Nel segno del corvo

di The_Storyteller
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era una giornata piuttosto fredda, per essere metà aprile, e gli ospiti della signora Fitzwilliam si stavano godendo il suo piccolo ricevimento pomeridiano.
Nel salone delle feste, un domestico fece accomodare una donna sulla quarantina, vestita di scuro e con alcune piume che le agghindavano la testa.
- Ah, ecco la nostra ospite speciale!- chiocciò la signora Fitzwilliam, facendo accomodare la donna a un tavolino basso.
- Miei cari signori e signore, vi presento Madame Le Rouche, la “Signora degli spiriti”- annunciò la padrona di casa, poi invitò gli ospiti a prendere posto insieme alla medium.
- Prego, prego. Sedetevi pure! Vediamo... tre, quattro, cinque! Manca ancora qualcuno... Ah, miss Wilson!-
Anna Wilson, fino a quel momento distratta alla finestra, si ritrovò la signora Fitzwilliam al suo fianco, mentre la prendeva sotto braccio.
- Mancate soltanto voi, gli altri sono già pronti! Su, Madame non è un tipo paziente- sorrise la donna.
Anna provò a declinare l’invito: - Con tutto il rispetto, signora, non capisco questo vostro fascino per l’occultismo. E, sinceramente, non mi fiderei troppo delle capacità di quella medium- disse cortesemente.
La signora Fitzwilliam rise bonariamente, accompagnando la sua giovane ospite verso il tavolo della seduta: - Vostro padre vi ha reso troppo razionale, mia cara. A furia di frequentare tutti quei professoroni di Oxford, non mi sorprende che non vi abbia lasciato nemmeno un minimo di curiosità verso il misticismo!- scherzò.
- Ma se volete una rassicurazione, sappiate che sarà una seduta veloce. Inoltre, vi ho lasciato il posto libero vicino al vostro fidanzato.-
 
Anna sospirò appena: la signora Fitzwilliam era una cara amica di sua madre, ma l’aveva sempre considerata un po’ sopra le righe.
Si avvicinò al tavolino e prese posto accanto a un giovane vestito elegantemente, dai capelli castani e con corti baffi curati.
- Vedo che alla fine vi ha convinto- scherzò lui.
Anna sorrise al suo fidanzato, Richard Earnshaw. Si conoscevano da quasi due anni, e col tempo ne aveva apprezzato il modo di fare elegante e il carisma.  
- A quanto pare non si può dire di no alla signora- rispose sistemandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio.
Ad un cenno della padrona di casa, i servitori portarono delle candele e tirarono le tende della sala.
Madame Le Rouche accese i ceri e ne mise uno davanti a ogni ospite, poi cosparse la superficie del tavolo con una strana polvere colorata, disegnando un cerchio al centro del mobile.
Infine, da un sacchetto nero, estrasse una sfera di cristallo e l’appoggiò dentro il cerchio.
- Spiriti benevoli, imploro la vostra guida e il vostro consiglio!- invocò la medium, muovendo le mani attorno alla sfera - Mostratevi nella vostra potenza, o anime virtuose!-
Nell’incredulità dei presenti, la sfera cominciò ad illuminarsi, e al suo interno apparvero volute colorate di fumo.
“Ci dev’essere un meccanismo sotto il tavolo, o dentro quella boccia per pesci...” pensò scettica Anna.
La medium prese la sfera in mano e a turno la avvicinò ad ogni partecipante, chiedendo loro di descrivere le immagini che vedevano nel globo di vetro.
Compì tutto il giro, facendo meravigliare o instillando il dubbio negli ospiti, fino a raggiungere la giovane Wilson.
- E ora a voi, mia scettica signorina. Ditemi, che cosa vi stanno mostrando gli spiriti?- chiese in tono grave.
Anna sospirò, tuttavia provò a concentrarsi e a decifrare le volute di fumo che vorticavano nella sfera.
- Vedo della nebbia. Tanta nebbia- disse ironica.
La medium la fulminò con lo sguardo: - Pazienza, o giovane dagli occhi di cielo. Sento che gli spiriti stanno mandando un messaggio...-
Anna scosse la testa e guardò di nuovo la sfera. Sembrava uguale a prima, quando tutto a un tratto notò un cambiamento.
- Vedo... un’ombra. Si sta avvicinando... sembra una persona, ma non si capisce...- mormorò perplessa.
Gli altri ospiti la osservavano frementi, mentre Madame Le Rouche la spronava: - Sì, continuate così. Cos’altro vedete?-
Anna strinse gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco quell’ombra: - Sembra che indossi una cappa o un mantello, qualcosa che copre il viso. Ora... ora si sta girando e... AAHHH!!-
L’immagine di un enorme corvo venne proiettata dalla sfera mentre gracchiava contro Anna, facendo spaventare tutti i presenti. L’uccello sbatté le ali e, così com’era apparso, rapidamente svanì.
Nessuno dei presenti osò proferire parola su quanto appena accaduto, ancora scossi da quella strana esperienza, finché la signora Fitzwilliam si riprese: - Bene, miei cari. È stata una seduta quantomeno interessante. Ora perdonatemi, ma credo che sia giunta l’ora che voi torniate a casa. Buona serata a tutti quanti!-
 
Richard aveva proposto alla sua fidanzata di passeggiare per Hyde Park, prima di riaccompagnarla a casa sua.
Approfittando del bel tempo, molte persone stavano ancora frequentando il parco prima di rientrare nelle proprie abitazioni, dalla famigliola borghese agli operai che avevano terminato il loro turno in fabbrica.
L’aria frizzantina del pomeriggio si era mantenuta anche al crepuscolo, provocando alcuni brividi a miss Wilson.
- Siete ancora scossa da quanto è successo, mia cara?- chiese Richard.
Anna si strinse le braccia al petto, cercando di scaldarsi un po’: - Non preoccupatevi. È stato strano, certo, ma immagino si sia trattato di uno di quei trucchi da medium- rispose, sforzandosi di sorridere.
In realtà, Anna era rimasta turbata da quella apparizione. E ora, cosa che la inquietava di più, aveva la sensazione di sentirsi osservata.
Si guardò intorno, quando lo vide davanti a sé: un enorme corvo, dal piumaggio nero come la notte, si stagliava sul ramo di un albero e la guardava.
Poi, rapido e silente, planò dal suo appiglio e si scagliò contro Richard, beccandolo sulla giacca e facendolo allontanare dalla giovane.
- Richard!- gridò Anna, mentre la gente intorno alla coppia si allontanava spaventata da quella strana aggressione.
Il corvo continuò a tormentare Richard fino a farlo inciampare contro un cespuglio, facendolo così cadere. Senza neanche il tempo di reagire, Anna venne a sua volta attaccata dal corvo.
La giovane provò a difendersi, tentando inutilmente di scacciare l’uccello.
- Basta, ti prego! Lasciami stare!-
Il corvo continuò a volarle intorno, finché non attaccò la mano sinistra della giovane: Anna sentì i suoi artigli conficcarsi sul suo dorso e graffiarla più volte.
Gridò per il dolore e la sorpresa, temendo il peggio. Invece, nello sgomento generale, il corvo si allontanò in volo fino a scomparire nel cielo di Londra.
Anna si accasciò a terra, ancora sconvolta da ciò che era appena accaduto. Si prese la mano dolorante, e vide con orrore il proprio sangue fuoriuscire dalle ferite.
La testa cominciò a girarle, la vista si stava annebbiando, i rumori delle persone attorno a lei si stavano facendo sempre più flebili. Non sentiva le mani di Richard che la prendevano per le spalle, non vedeva la folla di curiosi e gli sguardi di qualche giornalista di passaggio; udiva soltanto una frase, un’eco lontana che proveniva dalla sua mente: “Sii i miei occhi”.
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Salve a tutti! Vi presento la mia prima storia su Assassin's Creed, serie a cui mi sono appassionata qualche tempo fa ma che non avevo mai approfondito. Ho visto alcuni gameplay dei giochi e mi sono affezionata ad alcuni personaggi, tra i quali i gemelli Frye di Assassin's Creed Syndicate.
Spero di incuriosirvi e di appassionarvi alla mia OC Anna e alla sua storia =)!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La stazione di Victoria era frenetica come sempre, con gente che scendeva e saliva dai treni per i più disparati motivi.
Un postino si guardava attorno disorientato, tenendo tra le mani la busta che tanto lo aveva fatto disperare. Per sua fortuna, un bambino a cui aveva chiesto informazioni gli aveva indicato il treno giusto, così si incamminò fino ad arrivare alla locomotiva.
- I signori Frye sono qui?- chiese al macchinista, che gli disse di andare al terzo vagone.
Giunto alla carrozza, il postino bussò alla porta, e poco dopo un uomo con un cappello a cilindro gli aprì.
- Buongiorno!- salutò allegramente Jacob - Avete qualcosa per noi?-
Il postino gli consegnò la busta: - Da Crawley, signore. Non è stato per niente facile raggiungervi, posso chiedere perché non abitate in una casa normale?- chiese, leggermente stizzito.
Jacob sorrise bonario: - Ci abbiamo provato, ma gli affitti costano una fortuna...-
In quel momento intervenne Evie: - Vi ringraziamo per il vostro ottimo lavoro. Questo è per il disturbo- disse allungando al postino una sterlina e congedandolo.
 
I gemelli rientrarono nel vagone, dove Henry stava aspettando: - Chi vi scrive?- chiese curioso.
Jacob si accomodò sul divanetto, mentre Henry e Evie si sistemarono di fronte a lui.
- È di George!- esclamò - E deve aver scritto un bel po’ di cose, a giudicare dal peso della busta.-
Il più giovane dei Frye estrasse il primo foglio della lettera e cominciò a leggere:
 
Carissimi Evie e Jacob,
dovrei essere molto arrabbiato con voi, invece non potrei essere più fiero.
Quando non vi avevo più trovato a Crawley, dopo che vi eravate occupati di Ferris e Brewster, avevo capito subito che vi eravate diretti a Londra per fermare Starrick e i suoi piani di dominio.
A ripensarci, mi ero addirittura sorpreso che tu, Evie, avessi accettato quell’idea talmente balzana che poteva essere nata soltanto dalla mente di tuo fratello.
 
Ma ormai è passato, Starrick è morto e Londra è finalmente libera dalla morsa dei Templari. E credetemi, ragazzi miei, sono così orgoglioso di voi e di Henry. Anche vostro padre lo sarebbe.
Ordunque, vi devo dire il motivo per cui vi ho scritto questa lettera, e riguarda proprio vostro padre, il mio caro amico Ethan: insieme a questo mio messaggio, troverete un’altra lettera indirizzata a vostro padre e arrivata circa un mese fa qui a Crawley. Sinceramente, non so cosa avesse in mente Ethan ai tempi perché purtroppo non me ne ha parlato.
Cercherò tra le sue memorie se riesco a trovare qualcosa di utile e vi spedirò il tutto nei prossimi giorni.
 
Vi auguro solo il meglio, ragazzi miei. Salutatemi Henry.
Con affetto
George Westhouse
 
I tre Assassini rimasero per qualche secondo in silenzio, colpiti dalle parole del loro vecchio amico.
- Non pensavo che l’avrebbe presa così bene...- commentò con affetto Jacob, poi prese la seconda lettera: - Dai, chi vuole leggere questa?- propose.
Evie si offrì volontaria, così suo fratello le passò il foglio. La giovane lesse il mittente e il luogo di partenza: - Scrive il signor Harold Wilson, da Leicester- annunciò, poi aprì la lettera e lesse ad alta voce il suo contenuto:
 
Mio caro signor Frye,
posso finalmente darvi ottime notizie.
Ho trovato ciò che mi avevate chiesto a sud di Leicester, forse non sarà molto, ma vi risulterà utile per la vostra ricerca.
 
Purtroppo sarò a Londra per circa due settimane, poi dovrò partire per Winchester per altri studi.
Passate a casa mia (l’indirizzo è in fondo), ho affidato i miei appunti a mia figlia Anna. Fatele leggere la lettera allegata e lei saprà cosa fare.
 
In attesa di rivedervi di persona, vi porgo cordiali saluti.
 
Prof. Harold Wilson
 
Evie controllò la data di partenza della lettera: - L’ha scritta a inizio anno, quando papà...-
Jacob sospirò: - Quando papà era già malato... e poco dopo sarebbe morto- disse tristemente, terminando la frase della sorella.
Henry tentò di cambiare discorso, anche se sentiva un leggero peso al cuore al sentir nominare il suo vecchio mentore: - Se volete, posso leggere io l’ultima lettera.-
Jacob sorrise e tirò fuori l’ultimo foglio: - Ok Greenie, basta che poi non ci siano altre lettere da leggere!- scherzò.
Henry sorrise di rimando e prese la lettera, ma presto sul suo volto apparve un’espressione stranita: - Che razza di lingua è questa?- esclamò, mostrando il foglio ai gemelli.
I Frye diedero un’occhiata alla parole, tentando di trovare qualcosa di decifrabile.
- Per me è arabo- si arrese poco dopo Jacob.
- Veramente l’arabo non si scrive così...- replicò Henry.
- È un modo di dire, Greenie...-
Evie provò più a lungo, ma alla fine desistette anche lei: - Da alcuni caratteri, direi che si tratta di una lingua scandinava. Ma per il resto, non so proprio di cosa parli.-
 
I tre Assassini rimasero a lungo a riflettere su quelle misteriose lettere.
- Tu hai idea di chi possa essere questo Wilson, Evie?- chiese Jacob.
Sua sorella scosse la testa: - Purtroppo il suo nome non mi dice nulla. È strano che papà non lo abbia mai nominato. Che cosa gli avrà mai chiesto di trovare? Che ne pensi, Henry?-
I Frye osservarono il loro amico indiano intento a cercare tra vecchi giornali.
- Scusate ragazzi, ma non ho mai sentito il suo nome prima d’ora. Invece, la figlia... Ah, ecco qui!- esclamò trionfante.
Jacob ed Evie si avvicinarono al giornale che Henry teneva in mano, datato due giorni prima. Sulla pagina della cronaca appariva il seguente titolo: “Misteriosa aggressione a Hyde Park”.
L’articolo descriveva l’aggressione di uno strano corvo ai danni di una giovane coppia, con tanto di nomi e cognomi: mentre lui era rimasto illeso, la signorina invece era stata ferita alla mano. A contorno dell’articolo c’erano le testimonianze di alcuni passanti, i commenti del giornalista su presunti complotti contro le vittime e un disegno color seppia che ritraeva in modo quasi teatrale la scena.
- Dici che si tratta della stessa persona?- chiese Evie ad Henry.
L’indiano scosse la testa: - Magari è solo un caso di omonimia, ma possiamo sempre andare alla casa del professor Wilson e verificare la cosa, oltre che a prendere i suoi appunti.-
Jacob si alzò dal divanetto e si stiracchiò: - Ok, avevo proprio voglia di prendere un po’ d’aria. Evie, sei dei nostri?-
Evie declinò, dicendo che doveva raggiungere il signor Darwin per una faccenda, ma promise che si sarebbero rivisti più tardi per discutere cosa fare degli appunti del professore.
 
Jacob ed Henry scesero dalla carrozza e si ritrovarono di fronte a un edificio elegante di due piani, nella zona a nord di Green Park.
Controllarono che l’indirizzo fosse giusto, e una volta accertato si avvicinarono alla porta e bussarono un paio di volte.
- La signorina non rilascia interviste, grazie e buona giornata!- disse una voce dall’interno.
I due Assassini si guardarono perplessi, poi Jacob bussò un’altra volta: - Abbiamo qui una lettera del signor Wilson- annunciò.
Lentamente, la porta si aprì e una donna sui cinquant’anni si sporse appena dalla soglia. Li guardò attentamente un paio di volte, dall’alto al basso, e sembrò rasserenarsi: - Effettivamente, non avete proprio l’aspetto di giornalisti. Senza offesa, signori...- sorrise la donna, sistemandosi il grembiule.
Jacob osservò la donna, intuendo che fosse la domestica: - Ci scusi il disturbo, signora, ma abbiamo qui una lettera del signor Wilson. Pare che abbia lasciato degli appunti per mio padre, il signor Frye- spiegò, porgendole le due lettere del professore.
La domestica diede una lettura veloce alla prima, mentre sospirò alla seconda: - Il solito professore...- disse fra sé e sé.
Si presentò, dicendo di chiamarsi Margareth, poi fece accomodare i due uomini, accompagnandoli fino a un salottino. La casa era elegantemente ammobiliata, mantenendo comunque uno stile semplice ed accogliente. La musica di un pianoforte pervadeva l’aria, diffondendo una melodia soave e rilassante.
- Aspettate solo un momento che vado a chiamare la signorina e... Ah, Theo!-
In quel momento, un ragazzino sugli undici anni apparve da un’altra stanza, fermandosi al richiamo della domestica. Si toccava nervoso le dita pallide, mentre guardava con curiosità i nuovi arrivati.
- Theo, caro, puoi farmi un favore? Puoi andare a chiamare tua sorella? Questi signori hanno bisogno di alcune cose di tuo padre- spiegò con gentilezza.
Il ragazzino diede un’ultima occhiata ai due sconosciuti, poi annuì e corse nella stanza da cui proveniva la musica.
- Perdonate il signorino, ma è molto timido con gli sconosciuti. Ora scusatemi, ma devo ritornare in cucina. Lieta di avervi conosciuti- disse infine, prima di congedarsi dai due ospiti.
- Tu cosa ti aspetti da tutto questo?- chiese Henry a Jacob, poco dopo.
Jacob fece spallucce: - Non ne ho la più pallida idea. Spero solo che la signorina possa dirci qualcosa in più, anche solo per...- si interruppe, notando un movimento.
Da dietro un muro era apparso un grosso gatto bianco e rosso. Si avvicinò con cautela ai due Assassini, annusando l’aria con circospezione.
- Salve...- salutò Jacob.
Il gatto saltò sul divano dove si trovavano i due uomini, sedendosi in mezzo a loro. Henry e Jacob rimasero immobili, mentre due iridi di un azzurro intenso li studiavano con attenzione.
- Cosa facciamo?- sussurrò Henry.
- Resta immobile, non lasciare che fiuti la tua paura Greenie- rispose Jacob con tono fintamente allarmato.
Dopo un tempo che era parso interminabile, il gatto si avvicinò ad Henry e gli diede una piccola testata contro la mano, miagolando finché l’uomo non cominciò ad accarezzarlo. Poi, soddisfatto dalle coccole, rivolse le sue attenzioni a Jacob, saltandogli direttamente in grembo.
- Chi l’avrebbe detto che fossi un coccolone!- esclamò Jacob accarezzando a sua volta il felino, provocandogli così rumorose fusa.
- Come ti chiami, micetto?-
- È femmina, e si chiama Freya.-
 
Una ragazza di circa vent’anni era apparsa nella stanza. Freya saltò agilmente dal divano e raggiunse la sua padrona, saltandole in braccio e strofinando la testa contro la sua mano bendata.
Dietro la ragazza, i due Assassini notarono altre due persone sporgere appena dal muro: il ragazzino di prima e un’altra ragazza che poteva dimostrare quindici anni.
- Perdonate l’attesa, ma mia sorella Charlotte voleva fare per forza il “test” con voi- spiegò lanciando un’occhiataccia alla giovane, che sparì dal suo riparo portandosi via il fratellino e lasciando dietro di sé una risatina divertita.
Jacob sembrava perplesso: - Il test era se la gatta ci avesse morso o meno?-
La giovane annuì: - Diciamo che funziona così: se la gatta ti accetta, sei una brava persona. Ma dubito che siate qui per queste sciocchezze. Io sono Anna Wilson, e mio fratello Theodore mi ha detto che avete una lettera da parte di mio padre. Giusto?-
Jacob aspettò che la ragazza si sedesse sulla poltroncina di fronte a loro, poi le porse la lettera scritta nella lingua sconosciuta. La osservò: i lunghi capelli biondi erano raccolti in una semplice crocchia, con qualche ciuffo che sfuggiva dalla pettinatura severa; gli occhi azzurri scrutavano attentamente la lettera, anche se ogni tanto capitava che li sollevasse per guardarlo curiosa.
- Chi di voi è il signor Ethan Frye?- chiese una volta terminato di leggere la lettera.
- In realtà nessuno dei due- rispose Jacob, turbando appena la sua interlocutrice.
- Era mio padre. È morto di pleurite a inizio anno.-
La ragazza fece un’espressione sorpresa, passando poi all’imbarazzo per la sua domanda: - Mi dispiace. Le mie condoglianze, signor Frye- gli disse sincera.
Jacob sorrise: - Nessun problema, non potevate certo saperlo. Toglietemi una curiosità, invece- proseguì cambiando il discorso - Che razza di lingua è quella lettera che vi ha scritto vostro padre?-
- Norvegese. Mio padre l’ha imparata anni fa per ragioni di studio, e me l’ha insegnata quand’ero bambina. Ora, se permettete, vado a prendere gli appunti che mi ha lasciato- disse, quindi si alzò e salì al piano superiore, tornando qualche minuto dopo con una piccola risma di fogli e porgendoli a Jacob.
- Sono i suoi appunti sugli scavi che ha fatto vicino a Leicester, ma non so di cosa trattano nello specifico. Spero vi possano servire anche se vostro padre non c’è più.-
I due Assassini ringraziarono e si alzarono per andarsene, ma prima di varcare la soglia Jacob si girò un’ultima volta verso Anna: - Grazie ancora, e buona guarigione alla mano!- la salutò, toccandosi appena il cappello e raggiungendo poi Henry.
 
Anna chiuse la porta, sentendo un leggero rossore sulle guance dopo l’ultima frase del signor Frye. Si tastò la mano ferita, cercando di non pensare più a quei due sconosciuti, quando sentì un rumore dietro di lei.
- Cosa c’è- sospirò, guardando il sorrisetto apparso sul volto di sua sorella Charlotte.
La ragazza si lisciò i capelli castani in modo civettuolo: - Niente, mi stavo solo chiedendo per quale misterioso motivo papà possa essere in contatto con due giovani affascinanti che non sembrano assolutamente dei professori di Oxford…- rispose con finta nonchalance.
- Gli servivano solo degli appunti, nient’altro- replicò Anna lasciandosi scappare un altro sospiro.
- Dovresti tornare ad esercitarti col piano, altrimenti chi la sente mamma...- aggiunse, tentando di cambiare discorso.
Charlotte tentò un’ultima volta di investigare sulla faccenda: - Andiamo, possibile che tu non sia curiosa di sapere chi sono quei due? Mi sembrano brave persone, persino Freya lo pensa. È la prima volta che si fa accarezzare da due sconosciuti!- esclamò prendendo in braccio la gatta per enfatizzare il concetto.
Anna la squadrò: - Freya è solo una gatta. Se è per questo, continua a soffiare a Richard ogni volta che lo invitiamo a casa, e lo conosce da molto tempo ormai.-
Charlotte aggrottò le sopracciglia, mettendo su il muso: - Questo perché il tuo fidanzato è l’uomo più noioso che abbia mai avuto il dispiacere di conoscere! Sinceramente, sorella, non capisco come possa piacerti!- disse infine, prima di tornare ad esercitarsi con il pianoforte.
Anna sospirò ancora, esasperata, poi si diresse in camera sua. Chiuse la porta e si diresse al suo scrittoio, estraendo le copie degli appunti del padre che aveva trascritto di nascosto. Rilesse per l’ennesima volta quelle frasi che descrivevano ritrovamenti di asce e frecce di epoca vichinga, poi i suoi occhi si soffermarono su una parola che tanto l’aveva incuriosita: Occulti.
Da quelle pagine in poi, Anna cominciò a leggere le poche informazioni che suo padre aveva trovato sui resti del villaggio vichingo di Ravensthorpe e sulla presenza di due individui appartenenti a quel misterioso gruppo, un certo Basim e il suo discepolo Hytham; erano stati proprio gli appunti sopravvissuti al tempo di quest’ultimo ad ampliare il discorso, citando degli Antichi che un guerriero vichingo era riuscito a neutralizzare uno dopo l’altro.
Anna scosse la testa, prendendo altri appunti, ancora più misteriosi: pagine e pagine ricopiate dal professor Wilson, scritte in alfabeto runico.
“Chissà quali storie nascondete...” pensò Anna sfiorando le lettere spigolose scritte sui fogli.
“Che cosa c’entri con tutto questo, papà?” si chiese fra sé e sé, accarezzandosi sovrappensiero la mano bendata.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Era ora di coricarsi per la notte, a casa Wilson. Anna finì di pettinarsi i capelli, poi sciolse le bende che avvolgevano la sua mano sinistra per pulire la ferita. Mentre passava il disinfettante, la giovane strinse appena i denti per il bruciore. Lasciò asciugare la soluzione, poi osservò le ferite provocate dal corvo ormai tre giorni prima: in totale erano tre segni, in un’area triangolare che si trovava tra indice e pollice; un graffio più lungo partiva dalla nocca fino ad arrivare alla base del pollice, mentre altre due linee più piccole iniziavano dall’alto del primo graffio e scendevano obliquamente verso il basso per un paio di centimetri.
Anna sfiorò la sua ferita, non ancora cicatrizzata, poi bendò la mano con garze pulite e si mise a letto. Si accoccolò nel cuscino e chiuse gli occhi, desiderosa soltanto di una buona notte di riposo. Scacciò dalla mente l’immagine di Jacob Frye che la salutava, sorpresa da quel pensiero così inaspettato, e presto cadde in un sonno profondo.
 
La giovane si trovava in un ambiente scuro e pieno di nebbia. Enormi alberi dai rami spogli si innalzavano verso un cielo grigio ad un’altezza innaturale, mentre alle loro radici non c’era erba.
Anna si sentiva persa e confusa, non riuscendo a capire in che razza di posto si trovasse.
Qualcosa la afferrò da dietro la spalla, facendola sobbalzare dalla paura.
Il corvo del parco volò davanti a lei e si posò su un ramo, in attesa.
Non avendo altra scelta, Anna seguì il corvo, che volò di ramo in ramo fino a che il bosco non lasciò spazio ad un’ampia radura illuminata da una luce fredda e pallida. La ragazza vide il corvo volare un’ultima volta, per poi posarsi sulla mano di una persona.
La misteriosa presenza era di schiena e indossava un lungo mantello blu scuro, con inserti di pelliccia sulle spalle, e la testa era coperta da un cappuccio. Stese il braccio sinistro, adornato da un prezioso bracciale dorato che avvolgeva l’arto dal polso fino a pochi centimetri dal gomito, e così facendo il corvo prese nuovamente il volo verso il vuoto.
In quel momento, la persona incappucciata sembrò accorgersi di Anna e si girò verso di lei.
La giovane non riuscì a vederla in volto, poiché la poca luce presente le abbagliava la vista; notò soltanto una treccia bionda che spuntava alla sinistra del cappuccio. L’ombra attese alcuni secondi, poi si portò le mani al cappuccio e…
 
Anna si svegliò di soprassalto, trattenendo a stento un sussulto. Si mise una mano sul petto, sentendo il proprio cuore che batteva all’impazzata, così provò a calmarsi facendo dei respiri profondi.
Ormai si era ripresa del tutto, quando la mano ferita cominciò a pulsarle, come se ci fosse un altro cuore, e una fitta improvvisa le arrivò alle tempie.
“Che cosa mi sta succedendo?” si chiese allarmata.
Si massaggiò la testa, cercando di far andare via quei dolori, poi udì una frase: “Sii i miei occhi”.
Di colpo il mal di testa andò via, ma non il suo senso di inquietudine. Di nuovo le parole che aveva sentito al parco. Non poteva essere una coincidenza.
Nel cuore della notte, Anna accese una lampada e si sedette al suo scrittoio. Senza capire il perché, prese in automatico gli appunti scritti in runico e osservò le misteriose lettere spigolose.
Davanti ai suoi occhi increduli, ora quelle lettere avevano un senso, rivelando frasi di senso compiuto che narravano una loro storia.
Emozionata, Anna lesse gli appunti di una certa Randvi, moglie e consigliera di Sigurd Styrbjornsson, jarl di Ravensthorpe: la donna aveva annotato i progressi del villaggio e le alleanze strette coi sovrani di Inghilterra, ma anche pensieri più intimi e personali. Un nome in particolare, che si ripeteva più volte, incuriosì la giovane: Eivor.
Andando avanti con la lettura, Anna notò come era stato questo Eivor a rendere possibile le alleanze e ad aumentare la forza e il prestigio del suo villaggio; era Eivor che affrontava i nemici e conquistava fortezze, era Eivor che cacciava e uccideva gli Antichi, era Eivor che aveva salvato Sigurd da una pazza sadica e che poi aveva preso il suo ruolo di jarl, dopo l’abdicazione di quello che pareva un fratello o un parente stretto.
Dopo aver letto l’ultima pagina, Anna si sentiva incredula: com’era possibile che poteva leggere e capire una lingua vecchia di quasi mille anni? Di chi era la voce che aveva reso possibile tutto ciò?
Un’ultima domanda le arrivò alla mente, rapida e improvvisa come un fulmine: si svolse le bende e mise la ferita vicino alle rune, notando che assomigliava a una delle lettere: che legame c’era tra quelle tre linee e la sua improvvisa conoscenza del norreno?

*****
Circa due giorni dopo, Evie rientrò trionfante sul treno con un involucro sotto braccio.
- Vedo che il pacco di George è finalmente arrivato!- esclamò Henry.
Evie gli sorrise e poggiò il suo carico su un tavolino: - Non vedo l’ora di scoprire cosa ci ha lasciato papà. Tu che ne dici, Jacob?-
La giovane si accorse solo in quel momento che suo fratello non si trovava a bordo, e rivolse uno sguardo interrogativo ad Henry.
- È uscito circa mezz’ora fa, diceva che voleva prendere un po’ d’aria- rispose.
- E ovviamente si eviterà di leggere tutta questa carta!- sbuffò lei.
Henry si avvicinò alla sua fidanzata e le mise un braccio intorno alle spalle: - Non prendertela con lui. Se vuoi, posso aiutarti io con gli appunti di tuo padre.-
Evie gli diede un bacio, poi avvicinò due sedie e prese il primo foglio: - Cominciamo?-

*****
Alla British Library il tempo trascorreva in silenzio, scandito da alcuni grandi orologi. Ai numerosi tavoli, illuminati dalla luce proveniente dall’esterno, sedevano vari lettori immersi in libri che trattavano i più disparati argomenti, chi per semplice diletto e chi per ragioni di studio.
Anna mise da parte il suo terzo libro, per aprirne un altro dedicato alle invasioni vichinghe. Studiò nomi, date e avvenimenti, ma non trovò il nome di Eivor da nessuna parte.
“Possibile che qualcuno di così importante non sia minimamente citato?” pensò infastidita.
Il suono dell’orologio la avvisò che erano le undici del mattino. Anna radunò i suoi appunti e li infilò nella sua borsa, poi prese i suoi libri e li lasciò a un addetto che si accinse a rimetterli al loro posto.
La giovane uscì dalla biblioteca, ritornando alla caotica e movimentata vita della città. Pensò un attimo se le convenisse prendere una carrozza o ritornare a casa a piedi, considerando che ci aveva messo meno di quanto avesse previsto. Decise così di andare a piedi e si incamminò per la via di casa.
 
Anna stava ormai camminando da circa un quarto d’ora. La strada che stava percorrendo non era molto frequentata, e le poche persone a passeggio si affrettavano a tornare alla propria casa in vista del pranzo.
La giovane stava camminando con calma, quando un movimento lontano colse la sua attenzione; girò appena la testa e vide due tipacci fissarla: uno era basso e indossava una giacca rossa, l’altro invece era più alto e portava le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti, mostrando così i suoi tatuaggi.
Anna ebbe un brutto presentimento: attraversò la strada e i due uomini la seguirono, provò a fermarsi davanti alla vetrina di un negozio e loro si fermarono a loro volta.
Non aveva più dubbi: quei due, purtroppo per lei, la stavano pedinando.
Per tentare di seminarli, provò ad infilarsi nelle viuzze di alcune case, cambiando continuamente percorso e girandosi spesso per controllare dove fossero i suoi inseguitori.
Ma la fortuna sembrava non aiutarla, perché dopo un’ultima curva si ritrovò in un vicolo cieco, e prima che potesse cambiare strada i due ceffi l’avevano raggiunta.
- Fine della corsa, bambola- ghignò il più basso, sistemandosi la bombetta.
Anna sentì dei lunghi brividi percorrerle tutta la schiena, ma tentò di negoziare: - Sentite, se volete il denaro ve lo cedo senza problemi, ma lasciatemi andare.-
I due tizi risero in modo beffardo, poi il più alto tirò fuori un coltellaccio: - Dacci la borsa senza fare storie, e sarai libera di tornare da mammina- la minacciò.
Anna strinse a sé la sua borsa, contenente tutti i suoi appunti: non poteva assolutamente permettere che quei brutti ceffi rubassero il suo lavoro.
- Vi prego, vi darò i miei soldi. Il resto è soltanto cartaccia- tentò di negoziare ancora, sentendo il suo cuore battere all’impazzata.
Anche il manigoldo più basso estrasse un coltello e si avvicinò puntandole la lama: - Senti pupa, tu ora ci darai la tua dannata borsa, altrimenti il tuo grazioso collo sarà URGH!!!-
 
Avvenne tutto così velocemente che Anna rimase immobile dallo stupore: dal tetto di una casa, un uomo incappucciato e vestito di scuro si era buttato sul primo furfante, uccidendolo con una strana lama che partiva dal polso. Si avventò poi sull’altro, che stava per colpirlo con la mannaia. I due combatterono per qualche minuto, col bruto che tentava inutilmente di difendersi dai pugni d’acciaio del suo avversario, ma presto seguì il destino del suo compare.
Infine, dopo aver ripreso fiato, l’uomo misterioso si tolse il cappuccio e indossò il suo cappello, girandosi sorridente verso la ragazza: - Buongiorno, miss Wilson!-
Anna spalancò gli occhi dallo stupore: - Signor Frye?! Come… da dove… che cosa è appena successo?-
Jacob non fece in tempo a risponderle che altri Blighters apparvero all’inizio della via.
- Temo che dovremo trovarci un posticino più tranquillo, miss. Ora, fatemi creare un diversivo…- disse cercando nelle tasche e tirando fuori un piccolo contenitore sferico che scagliò contro i furfanti, che vennero tramortiti da scariche elettriche.
- Ops… bomba sbagliata- commentò Jacob con finta sbadataggine.
Anna lo guardò incredula, ma non riuscì nemmeno a dire una parola che Jacob l’afferrò per la vita e la strinse a sé.
- Mi raccomando, non guardate giù e non urlate. Sarà una cosa veloce- le spiegò l’uomo, per poi stendere il braccio sinistro verso l’alto: dal suo bracciale partì una corda con rampino che si incastrò sul tetto della casa di fronte ai due, trasportandoli velocemente lungo il muro e portandoli sul tetto dell’edificio.
Anna aveva trattenuto a stento urla di terrore, ma ancora una volta non riuscì a parlare col signor Frye, poiché quest’ultimo si stava allontanando di corsa sui tetti, facendole cenno di seguirlo.
La giovane scosse la testa, ma seguì l’uomo: - Aspettatemi, non posso certo arrampicarmi con questo vestito!- protestò.
Jacob la aiutò a superare i muri più alti e a saltare da un tetto all’altro, finché non si fermò vicino a una piazzetta e guardò verso il basso.
- Ho due notizie. La buona è che quei simpaticoni dei Blighters non ci seguono più. La cattiva, invece…- tergiversò, mentre con gli occhi indicava il limite del tetto.
Se non fosse stata per l’assurdità della situazione, Anna si sarebbe messa a ridere, invece aveva soltanto voglia di urlare: - Voi… voi siete pazzo. Intendete saltare di sotto?! Volete per caso morire?!-
Jacob le si avvicinò e tentò di calmarla: - C’è un carretto con della paglia che attutirà la caduta. E poi sono solo pochi metri. Ma se preferite restare quassù fino a che non arrivino i pompieri e spiegare perché vi trovavate sui tetti, fate pure…-
Anna gli lanciò un’occhiataccia, poi si sporse dal tetto: saranno anche stati pochi metri, ma era comunque impossibile sopravvivere ad una caduta simile!
Si sentiva il fiato corto e le gambe cederle, ma avvertì dietro di lei la presenza dell’uomo. Si girò verso di lui, tremante, al che Jacob le mise le mani sulle spalle per rassicurarla: - Andrà tutto bene, fidatevi di me. Tutto quello che dovete fare è saltare al mio segnale. Okay?-
Anna lo guardò in volto, mentre cercava di calmare il suo respiro: osservò con curiosità le sue cicatrici, seguì con lo sguardo il contorno della sua barba da un lato all’altro del viso, si concentrò sui suoi occhi castani che riflettevano la luce del sole con alcune pagliuzze dorate…
La ragazza prese un ultimo respiro profondo e annuì: - Va bene. Sono pronta.-
 
I due si sporsero dal punto più esterno del tetto, poi Jacob si mise dietro ad Anna e le diede le ultime istruzioni: - Tenete le braccia strette al petto. Conterò fino a tre e poi salteremo.-
Anna fece come gli aveva detto, e Jacob l’avvolse tra le braccia: - Uno…-
Chiuse gli occhi con forza, pensando a casa sua, ai suoi fratelli, ai suoi genitori: - Due…-
Si concentrò sulla voce di Jacob, sulle sue braccia forti, sul suo odore di cuoio e metallo: - Tre!-
Saltarono insieme, come fossero un’unica persona. Anna sentì l’aria sferzarle il volto, poi avvertì un cambio di posizione, con l’uomo che ora rivolgeva la schiena a terra, e infine l’urto contro il carretto.
Aprì gli occhi, con cautela, e si ritrovò seppellita nella paglia, miracolosamente viva.
Jacob si spostò da sotto di lei e uscì agilmente dal carretto, poi le tese la mano per aiutarla a scendere.
- Visto? Ve l’avevo detto che sarebbe andato tutto bene- esclamò trionfante, una volta a terra.
Anna sentiva ancora l’adrenalina percorrerle il corpo, mentre si toglieva gli ultimi fili di paglia addosso, poi si rivolse seria a Jacob: - Chi siete veramente? Nessun uomo comune può fare quello che avete appena fatto voi.-
- Non qui all’aperto- disse l’uomo guardandosi attorno. Fece cenno a una carrozza di fermarsi e aprì la portiera alla giovane: - Dove posso accompagnarvi, signorina?-
Anna disse al cocchiere di portarli a Berkeley Square, vicino a casa sua, poi salì sulla carrozza e si accomodò nel sedile di fronte a Jacob.
- In parole povere, miss, posso solo dirvi che faccio parte di un gruppo che si occupa di tenere a bada i simpaticoni come i Blighters di prima, ma soprattutto i capoccioni che li comandano- spiegò.
Anna aggrottò la fronte: - E per “tenere a bada” intendete dire eliminarli? Con quello strano coltello che avete al braccio?- chiese turbata.
Jacob estrasse la lama, mostrandola alla sua interlocutrice: - Questo gioiellino? È il nostro marchio di fabbrica- scherzò per stemperare la tensione, ma non convinse la giovane.
- Ciò che fate è immorale, signor Frye. Nessuno dovrebbe uccidere altra gente- disse decisa.
Jacob si sporse verso di lei, guardandola dritta negli occhi: - Si dia il caso, signorina, che il mio credo mi vieta di uccidere innocenti. La mia lama colpisce solo chi se lo merita, come quel maledetto Starrick e i suoi scagnozzi- replicò, per poi accorgersi troppo tardi che aveva parlato troppo.
Anna spalancò gli occhi, incredula: tutti quegli omicidi avvenuti nei mesi scorsi, tutti uccisi con un colpo di lama alla gola… era stato Jacob?
- Era tutta gente che se lo meritava: Elliotson torturava i pazienti di Lambeth e avvelenava mezza città col siero di Starrick, Twopenny voleva rapinare la Banca di Inghilterra sempre col beneplacito di Starrick, il duca di Cardigan voleva assassinare il Primo Ministro… ah, e lo stesso Starrick voleva attaccare Buckingham Palace ed eliminare un po’ di gente importante, tra cui magari la stessa regina. Quindi miss, prima di giudicarmi, chiedetevi chi è il vero immorale.-
Anna restò in silenzio, pensierosa: dovette ammettere a sé stessa che da quando la banda di Starrick era stata decimata, Londra era diventata una città più vivibile. Se veramente avevano imperversato per anni senza problemi e senza che la polizia si occupasse di loro, sapeva che sarebbe stato impossibile fermarli con mezzi ordinari.
- Anche il signor Green fa parte del vostro gruppo?- chiese timidamente.
Jacob rimase sorpreso dal suo cambio di atteggiamento, e rilassò i muscoli fino a quel momento tesi: - Lui e mia sorella, così come tante altre persone in giro per il mondo. Perché dovete sapere che quello che è successo a Londra succede dappertutto, dall’alba dei tempi. Solo che certe cose non finiscono nei libri di Storia. Perdonatemi se non vi dico altro, ma meno sapete e meglio è per la vostra sicurezza.-
La ragazza annuì, poi accennò un timido sorriso: - Grazie per avermi salvato, prima. Io… credo di dovervi la vita- mormorò, sentendosi arrossire.
Jacob ricambiò il sorriso: - Posso sapere cosa c’è di tanto prezioso nella vostra borsa?-
- Soltanto appunti che ho preso alla British Library, per approfondire li lavoro di mio padre.-
- Ma non avevate detto che non sapevate di cosa trattavano?- chiese lui con un sorriso furbetto.
Anna si sentì nuovamente avvampare: - Ecco, può essere che… gli abbia dato un’occhiatina, giusto per curiosità…- tentò di giustificarsi, torcendosi una ciocca di capelli.
Jacob rise divertito: - Sembrate un bambino che è stato beccato a mangiare di nascosto la marmellata!-
 
La carrozza si arrestò una volta raggiunta Berkeley Square. Jacob uscì per primo e poi aiutò Anna a scendere dal predellino.
- Grazie ancora per il vostro salvataggio, signor Frye- disse la ragazza, tendendogli la mano destra e aspettandosi che Jacob facesse lo stesso. Invece, l’uomo gliela prese delicatamente e le baciò appena le nocche.
Per l’ennesima volta, le guance della ragazza si tinsero di rosso: - Vi divertite ad imbarazzarmi, signor Frye?- scherzò, tentando di sviare l’attenzione dal suo stato.
L’uomo alzò le mani, mimando un segno di diniego: - Non sia mai, miss Wilson. Ora, prima di lasciarvi andare, permettetemi di darvi un consiglio- disse, assumendo un tono più serio.
- Dubito fortemente che i furfanti che vi hanno aggredito lo abbiano fatto per puro svago: qualcuno deve avergli ordinato di farlo. Siate prudente- le raccomandò, infine la salutò e si allontanò per un’altra strada.
Anna lo ringraziò e si congedò da lui, guardandolo un’ultima volta prima di raggiungere casa sua.

*****
- Finalmente ti sei deciso a tornare!- tuonò Evie appena suo fratello varcò la porta del vagone.
Jacob alzò gli occhi al cielo, pronto ad affrontare l’ennesima ramanzina della sorella.
- Mentre tu passeggiavi tranquillo per Londra, io ed Henry abbiamo letto tutti gli appunti di papà. E sai cosa abbiamo scoperto?-
- Ovviamente no, mia cara sorellina. Perché mentre tu ed Henry leggevate tutta quella carta, io ho salvato miss Wilson da alcuni Blighters- replicò.
Evie rimase sorpresa, e anche Henry sembrò turbato dalle parole di Jacob: - Raccontaci cosa è successo.-
In breve Jacob raccontò loro come erano andati i fatti, non nascondendo un suo sospetto: - Non credo si sia trattata di una semplice rapina, miss Wilson ha affermato che quei due volevano i suoi appunti.-
Henry scosse la testa: - Temo proprio che dietro a tutto questo ci siano i Templari. A quanto pare, vogliono già riempire il vuoto lasciato da Starrick.-
Anche Evie era pensierosa: - Sembrano essere interessati al lavoro del professore. Dovremmo chiedere alla signorina se suo padre ha dei nemici, magari uno di loro fa parte dei Templari.-
I due uomini annuirono, poi Evie prese la parola: - Papà si era interessato al passato degli Assassini, a prima ancora che si chiamassero così, quando erano conosciuti come Occulti. Voleva provare a cercare le loro prime tracce qui in Europa e tenne una specie di diario- spiegò prendendo un foglio - Qui dice che un giorno, mentre si trovava in missione a York, soccorse un uomo dall’agguato di alcuni Templari. Un professore di Storia ad Oxford.-
- Harold Wilson- intervenne Henry.
Evie annuì e continuò: - E per ricambiare il favore di nostro padre, il professore promise di aiutarlo nelle sue ricerche, e questo ci porta agli ultimi appunti, quelli che vi ha dato la figlia del signor Wilson: dopo l’abbandono dei primi studi durante l’occupazione romana, a fine dell’800 d.c. gli Occulti ritornarono sul suolo britannico grazie ad alcuni esuli norreni. Purtroppo però, oltre a questi Basim e Hytham e il loro alleato vichingo, non sappiamo altro.-
I tre Assassini rimasero in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri e a formulare decine di ipotesi, quando a Jacob venne un’idea: - Miss Wilson mi ha confessato di aver letto gli appunti del padre e che stava cercando altre informazioni alla biblioteca: e se ci fosse dell’altro? Se esistessero altre annotazioni sui suoi ultimi scavi che non erano comprese tra quelli che abbiamo?-
Evie rimuginò per alcuni secondi, poi sul suo volto apparve un sorrisetto: - Vorrà dire che domani mi farete conoscere questa famosa signorina.-

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Covent Garden, come ogni giorno, era affollato da decine di persone. I fiori primaverili diffondevano i loro profumi nell’aria, mentre numerosi visitatori curiosavano tra le bancarelle colorate ospitate nella struttura neoclassica del mercato.
Anna stava aspettando che Richard finisse di pagare la sua merce, poi la coppia si allontanò dal mercato coperto e proseguì la camminata.
- Posso chiedervi una cosa, mia cara?- chiese ad un tratto Richard, e la giovane rispose affermativamente.
- Ogni occasione che ho per passare del tempo con voi è preziosa, e apprezzo ogni minuto che trascorriamo insieme. Quello che non capisco, tuttavia, è perché dobbiamo stare con lui- spiegò, non nascondendo un certo fastidio; Anna seguì lo sguardo del fidanzato dirigersi verso Theodore, che sua madre aveva praticamente costretto ad andare con la sorella.
- Theo diventerà vostro cognato, Richard, ed è giusto che approfondiate la vostra conoscenza reciproca. Quale modo migliore, se non trascorrendo tempo insieme?-
Richard sorrise, anche se ad Anna sembrò quasi un gesto forzato: - Siete veramente saggia, cara. Tanto saggia quanto bella- disse adulante.
Anna ricambiò il sorriso e distolse lo sguardo, imbarazzata per il complimento, e notò la faccia perplessa di suo fratello.
 
Il gruppetto proseguì la passeggiata, quando Richard si fermò davanti a una bottega e chiese ai suoi accompagnatori se potevano aspettarlo all’esterno. Anna annuì, quindi l’uomo entrò in un negozio di orologi.
Approfittando dell’assenza del fidanzato, si avvicinò a suo fratello e gli chiese cosa pensasse di Richard.
Theo la guardò dal basso, titubante: - Prometti che non ti arrabbierai?-
Anna rimase colpita dalla sua domanda, ma non lasciò trapelare la sua preoccupazione: - Ma certo che non mi arrabbierò. Che cosa ti turba?-
Theo cominciò a tormentarsi le mani, un’abitudine che aveva preso ormai da tempo e che faceva sempre quand’era nervoso: - Non so, è che sembra non mi voglia mai tra i piedi. Anche quando lo invitiamo a casa, se io gli chiedo qualcosa mi ignora o dice qualche frase di circostanza, poi parla soltanto con te o mamma. Forse, se fossi un sigaro o un orologio, si interesserebbe a me…- confessò tristemente.
Anna restò turbata dalle parole del fratello: come aveva fatto a non notare il suo disagio? Era sempre stato così con Richard? Sapeva che non andava d’accordo con Charlotte, cosa che la sorella reciprocava, ma Theo era il bambino più tranquillo e beneducato che conoscesse, e non si spiegava l’indifferenza del suo fidanzato nei suoi confronti.
La giovane si avvicinò al fratello e lo abbracciò dolcemente: - Parlerò con Richard e gli chiederò di passare un po’ di tempo con te. E una volta a casa, chiederò a Margareth se possiamo preparare i biscotti, va bene?- gli propose, tentando di tirargli su il morale.
Il ragazzino sorrise appena e ricambiò l’abbraccio, godendosi l’affetto della sorella, ma d’improvviso la sua espressione mutò, passando dalla tristezza alla sorpresa: - Anna, guarda! Ci sono i signori dell’altra volta!-
 
Anna seguì il dito puntato di Theo e vide Jacob Frye insieme al signor Green e ad una giovane, e fu proprio il primo a notarla e ad avvicinarsi a lei, seguito dagli altri due.
- Miss Wilson, che piacevole sorpresa! E tu, aspetta… Theodore, giusto? Piacere di rivederti!- salutò l’uomo con un sorriso.
La ragazza ricambiò il saluto e notò come gli occhi di Theo si fossero illuminati di contentezza: - Buongiorno a voi signor Frye, e anche a voi signor Green. Mentre voi siete?- chiese ad Evie.
- Evie Frye, la sorella di Jacob. Ho sentito molto parlare di voi, ultimamente- si presentò, stringendole poi la mano.
Anna si incuriosì, al che intervenne Henry: - Riguarda il lavoro di vostro padre, miss. Se poteste rispondere a qualche nostra domanda, ve ne saremmo molto grati.-
- Scusate se ci ho messo un po’, ma… e voi chi siete?- disse una voce.
I due Wilson si ricordarono in quel momento di Richard, che una volta uscito dal negozio li raggiunse con un’espressione contrita.
- State forse importunando la mia fidanzata?- disse in tono aggressivo, al che Jacob lo fulminò con lo sguardo.
Anna tentò di calmarlo: - Tranquillo Richard, sono dei conoscenti, i signori Frye e il signor Green. Signori, lui è il mio fidanzato, il signor Earnshaw- li presentò, sperando che così facendo si allentasse la tensione.
Invece, Richard si mise davanti a lei assumendo una posizione difensiva: - Avete idea di chi sono questi due?! Sono i capi dei Rooks! Come potete anche solo parlare con dei criminali?-
Jacob gli si avvicinò con aria di sfida: - Se proteggere la gente di Londra dalle ingiustizie è una cosa da criminali, allora sono fiero di esserlo- gli sibilò in faccia, facendo così indietreggiare Richard, che provò ad abbandonare quell’incontro, a suo parere, particolarmente sgradevole: - Andiamo via, mia cara. Non potete certo farvi vedere in compagnia di questi farabutti e… quello-
Il suo guardo disgustato era rivolto a Henry, ed Evie lo notò immediatamente: - Avete qualche problema col mio fidanzato, per caso?-
Richard le rivolse un ghigno beffardo: - Pensavo fosse il vostro animale…-
Un silenzio tombale calò sul gruppetto, e ognuno esprimeva un’emozione diversa: da un lato Henry era visibilmente offeso dalle ingiurie dell’uomo, con i gemelli che invece fumavano di rabbia, dall’altro Anna e suo fratello erano rimasti sconvolti dalle parole di Richard.
Prima che la ragazza potesse riprendere il suo fidanzato, Evie si era già avvicinata a lui con fare minaccioso. - Chiedete immediatamente scusa al signor Green- gli intimò, ma Richard le rivolse un sorrisetto indifferente e superbo, quasi divertito che fosse una donna a prendere le difese di un uomo: - Altrimenti?-
Con una velocità e una precisione millimetrica, Evie gli tirò un pugno in pieno stomaco, e senza lasciargli il tempo di reagire gli afferrò il braccio e glielo torse dietro la schiena, costringendolo ad inginocchiarsi davanti ad Henry.
- Adesso, razza di pallone gonfiato che non siete altro, voi vi scuserete con il signor Green e vi dichiarerete sinceramente dispiaciuto per le oscenità che avete vomitato prima. Sono stata chiara?-
Richard provò a resistere al dolore, ma infine rantolò delle scuse a denti stretti, ed Evie lo lasciò cadere a terra.
- Evie, cara, non era necessario…- mormorò Henry; Jacob invece non riusciva a trattenere un sorrisetto vittorioso.
Anna, che fino a quel momento aveva assistito inerme, si avvicinò a Richard per controllare eventuali ferite; di nascosto, Theo alzò il pollice in direzione di Evie, trattenendo a stento un sorriso.
I tre Assassini si congedarono dai Wilson, rinunciando a chiedere del professore, ma quando stavano per andarsene Richard si lasciò scappare un altro insulto: - Lurida sgualdrina…-
Anna fece appena in tempo ad allontanarsi, prima che Jacob tirasse su di peso il suo fidanzato per poi colpirlo violentemente con un pugno dritto al naso, rimandandolo rovinosamente a terra.
Jacob avrebbe voluto godersi il momento, invece l’espressione sconvolta sul viso di Anna lo colpì come un pugno allo stomaco.
 
Più tardi, Richard si trovava a casa dei Wilson per essere medicato. Anna assisteva Margareth mentre gli controllava la ferita al volto, mentre Theo era filato in camera sua insieme alla sorella Charlotte.
- Potreste stare fermo un secondo, signore? Altrimenti mi sarà impossibile mettervi il cerotto!- esclamò esasperata la domestica, ma Richard continuava a lamentarsi: - Sono solo dei vili, dei criminali, dei farabutti! Com’è possibile che la polizia non faccia nulla? Voi come ve lo spiegate, signora Wilson?-
Mary Jane Wilson, moglie del professore, aveva ascoltato in silenzio la versione del giovane, che sosteneva di essere stato picchiato senza motivo. I suoi occhi severi avevano osservato il signor Earnshaw durante il suo racconto, quindi si girò verso la figlia maggiore con calma serafica: - Anna?- fu la sua unica parola.
La giovane sapeva benissimo cosa le aveva chiesto in realtà sua madre, e così disse la verità: - Richard ha insultato il signor Green, e dopo anche la signorina Frye.-
Mary Jane fece un cenno col capo, quindi si rivolse al suo ospite: - Mi dispiace molto per il vostro “incidente”, signor Earnshaw, ma voglio che sappiate due cose: il primo è che non sopporto i bugiardi, e il secondo è che a ogni azione corrisponde sempre una reazione. Ricordatevelo, la prossima volta.-
Le sue parole, pronunciate con pacatezza, risuonavano invece come il più bruciante dei rimproveri; Richard divenne rosso di rabbia e vergogna, ma infine si scusò per il suo racconto di prima.
Terminata la medicazione, il giovane preferì ritornare presso la propria residenza, così si congedò dai Wilson.
- Vai pure a dire ai tuoi fratelli che la cena sarà pronta tra un’ora. E, Anna? Non voglio più che ti incontri con il signor Frye, o i suoi due compari, per nessun altro motivo che non sia legato al lavoro di tuo padre, sono stata chiara?- disse Mary Jane alla figlia, lasciandola interdetta, e prima che potesse chiederle il motivo sua madre glielo spiegò: - Nonostante questi Rooks abbiano liberato Londra da molti problemi, rimangono pur sempre una banda di criminali, e qualcuno della nostra posizione non può certamente avere rapporti con loro.-
Anna annuì e salì la scala che portava al piano superiore, in direzione della stanza di Theo.
“Adesso capisco perché Lottie l’ha soprannominata il Generale…” pensò nella sua mente. Raggiunse la stanza del fratello, ma quando stava per bussare alla porta udì la conversazione tra i fratelli minori e ascoltò incuriosita.
- … e quindi arriva il signor Frye, lo prende per il bavero e BAM! Gli dà un pugno così forte che lo fa volare per almeno un metro!- narrava entusiasta Theo.
Si sentì una sonora risata: - Oddio, avrei tanto voluto esserci! Mister “Mutande d’oro” mandato al tappeto! Che scena memorabile!- esclamò Charlotte divertita.
- Avete finito?- chiese Anna entrando in stanza.
I due fratelli minori si ammutolirono all’istante, con un’espressione terrorizzata in volto.
- Non dirlo a mamma!- implorarono all’unisono, al che Anna sorrise. Si avvicinò al letto dov’erano seduti i due ragazzi e si unì alla riunione.
- Allora, vi siete divertiti abbastanza alle spalle del povero Richard?- chiese Anna a metà tra il serio e lo scherzoso.
- Povero un cavolo! Lavora pur sempre alla Banca d’Inghilterra- rispose Charlotte con una battuta - E così impara a fare lo sbruffone!-
Anna stava per ribattere, quando avvertì una fitta improvvisa alla testa. Trattenne un gemito di dolore e si portò una mano alla tempia, massaggiando la parte dolorante.
Preoccupati, i fratelli le chiesero se stesse bene, e la sorella maggiore li rassicurò dicendo che era solo un mal di testa passeggero.
Andò quindi in camera sua per riposare, chiedendo loro di chiamarla per cena. Una volta nella sua stanza si tolse le scarpe e si sciolse i capelli, liberando la chioma dalla retina che la tratteneva, quindi si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi, avvertendo per un attimo una specie di formicolio alla mano ferita.
 
Anna si ritrovò di nuovo nella foresta del sogno, ma stavolta notò alcune differenze: piccole gemme verdi spuntavano dai rami nodosi, mentre i tronchi erano ricoperti da un lieve strato di muschio. Il cielo, seppur con un aspetto ancora invernale, faceva intravvedere alcune pennellate di azzurro tra una nuvola e l’altra, dalle quali filtrava la pallida luce del sole.
Il corvo le volò accanto un’altra volta, guidandola nuovamente verso la radura; Anna seguì l’uccello e si ritrovò di fronte la persona del primo sogno, sempre di spalle ma stavolta a capo scoperto.
La ragazza osservò nuovamente la figura, notando le numerose armi che portava con sé: una lancia, arco e frecce, uno scudo e delle asce. Rimase affascinata dai vestiti di pelle decorati finemente, dalla chioma bionda intrecciata e dal misterioso bracciale a sinistra.
Anna inspirò profondamente, per darsi coraggio, poi si rivolse allo sconosciuto: - Chi sei? Perché sei qui?-
Lentamente, la figura si girò e la guardò in volto: una donna, di circa trent’anni, la osservava con curiosità. Una vistosa cicatrice si stagliava sulla guancia sinistra, mentre il tatuaggio di un corvo le decorava la tempia destra. Occhi azzurri e profondi studiavano Anna, intanto che si avvicinava a lei.
La ragazza rimase immobile, non riuscendo a capire chi fosse quella misteriosa donna; quest’ultima, una volta raggiunta, le prese la mano e le guardò le ferite.
- Ansuz, la bocca di Odino. Portatrice di consiglio e saggezza. È un simbolo molto potente.-
Anna rimase confusa, ma si fece nuovamente coraggio: - Chi sei? Che cosa c’entri con questo?-
La donna sollevò un sopracciglio: - Non hai forse letto le mie imprese, grazie al regalo che ti ho fatto?-
La giovane si ammutolì, pensierosa. Richiamò alla sua mente tutti gli avvenimenti accaduti in quei giorni: l’attacco del corvo e i segni sulla sua mano, la lettera di suo padre e i suoi indecifrabili appunti, il primo sogno e i resoconti di quella donna vichinga. Poteva forse essere…
- Eivor?- fu l’unica parola che riuscì a dire, stupita.
La guerriera annuì: - Eivor Morso-di-Lupo, del clan del Corvo- si presentò, mostrando con fierezza le cicatrici al collo.
- Com’è possibile tutto questo? Perché riesco a parlare con te? E quel bracciale…- disse Anna, posando gli occhi sul prezioso ornamento.
Con un movimento secco del polso, Eivor estrasse una lama da sopra il braccio: - Un regalo di quello che un tempo ritenevo un amico, ma di cui continuo ad apprezzare il valore.-
In quel momento, ad Anna ritornò alla mente l’episodio con Jacob, quando aveva assassinato quel farabutto con una lama simile: che legame c’era tra due persone così lontane nel tempo?
Eivor sembrò leggerle nella mente, quindi spiegò il braccio e aspettò che il corvo si posasse sul suo bracciale: - Synin mi tiene aggiornata, da quando non calpesto più il suolo di Midgard: sono stata io a estinguere l’Ordine degli Antichi in Inghilterra, anche se non mi sono mai unita agli Occulti. Ma ho visto che Alfred ha mantenuto il suo impegno, fondando i Templari. E, a loro volta, gli Occulti si sono evoluti in Assassini, come il tuo amico col cappello. Passano i secoli, ma il loro conflitto continua incessante, come lo scorrere di un fiume.-
Anna avrebbe voluto chiederle altro, ma sentì una voce chiamarla, una voce familiare e ovattata.
Anche Eivor la udì, quindi diede un ultimo messaggio alla giovane: - Non so perché Synin ti abbia scelta, ma sappi che quei Templari hanno in mente qualcosa, ragazza, e tu dovrai essere pronta ad agire al momento giusto.-
 
Anna avrebbe voluto continuare a parlare con Eivor, ma il sogno si interruppe bruscamente alla voce di Charlotte che la chiamava per la cena.
Con più domande che risposte Anna uscì dalla sua stanza, turbata dalle ultime parole della guerriera e inquieta per il futuro che l’attendeva.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il giorno seguente, Anna era seduta al suo scrittoio e cercava di ricapitolare gli ultimi eventi: tralasciando la parte più onirica e misteriosa, la ragazza si concentrò sulle ultime parole di Eivor riguardo i Templari. Seppur non specificandolo, Jacob Frye aveva praticamente ammesso di essere un Assassino, e che lui e la sorella avevano eliminato Starrick e la sua banda di Templari da Londra. Possibile che altri Templari stessero cercando di riprendersi la città?
Un’occhiata veloce alle sue cicatrici le fece venire altri quesiti: se i Blighters continuavano ad eseguire gli ordini dei Templari, perché avevano tentato di rubare i suoi appunti? Chi sapeva del lavoro di suo padre, e per quale scopo voleva appropriarsene?
 
Il pomeriggio stesso Anna stava passeggiando per le vie della città nel tentativo di schiarirsi le idee. Era così concentrata che non sentì una voce che la chiamava, finché non avvertì una mano sulla propria spalla.
Colta alla sprovvista, si girò allarmata e si ritrovò di fronte un Jacob Frye dall’aria sorpresa.
- Perdonatemi, non intendevo spaventarvi- si scusò l’uomo sorridendo.
Anna tirò un sospiro di sollievo, rassicurata sull’identità del suo interlocutore: - Signor Frye, che fortuita coincidenza. Scusatemi voi, ero sovrappensiero. A cosa devo questo incontro?-
Jacob sembrò tergiversare, ma poi rispose alla ragazza: - Volevo scusarmi con voi per il fatto di ieri, né io né Evie avremmo voluto che voi e vostro fratello assistette a quella… chiamiamola “discussione”. E anche per darvi questo.-
L’uomo estrasse un pacchettino dalla giacca e lo porse alla ragazza, che intrigata lo aprì: l’involucro di carta conteneva un topolino meccanico con carica a molla, con un paio di rotelle sotto il corpo di metallo.
- Una diavoleria del mio amico Aleck…- sembrò giustificarsi lui, storcendo appena la bocca.
Anna si ritrovò a sorridere a quel regalo così originale: - È adorabile, grazie!-
Jacob distolse lo sguardo, quasi imbarazzato dal suo complimento, ma poi le si rivolse di nuovo sorridendo: - Beh, dovrei tornare al lavoro adesso. Sapete, i Blighters non si picchiano certo da soli…- scherzò, colpendosi il palmo con il pugno per enfatizzare il concetto.
Si toccò il cappello in segno di saluto e fece per allontanarsi, quando sentì Anna trattenerlo per il braccio.
La guardò, incuriosito. Anna, al contrario, aveva uno sguardo determinato: - Ho bisogno di parlare con voi di alcune cose, signor Frye. Ma non qui.-
 
Circa dieci minuti dopo, i due raggiunsero una sala da tè nella zona di Westminster. Era un locale ampio e dai colori chiari, che conferiva all’ambiente un’atmosfera rilassante perfetta per chiacchierare davanti a una tazza e dei pasticcini.
Una giovane dai capelli castani e ricci notò la coppia, e un sorriso apparve sul suo volto: - Anna, mon amie! Da quanto tempo!-
Le due ragazze si abbracciarono calorosamente, poi Anna si rivolse all’amica: - Anch’io sono felice di vederti, Gaëlle! Vedo che il lavoro sta andando bene.-
- Ah, non puoi nemmeno immaginare! Ma bando alle ciance, a cosa devo questa piacevole visita? E chi è questo bel homme che ti accompagna?- chiese curiosa.
Anna passò quindi alle presentazioni: - Gaëlle, questo è il signor Jacob Frye, un mio… conoscente. Signor Frye, lei è la mia cara amica Gaëlle, e come avrete intuito è francese. Ascolta, Gaëlle, per caso uno dei tuoi salottini è libero?- chiese alla ragazza.
- Ma certo, bien sûr. Da questa parte prego- e così la giovane li portò sul retro del negozio, dove si trovavano dei tavolini separati l’un l’altro da alcuni pannelli in legno, ai lati dei quali si trovavano delle tende.
- Qui potete parlare senza essere disturbati. Cosa posso portarvi, intanto?- domandò loro, porgendo i menù.
Anna e Jacob ordinarono rispettivamente una tazza di tè nero e un caffè forte, quindi Gaëlle tirò le tende chiare: - Potete stare tranquilli, qui vige un segreto pari solo ai confessori. Non potete nemmeno immaginare chi è passato per queste sale…- disse prima di andarsene, facendo l’occhiolino.
I due attesero che Gaëlle ritornasse coi loro ordini, accompagnati da alcuni biscottini.
- A cosa è dovuta tutta questa segretezza?- chiese a un certo punto Jacob.
Anna strinse la tazza tra le mani, colta all’improvviso dall’ansia. Inspirò, quindi rispose: - So chi siete veramente, signor Frye… e so del conflitto tra Assassini e Templari oggi, e tra Occulti e Antichi nel passato.-
Per poco a Jacob non andò di traverso il caffè. Tossicchiò un paio di volte, poi divenne serio: - Come siete venuta a saperlo?-
“Ora la parte più difficile…” pensò Anna. Non poté fare a meno di guardare Jacob in volto, di notare la serietà nel suo sguardo, una serietà mista però a curiosità.
Deglutì, poi rispose: - È complicato, signor Frye. La mia fonte è piuttosto “inconsueta”, se vogliamo usare un eufemismo, ma si è dimostrata una fonte certa. Vi chiedo di avere fiducia in me, come io l’ho avuta in voi quella volta sul tetto.-
Jacob rimase in silenzio, colpito dalle parole della giovane. Sembrò pensarci per qualche secondo, rimuginando fra sé e sé: - E che cosa vi ha detto?- le domandò.
- Non posso dirvi tutto, ma su una cosa sono certa: i Templari stanno tramando qualcosa, e temo che il lavoro di mio padre c’entri coi loro piani.-
- Vi riferite agli appunti della biblioteca? Quelli che hanno provato a rubarvi?- tentò di indovinare Jacob, al che Anna rispose in modo affermativo.
- A quanto pare, mio padre stava collaborando con il vostro a proposito degli Occulti in Inghilterra, ma c’è qualcosa che mi sfugge. Che interessi possono avere i Templari da un professore di Storia?-
Jacob si sporse verso di lei, guardandola dritta negli occhi: - I Templari hanno interesse in tutti i campi, miss. Se si interessano a qualcosa c’è sempre un motivo, anche se all’apparenza non esiste.-
Anna abbassò lo sguardo, turbata: - Che cosa mi consigliate di fare, signor Frye?-
- Per il momento, state tranquilla. Continuate come prima, cercate di trovare altre informazioni sul lavoro di vostro padre e riferitelo a me o a mia sorella. In quanto ai Blighters, dirò ai miei Rooks di tenerli d’occhio un po’ più spesso- la rassicurò Jacob, prendendole inconsciamente la mano sinistra.
 
Anna arrossì appena, sentendo le dita callose di Jacob accarezzarle il dorso: osservò la mano inguantata dell’uomo e si sorprese nel pensare che le trasmettesse una sensazione così piacevole…
- Certo che sono proprio dei segni strani- commentò Jacob, osservando le ferite ormai cicatrizzate - Sembra una F, come Frye- scherzò.
- In realtà è la lettera Ansuz, che nell’alfabeto runico corrisponde alla lettera A: indica la superiorità della parola e della diplomazia sulla forza bruta, anche se la gente crede che i vichinghi fossero solamente dei violenti bravi solo a brandire asce. In realtà tenevano addirittura un consiglio dove… Perdonatemi- rise appena la ragazza, sentendosi impacciata - Dubito che siate qui per una lezione di storia...-
Alzò lo sguardo verso Jacob e vide il suo sorriso.
- Al contrario, adoro il vostro entusiasmo. Si vede che vi piace l’argomento, vi si illuminano letteralmente gli occhi…-
Anna bevve l’ultimo goccio di tè nella sua tazza, nel tentativo di mascherare il suo imbarazzo: - Siete sempre così galante, signor Frye?-
L’Assassino ridacchiò: - Solo con chi se lo merita, miss. E voi certamente lo meritate.-
La ragazza trattenne una risata: - Adesso ho la certezza che vi divertite a imbarazzarmi, signor Frye…-
 
Il tempo passò velocemente, e dopo circa un’ora Jacob si congedò da Anna: - Spero di rivedervi presto, miss. Arrivederci!- e dopo aver salutato Gaëlle lasciò il locale.
Anche Anna stava per andarsene, quando la francese le fece segno di sedersi: - Alors?- le chiese con un sorriso furbetto.
- Allora niente, mia cara. Abbiamo soltanto chiacchierato di cose di lavoro- ribatté Anna.
- Certo, certo… e i complimenti che ti ha fatto facevano parte del lavoro?-
- Gaëlle, ti prego… è solo un amico- tentò di giustificarsi la giovane.
- Non era solo un conoscente, quando me l’hai presentato?- insistette, e Anna alzò spazientita gli occhi al cielo.
La francese scosse il capo, ma alla fine si arrese: - Solo perché sei fidanzata, non vuol dire che non puoi apprezzare altri uomini, ma chére. E poi, il modo in cui ti guarda…- disse, sospirando sognante.
Anna salutò l’amica e uscì dal caffè, dirigendosi verso casa sua, quando un pensiero le arrivò alla mente improvviso come un fulmine: per la prima volta nella vita, aveva disubbidito a sua madre.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Era trascorsa una settimana dall’ultimo incontro con Jacob. Anna si era vista altre volte con Eivor, durante il sonno, e la guerriera le aveva narrato le sue numerose avventure, ma non le aveva detto altro sugli intenti dei Templari.
- Anna, sei con noi?-
La ragazza si riprese in un attimo, e rispose alla voce che l’aveva richiamata: - Certo, Seraphine. Ero solo sovrappensiero.-
- Tranquilla, stavo solo raccontando a Constance che ormai Rick si è ripreso dallo scontro di qualche tempo fa. E, lasciatemelo dire, lo reputo fortunato ad essersene uscito solo con qualche botta e non con danni peggiori!-
Seraphine Earnshaw, dopo essersi sistemata un boccolo nero, bevve un sorso di tè, poi riprese il suo discorso: - Mio cugino sarà anche ricco, colto e raffinato, ma ogni tanto dovrebbe farsi un bagno di umiltà. E con i gemelli Frye, poi! Spero che abbia imparato la lezione.-
Anna drizzò le orecchie a sentir nominare i due Assassini, e per sua fortuna la loro amica Constance indagò sulla questione: - Che cosa intendi dire?-
Sul viso di Seraphine apparve un sorrisetto malizioso, e abbassò la voce come se stesse confidando un terribile segreto: - Diciamo che qualche volta, quando mi annoio, vado in certi posti… come posso definirli… “maschili”, e ne approfitto per fare qualche scommessa.-
Sia Anna che Constance spalancarono gli occhi, scandalizzate: - Tu frequenti i club di pugilato?!-
Seraphine annuì: - Solo alcune volte, e sempre accompagnata. Ritornando all’argomento principale, ho potuto osservare le prodezze dei signori Frye, e sono due spettacoli per gli occhi, oltre che per il portafogli. Come dice sempre l’allibratore: “Se vuoi soldi facili, scommetti sui gemelli. Doppio scontro, doppio guadagno!”- ridacchiò - E credetemi, ragazze, il signor Frye è uno spettacolo anche per altri motivi…-
Anna si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie per ciò che stava per chiedere: - In che senso?-
Seraphine si morse il labbro maliziosamente, e abbassò ancora di più la voce: - Nel senso che ha il fascino del bandito: forte, muscoloso, con un tatuaggio sopra il pettorale e il carisma di un leader. Ammetto che mi sono fatta qualche pensierino su di lui…-
Constance trattenne un sussulto scandalizzato, mentre Anna si torse un lembo della gonna, provando emozioni contrastanti dentro di sé: perché sentir parlare di Jacob Frye in quel modo la faceva sentire nervosa? Era come se, in qualche modo, provasse invidia delle libertà che si poteva permettere miss Earnshaw anche solo con la mente.
Quest’ultima fece spallucce: - Suvvia, una donna deve pur trovare degli svaghi in questa triste e opprimente società. E questo, signorine mie, mi porta ad un altro piccolo segreto che intendo condividere con voi…- annunciò misteriosamente, per poi estrarre dalla borsa un libriccino che provocò alle sue amiche un’altra ondata di imbarazzo.
- Quella è una copia di Fanny Hill? Seraphine, sei per caso impazzita?!- la rimproverò Constance sussurrando appena, come se avesse avuto il terrore che persino i muri potessero udirla.
- Via, ragazze. È soltanto un libro. Scandaloso, osceno, descrivetelo come vi pare, ma rimane pur sempre un libro. Ma, se non vi interessa, posso sempre metterlo via…- cinguettò con falsa innocenza, aspettando la reazione delle sue amiche.
 
Circa due ore dopo, Anna e Constance sembravano fare a gara a chi avesse il volto più paonazzo, causato dalle parti più piccanti del romanzo che Seraphine aveva opportunamente selezionato e letto per loro.
- E credo che questo conclude il nostro incontro, mie care. Sono contente che vi siate fatte una “cultura”- scherzò miss Earnshaw, poi offrì alle sue ospiti dell’acqua fresca per farle riprendere dalla lettura.
Come una perfetta padrona di casa, Seraphine accompagnò le sue ospiti all’uscita, ma prima di salutarle consegnò a entrambe una busta elegantemente decorata.
- Mio padre darà una festa dopodomani, e ovviamente voi due siete invitate. Potete portare anche le vostre famiglie, più siamo e meglio è! Arrivederci, mie care!-
Mentre si trovavano in carrozza, dirette ognuna verso la propria casa, Anna e Constance aprirono le buste e lessero con curiosità l’invito.
- Hai visto, Anna? C’è scritto che durante il ricevimento ci sarà una magnifica sorpresa ad opera del tuo fidanzato. Per caso ne sai qualcosa?- chiese la ragazza.
Anna scosse la testa, sorpresa quanto la sua amica dalle parole enigmatiche dell’invito; anche perché non aveva più visto Richard dal giorno in cui, con un enorme ematoma in volto, aveva lasciato casa sua quasi due settimane prima.
 
*****
Jacob e Evie stavano percorrendo le vie di Whitechapel ed erano diretti alla bottega di Henry; il loro collega indiano aveva cercato tra le curiosità del suo negozio altri indizi sulle ricerche di Ethan, e finalmente aveva trovato qualcosa.
I gemelli entrarono nel locale e vennero accolti dall’entusiasmo di Henry: - Finalmente siete arrivati! Venite a vedere cos’ho qui!-
Sparpagliate sulla sua scrivania, alcune note lasciate da Ethan Frye e delle copie di mappe antiche.
- Dagli appunti che ci ha lasciato il professore, sappiamo che il socio vichingo degli Occulti viaggiò per tutta l’Inghilterra in cerca di alleati, oltre che per liberare l’isola dalle grinfie degli Antichi. Guardate queste mappe- disse, indicando alcuni cerchi segnati sulle carte.
- Questi segni indicano l’ubicazione degli studi degli Occulti durante l’occupazione romana, dove probabilmente il nostro vichingo è andato a recuperare qualcosa per questi Basim e Hytham. E, come potete vedere, ce n’era uno anche a Londra.-
 
Evie e Jacob ascoltarono il loro amico e osservarono le mappe, ma Jacob scosse la testa: - Con tutto il rispetto per il tuo lavoro, Greenie, dubito che dopo mille anni sia rimasto ancora qualcosa.-
- Per una volta, mi tocca dare ragione a Jacob- ammise Evie, guadagnandosi un’occhiata esterrefatta dal fratello.
Henry sorrise: - Ne sono consapevole, come lo era vostro padre. Ed è per questo che aveva preparato una missione speciale- e mostrò loro la foto di un uomo.
- Questo è Rudolph Earnshaw, banchiere e appassionato di antichità. Nonché, ho scoperto, zio del simpaticone che avete malmenato qualche tempo fa.-
- Suvvia, Greenie, non dirmi che ti dispiace per quell’idiota- commentò sarcastico Jacob.
- Il punto è che, qualche anno fa, ci sono stati dei lavori nelle fognature proprio nella zona dove probabilmente si trovava lo studio degli Occulti. E se ci sono stati ritrovamenti, può essere che il signor Earnshaw sia riuscito illegalmente a tenerne qualcuno per sé- ipotizzò l’indiano.
- Credi che questo Earnshaw sia un Templare?- chiese Evie sospettosa.
- In teoria no, poiché non ho mai letto il suo nome tra i membri effettivi. Ma potrebbe essere un collaboratore, ed è per questo che vostro padre aveva pianificato di perquisire la sua casa fuori città, dove tiene una collezione di vari reperti da tutto il mondo; ma purtroppo, sappiamo che non è riuscito.-
Jacob intervenne, intuendo il piano del loro amico: - Vuoi che diamo un’occhiata noi?-
Henry annuì, poi passò alla spiegazione del piano: - Vostro padre era riuscito a procurarsi la pianta della casa, e ha ipotizzato due luoghi dove trovare indizi: lo studio del signor Earnshaw e la sala della collezione, ai lati opposti dell’edificio. Voi due avrete sicuramente ottime probabilità di trovare qualcosa rispetto a una persona sola.-
Evie cominciò immediatamente a studiare la mappa dell’edificio e ad annotarsi possibili imprevisti, mentre Jacob appariva elettrizzato: - Finalmente si torna in azione!-
 
*****
Anna scostò la tendina della carrozza, guardando il viale che portava a Villa Earnshaw. Osservò il parco diligentemente curato e notò altre vetture parcheggiate vicino all’ingresso, dove numerosi ospiti si stavano intrattenendo prima di entrare nell’edificio.
Sistemò la tenda, mentre sua madre stava dando le ultime raccomandazioni: - Theo, cerca di non stare per i fatti tuoi e vedi di parlare un po’. Charlotte, tu invece non esagerare con le tue chiacchiere. E Anna, assicurati che non vadano in giro a curiosare per la villa- disse in tono severo.
Quando la loro carrozza si fermò, un servo accorse per aprire la portiera. La signora Wilson uscì per prima, seguita a ruota dai figli. Mentre la loro madre consegnava il proprio invito al paggio, Anna si rivolse ai suoi fratelli in modo più amorevole: - Cercate di divertirvi e di mangiare tanto, d’accordo?- disse loro con un occhiolino complice, al che sia Theo che Lottie sembrarono rilassarsi.
Finalmente, i Wilson entrarono nella villa e vennero accolti da Seraphine in persona: - Benvenuti a tutti voi, miei cari! Sono così felice che siate venuti, mi dispiace soltanto che il professore non sia qui- esclamò la giovane salutandoli uno ad uno.
- Perdonatemi se adesso non posso stare con voi, ma devo occuparmi di accogliere gli altri ospiti. Nel frattempo divertitevi pure, il buffet è già aperto- si congedò poi sorridendo.
I tre Wilson guardarono la loro madre, in attesa del suo permesso; con un semplice cenno della testa, Mary Jane li lasciò liberi di andare, cosa che i tre fecero immediatamente.
 
*****
- Ricapitoliamo: io entro dal lato destro, mentre tu ti occuperai del lato sinistro- ripeté Evie per l’ennesima volta davanti alla mappa di Villa Earnshaw, mentre col dito indicava le varie parti dell’edificio.
- E il primo che trova qualcosa aspetta l’altro nel corridoio del secondo piano. Lo so, è già la quinta volta che lo ripeti…- ribatté Jacob, stremato dalla puntigliosità della sorella.
- Sai com’è, volevo essere sicura che ti fosse entrato qualcosa in quella testa dura che ti ritrovi- ironizzò Evie, beccandosi così un’occhiataccia dal fratello.
I due si avvicinarono al retro della villa, il loro punto di partenza. Avevano saputo del ricevimento soltanto una volta giunti in loco, ma non potevano permettersi di rimandare la missione.
- Il primo che trova qualcosa vince un premio?- scherzò Jacob. Lo sguardo tagliente di Evie fu una risposta più che sufficiente.
- Cerca solo di non farti beccare- disse invece, prima di correre verso la parete dell’edificio e iniziare a scalare.
“E ora al lavoro” si disse Jacob per darsi la carica, e anche lui cominciò a scalare la parete in cerca di un ingresso. Saltò di davanzale in davanzale finché non notò una finestra leggermente socchiusa. Jacob si sporse appena oltre, notando che la stanza era buia, quindi entrò nella villa.
Si calò il cappuccio sulla testa e lentamente si incamminò verso il suo obiettivo, fermandosi dietro a un muro ogni volta che udiva un rumore sospetto, provocato soprattutto dalla servitù.
“A quanto pare la festa si tiene solo al piano terra. Meglio così” pensò, per poi entrare nella sala delle collezioni.
 
La sala delle collezioni era una stanza ampia e scarna di mobilio, dalle pareti chiare e decorata con stucchi dorati. Ogni spazio, dai muri al centro della stanza, era occupato da decine e decine di reperti e manufatti provenienti da ogni parte del mondo.
“Potrebbe far invidia a un museo. Chissà come si è procurato tutta questa roba…” si domandò incuriosito, osservando lance africane, studiando monili dei nativi americani e distogliendo lo sguardo dalle teste mummificate di qualche isola polinesiana. Scosse la testa, concentrandosi sull’obiettivo della missione. Trovò alcune punte di freccia e qualche monile prezioso di foggia europea, ma non aveva idea se potessero essere utili. Non vi erano armadi o cassettiere, e Jacob tentò persino di trovare eventuali passaggi segreti, ma invano.
- Che cosa ci fate voi qui?- udì all’improvviso alle sue spalle. Jacob sguainò un coltello da lancio, pronto a liberarsi dell’intruso, ma si arrestò immediatamente quando riconobbe Anna Wilson.
- Miss, ma che bello rivedervi! Quell’abito vi sta benissimo!- salutò l’uomo, dando un’occhiata veloce al vestito che indossava la ragazza: un ampio abito da sera di colore azzurro pallido, con ricami di raso e uno scollo a barca. Le stava veramente bene…
- Stavo cercando Theo e… Non tentate di cambiare discorso, signor Frye. Perché vi trovate qui?- insistette Anna.
- Beh, sapete, ero curioso di partecipare a questa famosa festa, così ho deciso di imbucarmi. Mi dispiace soltanto di non aver messo l’abito elegante.-
Anna scosse la testa: - Non sono così ingenua, signor Frye. Ditemi il motivo della vostra presenza.-
Jacob stava tentando di inventarsi una scusa, quando udì dei passi nel corridoio.
- Anna, dove siete?-
Era la voce di Richard e, cosa peggiore, si stava avvicinando sempre più.
Jacob si guardò intorno in cerca di un nascondiglio, ma quella sala non offriva nessuna possibilità: come aveva potuto notare prima, non c’era assolutamente nessun mobile dove nascondersi e le finestre erano troppo lontane per essere raggiunte in tempo.
Il suo sguardo saettò da una parte all’altra, finché non si posò sull’abito della ragazza.
- Perdonatemi- sussurrò velocemente, prima di sollevare i lembi della gonna e accovacciarsi sotto il vestito.
 
Avvenne in modo così repentino che Anna non ebbe il tempo di reagire: in due secondi, si sentiva la presenza di Jacob attaccato alla sue gambe, che involontariamente continuava a sfiorare con la pelle della sua giacca.
Avrebbe voluto urlare dallo sconcerto, ma in quel momento Richard entrò nella sala e la raggiunse: - Ecco dove vi eravate cacciata, mia cara. Volevate curiosare tra le meraviglie di mio zio?-
Anna si sforzò di sorridere e di non pensare al pasticcio in cui si trovava: - Oh sì, sapete quanto mi affascinano le civiltà di altri paesi. È davvero una collezione notevole…-
- Vi sentite bene? Siete un po’ rossa in viso- si preoccupò lui.
La ragazza pensò velocemente a una scusa: - Oh, sapete, all’improvviso sento un gran caldo. Mi sta quasi venendo un mal di testa, magari un po’ d’aria fresca mi farà bene.-
Richard annuì e la prese per mano, accompagnandola vicino alla finestra; Anna ringraziò in silenzio che si trattasse solo di pochi metri, perché dovette camminare pianissimo per permettere a Jacob di stare al passo con lei.
Raggiunta la finestra aperta, Anna poté godersi l’aria della sera, che effettivamente le diede sollievo.
- Che magnifica serata abbiamo oggi. Si vedono persino le stelle.-
- Ma la stella più splendente ce l’ho davanti ai miei occhi…- disse Richard, sdolcinato.
Anna arrossì alle sue parole, anche se ebbe la sensazione di aver sentito una leggera stretta alla caviglia.
Richard proseguì con i suoi complimenti: - Siete così stupenda stasera, mia cara. Da quando mio zio aveva annunciato questo ricevimento, non c’è stata ora del giorno o della notte che non abbia pensato al nostro incontro. Un minuto senza voi è come un’ora senza ossigeno…-
- Come siete romantico…- ricambiò Anna, avvertendo una lieve pressione sul suo piede.
Passarono insieme qualche altro minuto, conditi dalle melensaggini di Richard, poi l’uomo si congedò dalla fidanzata: - Devo ritornare dagli altri ospiti. Voi riprendetevi, vi aspetto per ballare- disse facendole un baciamano, per poi finalmente uscire dalla stanza.
 
Anna aspettò che i passi di Richard non si udissero più, quindi sollevò un lembo della gonna: - Potete uscire- disse in tono piatto.
Jacob gattonò fuori dall’abito, poi si alzò adagio per stiracchiarsi bene: - Pensavo che non avrebbe più finito con quelle frasi così sdolcinate. Un’altra ancora e avrei vomitato- scherzò, ma la risposta che ottenne dalla ragazza fu solo uno sguardo cupo.
- Almeno lui non mi ha messo in una situazione compromettente, cosa che non posso certo dire di voi…- sibilò, trattenendo la rabbia.
“Stavolta l’ho combinata davvero grossa…” pensò Jacob, osservando l’espressione contrita della ragazza.
- Sentite, vi ringrazio dal profondo del mio cuore per avermi coperto. Se mai un giorno avrete bisogno di me, per qualsiasi cosa, io vi aiuterò. Lo giuro sul mio onore- promise Jacob nel tono più serio che avesse mai avuto.
Anna scosse la testa, ancora furiosa con l’Assassino: - Se non vi dispiace, tornerei giù insieme agli altri ospiti. Spero troviate quello che state cercando, signor Frye- e fece per andarsene, quando sentì Jacob trattenerla per la mano.
- Mi dispiace davvero, Anna. Se solo ci fosse stato un altro modo…-
Lo guardò negli occhi, notando un dispiacere sincero. Sospirò e liberò la mano dalla sua presa: - Buona serata, signor Frye…- e così si allontanò dall’uomo, accorgendosi solo dopo pochi metri che Jacob l’aveva chiamata per nome.
 
*****
Verso le undici di sera Jacob e Evie si trovarono al loro punto di incontro, in un angolo nascosto del secondo piano.
- Trovato qualcosa?- chiese Evie al fratello, notando il suo stato d’animo.
- Nah. Solo oggetti vari, niente di utile- borbottò appena Jacob, ancora dispiaciuto per l’incidente con Anna.
Evie preferì non indagare, quindi tirò fuori alcuni fogli: - Sembra che io abbia avuto più fortuna. Ho trovato alcune riproduzioni di mappe della Londra medievale, oltre che le ricevute degli scavi del professor Wilson.-
Jacob sollevò un sopracciglio, incuriosito.
- Pare che Rudolph Earnshaw e il professore siano amici di vecchia data, e il primo è il principale finanziatore delle sue ricerche, nonché il fautore del fidanzamento tra il nipote e la signorina Wilson. Forse, tra i suoi appunti, troveremo se c’è qualche legame coi Templari.-
I gemelli decisero che era il momento di andarsene, ma tutto a un tratto la musica nel salone da ballo si interruppe. Incuriositi da quella strana pausa, i Frye si avvicinarono a una balaustra e osservarono la scena che accadeva al piano inferiore.
 
Era stato Richard a far interrompere la musica, annunciando la sorpresa che tanto aveva incuriosito gli invitati.
Chiamò Anna al centro del salone, quindi iniziò a parlare: - Miei cari ospiti, come spero voi già sappiate, questa incantevole fanciulla al mio fianco è la mia fidanzata, la signorina Anna Wilson. Già dalla prima volta che posai il mio sguardo su di lei, sapevo che mi sarei perdutamente innamorato. Sono trascorsi quasi due anni dal nostro primo incontro, ed è giunto il momento di fare un passo avanti.-
Terminate queste parole, Richard si inginocchiò davanti ad un’emozionata Anna; gli ospiti aspettavano frementi la prossima mossa del giovane, con le signorine che trattenevano a stento l’eccitazione per il momento.
- Sposatemi, Anna. Accettate di diventare mia moglie e mi renderete l’uomo più felice di tutta l’Inghilterra- dichiarò il giovane con un sorriso smagliante.
Trattenendo lacrime di gioia, Anna accettò la sua proposta di matrimonio. Urla di felicitazioni si levarono per tutto il salone e ognuno dei presenti voleva fare le proprie congratulazioni ai promessi sposi.
Soltanto Theo e Lottie, al riparo dietro un tavolo, apparivano scontenti dell’evolversi della situazione.
 
Evie non riuscì a trattenere una smorfia: - E quella sarebbe una proposta di matrimonio?! Dio mio, praticamente non le ha lasciato scelta!- esclamò indignata.
Si girò verso Jacob, rimanendo turbata dalla sua reazione: il fratello osservava la scena in silenzio, scuro in volto; stringeva così forte le colonnine della balaustra che le sue nocche erano bianche dallo sforzo, tremanti di frustrazione.
- Andiamocene- fu la sua unica parola, e si calò da una finestra vicina, seguito poi dalla sorella.
I gemelli si allontanarono dalla villa, tagliando per il parco. Evie studiò nuovamente il fratello, il quale continuava ad avere un’espressione cupa.
- È successo qualcosa?- tentò di indagare.
Jacob rimase in silenzio per qualche secondo, poi si rivolse alla sorella: - Sai se Henry tiene ancora il suo libro dei fiori?-
 
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da Wikipedia: Memorie di una donna di piacere (meglio conosciuto col titolo Fanny Hill) è un romanzo erotico di John Cleland, pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 1748. Scritto mentre l'autore era incarcerato a Londra per un debito non saldato, viene considerato "la prima pornografia inglese originale in prosa, e la prima pornografia a ricorrere in forma di romanzo."

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Attenzione: in questo capitolo sono presenti lievi contenuti sessuali
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Il giorno dopo la festa a Villa Earnshaw, Anna si stava acconciando i lunghi capelli in uno chignon, pronta per uscire: sua madre voleva far visita alla signora Fitzwilliam insieme a tutti i figli, soprattutto per commentare le ultime novità sulla maggiore.
Finito di prepararsi, la giovane scese le scale per dirigersi in salotto in attesa della madre, ma una volta raggiunta la sala trovò sua sorella Charlotte davanti a un misterioso mazzo di fiori.
- L’ha portato un fattorino qualche minuto fa- spiegò Lottie, anticipando la domanda della sorella.
Anna si avvicinò e osservò il bouquet, mentre la sorella minore studiava da un libriccino: alcune rose di un color rosa pallido erano intramezzate da piccoli fiori bianchi, mentre ai lati scendevano rami di glicine profumati.
La giovane sfiorò i petali e annusò i fiori, non riuscendo a trattenere un sorriso, quando notò un bigliettino.
- Se te lo ha mandato il tuo fidanzato, è un insieme parecchio curioso- commentò Charlotte.
Anna non le prestò attenzione, incuriosita dal biglietto. Lo prese e lo aprì, cambiando totalmente espressione nello scoprire il mittente: ”Grazie per avermi aiutato. Vi chiedo ancora scusa. J. F.”
- Voglio dire, la rosa rosa indica grazia, mentre il glicine amicizia. Se riuscissi solo a trovare che diamine è questo fiore bianco…- continuava intanto Charlotte, prima di accorgersi dello stato della sorella: il timido sorriso di poco prima era stato sostituito da uno sguardo nervoso e da un lieve rossore sulle guance.
Sfogliò velocemente il suo libro, finché non trovò l’ultimo fiore: - Asfodelo. Rimpianto. Un rimpianto per un’amicizia? Oppure… una richiesta di perdono da un’amica…-
Lesta come un gatto, Charlotte afferrò il biglietto dalle mani della sorella e lesse velocemente il suo contenuto; spalancò gli occhi con sorpresa e un enorme sorriso le apparve in volto: - Tu hai visto di nuovo Jacob Frye?! Quando, cosa è successo?- chiese emozionata.
Anna le strappò il biglietto di mano e le tappò la bocca: - Vuoi per caso farti sentire da mamma?- sibilò agitata.
Charlotte si zittì all’istante, ma poi continuò a interrogare la sorella a voce bassa: - Da quanto lo vedi? È simpatico? Quando l’hai visto l’ultima volta? E cosa è successo?-
Anna provò a mantenere la calma, ma l’insistenza di sua sorella la stava facendo infuriare: - Non sono cose che ti riguardano!- rispose esasperata.
Si rese conto troppo tardi di aver urlato, ammutolendo la sorella; Lottie non aveva mai visto Anna così arrabbiata: - Dev’essere successo qualcosa di brutto, se sei così furiosa…- mormorò appena.
In quel momento sopraggiunse la signora Wilson, seguita a ruota dal figlio più giovane: - Si può sapere cos’è questo baccano?-
Ancora scossa dalla sua reazione, Anna prese il suo cappello e si diresse verso la porta: - Mi dispiace madre, ma non sono dell’umore adatto per andare dalla signora Fitzwilliam. Vado a fare una breve passeggiata qui intorno, salutatemela da parte mia- e senza nemmeno aspettare la sua risposta varcò la porta, desiderosa solo di cambiare aria.
 
Camminando senza una destinazione precisa, Anna non prestava nessuna attenzione all’ambiente circostante, concentrata com’era sulle sue sensazioni e sul suo rapporto con Jacob.
Da una parte si diceva che non doveva pensarci, che doveva gioire della tanto agognata dichiarazione di Richard e che doveva pensare ai preparativi del matrimonio; dall’altro, non sapeva come doveva considerare il giovane Frye.
La sera prima, alla festa, lo avrebbe preso volentieri a schiaffi per la sua sfrontatezza e impulsività; eppure, non riusciva ad essere totalmente arrabbiata con lui. Ripensava a quando l’aveva salvata dai Blighters, alla sensazione delle sue braccia intorno a lei, alla sua battuta pronta e al modo in cui sorrideva.
Nella sua mente, ricordava quando le aveva stretto il piede come reazione alle frasi smielate di Richard, allo sguardo carico di dispiacere che le aveva rivolto, a come le aveva preso la mano con dolcezza…
“No, no e no!” si rimproverò nella mente, schiaffeggiandosi appena le guance per riprendersi.
“Sono una donna fidanzata, e Jacob Frye è soltanto una specie di collega di mio padre. Nient’altro, non può essere nient’altro…”
Si fermò in mezzo al marciapiede, con un principio di mal di testa che minacciava di tormentarla ancora una volta. Un paio di secondi, e avvertì una presenza alle sue spalle.
- Adesso mi pedinate pure, signor Frye?- chiese infastidita appena lo vide.
- Solo una piccola coincidenza, miss Wilson- rispose l’Assassino in tono piatto - Volevo solo vedere come stavate.-
- Secondo voi come dovrei sentirmi, dopo la vostra geniale idea di ieri? O il vostro regalo che avrebbe potuto vedere anche mia madre, con il rischio concreto che mi obblighi a stare in camera mia fino al giorno del matrimonio?-
Jacob sollevò un sopracciglio: - Vostra madre è davvero così severa?-
- Non tentate di sviare il discorso, signor Frye. Io…- si interruppe la giovane, prima di scuotere la testa.
- Sentite, ho voglia soltanto di fare una passeggiata. Buongiorno, signore- e fece per andarsene, quando sentì Jacob trattenerla per la mano.
- Finché non avrò il vostro perdono, non me ne vado- disse guardandola dritto negli occhi.
Anna sostenne il suo sguardo, poi si liberò dalla sua presa: - Potevate pensarci prima, invece di fare quello che avete fatto! Se Richard lo avesse scoperto… non oso nemmeno immaginarlo!- replicò, rimettendosi a camminare.
Jacob le andò dietro, deciso a proseguire la conversazione: - Perché mi avete coperto, allora? Perché non gli avete detto, che so, che vi avevo minacciato o altro? Tanto avrei potuto metterlo fuori gioco con un pugno solo.-
- Non osate parlare così del mio fidanzato!- replicò piccata - Lui, al confronto, è un gentiluomo!-
- Sì, un gentiluomo con la puzza sotto al naso e con degli orribili gusti in fatto di dichiarazioni…- commentò Jacob sarcastico, alzando gli occhi al cielo.
Anna si girò verso di lui, furiosa: - Come vi permettete? Perché invece di tormentarmi non andate a…?-
La ragazza notò in quel momento che Jacob stava osservando un punto indefinito alle sue spalle. Si voltò e cercò di capire cosa aveva catturato l’attenzione dell’uomo, quando notò una colonna di fumo nero alzarsi da qualche caseggiato più in là.
- Scusatemi…- disse appena Jacob, prima di correre in direzione del fumo.
Anna lo guardò andare via con espressione stranita, poi vide arrivare a tutta velocità il carro dei pompieri.
Senza pensarci due volte, la ragazza sollevò i lembi del vestito e si mise a correre dietro Jacob.
 
Una volta giunta sul posto, agli occhi di Anna si presentò uno spettacolo terribile: una fabbrica stava andando a fuoco, con le fiamme che uscivano minacciose dalle finestre e l’aria calda che affaticava il respiro. Gli operai avevano formato una catena umana che partiva da una pompa dell’acqua, nel tentativo di domare l’incendio, dando così man forte al lavoro dei pompieri.
Anna si riparò gli occhi, abbagliati dal furore del fuoco, e notò Jacob che stava parlando con una ragazzina dall’aria preoccupata.
Si avvicinò e notò un gruppo di bambini, dagli otto ai dieci anni, sporchi di fuliggine e con abiti rovinati.
- Li ho contati tutti, signor Frye, e ne manca uno! Dev’essere ancora dentro!- diceva intanto la bambina, sempre più agitata, al che Jacob si avvicinò alla fabbrica in fiamme.
Sconcertata, Anna gli corse dietro e lo prese per un braccio: - Che cosa volete fare?- esclamò sconvolta.
- C’è un bambino lì dentro, e qualcuno deve tirarlo fuori!- ribatté lui, determinato.
La giovane lo guardò: davvero voleva entrare in quell’inferno? Non c’era praticamente una possibilità di uscirne vivo… Cominciò ad agitarsi, non riuscendo a lasciare il braccio di Jacob: - Non fatelo, vi scongiuro…-
- Anna, ti prego! C’è in gioco la vita di un innocente!- cercò di convincerla l’uomo, afferrandola per una spalla e guardandola con urgenza.
La giovane capì che non sarebbe mai riuscita a fargli cambiare idea, quindi gli lasciò il braccio.
- Aspettate solo un attimo- lo pregò, e corse verso la pompa dell’acqua; estrasse il suo fazzoletto e lo intinse velocemente nel liquido, per poi ritornare di corsa verso l’Assassino: - Legatevi questo al volto, vi proteggerà dal fumo- disse porgendoglielo.
Jacob lo prese e le sorrise un’ultima volta, prima di legarsi il fazzoletto sopra il naso, quindi corse nell’edificio in fiamme e sparì dalla vista della ragazza.
“Sii prudente… e torna vivo” gli augurò Anna nella sua mente.
 
Anna non poté fare altro che sedersi lontano dalla fabbrica, in attesa del ritorno di Jacob. Guardò intorno a sé lo spettacolo di desolazione e miseria che offriva quel luogo: gli operai continuavano a portare secchi d’acqua, coi vigili del fuoco che invece investivano le fiamme con le loro pompe; i bambini più grandi consolavano i loro compagni di sventura, spaventati dal pericolo che avevano corso.
La ragazza non riuscì a trattenere alcune lacrime: si sentiva così fuori luogo, così inutile, mentre Jacob stava rischiando la vita per salvare un bambino; il suo coraggio e il suo altruismo l’avevano colpita nel profondo, facendole dimenticare tutta la rabbia che provava nei suoi confronti.
- Siete un’amica del signor Frye?- domandò all’improvviso una vocetta.
Anna si asciugò in fretta le lacrime e notò la ragazzina con cui aveva parlato prima l’Assassino.
- Piacere, io sono Clara O’Dea- si presentò lei, tendendole la mano.
Anna gliela strinse, presentandosi a sua volta: - Piacere mio, Clara. È da tanto che conosci il signor Frye?-
La ragazzina annuì: - Gli amici del signor Green sono miei amici. I signori Frye hanno fatto così tanto per i bambini sfruttati nelle fabbriche…- disse, guardando con tristezza i bambini superstiti.
Alcuni calcinacci infuocati caddero d’improvviso, spaventando le due. In quel momento, Anna avvertì una dolorosa fitta alla testa che le provocò un rantolo di dolore.
- Signorina, che vi succede?- chiese Clara preoccupata.
Anna si teneva le mani sulle tempie, respirando affannosamente. Quando riaprì gli occhi di scatto, davanti a lei si presentò uno scenario incredibile.
 
Le fiamme avvolgevano la chiesa di San Paolo, mentre le catapulte della Bussola continuavano a martoriare la città di Lunden.
Dal tetto della chiesa, Eivor osservava con tristezza lo spettacolo di distruzione davanti ai suoi occhi.
Avrebbe fermato la Bussola a tutti i costi, così come aveva fatto con la Freccia e la Sanguisuga.
Ma ora non era tempo di pensare: le voci allarmate di Erke e Stowe la richiamarono alla realtà. Scalò il tetto dell’edificio, seguendo le richieste d’aiuto dei due intendenti rimasti bloccati all’interno della chiesa.
Gli sgherri della Bussola li aspettavano fuori, nel fortuito caso in cui fossero riusciti a salvarsi dalle fiamme, pronti a ucciderli.
Eivor si precipitò sul primo a lama tratta, uccidendolo sul colpo. I soldati nemici, sorpresi da quell’attacco improvviso, non riuscirono a reagire subito, permettendo alla norrena di liberare i due intendenti dall’edificio in fiamme, e insieme uccisero i loro assalitori.
Il tempo di mettersi al riparo, e i tre misero subito a punto un piano per fermare la distruzione della città da parte degli Antichi…
- Cerca il mio dono ai coraggiosi intendenti di Lunden, sotto la vecchia chiesa…-
 
-Signorina? Signorina, mi sentite?-
La voce di Clara riportò Anna alla realtà. Si tenne la testa, dolorante, mentre tentava di calmare il suo respiro affannato.
Cos’era quella visione che aveva appena avuto? Una memoria di Eivor? E cosa significava il suo ultimo messaggio?
Si strofinò gli occhi, riprendendosi da ciò che le era accaduto, e si girò verso Clara rassicurandola sul suo stato: - Sto bene, Clara. Non preoccuparti per me.-
In quel momento, dopo un tempo che era parso interminabile, qualcuno uscì dall’inferno di fiamme della fabbrica: con il cappuccio calato in testa, Jacob corse fuori dall’edificio e si accasciò qualche metro dopo, reggendo tra le braccia una ragazzina.
- Jacob!- esclamò Anna, correndo verso di lui. Gli si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi, portandolo vicino alla pompa dell’acqua e lontano dall’incendio.
Clara li raggiunse poco dopo, col volto preoccupato per le condizioni della bambina superstite, ma Jacob la rassicurò: - Sta bene. Ha perso i sensi ma è ancora viva- disse tra un colpo di tosse e l’altro.
Aiutata da un altro ragazzino, Clara prese la bambina e la portò insieme agli altri suoi compagni, venendo raggiunti quasi subito da un dottore chiamato da uno degli operai.
- Giuro che appena vengo a sapere chi è il proprietario di questa fabbrica, gli faccio passare un brutto quarto d’ora…- commentò Jacob, tossendo ancora per via del fumo.
- Stai bene?- gli chiese Anna preoccupata.
Jacob si sciolse il fazzoletto e, dopo un attimo di esitazione, glielo porse: - Ho solo bisogno di respirare un po’ d’aria fresca. Se non fosse stato per questo, probabilmente starei peggio. Grazie- rispose sorridendo.
Anna prese il suo fazzoletto, mezzo sporco di fumo, e osservò il viso di Jacob, anch’esso segnato di nero; intinse il lembo di tessuto nella vasca della pompa, lavando via lo sporco, e lo passò sul volto annerito dell’Assassino.
All’inizio lo sentì irrigidirsi, sorpreso da quel gesto così amorevole, ma poi i muscoli del suo volto si rilassarono: Anna tolse le tracce di fumo dalla fronte e dai suoi occhi, indugiando sulla cicatrice al sopracciglio; fece un altro passaggio sugli zigomi, per poi scivolare sulla sua guancia e sfiorare appena le labbra.
- Meglio adesso?- gli chiese una volta terminato.
- Molto meglio…- replicò l’uomo con voce roca.
Anna strofinò ancora il fazzoletto nell’acqua per pulirlo, strizzandolo bene; lo tenne in mano per qualche secondo e glielo porse: - Tienilo tu, come pegno di amicizia.-
Jacob la guardò con sorpresa, poi prese il fazzoletto in mano come se avesse avuto timore di rovinarlo.
- Vuol dire… che mi perdoni?- domandò speranzoso.
La giovane non riuscì a trattenere una risata: - Sì, vuol dire che sei perdonato. Ma non ti azzardare mai più a fare una cosa simile con gli abiti femminili, d’accordo?-
- Croce sul cuore- giurò l’uomo sorridendo, enfatizzando il concetto con una croce sul petto - E siamo anche pari, adesso.-
Anna lo guardò incuriosita.
- Ci siamo dati entrambi del tu, e sinceramente a me non dispiace. Sempre se per te va bene…- propose lui.
Sorrise e accettò: - Solo perché sei tu, Jacob.-
 
*****
Di ritorno a casa, Anna aprì lentamente la porta, timorosa che la madre e i fratelli fossero già rientrati dalla visita alla signora Fitzwilliam, invece venne accolta da Margareth.
- Meno male che siete rientrata, signorina! Ero così in pensiero per voi e… cos’è questa puzza di bruciato?-
Anna si guardò il vestito, notando solo in quel momento che era sporco e odorava di fumo.
- C’è stato un incendio in una fabbrica, vicino a Whitechapel. Per fortuna non ci sono state vittime- spiegò.
Margareth tirò un sospiro di sollievo, poi prese la ragazza sotto braccio: - Sia ringraziato il Signore, ma dubito che vostra madre gradirà sapere di questa vostra gita. Inventatevi qualcos’altro, quando rientrerà. Venite con me ora, vi ho preparato la vasca.-
 
La domestica accompagnò Anna nella sala da bagno, dove un’ampia vasca piena di acqua calda attendeva solo di essere utilizzata.
Con mani abili ed esperte, Margareth la aiutò a spogliarsi, lasciandola in biancheria intima. Una volta terminato, raccolse il suo abito sporco tra le braccia: - Adesso non pensate a quel brutto incendio e rilassatevi un po’, d’accordo?-
Anna la guardò titubante: - Non volete sapere come ci sono finita in quel posto?-
La donna le sorrise affettuosamente: - Sono la vostra domestica, non la vostra guardiana- replicò con un occhiolino complice, quindi lasciò la ragazza da sola.
 
Anna aspettò che Margareth se ne fosse andata, quindi si avvicinò alla vasca da bagno. Immerse una mano per sentire la temperatura dell’acqua, calda al punto giusto.
Decise che avrebbe voluto rilassarsi per bene: si avvicinò ad alcune boccette di vetro contenenti essenze floreali, cercando tra i vari contenitori finché non trovò quella alla lavanda. Aprì la boccetta e versò alcune gocce nell’acqua, godendosi il profumo rilasciato dagli oli essenziali della pianta.
Preparò un tavolino con vari saponi e la spugna, riempendo anche una brocca d’acqua per sciacquarsi; una volta terminati i preparativi, Anna si tolse gli ultimi indumenti, denudandosi completamente.
“Se lo sapesse mamma… ʿUna ragazza per bene dev’essere sempre pudica, anche quando è sola!ʾ” si disse fra sé e sé, ripensando alle regole ferree di sua madre, quindi entrò nella vasca.
Il contatto con l’acqua le provocò brividi di piacere, mentre si godeva il profumo di lavanda sprigionato dal calore della vasca. Per qualche minuto rimase semplicemente immersa, rilassando i muscoli e la mente.
Prese la spugna e, dopo averla strofinata con una saponetta, cominciò a lavarsi il corpo.
Per quanto provasse a rilassarsi completamente, tuttavia Anna continuava a ripensare agli ultimi avvenimenti: il coraggio di Jacob, la sua espressione stanca dopo aver salvato quella bambina, il sorriso che le aveva rivolto dopo il suo regalo… e il modo in cui l’aveva guardata, dopo che lei gli aveva pulito il volto dalle tracce di fumo.
Chiuse gli occhi, sospirando: Jacob era davvero un bell’uomo, e ammise a sé stessa che gli piaceva.
ʿSolo perché sei fidanzata, non vuol dire che non puoi apprezzare altri uomini, ma chéreʾ le diceva la voce di Gaëlle nella sua mente, con un sorriso complice.
ʿIl signor Frye è uno spettacolo anche per altri motivi… ha il fascino del bandito: forte, muscoloso, con un tatuaggio sopra il pettorale e il carisma di un leader. Ammetto che mi sono fatta qualche pensierino su di lui…ʾ le ripeteva Seraphine maliziosa, reggendo in mano il suo libro proibito.
Anna cercò di togliersi dalla mente quelle frasi: “Adesso pensiamo ad altro. Pensiamo a un bel prato inglese, come la brughiera dove passeggia Elizabeth Bennet in Orgoglio e Pregiudizio… solo una passeggiata tranquilla e nient’altro…”
 
“Mi sento proprio come in un romanzo della Austen. Il sole splende alto nel cielo, rischiarando la brughiera intorno a me. Nell’erba alta i fiori di campo profumano l’aria di primavera e colorano il prato con centinaia di punti colorati. Sorrido, notando l’abito semplice che indosso, in stile impero e dalla stoffa chiara. Come vorrei che quegli abiti di inizio secolo fossero ancora di moda! Così morbidi e semplici, invece delle infernali crinoline a cui sono costrette le donne…
Un vento gentile mi accarezza il volto, muovendo appena le ciocche di capelli sfuggite al mio chignon. Mi incammino nella brughiera, assaporando il calore del sole sulla mia pelle. Raggiungo un ruscelletto dalle acque chiare e placide, che sembra cantare con voce argentina.
Mi sdraio, felice nel mio angolo di paradiso, e chiudo gli occhi godendomi la pace del momento.
 
Avverto una presenza al mio fianco. Apro gli occhi e vedo Jacob sorridermi.
Anche lui è vestito in modo semplice, solo con una camicia e dei pantaloni. Una mano sotto il mento, mi osserva dolcemente, senza dire nulla.
- Jacob? Cosa ci fai qui?- gli chiedo, ma lui non risponde. Invece, mi sfiora il viso con la mano e mi prende la nuca, per poi avvicinarsi a me e baciarmi appena sulle labbra.
Resto immobile, sorpresa dal suo gesto, confusa. Ma non provo sentimenti negativi, non mi sento in pericolo. Voglio solo andare avanti…
Jacob continua a baciarmi, prendendomi tra le sue braccia forti, mentre le mie mani si avvinghiano alle sue spalle, cercando un sostegno.
D’un tratto interrompe le sue effusioni, mordicchiandomi appena il labbro: - Sei stupenda…- sussurra mentre mi guarda.
Cerca di nuovo le mie labbra, ma non è più dolce come prima: con mia sorpresa, avverto la sua lingua sfiorarmi i denti, come per chiedere il permesso. Apro appena la bocca, e adesso mi bacia con passione, con foga, quasi avesse timore che sparisca da un momento all’altro.
Non riesco a trattenere gemiti di piacere, e lui sembra accorgersene: da dietro la mia schiena, la sua mano si sposta sul davanti, sfiorandomi la spalla e il collo.
A malincuore, lo sento abbandonare la mia bocca, e comincia a lasciarmi dei piccoli baci sul mento, sul collo, fino ad arrivare alle clavicole.
- Jacob…- mugolo eccitata, mentre sento una sensazione di calore in mezzo al petto e il respiro comincia ad affannarsi.
Avverto le sue mani sulle mie spalle, e lentamente mi tira giù il vestito, scoprendomi il seno.
Mi copro, imbarazzata, ma lui mi guarda ancora con dolcezza: - Non vergognarti del tuo corpo, sei meravigliosa…- e mi sposta gentilmente le mani dal petto.
Lo osservo mentre scende sul mio torace, gli occhi carichi di desiderio; mi sfiora un seno, procurandomi un altro gemito, e poi lo bacia per tutta la superficie, tormentandomi il capezzolo con la sua lingua impertinente.
Il piacere mi pervade ogni parte del corpo, mentre il calore che sento al petto comincia a scendere sempre più giù, raggiungendo prima lo stomaco e poi il basso ventre.
La sua barba mi solletica appena la pelle del petto, resa sensibile dalle sue carezze e dai suoi baci, facendomi inarcare la schiena.
Comincio ad ansimare, quando sento la sua mano accarezzarmi la gamba, sfiorando il ginocchio fino a risalire alla coscia; Jacob mi guarda e mi strizza la natica, provocandomi un gridolino sorpreso.
Ride appena, dispettoso, e si avvicina di nuovo al mio volto per baciarmi; la sua mano, intanto, continua a vagare sotto la mia gonna, finché non la sento sfiorare il mio inguine.
 
Sento il mio corpo irrigidirsi, imbarazzata da quel gesto così audace. Probabilmente sono diventata rossa come un pomodoro… ho timore, lo ammetto, e Jacob se ne accorge.
Mi guarda con quei suoi occhi che mi fanno impazzire e mi sfiora la guancia: - Solo se lo desideri, Anna. Non ti costringerò mai a fare qualcosa che non vuoi- mi rassicura, premuroso.
Dentro la mia testa, la mia parte razionale mi dice di fermarmi, che mi sto spingendo troppo; ma poi sento la sua mano calda sulla mia gamba, e una strana sensazione di eccitazione pervade la mia femminilità.
- Vai avanti…- mormoro appena, prima di baciarlo ancora una volta. Jacob sorride, ma i suoi occhi sono neri di desiderio.
La sua mano si avvicina alla mia intimità, sfiorandola in tutta la sua lunghezza e massaggiando punti a me sconosciuti; Jacob mi mordicchia l’orecchio, sorreggendomi dietro la schiena e sorridendo ai miei mugolii.
D’un tratto, scivolando silenziose, avverto le sue dita penetrarmi. Spalanco gli occhi, colta di sorpresa.
- Mio Dio…- ansimo, e Jacob continua a farmi godere muovendo, girando e allargando le sue dita dentro di me.
Non ce la faccio, è tutto troppo intenso…
Jacob tocca un punto in particolare, provocandomi altre scosse di piacere; mi aggrappo ancora di più a lui, graffiandogli la schiena. Anche lui si lascia scappare dei gemiti, eccitato dalla situazione.
Aumenta il ritmo, man mano, e i miei fianchi si muovono insieme a lui, come se fossero dotati di coscienza propria, mentre riporta la sua attenzione ai miei seni, leccando, succhiando, provocandomi altri gemiti di piacere che fatico a trattenere.
- Jacob, ti prego… Non ce la faccio più…- lo imploro, respirando con affanno.
Mi afferra dalla nuca e mi guarda, ansante: - Vieni per me…- mi sussurra, prima di baciarmi appassionatamente.
Il suo bacio soffoca il mio urlo di piacere, mentre mi sento quasi travolgere da una miriade di sensazioni.
Rimaniamo per qualche secondo ancora insieme, prima che riesca a staccarmi da lui per riprendere fiato.
Mi accompagna dolcemente a terra, sdraiandosi al mio fianco sempre tenendomi fra le sue braccia.
- Tutto ok?- mi chiede, ansimando. Gli annuisco appena, ancora scossa dai postumi di quello che immagino essere stato un orgasmo.
- Bene…- mormora con voce roca. Mi prende il volto con dolcezza e mi sfiora per l’ennesima volta le labbra, unendo la sua fronte alla mia: - Anna, Anna…-”
 
- Annaaaaaaa? Tutto bene?-
Anna scattò la testa in avanti, udendo quella voce improvvisa. Si guardò intorno, ansimando: una mano reggeva la spugna, premuta contro la sua bocca; l’altra, invece, si trovava sulla sua femminilità, ancora fremente dalla sua fantasia. Le gambe, divaricate sui bordi della vasca, tremavano ancora dal piacere.
Udì alcuni colpi alla porta, poi di nuovo la voce di Charlotte: - È successo qualcosa? Ti sei fatta male?-
La giovane impallidì: - Nonononono! Assolutamente! Ho solo… pestato il ginocchio contro la vasca! Tutto a posto!- disse velocemente, sperando di convincere la sorella.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Charlotte replicò: - Va bene! Ti aspettiamo per la cena!-
Anna rimase in ascolto, aspettando che la sorella se ne fosse andata, e si lasciò scappare un grosso sospiro di sollievo. Ma l’attimo dopo cominciò ad agitarsi per ciò che era successo.
Prese la brocca d’acqua, ormai fredda, e se la rovesciò addosso nel tentativo di recuperare un minimo di raziocinio.
In preda all’imbarazzo, la sua mente era investita da una moltitudine di domande, ma una la preoccupò più di tutte: perché, nonostante tutto, non si sentiva pentita?

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Come ogni domenica mattina, la famiglia Wilson assisteva alla messa nella cattedrale di St. Paul; quel giorno, inoltre, coincideva anche con la confessione mensile a cui tutti i membri della famiglia dovevano partecipare, ovviamente su insistenza della signora Wilson.
E mai come quella domenica Anna sentiva l’urgenza di confessarsi; persino il primo appuntamento dal sarto di qualche giorno prima, per le prime prove dell’abito da sposa, non era riuscito a farle dimenticare l’incidente del bagno.
Una volta terminata la messa, Mary Jane attese coi figli che il loro confessore, padre Johnson, finisse di sistemare i paramenti religiosi. Il parroco li vide e sorrise cordialmente, per poi far loro un cenno e dirigersi al confessionale.
- Vai prima tu, Theodore- lo esortò la madre. Il ragazzino ubbidì, ma nel giro di due minuti aveva già finito.
Seguì il turno di Charlotte, anche lei molto breve, quindi fu il turno di Anna, che si avvicinò al confessionale di legno scuro e prese posto sull’inginocchiatoio.
Padre Johnson, nonostante si trovasse dall’altra parte, era ben visibile da dietro la grata della struttura: era un vecchio prete dall’aria gentile, sempre pronto a dare consigli anche se non riguardanti la religione.
Fece le formule di rito, quindi si rivolse alla ragazza: - Che cosa mi racconti oggi, figliola?-
Anna fece un respiro profondo, temendo la reazione del prete per ciò che voleva confessargli: - Io… ho avuto pensieri… impuri- mormorò, sentendosi già arrossire le guance al ricordo delle sue fantasie.
- In che senso?- chiese il parroco.
“Cos’è tutta questa curiosità?” si chiedeva Anna, sempre più imbarazzata.
- Ecco, padre, nel senso che… ho immaginato di avere un incontro… “intimo”… con un uomo…- farfugliò, tentando di balbettare il meno possibile.
Padre Johnson rimase in silenzio, ma la sua espressione rimaneva gentile: - Se ricordo bene sei fidanzata, giusto? Devi sapere, figliola, che è normale essere curiosi verso alcuni argomenti, anche se profani. D’altronde, nostro Signore ci ha comandato di procreare e diffondere la sua sacra Parola. Non preoccuparti, dunque, sarà qualcosa di normale che farai con tuo marito.-
Anna si sentiva tremare le mani, ma si obbligò a ribattere: - Il punto è che… non era con il mio fidanzato…-
Un’altra lunga pausa, e stavolta il prete appariva sorpreso: - Questo… complica un po’ le cose, figliola. E chi è quest’altro uomo? È reale o una fantasia?-
“Dio dammi la forza…” invocò la giovane nella sua mente, ma rispose sinceramente: - Quest’uomo esiste davvero, padre. Lo conosco da circa due mesi o poco più. Diciamo che fa un “lavoro” pericoloso, giusto per farvi capire che non è un uomo comune.-
- E com’è come persona?- domandò il prete.
Sospirò: - È impulsivo, testardo, ai limiti della sfrontatezza. Sempre con la battuta pronta, come se non prendesse sul serio la situazione in cui si trova. Ma è anche coraggioso, altruista, pronto a difendere chi è più debole… e ogni volta che mi guarda con quei suoi occhi…- sorrise senza accorgersene.
Padre Johnson la osservò attentamente, meditabondo, quindi fece un cenno col capo: - Mi par di capire che ti senti attratta da quest’altro uomo, e questo turba il tuo cuore. Ho indovinato?-
La giovane annuì, quindi il prete la assolse dal suo peccato: - Rivolgi le tue preghiere a nostro Signore, che consola e guida sulla giusta via. Vedrai che saprai cosa fare- le disse, congedandola.
Anna stava per andarsene, quando le venne in mente un’ultima domanda: - Una curiosità, padre. Per caso esistono delle rovine della chiesa antica?- chiese, ricordando la sua visione alla fabbrica in fiamme.
- Beh, figliola, la chiesa è stata distrutta e ricostruita varie volte durante i secoli. In effetti c’è qualche resto sotto la cripta, ma ovviamente non sono visitabili. Come mai questa domanda?-
La giovane scosse il capo: - Solo una mia curiosità.-
 
Quel pomeriggio Anna si sentiva carica e determinata. Camminava velocemente verso la stazione di Charing Cross, temporaneo covo degli Assassini; salì le scale che portavano alle banchine e cercò il loro treno, quindi si avviò a passo sicuro verso uno dei vagoni centrali.
Bussò alla porta della carrozza e venne accolta da Henry.
- Miss Wilson, che sorpresa vedervi qui! Come state?- le chiese gentilmente.
- Buongiorno anche a voi, signor Green. Io sto bene, come spero anche voi.-
- Se vi riferite all’ultima volta col vostro fidanzato, state tranquilla, è acqua passata. Cosa posso fare per voi?- replicò l’indiano, facendola entrare.
Anna osservò l’arredamento del treno, che nonostante gli spazi ristretti trasmetteva un’atmosfera accogliente e a suo modo elegante.
- Dovrei parlare con Jacob… volevo dire il signor Frye, a proposito del lavoro di mio padre- spiegò, correggendosi all’ultimo.
Ad Henry non sfuggì quel dettaglio e accennò a un sorriso: - Vado subito a chiamarlo.-
Anna si accomodò sul divanetto, e dopo pochi secondi venne raggiunta dal giovane Frye.
- Jacob! Come stai?- gli chiese appena lo vide.
L’uomo sorrise: - Tutto bene, grazie. Anche se Evie mi ha fatto una ramanzina memorabile- scherzò - Tu, invece? Come mai da queste parti?-
- Sono qui per riscuotere il mio favore- rispose determinata.
Incuriosito, Jacob si sedette al suo fianco e le chiese di cosa si trattasse.
- La mia “fonte” mi ha detto che sotto la cattedrale di St. Paul si nasconde un oggetto che potrebbe rivelarsi utile per le ricerche di mio padre. E ho bisogno che mi accompagni- spiegò.
Jacob rifletté per qualche secondo: - Vuoi esserci anche tu?- chiese sorpreso.
Anna si stropicciò un lembo della gonna: - So che può suonare pretenzioso, ma sono l’unica che può trovare questo oggetto. È strano, sono la prima ad ammetterlo, ma devo esserci di persona.-
Abbassò gli occhi, pregando nella mente che Jacob non pensasse male di lei, poi sentì la mano dell’uomo sulla sua spalla. Alzò lo sguardo su di lui, rassicurata dal suo sorriso.
- Adoro le donne determinate. Qual è il piano?-
 
Due giorni dopo, in piena notte, un uomo incappucciato si avvicinò al muretto della casa dove vivevano i Wilson. Si guardò attorno, circospetto, e dopo essersi accertato che non c’era nessuno scavalcò la recinzione ed atterrò sul prato. Andò verso il retro dell’edificio, studiando con attenzione le finestre del primo piano. Trovò la finestra giusta e si arrampicò agilmente sul muro, fino ad aggrapparsi al davanzale.
Jacob bussò al vetro, in attesa di una risposta, ma ci fu solo silenzio. Bussò appena un po’ più forte, sperando che stavolta bastasse.
- Anna? Sei sveglia?- sussurrò, poi finalmente la finestra si aprì. La ragazza si affacciò verso di lui, stropicciandosi gli occhi.
- Scusa, non sono abituata ad essere sveglia a quest’ora- si giustificò, sbadigliando.
- Dai, entra. Devo sistemare un paio di cose.-
Si spostò per permettere a Jacob di entrare, poi prese una borsa e controllò il suo contenuto per l’ennesima volta.
Jacob osservò distrattamente la camera della ragazza, per poi posare gli occhi su quest’ultima.
- Dove hai trovato quegli abiti?- chiese divertito: la giovane indossava una camicia maschile di almeno due taglie più grandi, con le lunghe maniche tirate indietro tre o quattro volte; anche i pantaloni erano più larghi del suo corpo, e le numerose cuciture testimoniavano il tentativo di stringerne la vita.
- Sono vestiti di quando mio padre era più giovane. Purtroppo era già robusto ai tempi…- spiegò Anna mentre si sistemava la treccia sotto un cappello.
- Ok, sono pronta- esclamò a bassa voce, indossando una giacca.
- No, manca ancora qualcosa- replicò Jacob, tirando fuori qualcosa dalla tasca e porgendo ad Anna un paio di guanti di pelle.
- Me li ha prestati Evie, e li rivuole indietro in ottima forma- spiegò facendole l’occhiolino.
La giovane indossò i guanti, apprezzandone la resistenza all’esterno e la morbidezza all’interno, quindi fece un cenno di assenso a Jacob.
L’uomo lanciò la corda dal davanzale fino al muretto in basso, calandosi dalla finestra. Anna diede un ultimo sguardo alla sua stanza, comoda e sicura, per poi seguire l’Assassino nella loro missione notturna.
 
Anna e Jacob raggiunsero la chiesa senza incontrare nessun ostacolo. Si portarono verso il retro della cattedrale, dove l’Assassino sperava di trovare l’ingresso secondario che aveva scoperto studiando alcune mappe dell’edificio. Trovò finalmente una porticina, e illuminato dalla lanterna retta da Anna cominciò a forzare la serratura.
La giovane udì un corvo gracchiare vicino. Osservò l’uccello e sorrise: Eivor era con lei.
Un ultimo colpo di grimaldello e finalmente la porta si aprì.
- Dopo di te- fece Jacob, invitando la ragazza ad entrare nella chiesa.
Nonostante il buio, Anna rimase comunque affascinata dall’architettura neoclassica della cattedrale, osservando alla tenue luce della lanterna le immagini dipinte e i decori di pilastri e capitelli.
Scosse la testa, concentrandosi sul motivo della sua presenza lì; seguì quindi Jacob nella zona posteriore all’altare, dove una piccola porta di metallo bloccava l’accesso alle rovine. L’Assassino armeggiò nuovamente con il grimaldello, e dopo qualche minuto anche la seconda porta era aperta. Scesero alcuni gradini e proseguirono per un lungo corridoio, fino a raggiungere un’enorme sala sotterranea dalla quale partivano altri percorsi.
- Da che parte dobbiamo andare?- chiese Jacob.
Anna si guardò intorno smarrita, quando udì una specie di sussurro nella sua testa.
“Eivor, sei tu?” chiese alla voce. Altri sussurri, ma nessuna risposta. Anna chiuse gli occhi: “Sono dove mi avevi detto di andare, ma non so la via. Ho bisogno della tua guida.”
Quando riaprì le palpebre, la ragazza rimase sgomenta: davanti a lei, come fosse una specie di fantasma, l’ombra azzurrina della vichinga le sorrideva, per poi incamminarsi verso uno dei corridoi.
- La vedi anche tu?- disse Anna emozionata, rivolgendosi a Jacob, ma l’uomo la guardava confuso.
- A dire il vero no, non vedo nulla di strano…- replicò, per poi avvicinarsi a lei per studiarle il volto: - Non so come, ma hai una specie di luccichio negli occhi. Devo preoccuparmi?-
Anna scosse la testa, per poi seguire l’ombra di Eivor nel dedalo delle rovine della chiesa: attraversarono vari pertugi, scavalcando muri caduti o crepati dal tempo, fino a raggiungere una piccola stanza con al centro una struttura di pietra.
- Che razza di posto è questo?- domandò Jacob, ancora impressionato dal fatto che fossero riusciti ad orientarsi in quel luogo.
Anna si avvicinò al blocco di pietra, notando un pesante coperchio.
- È una tomba. Guarda Jacob, c’è qualcosa qui- esclamò, per poi estrarre un grosso pennello dalla borsa e spolverare le incisioni sul sepolcro. Vi erano delle scritte, sia in norreno che in latino.
La giovane studiò le lettere, e grazie al dono di Eivor riuscì a decifrarle e a leggerle: - “Qui riposano Erke Bodilsson e Stowe di Lunden, intendenti della città. Che gli dei li accompagnino insieme nel loro ultimo viaggio, così come hanno fatto in vita”.-
Jacob si lasciò scappare un fischio di ammirazione: - Notevole. E l’oggetto in questione si troverebbe qui?-
Anna osservò la tomba, temendo l’inevitabile: - Credo proprio che dovremo aprire il sarcofago.-
I due si misero ai lati opposti del coperchio e cominciarono a spingerlo via; fecero molta fatica, ma alla fine riuscirono a spostarlo abbastanza da scoprire il suo interno.
Presero le lanterne e osservarono la tomba: la luce rivelò due scheletri posti uno di fianco all’altro, con i crani che sembravano guardarsi a vicenda. Uno dei due era affiancato da un arco e una faretra piena di frecce, l’altro invece teneva in mano una spada. Ma ciò che colse l’attenzione di Anna e Jacob furono le loro mani intrecciate, sopra alle quali si trovava una scatola di medie dimensioni.
La giovane prese delicatamente il contenitore, dando un’ultima occhiata ai due scheletri, e lo mise nella sua borsa.
- Ora rimettiamo a posto, poi possiamo andare- disse a Jacob. Sistemarono il coperchio com’era prima e finalmente ripresero la via per il ritorno.
 
Assicurandosi di non aver lasciato tracce, Anna e Jacob uscirono dalla cattedrale. Entrambi fecero un respiro profondo, godendosi l’aria fresca della notte.
- Secondo te cosa c’è dentro quella scatola?- chiese l’uomo.
Anna soppesò la borsa, valutando il peso del contenitore: - Visto che era nella tomba di due guerrieri, potrebbe essere un paramento militare, oppure un utensile che usavano in vita. Ma puoi star certo che una volta a casa studierò cosa contiene e ti dirò tutto- rispose.
- Io non credo proprio.-
Dinnanzi a loro, un gruppo di quattro Templari stava in mezzo alla strada, bloccando il passaggio. Il loro capo, che aveva parlato prima, avanzò minaccioso verso i due: - Ora, cara la mia donzella, tu mi darai la tua borsa senza fare storie, e ti prometto che potrai andartene senza problemi.-
- E io, scusa?- intervenne Jacob, ironico.
Altri Templari estrassero delle pistole, fornendo una chiara risposta all’Assassino.
- Simpatici come sempre… e comunque ce l’ho io l’oggetto che state cercando- replicò Jacob, portando la mano dietro la schiena.
Anna lo guardò confusa, ma l’uomo le fece un cenno con la testa.
- Ti teniamo sotto tiro, perciò non fare scherzi- lo minacciò il Templare.
Velocemente, Jacob estrasse un oggetto metallico da dietro la giacca, e prima che i Templari potessero reagire lanciò la bomba fumogena in mezzo a loro.
- Corri!- gridò ad Anna, e i due scapparono a gambe levate allontanandosi dalla cattedrale. Corsero più in fretta che potevano, sperando che i Templari non riuscissero a ritrovarli; purtroppo per loro, i quattro sgherri ritrovarono presto le loro tracce.
Jacob vide con gioia una carrozza e, presa la ragazza per mano, corse verso il veicolo e saltò al posto di guida, spronando il cavallo con le redini.
- Come facevano a sapere che eravamo lì?- chiese Anna terrorizzata, notando che anche i Templari si erano procurati un paio di carrozze.
- Ottima domanda, ma ne parleremo dopo!- ribatté Jacob, sentendo i primi colpi di pistola dei loro inseguitori.
L’Assassino continuò a spronare il cavallo, tentando di allontanarsi il più possibile dai Templari; si addentrò per vie strette e tortuose, nella speranza che le carrozze che li seguivano subissero dei danni.
Uno stridio di ruote e un botto, seguiti da vari imprecazioni, gli diede ragione, e anche Anna gli confermò che una delle carrozze si era schiantata contro un edificio; altri colpi di pistola, tuttavia, significava che l’altra era ancora integra, coi Templari superstiti sempre più decisi a raggiungerli.
- Quanto distano da noi?- chiese alla ragazza.
Anna si sporse appena, tentando di capire quanti metri li separassero: - Credo venti metri, non so. Non si capisce con questo buio!-
Jacob imboccò una curva, mentre il suo cervello pensava ad una soluzione per seminare definitivamente i Templari, quando notò un carretto contenente un enorme mucchio di foglie, sul bordo della strada. Era l’occasione perfetta.
- Al mio segnale saltiamo!- annunciò alla ragazza, che non riuscì a trattenere un’espressione terrorizzata.
- Sei impazzito?! Mi è già bastato il tetto!- protestò lei, ma non poté fare altrimenti: senza nemmeno avvisarla, Jacob la afferrò per la vita e insieme si lanciarono sul loro obiettivo.
Anna riuscì per miracolo a non gridare, mentre atterrava in mezzo alle foglie sul petto di Jacob.
Rimasero in attesa, in silenzio, finché non sentirono la carrozza dei Templari continuare la sua folle corsa nella notte londinese.
- Tutto bene?- chiese la ragazza, una volta recuperato il fiato.
- Abbastanza… Mi sa che mi sono preso una bella botta alla schiena- mugugnò Jacob, sotto di lei.
- Le tue soluzioni prevedono spesso il rischio di romperti l’osso del collo?- chiese ironica.
- Solo quando devo fare colpo su qualcuno…- replicò con altrettanta ironia.
I due rimasero in silenzio, poi scoppiarono a ridere, per quanto sommessamente. Anna pensò come fosse incredibile che Jacob riuscisse a trovare un motivo per farla sorridere nonostante la loro rocambolesca fuga.
Stava ancora ridendo, quando sentì la mano di Jacob vicino al suo orecchio, mentre le toglieva una foglia dai capelli; e fu solo in quel momento che notò quanto i loro volti fossero vicini.
- Forse… dovremmo andare- mormorò la ragazza sentendosi arrossire le guance.
Jacob le spostò una ciocca dal viso, continuando a guardarla negli occhi: - Temo proprio di sì.-
 
Proseguirono a piedi, fortunatamente senza più incontrare Templari. Anna non riusciva a capire come fossero riusciti a sapere della loro missione: - L’unico a cui ho chiesto informazioni è stato padre Johnson, ma mi conosce fin da quando sono nata! Non avrebbe mai rivelato queste cose ai Templari!-
Jacob rifletteva: - Forse è stato obbligato. Ad ogni modo, direi che è stata una missione produttiva. Oh, eccoci arrivati a casa tua.-
Come all’andata, l’uomo si assicurò che in strada non ci fosse nessuno, quindi aiutò Anna a scavalcare il muretto. Andarono verso il retro della casa e Jacob sparò il suo lancia corda sul davanzale della finestra, portandosi con sé la giovane.
Anna aprì la finestra lasciata precedentemente socchiusa e finalmente ritornò in camera sua. Si tolse il cappello e la borsa, nel mentre che Jacob la raggiungeva.
- Sono proprio curioso di vedere cosa c’è dentro- bisbigliò, osservando la ragazza mentre estraeva la scatola e la apriva delicatamente: alcuni involti di stoffa avvolgevano un oggetto lungo e stretto, che si rivelò alla fine essere un pugnale di foggia vichinga.
- È stupendo…- sussurrò Anna, girandosi l’arma tra le mani: lungo quanto il suo avambraccio, sulla lama presentava alcune scritte in runico e delle misteriose scanalature all’apparenza irregolari.
- Vedrò di capirci qualcosa, ci rivedremo non appena avrò novità- promise Anna, sempre bisbigliando.
- Aspetterò un tuo messaggio, allora- replicò Jacob, quindi si diresse alla finestra per andarsene.
- Alla prossima, Anna. E buonanotte- disse l’uomo con un piede già oltre la finestra.
Anna gli si avvicinò e, timidamente, gli baciò la guancia: - Buonanotte Jacob, e grazie per avermi aiutato- mormorò.
L’uomo rimase un attimo interdetto, ma un secondo dopo un enorme sorriso gli illuminò il volto. Si calò dalla finestra e superò di nuovo il muro di recinzione, poi salutò un’ultima volta la ragazza e si incamminò in direzione di Charing Cross, canticchiando fra sé e sé.
 
Dopo tutte quelle emozioni, Anna sentì tutta la stanchezza e la tensione accumulate appesantirle il corpo. Trattenendo alcuni sbadigli, si spogliò degli abiti del padre e li nascose nel suo armadio insieme al pugnale norreno, poi indossò velocemente la camicia da notte e si infilò sotto le coperte, godendosi finalmente un buon sonno ristoratore.
 
Anna correva nella foresta, impaziente di ritrovare Eivor. Giunse al solito posto nella radura e lì vide la norrena che la aspettava.
- Vedo che sei riuscita a trovare il pugnale- commentò la guerriera con aria soddisfatta.
Anna si lasciò scappare una risata: - Credo che quella sia stata la parte più facile della missione che mi hai affidato.-
Anche Eivor rise di gusto: - Synin mi ha riferito tutto. Quel Jacob è veramente incredibile, non trovi?- le chiese, punzecchiandola.
Persino nel mondo dei sogni Anna sentì le guance diventarle rosse d’imbarazzo, e tentò quindi di cambiare argomento: - Come hai conosciuto Erke e Stowe?-
Eivor divenne malinconica, quindi iniziò a raccontare: - Mi ero recata a Lunden per trattare un’alleanza con il governatore Tryggr. Alle porte della città incontrai Stowe alle prese con alcuni balordi che se la stavano prendendo con dei civili inermi, e aiutai l’intendente a dar loro una bella lezione. Purtroppo, più tardi scoprimmo il vile assassinio del governatore da parte dell’Ordine degli Antichi, e sul luogo dell’omicidio incontrai Erke già intento ad indagare. Per fartela breve, uccisi i responsabili e liberai la città dalle grinfie degli Antichi anche grazie a loro.-
Le fece segno di seguirla, ed Eivor guidò la ragazza verso alcune rocce, dove i fantasmi dei due intendenti chiacchieravano amabilmente tra loro.
- Furono alleati fedeli, anche se misi alla prova più di una volta il povero Stowe. Ma Erke era sempre insieme a lui, a sostenerlo con il suo amore.-
Anna fece un’espressione sorpresa, ma la norrena la anticipò: - So cosa pensa la tua religione sull’amore tra due persone dello stesso sesso, e lasciami dire che reputo questa cosa una totale idiozia. Dimmi, tu consideri più immorale due uomini che si amano o schiavizzare dei bambini in fabbriche che vanno a fuoco?-
Il silenzio della ragazza fu una risposta più che sufficiente, ed Eivor continuò a raccontare: - Dopo molti anni, quando Alfred era già diventato re degli anglo-sassoni, affidai a Erke e Stowe la custodia di un oggetto molto prezioso, che può essere trovato grazie a un pugnale che diedi loro. Lo stesso pugnale che hai trovato stanotte.-
- Che cosa gli affidasti?- chiese Anna incuriosita, ma un improvviso banco di nebbia investì le due donne, e la ragazza non riuscì più a vedere la guerriera.
- Pazienza, mia giovane sapiente. Quando sarà il tempo giusto, saprai tutto…- le rispose la voce lontana di Eivor, prima che sparisse nel nulla.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


- Hai finito di guardarti allo specchio?- chiese Evie.
Jacob finì di pettinarsi i capelli, stirò per bene il colletto della camicia e raddrizzò il bavero della giacca: - E dai Evie, mi stavo solo sistemando! Devo vedere miss Wilson per la faccenda del pugnale- si giustificò il fratello.
Evie non riuscì a trattenere un sorriso: - Sei sicuro? Perché da come ti stai comportando sembri un ragazzino al suo primo appuntamento.-
Jacob mugugnò un lamento e le diede una pacca sulla spalla, quindi indossò il suo cappello e uscì dal vagone: - Ci vediamo alle sei!- disse salutando.
- Poi voglio sapere tutto, Romeo!- ricambiò la sorella prendendolo in giro.
 
*****
- Allora, adesso mi puoi dire dove stiamo andando?- chiese Anna.
- Te l’ho detto, è una sorpresa. Piuttosto, hai portato i libri che ti ho detto?- domandò invece Jacob, e la ragazza gli mostrò i due volumi nella sua borsa.
- Non capisco cosa c’entri con questa nostra passeggiata, o con il pugnale che abbiamo trovato. Ti ho detto che, purtroppo, oltre a quelle strane scanalature non ho scoperto niente di interessante- borbottò Anna, non riuscendo a nascondere la sua delusione.
- Infatti, non c’azzecca assolutamente nulla…- replicò Jacob, guadagnandosi un’occhiata perplessa dalla giovane.
Dopo circa cinque minuti, la coppia giunse finalmente alla meta, fermandosi davanti a un pub nella zona di Strand.
- Eccoci arrivati! Qui ho dato appuntamento a due miei amici, Charlie e Charlie- disse Jacob sorridendo.
Anna lo guardò confusa: - Charlie e Charlie? E chi sarebbero? Due gemelli con genitori poco fantasiosi?- chiese scombussolata.
L’uomo rise, quindi fece segno alla ragazza di seguirlo dentro il pub: due uomini piuttosto anziani notarono Jacob e si avvicinarono a lui salutandolo, mentre Anna spalancò gli occhi dallo stupore.
- Ma loro… voi siete…- balbettò emozionata.
- Esatto. Miss Wilson, ho l’onore e il piacere di presentarti i signori Charles Dickens e Charles Darwin. Signori, lei è la mia amica Anna Wilson.-
Dickens e Darwin la salutarono cordialmente, ma Anna era così emozionata che non sapeva che fare: - Io… io non so cosa dire. È… è un grande onore fare la vostra conoscenza- riuscì a dire senza smettere di sorridere.
- Non scusatevi, signorina. L’onore è nostro, nel vedere una giovane donna così appassionata agli scritti di due vecchi come noi- scherzò Darwin.
- E il nostro amico Frye ci ha riferito che gradireste enormemente i nostri autografi. Avete per caso dei nostri lavori?- chiese Dickens, tirando fuori una penna dal taschino.
 
Jacob stava bevendo una birra, mentre osservava Anna impegnata in una conversazione dotta con Darwin: aveva origliato qualche frase, qualcosa sull’evoluzione del linguaggio come fattore dell’evoluzione dell’uomo, ma il suo sguardo era sempre sul sorriso della ragazza.
Dickens lo raggiunse e si mise al suo fianco: - Non c’è niente di meglio che rendere felice una persona a cui si tiene, non trovate?-
L’uomo sorrise e annuì: - A chi lo dite…-
- E le direte mai cosa provate per lei?- chiese Dickens.
Jacob sputò la birra che stava per bere, stupito dalla domanda dello scrittore.
- È solo un’amica, Charlie. Volevo soltanto farle una sorpresa, tutto qui- replicò.
Dickens gli diede una pacca amichevole, sorridendo sotto i baffi: - A volte il confine tra sentimenti è più sottile di quanto pensiamo, amico mio. Due sponde che sembrano distare chilometri, invece, possono essere superate da un semplice passo: non è tanto la distanza, quanto la volontà- disse enigmatico, per poi unirsi a Darwin e ad Anna nella loro conversazione.
Jacob li osservò pensieroso e, per la prima volta in vita sua, indeciso sul da farsi.
 
*****
Più tardi, Anna e Jacob si godevano la città di Londra da sopra il tetto di una palazzina. Davanti a loro il palazzo di Westminster si stagliava in tutta la sua magnificenza, mentre il Big Ben annunciava il passare del tempo con i rintocchi delle sue campane.
Anna ascoltava con interesse la storia che le stava raccontando Jacob, riguardante una delle sue avventure: -... e solo in quel momento, quando il povero piccolo Desmond era sano e salvo tra le mie braccia, mi viene in mente che avevo lasciato la signora Disraeli da sola in uno dei pub peggiori di tutta la città.-
Sul volto della giovane apparve un’espressione sbigottita: - Oh Dio… e poi?-
Jacob assunse un tono melodrammatico: - E allora percorro tutta la strada di corsa, temendo chissà quali disgrazie… per ritrovarmi la signora discutere amabilmente con un bruto dei Blighters, a proposito del suo affetto verso il padre e altre menate simili.-
Anna non riuscì a trattenere una risata divertita: - Chi l’avrebbe mai detto che la moglie del primo ministro fosse così avventurosa!-
- Almeno quella è stata une delle missioni più semplici e senza conseguenze che abbia fatto…- borbottò l’uomo.
La giovane lo guardò incuriosita, e l’Assassino si liberò del suo peso: - Ricordo ancora le ramanzine di Evie: “Jacob, ora che hai ucciso Elliotson a Lambeth circolano medicinali scadenti!”; “Jacob, mentre tu ammazzavi Twopenny qualcuno ha rubato le matrici dalla Banca d’Inghilterra e abbiamo quasi rischiato una crisi economica!”; “Jacob, sai qualcosa dell’incendio all’Alhambra per caso?”; e via dicendo. Come se fosse papà…- raccontò.
Anna notò la tristezza della sua voce: - Non andavi d’accordo con lui?- domandò.
Jacob rise amaramente: - “Non andare d’accordo” è un eufemismo per descrivere il nostro rapporto… Tutte quelle regole che ci imponeva sin da bambini, tutti quegli obblighi verso la Confraternita, erano come delle catene che mi soffocavano. E quando guardava me e mia sorella, capivi già dal suo sguardo cosa pensava di noi: Evie era la figlia e l’Assassina perfetta, e io, con la mia nascita… il responsabile della morte di mamma…-
L’uomo osservava un punto indefinito del cielo, mentre raccontava senza emozioni, quando avvertì la mano di Anna poggiarsi sulla sua spalla per confortarlo. Si girò verso di lei e vide il suo sguardo triste.
- Mi dispiace tanto, Jacob…- mormorò.
L’Assassino accennò a un sorriso, sovrapponendo la sua mano a quella della ragazza: - Tranquilla Anna, ormai è passato. E in fondo, se adesso sono qui è anche grazie a lui.-
 
La ragazza osservò Jacob, notando che nonostante le sue parole aveva lo stesso uno sguardo malinconico. Agì d’istinto, senza pensarci: poggiò la testa sul suo petto e lo strinse in un abbraccio, cogliendo l’Assassino di sorpresa.
Lentamente, le braccia di Jacob avvolsero il suo corpo, ricambiando il suo gesto di affetto. L’uomo chiuse gli occhi, godendosi il momento e sentendosi il cuore più leggero dai suoi dolori.
- Grazie Anna. Ne avevo bisogno- mormorò.
La giovane sorrise, mentre si sentiva le guance arrossire per l’ennesima volta. Perché Jacob le faceva sempre quell’effetto?
Non sapeva quanto tempo fossero rimasti insieme, se pochi secondi o qualche minuto, ma ad un certo punto Jacob sciolse l’abbraccio e la guardò dritta negli occhi: - Ti sei mai chiesta cosa sarebbe successo se non ci fossimo mai incontrati?- le chiese.
- Probabilmente la mia vita sarebbe stata più tranquilla, ma credo anche più noiosa- rispose la ragazza, dopo averci pensato un attimo.
- Da quando ti ho conosciuto, ho scoperto così tante cose che ignoravo del nostro mondo… E per questo ti ringrazio, Jacob- aggiunse, voltandosi verso di lui.
L’uomo la guardò dolcemente, perdendosi nei suoi occhi azzurri. Avvicinò la mano al suo volto, spostandole una ciocca, e le accarezzò la guancia.
- Io, invece, non avrei mai conosciuto la ragazza più bella, intelligente e coraggiosa di tutta Londra…- sussurrò, prima di baciarla sulla bocca.
Anna si lasciò scappare un sospiro, mentre si godeva il bacio con Jacob. Chiuse gli occhi, assaporando la morbidezza delle sue labbra e portando le mani sul viso dell’uomo e poi dietro la nuca, affondando le dita nella sua chioma castana.
Jacob approfondì il bacio, non incontrando resistenze da parte della giovane, e la tirò a sé stringendola fra le sue braccia, in un gesto d’amore.
In quel momento non sentivano più i rumori della città o le voci delle persone, non c’era più nessun Templare da fermare o manufatto vichingo da investigare; soltanto loro due, quel bacio e i loro sentimenti.
Anna avrebbe voluto che il tempo si fermasse, facendo durare per sempre quello che sembrava un bellissimo sogno, ma un pensiero duro come un macigno e letale come una pugnalata la riportò alla realtà.
Si staccò bruscamente da Jacob, con le labbra ancora rosse dal bacio con l’Assassino, ma il suo volto era sconvolto.
- Jacob, mi dispiace… non posso…- disse a bassa voce, respirando a fatica per l’ansia improvvisa.
L’uomo rimase in silenzio, confuso. Scosse la testa, temendo il peggio: - Che cosa vuoi dire?- si costrinse a chiedere, mentre cominciava a sentire un peso al petto.
Anna evitava il suo sguardo, cercando di trattenere le lacrime: - Tra un mese mi sposo. Mi dispiace Jacob, mi dispiace così tanto… Non avrei dovuto illuderti.-
Le mani di Jacob si mossero veloci e silenti, prendendola per il viso e costringendola a guardare in faccia l’Assassino; sul volto dell’uomo si mischiavano infinite emozioni, dalla tristezza alla rabbia, dall’incomprensione alla speranza.
- Allora dimmelo in faccia, dimmelo che sono stato solo un passatempo! Dimmelo che in realtà ami quel pomposo damerino!- la implorò Jacob.
Calde lacrime di dolore scesero dagli occhi di Anna, mentre distoglieva lo sguardo dal volto disperato dell’uomo: - Ti prego, Jacob. Riportami a casa…- mormorò a malapena.
Con un groppo in gola, Jacob lasciò il viso della ragazza. La aiutò a scendere dal tetto e si guardò intorno, in cerca di una carrozza.
Ne chiamò una e, una volta fermatasi, aprì la portiera e diede alcune sterline ad Anna.
- Vi offro la corsa, miss Wilson- disse in tono piatto.
La giovane notò come Jacob avesse usato un tono più formale e freddo. Ringraziò l’uomo e accettò il suo aiuto nel salire il predellino, quando sentì Jacob trattenerla per la mano.
Lo guardò in faccia, vedendo l’amarezza del suo sguardo. L’Assassino le accarezzò la mano, per poi portarsela alle labbra e baciarle il palmo; Anna ricambiò quell’ultimo gesto d’affetto, accarezzandogli la guancia.
- Addio, Anna Wilson. Vi auguro ogni bene- disse Jacob, una volta che la ragazza si era accomodata nella carrozza.
- Addio, Jacob Frye…- ricambiò lei, per poi dire al cocchiere la sua destinazione e partire.
Finché le fu possibile, osservò la figura dell’Assassino sulla strada allontanarsi sempre di più, prima di sparire dopo un curva. E fu in quel momento che Anna scoppiò a piangere per il dolore che sentiva nel petto.
 
*****
Il cielo si era improvvisamente annuvolato, annunciando la pioggia imminente, ma Jacob non ci fece caso.
Fece tutta la strada del ritorno a piedi con le prime gocce che bagnavano le strade, raggiungendo infine la stazione di Charing Cross.
Salì sul treno e si diresse al vagone che fungeva da camera sua senza prestare attenzione a nulla o nessuno.
- Eccoti finalmente! Com’è andata?- chiese Evie distratta, rimanendo sorpresa dal non udire risposta.
Invece della voce di suo fratello, sentì la porta del vagone sbattere violentemente e un doppio giro di chiavi nella serratura.
Preoccupata da quella reazione, Evie si diresse alla porta e tentò di aprirla, ma senza esito: - Jacob, cos’è successo?- chiese, ma non ricevette alcuna risposta.
La giovane provò di nuovo a farsi aprire, quando Henry le si avvicinò e la fece desistere: - Lasciagli tempo. Vedrai che quando sarà pronto cercherà il tuo conforto- le consigliò, anche lui visibilmente preoccupato per le condizioni del suo amico.
 
Nel suo vagone, Jacob si tolse la giacca e il cappello, abbandonandoli a terra. Si slacciò gli stivali e li buttò a caso in qualche angolo della carrozza, e finalmente si sdraiò sul letto.
Si rigirò più e più volte, mentre nella sua testa rivedeva la scena di poco tempo prima: Anna che ricambiava il bacio, la realizzazione di quello che stava succedendo, le sue lacrime, il loro ultimo commiato…
Prese dalla tasca del panciotto il fazzoletto che gli aveva donato il giorno dell’incendio alla fabbrica. Se lo passò tra le mani, osservando i ricami che ormai aveva imparato a memoria e le iniziali color lilla della giovane, per poi portarselo alle labbra, mentre lacrime amare bagnavano il suo cuscino.
 
*****
Anna varcò la porta di casa quando la pioggia stava già cadendo dal cielo plumbeo di Londra. Sua madre disse qualcosa, ma lei non sentiva nulla; lo sguardo vuoto, la mente annebbiata, il peso al cuore erano le uniche cose che percepiva in quel momento.
Salì al piano superiore ed entrò in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle. Si avvicinò allo scrittoio per lasciare la borsa, quando notò il topolino meccanico che le aveva regalato Jacob. Lo prese in mano, accarezzandolo come se fosse stato vero, e altre lacrime le scivolarono sulle guance.
Si raggomitolò sul suo letto, stringendo il regalo dell’uomo in grembo, soffocando i suoi singhiozzi nel cuscino.
“Perché? Perché tutto questo?” erano le uniche parole nella sua testa; il sorriso di Jacob, seguito dal suo sguardo disperato, le uniche immagini che le proiettava la mente.
Sentì un peso sul letto. Alzò un poco la testa per notare la porta che si chiudeva appena, e gli occhi azzurri di Freya fissarla con attenzione.
- Oh Freya, che cosa ho fatto?- pianse, stringendo a sé la gatta e sentendo le sue fusa contro il petto.
- Mi sento così confusa, così male dentro… non so cosa fare- singhiozzò, accarezzandola sulla schiena.
Chiuse gli occhi e rivolse una preghiera silenziosa: “Eivor, ti prego. Aiutami…”, confidando in un insperato consiglio della norrena, ma i suoi lamenti soffocati furono l’unica risposta che ottenne.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Il mattino seguente la famiglia Wilson si trovava nella bottega del sarto di fiducia della signora Fitzwilliam.
- Non vedo l’ora di vederla con l’abito addosso!- chiocciò quest’ultima emozionata, ricambiata dal sorriso di Mary Jane.
Solo un attimo di attesa, e Anna uscì da dietro un paravento, accompagnata dall’assistente del sarto, per poi salire su un piccolo piedistallo davanti allo specchio.
Indossava un ampio abito di cotone bianco, con fiori di pizzo sul bordo esterno; il corpetto stretto le faceva risaltare il punto vita, dal quale partiva uno strato di seta decorato con altri fiori di pizzo; uno scollo tondeggiante faceva intravvedere appena le clavicole, e le maniche a sbuffo completavano il vestito.
Sua madre, la signora Fitzwilliam, persino Theo e Lottie non riuscirono a trattenere un’espressione meravigliata.
- Sei bellissima, Anna- si complimentò il fratello.
La giovane lo ringraziò in silenzio con un cenno della testa, mentre il sarto e la sua assistente sistemavano alcuni punti. Mary Jane si avvicinò alla figlia e le porse una collana molto semplice, ma con al centro un prezioso ciondolo in oro e zaffiro.
- Questa collana fa parte della mia famiglia da quattro generazioni, Anna, ed è indossata soltanto per questa occasione. Sono così felice che finalmente puoi metterla anche tu- le spiegò fiera, mentre gliela allacciava dietro il collo.
La prese per mano, facendole guardare il proprio riflesso allo specchio: - Già mi immagino il giorno del matrimonio: le campane a festa, gli invitati da una parte all’altra della chiesa. E poi tuo padre che ti accompagna fino all’altare, dove il tuo caro Richard ti attende felice. Non vedo l’ora che arrivi il tuo grande giorno, bambina mia- disse commossa.
Anna si guardò allo specchio, immaginando tutte le scene che le descriveva sua madre; all’altare, tuttavia, non c’era Richard ad aspettarla, ma Jacob.
- Sì, certo, io… Scusatemi- mormorò, mentre tentava di asciugarsi le lacrime.
- Oh, che dolce! Si è commossa solo al pensiero!- piagnucolò estasiata la signora Fitzwilliam, soffiandosi rumorosamente il naso.
Theo si alzò per abbracciare la sorella, intanto che la madre le allungava un fazzoletto. Solo Charlotte si accorse che quelle non erano lacrime di felicità, ma di tristezza.
 
Il pomeriggio, dopo aver pranzato, Anna si trovava in camera sua a leggere un libro. O almeno tentava, visto che la sua mente era ancora rimasta al negozio del sarto e allo scherzo che le aveva fatto la sua immaginazione.
Stava fissando la stessa pagina da un tempo indefinito, quando sentì la porta di camera sua aprirsi e chiudersi velocemente, e vide sua sorella Charlotte guardarla con determinazione.
- Noi due dobbiamo parlare- sbottò, per poi sedersi sul bordo del letto.
Anna la guardò perplessa: - Non dovresti essere al piano, a esercitarti con Theo?-
Lottie si lasciò scappare un sorrisetto: - Gli ho promesso la mia parte di dolce di stasera, se fosse riuscito a tenere impegnata mamma il tempo che ci serve. E ora- aggiunse, togliendole il libro dalle mani - tu mi spiegherai perché hai quella faccia da funerale da quando sei tornata ieri sera.-
- Ti prego, Lottie, non mi va di parlarne. È una cosa che riguarda solo me- borbottò, dando le spalle alla sorella.
Udì i suoi passi, e poco dopo Charlotte la stava guardando in faccia: - E invece no. Perché se mamma ormai pensa solo al tuo matrimonio con mister “Mutande d’oro”, io e Theo ci preoccupiamo per te. Perché qualcosa ti sta turbando, Anna. Voglio solo aiutarti- la pregò la sorella.
La giovane osservò il suo volto preoccupato, quindi le fece spazio sul letto per permetterle di sedersi al suo fianco.
Si raccolse le ginocchia al petto, ancora titubante, mentre Charlotte aspettava con pazienza.
- Ricordi il mazzo di fiori di qualche tempo fa?- le chiese, e la sorella annuì.
- Devi sapere che… mi ero già vista con Jacob prima, più di una volta. Quel giorno, quando ero per strada, l’ho incontrato ancora. Ero arrabbiata per una cosa che era successa, ma poi ha fatto qualcosa di così valoroso che cambiai idea su di lui. E dopo quell’episodio… ci siamo incontrati ancora, l’ultima volta proprio ieri.-
Charlotte si meravigliò del suo racconto: - E così hai frequentato Jacob Frye, disobbedendo agli ordini di mamma?! Anna, non ti facevo così audace!- scherzò.
La ragazza accennò un sorriso, ma durò soltanto un secondo, ritornando immediatamente seria: - Ecco, ieri è successa… una cosa. Io, cioè lui… insomma…- farfugliò, cominciando a diventare rossa.
La sorella la osservava con interesse, in attesa che completasse la frase.
Anna inspirò profondamente, e in un sussurro si confidò con Lottie: - Noi… ci siamo baciati.-
Charlotte si mise le mani alla bocca, trattenendo un urletto, mentre i suoi occhi si spalancarono dalla meraviglia: - Oh mio Dio!!! Vi siete baciati?! Oddio! È così romantico!!- squittì emozionata.
- No, Lottie! È sbagliato! Non avrei dovuto cedere e…-
Anna si sentì afferrare per le spalle e si ritrovò faccia a faccia con l’espressione incredula della sorella.
La fissò, in un silenzio carico di tensione, finché non sbottò: - Ma sei seria?! Vuoi dirmi che preferisci un tipo noioso come Richard a un gran pezzo d’uomo come Jacob Frye?! Se non volevi avere niente a che fare con lui, perché hai continuato a vederlo?-
- Mi ha aiutato con alcune cose di papà, e…- provò a giustificarsi Anna, ma venne zittita dalla sorella.
- Solo per quello?! Anche la gita notturna di qualche giorno fa?-
La giovane impallidì: - Come lo sai?-
- Ho il sonno leggero, dovresti saperlo. E ho visto che lo hai baciato sulla guancia prima che se ne andasse! E giusto per dire, è qualcosa che non hai mai fatto con Richard! Dovrà pur significare qualcosa, no?-
Anna abbassò lo sguardo, colpita dalle parole di Charlotte.
Cosa significava Jacob, per lei?
Rimase in silenzio, persa nei suoi pensieri. Come si sentiva quando era con Richard? In un rapporto perfetto, educato, da matrimonio ideale; ma per nulla coinvolgente, da manuale. Vuoto.
Come si sentiva, invece, con Jacob? Si sentiva tirata in ballo, attiva, richiesta. Rispettata, al sicuro. Desiderata.
- Io… amo Jacob- confessò infine.
Lottie le sorrise e l’abbracciò: - Sono così felice per te, Anna.-
La giovane ricambiò l’affetto della sorella, ma continuava ad avere un’espressione affranta: - Ma non posso rompere il fidanzamento senza scatenare un putiferio! Come la prenderebbe mamma?-
Charlotte sospirò: - Pensa a te stessa, per una volta. Non lo so, ma ci dev’essere un modo. Potremmo chiedere ai Frye di indagare su eventuali segreti o scandali, qualcosa di simile…-
La porta si aprì all’improvviso, spalancata da Theo. Aveva un enorme sorriso in volto e gli occhi brillavano di felicità: - Papà è tornato!-
 
I tre fratelli Wilson corsero giù per le scale, precipitandosi al piano terra.
Un uomo molto alto e robusto, con barba folta e piccoli occhiali tondi, stava sistemando i suoi bagagli con l’aiuto di Margareth e di Mary Jane.
Sentì i passi e alzò lo sguardo, sorridendo alla vista dei tre ragazzi.
- Ah, passerotti miei! Mi siete mancati tantissimo!- li salutò Harold Wilson, allargando le braccia.
Theo fu il primo a raggiungerlo e a saltargli al collo, seguito da Charlotte. Il professore strinse a sé i figli più piccoli, godendosi il loro affetto dopo tanti mesi di lontananza.
Anna sorrise alla scena, mentre Theo e Lottie tempestavano di domande il padre sui suoi ultimi scavi.
- Via ragazzi, lasciatelo riposare un po’- disse la ragazza.
- Perché non date un’occhiata alla mia valigia? Potreste trovare qualcosa di interessante…- suggerì Harold con un’occhiata complice. I due fratelli sorrisero emozionati per poi correre alla ricerca dei regali del padre,  sotto la supervisione della loro madre.
Una volta soli, anche Anna poté finalmente abbracciare suo padre: - Mi sei mancato tanto…-
- Anche tu, figliola. Soprattutto dopo le ultime novità che mi ha scritto tua madre- replicò, mostrandole la lettera speditagli dalla moglie poco dopo la proposta di Richard.
- Mi dirai tutto più tardi, con calma. Anche perché ho bisogno di parlarti di una cosa- aggiunse, aumentando ulteriormente il turbamento della figlia.
 
Durante la cena, Harold raccontò alla sua famiglia com’erano andati gli scavi: descrisse i reperti che la terra aveva restituito alla luce, facendo ipotesi sulla loro provenienza e sui loro possibili proprietari, e chiedendo ai figli di esporre le loro idee più o meno fantasiose.
Giunse l’ora, per i più giovani, di andare a dormire, ma Harold chiese alla figlia maggiore di trattenersi ancora per qualche minuto.
Si spostarono nel salotto, dove alcune tazze di camomilla li stavano già aspettando su un tavolino.
Harold si accomodò sulla poltrona, mentre Anna si sedette di fronte a lui. Il professore prese una tazza e bevve alcuni sorsi della bevanda fumante.
- Volevo chiederti una cosa, Anna. Per caso, durante la mia assenza, sei stata contattata da un certo Ethan Frye?- domandò l’uomo.
La giovane sospirò, immaginando che suo padre le avrebbe chiesto dell’Assassino. Anche lei attese qualche secondo, prima di rispondere, cercando di riordinare i suoi pensieri: - Ethan Frye è morto a gennaio, papà. Ho dato i tuoi appunti a suo figlio Jacob e al suo collaboratore indiano. E so chi sono e cosa fanno.-
Harold tossicchiò appena, a causa della camomilla andatagli di traverso. Sul suo volto era apparsa un’espressione sconvolta: - Come hai fatto? Come hai saputo degli…-
- Assassini e Templari, così come degli Occulti e dell’Ordine degli Antichi?- terminò Anna al suo posto, rendendo il volto del padre ancora più sconvolto.
Anna gli mostrò la cicatrice alla mano, proseguendo poi il discorso: - Non so perché, ma è partito tutto da questo e dalla tua lettera. All’improvviso mi si sono aperti nuovi mondi e ho scoperto nuove cose dai tuoi appunti. I Templari hanno provato più di una volta a rubarmi informazioni sul tuo lavoro, e se non fosse stato per Jacob Frye non oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere. Che cosa c’entri tu in tutto questo, papà? Perché i Templari ci stanno tormentando?-
Harold scosse la testa, avvilito: - Non avrei mai voluto coinvolgerti in tutto questo, figliola…-
Riempì nuovamente la tazza e bevve un lungo sorso, quasi per farsi coraggio.
- È iniziato tutto quattro anni fa, mentre mi trovavo a York per alcune ricerche. Stavo rientrando presso il mio alloggio quando venni circondato da alcuni uomini. Indossavano una specie di divisa scura, con una croce rossa sul braccio, e mi minacciarono di consegnare loro i miei appunti. Rifiutai e divennero violenti, e quando stavo per temere il peggio, un altro uomo arrivò in mio soccorso e li uccise uno dietro l’altro. Rimasi colpito dalla sua efficacia e spietatezza, ma non mi attaccò.-
Anna intervenne: - Era Ethan Frye, non è vero?-
Suo padre annuì: - Mi accennò un poco ai piani dei Templari, alla loro continua ricerca di alcuni manufatti noti come Frutti dell’Eden, appartenenti a una fantomatica Prima Civilizzazione. Stava tenendo d’occhio da un po’ di tempo il gruppo che mi aveva aggredito, scoprendo che avevano individuato l’esistenza di uno di quegli oggetti, ma che non avevano idea di cosa fosse o dove trovarlo. Ed è così che Ethan Frye mi propose un patto: in cambio della sua protezione, io avrei approfondito questo Frutto dell’Eden fino a trovarlo e ad affidarglielo.-
Il professore si alzò dalla poltrona, passeggiando per la sala: - Ma purtroppo, le mie ricerche non hanno avuto esito. Nei miei ultimi scavi vicino Leicester avevo trovato delle iscrizioni riguardo alcune armi leggendarie che credevo esistessero solo nelle storie: Mjölnir, Gungnir e molte altre. Mi diressi quindi a nord di Winchester, dove quasi mille anni fa le forze di Guthrum del Danelaw sconfissero gli uomini di re Alfred, nei cui pressi era descritta una grotta. La trovai e la esplorai, trovando misteriose strutture al suo interno, ma dentro non c’era nulla.-
Si avvicinò alla figlia, appoggiandole le mani sulle spalle in un gesto di affetto: - Con la morte del signor Frye, il nostro patto è ormai finito. Ed è giunto il momento, per ora, che mi occupi del presente e della mia famiglia. Grazie comunque per la tua disponibilità, Anna- le disse, prima di augurarle la buonanotte e di recarsi in camera sua.
 
Anna stava ancora pensando al racconto di suo padre, mentre si rigirava nel letto. Si chiedeva quale fosse l’oggetto leggendario che stava cercando, e pian piano cadde in un sonno profondo.
 
La giovane camminò nella foresta, ormai diventatale familiare. Giunse alla solita radura e notò Eivor che la stava già aspettando. A differenza delle altre volte, tuttavia, la norrena aveva un’espressione malinconica.
Prima che Anna potesse dire qualcosa, la guerriera le si avvicinò e la guardò in volto: - Come ti senti?- le chiese.
Anna abbassò gli occhi: - Affranta, Eivor. La mia testa mi dice di fare una cosa, ma il mio cuore mi indica un’altra via- mormorò intristita, stringendosi le braccia al petto.
Sentì la guerriera avvicinarsi ancora di più, e con sua grande sorpresa si ritrovò stretta in un abbraccio affettuoso.
- Ho visto cosa significa vivere un matrimonio senza amore. Tu sei ancora in tempo a cambiare il tuo destino, Anna. Devi solo prendere in mano la tua vita, così come ho fatto io tanti secoli fa- disse Eivor.
- Lo fai sembrare facile…- borbottò la ragazza.
Eivor ridacchiò. Si sciolse dall’abbraccio e guardò Anna dritta negli occhi: - So che ce la puoi fare, Anna. Hai affrontato imprese che non avresti minimamente immaginato di intraprendere. Sei cresciuta, hai imparato molto, ti sei innamorata. Proprio come me, figlia mia…-
La giovane aggrottò le sopracciglia, scossa dalle ultime parole della norrena: - Come mi hai chiamato?-
Eivor si sedette sull’erba, facendo cenno ad Anna di unirsi a lei. Guardò il cielo limpido, persa nei suoi ricordi passati: - Ti ho già raccontato di come, tanti anni fa, io e i miei alleati affrontammo gli uomini di Alfred nella battaglia di Chippenham. Fu una vittoria, ma pagammo un prezzo molto alto: Soma, Hjorr, Hunwald… non ho mai dimenticato il loro valore e la loro amicizia.-
- Alfred aveva subito una grossa disfatta, ma nella primavera dello stesso anno ci fu un’altra battaglia, che stavolta lo vide vincitore. Ancora oggi mi chiedo come sarebbe stato l’esito, se io avessi partecipato.-
Anna si incuriosì: - Perché non ti unisti ai tuoi guerrieri?-
La norrena sorrise e continuò il suo racconto: - Perché due lune prima avevo sposato il mio amato Vili, cocciuto e generoso come quando lo avevo conosciuto da bambina. E quella primavera portavo in grembo il nostro primo figlio, Rost, in onore di mia madre. E due anni dopo, quando Guthrum si era già convertito alla fede cristiana, arrivò Inghram. Rost e Inghram Vilisson. Ti suona famigliare?-
Anna rimase in silenzio, ragionando sulle ultime parole di Eivor.
Vilisson, figlio di Vili.
Passa il tempo, la lingua si evolve.
Vilson.
Cambia la pronuncia, ma la radice è sempre quella.
Wilson.
 
Sorpresa, stupore, meraviglia; Anna non sapeva come descrivere le sensazioni che stava vivendo in quel momento. Fissò la vichinga a bocca aperta, ammutolita da quella scoperta.
Eivor le sorrise: - Ora ho capito perché Synin ti ha scelto: perché nelle tue vene scorre il mio sangue. E perché devi mantenere il patto di tuo padre.-
Prima che Anna potesse chiederle qualcosa, Eivor si alzò e le fece cenno di seguirla. L’espressione amorevole di poco prima era stata sostituita da uno sguardo determinato.
Arrivarono a un cerchio di pietre, all’interno del quale si intravvedeva l’immagine di uno spadone.
- Ecco l’oggetto che cercava tuo padre: Caladfwlch, meglio conosciuta come Excalibur- spiegò.
Anna si lasciò scappare un sussulto: - La mitica spada di re Artù? È esistita davvero?-
Eivor annuì: - La trovai in una grotta dell’Hamtunscire e la portai con me nei miei viaggi. Fu un’arma formidabile, che mi servì per molti anni. Ma prima di partire per il mio ultimo viaggio nelle terre di Vinlandia decisi di nasconderla alla bramosia di uomini malvagi, che l’avrebbero potuta usare per i loro malefici intenti.-
- A Lunden, sotto il Tempio di Mitra, scoprii una camera segreta, chiusa da un meccanismo. Riuscii a decifrarlo, e decisi che sarebbe stato il nascondiglio dello spadone. In seguito io, Erke e Stowe costruimmo un’altra barriera, e affidai a loro la chiave per sbloccarla…-
- Il pugnale!- esclamò Anna, ottenendo un cenno soddisfatto di Eivor.
- I Templari vogliono trovare Excalibur per i loro piani di dominio. Tu devi impedirglielo, Anna. Cerca la spada tra le radici della casa dei corvi e nascondila. Nel momento del bisogno, io sarò con te- le spiegò Eivor, prima che un banco di nebbia calasse tra le due donne.
Allarmata, Anna corse in direzione della guerriera, sperando di trovarla: - Che cosa significa? Dov’è il Tempio di Mitra? Come faccio a trovarla?-
Le sue domande rimasero senza risposta, trasportate via da un vento freddo che non preannunciava nulla di buono.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Ormai era mattina inoltrata, ma Anna era ancora rinchiusa in camera sua nel tentativo di dare un senso alle parole di Eivor.
Era stata così presa dalla faccenda che aveva rifiutato di uscire con Charlotte e sua madre, col disappunto di quest’ultima. Suo padre, invece, ne aveva approfittato per rilassarsi in biblioteca insieme al figlio minore.
Davanti al suo scrittoio era stesa una mappa di Londra, e la giovane stava osservando ogni strada, ogni edificio, ragionando sulla posizione che potesse aver avuto il Tempio di Mitra.
Si concentrò, tentando di richiamare il dono di Eivor, ma stavolta i suoi occhi non videro nulla di differente dalla solita visuale.
“E va bene, vuol dire che me la caverò da sola.”
Ripensò ancora alle parole della guerriera: tra le radici della casa dei corvi.
Radici, il sostegno dell’albero. Qualcosa che sta in basso, sottoterra, nascosto. La spada, dunque, si trovava sotto le strade di Londra, come le aveva suggerito la norrena.
Mugugnò fra sé e sé: come era successo con la cattedrale di St. Paul, il tempio era stato abbattuto nel corso dei secoli, per abbandono, un disastro o per volere degli antichi inglesi. Ma dalle sue ceneri poteva essere nato qualcos’altro, che secolo dopo secolo era sopravvissuto alla Storia.
Poi i corvi, uccelli molto comuni in città. Così stranamente legati sia a Eivor che ai Rooks di Jacob.
Qual era il significato di “casa”? Sicuramente non un classico nido.
Doveva essere un luogo preciso, dove erano una caratteristica…
Scorse gli occhi sulla mappa, finché non si bloccò su un punto preciso.
- Ma certo!- esclamò, puntando il dito sulla Torre di Londra.
Emozionata dalla sua scoperta, Anna corse fuori da camera sua e si precipitò giù per le scale.
- Papà, papà! So dove si trova!- disse ad alta voce mentre scendeva.
Raggiunse suo padre in salotto, e si bloccò dall’orrore.
- Mi fa molto piacere saperlo, mia cara- replicò Richard, mentre puntava la pistola contro Harold Wilson.
 
Anna si avvicinò lentamente, notando tre Templari che tenevano sotto tiro Theo e Margareth.
- Che cosa significa tutto questo?-
Richard le rivolse un sorriso, stonando terribilmente con l’atmosfera piena di tensione che si era creata nella sala: - Vedete, cara Anna, stavo chiedendo a vostro padre di parlarmi dei suoi ultimi risultati. E quando gli ho chiesto qualcosa in particolare, si è stranamente rifiutato di dirmelo. È una situazione molto spiacevole, lo capisco, ma io e i miei amici avremmo tanto bisogno delle sue informazioni.-
Harold gli lanciò uno sguardo furioso: - Avete un bel coraggio a parlare così, signor Earnshaw, mentre minacciate me e la mia famiglia!-
Richard fece un cenno a uno dei Templari, che prese il suo posto davanti al professore, mentre il giovane si voltava verso Anna, la quale notò una spilla a forma di croce rossa sul bavero della sua giacca.
- Voi… voi siete un Templare!- esclamò Anna, sentendo la rabbia salirle dal petto.
L’uomo sollevò un sopracciglio, apparentemente sorpreso, ma in breve tempo riprese la sua espressione pacata: - Ah, bene. Sapete già. Per caso è stato quel farabutto di Frye a dirvi tutto? Ho saputo che lo avete visto spesso, in questi mesi. Che cosa disdicevole, mia cara Anna, frequentare un uomo che non sia il vostro fidanzato…- commentò con fare paternalistico.
- Come la vostra gita notturna a St. Paul, no? I miei amici non hanno affatto gradito il modo in cui vi siete fatti beffe di loro. Ma sono pronti a perdonarvi, se adesso venite con noi con ciò che avete trovato nella chiesa- aggiunse, rivolgendole la pistola contro.
Anna sussultò alla vista dell’arma. Guardò suo padre, notando l’incredulità del suo volto, per poi dirigere il suo sguardo su Theo.
- Ho bisogno dell’aiuto di mio fratello- disse, scagliando un’occhiata torva a Richard.
Quest’ultimo fece una smorfia e ordinò al Templare che lo teneva in ostaggio di rilasciare il ragazzino, che corse immediatamente tra le braccia della sorella.
- Vi do cinque minuti- intimò loro il Templare, quindi Anna portò Theo in camera sua.
 
Senza perdere tempo, Anna prese la scatola con il pugnale dei due intendenti, quindi si rivolse a suo fratello: - Ascoltami Theo, devi fare una cosa molto importante. Devi andare dai signori Frye alla stazione di Charing Cross e dirgli tutto quello che sta succedendo qui. Loro ci aiuteranno di sicuro.-
Il ragazzino impallidì, sconcertato dalla richiesta di sua sorella: - Anna, ti prego… Non ce la posso fare!-
La giovane si accovacciò e gli mise una mano sulla spalla per rassicurarlo: - Lo so che è difficile, ma sei la nostra unica speranza, Theo. So che ce la puoi fare, sei il più veloce della tua classe! E sappi che nelle tue vene scorre sangue vichingo.-
Per un attimo, gli occhi del ragazzino si riempirono di meraviglia: - Davvero? E come lo sai?-
Anna gli accarezzò i capelli con affetto: - Te lo dirò dopo, una volta che questa brutta faccenda sarà risolta. Mi raccomando Theo, devi dire ai Frye che saremo nei sotterranei della Torre di Londra. Sii forte, fratellino- gli disse infine, prima di stringerlo tra le sue braccia.
Quando ebbero sceso le scale, Anna e Theo videro i Templari intenti a uscire da casa loro insieme al padre, sempre puntandogli la pistola alla schiena.
Un Templare intimò la ragazza di seguirlo, sbarrando il passaggio al ragazzino.
- Non gli fate nemmeno salutare suo padre?- sbottò lei dura. Il Templare rifletté un attimo, quindi concesse a Theo di raggiungere il professore già sulla strada.
Anna osservò la carrozza davanti a casa sua, con lo sportello già aperto in attesa dei passeggeri.
Studiò i Templari e Richard, che si trovavano di fronte a suo padre intento ad abbracciare suo figlio; la strada verso la stazione era libera. Era l’occasione perfetta.
Si avvicinò a suo padre, posizionandosi al suo fianco per ostruire il passaggio, e diede un’ultima occhiata di incoraggiamento al fratello.
- Ora possiamo andare, signor Earnshaw- disse in tono piatto.
Richard stortò la bocca in una specie di ghigno: - Via, non c’è bisogno di questa freddezza. Vedrete che una volta che avremo risolto tutto mi ringrazierete di avervi reso partecipi di…! -
- Ehi, il moccioso sta scappando!- gridò un Templare.
Approfittando delle chiacchiere degli adulti, Theo si era silenziosamente allontanato, e in quel momento stava correndo lungo il marciapiede.
Due Templari tentarono di inseguirlo, ma Harold Wilson fu più veloce di loro: non fecero in tempo a superare il professore che quest’ultimo li afferrò per la collottola e, sollevandoli appena da terra, li fece sbattere uno contro la testa dell’altro, facendogli perdere conoscenza.
- Non osate fare del male a mio figlio!- gridò, ma sentì nuovamente la pistola di Richard contro la schiena.
- Salite immediatamente in carrozza!- abbaiò, mentre fece un cenno all’ultimo Templare di inseguire Theo.
Anna cercò di fermarlo, ma venne afferrata violentemente da Richard, che la spinse dentro il veicolo. Caricò uno dei Templari svenuti dentro la carrozza, l’altro invece in cassetta vicino al cocchiere, a cui diede l’ordine di partire per la Torre di Londra.
Entrò in carrozza, che partì immediatamente, e rivolse un’occhiata crudele ad Anna: - Non crediate di riuscire a fermarci, mia cara. Quel moccioso non riuscirà mai a chiamare i soccorsi…- ghignò.
La giovane distolse lo sguardo e guardò fuori dal finestrino, pregando che Theo arrivasse sano e salvo a Charing Cross.
 
Theo si fermò un attimo a riprendere fiato. Si guardò intorno, cercando di orientarsi, ma vide con orrore che uno dei Templari lo stava inseguendo.
Riprese a correre, mischiandosi tra la folla che si accalcava per le vie di Londra, mentre il Templare sbraitava e imprecava dietro di lui.
Svoltò in vie secondarie, scavalcò muretti e raggiunse St. James’s Square, facendo perdere le sue tracce all’interno del parco.
Con enorme sollievo, vide il suo inseguitore proseguire per un’altra via, quindi uscì da dietro un cespuglio e si diresse nuovamente sulla strada per ritrovare l’orientamento.
Si stava guardando intorno, quando udì il richiamo di una coppia che stava fermando una carrozza pubblica.
- Charing Cross, per favore!- esclamò l’uomo mentre osservava preoccupato l’orologio.
“È la mia occasione!” pensò il ragazzino, avvicinandosi cautamente al mezzo.
Approfittando della distrazione dell’uomo, che stava aiutando la sua signora a salire, Theo raggiunse furtivamente la carrozza e si arrampicò sul portabagagli posizionato sul retro.
L’uomo guardò un’ultima volta l’orologio, promettendo al cocchiere un extra se li avesse portati in stazione entro cinque minuti; il postiglione fu più che lieto di esaudire la sua richiesta, e spronò i cavalli con la sua lunga frusta, facendo partire finalmente la vettura.
Assicurato al suo appiglio, Theo si lasciò scappare un sospiro di sollievo, ma non permise a quel piccolo trionfo di offuscare il suo obiettivo: doveva avvertire i Frye il prima possibile.
 
*****
Evie si trovava per l’ennesima volta davanti alla porta che portava al vagone di Jacob. Era ormai due giorni che non lo vedeva, da quando era ritornato dal suo appuntamento con Anna Wilson.
Aveva discusso con Henry su cosa potesse essere successo, e l’Assassino indiano le aveva confessato il sospetto che tra i due ci fosse del tenero.
Evie scosse la testa, quindi bussò alla porta: - Jacob, posso entrare?-
Nessuna risposta, ma stavolta la porta era aperta. Inspirò, quindi entrò nel vagone di suo fratello.
 
La giovane studiò l’interno del vagone. Cercò Jacob e lo vide sdraiato sul divano, mentre le dava le spalle.
Si avvicinò, osservando un paio di bottiglie vuote vicino a lui. Scosse la testa e lo guardò in faccia, constatando la sua espressione vuota, persa in chissà quali pensieri.
- Spero che tu non abbia passato questi giorni solo a bere- sospirò, sedendosi dall’altra parte del divano.
- Tranquilla, sorellina. Ho trovato anche il tempo per autocommiserarmi un po’…- replicò lui, accennando un sorriso mesto.
Evie lo guardò con apprensione: - Ascolta Jacob, mi stai facendo preoccupare. Sei chiuso qua dentro da due giorni, senza avermi detto il perché del tuo stato. Mi puoi dire cosa è successo?-
Jacob chiuse gli occhi, abbassandosi il cappello sul volto: - E perché? Tanto stavolta non puoi risolvere nulla…- replicò con malinconia.
Evie restò turbata dalle parole di suo fratello: le vennero in mente tutte le volte che il loro padre lo spediva in camera sua come punizione per qualche guaio che aveva combinato, e di come lei vi entrasse di nascosto per consolarlo e per portargli dei biscotti.
Stavolta, tuttavia, era diverso: non c’entravano papà o gli Assassini, ma qualcosa che sapeva solo Jacob.
Si alzò dal suo posto e si portò accanto a lui, accovacciandosi per mettersi alla stessa altezza del suo volto. Jacob notò il cambio di posizione e si tolse il cappello, accorgendosi degli occhi preoccupati di sua sorella.
- Ti prego. Sei mio fratello, Jacob, e nonostante i nostri diverbi ti voglio bene. Sei la mia famiglia e mi piange il cuore a vederti così misero, a compiangerti nel tuo dolore. Lascia che ti aiuti- lo implorò.
L’uomo si tirò su, mettendosi a sedere e facendo spazio alla sorella.
Rimase in silenzio per lunghi minuti, mentre Evie attendeva con pazienza che si sentisse pronto a parlare.
- Quel giorno ti ho detto che dovevo vedermi con Anna Wilson per la faccenda del pugnale della cattedrale. Beh, alla fine avevi ragione tu. È stato una specie di appuntamento- raccontò lui, sorridendo appena.
- Le avevo organizzato una piccola sorpresa, presentandole Dickens e Darwin. Dovevi vederla in faccia, Evie, era felice come un bambino il giorno di Natale. Siamo stati insieme, abbiamo parlato di tante cose e… ci siamo baciati.-
Evie si mostrò sorpresa, ma non disse nulla, in attesa del resto del racconto. Notò uno sprazzo di gioia negli occhi del fratello; ma con la stessa velocità con cui era apparso, altrettanto rapidamente scomparve, sostituito da uno sguardo cupo mentre Jacob continuava a narrare: - Mi sentivo così felice, Evie. E anche lei lo era, la sentivo sorridere contro le mie labbra. Ma all’improvviso si stacca da me, con il viso sconvolto, dicendomi del suo matrimonio con quell’idiota del suo fidanzato…-
- E tu cos’hai fatto?- chiese l’Assassina.
Jacob si guardò i guanti, ci giocherellò un po’, quasi a voler evitare di rispondere alla sorella, ma infine replicò: - L’ho lasciata andare... per il suo bene.-
Un pugno gli arrivò dritto sulla spalla, cogliendolo di sorpresa. Si girò verso Evie, che lo guardava sconcertata: - Perché, Jacob? Perché stai rinunciando a lei? Dov’è finita la tua impulsività, il tuo agire senza pensare per fare ciò che è giusto?- lo rimproverò.
- Perché, per una volta, tutto questo non riguarda solo me, ma anche qualcuno a cui tengo! Io non sono così egoista da voler costringere Anna a una vita di pericoli! Perché la vita da Assassino coinvolge chiunque ti stia attorno, che sia un passante a caso o qualcuno a cui vuoi bene!- le rispose a voce alta.
- E se per tenerla al sicuro devo accettare il suo matrimonio con quel baffetto impomatato... così sia.-
Evie rimase un attimo in silenzio, colpita dalla maturità del fratello. Attese che si calmasse, quindi gli mise la mano sulla schiena per consolarlo: - Tu la ami, non è vero?-
Jacob annuì: - Credo di non aver mai provato queste sensazioni con nessun altro in vita mia...-
- E allora va da lei e diglielo. Diglielo a sua madre, o aspetta il ritorno di suo padre, e parlagli dei tuoi sentimenti verso Anna. Forse potrebbero annullare il matrimonio col signor Earnshaw- suggerì Evie.
- O forse mi beccherei una fucilata in faccia... Sicura che ci tieni alla mia incolumità?- scherzò Jacob.
L’Assassina lo vide finalmente sereno in volto. Sorrise per incoraggiarlo e lo abbracciò: - Sono certa che si risolverà tutto, Jacob. Sono felice che tu abbia trovato qualcuno di così speciale.-
 
Jacob stava per risponderle, ma all’improvviso qualcuno bussò con insistenza.
Si alzò e aprì la porta, trovandosi davanti Henry con un’espressione molto preoccupata.
- Venite. Abbiamo un’emergenza- annunciò, facendo un cenno ai gemelli di seguirlo nell’altro vagone.
I Frye seguirono l’indiano, turbati da ciò che aveva detto, e una volta giunti nell’altra carrozza videro un ragazzino biondo seduto su una sedia, ancora con il fiatone.
- Theo? Cosa ci fai qui?- chiese Jacob dopo averlo riconosciuto.
Appena sentì la sua voce, Theo si alzò e gli corse incontro, scoppiando a piangere: - Richard ha portato via Anna e papà! Era insieme a degli uomini cattivi con una croce rossa al braccio! Anna mi ha detto di venire qui per chiedere aiuto! Vi prego, dovete salvarli!- li implorò tra i singhiozzi.
Evie si avvicinò a lui, abbassandosi per mettersi alla sua altezza: - Calmati, Theo. Sai perché li hanno portati via?-
Il ragazzino tirò su col naso e annuì: - Richard ha detto che stanno cercando qualcosa sotto la Torre di Londra, e che Anna ha la chiave per trovarla. Io non ho capito niente, voglio soltanto che tornino a casa e che Richard se ne vada per sempre!- piagnucolò.
Anche Jacob si abbassò all’altezza di Theo e gli mise una mano sulla spalla: - Salveremo tuo padre e tua sorella e li riporteremo da te sani e salvi. Hai la mia parola- gli promise.
Theo accennò un sorriso: - Adesso capisco perché Anna ti vuole bene...-
 
Dopo aver affidato Theo alla signora MacBean, i tre Assassini si precipitarono fuori dalla stazione ferroviaria.
- E quindi quel bastardo di Earnshaw è un Templare! Se lo avessi saputo prima...- grugnì Jacob, in preda alla rabbia.
- Ci occuperemo di lui una volta che avremo messo in salvo i Wilson. Te lo prometto- lo rassicurò Evie con uno sguardo deciso.
Henry prese una carrozza vuota, facendo cenno ai Frye di salire sulla vettura, e partì immediatamente alla volta della Torre di Londra, sperando di arrivare in tempo per fermare i Templari.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


La carrozza si arrestò di colpo in un’area dimessa poco distante dalle sponde del Tamigi, lontana dalla folla.
I Templari fecero scendere i Wilson, che si guardarono intorno disorientati.
- Non dovevamo andare alla Torre di Londra?- chiese Harold. Fra sé e sé, anche Anna si stava ponendo la stessa domanda.
- Non esattamente. Diciamo che ci arriveremo per una via “riservata”- rispose Richard, enigmatico. Fece quindi un cenno ai due ostaggi di seguirlo nelle stradine lì vicino, fino ad arrivare a una specie di cantiere sorvegliato da altri Templari.
- Prego, dopo di voi- disse Richard indicando un’apertura nel terreno; Anna e suo padre dovettero obbedire ed entrarono nella galleria, poi udirono Richard chiamare a sé altri Templari e quindi andar con loro.
Guidati dalle indicazioni del signor Earnshaw, i Wilson si addentrarono nei sotterranei di Londra, diretti verso chissà quale destinazione.
 
Anna strinse a sé la scatola col pugnale, cercando di non pensare al senso di oppressione che le trasmettevano le mura tetre di quel corridoio sotterraneo.
Richard guidava il gruppo di sei Templari, conducendoli attraverso quel dedalo misterioso che solo lui pareva conoscere.
- Come avete scoperto tutto ciò?- chiese Harold; persino in una situazione come quella la sua curiosità non veniva meno.
- Oh, è stato per puro caso. Ero parte della squadra di miss Thorne, l’occultista di Starrick; un giorno aveva organizzato una, chiamiamola “sorpresa”, per la signorina Frye, quindi avevamo gentilmente chiesto ospitalità alle guardie reali- spiegò il Templare sarcasticamente.
Anna alzò gli occhi al cielo, nauseata dalla sua boria, ma ascoltò comunque il suo racconto.
- Ero in ricognizione per i piani interrati del complesso, quando notai una porticina chiusa con un pesante lucchetto. Inutile dirvi che fu un giochetto scassinarlo, ma ad ogni modo mi ritrovai nelle fognature. Girando e girando, non so nemmeno come, mi ritrovai davanti a una struttura molto antica. Notai anche un’altra via d’accesso, quindi corsi immediatamente indietro ad avvertire miss Thorne, ma purtroppo era già stata assassinata da quella maledetta Frye.-
- Nei giorni successivi tentai di sentire direttamente il signor Starrick per approfondire la mia scoperta, ma lui non sembrava interessarsene, preso com’era dalla sua personale ricerca. È stato il signor Twopenny a fornirmi i mezzi e il denaro per portare alla luce tutta la struttura. Pace all’anima sua... Ma grazie a lui sono riuscito nella mia impresa.-
 
Dopo un’ultima svolta, Anna e suo padre si ritrovarono davanti a un’enorme porta di pietra, apparentemente simile a una comune parete se non fosse stato per una lieve incisione verticale, ad indicarne l’apertura.
- Sinceramente, da come ne avevate parlato mi immaginavo di più, signor Earnshaw- disse Harold Wilson, apparendo quasi deluso nelle sue aspettative.
Richard rise bonariamente: - Questa è soltanto un’anticamera a qualcosa di molto meglio, professore. Ed è qui che entrate in gioco voi, mia cara- proclamò rivolgendosi ad Anna.
Le fece segno di avvicinarsi e Anna obbedì, ricordandosi di essere sempre sotto tiro da parte dei Templari.
Una volta raggiunto Richard, quest’ultimo le mostrò un particolare all’apparenza futile, ma invece molto importante: una fessura verticale, lunga un dito e poco più larga di due dita, con delle rientranze irregolari lungo i lati.
Lo sguardo sbalordito della ragazza fu la conferma della teoria di Richard: - Non so chi vi abbia detto come trovarla, ma voi avete la chiave per aprire questa porta, mia cara. Sapete bene cosa fare- disse, puntandole la pistola.
Anna deglutì per la tensione, ma dovette ubbidire: aprì la scatola e svolse il pugnale dalle bende che lo avvolgevano. Si avvicinò alla fessura, sotto lo sguardo attento e curioso dei presenti, e osservò le incisioni sul pugnale, comparandole alle rientranze della roccia, fino a trovare quelle che combaciavano.
Fece un respiro profondo, quindi inserì il pugnale nella fessura.
Un rumore sordo e cavernoso echeggiò nella sala, e con molta lentezza la pesante porta si aprì davanti a loro.
Per qualche secondo tutti quanti rimasero meravigliati da ciò che era appena accaduto, ma presto Richard si riprese: - Avanti, proseguiamo.-
Un Templare emise un suono strozzato, e poco dopo stramazzò a terra, rivelando un coltello infilzato dietro la schiena.
- Non così in fretta, carogna!- esclamò Jacob, seguito a ruota da Evie ed Henry.
 
L’arrivo dei tre Assassini colse di sorpresa i Templari, ma Richard non si lasciò intimorire.
Fece un cenno a un Templare di tenere sotto tiro Harold Wilson, in modo che non potesse intervenire, poi si rivolse agli altri.
- Uccideteli!- ordinò ai suoi sgherri, che si avventarono subito su Henry e i gemelli. Approfittando della situazione, Richard afferrò Anna e le mise un braccio intorno al collo, immobilizzandola.
Suo padre vide la scena e provò a intervenire, ma il suo guardiano gli puntò la pistola al volto, minacciandolo.
- Togliete il pugnale! Ora!- gridò rabbioso alla ragazza, mentre la portava dall’altra parte della porta.
- Ma così rimarremo bloccati!- protestò, ma il Templare le strinse il braccio al collo, obbligandola ad obbedire.
Appena ebbe estratto la lama, Anna vide con orrore le pareti di roccia cominciare a richiudersi. E gli Assassini stavano ancora combattendo contro i Templari.
- Jacob!- gridò, cercando di attirare la sua attenzione.
L’uomo udì la richiesta d’aiuto della ragazza. Guardò nella sua direzione e vide che stava per sparire dietro la porta di pietra.
- Anna! No!-
Tirando un ultimo colpo di kukri al Templare che stava affrontando, Jacob abbandonò il combattimento e corse a perdifiato verso la porta.
Il Templare che teneva in ostaggio il professore rivolse la pistola verso l’Assassino, ma così facendo lasciò la presa del signor Wilson, che reagì tirandogli un pugno sotto il mento.
Nello stesso istante, Jacob si premurò di renderlo inoffensivo, sparandogli un colpo di pistola al petto e uccidendolo; infine fece gli ultimi metri di corsa, saltando attraverso il passaggio che si richiuse immediatamente dopo di lui.
 
Evie assistette alla scena con sgomento. Preoccupata, corse verso la parete di roccia e chiamò suo fratello: - Jacob, mi senti? Stai bene?-
Dall’altra parte, appena udibile, arrivò la risposta del fratello: - Io sì. Voi come state?-
Evie si lasciò scappare un sospiro di sollievo, e in quel momento venne raggiunta dal professor Wilson che si rivolse a Jacob: - Voi siete il signor Frye, giusto? Vi prego, vi scongiuro con tutto il cuore, salvate mia figlia! Salvatela da quel maledetto che ci ha rapiti!- implorò l’uomo.
Jacob rispose ad alta voce, per farsi sentire meglio: - Avete la mia parola, professore. Vi riporterò vostra figlia sana e salva, ve lo giuro!- disse determinato.
- Evie, quando questa brutta storia sarà finita, offrirò da bere a tutti!- aggiunse rivolto alla sorella, per poi inseguire Richard e Anna nell’oscurità.
 
Sia Evie che Harold restarono con l’orecchio attaccato al muro fino a non udire più i passi di Jacob.
Sconsolato, il professore si allontanò dalla parete, osservando i corpi dei Templari e scuotendo la testa rattristato.
- Non avrei mai dovuto coinvolgerla in tutto questo. La mia povera Anna...- mormorò fra sé e sé abbattuto.
Evie gli mise una mano sulla spalla: - Non preoccupatevi, professore. Jacob salverà vostra figlia costi quel che costi, ve lo posso assicurare. Adesso, invece, dobbiamo cercare un’altra via per oltrepassare questa parete- replicò determinata.
Un rumore lontano di passi attirò la loro attenzione, e sul viso di Henry apparve un’espressione allarmata: - Maledizione! Mi sa che stanno arrivando i rinforzi!-
Evie trattenne a stento un’imprecazione: - Dovevo aspettarmelo che ci sarebbero state delle vedette, da qualche parte!-
Senza perdere tempo, Evie diede la sua pistola al professore, spronandolo a sparare per difendersi dal prossimo attacco dei Templari, quindi si posizionò davanti a lui insieme ad Henry, pronti ad affrontare la nuova ondata di nemici.
Attesero, i nervi tesi per il tempo che passava, ma presto udirono delle urla terribili, seguiti da colpi che non riuscivano ad identificare.
- Che cosa sta succedendo?- chiese il signor Wilson, allarmato.
Gli Assassini gli fecero segno di attendere, mentre le urla proseguivano.
D’un tratto, così com’erano iniziati, quei gridi strazianti cessarono.
Evie ed Henry si guardarono, turbati da ciò che era appena successo, e decisero di andare a scoprire il motivo di quelle urla.
Fecero segno al professore di venire con loro, sempre dietro per la sua sicurezza, quindi i tre uscirono dalla sala e si incamminarono nel corridoio, facendo il percorso di andata a ritroso.
Davanti a loro videro uno spettacolo raccapricciante: alcuni Templari e Blighters, circa una decina, giacevano a terra morti, ma ciò che colpì gli Assassini e il signor Wilson fu il modo in cui erano stati uccisi.
I cadaveri più lontani da loro, quindi quelli che stavano in coda al gruppo, erano stati trafitti da decine di frecce; gli altri invece avevano combattuto corpo a corpo, e presentavano profonde ferite da arma bianca. I loro sguardi impietriti nella morte erano deformati da una smorfia di terrore.
- Mio Dio... Chi può aver fatto tutto questo?- si chiese Evie sconvolta.
Harold si avvicinò a un cadavere, che presentava un profondo taglio sul collo, e osservò le ferite sul corpo, rimanendo sconvolto dalla sua scoperta: - Queste ferite non sono state fatte da un semplice coltello! Questi sono colpi di ascia!-
 
Gli Assassini stavano per avvicinarsi al professore, che gli stava indicando un cadavere a cui era stato reciso di netto il braccio, quando un enorme corvo passò in volo sopra di loro.
Si abbassarono, spaventati da quella presenza improvvisa, e osservarono l’uccello volare nel corridoio e sparire dietro a una rientranza.
Evie corse nella sua direzione e scoprì una crepa nel muro larga abbastanza da permettere il passaggio di una persona.
- Henry! Professor Wilson! Venite, c’è un altro ingresso!- esclamò la giovane.
I due uomini la raggiunsero in breve tempo, osservando sbalorditi il corridoio oscuro che si apriva dinanzi a loro.
Recuperate alcune lanterne dai Templari deceduti, i due Assassini e il professore si incamminarono per la via impervia, preoccupati per le sorti di Anna e Jacob.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Anna e Richard stavano camminando da un tempo indefinito. Le uniche cose che la ragazza percepiva erano la luce della lanterna che reggeva in mano e il pugnale vichingo che il Templare le teneva puntato contro la schiena, impedendole qualsiasi tentativo di ribellione. La giovane pensava a come liberarsi di lui, ma ogni idea le sembrava impossibile da realizzare.
D’un tratto, il loro cammino venne interrotto da un’altra parete di pietra, molto più grande della precedente: a differenza della prima porta, che era completamente liscia, questo muro era interamente decorato da bassorilievi di foggia norrena, con raffigurazioni di guerrieri e battaglie feroci.
- Incredibile...- sussurrò la ragazza, impressionata da quelle raffigurazioni.
La pressione della lama sulla sua schiena la riportò alla realtà, insieme alla voce aspra di Richard: - Non perdete tempo. Dobbiamo trovare un modo per proseguire.-
- E chi vi dice che sappia come andare avanti?- replicò.
- Siete già riuscita con la cattedrale, non vedo come non possiate riuscire anche stavolta- rispose lui, ghignando.
Anna gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo, ma dovette ubbidire un’altra volta. Si concentrò quindi sui bassorilievi, osservando ogni figura nel tentativo di scoprire qualcosa di particolare, quando notò delle scritte in antico norreno.
Chiuse gli occhi e si concentrò, per poi riaprirli e leggere la frase con gli occhi di Eivor: -“Chi culla gli uomini con dorso insanguinato? Chi aiuta i guerrieri contro il dardo affilato? Chi dona la vita e la buona sorte e giace al tuo fianco quando giunge la morte?”-
- Cosa diavolo significa?- domandò Richard.
Anna ragionò per alcuni secondi: - Dev’essere una specie di indovinello, e forse la risposta si trova rappresentata qui- spiegò, indicando il muro scolpito.
- E allora datevi da fare!- disse il Templare rabbioso.
Un lungo brivido di paura percorse la schiena della ragazza: Richard stava cominciando ad arrabbiarsi, e la giovane iniziò a temere per la propria incolumità.
Senza perdere tempo, Anna osservò nuovamente i bassorilievi, studiando ogni figura mentre si ripeteva nella testa le parole enigmatiche dell’indovinello.
Ad un tratto, un particolare attirò la sua attenzione: nella scena guerresca scolpita nella pietra tutti i combattenti brandivano spade e asce, senza nessuno strumento di difesa. Soltanto uno di loro, mischiato insieme agli altri, reggeva un piccolo scudo tondo davanti a sé.
- Ma certo!- esclamò, sfiorando la figura con le dita.
- Lo scudo! Cos’altro poteva decidere l’esito di una battaglia e il fato di un guerriero?-
Nonostante la situazione in cui si trovava, Anna si sentiva comunque elettrizzata dalla sua scoperta. Aumentò appena la pressione sullo scudo scolpito e scoprì che in realtà era una specie di pulsante. Premette quindi con forza e attivò un meccanismo, aprendo così la seconda porta dei sotterranei.
 
Un altro lungo corridoio apparve davanti a loro, in fondo al quale si intravvedeva una luce tenue. Anna si sentiva battere forte il cuore dall’emozione, ma non sapeva indicarne propriamente la causa: se fosse l’avvicinarsi alla leggendaria spada o il fatto che Richard appariva sempre più agitato e brusco.
Doveva usare cautela, pensava nella sua mente, intanto che percorrevano il corridoio e si avvicinavano man mano all’uscita.
Un’ampia sala circolare si aprì davanti ai loro occhi, illuminata da una misteriosa struttura posta al centro. Anna notò una torcia e la accese con la fiamma della lanterna; dal sostegno ligneo, come fosse stato collegato a un meccanismo, partì una fiammata che accese in successione altre torce disposte tutto intorno alla sala, illuminandola completamente e rivelando un altro corridoio dal lato opposto.
E davanti a loro, incastonata in una base di pietra, splendeva la leggendaria Excalibur.
- Finalmente...- mormorò Richard, spingendo via la ragazza davanti a sé. Corse verso l’arma, osservando affascinato i decori lineari lungo la lama. Gettò a terra il pugnale che aveva ancora tra le mani e afferrò l’elsa della spada, cominciando a tirare per estrarla dal suo sostegno.
Anna notò i suoi occhi pieni di cupidigia, e capì che doveva assolutamente fermarlo dal suo intento. Vide il pugnale giacere dietro il Templare, concentrato nella sua impresa. Era un’occasione unica.
La giovane si portò alle spalle di Richard e lentamente, soppesando ogni passo, si avvicinò al pugnale. Allungò una mano, ormai vicinissima, ma il Templare tirò un calcio al pugnale, allontanandolo dalla ragazza.
Anna alzò lo sguardo terrorizzato, incrociando il volto crudele di Richard; dopo un ultimo strattone, l’uomo estrasse la spada e, trionfante, la alzò sopra la sua testa.
Avanzò verso la ragazza, portandola in direzione opposta a quella del pugnale, e la guardò con arroganza: - Cosa pensavate di fare, mia cara?- le chiese in tono minaccioso, calcando con forza sul nomignolo che un tempo le rivolgeva con affetto, mentre ora sembrava il peggiore degli insulti.
Anna tentò di calmarlo: - Richard, vi prego, calmatevi. Avete la spada, ora possiamo tornare indietro.-
Richard guardò la sua fidanzata, e per un attimo ritornò il gentiluomo di sempre: - Avete ragione, è vero. Sono stato così preso da questa mia ricerca, che per poco non perdevo la testa. Ma posso rimediare al mio comportamento così deprecabile nei vostri confronti.-
- Unitevi ai Templari, mia cara. Insieme riusciremo a portare la pace e l’ordine all’umanità, per un mondo migliore- le propose entusiasta.
Anna rimase interdetta: come poteva parlarle di pace, quando a Londra non si era visto altro che violenza e corruzione, grazie a Starrick e ai suoi accoliti?
- No.-
Un’unica parola, così breve eppure così potente: il volto di Richard passò dalla speranza allo stupore, per poi vertere sulla rabbia.
Avanzò verso la ragazza, la mano che reggeva la spada che tremava d’ira, quando un coltello gli passò accanto al volto, sfiorandolo di pochi centimetri.
- Allontanati subito da lei!- gli intimò Jacob, entrando nella sala.
Anna sorrise nel vedere l’Assassino, ma Richard la spinse bruscamente via e si fiondò su Jacob a lama tratta.
I due uomini ingaggiarono un feroce combattimento: uno armato di una spada leggendaria, l’altro che rispondeva con un bastone animato. Se uno attaccava con la forza, l’altro aveva l’esperienza ad aiutarlo. Solo una cosa li accomunava: entrambi lottavano per la propria vita e per l’amore della giovane Wilson.
 
Approfittando della situazione, Anna riuscì finalmente a recuperare il pugnale. Si voltò verso i due uomini, cercando un modo per aiutare Jacob, quando notò che la spada stava cominciando a illuminarsi.
- Attento Jacob!-
Dopo aver parato l’ennesimo colpo del bastone animato, la spada emise un’onda d’urto formidabile, che investì tutti e tre i presenti sbalzandoli in direzioni diverse.
Anna fece in tempo a ripararsi il volto, venendo sbalzata di qualche metro e urtando la spalla.
Si alzò dolorante e controllò come stessero i due uomini: da un lato il Templare mugugnava appena, Excalibur a un paio di metri da lui; dall’altro l’Assassino immobile, inerme contro un muro.
- JACOB! NO!!-
La giovane si precipitò dall’uomo che amava, con in mano il pugnale. Si sentiva il cuore battere all’impazzata, mentre nella sua testa pregava che fosse ancora vivo.
Si buttò in ginocchio accanto all’uomo, prendendogli il volto fra le mani e chiamandolo per nome. Si lasciò scappare un sospiro di sollievo quando avvertì ancora il suo battito cardiaco, accarezzando con dolcezza il suo viso.
- Dunque, è così che vanno le cose.-
Improvvisamente, Anna si ritrovò Richard a un paio di metri da lei, armato di nuovo con la mitica spada e con un’espressione dura in volto.
La giovane afferrò il pugnale e lo puntò contro il Templare: - Non avvicinatevi!- gli intimò, ma non riuscì a trattenere il tremore nella sua voce.
Richard rise beffardo: - Cosa avete intenzione di fare, con quello stuzzicadenti?-
La giovane guardò il pugnale in mano, poi la spada e l’espressione superba dell’uomo. Si sentì tremare di paura, e stava temendo il peggio per la propria vita.
Tentò un’ultima negoziazione: - Ascoltatemi, Richard. Non deve finire così per forza. Potete tenere la spada, sono ancora disposta a sposarvi, ma vi prego: lasciateci andare via di qua. Lasciate andare Jacob.-
Il volto del Templare si adombrò, mentre si avvicinava minacciosamente verso la ragazza: - Non ci posso credere, mia cara. Davvero preferite un lurido topo di fogna a me?!- le chiese incredulo.
- Non osate chiamarlo così! Voi non valete nemmeno un centesimo di Jacob!- ribatté lei.
Richard respirò con rabbia, per poi alzare la spada sopra di sé: - Bene. Allora questa è la mia risposta. Sarà un piacere vedere questo reietto penzolare dalla forca, quando verrà incriminato della vostra morte...-
Anna si paralizzò dal terrore per ciò che stava per succedere, incapace di reagire. Le sembrava di vivere tutto al rallentatore: Richard stava caricando il colpo mortale, il suo viso carico di odio sembrava una maschera crudele. La giovane sentiva soltanto i battiti del suo cuore, mentre i muscoli sembravano essersi pietrificati dalla paura.
Chiuse gli occhi e alzò le mani, in un ultimo disperato gesto di difesa.
Un suono metallico catturò la sua attenzione: vide Richard curvo sotto il peso della spada, come se qualcosa gli avesse fatto perdere l’equilibrio. Poco lontano da lei giaceva una freccia con la punta rovinata, dovuto al contatto violento con Excalibur.
- Non un’altra mossa, sassone.-
 
Una donna sui trent’anni, vestita con abiti di pelle finemente decorati, abbassò l’arco. Una lunga cicatrice le solcava la guancia sinistra, mentre il tatuaggio di un corvo le adornava la tempia destra. Gli occhi azzurri erano decorati da una pittura bluastra e osservavano furiosi il Templare.
- Lascia andare la spada e potrai andartene sulle tue gambe- gli intimò.
Anna spalancò gli occhi increduli, stupefatta da quella presenza impossibile.
- Eivor...- sussurrò meravigliata.
Richard osservò la vichinga, lanciandole uno sguardo disgustato: - E tu da quale circo saresti scappata?- le disse, sbeffeggiandola.
La guerriera mise via l’arco ed estrasse lo scudo e un’ascia barbuta, mettendosi già in posizione d’attacco.
- I tuoi insulti mi scivolano addosso come la rugiada del mattino, indegno figlio di Loki. Ora scegli: puoi lasciare qui Excalibur e uscire per sempre dalla vita di Anna, oppure guadagnarti l’ingresso per Helheim- replicò Eivor.
La risposta di Richard non si fece attendere: riprese saldamente in mano la spada e caricò in direzione della vichinga.
Anna non poté far altro che osservare l’abilità bellica di Eivor sovrastare in breve tempo la forza bruta del Templare: Richard fendeva colpi rapidi e potenti, ma la norrena riusciva sempre a parare e schivare ogni singolo attacco, sfiancando in breve tempo il Templare.
Approfittando del suo sfinimento, Eivor passò all’attacco, tirando un solo colpo d’ascia al fianco dell’uomo e facendolo stramazzare a terra.
Un fiotto di sangue partì dallo squarcio, facendo impressionare l’unica spettatrice di quel duello mortale.
Tenendo una mano sulla ferita, Richard provò a rialzarsi, ma venne violentemente sollevato da terra dalla norrena.
Eivor lo guardò con odio, mentre sguainava la sua lama celata.
Per la prima volta da quando era iniziata quell’avventura, sul volto di Richard apparve un’espressione terrorizzata: - Non puoi uccidermi, maledetta. Non puoi...-
Il Templare sputò sangue ed emise un verso disumano, nel momento in cui Eivor lo trapassava con la lama affilata all’altezza dello stomaco. Il giovane si aggrappò a lei, guardandola con stupore, prima di accasciarsi al suolo esalando il suo ultimo respiro.
- Salutami Kjotve...- sibilò la guerriera con voce velenosa, intanto che ritraeva la lama.
 
Anna si portò le mani alla bocca, trattenendo a stento un sussulto di orrore. Non aveva fatto in tempo a riprendersi dall’apparizione di Eivor, che ora il cadavere dell’ormai suo ex fidanzato giaceva davanti a lei.
La vichinga si accorse del suo stato. Si sistemò indietro i capelli e ripose le armi, per poi avvicinarsi alla ragazza.
- Stai bene?- le chiese premurosa.
La giovane annuì appena, ma il suo volto era ancora scosso dagli ultimi avvenimenti: - Come puoi essere qui, Eivor? Insomma, sei vissuta quasi mille anni fa!-
La guerriera le sorrise e le mise le mani sulle spalle, in un gesto di affetto: - Te l’avevo detto che sarei stata con te, nel momento del bisogno. E, a quanto pare, sono arrivata al momento giusto- le spiegò, indicando con la testa il corpo del Templare.
Anna guardò sconsolata Richard, provando nonostante tutto una sensazione di dispiacere per la sua triste fine. Abbracciò la norrena, piangendo di tristezza e di sollievo per ciò che era appena accaduto: - Grazie Eivor, mi hai salvato la vita. Anche se non avrei voluto che finisse così.-
La donna ricambiò l’abbraccio e le sorrise: - La compassione è una grande virtù, Anna. Io stessa l’ho imparato durante i miei viaggi, ma purtroppo la verità è questa: per quanto una civiltà si proclami virtuosa e migliore delle altre, la violenza farà sempre parte dell’umanità- le spiegò in tono solenne.
Si sciolse dall’abbraccio e prese tra le mani il volto di Anna, guardandola con fierezza: - Hai mantenuto il tuo patto, figlia mia, e non potrei essere più orgogliosa del tuo coraggio- le disse, per poi alzarsi e recuperare Excalibur.
- Che cosa farai, con quella?- chiese Anna.
Eivor guardò con affetto la spada che aveva usato in vita, quindi se la sistemò sulla schiena, dietro lo scudo: - La porterò in un altro luogo, più sicuro e più difficile da trovare- rispose, per poi cercare qualcosa sulla sua cintura.
La norrena estrasse una catenina da una tasca della cinta, un sottile filo d’argento con un monile che rappresentava il sacro albero Yggdrasil, e lo porse alla giovane.
- Il mio regalo d’addio, mia dolce e coraggiosa sapiente. Ti proteggerà dagli spiriti malvagi- le spiegò mentre la aiutava ad indossarlo.
Prese poi un sacchettino di pelle e lo diede ad Anna, che lo guardò con curiosità.
- Aprilo quando il tuo uomo si sarà svegliato. Fidati, è molto più comodo delle spade- le spiegò con un occhiolino, ma ciò non fece altro che perplimere ulteriormente la ragazza.
Eivor le diede un ultimo abbraccio, stringendola con affetto: - È tempo che io vada, Anna. Ricordati, io sarò sempre con te- le mormorò con amorevolezza.
La giovane le gettò le braccia al collo, salutandola per l’ultima volta: - Addio, Eivor. Grazie di tutto.-
Con molta più difficoltà di quanto avesse immaginato, Eivor si staccò dalla sua discendente e, rivolgendole un ultimo sorriso, si incamminò verso la seconda uscita, sparendo dalla vista della giovane.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


La giovane seguì con lo sguardo Eivor, stringendo con affetto il ciondolo che le aveva regalato.
Udì un mugugno dietro di sé, e vide Jacob sollevare appena il capo e massaggiarsi un punto dietro la testa.
- Jacob!- esclamò, con il cuore pieno di gioia. Corse verso di lui, ancora frastornato dal colpo che aveva preso, e lo abbracciò: - Stai bene, caro?- gli chiese con apprensione. Lo aiutò ad alzarsi, mentre l’uomo annuiva.
Jacob guardò la giovane e, cogliendola di sorpresa, la baciò con ardore, come se avesse voluto recuperare il tempo che avevano trascorso l’uno separato dall’altra. Anna chiuse gli occhi, godendosi l’amore del suo uomo e la presenza del suo corpo contro il proprio.
Non sapevano quanto tempo fossero rimasti insieme, ma a un certo punto Jacob si staccò da lei. La guardò negli occhi con dolcezza, e avvicinò la sua fronte a quella della giovane in un gesto di affetto: - Mi sei mancata...- le sussurrò.
Anna sorrise, avvertendo le labbra di Jacob sulla guancia.
Tutto a un tratto, l’Assassino si ricordò dove si trovavano. Rivolse un’occhiata preoccupata alla giovane, tempestandola di domande: - Cos’è successo? Sei ferita? E dov’è quel maledetto..?!-
Si interruppe quando vide il cadavere di Richard in una pozza di sangue, con gli occhi immobili spalancati dallo stupore.
Rimase interdetto e guardò di sbieco Anna: - Sei stata tu, per caso?- chiese, indicando il corpo del Templare.
Lei scosse la testa, quasi divertita dall’espressione sbigottita dell’Assassino: - La mia “fonte” mi ha aiutato con Richard. Hanno combattuto, e puoi ben vedere come è andata a finire- spiegò.
Jacob annuì appena, continuando ad osservare ciò che era rimasto del signor Earnshaw: - Ricordami di non farla mai arrabbiare.-
Anna rise e baciò ancora Jacob, finalmente serena. Sentì le mani dell’uomo cingerla dietro la schiena, avvicinandola ancora di più a sé, e lei ricambiò accarezzandogli la guancia sinistra, sfiorandogli la cicatrice sulla mandibola.
Jacob interruppe nuovamente le loro effusioni, quando una domanda improvvisa gli venne in mente: - Che fine ha fatto la spada?-
- L’ha presa la mia “fonte”, giurando di nasconderla in un posto sicuro. È una persona fidata, Jacob, te lo garantisco- lo rassicurò.
L’uomo le sorrise: - Se lo dici tu, allora mi fido. Ed è stata sempre la tua “fonte” a darti quel ciondolo?- chiese, notando il monile.
La giovane annuì, prendendo il gioiello e mostrandolo a Jacob: - Mi ha detto che è un simbolo molto potente. E mi ha lasciato anche questo, ma non ho idea di cosa contenga- spiegò, porgendogli il sacchettino che le aveva dato Eivor.
 
Anna osservò il corpo del suo ex fidanzato. Si avvicinò e gli abbassò le palpebre, in un ultimo gesto di pietà.
- Non so come faremo con lui, ma una cosa è certa: non ci sarà più nessun matrimonio- disse sconsolata.
- Io non ne sarei così sicuro- replicò Jacob dietro di lei.
La giovane si girò nella sua direzione e se lo ritrovò in ginocchio, con un enorme sorriso in volto e due anelli d’argento in mano.
- Jacob, ma cosa...? Quegli anelli...- balbettò confusa.
L’uomo ridacchiò: - A quanto pare, la tua “fonte” ha pensato anche a questo...-
Le fece cenno di avvicinarsi e le prese con dolcezza la mano: - Lo so che non è un ambiente molto romantico, soprattutto per il pubblico, ma devo dirti una cosa molto importante, Anna. In tutta la mia vita, non mi sono mai sentito legato a qualcuno che non facesse parte della mia famiglia. Certo, ho avuto qualche storia in passato, ma niente di duraturo. Credevo che sarei rimasto per sempre solo, magari con un nipotino o due di Evie, ma comunque solo.-
- E poi, un giorno, è arrivata una lettera. E ho incontrato te, una giovane tanto splendida quanto intelligente e arguta. E mi sono innamorato, Anna. Ti amo, ti amo come non ho mai amato nessun altro prima. E tutto questo per chiederti una cosa: vorresti trascorrere con me il resto della tua vita?-
Mentre l’Assassino le dichiarava il suo amore, Anna si sentiva il cuore battere forte per l’emozione; e quando Jacob le fece la fatidica domanda non riuscì a trattenere lacrime di gioia.
- Certo che lo voglio!- rispose emozionata.
Entrambi non riuscivano a smettere di sorridere, mentre si scambiavano gli anelli; risero di gioia, si abbracciarono, si baciarono, come se il resto del mondo non esistesse più. Soltanto loro e la loro promessa d’amore.
 
Uno scalpiccio attirò la loro attenzione, e presto i volti preoccupati del professor Wilson, Evie ed Henry apparvero dal corridoio buio che i due avevano percorso in precedenza.
- Anna! Grazie al cielo, stai bene!- esclamò Harold Wilson. Corse incontro alla figlia e l’abbracciò, felice di ritrovarla sana e salva. Anna si accoccolò contro il petto del padre, reciprocando il suo affetto.
Jacob sorrise alla scena, quando anche lui si sentì avvinghiato da due paia di braccia.
- Ehi, vi sono mancato così tanto?- scherzò, tentando di ricambiare il doppio abbraccio di Henry e Evie.
- Strano a dirsi, ma sì- scherzò Evie, guadagnandosi un finto broncio da parte del fratello.
Henry lo lasciò andare, permettendo ai due fratelli di stringersi uno fra le braccia dell’altra: - Eravamo in pensiero per tutti e due, Jacob. Dopo quello che abbiamo visto, temevamo il peggio e...- si interruppe, notando solo in quel momento il cadavere di Richard Earnshaw.
Anche il professore notò il corpo del Templare e lanciò uno sguardo interrogativo alla figlia.
Anna non sapeva come spiegare ciò che era accaduto, ma Jacob arrivò in suo soccorso: - Che ne dite se ne parliamo più tardi, magari davanti a una birra? O una tazza di tè, come preferite.-
- E lui?- chiese Evie, indicando il cadavere.
Jacob le fece un occhiolino: - Ho in mente un’idea. Forse non piacerà a Freddy, ma scommetto che alla fine si rivelerà utile anche a lui...-
 
*****
Il giorno dopo il cadavere di Richard Earnshaw venne ripescato dal Tamigi, presentando due ferite da arma bianca di cui una mortale. Il sergente Abberline svolse tutte le indagini del caso scoprendo, grazie anche alle testimonianze del piccolo Theodore e della signora Margareth, che il giovane rampollo era coinvolto nel breve rapimento del professor Wilson e di sua figlia, creando uno scandalo all’interno della borghesia londinese.
Furono arrestati numerosi Templari, considerati complici del giovane, e la città poté godersi molti mesi di relativa pace.
 
Mary Jane Wilson non poteva credere agli ultimi avvenimenti: come aveva potuto il suo futuro genero macchiarsi di un crimine tanto orribile? Chi avrebbe mai voluto sua figlia in sposa, dopo quello che era successo?
E quando suo marito e Anna le raccontarono del fidanzamento con Jacob Frye, per poco non svenne a causa di quella che riteneva un’assurdità inimmaginabile.
Le ci volle qualche giorno per digerire la notizia, ma alla fine si arrese al sentimento sincero che legava i due, riuscendo ad accettare il giovane Assassino come suo prossimo genero.
E il fatto di scoprire che era un membro del prestigioso Ordine della Giarrettiera, nominato niente di meno che da sua maestà la regina Vittoria in persona, non fece altro che farle dimenticare ancora più velocemente il dispiacere per il mancato matrimonio con il signor Earnshaw.
 
*****
Era una giornata piuttosto calda, per essere settembre. Gli ultimi fiori estivi rilasciavano nell’aria il loro profumo, e un venticello leggero rinfrescava gli ospiti in attesa.
 
Nella radura dietro la chiesa, Anna stava osservando il candido bouquet che teneva in mano. Chiuse gli occhi, godendosi la brezza, ed ebbe quasi l’impressione di udire il verso di un corvo.
- Posso disturbarvi, signora Frye?- chiese una voce.
La giovane sorrise a Jacob, che stava sopraggiungendo in quel momento.
- Mi perdoni l’intrusione, ma gli ospiti reclamano la dolce sposina e il suo magnifico mazzo di fiori- disse con un tono fin troppo pomposo.
Anna rise: - Dai, Jacob. Non prendere in giro padre Johnson!-
Jacob si sedette al suo fianco e le diede un bacio in fronte: - Capisco che è il confessore della tua famiglia praticamente dall’alba dei tempi, ma giuro che durante la cerimonia stavo per addormentarmi!-
- E meno male che non è successo, altrimenti come avresti fatto a prendermi in moglie?- chiese divertita.
Jacob ridacchiò, poi guardò negli occhi la giovane e le diede un bacio: - Allora, come ci si sente ad essere la moglie del famigerato capo dei Rooks?-
Anna si accoccolò contro il petto di suo marito, mentre sentiva il suo braccio intorno alla spalla: - È strano. Se penso che è partito tutto da un corvo e da una lettera... Ma sono felice, Jacob. Sono davvero felice.-
- E il tuo nuovo nome? Come ti sembra?- le chiese Jacob, continuando a sorridere.
Sua moglie fece finta di pensarci su: - Anna Frye... Mi piace come suona. È armonico e breve.-
- Oh, tranquilla. È l’unica cosa breve che riceverai da me...- mormorò malizioso, cingendole il fianco.
Anna rimase interdetta, ma quando realizzò la sua allusione divenne paonazza. Gli diede alcune sberle al braccio, tra le risate divertite del suo sposo: -Scemo!-
- Cielo, siete già al primo litigio da sposati!- scherzò Evie, raggiungendoli.
- Allora, volete venire dagli altri o cosa?- chiese sorridendo, facendo poi segno ai due sposi di seguirla.
 
Mano nella mano, Anna e Jacob raggiunsero gli ospiti davanti alla piccola chiesa di campagna dove si erano sposati. Da una parte la famiglia della ragazza e i suoi parenti, insieme alle sue amiche e a una emozionata signora Fitzwilliam che aveva pianto per tutto il matrimonio; dall’altra Evie e il suo amato Henry e il loro amico George, insieme al sergente Abberline e altri ospiti illustri come il signor Darwin, il signor Dickens, il signor Bell, sua altezza il maharaja Singh e, a gran sorpresa di tutti, la signora Disraeli.
Per quanto non fosse stato il matrimonio sfarzoso e pieno di gente che aveva sognato sua madre, Anna non avrebbe potuto desiderare cerimonia e invitati migliori.
Ad un cenno della signora Wilson, tutte le signorine si misero in gruppo per il tradizionale lancio del bouquet; e, a grande sorpresa di Jacob, tra loro c’era anche sua sorella.
- Non la facevo appassionata di queste cose...- bisbigliò ad Anna.
Lei sorrise e si avvicinò al gruppetto di fanciulle: - Siete pronte?- chiese.
Dopo la risposta affermativa delle signorine, Anna diede loro le spalle e si preparò a lanciare il bouquet. Contò fino a tre, quindi lanciò il mazzo di fiori in alto. Si girò, curiosa di vedere chi sarebbe stata la fortunata ad acchiappare il suo bouquet, quando avvenne un fatto incredibile: un corvo si avvicinò in picchiata, intercettando il mazzo di fiori in volo e deviandone la traiettoria, finendo così tra le mani di un’incredula Evie.
Applausi gioiosi ed esclamazioni di giubilo riempirono l’aria, mentre Henry abbracciava la sua fidanzata, suggellando la loro promessa d’amore.
Anna osservò il corvo allontanarsi nel cielo, e abbracciata al suo Jacob rivolse un pensiero silenzioso all’uccello: “Saluta Eivor da parte nostra”.
 
Synin sorvolò la chiesa un paio di volte, prima di allontanarsi in volo. Si spostò verso un’altura, appoggiandosi infine sul braccio steso di Eivor.
Da quel punto sopraelevato, la norrena osservava i festeggiamenti vicino alla chiesa. Sorrise soddisfatta e accarezzò la sua compagna pennuta: - Ottimo lavoro, amica mia.-
Liberò il corvo nuovamente in volo e guardò per l’ultima volta il matrimonio della sua discendente: - Che tu abbia una vita lunga e felice, mia dolce Anna. Che il legame con tuo marito duri per sempre e che i tuoi figli crescano forti e sani- augurò alla giovane, prima di andarsene e ritornare nelle nebbie del tempo.

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Ed eccoci giunti alla fine di questa storia. Mi sono proprio divertita a scrivere le vicende di Anna e Jacob, e spero che vi sia piaciuto anche voi leggere le loro avventure!
Grazie a tutti =)!

P.S.: se vi interessa sapere di più sulla storia di Jacob e Anna potrete scoprire di più nel sequel "Healing a broken soul" a questo link: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3975789&i=1

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