BLOODY WAR

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una città magica ***
Capitolo 3: *** Il Libro dei Morti ***
Capitolo 4: *** Dimostrazione di fiducia ***
Capitolo 5: *** Le origini ***
Capitolo 6: *** Lezioni di magia ***
Capitolo 7: *** Gioco di squadra ***
Capitolo 8: *** Il rebus ***
Capitolo 9: *** Il sacrificio ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

New Orleans, gennaio 1994
Klaus Mikaelson si aggirava nel Quartiere Francese in cerca di un negozio di souvenir. Ce ne erano a bizzeffe a New Orleans, i turisti avevano l’imbarazzo della scelta. Ogni isolato contava almeno tre bazar. Era la città della magia per eccellenza, avvolta nel mistero del sovrannaturale che tanto attirava gli umani. Klaus aveva visitato tutti i negozi quella settimana ma la sua ricerca non aveva prodotto risultati. La frustrazione aumentava ad ogni fallimento, però la missione era troppo importante per arrendersi. Se non avesse trovato ciò che cercava in Louisiana, avrebbe girato il mondo pur di ottenerlo. Aveva da poco imboccato una strada quando vide la luce accesa di un negozio. Erano le otto di sera e per il Quartiere gli affari erano appena iniziati. La notte era la vera attrazione della città. Entrò nel negozio senza dare troppo nell’occhio, il cappuccio calato sulla testa e le mani in tasca. C’erano un paio di clienti che stavano acquistando cristalli colorati dalle fantomatiche proprietà magiche. In realtà erano solo pezzi di vetro senza potere, ma agli umani interessava l’illusione di avere in mano un pizzico di magia.
“Grazie per il vostro acquisto. Buona serata!” disse la ragazza al bancone.
Klaus nel frattempo ispezionava gli scaffali con un sorriso divertito, era incredibile come la gente si facesse truffare pur di provare un brivido di gioia.
“Le posso essere d’aiuto?” chiese la ragazza.
Aveva lunghi capelli biondi a boccoli che portava legati in una coda bassa. I suoi occhi verdi erano contornati da uno spesso strato di matita nera che li rendeva felini. Inconfondibile era l’amuleto appeso al collo, un piccolo ciondolo a forma di corvo.
“Spero di sì. Sto cercando un artefatto particolare. Molto particolare.”
La ragazza incrociò le braccia al petto e guardò Klaus dritto in faccia, non aveva paura.
“Klaus Mikaelson che capita nel mio negozio in cerca di un artefatto particolare. Deve trattarsi di qualcosa di oscuro e pericoloso.”
“La mia fama mi precede.” Disse Klaus sorridendo.
“Io sono Yvette Dumont.”
Il vampiro non si scompose, dopotutto il monile della ragazza era stato un indizio esplicito. La famiglia Dumont apparteneva alla Congrega Corvi, una delle più antiche di New Orleans che si dedicava al Voodoo.  
“So che appartieni ad una stirpe potente di streghe, ma non mi interessa. Io sono qui per affari personali.”
“E cosa cerca un wrath come te nel mio umile negozio?” chiese Yvette.
Klaus non diede peso al nomignolo che la strega gli aveva affibbiato, piuttosto era interessato a scoprire senza indugio se conoscesse l’oggetto della sua ricerca.
“Cerco la pietra di luna.”
Yvette ebbe un lieve fremito delle labbra prima di assumere l’espressione indifferente, ma l’Originale aveva colto quell’indice di insicurezza.
“Non ho la pietra di luna. Non è un oggetto che trovi in un negozio di souvenir.”
“Ma suppongo che una strega del tuo calibro abbia una vaga idea di dove trovare la pietra.”
Klaus era determinato, e di certo le reticenze di una strega non lo avrebbero scoraggiato. Cercava la pietra da lungo tempo ed era giunto il momento di ottenerla ad ogni costo.
“Girano delle voci su quella pietra. Voci che riguardano una maledizione.” Disse Yvette.
“Voci che a te non interessano. Sai dove posso trovare la pietra o devo torturarti per scoprirlo?”
Yvette sapeva che la pietra di luna racchiudeva la maledizione del sole e della luna. Spezzare la maledizione permetteva ai vampiri di camminare alla luce del sole e ai licantropi permetteva di trasformarsi a piacimento.
“Non bisogna mai giocare con gli oggetti mistici, soprattutto quando c’è di mezzo una maledizione.”
Klaus sospirò, stufo di tutti quegli avvertimenti da strega.
“Anche mettersi contro un Originale è pericoloso. Non essere sciocca, strega. Dammi ciò che voglio.”
Yvette conosceva la storia dei Mikaelson, figli della potente strega Esther e spietati vampiri. Ma su Klaus si diceva che fosse stato colpito due volte dalla magia: era sia vampiro sia licantropo.
“Vuoi la pietra per far emergere la parte di te che ulula alla luna?”
Klaus si irrigidì. Detestava quando qualcuno svelava le sue carte prima che fosse lui a rivelarle.
“Io non voglio ucciderti perché la tua Congrega si rivolterebbe contro di me e ora non ho tempo per sterminare un manipolo di streghe. Dammi le informazioni che mi servono per arrivare alla pietra, oppure darò fuoco al tuo negozio.”
Yvette fece spallucce, consapevole che la sua morte non sarebbe stata vendicata.
“La Congrega Corvi non piangerebbe la mia morte. Comunque, e te lo dico perchè sto ancora pagando il mutuo per questo negozio, sembra che la pietra si trovi a Mystic Falls.”
“Altro da aggiungere?” la incitò Klaus.
La ragazza si morse le labbra, non voleva spifferare tutto a un vampiro, ma opporsi ai Mikaelson era peggio che morire.
“L’ultima volta che qualcuno ha parlato della pietra di luna si diceva che appartenesse alla famiglia Lockwood. Non so altro.”
Tutto conduceva a Mystic Falls, la terra dove tutte le sventure degli Originali erano cominciate. Per Klaus era ora di tornare a casa.
“Non era poi così difficile usare la lingua, strega.”
Yvette con un gesto della mano aprì la porta per invitare l’uomo a lasciare il negozio. Entrambi erano usciti vittoriosi da quella conversazione: lui aveva ottenuto le informazioni e lei era rimasta in vita.
“Buon viaggio, wrath.”
 
New Orleans, marzo 1994
Le strade della città erano silenziose. Le luci nelle case erano già spente. L’intera comunità partecipava al dolore per la perdita di Dana Cooper, rinomata strega del Quartiere Francese. Suo marito Oscar Cooper era a capo della Congrega Lyra, una delle più potenti e famose dopo la Congrega Corvi. Nel Quartiere si mormorava che un membro dei Corvi avesse ucciso Dana per una questione di gelosia. Da tempo ormai si riteneva che Yvette Dumont e Oscar avessero una relazione clandestina, e che per questo Yvette avesse ucciso Dana. Ciò che rendeva lo scandalo più succulento era il divieto imposto: le streghe e gli sciamani di congreghe diverse non potevano stare insieme, né sposarsi né generare figli. La violazione del divieto avrebbe comportato una severa punizione in base all’accusa. Esisteva un tribunale che avviava i processi, conduceva le dovute indagini e condannava gli imputati. Era così che le streghe mantenevano la purezza all’interno delle proprie Congreghe.
Il cimitero Lafayette ospitava il funerale di Dana, un lungo corteo si era riunito per celebrarla. L’auto nera si fermò davanti alla cappella di famiglia e scaricarono la bara, il legno era lucido e sul coperchio era inciso il segno della Congrega Lyra.
“Hai visto chi c’è?” sussurrò una strega alla sua vicina.
In fondo alla folla sbucava il viso di Yvette Dumont, il cappello non nascondeva i suoi lineamenti. Era la donna più bella del Quartiere Francese con quei boccoli dorati e il portamento di una principessa.
“Tu! Tu hai ucciso mia figlia!” sbraitò la madre di Dana.
Tutti si voltarono verso Yvette, che si portò le mani sullo stomaco per l’agitazione. Quello non era il suo posto. Non aveva il permesso di stare lì. Ma lo aveva fatto per mostrare ad Oscar il suo supporto.
“Vattene! Sparisci e non farti vedere mai più!” strillò uno sciamano.
Oscar distolse lo sguardo, non era il momento adatto per mettersi a difendere una nemica. Yvette scappò via prima che qualcuno le scagliasse contro un incantesimo. La Congrega Lyra era nota per infliggere pene esemplari a chi non dimostrava rispetto. Oscar trasalì quando la sorella gli sfiorò il gomito per attirare la sua attenzione.
“E’ colpa tua, Oscar. Te ne pentirai.”
Oscar sapeva che la sua Congrega lo avrebbe punito, sarebbe stato atroce. Strinse a sé i due figli, Miriam di sette anni e Nathan di cinque anni. Sperò con tutto se stesso che il castigo non ricadesse sui suoi bambini.
 
New Orleans, maggio 1994
Yvette era esausta, quella giornata sembrava non finire mai. L’estate era la stagione più intensa per il turismo. Il Quartiere pullulava di turisti provenienti da ogni parte del mondo, entravano e uscivano dal suo negozio a gran velocità. Addirittura in sole due ore aveva venduto tutte le carte dei tarocchi. Intorno alle dieci sera, sebbene la città fosse all’apice della baldoria notturna, decise di tornare a casa per riposare. Si trovava nello sgabuzzino del locale quando la campanella della porta suonò avvertendola dell’arrivo di un cliente.
“Mi dispiace, stiamo chiudendo. Può passare domattina presto.”
“Yvette.”
La ragazza alzò gli occhi e incontrò l’espressione afflitta di Oscar. Con uno schiocco di dita sigillò la porta e tirò giù le persiane, nessuno doveva sapere del loro incontro. Non si vedevano dal giorno del funerale di Dana.
“Oscar, che ci fai qui?”
“Sono qui perché ti devo parlare. Mia sorella Brenda ha scoperto tutto.”
Da tempo il loro non era più un segreto. Un anno prima si erano incontrati per caso in una discoteca fuori città e subito era scoccata la scintilla. Il loro era stato amore a prima vista. Dopo qualche drink era chiaro a entrambi che quell’attrazione non sarebbe passata facilmente. Da quella sera si erano visti di nascosto nel Bayou, l’unico territorio che le streghe non frequentavano. Si rifugiavano in una vecchia capanna, passavano la notte insieme e il giorno dopo ciascuno tornava alla propria vita. Solo due mesi Brenda li aveva scoperti una notte d’inverno, aveva seguito il fratello fino alla palude e lo aveva visto baciare Yvette.
“Non è possibile. Siamo stati attenti! Abbiamo anche usato un incantesimo per non essere rintracciati.”
“Brenda è una strega molto capace, ma soprattutto è una donna intelligente. Mi ha seguito in macchina fino al Bayou e ci ha visti.”
Yvette si passò le mani fra i capelli. Quello era un problema enorme. Brenda era una di quelle streghe che rispettavano la legge in maniera precisa, pertanto non avrebbero ricevuto protezione da parte sua.
“Brenda ci denuncerà al Tribunale e saremo sottoposti a supplizio.”
Oscar chiuse gli occhi, gli faceva male il tremolio nella voce della ragazza.
“Ascoltami, esiste un modo per salvarci entrambi.”
“E quale sarebbe?” chiese Yvette, curiosa.
“Brenda manterrà il segreto a patto che tu vada via da New Orleans.”
“No! Assolutamente no! Questa è casa mia. È la mia città.”
Oscar si avvicinò ma lei arretrò, non voleva neanche toccarlo. Era troppo avvilita per essere indulgente.
“Allora entro domani saremo entrambi messi a processo. Lo capisci, Yvette? La punizione che ci infliggeranno potrebbe essere la morte. Tu vuoi morire?”
Morire per amore, letteralmente. Il loro unico peccato era quello di essersi innamorati pur facendo parte di due Congreghe diverse. Però il Tribunale non si faceva intenerire dai sentimenti, anzi il suo compito era quello di sradicarli in difesa della purezza.
“Io sono incinta.” Confessò Yvette.
Oscar si accasciò contro il bancone, le mani sudate e il respiro mozzato. Lui aveva già due figli nati all’interno della Congrega, quindi la figlia di Yvette sarebbe stata dichiarata illegittima.
“E allora per amore del nostro bambino lascia la città. Se vuoi che nostro figlio nasca e cresca, vattene e non tornare mai più.”
“Ma è anche tuo figlio! Oscar, non puoi voltarmi le spalle.”
Oscar agguantò il pomello della porta e si voltò un’ultima volta per imprimere nella memoria quel volto etereo che tanto amava.
“Addio, Yvette.”
 
Era notte fonda e Yvette non riusciva a dormire. Aveva preso in affitto il bilocale sopra il negozio in modo da evitare ritardi o altri problemi con il lavoro. Era strano pensare che non avrebbe rivisto mai più quelle quattro mura. Certo, era una casa piccola e fredda poiché non c’erano i riscaldamenti, ma era stato il suo rifugio da sempre. Aveva comprato il negozio di souvenir grazie ad un prestito della banca, aveva creduto con tutta se stessa in quella attività e ora era costretta ad abbandonare il suo sogno. Doveva farlo. Lo doveva al suo bambino. Nessuno meritava di vivere nel terrore che le streghe disseminavano a New Orleans. Suo figlio avrebbe avuto una vita felice, spensierata e lontana dalle Congreghe. Le sue riflessioni furono interrotte da un tonfo. Qualcuno stava bussando alla serranda del negozio. Yvette si affacciò alla finestra e vide che Klaus Mikaelson batteva il pugno sul metallo.
“Che vuoi? Credevo non saresti tornato.”
“Dobbiamo parlare, strega.” Disse Klaus.
Yvette non lo avrebbe fatto entrare in casa, perciò si infilò le pantofole e scese in strada.
“Che c’è?”
L’Originale camminò verso di lei con fare minaccioso, sembrava un demone pronto ad agguantarla e trascinarla nelle tenebre.
“Non ho trovato la pietra di luna. Mi hai mentito?”
Yvette non si lasciò intimorire, lui non era il primo vampiro irascibile che incontrava.
“Ti ho riportato le informazioni che avevo. Nessuno parla di quella pietra da anni, quindi sono molte le storie che circolano. Io so che da almeno un paio di generazioni la pietra è nelle mani dei Lockwood di Mystic Falls.”
“Non conosci qualcuno meglio informato?” domandò Klaus.
Yvette voleva ridere, l’insistenza del vampiro era morbosa. Non capiva perché fosse tanto ossessionato da un oggetto che lo avrebbe maledetto.
“Quella pietra può lanciarti una maledizione, ecco perché nessuno fa domande al riguardo. Per caso vuoi morire?”
Klaus alzò gli occhi per un istante e notò il cartello del vendesi attaccato alla serranda. Interessante, pensò. Ricordò a se stesso che fidarsi di una strega era controproducente.
“Lasci la città? Che coincidenza. Io ti pongo domande sulla pietra di luna e tu scappi da New Orleans.”
“Non me ne frega niente di quella pietra. Lascio New Orleans per ragioni personali. Il mondo non ruota intorno a voi vampiri e alle vostre cospirazioni. Comunque, ti ripeto che non so nient’altro di quella stupida pietra di luna.”
Yvette gli diede le spalle e si incamminò verso il portone, voleva solo rimettersi a letto e crogiolarsi nella malinconia.
“Non contiene una maledizione.” Disse Klaus.
La ragazza si bloccò e si voltò a mezzo busto per guardarlo.
“Come, prego?”
“La pietra non contiene una maledizione. Essa serve per spezzare una maledizione.”
“E tu come sai queste cose?” volle sapere Yvette.
“Perché la maledizione riguarda me.” spiegò Klaus.
Yvette non aveva mai sentito parlare di una maledizione scatenata sugli Originali. Però doveva ammettere che erano molti i misteri che avvolgevano quell’antica famiglia.
“Ora capisco perché hai tutta questa fretta di trovarla. Allora, mi dirai cosa riguarda?”
Klaus decise che raccontarle ogni cosa era la giusta mossa da fare. Aveva bisogno di una strega e lei faceva proprio al caso suo.
“E’ la maledizione dell’ibrido. È stata creata da mia madre per addormentare il mio lato di lupo mannaro. È divisa in quattro parti.”
Yvette non aveva mai sentito nominare un incantesimo capace di inibire la natura soprannaturale di qualcuno. La madre dell’Originale doveva essere una delle streghe più potenti del mondo se aveva operato una simile magia.
“Quali sono le quattro parti?”
Klaus esitò, del resto quella ragazza avrebbe potuto usare quelle informazioni contro di lui. Poi, però, il suo istinto gli suggerì di sfruttare l’occasione al meglio.
“Il nocciolo della questione è proprio questo: non posso decifrare l’incantesimo di mia madre. Il suo grimorio è protetto da una magia che impedisce ai vampiri di aprirlo. So solo che la pietra di luna è una delle quattro parti.”
“Ah, ecco. Ti serve una strega per leggere il grimorio di tua madre.” Disse Yvette.
“Esatto. E siccome tu sembri una ragazza sveglia, vorrei farti una proposta.”
Yvette inarcò le sopracciglia a quelle parole. Che un vampiro offrisse un accordo a una strega era qualcosa di raro, ma al tempo stesso per lei poteva rappresentare il giusto mezzo per lasciare la città.
“Parla, wrath.”
Klaus avanzò di qualche passo sotto la luce del lampione, i suoi capelli biondi sembravano catturare la luminosità.
“Nel Quartiere si vocifera di una tresca fra te e Oscar Cooper. Sai, devo confessarti che mi stupisce la tua audacia. Mettersi contro le Congreghe per amore è davvero ridicolo.”
“Vuoi farmi la ramanzina o vuoi propormi un vero affare?” lo incalzò Yvette.
Klaus sghignazzò, era quella la disperazione su cui lui voleva fare leva.
“La mia offerta è la seguente: io pago tutto il tuo mutuo, compro il tuo negozio e ti permetto di andare a vivere in una delle mie tante proprietà. In cambio tu leggerai il grimorio di mia madre e mi dirai quali sono le altre parti per spezzare la maledizione.”
Yvette soppesò la proposta, voleva valutarne i pro e i contro. Insomma, lavorare per un vampiro Originale avrebbe macchiato ancora di più la sua reputazione già sporca. Ogni strega che collaborava con i vampiri veniva emarginata e considerata impura. Ma a lei cosa restava? Aveva un mutuo da estinguere, un negozio da vendere e una nuova vita da intraprendere. Se non avesse lasciato la città al più presto, la Congrega Lyra l’avrebbe rapita e torturata. Ormai non c’erano norme da rispettare, contava solo la sopravvivenza. Doveva farlo per il suo bambino.
“Accetto a due condizioni.”
“Suvvia, esponi le condizioni.” Disse Klaus, annoiato.
Yvette fece un respiro profondo mentre la sua mente ordinava le parole per un discorso logico.
“La prima condizione è che ci separeremo subito dopo che avrò letto il grimorio.”
“Va bene. La seconda?”
“La seconda è che dovrai proteggermi dalle Congreghe per tutto il tempo che saremo insieme.”
Klaus detestava avere a che fare con le Congreghe, erano così ligie al dovere e così fedeli alla propria razza. Eppure aveva bisogno che quella maledizione si dissolvesse, dunque era costretto ad assecondare le richieste di Yvette.
“Va bene. Abbiamo un accordo, strega?”
“Abbiamo un accordo, wrath.”
 
Vienna, gennaio 1995
Klaus si stava scolando l’ennesima bottiglia di champagne della giornata. Era volato a Vienna per ricongiungersi con alcuni vecchi amici per un weekend di dissolutezze. Da due giorni erano fissi clienti del bar, ordinavano bottiglie costose e bevevano sangue dai camerieri. Adesso l’Originale sedeva su un divanetto e rideva a crepapelle per una stupida battuta di Franz, o almeno l’alcol rendeva tutto divertente.
“La tua amichetta ti sta chiamando.” Disse Franz.
Sulla soglia del bar c’era Yvette che sventolava la mano per farsi vedere. Nei mesi precedenti aveva seguito Klaus dappertutto tra festini, abbuffate di sangue e nottate senza fine. Lei restava in hotel a studiare il grimorio e lui usciva per rientrare soltanto all’alba.
“Vuoi un drink?” le chiese Klaus.
“Sono incinta, non posso bere alcol.” Puntualizzò Yvette.
L’Originale sollevò il bicchiere e svuotò in contenuto in pochi secondi. I suoi occhi chiari erano lucidi per via dell’ubriachezza.
“Perché sei scesa allora? Ti pago per startene in camera con il grimorio.”
Yvette fece roteare gli occhi, la sua pazienza aveva un limite e Klaus Mikaelson lo superava ogni giorno.
“Infatti ho decifrato l’incantesimo. Ora so quali sono le parti mancanti per spezzare la maledizione.”
Il volto di Klaus si accese di speranza. Dopo secoli era arrivata quella lieta notizia. Una volta spezzata la maledizione, lui sarebbe diventato l’essere più forte del mondo.
“Andiamo a parlarne in camera. Non voglio che qualche ficcanaso ci ascolti.”
Salirono in camera guardandosi le spalle. I compagni di bevuta di Klaus potevano essere chiunque e potevano lavorare per chiunque, pertanto la sicurezza non era mia troppa.
“Chiudi la porta a chiave.” Disse Yvette.
Il vampiro prima controllò che il corridoio fosse vuoto e poi agganciò la porta in modo da chiuderla. Nel frattempo Yvette aveva messo la salvia a bruciare in un piattino; la pianta ergeva una barriera che impediva ai vampiri di origliare la loro conversazione.
“Cosa hai scoperto?” domandò Klaus, impaziente.
La ragazza gli indicò la pagina del grimorio che aveva decifrato, c’erano quattro triangoli e al loro interno erano disegnate delle forme.
“Ogni triangolo racchiude un elemento: la pietra di luna, un vampiro, un licantropo e un doppelgänger. Questi quattro elementi possono spezzare la maledizione.”
Klaus passò le dita sulla pagina con lo stupore che gli disegnava un sorriso compiaciuto sulle labbra. Finalmente poteva risvegliare la sua completa natura.
“Grandioso. Ottimo lavoro, strega.”
Yvette abbozzò un sorriso, ma era troppo stanca per fingersi contenta. Aveva appena concesso ad un Originale di trasformarsi in un ibrido, non c’era nulla di cui andare fiera.
“Il nostro accordo termina qui. Tu hai estinto i miei debiti e io ho decifrato il grimorio. Siamo pari adesso.”
“È vero. Ora puoi essere libera di scegliere la tua dimora.” Disse Klaus.
“Voglio trasferirmi a Chicago. È una grande città e ci sono tante creature sovrannaturali, sarà più difficile per le Congreghe trovarmi.”
“Non hai un incantesimo che ti occulta?”
Yvette aveva lanciato su se stessa un incantesimo di occultamento ma la sua efficacia diminuiva man mano che la gravidanza andava avanti. In quei nove mesi era più esposta al rischio. Dopo la nascita avrebbe provveduto a celare di nuovo se stessa e anche la bambina.
“Sono affari miei. Mi dai l’indirizzo di una casa a Chicago come da accordo?”
Klaus era un po’ triste poiché avrebbe proseguito il suo viaggio da solo. Yvette era una compagnia discreta, specialmente per lui che non aveva amici. Però in fondo separarsi era giusto per entrambi.
“Domattina soggiogherò qualcuno per accompagnarti a Chicago.”
“Grazie, Klaus. Probabilmente stai salvando la vita di mia figlia.” Disse Yvette.
“A proposito, hai già scelto un nome?”
“La chiamerò Artemis. Un elogio alla dea Artemide.”
Il vampiro apprezzò il nome, era originale e si adattava bene ad una futura strega.
“Augurati che la tua bambina non mi incontri mai. Non sono una bella persona.” disse Klaus.
La strega gli mise una mano sulla spalla e gli regalò un piccolo sorriso.
“Sono sicura che proteggeresti la mia bambina ad ogni costo.”
 
 
New Orleans, 23 anni dopo
Klaus stava dipingendo nello studio, immerso nel nuovo dipinto che prendeva forma nella sua mente. In casa c’erano solo lui e Freya, quindi aveva tutto il tempo di dedicarsi alla pittura. Le cose per i Mikaelson erano cambiate negli ultimi tempi. Dopo aver sconfitto l’Ombra e aver riunito la famiglia, ciascuno aveva intrapreso una strada diversa: Kol era andato a vivere con Davina, Rebekah e Marcel si erano sposati e avevano acquistato una tenuta in campagna, Elijah ed Hayley erano andati in vacanza insieme a Hope; soltanto Klaus, Freya e Keelin si erano stabiliti a New Orleans nel palazzo di famiglia.
“Klaus, il tuo telefono sta squillando!” lo avvisò Freya.
Klaus sbuffò, avrebbe voluto strozzare chiunque disturbasse quel suo momento artistico. Con la super velocità scese in cortile per recuperare il telefono. Non conosceva il numero che lo stava chiamando.
“Pronto?”
“Accetta una chiamata dal penitenziario di Santa Catarina a suo carico?”
Era talmente confuso che impiegò qualche secondo prima di rispondere.
“Sì, accetto la chiamata.”
Trascorse un minuto prima che dall’altro capo prendessero la linea. La voce che parlò era quella di una donna, probabilmente molto giovane.
“Okay, so che può sembrare imbarazzante, ma io sono Artemis. Mia madre diceva che avrei dovuto chiamare questo numero in caso fossi finita nei guai.”
“Non conosco nessuna Artemis.” Ribatté Klaus, infastidito.
“Sei proprio uno stronzo.” Disse la voce della donna.
L’Originale stava per rispondere a tono ma la linea era già caduta. Fissò il telefono come fosse l’aggeggio più strano del mondo.
“Perché hai quella faccia?” domandò Freya.
Klaus scavò nella propria memoria in cerca di quel nome. Artemis. Aveva conosciuto molte donne nella sua lunga vita, poteva essere chiunque. Poteva essere … oh, no. C’era una sola donna che portava quel nome e lui l’aveva conosciuta quando non era ancora era nata.
“Devo andare a Santa Catarina in Messico. Devo sbrigare una faccenda.”
Freya arricciò il naso, quasi poteva annusare nell’aria la rabbia nella voce del fratello.
“Che stai tramando, Klaus? Santa Catarina è il più grande centro del Mercato Nero. In quella città vengono trafficati oggetti magici in ogni quartiere, anche nei più poveri.”
“C’è una persona che devo tirare fuori dai guai. Tornerò il prima possibile.”
 
Il giorno dopo
Artemis non sopportava più quella puzza. La cella in cui era stata imprigionata era minuscola, con le pareti ricoperte di muffa e il tetto che spurgava acqua. Anche i suoi vicini di cella emanavano un tremendo fetore di sudore misto ad alcol. Tre giorni prima era stata scovata fuori città e arrestata per aver varcato il confine illegalmente. Sapeva che andare in Messico sarebbe stata un’ardua impresa, però era così vicina al suo obiettivo che una settimana la fresco era cosa di poco conto.
¡Levántate, chica americana!” gridò una delle guardie.
Artemis non capiva lo spagnolo ma era facile intuire che le stesse ordinando di mettersi in piedi. Si alzò dalla brandina disastrata e si avvicinò alle sbarre. Rimase sopresa quando la guardia aprì la cella e spalancò la porta fatta di sbarre.
Sígueme.”
“Lo devi seguire.” Tradusse un ragazzo dalla cella adiacente.
Era stato portato dentro la sera prima per una rissa, e questo Artemis lo sapeva perchè lui parlava piuttosto bene la sua lingua.
“Ciao, Raphael. E la prossima volta tira cazzotti più forti.” Disse lei con un sorriso.
Raphael ridacchiò e la salutò con la mano, poi tornò a sonnecchiare. Artemis seguì la guardia fino alla sala d’attesa e da lì un’altra guardia la scortò in segreteria per farle firmare un modulo.
Estas son tus cosas.”
La guardia le restituì il suo zaino e i suoi effetti personali: documenti, anelli, orologio e persino la borraccia ancora piena d’acqua.
“Che succede? Che idiota che sono. Questo non capisce cosa dico.” Borbottò lei fra sè.
Un suono riechieggiò nel corriodio e la porta in fondo si spalancò meccanicamente. La guardia le fece segno di seguirla verso l’uscita.
estás libre para irte.”
Artemis afferrò solo la parola ‘libre’ e capì che la stavano rilasciando. Come era possibile? Varcare il confine in via illegale includeva una pena esemplare. Era convinta che non avrebbe rivisto mai più la luce del sole. Era uno scherzo? L’avrebbero arrestata di nuovo dopo averle fatto riassaggiare la libertà? Era quella la pena riservata ai criminali?
“Artemis.”
La ragazza si voltò e fece vagare lo sguardo fra i presenti, però non riconobbe facce conosciute. C’erano solo i parenti dei carcerati, guardie e il postino. Poi lo vide. Un uomo alto e snello, riccioli biondi e zigomi perfetti. Indossava una giacca nera con il colletto alzato. La guardava con una tale intensità da farla rabbrividire.
“Sei tu che mi hai tirata fuori?”
“Ho soggiogato le guardie per farti rilasciare.”
Artemis colse il riferimento al soggiogamento e avvertì la paura come una morsa allo stomaco. Se aveva usato il controllo mentale allora era un vampiro. Cercò di scappare ma l’uomo l’agguantò per il braccio.
“Non voglio farti del male. Sono io la persona che hai chiamato ieri mattina.”
“Avevi detto di non conoscermi.” Disse Artemis.
“Non ricordavo il tuo nome all’inizio, poi tutto è stato chiaro.”
Artemis tentò di svincolarsi di nuovo ma la mano del vampiro era ben serrata intorno al suo polso.
“Sei un vampiro. Mia madre non avrebbe mai voluto che un vampiro mi aiutasse.”
“Io e tua madre eravamo amici. Conosco bene Yvette.” Disse Klaus.
La ragazza sentì un tuffo al cuore, sentire il nome della madre faceva male come se fosse il primo giorno.
“Tu seil il wrath di cui parlava spesso. Come ti chiami?”
“Sono Klaus Mikaelson. E sì, il wrath sono io. Dov’è tua madre?”
Artemis lo guardò come se avesse appena bestemmiato. Poi si rese conto che molto probabilmente lui non sapeva niente.
“Mia madre è morta sei mesi fa.”
 
Salve a tutti! ^_^
Eccomi tornata con una nuova storia su The Originals. Spero davvero che vi piaccia.
Ci saranno molti colpi di scena che – mi auguro – vi lasceranno a bocca aperta.
Fatemi sapeere cosa ne pensate di questo inizio.
Alla prossima, un bacio.
 
*Wrath è un termine inglese che significa ‘rabbia’, spesso è usato per indicare i vampiri.

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Capitolo 2
*** Una città magica ***


1. UNA CITTA’ MAGICA

“Con la sua aria molto naturale il sovrannaturale ci circonda.”
(Jules Supervielle)
 
Una settimana prima, Santa Catarina – Messico
Artemis si sarebbe addormentata su quella panchina se qualcuno non fosse arrivato. Era scesa alla stazione di Santa Catarina due ore prima e si aspettava di essere accolta, invece non c’era nessuno e lei si era seduta ad attendere. Si stava facendo buio, i treni stavano compiendo le ultime corse e la folla man mano si diradava. Erano circa le otto di sera quando un ragazzino dai capelli arruffati si avvicinò a lei.
¿Eres la bruja?
Artemis sfogliò il piccolo dizionario e lesse che ‘bruja’ significava ‘strega’. Quel ragazzino dai piedi scalzi cercava proprio lei.
Soy yo.”
Artemis raccattò lo zaino e lo seguì fuori dalla stazione. La città era animata, i locali erano aperti e la gente si affrettava a rientrare dopo una giornata di lavoro. Il ragazzino si infilò in un vicolo buio e stretto, si muoveva con la destrezza di un gatto che balza da una finestra all’altra. Artemis dovette accendere la torcia del telefono per vedere dove metteva i piedi. Camminarono per una ventina di minuti fra auto abbondante – che poi sarebbero state smontate e rivendute – e case dalle tendine di pizzo. Il ragazzino si fermò davanti una villetta di modeste dimensioni e bussò tre volte alla porta.
¿Quién es?” chiese una voce dall’interno.
Pablo y la bruja.”
La porta si aprì sbuffando una sottile coltre di polvere, e Artemis intuì che era stata sigillata da un incantesimo per impedire a qualcuno di entrare senza permesso. Una donna anziana si affacciò, i suoi piccoli occhi neri osservarono la ragazza per pochi minuti.
Adelante.”
“Dice che puoi entrare.” Tradusse Pablo, il ragazzino.
“Allora parli la mia lingua, maledetto.” Grugnì Artemis.
Un poquito.”
Artemis gli diede una leggera spallata mentre entrava in casa. Pablo chiuse la porta e un crepitio segnalò che l’incantesimo era di nuovo attivo. L’anziana signora la fece accomodare in cucina, dove aveva preparato due bicchieri con acqua e cetrioli. Servì la bevanda a tavola e Pablò trangugiò il bicchiere in un solo fiato.
 bebe.” Disse la signora.
“Devi bere, oppure lei si offende.” Spiegò Pablo.
Artemis prese il bicchiere e bevve un sorso controvoglia, non amava gli ortaggi infusi in acqua. Scolò la bevanda solo per non mancare di rispetto all’anziana signora poiché in Messico era buona educazione comportarsi come un ospite esemplare.
“Perchè mi sta fissando?” domandò la ragazza.
In effetti la padrona di casa la fissava come se volesse scavarle dentro.
“Sta leggendo el tu poder ... il tuo potere.” Disse Pablo.
“Chiedile se ha quello che cerco. Non sono qui per perdere tempo.”
L’anziana le scoccò un’occhiataccia, forse aveva capito l’atteggiamento ostile della ragazza. Pablo si avvicinò a lei per parlarle all’orecchio, e data quella confidenza era probabile fossero parenti.
Ella quiere saber si tienes lo que esta buscando.”
¿Ella tiene el dinero?” chiese la signora.
“Sì, ho il denaro. Sono pulita. Può fidarsi di me.” Si intromise Artemis, impaziente.
Pablo tradusse e la signora annuì, dopodichè si sparì in camera da letto per trafficare nel comò.
El dinero serve para ayudar a mi hermana enferma ... ehm, mia sorella malata.”
Solo allora Artemis scorse un paio di piedi che sbucavano da sotto una coperta sul divano. Era così concentrata su se stessa da non aver fatto caso alla bambina che dormiva. Era pallida e sudata, ogni tanto i suoi respiri somigliavano a dei rantoli. Ripensò a sua madre in un letto d’ospedale, il colorito spento e gli occhi che perdevano luce. Ricacciò indietro il dolore, doveva mantenere il controllo.
“Che cos’ha?”
“Zika, una enfermedad per colpa delle ... zanzare.”
Il Messico era noto per svariati virus contrattabili tramite il morso di zanzare, ogni anni erano centinaia le vittime e i morti. I vaccini costavano poichè gli sciacalli delle piccole città controllavano anche gli ospedali e i traffici di medicinali.
“Con i soldi potrete comprale le medicine. Starà bene.” Disse Artemis.
Pablo non rispose, si sedette accanto alla sorellina e le tamponò la fronte con un panno umido. Artemis tornò in sè quando la donna anziana ricomparve in cucina, ora fra le mani rugose aveva un cofanetto di legno.
Aquí esto es lo que tú quieres.”
Artemis prese in consegna il cofanetto e lo aprì con l’adrenalina che scorreva nelle vene. Si ritagliò cinque buoni minuti per assicurarsi che il contenuto fosse autentico. Dopo averne avuto la certezza, richiuse il coperchio e infilò tutto nello zaino.
El dinero.” Disse con buffo accento spagnolo.
Mise sul tavolo una busta bianca piena di contanti, per l’esattezza erano diecimila pesos messicani che aveva scambiato in banca appena era arrivata a Santa Catarina. La signora contò i soldi due volte prima di infilarsi la busta nella tasca del grembiule.
Ahora puedes irte.”
“Puoi andartene.” Disse Pablo.
Artemis si mise lo zaino in spalla e uscì senza troppe cerimonie. Sperava di tornare a casa il prima possibile. Più tempo trascorreva in Messico, più alta era la probabilità di essere arrestata. Era arrivata illegamente, attraversando il confine su un furgone che trasporatava cereali e frumento da Philadelphia a Santiago, da qui aveva preso un treno che l’aveva portata a Santa Catarina. Quel passaggio le era costato cinquemila dollari che, se aggiunti ai diecimila appena consegnati alla signora, la lasciava praticamente al verde.
“Buona fortuna per tua sorella.”
Pablo la stava accompagnando alla stazione, i suoi piedi irrequieti adesso seguivano i passi lenti della ragazza.
La buena suerte te servirá ... quel cofanetto es peligroso.”
Artemis sapeva che ‘peligroso’ si traduceva con ‘pericoloso’, ma era talmente disperata che neanche quell’avvertimento l’avrebbe fermata. Quando furono di nuovo in stazione, Pablo la salutò con un cenno della testa e riprese la via di casa. Poi accadde tutto velocemente: un’auto della polizia si parcheggiò davanti alla fermata e due uomini in divisa scesero con le pistole puntate contro la ragazza.
Manos arriba, americana! Manos arriba!” gridò un poliziotto.
Artemis alzò le mani e sbuffò, la peggiore delle ipotesi era appena divenuta realtà. L’altro poliziotto le chiuse le manette intorno ai polsi e la spinse sui sedili posteriori dell’auto. Mezz’ora dopo si trovava in una cella puzzolente, sola e lontana da casa.
 
Oggi, Città del Messico – Messico
“... e quindi sono stata arrestata con l’accusa di ingresso illegale in Messico.” Concluse Artemis.
Klaus aveva ascoltato il racconto con l’espressione incredula, quasi stentava a credere alle sue orecchie.
“Hai superato il confine per un cofanetto?”
“Per quello che c’è nel cofanetto.” Specificò lei.
Klaus aveva notato che la ragazza non aveva fatto menzione del contenuto del cofanetto, dunque stava nascondendo quell’informazione per qualche ragione.
“E cosa contiene? Di certo deve essere qualcosa di prezioso per spingerti a infrangere la legge.”
Artemis sfregò le mani per eliminare le briciole della ciambella che aveva mangiato. Doveva amettere che addentare qualcosa che non fosse la poltiglia del carcere era un piacere immenso.
“Non sono affari tuoi. Senti, io ti ringrazio per avermi tirata fuori di prigione e per aver ripulito la mia fedina. Ora, però, le nostre strade si dividono. Tu torni a New Orleans e io prendo il prossimo aereo per Chicago.”
“Non se ne parla. Non ti lascio da sola a combinare altri guai.”
“Sono piena di verbena e strozzalupo, quindi non ti conviene attaccare briga.” Disse Artemis.
Klaus sospirò, si prospettava una battaglia faticosa contro il caratteraccio della ragazza.
“Non voglio farti del male. Voglio aiutarti.”
Lei fece una breve risata, quel tizio era così ridicolo con il suo atteggiamento autoritario.
“Mi hai aiutata, ora sei libero di andare. Il volo per la Lousiana parte fra quindici minuti, dovresti affrettarti.”
L’Originale in tutta risposta sorseggiò il suo caffè macchiato con calma, mentre i suoi occhi studiavano la ragazza. Non somigliava affatto alla madre. Artemis aveva i capelli castani con riflessi color rame, le punte arrivavano sotto i lobi delle orecchie e sul davanti una frangia dai lati più lunghi le copriva la fronte. Gli occhi erano grandi e marroni, il colore ricordava il cioccolato fondente. Ma ciò che spiccava di più era il naso all’insù, un dettaglio che le conferiva un non so che di particolare. Evidentememte somigliava al padre.
“Com’è morta tua madre?”
Artemis incrociò le dita e strinse forte tanto da far sbiancare la pelle. Gli anelli che portava a ciascuna falange erano diventati bollenti tanto era salda la presa.
“Ha avuto un collasso polmonare. E’ morta nel giro di una settimana.”
“Sono sinceramente dispiaciuto, Artemis. Se lo avessi saputo...”
“Non importa. Ormai è successo e la vita continua.” Lo interruppe lei.
Klaus doveva ammettere che quella determinazione era tipica di Yvette, un tratto caratteriale che la figlia aveva ereditato. Eppure era convinto che sotto quella sicurezza ostentata vi fosse un grande turbamento.
“Lei non vorrebbe che tu finissi in situazioni di pericolo.”
“Lei è morta, non le interessa più quello che faccio.”
Artemis si alzò, si infilò la giacca di pelle rossa ed estrasse il biglietto aereo dalla tasca.
“Il tuo volo parte fra un’ora. Andrai in giro a farti arrestare ancora?” fece Klaus.
“Andrò a comprare dei souvenir da riportare in America. Puoi stare tranquillo.”
L’Originale annuì, sebbene non credesse a una sola parola. Voleva stare al gioco di Artemis e capire fin dove si sarebbe spinta con quelle bugie.
“Allora ti auguro un buon viaggio.”
“Adieu.”
 
Artemis strofinò la schiena contro il sedile per mettersi comoda. Era abbastanza morbido, per cui si sedette e si allacciò la cintura. Aveva ancora fame ma aveva soltanto venti dollari nel portafogli, quindi si sarebbe dovuta trattenere fino all’arrivo. I passeggeri si stavano sistemando intorno a lei, la hostess dava le indicazioni di base sulla cintura e sui sistemi di sicurezza e le sue colleghe giravano nel corridoio per prendere le ordinazioni.
“Posso sedermi?”
“Certam-... e tu che diavolo ci fai qui?”
Klaus spostò lo zaino della ragazza e si stravaccò sul sedile, chiuse la cintura e si rilassò.
“La vera domanda è: che ci fai tu qui? Credevo andassi a Chicago.”
Artemis aveva aspettato altre cinque ore per salire sul volo diretto a New Orleans. Credeva che Klaus fosse già partito, invece lui aveva scoperto il suo piano in qualche modo.
“Ho cambiato idea. Voglio visitare la Louisiana.”
“Bugiarda.” La rimbeccò Klaus.
Artemis si passò una mano fra i capelli, quel tizio le faceva venire l’orticaria.
“E tu sei uno stalker.”
“Sei tu che mi costringi a seguirti. Se mi dici la verità, io ti lascio in pace.”
“Siamo partiti col piede sbagliato, Klaus. Che ne dici se affrontiamo questo volo insieme e poi ci separiamo in aeroporto? A me sembra un’ottima idea.”
Klaus chiuse gli occhi e scosse la testa, ma anche così poteva captare la rabbia della ragazza.
“A cosa ti servono quelle pagine?”
Artemis ghiacciò sul posto. In pochi secondi afferrò lo zaino e lo aprì per guardare dentro: la scatola era svanita.
“Ridammi il cofanetto, o giuro che ti spappolo il cervello con uno schiocco di dita.”
“Provaci.”
“Non provocarmi.” Lo minacciò Artemis.
Klaus sorrise, gli occhi ancora chiusi, e fece spallucce. L’attimo dopo avvertì un dolore lacerante alla testa, il sangue gli schizzò nel cervello causandogli quasi uno svenimento.
“Non … ti conviene … un … ahia!”
Artemis spalancò la mano e la magia si arrestò, lasciando Klaus ad ansimare per lo shock. Per fortuna la rapida guarigione stava già avendo effetti.
“Non mi conviene un morto su un aereo? Hai ragione. Ma non credere di poterti prendere gioco di me. Ridammi il cofanetto e il suo contenuto.”
Klaus aveva rubato il cofanetto senza che lei se rendesse conto. La velocità da vampiro aveva avuto la meglio sui poteri della strega.
“Santa Catarina ospita il mercato nero degli oggetti magici. Tu casualmente vai in Messico per recuperare pagine misteriose. Lo vedo solo io il collegamento palese?”
Artemis non poteva mentire, ormai lui aveva l’aveva beccata con le mani nel sacco.
“Il cofanetto mi serve per una ricerca. Studio egittologia all’università e quelle pagine sono preziose per i miei studi. Sono oggetti magici, è vero.”
L’udito di Klaus sentì un battito irregolare, sospirò per l’ennesima menzogna.
“Non acquisti fogli di papiro per una ricerca personale. Sono sicuro che per un tale acquisto l’Università avrebbe stanziato dei fondi.”
Artemis si irrigidì, ogni suo tentativo di celare le cose stava fallendo. Non voleva svelare la reale motivazione del suo viaggio in Messico, temeva che lui l’avrebbe ostacolata o che avrebbe tenuto il cofanetto per sé.
“Non sono affari tuoi, te l’ho già detto.”
“Artemis, io sono dalla tua parte. Ero amico di tua madre. Puoi fidarti.”
“Eri così amico di mia madre che non c’eri quando è morta.” Ribatté lei in tono duro.
Klaus abbassò lo sguardo, colpito dalla freddezza nella voce di Artemis. Erano ventitré anni che non aveva contatti con Yvette, non conosceva il suo stato di salute né tantomeno poteva immaginare che fosse morta. Anni prima a Vienna si erano separati perché un’amicizia fra un Originale e una strega in fuga poteva attirare attenzioni indesiderate.
“Io e Yvette non ci sentivamo da più di vent’anni. È stata una scelta dettata da circostanze insolite.”
“La vita di mia madre sembra sempre dettata da insolite circostanze. Come, fra le altre cose, mio padre, il suo passato a New Orleans, la sua eccessiva prudenza.”
Artemis sapeva sin da bambina che sua madre aveva dei segreti, ed era stata brava a mantenerli. Tanto brava da esserseli portati nella tomba, laddove lei non poteva più conoscerli.
“Lascia che ti racconti chi era Yvette Dumont prima della tua nascita.” Disse Klaus.
Klaus era l’unico legame del passato di Yvette che sbucava fuori dopo anni. Magari poteva approfittarne per saperne di più su sua madre, e nel frattempo poteva agire per perseguire il suo obiettivo.
“Mi proponi una gita sul viale dei ricordi?”
“Sì, se quest’ottica poetica ti piace. Vieni con me e sii mia ospite, Artemis.” Disse Klaus.
Artemis elargì un sorriso falso, avrebbe ingannato l’Originale pur di ottenere quello per cui aveva speso tutti i suoi risparmi.
“Ospitami pure nel tuo oscuro castello, Dracula.”
 
Dieci ore dopo, New Orleans – Quartiere Francese
Artemis non credeva ai suoi occhi. Non aveva mai pensato che New Orleans fosse tanto bella. Era una città vivace, ricca di colori e suoni, ogni angolo era occupato da artisti di strada e bancarelle di souvenir. Il Quartiere Francese pullulava di turisti, i flash delle macchine fotografiche erano abbaglianti e le loro pose erano buffe. Un mago stava facendo un gioco di prestigio con le carte e tutti gli spettatori lo ammiravano con entusiasmo.
“Che fessi.” Mormorò fra sé.
Klaus adocchiò il mago e sorrise, quella era tutta magia di illusione a cui la gente credeva pur di eludere la realtà per brevi istanti.
“Gli umani sono creature semplici, un pizzico di magia e il loro mondo viene scosso.”
Attraversarono Jackson Square mentre la campane della chiesa di Saint Louis suonavano i rintocchi di mezzogiorno. Alla destra della cattedrale si ergeva il ‘The Presbytere’, un edificio che in passato era stata la residenza del presbitero e che ora era divenuto un museo. I lati della piazza erano costeggiati dai Pontalba Buildings, edifici in mattoni rossi che ai piani inferiori ospitavano negozi e ristoranti e i piani superiori erano occupati da abitazioni.
“Da questa parte.” Disse Klaus.
Si inoltrarono nel cuore del Quartiere Francese, imboccando Bourbon Street e proseguendo verso il palazzo più sontuoso. Artemis suppose che quello appartenesse ai Mikaelson.
“Non sbagliavo quando ho parlato del tuo oscuro castello.”
“Quella è l’Abattoir, la mia famiglia ha acquisito la proprietà nel diciottesimo secolo. È il complesso residenziale più grande della città.”
“Il vostro ego è grande quanto la vostra casa?” domandò Artemis.
Klaus ghignò, riconoscendo la verità nelle parole della ragazza. Quando si ritrovarono davanti ai cancelli del palazzo, gli bastò forzare la maniglia per entrare. I cancelli si richiusero per magia dietro di loro.
“Ci siamo solo noi. Mia sorella Freya è in città ma al momento non è in casa.”
Artemis si guardò intorno meravigliata: non aveva mia visto una casa tanto enorme. Era tutto arredato con gusto e con cura, le piante erano rigogliose e non c’era neanche un filo di polvere. Rispetto al suo minuscolo appartamento a Chicago, l’Abattoir era il paese dei balocchi.
“Freya è come te?”
Klaus andò dritto verso il tavolino degli alcolici e si versò una generosa quantità di whisky nel bicchiere, dopodiché lo bevve a piccoli sorsi.
“Lei è una strega. Anzi, per l’esattezza è la seconda strega più potente al mondo.”
“E chi sarebbe la prima?”
L’Originale si sedette sul divano e con la mano indicò la poltrona ad Artemis, che prese posto sedendosi sul bordo. Era pronta a scappare in ogni momento.
“Mia figlia Hope. Lei è davvero potente. Credo sia la strega più potente mai esistita.”
“Tu hai una figlia? Com’è possibile?”
“Dammi la mano.”
Klaus allungò la mano e Artemis l’afferrò lentamente, era sempre sull’orlo della fuga. Quando la sua pelle entrò in contatto con quella dell’Originale, avvertì sensazioni contrastanti: un brivido freddo come la morte e un brivido caldo come la vita. Ritrasse la mano con uno scatto fulmineo.
“Tu sei un vampiro e un licantropo insieme. Sei un ibrido.”
“Io sono l’ibrido per eccellenza.” Puntualizzò Klaus.
“Permaloso.” Commentò Artemis.
Klaus la guardò attraverso il fondo del bicchiere. La ragazza continuava a ispezionare il cortile in cerca di una via di scampo. Non si fidava di lui, lo rivelava anche il cuore che batteva veloce.
“Sembri stanca. Ti accompagno nella tua stanza.”
“D’accordo.”
Artemis scattò in piedi, l’agitazione le faceva vibrare le ossa dello sterno. Klaus sorrise in automatico.
“Prima le signore.” Disse, accennando alla scalinata.
Artemis prese lo zaino e il borsone e si avviò su per le scale, ogni passo corrispondeva a un sospiro di stanchezza. Era una settimana che dormiva male e mangiava anche peggio, quindi un letto comodo e cibo caldo sembravano un miracolo.
“E’ la seconda camera a sinistra.” Disse Klaus.
La ragazza arrivò alla suddetta camera e rimase stupita nel costatare che la finestra dava proprio sul Quartiere Francese; sullo sfondo svettava il campanile di Saint Louis. Al centro della stanza vi era un letto matrimoniale a baldacchino, le tendine erano color verde smeraldo e le lenzuola erano di pura seta bianca. Sembrava la camera da letto di una nobildonna.
“Mi piace tutto questo lusso.”
Klaus sorrise compiaciuto, del resto aveva ordinato a Freya di preparare appositamente quella camera per attirare l’attenzione della ragazza.
“Solo il meglio per i nostri ospiti.”
Artemis depose il bagaglio sul tappeto persiano ornato da quadrati e rombi dorati su un fondo rosso scuro. Si tolse la giacca e la lanciò sul letto, dopodiché si mise a curiosare nei cassetti del comò. Accanto ad esso c’era addirittura una toilette munita di specchio, i piedi arcuati si abbinavano alla sedia imbottita.
“Questa camera è rimasta ferma all’Ottocento.”
“Quella toilette è un pezzo originale. Apparteneva a mia sorella Rebekah.”
Artemis, studiosa di storia qual era, rovistò nel cassetto del mobile e trovò una spazzola i argento con una ‘M’ incisa sul dorso. Trovò anche uno specchio ovale con il giglio francese dipinto sul retro.
“Lo so cosa stai facendo, Klaus.”
Klaus, appoggiato allo stipite della porta, assunse una finta espressione confusa.
“Di grazia, quale sarebbe l’accusa che mi rivolgi?”
“Cerchi di addolcirmi con queste sciccherie perché vuoi delle risposte da me.”
“Dal tuo abbigliamento deduco che le sciccherie non ti si addicono.”
Artemis, difatti, vestiva molto casual. Indossava una t-shirt bianca e una salopette di jeans, calzava un paio di scarponcini neri e ai polsi portava numerosi bracciali.
“La prendo come un’offesa.”
“Oh, no. È solo una semplice e veritiera affermazione.” Replicò Klaus.
Artemis raggiunse la soglia della porta ma si scontrò contro il vuoto. Tentò un paio di volte di uscire dalla stanza ma era impossibile poiché una barriera magica glielo vietava.
“Che stronzo! Mi hai bloccata in questa stanza.”
“Perché tu nascondi qualcosa che non mi piace. Freya eliminerà l’incantesimo di confinamento dopo che mi avrai detto la verità. Ero stato chiaro prima: puoi fidarti di me.”
“Non posso fidarmi di uno che mi imprigiona.” Disse Artemis, stizzita.
Klaus non fu scalfito da quel suo tono infastidito. L’unico scopo era quello di proteggerla, lo doveva a Yvette.
“Il modo migliore per scoprire se ci si può fidare qualcuno è dargli fiducia. Se tu avrai fiducia in me, allora io ti libererò.”
Artemis tirò un pugno contro la barriera invisibile e questa tremolò senza cedere neanche un po’.
“Io devo uscire da qui subito. Ho delle questioni da risolvere.”
“Resterai qui dentro finché non parlerai con me. Lo sto facendo per una buona causa.”
Klaus doveva proteggerla in onore della sua amicizia con Yvette. Se Artemis aveva avuto dalla madre il suggerimento di chiamare lui in caso di problemi, era necessario offrirle tutto l’aiuto possibile.
“Benvenuta a New Orleans.”
 
Due giorni dopo
Freya stava sgranocchiando un biscotto quando Keelin si unì a lei per la colazione.
“Buongiorno, splendore.” La salutò Freya.
Si scambiarono un bacio e si accomodarono per consumare le pietanze: c’era ogni sorta di prelibatezza, dalle ciambelle glassate ai biscotti alle mandorle, dal caffè nero al tè verde. Keelin si riempì la tazza di caffè fino all’orlo, aveva bisogno di caffeina per svegliarsi.
“Sarebbe un buon giorno se avessi dormito. La nostra ospite di notte è irrequieta.”
Nelle due notti precedenti Artemis di notte era irrequieta: camminava su e giù per la stanza, canticchiava e sbuffava. Gli esseri soprannaturali con il super udito avevano sofferto ogni singolo rumore.
“Mi dispiace. Klaus è sicuro che la ragazza parlerà. Lo spero davvero.” Disse Freya.
Come se fosse stato evocato, Klaus sbucò in cucina con espressione tetra. Non dormiva da quando aveva rinchiuso Artemis nella stanza sopra la sua, e il sonno mancato peggiorava il suo cattivo umore.
“Keelin, sono dispiaciuto per il fastidio. La nostra ospite presto non ci darà più alcun disturbo.”
L’Originale intanto stava organizzando un vassoio selezionando una tazzina di tè, biscotti e una brioche al gusto cacao. A lui toccava l’incarico di portare i pasti ad Artemis e accertarsi che stesse bene.
“Ti preoccupi molto per lei. Come mai?” indagò Keelin.
“E’ la figlia di una mia vecchia conoscenza. Sua madre è morta sei mesi fa e adesso lei è invischiata in qualcosa di losco che devo capire.”
Freya era sbigottita dal fatto che il fratello avesse avuto amicizie profonde in passato, considerata la sua indole crudele. Se la madre della ragazza si era fidata di lui, forse anche la figlia lo avrebbe fatto.
“Tenerla rinchiusa non serve a niente. Magari un approccio diverso potrebbe essere più utile.”
Klaus incenerì la sorella con uno sguardo. Non avrebbe liberato una ragazza che aveva l’inclinazione a inciampare nei guai.
“Artemis resterà qui fino a quando non mi dirà la verità. Non metterò a rischio la sua vita soltanto perché ha la testa dura.”
 
Quando Klaus salì per consegnarle il vassoio, Artemis era sdraiata sul tappeto a guardare un film al computer.
“Buongiorno.” Disse lui, cordiale.
La ragazza non lo degnò di attenzione, rimase con gli occhi incollati allo schermo a guardare una scena di decapitazione.
“Ti augurerei di morire, però sei già morto e non avrebbe senso.”
Klaus respirò a fondo per placare la rabbia, controbattere non era la giusta opzione. Pose il vassoio per terra e lo spinse sul parquet lucido.
“Cosa stai guardando?”
“Il film di Dracula del 1992, magari imparo come decapitare un vampiro.”
Klaus adocchiò lo schermo e vide Gary Oldman nei panni di Dracula che si accasciava per terra senza testa. Anche lui in passato aveva staccato teste e strappato cuori.
“Io sto uscendo, hai bisogno di qualcosa?”
“Di essere liberata per tornare alla mia vita, grazie.” Disse Artemis, piccata.
“Io voglio liberarti, ma tu devi essere sincera con me.”
Artemis stoppò il film e si alzò, la maglia del pigiama era sollevata e mostrava un piercing all’ombelico. Sfiorò la barriera magica con l’indice come se sfiorasse le corde di un violino.
“Sono disposta a parlare adesso.”
Il suo corpo non lanciò alcun segnale, pertanto Klaus ebbe la conferma delle sue parole.
“Dimmi pure.”
Artemis si passò la lingua sui denti, nei suoi occhi spiccava un luccichio malizioso.
“Va a comprarmi gli assorbenti, da bravo maggiordomo.”
Yvette era più riservata della figlia, più silenziosa e poco propensa alla provocazione. Artemis, invece, adorava spiattellare quelle battute per mettere in soggezione l’altra persona.
“Passerò al supermercato prima di tornare.”
 
Tre giorni dopo
Freya era elettrizzata dal lavoro che Klaus le aveva affidato. La strega stava analizzando il cofanetto che Artemis aveva comprato in Messico. Al suo interno erano arrotolati due fogli di papiro. La carta si era ingiallita e i bordi era usurati, anche alcuni simboli erano consumati dal tempo. Si trattava sicuramente di oggetti mistici, restava solo da capire il loro utilizzo. A giudicare dalle acconciature e dagli abiti, sui fogli erano raffigurati personaggi egizi. In mezzo a loro spiccava un personaggio più alto con la testa da animale, un lungo muso nero lo rendeva disumano. Sotto e sopra le figure correvano una serie di geroglifici dipinti in nero.
“Scoperto qualcosa?”
Klaus entrò in cortile a passo svelto. Tornava da una riunione con il Consiglio della città che si lamentava dei troppi turisti scomparsi. Era una faccenda che avrebbe potuto attendere, ora doveva affrontare la questione di Artemis.
“Sono raffigurazioni egizie. Ipotizzo che rappresentino un corteo religioso dato che al centro spicca il dio Anubi. Ci sono dei geroglifici che non so tradurre, non sono così vecchia.”
“Artemis mi ha detto che studia egittologia all’università.”
“È vero? Io ne dubito.” Disse Freya.
Klaus si passò le mani sul viso, era frustato dalla riluttanza di Artemis.
“Che ci fa una ragazzina con fogli di papiro così antichi? Insomma, si è fatta arrestare pur di accaparrarsi quel cofanetto.”
“Vuoi che chieda a Kol? È esperto di oggetti magici.” Disse Freya.
“No. Nessun altro deve sapere di Artemis. Voglio mantenere un profilo basso.”
Freya annuì, sebbene sperasse che Artemis si confidasse perché era curiosa di decifrare quei geroglifici.
“E’ ora di cena. Magari un gateau di patate riesce a smuoverla.”
Una decina di minuti dopo Klaus bussò alla porta e attese di essere accolto dal sorriso finto di Artemis. Con sua sorpresa, la ragazza lo ricevette senza alcuna emozione.
“Ti ho portato la cena.”
“Grazie.” Disse Artemis, la voce piatta.
Si mise alla toilette – l’unico spazio adatto per mangiare – e affondò la forchetta nel morbido gateau. Era silenziosa, fin troppo per i gusti di Klaus.
“Freya mi ha detto che i fogli di papiro raffigurano un corteo religioso. Perché hai speso tutti quei soldi per averli?”
“Per una ricerca universitaria.” Ribadì Artemis.
“Non compri al mercato nero della magia per una banale ricerca universitaria.” Obiettò Klaus.
La ragazza continuò a mangiare senza dire altro. Ogni domanda dell’Originale era una chiave per sbloccare le serrature dei suoi segreti.
“Ecco, ho finito. Puoi andartene.”
Artemis gli restituì il vassoio e chiuse la porta, voleva restare da sola in quella gabbia dorata.
“Sono tuo amico, Artemis.”
 
Tre giorni dopo
Artemis era più esagitata del solito. Il tempo stava scadere e lei doveva trovare un modo per uscire da quella maledetta stanza. Non aveva altra soluzione se non raccontare la verità a Klaus e sperare che lui la lasciasse andare. Se avesse saputo del suo piano, magari l’avrebbe liberata pur non di lasciarsi coinvolgere. Era disperata. Ma doveva agire prima che fosse tardi.
“Mikaelson, so che puoi sentirmi. Vieni qui.”
In un lampo Klaus si materializzò sulla soglia. Le sue mani erano sporche di pittura, aveva anche una macchina di colore sul collo.
“Che c’è? Hai altre richieste per il tuo umile servo?”
“Voglio parlare.”
“Come mai questa decisione? Temo l’ennesimo inganno.”
Artemis si stiracchiò la schiena e si sedette alla toilette, afferrò la spazzola e si pettinò i capelli.
“Ti dirò la verità perché devo uscire da qui entro domani sera.”
Erano le ventuno, quindi mancavano esattamente ventiquattro ore alla messa in atto del suo piano. Era l’unica occasione che aveva, il lavoro doveva filare liscio per fare ritorno a Chicago.
“Ti ascolto.”
 
Salve a tutti! ^_^
La storia inizia a delinearsi. Artemis e Klaus non vanno molto d’accordo, eh!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
* l’Abattoir è il nome reale del palazzo dove abitano gli Originali, è proprio così che viene chiamato a New Orleans.
*ogni descrizione di New Orleans è reale, mi sono informata.
 
Ps. Se ci sono degli errori nella traduzione spagnola, fatemelo sapere e correggerò subito.

 

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Capitolo 3
*** Il Libro dei Morti ***


2. IL LIBRO DEI MORTI

“Non esiste una magia come quella delle parole.”
(Anatole France)
 
Keelin non si aspettava che la loro ospite fosse una giovane donna vestita da figlia dei fiori. Era tornata da poco dal turno di notte in ospedale e avrebbe dovuto riposare, ma era troppo incuriosita dalla ragazza per andare a dormire. Erano seduti tutti in cortile, attorno ad una tavola ricca di prelibatezze; lo chef soggiogato da Klaus era uno dei migliori su piazza. Fuori era ormai buio, quindi lo spazio era illuminato da tetri candelabri che Keelin detestava.
“Volevi parlare, no? Prego.” La invitò Freya con fare brusco.
Artemis bevve un sorso di vino, e Klaus per poco non le strappava il calice di mano. Aveva mangiato tutto ciò che era stato servito per cena, eppure sembrava ancora affamata.
“E’ vero che ho acquistato il cofanetto al mercato nero della magia. Il Messico è l’Eden degli affari per noi streghe.”
“Come sei entrata in contatto col mercato nero?” chiese Freya.
Artemis allungò la mano per versarsi altro vino ma Klaus le diede uno schiaffetto per fermarla. La ragazza gli lanciò uno sguardo truce e poi tornò a guardare Freya.
“A Chicago c’è uno sciamano che ha dei contatti con il mercato, quindi mi è bastato rivolgermi a lui. Gli ho dato una bella somma e lui mi ha dato le informazioni sullo scrigno: dove si trovava e chi ne era in possesso.”
“La donna che te lo ha venduto è una strega?” domandò Klaus.
“No, lei è un tramite. La signora è una umana al servizio del mercato nero.” Disse Artemis.
Keelin captò un tonfo nel petto della ragazza, stava nascondendo qualcosa.
“Cos’è che non ci dici?”
Freya guardò sua moglie e capì che aveva ascoltato il cuore di Artemis. Come si suole dire, il cuore non mente mai.
“Artemis.” La incalzò Klaus, il tono paterno.
Artemis alzò gli occhi al cielo e sollevò le mani in segno di resa.
“Non so chi sia il reale venditore del cofanetto. Ho ricevuto un messaggio con il luogo e il prezzo dello scambio. La signora non conosce il nome del venditore.”
Freya emise un verso strozzato, infastidita dall’avventatezza della ragazza.
“Perché mai una bambina gioca con gli oggetti mistici?”
“Uno, non sono una bambina. Due, non sto giocando. Tre, quelle pagine mi servono.”
“Tanta fatica per un cofanetto. Perché?” volle sapere Klaus.
Keelin aveva notato la postura rigida dell’ibrido, le mani incrociate sotto il mento e gli occhi vigili. Fissava Artemis come se volesse trivellarle a fondo l’animo.
“Perché quelle pagine sono importanti.” Rispose Artemis.
“Sei un osso duro.” Commentò Freya.
“Speriamo che il lupacchiotto qui non mi addenti.” Replicò la ragazza.
Klaus sospirò, quell’atteggiamento ostico lo stava soltanto innervosendo.
“Se voglio, raccolgo tutta la verbena che hai e la brucio. Aspetto circa tre giorni perché tu la smaltisca e poi ti soggiogo affinché tu dica la verità. E’ questo che vuoi?”
“Non lo faresti mai.” Disse Artemis, titubante.
“Non mettermi alla prova.” La sfidò Klaus.
“Time out, gente. Restiamo concentrati.” Intervenne Keelin.
Artemis e Klaus si minacciarono ancora una volta con lo sguardo, dopodiché entrambi si rassegnarono.
“Quei fogli appartengono al Papiro di Ani, un papiro manoscritto che risale al XII secolo avanti Cristo. E’ scritto in geroglifici corsivi.”
“Continua.” La incitò Freya.
Artemis non era contenta di condividere quelle nozioni, ma era l’unico modo per lasciare il palazzo e attuare il suo piano.
“Il Papiro di Ani è la versione più conosciuta del Libro dei Morti.”
Keelin tossì per l’acqua di traverso, colta alla sprovvista da quella confessione.
“Il Libro dei Morti? Sei seria?”
Artemis annuì, poi prese il cofanetto e mostrò loro le pagine che rappresentavano il corteo.
“Il Libro dei Morti è un antichissimo testo funerario egizio. E’ stato scritto nell’arco di un millennio da svariati sacerdoti. Per ‘libro’ si intende una raccolta di formule religiose e magiche che aiutavano i defunti a raggiungere il regno dei morti. Ogni formula è accompagnata da illustrazioni, ecco perché i geroglifici delimitano i disegni.”
L’interesse si dipinse sul volto di Klaus, che da sempre era un’amante del mondo antico.
“Per quale motivo ti serve il Libro?”
Artemis accarezzò la figura di Anubi che campeggiava in mezzo alla folla di fedeli. Aveva trascorso notti intere in biblioteca a studiare per interpretare quel testo.
“Per accompagnare mia madre nell’aldilà. Queste formule aiutano i defunti a superare le insidie e a vivere in pace nell’altro mondo.”
Lo sguardo di Klaus si addolcì, comprendeva le ragioni di quel viaggio in Messico. Yvette meritava un viaggio sereno nella morte.
“E tu sei in grado di tradurre i geroglifici?” chiese Freya.
“Io no, ma una mia amica di Chicago sì. Lauren studia davvero egittologia, è in gamba. Avrei dovuto inviarle la foto dei geroglifici per la traduzione, ma voi mi avete sequestrata.”
“Ti abbiamo ospitata in massima sicurezza.” Disse Klaus.
“Se ti piace vederla in maniera poetica.” Ribatté Artemis.
Freya era silenziosa, secondo Keelin stava rimuginando sulla spiegazione della ragazza. Se sua moglie dubitava di Artemis, allora davvero c’era dell’altro sotto.
“Non capisco perché la tua destinazione fosse New Orleans. Anziché tornare a Chicago dove è seppellita tua madre, tu hai preso un volto per la Louisiana. Come mai?”
Tutti gli occhi erano puntati su Artemis. La domanda di Freya aveva suscitato un oscuro punto interrogativo.
“Come mai?” ribadì Klaus, risoluto.
“Altre quattro pagine del Papiro di Ani si trovano a New Orleans.” Ammise Artemis.
Freya stese sul tavolo un foglio accartocciato che aveva scovato nello zaino della ragazza. In cima riportava lo stemma di un giglio francese dorato.
“Il volantino di un museo nel tuo zaino e tu che cerchi un antico papiro. C’è di sicuro un collegamento.”
Artemis affondò le unghie nei palmi delle mani, stava sudando freddo. Aveva pregato fino all’ultimo che quel segreto non venisse svelato, invece Freya glielo aveva addirittura messo sotto il naso.
“Io…”
Klaus le fece cenno di chiudere la bocca. Il tempo delle menzogne e degli inganni era finito. Adesso si stava delineando il senso di quella faccenda.
“Stasera il Gallier House ospita un’asta di antiquariato. Alcune antiche famiglie della città hanno donato al museo pezzi dei loro patrimoni perché venissero venduti. I soldi andranno in beneficenza. Lo so perché sono stato invitato.”
“Volevi andare all’asta per comprare gli altri fogli di papiro.” Concluse Freya.
Artemis indurì la mascella, quasi si spezzava le ossa per quanto stringeva i denti.
“Ascoltate, io voglio solo raccogliere le formule che occorrono per facilitare il viaggio di mia madre. Dopo aver acquistato le pagine dal museo, tornerò a Chicago e sparirò dalle vostre vite.”
“D’accordo.” Disse Klaus.
Freya gli scoccò un’occhiata confusa e scioccata, non capiva quale direzione intendesse prendere il fratello.
“Come, scusa? Tu devi aver perso la ragione, quel poco che ti restava.”
Klaus si alzò, fece il giro della tavola e mise le mani sulle spalle di Artemis. Sorrideva in maniera eccessiva, pertanto le sue intenzioni dovevano essere piuttosto malevole.
“Stasera porterò Artemis con me all’asta e faremo un’offerta per quelle pagine. Domattina lei torna a Chicago e noi torniamo alle nostre attività quotidiane. Mi sembra un affare con i fiocchi per tutti.”
“Splendida idea!” esultò Artemis.
 
Klaus era andato al Rousseau per chiamare Kol. Non voleva che Artemis scoprisse le sue indagini sul Libro dei Morti. La storiella del viaggio nell’aldilà era poco credibile, una banale bugia che non aveva sortito alcun affetto. Kol rispose dopo cinque squilli.
“E’ morto qualcuno?”
“Non ancora. Mi serve una tua consulenza.” Disse Klaus.
Si sedette al bancone e ordinò un bourbon, anche se alla fine sarebbe uscito dal bar almeno dopo una ventina di drink.
“Tu che richiedi una mia consulenza è un evento epocale. Qualcuno sta forse per morire?”
“Resta serio, Kol. Sai qualcosa sul Libro dei Morti?”
Kol impiegò qualche secondo di troppo a rispondere, e questo accrebbe la preoccupazione di Klaus. Artemis aveva imboccato una strada oscura.
“So che è un antico testo egizio. E’ roba pericolosa.”
“Quanto pericolosa?”
Attraverso la cornetta riecheggiò il sospiro di Kol, si preannunciava una catastrofe.
“E’ magia nera. Il Libro è un testo di negromanzia.”
“Questo lo so. Le sue formule facilitano il viaggio verso il mondo dei defunti.”
“Non capisci, Klaus.”
Klaus aggrottò le sopracciglia, era più perplesso di prima. Neanche l’alcol placava i nervi.
“Spiegatami meglio.”
“Quel Libro serve a resuscitare i morti. Devi starne lontano.”
 
Artemis guardò la propria figura allo specchio con un sorriso. Era soddisfatta di come la salopette gialla si abbinasse alla t-shirt rossa. Si legò i capelli in uno chignon alla rinfusa e si intrecciò attorno alla testa una bandana rossa e bianca.
“Orrore.” Chiosò Freya sulla soglia.
“Questo è il mio stile e a me piace.” Disse Artemis.
Freya entrò nella stanza e depose sul letto una custodia nera appesa a una gruccia.
“Vuoi andare ad un’asta vestita da pagliaccio? Non dire stupidaggini.”
“Le salopette sono comode, hanno le tasche e sono chic.”
Freya non le diede retta, era troppo impegnata con la custodia per starla a sentire. Appeso alla gruccia c’era un semplice tubino nero a maniche corte, lungo fino al ginocchio e col bordino di pizzo.
“Indossa questo. All’asta ci sarà gente importante e tu dovrai fare bella figura. Non venderanno quelle pagine a una ragazza in salopette gialla.”
“Sì, padrona.” Disse Artemis.
Freya aveva ragione sull’abbigliamento elegante, sebbene Artemis non prevedeva di restare a lungo al museo. Sarebbe sgattaiolata via dopo aver ottenuto le pagine. Neanche Klaus sarebbe stato in grado di bloccarla di nuovo. Si cambiò velocemente, si slacciò la bandana e si pettinò i capelli alla bell’e meglio. Indossò un paio di orecchini a cerchio e i suoi numerosi anelli.
“Artemis, sei pronta? E’ tardi.” La richiamò Klaus dal cortile.
“Arrivo!”
Freya inorridì quando vide che Artemis portava ancora gli scarponcini, era una nota storta nell’armonia del tubino.
“Non hai scarpe più adatte?”
“Sono andata illegalmente in Messico, secondo te ho portato i tacchi?” fece Artemis.
“Ti presto le scarpe di Hayley, credo abbiate lo stesso numero.”
Freya lasciò la stanza per recuperare le scarpe al terzo piano e Artemis ne approfittò per scendere in cortile. Era lì per sua madre, non per imbellettarsi e fare festa. In fondo alle scale Klaus aspettava con il gomito poggiato alla colonnina che decorava la scalinata.
“Eccomi. Possiamo andare.”
L’Originale sorrise nel vederla con indosso quel tubino che Valentino aveva cucito appositamente per Rebekah.
“Mi piace il contrasto fra l’abito raffinato e gli scarponcini da montagna.”
Artemis lo colpì alla spalla con un pugno che non smosse l’ibrido nemmeno di un millimetro. Doveva ammettere che Klaus stava bene con quel completo blu scuro che gli metteva in risalto gli occhi verde-azzurri. Scosse la testa come a voler sradicare quel pensiero malsano dalla propria mente.
“Possiamo andare o vuoi la manina?”
“Prima le signore, milady.” Disse Klaus facendosi da parte.
Artemis lo superò, lo zainetto a fantasia floreale balzava sulla sua schiena ad ogni passo. Klaus trattenne a stento una risata.
 
 
Royal Street era una delle tante strade del Quartiere Francese che inglobava svariati edifici storici. Uno di questi in origine era la casa del famoso architetto James Gallier Jr., dove aveva vissuto con la famiglia a partire dal 1860. L’intero complesso comprendeva un cortile con giardino, una carreggiata e un’area riservata agli schiavi. Lo stile architettonico richiamava la tradizione italianeggiante quali il trattamento degli stucchi e l’ingresso formale. Gli invitati venivano accolti sulla scalinata della casa da una donna e per entrare varcavano il cancello di ghisa realizzato dallo stesso Mister Gallier.
“I vostri nomi?”
“Niklaus e Freya Mikaelson.” Disse Klaus.
La donna controllò la lista, annuì con un sorriso e spalancò la porta della casa.
“Benvenuti al Gallier House. Lo staff del museo vi augura una splendida serata.”
Klaus e Artemis oltrepassarono il cancello a braccetto e si immisero nella calca che pian piano transitava nel cuore del museo.
“Hai il denaro necessario per fare un’offerta?”
“No. Tocca a te pagare.” Bisbigliò Artemis.
“Ci avrei scommesso la testa.” Disse l’Originale, esasperato.
Klaus agguantò due flûte di champagne e diede una alla ragazza, che sorseggiò il liquido frizzantino a piccoli assaggi.
“Lo champagne dei ricchi è davvero buono.”
“Signor Mikaelson, che onore!”
Miriam Cooper ancheggiò verso di loro in compagnia del marito Andrew. Era come se due avvoltoi si calassero su una preda succulenta. Klaus cinse la vita di Artemis con un braccio per tenerla vicina.
“Signora Cooper, è un piacere vederla.”
Miriam spostò l’attenzione dall’ibrido alla ragazza, bramando di conoscere la sua identità.
“Vecchio volpone, ora si fa accompagnare dalle giovani fanciulle.”
Lo smarrimento ebbe la meglio su Artemis. Se Klaus dimostrava all’incirca trent’anni, come mai quella donna gli aveva dato del vecchio?
“Artemis, ti presento il sindaco di New Orleans e la strega a capo del consiglio cittadino.”
“Io sono Miriam Cooper e questo è mio marito Andrew. E tu sei?”
“Un’amica di Klaus.” Disse Artemis, lapidaria.
Miriam buttò giù un sorso di champagne e si mise a ridere, dando una giocosa gomitata nelle costole del marito.
“Amica, certamente. Anche io vorrei essere amica di Klaus se non fossi sposata!”
“Signora Cooper, si dia un contengo.” Scherzò Klaus.
“E da quando a Klaus Mikaelson piacciono le micette senza artigli?”
Artemis si accorse che Andrew si era fatto pallido, di certo quelle battute licenziose della moglie lo mettevano a disagio. Alle sue spalle un uomo alto e calvo era appena salito sul palco.
“Klaus, l’asta sta per iniziare” Disse Artemis.
Klaus abbandonò la flûte su un tavolo rotondo alla sua destra e mise la mano sulla schiena di Artemis per sollecitarla a muoversi.
“Ci vedremo ancora, signor Mikaelson.” Disse Miriam con malizia.
 
 
“Vai a letto con Miriam?”
Klaus interruppe bruscamente la lettura del programma dell’asta per guardare Artemis.
“A te cosa importa?”
“Non è carino. Suo marito Andrew sembrava ferito dalle vostre battute idiote.”
L’Originale ghignò, divertito dall’espressione corrucciata della ragazza. Dal suo broncio si evinceva la giovane e età e la scarsa esperienza in materia sentimentale. A vent’anni l’amore sembra bello, poi capisci che è solo fumo.
“Non andrei a letto con Miriam Cooper neanche sotto tortura. Quella donna è il demonio, è meglio starle alla larga.”
“Beh, una strega che diventa sindaco è una rogna.” Disse Artemis.
“Non sai quanto.”
Un colpo di martello annunciò l’inizio dell’asta. Gli invitati avevano presto posto, ciascuno di loro era munito di paletta per avanzare le offerte. Anche Klaus ne aveva ricevuta una.
“Signore e signori, benvenuti alla prima asta condotto dal Gallier House. Siamo lieti di avervi qui e vi auguriamo una buona permanenza. Che l’asta abbia inizio!”
La vendita partì da un’antica spada a lama dritta, il manico era graffiato e questo poteva accrescerne o diminuirne il prezzo, a seconda dell’acquirente.  Alcuni uomini in prima fila fecero delle offerte sostanziose.
“Il tuo telefono continua a vibrare. Non rispondi?” disse Klaus.
L’Originale stava ancora leggendo il listino dei pezzi in vendita, ogni tanto arricciava le labbra in disappunto.
“Non è importante.”
“Darren vorrà sentire la tua voce.”
Artemis si morse le labbra, non era possibile nascondere nulla a quel maledetto ibrido.
“Darren mi cerca solo per motivi legati all’università. E’ un mio compagno di corso.”
Klaus sollevò un angolo della bocca, le bugie della ragazza venivano smentite ancora una volta dal battito irregolare del suo cuore.
“Allora è vero che studi all’università.”
“Studio storia. Non sottovalutarmi.” Disse Artemis.
“Ora capisco il tuo interesse per il Papiro di Ani.”
Nel frattempo, e con immensa gratitudine di Artemis, l’asta era giunta a metà: adesso il battitore stava mostrando al pubblico un ex voto a forma di cuore lavorato in oro che proveniva da una chiesa russa.
“Klaus, lo senti anche tu?”
“Cosa?”
Artemis avvertiva uno strano formicolio in tutto il corpo, era come se il suo sangue fosse in fermento. In quel preciso istante il battitore d’asta portò sul palco un rotolo avvolto da un panno protettivo.
“Gentilissimi ospiti, queste sono pagine di rara bellezza. Provengono all’Egitto e risalgono alle più antiche dinastie. Sottopongo alla vostra attenzione quattro pagine del Papiro di Ani.”
Un valletto liberò il rotolo dal panno di velluto e innalzò le pagine perché tutti potessero vederle. Un brusio di ammirazione serpeggiò fra il pubblico.
“Sono di straordinaria fattura.” Mormorò una donna in seconda fila.
Artemis si agitò sulla sedia, le dita stringevano il pizzo che bordava l’orlo del vestito.
“Sta calma. Ci penso io.” Disse Klaus.
“L’asta parte da una base minima di trentamila dollari.” Dichiarò il battitore.
“Offro quarantamila dollari!” strillò la donna di prima.
“Ne offro cinquantamila!” urlò un uomo dai baffi bianchissimi.
Le offerte aumentavano a dismisura a un ritmo incessante. Ogni battito di martello equivaleva ad una cifra esorbitante. Artemis non ne poteva più, l’agitazione la stava divorando dall’interno.
“Centomila e uno, centomila e due, centomila e…”
“Offro duecentomila dollari.” Tuonò la voce di Klaus.
La folla si voltò verso di lui con stupore, era una cifra troppo alta per quattro pagine di papiro rovinate dal tempo.
“Duecentomila per il signore in fondo! Qualcuno offre di più?” chiese il battitore.
Artemis serrò le mani sulle ginocchia, sperava con tutta se stessa che nessun altro azzardasse altre offerte. Il silenzio della sala era confortante, però non la metteva al sicuro da un eventuale rivale.
“Duecentomila e uno, duecentomila e due, duecentomila e…”
Klaus diede un rapido sguardo alla sala: nessuno stava pensando di fare un’altra proposta. Solo Miriam Cooper sembrava turbata dalla sua offerta, come se lei stessa volesse mettere le mani su quelle pagine.
“Ne offro trecentocinquantamila!” urlò Andrew, il marito di Miriam.
“Oh, ma fa sul serio? Imbecille.” Sussurrò Artemis.
Klaus vide un sorriso di sfida sulle labbra di Miriam. Era chiaro che avevano appena dato il via ad una partita a scacchi e che lui doveva muovere bene le pedine per vincere.
“Io ne offro seicentomila!” propose Klaus.
Il battitore d’asta strabuzzò gli occhi per quella cifra esorbitante. Una signora in prima fila quasi svenne per quell’offerta. Se quello fosse stato un duello di spade, ora Klaus sarebbe in netto vantaggio.
“Ne offro…” incominciò Andrew.
Miriam gli schiaffeggiò il braccio ed Andrew abbassò la mano ritirandosi dall’asta. Il battitore annuì e diede tre colpi di martello.
“Seicentomila e uno, seicentomila e due, seicentomila e tre! Le quattro pagine del Papiro di Ani vanno al signore con la cravatta azzurra!”
Il pubblico batté le mani come di consueto e Klaus chinò il capo in segno di ringraziamento. Artemis non stava battendo le mani, piuttosto ammirava il valletto che preparava il rotolo per consegnarlo all’acquirente.
“Tu non mi batti le mani? Ho speso una somma dispendiosa per te.” Disse Klaus.
Artemis inarcò il sopracciglio, non avrebbe mosso un dito per ringraziare un essere che da più di mille anni accumulava ricchezze.
“Sei ricco sfondato, seicentomila dollari in meno non dilapideranno il tuo enorme patrimonio.”
Klaus sorrise, riconoscendo in lei lo spirito tagliente di Yvette. Tale madre, tale figlia.
“Come sei pungente. Ti ho appena fatto un regalo, dovresti essermi grata.”
“Signor Mikaelson, la ringrazio di cuore per aver speso soldi rubati nei secoli.” Disse Artemis.
“Prego, milady. Il mio immenso patrimonio è al suo servizio.”
Il battitore mostrò altri cinque articoli in vendita, dopodiché l’asta si concluse con un altro applauso.
 
I compratori furono scortati in una saletta per ritirare i propri acquisti. Un tempo era stata la sala della musica, a testimoniarlo era un meraviglioso pianoforte a coda, rivestito da legno scuro con pannelli decorati da girasoli incisi. Artemis sfiorò con delicatezza i tasti dello strumento, dimostrando un grande rispetto per quel pezzo d’epoca.
“Bello, vero?”
Un ragazzo stava sorridendo mentre guardava il pianoforte. Era vestito elegante, sebbene i lunghi capelli castani fossero acconciati in dread tenuti da una fascia colorata.
“Molto bello. Strumenti di questo genere non se ne fanno più. Questo è da considerarsi un piccolo gioiello.”
“Ti intendi di musica?” domandò il ragazzo.
Artemis toccò la coda del pianoforte e sentì una melodia risuonare nella mente.
“Mia madre suonava il violino, aveva grande talento. Diciamo che io mi intendo della parte storica.”
Il ragazzo sembrava interessato, infatti si appoggiò alla coda con i gomiti e guardò la ragazza.
“In che senso?”
“L’Ottocento fu il secolo fortunato per gli strumenti musicali. Il Romanticismo ha fatto del pianoforte un grande protagonista nella ricerca di suoni raffinati e che si adattassero alle esigenze culturali del tempo. L’inglese Thomas Allen nel 1831 creò il primo telaio in metallo, una vera rivoluzione in campo tecnico-artistico. Per un lungo periodo il pianoforte fu abbandonato per poi tornare in voga grazie al musicista Debussy. L’Impressionismo fu un altro momento culturale che diede grande lustro alla musica.”
“Incantevole.” Giudicò il ragazzo con un sorriso.
“Hai finito con questo siparietto o vuoi indugiare nel ridicolo?” tuonò Klaus.
Il ragazzo sbuffò alla vista dell’Originale, il divertimento era appena terminato.
“Ciao, papà.”
“Non chiamarmi così. Non sono tuo padre solo perché ti ho trasformato. Artemis, lascia perdere questo fannullone.”
Artemis si mise in fila per la consegna del rotolo. Davanti a lei c’era una fila lunga, quindi tanto valeva fare quattro chiacchiere.
“Lui è il tuo figlio vampiro?”
Il ragazzo le prese la mano e ne baciò il dorso.
“Gabriel Garcia, mia splendida fanciulla.”
Klaus alzò gli occhi al cielo, irritato dal comportamento grottesco del ragazzo. Lo aveva trasformato cinque anni prima e ora lui lavorava alle dipendenze dei Mikaelson per ripagare il favore.
“Gabriel lavora per la mia famiglia da diversi anni, anche se preferisce andarsene a zonzo anziché svolgere i compiti che gli vengono assegnati.”
“E sono anche single.” Aggiunse Gabriel ammiccando.
“Non mi interessa.” Tagliò corto Artemis.
“Signor Mikaelson, siamo pronti per la consegna.” Comunicò il valletto.
Klaus si allontanò per il pagamento e il ritiro, lasciando Artemis e Gabriel nell’anticamera della sala. La ragazza si mise ad osservare un quadro che portava la firma di un certo Niklaus.
“Papà è un pittore. Fa pena ma nessuno glielo dice per paura di un buco al petto.”
Gabriel aveva messo il braccio intorno alle spalle di Artemis, il forte odore di muschio fece starnutire la ragazza.
“Klaus non è davvero tuo padre. E togli il braccio, subito.”
“Uh, sei un tantino nervosetta.”
Artemis chiuse la mano a pugno e Gabriel si portò le mani alla testa. La strega gli stava causando un aneurisma tanto forte da farlo piegare in due dal dolore.
“Ecco cosa succede a fare sempre il cascamorto.” Esordì Klaus.
Sotto il braccio recava una busta da cui spuntava un lembo di velluto. Artemis allentò la morsa sul cervello di Gabriel e si precipitò da Klaus.
“Fammi vedere. Dai!”
“Torniamo a casa. Qui non è sicuro.”
Artemis ebbe la sensazione di essere osservata e scoprì che Miriam Cooper la guardava di sottecchi mentre parlottava col marito.
“Hai ragione.”
 
Artemis camminava a grandi falcate, aveva urgenza di tornare al palazzo e mettere le grinfie su quelle pagine. Dietro di lei Klaus e Gabriel procedevano guardinghi, la sicurezza non era mai troppa nel Quartiere Francese.
“Gabriel, devi fare una cosa per me.”
“Accompagnare la strega nelle sue stanze private? Certamente!” esclamò Gabriel.
Klaus lo trucidò con gli occhi, aveva sbagliato a trasformare un simile imbecille.
“Devi indagare sui recenti affari di Miriam Cooper. Forse la sua congrega sta architettando qualcosa, e in tal caso noi dobbiamo saperlo al più presto.”
Il sorriso abbandonò il viso del giovane vampiro, tramutandosi in serietà.
“Pensi che stiano preparando un attacco contro i vampiri?”
I pensieri affollavano la mente di Klaus, tante domande e nessuna risposta. Perché Miriam aveva fatto un’offerta per il rotolo di papiro? Due streghe alla ricerca di un libro di magia nera un assordante campanello d’allarme.
“E’ questo che voglio capire. Mi raccomando, sii discreto. Nessuno deve sapere che stiamo indagando sul sindaco.”
“Ci penso io, papà.” Promise Gabriel.
“Smettila di chiamarmi così.”
“Ehi, voi due, datevi una mossa!” li richiamò Artemis.
Dopo una ventina di minuti si ritrovarono nel palazzo dei Mikaelson, sontuoso e immerso nel silenzio come sempre. Freya e Keelin erano uscite a cena per festeggiare il loro primo anniversario di matrimonio, sarebbe rincasate tardi e spettava a Klaus giostrare la situazione fino al loro rientro.
“Gabriel, sei libero di andare. Non deludermi.” Disse Klaus.
Gabriel fece l’occhiolino ad Artemis e se andò a passo baldanzoso nella notte vivace del quartiere. Artemis fece una smorfia di disgusto.
“Quel ragazzo mi irrita.”
Klaus si sbottonò la giacca e si allentò la cravatta, odiava vestirsi di tutto punto. Posò il fagotto di velluto sulla scrivania del suo studio e sciolse i lacci con cautela. Artemis si chinò per guardare come i fogli si rivelavano ai suoi occhi, fiori che sbocciano a mezzanotte.
“Che sai dirmi di questi fogli, Artemis?”
La ragazza puntò il lume sui fogli per avere una visuale migliore. Questa volta le raffigurazioni rappresentavano il dio Horus che conduceva l’anima di Ani verso l’altro mondo. Il secondo foglio di papiro raffigurava Anubi che utilizzava la bilancia per pesare una piuma e un cuore. il terzo e il quarto foglio riportavano l’immagine di un uomo seduto che sembrava emergere da una pozza nera di colore.
“Sono i diversi momenti del passaggio verso la morte. Questo personaggio con la testa di falco è Horus, è il signore della profezia e il suo compito è quello di prelevare i morti dal mondo umano. In questo foglio Anubi valuta l’anima del defunto tramite il peso, se la sua anima è leggera allora può proseguire il viaggio. Se la piuma è più leggera significa che non è degno di raggiungere il mondo eterno. Quest’ultima immagine è difficile da comprendere.”
“Perché?”
Artemis si tamburellò le dita sul mento, gli ingranaggi della sua mente lavoravano senza sosta. Klaus sorrise appena, era incantevole il modo in cui la ragazza si perdeva fra quei disegni.
“Nella tradizione egizia non c’è un vero riferimento ad un uomo che emerge dal buio. Dovrei chiedere meglio a Lauren, è lei l’esperta.”
“Anche tu sembri alquanto esperta.” Disse Klaus.
Artemis abbozzò un sorriso, era gratificante che le proprie conoscenze venissero riconosciute.
“Ho studiato a fondo la cultura egizia antica prima di arrivare al Papiro di Ani. Dopotutto, sono una studentessa di storia e qualche nozione in più mi fa comodo.”
Klaus si appoggiò al bordo della scrivania con le braccia conserte, gli occhi puntati su Artemis.
“Come mai storia?”
“Cicerone ha scritto che la storia è vera testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita e messaggera dell’antichità.”
“Sei arguta. Mi piace.”
“Sono una studiosa appassionata, tutto qui.”
Artemis tornò a concentrarsi sui fogli, quell’ultima raffigurazione le sfuggiva totalmente. Poteva essere l’incantesimo giusto? O era solo un disegno senza importanza?
“La passione è il motore che sospinge il mondo. È capace di farci compiere grandi azioni.”
D’improvviso la stanza si era fatta angusta e soffocante, e Artemis sentiva un terribile nodo alla gola. Erano tutte le sue bugie che si ingarbugliavano sulla lingua.
“Beh, lo saprò quando avrò decifrato i geroglifici. Per questo sarà meglio che io parta subito.”
“Vuoi partire adesso? Sono le dieci di sera. Puoi restare a dormire qui questa notte. Domattina prenderai il volo delle otto per Chicago.”
In effetti era buio, il volo più prossimo alla partenza per Chicago era quello delle ventidue e trenta. Artemis non sarebbe mai arrivata in tempo per partire, tanto valeva restare a dormire al sicuro invece che in aeroporto.
“Va bene. Grazie per l’ospitalità.”
“Non c’è di che. A tua madre farebbe piacere vederci insieme.”
Klaus uscì dallo studio con Artemis al seguito, erano diretti alle camere da letto al secondo piano.
“Mia madre, che enorme enigma quella donna.” Disse Artemis, malinconica.
“Tua madre aveva dei segreti che non ha confidato neanche a me. In verità, sapevo poco di lei e dei suoi problemi.”
L’Originale si mise di lato per concedere alla ragazza di passare per prima.
“Quali problemi? Suppongo quelli connessi alla sua fuga da New Orleans.”
“Yvette aveva delle questioni irrisolte con la sua congrega. Le streghe sono creature poco inclini al perdono.”
Artemis aveva provato a estorcere una confessione dalla madre più volte, ma lei restava irremovibile nel suo mutismo. Aveva anche immaginato che sua madre avesse lasciato la Louisiana dopo aver commesso un reato.
“Questioni di che tipo? Mia madre non ha mai menzionato la sua congrega.”
Intanto erano arrivati davanti alla camera di Artemis, ma nessuno dei due osò separarsi e interrompere quella conversazione. Del resto lei aveva seguito l’ibrido anche per dissotterrare il passato torbido della madre.
“Artemis, le congreghe negli anni Novanta governavano questa città con estrema severità. Punivano chiunque si ribellasse alle loro regole. Tua madre era una ribelle, lei agiva secondo il proprio istinto e questo spesso aveva generato attrito con la congrega.”
“Stai dicendo che mia madre è stata punita con l’esilio?”
Klaus doveva trattenersi, un pizzico in più di verità poteva rovinare la reputazione di Yvette per sempre.
“Non so perché tua madre abbia lasciato New Orleans, ti ripeto che non conoscevo i suoi segreti. So soltanto che voleva tenerti lontana dalla congrega e lasciarti vivere una vita normale.”
Artemis tirò un filo dall’orlo del vestito e il pizzo si raggrinzì. Anche lei si sentiva raggrinzita dalla riservatezza ambigua della madre.
“Io non so niente della sua congrega. Non mi ha mai raccontato niente della sua vita qui.”
Klaus provò un moto di tenerezza per la ragazza, sembrava smarrita come un cervo colpito dai fanali.
“E’ meglio che tu non sappia nulla. Oggigiorno il potere delle congreghe si è affievolito, non hai nulla da temere. E’ tardi, va a riposare. Buonanotte.”
Artemis emise un flebile sospiro. Alle volte tutto quel mistero avvolto intorno alla madre era logorante. Era come vivere con una persona a metà, una mezza luna che si celava dalla luce.
“Mikaelson.”
Klaus si girò, un lieve incurvamento delle labbra.
“Sì?”
“Grazie per i soldi.”
“Sogni d’oro, Artemis.”
 
Artemis si aggiustò lo zainetto sulle spalle e sgusciò fuori dalla camera da letto. Come in un film horror, stava attenta a non far cigolare le assi del pavimento. Erano le quattro del mattino e tutti stavano dormendo, fortuna per lei che stava scappando. Aveva controllato gli orari dei voli e alle cinque e mezza partiva quello per Chicago. Doveva andarsene prima che i Mikaelson la bloccassero di nuovo. Più tempo passava con loro, più alta era la probabilità che la smascherassero. Se avessero saputo perché aveva faticato per ottenere il Papiro di Ani, l’avrebbero rinchiusa e trattenuta a vita. Arrivò ai cancelli principali senza intoppi, era diventata una fuggiasca abile.
“Vai da qualche parte?”
La luce del cortile illuminò Klaus seduto sul divanetto. Stava bevendo bourbon.
“Klaus, ehi! Tu non dormi?”
“Artemis, Artemis, Artemis. Mi deludi.”
Artemis non aveva tempo da perdere. Bisticciare con uno sconosciuto rientrava nei suoi progetti, quindi andò dritta verso i cancelli. Quando tentò a uscire, fu sbalzata indietro.
“No.”
Klaus si versò ancora il bicchiere, sorrideva sornione.
“Oh, sì. Freya ti ha bloccata qui. Non puoi lasciare questa casa.”
“Perché? Io sono stata sincera!” sbottò Artemis, furiosa.
“Non sei stata sincera. Hai mentito per tutto il giorno. Io so la verità.”
“E quale sarebbe?”
“Tu vuoi usare il Libro dei Morti per riportare tua madre in vita.”
 
 
Salve a tutti! ^_^

Ormai il piano segreto di Artemis è stato svelato. Ma ce la farà a riavere sua madre?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*Tutte le informazioni sul cosiddetto ‘Libro dei Morti’ è vera, mi sono informata.
*La Gallier House esiste davvero a New Orleans.

 

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Capitolo 4
*** Dimostrazione di fiducia ***


3. DIMOSTRAZIONE DI FIDUCIA

“L’universo è pieno di oggetti magici che aspettano pazientemente il nostro ingegno per meglio autodefinirsi.
(Eden Phillpotts)
 
Artemis non ne poteva più di quell’intenso odore di fenolo che le faceva bruciare le narici. L’ospedale era diventato la sua seconda casa, dormiva e mangiava lì, tornava al suo appartamento solo per lavarsi e cambiarsi i vestiti. Una settimana fa sua madre aveva accusato una brutta tosse che nel giro di due giorni si era trasformata in una violenta infezione polmonare. Erano stati i sette giorni peggiori della sua vita.
“Artemis.” Bisbigliò la madre.
Era stanca e affaticata, la sua pelle era di un bianco che si abbinava alle lenzuola. Ogni traccia della donna sorridente e tenace che era stata ora era scomparsa.
“Sono qui, mamma.”
Artemis si sedette accanto a lei sul letto e le prese la mano, accarezzò ogni nocca con cura amorevole.
“Ti voglio un bene immenso, bambina mia. Non puoi neanche immaginare quanto.”
La ragazza deglutì, inghiottendo lacrime amare. Non voleva piangere e mostrarsi debole agli occhi sciupati della madre. Doveva restare forte per lei.
“Anche io ti voglio bene. Davvero tanto.”
La madre le sfiorò la guancia con la mano fredda, la pelle era così secca che pareva sgretolarsi come un muro pieno di crepe.
“Artemis, non devi fidarti mai di nessuno. Il mondo è un posto pericoloso per te.”
Yvette ripeteva sempre la stessa solfa: mai fidarsi e stare attenta a ogni possibile pericolo. Fu scossa da un forte colpo di tosse e Artemis subito l’aiutò a mettersi seduta.
“Che hai? Ti senti bene?”
“Sto per morire, bambina mia. So che non vuoi sentirtelo dire, ma è la verità. Devi sempre dire la verità, anche quando fa paura e vorresti fuggire via.”
Artemis scoppiò a piangere, non era possibile trattenersi quando tua madre ti stava morendo sotto il naso.
“Mamma … no. Non mi lasciare. Io ho bisogno di te.”
Yvette le scostò una ciocca di capelli e le mise le mani a coppa intorno al viso. Sorrise.
“Ascoltami bene, Artemis. Tu sei una donna forte e so che in futuro diventerai straordinaria. La vita dura, non fa mai regali e per questo tu dovrai lottare per ottenere ciò che desideri. Io sarò sempre con te, nel tuo cuore. Non ti lascerò mai per davvero.”
Artemis si accasciò contro la spalla della madre, piangeva a dirotto e non sapeva come fermarsi. Il dolore che stava provando era troppo grande e lancintate per essere espresso a parole.
“Io voglio stare con te, mamma. Ti prego.”
“Ti ricordi quel numero che ti ho dato? Ecco, chiama quella persona se sarai in difficoltà.”
“Io non…”
Il monitor dei parametri vitali iniziò a suonare e lampeggiare di rosso. Yvette rovesciò la testa all’indietro, la bocca spalancata e gli occhi bianchi.
“No! Mamma! No!”
Un medico e tre infermieri irruppero nella stanza. Artemis fu allontanata dalla madre, e si accucciò in un angolo a piangere.
“Ora del decesso: undici e cinquanta.” Dichiarò il medico.
Sua madre era morta e Artemis aveva appena perso tutto.
 
Due giorni dopo
Artemis si svegliò di soprassalto. Aveva le guance rigate di lacrime e il respiro accelerato. Aveva sognato di nuovo la morte della madre, ormai era l’incubo più ricorrente. Si sfregò le mani e le braccia come a voler cancellare la sensazione del corpo freddo e rigido della madre morente.
“Stai bene?”
La testa di Keelin faceva capolino dalla porta. Indossava la divisa azzurra dell’ospedale.
“Starei meglio se uscissi da questa casa.”
“Mi dispiace. Ho tentato di convincere Freya a rompere l’incantesimo di confinamento, ma lei è stata irremovibile. Gli ordini di Klaus sono legge.”
Artemis scese dal letto, era sudata e frastornata dal sonno agitato. Aprì la finestra e prese una boccata d’aria, il rumore caotico della città era un’ottima distrazione.
“Klaus se ne pentirà prima o poi di avermi rinchiusa.”
“Lo ha fatto per una giusta causa.”
Artemis fece un respiro profondo. Avrebbe voluto dare fuoco a quella stupida casa, avrebbe voluto dare fuoco all’intera città. La rabbia la divorava da quando sua madre era morta, e alle volte era insopportabile reggerne il peso.
“Anche io sto agendo per un giusta causa.”
“Riportare qualcuno in vita non è giusto. Giocare in questo modo con la magia non va bene.”
“Non ho chiesto il tuo parere. Non ho chiesto neanche il parere di quello stronzo!”
“Parli di me? Così mi lusinghi.” esordì Klaus.
Si era materializzato davanti alla porta con il consueto vassoio per la colazione, l’odore di zucchero e crema era invitante. Artemis si morse le labbra per non bestemmiare.
“Se ti senti lusingato dagli insulti, sappi che io ho una riserva infinita.”
Klaus sfoggiò quel sorrisetto malizioso che Artemis odiava. Era come se la prendesse in giro ad ogni parola.
“Una brioche per addolcire il malumore? E’ ottima, te la consiglio.”
“Io vado a lavorare, voi cercate di non ammazzarvi.” Disse Keelin.
Klaus la salutò con un cenno della testa e poi riportò lo sguardo su Artemis.
“Brioche?”
“Dammi quella stupida brioche e sparisci!” sbottò Artemis.
Arraffò il vassoio e si mise seduta alla toilette per mangiare. La pasta dolce della brioche era soffice ed era farcita di crema pasticceria, le sue papille gustative andarono in visibilio.
“Mi dispiace.” Disse Klaus.
Artemis addentò l’ultimo morso della brioche e si girò a guardarlo. L’ibrido non sorrideva più, era serio e sembrava davvero dispiaciuto.
“Dispiace anche a me per essermi comportata da pazza. E’ solo che …”
“Vuoi riavere tua madre.”
“Sì, è l’unica cosa che desidero. La sua morte è un dolore troppo grande da sopportare.”
Klaus ricordava ancora la risata stridula di Yvette, le sue smorfie di fastidio e quella ruga che le increspava la fronte quando era arrabbiata. La sua amica meritava di vivere.
“Avrei voluto esserci per te e per tua madre. Le cose qui non andavano meglio.”
Artemis si sedette sul letto a gambe incrociate, la maglia oversize che indossava le copriva le ginocchia.
“Raccontami.”
Per la prima volta c’era intesa fra di loro, pertanto Klaus ne approfittò e prese posto alla toilette.
“Solo un anno fa abbiamo sconfitto l’Ombra, uno spirito potente che voleva sterminare la mia famiglia. Voleva avere mia figlia. Per fortuna siamo riusciti a neutralizzarla. Da allora le cose sono cambiate per tutti.”
“Cambiate come?”
“Mio fratello Kol è andato a vivere con la sua fidanzata. Freya e Keelin si sono sposate. Mi sorella Rebekah ha preso la cura e aspetta di sposarsi. Mio fratello Elijah ed Hayley, la madre di mia figlia, sono in vacanza.”
Artemis strabuzzò gli occhi. Quella famiglia diventava ogni attimo più interessante.
“Tua sorella ha preso la cura? In che senso?”
“Esiste una cura per tornare umani. Rebekah l’ha presa perché ha sempre voluto una vita normale, sposarsi e diventare madre.”
“Tu conosci Damon Salvatore?”
Questa volta fu Klaus a restare sbigottito.
“Io sì. Tu lo conosci?”
“Sì! Io e mia madre abbiamo trascorso diverse estati a Mystic Falls e Damon ci ha affittato la casa sul lago dei Gilbert.”
“Perché siete andate a Mystic Falls?”
“Non lo so. Mamma diceva che era una bella cittadina per passare l’estate.” Disse Artemis.
Il mistero si infittiva, pensò Klaus. Perché Yvette era andata proprio a Mystic Falls? Era una domanda a cui avrebbe dovuto dare una risposta al più presto.
“E’ una cittadina deliziosa.”
Artemis notò un velo di rossore sulle guance di Klaus e si mise a ridere.
“Io credo che ad essere deliziosa fosse una donna.”
L’Originale annuì con un sorriso, il ricordo di Caroline era uno dei suoi preferiti.
“C’era una donna, è vero. Non è andata bene.”
“Perché?”
“Perché lei era innamorata di un altro.” Disse Klaus.
Artemis intanto stava bevendo il caffè in una tazza di porcellana decorata. Era una che amava i pettegolezzi e l’ibrido glieli stava servendo su un piatto d’argento.
“Anche con la madre di tua figlia non è andata bene.”
“La storia tra me ed Hayley è durata il tempo di una notte. Non sono mai stato innamorato di lei.”
“Sei davvero sfigato in amore.” Commentò Artemis.
Klaus sogghignò, pur dovendo ammettere che la ragazza aveva ragione.
“Sono in vita da più di mille anni e non ho trovato ancora l’amore vero, quindi direi che sono davvero sfortunato.”
“Vuoi una pozione d’amore? Liberami e io te la preparo.” Si propose Artemis.
“Non mi raggiri così, signorina. Io e te dobbiamo ancora affrontare il nocciolo della questione.”
La strega alzò gli occhi al cielo, tutta quella faccenda iniziava a stancarla.
“Non c’è molto da dire. Voglio solo usare il Libro dei Morti per riavere mia madre.”
“Come posso avere la certezza che vuoi solo riavere tua madre? Hai detto molte bugie, fidarsi è difficile.”
Artemis ripensò alle parole della madre: Devi sempre dire la verità, anche quando fa paura e vorresti fuggire via. Doveva semplicemente smettere di scappare, dire la verità e pagarne le eventuali conseguenze.
“Mi daresti la tua mano?”
“Certo.”
Klaus tese la mano e Artemis la racchiuse fra le proprie. Chiuse gli occhi e si focalizzò sulla loro pelle a contatto.
Demonstrare fiduciam.” Sussurrò Artemis.
Un fascio di luce accerchiò le loro mani unite. Klaus sentì uno strano calore irradiarsi nel petto.
“Che succede?”
La strega riaprì gli occhi e lasciò andare la sua mano.
“Era un incantesimo che dimostra la fiducia. È utile per capire se puoi fidarti di qualcuno. Hai sentito calore nel petto?”
“Sì. Che vuol dire?” domandò Klaus.
“Anche io l’ho sentito. Vuol dire che possiamo fidarci l’uno dell’altro. Io davvero rivoglio indietro soltanto mia madre.”
Klaus per qualche strana ragione ci credeva. Forse era l’incantesimo della fiducia, forse era lo sguardo limpido di Artemis, ma ora aveva la certezza di dover agire.
“Allora vestiti. Ti porto in un posto.”
 
Quando Freya entrò di soppiatto nello studio, Klaus aveva già avvertito la sua presenza. A tradirla era sempre quel misto di incenso e camomilla che impregnava i suoi vestiti.
“Quale rimprovero vuoi rivolgermi, sorella?”
“Artemis ti aspetta in cortile per uscire. Che diamine hai in mente?”
Klaus recuperò le chiavi della macchina e si infilò la giacca, sistemandosi il colletto agli angoli.
“Voglio aiutarla a riavere sua madre. Io sono in debito con Yvette.”
“La negromanzia è pericolosa. Resuscitare i morti non è mai un bene.” Lo ammonì Freya.
“Kol ha riavuto indietro Davina e nessuno si è opposto. Artemis vuole solo tornare insieme a sua madre. Abbiamo sempre sfruttato la magia nera per il nostro tornaconto, adesso cerchiamo di usarla per ricongiungere una madre e una figlia.”
Freya era scettica. C’era qualcosa nel comportamento del fratello che non le quadrava.
“Perché lo fai? Stai rischiando grosso.”
Klaus sospirò, stanco di dover sempre dare delucidazioni circa le su azioni.
“E’ grazie a Yvette se oggi sono quello che sono. Senza il suo aiuto non sarei mai diventato un ibrido. Per merito suo sono stato tanto forte da sacrificarmi per cinque anni e mettervi al sicuro.”
Freya non poteva obiettare, non quando c’era di mezzo l’enorme sacrifico che Klaus aveva compiuto per salvare la famiglia. Sebbene non fosse d’accordo, fu costretta ad accettare.
“Aiuta pure Artemis, ma non contare sul mio appoggio.”
“Mikaelson, ti sei perso?” strillò Artemis dal cortile.
“Me la caverò anche senza di te, per quanto mi piacerebbe averti al mio fianco.” Disse Klaus.
Freya rimase immobile a guardare il fratello andare via, e in cuor suo si sentì in colpa perché lo stava abbandonando di nuovo.
 
Artemis tamburellava le dita a ritmo di musica mentre si dirigevano in centro. La radio aveva mandato in onda ‘All I Am’ di Jess Glynne e lei d’istinto aveva iniziato a canticchiare a bassa voce.
“Every daydream I have starts and ends with you. I wanna play it one more time. When I need an alibi, you're my perfect excuse. You are always on my side.”
Klaus guidava e con la coda dell’occhio guardava la ragazza che batteva le mani sulle gambe seguendo le note.
“Sei intonata.”
“Io e mia madre il venerdì facevamo la serata karaoke in casa. Lei suonava spesso suonava il violino e io improvvisavo una canzone.”
Artemis fece un mezzo sorriso triste, il ricordo di sua madre era bello e brutto al tempo stesso.
“Al Rousseau c’è una serata dedicata al karaoke. Se vuoi, puoi andarci.” Disse Klaus.
“Ci penserò. Dove stiamo andando?” chiese la ragazza.
“Alla Tulane University. È la più antica e importante università di New Orleans e per questo vanta una mastodontica biblioteca. Una sezione è dedicata alla storia e all’antropologia. Credo sia utile dare un’occhiata per interpretare meglio il Papiro.”
Gli occhi di Artemis luccicarono. Avere l’opportunità di studiare testi universitari di un certo spessore era la cosa migliore che le fosse capitata in sei mesi.
“Mi porti in una biblioteca sconfinata? Tu sai come arrivare al cuore di una donna, Mikaelson.”
“Fa parte del mio fascino.” Replicò Klaus con un sorriso.
Una ventina di minuti dopo imboccarono St. Charles Ave e seguirono i cartelli stradali che conducevano alla Tulane. Klaus parcheggiò fuori dal campus e Artemis si fiondò fuori dall’auto come una bambina davanti a un negozio di giocattoli. C’era un viavai di studenti e docenti che affollava l’ingresso, era una calca chiassosa e vivace.
“Non metto piede in una università da mesi.”
“Hai interrotto gli studi?” domandò Klaus, curioso.
Si incamminarono verso l’edificio in pieno stile ottocentesco, con finestre ad arco e a timpano, con la facciata in mattoni a vista, e rigogliose file di fiori profumati.
“Quando mamma si è ammalata, ho messo in pausa la mia vita. Lei aveva bisogno di me e io non potevo perdere tempo a stare sui libri. Lezioni ed esami erano passati in secondo piano.”
Più Artemis elargiva confidenze, più Klaus comprendeva la sua sofferenza. Perdere una persona cara è difficile, ma perdere una madre è un dolore che ti mozza il fiato.
“La biblioteca è dall’altra parte del campus.” Disse Klaus.
Attraversarono il giardino, due lunghi corridoi e un’esedra, dopodiché si ritrovarono di fronte alla massiccia porta di legno della biblioteca. Klaus aprì l’anta e, come sempre, lasciò che Artemis entrasse per prima.
“Salve. Posso esservi utile?” li accolse la responsabile.
“Siamo qui per visionare alcuni testi di storia, arte e iconografia egizia.” Rispose Artemis.
La donna indicò uno spazio fra gli enormi scaffali, erano talmente ordinati che a stento vi era la polvere.
“Potete trovare tutto nella sezione E, corridoi 5 e 6. Se volete prendere dei libri in prestito, passate da me per compilare il modulo di richiesta.”
“Grazie.”
 
Artemis si massaggiò gli occhi arrossati e poi le tempie, nel vano tentativo di alleviare il mal di testa. In tre ore avevano visionato una ventina di libri ma nessuno sembrava fare al caso loro. Klaus richiuse l’ennesimo manuale di arte con uno sbuffo, non aveva trovato niente. Toccò la mano della ragazza con delicatezza.
“Stai bene?”
“Sì. Sono un po’ stanca. E anche delusa.” Disse Artemis.
L’Originale le allungò il bicchiere di caffè che lui aveva comprato senza berlo, però lei scosse la testa in segno di rifiuto.
“Interpretare un testo di magia così antico è difficile. Inoltre, noi abbiamo soltanto sei fogli di papiro. Magari ciò che cerchi non si trova in queste pagine.”
“E cosa dovrei fare? Io sono stata arrestate e tu hai speso un mucchio di soldi per dei fogli inutili!”
La ragazza si passò le mani fra le ciocche, era frustrata e arrabbiata. Aveva perso tutti i suoi risparmi, aveva rischiato di essere incarcerata, e tutto questo per non avere alcun risultato.
“Calmati. Fai un bel respiro. Facciamo un resoconto di quello che sappiamo fino ad ora.”
Artemis fece un respiro per placare i battiti veloci del cuore, cercò di allentare la tensione dei muscoli in modo da riprendere il controllo.
“Una delle raffigurazioni rappresenta Anubi che sottopone l’anima all’ultima prova: Osiride e i suoi quarantadue giudici pesavano il cuore del morto con la piuma della dea Maat. Se il cuore pesava quanto la piuma allora l’anima andava verso la vita eterna, altrimenti veniva divorata dal mostro Ammut.”
“Va avanti.” La spronò Klaus.
Artemis fece mente locale per ricordare quello che aveva studiato sul mondo egizio, le lezioni che Lauren le avevano dato in videochiamata, quello che aveva appreso da internet.
“Gli Egizi credevano che l'uomo nascesse con due anime: il Ba era destinato ad effettuare il viaggio verso l'Aldilà e il Ka rimaneva nella tomba con il corpo per custodirlo. La mummificazione permetteva al corpo defunto di conservarsi alla perfezione e quindi di intraprendere il viaggio.”
Klaus era affascinato dal modo esperto in cui Artemis esponeva le sue conoscenze, era come ascoltare un libro di storia parlante.
“Il Libro dei Morti come si inserisce?”
“Il Libro dei Morti è anche conosciuto come ‘Libro del ritorno nel giorno’. La sua funzione era quella di accompagnare i defunti nell'Aldilà per cominciare una seconda esistenza. Prima di arrivare in questo mondo per i defunti ci sono una serie di prove da superare ed era questo il compito del Libro dei Morti.”
“Stando a queste informazioni, il Libro non serve a risvegliare i morti.” Disse Klaus.
Artemis si guardò intorno per evitare che qualcuno ascoltasse ciò che stava per dire. Spostò la sedia in modo da essere più vicina all’ibrido, le loro ginocchia si toccavano.
“Il Libro dei Morti in realtà è stato scritto da una stirpe di sciamani che lavoravano al servizio dei faraoni. Il Libro è magico, anche se storici e archeologi non possono comprenderlo. Al suo interno ci sono formule che rimandano alla negromanzia, dunque è in grado di resuscitare i defunti.”
Lo sguardo di Klaus per un breve istante era scivolato sulla bocca di Artemis, così da vicino poté notare ogni singola screpolatura e ogni singola lacerazione che lei si procurava mordendosi il labbro. D’istinto si leccò le labbra secche.
“E noi come facciamo capire quali siano le formule giuste?”
“Dobbiamo interpretare bene le raffigurazioni e i geroglifici. Ho inviato le foto a Lauren e aspetto una sua risposta.”
A quella minima distanza Artemis si rese conto che gli occhi di Klaus cambiavano colore in base alla luce, a volte tendevano al verde e altre volte tendevano all’azzurro, eppure ogni volta rilucevano pagliuzze dorate.
“Allora direi di prendere in prestito alcuni testi e di tornare a casa. Ho degli affari di cui occuparmi.”
“Va bene, capo. Io vado a compilare il modulo all’ingresso.” Disse Artemis.
Klaus annuì e diede una rapita occhiata alle notifiche sul cellulare; c’era una chiamata persa di Gabriel.
“Io ti aspetto al parcheggio. Non metterci troppo.”
La ragazza attese in fila il suo turno, i libri stretti al petto e lo zainetto in bilico sulla spalla. Vide Klaus uscire dalla biblioteca, camminava fiero come un re che non ha paura di niente. Per qualche assurdo motivo quella camminata l’affascinava.
“Ti serve una mano? Quei libri sembrano pesanti.”
Un ragazzo era sbucato dal nulla alle sue spalle. Era alto, capelli di un castano ramato e due occhi neri come la pece. Artemis sentì di nuovo quel formicolio che l’aveva pizzicata durante l’asta.
“Ce la faccio da sola.”
“Una donna che non cede al mio charme. Incredibile!” disse il ragazzo ridendo.
Artemis contò fino a dieci per non fare una scenata davanti a tutta quella gente, anche se la voglia di far soffocare quel tizio nella sua stessa saliva era allettante.
“Io non vedo charme, vedo solo picchi altissimi di stupidità. Lasciami in pace.”
Il ragazzo sfoggiò un sorriso a trentadue denti, una delle tattiche di seduzione che di solito gli riuscivano bene.
“Mi chiamo Nathaniel Cooper. Forse hai già sentito parlare di me.”
Artemis ricordava di aver conosciuto Miriam Cooper pochi giorni prima all’asta, perciò quello doveva essere un suo parente. Considerata la giovane età e la spavalderia eccessiva, immaginò che fosse suo fratello.
“Io mi chiamo ‘è meglio che te ne vai’. Forse hai già sentito parlare di me.”
“Venga avanti, signorina.” Disse la bibliotecaria.
Artemis aveva selezionato due tomi di storia e iconografia egizia che sembravano due mattoni. Compilò la richiesta di prestito sotto lo sguardo vigile di Nathaniel.
“Ti piace la storia, eh? Quei libri sembrano troppo grandi per una ragazza come te.”
Lei non rispose, le moine di quello sconosciuto la mettevano a disagio. Si rilassò quando Klaus fece ritorno in biblioteca, le mani stretta a pugno lungo i fianchi.
“Artemis, va tutto bene?”
“Ora sì.”
Artemis consegnò il modulo e Klaus prese i libri, la sua galanteria era un aspetto che stava imparando ad apprezzare.
“Già te ne vai?” chiese Nathaniel, il sorriso beffardo.
“Smettila.” Ringhiò Klaus.
Artemis poteva captare tutta la rabbia dell’Originale, era una furia che lei percepiva come una scarica elettrica sotto pelle. Sua madre da bambina le aveva insegnato a percepire le emozioni degli altri attraverso la magia.
“Si è fatto tardi. Torniamo a casa.” Mormorò Artemis.
Klaus placò il respiro concitato solo quando Artemis gli mise una mano sulla spalla. Con la magia riuscì a sedare la sua rabbia.
 
Klaus sbatté il cancello del palazzo e quasi ruppe i cardini. Artemis sussultò, non aspettandosi quel moto di collera. L’ibrido era ancora nervoso per via di Nathaniel, quell’affronto pubblico era un torto che non avrebbe dimenticato.
“Mikaelson, calmati.” Disse Artemis.
“Calmarmi? Oh, quel ragazzino se ne pentirà amaramente. Io lo sapevo! Lo sapevo che le streghe stavano tramando qualcosa, del resto è l’unica cosa che sanno fare. Questa città è gestita da quelle maledette congreghe!”
Artemis si fece strinse nelle spalle, turbata da quello sfogo violento da parte dell’Originale. Sino ad allora le era parso un uomo tenace ma calmo, capace di gestire le proprie emozioni.
“Klaus…”
“No! Non dire una sola parola!” tuonò lui.
Quando Klaus si voltò di spalle per versarsi da bere, Artemis ne approfittò per mettergli le mani sulla schiena. Chiuse gli occhi e usò la magia per infondergli tranquillità.
“Shh. Calmati.”
“Quelle streghe mi fanno perdere la ragione.” Borbottò Klaus.
Artemis muoveva le mani lungo la schiena dell’ibrido, toccava le spalle, le scapole, la colonna vertebrale. Dalle sue dita si irradiava magia bianca lenitiva.
“Calmati, Niklaus. Senti il suono della mia voce. Calmati.”
Klaus si concentrò sulla sensazione di pace che gli stavano trasmettendo le mani di Artemis. Era un tocco delicato ma sicuro, un calore che gli penetrava nella carne e nelle ossa. La tensione pian piano si sciolse fino a scomparire del tutto.
“Meglio?”
“Molto meglio. Grazie” Disse lui.
La ragazza sorrise e chinò la testa, era lieta di averlo aiutato.
“Mia madre mi ha insegnato questo trucchetto quando ero piccola. Secondo lei aiutare gli altri a stare meglio è una buona azione.”
Klaus per un attimo pensò alle mani di Artemis sulla propria pelle, al calore che ogni tocco avrebbe impresso sul suo corpo. Scosse la testa per scacciare quell’orribile pensiero. Non poteva pensarci, non doveva farlo in onore di Yvette.
“Klaus! Che diamine è successo?”
Freya arrivò in cortile insieme a Gabriel, entrambi avidi di conoscere quanto era capitato. Klaus tracannò il bourbon in un colpo solo, il bruciore alla gola prodotto dall’alcol fu un toccasana.
“In biblioteca c’era Nathaniel Cooper. Ha fatto strane domande ad Artemis circa i libri che abbiamo preso in prestito.”
“Ora tutto ha un senso.” Disse Gabriel.
“Cioè?” volle sapere Artemis.
“Ho indagato un po’ su Miriam Cooper e suo marito Andrew. Ho dovuto soggiogare quasi tutto lo staff del Gallier House per cavarne fuori qualcosa. Miriam voleva comprare i fogli di papiro all’asta ma, poiché non ci è riuscita, ha chiesto al direttore del Gallier di metterla in contatto con il museo del Cairo.”
Artemis mise insieme i pezzi e ciascuno occupò il posto giusto, come un puzzle che viene completato con successo.
“Miriam sta cercando il Libro dei Morti.”
Klaus rimase impassibile, beccandosi occhiate confuse dal resto del gruppo.
“Lo sospettavo. Il dubbio è sorto quando ha fatto l’offerta per i fogli di papiro. Due streghe che cercano un antico testo di negromanzia non è una coincidenza. Ho capito che Miriam e Artemis vogliono il Libro dei Morti.”
“Miriam è il sindaco ed è una strega, poteva ottenere i fogli anche senza l’asta.” Disse Freya.
Klaus guardò Artemis di traverso, la ragazza era ignara delle attenzioni che aveva richiamato su di sé.
“Voleva scovare Artemis. Suppongo che ci abbia lascito acquistare i fogli solo per studiarci e poi riprenderseli.”
“Vuole studiare il nemico prima di attaccare.” Rifletté Gabriel.
“Ed è per questo che Nathaniel era in biblioteca. Ci stanno pedinando.” Aggiunse Artemis.
Freya riconobbe una luce oscura negli occhi di Klaus, stava meditando su un qualche piano malefico.
“Che hai in mente, fratello?”
“Pensavo ad una festa. Miriam adora pavoneggiarsi, una festa sarà di certo una perfetta distrazione.”
“Distrazione per cosa?” chiese Artemis.
“Per introdurci in casa sua.”
Freya storse il naso all’idea di intrufolarsi nella casa di una strega e pensare di scamparla.
“Miriam si insospettirà se sarai tu ad organizzare la festa. Inoltre, casa sua sarà protetta da chissà quanti incantesimi.”
“Ho un piano per tutto, sorella.”
 
Era ora di cena quando Keelin rientrò dopo il lavoro. La tavola era già imbandita, i piatti erano fumanti e i calici erano già pieni di vino. Freya le andò incontro con un sorriso.
“Bentornata. Com’è andata?”
Le due donne si scambiarono un bacio, una consuetudine che avevano intrapreso da quando si erano sposate.
“Abbastanza bene. Qui com’è andata? Artemis è rimasta?”
“Sì. Klaus ha deciso di aiutarla a resuscitare la madre.” Disse Freya, contrariata.
“La negromanzia non è mai una buona cosa.”
“Lo so, e lo sa pure quel menefreghista di mio fratello.”
Keelin prese una fetta di panne dal cestino sul tavolo e lo addentò, era la prima volta che mangiava da quando era andata a lavoro.
“Klaus sembra piuttosto protettivo nei confronti di Artemis. Come mai?”
“La madre di Artemis era una cara amica di Klaus. Lui ora si sente in dovere di aiutare la ragazza.”
Lo sguardo di Freya vagava nella stanza, era irrequieta e nervosa. Keelin le accarezzò i capelli e vi depositò un bacio.
“Lo so che Artemis ti fa tenerezza. Non devi fare la dura con me.”
Freya sorrise, nessuno la capiva come faceva sua moglie. Era la sua metà perfetta.
“Artemis mi ricorda me stessa prima di riunirmi con la mia famiglia. Ero sola, spaventata e desideravo una mano d’aiuto.”
“Allora aiuta Artemis in memoria di quella piccola Freya sola e spaventata.”
Freya si avvicinò a Keelin tanto da parlarle all’orecchio.
“Oggi Artemis ha calmato Klaus. Ha usato la magia per farlo.”
“Non ti seguo.” Disse Keelin, la fronte aggrottata.
“Credo che lei riesca a percepire e manipolare le emozioni degli altri.”
 
“Capisco. Non ti preoccupare. Anzi, grazie per la disponibilità. Ci risentiamo. Buona fortuna per l’esame.”
Artemis chiuse la telefonata con una imprecazione. Si sedette sul letto e si passò una mano fra i capelli.
“Tutto bene?”
Klaus stava sull’uscio, la spalla contro lo stipite della porta e le braccia incrociate. Artemis sventolò la mano per salutarlo.
“Ero al telefono con Lauren. Purtroppo è impegnata con un esame e per adesso non può tradurre le foto che le ho inviato. Mi ha mandato una e-mail con alcuni codici per decifrare i geroglifici, ma da sola sarà difficile capirci qualcosa.”
“Troveremo una soluzione anche a questo.” La confortò Klaus.
Artemis era scettica. Aveva sperato di poter risolvere la cosa in pochi giorni, invece i tempi si stavano allungando e la situazione si stava ingigantendo.
“Tu dici? Adesso anche Miriam Cooper è sulle tracce del Libro dei Morti, e per chissà quale motivo. Lei è una strega, è a capo di una congrega ed è anche il sindaco di New Orleans.”
Klaus andò a sedersi accanto a lei, dovette reprimere l’impulso di stringerle la mano. Si limitò a darle una lieve spallata amichevole.
“Ne verremo a capo, te lo prometto. Tu meriti una seconda chance con tua madre.”
Artemis fece un mezzo sorriso incerto. Ormai credere alle promesse era da escludere a priori.
“Oggi hai detto a Freya che sei come sei grazie a mia madre. Che cosa intendevi?”
“Oh, adesso origli. Non lo sai che è maleducazione?”
La ragazza inarcò il sopracciglio e Klaus fu costretto ad arrendersi.
“E’ grazie a Yvette se sono un ibrido. Io sono nato licantropo e poi sono diventato vampiro. Mia madre fece un incantesimo per addormentare la mia parte di lupo. Yvette ha studiato l’incantesimo di mia madre e ha capito come spezzarlo.”
“E quale sacrifico hai fatto per la tua famiglia?”
Klaus ridacchiò per il palese desiderio di conoscenza di Artemis. Era una studentessa di storia, amava conoscere i fatti con le loro premesse e le loro conseguenze.
“Lascia che ti racconti la storia della famiglia Mikaelson.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Artemis e Klaus stanno diventando amici, ma che fatica con questi due!
E Nathaniel? Sembra proprio un ficcanaso!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*la Tulane è davvero un’università di New Orleans.

 

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Capitolo 5
*** Le origini ***


4. LE ORIGINI

“La magia tiene sempre la porta aperta. Davvero, sempre. Trovarla dipende solo da noi.”
(Banana Yoshimoto)
 
Una settimana dopo
Klaus intinse il pennello nel blu per poi mescolarlo col bianco con l’obiettivo di ottenere un azzurro in grado di descrivere il cielo di New Orleans dopo l’alba. Si era svegliato ben presto, la voglia di dipingere lo aveva sopraffatto in maniera travolgente. Doveva sfogarsi attraverso l’arte. A mano a mano che la tela si riempiva di colore, sentiva la sua mente più sgombera. Era come dare forma ai pensieri per liberarsene. Freya e Keelin dormivano ancora, abbracciate nella loro bozza di amore e calore. Anche Artemis dormiva, Klaus poteva ascoltare il suo respiro regolare.
“Ciao, papà.”
L’ibrido spezzò in due il pennello. Stava seriamente iniziando a pensare di staccare il collo di quel ragazzo.
“Che vuoi? Sono le sette del mattino, dovresti essere ubriaco da qualche parte.”
Gabriel si stravaccò sul divanetto dello studio, il collo scomodamente posato sul bracciolo di legno.
“Porto notizie sulla nostra Malefica.”
Klaus girò il cavalletto verso la finestra aperta in modo da far asciugare la tela, dopodiché si versò un bicchiere di sangue e si dedicò al suo lacchè.
“Cosa hai scoperto?”
“Ieri al Rousseau c’era un uomo egiziano, è un archeologo che viene dal museo del Cairo. Secondo me Miriam lo ha convocato qui per saperne di più sul Papiro di Ani.”
Klaus si massaggiò le tempie, elaborando quelle nuove informazioni.
“Noi possediamo sei pagine del Papiro, perciò non vedo perché questo archeologo dovrebbe revisionare qualcosa che Miriam non ha.”
“Forse Miriam pensa di rubarci il Papiro.” Ipotizzò Gabriel.
Come se una lampadina si accendesse, Klaus ebbe l’illuminazione che diede un senso a tutto.
“Oppure Miriam possiede altre pagine del Papiro. Devo parlare con Artemis.”
Gabriel si fiondò nella camera di Artemis in un baleno, smanioso di svegliare la ragazza. Klaus lo agguantò per il braccio prima che ci riuscisse.
“Non entrerai nella camera da letto di Artemis. Sparisci.”
“Andiamo, papà, lasciami un po’ di divertimento.” Protestò Gabriel.
“Sparisci.”
Gabriel fece una smorfia ma poi si dileguò prima di scatenare l’ira dell’Originale. Klaus aprì piano la porta e sorrise alla scena tenera che si ritrovò davanti. Artemis si era addormentata per terra, distesa sul tappeto, con la faccia premuta contro un libro.
“Artemis. Sveglia.”
Klaus le diede una leggerissima scrollata, gli dispiaceva interrompere quel poco di riposo che la ragazza si era concessa.
“Artemis, apri gli occhi.”
“Mamma… altri cinque minuti.” Biasciò lei nel sonno.
Un impulso di incoscienza costrinse l’Originale ad accarezzare la guancia della ragazza fino a sfiorarle il collo.
“Sono Klaus. Svegliati, ci sono novità.”
Artemis sbadigliò e sbatté le palpebre per abituarsi alla luce. Una pagina del libro le si era appiccicata sulla guancia, al che Klaus la staccò con delicatezza.
“Grazie. E buongiorno.”
“Hai dormito sul pavimento. Su, alzati.”
Artemis si fece aiutare da Klaus a mettersi in piedi, aveva i muscoli intorpiditi per la posizione scomoda che aveva assunto durante la notte. Sul viso portava i segni rossi del tappeto e della pagina.
“Quali novità?”
“Te ne parlo davanti a una tazza di caffè. Vieni.”
 
“Tu davvero pensi che Miriam abbia trovato altri fogli del Papiro di Ani?”
Artemis era talmente allibita che si bloccò con la tazza a mezz’aria. Klaus era seduto di fronte a lei a bere sangue, solo l’isola della cucina li separava.
“Le opzioni sono due: o Miriam vuole rubare le nostre pagine per farle visionare dall’archeologo, oppure l’archeologo è qui perché Miriam possiede altre pagine. Tu cosa sai dirmi in più?”
La ragazza non aveva fame, il solo pensiero di Miriam in possesso di alcuni fogli di papiro le aveva serrato lo stomaco.
“Il Libro dei Morti conteneva centinai di formule, quindi era composto da numerosi fogli. Secondo l’Università di Oxford si trattava di almeno settecento pagine, ma di sicuro ce ne era molte di più. Il Libro è diviso in tre sezioni di testi: i testi delle Piramidi, i testi dei sarcofagi e i testi scritti fra il XVII e il I secolo avanti Cristo.”
Klaus roteò il bicchiere guardando il sangue che macchiava le pareti di vetro.
“Il Papiro di Ani è l’unico che contiene le formule del Libro?”
“Ovviamente no. Esiste anche il Papiro di Hunefer e la cosiddetta ‘Mappa dell’aldilà’. Il Papiro di Ani è stato il più facile da rintracciare, ecco perché ho puntato tutto su di esso. La Mappa dell’aldilà e il Papiro di Hunefer si trovano al British Museum sotto stretta sorveglianza. Non potevo rischiare di introdurmi in un museo ed essere arrestata. Ero convinta che in Messico le cose sarebbero state più facili grazie al mercato nero.”
Artemis discuteva di quegli argomenti con un tale trasporto da fare invidia anche a uno come Klaus che viveva da secoli. Per quanto cercasse quelle formule per resuscitare la madre, la ragazza voleva anche mettere le mani su reperti storici di estrema importanza.
“Forse la Mappa e il Papiro di Hunefer contengono e formule che ci servono per riportare tua madre in vita. Dovremmo recuperarli in qualche modo.”
“Lo faresti davvero?” domandò Artemis, sorpresa.
“Tu e tua madre meritate una vita insieme. Lo farò per voi.” Rispose Klaus, risoluto.
“Grazie.”
L’ibrido abbassò lo sguardo, non meritava la gratitudine di nessuno. Doveva fare ammenda per tutte le persone che aveva torturato e ucciso, e il calvario per lui era lungo.
“Ho anche in mente la giusta occasione.”
Artemis scoppiò in un risolino eccitato, tutto quello sfarzo per lei era insolito.
“Cosa ha architettato la tua mente?”
Klaus sfoggiò uno di quei sorrisi che facevano battere a mille il cuore di uomini e donne, tenebroso e affascinante.
“Fra pochi giorni nella sala principale del comune si terrà una festa in onore di Miriam. La città vuole celebrarla per la sua vittoria alle elezioni. Essendo il sindaco, tutte le attenzioni saranno su di lei e questo potrebbe distrarla da noi.”
“Le adulazioni pioveranno dal cielo pur di accaparrarsi la grazia del nuovo sindaco. Miriam sarà come un gladiatore dato in pasto ai leoni.”
“Il panem et circenses di cui abbiamo bisogno.” Disse Klaus con un sorriso.
Artemis rimase piacevolmente stupita. Era sbalorditivo il modo in cui Klaus replicava ad ogni singola allusione storica con naturalezza. Si morse il labbro per non sorridere come una stupida.
“La gente vuole questo da sempre: pane e giochi del circo. Nessuno vuole le cose tristi.”
 
Artemis poche ore dopo si era ritrovata da sola. Freya era andata a ispezionare l’esterno della casa di Miriam Cooper per capire quali protezioni magiche avesse attuato. Gabriel si era messo sulle tracce dell’archeologo egiziano per cavare nuove informazioni. Klaus, invece, si era congedato senza accennare ai suoi impegni.
“Allora, vediamo un po’ che cosa abbiamo qui.”
Artemis si sdraiò sul tappeto della sua camera e sfogliò i libri presi in prestito dalla biblioteca. Scriveva appunti su un quaderno, personali riflessioni ed eventuali argomenti da approfondire. A distrarla fu una chiamata da parte di Darren. Il ragazzo cercava di contattarla da settimane ma lei lo aveva ignorato, dunque era il momento di affrontarlo. Accettò la chiamata e vide la bella faccia del ragazzo in primo piano.
“Artemis Dumont, finalmente! Credevo ti fosse successo qualcosa. Come stai? Dove sei?”
“Sto bene. Sono a New Orleans con alcuni amici di mia madre. Resterò qui per un po’.”
Darren parve deluso da quella scelta, avrebbe voluto rivederla il prima possibile. In verità, Artemis e Darren erano stati insieme per circa un anno prima che lei lo mollasse senza nessuna spiegazione. Il ragazzo era ancora innamorato di lei e ogni occasione era buona per dimostrarglielo nella speranza di tornare insieme.
“Potrei venire a trov-…”
“Devo andare. Scusami, Darren. Ci sentiamo.”
Artemis chiuse la videochiamata e spense il cellulare, bloccando qualsiasi altro tentativo del ragazzo.
“Sei stata rude.” Disse Keelin.
“Non voglio dargli false speranze. Io e Darren non torneremo insieme, è lui che si ostina a non capirlo.”
La strega si mise seduta e si massaggiò il collo dolorante, finiva sempre così quando passava ore e ore sui libri.
“Perché vi siete lasciati?”
“L’ho lasciato io perché lui progettava già il nostro matrimonio e i nostri figli. Ho ventitré anni, non penso già a mettere su famiglia. E poi la morte di mia madre è stato un duro colpo. Non volevo avere intorno nessuno.”
Keelin lesse una profonda tristezza negli occhi della ragazza. Essere così giovane e soffrire la perdita di un genitore non doveva succedere, eppure il mondo non segue mai la giusta direzione. Viaggiamo in direzione opposta e contraria, diceva sua nonna.
“Lasciare fuori tutte le persone è sbagliato. Prima o poi qualcuno abbatterà i muri che hai costruito, riuscirà a penetrare nella tua corazza e tu dovrai arrenderti. Al cuore non si comanda.”
“Ma io ho paura di abbassare la guardia. I muri mi proteggono.” Disse Artemis.
Keelin le arruffò i capelli con fare materno, provava tanta tenerezza per quella ragazza sperduta.
“I muri ti isolano. Lascia entrare uno spiraglio di luce ogni tanto.”
I cancelli di palazzo Mikaelson sbatterono con una forza tale da far tremare le pareti. Quel concentrato di energia era Freya, che camminava a passo di marcia. Artemis e Keelin si precipitarono per vedere cosa stesse succedendo.
“Chi è morto?” chiese Keelin.
“Purtroppo nessuno. Per ora.” Rispose Freya, glaciale.
Il cellulare di Artemis vibrò un paio di volte. Approfittando della distrazione delle due donne, lesse velocemente il messaggio di Gabriel. Dapprima si chiese come avesse fatto il vampiro ad ottenere il suo numero, poi notò la posizione che aveva condiviso.
“Io esco. Ho bisogno di sgomberare la mente prima di rimettermi sui libri.” Mentì lei.
“Okay. Torna presto, oppure l’ira di Klaus investirà l’intera Louisiana.” Si raccomandò Keelin.
 
Artemis non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. Gabriel le aveva scritto di raggiungerlo in Decatur Street, una strada del Quartiere Francese che correva parallela al fiume Mississippi. Il grande viale era costeggiato da maestosi edifici di epoca coloniale ed era anche possibile scorgere chiazze verdi che un tempo avevano costituito i terreni dei signori coloni.
“Pss! Pss!”
Gabriel si stava sbracciando per farsi vedere da Artemis attraverso la vetrina di un locale. La ragazza attraversò la strada e si accomodò sotto il gazebo del Sylvain, un noto cafè della città. Insieme a Gabriel c’era un uomo, capelli brizzolati e pelle abbronzata. Ai suoi piedi giaceva una valigia da viaggio.
“Vuoi un drink? Io ho voglia di un Bloody Mary.” Disse Gabriel con un ghigno.
Artemis storse il naso per la macabra ironia del ragazzo, ma era troppo imbarazzata dalla presenza dell’uomo per ribattere.
“Ordino un lemonade fruit. Chi è questo signore?”
Gabriel schioccò le dita per chiamare il cameriere e fare le ordinazioni. Quando rimasero soli, il vampiro indicò con il braccio il misterioso sconosciuto.
“Lui è Farid Nasif, l’archeologo che viene dal Cairo. L’ho soggiogato, quindi puoi stare tranquilla.”
Ora Artemis capiva perché l’uomo fosse così sereno in mezzo a due sconosciuti. L’archeologo tracciava il bordo del tavolino come fosse un reperto da misurare.
“Klaus lo sa?”
“Quello che papà non sa non può ferirlo.” Disse Gabriel.
“Effettivamente hai ragione.” Convenne Artemis.
Il cameriere tornò con le ordinazioni e Artemis lasciò che il gusto di soda, lamponi e limone le pizzicasse piacevolmente la gola. Gabriel bevve il suo Bloody Mary senza confessare alla strega che si trattava di sangue vero.
“Abbiamo poco tempo. Stando alla sua agenda, fra un’ora ha un incontro con Miriam.”
“Signor Nasif, lei riesce a spiegarmi queste immagini?”
Artemis tirò fuori dallo zainetto il tablet e mostrò all’archeologo le foto scattate al Papiro di Ani. Farid le osservò con diligenza prima di rispondere.
“Interessante! Davvero molto interessante. Avete già tradotto i geroglifici?”
“No. Ho solo interpretato più o meno le immagini. Lei sa tradurli? Io purtroppo non conosco bene i codici di Young e Champollion.”
Farid inforcò gli occhiali da vista e avvicinò il tablet ad una spanna dal naso, immergendosi in quella sequenza di segni e immagini.
“Allora?” esordì Gabriel con insistenza.
Artemis gli schiaffeggiò la mano facendo rovesciare sul tavolino un po’ del liquido rossastro del drink.
“Farid Nasif è un archeologo importante, dagli il tempo che merita. Tu va a prendermi delle noccioline, sto morendo di fame.”
Gabriel sbuffò e si diresse al bancone per l’ordinazione, e nell’attesa si accese una sigaretta.
“Il tuo amico è un imbecille.” Disse Farid.
Artemis rimase pietrificata. Il controllo mentale impediva a chiunque di esprimere pareri non richiesti.
“Lei è sotto l’effetto della verbena.” Rifletté Artemis.
“Miriam Cooper mi ha consigliato di assumerla disciolta in acqua.”
“E perché me lo sta dicendo? Io e Miriam siamo agli antipodi attualmente.”
Farid si tolse gli occhiali e si picchiettò il ponte del naso. Prima di parlare si assicurò che Gabriel fosse lontano, ma tanto il giovane vampiro era troppo impegnato a fare il cascamorto con la barista.
“Perché Miriam non mi piace. Lei possiede altre pagine del Libro dei Morti. Mesi fa ci siamo incontrati al British Museum e mi ha costretto a rubare il Papiro di Hunefer e la Mappa dell’aldilà. Ho dovuto farlo perché ha minacciato di uccidere mia moglie e mio figlio.”
Artemis non ne sapeva niente. Lei navigava ore e ore sui siti di storia e arte, eppure quella era una novità assoluta.
“Com’è possibile? Il British Museum non ha annunciato nessun furto.”
“Tu annunceresti al mondo intero che ti hanno rubato reperti storici tanto importanti?”
“Beh, no.” Asserì Artemis.
“Appunto. Comunque, Miriam mi ha convocato a New Orleans per tradurre i geroglifici. Ora è molto arrabbiata perché tu e quell’Originale avete comprato il Papiro di Ani.”
Farid estrasse dalla valigia di un quadernetto sgualcito, alcune pagine avevano gli angoli piegati ed erano imbrattate da macchie di caffè.
“Se Miriam scoprisse che ti sto aiutando, ucciderebbe la mia famiglia. Mi sto fidando di te.”
Artemis sentì un peso opprimente sul petto. In poche settimane una colata di fiducia le si stava riversando addosso come cemento liquido, e temeva di rimanere bloccata.
“Farò del mio meglio.”
L’archeologo si incupì quando Gabriel depose sul tavolino un cesto di frutta secca. Artemis ci si fiondò sopra come se non vedesse cibo da giorni.
“È stata interessante la lezione di storia?” volle sapere Gabriel.
“Molto istruttiva.” Ripose Artemis.
“Mi fa piacere che abbiate anticipato il tè del pomeriggio.”
Gabriel e Artemis si scambiarono un’occhiata impaurita. Klaus si era palesato al loro tavolo senza che se ne rendessero conto.
“Il tè pomeridiano è sopravvalutato.” Scherzò Gabriel.
Klaus non lo degnò di uno sguardo, tutto il suo disappunto era piombato su Artemis che si mordicchiava le labbra pur di non guardarlo.
“Artemis, mia cara, hai qualcosa da dire?”
“Le noccioline sono davvero buone. Dovresti assaggiarle.”
L’ibrido non apprezzò lo spirito della tavolata. Lo irritavano le scuse banali dei due ragazzi.
“Gabriel, riporta l’archeologo al Rousseau e cancella dalla sua memoria questo incontro. Tu, Artemis, torni a palazzo con me per fare due chiacchiere.”
Artemis sbuffò, si aggiustò lo zainetto e si avviò all’uscita del locale.
“Non sei mio padre. Non puoi sgridarmi come fossi una bambina.”
“Allora smettila di comportarti come tale.” Ringhiò Klaus.
 
“Tu non capisci il mio punto di vista!” stava sbraitando Artemis.
Lei e Klaus aveva appena varcato i cancelli della dimora Mikaelson nel bel mezzo di un litigio.
“Io non capisco? Sei tu che non ascolti! Se solo ogni tanto riflettessi prima di agire come una sconsiderata, le cose andrebbero meglio.”
“Quindi adesso la colpa è mia? Grazie tante, Mikaelson!”
Klaus la trucidò con uno sguardo, poi sospirò per scaricare la tensione.
“E’ colpa tua. Ti sei fatta arrestare, hai speso tutti i tuoi risparmi, stai cercando di riportare in vita tua madre morta. E temo che la lista potrà solo allungarsi.”
Artemis aprì la bocca ma la richiuse. Avrebbe voluto riempirlo di parolacce e insulti, ma l’ibrido le serviva e lei doveva darsi un contegno. Doveva ricorrere alle maniere forti per piegare Klaus al suo volere.
“Io non lo farei fossi in te!” disse Freya.
L’attimo dopo Artemis fu scagliata contro la parete e immobilizzata, le gambe e le braccia a penzoloni.
“Freya, che fai? Lasciala subito andare.” Comandò Klaus.
“Non posso. La tua amichetta stava per farti un incantesimo. Vero, Artemis?”
“Non so di che parli.” Replicò la ragazza.
Klaus fece rimbalzare gli occhi fra Artemis e la sorella, confuso da quel cambiamento nella loro dinamica.
“Freya, spiegami che sta succedendo. Quale incantesimo?”
Freya mosse l’indice della mano e la testa di Artemis sbatté contro la parete.
“Artemis manipola le emozioni. Ora hai capito?”
Klaus non si scompose affatto. Non era sorpreso né deluso. Lui sapeva già tutto.
“Sorella, libera Artemis. Dobbiamo parlare.”
Freya ribollì di rabbia, incapace di comprendere la reazione apatica del fratello. Manipolare le emozioni era contro natura, un atto che la magia stessa non avrebbe mai dovuto ammettere. Spalancò la mano e Artemis si afflosciò a terra come un fiore morto. Klaus fu subito da lei per aiutarla a rialzarsi.
“Dimmi la verità, Mikaelson.” Disse Artemis, decisa.
“Andiamo nel mio studio. Freya, tu vieni con noi.”
 
Artemis si massaggiava la nuca dolorante, la magia di Freya era stata parecchio violenta. Klaus le aveva preparato una tisana alle erbe e lei l’aveva bevuta a piccoli sorsi per inumidire la gola secca.
“Voglio la verità. Adesso.”
L’Originale prese posto sulla poltrona – quella stessa che secoli addietro aveva rubato a Napoleone – e si accasciò contro lo schienale.
“Le streghe funzionano come circoli privati: sei il benvenuto soltanto se sei un membro. Ogni congrega è isolata, accetta solo i propri membri e non interagisce con altre creature. Tua madre faceva parte della Congrega Corvi, una delle più antiche e potenti sette magiche della città. Quando i suoi genitori sono morti è stata la congrega a occuparsi di lei, a darle una casa e del cibo, a comprarle i vestiti, a insegnarle la magia. Ma tua madre non è mai stata adatta ai gruppi, perciò tendeva a starsene sempre per conto suo. Questo suo carattere solitario l’ha resa una emarginata, rifiutava la sua stessa congrega e viceversa. Però ha commesso una colpa che nessuna strega avrebbe mai dovuto commettere: si è innamorata.”
“Innamorarsi è un crimine da queste parti?” fece Artemis.
“Le Congreghe hanno stabilito una regola precisa: le streghe e gli sciamani di congreghe diverse non possono stare insieme, né sposarsi e né generare figli. Se la regola viene violata, la conseguenza è una severa punizione. Esisteva un Tribunale che avviava le indagini e istituiva il processo. In questo modo le streghe mantenevano la purezza all’interno delle proprie Congreghe.”
“Qualcosa deve essere andato storto.” Asserì Freya.
Klaus annuì e si versò un bicchiere di whisky, sebbene ci volessero litri e litri di alcol per annebbiare la mente di un ibrido.
“All’epoca la Congrega Corvi faceva la guerra alla Congrega Lyra per il territorio del cimitero. Il Lafayette è noto per essere il terreno più di magia ancestrale del mondo. Tua madre …”
Artemis deglutì e Klaus poté sentire la saliva che a fatica scendeva. Il cuore della ragazza scalciava come un cavallo imbizzarrito.
“Mia madre cosa? Parla!”
“Yvette si è innamorata dell’uomo sbagliato. Oscar faceva parte della Congrega Lyra, dunque avrebbe dovuto essere nemico giurato di tua madre. Invece loro si innamorarono e iniziarono una relazione clandestina, andando contro ogni regola imposta dalle streghe.”
Artemis si passò una mano fra i capelli, era sconvolta. Non aveva mai saputo nulla della vita passata di sua madre, ma di certo non si aspettava intrighi amorosi con un contorno di magia punitiva.
“E poi cos’è successo?”
“Oscar era sposato e aveva due figli. Le cose peggiorarono quando sua moglie Dana morì. Ormai era chiaro a tutti che ci fosse di mezzo un’altra donna e molti accusarono Yvette di aver ucciso Dana.”
“Era vero?” domandò Freya, curiosa.
“No. Yvette non c’entrava nulla con quella morte. Dana aveva un problema cardiaco che l’ha stroncata. Ma le streghe sono maligne, e all’epoca ogni scusa era buona per attaccarsi a vicenda. Le due Congreghe erano sul piede di guerra. Yvette scoprì di essere incinta poco dopo.”
Artemis si pietrificò sulla sedia, quasi fosse una statua di Medusa. Klaus la guardò e vide l’angoscia dipinta sul volto della giovane.
“Vuol dire che… che…”
“Oscar è tuo padre.” Confermò Klaus.
Freya si resse al bordo della scrivania per non cadere. Tutto si era immaginata ma non che Artemis fosse la figlia illegittima di un amore proibito.
“Yvette ha lasciato New Orleans per evitare lo scandalo?”
“Yvette ha lasciato la città per evitare di essere punita. Oscar le ordinò di andare via e di non tornare mai più. Quella sera Yvette decise di partire con me e di aiutarmi in cambio di un posto sicuro.”
Artemis ebbe le vertigini. Quei segreti sulle sue origini la stavano pungendo come lame affilate. Se fino ad allora non aveva mai dato peso alla famiglia, adesso le domande esplodevano nella sua testa come bombe atomiche.
“Oscar… lui è vivo? È qui?”
Klaus scosse la testa, e avrebbe anche voluto scuotere il suo cuore dalla sofferenza che stava provando per Artemis.
“Oscar ha lasciato New Orleans anni fa con la scusa di andare in giro per il mondo a studiare la magia orientale. Non so se sia ancora vivo.”
“Hai detto che Oscar aveva due figli. Sono vivi? Chi sono?” incalzò Artemis.
Freya capì che la ragazza stava per ricevere l’ennesimo pugno nello stomaco. L’espressione cupa di Klaus ne era la riprova.
“Il cognome di Oscar è Cooper.”
Artemis aggrottò la fronte, incapace di sviluppare un ragionamento logico.
“Non capisco.”
“Miriam e Nathaniel Cooper sono i tuoi fratelli.”
 
Freya di rado era taciturna, ecco perché Keelin si preoccupò per la sua silenziosità.
“Klaus ha ucciso qualcuno? Avete combinato disastri apocalittici?”
“Ho sbagliato con Artemis. Ho dubitato di lei e delle sue intenzioni.” Disse Freya.
La strega era circondata da libri e antichi grimori, candele e fogli accartocciati.
“Stai cercando un incantesimo?”
“Sto cercando di capire Artemis. E’ nata da due congreghe diverse, ha due linee di sangue magiche diverse, perciò il suo potere è così forte. Lei non è del tutto cosciente.”
Keelin si sedette sul bordo del letto, l’espressione preoccupata alla vista di tutte quelle formule magiche.
“Una strega tanto potente non piace a nessuno. Lei non è pura.”
Freya fece un cenno della testa, determinata a trascorrere ore e ore sui quei grimori pur di scovare mezza informazione.
“Ed è per questo che devo aiutarla. Artemis deve essere protetta ad ogni costo.”
 
Artemis odiava le città rumorose. Chicago era caotica sia di giorno sia di notte, ma lei poteva creare una bolla magica che teneva fuori i rumori. A New Orleans, invece, la notte era talmente viva e spettacolare che avrebbe voluto respirare quell’aria di festa per sempre. Si era rifugiata sul tetto del palazzo e si era appoggiata alla ringhiera per osservare la pullulante Bourbon Street. Sentiva la musica jazz, le risate, gli schiamazzi degli ubriachi.
“New Orleans è una sirena, tentatrice, un posto da favola, un’illusione.”
Artemis non si girò, sapeva che quella voce apparteneva a Klaus. L’ibrido aveva un modo particolare di parlare, un suono antico ed elegante riverberava nella sua voce.
“E’ una bellissima città.”
“Noto una venatura malinconica nella tua affermazione. Che c’è?”
Klaus l’aveva affiancata, i gomiti sul parapetto e gli occhi che vagavano fra i tetti della città.
“E’ una cosa stupida. Rideresti di me.” disse Artemis in imbarazzo.
“Non oserei mai ridere di te. Parlami, Artemis.”
La ragazza si sedette con la schiena contro la ringhiera e le ginocchia strette al petto, gli occhi lucidi sotto i raggi della luna.
“Io mi sento una emarginata da sempre. Sento di non appartenere a nessun posto. Sono una vagabonda, vado in tondo e in largo senza mai raggiungere una meta. Vivo così da quando sono nata. Ho una vita a metà. Mia madre aveva dei segreti, mio padre è sempre mancato, i miei poteri sono sconosciuti. Non mi sento completa. Io…”
Klaus si inginocchiò al suo fianco e le mise una mano sulla spalla a mo’ di consolazione. In quella ragazza rivedeva se stesso: insicurezze, paure e mostri. Entrambi possedevano una doppia natura che nessuno poteva comprendere appieno.
“Io ti prometto che scopriremo tutta la verità. Rimetteremo ogni tassello al posto giusto e tu alla fine vedrai il quadro completo. Nulla è perduto. Siamo solo all’inizio.”
Artemis gli rivolse uno sguardo sconsolato, stentava a credergli. In vita sua non aveva mai creduto alle promesse. Credere implica fidarsi e la fiducia implica gettarsi da un aereo senza sapere se il paracadute si aprirà o no.
“Mi aiuterai perché vuoi sfruttare i miei poteri? O perché mia madre ti ha resto un ibrido?”
Klaus le afferrò le mani e le regalò un sorriso sincero. Artemis era potente, un drago pronto a sputare fuoco, ma era anche instabile e aveva bisogno di un punto fermo.
“Ti aiuterò perché sono tuo amico.”
Artemis ritrasse le mani come se si fosse scottata. Klaus parlava così perché lei lo aveva costretto? Non era più sicura di niente.
“Non toccarmi. Ti prego, tu non… non toccarmi.”
L’Originale sollevò le mani per mostrarsi inerme, non aveva cattive intenzioni.
“Sappi che la mia offerta di amicizia resta valida.”
 
Artemis scivolò giù dal letto intorno alle due del mattino. Freya e Keelin erano andate a letto e Klaus, dopo aver dipinto per ore, si era appisolato nello studio. Dallo zainetto recuperò il quadernetto sgualcito di Farid e accese il computer. Aveva intenzione di comparare le annotazioni dell’archeologo con ciò che lei aveva scoperto. Klaus aveva sigillato il Papiro di Ani nella sua cassaforte protetta da un triplo incantesimo che solo Freya avrebbe potuto eliminare, pertanto poteva affidarsi solo alle foto dei fogli di papiro che aveva scattato.
“Che stai combinando?”
Artemis sobbalzò e si morse la lingua per non strillare. Gabriel era appollaiato alla finestra e sorrideva divertito. Sembrava un gatto fastidioso che miagola per tenerti sveglio.
“Che fai qui? Klaus potrebbe malmenarti. Al momento ti odia.”
“Klaus mi odia sempre. Allora, fai qualche abracadabra?”
Artemis chiuse il computer con uno scatto e nascose il quadernetto sotto il cuscino. Gabriel sembrava fin troppo interessato ai suoi affari da strega, ciò lo rendeva sospetto.
“Tu non mi piaci, Gabriel. Nascondi qualcosa. Di che si tratta?”
Gabriel sorrise di nuovo, questa volta in maniera inquietante.
“Voglio squarciarti la gola e dissanguarti. Non ho mai mangiato una strega.”
 Artemis strinse le magni a pugno, pronta a difendersi con ogni sorta di magia. Il vampiro, anziché attaccarla, balzò giù dalla finestra e avanzò nel buio. I suoi passi non facevano neanch rumore.
“Se provi a farmi del male…”
“Non sono così stupido. Klaus mi strapperebbe il cuore se ti facessi del male.”
“Allora che cosa vuoi da me?”
Gabriel si muoveva nella stanza come un felino a caccia. Aspettava solo il momento giusto per affondare gli artigli nella sua preda.
“Tu lo sai come sono diventato un vampiro?”
“Klaus ti ha trasformato cinque anni.” Disse Artemis.
“Tutto ha avuto inizio con un cuore spezzato. Che ironia, vero? I cuori dei vampiri non battono.”
Artemis si mise in piedi, doveva essere preparata a sferrare un attacco in qualsiasi momento. Al minimo segnale di pericolo avrebbe scaraventato il vampiro fuori dal palazzo.
“Parla chiaro. Chi ti ha spezzato il cuore?”
Gabriel estrasse il portafogli e mostrò ad Artemis la foto di una ragazza dai perfetti boccoli biondi e dal sorriso smagliante.
“Lei era Gwen. Era la mia fidanzata, l’amore della mia vita. È stata uccisa cinque anni fa.”
“Com’è morta?”
Gabriel sospirò, nei suoi occhi scuri si riversarono amore e dolore in egual misura.
“Gwen era una strega della Congrega Lyra. Era la migliore amica di Miriam. Quando la Congrega ha scoperto che Gwen si era innamorata di un umano, convocò il Tribunale per metterla a giudizio. Sai quale fu l’esito?”
Artemis tremò al solo pensiero della povera Gwen, sola, torturata dalla sua stessa congrega. Era il medesimo destino che si era abbattuto su sua madre.
“Quale fu?”
“Gwen fu punita con una scelta: o mi uccideva per dimostrare la sua lealtà, oppure si uccideva per ripulire la macchia del suo peccato.”
Dalla durezza nella voce di Gabriel fu chiaro ad Artemis la meta finale di Gwen.
“Lei si è uccisa per salvarti.” Mormorò Artemis.
“Esatto. Quella notte mi sono gettato dalla guglia di Saint Louis, volevo morire per ricongiungermi con lei. La vita, però, aveva altri piani per me. Klaus mi ha trovato prima che morissi e mi ha fatto bere il suo sangue per trasformarmi.”
Artemis rimase stupita dal gesto di Klaus. Salvare la vita di un ragazzo non sembrava rientrare fra le priorità di un ibrido narcisista ed egoista.
“Che cosa vuoi da me, Gabriel?”
“Voglio che riporti in vita Gwen. Quando resusciterai tua madre, dovrai fare lo stesso per Gwen.”
“Gabriel…”
Un secondo dopo la mano di Gabriel si strinse attorno alla gola di Artemis, ma la presa non era tanto salda da strozzarla; piuttosto era un avvertimento.
“Tu resuscita Gwen e io troverò tuo padre. Abbiamo un accordo?”
Artemis socchiuse gli occhi e le dita di Gabriel si ruppero una dopo l’altra finché la mano fu fuori uso. Alla ragazza bastò un pizzico di concentrazione per far venire un aneurisma al vampiro.
“Va a Mystic Falls e scopri cosa faceva lì mia madre. Quando e se avrai informazioni utili su mio padre, allora discuteremo di Gwen.”
Gabriel, piegato a terra con la testa fra le mani, annuì e sputacchiò.
“O-o-ok-kay.”
Artemis allentò la presa e il vampiro si accasciò sul pavimento con la saliva che gli colava sul mento.
“Non sfidarmi mai più, Gabriel.”
 
Salve a tutti! ^_^
Gabriel e Artemis sono un bel team che combina guai, eh.
Artemis, inoltre, inizia a scavare nel passato oscuro di sua madre. Quali altri segreti deve ancora scoprire?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 6
*** Lezioni di magia ***


5. LEZIONI DI MAGIA

Due giorni dopo
Klaus aveva fatto il giro lungo per tornare a casa. Era uscito alle otto del mattino per incontrare alcune persone e, poiché era risultato inutile, ora si sentiva frustrato. Camminare lo aiutava spesso a schiarirsi le idee. Quando mise piede a palazzo, fu accolto dall’odore del caffè e della conserva di mele. Della musica proveniva dalla cucina. Affacciandosi, vide Artemis che oscillava i fianchi a ritmo e mangiava una ciambella. Indossava un accappatoio bianco troppo grande per lei, di sicuro l’aveva rubato dal bagno personale di Elijah.
“Buongiorno.”
Artemis trasalì e quasi si strozzò con la ciambella. Bevve un sorso di caffè per calmare la tosse.
“Oh, ehm, scusami. Io credevo di essere sola per il resto della mattinata.”
Klaus mantenne lo sguardo sul piatto di dolci per non indugiare sulla figura di Artemis.
“In effetti ero impegnato, ma non come speravo. Ho incontrato l’ennesimo vicolo cieco.”
“Che cosa stai cercando?” domandò Artemis, poi bevve altro caffè.
L’ibrido prese una sacca di sangue dal frigo e la svuotò in un bicchiere, dopodiché lo tracannò in un colpo solo.
“Sto cercando il covo di Miriam. Ogni Congrega si riunisce in un posto specifico da cui trae magia. La Congrega Corvi, ad esempio, si riuniva al cimitero Greenwood perché là sono sepolte le loro streghe e i loro sciamani.”
“Come lo sai? Te lo ha detto mia madre?”
“Sì. Yvette mi ha istruito sul mondo delle streghe e delle Congreghe. Voleva che fossi pronto nel caso in cui ti avessero trovata.”
Artemis abbassò lo sguardo, ogni verità sulla madre era come una spina che le pungeva i polpastrelli.
“Quindi io potrei trarre altro potere dal cimitero Greenwood?”
“Esatto. Potrei accompagnarti, se vuoi.” Disse Klaus.
“Non posso. Freya sta portando qui uno sciamano per aiutarmi a capire il mio potere.”
Klaus osservò il sangue che si stava seccando sul fondo del bicchiere. Poteva sentirne ancora l’odore e il sapore, eppure nella sua testa rimbombava il battito del cuore di Artemis.
“Respira, Artemis. Il tuo cuore mi sta martellando il cervello.”
La ragazza arrossì e si morse le labbra, il suo cuore proprio non riusciva a mentire.
“E’ che sono nervosa. Io pensavo di essere una strega normale, invece ho questa … cosa che … non lo so. Non so come definirla.”
“Per questo Vincent ti aiuterà. Ti puoi fidare di lui, perciò lasciati guidare. Stasera, se vorrai, potremo fare un giro al cimitero Greenwood.”
Artemis esplose in una risata allegra, finalmente stava imparando a conoscere il passato di sua madre e della sua famiglia. più come scopriva, più si sentiva in sintonia con la propria magia.
“Grazie! Grazie! Grazie!”
Klaus trattenne il respiro quando Artemis gli stampò un bacio sulla guancia. Profumava di mele, caffè e bagnoschiuma.
“Va a prepararti, su. E riporta l’accappatoio nel bagno di Elijah!”
“Sarà fatto!”
Artemis si era immaginata un uomo alto e grosso, con la faccia arrabbiata e l’aria solenne. La realtà era ben lungi dall’immaginazione. Vincent era una persona pacata e dall’atteggiamento amichevole, con un sorriso gentile che subito l’aveva messa a suo agio.
“Freya mi ha parlato tanto di te. Io sono Vincent Griffith.”
“Artemis Dumont, piacere mio.”
Quando si strinsero la mano Artemis avvertì un brivido lungo il braccio simile a una scarica elettrica. Vincent ridacchiò per l’espressione confusa della ragazza.
“Il brivido che hai sentito è la mia energia magica. Io sono uno sciamano Tremé.”
“Un cosa?”
“Lei non sa niente delle streghe di New Orleans. Ecco perché sei qui.” Spiegò Freya.
Vincent si accomodò sulla panca del cortile e con un gesto della mano invitò Artemis a fare lo stesso. Le mani della ragazza stritolavano il bordo della t-shirt in preda all’agitazione.
“Non avere paura, Artemis. Lascia che ti spieghi come funzionano le cose. Ti va?”
“Sì, certo.”
“A New Orleans ci sono nove congreghe, ciascuna è guidata da una strega potente che fa da portavoce alle streghe defunte della città. Per questo motivo la magia a New Orleans è di tipo ancestrale: attingiamo potere dai nostri antenati. Io sono il capo della Congrega Tremé.”
“E quali sono le altre congreghe?” domandò Artemis.
“La congrega Algiers. La congrega del Quartiere Francese. La congrega del Garden District. La Congrega Gentilly. La congrega Ninth Ward. La congrega Kindred. E poi ci sono le cosiddette Regine del Voodoo.”
“Le Regine del Voodoo? Chi sono?”
Vincent e Freya si scambiarono una fugace occhiata che bastò per far capire ad Artemis che c’era qualcosa di losco.
“Le Regine del Voodoo si dividono in due gruppi: la Congrega Lyra e la Congrega Corvi. Tu sei una Regina del Voodoo.”
“Il problema è che Artemis è l’unione delle due Congreghe.” Disse Freya.
Vincent sospirò e annuì, la preoccupazione era stampata sul suo volto come un tatuaggio.
“Artemis, tu sei l’erede di due potenti congreghe. Hai ereditato i poteri di entrambi i gruppi. Ecco perché hai la particolare abilità di manipolare le emozioni altrui.”
“Io non le manipolo proprio. Io semplicemente tocco le persone e le loro emozioni cambiano.”
Artemis era sulla difensiva, non voleva svelare l’arcano mistero che si celava dietro le sue abilità.
“Se non accetti il tuo potere non andrai da nessuna parte.” Disse Vincent.
“Cosa dovrei accettare? Io non so neanche cosa mi succede!” protestò la ragazza.
Freya si accomodò sulla panca e indicò ad Artemis il posto accanto a sé. Le sfiorò la mano per infonderle coraggio.
“Hai mai parlato di questo con tua madre? Ti ha mai rivelato qualcosa?”
“Lei non mi ha mai raccontato niente del suo passato, di New Orleans e delle Congreghe. Mi ha solo insegnato a controllare questo mio potere quando tocco qualcuno. Ho fatto pratica sul gatto siamese della mia vicina di casa!”
“Cosa senti quando accade? Spiegami.” La invitò Vincent, gentile.
Artemis rievocò le sensazioni che scaturivano ogni volta che metteva in atto la sua magia.
“L’altro giorno Klaus era arrabbiato. Io volevo che lui si calmasse, quindi gli ho messo le mani sulla schiena e gli ho infuso la mia calma.”
“In precedenza lo aveva già fatto?” indagò Freya.
“Sì, con la mia amica Lauren. Lei doveva sostenere un esame difficile ed era in ansia, mi dispiaceva tanto per lei perché aveva studiato come una matta. Le ho messo una mano sulla spalla e le ho trasferito la mia determinazione e la mia tranquillità.”
Vincent si grattò il mento in segno di meditazione, e quando lui rifletteva stava a significare che qualcosa non andava nel verso giusto.
“Per favore, fai una dimostrazione con Freya.”
“Dovrei arrabbiarmi?” chiese Freya.
“Pensa a qualcosa che ti dà fastidio. Proviamo così.” Suggerì Artemis.
Freya dopo qualche secondo di riflessione arricciò le labbra, già sentiva il fastidio montarle dentro.
“Detesto quando Keelin non rimette la tazza nella credenza. La lascia dappertutto, senza preoccuparsene e…”
Artemis si sfregò le mani e chiuse gli occhi, dopodiché tocco la spalla di Freya e captò la sua rabbia. Fece un respiro profondo e le trasmise la sua serenità.
“… E non mi dà poi così tanto fastidio.” Concluse Freya.
Vincent era esterrefatto. Fece un applauso breve e Artemis arrossì un poco.
“Hai un talento straordinario, Artemis. Hai un controllo saldo sul tuo potere. Molto bene.”
“Grazie. Ora che si fa? Mi dai l’estrema benedizione?”
La risatina di Artemis morì quando l’espressione di Vincent si fece seria.
“Ora è tempo di studiare, ragazza mia.”
Lo sciamano indicò un baule con il legno graffiato e un simbolo magico inciso sul coperchio. Al suo interno c’erano un centinaio di diari, quaderni e fogli sparsi.
“Devo studiarli tutti?”
“Sì, quindi ti conviene iniziare prima di andare in pensione.” Disse Freya con una risata.
 
Erano all’incirca le quattro del pomeriggio quando Artemis addentò l’ennesimo sandwich al prosciutto. Erano ore che stava esaminando gli appunti di Vincent e a un certo punto la fame aveva preso il sopravvento. La grafia dello sciamano era storta e stretta, spesso era impossibile decifrare cosa avesse scritto. A destarla dalla lettura fu il suo cellulare che squillava.
“Pronto?”
“Ehi, amica! Ho dato un’occhiata alle foto. Ti interessa ancora?”
L’accento australiano di Lauren era inconfondibile. Artemis sorrise e mise da parte lo studio degli incantesimi per accendere il computer.
“Certo che mi interessa ancora. Ti chiamo su Skype dal computer.”
Dopo qualche minuto il viso paffuto e arrossato di Lauren comparvero sullo schermo. Doveva trovarsi al campus, considerati gli spalti su cui era seduta.
“Artemis, sei una favola. Pensavo che la Louisiana ti avesse seccato la pelle.”
“Sono ancora uno schianto come sempre. Cos’hai per me?”
Lauren rise alla battuta, ma poco valeva la sua risata dato che trovava divertente anche le stupide freddure di Darren sul perché il di-abete fosse il colmo per un falegname.
“Ho visto le foto e sono riuscita a tradurre alcuni geroglifici. Dove hai trovato un simile reperto?”
“Qui a New Orleans c’è stata una mostra di papiri antichi e io ho scattato qualche foto. Ero curiosa di mostrartele. Cosa hai tradotto?”
Artemis era brava a mentire, soprattutto con una persona ingenua come Lauren che vedeva sempre il lato buono della gente.
“Sono riuscita solo ad assegnare un significato generico ai segni. Va bene lo stesso?”
“Sì, sì. Qualunque cosa va bene. Dimmi.”
Artemis prese il suo diario – o meglio, il suo grimorio personale – e incominciò a prendere appunti.
“Dai geroglifici raffigurati in quei fogli di Papiro sono emersi alcuni significati. Nella fascia superiore ci sono il simbolo della forza e della violenza, il simbolo della morte e del nemico, è anche presente il simbolo del re per via di Anubi. Nella fascia inferiore troviamo il simbolo degli altri e dei metalli, del fuoco e di una specie di incrocio.”
Artemis picchiettò la penna sulla pagina mente la sua mente elaborava le nuove nozioni. In fondo, erano parole comuni per un libro relativo alla morte, eppure c’era una nota che stonava.
“C’è dell’altro?”
Lauren annuì e avvicinò alla webcam una foto che le aveva inviato l’amica e che lei aveva stampato per studiarla meglio.
“Guarda i bordi della pagina, sono frastagliati ed è visibile un mezzo simbolo. Qualcuno ha strappato il resto delle pagine del Papiro. Non so dirti altro.”
Artemis intuì al volo che fosse il responsabile. Lei non era l’unica in città a possedere fogli di papiro.
“E’ sufficiente. Grazie, Lauren. Sei la migliore!”
“Prego. Quando torni a Chicago? Darren continua a parlare di te senza sosta. E’ snervante.”
Una risatina sopraggiunse all’orecchio di Artemis. Klaus se ne stava appoggiato allo stipite della porta con le braccia conserte e il sopracciglio inarcato. Aveva ascoltato tutta la conversazione.
“Ora devo andare. Ciao, Lauren!”
Artemis terminò la videochiamata prima che l’amica replicasse. Frattanto, l’ibrido l’aveva raggiunta in cortile e si stava versando da bere.
“Darren, eh?”
“Smettila. E abbassa quel sopracciglio!” lo minacciò lei.
Klaus si sedette sulla panca e diede un’occhiata rapida alle annotazioni di Artemis, la sua grafia era piena e ordinata.
“Queste parole hanno qualche significato?”
“Più o meno tutto torna. Il Libro dei Morti conteneva molti incantesimi, e le parole tradotte da Lauren ne danno conferma. Ogni parola si associa ad una raffigurazione.”
Klaus notò una ruga sulla fronte della ragazza, era preoccupata ed era avvilita.
“Ma c’è qualcosa che non ti convince.”
“Esatto. Resta ancora da capire l’immagine dell’uomo che emerge dal buio. Ho controllato il materiale di Farid e ho una ipotesi azzardata.”
“Amo gli azzardi.” Commentò Klaus, un sorriso malizioso.
Artemis alzò gli occhi al cielo, chiedendosi come fosse finita in quel palazzo di matti. Aprì di nuovo il computer, inserì la pen-drive e accedette alla cartella interessata.
“Vedi qui? Secondo Farid, quella macchia nera indica la morte. Quindi, mettendo insieme le varie teorie, io credo che la raffigurazione indichi una persona che resuscita dalla morte.”
Klaus si chinò per ispezionare meglio il disegno, il suo mento quasi posato sulla spalla di Artemis. Il disegno, difatti, simboleggiava un uomo che emergeva da una grossa e scura chiazza di colore.
“Non mi sembra sereno.”
“Ovviamente! L’espressività nell’arte è subentrata soltanto durante il Rinascimento. Sai com’è, la corrente del Realismo si chiama così per un motivo. Ma tu questo lo sai perché ami l‘arte.”
Klaus affogò un ghigno bevendo un sorso di bourbon. La frustrazione di Artemis era un vero spasso.
“Amo anche quando fai la sapientona.”
Artemis fece una smorfia, sebbene in cuor suo stesse sorridendo per quel complimento.
“Se la mia supposizione è corretta, esiste davvero un incantesimo di resurrezione.”
“E dove lo troviamo? Non pioverà dal cielo.”
“Grazie per l’ottimismo, Mikaelson! Comunque, Lauren mi ha anche detto qualcosa di strano. Mi ha fatto notare che una delle pagine ha il margine frastagliato …”
“Come se fosse stato strappato. Lo so, ho sentito tutto.” concluse Klaus.
Artemis represse un urlo isterico, quella creatura metteva a dura prova la sua scarsa pazienza.
“Ritengo che Miriam sia in possesso dell’incantesimo.”
Klaus si bloccò col bicchiere a mezz’aria, gli occhi cupi e la bocca semiaperta.
“Questo è un bel guaio. Miriam non cederà mai a noi quelle pagine.”
“E la festa? Avevi detto che sarebbe stata un’ottima distrazione per introdurci in casa sua.”
“La festa è dopodomani. In tre giorni può succedere di tutto.” disse Klaus.
“Mi serve quell’incantesimo, Klaus. Ti supplico.” Lo pregò Artemis.
L’Originale distolse lo sguardo, non sopportava l’espressione afflitta della ragazza. Più tempo passava con lei, più aumentava la voglia maniacale di proteggerla.
“Se la festa viene anticipata, Miriam avrà dei sospetti. Dobbiamo procedere con il piano originario. Nel frattempo tu continuerai a studiare e io sbrigherò delle faccende.”
“Quali faccende?”
Klaus si alzò e lasciò il bicchiere sul tavolino rotondo degli alcolici, uno dei tanti mobili settecenteschi presenti a palazzo.
“Ti avevo promesso una passeggiata romantica al cimitero, giusto? Andiamo.”
Artemis avrebbe voluto protestare e opporsi al dispotismo di Klaus, ma era troppo curiosa di visitare il cimitero e dovette arrendersi a seguirlo.
 
Il Cimitero di Greenwood era stato aperto nel lontano 1852, ricoprendo una vasta landa desolata ai confini di Metairie Road. Dato l’elevato numero di monumenti e sculture, era considerato uno dei cimiteri storici della città. Artemis ammirava ogni angelo di pietra che incontravano lungo il cammino. Era sempre stata amante di quel tipo di statue, così salde eppure fragili nella nebbia cimiteriale. Un angelo catturò la sua attenzione: era inginocchiato, le ali ripiegate sulla schiena, le mani sul cuore e una lacrima sulla guancia. Klaus sfiorò i riccioli della statua con cura, come fosse un’opera di vetro fino.
“Non so se ci sono al mondo parole tanto efficaci né oratori tanto eloquenti come le lacrime.”
Artemis fu scossa da un brivido. Non sapeva se fosse causato dalla lugubre atmosfera del cimitero, dalla tristezza dell’angelo o dalla voce profonda dell’Originale.
“Piangere non mi piace. Allora, dove si trovano i miei antenati?”
Klaus le riservò uno sguardo torvo, chi non piangeva covava dentro il dolore e poi esplodeva all’improvviso. Artemis era una bomba sul punto di scoppiare e provocare morte e distruzione.
“Dall’altra parte. Sai, qui sono sepolte persone famose come i jazzisti Leon Roppolo e Sam Butera, la giornalista Gwen Bristow, lo scrittore John Kennedy Toole.”
Man mano che avanzavano fra le tombe, Artemis leggeva nomi e date riportati sulle lapidi. Alcune risalivano addirittura alla fine dell’Ottocento. Per una storica come lei, quello era terreno fertile di studio.
“E quella grande cappella là in fondo?”
“E’ la cappella della tua famiglia.” Rispose Klaus.
La cappella in questione era rotonda, circondata da colonne e coperta da un tetto a cupola. Il cancello di ingresso era in ferro battuto e sopra c’era una scritta incisa nella pietra: Macte nova virtute, sic itur ad astra.
“Coraggio, è così che si arriva alle stelle.” Lesse Artemis.
“E’ il motto della tua famiglia. I Dumont erano membri di spicco di New Orleans, ecco perché la loro cappella è la più grande e maestosa del cimitero.”
“Mia madre ripeteva sempre questa frase, ora capisco il perché.” Disse la ragazza.
Klaus forzò la maniglia, questa si ruppe e il cancello stridulò mentre si spalancava. Dentro era buio ma, non appena Artemis entrò, le torce agli angoli della camera si infiammarono. C’erano una ventina di lapidi, candele secche e fiori ancora vivi grazie alla magia. Un loculo era vuoto.
“Quello spettava a tua madre.” Spiegò Klaus.
“Ma lei è sepolta a Chicago e non insieme alla sua famiglia.” Aggiunse Artemis.
“Tua madre non può essere sepolta qui. Ha abbandonato la città, ha tradito la congrega e ha avuto una figlia impura. Gli spiriti dei vostri antenati non la accetterebbero mai.”
Artemis ormai era satura di odio per quelle retrograde tradizioni. Le streghe erano esseri potenti, in bilico fra i mondi, eppure si lasciavano frenare dalle loro stupide leggi.
“E cosa succede se una strega si unisce con un vampiro o un lupo mannaro?”
Klaus scacciò un sassolino con la scarpa. La cappella era vuota da anni, neanche i defunti potevano dare una pulita.
“Vige la stessa norma: una strega non può unirsi a un vampiro o a un licantropo, altrimenti viene disconosciuta dalla propria congrega. Mia sorella Freya ha sposato Keelin perché non appartiene a nessuna congrega. Lo stesso vale per Davina, la compagna di mio fratello Kol.”
Artemis raccolse una rosa marcia dal pavimento e con un soffio le ridiede vigore. I petali vivi e rossi la fecero sorridere.
“E io appartengo alla congrega di mia madre o di mio padre?”
Klaus sorrise compiaciuto, scoccando alla ragazza uno sguardo provocante.
“Perché vuoi saperlo? Devo supporre che ti piaccia un vampiro o un licantropo?”
“O magari mi piace un elfo. Mai dire mai!” replicò Artemis.
“State cercando di sedurmi in un cimitero, milady?”
La ragazza ridacchiò e scosse la testa. Si voltò a guardarlo con la stessa malizia che lui le aveva riservato poco prima.
“Siete voi che vi state creando delle fantasie, mister Dracula. La mia era una domanda innocente.”
Klaus fece un passo verso di lei, i battiti del suo cuore gli risuonavano nelle orecchie. Era come un tamburo che suonava ininterrotto.
“Nessuna domanda è davvero innocente se esce dalla vostra bocca.”
“Sarete anche un uomo pieno di charme, ma di sicuro vi manca l’educazione.” Disse Artemis.
Quel gioco era allettante. Fin troppo. Entrambi stavano tirando la corda, e presto la fune si sarebbe ridotta ad un sottile e fragile filo.
“State ammettendo che possiedo charme? Mi sorprendete, milady.”
Artemis voleva ridere ma qualcosa glielo impediva. Un nodo le stava serrando la gola, le impediva di respirare. Le mancava l’aria. I polmoni sembravano sul punto di sciogliersi e appiccicarsi alla gabbia toracica. Si portò una mano al collo e afferrò il braccio di Klaus in cerca di aiuto.
“Artemis?”
La ragazza si afflosciò sul pavimento, pallida come le lapidi di marmo intorno a loro. Klaus la prese in braccio e con la velocità da vampiro la portò fuori dal cimitero. La depose sul terreno e si mise la sua testa fra le gambe.
“Ehi, Artemis! Guardami! Respira.”
Artemis un attimo prima era esanime, poi l’attimo dopo emise un rantolo e tornò a respirare a fatica. Si mise seduta, accoccolata fra le braccia di Klaus.
“N-non … non mi v-vogliono qui.”
Klaus guardò verso il cimitero, i cancelli si erano chiusi e gli alberi avevano mascherato la cappella dei Dumont con le loro fronde. Gli antenati di Artemis la stavano respingendo.
“Torniamo a casa. Hai bisogno di riposare.”
 
Artemis non era mai stata una fifona, neanche quando alle medie un suo compagno di classe le aveva infilato un topo morto nello zaino. Ma l’esperienza al cimitero di Greenwood l’aveva terrorizzata. Aveva davvero creduto – e sperato – che i suoi antenati l’accogliessero. Invece avevano tentato di ucciderla al primo colpo.
“Disturbo?”
Klaus si era affacciato alla porta, la sua espressione era insolitamente dolce. Artemis sedeva sul letto con le gambe strette al petto, i capelli umidi e una maglia con la stampa di Spongebob con il colletto strappato.
“Entra pure.” Lo invitò lei.
Klaus depose sul comodino una tazza di porcellana con delle rose blu dipinte, la fragranza di bergamotto era forte.
“Freya ti ha preparato questa tisana per rimetterti in forze. Hai subito un duro colpo stasera.”
“Subisco duri colpi da sei mesi. Sembra che la morte di mia madre abbia innescato una disgrazia dopo l’altra.”
Artemis arricciò il naso quando bevve la tisana, era bollente e il sapore era amaro. Qualche secondo dopo sentì che i muscoli si rilassavano, quindi continuò a bere.
“Artemis, le streghe non ti vogliono qui.”
“L’ho capito dopo lo strozzamento.”
Klaus si schiarì la gola, un brutto presentimento si fece spazio nel cuore della ragazza.
“Le streghe non ti vogliono a New Orleans. Tu sei un abominio, sei nata dall’incrocio di due congreghe e per questo sei maledetta.”
Artemis si alzò di scatto, la bevanda macchiò il prezioso tappeto.
“Questo vuol dire che non posso accedere alla magia ancestrale, vero?”
“Vero.” ammise Klaus, desolato.
“Ma … senza quel potere … io … io …”
“Senza quel potere non potrai resuscitare tua madre.” Disse Klaus.
La negromanzia richiedeva una grande e potente quantità di magia, quel genere che solo gli antenati potevano assicurarti. Poiché Artemis non aveva nessuna connessione con la congrega della madre, non aveva accesso a quell’enorme fonte di potere. Non era in grado di riportare in vita sua madre con i suoi poteri normali.
“No! Io devo riavere mia madre!”
Freya e Keelin si fiondarono nella stanza dopo aver udito le urla. Klaus era stravolto, aveva gli occhi rossi che trattenevano le lacrime. Stava deludendo Yvette. Stava deludendo l’unica vera amica che avesse mai avuto.
“Artemis, è meglio così. Non è mai un bene fare ricorso alla magia nera.” Disse Freya.
Artemis era in preda alla disperazione. Negli ultimi sei mesi a tenerla lucida era stato il pensiero di resuscitare la madre, mentre ora quella speranza svaniva surclassata dal buio. Cadde in ginocchio, le mani fra i capelli, le labbra che singhiozzavano.
“Io rivoglio soltanto mia madre.”
Keelin distolse lo sguardo, incapace di assistere ad una povera ragazza che soffriva in maniera così atroce. Freya guardò Klaus in cerca di supporto, ma il fratello stava fissando Artemis con una tale intensità da dare fuoco alla città intera.
“Riavrai tua madre, Artemis. Intendo mantenere la mia promessa.”
“E come pensi di farlo? Le streghe l’hanno tagliata fuori.” Disse Freya.
“Artemis è anche figlia di Oscar Cooper. Nelle sue vene scorre il sangue della Congrega Lyra.”
Freya sbarrò gli occhi e allargò le narici, un toro pronto a balzare addosso a quello sciocco di suo fratello.
“Gli antenati dei Cooper non vorranno Artemis, la cacceranno proprio come è successo al cimitero di Greenwood.”
Klaus sfoderò uno dei suoi ghigni malefici, uno di quelli che faceva tremare tutti di paura e isteria.
“Oh, sorella cara, ma io ho un piano in mente.”
“Klaus.” Lo richiamò Artemis.
L’ibrido tese la mano e l’aiutò a rimettersi in piedi, poi le asciugò le lacrime con i pollici.
“Avrai accesso alla magia necessaria. Te lo garantisco.”
 
Artemis mugugnò, il sonno interrotto da un ronzio continuo. Era l’alba, i primi raggi di sole filtravano inondando la stanza di una meravigliosa luce dorata. A vibrare era il suo cellulare. Con riluttanza agguantò l’aggeggio e accettò la chiamata.
“Artemis è inesistente. Non riprovate a chiamare.”
“Alzati e cammina, Lazzaro.” Ribatté Gabriel.
La ragazza si sfregò gli occhi per scacciare il sonno e sgusciò fuori dal letto. Sembrava che in casa tutti dormissero.
“Hai scoperto qualcosa?”
“Oltre ad apprezzare il bourbon del tuo amico Damon, ti comunico che ho scoperto qualcosa.”
Artemis sospirò di sollievo, era la prima buona notizia da tempo.
“Cosa?”
“Non così di fretta, chica. Devi prima dirmi a che punto sei con le tue ricerche. Hai capito come riportare in vita i defunti?”
“Non credere di condurre tu il gioco, Gabriel.” Lo minacciò Artemis.
La risata di Gabriel fece rizzare i peli delle braccia di Artemis per la rabbia.
“E’ ovvio che lo conduco io dal momento che ho in mano ciò che tua madre ha nascosto qui a Mystic Falls.”
“Ci sono quasi. Dopodomani avrò l’incantesimo completo e potrò procedere con il rituale. Ora dimmi che cosa hai scoperto.”
“Ti ho mandato una foto che troverai molto interessante. Ci sentiamo, chica.”
Quando Artemis vide la foto che Gabriel le aveva spedito fu un miracolo per lei restare in piedi. La foto ritraeva lei da bambina, sua madre e un uomo che le abbracciava. Strinse le dita attorno al cellulare fino a che non avvertì la plastica surriscaldarsi. Corse fuori dalla sua camera per parlare con Klaus, lui era l’unico che poteva aiutarla. Doveva essere sincera ancora una volta.
 
Klaus sistemò una pennellata sulla tela in modo che il giallo e il rosso dessero vita ad un brillante arancio. L’alba era il suo momento preferito per dipingere. La sua famiglia dormiva, la città era ancora silenziosa e lui poteva godersi quegli istanti di pace. Oppure no.
“Klaus!”
Artemis irruppe nella stanza come una furia. I leggins fucsia le si erano arricciati alle ginocchia, il collo della t-shirt sembrava più stracciato della sera prima e i suoi capelli erano arruffati in cima.
“E’ atterrato un ordigno esplosivo in camera tua?”
“Io devo parlarti. E lo so che mi odierai, che non mi perdonerai mai e che ...”
Klaus lasciò la tavolozza e dimenticò il suo dipinto, l’ansia di una nuova sciagura lo stava divorando vivo.
“Che cosa hai combinato questa volta?”
Artemis gli passò il cellulare per fargli vedere la foto, ma l’ibrido non ci vedeva nulla di strano. Poi, come se la nebbia nella sua mente si diradasse, riconobbe l’uomo fotografato.
“Questo è Oscar. E’ tuo padre.”
“Ho avuto questa foto da Gabriel. Io e lui abbiamo fatto un accordo seg- …”
“Non così segreto. Conosco il vostro accordo.” Disse Klaus, il tono pacato.
Artemis corrugò la fronte, scioccata e perplessa in un solo secondo.
“Com’è possibile?”
“Gabriel è molto leale nei miei confronti. Io l’ho salvato dalla morte e lui ora mi è debitore in eterno. Mi ha spifferato il vostro accordo subito, temeva di deludermi se me lo avesse nascosto.”
“Sei un bastardo.” Mormorò Artemis.
“Questo è corretto. Del resto, non ero figlio legittimo di mio padre.”
Il sarcasmo di Klaus era snervante. Stava ostentando una calma che metteva a dura prova i nervi della giovane strega. Avrebbe voluto incenerirlo, poi guarirlo e incenerirlo di nuovo.
“Tu sei davvero …”
“Attraente e oltremodo intelligente? Assolutamente sì.”
“Stavo per dire uno stronzo vecchio quanto il mondo.” Replicò Artemis.
“Beh, sono anche quello.”
La ragazza fece un verso di protesta, ogni parola dell’ibrido accresceva il suo fastidio.
“Mettendo da parte l’alta ed eccessiva considerazione che hai di te stesso, ora parliamo di cose importanti. Che cosa facciamo?”
Klaus immerse un panno nella bacinella d’acqua per ripulirsi le nocche macchiate di colore; la pittura secca era una vera rogna.
“Gabriel sa già cosa fare.”
“E sarebbe?”
“Stai per conoscere il tuo caro paparino.”
 
Salve a tutti! ^_^
Una passeggiata romantica al cimitero, un tentativo di seduzione in mezzo alle tombe, tutto in pieno stile Mikaelson! Ora c’è di mezzo anche Oscar!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 7
*** Gioco di squadra ***


7. GIOCO DI SQUADRA

“La magia è un’arte che richiede collaborazione fra l’artista e il suo pubblico.”
(Eliza Marian Butler)


“Quindi adesso nostro fratello salva i randagi?” chiese Rebekah, scettica.
La notte precedente avevano cercato Artemis per tutta la città e alla fine Vincent l’aveva trovata svenuta davanti all’ingresso del cimitero Greenwood. Klaus a quel punto aveva deciso di portarla fuori da New Orleans e la scelta era ricaduta sulla tenuta di campagna di Rebekah e Marcel. Ora la ragazza riposava nella camera degli ospiti sotto le cure di Keelin.
“Artemis è la figlia di una certa Yvette, una vecchia amica di Klaus che è morta sei mesi fa. La ragazza vuole riportare in vita la madre ed è qui in cerca di un libro particolare.”
Freya sciolse nel tè un’altra zolletta di zucchero per addolcire la bevanda, oppure per addolcire la sensazione che le sconquassava lo stomaco.
“La magia nera è pericolosa. E voi Mikaelson dovete starne lontani.” Disse Marcel.
“E’ quello che dico sempre.” aggiunse Keelin.
Era stanca, le occhiaie erano il chiaro segno che non dormiva da ore. Indossava ancora la divisa dell’ospedale. Accettò con un sorriso cortese la tazza di caffè da Rebekah.
“Come sta Artemis? E Klaus?” chiese Freya.
“Artemis se la caverà. Klaus le ha dato il suo sangue e questo la rende stabile, dobbiamo solo aspettare che si svegli. Quanto a vostro fratello, è davvero distrutto.”
Rebekah arricciò le labbra e Freya si accigliò, entrambe sapevano che Klaus aveva la tendenza ad affezionarsi con esagerazione alle persone.
“Klaus ha una cotta per la strega.” Sentenziò Marcel.
“I sentimenti di Klaus non sono affar vostro.”
Tutti si voltarono per guardare Klaus che entrava in cucina con espressione dura. Era afflitto, ma cercava di mostrarsi saldo come una roccia.
“Nik, non siamo tuoi nemici. Siamo tutti qui per aiutarti.” disse Rebekah.
“Io devo sbrigare delle faccende in città, tornerò il prima possibile. Voi tenete d’occhio Artemis, non deve morire con il mio sangue in circolo. Se dovesse svegliarsi, avvisatemi.”
“Sarà fatto.” promise Keelin.
Klaus si infilò la giacca e sistemò il colletto, dopodiché uscì di casa a passo indemoniato.
“Sta andando a uccidere qualcuno.” Comunicò Freya.
“Vado con lui.” disse Marcel.
 
“Dove stiamo andando? Sembra di camminare da ore.”
Artemis stava attenta a non incespicare nella sottana ingombrante di Marie-Sophie, pestava i piedi come fosse una bambina capricciosa. Per fortuna aveva avuto la brillante idea cdi alzare i propri scarponcini prima di scappare dai Mikaelson.
“Vi porto a conoscere una persona. Miss Dumont, da questa parte non c’è molto da fare e l’unico svago è scambiare poche chiacchiere con gli spiriti che si incontrano.”
“Vostro marito non è proprio disponibile? Sarebbe bello parlare con un mio antenato.”
Marie-Sophie si fermò di colpo e Artemis le sbatté contro, massaggiandosi il naso per la via della botta.
“Artemis, voi sembrate possedere un quoziente intellettivo quantomeno decente e sarebbe ottimale per voi comprendere che nessuno dei vostri antenati vuole parlarvi. Mio marito mi ha pregata di non venire in vostro soccorso, ma non potevo di certo abbandonare una fanciulla fra la vita e la morte.”
“Davvero gentile da parte vostra, Sophie. Prego, continuiamo.”
Artemis aveva sperato che la sua morte impietosisse uno dei suoi antenati e li spronasse ad aiutarla, invece si era ritrovata ad inseguire una matematica che aveva fatto parte della più grande rivoluzione storica.
“Manca poco. Vi assicuro che non resterete delusa.”
Proseguirono il cammino fino a spingersi all’estremità nord del cimitero. C’erano una serie di tombe bianche che riportavano date incluse fra il Seicento e i primi del Novecento. Marie-Sophie si arrestò davanti ad una tomba e sfregò la pietra marmorea.
“Max! Suvvia, non fate il prezioso e mostratevi.”
Artemis si chinò sulla lapide e lesse il nome del proprietario: Max Malini, 1873-1942.
“Chi è ques- ah, che diamine!”
La ragazza cadde a terra quando lo spirito di Max balzò da dietro un albero. Marie-Sophie lo squadrò dalla testa ai piedi con alterigia.
“Non siete divertente, signore. Vi abbiamo invocato perché la mia ospite ha bisogno di una consulenza magica. Artemis, vi presento Max Malini.”
“Il prestigiatore e illusionista Max Malini!” specificò l’uomo.
“Un prestigiatore? Credevo che avrei parlato con un vero sciamato.” Obiettò Artemis.
Max parve offeso, poi si ricompose e si tirò il bavero della giacca con teatralità.
“Io sono un vero sciamano, è così che mettevo in piedi i miei show per voi sciocchi umani.”
“Max, questa è Artemis Dumont. È la tris nipote di mio marito.” Disse Marie-Sophie.
“Ah, sì. Lei è la fanciulla che due giorni fa è stata sbattuta fuori dai suoi antenati. Che spettacolino ilare!”
Artemis incrociò le braccia e attese che l’entusiasmo di Max si attutisse. Quando l’uomo smise di ridacchiare, lei fece un respiro profondo.
“Ho bisogno di una mano. Speravo che facendo una visita nell’Altra Parte avrei convinto i miei antenati ad aiutarmi, ma purtroppo mi hanno tagliata fuori. Voi siete tutto ciò che mi resta.”
Marie-Sophie e Max si scambiarono uno sguardo loquace, sembrava che quei due prendessero spesso un tè pomeridiano assieme. Lo sciamano annuì.
“Accomodiamoci altrove. Gli spiriti da queste parti hanno l’udito fine.”
 
Klaus non sperimentava una tale collera da tempo ormai. Aveva sempre avuto un brutto carattere incline alla rabbia, alla delusione e alla violenza, ma per amore di Hope aveva cercato di levigare quegli angoli spigolosi. Adesso, però, era necessario che il grande lupo cattivo tornasse e desse una lezione alle streghe. Ecco perché aveva ordinato a Gabriel di scovare qualsiasi peccatuccio commesso dai fratelli Cooper.
“Gabriel, tu sei davvero sicuro?”
“Assolutamente sì. È l’arma a nostro favore.”
“Sarà meglio per te, oppure ne pagherai le conseguenze.”
Klaus chiuse la chiamata per non ascoltare la risposta idiota di Gabriel, quel ragazzo avrebbe solo peggiorato il suo umore già cupo di per sé. Parcheggiò a pochi passi dalla villa dei Cooper, Miriam e il marito avevano ceduto la dependance a Nathaniel in modo da restare vicini. Gli incantesimi di protezione vibravano nell’aria facendo irritare Klaus. L’odore fumoso della magia gli entrava nelle narici affogandogli i polmoni.
“Non ci credo che tu sia così irresponsabile da presentarti qui.”
Nathaniel spuntò dalla balconata della sua dependance con una tazza di caffè bollente fra le mani. Il colore dei suoi capelli era un miscuglio di castano e ramato, proprio come quelli di Artemis.
“Sono qui per negoziare.” Disse Klaus.
“Negoziare? Non ne vedo il motivo. La Congrega Lyra non ha mai stretto un patto con i vampiri.”
L’Originale questa volta sorrise, aveva lui il coltello dalla parte del manico ed era pronto a menare il primo fendente.
“Io voglio negoziare con te. Sai, Nathaniel, in città circolano delle voci.”
La spavalderia di Nathaniel si attenuò fino a scomparire. Fissava Klaus come se avesse tre teste e sputasse fuoco.
“Non credo ad una sola parola.”
“Eppure il tuo cuore galoppa per l’agitazione. Sei stato beccato!” lo canzonò Klaus.
“Tu non sai proprio niente.”
“Mi costringi a passare alle maniere forti.” Disse Klaus.
Tornò all’auto, aprì lo sportello posteriore e tirò fuori una ragazza incappucciata. La trascinò fino alla barriera affinché Nathaniel la riconoscesse.
“Non so chi sia.” Grugnì lo sciamano.
Klaus si finse offeso, la mano sulla bocca con fare plateale. Tolse il cappuccio e il viso pallido della ragazza fu colpito dai raggi del sole.
“Hai sentito, tesoro? Il tuo fidanzatino non si ricorda di te.”
“Nate!” strillò la ragazza, spaventata.
Era Bella, un membro dei Kindred, una delle nove congreghe di New Orleans.
“Lei non c’entra niente con tutto questo. Lasciala andare.” Supplicò Nathaniel.
Klaus sorrise vittorioso, la sua freccia aveva centrato il bersaglio alla perfezione. Il segreto di Nathaniel era l’amore: lui e Bella si frequentavano di nascosto da un anno. Tutto ciò andava contro la morale delle streghe poiché i due provenivano da congreghe diverse.
“Non la ucciderò a patto che tu sia propenso a negoziare con me.” disse Klaus.
“Nate!” gridò Bella, la mano dell’ibrido attorno al collo.
Nathaniel alzò ambo le mani in segno di resa, non poteva lasciare che Bella morisse per una stupida faida di famiglia.
“Okay! Okay! Negoziamo.”
“Ti aspetto a Gentilly Woods fra un’ora. Vieni da solo e non pensare di usare la magia contro di me.”
 
Artemis si stava congelando il sedere su quel pavimento di marmo freddo. Si erano riuniti in una cappella a ovest del cimitero, l’unico spazio dedicato a sepolture di umani. Gli spiriti si tenevano alla larga da quella zona perché era priva di magia e li indeboliva.
“Cosa non darei per una tazza di Earl Grey!” sospirò Marie-Sophie.
“Io prediligo il Lemon Scented.” Disse Max.
Artemis trattenne una risata, era surreale che due spiriti stessero discutendo di quale gusto di tè preferissero mentre erano seduti in mezzo ad altri defunti.
“Voi morti passate così le giornate?” chiese, curiosa.
Marie-Sophie le scoccò un’occhiata severa, una maestra che rimprovera l’allieva.
“Intendete a soccorrere sciocche fanciulle o a disquisire di tè?”
Era una donna intelligente e arguta, non c’era dubbio che un antenato di Artemis se ne fosse innamorato.
“Voi spiritelli avete una vita ricolma di impegni.”
“Come guardarvi mentre baciavate Niklaus Mikaelson.” La punzecchiò Max.
“Si trattava di un bacio falso. Lo champagne era stato avvelenato con un filtro magico.”
Marie-Sophie e Max scoppiarono a ridere come se fosse la barzelletta più divertente degli ultimi duecento anni. La matematica le diede uno schiaffetto sulla mano a mo’ di schernimento.
“Che ragazza ingenua! Lo champagne era amaro per via dell’alto contenuto di potassio nelle fragole. Non era un filtro magico.”
Artemis si coprì la faccia con le mani. Era convinta fino all’osso che l’amaro in bocca fosse dovuto alla magia e che anche il bacio fosse un inganno, invece era tutto vero. Aveva davvero baciato Klaus. E cosa ben peggiore, le era piaciuto da impazzire.
“Possiamo passare alle cose importanti? La mia imbarazzante vita sentimentale non interessa a nessuno.”
“A dirla tutta, è spassoso il modo in cui riuscite a rendervi ridicola.” Disse Max ridendo.
Artemis sospirò, essere derisa da due fantasmi non rientrava neanche nella sua più fervida immaginazione.
“Appurata la mia inadeguatezza, dobbiamo parlare sinceramente adesso.”
“Lo sappiamo che cosa cerchi. Sei sulle tracce del Libro dei Morti.” Disse Marie-Sophie.
“Quindi sapete anche che Miriam è in possesso di alcune pagine.”
“Sì. Il bello dell’essere morti è che ti permette di osservare tutti con distacco.” Disse Max.
Artemis avrebbe voluto essere uno spirito per scassinare quella cassaforte e rubare le pagine, peccato che il suo corpo fosse fatto di ossa solide e carne viva.
“Allora sapete che sto cercando di resuscitare mia madre e che mi servono le pagine di Miriam.”
Max emise un verso di disgusto, osservare e non poter giudicare era la condanna dei defunti.
“La magia nera è pericolosa. Vi state mettendo in un brutto guaio, ragazza mia. Voi non avete idea di cosa vi aspetta davvero.”
“In che senso?”
“Conosci la legge basilare delle negromanzia?” domandò Marie-Sophie.
Artemis sbuffò, era una strega ed era ovvio che conoscesse le norme che dominavano la magia.
“La regola basilare è … oh, no.”
“Appunto.” Mormorò Marie-Sophie.
Max picchiettò la mano di Artemis e fece un piccolo sorriso di incoraggiamento.
“Una vita per una vita, ecco la legge primaria della negromanzia. Per riportare in vita vostra madre dovete uccidere qualcuno. Anche nella morte c’è un equilibrio che va rispettato.”
“La magia non arriva mai senza funeste conseguenze.” Disse Marie-Sophie.
Artemis non aveva mai pensato a quel dettaglio infinitamente importante. Il suo pian sin dall’inizio si era basato sulla magia ancestrale, non di certo sull’omicidio.
“Io ero convinta che gli antenati avrebbero resuscitato mia madre con la magia ancestrale di New Orleans. Non pensavo di dover … sacrificare qualcuno.”
“Lo sappiamo. Artemis, le vostre intenzioni sono pure.” Disse Max.
Artemis abbozzò un sorriso, anche se il suo cuore si stava frantumando in miliardi di pezzettini che le tagliuzzavano l’anima.
“Non c’è un altro modo per riportare in vita mia madre?”
“Purtroppo no. È sempre bene tenere a mente che i morti devono restare morti, per quanto questo ci provochi grandi sofferenze.”
Fu in quel preciso istante che un pensiero si insinuò nella mente di Artemis come un ragno che tesse una tela.
“Mamma. È questo il centro di tutto.”
“Come dite, ragazza?” chiese Max, confuso.
“Miriam ha perso sua madre quando era bambina e vuole usare il Libro dei Morti per resuscitarla.”
“Il primo rebus è stato risolto.” Dichiarò Marie-Sophie.
 
Nathaniel si era presentato a Gentilly Wood con dieci minuti di anticipo. Il Gentilly era un quartiere di New Orleans lontano da Bourbon Street. Lontano da Miriam e dal suo controllo. C’era un parco giochi dove i bambini ridevano e si rincorrevano mentre le mamme chiacchieravano sulle panchine. Nathaniel si guardò intorno con il cuore in gola. Non vedeva né Klaus né Bella. Ad un certo punto il suo sguardo angosciato incontrò il sorriso impertinente di Marcel Gerard.
“Dov’è Klaus? Mi aveva promesso di risparmiare Bella.” Disse Nathaniel.
Il vampiro scosse la testa, le mani in tasca come se facesse una piacevole passeggiata.
“Mmh, no. Klaus non ti ha promesso nulla. Ti ha solo detto di venire qui per intavolare una trattativa.”
“Bella non c’entra niente. Lei è innocente. Klaus è con me che deve prendersela.”
“Oh, Klaus è multitasking.” Ribatté Klaus.
Quando Nathaniel si voltò e non vide Bella, la tristezza gli distorse il volto.
“Dov’è Bella? Che cosa le hai fatto?”
“Non le ho fatto niente. Per ora.”
Klaus era noto per essere sadico, la tortura era una delle sue specialità e tutti sapevano che finire nelle sue grinfie era peggio che morire. Nathaniel serrò i pugni lungo i fianchi.
“Che cosa vuoi da me? Sono disposto a qualunque cosa.”
“Anche a tradire tua sorella? Sei davvero pazzo.” Commentò Marcel.
“Miriam è perfida, questo non è certo un segreto. Bella merita di più.” disse Nathaniel.
Stava dicendo la verità, e Klaus fu ben lieto di aver trovato quella crepa nella famigliola felice che i Cooper fingevano di essere.
“Voglio sapere che cosa custodisce Miriam nella cassaforte della sua villa.”
Nathaniel parve perplesso, non si aspettava una domanda talmente banale. Per sua fortuna rispondere era facile.
“Custodisce lì dentro i gioielli di famiglia, alcuni vecchi grimori, un ritratto di nostra madre e una bella scorta di strozza-lupo.”
“E che mi dici del Papiro di Ani? Miriam voleva acquistare alcuni fogli di papiro settimane fa.”
Klaus notò un leggero tremolio del labbro superiore di Nathaniel. Il ragazzo era tanto alto quanto stupido se mentiva a due ibridi.
“Non ne so niente.”
“Marcel, per favore, dà un morso alla nostra nuova amica. Scommetto che ha un ottimo sapore.”
Marcel annuì e si incamminò verso una villetta bianca, ma Nathaniel lo agguantò per il braccio per stopparlo.
“Okay, vi dirò tutto quello che so. Lasciate stare Bella.”
“Parla.” Lo spronò Marcel.
“Miriam cerca quel dannato Papiro da anni, ne è ossessionata. Circa quattro anni fa in Marocco ha acquistato alcuni fogli, dopodiché si è messa a cercare il resto. Ha contattato storici e archeologi di tutto il mondo. Un anno fa ha anche incontrato un collezionista inglese. Poi mesi fa ha trovato Farid, ha sequestrato la sua famiglia e lo ha costretto a studiare i fogli comprati in Marocco.”
“Farid ha decifrato i geroglifici?” domandò Klaus.
“Ha fatto molto di più. Ha decifrato un incantesimo di resurrezione.”
Klaus e Marcel si guardarono e si capirono senza bisogno di parlare. Anche perché una parola di troppo e avrebbero esposto Artemis a troppi rischi.
“Dove si trova questo incantesimo?”
“Non lo so. Miriam non me ne ha mai parlato, però sono sicuro che lo abbia occultato con la magia.”
Nathaniel continuava a lanciare occhiate furtive alla villetta bianca, voleva correre a salvare Bella e dimenticare quello spiacevole incontro.
“Hai una vaga idea dei nascondigli di tua sorella?” insistette Klaus.
“Quale delle due sorelle?”
“Quella pazza.” Disse Marcel.
Nathaniel abbassò la testa come se fosse stato accusato di chissà quale crimine.
“Ascoltate, io e Miriam non parliamo mai di queste cose. Io a stento partecipo agli incontri della Congrega. Mi sono allontanato da quel mondo.”
Klaus non aveva tempo da perdere. Doveva trovare il nascondiglio di Miriam e ribaltarlo fino a trovare quell’incantesimo. Ormai iniziava a credere che ci fosse un piano più grande che non riusciva ancora a cogliere del tutto.
“Molto bene. Ora puoi andartene. Ovviamente non devi dire a Miriam del nostro incontro, o mi vedrò costretto a sgozzare la tua fidanzatina.”
“Non dirò nulla. Adesso posso portare via Bella?” la voce di Nathaniel era tesa.
“Bella è a casa sua sana e salva. Va a da lei, imbecille.” Disse Marcel.
Il ragazzo balzò via in un secondo, saltò in sella alla sua moto e sfrecciò verso il Quartiere Francese.
“Che strano.” Bisbigliò Klaus fra sé.
Marcel fece roteare gli occhi, non gli era mancata per niente la complicata personalità del biondo.
“Cosa?”
“Miriam negli ultimi anni ha cercato in lungo e in largo il Papiro di Ani, poi ad un certo punto sbucano le pagine sia in Messico sia a New Orleans. Non ti sembra troppo casuale?”
Congiungendo i puntini, Marcel ebbe una nitida immagina del disegno che si stava profilando.
“Era una trappola.”
“E Artemis è il bersaglio.”
 
Artemis si sforzò di restare irremovibile dopo la scoperta su Miriam. Entrambe volevano la stessa cosa: riavere le loro madri. Per la prima volta si sentì vicina a lei come una sorella. Nel profondo erano molto simili.
“Un incantesimo di resurrezione richiede una immensa fonte di energia. Secondo voi gli antenati di Miriam le daranno accesso a una fonte del genere?”
Max strabuzzò gli occhi e la fronte si increspò, era buffo.
“Assolutamente no. Gli spiriti sono contrari alla magia nera, soprattutto quando c’è di mezzo il bilancio della natura.”
Artemis si alzò e si sfregò i palmi sulla stoffa morbida del vestito. Non stava sudando come pensava, doveva essere uno degli effetti della morte.
“Sono davvero in crisi. Se gli antenati non contribuiscono, come si fa a praticare la negromanzia?”
Marie-Sophie indicò la lapide perché la ragazza si sedesse di nuovo, era buona educazione disquisire da seduti.
“Miriam avrà di certo trovato una fonte di magia sufficiente. Un potente oggetto magico? Forse. Oppure un altro incantesimo. Ah, non ne ho idea!”
Max si era fatto silenzioso, fin troppo per i gusti di Artemis.
“Max, a cosa state pensando? Il vostro cervello starebbe fumando se foste vivo.”
“C’è un altro modo per ottenere una grande fonte di potere. Pensateci bene, miss Dumont.”
Artemis ci aveva già riflettuto e nessuna opzione sembrava plausibile. C’era qualcosa che non vedeva, una incognita che non era capace di calcolare per completare l’equazione. Poi d’improvviso tutto fu chiaro, atrocemente chiaro.
“La magia sacrificale.”
“Miriam potrebbe attuare un sacrificio e da esso ricavare l’energia necessaria per l’incantesimo di resurrezione.”
“Che orrore.” Sussurrò Marie-Sophie, disgustata.
Com’era possibile? Se Miriam aveva fatto ricorso al sacrificio, qualche dozzina di animali sarebbe dovuta scomparire nel nulla. Ma in città nessuno aveva accennato a bestiame scomparso oppure a carcasse rinvenute. Forse aveva trovato un luogo per nascondere le sue malefatte.
“Avete qualche altro consiglio?”
Il volto di Max si illuminò, le labbra coperte dai baffi sottili sorridevano.
“Un incantesimo di resurrezione ha sempre un ingrediente principale. Senza questo ingrediente non si può fare nulla.”
Artemis voleva sorridere ma c’era un dolore che le scavava dentro. Si portò la mano sul petto e captò dei lenti battiti.
“Il mio cuore sta battendo. Ma … cosa? Io sono morta.”
“Qualcuno nel regno dei vivi vi sta tirando fuori da qui. Non abbiamo molto tempo.” disse Max.
Marie-Sophie scattò in piedi e strinse le mani di Artemis, era fredda come un cadavere.
“Miss Dumont, ricordate: eliminate l’ingrediente dall’equazione e avrete la risoluzione del problema. Studiate gli schemi. Studiate i fatti.”
Anche Max si era alzato, un sorriso triste gli aleggiava sulle labbra.
“Salvate la vostra anima. Preservate la vostra purezza.”
“Artemis, devi svegliarti. Ti prego. Non lasciarmi.” Stava dicendo una voce.
Artemis si sentì trascinare verso l’alto. Il suo corpo si librò nell’aria, fluttuando nel vuoto dell’Altra Parte. Ogni tentativo di restare era vano. Secondo dopo secondo veniva risucchiata indietro.
“Grazie!”
Max e Marie-Sophie la guardarono svanire oltre il confine fra la vita e la morte.
 
Klaus accarezzava la mano di Artemis con delicatezza. La ragazza era ancora incosciente. Gli ricordava la favola della Bella Addormentata, con la differenza che un bacio non l’avrebbe svegliata.
“Artemis, devi svegliarti. Ti prego. Non lasciarmi.”
Chinò la testa e baciò la mano della ragazza, poi poggiò la fronte contro le sue nocche.
“K-klaus.”
Klaus scattò sull’attenti e vide che Artemis sbatteva le palpebre per adattare gli occhi alla luce del tramonto. Aveva le labbra secche e la pelle pallida, ma respirava bene.
“Sei tornata!”
“Lo sapevi che le fragole diventano amare quanto c’è troppo potassio al loro interno?”
L’Originale non capì quel riferimento tanta era la felicità di vederla sveglia. La strinse in un abbraccio forte e caloroso, al che Artemis non si oppose perché era ancora frastornata.
“Non farlo mai più. Mi hai spaventato a morte. E non fare battute sulla morte.”
Artemis rise contro la sua spalla, era piacevole il modo in cui quella risata gli fece fremere la gabbia toracica. Purtroppo dovettero staccarsi e fu una brutta sensazione quella mancanza di calore.
“Ho scoperto il piano di Miriam. Vuole resuscitare sua madre.”
La felicità di Klaus si tramutò in orrore in una manciata di secondi.
“Sua madre è morta ventitré anni fa, il suo corpo si è decomposto. Tu hai detto che la decomposizione compromette la resurrezione.”
Artemis si mise seduta e si massaggiò il collo, la semi-morte era una esperienza che lasciava il corpo intorpidito.
“Lo so cosa ho detto, però non riesco a capire bene. Ho parlato con alcuni spiriti mentre ero morta ma non mi hanno saputo dire molto. È anche probabile che Miriam usi la magia sacrificale per ottenere l’energia necessaria per compiere l’incantesimo.”
“A proposito di questo, Nathaniel mi ha detto che Miriam possiede l’incantesimo di resurrezione. I fogli di papiro, però, non si trovano nella cassaforte. Deve averli celati con la magia.”
“Nathaniel ha parlato con te civilmente? Sono scioccata.”
“Diciamo che ho usato metodi poco ortodossi per indurlo a parlare. Lui ha un segreto molto allettante: ha una relazione con Bella, la strega della congrega Kindred. Il tuo fratellino ha spifferato ogni segreto pur di salvare la sua ragazza.”
“Il punto debole di qualcuno è sempre la persona che ama.” Disse Artemis.
Klaus inclinò la testa di lato come un gatto dispettoso che vuole rincorrere un topo.
“Non era al mio orecchio che hai sussurrato, ma al mio cuore. Non hai baciato le mie labbra, ma la mia anima.”
Artemis rimase imbambolata, credeva – sperava – che quelle parole fossero riferite a lei. Poi si oscurò in volto quando ricordò di aver letto quella citazione da qualche parte.
“Okay, Shakespeare dei poveri. Dobbiamo capire ancora molte cose sui progetti di Miriam.”
“Vuoi farti una doccia? Sai, odori di camposanto.” Disse Klaus.
Artemis annusò il vestito e fu nauseata dall’odore di terriccio e fiori morti, dunque scivolò giù dal letto e recuperò i vestiti dal suo bagaglio.
“Come facciamo a scoprire dove è nascosto l’incantesimo? Miriam è il sindaco e ha disposizione una città intera per nascondere qualcosa.”
Klaus distolse lo sguardo quando lei prese un reggiseno, alle volte la galanteria di un tempo riemergeva fra le pieghe del suo carattere difficile.
“Artemis, fermati per un momento. Sei appena tornata dal regno dei morti, nessuno pretende di rivederti in azione. Hai bisogno di mangiare e di dormire.”
Artemis sbuffò, le sembrava una delle solite prediche di sua madre.
“Mancano meno di quarantotto ore alla luna piena e Miriam si sta preparando proprio mentre noi parliamo. Dobbiamo agire tempestivamente.”
“Non devi essere l’eroina.” Disse dolcemente Klaus.
“Non voglio fare l’eroina della storia, ma non voglio essere neanche la cattiva che ha aiutato la super cattiva a sconfiggere i buoni.”
“D’accordo. Ti aspettiamo tutti di sotto.”
 
“Sorella, hai qualche rospo da sputare?” sbottò Klaus.
Rebekah lo fissava da quando era sceso in soggiorno, dopo il risveglio della strana ragazza.
“Solo un milione di domande da porti riguardo alla nostra ospite.”
“L’ospite può rispondere da sola.”
Artemis irruppe in cucina con tutti gli occhi puntati addosso. C’erano Freya, Klaus, una donna bionda e un uomo con la pelle scura.
“Io sono Marcel e lei è mia moglie Rebekah. Questa è casa nostra.”
“Io sono Artemis Dumont. Ah, la famosa Rebekah! Klaus mi ha parlato di te.”
“Spero sia state belle parole.” Disse Rebekah.
“Bellissime.” La rassicurò Artemis.
Freya, che era uscita sul patio per rispondere ad una chiamata, rientrò con le spalle ingobbite.
“Brutte notizie. Vincent mi ha appena detto che sono sparite diverse streghe del Quartiere.”
“Pessimo segno.” Commentò Marcel.
Rebus, pensò Artemis. Marie-Sophie aveva usato l’algebra come metafora della magia, poteva risultare un risvolto utile.
“Klaus, qualche tempo fa ti lamentavi del consiglio. Perché?” volle sapere Artemis.
“Perché è aumentato il numero di turisti scomparsi. Fino a ieri pomeriggio se ne contavano nove.”
“Le congreghe di New Orleans sono nove. Non penso sia una coincidenza.” Disse Freya.
Artemis si passò una mano fra i capelli arruffandoli più del solito. Max aveva ragione sulla fonte di magia che Miriam stava sfruttando.
“I turisti e le streghe sono scomparsi nello stesso arco di tempo. È opera di Miriam. Li vuole sacrificare per accrescere i suoi poteri.”
Il cellulare di Klaus continuava a vibrare sul tavolo, fino ad allora aveva ignorato ogni squillo ma le occhiatacce dei presenti lo obbligarono a rispondere.
“Pronto? Sì, sono io. È mia figlia. No. Lei sta dicendo che l’aereo è atterrato stamattina? Certo.”
Rebekah sobbalzò quando Klaus spaccò il cellulare sul pavimento, gli occhi iniettati di sangue come quando era sul piede di guerra.
“Nik, che succede?”
“Era l’aeroporto. Il volo di Hayley ed Elijah è atterrato stamani alle undici. Mi hanno chiamato perché sono riusciti a recuperare il bagaglio di Hope.”
“E quindi?”
Artemis intuì subito che stava per arrivare una notizia che si sarebbe abbattuta su di loro come un maremoto.
“Non riescono a contattare nessuno dei tre. Sono scomparsi.”
“Qualcuno ha preso Hope.” Disse Freya con voce rotta.
“Miriam ha preso Hope.” Precisò Artemis.
 
Freya arrivò mentre Artemis sistemava le ultime cose nel proprio zainetto.
“Artemis, noi stiamo andando a cercare Hope. Vieni?”
“No. Voi andate a cercare la vostra famiglia, nel frattempo io cercherò di capire che cosa ha in mente Miriam. Penso di poterci riuscire con l’aiuto di Vincent, infatti sto andando a casa sua.”
“Klaus …”
“Klaus deve concentrarsi su Hope, ed è giusto che voi tutti lo facciate. Se Miriam c’entra qualcosa con la scomparsa di tutte quelle persone, allora è mio dovere fermarla.”
Con grande sorpresa di Artemis, Freya l’abbracciò come avrebbe fatto una vera amica.
“Mi sono sbagliata su di te, Artemis. Sei una ragazza in gamba.”
“Alcune volte devo fingere di essere una adulta.”
Artemis sciolse l’abbraccio quando vide Klaus sulla soglia, l’espressione inferocita e delusa.
“Vi lascio da soli.” Disse Freya, defilandosi.
“Dunque non vieni con me.” disse Klaus in tono glaciale.
“Credo di aver capito come arrivare alla soluzione. Devo solo risolvere un rebus magico vecchio di millenni, e per farlo ho bisogno di uno esperto come Vincent.”
“Se Miriam ha fatto del male alla mia famiglia, a mia figlia, sappi che la ucciderò.”
Artemis deglutì, trattenendo i conati di vomito. Aveva fame ma al contempo avrebbe voluto rigurgitare tutti i dubbi e le paure per avere la mente libera.
“Lo so. La famiglia viene prima di tutto anche per me.”
Klaus fece un cenno di assenso con la testa, anche se in verità avrebbe voluto portarla con sé per tenerla al sicuro.
“Ho chiesto a Gabriel di accompagnarti a casa di Vincent. Sei un bottino prezioso che va protetto.”
“Ehilà, sono qui!” gridò Gabriel dal patio.
Artemis prese lo zainetto e si infilò una vecchia felpa col cappuccio bucato. Mentre si avvicinava alla porta, Klaus le circondò il polso con la mano.
“Sta attenta e non combinare guai.”
“Ci proverò. Sta attento anche tu. Tienimi aggiornata sulle ricerche.”
Klaus fece scontrare le loro mani fino a incastrare le loro dita in una presa salda. Non si guardavano in faccia, lei fissava la porta e lui la parete del letto.
“Ciao, Artemis.”
In un soffio l’Originale si era smaterializzato, lasciando le dita di Artemis ancora piegate in una stretta invisibile. Chiuse la mano con un sospiro. Quella partita doveva giungere alla fine e spettava a lei segnare l’ultimo goal.
 
Salve a tutti! ^_^
Marie-Sophie e Max si sono dimostrati validi aiutanti, lo capirete più avanti. Le cose si stanno facendo serie.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*Max Malini è davvero esistito, era un illusionista.

 

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Capitolo 8
*** Il rebus ***


8. IL REBUS

“Magia. L’arte di convertire la superstizione in moneta sonante.”
(Ambrose Bierce)


Artemis era affascinata dalla libreria di Vincent. Benché l’appartamento fosse di discrete dimensioni, gli scaffali pieni di libri occupavano ogni parete, persino quelle del corridoio. C’era ogni sorta di volume sulla magia, sugli elementi naturali, manuali di ipnosi e libri di fisica. Ogni stanza era impregnata di essenza di salvia bruciata. Le finestre erano bordate di sale. Era in tutto e per tutto la dimora di uno sciamano.
“E’ davvero un ambiente suggestivo.” Disse Artemis.
“Il perfetto antro di una strega.” Commentò Gabriel.
Vincent era andato in cucina a preparare la cena, secondo lui la magia era più comprensibile a stomaco pieno. Artemis non si era opposta, anzi la fame sembrava aver scavato un buco dentro di lei.
“Gabriel, dove nasconderesti una cosa importante?”
Il vampiro era stato incaricato da Klaus di sorvegliare la strega, quindi tanto valeva la pena avvalersi anche del suo aiuto.
“Di solito la gente nasconde qualcosa in bella vista proprio perché nessuno se lo aspetta, ma non credo sia il caso di Miriam. Lei avrà scovato qualche angolo buio e tetro e avrà inventato dei congegni mortali per difendere il luogo.”
“Questa città detesta Miriam, eppure lei è diventata sindaco.” Disse Artemis.
Gabriel si spaparanzò sul divano, le lunghe gambe penzolavano dai braccioli broccati.
“Perché ha truccato anche le elezioni. Tua sorella è davvero una perfida stronza, lo sanno anche Nathaniel e quel poverino di Andrew.”
“Sorellastra.” Lo corresse Artemis.
In quel momento Vincent entrò in salotto con un vassoio ricolmo di sandwich al prosciutto e tre bicchieri di limonata. Gabriel storse il naso alla vista della bevanda.
“Vado in macchina a prendere una busta di sangue. La limonata non è adatta al mio palato raffinato.”
Al contrario, Artemis si buttò a capofitto sui panini e sul drink dopo quasi ventiquattro trascorse da defunta. Vincent non aveva mai visto un essere umano cibarsi con tanta foga, ma del resto un prolungato stato di incoscienza richiedeva una sostanziosa ripresa.
“Al telefono dicevi che hai bisogno di me per risolvere un’equazione. Di che si tratta?”
“Mi riferivo alla magia. Quando ero morta ovviamente i miei antenati non si sono degnati di aiutarmi. Però due spiriti sono venuti in mio soccorso e mi hanno dato qualche dritta.”
“Gli spiriti sanno essere ingannevoli.” Le rammentò Vincent.
“Mi fido di questi spiriti. Inoltre, una dei due era sposata con un mio antenato. Comunque, lasciando stare la mia secolare famiglia odiosa, dobbiamo concentrarci sulle informazioni che abbiamo per elaborare uno schema.”
“Uh, mi piacciono gli schemi!” disse Gabriel.
Stava succhiando il sangue da una busta col marchio dell’ospedale come fosse un succo al pompelmo e non il sangue di qualche ignaro donatore.
“Stiliamo un elenco delle cose che sappiamo come punto di partenza.” Propose Vincent.
Liberarono il tavolo nella sala da pranzo in modo da avere tutto lo spazio necessario. Erano le due del mattino e il plenilunio si avvicinava sempre di più, dovevano sbrigarsi prima che la clessidra snocciolasse l’ultimo granello di sabbia. Mentre Vincent e Gabriel presero posto, Artemis rimase in piedi a fare su e giù per tutta la sala.
“Sei ansiogena.” Disse Gabriel.
“Sta zitto. Devo concentrarmi.”
Artemis si armò di penna e taccuino, la sua mente che ripercorreva a ritroso tutti gli eventi degli ultimi sei mesi. A partire dalla morte della madre scandagliò ogni episodio relativo alla magia, dal Messico a New Orleans, da Farid a Oscar. Il suo cervello elaborava i pensieri e la sua mano li scriveva sul foglio senza curarsi troppo di usare una bella grafia.
“Il gps di Miriam indica che sta uscendo dal comune.” Disse Gabriel.
Vincent si chinò sullo schermo e vide un pallino rosso che si muoveva in Jackson Square.
“Come hai fatto?”
“Prima di diventare un vampiro ero al secondo anno di informatica. Ci sono fare con la tecnologia.”
“Ci sono! Ho la lista!” esclamò Artemis.
Sbatté il taccuino sul tavolo facendo tentennare i bicchieri. Con l’indice puntò la lista che aveva abbozzato.
“Perché ci sono anche io nella lista? Io faccio parte della lega dei buoni!” obiettò Gabriel.
“Fai parte della lega dei cretini.” Replicò Artemis.
Vincent si sarebbe scolato tutto l’alcol del Rousseau anziché fare da babysitter a due creature sovrannaturali con la mentalità da quindicenni.
“Suvvia, bambini, fate i buoni. Spiegaci la lista.”
Artemis si sedette e rilesse rapidamente i punti dell’elenco per poterli spiegare in ordine cronologico e logico, o almeno così sperava.
“Sappiamo che Miriam ha cercato per anni i fogli di papiro perché voleva l’incantesimo di resurrezione per sua madre. Sappiamo che i suoi antenati non le permettono l’accesso al potere ancestrale per la magia nera, quindi ha rapito le streghe e i turisti per usarli come sacrificio in modo da potenziare la propria energia. Sappiamo che entro domani sera ha intenzione di attuare l’incantesimo sfruttando la luna piena.”
“Come ha ottenuto l’incantesimo?” domandò Gabriel.
“Grazie all’archeologo. Farid ha decifrato le pagine che Miriam ha ottenuto negli anni.”
Vincent lesse un’ombra nello sguardo della giovane strega, una sensazione spiacevole che spesso aveva colto lui stesso.
“Ma c’è qualcosa che non ti convince. Cosa?”
“Non riesco a capire perché non ha rubato le pagine che abbiamo comprato io e Klaus. Insomma, poteva entrare a casa Mikaelson sono un incantesimo potente, metterci tutti KO e prendere i miei fogli di papiro. Però non lo ha fatto. Perché?”
Nella sala da pranzo calò il silenzio, solo il piede di Gabriel che batteva a terra per il nervosismo scandiva i secondi. Vincent si diede un colpo in fronte quando realizzò di aver capito.
“Perché non le servono. Miriam già conosce l’incantesimo. Lei conosce ogni componente anche senza le tue pagine.”
“Sono proprio una stupida. Avrei dovuto capirlo prima! Ho sempre pensato di essere in vantaggio su di lei.”
Artemis era stata una sciocca a cadere nella trappola della sua sorellastra. Miriam l’aveva raggirata, l’aveva tenuta impegnata mentre escogitava i suoi piani. Si era presa gioco di lei come fosse una bambola di pezza da spostare di qua e di là.
Gabriel fece spallucce, l’espressione smarrita di un cucciolo abbandonato sul ciglio della strada.
“E allora perché sei ancora viva? Se Miriam pensa che tu sia inutile, perché non ti ha uccisa?”
“Perché Miriam ha bisogno di Artemis per qualche ragione.” Rispose Vincent.
“Per qualche oscura e orrida ragione” Disse il vampiro.
Artemis si afflosciò contro lo schienale della sedia, era sfinita sia nella mente sia nel corpo.
“Ha rapito la famiglia di Klaus perché vuole incanalarli. Sono tre creature forti, soprattutto Hope. Sfruttandoli come conduttori magici riuscirà a completare l’incantesimo in poco tempo.”
“Artemis, dobbiamo decifrare l’incantesimo prima del plenilunio.” Disse Vincent.
In quel momento il telefono della ragazza squillò, tagliando come un coltello la tensione nella stanza. Sullo schermo comparve il nome di Freya.
“Pronto? Avete novità?”
“Abbiamo trovato Hayley ed Elijah in un vicolo di Bourbon Street con il collo spezzato. Hope non è qui.”
“Hayley ed Elijah sono svegli? Hanno detto qualcosa?”
In sottofondo Artemis poteva sentire la voce rabbiosa di Klaus che abbaiava ordini ai suoi lacchè.
“Non hanno visto molto. Sono stati attaccati all’improvviso da due uomini. Un terzo uomo ha portato via Hope.”
“Capisco. Io e Vincent faremo il possibile. Ti richiamo appena ho notizie.”
Dopo che Artemis terminò la chiamata, contò fino a dieci per non gridare come una forsennata.
“Hanno preso solo Hope.” Spiegò Gabriel.
Vincent sospirò, non era giusto che una ragazzina venisse usata come un’arma magica per un incantesimo oscuro. Artemis nel frattempo aveva raccattato il suo zaino e il taccuino, la penna poggiata dietro l’orecchio destro.
“C’è un posto dove posso stare da sola? Devo pensare.”
“Puoi andare in terrazza. Ti lasceremo tranquilla.”
 
Artemis era decisa a smascherare i segreti di Miriam entro l’alba. Marie-Sophie le aveva dato un prezioso consiglio: studiare i fatti e studiare gli schemi. Max, inoltre, le aveva suggerito di eliminare l’ingrediente principale per attuare l’incantesimo.
“Okay, Artemis, pensa. Puoi farcela. Che la forza sia con te.” mormorò fra sé.
Ripescò dallo zaino tutti gli appunti che aveva raccolto nel corso delle sue ricerche e le foto che aveva scattato ai fogli di papiro. Accese il portatile e aprì la cartella dedicata allo studio del Libro dei Morti. Stando alle traduzioni di Lauren, vi erano svariati simboli: quello della forza e della violenza, quello della morte e del nemico, il simbolo dei metalli e del fuoco riguardavano gli ingredienti dell’incantesimo, e il simbolo del re che si riferiva ad Anubi indicava la presenza di anime defunte. A queste immagini si aggiungevano quelle del corteo religioso, la figura che emergeva dal buio e il peso della bilancia.
“Artemis, rifletti: è un incantesimo di resurrezione, perciò qualcuno deve morire e qualcuno deve vivere per mantenere l’equilibrio. Miriam deve uccidere una persona per riavere sua madre. Però il corpo di sua madre è ormai putrefatto, quindi è inutilizzabile. Poi … mmh, vediamo … ah, sì! C’è la questione dei sacrifici. Deve pur tenere i corpi da qualche parte, magari un edificio lontano dalla città.”
“Che cervello rumoroso.” Disse Gabriel.
Artemis lo fulminò con lo sguardo per aver interrotto il suo flusso di pensieri.
“Avevo chiesto di restare da sola. In solitudine riesco a riflettere meglio.”
“Klaus è qui.”
Quelle tre parole bastarono per mozzare il respiro della ragazza. Un ibrido sanguinario non era una buona cosa, specialmente se l’ibrido in questione era vecchio quanto il mondo e propenso alla violenza.
“Quanto è incazzato da uno a dieci?”
Gabriel ridacchiò, benché i suoi tratti fossero tesi per via della situazione critica.
“Direi venti.”
“Fallo venire qui. Preferisco tenerlo lontano da te e da Vincent.”
“Okay.”
Artemis si alzò e si spazzolò la salopette. Quando la porta della terrazza si spalancò, la luce del lampione illuminò il volto bestiale di Klaus. Era rabbia pura e cieca. Un lupo in cerca della sua preda.
“Klaus, come stai? Lo so ch-…”
“Hai trovato qualcosa di utile?”
Artemis rimase zitta, pietrificata dal tono di voce freddo e distaccato di Klaus. Non vi era più traccia dell’uomo galante e irriverente che aveva conosciuto.
“Ho scoperto ben poco. La mia ipotesi è che Miriam abbia portato i corpi delle streghe e dei turisti in qualche posto sconosciuto fuori città.”
“Ordinerò ai miei uomini di setacciare tutti gli edifici fuori da New Orleans. Altro?”
“Ritengo che Miriam abbia rapito Hope per usarla come conduttore di magia e amplificare i propri poteri.”
La mascella di Klaus si irrigidì fino all’estremo, tant’è che si sarebbero spaccate le ossa se fosse stato umano.
“Hope ha solo quindici anni. E’ innocente.”
Artemis inarcò il sopracciglio, una flebile lucina si stava facendo strada nella sua mente affollata da elucubrazioni.
“Cosa hai detto?”
“Che Hope ha quindi anni ed è innocente. Sei sorda?”
Mentre aveva ammirato la libreria di Vincent, Artemis aveva sorriso nel costatare che lo sciamano aveva letto il romanzo ‘L’età dell’innocenza’ di Edith Wharton. Ricordava di aver visto il film almeno una decina di volte con sua madre, quasi poteva recitarne a memoria il copione.
“Ma certo! La bilancia! Perché non ci ho pensato subito?”
Klaus si avvicinò e la scosse per il braccio affinché lo degnasse di attenzione.
“Che stai farneticando?”
“Ho capito adesso! Miriam ha bisogno di Hope perché è una ragazzina innocente. Le anime nell’antico Egitto dovevano superare la prova della bilancia. Se il cuore è più leggero della piuma, allora il defunto può proseguire. Hope ha il cuore puro e Miriam ha bisogno di lei come ingrediente principale.”
“Vuole il cuore di Hope per fare cosa?” chiese Klaus.
Artemis si grattò la nuca, indecisa se essere gentile oppure sputare fuori la verità come la fiamma di un drago.
“Sarò brutale ma sincera: vuole strapparle il cuore. Miriam ucciderà Hope per riavere sua madre. Una vita per una vita, la prima regola della negromanzia.”
Klaus chiuse gli occhi per incassare il colpo. Sembrava di avere un uncino ancorato alle costole che tirava e gli provocava indicibili sofferenze.
“L’anima di Hope verrà accettata perché il suo cuore è puro e pesa meno della piuma.”
Artemis gli toccò la guancia e gli sorrise per incoraggiarlo, non poteva lasciare che un padre afflitto se ne andasse a zonzo in cerca di vendetta.
“Possiamo ancora salvare Hope. Abbiamo altre dieci ore prima della luna piena. Riporteremo a casa tua figlia, te lo prometto.”
Klaus annuì, poi si abbandonò contro di lei per farsi abbracciare. Artemis gli accarezzò la spalla, assorbì la sua collera e la trasformò in determinazione. Manipolare le emozioni altrui era un valido aiuto.
“Lo comunico agli altri.”
“Sì, vai. Io raccolgo le mie cose e vi raggiungo.”
Klaus andò spedito verso la porta, poi di colpo si fermò e si voltò a guardare la ragazza. Sgranò gli occhi. Non c’era nessuno. Artemis era svanita nel nulla.
 
Artemis si risvegliò con un gran mal di testa. Il dolore le faceva addirittura pulsare le tempie. Molto lentamente mise a fuoco una parete curva e grigia. C’era puzza di bagnato dappertutto.
“Dannazione!”
“C’è qualcuno?”
Artemis balzò in piedi e solo allora si accorse di avere le mani legate da manette arrugginite. Dal buio venne fuori una ragazza, riccioli biondo cenere e grandi occhi chiari. Indossava una collana con il ciondolo a forma di ‘M’.
“Tu sei Hope. Grazie al cielo stai bene! Se potessi, ti abbraccerei.”
“Ci conosciamo?”
“Conosco tuo padre e più o meno tutta la tua famiglia. Il mio nome è Artemis.”
La ragazzina sembrò più rilassata, anche se tremava come una foglia. Là sotto faceva freddo, però di sicuro tremava anche per la paura.
“Tu sei quella che canta di notte? Zia Freya mi ha parlato di te.”
“Io cantavo di notte nel mio periodo emo, quando tuo padre e tua zia mi avevano rinchiusa in casa loro. Ah, bei tempi!”
Artemis fece un passo avanti e inciampò su una pietra, sbattendo il ginocchio sinistro sulla breccia. Hope immediatamente l’aiutò a mettersi seduta.
“Stai bene?”
“Un ginocchio sbucciato non ha mai ucciso nessuno. Sai dove siamo? Sembra una specie di grotta.”
“Non lo so. Ero svenuta quando mi hanno portata qui.” disse Hope.
Anche lei aveva i polsi ammanettati, la pelle sotto si stava iniziando a lacerare.
“Le manette mi sembrano eccessive.”
“Sono manette che bloccano la magia. Non possiamo fare incantesimi con queste.”
“Miriam ha pensato proprio a tutto.” borbottò Artemis.
“Tu sai chi ci ha rapite?”
Artemis allungò il collo e vide un pezzo di cielo attraverso una apertura in cima. Si stava facendo buio, pertanto Miriam stava allestendo i preparativi per l’incantesimo.
“Miriam è la mia sorellastra. Lunga storia. Hai visto qualche cadavere?”
“Intendi i diciotto corpi ammassati qui affianco? Purtroppo sì.” ammise Hope.
Diciotto corpi, nove turisti e nove streghe. Tutti multipli di tre, numero mistico per eccellenza; Artemis non sapeva se ridere per l’ironia sottile o piangere perché non c’erano vie di scampo.
 
Klaus avrebbe di gran lunga preferito un paletto nel cuore anziché sopportare lo sguardo imbestialito di Hayley.
“Smettila di guardarmi come se fosse colpa mia. Hope stava con te, eri tu che dovevi badare a lei!”
“Non ti azzardare a dare la colpa a me! Sei tu che hai portato una strega pazza a casa nostra. E’ colpa tua!”
Elijah sollevò una mano per stroncare sul nascere quel litigio furibondo. Le discussioni fra i genitori della nipote spesso erano finite con una rissa, la quale era meglio evitare in un contesto del genere.
“Siamo tutti qui perché vogliamo salvare Hope.”
“E Artemis.” Aggiunse Klaus.
“Non possiamo perdere tempo a salvare anche la tua cottarella, Nik.” Disse Rebekah.
Elijah prese un bel respiro, seppur inutile per un vampiro, e cercò di mantenere la calma.
“Salviamo sia Hope che Artemis. Qualcuno ha delle proposte che vuole condividere?”
“Io avrei qualcosa.” disse Kol tramite il computer.
Freya aveva videochiamato Kol e Davina per avere un loro parere, benché Klaus avesse grugnito come un maiale scuoiato all’idea.
“Non tenerci sulle spine, fratello. Sei estenuante.” Si lamentò Klaus.
Kol alzò gli occhi al cielo ma non replicò, non era l’occasione giusta per punzecchiarsi tra fratelli.
“I sacrifici richiedono un particolare tipo di terreno consacrato. New Orleans è piena di luoghi di questo tipo, però voi dite che non si trova in città. Esistono altri luoghi simili?”
Freya lanciò uno sguardo fuori e fu catturata dalla luna scintillante che si preparava a gonfiarsi in cielo come una bolla di sapone.
“Il Bayou è il luogo perfetto: sono stati compiuti diversi massacri di lupi mannari, la luna sorge proprio sopra le paludi ed ha una estensione sconfinata.”
“La luna illumina il Bayou, così diceva sempre mia madre.” Disse Davina.
Hayley rimuginò su quel detto, era una frase che le streghe ripetevano ad ogni luna piena come un mantra da ricordare. Era un monito a non avvicinarsi alle paludi.
“C’è un solo posto nel Bayou che viene illuminato dalla luna nelle notti del plenilunio: le grotte lungo i margini dei corsi d’acqua. Ci sono all’incirca venticinque grotte.”
“Andiamo a controllarle tutte.” Disse Klaus.
Si era incamminato verso i cancelli del palazzo quando si accorse che nessuno lo stava seguendo. Elijah, mani in tasca e sguardo serio, scosse la testa.
“Non cadere nel tranello, Niklaus. Miriam avrà usato la magia per occultare la grotta e per proteggerla. E’ una donna astuta.”
“A questo ci penso io. Posso annullare le protezioni.” Disse Freya.
Klaus sfoggiò un sorriso tenebroso, un diavolo che sghignazza prima di condannare un’altra povera anima.
“Andiamo a squarciare la gola di qualche strega.”
 
“Tu sai cosa sta facendo Miriam?” domandò Hope.
“Qualcosa che non dovrebbe fare. E’ magia nera.” Rispose Artemis.
“E’ molto peggio. Non è solo magia nera.”
Artemis squadrò la ragazzina con curiosità, sembrava saperne molto più di lei in materia magica.
“Cos’è?”
“Si chiama ‘Espressione’, è un tipo di magia che trae potere dal sacrificio. I sacrifici richiamano grandi forze oscure.”
“Lo hai imparato ad Hogwarts?”
Hope ridacchiò, un ricciolo biondo le ricadde sulla fronte e la faceva somigliare in maniera incredibile al padre.
“L’ho imparato alla scuola Salvatore di Mystic Falls. E’ lì che studio per imparare a gestire i miei poteri.”
“Damon ha aperto una scuola? L’ultima volta che l’ho visto era il proprietario di un bar.”
“Tu conosci Damon?”
Artemis si strinse nelle spalle, non amava rammentare quel lontano periodo in cui sua madre era ancora viva e la vita sembrava bella.
“Passavo ogni estate a Mystic Falls. Mia madre affittava la casa sul lago dei Gilbert. Abbiamo smesso di andarci quando avevo diciassette anni.”
“Perché?”
“Perché quella estate dovevo studiare per entrare al College e mia madre non voleva che io mi distraessi. Meglio così, non mi piaceva Mystic Falls.”
“Ti annoiavi a tirare sassolini nel lago?” scherzò Hope.
“Città di provincia significa vita di provincia. Io preferisco le grandi città.” Disse Artemis.
“Mio padre dice le stesse cose. Perché continui a guardarti intorno?”
Durante la conversazione Artemis aveva ispezionato ogni incavo della grotta. Il suo intento era capire come uscire prima che la luna fosse alta e piena. Fu proprio riflettendo sullo spicchio di luna mancante che ebbe l’idea peggiore di sempre.
“Hope, ti sei già trasformata in precedenza?”
“Sì. Ho innescato la trasformazione l’anno scorso. Perché?”
Gli ingranaggi del cervello di Artemis lavoravano il triplo dopo questa scoperta. Miriam aveva sbagliato i calcoli dell’equazione: se Hope si era trasformata in lupo significava che aveva ucciso qualcosa, pertanto non era più innocente. Un pensiero tetro fece seguito: se Hope era appena diventata inutile, Miriam l’avrebbe uccisa e avrebbe trovato un’altra persona dal cuore puro.
“Ha una riserva. Quella stronza ha una riserva.”
“Di che stai parlando, Artemis?”
“C’è qualcuno come noi? Qualcuno di vivo che Miriam ha rapito?”
Hope era stata deportata insieme ad una ragazza dai capelli neri e le guance incrostate di pianto. Lavorava per la sua famiglia ma non ricordava il nome.
“Sì, lei è … minuta, capelli neri e ha un marcato accento francese.”
“E’ Florie, l’umana che lavora per tuo padre. Miriam è sempre cento passi avanti.”
“Dobbiamo uscire da qui o almeno avvisare la mia famiglia, ma è impossibile con queste manette.”
Artemis si spremeva le meningi per trovare una soluzione, però l’unica cosa a cui pensava era l’odio feroce che provava per Miriam. Sacrificare diciotto persone, rapire e sfruttare una quindicenne e invocare un potere peggiore della magia nera erano azioni deplorevoli. Nei mesi passati era convinta che avrebbe fatto di tutto per riavere sua madre, invece adesso si rendeva conto che salvare una vita a discapito di altre mille era ingiusto. Sua madre non lo avrebbe mai accettato.
“La magia ha sempre una scappatoia, noi dobbiamo trovare il mondo di toglierci queste manette.”
Hope era il ritratto della disperazione. Rinchiusa in una grotta sul punto di essere ammazzata, era una esperienza che avrebbe angosciato chiunque.
“Non c’è una soluzione. Queste manette sono oggetti magici che appartengono alla mia famiglia da secoli, creati dalle streghe con l’aiuto di mio zio Kol. Lui adora la magia.”
Un’idea balenò nella mente di Artemis come un fulmine nella notte. Scoccò un sorriso complice alla ragazza.
“Il sangue, l’ingrediente mistico per eccellenza. Le streghe avranno canalizzato un grande potere per maledire tutti questi oggetti magici, e scommetto che hanno usato tuo zio Kol.”
“E io ho lo stesso sangue di Kol, quindi posso spezzarle.” Concluse Hope.
“Esattamente. Mi dispiace, Hope, ma devi procurarti un taglio sulla mano.” Disse Artemis.
Hope non fece una piega. Era abituata al dolore, sia fisico sia mentale, quindi un graffio non sarebbe stato la fine del mondo. Raccolse una pietra più o meno appuntita e si bucò il palmo della mano sinistra. Sfregò il sangue lungo tutta la catena delle manette. Pochi secondi poco si udì un ‘tic’, e i bulloni delle manette cedettero.
“Sei in gamba, Artemis.”
“Che dire, sono una maga della fuga!” replicò Artemis.
Hope si massaggiò i polsi arrossati, finalmente poteva sentire il potere fluire nelle vene come prima. Era una sensazione rigenerante.
“Ora che facciamo? Ti libero e scappiamo?”
Artemis aveva elaborato un piano assurdo che comprendeva il martirio. Per la prima volta in vita sua decideva di sacrificarsi per gli altri.
“Hope, ora dovrai ascoltarmi con attenzione. Tra un quarto d’ora la luna sarà piena e tu inizierai a trasformarti in lupo, dopodiché dovrai fuggire da qui e chiedere aiuto.”
“E tu come farai ad uscire?”
“Io non uscirò. Tu sei capace di controllare la trasformazione a piacere, quindi dopo essere scappata potrai tornare umana e avvisare la tua famiglia. Devi dire a Freya cosa sta succedendo, dalle diciotto vittime all’Espressione.”
Gli occhi di Hope erano umidi di lacrime. Non conosceva Artemis, però era ingiusto che una giovane donna si sacrificasse a tal punto per lei. Inoltre, era un’amica di famiglia.
“Artemis…”
“Non dire niente. Scappa e chiedi aiuto. Per favore, Hope. Non avremo altre occasioni.”
“D’accordo.”
 
Elijah percepiva la collera di Klaus camminandogli accanto. Erano da poco giunti nella palude del Bayou e si erano divisi per cercare le grotte. In testa al gruppo c’era Hayley che conosceva quel posto come le sue tasche, era lei a dettare gli ordini per battere il terreno.
“Allora, questa Artemis quanto conta per te?”
“Non tediarmi. Sono già irritato di mio, non vorrai girare il coltello nella piaga.” Disse Klaus.
“Voglio solo avere tutte le informazioni necessarie a salvare la sua vita. Lo sai che Hayley ucciderà chiunque si trovi in mezzo fra lei e Hope. Non vorrei che Artemis fosse una vittima.”
Klaus si voltò a guardare il fratello con il fuoco che gli bruciava negli occhi.
“Artemis è la figlia di Yvette Dumont, la ragazza che vendeva corallo in Bourbon Street. Era una mia carissima amica e confidava in me per proteggere sua figlia.”
Elijah studiò Klaus come fosse una cavia da laboratorio. La mascella contratta, le labbra contorte dalla rabbia, le mani serrate a pugno, e quel frenetico battito del cuore che lo tradiva.
“Artemis per te è solo questo? Sii sincero, Niklaus.”
“Potrebbe essere qualcosa di più. Io … io non lo so!”
Elijah, invece, lo sapeva eccome. Il modo in cui Klaus pronunciava il nome di Artemis, il tono caldo e affettuoso, e il modo in cui si rabbuiava quando parlavano di lei erano segni inequivocabili.
“Cerchiamo di salvare questa fanciulla che ha incantato il tuo cuore.”
 
La grotta fu inondata di luce bianca quando la luna si allargò fino a diventare una perfetta sfera in cielo.
“E’ il momento. Sai cosa devi fare. Ah, Hope.”
“Sì?”
“Evita di azzannarmi.” Si raccomandò Artemis.
“Farò del mio meglio.”
Hope si mise al centro, proprio sotto i fasci di luce che entravano tramite l’apertura del soffitto cavernoso. Il passaggio era stretto ma abbastanza grande perché lei riuscisse a superarlo nella sua forma da lupo.
“Hope, fammi anche un altro favore. Se le cose dovessero andare male, dì a tuo padre che lo champagne non era avvelenato.”
“Andrà tutto bene. Noi verremo a prenderti e lo dirai tu a mio padre.”
Un raggio lunare colpì la fronte di Hope, la pelle cominciò a bruciare e a sudare. La ragazzina si piegò sulle ginocchia e si preparò alla mutazione. Artemis trasalì quando le ossa di Hope si spezzarono una dopo l’altra, eppure lei non emanava un fiato. Pochi istanti e l’essere umano diventò un bellissimo lupo dal manto bianco. Gli occhi gialli guardarono Artemis, al che la strega si ritrasse per timore.
“Hope, vai!”
Con un balzo agile e sovrannaturale, il lupo si arrampicò lungo le pareti della grotta usando ogni spuntone come appiglio fino a quando non uscì dall’apertura. Gli ululati riecheggiarono per tutta la palude, l’eco di un’anima che esternava la propria selvaggeria.
 
Hayley riconobbe Hope senza indugio. Madre e figlia si incontrarono a metà strada.
“Hope, sono la mamma. Sono io. Sei al sicuro adesso.”
Dopo che l’istinto animale ebbe verificato la presenza della madre, Hope stramazzò per terra in forma umana. Rebekah la coprì con il proprio impermeabile e le tolse i capelli dalla fronte.
“Stai bene? Come ti sei liberata?”
“Sto bene. È stata Artemis ad aiutarmi, mi ha detto cosa fare per scappare.”
“Lei dov’è?” chiese Freya.
Hope fu rimessa in piedi da Rebekah ed Hayley, le tremavano ancora le gambe per la corsa.
“È rimasta lì, in una grotta verso nord. Ha detto che ci sono diciotto vittime da sacrificare…”
“Miriam ha fatto ricorso all’Espressione, lo sappiamo.” Disse Freya.
“Hope!”
Klaus strinse la figlia fra le braccia, le baciò la testa e le accarezzò i capelli pieni di foglie.
“Papà, così mi soffochi. Sto bene. Dobbiamo tornare indietro a salvare Artemis.”
“Tu adesso vieni a casa con noi. Non si discute, signorina.” Disse Rebekah.
Hayley annuì e abbracciò la figlia ancora una volta.
“Devi riposarti e devi restare fuori da questa storia. Saremo al sicuro con Rebekah e Marcel.”
“Promettetemi che salverete Artemis. Lei è una brava persona.”
“Hai la mia parola.” Asserì Elijah.
Poiché la parola di Elijah valeva quanto un contratto firmato, Hope accettò di seguire la madre.
“Papà!”
Klaus le sorrise, sebbene fosse molto preoccupato per la trasformazione che l’aveva stremata.
“Dimmi, tesoro.”
“Artemis ha detto che lo champagne non era avvelenato.”
Tutti erano confusi da quelle parole senza senso, mentre Klaus soffocò una risatina. Se lo champagne alla festa di Miriam non era corrotto da un filtro magico, ciò significava che il loro bacio era stato vero.
“Va a casa e riposa, Hope. Artemis sarà con noi quando ti sveglierai.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Siamo giunti allo scontro decisivo. Il piano di Miriam è davvero perfido, chissà cosa si inventerà Artemis per sconfiggere la sorellastra!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 9
*** Il sacrificio ***


9. IL SACRIFICIO

“Non esiste distinzione tra magia bianca e magia nera. Quando la magia funziona, è sempre opera del demonio.”
(Gabriele Amorth)

 
Artemis non ne poteva più di quell’aria satura di polvere. La grotta in cui era stipata era piccola, illuminata solo dalla luna che galleggiava in cielo nella sua versione piena. La salopette di jeans era strappata sulle ginocchia e l’orlo di una gamba cadeva a brandelli. Si sentiva come un animale in gabbia, stanca, affamata e irritata. Ad un certo punto l’ululato di Hope si era interrotto, quindi due erano le possibilità: o era riuscita a contattare i Mikaelson oppure era stata uccisa.
“Ucci, ucci, sento odore di streguccia!” canticchiò una voce.
Artemis rabbrividì, sembrava l’inizio di una favola dell’orrore. Dal corridoio naturale della grotta sbucò Miriam, vestita di nero da capo a piedi e con i capelli castani legati in un perfetto chignon. Il naso all’insù era così simile al suo che Artemis solo ora ricordava a se stessa che quella era sua sorella.
“Sei venuta a uccidermi? Era ora!”
Miriam ghignò, sebbene gli angoli della bocca fossero tesi come cavi elettrici.
“L’umorismo è un meccanismo di difesa, sai. Diciamo cose stupide quando abbiamo paura.”
Artemis fece spallucce, non avrebbe mostrato un briciolo di timore davanti a quel mostro.
“Tu credi che io abbia paura? Peccato per te, non hai vinto un milione di dollari!”
“Lo hai fatto ancora: usare l’ironia per proteggerti. Sei una creatura così semplice e banale.”
“Almeno non sono una psicopatica che rapisce la gente.”
“Però sei tanto audace da voler resuscitare tua madre.” Replicò Miriam.
Quel colpo andò a segno, tant’è che Artemis digrignò i denti per la rabbia.
“Non parlare di mia madre.”
“Altrimenti? Non puoi fare niente con quelle manette. La fuga di Hope era calcolata.”
Miriam si appoggiò alla parete e osservò la sua sorellastra che si dimenava per sganciare le manette.
“Tu sapevi che Hope sarebbe scappata?” chiese Artemis.
“Lo avevo previsto. È una Mikaelson, il suo sangue può sciogliere l’incantesimo delle manette per via del suo legame con Kol.  Speravo solo che non venisse a saperlo, ma non importa. Non sono una sprovveduta. Niente e nessuno rovinerà i miei piani.”
Artemis brancolava nel buio adesso. Se Hope doveva essere usata come conduttore magico, ora chi avrebbe preso il suo posto? Miriam aveva curato ogni singolo dettaglio, le sue mosse erano imprevedibili.
“Ora che non puoi usare il cuore di Hope per la bilancia, come farai?”
Miriam ridacchiò, trovava divertente l’ingenuità della sorellastra mescolata ad una sana dose di ignoranza in campo magico.
“Io ho ascoltato la vostra conversazione. Quando ho sentito che Hope ha già ucciso e che il suo cuore non è più puro, ho cambiato strategia. Ho una riserva.”
“Florie, lo so.” Disse Artemis.
“Oh, ma la nostra streghetta ha un briciolo di cervello. Straordinario!” la derise Miriam.
Era troppo spavalda, notò Artemis, e ciò significava che la sua strategia era davvero perfetta. C’erano ancora punti che lei non riusciva a ricongiungere. Al puzzle mancavano dei pezzi.
“E io che ci faccio qui? Hai le streghe e i turisti per il sacrifico. Hai Florie come riserva per il cuore innocente. Io che c’entro?”
Miriam si accarezzò il mento, un sorriso compiaciuto aleggiava sulle sue labbra coperte dal rossetto color malva.
“Tu sei un incrocio, ovvero una strega nata da due congreghe diverse. Questo ti rende particolare, sei più potente delle altre streghe. Hai già scoperto il tuo potere speciale?”
Artemis sapeva che si stava riferendo alla manipolazione delle emozioni, ma non avrebbe spifferato alla sorella malvagia le sue capacità. Mantenne la voce distaccata quando rispose.
“Non ancora. Freya cercava in tutti i modi di capirlo.”
“Mi stai dicendo che Vincent Griffith non ha ancora capito la tua specialità? Strano. E sì, ti ho spiata e conosco tutti i tuoi spostamenti.”
“Non avevo dubbi.” Replicò Artemis, stizzita.
Miriam fece spallucce, non le importava il disprezzo di Artemis, ormai tutti in città non la sopportavano.
“Conosci l’Espressione?”
“Intendi la robaccia più oscura della magia nera? Ne so poco.” Rispose Artemis.
“Tu proprio non sai nulla di magia. Credevo che tua madre ti avesse insegnato qualcosa.”
Artemis trattenne un grugnito alla menzione della madre, ancora non riusciva a metabolizzare la sua assenza. Yvette le aveva impartito le lezioni basilari della magia, come trarre energia dalla natura, come accendere e spegnere il fuoco, come localizzare qualcuno, come occultare qualcosa, ma non le aveva mai spiegato i segreti pericolosi. Artemis aveva appreso nozioni di magia nera e negromanzia da sola, studiando i libri dei suoi nonni. L’Espressione era una di quelle conoscenze di cui non aveva mai sentito parlare.
“Mia madre mi faceva praticare poca magia. Temeva che ci avrebbero scoperte se avessi usato i miei poteri.”
“Io ti ho scovata proprio così.” Disse Miriam.
“In che senso?”
Artemis non ricordava di aver mai conosciuto Miriam in precedenza. Aveva conosciuto suo padre a Mystic Falls sotto falso nome, ma la sorella e il fratello erano una novità assoluta.
“Circa otto mesi fa hai fatto un incantesimo per la tua amica Lauren. Te lo ricordi?”
“Non sono stata io. E’ stata mia madre. Lauren era stata derubata, perciò mia madre ha fatto un incantesimo di protezione su di lei. Ma questo che c’entra?”
“La tua mammina ha usato un amuleto per fare l’incantesimo. Beh, quell’amuleto apparteneva a mio padre e io lo stavo localizzando da anni. Quando tua madre ha attivato la protezione, io sono riuscita a localizzare l’amuleto.”
Artemis fece due calcoli: se Miriam aveva rintracciato l’amuleto, allora aveva rintracciato anche lei e sua madre. E se Miriam aveva trovato sua madre…
“L’hai uccisa, vero? Hai ucciso mia madre.”
Le labbra di Miriam si aprirono in un sorriso radioso. Annuì e fece un mezzo inchino.
“Vero. Tua madre meritava una punizione da ventitré anni. La mia congrega da tempo aveva sancito la sua pena, era compito mio attuarla. Uccidere tua madre è stato catartico.”
Artemis non poteva reggere quel colpo. Si afflosciò contro la parete fino a lasciarsi cadere per terra. Le lacrime le gonfiarono gli occhi e poi le rigarono le guance. Era come se sua madre stesse morendo una seconda volta.
“Io ti ammazzerò. Giuro su mia madre che ti strapperò il cuore con le mie mani.”
Miriam scoppiò a ridere, ricevere minacce da una ragazza in lacrime era patetico.
“Non preoccuparti, sorellina. Fra poche ore sarai morta anche tu e potrai ricongiungerti con quella traditrice di tua madre.”
 
Klaus scalciò l’ennesimo ramo con uno sbuffo. Stavano girando in lungo e in largo alla disperata ricerca di una traccia che li conducesse alla fantomatica grotta. Freya camminava tenendo gli occhi incollati alla terra come un segugio che annusa le tracce.
“Da questa parte.”
“Lo dice il tuo sesto senso?” la rimbeccò Klaus.
“Niklaus, ti prego di essere gentile con nostra sorella.” Disse Elijah, calmo.
Freya camminava a passo felpato, attendeva che la natura le sussurrasse all’orecchio. Peccato che per ora l’unico rumore fossero i gufi.
“Andiamo a destra.”
Klaus non tollerava più quella lentezza, era una tortura psicologica che gli faceva accapponare la pelle per il nervosismo.
“C’è una cosa che ancora non capisco. L’Espressione usa tre sacrifici che formano il cosiddetto ‘triangolo dell’Espressione’. Abbiamo le streghe e i turisti rapiti, ma quale sarebbe il terzo punto caldo?”
Freya e Kol ne avevano già discusso ed entrambi erano giunti alla stessa conclusione, una triste rivelazione che odorava di morte.
“E’ Artemis. Lei è un incrocio e quindi ha poteri speciali, questo la rende un potente essere soprannaturale. E’ il sacrifico perfetto.”
“Troverò Miriam e la ucciderò.” Sbottò Klaus.
Freya si arrestò di colpo, la pelle prese a formicolare come se fosse collegata ad un cavo elettrico.
“L’incantesimo di occultamento inizia da qui. Devo incanalare uno di voi per spezzarlo.”
Elijah fece un passo avanti e tese la mano verso la sorella.
“Mi offro volontario. Niklaus andrà per primo, noi lo raggiungeremo in seguito.”
“Va bene.” Acconsentì Klaus.
Freya strinse la mano di Elijah e con l’altra affondò le dita nella terra. La magia crepitava sotto la superficie, poteva sentirla vibrare in ogni fibra del corpo. Chiuse gli occhi e si concentrò sull’assorbimento dell’incantesimo. Il braccio si infiammò mentre le dita si contorcevano nel terriccio. Pochi istanti dopo crollò addosso ad Elijah, che la strinse fra le braccia.
“Klaus, vai. Vai!” lo incitò Freya.
Elijah vide il fratello scorrazzare fra gli alberi grazie alla super velocità da vampiro. Aiutò Freya a rimettersi in piedi, tenendola stretta a sé per non farla cadere.
“Niklaus sembra molto coinvolto da questa Artemis.”
“Klaus ha un debole per le donne di carattere.”
“Speriamo che questa ragazza non gli spezzi il cuore.” Mormorò Elijah.
 
Artemis fu scaraventata per terra senza alcuna cura. Usò i gomiti per impedirsi di sbattere la faccia contro il pavimento difforme della grotta. Questo spazio era più grande, doveva trattarsi dell’ambiente principale da cui si dipartivano le altre grotte minori. Al centro c’era un altare di pietra bianca, tipico dei rituali. Accanto vi era un piccolo monolite su cui erano esposti una bilancia, un coltello e una ciotola di terracotta.
“Lugubre.” Commentò sotto voce.
“Sta zitta.” Le ordinò un tizio calvo con i baffi neri.
Era un membro della Congrega Lyra, uno dei fedelissimi di Miriam. Si sedette su un masso e si asciugò le lacrime, alcune si erano già seccate sulle guance. Una donna sulla quarantina entrò nella grotta a passo spedito, gli occhi verdi erano adombrati dalla preoccupazione.
“Billy, qualcosa non va. L’incantesimo di occultamento si è sciolto. Siamo esposti adesso.”
L’uomo con i baffi si irrigidì e guardò verso l’ingresso della grotta come se qualcuno potesse balzare fuori da un secondo all’altro.
“Io avviso Miriam, nel frattempo tu usa le rune come protezione.”
La donna annuì e sparì in una grotta secondaria, tornando poco dopo con un gesso bianco in mano. Artemis non capiva cosa stesse facendo, soltanto ora si rendeva conto che sua madre le aveva fornito una scarsa educazione magica.
“Che stai facendo? Perché le rune?”
La donna la guardò di sbieco come se avesse bestemmiato. Terminò di tracciare un simbolo prima di passare ad un'altra runa.
“Che razza di strega non sa a cosa servono le rune?”
“Una che ama farsi gli affari suoi.” Disse Artemis.
“Le rune servono come difesa. Nessuna creatura mistica può oltrepassare le rune, ecco perché le usiamo quando l’occultamento non funziona.”
Artemis si appuntò in mente quella nuova nozione. Se fosse uscita viva da quella grotta, promise a se stessa che avrebbe studiato ogni libro di magia senza tralasciare neanche una minuzia. Era impreparata e questo poteva costarle la morte.
“Preparate tutto! Svelti, non c’è tempo da perdere!” stava abbaiando Miriam.
Dalle grotte circostanti sbucarono altri membri della Congrega Lyra, erano all’incirca una trentina ed erano divisi in gruppi. Un gruppo scortava i turisti, un gruppo scortava le streghe e un gruppo trascinava Florie. Un lampo di luce argentata colpì il pavimento naturale della grotta: la luna era alta e illuminava il Bayou. Il rituale poteva avere inizio.
“Miriam, sento che i vampiri si avvicinano.” Disse uno sciamano dalla pelle ambrata.
Artemis fu felice per un breve istante, poi si ricordò che le rune avrebbero impedito l’accesso a chiunque. Era giunta la sua ora.
“Preparate la ragazza umana. L’altare deve essere impeccabile. E preparate anche Artemis, disponetela al vertice.”
Billy, l’omone calvo ma con dei baffi curatissimi, strattonò Artemis spingendola fino al centro della grotta. La luce della luna era così intensa che la ragazza dovette ripararsi gli occhi con la mano.
“Che fate ora? Mi sgozzate come una capra sacrificale? Piuttosto barbaro.”
“Chiudi la bocca.”
I gruppi si mossero in contemporanea, sembrava una strana danza macabra. Le streghe e i turisti rapiti furono collocati a tre metri di distanza, allineati all’altare.
“State costruendo un triangolo. Perché?” chiese Artemis, curiosa.
Billy la posizionò al centro fra le streghe e i turisti, a separarli vi era solo il marmo lucido dell’altare. Lei costitutiva il vertice di quella piramide mortale.
“Perché è così che funziona l’Espressione: tre sacrifici per formare un triangolo.”
Artemis comprese che il triangolo attirava l’energia dei sacrifici e la donava al carnefice.
“Io da sola valgo quanto nove persone?”
Billy le diede un calcetto dietro il ginocchio sinistro per costringerla a inginocchiarsi.
“Tu da sola vali quanto cinquanta persone. Sei un incrocio, una potete anomalia nel mondo delle streghe. Tu da sola basti e avanzi come sacrificio.”
Artemis sospirò, l’idea di essere sgozzata e di sanguinare in una grotta durante il plenilunio non rientrava neanche nei suoi incubi peggiori.
“Fantastico. L’unica volta che posso essere speciale servo per un sacrificio. La triste storia della mia vita.”
“Parli troppo.” Bofonchiò Billy.
“Mi capita quando sono agitata. Sai com’è, sono la punta di un iceberg di sangue!”
Billy non la degnò di una risposta, si voltò e raggiunse Miriam chissà dove.
“Sei uguale a tua madre. Avete lo stesso vizio di parlare quando non è richiesto.”
Artemis guardò la donna che aveva parlato, si trattava di una signora di circa settanta anni con rubino enorme al collo. Era una delle streghe del sacrificio.
“Che ne sai tu di mia madre?”
“Ne so molto. Io sono Lydia Chevalier, il capo della Congrega del Corvo. Tua madre faceva parte della mia Congrega.”
“Una Congrega del cazzo, oserei dire.” Asserì Artemis, rabbiosa.
Klaus le aveva spiegato che le streghe di New Orleans erano attaccate alla tradizione e che millantavano un ideale ispirato alla purezza, che in parole povere denotava un certo odio fra razze sovrannaturali.
“Sei una ribelle come tua madre. A proposito, dov’è?”
“E’ morta sei mesi fa. Ora tu e i tuoi accoliti sarete contenti.” Ringhiò Artemis.
Lydia abbassò lo sguardo, una lacrima le bagnò la guancia e cadde sul rubino.
“Come è capitato?”
“Miriam l’ha uccisa perché meritava di essere punita a dovere. Secondo le regole di voi streghe fanatiche, mia madre doveva soffrire per essersi innamorata di Oscar Cooper. Ora sarete tutti felici che lei abbia pagato dopo ventitré anni.”
Artemis aveva sentito la propria voce vacillare ma si costrinse a non piangere. Doveva tenere duro, indossare la corazza e fingersi sicura.
“Sono molto dispiaciuta. Volevo bene a Yvette, era intelligente e coraggiosa. Ero convinta che un giorno avrebbe preso il mio posto a capo della Congrega.”
“Invece ha preso posto sotto terra.” Disse Artemis con tono glaciale.
Lydia trasalì ma rimase composta, come del resto lo era la perfetta treccia di capelli bianchi.
“Le cose sono cambiate negli anni. Adesso non siamo più rigidi come una volta. Quelle regole obsolete non valgono più.”
“Non me ne frega niente. Le vostre regole del cazzo hanno ucciso mia madre. Voi siete responsabili quanto Miriam.”
“Oh, bene. Vedo che vi siete finalmente conosciute!” esclamò Miriam.
Ora al suo fianco c’era il marito Andrew, sempre pallido e sconsolato come quando Artemis lo aveva conosciuto.
“Mi uccidi oppure dobbiamo aspettare ancora molto?” sbottò un giovane turista.
Miriam si voltò verso di lui con sorriso felino, una tigre pronta ad addentare la preda.
“Visto che siete così impazienti, possiamo cominciare.”
“Potevi anche stare zitto, imbecille.” Lo attaccò Artemis.
Le persone rapite erano perlopiù svenute, Miriam li teneva a bada grazie a piante soporifere. Solo Artemis, Lydia e quel giovane turista erano svegli.
“Mi chiamo Franz, non ‘imbecille’.”
Artemis lo trafisse con un’occhiata, era assurdo che tenesse a fare quella precisazione in punto di morte.
“Di cognome fai ‘permaloso’, eh?”
Trascorsero i minuti successivi in silenzio. Miriam aveva fatto portare un baule nella grotta e ora stava estraendo un faldone di fogli. Artemis riconobbe subito i fogli di papiro. La sorellastra sfogliò le pagine con attenzione, gli occhi che si assottigliavano riga dopo riga.
“Non guardarmi così, Artemis. È merito tuo se ho trovato l’incantesimo.”
Miriam sventolò un foglio di papiro strappato su un lato, era quella la pagina rubata di cui aveva parlato Lauren.
“Tu mi volevi a New Orleans. Hai fatto di tutto pur di attirarmi.” Disse Artemis.
“Hai presente il tizio che ti ha messo in contatto col mercato nero messicano? Era un mio amico sciamano che mi doveva un favore. L’ho pagato bene per ingannarti.”
Miriam tornò a leggere la formula magica, chiuse gli occhi e la ripeté a mente.
“Da quanto tempo sei in possesso di quell’incantesimo?”
“Da circa un anno. Una pagina del Papiro di Ani si trovava nelle mani di un collezionista di Londra. Mi è bastato andare in Inghilterra, ucciderlo e prendere la pagina.”
Artemis emise un verso di disgusto. Miriam parlava di omicidio come se berciasse del tempo soleggiato. Un pensiero balenò nella mente di Artemis, un fattore che fino ad allora non aveva considerato.
“Tua madre è morta ventitré anni fa, il suo corpo è ridotto ad un mucchio di ossa spolpate. Non è un corpo adatto per un incantesimo di resurrezione.”
Miriam sorrise, il suo cervello diabolico aveva fatto i conti anche con quel dettaglio.
“Qui entra in gioco un’altra pedina.”
Da una grotta laterale uscì Billy che scortava due ragazze: una era Florie e l’altra era sconosciuta.
“Vuoi sterminare tutta New Orleans?”
Artemis adesso aveva davvero paura. Miriam era capace di tutto, non aveva nessun timore di essere crudele e la sua congrega le ubbidiva come un branco di cani addomesticati.
“Soltanto le persone sacrificabili. Insomma, senza cittadini non potrei essere la sindaca!”
Miriam ridacchiò e tornò a sfogliare il faldone di papiro, ogni tanto mormorava qualche parola e dava un’occhiata alla luna.
“La cassa è arrivata.” Annunciò Billy.
“Portatela dentro.”
Miriam si sfregò le mani come se fosse sul punto di metterle su un ricco bottino. Artemis non capiva a cosa servisse una cassa, non pensava fosse fondamentale per il rito. Con orrore scoprì che la cassa in questione era una bara di legno nero lucido, sul coperchio sfoggiava una applique d’argento a forma di giglio francese.
“Apritela!” ordinò Miriam.
Quando Billy e un altro sciamano tolsero il coperchio, la puzza infestò l’intera grotta. L’odore acre della putrefazione aleggiava sopra le loro teste come la spada di Damocle. Artemis sentì i conati di vomito risalirle lungo l’esofago, quindi chiuse gli occhi e respirò a fondo per non rigurgitare i sandwich di Vincent.
“E adesso?” chiese Billy, il naso coperto dalla mano.
Miriam accarezzò le ossa della madre, la pelle degli zigomi era scomparsa lasciando in mostra solo nere cavità.
“Disponete il corpo sull’altare e preparate Bella.”
Artemis guardò la ragazza accanto a Florie e capì che si trattava della fidanzata di Nathaniel. Aggrottò la fronte per il disgusto.
“Nathaniel sa che stai per sacrificare la sua fidanzata?”
“Certo che lo sa. E’ lui che si è offerto di usare il corpo di Bella.” Disse Miriam.
Klaus aveva assicurato ad Artemis che i sentimenti di Nathaniel erano reali, perciò quel repentino cambio di idea era sconvolgente. Se il fratellastro era disposto a rischiare la vita di Bella, allora per lei non c’era nessuna speranza di salvezza.
 
Klaus aveva setacciato una decina di grotte, nessuna era quella giusta. Aveva intercettato l’odore di Hope e stava seguendo la scia nel tentativo di trovare la via.
“Ma che diavolo…”
Un tanfo di morte gli fece contorcere le budella. Da qualche parte c’era un cadavere decomposto che emanava quell’olezzo terribile. Artemis aveva detto che per l’incantesimo serviva il corpo della defunta, pertanto quello doveva essere il corpo di Dana Cooper. Si mise sulle tracce del tanfo e, dopo una ventina di metri, raggiunse una parete rocciosa non molta alta. L’odore putrefatto si mescolava con quello di Hope. Era la grotta giusta.
“Finalmente sei qui. Avevo perso le speranze.”
Nathaniel se ne stava davanti ad un buco con la torcia in mano, le fiamme gli facevano brillare gli occhi castani.
“Artemis è dentro?”
“Sì, insieme ai sacrifici e al corpo di mia madre. Tutto bene con Florie?”
“Tutto benissimo.” Disse Klaus.
Lui e Nathaniel si erano messi d’accordo poche ore prima e Florie era il cavallo di Troia che avevano sfruttato per l’occasione. Bella, invece, era solo una distrazione.
“Seguimi. Il rituale inizierà fra pochi minuti.”
I due uomini entrarono nella grotta e camminarono a passo svelto in direzione dello spazio centrale. Klaus poteva sentire almeno una cinquantina di cuore battere e di polmoni respirare. Si concentrò per individuare quello di Artemis. Il suo cuore aveva un suono particolare, simile al fuoco scoppiettante del camino. Sospirò di sollievo quando alle sue orecchie giunse quel rumore familiare.
“Artemis è viva.”
“Non per molto.” Disse Nathaniel, cupo.
 
Artemis non riusciva a guardare l’altare. Dana Cooper era un ammasso di ossa, carne sfilacciata e vestiti strappati. Era uno spettacolo atroce. Avrebbe avuto gli incubi per sempre, ammesso che ne fosse uscita viva.
“Fate sdraiare Bella per terra e copritela con un lenzuolo.” Comandò Miriam.
Bella fu adagiata per terra, i capelli color grano in netto contrasto con il terriccio nero, e fu coperta da un telo di seta bianca. Era ancora svenuta, stordita dalle piante soporifere usate da Miriam.
“No! No!” protestò Florie.
Billy la stava strascinando per i capelli verso l’altare, un boia pronto a stroncare la sua gioventù. Artemis ripeté il consiglio di Marie-Sophie: eliminare l’ingrediente principale. Il cuore di Florie era quell’ingrediente, ogni battito l’avvicinava alla bilancia.
“Lasciala stare. Miriam, ti supplico!” pregò Artemis.
“Arriverà anche il tuo turno. Aspetta ancora un po’.” disse Miriam.
Florie aveva paura, Artemis lo sentiva fin dentro le vene. Trasalì quando la ragazza la guardò dritto in faccia con determinazione.
“Io, io sono niente. Senza vita. Senza anima.”
Artemis impiegò qualche secondo ad elaborare quella frase in apparenza senza senso. Erano le parole che Dracula pronunciava nel film del 1992 ispirato al romanzo di Bram Stoker. Conosceva a memoria quel film, lei e Lauren lo avevano guardato e riguardato solo per ammirare la bellezza di Keanu Reeves. Solo una persona sapeva che lei un mese prima aveva guardato ‘Dracula’ per l’ennesima volta; quella persona era Klaus. Era un messaggio per lei.
“Muoviti.” Disse Miriam, spazientita.
Florie gettò un’occhiata fulminea ad Artemis che pareva proprio un avvertimento.
“Senza vita, Artemis! Senza vita!” gridò Florie.
Fu allora che Artemis colse il messaggio criptico: Florie era pallida e sudava, si guardava intorno con gli occhi lucidi. Era in transizione.
“Eliminare l’ingrediente principale.” Mormorò fra sé.
Artemis era costretta a prendere una decisione che le sarebbe costata cara. Ripensò a sua madre, al suo sorriso contagioso, alle sue ultime parole. Lottare contro la paura, ecco il segreto della vita.
“Mi dispiace, mamma. Mi dispiace.”
“Ma che stai dicendo? Sta zitta!” sbraitò Miriam.
Florie annuì e Artemis capì che era il momento di porre fine a quella follia. Si alzò di scatto e si lanciò verso l’altare. Miriam vacillò all’indietro, sorpresa da quell’azione improvvisa.
“Fermatela!”
Era troppo tardi. Artemis usò la catena delle manette per circondare il collo di Florie. Tirò la corda con tutta la forza fino a spezzare le ossa. Florie cadde a terra con il collo storto, l’osso quasi sbucava da sotto la pelle.
“No! No! No!”
Miriam si gettò sul corpo esamine di Florie per tastare il polso, ma ormai non c’era più battito. Artemis sorrise con fare meschino, finalmente aveva guadagnato terreno.
“Florie si risveglierà come vampiro. La sua anima è stata corrotta dalla trasformazione. Hai perso il tuo cuore innocente.”
Nello sguardo di Miriam baluginò un’oscurità che Artemis non aveva mai visto. La sorellastra con una mano la scaraventò contro la parete della grotta.
“Sono ancora in tempo per trovare una soluzione. Il posto è protetto dalle rune. Sai che vuol dire? Che la grotta resterà difesa fino a quando Megan sarà qui dentro.”
Artemis capì che Megan era la donna dagli occhi verdi che aveva tracciato le rune.
“Io lo so.” Tuonò la voce di Nathaniel.
Miriam mollò la presa su Artemis e si voltò verso il fratello. Nathaniel stringeva la mano attorno alla gola di Megan.
“Non oserai sfidarmi. Non sei così sciocco, Nathaniel.”
“Hai rapito Bella, hai riesumato il corpo decomposto di nostra madre, vuoi sacrificare tutte queste persone. Sei tu che stai sfidando la pazienza di questa città, sorella.”
“Non farmi del male, ti supplico.” Piagnucolò Megan.
“Non ti farà del male. Nate è troppo tenero per compiere un tale scempio.” Disse Miriam.
Artemis nel frattempo si era messa seduta e si massaggiava la schiena dolorante. Non riusciva a muoversi, ogni muscolo sembrava andare a fuoco per il dolore. Bella si era svegliata e la guardava con preoccupazione.
“Stai bene? Ce la fai a muoverti?”
“Mi fa male la gamba.” Rispose Artemis a fatica.
Bella cercò di strisciare verso di lei, per fortuna Billy era troppo concentrato su Nathaniel per accorgersene.
“Credo che la tua gamba sia rotta.”
“Grandioso. Mi rompo una gamba durante l’apocalisse.” Sbuffò Artemis.
“Per questo dobbiamo andarcene il prima possibile. Idee?” chiese Bella.
Artemis soffocò il dolore, doveva restare focalizzata sulla risoluzione del rebus. Max le aveva consigliato di rimuovere l’ingrediente principale ma Miriam non era rimasta sconvolta più di tanto. Come aveva detto Marie-Sophie, si tratta di considerare gli schemi. Artemis fece vagare gli occhi di qua e di là in cerca di quegli schemi, e li vide tutti con chiarezza.
“Dobbiamo bruciare il corpo di Dana. Senza quello l’incantesimo di resurrezione è impossibile.”
Bella guardò la bara con una smorfia di disgusto. Le arterie secche, i muscoli sfilacciati e sangue rappreso non erano una bella vista.
“Come facciamo? Miriam indebolisce i poteri delle streghe con le piante. Tu hai le manette.”
Artemis fece un mezzo sorriso: Nathaniel reggeva una torcia.
“Daremo fuoco alla bara nella vecchia maniera. Dobbiamo distrarre Miriam.”
Intanto Miriam stava roteando gli occhi per la centesima volta.
“Adesso basta, Nate. Tra venti minuti la luna si sposterà e io non potrò più praticare l’incantesimo. Mi stai facendo sprecare tempo prezioso con le tue chiacchiere.”
“Quella non è tua madre.” Disse una voce.
Miriam fece scattare la testa di lato e vide Klaus Mikaelson nel corridoio che conduceva alla grotta. Per fortuna non poteva andare oltre grazie alle rune di protezione.
“Certo che è mia madre. L’ho riesumata dalla nostra cappella di famiglia.”
Klaus rise, il suono riecheggiò nello spazio vuoto del corridoio.
“Oscar è un abile bugiardo. Tuo padre vi ha nascosto molte cose.”
“Lui ha ragione. Ascoltalo.” Disse Nathaniel.
Miriam fece oscillare gli occhi fra i due, ora era confusa e non sapeva come controbattere.
“Perché mio padre avrebbe mentito?”
“Il corpo di tua madre è stato cremato dopo il funerale.” Spiegò Klaus.
“Frottole! Nate, come puoi credergli?”
Nathaniel avanzò di un passo, non voleva che la sorella si allontanasse da lui.
“Nostro padre me lo ha confermato. Tu stai per resuscitare la mamma e lui dov’è? Non ti sembra strano che non sia presente?”
Miriam abbassò lo sguardo, un cucciolo smarrito e accecato dai fari della verità.
“Lui è a casa al sicuro. Non voleva che Artemis gli facesse del male.”
“No, Miriam. Nostro padre ha preso un volo per il Giappone due ore fa. Non voleva che tu scoprissi l’inganno.”
“No. Lui… lui…” balbettò Miriam.
Klaus allungò il collo e vide Artemis rannicchiata dall’altra parte, con lei c’era Bella che l’aiutava a mettersi seduta.
“Fidati di tuo fratello, Miriam. Oscar ha cremato vostra madre per evitare di farla tornare in vita. Non è stata Yvette a uccidere vostra madre.”
Quando Miriam riportò l’attenzione su Klaus, i suoi occhi erano pieni di lacrime.
“E chi è stato?”
“La mamma si è suicidata.” Confessò Nathaniel.
“No! Non dirlo!”
Klaus si sporse di più per farsi vedere da Miriam, doveva ammansirla per tenerla lontana da Artemis.
“E’ la verità. Dana era stanca dei continui tradimenti di vostro padre. Lei lo amava ma a lui non importava. Un giorno, però, il suo cuore non ha retto all’ennesima scappatella e ha deciso di uccidersi. Vostra nonna ha dato la colpa a Yvette per nascondere il suicidio e per proteggere te e Nathaniel dalle malelingue.”
Miriam scivolò per terra, le mani sul petto e le lacrime che sgorgavano copiose.
“No! No!”
Nathaniel abbandonò la fiaccola e si inginocchiò davanti alla sorella per abbracciarla.
“Shh, non piangere. Va tutto bene, Miriam.”
Malgrado la testa annebbiata dal dolore, Artemis vide la fiaccola giacere per terra a pochi metri dal cadavere. Era la loro occasione.
“Adesso, Bella! Adesso!”
Bella era stremata dalle erbe che emanavano effluvi in tutta la grotta, ma cercò di resistere in ogni modo e chiuse gli occhi per raccogliere le forze.
Incendia!
Dalla fiaccola si dipartì una scia di fuoco che si arrampicò sull’altare e avvolse la bara. In una manciata di secondi la cassa stava andando a fuoco. La puzza di carne bruciata era stomachevole.
“Artemis!” gridò Klaus.
“Sono qui!”
“Lui non può entrare per via delle rune.” Disse Bella.
“Ci penso io.” intervenne Lydia.
Artemis rimase stupita dalla sua intraprendenza poiché era rimasta a guardare tutto quel teatrino senza muovere un dito.
“Finalmente ti sei decisa a muovere il culo.”
Bella scoppiò a ridere, sebbene la paura facesse a gara con il sollievo.
“Come fai a … Artemis? Artemis?”
L’ultima cosa che Artemis vide il volto di Klaus, dopodiché fu sopraffatta dall’oscurità.
 
Artemis si svegliò piena di dolori. Sbatté le palpebre per mettere a fuoco la stanza: si trovava in ospedale. Una flebo era attaccata alla mano e la sacca di minerali gocciolava spezzando il silenzio religioso. Provò a muoversi per mettersi più comoda ma ogni singolo muscolo sembrava bruciare.
“Ahia.”
Sussultò quando la porta si aprì. Sospirò quando Klaus entrò in camera con un bicchiere di caffè in mano. L’ibrido sorrise nel vederla sveglia.
“Ben svegliata, mia cara. Come ti senti?”
“Come se fossi stata investita da un centinaio di camion. Che cosa è successo?”
Klaus si sedette sul letto e le accarezzò la mano, attento a non toccare l’ago infilato nella vena.
“Lydia ha costretto Megan a cancellare le rune, così sono entrato e siamo venuti in ospedale. Eri svenuta ed eri debole, non potevo darti il mio sangue per aiutarti. Se fossi morta con sangue di vampiro in circolo, ti saresti trasformata.”
Artemis non ricordava nulla. La sua mente era andata in blackout dopo aver visto la bara di Dana mangiata dalle fiamme.
“Florie come sta? E Miriam? Raccontami.”
“Florie sta bene. Si è nutrita e ha completato la trasformazione. Era da tempo che mi chiedeva di trasformarla in vampiro, quindi abbiamo sfruttato la situazione.”
Artemis sentiva la gola asciutta, quindi tese un braccio per recuperare la caraffa d’acqua dal comodino.
“Mi aiuti?”
“Faccio io.”
Klaus le riempì un bicchiere e glielo passò, poi lo rimise sul mobiletto.
“Come facevi a sapere che Miriam avrebbe scelto Florie come riserva?”
“Me lo ha detto Nathaniel. Vedi, Artemis, lui mi ha spifferato il piano di Miriam subito dopo averlo saputo. Voleva fermare il folle piano della sorella, voleva salvare te e voleva distruggere i fogli di papiro.”
“Nathaniel voleva salvarmi?”
Klaus le scostò una ciocca dalla fronte e le sfiorò il mento con il pollice.
“Mi rincresce dirlo dato il mio pessimo rapporto con le streghe, ma Nathaniel è un bravo ragazzo. Insieme abbiamo pensato di usare Bella e Florie come esche per poter neutralizzare Miriam.”
“E Miriam? Cosa ne è stato di lei?”
Artemis ricordava fin troppo bene la sofferenza sul volto della sorellastra quando aveva saputo che quel corpo non apparteneva a sua madre.
“Le streghe della sua congrega l’hanno prelevata e imprigionata chissà dove. Nathaniel è andato con loro per assicurarsene. Le streghe e i turisti rapiti stanno bene, Elijah e Gabriel hanno soggiogato gli umani perché dimenticassero. Anche Bella sta bene.”
“Sono contenta per loro. E io come sto? Credo di avere una gamba rotta.”
“Tu sei malconcia, ma tutto sommato stai bene. La tua gamba sta bene, hai solo una storta alla caviglia. Sei svenuta perché hai una commozione cerebrale che ti impediva di muoverti. Un paio di settimane e sarai come nuova.”
Artemis si tastò la nuca e costatò la presenza di una benda che le circondava la testa.
“Poteva andarmi peggio.”
“Non è andata neanche benissimo. Hai perso l’opportunità di riavere tua madre.” Disse Klaus.
Artemis si guardò le mani, gli anelli ornavano ciascun dito e le pietre colorate risaltavano. Le cadde l’occhio proprio sull’anello di sua madre, quello con la pietra blu. Ripensò al dolce sorriso di Yvette, alla sua risata, a lei che suonava il violino, a lei che le preparava i pranzi migliori del mondo.
“Va bene così. Mia madre deve riposare in pace. E anche io devo trovare la strada giusta. Se non fosse stato per te e la tua famiglia, oggi sarei come Miriam. Senza di voi mi sarei trasformata in un mostro spietato. Mi manca mia madre? Sì, mi mancherà per sempre. È giusto riportarla in vita? No, non è giusto. Non sono disposta a uccidere delle persone per resuscitarla. Devo imparare ad andare avanti senza di lei. Farà malissimo, però è l’unico modo.”
Klaus le strinse entrambe le mani, la sua pelle era piacevolmente calda.
“Ci sono io con te.”
Artemis lo abbracciò affondando la testa contro la sua spalla, respirando quell’odore inconfondibile di bourbon e incenso.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Tutto è bene quel che finisce bene, più o meno. Miriam per ora è stata sconfitta ma mai dire mai! Il prossimo capitolo svelerà altri segreti.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


EPILOGO

“…non c’è un solo gesto che non corra il rischio
di essere un’operazione di magia.”
(Jorge Luis Borges)
 
Due settimane dopo
Artemis si vestì in fretta mentre dal piano inferiore proveniva già odore di caffè. Era tornata dall’ospedale due giorni prima, la caviglia era fasciata ed era ancora un po’ gonfia. Per sua fortuna Keelin la controllava tre volte giorno per assicurarsi che la commozione cerebrale si fosse ridimensionata. La testa spesso le faceva male, ma secondo i medici era normale e all’occorrenza poteva prendere un antidolorifico.
“Artemis, la colazione è pronta!” la richiamò Hope.
“Sto scendendo.”
In quel momento squillò il cellulare, a chiamarla era un numero sconosciuto.
“Pronto?”
“Parlo con Artemis Dumont?”
“Sì. Chi è?”
“Sono Leonard Pratt, la chiamo dalla banca per avvisarla che abbiamo pignorato la sua casa. Signorina Dumont, lei è piena di debiti e casa sua riesce a colmare due terzi della cifra.”
Artemis si passò frenetica una mano tra i capelli. Si mordicchiò il pollice per il nervoso.
“Di quanti soldi sono in debito?”
“Esattamente di trentamila dollari. Senta, signorina, sono molto dispiaciuto per la morte di sua madre e per questo ho portato le vostre cose in un deposito. Ovviamente anche il deposito è a sue spese, il prezzo è di cinquemila dollari.”
Artemis ripensò alle foto di lei e sua madre, ai tappeti colorati, alle statuette disseminate per tutta la casa. Tutto il suo mondo era stipato in un deposito.
“D’accordo. Io tornerò a Chicago fra un paio di giorni. Possiamo vederci?”
“Certo. L’aspetto mercoledì mattina alle dieci. Buona giornata, signorina Dumont.”
Artemis chiuse la chiamata con un sospiro.
“Buona giornata un cazzo.”
“Artemis!”
Hope aveva fatto capolino dalla porta, i riccioli biondi splendevano ai raggi del sole. Artemis si stampò in faccia un sorriso allegro, doveva fingere che tutto andasse bene.
“Stavo parlando al telefono con Lauren. Sono pronta per la colazione!”
Scesero in cucina mano nella mano. Hope era una ragazzina davvero eccezionale, dolce e con l’indole artistica del padre.
“Buongiorno. Credevo fossi sparita dietro al Bianconiglio.” Disse Klaus sorridendo.
“Giorno.”
“Vieni. Siediti vicino a me.” disse Hope.
Artemis si sedette a tavola e addentò un biscotto, ma lo stomaco le si era chiuso dopo la telefonata. Klaus prese posto di fronte a lei, continuava a sorridere.
“Cosa preferisci? Io prenderei un bignè.”
“Perché tu adori i bignè, papà. Anche io ne prendo uno. Artemis, tu cosa vuoi?”
Artemis non rispose, teneva gli occhi fissi sulla tazza come se si fosse pietrificata. La sua mente saltellava fra le preoccupazioni, dai soldi alla casa pignorata. Si ridestò solo quando Klaus le toccò delicatamente la mano.
“Stai bene? Sei pallida.”
“Sto bene. Stavo decidendo cosa prendere. C’è talmente tanta roba!”
In effetti la tavola era imbandita in grande stile: c’erano dolci, marmellate di ogni tipo, caraffe di tè e di caffè. Addirittura la tazza da cui stava bevendo Artemis era di finissima porcellana decorata da roselline viola.
“Papà voleva fare colpo su di te.” ammise Hope.
Klaus si bloccò con la tazza a mezz’aria, l’espressione imbarazzata e gli occhi strabuzzati.
“Veramente volevo solo che Artemis facesse una colazione abbondante.”
Artemis mangiò un pezzo di torta al cioccolato, soffocando a stento una risatina.
“Grazie per il pensiero.”
“Stasera ci sarai oppure ti fa ancora male la caviglia?” chiese Hope.
Quella sera si svolgeva il Jazz Festival dedicato alle radici musicali e culturali di New Orleans. Tutta la città si riuniva allo Snug Harbor Bistro, uno dei locali più in voga della Louisiana e cuore propulsore del festival.
“Ci sarò. E poi voglio davvero ascoltare buona musica.” Rispose Artemis.
“Allora tu vai con papà e io arriverò con zia Freya e Keelin.” Disse Hope.
Klaus lanciò un’occhiataccia alla figlia, non doveva fissare appuntamenti in sua vece. Adorava Hope ma stava mettendo a dura prova la sua pazienza.
“Hope, basta. Non infastidire Artemis.”
Artemis accarezzò la spalla di Hope per consolarla dopo quell’ammonimento.
“Non preoccuparti. Tuo padre è una guida esperta della città, mi fa piacere andare con lui.”
“Vieni con me al festival solo perché sono bravo come guida?” domandò Klaus, offeso.
“E anche perché mi offrirai tutti i drink che voglio.” Aggiunse Artemis.
Il sorriso divertito di Klaus si spense quando vide Hayley e Freya entrare in cucina con facce preoccupate.
“Che succede?”
“Un evento rarissimo, direi quasi impossibile.” Disse Hayley.
“C’è una riunione con tutte le nove congreghe. Anche Artemis è invitata.” Spiegò Freya.
Artemis sputò il caffè nella tazza, una goccia le colò lungo il mento e si pulì con un tovagliolo ricamato a mano.
“Perché sono invitata anche io? Non sono una strega di questa città.”
“La congrega di tua madre ti vuole. Anche Nathaniel ha insistito per averti.” Disse Freya.
Klaus guardò Artemis, la mascella rigida e le mani strette a pugno. Non voleva che lei si avvicinasse di nuovo alle streghe, ma del resto era una sua scelta.
“Intendi partecipare alla riunione?”
“Sì. Devo parlare con Nathaniel, non lo vedo da quella sera di luna piena.”
Freya rubò un pasticcino alla crema di nocciola e lo mangiò in un boccone solo.
“Io sarò presente anche per conto di Hope. Andiamo, oppure saremo in ritardo.”
“Vengo anche io.” disse Klaus.
“Non sono ammessi vampiri, lupi e né ibridi.” Obiettò Freya.
Klaus serrò le mani lungo i fianchi, la sua rabbia era visibile nel colore degli occhi di una tonalità più scura.
“Staremo benone. Io e Freya ce la caviamo alla grande.” Disse Artemis.
L’ibrido sospirò, rassegnandosi all’idea di lasciarle andare da sole.
“Ti ricordo che abbiamo un appuntamento stasera. Non fare tardi.”
“Un appuntamento, eh?” lo derise Artemis.
Anche Hayley e Freya ridacchiarono. Hope, invece, diede una pacca sulla spalla al padre.
“Bravo il mio papà, è così che si fa!”
 
Artemis scese dall’auto e per un pelo sfiorò una pozzanghera. Freya aveva lasciato la città per prendere una stradina di campagna e poi aveva proseguito verso una vecchia villa fatiscente. Aveva piovuto la sera precedente, l’odore di pioggia era ancora forte e ogni cosa era ricoperta da una coltre di goccioline.
“E’ questo il posto? Non c’è nessuno.” Disse Artemis.
“Un incantesimo protegge la villa. Ci sono già tutti, lo vedrai tra poco.”
Freya si incamminò verso l’abitazione e Artemis si accodò, non voleva restare indietro in quella campagna tanto lugubre. Superato il cancello di ferro, tutto lo spazio ora appariva gremito di macchine e di persone. Era come entrare in un’altra dimensione, un po’ come Narnia ma senza leoni e bambini.
“Artemis!” la salutò Nathaniel.
Il ragazzo la strinse in un abbraccio caloroso, un po’ eccessivo dato che aveva più vote cercato di metterle i bastoni fra le ruote. Artemis si staccò con un sorriso imbarazzato.
“Ciao, Nathaniel. Come va?”
“Miriam è stata segregata con la magia da qualche parte. Non so altro.” Disse Nathaniel.
Artemis si morse la guancia, erano giorni che pensava al destino che attendeva Miriam e sperava che il suo fratellastro potesse darle una risposta concreta.
“Cosa le faranno? La uccideranno?”
“Non ne ho idea. Non vedo Andrew da due settimane e mi sono trasferito a casa di Bella.”
“Capisco.”
“Venite, stiamo iniziando.” Li avvisò Freya.
Tutte le congreghe si erano riunite in quella che un tempo era stata la sala da ballo. La villa risaliva al Settecento ed era stata una delle residenze estive di un ricco nobiluomo. Freya e Artemis si appostarono vicino al camino, accanto a loro c’era anche Vincent. Al centro della stanza c’erano Lydia e un’altra donna dai capelli bianchi.
“Chi è la vecchia?” sussurrò Artemis.
“E’ Fiona, la nonna di Nathaniel. E’ lei il capo della Congrega Lyra.” Disse Freya sottovoce.
Lydia batté le mani e immediatamente cessarono le chiacchiere. Si guardò intorno per passare in rassegna i volti, e sorrise quando riconobbe Artemis.
“Artemis, per favore, vieni qui. Presentati a tutti.”
Artemis si avvicinò con cautela, le mani affondante nelle tasche della felpa e la testa bassa. Indossava una salopette verde militare e una t-shirt grigia, sembrava una guida alpina anziché una strega.
“Ehm, salve. Io sono Artemis Dumont. Mia madre era Yvette Dumont ed era un membro della Congrega Corvi.”
Un bisbiglio di sorpresa strisciò fra i presenti. Nessuno sentiva parlare di Yvette da anni. Da tutti era considerata una reietta, una fuggitiva colpevole di aver assassinato Dana Cooper e di aver rinnegato la sua stessa congrega.
Lydia si fece avanti perché fosse al centro dell’attenzione.
“So che siete sorpresi, anche io lo ero quando ho incontrato Artemis. Per molti secoli le streghe di New Orleans hanno seguito un codice prestabilito che mirava a mantenere la purezza. Le Congreghe sono sempre state chiuse, sigillate nella loro ignoranza. Perdere Yvette tanti anni fa mi ha fatto riflettere su quel codice. Ora mi rendo conto che sono regole obsolete e ridicole. Con la riunione di oggi poniamo fine all’ideologia conservatrice. Oggi per le streghe e gli sciamani di New Orleans inizia una nuova vita.”
Nathaniel circondò le spalle di Bella e le baciò la testa. Finalmente potevano essere una coppia alla luce del sole. Nessuna regola antiquata li poteva più separare.
“E con oggi Yvette Dumont viene riabilitata.” Disse Fiona.
Artemis spalancò gli occhi, quella era davvero una notizia inaspettata.
“Ma come? Io credevo che lei…”
Fiona la guardò con alterigia mista a tenerezza. Era la madre di Oscar, quindi era la nonna di Artemis.
“Tua madre meritava di più. E’ colpa nostra se è morta. Il minimo che possiamo fare è riabilitare il suo nome e onorare la sua morte. Ora la magia ancestrale di questa città appartiene anche a te.”
Artemis vide Freya che sollevava i pollici in segno di felicità. Ricambiò il sorriso e scosse la testa.
“Grazie, signora Cooper.”
Fiona le prese la mano, era un tocco leggero e impaurito. La donna aveva paura di un rifiuto.
“Artemis, so che non sono stata una nonna presente e me ne dispiaccio. Mio figlio Oscar è stato un farabutto, e ora lo sta dimostrando di nuovo. Ti prego di considerarmi una tua alleata d’ora in poi.”
Oscar era fuggito senza lasciare traccia. La sua congrega lo stava cercando e gliela avrebbe fatta pagare cara per tutte le sue colpe. Artemis aveva perso tanto in pochi mesi: sua madre, suo padre e la sua sorellastra.
“Non ti chiamerò mai ‘nonna’, però mi farebbe piacere chiamarti qualche volta.”
Fiona annuì e l’abbracciò, era forte per essere una donna minuta e ossuta. Artemis e diede qualche leggera pacca sulla schiena.
“Farebbe molto piacere anche a me.”
“Intendi restare in città?” si immischiò Nathaniel.
“No. Tornerò a Chicago e riprenderò gli studi.” Disse Artemis.
“Credevo che volessi entrare nella Congrega ufficialmente.” Disse Lydia.
Artemis si grattò la nuca. I suoi nuovi parenti la fissavano e lei voleva solo sprofondare.
“Non mi piacciono i gruppi. Non sono un lupo da branco, preferisco vivere in solitaria.”
“Una strega senza congrega è come un pesce senza acqua.” L’avvisò Fiona.
“Allora vorrà dire che le branchie diventeranno gambe in qualche modo.” Replicò Artemis.
Nathaniel rise per l’espressione infastidita della nonna, non amava il sarcasmo.
“Ti va di andare fuori?”
“Sì.”
Nathaniel si staccò da Bella e aprì la porta per uscire. Artemis ringraziò l’aria fresca portata dalla pioggia, dentro la villa la situazione si era fatta soffocante.
“Artemis, lo so che sono stato uno stronzo. Io non conoscevo le intenzioni di Miriam.”
“Non importa. Ormai non possiamo più salvare le nostre madri, direi che è una punizione alquanto pesante per entrambi.”
“A proposito di questo, io pensavo a noi due senza Miriam.” Disse lui.
“Non ti seguo.”
Artemis doveva alzare il mento per guardare Nathaniel, era tanto alto da coprire il sole.
“Ora che Miriam non c’è e che siamo liberi dalle vecchie regole, vorrei sapere cosa ne pensi di noi due. Tu sei mia sorella e io sono tuo fratello. Per te conta qualcosa?”
Artemis puntò gli occhi sulle proprie scarpe, i soliti scarponcini ormai logori e da buttare.
“Al massimo possiamo essere amici, se vuoi.”
Nathaniel sembrò deluso, si era immaginato un discorso emozionante e ricco di lacrime. Invece Artemis manteneva sempre una certa distanza come se non volesse avere gente intorno.
“Per me va bene.”
“Okay.”
Nathaniel allungò la mano destra e Artemis la strinse. Era l’inizio di una bella amicizia.
“Torniamo dentro prima che Fiona e Lydia vengano a prenderci con la forza.”
 
 
“Alla fine della riunione tutti i fogli di papiro sono stati bruciati.” Stava raccontando Freya.
“Meglio così. Un problema in meno!” esclamò Rebekah.
Artemis ad un certo punto aveva perso il filo della conversazione. I suoi pensieri erano così rumorosi che le impedivano di ascoltare le due donne. La famiglia Mikaelson si era incontrata allo Snug Harbor Bistro in occasione del Jazz Festival. Le strade della città erano affollatissime, cittadini e turisti si accalcavano lungo i marciapiedi, nelle piazze e davanti ai locali. Tutto era accompagnato da svariati musicisti di jazz che suonavano in più punti del festival.
“Io ho sete. Voi prendete qualcosa da bere?” chiese Hayley.
Klaus ed Elijah si erano piazzati al bancone per ordinare, c’era talmente tanta gente che si erano fatti largo a spallate. Da quella posizione si poteva guardare l’esterno. Klaus notò l’aria assente di Artemis, sembrava impegnata in chissà quali contorte riflessioni.
“Fissarla ti è di aiuto, fratello?” esordì Elijah.
“C’è qualcosa che non va. Lei è così distante.”
Klaus aveva captato un cambiamento in Artemis. Non era mai stata una ragazza particolarmente affettuosa, ma negli ultimi giorni sembrava aver innalzato un muro fra sé e il mondo circostante.
“Allora sei tu che devi farti più vicino.” Suggerì Elijah.
“Ci pensi tu ai drink? Io devo parlare con lei.”
“Vai pure, fratello.”
Klaus uscì dal locale infilandosi fra le persone come una sardina in scatola. New Orleans talvolta era la città più asfissiante e rumorosa del pianeta. Puntò verso il tavolo occupato dalle sorelle e toccò la spalla di Artemis. La ragazza sobbalzò sulla sedia per lo spavento.
“Vuoi farmi secca, Mikaelson? Accidenti!”
“Scusami. Volevo solo riportati alla realtà. Stasera pensierosa e fin troppo taciturna.”
La ragazza sbuffò, non aveva nessuna voglia di essere interrogata come una sospettata. “Pensavo solo a mia madre.”
“Dunque permettimi di distrarti.”
“Permesso accordato.”
Klaus allungò la mano e Artemis gliela strinse con un piccolo sorriso. Si immersero nella calca di turisti francesi che si affrettavano per ascoltare un trombettista dall’altra parte della strada.
“Quando io, Rebekah ed Elijah arrivammo qui non c’era niente. Era una colonia semplice, più paludi che palazzi.”
Artemis ammirò gli edifici in piena architettura creola francese che combinava il gusto rococò con quello neoclassico.
“E nel frattempo si alternavano il dominio francese e spagnolo fino all’Indipendenza.”
L’ibrido la prese a braccetto e la guidò nel centro della piazza, la musica che proveniva da ogni angolo.
“New Orleans segue un unico principio: laissez les bon temps rouler.
“Che significa?”
“Lascia che i bei tempi rotolino, ossia sii sempre pronto per far festa.” Disse Klaus.
Passarono davanti a una donna che suonava il sassofono, teneva gli occhi chiusi mentre eseguiva la melodia. Era una musica meravigliosa, avvolgente come una coperta calda.
“Il brano è di Gene Ammons, un famoso sassofonista. Il titolo della canzone è ‘It’s You Or No One’ e si data al 1959.”
“Conosci questo brano?” domandò Klaus con sorpresa.
“Mia madre lo eseguiva al violino. Era uno dei suoi preferiti.” Rispose Artemis.
Il ricordo di sua madre la investì come un maremoto. Aveva perso la sua occasione di riaverla. Era rimasta sola, senza una famiglia da cui tornare. Era orfana e indebitata fino al collo. Quella considerazione sul proprio status la fecero rattristare. Ora le note del sassofono erano basse e cupe, proprio come l’umore della ragazza.
“… e quindi abbiamo brindato per tutta la nottata.” Stava dicendo Klaus.
Artemis sbatté le palpebre tornando con la mente al presente.
“Eh?”
Klaus emise un sospiro stanco, non capiva perché la ragazza si perdesse nella propria testa.
“Artemis, che hai? Ti vedo turbata. E’ successo qualcosa alla riunione con le streghe? Devo torturare qualcuno?”
“Non dirlo neanche! Senti, non è successo niente. Stavo solo… pensando alla musica.”
Artemis gli diede le spalle per tornare dagli altri, ma Klaus le sbarrò la strada e le afferrò il gomito.
“Parla con me. Lo vedo che stai male. Che c’è?”
La ragazza si scrollò la sua mano di dosso con un gesto furioso. Era triste, arrabbiata e non aveva bisogno della sua compassione.
“C’è che non ti sopporto! Sei dannatamente appiccicoso! Io non sono una di quelle tipe che sbavano ai tuoi piedi e supplicano perché tu le degni di uno sguardo.”
Klaus fece un passo indietro come se le parole di Artemis l’avessero preso a schiaffi.
“Perdonami. Non pensavo che la mia apprensione ti recasse tanto fastidio.”
La strega distolse lo sguardo, non voleva più avere a che fare con lui e la sua famiglia. Aveva fin troppi problemi, non le servivano anche screzi amorosi.
“Io me ne torno a casa. Sono stanca.”
“Artemis…”
“No! Lasciami stare!”
 
Artemis faceva una gran fatica a infilare i vestiti nel borsone. In teoria doveva recarsi al Jazz Festival, ma in pratica stava facendo i bagagli per tornare a Chicago. Più restava a New Orleans e più la sua vita si incasinava. Aveva prenotato un volo last minute che sarebbe partito alle dieci. La casa era vuota, tutti si stavano ancora intrattenendo alla festa. Stava scappando. Era l’unica cosa che sapeva fare. Fuggire era la sua arte, la sua ancora di salvezza quando la nave affondava.
“Non mi sorprende affatto.” disse Gabriel.
Artemis si immobilizzò, le dita artigliate attorno ad una maglietta. Non ebbe il coraggio di voltarsi, non avrebbe sopportato lo sguardo del vampiro. Tornò a sistemare le proprie cose nel borsone.
“Devo andarmene.” Disse Artemis, risoluta.
Gabriel entrò nella camera da letto, ora Artemis poteva avvertirlo alle proprie spalle.
“Ora capisco perché Klaus si sta scolando tutto l’alcol del Rousseau.”
La ragazza richiuse il borsone e raccattò lo zaino, dopodiché controllò la toilette per essere certa di non aver dimenticato nulla.
“Klaus pagherà bene per tutto l’alcol consumato.”
Gabriel si era appostato davanti alla porta e non la lasciava passare.
“Perché te ne vai? New Orleans è una bella città quando una strega folle non cerca di uccidere tutti.”
Artemis si mise a giocare con il portachiavi appeso allo zaino pur di non guardare in faccia Gabriel.
“A Chicago ho da fare. Comunque, mi dispiace per Gwen. Avrei voluto riportarla in vita.”
“Beh, Gwen non è la mia defunta ragazza. Gwen è mia sorella e vive col marito a Buenos Aires, è viva e vegeta. Ho inventato quella storia per conto di Klaus.”
“Che bastardi.” Commentò Artemis.
“Fa parte del mestiere!” disse Gabriel sorridendo.
“Ti sei davvero suicidato o sei morto in qualche altro modo?”
“Mi sono davvero suicidato. Ero un alcolizzato, la mia vita non valeva niente e mi vergognavo a tornare a casa dalla mia famiglia. Klaus mi ha dato una seconda possibilità grazie alla trasformazione.”
“A Klaus piace fare la carità ai reietti.” Disse Artemis.
Come aveva fatto con Gabriel, Klaus aveva aiutato Artemis a riavere una seconda chance con sua madre. Per quanto fosse manipolatore e stratega, l’ibrido aveva uno spiccato senso della famiglia. Più pensava a Klaus e più stava male. Voleva davvero restare a New Orleans, ma doveva far ritorno a Chicago per porre rimedio al caos che aveva causato.
“Gabriel, ora devo andare. Il mio volo parte fra mezz’ora.”
“Fa buon viaggio, Artemis.”
 
Tre mesi dopo, giugno, Chicago
Artemis si fiondò sul letto non appena mise piede in casa. Erano le tre del mattino e aveva appena finito il suo turno di lavoro al Viceroy, un hotel di lusso di Chicago. Era stata assunta come cantante per il pianobar mentre gli ospiti cenavano e chiacchieravano. Dopo cena lo spettacolo si spostava al primo piano dell’hotel dove ogni sera si continuava a festeggiare fino all’alba. Artemis aveva scoperto che la gente ricca pur di divertirsi è disposta a spendere cifre esorbitanti. Con suo grande sollievo – e anche sorpresa – questa notte la festa era finita in anticipo ed era tornata a casa prima che facesse giorno. Brett, il pianista che accompagnava le sue performance di canto, la riaccompagnava a casa tutte le volte a fine turno.
“Che palle.” Borbottò fra sé.
Fece uno sforzo immenso a togliersi i vestiti, farsi una doccia per lenire la tensione dei muscoli e infine a mettersi il pigiama. Erano all’incirca le quattro quando si trascinò verso il letto.
All’improvviso un fruscio sospetto la mise in allerta. Poteva sentire una strana e oscura aura magica alle sue spalle. Era buio, perciò non vide nulla quando si girò a controllare l’ingresso. La porta era ancora chiusa con la catenina e la doppia mandata.
“Ti sono mancato?”
Artemis riconobbe quella voce all’istante, era inconfondibile quell’accento vecchio di secoli.
“Che ci fai qui?”
“Aspettavo che tornassi a New Orleans, ma alla fine sei svanita nel nulla e ho deciso di cercarti.”
Era ancora buio, eppure Artemis sapeva che lui la stava osservando anche in mezzo alle tenebre.
“Mi hai trovata. Ora puoi anche tornatene in Louisiana.”
“Prima guarda il dono che ti ho lasciato sul tavolo.”
Artemis si avvicinò al tavolo rotondo attaccato al muro e vide un cesto di vimini che conteneva almeno un chilo di fragole. Si passò una mano tremante fra i capelli.
“Non è divertente. E poi le fragole non mi piacciono. Adesso vattene.”
“Sbagli tattica, milady. Tu provi a resistermi in tutti i modi, ma lo sai che non durerà per sempre.”
Artemis, ormai stufa di quel giochetto, accese la luce e incrociò le braccia al petto. Ed eccolo l’Originale, appoggiato alla porta d’ingresso con le mani dietro la schiena e un sorriso furbo sulle labbra.
“Io non provo a resisterti. Tu sul serio credi che tutto giri intorno a te? Sei davvero egocentrico!”
“Sì, lo confesso. È uno dei miei pregi.” Ribatté lui.
Artemis emise un verso strozzato, avrebbe voluto sbatterlo fuori a calci. Avrebbe anche potuto fargli venire un aneurisma con la magia, però sembrava troppo crudele.
“Vorrei che ora uno dei tuoi pregi fosse uscire da casa mia. Grazie.”
Klaus ridacchiò, era così snervante che la ragazza alzò gli occhi al cielo.
“Sei incredibile, Artemis. Fai la dura ma il tuo cuore batte all’impazzata.”
Artemis non ce la faceva più. Si lasciò cadere sul letto con uno sbuffo sonoro. I capelli si erano allungati fino alle spalle, i riflessi ramati erano più visibili.
“Ascolta, tu sei davvero affascinante. Sei bello da togliere il fiato, sei galante, sai essere gentile quando vuoi, conosci un sacco di cose e hai tutto lo charme da incantatore. Io ne sono consapevole, dico davvero. Però io non posso complicarmi la vita per un bel faccino.”
Klaus si portò la mano al cuore con fare offeso, avrebbe messo anche il broncio se fosse stato il caso.
“Troppi complimenti nel giro di due minuti.”
“Sono seria. Non posso permettermi distrazioni.” Disse Artemis.
Klaus tornò serio, l’espressione stanca della ragazza era un monito a non scherzare più.
“Lo so che hai problemi con la banca. So anche che hai perso la casa. Ho sentito la telefonata tre mesi fa.”
“E mi hai lasciata andare lo stesso?”
Artemis era sbigottita. Era convinta che l’ibrido l’avrebbe trattenuta e che avrebbe fatto di tutto pur di ripagare i debiti, invece l’aveva lasciata libera di andare e fare le sue scelte.
“Dovresti fidarti di più di me. Se ti avessi obbligata a restare con me, alla fine mi avresti odiato. Negli ultimi mesi ho capito che tu agisci sempre di testa tua. Sei come un treno che parte e persegue imperterrito la sua rotta. So che non posso tenerti con me, non sarebbe giusto nei tuoi confronti. Tu vuoi risolvere i problemi da sola perché ti fidi solo di te stessa, e su questo sei identica a tua madre.”
“Sono un treno che nove mesi fa ha deragliato.” Mormorò Artemis.
Klaus si sedette al suo fianco e le diede una leggera spallata.
“Capita a tutti di perdere la strada, l’importante è saperla ritrovare. E te lo dice uno che ha impiegato più di mille anni per trovare la propria strada.”
“Ma io non sono immortale.” Obiettò lei.
“È vero, però hai me come esempio da non seguire. È già un passo avanti!”
Artemis rise e scosse la testa, si sentiva talmente sfiancata da non riuscire a tenere il muso.
“Klaus…”
“Lo so. Non sei pronta per una relazione in questo momento.” L’anticipò Klaus.
“Esatto. Ho davvero troppi casini da risolvere e voglio farlo con le mie forze.”
L’ibrido odiava quella situazione. A lui piaceva avere il controllo su tutti e tutto, e quando qualcosa non andava secondo i suoi piani diventava irritabile. Con Artemis le cose erano ben diverse, lungi dalla sua mania di supervisione. Lei era una persona, era indipendente e non poteva neanche essere soggiogata. Doveva attenersi alle sue decisioni.
“D’accordo.”
Artemis annuì e si alzò per andare a prendere un bicchiere d’acqua. Cantare per tante ore era la causa di numerosi mal di gola.
“Hai prenotato una camera da qualche parte oppure resti a dormire qui?”
Klaus le scoccò un’occhiata maliziosa, un sorriso sornione si dipinse sulla sua bocca.
“E’ un tentativo maldestro per chiedermi di passare la notte con te?”
“Per caso vuoi un bicchiere di strozzalupo?”
Artemis richiuse il frigo con un tonfo, quanto le sarebbe piaciuto colpire l’ibrido con la stessa forza.
“Accetto l’invito.” Disse Klaus.
Senza che lei potesse replicare, l’Originale si era già tolto le scarpe e la giacca.  Si spaparanzò sul letto con le mani dietro la testa e le caviglie incrociate.
“Mi devi cento dollari per l’ospitalità.” Disse Artemis.
Klaus scoppiò a ridere, da quando si erano conosciuti non facevano altro che discutere di soldi.
“E’ così che pensi di ripagare la banca?”
“Ehi, faccio quel che posso!”
Artemis ringraziò il Cielo quando il suo corpo si rilassò sul materasso. Le braccia e le gambe le dolevano tanto da farla mugugnare.
“Stai bene?”
“Sono stanca e ho dolore dappertutto. Voglio solo dormire.”
“Ai tuoi ordini.”
Klaus si allungò per spegnere il lume e Artemis si ritrovò a un centimetro dal suo petto. Trattenne il respiro fino a che l’ibrido non fu tornato al suo posto. Ora che la stanza era di nuovo vuota poteva rilassarsi. Si mise sul fianco e schiacciò il cuscino per renderlo più comodo.
“Buonanotte, Mikaelson.”
Un attimo dopo Klaus le baciò prima la tempia, poi la guancia e infine la spalla.
“Sogni d’oro, milady.”
 
Klaus richiuse la porta con attenzione, non voleva fare rumore e svegliare Artemis. Lei viveva in un angusto monolocale, ogni area della casa era concentrata in una sola stanza. Non c’era il divano, l’armadio era striminzito e il frigo era attaccato al tavolino. Il letto era vuoto, ciò significava che Artemis era già in piedi. Klaus ebbe la conferma quando la sentì canticchiare dal bagno. Si stava facendo la doccia e l’acqua accompagnava il suo canto.
“Where do broken hearts go? Can they find their way home? Back to the open arms of a love that’s waiting there.”
Klaus sorrise d’istinto. Per un breve momento immaginò come sarebbe stato sentire Artemis cantare ogni giorno, magari prima di andare a dormire o durante pomeriggi di totale relax.
“Oddio!” strillò Artemis.
Klaus sollevò le mani in segno di resa, poi fece scivolare gli occhi sui capelli bagnati della ragazza e sul suo accappatoio viola.
“Buongiorno anche a te, Artemis.”
Gli occhi della strega lampeggiavano di rabbia. Si mise le mani sui fianchi come a prepararsi per un rimprovero.
“Perché diamine sei ancora qui? Quando mi sono svegliata e non ti ho trovato, ho pensato che te ne fossi andato. Invece sei qui!”
“Ero solo andato a comprare la colazione.” Disse Klaus con aria innocente.
Artemis serrò i pugni lungo i fianchi e fece un respiro profondo. Non era così che doveva andare. Quella vicinanza era pericolosa.
“Mangia la tua colazione e sparisci.”
Intanto Klaus si era premurato di scartare la colazione e tirare fuori una vaschetta di bignè ricoperti di glassa bianca allo zucchero.
“Vuoi un bignè? Sono ottimi!”
Artemis aggrottò le sopracciglia e si morse le labbra per non urlare.
“Io devo andare a lezione, perciò non voglio trovarti quando torno.”
Klaus mangiò il suo bignè alla crema con nonchalance, sebbene riuscisse a captare la collera della strega mentre prendeva i vestiti.
“Sicura che non vuoi un bignè? La crema è davvero squisita.”
“Sei un imbecille!” sbottò Artemis.
Klaus sghignazzò, era divertente prenderla in giro e farla arrabbiare. In un baleno fu dietro di lei, l’odore del bagnoschiuma al talco era intenso. Artemis trasalì ma non si mosse di un millimetro, non voleva mostrarsi vulnerabile.
“Forse preferivi la glassa alle fragole?” le sussurrò Klaus all’orecchio.
Artemis si irrigidì quando l’ibrido le spostò i capelli umidi e le abbassò l’accappatoio sulla spalla. Poteva sentire l’eco del suo cuore che si dibatteva nelle orecchie.
“Ho detto quella cosa a Hope solo perché credevo di morire.”
“Per mia fortuna sei ancora viva e posso prendermi gioco di te.”
“Tu sei davvero perfido.”
Klaus sorrise e poi fece scorrere il dito indice sulla spalla della ragazza, la pelle era ancora calda e bagnata per via della doccia. Bloccò il dito sopra la vena pulsante del collo.
“Ti giuro che sto morendo dalla voglia di baciarti proprio in questo punto.”
Artemis deglutì facendo gonfiare ancora di più la vena, il sangue fluiva al suo interno e inebriava i sensi di Klaus.
“N-no, Klaus. Vattene. Per favore.”
Artemis scappò in bagno e si chiuse dentro a chiave, non avrebbe sopportato un altro secondo insieme a lui. Erano come il fuoco e la paglia: vicini andavano in fiamme.
 
Erano le sei del mattino quando Artemis rincasò. La festa all’hotel era durata più del previsto. Aveva cantato per ore senza sosta, e la sua gola ne risentiva dello sforzo. Abbandonò lo zainetto sul pavimento, si tolse le scarpe e si buttò sul letto. Un raggio di sole le colpì gli occhi e si coprì la fronte con la mano. Le parve di scorgere un’ombra accanto alla finestra.
“Artemis Dumont, altresì nota come guaio ambulante.”
Artemis grugnì, la faccia premuta contro il cuscino. Klaus emerse dall’ombra con le sopracciglia inarcate.
“Smettila di fare quella cosa con le sopracciglia. Mi piace troppo e mi urta.”
“Anche tu mi piaci troppo. Davvero troppo.” Disse Klaus.
Artemis si tirò su e distese le gambe sul letto, odiava indossare i tacchi durante le esibizioni. Il direttore dell’hotel la obbligava a mettere un tubino blu ogni sera, secondo lui conferiva maggiore eleganza alla performance.
“Credevo fossi andato via. Stamattina ero stata chiara.”
“Sono un tipo testardo, sai. E preferisco fare a modo mio.”
Klaus si spostò e la luce del lampione esterno gli illuminò una parte del viso. I suoi riccioli sembravano più biondi del solito.
“Sei appiccicoso.”
“Me lo hai già detto.”
Artemis si morse le labbra per non sorridere, però lui riuscì a cogliere il divertimento nei suoi occhi.
“Quindi hai intenzione di restare a darmi il tormento?”
“Sì, è la mia crudele e subdola intenzione.” Rispose Klaus.
La ragazza nel frattempo si era stesa sul letto, con le dita si massaggiava delicatamente gli occhi stanchi. Poco dopo sentì il materasso che si abbassava e vide che Klaus si era sdraiato a fissare il soffitto.
“Artemis.”
“Sì?”
“Dimmi che provi qualcosa anche tu.”
Artemis chiuse gli occhi per cercare una risposta concreta da dargli. Che cosa provava? Non lo sapeva neanche lei. Klaus era bello e sapeva come prenderla, ma c’era qualcosa che la spaventava e la teneva a freno. Ogni volta che si affezionava a qualcuno le cose non finivano bene. Sembrava che la sua vita fosse destinata a essere solitaria. Suo padre l’aveva abbandonata, sua madre era morta, con Darren era andata male, Miriam voleva ucciderla. Temeva che avvicinandosi a qualcuno si sarebbe ritrovata col cuore spezzato.
“Klaus.”
“Sì?”
“Le fragole non mi sono mai piaciute.”
Klaus proruppe in una risata incontrollata, e Artemis pensò che sentirlo ridere le piaceva.
“Artemis.”
“Sì?”
“Adesso ho davvero bisogno di baciarti.”
“Parli troppo e agisci poco.” Si lamentò Artemis.
Klaus non ebbe il tempo di replicare che Artemis lo stava baciando. Dapprima sbalordito, l’ibrido impiegò pochi secondi per lasciarsi andare. Questa volta non c’erano filtri magici a insinuare dubbi. Ad un tratto il bacio si fece selvaggio, un incendio di emozioni che divampava con le sue alte fiamme. Klaus si bloccò quando la mano di Artemis si infilò sotto la sua maglia.
“Aspetta, aspetta.”
“Mi interrompi sul più bello, Mikaelson?”
L’ibrido si alzò in piedi e si aggiustò la maglietta, la sua espressione era titubante.
“Fammi capire, facciamo sesso e poi mi cacci come fossi un cane randagio?”
“Ecco che ricominci! Sei insopportabile.” Disse Artemis, stizzita.
“Ci tengo sul serio a te, Artemis. Ci tengo al punto che una storia da una notte non mi sta bene. Lo so che non vuoi una relazione stabile perché sei piena di problemi, ma io non voglio sesso occasionale con te.”
“Ma chi ti dice che si tratterà di una notte di solo sesso? Per avere più di mille hai il cervello di una larva! Io… io…”
“Tu cosa?” la incitò Klaus.
Artemis distolse lo sguardo da lui, si vergognava per ciò che stava per dire ad alta voce.
“Anche io tengo a te. All’inizio ti odiavo, poi tutto è cambiato. È solo che io…”
“Tu hai paura.” Concluse Klaus.
“Ho bisogno di tempo per capire e abituarmi. Puoi darmi tempo?”
Klaus in lei rivide se stesso. Anche lui era insicuro nelle relazioni e per questo non aveva mai avuto una storia duratura. Certo, c’erano state molte donne ma nessuna si era mai presa la briga di restargli accanto. Artemis gli piaceva, era carismatica e fiera, era divertente ed era anche incasinata. Era una ventata d’aria fresca.
“Tutto il tempo che ti serve.”
Artemis sorrise e andò da lui per abbracciarlo, posando la guancia contro il suo petto.
“Ora posso infilarti le mani sotto la maglia o devo aspettare ancora?”
Klaus sorrise e le stampò un bacio sulla fronte, al che lei lo abbracciò più forte.
“Puoi farmi tutto quello che vuoi.”
Artemis allora gli sfilò la maglietta per godere appieno del suo fisico asciutto e muscoloso. Con le dita tracciò il contorno della piuma tatuata sulla spalla. Poi lo baciò. Al tocco delle sue labbra seguì una caterva di brividi lungo la schiena. Klaus la spinse dolcemente sul letto e lei divaricò le gambe perché lui vi trovasse spazio in mezzo. Si spogliarono in fretta senza smettere di baciarsi. Volevano di più, sempre di più.
“Che c’è? Perché ridi?” domandò Artemis, perplessa.
Klaus la squadrò da capo a piedi, i suoi occhi indugiarono sul reggiseno rosa a pois bianchi sulle coppe e gli slip giallo fluo.
“Mi piace il tuo intimo raffinato.”
“Ehi, era tutto scontato e ne ho approfittato. Apprezza le mie doti di risparmio.”
Klaus sfoggiò un sorriso allegro e subito dopo di chinò a baciarle il collo. Le sue mani con gesti scattanti aprirono i ganci del reggiseno e lo lanciò chissà dove. Con la punta del naso sfiorò la carotide mentre le sue mani scivolavano sempre più in basso oltre i fianchi. Klaus baciò entrambi i seni e poi scese a baciarle la pancia. La sua lingua giocò con il piercing all’ombelico, si trattava di un piccolo sole in acciaio con al centro un brillantino. Dal canto suo, Artemis gli mise una mano fra i ricci e mosse piano i fianchi.
“Ah, la mia donzella è impaziente.” Biascicò Klaus.
Artemis strinse le gambe intorno al suo bacino e sorrise soddisfatta nel costatare che quella vicinanza piaceva a entrambi. Klaus di colpo si era irrigidito, però il suo corpo reagiva senza alcun controllo.
“Trovi l’occorrente nel secondo tiretto del comodino.”
Klaus non capì fino a quando non scavò nel comodino e trovò una piccola bustina argentata. Un nodo gli serrò la gola, era gelosia allo stato puro.
“Non voglio neanche sapere perché hai dei preservativi se non hai un ragazzo.”
“È stata Lauren a lasciarlo nel caso in cui tu fossi venuto a trovarmi.” Chiarì Artemis.
“Tu hai parlato a Lauren di me? Sono sorpreso.”
“Ovvio che ho parlato di te con lei, è una mia cara amica. E poi ti ho detto che ci tengo a te.”
Klaus le prese il mento fra le dita e le scoccò un bacio a stampo sulla bocca.
“Tanto vale la pena usarlo, no?”
“Era ora, Mikaelson!”
I venti minuti successivi trascorsero fra baci, risatine e prese in giro. Con le mani si toccavano dappertutto, ogni centimetro di pelle era come un percorso lussurioso da seguire. Quando furono pronti, Klaus si prese qualche secondo per guardarla.
“Te la senti di continuare?”
“Assolutamente sì.” Disse Artemis con un sorriso.
Fu allora che i loro corpi si unirono strappando un gemito a entrambi. Artemis mise le mani sui fianchi di Klaus per accompagnare ogni spinta. Era un abbraccio caldo, sensazionale tanto da riempire la stanza di gemiti e ansimi.
 
Il sonno profondo di Klaus fu interrotto dall’imperterrita vibrazione del cellulare. Lo afferrò senza neanche aprire gli occhi.
“Pronto?”
“Ciao, Nik. Io e Freya abbiamo localizzato Oscar Cooper.” Disse Rebekah.
Klaus si svegliò completamente col terrore che Artemis avesse ascoltato la notizia. Invece, con suo rammarico, era da solo in casa. L’orologio sul tavolo della cucina segnava le undici e mezzo di mattina, quindi era probabile che la ragazza fosse andata a lezione. I suoi vestiti erano stati impilati in ordine sulla sedia, così come le sue scarpe e la sua giacca.
“Dove si trova?”
“Ad Amite City, una cittadina che dista circa due ore da New Orleans.” Riferì Freya.
Klaus aveva intenzione di catturare Oscar, rinchiuderlo nelle segrete di palazzo Mikaelson e di interrogarlo sul potere di Artemis. Freya gli aveva detto che quel potere speciale, quello di manipolare le emozioni, era troppo grande e instabile per una strega inesperta come Artemis. Avevano bisogno che Oscar li aiutasse a comprendere meglio quell’abilità per aiutare la ragazza.
“Io lascerò Chicago tra un paio d’ore. Alle quattordici parte il volo per la Louisiana.”
“Ti aspettiamo o ti anticipiamo? Oscar non resterà nei paraggi per molto.” Disse Rebekah.
Klaus si rimise i boxer, si alzò e tastò le tasche della giacca in cerca del portafogli.
“Andate a prenderlo. Io tornerò il prima possibile.”
La porta cigolò e Artemis entrò con due bicchieri di caffè e un sacchetto bianco.
“Ehi!” lo salutò lei.
Klaus sventolò la mano e accettò con un cenno del capo il bicchiere di caffè. Era nero e poco zuccherato come piaceva a lui.
“Ci vediamo dopo, Nik. Saluta la tua streghetta da parte nostra.” Lo derise Rebekah.
Artemis rise per l’espressione scocciata dell’Originale, di sicuro le sorelle lo avevano preso in giro in qualche modo.
“Tutto okay? E’ successo qualcosa?”
“Devo tornare a New Orleans per sbrigare alcuni affari. A quanto pare i vampiri si stanno abbandonando ai festeggiamenti in maniera eccessiva. In estate la città pullula di turisti.”
Klaus indossò i pantaloni con noncuranza, era davvero abile a mentire.
“Non sia mai che il turismo di New Orleans fallisca perché mancano i turisti!”
“Avverto una punta velenosa. Già senti la mia mancanza?”
Artemis si sedette a tavola e tirò fuori dalla busta bianca un cornetto farcito di marmellata ai frutti di bosco.
“Finalmente ti levi di torno! Ti avrei ucciso se fossi rimasto un minuto di più.”
L’ibrido sogghignò mentre si allacciava la cintura.
“Fingerò di crederci. Mangi solo tu? Lasciarmi affamato è meschino.”
“Ti ho comprato un bignè, dato che li adori così tanto.” Disse Artemis.
Klaus le strinse le spalle, si piegò e le diede un bacio sulla guancia.
“Adoro anche te. Anzi, ti adoro più dei bignè.”
“Ehm, grazie.”
Artemis arrossì un poco e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con imbarazzo. Klaus si infilò la maglia ridendo di gusto.
“Artemis Dumont che arrossisce, che evento memorabile!”
“Smettila. Mangia il tuo stupido bignè.”
L’ibrido si sedette e addentò il dolce, dovendo riconoscere che quelli di Chicago erano buoni quanto quelli di New Orleans. Si prese qualche secondo per osservare Artemis che beveva tranquillamente il suo caffè.
“Hai da fare? Ho due ore libere prima di andare in aeroporto. Ovviamente non sei obbligata a stare con me se non vuoi. Non voglio essere appiccicoso.”
La ragazza con il dito percorse il bordo del bicchiere con fare pensieroso. Poi si riscosse e sorrise, era una bella giornata e voleva viverla fino in fondo.
“Potremmo andare all’Artspace, è una galleria d’arte e venti minuti da qui. Che ne pensi?”
Il cuore di Klaus fece le capriole, per la prima volta Artemis si mostrava incline a stare con lui.
“Penso che sia un’idea grandiosa.”
 
Quattro mesi dopo, ottobre, Chicago
Artemis varcò la soglia prima che venisse giù il diluvio. La sua felpa grigia era coperta da pois di gocce di pioggia. Si tolse il cappuccio e si riavviò i capelli all’indietro.
“Okay, okay, ci sono. Mi dicevi?”
“Che papà mi sta riaccompagnando a Mystic Falls per l’inizio delle lezioni.” Disse Hope.
Quella mattina Hope l’aveva chiamata per ragguagliarla sugli ultimi giorni a New Orleans. La ragazzina l’aveva chiamata per tutta l’estate, si erano anche viste ogni sera tramite skype. Artemis era rimasta a Chicago per studiare e lavorare, pertanto lei e Klaus non si vedevano da quattro mesi.
“Sei contenta di tornare a scuola?”
“Sì, anche se mi dispiace lasciare papà da solo.”
“Papà starà bene anche da solo.” Si intromise Klaus.
Artemis svoltò l’angolo e un ragazzo le andò addosso facendola sbattere contro il muro.
“Ahia! Ma che diamine!”
“Scusami! Sono in ritardo per la lezione di storia industriale.” Si giustificò il ragazzo.
Aveva due occhi blu come il mare e capelli rossi come un rubino. La sua bellezza era talmente strabiliante che Artemis sbatté le palpebre per guardarlo meglio.
“Storia industriale con la professoressa Miller? Ci sto andando anche io. Aspetta qui, ci andiamo insieme.”
“O-okay.” Balbettò il ragazzo in imbarazzo.
Artemis si allontanò per parlare al telefono senza staccare lo sguardo dal nuovo arrivato.
“Che succede? Stai bene, Artemis?” domandò Klaus, preoccupato.
“Sto bene. Un tipo mi è venuto addosso per la fretta. Posso chiamarti più tardi? Ora devo andare a lezione.”
“Certo. Ci sentiamo dopo, milady. Fa attenzione ai ragazzi che ti cadono addosso.”
Artemis alzò gli occhi al cielo per quella nota di gelosia nella voce di Klaus.
“Ciao, Artemis! A stasera.” Disse Hope.
“Vi saluto. Ci sentiamo stasera. Buon rientro a scuola, Hope! E Klaus, non essere appiccicoso.”
“Mi manchi anche tu. Vai a lezione, su.”
“A dopo.”
Artemis concluse la telefonata e tornò dal ragazzo, che intanto si dondolava sui talloni per l’ansia da primo giorno.
“Io mi chiamo Artemis.”
Il ragazzo strinse la sua mano con un sorriso timido, le sue guance erano rosse come i capelli.
“Io sono Noah.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Eccoci giunti alla fine della prima parte. Spero che vi sia piaciuta questa storia, c’ho lavorato davvero tanto.
Grazie di cuore per averla seguita.
Alla prossima, un bacio.

 

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