Shin no utsukushi-sa

di WaterfallFromTheSky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


«Grazie infinite!»
Si accomodò sui sedili posteriori, dal lato del passeggero, e sbottonò il cardigan, mentre il tassista sistemava il suo trolley nel portabagagli e si rimetteva al volante per lasciare l’aeroporto. C’era odore di polvere, ma non se ne curò.
«Posso aprire il finestrino?» domandò. In quell’auto si soffocava. No, non in quell’auto, a Tokyo: aveva dimenticato quanto fossero torride le giornate estive in quella città, soprattutto all’orario di punta.
«Ma certo! Mi dispiace, il condizionatore è rotto…» replicò il tassista, imbarazzato. Era un giovane forse della sua età, dal sorriso cordiale e i capelli un po’ ispidi; sembrava simpatico.
«Non importa, il finestrino aperto basterà. Spero» replicò la ragazza, sorridendo a sua volta.
Il tassista annuì e mise in moto l’auto, mentre lei infilò la mano nella voluminosa borsa e cominciava la strenua ricerca del suo cellulare. Accidenti, perché non lo infilava mai nella tasca esterna?
«Dove è finito?» borbottò. Aveva quasi la faccia infilata nella borsa, insieme alla sua mano. Il suo diabolico cellulare, unito a quel caldo torrido, a quel cardigan che le si era incollato addosso e al coro di clacson circostanti, la fece sbuffare sonoramente.
«Problemi?» domandò il tassista, lanciandole un’occhiata attraverso lo specchietto retrovisore.
«Ah, mi scusi! Ha presente quando si dice che nelle borse delle donne non si trova mai nulla? Bè, non è una leggenda metropolitana…»
Il tassista scoppiò a ridere, smorzando senza saperlo la stizza della ragazza. «Non me lo dica! Quando cerco qualcosa nella borsa della mia ragazza, mi sembra di cominciare uno scavo archeologico.»
«Ahah, buona questa!»
«Bè, comunque ha molto tempo per cercare, come vede, visto che siamo bloccati.»
«Non tutti i mali vengono per nuocere, giusto?»
Il tassista ridacchiò, confermando le sue parole. La ragazza si liberò del cardigan – probabilmente aveva due aloni scuri sulla maglietta in corrispondenza delle ascelle, ma in quel momento non le importava –, raccolse la morbida massa bionda in una coda di cavallo e riprese le ricerche, spargendo il contenuto della borsa sui sedili posteriori.
«Trovato!» esclamò lei, trionfante, sollevando il cellulare come fosse un trofeo. Rimise tutto a posto, tenendo fuori soltanto il ventaglio, che prese a sventolare sul viso e sul generoso decolleté. Si accorse che il tassista le stava scoccando occhiate curiose mediante lo specchietto. Lo ignorò; controllò piuttosto le notifiche sul cellulare, ma non trovò nulla di urgente – tanto meglio.
«Mi scusi, signorina…posso farle una domanda, se non sono indiscreto?»
«Uh?» Le iridi azzurre della ragazza incontrarono quelle scure del tassista tramite lo specchio.
«Ecco, mi sembra di averla già vista. Per caso, è quella modella…?»
Il tassista distolse lo sguardo, cercando di ricordare il nome della modella di cui si era ricordato. Aggiunse, in imbarazzo: «Sa, la mia ragazza è una sua grande fan, ma non ricordo proprio…»
«Ann Takamaki. Sì, sono io!»
«Certo, Takamaki! Giusto!»
Il tassista non si accorse che il semaforo era verde, per cui fu investito dallo strepitare dei clacson dietro di lui. Sobbalzò visibilmente – Ann ridacchiò di soppiatto – e avviò l’auto, imprecando: «Ma che scostumati! Sempre di fretta.»
«È come la ricordavo.»
«Scusi?»
«Tokyo. È come la ricordavo.»
Ann si addossò al sedile e tacque, lo sguardo color del cielo fisso oltre il finestrino, sulle auto roventi, sulle nuvole di smog, sulla bolgia di passanti mezzi sudati quanto lei, che andavano l’uno addosso all’altro senza la minima attenzione.
«Manca da molto?» le chiese il tassista.
«Da qualche anno.»
«Sembra felice di essere ritornata.»
Ann era felice per davvero, come una persona che ritrovava una vecchia amica dopo tanto tempo. A dispetto del caos circostante e dei semafori tutti rossi, Ann sorrise ancor più largamente al giovane uomo. E fu ben lieta di constatare di averlo contagiato con il suo buonumore.
 
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Era eccitata. Sapeva che lo sarebbe stata, ma si accorse di esserlo più del previsto quando rivolse al receptionist un sorriso talmente largo che l’uomo le rivolse la stessa espressione che avrebbe riservato ad una svitata. Lasciò le chiavi della sua camera d’albergo e abbandonò la hall per immergersi nell’aria afosa della sera – fortunatamente non afosa come lo era stata quando era arrivata.
Nemmeno fece in tempo a tirare un bel respiro per sciogliere quella fastidiosa eccitazione che già trovò il taxi parcheggiato accanto al marciapiede. Vi si precipitò, sperando che non fosse tardi.
«Buonasera!» esordì allegramente, accomodandosi allo stesso posto di quel mattino. Stavolta aveva il cellulare in mano, e lo stava stritolando al punto che temette di spaccarlo.
Allentò la presa.
«Buonasera, Takamaki-san! Dove la porto stasera?» Aveva un sorriso smagliante come quando l’aveva prelevata all’aeroporto, ma una breve occhiata bastò ad Ann per notare i suoi occhi socchiusi e dalle sclere arrossate.
«Al Museo di Ueno, grazie.»
«Subito.» L’auto partì, mentre Ann apriva di nuovo il finestrino. L’aria era calda, ma piacevole sulla pelle e sui capelli sciolti. Ann osservò le strade di Tokyo, avida, come aveva fatto nel tragitto fino all’albergo. Aveva scorto diversi nuovi negozi d’abiti e svariati bar-pasticcerie che avrebbe sicuramente visitato prima di tornarsene negli Stati Uniti, ma anche ora ne trovò di nuovi.
Accidenti, sembra passata una vita da quando me ne sono andata. Quante cose possono cambiare in quattro anni?
Quattro anni. Bè, pochi non erano. Non poté fare a meno di ripensare ai suoi amici. Il solo tentare di immaginarli ora le fece fremere lo stomaco di agitazione e inumidire gli occhi. Peccato che Sumire e Makoto non ci sarebbero state – la prima era impegnatissima con gli allenamenti per una gara, la seconda stava studiando sodo per via degli esami universitari – ma ciò non smorzava affatto l’entusiasmo di Ann.
La ragazza controllò l’orologio da polso, impaziente. La mostra era già iniziata.
Sorrise, brillante. Poi gonfiò le guance quando si accorse che il cinturino dell’orologio aveva perso una perlina.
Va bè, non si vede.
Sorrise di nuovo. Era talmente di buon umore che niente sarebbe stato in grado di ingrigire il suo umore. Sembrava una sciocca, e lo sapeva, ma non gliene importava proprio niente.
«Deve incontrare qualcuno di importante, Takamaki-san?» domandò il tassista, mentre lasciava che una donna attraversasse la strada.
«Sì. Più di uno, a dire il vero.»
«Ah. Pensavo una fiamma.»
«Cosa?» Ann ridacchiò, poi rispose: «Ma no, solo un gruppo di amici. Che, a ben pensarci, sono meglio di una vecchia fiamma. Sa, non mi è andata molto bene con le fiamme… Decisamente meglio con gli amici.»
«Bè, a che servono gli amici, se no?»
«Giusto!»
L’auto partì di nuovo, senza fretta. Non c’era molto traffico e l’auto procedeva placidamente, tanto che Ann si rilassò. Quando stavano per chiudersi le palpebre – forse colpa del jet lag – il cellulare vibrò. Un messaggio.
Aprì la chat e le si annebbiò la vista. Da quando non apriva quella chat?
 
Futaba: Panther, manchi solo tu! Dobbiamo preoccuparci?
 
Haru: Siamo tutti davanti all’entrata.
 
Ryuji: Sbrigati! Ci fai saltare la sorpresa!
 
Ann chiuse le palpebre e asciugò una lacrima. Ottima idea quella di mettere solo l’eye-liner.
«Takamaki-san, tutto bene?» Il tassista l’aveva notata di nuovo, fermo ad un altro incrocio.
«Certo, tutto benissimo!» replicò, tirando su con il naso.
«Vuole un fazzoletto?»
«No! No, ora mi passa, grazie.»
«Siamo quasi arrivati. Se vuole che faccia qualche altro giro, così si ricompone…»
«No, non serve. Grazie.» Ann asciugò le lacrime con un dito e rispose:
 
Due minuti!
 
Quando vide il museo, quasi le si fermò il cuore per l’emozione. Prima di cercare i suoi amici con lo sguardo, però, deglutì più volte e cercò di respirare profondamente. Il tassista accostò e lei tirò fuori i soldi, porgendoli al giovane. Che li contò e fece per darle il resto, ma lei disse: «No, li tenga pure tutti. Stacchi prima da lavoro e si faccia una bella dormita!»
Il tassista schiuse la bocca, stupito.
«Ah, dimenticavo.» Ann tirò fuori dalla borsa una rivista e la porse al giovane, spiegando: «Per la sua fidanzata. È un numero speciale che non è arrivato in Giappone. Le ho scritto una piccola dedica.»
«Io…non so come ringraziarla!»
Ann sorrise, radiosa, mentre lasciava la rivista all’uomo e usciva dall’auto.
«Buona serata!» augurò il tassista, prima di ripartire. Ann lo salutò con la mano, poi si lisciò la gonna scarlatta e gettò indietro i capelli, più briosa e impaziente che mai.
«Ehi, hai finito di atteggiarti?!»
Si voltò verso destra, incontrando un sorriso sfottente che tornò subito a esserle familiare. Per poco non saltò dalla gioia.
«E tu hai finito di dare fastidio a Lady Ann? Sei il solito zotico.»
Ann sorrise come un sole mentre, alle spalle di Ryuji, si aggiungevano Ren, Haru e Futaba. La testolina di Morgana spuntava da una borsa nera che Ren portava in spalla.
«Fatti gli affari tuoi, gatto palloso.»
«Come osi?!»
Morgana e Ryuji si squadrarono a muso duro, e Ann ridacchiò, ricacciando indietro le lacrime di commozione.
«Ma ciao!» esclamò invece Futaba, stringendola in un breve ma affettuoso abbraccio, che minacciò ancor di più di farla piangere.
«Buonasera! Sono proprio felice di vederti! Ti trovo benissimo!» disse invece Haru, con espressione dolce. Sembrava avere il leggero trucco un po’ sfatto attorno agli occhi. Bè, forse poteva concedersi qualche lacrimuccia anche lei?
«È bello rivederti» le disse invece Ren, aggiungendosi alle amiche. Dietro quegli occhiali e i capelli al solito spettinati, Ann scorse un’espressione serena e felice. Lo trovò più alto di come lo ricordava e senza nessuna traccia dell’aura tenebrosa che lo avvolgeva ai tempi del liceo.
«Puoi dirlo forte! Lady Ann, sei meravigliosa!» esclamò invece Morgana, puntandole addosso i suoi occhi blu.
«Ragazzi…sono proprio felice di rivedervi! Se potessi, vi abbraccerei tutti insieme!» rispose la bionda, gli occhi umidi.
«Basta sentimentalismi. Entriamo, o rischiamo che Yusuke legga la chat e ci scopra» fece Ryuji.
«Infatti, potevate telefonarmi.»
«L’idea ovviamente è stata sua! Non spicca per intelligenza, lo sappiamo…» lo punzecchiò Morgana, ma prima che il ragazzo potesse ribattere, Futaba sollevò un dito e disse: «Ma noi gli vogliamo bene per questo!»
«Ma quanto siete sdolcinate?! Andiamo!» disse Ryuji, avviandosi per primo, accompagnato da un coro di risatine.
 
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Se tante cose erano cambiate per le strade di Tokyo, Ann trovò che il museo di Ueno invece fosse rimasto tale e quale a come lo ricordava. La sua struttura bianca e imponente, dal taglio tradizionale, brillava sotto il cielo limpido e stellato della sera. Il gruppo si infilò nel sentiero lastricato, che scorreva tra due filari di aceri verdi, costeggiando il bacino d’acqua perfettamente rettangolare che precedeva l’entrata: sembrava un vetro nero invaso di lucciole. Ann si guardò attorno, respirando l’odore fresco degli aceri e chiacchierando con i suoi compagni – e scacciando qualche fastidiosa zanzara con le mani. Le loro chiacchiere erano così fitte che coprivano il rumore dei suoi tacchi sul lastricato. Sembravano stare tutti bene, anzi, benissimo: gioia e serenità trasparivano dai loro sorrisi e dai loro commenti. Poco sembrava cambiato da quando si erano separati qualche anno prima, tranne che per Ryuji: il ragazzo aveva di nuovo i capelli neri come la pece, aveva abbandonato la postura da bullo per sostituirla con una schiena diritta e appariva più tonico, quasi muscoloso. Futaba, invece, portava i capelli a caschetto e occhiali dalle lenti più strette; la sua camminata era molto più disinvolta rispetto al passato.
Quando raggiunsero l’entrata del museo, i giovani avvertirono fin da lì il vocio della folla all’interno. Ann era impaziente di entrare e rivedere anche Yusuke, come anche di parlare un po’ di più con gli amici per capire come se la stessero passando.
Non appena misero piede nel museo, furono carezzati dalla frescura dell’aria condizionata. Ann strizzò appena le palpebre: quel posto era dannatamente illuminato. Le bastarono un paio di secondi per non soffrirne più e ammirare invece il taglio moderno dei corridoi e delle sale, dal pavimento color cioccolato e le pareti candide come se fossero state appena tinteggiate.
«Quanta gente! Cavolo, è diventato veramente famoso, quello stramboide!» esclamò Ryuji.
«Abbassa la voce, o sembrerai tu lo stramboide» fece Futaba, ma lui la ignorò e si avvicinò al quadro più vicino, facendosi largo tra un gruppetto di avventori.
«Whoa! Pazzesco!» disse, a voce fin troppo alta. La gente intorno a lui gli rivolse un’occhiataccia e si allontanò.
«Abbiamo iniziato con le figuracce…» commentò Morgana.
«Tu pensa a non uscire dalla borsa di Ren, o ci fai sbattere fuori!»
«Non sei cambiato per niente, Ryuji! Mona ha ragione, abbassa la voce!» lo redarguì Ann, e lui sbuffò.
«Bello, vero? È pieno di colori» commentò Haru, squadrando il dipinto. Era di dimensioni spropositate – avrebbe sicuramente occupato metà della parete di una stanza – e lo stile ricordava quello del famosissimo Picasso, tutto spigoli e linee spesse e decise. Non era realistico nelle proporzioni e nelle forme, ma si riconosceva facilmente una donna in primo piano, composta da poligoni bianchi, capelli biondo grano, labbra rosse e occhi gentili; teneva in mano una mela scarlatta e, alle sue spalle, riquadri cremisi e blu coloravano lo sfondo.
«Ehi, ma la donna ritratta non vi ricorda qualcuno?» chiese Futaba.
«Io ho già visto questo quadro. Nella stanza di Yusuke. Risale a prima che ci separassimo» disse Ren, le mani in tasca.
«Davvero? È così datato? Però, significa che anche le sue vecchie opere stanno avendo successo!» disse Haru, entusiasta. Nel frattempo, Ryuji aveva preso a spostare lo sguardo dal quadro ad Ann e viceversa, di continuo.
«Che hai da guardare?» fece lei.
«Tu prima portavi i codini. Questa qui…» Ryuji si soffermò di nuovo sul quadro, pensieroso, muovendo le dita vicino alla testa come per emulare la presenza di due voluminosi codini.
«È vero! È Ann!» squittì Futaba, stupita.
«Che? Io?»
«Bè, ora che me lo fai notare…» confermò Haru.
«Ma che dite? Non può essere.»
«Perché no? Non gli hai più fatto da modella, ricordi? Evidentemente non gli è mai passata…»
«Ah, sta’ zitto, Ryuji!»
«…oppure gli hai fatto da modella e noi non ne sappiamo niente?!»
«Finiscila!» sbottò lei, dandogli un piccolo pugno sulla spalla, che fu accolto dalle risate di tutti.
Il gruppetto continuò il giro tra le opere di Yusuke. Ce n’erano di tutti i tipi e dimensioni, e Ann si perse nella loro contemplazione, accompagnata dai commenti sciocchi che di tanto in tanto Ryuji lasciava andare. Si imbatté in suggestivi paesaggi, soggetti animali o inanimati, diversi primi piani di donne o coppie innamorate e ne rimase estasiata. Tuttavia…aveva una sensazione che non riusciva a decifrare.
Si fermò al cospetto di un dipinto che riproduceva una foresta di bambù. Ann lo studiò con attenzione. La prima cosa ad attirarla furono le gradazioni di verde che spaziavano all’interno del quadro: erba, lime, asparago e muschio sui sottilissimi steli di bambù, cinabro, trifoglio e oliva sul terreno. Tra di esse, fasci di luce che penetravano tra i fusti e le foglie. Inoltre, i bambù erano rappresentati con un realismo straordinario, con dovizia di particolari: sembrava quasi di poterli toccare con mano. Quando scorse anche la testolina di un panda celata tra le piante, le piacque ancor di più. Ma quella sensazione persisteva. Non capiva cosa fosse.
Alle sue spalle, gli altri parlottavano, ma non li ascoltava. Poi, si accorse che Ren era al suo fianco e fissava il quadro al pari di lei. I loro sguardi si incontrarono e lei sorrise.
«Belli, vero? Sono proprio contenta per Yusuke. Starà facendo tanti soldi questa sera.»
«Ho sentito una signora che intendeva comprare uno di quelli più costosi» confermò lui.
«Però…non ti sembra che ci sia qualcosa di strano?»
«Anche tu hai quella sensazione?»
I due si fissarono per un paio di secondi, poi Ann fece spallucce. «Non so spiegare cosa sia» disse.
«Nemmeno io. Però…è come se…non me ne intendo di arte, ma è come se non sentissi Yusuke in questi quadri.»
«Sì! Sì, esatto. Ricordo i suoi quadri un po’ diversi. E ricordo che voleva esprimere la stessa bellezza della Sayuri, ma…»
«…nemmeno l’ombra di quella bellezza, giusto?»
Ann assentì, perplessa ma anche preoccupata. Mai come in quel momento desiderò di incrociare Yusuke, nella speranza che sia Ren sia lei avessero preso un abbaglio. Del resto, loro due di arte ne sapevano ben poco, e lui doveva per forza aver fatto progressi in quegli anni, vista la popolarità che aveva raggiunto.
«Ehi, gente! La nostra star è lì!» esclamò Ryuji. Stava indicando qualcuno in mezzo ad un trio di giornalisti e due cameramen. Ann mise a fuoco Yusuke, che rispondeva alle domande con disinvoltura. Senza rendersene conto, sorrise di nuovo, sicura di somigliare ad una bambina a cui hanno comprato il giocattolo che desiderava da tempo. Trovò l’amico identico a come lo aveva lasciato: i capelli lisci e ben pettinati, che incorniciavano il viso sottile e latteo, la solita espressione posata e cordiale incastonata dietro gli occhi scuri, le movenze lente e pacate mentre si rivolgeva ai giornalisti. Nulla di diverso, come se lo avesse visto soltanto il giorno prima. Diversamente dal passato, però, era abbigliato in modo più curato: quella camicia blu notte calzava a pennello sulla sua figura asciutta. Era forse di raso di seta?
«Yo, Yusuke!» lo chiamò Ryuji. Futaba e Haru si voltarono dall’altro lato nello stesso istante, come se non lo conoscessero.
«Ma che ti salta in mente?! Non lo vedi che è occupato?» sbottò Ann, esasperata, mentre Ren scuoteva il capo con un sorriso e Morgana borbottava qualcosa.
«Uh? L’ho fatto apposta, per salvarlo da quei giornalisti pallosi…»
«Guarda che deve vendere. Più pubblicità si fa e meglio è. Scimmia sempliciotta» lo offese Morgana.
«Ancora miagoli?!»
«Basta» li pregò Ren.
Intanto, Yusuke non poté fare a meno di notarli. Per un attimo spalancò le palpebre, evidentemente trasecolato; quello successivo, un sorrisetto affiorò sulle sue labbra sottili.
«Cosa…?» domandò uno dei giornalisti, seguendo la direzione del suo sguardo.
«Nulla, mi perdoni. Dicevamo?»
Ryuji ignorò gli altri e si avvicinò ancora, restando poco lontano dai giornalisti. Gli altri lo seguirono, preoccupati che li facesse cacciare tutti. Quando Yusuke li notò di nuovo oltre la spalla del giornalista, si limitò a sorridere ai pollici alzati di Ryuji.
«Ma che palle, quando si levano dai coglioni?»
«Non essere cafone!»
«Perché Mako-chan non è qui?»
«Dici che lei sarebbe abbastanza OP da tenerlo a bada?»
«Oh ma che pizza! Siete diventate delle pesantone, tutt’e tre» si lamentò Ryuji, guadagnandosi occhiatacce dalle ragazze.
«Io proporrei di andare a farci un giro. Yusuke ci ha notati, quando si libererà, verrà a cercarci lui stesso.»
«Bravo, Ren, finalmente un’idea decente. Non come una certa scimmia…»
Mentre Ryuji e Morgana si scambiavano un’occhiata minatoria, Ren si voltò in direzione di Yusuke e ammiccò; l’amico parve capire, poiché rispose alla stessa maniera. Ann lo salutò con una mano e fu la prima a voltarsi, impaziente come Ryuji di poter parlare di nuovo con lui.
 
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I ragazzi vagarono ancora per il museo, scherzando tra loro e ammirando i quadri – nei limiti del possibile, nel caso di Ryuji.
«Ehi, peccato che Sumire non ci sia. Ma, Ren, dì un po’: com’è finita tra voi? Che non l’ho mica capito» disse Ryuji tutt’a un tratto, affiancandosi all’amico. Il giovane gli riservò una breve occhiata e prese a tormentarsi con le dita una ciocca sulla fronte.
«Ma gli affari tuoi…?» lo soccorse Ann, ma intervenne Futaba: «È troppo presa dai suoi allenamenti. È bravissima, ma deve ancora expare un sacco. La vedo in hype solo quando è vicina una gara. Non c’è posto per te nel suo futuro, Ren.»
L’interpellato continuò semplicemente a dedicarsi alla sua povera ciocca; Ann lanciò un’occhiataccia a Futaba, che si limitò a fare spallucce.
«L’ho tenuta d’occhio, come volevi…»
«Non è quello che ti ho chiesto.»
«…ma non l’ho mai vista con nessuno, se ti può consolare. In realtà, a scuola era inarrivabile per tutti. Chi potrebbe mai starle dietro?»
«Se non è stata con nessuno, allora forse c’è speranza, vero Ren?» intervenne Haru, con uno dei suoi sorrisi dolci.
«Mah, ne dubito. Se una ti vuole, non aspetta certo tutto questo tempo. Che Ren mica abita dall’altra parte del mondo!» fece Ryuji, mentre fingeva di controllare i particolari di uno dei tanti quadri.
«Disse l’esperto» lo prese in giro Mona. Ann si accodò: «Infatti, sembri saperla lunga. Devi raccontarci qualcosa?»
«Uh? Siete fuori strada.»
«Il solito sfigato?»
«E tu, invece, che fai tanto la maestra?!»
Ann non rispose subito. Non aveva granché da dire. Non di bello, almeno. Sorrise prima di replicare: «Non si chiedono queste cose ad una signora. Sei sempre il solito villano.»
«Sì, bè, che posso farci.»
Inaspettatamente, quella risposta gettata lì a caso fece sghignazzare tutti, tanto che alcuni avventori si voltarono in loro direzione con curiosità.
«Ah, ragazzi, quanto mi siete mancati» disse Ann.
«Dovremmo farlo più spesso» confermò Ryuji, bonario.
«Bè, io sono a Tokyo, ormai» annunciò Ren.
«Davvero?! Non vedo l’ora di dirlo a Sojiro!»
«Passerò io stesso a dirglielo. A proposito, come sta quel brontolone?»
Mentre migravano da un quadro all’altro, sforzandosi di non disturbare gli astanti con le loro chiacchiere, i ragazzi si aggiornarono a vicenda sulle loro vite, concentrandosi sulle novità più importanti. Ann li ascoltò avidamente, assorbita dagli sviluppi che, con suo rammarico si era persa.
Ren aveva terminato gli studi e svolto diversi lavori nel suo paese natale, ma poi si era iscritto all’università proprio quell’anno, a Tokyo, alla facoltà di scienze politiche. Era riuscito a riabilitare la sua reputazione con la sua famiglia e i suoi conoscenti, eppure alcuni continuavano ad evitarlo; per quel motivo, aveva deciso di cambiare vita e tornare a Tokyo. Ovviamente, qualunque spostamento facesse, Morgana era con lui.
«Quanto meno, mi ha aiutato a conoscere diverse ragazze» scherzò Ren.
«Naturale! Chi potrebbe resistere ad un tipo carino come me?»
Haru era nel pieno degli studi di economia e nel frattempo portava avanti l’azienda che aveva ereditato dopo la morte di suo padre. La Okumura Foods aveva aperto ben due nuove filiali e la giovane si stava impegnando con tutte le sue forze affinché fossero accoglienti tanto per i clienti quanto per i dipendenti, caratterizzate da alimenti di buona qualità e, quindi, per riabilitare il nome dell’azienda; al contempo, era ancora immersa nella progettazione del suo piccolo bar fin nei minimi particolari.
«Takakura-san mi è sempre vicino, mi aiuta tantissimo. Non so come farei senza di lui! Mi sarebbe impossibile condurre i miei studi e l’azienda senza il suo aiuto.»
«Porca miseria, non ti scoppia il cervello?» le domandò Ryuji, impressionato.
«Confesso che mi capita di non avere tempo nemmeno di andare in bagno…»
«Andrà meglio quando terminerai l’università» la rassicurò invece Ren.
Haru parlò loro anche di Makoto. Tra loro, era l’unica che riusciva a vederla, anche se saltuariamente: la ragazza era ancor più impegnata di lei negli studi, che avevano la priorità assoluta su qualunque cosa. Insieme all’aikido: la ragazza era del parere che un buon poliziotto – futuro commissario – dovesse necessariamente essere in grado di mettere in riga da sé i malviventi.
«Mi ha mostrato alcune mosse. È spaventosa» rivelò Haru.
«Bè, già prima non era un fiorellino…» commentò Morgana.
«Sono sicuro che i criminali ci penseranno dieci volte prima di fare cazzate!» esclamò invece Ryuji, entusiasta.
Anche Futaba si era iscritta all’università, alla facoltà di psicologia, con l’intenzione di specializzarsi in seguito nella scienza psi-cognitiva e seguire le orme di sua madre, come da suo sogno. Era così appassionata dalla psicologia che ampliava in autonomia il materiale di studio consigliato dai docenti, e si era già fatta notare da molti di loro, e anche da diversi studenti, che le chiedevano consigli per superare gli esami e ripetizioni a pagamento. Nel tempo libero, naturalmente, era tutta anime, manga e videogiochi; per fortuna, però, era riuscita a farsi qualche amica, sia del liceo sia in facoltà, e persino un amico.
«Sojiro mi vede già sposata. Gli ho detto mille volte che è solo un amico, ma non mi ascolta. Ren, quando verrai al Leblanc, diglielo tu!»
«Ma come potrebbe credermi? Non ne so niente.»
«Andiamo! Un ex Ladro Fantasma ora non sa rassicurare un vecchio petulante?»
«Sarebbe più divertente dirgli questo…»
«Ma quindi Sojiro ha ragione o no?» s’informò Ann, accompagnando le sue parole con un sorrisetto furbo.
«C-c-c-osa stai ins-sinuando?!»
Ryuji aveva trovato un lavoro stabile come commesso in un negozio di articoli sportivi ed era tornato da poco a vivere con sua madre, che non era più in salute. Era riuscito a rimettere in sesto il suo ginocchio e aveva quindi potuto riprendere a correre, cosa che non mancava mai di fare nel fine settimana, insieme ad alcuni amici appassionati di atletica come lui.
«Mia madre dice sempre che un giorno mi romperò l’osso del collo, ma sotto sotto vorrebbe che diventassi un agonista.»
«E perché non lo fai?» chiese Futaba.
«Bèèèè…perché non potrei occuparmi di lei…»
«Ops, mi dispiace…»
«Ma no! Va tutto bene, figurati. Il solo poter correre senza paura di farmi saltare via il ginocchio è uno sballo per me!»
Alla fine giunse il turno di Ann. Tuttavia, non poté dir nulla poiché una voce profonda a lei ben nota li raggiunse da tergo: «Eccovi qui.»
«Yo, amico! Ma guardati quanto sei bello!» esclamò Ryuji, passandogli un braccio attorno al collo senza la minima delicatezza.
«Ciao, Inari! Da quanto tempo! Anzi, no, io e te ci siamo visti una settimana fa…»
«Ciao, amico. È proprio un piacere rivederti» disse Ren, con il suo peculiare sorriso mite e rassicurante. Ann fu nuovamente sul punto di commuoversi: le parve per un attimo di essere tornata una Ladra Fantasma, quando il suo leader dedicava a tutti loro dei sorrisi come quello, capaci di farli sentire invincibili e pieni di energie e, allo stesso tempo, accolti e amati da qualcuno che non li avrebbe mai traditi né abbandonati.
Yusuke dovette avere la stessa impressione; quando Ryuji lo lasciò andare, posò lo sguardo profondo su ognuno di loro e, infine, disse: «Amici. Quale gioia riavervi qui.» Quella manciata di parole bastò a suscitare un nuovo bonario sorriso sui volti di tutti. Ann desiderò di nuovo di poter abbracciare i suoi amici tutti insieme.
«Ma dai, la finite di essere tutti così melensi? Potrei sboccare.»
«Ma perché devi rovinare tutti i momenti più belli?!»
Mentre Ann dava uno scappellotto a Ryuji, Yusuke avanzò fino a lei. Quando Ann si accorse di averlo di fronte, abbastanza vicino da torreggiare su di lei, spalancò le palpebre, perplessa, mentre un discreto profumo da uomo le carezzava le narici.
«Ann. Sei meravigliosa come ti ricordavo. No, perdonami: sei ancora più incantevole» disse il giovane artista, con una naturalezza disarmante. Ann rimase per un attimo senza parole, come quando era giovane, insicura e incapace di gestire adeguatamente i complimenti. Colpa del suo sguardo: aveva acquisito un’intensità quasi conturbante, che non aveva notato a prima vista. E poi, si sbagliava o appariva più maturo e controllato?
«Grazie, Yusuke» rispose infine, movimentando i capelli con la mano, mentre sperava che il suo compiacimento non fosse troppo evidente. Sì, sembrava essere tornata al loro primo incontro, anche se allora lui sembrava solo uno svitato, anche un po’ inquietante alle volte.
«Ehi, non importunare Lady Ann!»
«Ma rinuncia, fesso di un gatto…»
Yusuke, ignorando bellamente lo sciocco battibecco tra i due amici, porse il braccio ad Ann e disse: «È un onore avervi qui, al cospetto delle mie opere. Immagino non le abbiate ancora viste tutte: vi faccio strada.»
«Ma certo!» rispose lei, accettando il braccio e lasciando che l’amico la guidasse – Sì, la camicia era proprio di seta!
«Yo, gattaccio, te l’ha soffiata in un secondo!»
«Come osi?!»
 
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Yusuke si comportò da perfetto cicerone, scortando gli amici in ogni angolo del museo e spiegando perfino alcune delle opere più ostiche, affinché potessero apprezzarle a pieno. Durante il tragitto, Ann si accorse che anche nel suo caso non sembrava trascorso nemmeno un giorno dall’ultima volta che si erano visti: Yusuke era spontaneo, interagiva con gli altri come suo solito, tirando fuori qualche stramberia delle sue e lasciando che il tour tra i dipinti lo assorbisse del tutto. L’unico inconveniente fu che dovette interrompersi spesso: diverse volte i giornalisti si fecero avanti per fargli brevi interviste o alcune foto, o stringere diverse mani, ma appena possibile tornava dai suoi amici, premurandosi di offrire il braccio ad Ann. La ragazza lo osservò mentre lo vedeva intrattenere rapporti con gli sconosciuti o con i colleghi che lo avvicinavano e confermò la sua impressione: Yusuke era professionale, sicuro di sé, perfettamente a suo agio come se fosse ormai abituato a intrattenere quel genere di rapporti. Si sentì fiera di lui.
«Senti un po’, ma quando finisce ‘sta mostra? C’ho ‘na fame.»
«Delicato come sempre» commentò la ragazza, all’indirizzo di Ryuji.
«L’arte mette fame. Capita sempre anche a me» disse invece Yusuke.
«Dimentichi ancora di mangiare mentre dipingi, vero?»
«Non sarai ancora al verde, uh?» scherzò invece Ryuji.
Fu un attimo, ma Ann poté quasi giurare di aver visto un’ombra attraversare lo sguardo penetrante di Yusuke, che tuttavia replicò subito: «Quando si è consumati dalla passione, non si può che avere fame.»
«E questa da dove l’hai tirata fuori? Dal quel ridicolo libro di massime che mi facesti vedere?» disse Futaba, ridacchiando.
«Ah, quindi sarei consumato dalla passione?» chiese Ryuji.
«Ah, magari» fece Ann.
«Maestro.»
Il gruppo fu interrotto dall’arrivo di una ragazzina minuta ma graziosa, sul cui viso pallido spiccava una tenera spruzzata di lentiggini.
«Yumi-chan. Credevo fossi andata a casa» replicò Yusuke, gentilmente.
«Maestro?! Ma che figata!» esclamò Ryuji, guadagnando un nuovo nugolo di occhiatacce dagli amici, ma anche la curiosità della ragazzina.
«Non farci caso. È un mio vecchio amico» spiegò Yusuke, scrollando appena le spalle.
«Oh, amici del Maestro? È un onore!» replicò lei, inchinandosi all’istante. Ad Ann sembrò di rivedere Sumire in quella piccolina.
«Ma che carina» commentò Ann. La giovane si tirò su e scoccò ad Ann una lunga occhiata di soggezione, per poi soffermarsi sul suo braccio giunto a quello di Yusuke.
«Maestro, non sapevo…!» disse, improvvisamente paonazza.
«Anche lei è un’amica, anche se, ahimè, avrei voluto fosse la mia modella.» 
Ann non seppe cosa replicare, imbarazzata da quell’affermazione così genuina; Haru venne in suo soccorso dicendo: «Siamo tutti amici del tuo maestro. Molto piacere.»
«Perdonate il malinteso!» La ragazzina si inchinò di nuovo, poi si rivolse a Yusuke: «Maestro, ero solo venuta a salutarla. Anche Ryo-kun e Hitoshi-kun vengono via con me.»
«D’accordo. Ci vediamo domani allora. Grazie per essere venuti.»
«Ma le pare!»
Yusuke le sorrise bonariamente e le lasciò perfino una carezza sulla testa, che la rese evidentemente felice. Quando lei si allontanò saltellando vagamente, Ryuji disse: «Chi l’avrebbe detto che un giorno avrei visto una cosa del genere! Maestro! E quel tono così formali!»
«Ma i tuoi allievi lo sanno quanto sei strambo, uh, Inari?»
«Non prendetelo in giro! È stato così tenero!»
«Sei troppo buona, Haru-chan…»
«Non starli a sentire, Yusuke. Siamo fieri di te! Anzi, peccato non aver visto gli altri tuoi allievi» disse Ann.
Yusuke non fece in tempo a sorriderle che Ren si unì agli altri: «Attento a non rovinare quei poveri innocenti.»
«Oh, Ren, anche tu» disse Yusuke, con una mano sul cuore, un drammatico dispiacere dipinto in volto. Le sue parole furono accompagnate da una breve risata generale.
Mentre continuavano il giro tra le opere d’arte, tutti s’informarono su Yusuke: il giovane lavorava da tre anni come artista per conto proprio, ma era diventato talmente famoso che spesso era chiamato a fare lezioni speciali in diverse scuole d’arte, tra cui la Kosei; era così che tre studenti, tra cui Yumi, si erano innamorati delle sue opere e avevano deciso di farsi dare lezioni private da lui, diventando suoi allievi. Talvolta gli facevano perfino da assistenti.
«Sono molto sensibili e pieni di talento. Ho accettato subito quando me lo hanno chiesto» rivelò il giovane, le labbra curvate in un sorriso soddisfatto.
«Hai trovato il segreto della vera bellezza, allora?» gli domandò Ren.
«Potrebbe sembrarti strano ma, anche se ho ben tre allievi, ho ancora molto da imparare sulla vera bellezza. Spero però che l’insegnamento possa aprirmi nuove vie in tal senso.»
«Ma certo! Si dice che nell’insegnamento ci sia uno scambio reciproco» si accodò Ann. Quando posò gli occhi acquamarina su di lui, le parve di nuovo di scorgere un’ombra sul viso levigato dell’amico. Fu per un attimo fugace, infatti credette di essersi sbagliata, ma quando notò che anche Ren lo fissava con il suo tipico sguardo indagatore, capì di non essersi immaginata proprio nulla.
«Sagge parole, Ann» rispose Yusuke, annuendo. Poi, aggiunse: «Qui ne avrò almeno per un’ora abbondante. Nessuno meglio di me conosce l’aggressività dei morsi della fame…per cui vi consiglio di andare da qualche parte per mangiare qualcosa. Io vi raggiungerò appena possibile.»
«Idea super!» esclamò Ryuji.
«Sushi! Vi prego!» stridette Morgana.
«Perché non il curry al Leblanc? Sojiro sarebbe felicissimo di rivedervi tutti! E così Ren potrà dirgli anche quell’altra cosetta…»
«Ma non sarà tardi per lui? Ormai avrà chiuso» disse Haru.
«Io propongo un buffet. Ma nulla di troppo costoso» si inserì Ren.
«Ottima idea, amico!» decretò Ryuji. Poi si rivolse a Yusuke: «Ehi, offri tu, vero? Con tutti i soldi che hai guadagnato stasera!»
«Mi stanno chiamando. Con permesso» fu la pronta replica di Yusuke, che sciolse il braccio da quello di Ann con un movimento fluido e si dileguò tra gli astanti.
«Ma che tirchiaccio…»
«Penso proprio che non abbia imparato ad amministrare meglio i suoi soldi…»
«Non essere severo, Mona-chan.»
«Yusuke rappresenta il tipico esempio di artista squattrinato. Se esistessero accessori che fanno triplicare i soldi, gliene regalerei almeno cinque…»
«Va bene, andiamo» concluse Ren, avviandosi per primo verso l’uscita.
«Già mi si è aperto lo stomaco!» disse Ryuji.
«Attenti a non caderci dentro» rispose Morgana.
 
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Si era ripromessa di rispettare alla lettera la dieta del suo nutrizionista, tuttavia, non appena mise piede nel ristorante, Ann capì che quella sera non era proprio il caso di pensare a quel genere di cose. Una miscellanea di odori, uno più invitante dell’altro, aveva raggiunto le sue narici e il suo stomaco. Non appena aveva intravisto i tavoli strabordanti di pietanze già dall’entrata, le si era riempita la bocca di saliva.
Ma sì, un allenamento tosto dovrebbe bastare a rimettermi in riga.
«Ci mettiamo qui?» domandò Ryuji, scegliendo un tavolo abbastanza grande per tutti. Una volta ricevuto il consenso generale, fu il primo a tuffarsi nella ressa attorno ai tavoli, in mano un piatto vuoto con cui si faceva largo come fosse uno scudo. Haru ridacchiò nel vederlo, poi posò la borsa lilla sulla sedia accanto a quella che aveva scelto Ann; la bionda fece altrettanto e si recò ai tavoli insieme all’amica, mentre gli altri si sistemavano e attendevano il loro ritorno per tenere d’occhio le loro cose.
Il ristorante aveva uno stile semplice ma accogliente: era diviso in due sale rettangolari, pressoché identiche. Ann notò alcuni pannelli decorativi alle pareti, che rappresentavano fiumi stilizzati, cicogne, foreste di bambù, montagne; il pavimento, di sottili assi in legno di ciliegio, era lucido, come nuovo, e ricoperto di tavoli quadrati o rettangolari dello stesso legno, impreziositi da leggere tovaglie candide bordate di dorato. In fondo, Ann vide un bancone; dietro la vetrata che lo separava dal resto della sala, visualizzò tre cuochi, che lavoravano senza posa, e passavano le pietanze a indaffarati e giovani camerieri, celeri nel sostituire i piatti vuoti sui tavoli con quelli carichi e appena pronti.
Ann, con il piatto immacolato tra le mani, fissò i tavoli senza sapere su quale fiondarsi per primo. Il suo primo impulso fu quello di dirigersi direttamente verso quello dei dolci – aveva già localizzato almeno tre torte interessanti – ma anche il resto non era da trascurare. Sul tavolo dei primi, una ciotola di soba accanto ad un profumato brodo attirarono la sua attenzione, subito seguiti da vassoi fumanti di yakisoba, spaghetti di soia con gamberi e verdure, donburi di carne e pesce e diverse portate di curry – Ann si domandò prima di accorgersene se era all’altezza di quello di Sojiro Sakura. Accanto, il tavolo con i secondi: quattro tipi di okonomiyaki, una doratissima unagi, tempura di polpo e gamberetti, un succoso pollo teriyaki, filetti di pesce impanati. Ancora accanto, il tavolo dei contorni: edamame bolliti, tempura di verdure, gyoza, una tamagoyaki di un giallo allegro ed invitante. Alle spalle, il tavolo con la frutta fresca o in macedonia, che lei non degnò di molta attenzione. E poi quello dei dolci…
Ann decise di cominciare dai primi, ben sapendo di non dover esagerare, altrimenti non ci sarebbe stato spazio per tutto il resto. Si accorse di aver perso di vista Haru, ma non si disperò, servendosi subito del donburi e degli spaghetti di soia. Quando tornò al tavolo, vide che Ryuji stava già mangiando, senza aspettare che gli altri tornassero con i loro piatti pieni; fece per redarguirlo, ma poi fece spallucce e cominciò anche lei.
«Ehi, lasciatemi qualcosa» disse Morgana, occhieggiando dalla borsa aperta di Ren.
«Tranquillo, non ti lasciamo a bocca asciutta» replicò Ryuji, prima di ficcarsi un grosso pezzo di carne tutto in bocca.
La serata fu divertente: non mancarono battute scherzose e lunghe chiacchierate come facevano un tempo. i loro piatti si riempivano e si svuotavano continuamente, e nessuno di loro parve accorgersene. Quando Yusuke li raggiunse, fu ancora meglio: i ragazzi presero a sfottersi a vicenda e Ann provò più nostalgia che mai nel rivederli insieme, seduti gli uni accanto agli altri, così diversi ma uniti quasi come fratelli. Per un attimo fantasticò sull’idea di invitarli tutti negli Stati Uniti prima della fine dell’estate. I suoi pensieri si interruppero quando, tra una chiacchiera e l’altra, si cominciò a rivangare un po’ il passato. Episodi buffi, vecchie conoscenze – qualcuno sa che fine ha fatto Mishima? –, informazioni sui luoghi che avevano frequentato più spesso: passato e presente si fusero in un intreccio agrodolce per Ann, che desiderò di riavvolgere il tempo anche solo per qualche ora e tornare all’anno in cui aveva conosciuto i suoi amici – e anche sé stessa – e aveva studiato con loro, riso, pianto, rischiato la vita e salvato il mondo.
«Non vi manca andare nei Palazzi e tutto il resto?» domandò ad un certo punto Futaba. Se ne stava con le gambe accavallate come una qualsiasi altra ragazza. Ann sorrise tra sé e sé, ricordando le curiose posizioni che assumeva da seduta fino a qualche anno prima.
«A volte sì. Però non è compito nostro. Non possiamo fare il lavoro delle autorità» rispose, addossandosi allo schienale rivestito della sedia. Fece uno sbadiglio, poi incrociò le braccia al florido seno. Quando si accorse dello sguardo di Yusuke e di Ryuji – e non sulla sua faccia – rivolse loro una brutta occhiata, ma poi rise; i ragazzi distolsero immediatamente lo sguardo, il primo facendo finta di nulla, il secondo portando una mano dietro la nuca mentre spostava lo sguardo altrove.
«Per me è lo stesso. Sinceramente, non ne avrei nemmeno il tempo!» disse invece Haru, carezzando la sottile collanina d’oro, che brillava sotto la luce del lampadario.
«Abbiamo imparato la lezione tempo fa. A volte vorrei rifarlo, non ve lo nego…ma abbiamo un accordo con Sae-san» disse invece Ren, facendo girare lentamente il bicchiere di vetro vuoto tra le mani.
«A me manca un sacco, invece. Però niente, è andata» commentò Ryuji, grattandosi l’avambraccio leggermente abbronzato.
«Ti mancano le percentuali alte sul phan-site, ammettilo» lo punzecchiò Ann, e lui si limitò a sorridere birichino.
Ann si accorse che Ren indirizzava brevi occhiate a Yusuke – se non le fosse stato seduto davanti, non lo avrebbe notato. E si accorse anche che Yusuke si limitava a carezzare con un dito affusolato il suo tovagliolo, senza guardare nessuno e senza esprimersi sulla faccenda. Preoccupata, domandò: «E tu, Yusuke?»
Il giovane sollevò lo sguardo su di lei come se fosse tornato tra loro solo in quel momento. Gli occhi di tutti puntarono su di lui. Ma la sua risposta non giunse mai, perché Morgana piagnucolò: «Lady Ann, a me non lo chiedi? Non vi manca essere guidati da me?»
«Ma che dici, eravamo guidati da Futaba, non da te» fece Ryuji, ammiccando tuttavia in direzione di tutti gli altri. Morgana cominciò a sbraitare, mentre Haru e Futaba scoppiarono a ridere. Ren e Ann sorrisero, tuttavia si scambiarono una brevissima occhiata prima di tornare per un attimo su Yusuke, che si limitò a sorridere e ad eludere la risposta alla domanda.
«Ehi, facciamoci una foto! E mandiamola a Makoto, così vede che si è persa!» propose Ryuji, tirando fuori il cellulare dai jeans sdrucidi. Tutti furono d’accordo, quindi si strinsero un po’ tra loro e Ryuji cercò di inquadrarli tutti per un selfie.
«Fatto! E la prossima volta inviteremo anche Sumire! Vedrai che verrà!» disse Ryuji, dando una pacca troppo forte sulla spalla di Ren, tanto che gli caddero gli occhiali sul tavolo.
«Smettila» fece semplicemente lui, inforcando di nuovo gli occhiali.
«Perché? Dai, sei diventato timido all’improvviso? Tranquillo, ti aiuto io!»
«Allora è praticamente fregato…» borbottò Morgana.
«Farò finta di non aver sentito.»
«Va bene così» disse invece Ren.
«Cosa? Vuoi dire che vorresti il mio aiuto?»
«No. Intendevo che non importa se non c’è. Certe cose fanno semplicemente il loro corso.»
«Uh? E questo che sta a significare? Mah, certe volte non ti capisco.»
«Attento, Ryuji. Sei il tipico ragazzo che si fa friendzonare» intervenne Futaba.
«Ma che stai dicendo?!»
«Io invece penso che bisogna prendere l’iniziativa, come dice Ryuji.»
«Ecco, grazie, Haru! Meno male una che ragiona, qui.»
«A me vengono in mente almeno un paio di modi con cui colpirla…» disse Yusuke, improvvisamente serio, ma Ren replicò in fretta: «Ehm, grazie, so già cosa fare.»
«Fatevi gli affari vostri. Ren sa vedersela, non è più lo sfigato di prima.»
«Grazie, Ann…»
«E che vorresti dire? Che noi lo siamo?»
«Attenzione, rischiamo di far triggerare i ragazzi…» mormorò Futaba, ma aveva il tipico sorrisetto di chi spera in uno sviluppo inaspettato.
«Ann, così mi ferisci» rispose invece Yusuke, grave.
«Disse quello che girò sulla spiaggia con due aragoste in mano mentre cercavamo di rimorchiare» fece Ryuji, trattenendo a stento una risata.
«Giornata memorabile. L’ispirazione mi folgorò e non potei resistere.»
«Secondo me avevi preso troppo sole…anche se tenevi quel cappuccio sempre tirato sulla testa. Sembravi un disadattato, eri imbarazzante.»
Dopo altre chiacchiere e risate generali, uno dopo l’altro cominciarono a sbadigliare. Quando perfino Morgana spalancò la boccuccia, Haru disse: «Credo sia ora di andare. Che ne dite?»
«Eh, sì. Mamma mia, non riesco ad alzarmi dalla sedia. Domani devo correre almeno per due ore!» fece Ryuji, alzandosi per primo.
Il gruppo pagò il conto, poi uscì dal ristorante, ritrovandosi sotto le stelle. Ann fu travolta da un’ondata di caldo, in contrasto con la piacevole aria condizionata che l’aveva coccolata fino a quel momento; pensò di raccogliere i capelli, ma l’idea di cercare un elastico nel caos della sua borsa non la allettava affatto, per cui abbandonò subito l’intento. Sollevò il viso e notò una falena entrare nel raggio luminoso di un lampione.
«Cerchiamo di farlo più spesso, eh?» disse Ryuji.
«Siamo quasi tutti a Tokyo. Per me si può fare» assentì Futaba, mentre Haru annuiva con convinzione.
«Bè, per me non è così semplice, ma ci proverò» disse invece Ann.
«È vero, tu sei fuori! Uffiii» disse Futaba.
«Dove alloggi? In qualche albergo? Ti porto io? Ho la macchina» si offrì Ryuji, indicando un punto imprecisato con il pollice.
«Ma no, tranquillo! Chiamo un taxi.»
«Io invece lo accetto, grazie» si inserì Futaba, sorridendo.
«E va bene, mi carico te e…Haru, Ren? Voi? E tu, Yusuke?»
Haru e Ren accettarono il passaggio, mentre Yusuke disse: «Io abito qui vicino, quindi non disturbarti. Anzi, aspetterò con Ann che arrivi il taxi.»
La ragazza lo ringraziò gentilmente, quindi si salutarono tutti, le ragazze abbracciandosi, i ragazzi scambiandosi piccole pacche l’un l’altro, naturalmente con la promessa di rivedersi di nuovo non appena fosse stato possibile. Prima di voltarsi e seguire Ryuji, Ren inviò ad Ann una muta e significativa occhiata, che fece sentire la ragazza come se dovesse eseguire un compito delicato che il suo leader aveva affidato solo a lei.
Non appena Yusuke e Ann rimasero soli, la ragazza chiamò un taxi, che sarebbe arrivato in dieci minuti. Quando mise il telefono in borsa, le venne un brutto magone: la serata con i suoi amici era volata e non le era minimamente bastata. Sarebbe rimasta lì un altro paio di giorni e cercò di pensare a quando avrebbe potuto rivederli prima di ripartire, ma ricordò che avrebbe dovuto incontrare anche Shiho e i suoi genitori, quindi a malincuore abbandonò l’idea.
Si voltò verso Yusuke e vide che osservava la strada semideserta, posando gli occhi sui pochi passanti sull’altro lato della strada. Sembrava assorto. Nulla di strano: anche quando erano dei liceali, lui aveva l’abitudine di fissare qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione, soprattutto la gente, incurante delle occhiatacce che rimediava dall’ignara gente. Sosteneva che lo aiutava a trovare l’ispirazione. Evidentemente, le cose non erano cambiate.
«Dieci minuti e sarà qui» lo rassicurò. Sorrise divertita quando lui sobbalzò di sorpresa.
«D’accordo.»
I due rimasero in silenzio. Ann sollevò lo sguardo alle stelle, alcune delle quali erano molto nitide nonostante l’aria di smog della città. Poi si voltò in direzione del lampione e vide che le falene erano diventate tre. Svolazzavano attorno alla luce come se volessero avvicinarsi ma non ne avessero il coraggio.
«Sono contento che il nostro gruppo si ricostituirà, almeno in parte. Quando ve ne siete andati tutti, ammetto che ho sofferto molto. Ren era la mia guida, e voialtri…i primi amici che abbia mai avuto» mormorò Yusuke di punto in bianco, lo sguardo malinconico. Ann si intenerì. «Fortunatamente, Futaba è rimasta. Non ci siamo visti assiduamente, ma la sua presenza mi ha aiutato a non sentirmi solo e a sentirvi tutti vicini. Se davvero ora riuscissimo tutti a vederci più spesso, sarebbe molto bello.»
«Sono sicura che ci riuscirete. Anzi, lo spero. E io farò il possibile, anche se sono lontana.»
«Già, di questo mi dispiace tanto.» Ann percepì sincero dispiacere nella sua voce e purtroppo la rattristò ancor di più. Continuò a fissare le falene, che indugiavano attorno alla luce del lampione.
Hanno tutta la notte.
Lei però non aveva tutta la notte. Ricordando l’ultima occhiata di Ren, chiese: «Yusuke, va tutto bene? In generale. Te lo chiedo perché…non so, mi sembri un po’ triste. E poi, alla mostra…non lo so, i tuoi quadri erano…diversi? Anche Ren ha avuto questa sensazione. Insomma, lo so che un artista può cambiare il suo stile, però…non so spiegarlo. È una sensazione.»
I tratti di Yusuke, lisci come porcellana, si deformarono improvvisamente in un’espressione grave. Ann pensò di averlo offeso, per cui si affrettò a dire: «Scusami, non volevo dire che i tuoi quadri non mi siano piaciuti! Anzi, sono bellissimi! È solo che…ah, lascia stare. Non ho il diritto di chiederti queste cose.»
«Allora…si vede» sussurrò lui, lo sguardo celato dalla frangia laterale.
Ann restò in silenzio, interrogativa. Poi, capì di aver avuto ragione. Peccato che il taxi sarebbe arrivato a momenti…
Un sorriso amaro piegò le labbra di Yusuke. «Ho cercato di tenerlo nascosto…ma ad un Ladro Fantasma non si possono nascondere certe cose, vero?»
«Non ad un Ladro Fantasma. A degli amici.»
Yusuke portò gli occhi nei suoi. Ann percepì il suo tormento e si preoccupò, tuttavia non insistette, decidendo di non pressarlo. Alla fine, lui disse: «Te lo direi volentieri se avessimo tempo. Ma è tardi, devi tornare in albergo…»
«Posso sempre chiamare il taxi e disdire, se vuoi parlarmene. Non so quando ritornerò, per cui se devo ascoltarti adesso, lo faccio con piacere.»
Yusuke rimase interdetto. Poi, il suo viso si sciolse in un piccolo sorriso.








NDA: La traduzione del titolo della fic è "La vera bellezza". Credo non ci sarà bisogno di spiegarne il motivo :)

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Si trovavano sul pianerottolo del palazzo dove abitava Yusuke. Alla luce tremolante della lampada condominiale, lui tirò fuori le chiavi dell’appartamento, le infilò nella toppa arrugginita e fece scattare la serratura, quindi entrò per primo e accese la luce. Ann lo seguì, restando spiazzata da quello che vide.
La luce fioca della lampadina sul soffitto illuminò un piccolo monolocale, formato da due vani separati da un fusuma quasi trasparente – Ann intravedeva la sagoma del letto e di qualche altro mobile attraverso. Un minuscolo bagno sulla destra, un cucinino e un lavello in fondo, di fronte un divanetto grigio topo e una radio posata su un comodino…e poi il caos. La gran parte dell’ambiente era occupato da tele, vuote o cominciate, cavalletti, colori e pennelli sparsi sul pavimento. Accanto ad un cavalletto, su cui era posata una tela vuota, Ann notò una bottiglia d’alcol piena solo per metà. Strinse appena le labbra. Il suo sguardo continuò a vagare tutt’intorno, senza sapere dove poggiarsi. Quel luogo era traboccante di oggetti: mensole piene di vasi e suppellettili dalle forme e i colori improbabili – alcune perfino dal discutibile gusto –, fiori in vaso mezzi appassiti, due piatti ornamentali e diverse maschere tradizionali appese al muro, una coppa piena di sabbia…ma ciò che colpì di più la ragazza fu una testa di legno con dentro infissi alcuni coltelli da cucina.
Un porta coltelli piuttosto macabro. Le passò il sonno.
«Uhm…perdona il disordine. Ti preparo un thè?» domandò lui, mentre lei notava una pila di confezioni vuote di ramen istantaneo accatastate in un angolo. Ann avrebbe preferito una tisana digestiva dopo tutto quello che aveva mangiato, tuttavia era quasi certa che Yusuke ne fosse sprovvisto, per cui fece un cenno di diniego con il capo. Yusuke si guardò intorno più spiazzato di lei, come se non avesse creato lui tutta quella confusione in casa sua; d’un tratto, scattò da una parte all’altra, recuperando tra le braccia alcune cose, tra cui le confezioni di ramen, per gettarle nella spazzatura. L’aspetto della casa non migliorò granché.
Ann sospirò e si diresse al divanetto; cambiò idea e prese tra le mani la bottiglia d’alcol, indirizzando a Yusuke uno sguardo di disapprovazione.
«Sì, uhm…» provò a spiegare, una mano dietro la nuca. «A volte mi aiuta.»
«Ti aiuta a fare cosa?»
Yusuke lasciò andare il braccio lungo il fianco, poi andò a sedersi sullo sgabello, di fronte alla tela bianca immacolata. Le rivolse uno sguardo affranto, poi preferì fissarsi sul pavimento.
Lo stridente contrasto tra quel monolocale e l’aspetto curato di Yusuke colpì la ragazza come un pugno in mezzo al petto. Lasciò la bottiglia dove l’aveva presa e accese un abat-jour, quindi spense la luce. Così facendo, si diffuse una luce morbida tutt’intorno, che conferì a quella casupola un aspetto un po’ più accogliente.
«Futaba ci ha chiesto se ci manca la vita da Ladri Fantasma» esordì lui, mentre Ann si accomodava su un cuscino magenta, per terra di fronte all’amico.
«Tu non hai risposto.»
«Già. Mi manca, sì. Ma non ne sarei più degno.»
«Perché dici questo?»
Yusuke sospirò, poi portò lo sguardo afflitto su Ann. Era curvo sotto il peso di chissà quali crucci, tanto che sembrava potersi spezzare. Le venne voglia di abbracciarlo, ma non si mosse e continuò a sostenere il suo sguardo. Lui vuotò il sacco, lasciando Ann dapprima di stucco, poi sempre più dispiaciuta per lui. Le rivelò di essere di nuovo preda di un blocco artistico, stavolta molto più grave di quello che aveva avuto quando era un liceale. Le raccontò di aver raggiunto il successo, di essere diventato famoso quasi quanto Madarame, di aver vissuto un periodo meraviglioso, tanto che aveva potuto permettersi una tata che badasse alla casa e ai suoi pasti e dedicarsi interamente alla sua amata arte, ma poi la situazione era precipitata. Aveva cominciato a contrarre debiti e aveva dovuto stringere la cinghia – licenziare la tata e cambiare casa per rimediare quel monolocale economico erano solo degli esempi –, accettando lavori come l’insegnamento saltuario a giovani promesse e tirando avanti principalmente con quello. A quel punto, Yusuke tacque. Per tutto il racconto aveva parlato con gli occhi fissi sulle sue mani nivee, la voce grave o disgustata verso sé stesso e i suoi fallimenti. In quel momento, però, chiuse gli occhi e parve incapace di continuare, cosa che allarmò Ann. Cosa c’era peggio di ciò che le aveva raccontato?
«E…poi?» incalzò gentilmente.
Yusuke portò le iridi scure nelle sue per un istante netto prima di alzarsi e allontanarsi di due passi. Ann trattenne uno sbadiglio – era passata la mezzanotte e lei era ancora vittima del jet lag – e piegò le gambe sul cuscino, paziente.
«La vedi quella tela?» mormorò lui. Lei annuì, anche se le dava le spalle. Ma lui continuò comunque: «È vuota. È vuota…come me.»
Strinse i pugni; Ann vide sporgere le nocche. Fissò la tela, tristemente. Poi, disse: «Vuol dire che la si può riempire con qualunque cosa, no?»
Yusuke non si mosse. Tuttavia, dopo qualche secondo di perfetto silenzio, emise una lunga e bassa risata. Ad Ann fece male ascoltarla: sembrava il suo modo di piangere.
«Sei sempre troppo gentile, Ann. Ma smetterai di esserlo ora che ti dirò tutto il resto.»
«Mettimi alla prova. Magari, sarò ancora gentile.»
«Ricordi come sono stato trattato dal mio Mae…da Madarame, vero?»
«Come potrei dimenticarlo? Ti ha fatto soffrire così tanto…»
«Già. E ciononostante non mi ha impedito di ripetere lo stesso errore.»
Ancora silenzio: Ann sbatté le palpebre stolidamente, tentando di capire ciò che lui aveva appena detto. Eppure, nonostante fosse troppo assurdo, aveva capito bene.
Yusuke si voltò e chiese stancamente: «Merito ancora la tua gentilezza?»
«Yu…Yusuke, mi stai dicendo che i tuoi allievi...?» Non terminò la domanda, era inutile. D’un tratto, le parve chiaro perché i quadri alla mostra le avevano trasmesso quella sensazione. Semplicemente, non appartenevano a Yusuke. E lui confermò quella conclusione: «Alcuni dei quadri che hai visto stasera sono tele che non ritenevo degne di una mostra ma che non ho mai gettato via. La maggior parte di quei quadri tuttavia non mi appartiene. È stata realizzata dai miei promettenti allievi, che sono così umili, volenterosi…e si fidano di me così tanto che mi hanno permesso di spacciarli per miei.»
«Yusuke…ma non è possibile. Tu…»
«Lo so. Io…non riesco a guardarmi allo specchio, Ann. Sono…peggio di Madarame.»
«Non credo. Non è vero. Non lo fai con piacere e…»
«Ti prego, Ann, risveglia il mio cuore.»
Ann raggelò, le sopracciglia aggrottate. Yusuke aveva chiuso gli occhi e contratto le spalle.
Si alzò in piedi.
«Ti prego. Fallo, adesso. Io…» continuò Yusuke, ma non poté dire alcunché perché lei lo schiaffeggiò.
«Ma che cosa stai dicendo?!» sbottò. «Ci siamo fatti una promessa, no? Non abbiamo bisogno di quei sistemi! E poi, il tuo animo non è corrotto!»
«Come…come fai a dirlo?» mormorò lui, senza guardarla, una mano sulla guancia.
«Lo dico perché ho visto come ti guarda Yumi-chan! Ti adora!»
«Anche io adoravo Madarame…»
«Ma tu sei diverso! Tanto per incominciare, soffri per tutto questo, invece Madarame lo faceva come se questo sacrificio da parte dei suoi allievi gli fosse dovuto! Tu non sei così!»
«Per favore, non urlare. Le pareti di questo stabile sono piuttosto sottili.»
Ann sospirò e incrociò le braccia al petto. Sentì improvvisamente caldo, colpa della sfuriata. Si avvicinò all’unica finestra e la aprì senza chiedere il permesso. Poi, però, si accorse che non c’erano zanzariere e la richiuse, esasperata – preferiva sudare di caldo piuttosto che farsi mangiare dalle zanzare. Yusuke allora si recò nella camera da letto e tornò con un piccolo ventilatore sgangherato, che accese e puntò in direzione di Ann. Fu un sollievo per lei anche se non era molto potente.
Ann continuò a indagare sulla questione confessatale da Yusuke – gli aveva appena detto che il suo cuore non era corrotto come quello del suo vecchio maestro, ma doveva accertarsene. Per questo pose domande anche indiscrete: per esempio, cercò di capire come mai, nonostante il successo ottenuto grazie alle opere dei suoi allievi, lui versasse in una situazione economica tanto penosa. Yusuke le spiegò allora che lui non guadagnava quasi nulla da ciò che otteneva dalle mostre: intascava soltanto ciò che derivava dalla vendita dei propri quadri, che erano sempre meno, mentre tutto il resto lo consegnava ai suoi allievi oppure lo devolveva alla loro scuola. Quei soldi non gli appartenevano, e comunque era il suo modo di fare ammenda, almeno in parte; ciò che gli premeva era mantenere almeno i suoi clienti e suoi agganci, confessò.
Ann fu ben lieta di sentirlo: Yusuke si era infilato in un brutto guaio, ma almeno era evidente che lei avesse avuto ragione, che il suo cuore non fosse corrotto come lui aveva temuto.
Quando deve averci visti alla mostra così all’improvviso, chissà cos’ha pensato?
Sospirò di sollievo e cercò le parole con cui fargli capire che la situazione non era tragica come lui credeva, tuttavia, nel riflettere, alzò lo sguardo al soffitto. E corrugò la fronte quando mise a fuoco un alone di umido in un angolo. Decise di ignorare la macchia, che incombeva su di loro come un’ombra minacciosa, e disse: «Può capitare ad un artista di vivere delle crisi così.»
«È vero. Ma avevo giurato a me stesso di mettermi al servizio dell’arte, senza badare al guadagno, alla sopravvivenza e alla fama. Ho tradito me stesso e…»
«Yusuke, quando hai fatto a te stesso quel giuramento avevi diciassette anni. Poi sei cresciuto e hai fatto i conti con la realtà: per campare ti servono i soldi, e i clienti, e la reputazione. Hai solo fatto la prima cosa che ti è venuta in mente per tamponare finché non risolverai questa cosa del blocco artistico.»
«Sì, ma…»
«…è illegale, lo so. Ma è temporaneo, ne sono sicura…» Ann raggiunse Yusuke e gli prese le mani tra le sue, inducendolo a incontrarla con gli occhi. «…e poi tu rispetti i tuoi allievi. Li stai formando bene, li stai guidando e sei in bancarotta proprio perché non intaschi i profitti delle mostre. E sono sicura che, quando saranno loro ad aver bisogno di te, tu per loro ci sarai. Al contrario di Madarame, che ti ha lasciato solo.»
Yusuke schiuse la bocca, stupito più dalle loro mani giunte che dalle parole di lei. Quando Ann ci fece caso, lo lasciò andare ma non abbandonò il suo sguardo.
«Hai capito?»
Yusuke annuì una volta sola, lentamente. Poi, abbassò lo sguardo. Senza preavviso, le riprese le mani e disse: «Ho ancora i miei problemi, e non mi piace la soluzione che ho dovuto adottare, ma mi sento più leggero ora che l’ho detto a qualcuno. E la tua comprensione…grazie.» La voce di Yusuke era diventata calda, e le sue mani erano morbide e lisce, e tenevano le sue con la cura di un gioielliere che maneggia un filare di perle.
«Ma che stai dicendo? Davvero pensavi che ti avrei condannato?»
Ann ritirò le mani, celando quell’improvviso e inopportuno imbarazzo semplicemente voltandosi e tornando sul cuscino.
«Sì, lo pensavo. Perché io per primo mi condannavo.» Yusuke la raggiunse, riprendendo posto sullo sgabello. Passò una mano tra i capelli, apparendo molto stanco. Anche Ann lo era, infatti le sfuggì un sonoro sbadiglio. Si alzò per andarsene ma Yusuke si offrì di ospitarla, dato che era notte fonda, dicendo che lui avrebbe dormito sul divano e lei nel suo letto. Lei accettò, grata, e sbadigliò di nuovo. Yusuke invece sparì nell’altro vano, oltre il fusuma. Lo udì parlare da solo, per poi ritornare da lei con una maglietta color pesca a fantasia floreale. La ragazza stimò con una sola occhiata che le andasse lunga ma un po’ stretta sul seno. E, dato che era da donna, si domandò perché ne avesse una. La sua mente partorì almeno due soluzioni, e per qualche motivo non le piacquero molto. Accettò comunque anche quella e andò a cambiarsi nel piccolo bagno. Quando si ritirò in quella che era la sua camera da letto, vide che Yusuke le aveva spostato lì il ventilatore. Ann lo ringraziò di nuovo e sedette sulla sponda del letto a una piazza e mezzo. Yusuke fece per andar via, ma poi si voltò e chiese: «Ho una domanda, anche se forse non è il momento più opportuno.»
«Chiedi pure» replicò lei, mentre osservava un orologio a forma di macchia di pittura appeso al muro. Era multicolore; si chiese se i numeri si illuminassero una volta spenta la luce.
«Non hai parlato molto del tuo lavoro. Come mai? È stato un caso?»
Ann restò concentrata sull’orologio per diversi istanti, come se Yusuke non le avesse domandato nulla. Le saltò immediatamente in testa la palpatina di uno dei truccatori, una recente intervista solo apparentemente di stampo femminista…
Chiuse le palpebre, ma invece di scacciare i ricordi gliene sovvenne un altro.
Se ti interessa questo lavoro, devi imparare a darla un po’ di più, Takamaki-chan. Altrimenti, è facile trovare qualcuno più qualificato.
Scosse il capo. Aveva irrigidito il trapezio; si obbligò a rilassarsi.
«Non c’è molto da dire sul mio lavoro. Le riviste e le pubblicità parlano da sé. Mi piace tanto e mi fa sentire bene…ma, come tutti i lavori, o come tutte le cose, provoca alti e bassi. Questo è un periodo un po’ basso…ma ora ho sonno. Ne parliamo domani, va bene?»
«Non sei obbligata.»
«Lo so. Ma tu ti sei aperto con me. E poi, sinceramente ho bisogno anch’io di parlare con qualcuno.»
«Un tempo lo facevi con Ren. No, forse lo facevamo tutti, in realtà.»
«Bè, i tempi cambiano, no? E anche le persone. E comunque so già cosa mi direbbe lui.»
«Credi in te stessa?»
Ann scoccò un’occhiata a Yusuke e ridacchiò; lui le rispose con una delle sue basse risate che sembravano tanto minacciose ma che erano solo divertite. Yusuke fece per uscire, ma disse, da sopra la spalla: «Abito in una catapecchia…ma, da quando sei entrata, tutto ha acquistato la bellezza di una reggia.»
Ann non seppe cosa replicare. Poté solo arrossire, compiaciuta. Era abituata ai complimenti e agli apprezzamenti, ma non erano mai delicati come quelli che sapeva farle Yusuke.
Quando ha imparato ad adulare una donna in questo modo? Ah, forse è perché gli serve per trovare delle modelle…
Yusuke uscì senza attendere risposta, e lei non riuscì a smettere di sorridere, anche dopo quella considerazione tra sé e sé. Spense la luce, sistemandosi sul letto a mezza piazza non appena lui uscì e si chiuse il fusuma alle spalle. Non fece nemmeno in tempo a guardarsi intorno che crollò addormentata.
 
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Voltò il capo. Una lieve fitta gli trafisse il collo, causa la posizione scomoda. D’istinto, allungò la mano verso la luce della luna, che penetrava dalla finestra; il suo finto Rolex poté quindi comunicargli che erano le due e mezza di notte. Era trascorsa appena un’ora da quando era riuscito a prendere sonno.
Sospirò. Sentiva le palpebre pesanti, ma il suo cervello era fin troppo attivo. Una strana eccitazione gli scorreva in corpo. Somigliava vagamente a quella che lo coglieva quando era in procinto di dipingere. Doveva essere una reminiscenza del passato: il suo cuore era vuoto, come le sue tele.
Si voltò e rigirò quattro volte sul divano prima di decidere di alzarsi, sperando che il nervosismo passasse con qualche sorso di vino. Tirò un paio di sorsi, poi scoccò un’occhiata alla tela, più bianca che mai – bianca come la sua disperazione.
Inquieto, si accovacciò in un angolo, dove teneva accatastati riviste, giornali e libri che aveva accumulato nel corso degli anni alla costante ricerca di stimoli per la sua fantasia. Automaticamente afferrò una delle riviste, che ora si trovava a metà della pericolante pila. Quando la aprì, si ritrovò a fissare direttamente negli occhi azzurri come il mare una ragazza bionda di una bellezza da mozzare il fiato. La stessa ragazza la cui bellezza lo aveva folgorato alcuni anni prima, tanto da costringerlo a presentarsi a lei e implorarla di diventare la sua modella. La stessa ragazza che ora dormiva nel suo squallido letto, celata dal sottile fusuma – era sicuramente quello ad emozionarlo.
Sospirò. Voltò la pagina e trovò, fermati da una graffetta, una serie di ritagli provenienti da altre riviste. In ognuno di essi il sorriso allegro e sensuale di Ann quasi lo sbeffeggiava, ricordandogli quanto fosse fallito. Sì, fallito: quei ritagli erano stati una pessima idea. Da quando Ann era partita da Tokyo, Yusuke si era sentito perduto. Aveva sempre pensato che quella ragazza avesse un ruolo fondamentale nella sua ricerca verso la vera bellezza. Non le aveva più chiesto di posare per lui, né vestita né tantomeno nuda, ma averla intorno in qualche modo lo aveva aiutato e ispirato più di una volta. Poi lei era partita, insieme a quasi tutti i suoi amici…
Il povero artista aveva cercato modelle che le somigliassero, ma nessuna gli aveva mai trasmesso le stesse sensazioni di Ann: tutte loro erano solo delle mere imitazioni. Quando lo aveva capito, aveva deciso di seguire Ann attraverso le riviste e tentare di dipingere facendosi bastare la sua immagine su carta. Non era stato sufficiente: le fotografie non catturavano ciò che Yusuke vedeva in lei. Per questo aveva messo via tutti i ritagli, sempre più frustrato.
Adesso Ann era lì con lui. Non appena l’aveva rivista, insieme agli altri, il suo cuore aveva ripreso colore. Il gruppo di amici era stato come un meraviglioso e fresco bouquet nell’ombra di un tugurio, per lui, e Ann era la rosa centrale. La gioia e l’emozione non gli erano ancora passate. Si sentiva fremere. Le sue dita anelavano la leggerezza del pennello…
Yusuke abbandonò la rivista e si precipitò allo sgabello, il pennello in mano, il viso sulla tela, con la solennità di un guerriero che, armato della sua fida spada, si appresta ad affrontare il suo peggior nemico. Sollevò la mano, portò il pennello alla tavolozza…
No. Non così.
Yusuke sbuffò, spazientito, e non lanciò tutto all’aria solo per non svegliare Ann. Poi, tuttavia, aggrottò le sopracciglia…
Ann. Ma certo.
Yusuke decise di prendere il toro per le corna, anche se era rischioso. Lasciò pennello e tavolozza sullo sgabello e si diresse a piedi scalzi verso il fusuma. Esitò, ma solo un attimo, quindi lo aprì lentamente. La sua ombra si fuse con il buio della stanza e riuscì soltanto a intravedere il profilo di Ann, profondamente addormentata. Strinse le labbra, lambiccandosi il cervello, finché non gli venne un’idea: con il passo felpato di un ninja, tornò nel primo vano e cercò una vecchia lampada da notte a forma di fiore che aveva acquistato tempo fa per via della sua forma. Non faceva molta luce, ma sarebbe stata sufficiente. Quando la trovò, abbandonata sotto al divano – non aveva la minima idea di come fosse finita lì –, se la rigirò tra le mani, chiedendosi se funzionasse. Inserì la spina nella prima presa disponibile. Quando vide che funzionava ancora, per poco non esclamò di gioia. Tuttavia, rimase per un attimo interdetto: ricordava che fosse un fiore, invece in quel momento sembrava più un fungo. O un fungo fiorito?
Mentre rifletteva, notò che la luce cambiava colore: era partita con il bianco, ma adesso era diventata rosa. Mentre l’incredulità lasciava spazio alla soddisfazione, il rosa divenne viola. Ridacchiò, la solita risata sinistra, e il viola divenne blu. Come aveva fatto a dimenticare quella lampada?
Tornò nel vano che doveva essere la sua camera da letto e, tastando accanto al letto, trovò la presa. Inserì la spina e posò la lampada sul comodino. Ann emerse dal buio, favolosa e opportuna come l’uovo sodo in una ciotola di ramen. Voltata in sua direzione, dormiva e sognava, adorabile, una mano abbandonata sul cuscino, i capelli posati su una spalla, lievemente mossi dal ventilatore, che si trovava proprio accanto a Yusuke e il cui ronzio gli parve un allarme che rivelasse la sua presenza. Si accorse di star sudando freddo. Yusuke, genuflesso su un ginocchio, inquadrò la ragazza con le mani, eccitato.
Perfetta. Magnifica.
Si sentì sul punto di esplodere. Come se fosse posseduto, andò a recuperare tutto ciò che gli serviva.
 
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Rabbrividì. Fu forse quello a svegliarla. Quel venticello…
Il ventilatore.
Aprì gli occhi, chiedendosi che ore fossero. Non fece nemmeno in tempo a ricordare che fosse a casa di Yusuke e a ricordare che aveva altre visite da fare che scattò seduta, gli occhi spalancati. Yusuke dormiva seduto per terra, la testa nell’incavo braccio poggiato al comodino, accanto ad una luce che sembrava un fungo con i petali che cambiava colore; contro il letto, una tela.
Gli occhi le diventarono voragini. Mentre lei dormiva…?
Lanciò un grido, mentre scagliava un cuscino addosso a Yusuke. Il ragazzo scattò indietro, di schiena al muro, gli occhi che sembravano potergli occupare l’intera faccia. Con le gambe e le braccia allungate, così lunghe e magre, le ricordò un grosso ragno.
«Yusuke!»
«A-Ann! Buongiorno!»
«Buongiorno un corno! Mi hai…! Mentre…!» Ann non riuscì a terminare. Irritata oltremisura, prese l’altro cuscino e lo scagliò nuovamente sul giovane, ma travolse anche la lampada sul comodino, che finì per terra e cominciò a cambiare colore più velocemente di prima. Non solo: emise un lungo garrito, un penetrante canto di gallo e un barrito spaventato, uno dietro l’altro. E poi di nuovo, più forte di prima. Sia Ann che Yusuke la fissarono sconcertati – che razza di lampada era, quella?
Ann notò lo sconcerto di Yusuke e scoppiò a ridere, battendo un pugno sul materasso. Le vennero le lacrime agli occhi.
Finalmente, Yusuke riuscì a reagire e staccò la lucetta dalla presa, interrompendo così quella cacofonia impietosa; a quel punto, se la rigirò tra le mani con l’espressione di chi si domanda che aggeggio fosse quello. Ann riuscì a smettere di ridere: d’un tratto, l’indignazione e quel brutto risveglio si erano dissolti nella sua risata.
«Ah, che languorino! Ma scommetto che non c’è niente nel tuo frigo, vero?» domandò. Yusuke la guardò come se l’avesse notata solo in quel momento. Senza attendere risposta, Ann si alzò dal letto e recuperò il cellulare dalla borsa, stabilendo: «Chiamo la colazione a domicilio, eh? Facciamo thè e pancake? O preferisci una colazione salata?»
Si voltò in direzione di Yusuke, il cellulare in mano; così facendo, vide ciò che il giovane aveva dipinto. Le cadde il telefono di mano.
Avanzò verso la tela e ci si inginocchiò di fronte, rapita da quello che vedeva: una ragazza con le sue sembianze, dalla figura seminuda di colore bianco-azzurro, che la faceva apparire come una creatura eterea, abbracciata da un letto di foglie verde smeraldo dalla forma a lira che celavano delicatamente le sue nudità, gli occhi chiusi e il viso disteso in un’espressione serena tipica di un sonno profondo; era immersa in una serie di chiaroscuri che andavano dal porpora al blu attorno alla sua sagoma, e poi dal rosso al viola e infine al nero man mano che si avvicinava verso i margini della tela. Sparsi in quell’arcobaleno irregolare, puntini luminosi poco più grandi della capocchia di uno spillo galleggiavano tutt’intorno alla giovane, creando un’idea di lento e pulsante dinamismo. Sembrava quasi un mondo di fantasia quello in cui l’ignara ragazza sognava addormentata, eppure lei appariva tangibile agli occhi dell’osservatore. Ma non fu tanto quello a colpirla, quanto il calore, l’intimità e il senso di mistero trasmessi da quei colori finemente intrecciati e dal tocco delle foglie, la semplicità della figura, il realismo della sua fragilità, la dolcezza della sua postura rilassata.
Quel dipinto aveva qualcosa di rassicurante. Sembrava che quella ragazza non fosse turbata da alcuna preoccupazione e vivesse in un mondo meraviglioso e privo di minacce. Si aveva l’impressione di poterle parlare. Era bellissimo. E ritraeva lei. Senza nessuna traccia della solita sensualità a cui lei era continuamente associata.
Portò una mano alla bocca, mentre alcune lacrime affioravano tra le sue palpebre. Quando le si annebbiò la vista, chinò il capo affinché i capelli le celassero il volto. Ma fu inutile, Yusuke si era accorto di tutto infatti, preoccupato, le domandò: «Ti senti offesa?»
«Offesa?» Ann non poté fare a meno di puntare gli occhi nei suoi, incurante delle lacrime. «Yusuke. Yusuke, questo quadro è…è bellissimo
Yusuke non le chiese il motivo di quelle lacrime; la guardò con solennità.
«Scusami. È…è una reazione stupida…» disse Ann, asciugando le lacrime, ma lui disse: «Non mi sembra. Ammetto che non è la reazione che mi aspettavo, ma è comunque una reazione forte, e io non posso che sentirmi gratificato.»
«È forte perché…»
«Commozione. Anche a me capita di piangere davanti ad un’opera carica di sentimento.»
«No, non è questo. Cioè, non solo.»
Yusuke si sedette più vicino a lei e attese che parlasse ancora. Ann apprezzò che non le fissasse le cosce. «Questa…questa sono io, Yusuke. Tu mi vedi così. Giusto?»
«Giusto. Io disegno le cose come le vedo io, non come appaiono.»
«È bellissimo il modo in cui mi vedi.» Ann arrossì per quello che aveva appena detto, ma non distolse lo sguardo da lui che, più serio che mai, studiava i suoi occhi e le sfumature del suo viso – ma a lei non dispiacque affatto.
La ragazza tornò a guardare tristemente il dipinto. Decise di parlare, tanto la sera prima gli aveva detto che gliene avrebbe comunque parlato, no?
«Sai, a lavoro…una modella deve essere sempre curata, in forma, bella, perfetta…e sexy. È un lavoro che mi piace tantissimo, però spesso l’ambiente in cui si lavora è duro, soprattutto se sei una donna. Tutti pensano che io sia bellissima, ma mi trattano come una stupida o come se non sapessi far altro che sfilare e indossare abiti. In particolare molti uomini, si avvicinano a me soltanto per determinati fini. Sai bene quanto sono sensibile a queste cose…anche se sono cresciuta.»
«Sono cose che non si superano mai del tutto. Io stesso soffro ancora per quello che successe quando ci siamo conosciuti. Anche se devo dire che, quantomeno, quel dramma mi ha permesso di conoscere i migliori amici che potessi mai avere.»
Ann sorrise dolcemente a Yusuke. Un po’ più tranquilla, aggiunse: «Proprio ultimamente ho rotto con un ragazzo che stava con me soltanto perché gli piaceva il mio corpo. E non è stato l’unico. E poi, il direttore di una rivista mi ha offerto un lavoro remunerato da sogno, ma in cambio di andarci a letto. Ho rifiutato ovviamente, ma di recente me ne stanno capitando di tutti i colori e sono un po’ giù. Stavo pensando di cambiare di nuovo aria, infatti.»
«Tutto questo è deplorevole. In un altro momento, avremmo saputo che trattamento riservare a questa gente, vero?»
«Vero.» Ann sospirò, e Yusuke lo fece all’unisono con lei. Lo guardò di sottecchi. «Scusa se ti ho svegliato bruscamente.» Tuttavia, Yusuke era perso in chissà quali pensieri, tanto che sembrava non averla nemmeno udita. Lo vide fissare il quadro, e poi lei, come se fosse sul punto di aver scoperto chissà quale arcana verità. Alla fine, disse: «Questo quadro…hai ragione, è perfetto. Non ho mai realizzato niente di simile. Non voglio peccare di superbia, ma mi fa pensare alla Sayuri di mia madre.» Infisse gli occhi nei suoi: Ann vi trovò vita e vigore, a differenza della sera prima.
«Ann, ho ancora voglia di dipingere. Sento un fiume di energia che mi scorre dappertutto. Devo dipingere.»
«Uhm, ok…»
«Ti prego» continuò, portando il viso a un centimetro dal suo. «Resta con me finché non dovrai ripartire. Tu sei la mia musa. Io…aspettavo solo te. Ora l’ho capito.»
«Ma che stai dicendo?» esclamò lei, spingendolo via. Ma lui non demorse: «È la verità! Ricordi quando ci siamo incontrati? Restai tramortito quando ti vidi. E adesso mi è bastato rivederti per creare un capolavoro, quando ero nel bel mezzo di una crisi artistica! È un miracolo!»
Ann lo fissò stralunata.
«Ti scongiuro, non lasciarmi. Non adesso. Tu…sei la mia salvezza.» Yusuke si inginocchiò e si chinò in avanti, fino a portare la fronte sul pavimento.
«Ma sei impazzito?! Alzati!»
«Ann, senza di te sono rovinato. Rovinato.» Yusuke si sollevò e, gattoni, domandò: «Quanto resterai ancora? una settimana?»
«Due giorni…»
«Due giorni?! Oddio.» Yusuke portò entrambe le mani alla testa. Quella tragicità fece quasi ridere Ann, ma ebbe il buongusto di trattenersi.
«Va bene, senti, devo vedere Shiho e i miei genitori, ma il resto del tempo ti farò da modella, va bene?»
«No che non va bene! Ah, accidenti: visto che non c’è alternativa, non sprechiamo nemmeno un secondo.» Yusuke scattò in piedi, le afferrò il polso con un’inaspettata forza e la trascinò in cucina come un tornado, facendola sedere sul divano. Si precipitò nella foresta di tele, ne prelevò una e la sistemò sul cavalletto. «Uhm, Yusuke, potremmo almeno fare colazione?»
«Non c’è tempo. Non c’è un secondo da perdere.»
«Yusuke, calmati!» sbottò lei, scattando in piedi. Yusuke interruppe il suo febbrile armeggiare e fissò un punto nel vuoto. Ann pensò di averlo ferito e aprì la bocca per scusarsi, ma lui le fu immediatamente di fronte, gli occhi brucianti di passione e le mani attorno alle sue, gentili e delicate come i petali di un tulipano.
«Ann.»
«S-si?»
«Ho la soluzione ai problemi di entrambi. Rimani in Giappone, a Tokyo. Ormai sei abbastanza popolare, hai infarcito il tuo curriculum di esperienze interessanti, quindi qui troverai sicuramente tante opportunità. Potrai mandare al diavolo tutti coloro che hanno pensato di svenderti e oltraggiarti. Invece, io ti onorerò ogni giorno, ogni volta che potrò. Anzi, con le mie opere mostrerò al mondo intero quanto sei meravigliosa.»
Ann si sentì impacciata come una ragazzina, e non avveniva da anni. Di nuovo, le parve di essere ritornata al momento in cui si erano conosciuti. Solo che l’imbarazzo che avvertiva adesso aveva un sapore diverso.
«Yusuke, io…»
«Anzi, che dico: potrei farti vivere solo di questo. Realizzerò così tante opere come quella di stanotte che potrai non lavorare per tutta la vita.»
«M-ma che dici?! Vorresti mantenermi? Come un marito
Perché non riusciva a sciogliere le mani dalle sue? Perché non rideva di quelle proposte insensate?
Yusuke non perse terreno, anzi, ribatté subito: «Se proprio lo preferisci, posso pagarti. Però sì, io…io farei di tutto per tenerti con me, Ann.»
Disarmata. Ecco come si sentiva la ragazza in quel momento. Disarmata e completamente spiazzata. E…emozionata?
Chi mai le aveva detto parole del genere prima di quel momento?
È impazzito. È in preda all’euforia dell’arte.
Eppure, più pensava alle sue parole, meno gli sembravano i vaneggiamenti di un invasato. Insomma, gli aveva detto lei stessa di voler cambiare aria, no? E la sua ispirazione sembrava rinata grazie alla sua sola presenza…
…e poi, Yusuke l’aveva sempre fatta sentire speciale, in un modo tutto suo…
«Che mi dici, Ann? Saremmo una squadra perfetta. Come quando creammo quella tecnica per il Metaverso…»
Le guance le si accaldarono.
Che risveglio inaspettato. E che proposta, poi, così all’improvviso!
Credi in te stessa.
Ren le avrebbe detto così. Yusuke lo stava facendo. Lei?
Ann sorrise e ritirò le mani da quelle di Yusuke. «Facciamo così: per adesso, ordino la colazione e mi siedo lì, così finché ci servono, tu puoi già cominciare…»
«Perfetto! Ottimo! Magnifico!» esclamò Yusuke. Sembrava essere sul punto di abbracciarla, e Ann scoprì che non le sarebbe dispiaciuto. Il suo sorriso si allargò mentre lo vide fiondarsi sulla nuova tela e agguantare pennello e tavolozza. Sedette sul divano e lasciò che la inquadrasse con le mani. Accavallò le gambe, incapace di smettere di sorridere. Era felicità quella che sentiva?
Ma sì, era felice per lui. Era completamente diverso dal giovane angosciato che aveva lasciato la sera prima. Quella passione gli donava.
«Meravigliosa. Perfetta. Resta così.» Yusuke spostava freneticamente gli occhi da lei alla tela, il pennello che guizzava allegramente dappertutto. Si schizzò una goccia di giallo sulla guancia, ma non se ne accorse. E Ann si sentì ancor più felice, perché lo era anche per sé stessa.
«Non ho ancora ordinato la colazione…»
«Aspetta, qualche minuto, ti prego.» Lo stomaco le brontolò, e probabilmente avrebbe fatto tardi con Shiho, eppure il sorriso non lasciò le sue labbra. Con un gesto del capo, gettò indietro la sua massa color grano.
«Yusuke? Come…che titolo ha il quadro che hai fatto stanotte?»
L’interpellato si interruppe bruscamente. La sua mente vagò lontano – la ragazza glielo lesse negli occhi, e sorrise ancora – per alcuni minuti, finché non riportò lo sguardo su di lei e decretò: «Ninfa dormiente.»
Ann piegò la testa di lato, poi avvertì del calore nel petto. «Mi piace» disse. Contemplò la piccola macchia di pittura gialla sulla sua guancia, ma decise che fosse meglio non disturbarlo: gli avrebbe ripulito il viso quando lo avrebbe convinto a fare colazione.
 
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Le brontolò lo stomaco. Imbarazzata, inviò un’occhiata al tassista, ma per fortuna lui sembrava non averla udita, tutto preso ad armeggiare con la radio, che improvvisamente aveva deciso di piantarlo in asso.
«Mi dispiace, Ann-san! Niente condizionatore, niente radio…» si scusò il poveretto, rammaricato. Un coro di clacson risuonò tutt’intorno, anche se non sarebbe servito a far smuovere quel traffico serrato.
«Ma no, la musica ce l’abbiamo!» scherzò Ann, riferendosi ai clacson. Fu lieta di riuscire a rassicurarlo.
Avevano incontrato un vigile poco prima e avevano quindi appreso che si era verificato un brutto incidente; per questo, finché non fossero giunti i soccorsi, difficilmente si sarebbe usciti da quell’affastellamento opprimente e rumoroso in cui si erano infilati. Peccato, la giornata era stata fantastica: rivedere Shiho era stato un vero toccasana per lei, come con i Ladri Fantasma. Aveva trovato l’amica perfettamente serena e molto ottimista sul suo futuro, come se non le fosse accaduto nulla di traumatico solo qualche anno prima.
Dopo un lacrimoso abbraccio, Shiho le aveva raccontato di essere iscritta alla facoltà di scienze motorie a Tokyo; inoltre, giocava come titolare nella squadra di pallavolo dell’università. Aveva perfino un ragazzo, che un giorno avrebbe conosciuto anche lei. Ann era stata entusiasta di vederla così solare e piena di energie. Le era quasi dispiaciuto raccontarle i suoi crucci ma, nonostante fosse passato del tempo, non era stata in grado di tenere nascosto nulla alla sua migliore amica. E così si era sfogata, anche più di come aveva fatto con Yusuke quella mattina. Tuttavia, non si era solo lagnata: l’aveva messa a parte di tutti i suoi successi e anche delle idee che aveva in mente per il suo futuro, anche se erano ancora vaghe.
Shiho le aveva confessato che lei e sua madre seguivano Ann attraverso le riviste da quando si era trasferita: vedere come Ann avanzava nella sua carriera, come diventava sempre più bella, popolare e professionale, aveva incoraggiato Shiho, infondendole determinazione ed entusiasmo per essere alla sua altezza.
«Sapevo che prima o poi ci saremmo riviste. Per questo ho deciso che dovevo renderti fiera di me, e farti sapere che sono andata avanti» le aveva detto ad un certo punto, mentre se ne stavano sedute al tavolino di una delle nuove pasticcerie che Ann aveva puntato quando era tornata. Quelle parole avevano rincuorato e commosso la ragazza; la inorgoglirono anche, e per questo si ripromise di lavorare ancora più sodo, anche per lei.
Ann sorrise tra sé e sé, gli occhi rivolti al cielo rosato del crepuscolo senza vederlo per davvero. Quando le brontolò di nuovo lo stomaco, controllò che ore fossero: le otto passate. Accidenti, quando sarebbe uscita da quel traffico? E quando sarebbe riuscita a procurarsi qualcosa da mangiare?
Si voltò dall’altro lato, sospirando scocciata. Fu così che vide il ristorante in cui era stata la sera prima con i suoi amici Ladri. Era vicino a…
Sarebbe una buona idea?
Indugiò, indecisa. Forse avrebbe dovuto telefonare, prima?
«Senta, scendo qui» disse, prima di pentirsene. Lo stomaco smise di brontolare per iniziare a tremolare.
«Cosa? Oh, prego...»
Ann tirò fuori il portafoglio, miracolosamente in vista nella sua borsa, e pagò il tassista. Lo vide sgranare gli occhi e protestare: «Ma Ann-san! Mi sta pagando il doppio!»
«Avevo chiesto di andare in albergo, ma adesso ho cambiato idea. Non mi è sembrato giusto. Li tenga pure, non si preoccupi! Buon proseguimento!»
«Lei…lei è un angelo! Buon proseguimento!»
Ann aprì la portella il massimo possibile – aveva una macchina quasi addosso – e si insinuò nella stretta apertura, chiudendo poi la portella e scivolando tra le file di auto lì bloccate. Erano così vicine le une alle altre che si sporcò il sedere nel passare accanto ad una di esse.
Fu un sollievo raggiungere il marciapiede. Si spazzolò la minigonna nera con una mano e rimase a fissare l’insegna a led del ristorante. Una nube di profumi la raggiunse fin lì, come per convincerla a non desistere. Quindi, la ragazza si smosse i capelli e sfilò all’interno del ristorante.
 
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Localizzò il piccolo e trasandato stabile, trovandolo peggio di quanto ricordasse. Più si avvicinava, più le macchie bianche di intonaco mancante si facevano larghe. Possibile che non se ne fosse accorta la sera prima? E quei balconi tutti arrugginiti?
Incredibile quanti particolari possano sfuggire al buio e per via del sonno.
La ragazza si premurò di non passare sotto ai balconi, temendo che le crollasse qualche pezzo in testa, mentre i suoi tacchi ticchettavano sull’asfalto verso il citofono. Tra i tasti consumati e opachi, trovò il nome che cercava e citofonò. Deglutì, mentre attendeva risposta. Il sacchetto con il cibo d’asporto che aveva acquistato poco prima le parve pesare quintali.
Quando citofonò la seconda volta, si maledisse per aver preso quella decisione improvvisa.
Avrei dovuto telefonargli.
Perché non apriva? Forse non era in casa? Oppure con lui c’era…?
Mi sono fatta abbindolare da quel suo monologo disperato di stamattina. Che scema. Sicuramente lo fa a tutte le modelle che…
«Sì?»
Il cuore di Ann ebbe un fastidioso sobbalzo quando udì la sua voce profonda che finalmente le rispondeva.
«Ciao, Yusuke! Sono Ann! Mi apri?»
«Ann?! Ma certo!»
Il cuore smise di tormentarle il petto quando lei percepì una fervente gioia nella voce del giovane artista; tuttavia, passò il testimone allo stomaco, che cominciò a farle su e giù come se lei stesse saltando, cosa che non stava minimamente facendo.
Salì le due rampe di strette e polverose scale, tastando la sudicia parete con la mano per non inciampare in quella cupa penombra. Era accaldata: maledisse con tutto il cuore la calura dell’estate di Tokyo mentre una goccia di sudore le percorreva la schiena, affogando nella minigonna.
Quando giunse a destinazione, trovò la porta già aperta e Yusuke sull’uscio. Ann rimase di stucco: era più pallido del solito, aveva gli occhi socchiusi e si stava sorreggendo alla porta. E non si era ancora cambiato dalla sera precedente.
«Ciao, Ann» la salutò, la voce strascicata. Sembrava sul punto di svenire.
«Yusuke! Che ti sta succedendo?!» Ann lo raggiunse in fretta, gli prese una mano e si passò il braccio dietro le spalle per sorreggerlo, mentre lui spiegava: «Un calo di zuccheri, forse. Non mangio da stamattina. In effetti, non bevo nemmeno…»
«Ma sei impazzito?! Ah, ringrazia che sono troppo buona per prenderti a schiaffi!»
«Però ne è valsa la pena.»
«Sì, sì. Ho portato la cena. Meno male che ci ho pensato, altrimenti saresti finito all’ospedale» lo redarguì lei, mentre rientravano in casa.
«Mi sembrava di aver colto un buon odore, infatti.» Ann andò a depositarlo sul divanetto, senza soffermarsi sul caos generale che, a occhio e croce, sembrava aumentato: bastava dire che quasi tutto lo spazio era impegnato da tele posate ovunque e contenitori di vernice che sembravano sbucare come funghi. Si avvicinò al piccolo frigorifero e ringraziò il Cielo di trovarci dell’acqua. Idem quando trovò dello zucchero in uno stipetto dall’anta dondolante, e un bicchiere pulito e integro.
«Grazie» mormorò Yusuke, mentre accettava un bicchiere di acqua e zucchero. Lo trangugiò tutto senza fiatare. Ann lo lasciò fare, anche se avrebbe voluto prenderlo a schiaffi o redarguirlo ancora – o uno e l’altro, perché no?
«Non appena ti senti un po’ meglio, ceniamo» decise, bonaria, e lui assentì. Yusuke terminò la miscela e si adagiò contro lo schienale del divano, gli occhi chiusi. Lei mise via il bicchiere e, nel farlo, finì per gettare un occhio all’oceano di tele che occupava quasi tutta la stanza. Il cuore le tremò.
La ragazza si avventurò tra le tele, le mani sul petto. Yusuke non aveva fatto altro che dipingere da quando lei era andata via quella mattina, era evidente. Diverse tele erano incomplete, anzi, solo agli albori, ma due erano terminate, ed erano meravigliose. Ann si accostò alla prima, poggiata ad un contenitore vuoto di vernice. Si inginocchiò per osservarne meglio il dipinto.
Una donna, abbigliata con un abito cremisi dalla profonda scollatura e dalla gonna ampia a fitte balze, porgeva la mano guantata ad una ragazza più giovane, in ginocchio, abbigliata con scialbi stracci color terra, che era sul punto di accettarla. Il viso della donna più grande era celato da una maschera nera che le sagomava la parte superiore del capo fin dietro alla nuca, da cui sbucavano due lunghe e folte code corvine. Dalla gonna a balze si intravedeva una gamba affusolata, che calzava una scarpa dal tacco vertiginoso dello stesso colore dell’abito. Sorrideva incoraggiate e seducente alla ragazza più giovane che, invece, appariva pencolante. Anche lei aveva i capelli acconciati in due codini, ma erano castano chiaro, gli occhi verdi. Le due figure, si fronteggiavano in quella che sembrava una grigia e buia prigione.
Il cuore di Ann si contrasse. Carmen. E l’altra era lei, anche se alcune fattezze erano state rese diverse, forse di proposito.
Credi in te stessa.
Santo Cielo, Yusuke. Perché diamine faticava a respirare?
Sorrise, d’un tratto calma. Sì, Yusuke aveva ragione…
Si spostò verso la seconda tela, sulla sommità di una pila di tele ancora intonse. Questa era sviluppata in orizzontale: le pennellate erano rapide e sottili, l’intero disegno conteneva solo l’essenziale, ossia una donna che indossava un kimono, elegantemente seduta tra le fronde di un salice piangente, e una volpe stilizzata, circondata da tre fuochi fatui, che si lasciava coccolare da lei. Sullo sfondo, una cresta montuosa appena accennata, come se la si vedesse attraverso un velo di nebbia. I colori erano tenui e comprendevano tutte le tonalità di marrone, dal color sabbia al color terra. Soltanto i fuochi fatui erano di un azzurro vivo, e il kimono della donna, color vino. Anche se il volto della donna era appena accennato, Ann non aveva dubbi su chi rappresentasse. La visione della figura che carezzava la volpe le scaldò il cuore.
Strinse le labbra, gli occhi lucidi.
«Ti presento Risveglio e Sotto il salice. Che ne pensi?» La voce di Yusuke le giunse troppo vicina. Non lo aveva sentito raggiungerla, ma non si spaventò.
«Ho disegnato come un matto tutto il giorno. E anche adesso, se non mi sentissi così sfibrato…» Yusuke si interruppe. Ann vide la sua ombra, alla luce della penosa lampadina sul soffitto, che portava una mano al viso, il solito fare teatrale. Sorrise.
«Da sempre mi lascio travolgere dall’arte, è vero, ma questa volta devo continuare finché non si esaurirà la vena che hai risvegliato. La prosciugherò. Finché non andrai via. Devo tirare i miei allievi fuori da questa…»
«Finché non andrò via?»
«Dopo domani sarai già di ritorno verso gli Stati Uniti. Per la verità, non pensavo nemmeno che ti avrei rivista prima della tua partenza. Ho capito che non vuoi rimanere, e non posso biasimarti. Non ti tratterrò. Ma tu sei linfa per me, Ann. Finché avrò questa linfa…»
Ann non lasciò che terminasse. Scattò in piedi e permise alle sue mani di circondare il viso di Yusuke, al suo viso di schizzare verso il suo e alle sue labbra di premere sulle sue più e più volte – troppe volte.
Il suo stomaco fece un vertiginoso salto, che le provocò un lieve capogiro, e le guance le bruciarono. Quando si accorse di ciò che stava facendo, Ann fece un brusco passo indietro, come se avesse preso la scossa. Yusuke rimase tramortito quanto lei, il che era evidente dalla sua immobilità, dai suoi occhi spalancati, dalle sue labbra schiuse. Ann gli rivolse ancora una sola breve occhiata prima di distogliere lo sguardo: così notò che la macchia gialla di quel mattino era ancora sulla sua guancia, e sul mento ce n’era un’altra azzurra, mentre aveva del rosso sulla sua costosa camicia – ma che aveva combinato?
«Scusami, io…» Avrebbe voluto dirgli qualcosa in più per spiegare quella sua insensata iniziativa, ma non le venne nulla in mente. Cosa poteva dirgli? Che era una stupida?
Ann incrociò le braccia al seno mentre bruciava di vergogna e la sua lingua incespicava dietro le labbra, alla ricerca di qualcosa da dire. Doveva dire qualcosa. Era assolutamente certa di aver frainteso: Yusuke era ossessionato dall’arte, fin da quando lo aveva conosciuto, ed era solo per quello che era sempre stato interessato a lei, solo quello il motivo che l’aveva spinto a lusingarla tanto quella mattina, a dipingerla quella notte e tutto il santo giorno. Era ovvio: lui stesso, quando le aveva chiesto di posare per lui la prima volta, le aveva spiegato in seguito che il suo interesse era puramente artistico. Ci era rimasta male allora, ma era andata facilmente avanti. Fino a quel momento.
Sei un genio.
Le venne voglia di scappare, ma non intendeva sparire gettando al vento la sua dignità. Aprì la bocca per scusarsi come l’adulta che era e far finta di nulla, ma lui invece allungò una mano verso il suo viso. Ann arrossì, incredula, e diede un’occhiata alle sue dita, al pari di lui. Fu così che entrambi colsero delle macchie nere e rosse di pittura sui polpastrelli dell’indice e del medio.
«Non voglio…sporcarti in alcun modo, Ann» mormorò lui. Quegli occhi scuri e penetranti le fecero saltare il cuore ancora una volta.
Ann non era certa di aver compreso tutto ciò che aveva voluto dire, ma agì di nuovo d’istinto: prima che lui muovesse un solo passo, indietreggiò e intinse entrambe le mani nel barattolo di vernice più vicino – era giallo canarino –, quindi si tamponò gli abiti, il petto e il viso con i polpastrelli.
«Sono ancora troppo pulita?»
Gli occhi di Yusuke divennero stolidi. Poi, sul suo viso albeggiò un sorriso tenero. «Sei…così sei assolutamente perfetta.»
«Basta che non ti metti a disegnare proprio adesso!»
Yusuke rilasciò una delle sue risatine cupe.
«Anche perché…avrai moltissime altre occasioni per farlo.»
«Che vuoi dire?»
«Che sarò una modella versatile. Sarò anche la tua modella.»
Ann non poté fare a meno di arrossire mentre pronunciava quelle parole. Non aveva più dubbi: era da quella mattina che ci pensava, anche se aveva provato a non farlo. Se era una pazzia, se stava decidendo troppo in fretta qualcosa di così importante, non lo sapeva; di certo, però, il suo cuore aveva deciso per lei, e Ann aveva imparato da tempo a non ignorarlo.
Yusuke spalancò le palpebre: sembrava uno che era stato appena folgorato da una visione mistica. Alla fine, il suo stupore si tramutò in commozione: il ragazzo torreggiò su di lei, lo sguardo adorante. Portò una mano sul suo viso, dapprima sfiorandola, come se fosse fatta di sottilissimo vetro…e, infine, ricongiunse le loro labbra lentamente.
Ann sorrise sotto il tocco delle sue labbra; il cuore continuava a sobbalzare, ma lo ignorò, e non pensò più a niente di ciò che l’aveva incupita in quel periodo, perfino allo sciocco timore di poco prima. E dimenticò anche la cena, mentre imbrattava Yusuke di giallo.

 

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