Ever Since New York

di anonimo9898
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** I ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Sei del mattino, finalmente un po' di sole: New York illuminata era tutta un'altra cosa. 
Un pettirosso si confondeva quasi col colore della ringhiera del balcone, camminava avanti e dietro.
Un leggero venticello muoveva le foglie degli alberi, anche loro tremavano.
L'ombra di un lampione che si accendeva e si spegneva ininterrottamente, la voce lontana di un bambino.
Le lenzuola bianche distese sul pavimento, il cuscino dall'altro capo del letto, un telefono che squillava ignorato sul comodino. A completare il quadro, un corpo nudo disteso sul materasso, con la schiena rivolta verso il soffitto e le braccia che cercavano di afferrare il nulla. 
I muscoli contratti, i capelli scompigliati, il tintinnio di un bracciale che sfregava sul materasso.
Il naso arricciato, una mano davanti agli occhi: erano aperti, fissavano il vuoto. 
Se solo parlassero, chiunque ci scriverebbe un libro, ma cercano ancora il loro autore, uno che sappia leggerli da cima a fondo, che non scriva solo del loro colore, ma di ciò che hanno visto, di ciò che hanno vissuto e di ciò che desiderano ancora provare.
Le labbra umide dipinte di un colore tale da somigliare ai petali caduti di una rosa. 
La pelle d'oca, il pettirosso aveva iniziato a cinguettare.
Il silenzio, il vento aveva smesso di danzare. 
Una canzone gli rubò ogni spazio libero nella sua mente. Il ritmo era semplice, "Young and Beautiful" di Lana del Rey. 
Poggiò i piedi sul pavimento, si stiracchiò e si alzò. 
Il pensiero ancora giaceva stanco su quel letto, il corpo comandava ogni movimento, la testa ancora invasa da quelle parole.
 
Will you still love me
When I'm no longer, young and beautiful?
Will you still love me
When I got nothing but my aching soul?
 
L'acqua fredda lo riportò alla realtà, la musica pian piano svanì. 
Vorrebbe di nuovo tornare a pochi minuti fa, mandare indietro il tempo per godersi ancora un attimo in compagnia di sè stesso. 
L'odore forte della menta gli infastidì il naso, il rumore dello spazzolino elettrico lo aiutava a non pensare. 
Le parole iniziavano a prendere forma, le frasi a ricomporsi, i segni di punteggiatura a posizionarsi dove erano richiesti. 
Troppe cose da dire, troppo poco tempo. 
Prese una penna in mano, macchiò di inchiostro pagine bianche della sua agenda. 
Non poteva fare a meno di scrivere. 
Scriveva per ricordare, per distrarsi, per sfogarsi, per il semplice gusto di farlo.
Posò tutto sul tavolo, indossò la prima tuta trovata alla rinfusa nell'armadio, uscì di casa. 
Svoltò l'angolo, girò a destra. 
Amava il parco, amava gli artisti di strada che suonavano e disegnavano, che davano un tocco di colore all'asfalto, raccontavano storie che subito dopo venivano cancellate e dimenticate nel nulla. 
La sua Moleskine era ciò che lo faceva scappare dalla realtà, lì c'erano tutte le cose che non aveva il coraggio di raccontare a nessuno: quando vuoi urlare ma nessuno ti ascolta, quando vuoi piangere ma nessuno ti consola, quando vuoi ridere ma a nessuno interessa.
Un giorno scrisse delle piccole cose inaspettate, degli sguardi scambiati di sfuggito, delle parole mai pronunciate, dei rimpianti che ti porti per sempre insieme a te, degli incontri che cambiano la vita, di una piccola cosa inaspettata chiamata Harry Styles. 

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Capitolo 2
*** I ***


Primavera, la sua stagione preferita. L'odore dei fiori appena sbocciati gli invase le narici, i suoi occhi si aprirono piano, il verde che li dipingeva era illuminato dai raggi del sole, sorge sempre dal lato di casa sua. Si stiracchiò, si guardò intorno: solo, come ogni giorno. Indossò un paio di pantaloni raccolti dal pavimento. Uscì in balcone, incrociò le braccia al petto ed assaporò l'aria, era fredda ma piacevole sulla pelle. Passò una mano tra i capelli, si accese una sigaretta. Non fumava mai, non le sigarette normali. Preferiva le Nirdosh alle erbe, solo quando la giornata iniziava col piede giusto. Ispirava, espirava, l'addome si contraeva e il petto si gonfiava. Una notifica, poi un'altra, poi una chiamata. «Harry, dove sei?» la voce di Liam lo riportò nel presente, i momenti di pace e tranquillità duravano troppo poco, in questi momenti vorrebbe fermare il tempo. «Buongiorno anche a te Liam» addio buone maniere «sono a casa, mi hai disturbato mentre fumavo, fa che sia per una buona ragione» «Vestiti, mi serve una mano al bar» chiuse il telefono, non gli diede il tempo di replicare, quando quel ragazzo si metteva in testa una cosa, nessuno poteva contraddirlo. Spense la sigaretta, respirò i residui di erba, si godette l'ultimo momento di quiete prima della tempesta. Lo stile di Harry? Un completo disordine. Troppo classico, troppo elegante, troppo moderno, troppo coperto, poco coperto... Non ci badava più ormai, tutti i consigli di Niall finivano in un pozzo senza fondo. Era lui fra tutti "il paladino della moda". Sapeva sempre ogni singola tendenza, in camera sua le riviste di Vogue si moltiplicavano a vista d'occhio. A lui piaceva così, si sentiva bene. Uscì di casa, accese la macchina. Aveva la giornata libera al lavoro, niente a cui pensare. Raggiunse Liam, parcheggiò nel retro, il posto riservato ai dipendenti. Non faceva il barista, lui aiutava l'amico, proprietario di quel Bar. Cantava, animava le serate, suonava la chitarra, ma era solo una maschera. Non sopportava l'idea di essere solo, aveva bisogno di qualcuno, ma mai nessuno faceva al caso suo. Forse era troppo esigente, ma lui voleva una favola, non una storia. Voleva sentire le farfalle nello stomaco ad ogni suo tocco, ad ogni carezza, ad ogni bacio. «Vai a servire quel tavolo» in fondo alla stanza, un gruppo di giornalisti della zona. Li aveva riconosciuti tutti, tranne uno. «Buongiorno, cosa vi porto?» fissò il ragazzo tutto il tempo, era con la testa china a scrivere sul suo quaderno. La mano scorreva, l'inchiostro della penna si consumava. «Quattro birre per noi e per Louis...» il direttore del New York Times puntò il dito su di lui, alzò lo sguardo. «Un caffè amaro» accennò un sorriso, i loro sguardi si incrociarono. In così poco tempo, gli sembrava di essere cascato nel bel mezzo dell'universo. Lui, occhi azzurri, profondi. Gli ricordavano il mare, brillavano come stelle. Erano sereni, grandi, perfettamente disegnati per il suo viso. Si perse al loro interno. «Ragazzo?» un battito di ciglia, si allontanò dal tavolo. Era ancora turbato, non provava una sensazione simile da anni ormai, quasi come se quei ricordi fossero svaniti e d'un tratto ritornati con un nuovo viso, con degli occhi che si sarebbe difficilmente scordato. Sapeva il suo nome, "Louis". Forse un apprendista nell'editoria, con un futuro da scrittore o da giornalista. Un sorriso involontario scambiato fra i due: il mare calmo che si scontra su uno scoglio, una foresta che brucia. L'uno potrebbe essere il rimedio dell'altro, una reciproca medicina che agisce sul cuore. Harry si accorse che aveva smesso di scrivere, aveva gli occhi immobili posati su di lui. Portò gli ordini al tavolo. «Posso portarvi altro?» questa volta, timidamente, fu Louis a parlare. «No, grazie...» lesse il nome sul badge «Harry». Arrossirono entrambi, sulla pelle chiara di quel ragazzo le guance si erano macchiate di un rosso intenso, rosso sangue. Harry corse sul retro, si passò una mano tra i capelli. Guardava ogni cosa intorno a lui, posò lo sguardo sulla sua auto, corse e si chiuse al suo interno: l'unico desiderio che aveva in quel momento era scappare. Aveva paura, paura di rovinare tutto, come sempre. Questo faceva Harry, sul più bello era in grado di sgretolare i momenti come graffite, tutto ciò che toccava diventava polvere, non voleva che accadesse di nuovo. Voleva tenere il ricordo di Louis e farlo rimanere tale. Non come uno dei tanti, no, quel ragazzo lo aveva stregato. Forse inconsciamente era stato il destino a scegliere per il loro futuro. Accese il motore, strinse forte il manubrio. Prima di premere sull'acceleratore sentì in lontananza qualcuno chiamare il suo nome. «Harry!» lo guardava, una sigaretta in mano, lo sguardo deluso e perso. «Scusa» fu l'unica cosa che riuscì a dire, la voce flebile come un respiro; nella sua mente le parole erano tante, ma si cancellavano da sole. L'unica speranza era quella di rivederlo, anche solo da lontano, per non scordarsi mai di lui.

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