria ciurma sull’arcipelago Sabaody in vista di immergersi nel Nuovo Mondo.
 
Come tutte le nuove leve era ben a conoscenza di quello che avrebbe potuto aspettarsi una volta arrivata. Sabaody era un punto focale in cui i pirati si fermavano per prepararsi al pericoloso viaggio sottomarino verso l'isola degli uomini-pesce e verso il Nuovo Mondo, oltre al fatto che era l’unico luogo in cui avrebbero potuto far rivestire la propria nave e quindi poter intraprendere l’insidioso viaggio. Non era tutto però, in questo arcipelago era necessario mantenere un basso profilo. La libertà non era esattamente la stessa goduta lungo la rotta del mare, vista la vicinanza con Marijoa e Marineford, senza tralasciare la possibilità d’incontrare i Draghi Celesti.
 
La ciurma di Forget Me Not sbarcò presso il Grove 16, appartenente alla zona fuorilegge. Avevano esattamente tre giorni per ultimare i preparativi della nave, svagarsi e non farsi arrestare dalla Marina. Ce la potevano fare, ma nella pelle Stefanie sentiva aria di problemi. Su quell’isola avrebbero potuto incontrare i possessori delle taglie più alte della Red Line, oltre a un numero immane di fuori legge.
 
«Bene!» si stiracchiò volgendo lo sguardo verso la terraferma.
«Hina occupati tu di sentire i carpentieri, abbiamo tre giorni. Voglio un lavoro fatto bene e senza intoppi. Portati gli uomini che ti servono…» continuò rivolgendosi alla sua Vice prima di saltar giù dalla Bloody Mary. «E tu dove diavolo stai andando ora?!» esclamò Hina con tono di rimprovero sporgendosi dalla nave.
«A BERE!!! Raggiungimi quando hai finito, cercami nei bar!» urlò ridendo divertita, iniziando ad allontanarsi accompagnata da un paio di subordinati, salutando con la mano. Quando si trattava di divertimento, Stefanie era la regina indiscussa.
 
La giovane pirata si avventurò insieme a pochi uomini nel territorio che si estendeva dal Grove 1 al 29, pullulante di pirateria e sregolatezza, il brivido non mancava mai. Erano circa le sette di sera, ora di bere una buona scorta di Rum e mettere qualcosa sotto i denti, concludendo la serata in qualche alloggio mediocre della zona. Alta circa un metro e sessantacinque, sfoggiava un miniabito a corsetto color verde smeraldo enfatizzante le curve femminili, ed ai piedi un paio di stivali di cuoio nero più o meno alti al ginocchio. I lunghi capelli color rame erano raccolti in una treccia scomposta, di cui alcuni ciuffi le contornavano il viso svolazzando insieme al suo passo fiero. A concludere il look, un cappello texano nero e degli orecchini d’oro pendenti.
 
«Uomini, bevete tutto quello che volete! Stasera offro io!» esclamò il capitano spalancando le porte di uno dei bar più affollati del quartiere. Il concetto di basso profilo aveva già iniziato a sciamare, senza contare che, in quanto giovane bella donna, non passò di certo inosservata agli occhi di tutti gli uomini del saloon. Continuò la sua strada dritta davanti a sé, raggiungendo il bancone.
 
«Una bottiglia del miglior Rum di tutto il locale…» chiese garbatamente all’oste del bar, con un accenno di fare provocante, sedendosi su uno sgabello alto del banco. Ancora adesso tutti gli sguardi maschili erano rivolti su di lei e quel fondoschiena perfettamente tondeggiante.
 
«Una splendida donna come te non dovrebbe bere quella robaccia…» una pacata voce maschile accanto a lei la canzonò, mettendo in discussione la sua scelta alcolica e il suo comportamento poco raffinato. Quale oltraggio.
«Senti… faresti meglio a farti gli affari tuoi.» ruggì la giovane senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, ma anzi, versandosi il Rum nel bicchiere portandolo in seguito alle labbra.
«Altrimenti?» la voce accanto a lei non tardò a replicare, facendole increspare un sopracciglio ed iniziando ad innervosirla. «Altrimenti ti farò chiudere quella bocca a furia di calci…» lo incalzò con un raggiante sorriso su quelle seducenti labbra, voltandosi verso di lui pronta a ribaltarlo dalla seduta alla prossima parola fuori luogo.
 
Alla sua sinistra sedeva un giovane uomo, avrà avuto su per giù qualche anno in più di lei. Indossava un soprabito nero con delle fiamme sul fondo, i capelli corvini ed un cappello simile al suo color cuoio. Aveva un qualcosa di familiare che su due piedi non riuscì a spiegarsi, finché il ragazzo non voltò il viso guardandola negli occhi.
 
«ACE!» esclamò Stefanie, con un grido di gioia e stupore, rischiando di ribaltare lo sgabello sulla quale era seduta. Erano passati quattro anni dall’ultima volta che si erano visti, o meglio, in cui si erano salutati con un addio che in realtà suonava più un “a presto”.
«SHHHHH! Abbassa la voce… sono in incognito baka!» la rimproverò bisbigliando a bassa voce, cercando di far meno movimenti possibili, quasi ad ignorarla. Le voci correvano alla velocità della luce sull’arcipelago di Sabaody. La giovane piratessa lo squadrò silenziosa ricomponendosi al bancone, scrutandolo perplessa non capendo assolutamente in che modo potesse essere in incognito. Tutta la Grand Line conosceva il famigerato “Pugno di Fuoco”.
«In che senso? Il tuo cappello e quello di tuo fratello non passano di certo inosservati per mare…»
«Quelli sono dettagli inutili!». Stefanie scoppiò in una risata ovattata, alla risposta del corvino.
Ne era passato di tempo.
 
«Sono contento di rivederti… mi sei mancata...» aggiunse sottovoce Ace, abbassando lo sguardo sul bancone in leggero imbarazzo. Il viso del ragazzo si decorò di un sorriso impacciato, mentre posò con decisione la mano destra sulla coscia della giovane, la quale senza troppa esitazione lo assecondò accompagnandola lungo la pelle morbida sino a sfiorare l’estremità del proprio vestito.
Era passato decisamente troppo tempo.
«Non vuoi sapere di tuo padre?» cambiò completamente discorso Ace, facendo passare in secondo piano i caldi spiriti che lo stavano possedendo. Ironia della sorte, Mera Mera era sempre con lui.
«So che quel vecchio sta alla grande… come te a quanto vedo.»
«Avresti dovuto farti sentire in questi anni, era in pensiero. Ed anche io.» continuò Ace con tono amorevole nei suoi confronti, rivolgendole un dolce sguardo.
«Hai la mia Vivre Card, quindi non ha motivo di esserlo.» schioccò freddamente quelle parole, dando l’ennesimo sorso al bicchiere di Rum.
 
Non odiava suo padre, anzi, ma sentiva costantemente addosso il peso del suo nome. Come se fosse solo e sempre la “Figlia di Barbabianca” e di conseguenza tutto le fosse dovuto e i suoi sforzi fossero vani. Nessun merito.
 
«So che hai le ossa dure e la pelle ancor di più Fanie.» l’assecondò il corvino. Sapeva quanto la giovane accanto a lui fosse orgogliosa, come del resto sé stesso. La conosceva come le proprie tasche. «Anche il cuore.» aggiunse la ramata.
«No. Quello non l’è mai stato e nemmeno la tua voce...» aggiunse lui rivolgendole uno sguardo d’intesa accompagnato da un sorriso ammiccante. Stefanie rimase in silenzio, spiazzata da quel diretto riferimento alle notti passate insieme. Abbassò lo sguardo sulla mano del ragazzo, ancora immobile dove venne accompagnata, e per un istante si sentì inerme.
Ace era così. Aveva quella capacità innata di farla sentire vulnerabile, desiderata ed amata. Con lui tutti i muri che poneva attorno a sé crollavano con un solo sguardo. Che tallone d’Achille.
 
«Andiamo in posto tranquillo. Esco per primo, aspetta cinque minuti. Esci a destra, poi prosegui fino al secondo vicolo a sinistra. Ci vediamo lì.» disse Ace, posando una moneta sul tavolo ed alzandosi, senza lasciarle margine di scelta. Non che Stefanie avesse alcuna intenzione di dissentire.
Lo assecondò con uno cenno del capo, versando nuovamente del Rum nel bicchiere ed aspettò.
 
Quei cinque minuti di attesa le sembrarono ore.
 
Lasciò scorrere un paio di volte le lancette dell’orologio appeso sopra la testa dell’oste, fingendosi indaffarata con sé stessa e non una bambolina posata in attesa.
«Fai bere tutto ciò che vogliono al mio equipaggio. Siamo a posto e questa me la porto via.»
Posò sul bancone del bar una manciata di monete d’oro, scambiando uno sguardo d’intesa con il barista, che accennò un movimento del capo, osservandola prendere la bottiglia per il collo ed uscire dal locale sotto gli sguardi attenti della clientela maschile.
 
Seguì le indicazioni di Ace, “esci a destra e al secondo vicolo a sinistra”. Si sentì trascinare per il polso appena arrivata all’imbocco del vicolo buio, facendo cadere così la bottiglia a terra. Nemmeno il tempo di emettere un mugugno, che le proprie labbra si trovarono coinvolte in uno dei baci più sensuali, erotici ed intensi di sempre. Le loro lingue erano disperatamente alla ricerca l’una dell’altra, calde e bramose. Ace sovrastava la figura minuta di Stefanie, avvolgendola completamente al sicuro nelle proprie braccia possenti. La chiuse al suo corpo, le proprie mani saldamente ancorate ai glutei della giovane, mentre i loro corpi aderivano sempre più fagocitanti tra di loro. Gli occhi dei due complici si scambiavano continui sguardi carichi di brama e desiderio, le loro bocche facevano sfuggire mugugni d’eccitazione stretti tra i denti. «Ace…» mormorò flebilmente, appena le labbra fameliche di Pugno di Fuoco si spostarono sul suo collo. La lingua calda ed umida le incaponì la pelle.
 
«E’ il caso di andarcene da qui... Tieniti a me.» interruppe il tutto con una piccola risata, cogliendo lo stravolgimento della ragazza ancora con il fiato corto dall’eccitazione. La strinse maggiormente a sé, avvolgendole interamente la vita con l’avambraccio sinistro, mentre il destro si dimenò nell’aria infuocandosi. Essendo un Rogia, avvolse i propri corpi in un tornado di fiamme catapultandoli a chilometri dal luogo in cui si trovavano solo pochi secondi fa. Posati i piedi a terra Stefanie si guardò attorno, davanti a lei c’era solo una piccola casetta nel bosco.
«Dopo di lei…» la invitò Ace, aprendole la porta.
 
Era una piccola casa dispersa in chissà quale Grove, forse ancora nella zona fuori legge oppure nella periferia di quella residenziale, poco le importava a dire la verità. La porta alle proprie spalle si chiuse e le lanterne attorno a loro si accesero con uno schiocco di dita. Sapeva il fatto suo il ragazzo di fuoco. Nella stanza non c’era nulla oltre ad un grande letto, un armadio, una scrivania ed una porta che probabilmente nascondeva il bagno. Stefanie posò il cappello sulla scrivania, sciolse la trecca e si sfilò gli stivali di dosso, accomodandosi in seguito su quel letto enorme. Osservò il moro fare lo stesso con i propri possedimenti, mentre versava due bicchieri di Rum dandole la schiena. «Quando l’hai fatto?»
«Cosa?» domandò Ace raggiungendola nel letto e sedendosi accanto a lei, porgendole il bicchiere.
«Il Jolly Roger di mio padre…» rispose passando una mano sulla pelle tatuata del ragazzo.
Ace prese un momento di pausa dal risponderle, accoccolandosi meglio nel letto accanto a lei, dando un lungo sorso al bicchiere. «Uhm… credo qualche giorno dopo che hai lasciato la ciurma…» spiegò con una nota di amarezza in quelle parole. Non era stato semplice. Avevano dovuto prendere una decisione entrambi: vivere il loro sogno o stare insieme.
«Capisco…» rispose appena la ragazza, abbassando lo sguardo.
«Poco dopo che te ne andasti mi affidò un incarico importante e lì capii che volevo dargli la mia totale fiducia, quindi ecco il misfatto…» spiegò brevemente la vicenda, notando un po’ di tensione nell’aria.
 
Ace posò a terra il bicchiere, distendendosi su un fianco accanto a lei guardandola. I suoi occhi seguivano attentamente i lineamenti della giovane, su e giù lungo l’intera figura.
«Sarà che sono passati anni, ma non mi ricordavo tutte queste forme…» le bisbiglio, avvicinandosi ad una gamba nuda di Stefanie, percorrendone la pelle con le labbra calde, lasciandole una scia di baci.
«Ti ricordi ancora come si fa?» lo provocò lei con un sorriso beffardo e gli occhi supplicanti di averlo ancora una volta. «Credo di poter riprendere facilmente la mano…» le rispose continuando a salire con le labbra, mentre le proprie mani sollevavano sempre più il vestito della ragazza portandolo sopra i fianchi. Le diede un bacio fugace sulla sua intimità, ancora avvolta dall’intimo candido, sollevandosi con il corpo per sfilarle di dosso quell’adorabile vestito portando alla luce i seni nudi e tondeggianti. Erano proprio come piacevano lui, giusti da stare nelle proprie mani.
 
Le loro labbra ripresero a cercarsi disperatamente, avide più che mai, mordendosi e sfiorandosi con un desiderio famelico. Stefanie lo spinse indietro, spostandosi a cavalcioni sul corpo del corvino, contorcendosi l’un l’altro come due serpenti. I petti si strinsero tra di loro, le loro intimità urlavano di essere liberate da quegli inutili indumenti d’impiccio. Gli slacciò la cintura, tra un bacio ed un morso, ed Ace non perse un minuto dallo sfilarsi tutto di dosso. Un corpo statuario. Scolpito, fagocitante ed eccitato più che mai. Avevano trascorso notti solitarie sognando di possedersi ancora, ed ora il desiderio era più ardente che mai. La ramata si fece largo lungo l’addome dell’amante, la lingua calda e sensuale scendeva sempre più in basso sino a raggiungere l’intimità del comandante della seconda flotta. Lo baciò sensualmente, alternando i movimenti. Il corpo di Ace si irrigidì sussultando, lasciando trasparire un gemito tra i denti stretti quando lei proseguì portandosi l’erezione tra le accoglienti labbra. D’impulso le afferrò i capelli in una coda, assecondo con il bacino i suoi movimenti. Era quasi al limite, con un rapido gesto la fermò, voltandola e sovrastandola con il proprio corpo. Le sfilò con abili mosse l’intimo dai fianchi, lasciando scivolare in lei le intraprendenti dita, stimolandola da prima dolcemente sino a prendere un ritmo insano portandola in pochi minuti ad un caldo e sonoro gemito. Si ricordava bene quel suono. Si eccitò maggiormente. Il corvino non aveva alcuna intenzione di rallentare. Soffocò i suoi gemiti con dei lunghi baci, finché il corpo della giovane non tremò contorcendosi sotto al suo. Che soddisfazione.
 
Stefanie allungò le mani tra quegli indomabili capelli neri, stringendoli, lasciandogli un mugugno sulle labbra quando l’erezione di Ace la possedette. Il bacino rampante del pirata intraprese un’andatura sin da subito profonda, decisa e stremante. I loro gemiti riempievano il silenzio di quella stanza, che ora non sembrava più così spoglia. Baci, morsi e cambi di posizione li tennero impegnati tutta la notte. Le loro pelli luccicanti dal sudore si sfioravano e si allontanavano frequentemente. Sussurri, baci e carezze, quasi danzassero facendo l’amore, finché non raggiunsero l’apice del piacere con Ace sfilatosi all’ultimo dall’intimità della sua amata.
La nottata procedette intensamente, facendo l’amore più e più volte, fino a quando i loro corpi stremati non si arresero al volere dell’alba, avvolgendosi tra le calde lenzuola. I petti si muovevano frenetici, i respiri ancora affannati e spezzati.
 
La piratessa dei Foget Me Not si strinse al corpo del moro, accarezzandogli la pelle tatuata ancora umida con gli esili polpastrelli. «Ace… cosa ci fai a Sabaody?» ebbe finalmente il reale coraggio di chiederglielo. Non era un caso. Lo conosceva bene e sapeva che ogni sua azione comportava una conseguenza. «Sto cercando una persona…» fu vago, fingendo una totale indifferenza alla cosa.
«La verità.» ribatté la giovane.
 
Ace aprì gli occhi sotto le continue carezze. Stava indubbiamente nascondendo qualcosa e sapeva benissimo che davanti a lui non aveva una stolta. Allungò l’indice della mano destra verso il corpo dell’amata, accarezzandole il costato laterale all’altezza del cuore.
«Ricordi quando te la incisi?» domandò Ace passando con l’indice su quella “A” ormai cicatrizzata. Stefanie si fermò dal coccolarlo. Gli portò una mano sul viso magro, percorrendogli lo zigomo sino alle labbra.
 
«Sì…» bisbigliò.
 
«Ti promisi una vita insieme. Forse ci siamo vicini…» continuò Pugno di Fuoco, sdraiandosi sulla schiena portando le mani dietro alla testa fissando il soffitto. La giovane pirata ebbe un brivido, ne stava combinando una delle sue. Ne era certa.
 
«Sto cercando Teach.» spiegò.
«Perché?»
«Ha commesso un grave crimine ed oltraggio alla ciurma ed io, come comandante della 2ª flotta ho il dovere di vendicare ciò che ha fatto.» continuò Ace senza avere il coraggio di guardarla in viso.
«E’ un ordine di mio padre? Cos’ha fatto Teach per meritare la tua vendetta?» lo riempì di domande, non capendo tutto questo mistero e iniziando ad essere seriamente preoccupata. Poche volte Ace ammetteva i suoi sentimenti, soprattutto così palesemente e ciò non era un buon segno.
 
Ci fu una pausa. Lunga, eterna. Finalmente i loro occhi si incrociarono.
 
«Ha ucciso Satch per impossessarsi del suo Rogia. E no, non è volere del Babbo. Sto andando contro la sua volontà, ma ne va del mio orgoglio. Era un mio uomo…» confessò tutt’un fiato facendo trasparire il rancore che serbava nel profondo del cuore. Non lo tollerava.
Stefanie gli si gettò al collo abbracciandolo, posando il viso sul suo petto. L’ultima cosa che voleva era che si cacciasse nei guai e già andare contro il volere di Barbabianca lo era.
 
«Ehi… una volta che avrò sistemato questa faccenda e avrò fatto di Barbabianca il Re dei Pirati…un giorno salperemo per mare, vivremo come vorremo più liberi di qualunque altro! Non perderò mai, hai capito Fanie?» disse con convinzione stringendola tra le proprie braccia, baciandole i capelli.
 
«Ti amo, Stefanie...»
«Anche io… Ace.»

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Capitolo 3
*** Lontane vicinanze ***


Erano già passati tre giorni da quando i pirati di Forget Me Not intrapresero la rotta verso Marineford. Tutto sembrava procedere secondo i piani del Capitano, ma non proprio tutto.
Stefanie si svegliò di soprassalto da quel sogno. Il cuore le batteva forte, tremava. Gli occhi lucidi al ricordo di quell’ultima volta incontratisi a Sabaody, ormai quattro mesi fa.
Si sollevò dal letto sedendosi, quando la nausea la colpì facendole cercare il primo suppellettile utile per rigettarci dentro.
 
Il giovane capitano brontolò qualcosa cercando di calmare il respiro, e sperando che in qualche modo la nausea si attenuasse. Da quando era scoppiato il caos aveva messo poco e niente sotto i denti, ben consapevole di non poter andare oltre in quel modo, soprattutto in vista di ciò che gli avrebbe aspettati giunti a destinazione.
 
Si alzò dal letto dirigendosi verso il bagno. Aprì l’acqua della vasca lasciandola scorrere in modo che si scaldasse, mentre si spogliò della sottoveste. Il suo profilo si rifletté nello specchio davanti a lei, e per qualche secondo concentrò la propria vista sul suo corpo nudo, in cambiamento. Passò una mano fugace sulla “A” e si infilò nell’acqua calda. Chiuse gli occhi e si immerse in apnea per qualche secondo.
 
“Io non mi arrenderò! Non finché dentro di me arde il sogno della speranza.”
 
Stefanie riemerse di colpo tirando una lunga boccata d’aria come se fosse stata trascinata fuori dalla tempesta. «Smettila di essere così sfacciatamente presente...» bisbigliò a sé stessa.
 
Ogni qualvolta cercasse di non pensare ad Ace, eccolo spuntare peggio di un fantasma. Iniziò quasi a credere che forse le loro strade erano davvero predestinate, ma non era il momento di crogiolarsi nelle romanticherie. Una volta lavata e profumata si sentì meglio, e anche il malessere sembrò sotto controllo. Si vestì ed uscì sul ponte della Bloody Mary, ancora silenzioso vista la notte inoltrata. Il cielo sembrava tranquillo, cosparso di stelle luminose accompagnate da una brezza marina un po’ incentra.
 
«Nottata difficile?» domandò Hina apparendole alle spalle.
«Un risveglio brusco più che altro…» precisò il Capitano, stringendo le spalle nel soprabito.
«Dovresti mangiare qualcosa, non ti fa bene il digiuno.» continuò apprensiva la Vice della Bloody Mary, allungando all’amica una mela. Meglio di nulla insomma.
«Grazie... Il vento sembra incerto, è prevista qualche tempesta?» continuò Stefanie dando un morso a quella mela offertale e guardando il Log Pose al suo polso. La bussola aveva qualche magnetismo di troppo per non lasciarle uno spiraglio di incertezza. Lungo la loro navigazione aveva avuto modo di incontrare improvvise mutazioni metereologiche, ma sapeva di poter affidare questo compito al loro Navigatore. «Al momento Alan non ha dato direttive, magari è solo una corrente di passaggio.» rispose Hina, guardando in lontananza l’orizzonte.
 
«Se tutto rimane stabile, dovremmo raggiungere Marineford all’alba…» continuò rivolgendosi al capitano. Giungendo alle prime ore del mattino avrebbero avuto qualche ora di tempo per studiare meglio la situazione sul posto, o almeno era quello il piano.
 
Stefanie rimase in silenzio, annuendo alla lieta notizia, tra un morso e l’altro della sua mela. L’unica priorità al momento era raggiungere Ace il prima possibile.
 
«Aggiornamenti dal giornale?» domandò.
 
«Al momento tutto tace, si fanno solo supposizioni sulla strategia che utilizzerà Barbabianca per attaccare la base. Per il resto assolutamente nulla…» scrollò le spalle Hina.
«Anzi… una notizia c’è. Sono giunte voci che Rufy abbia fatto incursione ad Impel Down per liberare Ace, ma nessuno ha dettagli a riguardo. Dovresti contattare tuo padre Stefanie…»
«Scordatelo. Ci incontreremo tutti là, confido nelle capacità di Cappello di Paglia.» ribatté con voce ferma il capitano, voltandosi e allontanandosi dall’amica dirigendosi verso la propria stanza.
 
«Alan aggiornami subito se ci sono cambiamenti di rotta.» commentò incrociando nella strada il proprio Navigatore. «Certo Capitano!» obbedì guardandola chiudersi la porta alle spalle.
 
Il capitano tornò nella propria stanza, iniziando a riflettere su come avrebbe dovuto muoversi in merito alla Marina. Non si parlava di una classica base al quale erano sfuggiti milioni di volte, era Marineford, la sede del quartier generale della Marina.
Si fermò un attimo in mezzo alla propria stanza, quasi come avesse avuto un’illuminazione, avvicinandosi successivamente ad una delle librerie. Scostò un paio di libri, delle cartine, finché non trovò quella che le interessava. Trovata. Era una planimetria abbozzata di quanto sapesse sul Marineford, e stendendola sul tavolo iniziò a studiarla.
 
Si trattava di un'isola a forma di mezzaluna composta interamente di mattoni e acciaio, con cannoni lungo tutto il perimetro. Per quanto Stefanie potesse immaginare, il patibolo per l’esecuzione di Ace si sarebbe sicuro trovato al centro dell’isola.
 
«Prevedo già che il comitato d’accoglienza sarà presidiato dagli Ammiragli… Sakazuki, Borsalino e Kuzan. Ci tocca giocare d’astuzzia!» rifletté a voce alta, quando un sussulto del brigantino la interruppe.
 
La nave prese ad oscillare particolarmente, seguita subito da dei vuoti d’aria che sicuramente non presagivano un buon segno. Uno, due, tre volte finché allarmata Stefanie non si fiondò fuori dalla propria stanza per capire la situazione.
 
«Che diamine era?!» esclamò rivolgendosi a Hina in prua alla nave.
«Non lo so! Il mare si è agitato all’improvviso ed in lontananza la situazione sembra ancora più critica!» spiegò la Vice.
 
Il capitano prese a muoversi velocemente raggiungendola a perlustrare la situazione, rendendosi conto che era in arrivo una tempesta d’altri tempi. Marineford si stava prendendo gioco di loro?
«Dannazione!» imprecò la giovane donna, scattando di posto per raggiungere Alan in cima all’albero. «Il log pose sta impazzendo. Il vento sembra tirare da Nord, ma per continuare la rotta senza perdere tempo prezioso, dobbiamo proseguire. Cosa facciamo? Se seguiamo il vento riusciremo ad aggirare la tempesta, ma potremmo non far in -» venne interrotto il giovane navigatore.
 
«No. Manteniamo la rotta, non abbiamo tempo.» ribatté Stefanie, non lasciando margine di dibattito in merito alla navigazione. Era una corsa contro il tempo e loro avrebbero corso più veloci.
«Signori e signore… mettetevi i cappotti, ci bagneremo alla grande!» ironizzò coinvolgendo l’equipaggio in quello che stava per accadere.
 
Iniziò a prestare ordini sull’ammainare le vele, virate da compiere per cercare di attutire nel miglior modo possibile, ma per il resto avrebbero avuto ben poche speranze. La mareggiata era imminente e le onde cavalcavano la nave con grande maestria; imbarcava acqua da tutte le parti.
Il vento acquisiva di minuti in minuti sempre più potenza, accompagnato da una pioggia imperterrita, rendendo il brigantino una barchetta di carta in mezzo all’acqua.
Avrebbero dovuto resistere e sperare di non perdere la nave.
 
«Mettiti questo, subito!» Una voce la canzonò alle spalle, e voltandosi il capitano trovò Hina porgerle uno dei suoi lunghi cappotti. Era sempre così premurosa nei suoi confronti.
 
La ramata sfoderò un sorriso tra le gocce che le scendevano lungo il volto. Erano già fradici da capo a piedi in solo pochi attimi e forse non era il caso di prendersi un malanno proprio ora.
La ciurma sembrava reagire bene alla situazione, continuando ad adoperarsi sulle direttive ricevute, mentre Alan si destrava nel dare le coordinate di rotta.
 
«Capitano! Si sta avvicinando un’onda anomala, non vedo la fine! Ordinate a tutti di tenersi e mettersi in sicurezza!» urlò Alan dalla prua della nave. Stefanie e Hina corsero subito verso la prua della nave, sporgendosi sul parapetto. Aveva dimensioni mai viste prima. Si stavano coalizzando contro di lei ed Ace? Li avrebbe fatti tutti a pezzi.
 
«Cazzo!» esclamò la ramata iniziando ad agitarsi.
 
«Ciurma! Chi riesce corra in cambusa, per gli altri che resteranno qui fuori con me… Tenetevi o saldatevi subito su qualcosa di sicuro!» ordinò il capitano, premurandosi dei propri uomini. Non poteva permettersi di perderne nessuno in una situazione del genere. Sarebbero spacciati in mare aperto.
 
«Cosa pensi di fare?!» le domandò allarmata Hina.
«Avviso la ciurma.» rispose Stefanie, cercando in anticipo di dissuadere la propria Vice, mentre la trascinava per un polso correndo verso il parapetto nelle vicinanze del timone.
«Stefanie non puoi stare qui! È pericoloso!» continuò.
«Io sono il Capitano.» l’azzittì Stefanie avvolgendole un braccio attorno alla vita, stringendola a sé, premendo entrambe contro l’angolo del parapetto senza lasciare altre parole all’amica. Creò una specie di barriera contro l’intemperia, per quel che poteva essere d’aiuto.
 
Hina rimase ammutolita, trovandosi avvolta al corpo del piccolo capitano, che con la sua solita veemenza si era messa in prima linea per proteggerla. Le doveva molto, al di là di questa situazione. Si strinsero maggiormente quasi creando un guscio, fronte contro fronte, con le braccia ben salde alle colonne di legno della balaustra. Erano cresciute assieme, erano sorelle e non potevano permettersi di perdersi, soprattutto non ora.
 
«Sei una stupida… dovrei essere io a proteggervi…» mormorò appena Hina a pochi centimetri dalle labbra dell’amica. «Anche in questo tu ed Ace siete uguali.» continuò la giovane, rivedendo in questo comportamento Pugno di Fuoco, il quale più di una volta si era messo in pericolo per proteggerle, e soprattutto proteggere Stefanie. «Vero?» sorrise la ramata, facendo trasparire una piccola risata spensierata. Come diamine poteva ridere in una situazione del genere?
«Avrai modo di ringraziarci… sempre se… sopravviviamo!» ironizzò ridendo, appoggiando la propria fronte su quella di Hina.
 
La tempesta procedette indisturbata per più di un’ora, tra raffiche di vento e ondate disumane. Le dita delle giovani più di una volta persero la presa, scivolando sul legno bagnato e cercando nuovamente una presa più salda. Sballottate a destra e a manca dalla furia delle onde, i loro corpi si scontravano e stringevano per proteggersi. Le grida della ciurma riecheggiavano nell’aria insieme ai tuoni scatenati dalla tempesta, dovevano resistere.
 
«Capitano! Vedo la fine, ancora pochi minuti e ne usciremo!»
 
Alan urlò tra la pioggia, tenendo informato il proprio capitano sugli sviluppi della situazione. L’alba era ormai vicina e con essa anche l’arrivo a Marineford. Passò un altro quarto d’ora quando il brigantino rallentò il suo ondeggiare. Il vento si era calmato e con essa anche l’intensità della pioggia. Stefanie allentò la presa sollevando il viso al cielo.
 
«Ace…» bisbigliò ad un soffio dalle labbra Stefanie, stremata ormai fisicamente che mentalmente. Non era una situazione facile d’affrontare, ed ancora adesso non era ancora consapevole di capire come stesse riuscendo ad affrontare tutto questo.
 
«Stai bene?» le domandò Hina, uscendo anch’essa dal guscio protettivo. Porse una mano al capitano, aiutandola ad alzarsi. Affrontare una situazione del genere in quello stato non era di certo il massimo, se Deuce o Marco l’avessero saputo avrebbe scatenato l’inferno.
«S-si…dammi due minuti…» sospirò Stefanie. Inutile negare che era in allerta delle possibili conseguenze di tutto questo. Si accarezzò il ventre e tirando un lungo sospiro si sollevò, era pur sempre un pirata.
 
«Capitano… si vede Marineford. Siamo arrivati!» esclamò il navigatore, sporgendosi con il binocolo per essere certo di ciò che stava dicendo.
 
Stefanie si trascinò, quel cappotto pesante ed inzuppato che portava sulle spalle, guardandosi attorno. Fortunatamente stavano tutti bene, era già un inizio. Si scrollò dai capelli l’acqua in eccesso, camminando verso la prua della Bloody Mary. Si vedeva l’alba.
Il sole spuntava debolmente all’orizzonte, tingendo il cielo e il reverbero dell’acqua di una luce calda. Rosso, arancione e viola. Un nuovo giorno li avrebbe attesi, a pugni stretti più che mai. Era vicina, poteva ancora salvarlo. Un debole sussurrò le fuoriuscì innocente dalle labbra, mentre ricacciava dietro agli occhi quelle lacrime che si presentarono senza invito.

«Sto arrivando…»

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Capitolo 4
*** Aria di casa ***


Marinford, eccola davanti a loro. Quei giorni infiniti sembravano vedere finalmente lo scandire del tempo. La ciurma di Forget Me Not non approdò subito sulla terra ferma. Avrebbero dovuto studiare un piano d’azione, e nel mentre del loro arrivo trovarono nascoste, in attesa, delle ciurme amiche. I pirati di Barbabianca con i loro rinforzi. Nonostante Stefanie non volesse dover chiedere aiuto, si arrese all’evidenza e decise quindi d’incontrare suo padre, Edward Newgate, pianificando la battaglia insieme a lui.
 
Erano passati degli anni da quando aveva detto addio alla propria casa, famiglia, amore. Non era mentalmente preparata a dover affrontare questo tuffo nei ricordi in un momento così instabile, sia fisicamente che mentalmente, non ebbe tutto questo tempo a disposizione per metabolizzarlo.
 
«STEFANIE!!!» si sentì urlare dalla Moby Dick, mentre la Bloody Mary attraccava ad essa.
 
Il giovane capitano si ritrovò davanti a sé molte mani sventolanti in un gesto di saluto, pronte ad accoglierla come se il tempo non fosse mai passato. «Ah… mi fate sentire nostalgica…» bisbigliò mascherando un sorriso imbarazzato, mentre posava i piedi su quella Casa.
 
«Ragazzina, guarda qua come sei cresciuta!» disse Marco abbracciandola stretta a sé. La sua piccola sorellina. Aveva cresciuto lei ed Ace come fratelli minori, tant’è che in giovane età i due avevano sviluppato una rivalità per essere i preferiti del Comandante.
«Sei congelata, vieni dentro.» continuò la Fenice, allarmato da buon medico qual era, lasciando la ramata rifugiarsi maggiormente nel suo caldo abbraccio. Quel tepore le ricordava Ace.
 
«S-sto bene… Dobbiamo parlare Marco. Dov’è mio Padre?» rispose debolmente Stefanie, cercando di non far trapelare tutto il suo malessere generale. E sì, stava abusando il colpo dei giorni passati.
 
«Pensavi di approdare sulla mia nave senza che io me ne accorgessi? Ancora mi sottovaluti Figlia.»
 
Una voce la canzonò alle spalle, profonda, autoritaria, con un retrogusto familiare ed affettuoso. La giovane donna si voltò verso quella voce, restando avvinghiata a Marco come fosse l’unica ancora di salvezza che gli restava tra le mani. Ed in effetti, era proprio così.
 
«Padre, è gelida. La porto in infermeria per precauzione, parleremo da lì.» continuò Marco rivolgendosi al proprio capitano, senza lasciare possibilità di obiezioni.
«Ho detto… c-che sto bene Marco…» mormorò Stefanie, mentre venne presa in braccio dal Comandante della 1 ª flotta.
 
I due “fratelli” lasciarono la prua della Moby Dick dirigendosi verso il luogo citato dal maggiore, dove accomodò delicatamente la ragazza sul lettino e l’avvolse con una coperta.
«Marco non abbiamo tempo, Ac-» mormorò con la voce tremante e gli occhi ricolmi di lacrime.
«Lo so.» affermò il medico.
«Dobbiamo pensare ad un piano! Io… devo salvarlo...» continuò la ramata con le lacrime che iniziarono a sgorgarle come fiumi in piena lungo le guance.
 
Era la prima volta da quando tutto aveva avuto inizio che sentiva la sicurezza di poter lasciare, di potersi permettere di piangere, dove sapeva che qualcuno l’avrebbe abbracciata nello stesso modo in cui avrebbe voluto essere abbracciata in quel momento. Fin da piccola provava grande ammirazione per lui, e crescendo quell’ammirazione era diventato un rifugio. Sapeva che quando non c’era Ace, c’era Marco. Braccia e gambe pronte a sorreggerla.
 
«Lascia a noi questo fardello. Ace tornerà a casa, tu adesso pensa a te stessa per un istante…» le mormorò dolcemente, lasciandole un bacio innocente sulla fronte, asciugandole le lacrime con le proprie mani. «Non sembra tu abbia febbre.» disse Marco, approfittando di quel gesto di tenerezza per continuare a visitarla. La forza dell’abitudine.
 
«Devo dirti… anche un’altra cosa…» ammise Stefanie, abbassando lo sguardo con un senso di preoccupazione. Aveva paura della reazione del maggiore, per momento in cui erano e per la condizione in cui si era spinta fino ad ora, ma era l’unico su cui avrebbe potuto contare.
La Fenice si fermò dal suo da fare, tingendo il viso con un’espressione perplessa e allo stesso tempo apprensiva vista la situazione.
 
«…A-aspetto il figlio di Ace…»
 
Il volto di Marco si imbalsamò in un groviglio immane di emozioni contrastanti. Gioia, amore, paura, disappunto. Si potevano leggere tutte, una dopo l’altra, come se si sfogliasse un giornale; pagina dopo pagina. Dalle labbra del biondo non emerse un filo d’aria. Tremarono appena, quasi incerte su quello che avrebbero dovuto dire, quando si sentì bussare alla porta.
 
«Devi dirglielo. Quando avete finito noi riprendiamo il discorso e ti visito meglio. Siete due sconsiderati… ma, vorrei avere davanti anche quello stupido per abbracciarlo. Avete il vostro futuro da dover proteggere ora.» disse Marco con gli occhi lucidi dall’emozione, prendendole il viso tra le mani baciandole la testa con una dolcezza immane. Si voltò a guardarla nuovamente prima di aprire la porta e lasciare il posto a Barbabianca.
 
«Posso?» domandò l’omone entrando nella stanza, incamminandosi verso di lei solo a seguito del suo consenso. «Sei cresciuta… assomigli molto a tua madre.» continuò l’uomo sedendosi al suo cospetto osservando con comprensione la figlia. Stefanie scostò lo sguardo, rannicchiandosi con le ginocchia al petto, quasi con fare protettivo.
 
«Dobbiamo salvarlo.» mormorò mordendosi le labbra, cercando di mostrarsi impassibile davanti al proprio padre. Lo aveva sempre ammirato e stimato, che non voleva permettere a sé stessa di sembrargli una miserabile in una situazione così critica. O forse lo era davvero?
 
«Ho mai abbandonato uno dei miei figli? Credi davvero che per Ace io non smuova i mari? Siete i miei figli Stefanie. Vi ho cresciuto entrambi come sangue del mio sangue. Vi ho visti crescere e prendere il volo. Ho visto le vostre lacrime e il continuo tormentarvi l’uno per l’altra. Credi davvero che io non sappia nulla di voi? Vuoi incolparmi per la scelta di Ace… di restare nella mia ciurma?» continuò Barbabianca, mettendo tutto sul tavolo della partita. Era la prima volta in cui avrebbero potuto parlare, padre e figlia.
 
Stefanie rimase ammutolita, diversamente dal solito non riuscì ad avere parole. Sentire suo padre parlare in quel modo, dopo che per anni si era fossilizzata sull’idea di essere invisibile ai suoi occhi. Di non essere all’altezza del suo nome. Di essere solo la sua ombra. Faceva male. Si stava sentendo sollevata o accusata?
 
«Sai…ad essere sincero io chiesi ad Ace di partire con te...»
 
Gli occhi della giovane si sgranarono spiazzati da quella rivelazione. Gli aveva di seguirla? Perché non ne sapeva nulla? Perché Ace non glielo disse? Un turbinio di domande iniziò a riempirle la testa. Confusionarie, distorte.
«Non lo sapevo…» rispose appena alzando gli occhi voltandosi verso il Padre. «Lo so, Ace rifiutò. Mi disse che dovevi scegliere il tuo destino da sola e che vi sarete ritrovati quando sarebbe stato il momento.» continuo. «Spesso si arrabbiava perché non davi notizie, e veniva da me per cercare manforte separando che gli ordinassi di cercarti.»
 
Gli occhi di Stefanie ripresero a piangere. I singhiozzi erano impossibili da contenere. Faceva tutto così male. Perché ora? Perché doveva venire a sapere queste cose così? Stava cercando di prepararla alla possibile morte di Ace? O era un modo per ripacificarsi con lei?
 
«B-basta! Non voglio sapere altro… per favore. Promettimi che lo salveremo, ci riusciremo vero?» le parole ruggirono nell’aria, tese come una corda di violino ed al contempo così tremolanti da rompersi in un attimo.
 
«Te lo prometto, Figlia mia.»
 
La conversazione tra Padre e Figlia si dilungò un po’, finché il Capitano dei Forget Me Not non riprese le forze per la battaglia. Era pronta a seguire il piano anticipatole dal padre e dare direttive al proprio equipaggio.
 
«Oh finalmente!» la canzonò Hina appena la vide uscire dalla porta dell’infermeria.
 
La ciurma di Forget Me Not era tutta radunata per la Moby Dick in attesa di avere notizie in merito al proprio capitano, la quale era sparita in mani amiche appena messo piede sul brigantino. Vederla di nuovo ardente di spirito combattivo, diffuse immediatamente sicurezza ad ognuno di loro. «Ho perso fin troppo tempo, diamoci da fare.» esordì Stefanie, andando a sedere al tavolo delle trattative, o meglio in questo caso d’azione.

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Capitolo 5
*** Affari di Famiglia ***


Era tutto pronto. Il piano, gli alleati, l’avanguardia e la retrovia. Avevano studiato questo attacco da cima a fondo, in quelle prime luci del mattino, prima di irrompere a sorpresa nel porto principale di Marineford. Una sola possibilità, il fallimento non era assolutamente contemplato. Un unico obiettivo: riportare Portgas D. Ace a casa, vivo e vegeto. Queste erano le direttive che l’Imperatore Edward Newgate aveva espressamente richiesto a tutti i suoi figli, di sangue e non.
 
I Pirati di Barbabianca avrebbero avuto il pugno di ferro sulle decisioni. Più storici e più esperti su battaglie di tale livello, mentre Stefanie e gli alleati avrebbero servito supporto in base alle direttive ricevute. La 1° Flotta capitanata da Marco avrebbe assunto il ruolo d’avanguardia, attirando l’attenzione delle forze nemiche. Izo avrebbe coperto loro le spalle coordinando le retrovie dell’armata. Questo era il piano di Barbabianca, a cui ovviamente Stefanie ebbe qualcosa da ridire a riguardo. Non sarebbe mai stata fuori dalla battaglia principale, voleva essere in prima linea con suo padre e gli altri per salvare Ace.
 
L’ora dell’esecuzione era giunta.
 
Da lontano i loro occhi potevano scorgere la figura di Pugno di Fuoco raggiungere il patibolo; il punto più alto di tutta la piazza.
 
«Marco!»
 
Stefanie lo chiamò, mentre una stretta al cuore la sorprese. Vederlo lì, a metri da lei. Indifeso. Tumefatto, con una luce buia che non era quella che lei conosceva. Ace irradiava tutto ciò che lo circondava con calore, felicità e positività. Faceva male. Era doloroso vederlo così, testa bassa e la rassegnazione che lo tormentava.
 
«Mantieni la lucidità Stefanie… non ancora.» ruggì autoritario il Comandante. Dovevano attenersi al piano a tutti costi. Le direttive furono chiare.
 
Davanti a loro, esattamente sotto al patibolo sedevano trionfanti i maggiori elementi della Marina: la Flotta dei Sette e gli Ammiragli. Quell’aria di superiorità le fece ribollire il sangue, tanto che Marco captò esattamente le sue intenzioni e l’afferrò serrandole un polso nella morsa della propria mano, senza degnarla di uno sguardo. Lui stesso aveva la stessa determinazione negli occhi, lo stesso rancore nel non essere riuscito a proteggere l’amico, il fratello.
 
L’aria di tensione di spezzò irruenta, mettendo tutti sull’attenti nel sentire il rumore di un lumacofono pronto a trasmettere. Erano in diretta mondiale, il mondo doveva sapere.
 
“Uomini, ho qualcosa di fondamentale da dirvi. Qualcosa riguardo al motivo reale per qui Portgas D. Ace sta per incontrare la sua fine… Ace pronuncia il nome di tuo Padre!!!”
 
La voce di Sengoku riecheggiava nell’aria, spezzando il fiato a tutti i presenti che assistevano alla scena. Gli occhi del Capitano ramato si inumidirono. Perché dovevano umiliarlo così? Perché doveva costantemente sopportare il peso di un padre mai conosciuto?
 
«Ace non si merita tutto questo…non pos-» la voce del piccolo capitano tremo flebilmente tra le labbra guardando l’alto della piazza, quando il silenzio si spezzò come un tuono.
La voce di Ace che urlava.
 
«Mio padre è Barbabianca… È il mio solo padre. L’unico padre che io abbia mai avuto!!!»
 
Sengoku riprese a parlare spiegando la storia della nascita di Ace, delle gesta della madre che lo mise al mondo, concludendo il discorso con la frase che più dura di una pugnalata al petto.
«Tuo padre non è altro che Gold D. Roger!!!»
 
Il volto di Ace si incupì ulteriormente mentre il corpo singhiozzava insieme alle sue lacrime. Era visibile a metri di distanza. Tutti lo percepivano. Stefanie, Marco, l’intera folla erano lì a guardare quel gesto d’amore. Come poteva essere il ritratto del male Ace? Solo uno stupido poteva giudicarlo tale. Ed il mondo era esattamente quello stupido.
 
«SONO QUI!!!!»
 
Un urlo si librò, era ora di muoversi. Gli occhi del mondo si fermarono paralizzati da quello che stavano vedendo. Dal mare si vide un’enorme flotta avvicinarsi in direzione del porto. La quantità di navi si perdeva lungo l’orizzonte. Quarantatré navi.
Ci fu un boato, tagliente e imponente. L’acqua della baia iniziò a dimenarsi, mentre qualcosa da sott’essa di avvicinava al porto emergendo trionfante davanti agli occhi del mondo. La flotta di Barbabianca si era mostrata. Marco, Newgate, Stefanie e i loro più fidati capeggiavano la Moby Dick pronti a scagliarsi nella battaglia.
 
«Mio figlio prediletto… faresti meglio a metterti al riparo. Sei rimasto un po’ troppo lì, Ace!» trionfò a gran voce l’Imperatore dei Mari, richiamando l’attenzione del figlio lontano su quel patibolo.
 
La battaglia ebbe finalmente inizio, e fu proprio Barbabianca a decretarne l’iniziazione con il ruggito del mare. Lo tsunami si scagliò sulla baia, mentre le avanguardie partirono saltando giù dalle navi ed avanzando sotto il fuoco nemico. La marina si trovò spaesata da quell’incursione a sorpresa, impiegando minuti per riorganizzare le linee d’attacco.
 
«Padre… promettimi di salvarlo.»
 
Stefanie si rivolse senza tanti giri di parole al padre, il quale le regalò solo uno sguardo d’intesa come quand’era bambina, avvolgendola successivamente in un abbraccio inaspettato. Era una guerra, forse sarebbe stata una delle più grandi della storia e non era il caso di avere rimorsi sulla coscienza. Per loro avrebbe dato tutto, anche la propria vita se necessario.
 
I due fronti si buttarono alla ribalta tra cannoni e spade. Le grida riecheggiavano nell’aria risolute.
Erano passati degli anni da quando aveva lasciato l’ala del padre pronta a combattere la sua battaglia, separandosi da Ace, il quale aveva scelto di combatter nel nome di suo Padre.
Ed ora eccola lì accanto all’uomo più temuto del Mare Occidentale.
 
«Il mio vecchio, i miei compagni... il loro sangue viene versato davanti a me, ma sono così felice! Non posso smettere di piangere... in questo momento voglio vivere!»
 
Urlò Ace a tutto fiato, ormai stremato ed inerme, facendo infervorire gli animi di tutti quelli che lo amavano. Erano tutti lì per lui. Vedere la sua famiglia lottare e dare la vita per lui, gli fece esplodere il cuore di gioia. Le lacrime scorrevano imperterrite su quelle gote lentigginose, gli occhi rossi dalla fatica urlavano pietà. Sentirlo per la prima volta dire di voler vivere le diede speranza, chissà come avrebbe reagito quando sarebbe riuscita a dirgli della loro dolce attesa. Sarebbe stato felice? Si sarebbe messo in dubbio com’era solito fare?
 
La giovane pirata serrò i pugni nel sentire la voce del proprio uomo farsi largo nel rumore della battaglia. Erano così vicini.
«Marco portami il più possibile vicino a Ace!» ordinò la giovane correndogli incontro.
«E’ troppo pericoloso!» ribatté.
«Non ti ho chiesto un parere! Fallo è basta!» ruggì lei impulsiva.
Gli occhi vividi e lucidi. Ardeva d’adrenalina. Non c’era tempo da sprecare in chiacchere inutili.
 
Il Comandante della 1° Divisione sfoggiò il suo frutto del diavolo, trasformandosi nella leggendaria fenice temuta dal mondo, caricandosi la ramata sulla schiena, intraprendendo così il volo che li avrebbe portati verso Ace.

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Capitolo 6
*** Tra ghiaccio e fuoco ***


La distanza tra lei ed Ace iniziò ad accorciarsi, nonostante i mille ostacoli che continuavano a infrapporsi. Sotto di loro la guerra non trovava pace. Pirati e Marines cadevano come pedine su una scacchiera. Urla, boati e confusione. Doveva raggiungere l’uomo che amava a tutti i costi, pure della propria vita. Non le importava il giudizio di nessuno, non ascoltava. L’unico pensiero che restava fisso nella sua testa era portare Ace via da quel patibolo.
 
«Marco lasciami qui!» insistette Stefanie, scrutando con attenzione il campo di battaglia sotto i piedi per capire quale fosse il miglior punto d’atterraggio.
 
«È una follia questa! Ti farai ammazzare!» ribatté la Fenice.
 
La zona circostante Ace era attentamente sorvegliata da Garp e Sengoku, senza contare il numero di marines attorno a loro. Stefanie stava per infuriarsi con l’amico, quando la propria attenzione venne catturata completamente dal campo di battaglia. Quello era Rufy, il fratello minore di Ace.
 
«Marco me la caverò, promesso. Tu vai ad aiutare Rufy e mio padre!» lo supplicò con la voce tremante tra adrenalina e terrore.
 
La giovane pirata non era un’ingenua e nemmeno una sprovveduta, capiva perfettamente le difficoltà di Marco nell’aiutarla in quel suicidio nonostante lui stesso credesse in lei e nelle sue abilità. Aveva un forte orgoglio, ma soprattutto aveva un profondo legame con Ace, sicuramente non gli avrebbe perdonato di aver assecondato i voleri di Stefanie in una situazione così estrema.
La Fenice sospirò, scambiando uno sguardo d’intesa con la ragazza. Era una follia, ma sarebbe stato al suo fianco sempre e comunque.
 
«Cerca di non morire e salva quell’idiota!» concluse così Marco lasciando cadere Stefanie sotto di sé nel punto che avevano prestabilito, sentendo addosso lo sguardo sconvolto di Ace. Li guardava esterrefatto scuotendo la testa insistentemente in segno di dissenso.
«Scusa amico…» bisbigliò Marco cambiando rotta verso Rufy. Questa volta la testardaggine del capitano della 2° Flotta non avrebbe vinto.
 
La battaglia stava fomentando attimo dopo attimo. Gli ammiragli e la Flotta dei Sette si scatenavano su Barbabianca ed i suoi alleati in una guerra all’ultimo sangue, e fortunatamente Cappello di Paglia attirò tutta l’attenzione su di sé e la sua spietata avanzata verso il patibolo, dopo l’arrivo inaspettato.
 
Era il momento.
Stefanie sfoderò la propria katana facendosi strada tra i marines, abbattendoli inarrestabile uno dopo l’altro, tra un colpo di lama ed un’amnesia, grazie al suo frutto del diavolo.
Il patibolo era lì ad un passo da lei.
 
Quel corpo un tempo invincibile, che aveva sempre sprigionato forza a e maestria se ne stava inginocchiato sulla pietra, la braccia ammanettate dietro la schiena. La testa bassa. Era livido in diverse parti, in altre sanguinante. Inerme. Vederlo in quello stato le strinse il cuore, mozzandole il respiro e inumidendole gli occhi. Non aveva mai viso Pugno di Fuoco arreso al suo destino, tanto fragile da poter andare in pezzi da un momento all’altro. Iniziò a correre verso di lui, le gambe reggevano appena l’ansia, mentre il respiro affannava. Garp e Sengoku si erano allontanati andando incontro a Cappello di Paglia, sfogando verso di lui tutta la loro potenza. Sembrava quasi avessero studiato un piano d’attacco per il salvataggio, ma in realtà quando si parlava di affari di famiglia erano inconsciamente sulla stessa lunghezza d’onda.
 
Il capitano dei Forget Me Not giunse ad un soffio dall’amato. I loro sguardi si incontrarono, così intensi che avrebbero potuto incenerire chiunque si fosse messo in mezzo. Gli si gettò al collo abbracciandolo stretto a sé. Le lacrime defluivano contro il proprio volere. Le emozioni erano incontrollabili, la sovrastarono prima di quanto avesse voluto. Si ritrasse appena da quell’abbraccio, sigillando le loro labbra in un bacio quasi divorante.
Il suo sapore, il calore delle loro lingue che disperatamente si cercavano. Salsedine, sudore e sangue resero quel bacio ancora più intenso. Quanto le era mancato tutto questo in appena quattro mesi.
 
«Sei fredda…» le mormorò sulle labbra il corvino, tingendo il viso stremato con un debole sorriso.
«Così dicono.» rispose prendendogli il viso delicatamente tra le mani scostandogli i capelli dagli occhi, baciandogli nuovamente le labbra con estrema dolcezza. Finalmente era lì, erano riusciti a raggiungerlo. Assieme ci sarebbero riusciti.
 
«Fanie, devi andartene da qui…» mormorò stretto tra i denti Pugno di Fuoco in una guerra interna tra il volerla accanto e il proteggerla tenendola lontana da sé.
«Shhh… non credi nemmeno tu a quello che stai dicendo…» rispose la giovane baciandogli la fronte, iniziando successivamente a destrarsi con quelle manette nel tentativo di togliergliele.
«Sono fatte di agalmatolite, serve per forza la chiave.» la guidò Ace tirando a stento le labbra.
 
«Merda!» Stefanie imprecò, guardandosi attorno per trovare il prima possibile una soluzione.
 
Doveva capire chi avesse le chiavi. Forse le guardie dell’esecuzione o Sengoku stesso? Non c’era tempo. Sotto di loro il vociare si faceva sempre più intenso e in lontananza vide un gruppo di Marines correre nella loro direzione. «DIETRO DI TE!!!» urlò Ace.
Il capitano della Bloody Mary roteò su sé stessa facendo librare la katana nell’aria, colpendo senza esitazione il nemico alle proprie spalle, ma i suoi occhi si concentrarono su una figura che in tutta velocità li stava raggiungendo.
 
«Non ti avvicinare, Rufy!» gridò esasperato il corvino. «Dovresti capirlo, sei un pirata come me! Hai navigato anche tu dovunque hai desiderato! Io ho le mie avventure! Ho i miei compagni! Tu non hai nessun diritto di immischiarti così in questa situazione! Un moscerino debole come te si illude di poter salvare me? Ma hai battuto la testa? Pensi che potrei mai accettare un'umiliazione simile? Vattene Rufy, che sei venuto a fare?» le grida di Ace riecheggiarono nell’aria, quasi a sovrastare il rumore della battaglia che li stava attorniando.
 
«…Ace…» la giovane riuscì solo a mugugnare il suo nome con un soffio di fiato.
Chiunque conoscesse Pugno di Fuoco sapeva bene quanto fosse fiero del suo adorato fratellino, quanto tenesse a lui e quanto avrebbe lottato per proteggerlo. Orgoglioso fino al midollo, Ace non avrebbe mai permesso al fratello minore di salvargli la vita, era inconcepibile. Ne era del suo onore e della promessa che si era fatto in giovane età.
 
«ACEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!»
 
Un urlò a tutto fiato, fece cadere a terra tutta la folla attorno a loro. Era l’Haki. Rufy li raggiunse e con sé quel famoso cappello di paglia temuto sulla Red Line. Stefanie ed Ace rimasero spezzati in un primo momento vedendo la scena, ma il sollievo successivo fu una manna per tutti. Avrebbero guadagnato secondi preziosi.
 
«Rufy non abbiamo le chiavi, sono manette di agalmatolite!» si intromise la giovane, portando avanti gli inconvenienti cercando di ottimizzare i tempi. Dovevano sbrigarsi, Garp e Sengoku erano alle loro costole. Questione d’attimi e si sarebbe trovati circondati.
 
«Fanieeee! Ho un’idea, ma ci serve una mano!» continuò rivolgendosi verso la giovane, mentre il braccio destro di Rufy si allontanò dal proprio corpo allungandosi a dismisura andando ad avvolgere il corpo di una figura lontana da loro. Era Galdino, con il suo frutto del diavolo avrebbero potuto creare una chiave e aprire le catene.
 
La guerra tra marines e i pirati di Barbabianca diventava sempre più violenta, inarrestabili urla si disperdevano tra i rumori della battaglia. Sengoku avanzava rapidamente verso i novellini, ancora a le prese con le manette di Pugno di Fuoco, ma quando tutto sembrava volgere al termine… una fiamma si librò nell’aria sfociando in un fuoco fuori controllo. Ace era libero.
 
«Andiamo!» esclamò il corvino, avvolgendo un braccio alla vita di Stefanie e prendendo per un polso il fratellino minore, mentre il suo Rogia riprendeva pieno possesso del proprio corpo.
 
Gli occhi del mondo si concentrarono in quello scenario: gli Ammiragli, Barbabianca e tutta la flotta rimase esterrefatta. Pugno di Fuoco scendeva finalmente sul campo.
Un boato si alzò nell’aria, un grido di gioia avvolse le file dei compagni di Ace. Il moro posò i piedi al suolo, annullando l’effetto delle fiamme, in compagnia della sua famiglia. Gli occhi di Ace vagarono velocemente alla ricerca del Padre, ed incontrando il suo sguardò si rasserenò.
Stavano tutti bene, più o meno.
 
«UUUUUH! È stato pazzesco!»
 
Cappello di Paglia era alla ribalta, carico di adrenalina e pronto a combattere al fianco del suo amato fratellone. Era riuscito a salvarlo dopo tutto ciò che aveva passato tra Impel Down e lì a Marineford.
 
«Stai bene?» chiese Ace alla ramata, tenendole il braccio ancorato attorno alla vita.
«Ora che sei con me non potrei star meglio…» continuò Stefanie, prendendogli dolcemente il viso tra le mani ed allungandosi per baciarlo.
 
Il Capitano della Seconda divisione la strinse a sé e quando i loro corpi si toccarono, ebbe un momento di stupore, andando a cercare subito lo sguardo della più piccola. Il capitano aveva già capito, ma non era il momento giusto. Le baciò la fronte, lasciando furtivamente passare una mano sull’addome dell’amata, e sorridendo si voltò verso la battaglia. Doveva andare.
 
«Fanie, vai nelle retrovie… quand’ho finito ti raggiungo.» concluse Ace facendo un cenno a Marco che li raggiunse. Stefanie per la prima volta non ribatté, era riuscita a riavere il suo amore ed ora avrebbe dovuto preoccuparsi del loro futuro. Si aggrappò all’uomo fenice e venne portata nelle retrovie.
 
«Rufy ce la fai a combattere?» continuò Ace.
«Certo che posso! Ce l’ho fatta solo perché Barbabianca e gli altri mi hanno aiutato…» rispose Rufy affiancando il fratello pronto alla guerra.
 
Barbabianca continuava ad essere sotto attacco, Sakazuki era inarrestabile e sembrava non accettare un finale diverso da quello che avrebbe voluto ed Ace non era più disposto a guardare il Padre combattere per lui. Doveva essere il contrario. Raggiunse i due uomini, e nel sentire Akainu rivolgersi in quel modo verso il proprio capitano, o ancora meglio, verso il proprio padre…Ace perse la testa.
 
Si vide solo una nube di fuoco, fumo o cenere. Ace era stato attaccato?
Cos’era accaduto? Tutto era avvenuto così velocemente. Il fiato di Stefanie si fermò, essendo ormai lontana dalla prima linea non vide, così corse alla ricerca di un punto sopra elevato da cui poter vedere la situazione. Il ragazzo era in ginocchio, ma vivo, o al meno un secondo prima.
Ci fu uno scatto improvviso. Ace corse incontro a Rufy, che immobile cercava qualcosa al suolo, quando nell’istante dopo la scena fu agghiacciante.
 
“Ha colpito Ace!” fu l’eco che riempì la gola ghiacciata di Marineford. Immobili, esterrefatti e distrutti erano gli sguardi di tutti i presenti in quella battaglia. Akainu ce l’aveva fatta.
 
Marco corse in aiuto dei fratelli alla carica di Sakazuki, inutilmente. Si voltò verso i ragazzi.
Ace accasciato addosso a Rufy che lo sorreggeva disperatamente, mentre il maggiore sembrava aver ancora un soffio di forza per parlare. Il Jolly Roger che portava con fierezza sulla schiena non esisteva più.
 
«Ho solo un rimpianto… non sarò in grado di vedere il tuo sogno realizzarsi… ma ti conosco e so che ce la farai…sei mio fratello dopo tutto.» bisbigliò con un filo di voce Ace all’orecchio del fratellino. Che disfatta non essere riuscito a farsi salvare da lui, dopo tutti quelli sforzi. Rufy rimase in silenzio, ancora sotto shock dalla situazione, urlando disperatamente alla ricerca di un medico per aiutarlo.
 
«…La mia voce sta diventando sempre più debole Rufy… voglio che ascolti e riferisci a tutti quello che sto per dirti…» tossì appena. «…Anche se sono stato un buono a nulla per tutta la vita… anche se in me scorre il sangue di un demone… voi mi avete sempre voluto bene… vi ringrazio moltissimo!» la voce rotta iniziò a singhiozzare e le lacrime a bagnare la spalla di Cappello di Paglia.
«Rufy… proteggi Fanie al posto mio.» furono le ultime parole pronunciate dall’ex capitano della seconda divisione di Barbabianca, prima di crollare senza vita al suolo.
 
«…ACEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!» un urlo straziato e disperato partì dal fondo della battaglia, raggiungendo le orecchie di tutti, sino al fronte. Si tenne l’addome con l’avambraccio crollando sulle ginocchia. Una fucilata al petto. Il nulla attorno. Tutto si fece nero, gli occhi si riempirono di lacrime singhiozzando talmente tanto da mancarle l’ossigeno. Ace era morto.
Era morto davanti ai suoi occhi.
 
Da quel momento in poi ci fu un susseguirsi di eventi cui Rufy e Stefanie non avrebbero mai ricordato per via dello stato di shock ritrovatisi ad affrontare. La grande guerra si concluse con la sconfitta dell’Impero di Barbabianca.

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Capitolo 7
*** La Volontà della D. ***


Erano passati due anni dalla morte di Ace.
Due lunghi anni da quando Stefanie si era vista strappare da sotto le dita la sua famiglia; l’uomo che amava e il padre che tanto stimava. Più che mai ora avrebbe voluto potergli dire una parola in più o abbracciarlo. Le avevano tolto tutto. Quelle maledette promesse erano giunte a capolinea, lasciandosi alle spalle il loro sogno irrealizzato. Aveva immaginato il loro futuro in maniera completamente diversa, ed ora si ritrovava al mondo senza un proprio posto.
 
Le avevano tolto Ace, ma proprio lui le aveva lasciato uno dei regali più importanti che potesse farle. Ora come un tempo, sarebbe stato sempre al suo fianco: in quei capelli corvini, in quel sorrisetto da teppista e in quegli occhioni vispi che la guardavano con fame di crescere. L’avrebbe guardata invecchiare e le sarebbe stata accanto nelle fredde notti, in maniera completamente diversa, ma era innegabile che in quella piccola creatura risiedeva la volontà della D ereditata dal padre.
 
Scappati da Marineford, lei e Marco, si erano rifugiati in uno dei villaggi sperduti sotto la protezione di Barbabianca, decidendo di stanziarci fino all’arrivo del nascituro. Avevano momentaneamente separato le ciurme, in modo da correre meno pericoli possibili, con la promessa che arrivato il giusto momento si sarebbero riuniti. Hina avrebbe preso le sue parti per questo periodo.
 
Stefanie, grazie all’immenso aiuto dell’amico nonché medico, riuscì ad affrontare il parto ed a riordinare la propria testa definendo dei nuovi obbiettivi, riposizionando le priorità della propria esistenza. Vendetta? L’avrebbe voluta prima o poi, avrebbe ripagato con la stessa moneta chi le aveva stravolto la vita, ma non ora. Tutto si sarebbe concentrato su quel bambino.
Lo avrebbe guidato sulla strada spianata da Ace, tramandandogli aneddoti e conoscenze di esso. Gli avrebbe fatto conoscere i valori della loro pirateria, spronandolo a trovare il proprio posto nel mondo e solo quando pronto gli avrebbe rivelato il significato di quella D. Stefanie era ben a conoscenza del passato di Pugno di Fuoco, delle sue sofferenze legate al proprio sangue e a tutto quello per cui aveva dovuto combattere nel tempo. Loro figlio non doveva patire tutto ciò.
 
Dopo la Guerra dei Vertici tutti i coinvolti avevano fatto perdere le proprie tracce, così come loro, anche Rufy era sparito dalla circolazione ed ancora adesso, non erano riusciti a rintracciarlo in alcun modo. Già due anni, il tempo sembrava correre a momenti e fermarsi in altri.
 
«Sai… tuo padre sarebbe stato così orgoglioso di vantarsi della tua somiglianza con lui, con queste lentiggini poi… Sei ancora piccolo, ma già lo vedo che mi farete dannare allo stesso modo…» sussurrò dolcemente la giovane, cullando tra le braccia il piccolo, mentre se ne stava all’ombra di un albero.
 
Shpinx era la terra natia di Edward Newgate, una piccola isola nel Nuovo Mondo, che nel corso degli anni grazie alla supremazia di Barbabianca era risuscita a sopravvivere e ad essere autosufficiente. Era qui che si erano nascosti. Marco si era prestato ad assistere il villaggio come medico, mentre il Capitano dei Forget Me Not, era diventata un tutto fare tra il piccolo e gli abitanti. Stavano bene, certo faceva decisamente strano ad entrambi essere in quella situazione, ma dovevano temporeggiare prima di rimettersi nella vetta. Il piccolo era priorità.
 
«Sono d’accorto, avrebbe corso avanti ed indietro per la Moby Dick facendo un chiasso assurdo…» intervenne Marco alle sue spalle, accarezzando dolcemente i capelli corvini del bambino. Era tale e quale al padre, nemmeno l’avessero ricalcato.
 
«Speriamo che di testa cresca meglio. Prendi dalla mamma almeno questo!» risero tutti e tre, divertiti dai versetti simpatici che il piccolo emetteva.
 
«M-Marco… ho fatto la scelta giusta? Non voglio che abbia alle spalle lo stesso destino di suo padre…» sussurrò appena la ragazza, quasi vergognandosi di quella domanda, lasciando un tenero bacio su quella piccola fronte rosea. Ogni volta era un insieme di emozioni: tanto amava suo figlio, tanto faceva fatica ad accettare la morte di Ace. Non si poteva scappare.
 
«Certo. Lui è figlio tuo e di Ace, non di Roger. Avranno lo stesso sangue sì, ma ha alle spalle un passato completamente differente…in più sarà lui a scegliere il suo destino crescendo, no?» cercò di smorzare la tensione Marco, giocherellando con il piccolo.
 
La Fenice le era sempre rimasto accanto, forse un po’ per dovere verso il padre della giovane o forse per rispetto all’amico scomparso. Li aveva visti crescere insieme sulla Moby Dick, aveva fatto da mentore ad entrambi ed ancora adesso considerava Stefanie come una sorellina minore da vegliare. Non l’avrebbe abbandonata, nemmeno ora che entrambi avrebbero avuto nuove responsabilità. Erano una famiglia e avrebbero continuato ad esserlo.
Si sedette accanto alla giovane, godendosi quella leggera brezza che li accompagnava sull’alto della collina che svettava sul villaggio. Da lì potevano osservare lo scorrere del tempo, dei giorni, la crescita e lo sviluppo di ogni cosa. Ci andavano spesso, forse cercando di ricevere un consiglio dall’altro, che mai arrivava.
 
«Pensi che se potesse… mi direbbe qualcosa?» domando la ramata, alzando gli occhi al cielo, lasciando la propria testa appoggiarsi sulla spalla del biondo, che le avvolse un braccio attorno alle spalle stringendola a sé.
 
«Beh…sicuramente se potesse si siederebbe qui in mezzo spostandomi con un “Proprietà provata, via.” e sono certo che ti direbbe di sorridergli di nuovo come hai sempre fatto…» continuò l’uomo sfoggiando un sorriso genuino sulle labbra, lasciando un bacio su quei capelli ramati.
«In ogni caso ho io qualcosa da dirti.» continuò Marco catturando in toto l’attenzione della giovane, che si sollevò dalla sua spalla guardandolo con scetticismo e perplessità, sistemando sulle gambe il piccolo erede. Il silenzio di quell’istante si fece più intenso, accompagnato da un venticello più prorompente.
 
«Ho trovato Rufy…» le confessò il medico.
 
Era dalla conclusione della Guerra dei vertici che avevano perso completamente le sue tracce. Nessun messaggio, nessuna chiamata. Il nulla. Marco aveva investigato nel corso dei due anni, recandosi in anonimato in giro per i territori alla ricerca di Cappello di Paglia, ma nessuno sapeva. Lo credevano morto chissà dove.
 
«È v-vivo?!» balbettò sorpresa da quella notizia del tutto inaspettata. Aveva perso le speranze di rivederlo, di poter potergli presentare il figlio di suo fratello. L’unico pezzo della famiglia rimastole.
 
«Sì, ho scoperto che si è rifugiato ad Amazon Lily sotto la protezione di Boa Hancock, l’imperatrice delle Kuja. Ha condotto un addestramento intenso di due anni con un grande pirata, Silvers Rayleigh. Era il vicecapitano della ciurma di Roger…» spiegò l’uomo.
«Che dici, vuoi incontrarlo?» le domandò sorridendole, sapendo già quale sarebbe stata la riposta da parte della neo-madre.
 
«Certo che voglio!!!» affermò, spostando il piccolo tra le braccia di Marco, scattando in piedi dall’entusiasmo saltellando e dimenandosi come una pazza. Che notizia, quella era una benedizione. Sapere che fosse vivo e stesse bene, fu come una botta d’adrenalina.
 
Passarono un paio di giorni da quella notizia. Marco cercò nuovamente un contatto con Cappello di Paglia, anche se non riuscì mai ad ottenerne uno con il diretto interessato, ma quello non era fondamentale. L’importante era riuscire a organizzare un incontro. Dalla rivelazione Stefanie sembrava aver cambiato luce, tornando ad essere radiante e sorridente come un tempo, diffondendo attorno spensieratezza e serenità. La Fenice ottenne finalmente il riscontro per quell’incontro; il giorno, l’ora e il luogo. Era tutto confermato.
 
La notte prima del fatidico ritrovo, Stefanie era estremamente in ansia. Silenziosa, irrequieta.
Appena il piccolo si addormentò si alzò dal letto, trascinandosi nella piccola cucina della casa che condivideva con Marco. Camminava avanti ed indietro, la sottoveste bianca che ondeggiava insieme ai capelli ramati sciolti lungo le spalle. Una flebile luce filtrava dalla finestra, illuminandola quasi come se fosse il centro di quella cucina.
 
«Cos’hai?» la voce di Marco la sorprese alle sue spalle, facendole accapponare la pelle. Se ne stava lì appoggiato allo stipite della porta, osservandola. Percepì i suoi occhi addosso, e per un istante si sentì in soggezione.
 
«Niente…» rispose la giovane, notando la Fenice farle una smorfia senza dover proferire parola, portando le braccia conserte al petto.
 
«Okay. Sono agitata, non so cosa aspettarmi. Non voglio farmi aspettative e non so come mi sentirò ad arrivare in quel posto con mio figlio… nostro figlio tra le braccia. Cosa dovrei dire? “Questo è il figlio di tuo fratello morto?”» iniziò logorroica a vomitare un insieme indefinito di parole, senza alcun senso. Tutte le sue paure messe a nudo, e la paura di essere giudicata.
Vedendola così in preda ad un attacco di panico il biondo lasciò quello stipite, raggiungendola velocemente e stringendola a sé. Il viso di Stefanie sul suo petto.
 
«Smettila. Quando sarai lì farai quello che ti sentirai.» l’accudì posando il mento sulla sua testa, con fare protettivo. Un po’ fratello maggiore ed un po’ qualcosa di più che ancora lui stesso non era riuscito a definire. Le baciò una guancia, trascinandola con sé verso la camera da letto. Aveva bisogno di dormire per essere lucida il giorno seguente.
 
Furono le prime luci dell’alba, quando i tre si incamminarono verso il porto di Shpinx pronti a salpare per la meta dell’incontro. Stefanie era, apparentemente, tornata il Capitano dei Forget Me Not che tutto il mondo conosceva. I capelli ramati acconciati in una lunga treccia scomposta che le cadeva sulla spalla. Un miniabito succinto di un verde brillante, lunghi stivali di cuoio ed il cappello che possedeva simile a quello di Ace. Il luogo dell’incontro con Rufy era la collina cui Shanks, il Rosso, aveva adibito come santuario commemorativo per Portgas D. Ace e Edward Newgate.
Voleva che Ace la vedesse come l’ultima volta che si erano amati. L’ultima volta in cui avevano fatto l’amore. La donna di cui era perdutamente innamorato.
 
L’ansia la stava divorando, ma cercava continuamente di nasconderla, portando tutta la sua attenzione sul piccolo corvino che stringeva stretto al proprio seno. Lo strinse a sé come fosse acqua nel deserto, lasciandogli baci sparsi e parole di conforto.
 
«Siamo arrivati, andiamo...» l’accolse Marco scendendo per primo dalla piccola imbarcazione, allungandole una mano per aiutarla a scendere e per la prima volta rivide l’orgoglioso pirata che conosceva, snobbandogli la carineria scendendo con le proprie forze ed il figlio tra le braccia.
La fierezza in quegli occhi vispi e brillanti era abbagliante.
 
Salirono la collina, camminando lungo la prateria selvaggia e le distese d’erba cullate dal sole. In quello spazio sicuro Stefanie concedette al piccolo corvino di sgranchirsi le gambe, tenendogli una mano e procedendo insieme. Gli occhi attenti di Marco li osservavano, senza intromettersi in quel quadretto che non era il suo. Rimpiangeva la morte di Ace, avrebbe meritato di godersi una scena simile dopo tutte le sue sofferenze. Era tutto così tranquillo, silenzioso. Quasi fosse un paesaggio da racconto infantile.
Stefanie si fermò riprendendo per mano il piccolo teppista, appena i suoi occhi incrociarono la vista di quel cappello arancione spuntare sulla cima. Ebbe un sussulto, prese un profondo respiro e con suo figlio continuò a camminare, finché non furono sotto alle due tombe.
Shanks aveva proprio reso loro un grande omaggio, gli era grato dal profondo per tutto quello che aveva fatto per loro. Per la propria famiglia.
 
«Ciao…am-amore mio…» mormorò mordendosi le labbra, accarezzando appena con i polpastrelli la tomba bianca di Ace, inginocchiandosi tra i fiori sotto di essa.
Rimase in silenzio per un secondo, portando il piccolo a sedersi sulle sue gambe, accarezzandogli quegli indomabili capelli neri.
 
«Siamo venuti a trovarti… è cresciuto vero?» continuò sorridendo.
«Io e Marco stiamo già iniziando a preoccuparci perché è la tua fotocopia in tutto. Sai, si addormenta anche mentre mangia…» rise spensierata in mezzo a quei fiori colorati. Un misto di gioia e dolore avvolgeva quelle parole.
 
«Stefanie…»
 
Vennero interrotti da Marco in quel momento intimo, facendole esattamente capire cosa stesse succedendo. Rufy era lì. La ramata annuì, ricomponendosi e sollevandosi.
Vide in lontananza quel cappello di Paglia e la sua figura andarle incontro accompagnato da qualcuno. Era Jinbe, l’ex membro della Flotta dei Sette. Stefanie prese il piccolo per mano andandogli incontro, quando da sotto quel cappello di rivelò un sorriso sgargiante e felice.
 
«Ehiii!!!» Rufy si sbracciò, intraprendendo una corsa spensierata verso di lei e del piccolo sconosciuto. Il tempo sembrava non essere mai passato, era sempre lo stesso se non per la grande cicatrice che portava sul petto.
 
Il ragazzo andò subito ad abbracciarla, voltandosi poi per salutare anche Marco dietro di loro. Rise di gusto per quel momento, inginocchiandosi successivamente per essere all’altezza del piccoletto davanti a lui. Lo guardò sorridendo. Qualche smorfia con la scusa della sua pelle elastica, per poi scompigliargli quei capelli già ribelli.
 
«È uguale ad Ace da piccolo, che ricordi…» mormorò con un sorriso malinconico Rufy, ripensando a tutti i momenti passati assieme al fratello maggiore e Sabo. Momenti che avrebbe portato per sempre nel cuore. Magici. Che nostalgia.
 
«Zio Rufy, ti presentiamo Portgas D. Nash...» sorrise Stefanie, accarezzando i capelli ribelli del figlio, lanciando uno sguardo complice verso la tomba di Ace alle sue spalle. Sapeva fosse lì con loro in quel momento.
 
«Ciao piccoletto, io sono lo zio Rufy!» esordì avvicinandosi al corvino, il quale subito sembrò provare forte empatia per lo zio appena conosciuto. Era impossibile per chiunque non avere queste emozioni una volta conosciuto Cappello di Paglia. Tutti lo ammiravano.
 
«Sono sicuro che faremo grandi cose insieme piccoletto, d’altronde buon sangue non mente e quella D. avrà in serbo grandi cose anche per te, vedrai!» continuò Rufy colmo d’adrenalina nel conoscere il nuovo membro della famiglia. Avrebbe vegliato su di lui, o meglio su di loro, proprio come i suoi fratelli e Shanks avevano fatto con lui.
 
Chissà se anche Ace se la stava ridendo insieme a loro da là su, ma di una cosa erano certi:
L’era della pirateria stava per scrivere un nuovo capitolo.

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