Ces deux sont faits l'un pour l'autre

di Talitha_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Film ***
Capitolo 2: *** Déclaration ***
Capitolo 3: *** Cadeau ***
Capitolo 4: *** Blague ***
Capitolo 5: *** Ascenseur ***
Capitolo 6: *** Interview ***
Capitolo 7: *** Fanfiction ***
Capitolo 8: *** Héros - première partie ***
Capitolo 9: *** Héros - deuxième partie ***
Capitolo 10: *** Douche ***
Capitolo 11: *** Rêve ***
Capitolo 12: *** Pull ***
Capitolo 13: *** Bibliothèque ***



Capitolo 1
*** Film ***


Era stata un’idea di Marinette. 

Era tutta colpa sua se quel profumo dolce gli invadeva le narici, se il suo corpo morbido era accoccolato contro quello di Adrien. Se i suoi capelli setosi gli solleticavano il collo. 

Era stata un’idea di Marinette quello di vedere “Solitude”, il film in cui recitava Émilie, perché lei non l’aveva mai conosciuta, e tutto quello che sapeva di lei glielo aveva raccontato Adrien. 

Voleva vederla, riconoscere nel suo sorriso quello del ragazzo, nei suoi occhi la stessa sfumatura di verde. La stessa dolcezza. 

Era tutta colpa di Marinette se adesso Adrien moriva dalla voglia di mettere le mani in posti dove non avrebbe dovuto, e di baciarla come mai aveva fatto prima. 

Erano seduti sul divano della camera da letto di Adrien, la testa di Marinette accoccolata sotto la sua spalla. 

Adrien respirava a fatica. Non credeva che vedere un film con la sua ragazza potesse essere fonte di tanto nervosismo. 

Cercò di sistemare meglio il braccio destro intorno alle spalle di Marinette, cercando di farla sentire il più a suo agio possibile. 

“Stai comoda?” le chiese tra i capelli. 

Lei mugugnò in risposta, concentratissima su quello che stava vedendo. 

Adrien si chiese come riuscisse a sentirsi così tranquilla. Forse era soltanto perché quello che stava vedendo la interessava talmente tanto da non lasciarla distrarsi per pensare ad altro

Fece un respiro profondo, cercando di tenere a bada i battiti del cuore che rimbombavano nel petto. Altrimenti Marinette se ne sarebbe accorta. 

Chiuse gli occhi, facendo scivolare la mano destra un po' più giù, sul fianco di Marinette. 

Lei si spostò più vicina a lui, facendolo sussultare leggermente. 

Adrien si costrinse a riportare l’attenzione sul film, che sapeva ormai a memoria. Dal giorno in cui l’aveva visto con suo padre, aveva preso l’abitudine di guardarlo ogni volta che aveva bisogno di sua madre. Non era che una mera consolazione, quella, però lo aiutava vedere quel volto tanto dolce e amato. 

Ancora adesso, posò lo sguardo su quello di Émilie, e cercò di concentrarsi sulla sua voce, e ricordò quando lo consolava se piangeva, quando lo supportava se sbagliava. 

Ma questa distrazione durò soltanto per pochi minuti. Adrien non riusciva a concentrarsi col corpo di Marinette così pericolosamente vicino al suo. 

E allora riprese a muovere la mano destra, e con movimenti circolatori accarezzava la vita di Marinette. Sotto la stoffa della maglietta, poteva chiaramente percepire il calore della sua pelle. 

A Marinette scappò una risata: “Scemo, così mi fai il solletico.”

Adrien divenne paonazzo, e smise subito. Mormorò un imbarazzato ‘scusa’  e rimise la mano a posto. 

Marinette si sistemò un po' meglio contro di lui, stendendo le gambe sopra quelle di Adrien. 

“Ti dà fastidio?” gli chiese dolcemente, alzando di poco la testa per guardarlo negli occhi, e scoprire un Adrien tutto rosso in viso. 

Lui scosse vivacemente il capo. Spostò la mano destra dal fianco su cui l’aveva poggiata e le spinse piano la testa invitandola a continuare a vedere il film. 

Poi rimise per l’ennesima volta la mano su quel fianco. Lei gliela risistemò nello stesso punto in cui si trovava fino a poco prima, forse perché sentiva freddo dopo che era stata lì per tutto quel tempo. 

Passarono lunghissimi minuti, in cui Adrien si rese conto che il film non era arrivato nemmeno a metà. 

Sentiva la pelle calda di Marinette proprio lì, sotto le dita e la stoffa. 

E allora pensò che non sarebbe stato così male saggiarne la morbidezza, il calore. 

E allora prese a ripercorrere piano il tessuto della maglietta, quando arrivò al bordo. 

Sentì Marinette irrigidirsi un poco sotto il suo tocco, ma continuò. 

Con le dita si muoveva piano, dolce. Quando pelle calda entrò in contatto con la sua, entrambi ebbero un fremito. Marinette avrebbe voluto sottrarsi, e concentrarsi sul film, ma era come ipnotizzata dal tocco di Adrien. Brividi lungo la schiena. 

Il palmo di Adrien ora l’aveva raggiunta, e la carezzava timidamente. Sul bacino e poi sul fianco. E poi la pancia e l’addome. 

Il film non lo stava seguendo più nessuno. 

Marinette aveva iniziato a tremare. Non se ne rese conto se non quando Adrien ritrasse improvvisamente la mano e le rimise la maglietta a posto. 

Per qualche secondo rimasero entrambi immobili, col fiato sospeso. 

Poi fu Adrien a parlare: “Marinette, perdonami. Io… non so cosa mi sia preso.”

La voce era un po' rauca, le pupille dilatate. 

Marinette non sapeva cosa dire. 

Voleva pregarlo di continuare, ma se tremava soltanto per una sua carezza non osava pensare cosa sarebbe potuto succedere con… altro. Sarebbe stato decisamente imbarazzante. 

Vedendo che lei non proferiva parola, però, Adrien si allarmò. Non voleva che Marinette fosse rimasta spaventata dal suo gesto, o che pensasse che lui avesse delle cattive intenzioni. D’altronde quel silenzio e il tremolio che aveva percepito poco prima non potevano certo significare che a Marinette fosse piaciuto. Di qualsiasi cosa quel gesto si fosse trattato. 

Si sentì ancora di più un verme quando Marinette si scostò un po' da lui, tornando ad appoggiarsi sullo schienale del divano bianco. 

Si sentiva morire al pensiero che lei potesse essersi sentita a disagio o in qualche modo violata. 

“Marinette, io…” percepì la gola chiudersi in una morsa. 

Cercò i suoi occhi, ma lei teneva lo sguardo fisso verso la tv. Sembrava estremamente a disagio. 

“Marinette, mi dispiace tantissimo. Non so perché ti ho… toccata in quel modo. Sei tu che mi fai quest’effetto. Io…” Adrien aveva visto che Marinette evitava ancora il suo sguardo, e adesso era tutta rossa in viso. 

Si sentiva talmente disperato che stava per mettersi a piangere. “N-non intendo mica dire che è colpa tua. Assolutamente. È tutta colpa mia, solo mia. Marinette? Milady, ti prego, di’ qualcosa. So che sei arrabbiata, e mi dispiace, però non startene lì zitta, sgridami, arrabbiati con me. La prossima volta non succederà più, te lo prometto.”

Nella sua voce strozzata Marinette percepiva dolore, rimpianto, senso di colpa. Le venne da sorridere. 

Adrien la guardò con occhi strabuzzati. Di tutto si sarebbe aspettato, tranne che lei ridesse. Di un sorriso così dolce e imbarazzato. 

“Sciocco di un gatto, non sono arrabbiata. Ero solo nervosa, ecco perché ho reagito… così. È questo l’effetto che mi fai tu” gli disse, prendendo le mani di Adrien tra le sue. Erano sudate. 

Adrien sentì un peso sciogliersi nel petto. 

“S-sei sicura?” chiese, ancora un po' incredulo dalle parole della sua ragazza. 

Marinette rise. “Certo che sono sicura.” Racchiuse le mani di Adrien nelle sue, riscaldandole. 

Lui deglutì pesantemente. 

“Non succederà più, Milady. Te lo prometto. La prossima volta terrò le mani a posto.”

Lei scosse la testa, come se avesse perso le speranze. 

Allora alzò lo sguardo su di lui, una scintilla provocatoria negli occhi. Sciolse le loro mani da quell’intreccio che le teneva unite e si portò quelle di Adrien dietro la schiena, sui fianchi, la vita e il bacino. Poi avvolse le braccia al collo di lui e si avvicinò al suo orecchio sussurrando: “Ma io non voglio che tu le tenga a posto.”

Le pupille di Adrien erano sempre più dilatate, il respiro irregolare. “M-Marinette?”

“Sì?” rispose lei, come in attesa di qualcosa. 

Lui la prese per le spalle e la allontanò un poco da sé. Lei sembrava quasi scocciata. 

Era bellissima con quello sguardo corrucciato, negli occhi scintille di desiderio, le labbra imbronciate e le guance rosate. 

Allora la circondò nuovamente con le braccia, e avvicinò pericolosamente il viso a quello di lei. 

“Ho… ho voglia di baciarti.” 

La sua voce tremolante era poco più di un sussurro. 

Marinette rimase a guardarlo, come ad aspettare che lui facesse la prima mossa. 

“Posso baciarti?”

Gli occhi azzurri di Marinette brillarono, e ad Adrien non servì nessun’altra conferma. Si avvicinò piano alle labbra di lei, mentre con la mano sinistra le sfiorava la guancia bollente. Marinette profumava di fragola, come il suo lucida-labbra, e di gelsomino, come i suoi capelli. 

Adrien schiuse la bocca, e baciò delicatamente il labbro superiore di Marinette . Lei sussultò, e non perché non si fossero mai baciati. Semplicemente, Adrien le faceva sembrare ogni volta come  fosse la prima. 

Ma quella volta ad Adrien non bastava, voleva di più. Voleva sentirla vicina, assaporarla, toccarla. Spostò la mano destra sul fianco sinistro di lei, mentre con l’altra, che fino a poco prima teneva sulla sua guancia, prese a scendere, e a scendere. Le sfiorò il seno, con un tocco talmente delicato che a Marinette sembrò il gesto più dolce e naturale al mondo, e continuò a scendere, e scendere. Una mano sui glutei, e l’altra tra l’elastico dei pantaloni e il bordo della maglietta. Sentì al tatto le due fossette di Venere in fondo alla schiena, e Marinette gemette tra le sue labbra. 

E allora continuò a baciarla, assaporando ogni millimetro di quella bocca di fragola, lasciandole una scia di baci da lato a lato. 

Quei semplici baci erano talmente dolci che Marinette si sentì amata come mai prima. 

Ma poi, senza nessun preavviso, Adrien si fermò. Era ancora vicinissimo a lei, le loro labbra si toccavano, ma lui la guardava dritta negli occhi, come per capire fino a dove potesse spingersi. In risposta, Marinette gli circondò il collo con le braccia, e si fece più vicina a lui, e prese a baciarlo prima piano, dolce, poi sempre più desiderosa. Adrien la assecondò, e la strinse tra le braccia e le sfiorò i denti con la lingua. Marinette, che in quel momento non capiva più niente, lo lasciò fare, e si abbandonò completamente a lui. Sentì la lingua calda e morbida di Adrien assaporarla, esplorarla. Quando sfiorò la sua, di lingua, Marinette non potè trattenere un gemito, e Adrien le sorrise beffardo tra i denti. 

Si sentiva completamente avvolta e amata da lui, così dolce e premuroso. Era innamorata. Del suo sguardo, dei suoi occhi. Di come fosse sempre disposto ad aiutare gli altri, gentile e generoso. Amava anche le sue battute, per quanto squallide fossero, e di tutti quegli aspetti da Chat Noir che all’inizio tanto le davano fastidio. E amava sentirsi amata da lui. 

Adrien continuava a baciarla, sempre più sicuro, e Marinette si sentiva talmente scombussolata da non capire bene cosa stesse accadendo. Dopo una manciata di secondi, Adrien si fermò per riprendere fiato, e le loro fronti si toccarono. 

Adrien sentiva di non riuscire ad esprimere tutto l’amore che provava per lei in un solo bacio, e quindi la strinse forte forte, la testa di Marinette sul suo petto, e le soffiò tra i capelli: “Ti amo, Marinette.”

Marinette era talmente felice che sentì lacrime pizzicarle gli occhi e solleticarle il viso. Quando tirò su col naso, Adrien la allontanò prendendola per le spalle per verificare se stesse realmente piangendo. 

Il suo sguardo era confuso. “Perché piangi? Ho forse fatto qualcosa di sbagliato? Ti ho fatto male? Magari ti ho morso e non me ne sono acc…”

Marinette gli posò un dito sulle labbra, mentre con l’altra mano si asciugava gli occhi. 

“Micetto, ti fai sempre troppi complessi. Piango perché sono felice.” 

Sorrise tra le lacrime. “Però effettivamente sono anche un po' arrabbiata.”

Negli occhi di Adrien mortificazione. “Perché? Ho esagerato, vero? Dovevo capirlo che magari non era ancora il momento…”

Effettivamente, quello non era il loro primo bacio, ma era il primo alla francese

“Mi hai mentito” dice allora Marinette, nella voce una durezza che Adrien non si aspettava. 

“Cosa? Quando? Io non volevo…”

Marinette lo interrompe di nuovo, quasi esasperata. 

“Mi hai detto che tra te e Katami non c’è stato niente.”

“I-infatti è così, siamo solo usciti insieme un paio di volte, ma non abbiamo fatto niente, te lo giuro.”

“Allora non si spiega una cosa.”

Marinette era serissima. Senza sapere perché, visto che le aveva detto sempre la verità - soprattutto nel suo rapporto con Katami - Adrien era nervoso. 

 “Cosa?”

Marinette rimase in silenzio qualche istante, giusto il tempo per istillare dentro Adrien il senso del dubbio. Magari le aveva mentito involontariamente oppure non si ricordava qualcosa che in realtà era accaduto. 

“Non si spiega dove, e soprattutto con chi, tu abbia imparato a baciare così bene.”

Detto questo, un sorriso sadico le dipinse le labbra. 

Adrien non sapeva se essere sollevato o irritato. 

“Sai essere proprio cattiva certe volte, lo sai?” chiese circondandola con le braccia. “Mi sono spaventato.”

“Mmh” mugugnò lei, a pochi centimetri dalle sue labbra. 

“Quindi sono bravo anche a baciare, eh?”

“Non ti montare la testa, adesso” disse Marinette, mentre con le dita gli pizzicava dolcemente il volto. 

Adrien sorrise malizioso. 

“Se mi permetti di esercitarmi, posso diventare ancora più bravo.”

Marinette arrossì un poco. 

“Sei proprio un gattaccio.”

“Ai tuoi ordini, Milady.”

Ormai erano arrivati ai titoli di coda. “Forse il DVD è meglio che me lo presti, così lo finisco a casa.”

“Ma… vieni qui domani e lo riprendiamo da dove… ci siamo interrotti.”

“Sì, così non lo finirò mai.”

Adrien sorrise malizioso. “Va bene, se vuoi te lo posso mettere su una chiavetta, così lo puoi vedere quando vuoi.” 

Marinette annuì. Poi lo osservò attentamente. 

“Aveva il tuo sorriso.”

 

 

“Bleahh. Ma che bisogno c’è di essere tanto smielati?”

“Senti chi parla, quello che mi chiama sempre zuccherino.”

 

 

 

 

 

 

Convenevoli finali:

Mi dimentico sempre di aggiungere qualcosa di mio alla fine delle storie che scrivo, e anche questa volta stava quasi per accadere, ma per fortuna me ne sono resa conto in tempo per rimediare! 

Ho deciso di iniziare a scrivere questa raccolta di one-shot perché molto spesso, quando ho in mente un’idea per una fanfiction, finisce che non la scrivo perché metterla lì da sola mi sembra una cosa insensata. 

Spero che adesso possa sentirmi un po' più motivata quando mi partono i film mentali, perché metterli per iscritto e poterli leggere concretamente è tutta un’altra cosa. E così, ancora scleratissima dopo lo Speciale di New York, mi sono sbizzarrita e ho partorito qualche malsana idea. Non credo aggiornerò regolarmente, per cui - se mai foste interessati a questa raccolta - vi consiglio di inserirla tra le seguite. 

Anche se sono storie scollegate tra di loro, saranno sempre ambientate in un anteriore futuro in cui Marinette e Adrien, dopo essersi liberati dai prosciutti che ostruiscono loro la vista, saranno due fidanzatini super carini e pucciosi. Cercherò il più possibile di pubblicarle con un minimo di ordine cronologico, anche se non nego che scrivere qualcosa di loro adulti non mi dispiacerebbe. 

Bene, bando alle ciance, spero tanto che questa prima storia vi sia piaciuta! 

 

A presto,

Talitha_

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Capitolo 2
*** Déclaration ***


1.

 

 

Una risata cristallina risuonò nell’atrio dell’istituto superiore François Dupont. 

“Certe volte sai essere proprio sadica, lo sai?” fece notare un imbarazzato Adrien, mentre si portava la mano libera dalla stretta di lei dietro la nuca. 

Marinette gli rivolse uno sguardo pieno d’adorazione, un pizzico non indifferente di malizia negli occhi. 

“Suvvia, gattino. Non prenderla così a male. Sei adorabile quando ti prendo in giro.”

Adrien si consolò un poco a quelle parole. “Dici davvero?”

Marinette non potè fare a meno di notare un po' del suo smisurato ego in quel tono. 

Alzò gli occhi al cielo, continuando a tenere ben salda la presa sulle loro dita intrecciate. 

“Sei sempre il solito” disse poi, voltando la testa per guardarlo dritto negli occhi. 

Lui sorrise sornione. 

“È per questo che sei pazza di me.”

Una leggera gomitata gli arrivò dritto nel fianco. 

“Sei cattiva” aggiunse poi. 

Lei ripetè in tono canzonatorio: “È per questo che sei pazzo di me.”

Adrien non fece in tempo a ribattere che uno sbuffo arrivò proprio dietro di loro. 

“Cosa ho fatto di male per meritarmi questi due che amoreggiano già alle otto di mattina?” Alya si passò una mano davanti alla faccia ancora assonnata. Da quando Marinette e Adrien si erano messi insieme, in circostanze che ancora non le erano molto chiare, non facevano altro che comportarsi da coppietta smielata per cui ogni occasione era buona per rivolgere sguardi o battute languide all’altro. 

Marinette si volse verso lei e Nino aggrottando le ciglia. “Noi non amoreggiamo mica” disse, calcando sulla parola in modo quasi eccessivo. 

“Oh, certo che sì” ribatté Alya, con un tono che Nino conosceva fin troppo bene.

“Innanzitutto vi lanciate certi sguardi capaci di spogliare l’altro con la forza del pensiero, inoltre… no no Marinette” esclamò, portandosi l’indice alle labbra facendole capire di non interromperla. 

L’amica richiuse la bocca, mentre iniziava a diventare sempre più rossa. Non sapeva dire se fosse per l’imbarazzo o per l’indignazione. Sta di fatto che non le piaceva la piega che stava prendendo la conversazione. 

Strinse più forte la mano sudaticcia di Adrien. 

Assicuratasi che Marinette non la interrompesse, Alya riprese: “Dicevo, inoltre, che vi chiamate con certi nomignoli capaci di far venire una carie persino a quella romanticona di Rose. ”

Adrien arrossì. Non aveva mai pensato a come sarebbero potuti risultare lui e Marinette visti dall’esterno. 

“Non riesco proprio a capire se siete le persone più dolci che io conosca o quelle più imbarazzanti. Insomma, Marinette, gattino? È davvero… ehm, come lo definiresti, Nino?

Marinette si spazientì. Nino fece per rispondere alla domanda della sua ragazza (non avrebbe osato pensare alle conseguenze del suo silenzio), quando Marinette gli parlò sopra: “E allora, che male c’è?” 

Aveva arricciato il labbro superiore, le gote più rosse che mai, e Adrien pensò che fosse davvero adorabile, in quel momento. 

Alya d’un tratto cambiò espressione. Da spazientita e arrabbiata iniziò a ridere come una matta, reggendosi la pancia con entrambe le mani. Tutti continuavano a non capire, Nino compreso. 

Alya si asciugò una lacrima con l’indice. “C’è che siete adorabili” un luccichio di orgoglio nel suo sguardo. “E, modestamente, è tutto merito mio.”

Marinette la fulminò con lo sguardo. Tuttavia, era sollevata al pensiero che la sua amica stesse solo scherzando. Sciolse la presa dalla mano di Adrien e strinse forte il suo braccio. Il possessore del braccio in questione diventò, se possibile, ancora più rosso. Nonostante non fosse la prima volta che… insomma, Marinette lo stringesse così, non era ancora abituato a quei piccoli gesti affettuosi e intimi che facevano parte della vita di coppia. 

“Non è stato tutto merito tuo” ribatté Marinette, ignara del livello di rossore raggiunto da Adrien qualche centimetro sopra la sua testa. 

Alya continuava a guardarli con occhi scintillanti, quei due erano proprio tenerissimi insieme. 

Nino sospirò un’altra volta, con lo sguardo diretto verso Adrien: “Scusala, amico. Sai come sono fatte, le ragazze.”
Si beccò una gomitata da parte di Alya, che, a differenza di Marinette, non fu così gentile nei confronti del suo ragazzo. Poi si rivolse a Marinette: “Scusami, tesoro. Solo che non mi sembra vero che voi due stiate finalmente insieme. Hai sbafato dietro ad Adrien per più di un anno che…”

Marinette, ormai, iniziava a sentire sempre più caldo, in quella stanza. Adrien assunse uno sguardo pomposo che andava a mascherare il rossore sulle guance. 

“Davvero?” le sussurrò all’orecchio, con un tono malizioso che fece venire i brividi a Marinette. 

Lei lo fulminò con lo sguardo, lasciando subito la presa sul suo braccio. 

“Scemo, ma se lo sai già.”

Alya batté le mani come una vera fangirl. “Ve l’ho già detto che siete troppo carini?”

 

***

“Parlando d’altro” si introdusse Nino, l’unico tra tutti a non essere talmente coinvolto dalla scena da non poter cambiare argomento: Alya era troppo impegnata nella contemplazione della coppia di fronte a loro; Adrien era a metà tra l’imbarazzato e il sornione e Marinette tra l’indignata e l’innamorata. “Siete tutti pronti per il test di scienze della quinta ora?”

Marinette lo guardò come se non avesse la minima idea di cosa stesse parlando. “Quale test di scienze.”

Tutti si voltarono a fissarla. 

“Ah” disse infine. “Il test di scienze per cui mi sono dimenticata di studiare.”

Emise un gemito di scoraggiamento. 

Alya la guardò preoccupata: “Ah, Marinette. Se non fossi la ragazza di Adrien ti chiederei cosa ti passi per la testa. Le prime due ore abbiamo ginnastica, vuoi che ti aiuti a ripassare?”

Marinette annuì sconsolata. “Mi dispiace, Alya. Me ne ero totalmente dimenticata.”

Adrien le passò una mano dietro il fianco. “Se vuoi posso aiutarti io.”

Alya scosse la testa con decisione. “Se l’aiuti tu il cervello le va in pappa dopo un secondo.” Marinette fece per ribattere, ma sapeva che Alya aveva ragione. 

Adrien arrossì, quindi non insistette. 

Marinette appoggiò la testa sulla spalla del suo ragazzo, mentre si chiedeva come cavolo avesse fatto lui a trovare il tempo di studiare, il giorno prima. Erano stati impegnati tutto il pomeriggio prima con un’attacco akuma, poi con un’intervista in diretta sul programma di Nadja Chamack. Era tornata a casa talmente spossata dalla giornata e dalle domande indiscrete di Nadja che si era buttata sul letto nonostante fossero appena le otto. 

Mentre si preparava col pensiero a due ore di immagazzinamento forzato di informazioni, si sentì chiamare da dietro le spalle. 

Era Camille, la rappresentante di classe di una seconda. 

“Ciao, Marinette. Scusami se ti disturbo. Ho parlato con la professoressa Bustier circa la riunione dei rappresentanti di classe, come mi avevi chiesto. Ha deciso di spostarla oggi pomeriggio dopo la fine delle lezioni. Per te è un problema?”

Marinette si costrinse a sorridere, anche se non aveva la minima voglia di partecipare a quella riunione. “Va benissimo Camille. Ci vediamo alle tre?”

La ragazza annuì. “Sì, alle tre in biblioteca.”

“A dopo, allora” la salutò la compagna. 

Poi si rivolse verso il suo gruppo di amici, mentre si spremeva una mano sulla faccia. “Questa giornata non finirà mai.”

Alya la prese per il braccio. “Su, non ti scoraggiare. Se iniziamo subito a ripassare vedrai che andrà meglio.”

Fece un cenno di saluto a Nino e Adrien, mentre si dirigeva in biblioteca con l’amica. 

“Adrien, dì al professore che Marinette non si sentiva bene e che l’ho accompagnata in infermeria. A te crederà. D’accordo?”

Adrien annuì, mentre salutava Marinette con un dolce e leggero bacio sulla tempia. 

 

 

2. 

 

“Bene, ragazzi. La lezione è finita. Andate in spogliatoio a cambiarvi e poi ognuno nella propria classe.”

Un coro di esulti si levò dall’ammasso di studenti che, dopo due ore di allenamento intensivo con il professor D’Argencourt, erano finalmente liberi di darsela a gambe. 

Tutti erano stanchi e sudati, tranne Adrien, abituato ai ritmi serrati delle sue lezioni, e ancora profumato come il culetto di un neonato. Marinette si stupiva ogni volta di come riuscisse ad essere sempre così impeccabile. Lei sudava sette camice ogni venerdì mattina, quando avevano le due ore di educazione fisica. 

Adrien fece per dirigersi verso lo spogliatoio dei maschi, in volto un’espressione molto triste. Durante tutto l’allenamento non era riuscito ad impedirsi di pensare a Marinette, e si era sentito terribilmente in colpa perché non si era assicurato che lei avesse studiato per il compito di scienze. Lui era già preparato sull’argomento, dato che nel periodo in cui prendeva lezioni private da Nathalie si era portato un po' avanti col normale programma, quindi aveva soltanto dovuto ripassare un’oretta dopo scuola per sentirsi pronto ad affrontare il test. Marinette invece era rimasta in classe ancora un po' a causa dei suoi impegni da rappresentante, e appena era tornata a casa era subito andata ad aiutarlo a sconfiggere l’akumizzato di turno. Avrebbe tanto voluto fare qualcosa per lei, ma ogni volta Marinette faceva troppo l’orgogliosa per chiedergli una mano, e lui era troppo tonno - questo lo ammetteva - per accorgersi che probabilmente lei aveva bisogno di aiuto. 

Si era scervellato per due ore intere nel cercare un modo per risolvere la situazione, e ancora ci stava pensando quando si sentì chiamare da dietro le spalle. 

Si voltò, cercando di individuare tra i volti dei suoi compagni quello da cui proveniva la voce femminile che aveva appena sentito, quando si ritrovò davanti una ragazza che non aveva mai visto prima. In realtà, la conosceva soltanto di vista, essendo anche lei un’alunna della sua stessa scuola. L’aveva vista spesso proprio durante le lezioni col professor D’Argencourt: la classe di Adrien non era molto numerosa, per cui il professore aveva deciso di incorporarla con un’altra durante le sue ore. 

“Ehm, ciao” la salutò, cercando di capire perché quella ragazza volesse parlare con lui. 

Sentendo la voce di Adrien, quella divenne tutta rossa. 

“Ah…Ciao, Adrien. Mi chiamo Coco Duval, frequento la 2a D…” sembrò voler dire qualcos’altro, ma le parole le morirono in gola. 

Adrien le sorrise gentilmente. “Ciao, Coco. Posso fare qualcosa per aiutarti?” 

Quella frase fu pronunciata con talmente tanta dolcezza che Coco sentì le gambe cedere. 

Prese un respiro profondo e mise da parte ogni imbarazzo. Quella era l’occasione giusta per aprirsi con Adrien circa i suoi sentimenti, e non doveva farsela assolutamente sfuggire. 

“Sì, io… volevo parlarti, di, ecco… una cosa. Posso rubarti due minuti?”

Adrien annuì, preoccupandosi per quella ragazza, che probabilmente si trovava in difficoltà in qualcosa. Magari voleva chiedergli di aiutarla con l’educazione fisica. Altrimenti perché avrebbe avuto bisogno di parlare con lui?

“So che sei già impegnato, e che sei innamorato della tua ragazza…”
Lo sguardo di Adrien si fece sempre più confuso. Cosa c’entrava Marinette con lo sport?

“… però non potevo fare a meno di confessarti i sentimenti che provo per te, Adrien. Sei il ragazzo più gentile e bello che io abbia mai visto. Sei sempre disponibile ad aiutare gli altri, sei buono e bravo in tutto. Mi sei piaciuto fin dal primo giorno che ti ho visto.”

Adrien non sapeva cosa dire. Non si aspettava minimamente una dichiarazione da parte di una ragazza con cui non aveva mai parlato. 

“So che tu non hai la minima idea di chi io sia, e il tuo sguardo confuso conferma quello che pensavo da tempo, però ci tenevo lo stesso a confessarti quello che provo per te. So che penserai che io sia una stupida, ma…”

“Non sei affatto stupida” la interruppe Adrien. 

Coco abbassò lo sguardo, terribilmente rossa in volto, mentre continuava a contorcersi le mani sudaticce come preda di un attacco di panico. 

“Coco, io…” sentire il suo nome pronunciato dalla voce di Adrien le fece perdere un battito “… sono lusingato dai tuoi sentimenti, e sono contento che tu mi abbia confidato ciò che provi, ma, come hai già detto, io amo Marinette. So cosa si prova a venire rifiutati dalla persona che si ama, credimi, ma purtroppo non posso accettare i tuoi sentimenti.”

Coco alzò un poco lo sguardo, mentre una silenziosa lacrima si faceva largo sul suo volto. 

Adrien era mortificato. “Ti prego, non piangere. Io non volevo…”

Lei scosse la testa. “Adrien, non hai niente di cui scusarti. Sapevo come stavano le cose sin da prima che mi facessi avanti, quindi non devi biasimarti per quello che mi stai dicendo. Dichiarandoti i miei sentimenti speravo che, con un tuo rifiuto, sarei finalmente riuscita a dimenticarti, invece sei talmente gentile che ti dispiace anche dirmi che non mi ricambi.” Sorrise tra le lacrime. 

Ci fu un attimo di pausa in cui nessuno dei due seppe cosa dire, poi Adrien chiese, con tono premuroso: “C’è qualcosa che posso fare per farti stare meglio?”

Lei lo guardò, forse ancora più innamorata di prima, e chiese in un sussurro: “Come posso dimenticarti? Hai detto che anche tu sei stato rifiutato, eppure ora sei felice con Marinette. Come hai fatto?”

Adrien rimase leggermente spiazzato da quella domanda. Lui era, sì, stato rifiutato da Ladybug più e più volte, ma la sua era una situazione completamente diversa, visto che comunque Marinette lo amava. Allora gli vennero in mente le parole che Katami gli aveva rivolto tanto tempo prima, quando aveva ricevuto l’ennesimo rifiuto da parte di Ladybug. 

“Cambia bersaglio” le disse, non senza una vena di imbarazzo. Non sapeva quanto quel consiglio potesse rivelarsi utile, ma era l’unica cosa che gli era venuta in mente, in quel momento. “So che potrà sembrarti impossibile, all’inizio, ma io non sono la persona giusta per te, Coco. Devi soltanto rivolgere il tuo sguardo da qualche altra parte, finché non colpirai il bersaglio giusto. Sono certo che prima o poi riuscirai a trovare il ragazzo degno di ricambiare i tuoi sentimenti.”

Coco lo guardò con gratitudine, cercando di imprimersi le sue parole nella mente. “Grazie mille, Adrien. Marinette è proprio fortunata ad averti.”

Adrien sorrise: “Ed io sono fortunato ad avere lei.”

“Posso chiederti un’ultima cosa?”

“Sì, certo.”

“Posso abbracciarti? Solo un abbraccio da amica. Sempre se alla tua ragazza non dà fastidio.”

Adrien non ci vide nulla di male in un abbraccio da amici. Annuì e allargò le braccia. 

Coco si ricordò troppo tardi di aver appena finito la lezione di ginnastica. Si chiese come diamine facesse Adrien, invece, a profumare di rose. 

 

3. 

 

Marinette tirò un sospiro di sollievo quando finalmente la riunione dei rappresentanti finì. Si era vicini alla fine dell’anno, e tutti i preparativi per la festa che avrebbe avuto luogo dopo la fine delle lezioni dell’ultimo giorno di scuola fremevano. 

Scese piano i gradini della Dupont, sentiva le gambe stanche e pesanti. Aveva soltanto bisogno di una bella dormita, ed era proprio fortunata che fosse venerdì. Il giorno successivo non avrebbe avuto l’urgenza di svegliarsi presto per andare a scuola, nonostante fosse decisa che lo avrebbe dedicato allo studio. Doveva portarsi avanti se non voleva fare delle corse all’ultimo minuto, e chiedere ai suoi amici di aiutarla perché non era riuscita ad organizzarsi. 

Prima di diventare Ladybug, Marinette aveva sempre ottimi voti a scuola. Non che ora non ne avesse più, soltanto che si ritrovava sempre più spesso con qualche sorpresa indesiderata. 

Non le piaceva prendere brutti voti, semplicemente perché sapeva che era abbastanza capace per andare meglio. 

Bastava organizzarsi, pensò. 

D’altronde, se Adrien riusciva nonostante la sua doppia vita da supereroe, non vedeva perché anche per lei non dovesse essere la stessa cosa. 

Erano ormai le cinque del pomeriggio - la riunione era durata più del previsto, e come se non bastasse era stata trattenuta dalla professoressa Bustier che le chiedeva spiegazioni sull’insufficienza dell’ultimo compito di storia - e non aveva voglia di fare nient’altro che una bella dormita. Mentre aspettava che il semaforo dell’incrocio sotto casa sua diventasse verde, controllò velocemente le notifiche del telefono. Aveva cinque chiamate perse di Adrien e altrettanti messaggi in cui le chiedeva di richiamarlo, se stesse bene, a che ora avrebbe finito la riunione, di nuovo se stesse bene, e di come fosse andato il compito di scienze. Subito dopo la quinta ora aveva avuto lezioni di scherma e non era riuscito a chiederglielo. 

Marinette ripose il telefono nello zaino ed attraversò la strada, entrò nella pasticceria per salutare i suoi, salì le scale del pianerottolo e finalmente si ritrovò a casa. Per prima cosa si tolse le scarpe, poi corse in camera sua a mettere il pigiama. Impostò la sveglia per le otto di sera e digitò a memoria il numero di Adrien. 

“Marinette, finalmente. Mi stavo preoccupando sul serio.”

Marinette ridacchiò. “Tu ti preoccupi sul serio anche se non rispondo subito al primo squillo.”

“Non è vero” protestò lui.
“Oh, sì che è vero” annuì Marinette, mentre si infilava al calduccio sotto le coperte. 

Quanto meritato e agognato riposo. 

“Allora, hai finito adesso la riunione? Come mai ci avete messo così tanto?”

Marinette si tirò le coperte fin sotto al naso, rannicchiandosi in posizione fetale. “Sai com’è, siamo partiti da una cosa e siamo arrivati da tutt’altra parte. E poi” aggiunse “mi ha trattenuta la signorina Bustier.”

“Perché? C’è qualche problema?”

“Ma no, niente di che.”

“Guarda che lo capisco se mi menti.”

Lei sbuffò. “Non sapevo che come super potere avessi anche quello di scovare le bugie.”

“Quelle della mia ragazza, sì” rispose Adrien con tono solenne. 

“Ma sentilo…” lo canzonò lei. 

“È per il compito di storia?”

“Mmh?”

“La signorina Bustier ti ha voluto parlare perché sei andata male al compito di storia?”

“Sei un impiccione.”

“Mi preoccupo per te.”

Marinette sorrise. 

“Ehi” disse allora lui, in un tono talmente dolce che il cuore di Marinette si sciolse. “Possiamo vederci?”

“Adesso?”

“Sì. Perché, hai da fare?”
“In realtà avevo in programma una bella dormita.” 

“Il tuo sonno di bellezza non può proprio aspettare?”

“Se me lo chiedi per favore, ci posso pensare.”

Lui ridacchiò in risposta. “Milady, luce dei miei occhi, amore della mia vita. Faresti l’onore della tua compagnia a questo povero gatto solo e perdutamente innamorato, questa sera?”

Marinette arrossì, mentre prese a mordicchiarsi nervosamente un labbro. Aveva improvvisamente voglia di averlo lì, tra le sue braccia. Di sentirne il calore, il profumo. 

“Onore concesso.”

“Parto immediatamente, allora.”

“Ti aspetto.”

Marinette riattaccò col sorriso sulle labbra. 

 

***

Qualche minuto dopo avvertì un gentile bussare proveniente dalla botola che dava sulla terrazza. Marinette si scostò dalle coperte, avvertendo subito un brivido di freddo, e si diresse carponi ai piedi del letto. Aperta la botola, si ritrovò di fronte un gatto tutto solo e infreddolito. Lo fece subito entrare, mentre quello si ritrasformava. 

“Me lo avevi promesso, Adrien” subito una voce esigente fece capolino. Il ragazzo sbuffò, mentre prese a frugare nella borsa. 

“Tieni, una gustosa porzione di camembert al sidro stagionato, appositamente per te dalla dispensa del mio chef pluristellato.”

Plagg guardò il formaggio con due occhi famelici, strofinò per bene le mani pregustando l’attimo in cui avrebbe potuto addentare quella prelibatezza, che subito rubò dalle mani di Adrien. “Ora mi levo dai piedi” annunciò. 

“Ecco, bravo.” 

Marinette ridacchiò, i battibecchi tra Adrien e il suo kwami erano sempre estremamente divertenti per lei. 

Adrien si guardò un attimo intorno. “E Tikki, dov’è finita?”

“Si è dileguata quando ha saputo che saresti venuto.”
Adrien annuì, l’espressione del viso si rilassò, mentre iniziò a scrutare più attentamente la sua ragazza. Aveva il volto visibilmente stanco, i grandi occhi azzurri lucidi, i capelli sciolti e spettinati e un adorabile pigiama rosa a pois bianchi. 

Marinette si sentiva un po’ a disagio sotto il suo sguardo scrutatore. “Mi chiedi di Tikki soltanto per sapere se puoi dare libero sfogo alle tue sconce fantasie?”

Adrien arrossì in un modo che a Marinette parve adorabile. 

“Non dire sciocchezze.”

Marinette ridacchiò divertita. Poi lo prese per mano, dato che erano entrambi seduti sul bordo del letto, e gli chiese di togliersi le scarpe. 

“Perché?”

“Perché lo dico io.”

Adrien si arrese al suo ordine, slacciò le scarpe e le lasciò scivolare sotto le scale. Appena si voltò vide che Marinette si era già sepolta sotto le coperte. Due occhioni blu spuntarono da dietro le lenzuola. “Non vieni?”

Adrien credette di non aver sentito bene. 

Marinette cacciò una mano e la sbatté sulle coperte per indicargli dove doveva sedersi. O sdraiarsi. Si avvicinò lentamente carponi, ancora convinto di aver frainteso quello che lei aveva cercato di dirgli. 

“Muoviti, che sento freddo” si spazientì lei, mentre gli sistemava amorevolmente la coperta sulle gambe, poi su tutto il corpo. 

Adrien pareva sempre più confuso. 

“Marinette, ma cos…”

Non potè continuare a parlare quando se la ritrovò accucciata tra le braccia, il profumo al gelsomino dei suoi capelli nelle narici, il calore del suo corpo contro. 

“Te l’ho detto che avevo sonno” bofonchiò lei, gli occhi già mezzi chiusi. 

Per farla stare più comoda, Adrien fece scivolare un braccio sotto il suo collo, mentre con l’altro le accarezzava la vita. 

“Ma noi dovevamo parlare” protestò lui. 

Marinette alzò di poco lo sguardo. “Se mi devi fare la paternale giuro che ti caccio.”

“Ma quale paternal…”

Lei gli lanciò uno sguardo di fuoco. “Va bene” si arrese “niente paternale.”

“Bravo” mugugnò Marinette, ritornando ad accucciarsi sul suo petto. 

Ad Adrien sarebbe piaciuto tantissimo stare lì semplicemente a godersi quel momento, eppure non poteva ancora rimandare l’argomento. Dopo l’ora di educazione fisica non aveva avuto neanche un’occasione per parlare a Marinette di cosa era successo in palestra, e si sentiva decisamente a disagio. Non voleva rovinare l’atmosfera parlandole di Coco, però non voleva neanche nasconderle quello che era accaduto. 

Semplicemente, disse: “Oggi ho ricevuto una dichiarazione d’amore.”

Sentì Marinette irrigidirsi, mentre alzava piano la testa dal suo petto. 

“Mi stai prendendo in giro? Perché se è così non è affatto divertente.”

Adrien si rese conto all’improvviso dell’atmosfera tesa che si era venuta a creare. Forse aveva introdotto l’argomento in maniera un po' tempestiva, però sapeva che non si sarebbe dato pace fino a quando non ne avrebbe parlato con lei. 

Marinette si scostò un po' di più da lui, cercando di capire dove il suo discorso volesse andare a parare. Era chiaro che non si trattava di uno scherzo, dall’espressione mista di terrore e nervosismo che le stava rivolgendo. 

“Adrien?”

“Sì?” lui si riscosse come da un sogno. Meglio definirlo un incubo. 

“Sto aspettando una risposta.” 

Ora si era scostata completamente da lui, e Adrien avvertì uno sgradevole senso di freddo e vuoto nel punto di cui prima si trovava il corpo di Marinette. 

“È… è successo durante l’ora di motoria. In realtà, alla fine. Sento una ragazza dell’altra classe classe che mi chiama e…”
“Chi è” chiese con tono quasi glaciale. Adrien non l’aveva mai vista così, e divenne ancora più nervoso. 

“Si chiama Coco.”

“Coco Duval”

“Ehm… credo di sì.”

“E che ti ha detto.”

Adrien prese a contorcersi le mani. Non riusciva a capire perché Marinette fosse così infastidita. Dopotutto, lui non aveva fatto niente di male. 

“Mi ha detto che le piacevo. Lei sapeva già che sono innamorato di te, però ci teneva a confessarmi i suoi sentimenti. Sperava che così sarebbe riuscita a dimenticarmi.”
“Sperava?” Marinette alzò un sopracciglio, le labbra corrucciate. 

“In che senso?”

Sperava? Al passato?”

“C-credo di sì. Insomma, non è così semplice dimenticarsi della persona di cui si è innamorati.”

Marinette sbuffò. “Ma quale innamorati? Quella muore per te solo perché sei oggettivamente bellissimo.”

Adrien si indispettì. 

“Non è vero. Da come me ne parlava, sembrava che i suoi sentimenti fossero davvero sinceri.”

Marinette puntellò il gomito sul cuscino. “La stai difendendo, per caso?”

“N-no! Certo che no! Milady, puoi stare tranquilla. Lo sai che amo solo te. Non c’è bisogno di essere gelosa.”

Il tono di Adrien era calmo, cercava di tranquillizzarla. Ma non riuscì nel suo intento. 

“Gelosa?! Io non sono gelosa.” Ricadde a braccia conserte sul letto, troppo lontana da lui. 

“N-non volevo dire proprio gelosa. Solo… infastidita?”

“Io non sono infastidita. Sono arrabbiata.”

“Perché? Si può sapere?” Adrien iniziava a spazientirsi. Non aveva fatto niente di male, lui. Anzi, appena aveva avuto modo di parlare con lei, subito le aveva raccontato l’accaduto. 

“Perché?! Perché ti dico che sono stanca morta e tu fai finta di niente e mi dici che una ragazza ti ha detto che è follemente innamorata di te, e che ti dispiace di averle detto che stai già con un’altra!”

Marinette era scattata seduta, le braccia conserte. Adrien non l’aveva mai vista così arrabbiata. 

“Ma si può sapere che ti prende? Innanzitutto, io non l’ho rifiutata soltanto perché sono già impegnato. M-ma ti senti quando parli? È assurdo. Ti ripeto ogni giorno che sei l’unica ragazza che amo, e mi vieni a dire una cosa simile? E se la vuoi sapere tutta, ci siamo anche abbracciati. Ma era soltanto un abbraccio da amici, e gliel’ho dato da amico.”

Marinette tremava. 

“Anche di me dicevi che ero solo un’amica” sussurrò, livida in volto. 

Adrien si portò una mano sul viso. “Ma non c’entra niente! E prima di urlarmi contro cose cattive come poco fa, potresti fermarti ad apprezzare il fatto che te lo abbia detto subito, appena ti ho vista. So che magari potevo essere più delicato, e introdurre meglio l’argomento, però non mi merito questo atteggiamento. Avresti preferito forse che non ti avessi detto niente?”

Marinette sentì le lacrime salirle agli occhi. Adrien aveva ragione. Come sempre. 

Si sentì malissimo rendendosi conto delle parole brutte che gli aveva rivolto. 

“Mi dispiace” mormorò, portandosi le mani agli occhi per nascondergli le lacrime. “È che questa settimana è stata orribile. Sto andando male a scuola, non trovo un attimo di tempo per me, per noi. Non riesco neanche a dormire. Sono esplosa. N-non dovevo dirti quelle parole, mi dispiace così tanto.”

Il cuore di Adrien si strinse in una morsa vedendola in quello stato, rannicchiata su se stessa in lacrime. Tutto per colpa sua. Perché non era riuscito a capire quanto a lei servisse il suo aiuto, il suo supporto. 

La prese tra le braccia e la strinse forte. La fece sdraiare e allungò il braccio per afferrare la scatola di fazzoletti sullo scaffale dietro la testiera. Le asciugò il viso dalle lacrime, le lasciò scie di baci sul volto. 

“Non è colpa tua, Marinette. Sono io quello da biasimare. Sono il tuo ragazzo e non mi sono neanche accorto di che periodo difficile fosse, per te.” Le carezzava dolcemente i capelli con una mano, portandole dietro la testa i ciuffi che aveva davanti agli occhi. “Ti prometto che d’ora in avanti farò del mio meglio per supportarti sempre. Va bene?”

Lei scosse la testa tra i singhiozzi. Il cuscino era tutto bagnato. 

“Ma che cosa dici. Tu sei sempre perfetto. Ti preoccupi per me come nessun altro. Mi sei sempre vicino, anche troppo, a volte” sorrise tra le lacrime. 

Adrien le baciò la fronte. 

“Ti amo, Marinette. Te e nessun’altra. Ricordatelo sempre, d’accordo?”

Lei annuì sotto le coperte, un fazzoletto di carta stropicciato nel pugno. 

Adrien le rimboccò per bene le lenzuola. “Dormi, adesso. Hai bisogno di qualcosa?”

Marinette scosse la testa. Poi, forse, ci ripensò. 

“Potresti restare ancora un po’? Solo fino a quando non mi addormento.”

Adrien sorrise e se la strinse al petto. 

“Tutto il tempo che vuoi, Milady.”

Marinette sorrise sotto le coperte, aspirando il suo profumo. “Mmh, effettivamente è vero che sono un po' gelosa.”

“Soltanto un po’?”

“Non fare tanto il gradasso, che tu lo sei molto più di me.” Il suo tono era divertito, ma anche terribilmente stanco.  

“Lo ammetto” le sussurrò tra i capelli. “Non permetterò mai a nessuno di portarti via da me.”

Marinette sorrise un’ultima volta, prima di abbandonarsi al mondo dei sogni. 

 

 

Convenevoli finali:

Eccoci arrivati al secondo capitolo di questa raccolta di os! Sono molto contenta di essere riuscita ad aggiornare dopo neanche una settimana (non abituatevi troppo, però, stiamo pur sempre parlando di me xD). Ad essere sincera, non credo che questa storia abbia molto senso, però il risultato finale mi pareva carino, e quindi le ho dato un’opportunità. Fatemi sapere cosa ne pensate :)

 

A presto (spero),

Talitha_

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Capitolo 3
*** Cadeau ***


1. 

 

‘Ronda stasera?’

Marinette sorrise allo schermo del cellulare. 

‘Definisci “ronda”’ digitò velocemente, un sorriso ebete stampato sulle labbra. 

Sentiva le farfalle nello stomaco. Succedeva sempre così quando c’entrava lui

Per la risposta di Adrien dovette attendere qualche minuto. Nel frattempo, preparò la cartella per il giorno successivo e prese la macchina da cucire. Voleva finire il regalo del compleanno di Adrien prima che fosse troppo tardi. In realtà, li aveva tutti pronti per i prossimi quarant’anni, però le sembrava di non essersi impegnata abbastanza, e quindi aveva pensato di ricominciare daccapo. Quello era il primo compleanno che lei e Adrien passavano da fidanzati, e il suo regalo per lui sarebbe dovuto essere il più speciale di tutti. 

Avrebbe avuto un doppio regalo quell’anno. E magari triplo, quadruplo, quintuplo in quelli a venire. 

Gli anni a venire. 

Non poteva credere che l’attendeva un’intera vita da passare con lui, e anche se sapeva perfettamente di avere soltanto sedici anni e che le cose sarebbero potute cambiare da un momento all’altro, sentiva che niente e nessuno avrebbe potuto separarla da Adrien. 

Loro due erano fatti l’uno per l’altra. 

Non era un semplice innamoramento. Marinette sentiva di essere legata indissolubilmente a lui, migliore amico, partner, compagno di vita. 

Inserì il filo nel passafilo e posizionò il piede sul pedale, quando il telefono trillò. 

Sporse la testa per leggere il messaggio, mordendosi un labbro. 

‘Accurato giro di perlustrazione per le strade di Parigi e conseguente entrata in scena in caso di anomalie. Perché me lo chiedi? Non sarà mica che ti sei fatta sconce idee al riguardo?’

Marinette sorrise. Nonostante quello fosse solo un messaggio, era in grado di immaginare perfettamente il tono malizioso con cui Adrien avrebbe pronunciato quelle parole. Aveva capito subito che quella della ronda era solo una scusa per passare un po' di tempo indisturbati. 

Digitò in risposta: ‘Niente idee sconce, Micetto. Quelle le lascio a te. Ci vediamo alle dieci?’

‘Alle dieci?! Ma è troppo tardi! Non ce la faccio ad aspettare altre tre ore. Voglio vederti subito.’

‘Devo ancora cenare, e poi ho una cosa da fare, prima.’

Immaginava già il suo volto corrucciato. Adorabile. 

‘Qualunque cosa sia, non è davvero importante se ti tiene lontana da me, Milady.’

In realtà, è proprio il tuo regalo quello a cui sto lavorando. 

Ma non poteva certo rovinargli la sorpresa.

‘Non fare il melodrammatico, Chaton. Ci vediamo alle dieci.’

‘Almeno mi dici cosa devi fare di tanto importante? Ti vedi con qualcuno?’

‘Con nessuno, stai tranquillo. Ora vado, altrimenti non combino niente.’

‘Potrei essere geloso dell’oggetto di tante attenzioni. Credo proprio che stasera mi vendicherò.’

Marinette sorrise, felice. 

‘A dopo, Chaton.’ 

‘Conto i minuti, Milady.’

Esagerato. 

Ma dolcissimo. 

 

***

 

Erano le nove passate, e Marinette era ancora con la testa china sulla macchina da cucire. Aveva lavorato per più di due ore, ed era molto soddisfatta dei risultati che aveva ottenuto fino a quel momento. 

Si stropicciò gli occhi, le palpebre improvvisamente pesantissime. 

Poggiò il gomito sulla scrivania, poi la testa sul palmo della mano. 

“Tutto bene, Marinette?” le chiese la vocina dolce di Tikki. 

Marinette annuì debolmente, sbadigliando. “Sì, Tikki. Sono solo un po' stanca. Spero tanto che almeno per stanotte Papillon decida di farsi un bel sonno di bellezza. Dovrà pur dormire, quell’uomo!”

Tikki era preoccupata. “Se sei tanto stanca farai meglio a dire ad Adrien che non puoi vederlo, stasera.’’  

Marinette scosse vivacemente la testa. “Fuori questione. Adrien ci tiene tanto a vedermi, sospetto anche che abbia preparato qualcosa di carino per noi. E poi, manca poco alle dieci, ce la faccio a resistere.”

Un altro sbadiglio. 

Le bruciavano gli occhi. 

Tikki annuì, anche se non era del tutto convinta della scelta della sua padrona. 

 

 

***

 

Dieci minuti di ritardo. 

Non era da Marinette tardare così tanto. 

Certo, lei era una ritardataria cronica, ma soltanto per tutto quello che non riguardava lui. 

Ai loro appuntamenti, lei era arrivata sempre in perfetto orario. 

E ora erano undici… anzi, dodici minuti di ritardo. 

Non poteva fare a meno di preoccuparsi. 

Provò a chiamarla sul cellulare, ma gli dava la segreteria telefonica. 

‘Sono Marinette, lasciate un messaggio dopo il bip! Biip! Ahah!’

A lui, Marinette rispondeva sempre. 

C’era qualcosa che non andava. 

E se Papillon avesse scoperto la sua vera identità e a quest’ora le avesse già rubato il Miraculous e presa come esca per attirare lui?

‘Sono Marinette, lasciate un messaggio dopo il bip! Biip! Ahah!’

E se quella cosa misteriosa che doveva fare era un’indagine da Guardiana di cui aveva preferito non metterlo al corrente e le cose fossero andate per il verso storto?

‘Sono Marinette, lasciate un messaggio dopo il bip! Biip! Ahah!’

E se fosse uscita di casa nelle sue vesti civili e avesse incontrato un malintenzionato che…

Una morsa gli strinse il cuore. 

Non riusciva a pensarci. 

Col fiato sospeso, decise di non poter aspettare un minuto di più. 

Si precipitò verso casa di Marinette. 

Perché di certo, con gli artigli in mano non poteva stare. 

 

***

 

Tikki sentì un rumore insistente provenire dal terrazzo poco sopra di lei. 

Qualcuno stava bussando. 

Finalmente, pensò. Si precipitò subito verso il soffitto della camera di Marinette e lo trapassò come se quello fosse il gesto più naturale al mondo. 

Non fece in tempo a rendersi conto della situazione, che un paio di mani guantate la afferrarono. 

“Tikki, grazie al cielo! Dov’è Marinette? Sta bene, vero?”

Tikki trapassò facilmente anche la mano di Chat Noir, liberandosi dalla sua presa. 

“Sta’ tranquillo, Adri…”

“Non c’entra niente Papillon, vero? E dov’è adesso? Sicura che non le sia successo niente?’’

Aveva il fiato corto, gli occhi pieni di preoccupazione. 

“Chat Noir, non devi preoccuparti. Marinette sta bene.”

“Ma dov’è? E perché non risponde al telefono?”

Tikki alzò gli occhi al cielo. 

“Se mi fai spiegare, Chat Noir.”

Lui annuì con un gesto misto di scusa e impazienza. 

“Marinette era stanchissima, e si è addormentata mentre… ehm. Mentre lavorava ad un progetto.”

“Quale progetto?”

“Un progetto. Si è addormentata, tutto qui. Credo che nel frattempo il telefono si sia scaricato, ecco perché non ti ha risposto. Volevo venire ad avvisarti, ma non potevo lasciarla da sola. Mi dispiace se ti sei preoccupato così tanto.’’ 

“Certo che mi sono preoccupato! Fa tardi e non risponde al telefono! Ho perso dieci anni di vita. Adesso è in camera? Posso vederla?”

Tikki non avrebbe avuto problemi a far entrare Adrien, ma non voleva che tutti gli sforzi di Marinette di fargli una sorpresa per il suo compleanno si vanificassero. Si era addormentata mentre ancora stava lavorando al suo regalo, ed era tutto lì, in bella mostra sulla scrivania. 

Si voltò di scatto quando vide Adrien che stava facendo per aprire la botola. Gli si parò davanti con le sue braccine sottili. “NO!”

Gli occhi verdi di Adrien esprimevano confusione. “Come no?”

Tikki non sapeva cosa rispondere. Fece semplicemente: “Non puoi entrare!”

Adrien non capiva. “Perché no?”

“Perchééé… ehm. Perché è… è nuda!”

Adrien credette di non aver capito bene. 

“N-nuda?”

Ormai il danno era fatto, pensò Tikki. 

Ti prego, Marinette. Perdonami. 

“Nudissima! Dalla testa ai piedi. Completamente nuda. Non vorrai certo entrare così!”

Adrien era ormai completamente rosso in volto.

“M-ma come…”

Non poteva credere che Marinette, una nuda Marinette, fosse proprio lì, a pochi passi da lui. 

Sentiva le orecchie fischiare al pensiero, qualcosa sciogliersi nel petto. 

“Mi dispiace, Adrien. Non credo che tu possa vederla. Si era appena fatta la doccia quando si è addormentata. Era stanchissima…”

“Stanchissima” ripetè Adrien in un sussurro, ormai il cervello completamente in pappa. 

“Non dirle che te l’ho detto, però. Si imbarazzerebbe da morire e non me lo perdonerebbe mai. Va bene?”

Adrien annuì, anche se aveva tutta l’aria di non aver capito quello che Tikki le aveva appena detto. 

“A-allora vado.”

“Va bene, Adrien. Ti faccio chiamare da Marinette non appena si sveglia, d’accordo?”

“N-no! Cioè, sì. Fammi chiamare.”

“Bene, allora. Buonanotte, Chat Noir.”

“B-buonanotte Tikki.”

Non appena udì il fruscio della coda di Chat Noir allontanarsi, Tikki tirò un sospiro di sollievo. 

 

***

 

“…inette!”

Sbatté un poco le palpebre, lunette di luce le infastidivano gli occhi. 

“Marinette!”

Una voce lontana. 

“Marinette Dupain-Cheng, se non ti alzi subito ti porto a scuola di peso!”

Passi sempre più vicini, il cigolio della botola che si apre. 

“Marin…”

La voce di Sabine si spense. “Ti sei di nuovo addormentata sulla scrivania? Tesoro, quante volte ti ho detto di andare a letto quando hai sonno?”

Marinette strizzò gli occhi, non ancora propriamente conscia di ciò che sua madre le stesse dicendo. 

Dopo aver sollevato la testa dalle braccia ed essersi guardata attorno, ricordò gli eventi della sera prima e scattò in piedi. “Mi sono addormentata?”

Sabine la guardò incredula, poi si passò una mano sulla fronte. “Sì, dormigliona. E sono le otto passate. La campanella sta per suonare e tu stai ancora nel mondo dei sogni. Muoviti se non vuoi prenderti il solito rimprovero dalla professoressa Bustier. Ti aspetto di sotto.”

Le carezzò gentilmente il volto e se ne andò richiudendosi la botola alle spalle. 

Marinette continuava a guardarsi intorno, come se stesse ancora vivendo in un sogno. 

“Finalmente ti sei svegliata!”

Una vocina dolce fece capolino da sotto la scrivania. 

“Tikki! E… e Adrien? Non dovevamo vederci, ieri sera? Oh, che mal di testa! E ho tutta la schiena dolorante!”

Tikki sbuffò dolcemente. “Sì, Marinette. Ma non preoccuparti per Adrien. Gli ho detto che ti eri addormentata e che era meglio non disturbarti.”

Marinette si passò una mano tra i capelli spettinati. “Ma perché non mi hai svegliata? Adrien ci teneva così tanto a farmi quella sorpresa, di sicuro c’è rimasto malissimo.”

“Ho provato a svegliarti, ma dormivi come un sasso.”

Lo sguardo di Marinette cadde sul lavoro incompleto ancora in bella mostra sulla scrivania. Si agitò tutta. “Non l’hai mica fatto entrare, vero? Oddio, sicuramente è entrato. Figurarsi se se ne andava senza neanche vedermi!”

Tikki arrossì leggermente. “Beh, vedi…. Non devi preoccuparti, sono riuscita a tenerlo a bada.”

Marinette la guardò incredula, spalancando i grandi occhi azzurri. “E cosa gli hai detto?”

Tikki prese a contorcersi le dita. “Ehm, ecco… gli ho detto che…”

“Marineeette! Sei pronta?”

La voce di Sabine fece ricordare a Marinette di essere in super ritardo.  

“Non importa, Tikki. Mi finisci di raccontare più tardi. L’importante è che non abbia visto niente. Me lo assicuri?”

“C-certo, Marinette. Adrien non ha visto proprio niente.”

Marinette sorrise incoraggiata. “Bene. Grazie mille, Tikki!”

Le scoccò un bacio sulla testolina e corse verso il bagno. 

 

***

 

La campanella era suonata già da un pezzo quando Marinette spalancò trafelata la porta della classe. 

“Ehm, buongiorno. Scusi il ritardo, signorina Bustier.”

La professoressa la guardò in modo indulgente, ormai abituata ai frequenti ritardi di Marinette. 

Invitò la ragazza a sedersi, mentre proseguiva con l’appello della classe. 

“Lahiffe Nino?”

“Presente!” rispose il compagno di banco di Adrien. 

Marinette arrivò al suo posto, il fiato corto dalla corsa. “Buongiorno, scusa il ritardo” soffiò nell’orecchio di Adrien, scoccandogli un leggero bacio sulla guancia.

Teneva un ginocchio poggiato sulla sedia e i gomiti sul banco. 

Profumo di gelsomino gli invase le narici. 

Adrien rabbrividì. 

“Mi dispiace tantissimo per ieri sera. Mi sono addormentata e…” la sua voce era un dolce bisbiglio. 

Le gote di Adrien erano completamente rosse. “Non preoccuparti, c-capisco.”

“Lo so, però ci tenevi. Giusto? Sono stata prop…”

Un battito di mani. 

“Marinette! Siedi composta, per favore. La lezione sta per iniziare.”

Marinette annuì imbarazzata e si mise seduta. Adrien tirò un sospiro di sollievo. 

Scosse leggermente la testa per scrollarsi certi pensieri di mente, quando si sentì punzecchiare la gamba. Abbassò lo sguardo, e intravide Plagg reggere un pezzettino di carta da lettere. 

L’unica persona al mondo che nel 2016 portava sempre con sé della carta da lettere rosa pallido era proprio Marinette. 

 

 

Posso venire a prenderti quando finisci la lezione di scherma, oggi pomeriggio?

Troverò un modo per farmi perdonare :)

 

Con amore, 

Marinette. 

 

 

Il cuore di Adrien mancò un battito. Ripiegò con cura la carta, prestando attenzione a far combaciare gli angoli del foglio. 

I polpastrelli sudaticci facevano attrito sulla carta. 

Per lui i biglietti di Marinette erano come una reliquia, e li custodiva tutti gelosamente in una scatola di cui persino lei ignorava l’esistenza. 

Troppo imbarazzato per risponderle, ancora memore degli eventi della sera precedente, si limitò a lanciarle un sorriso frettoloso, prima che la signorina Bustier iniziasse la sua lezione. 

 

 

2.

 

Il sole batteva forte. I raggi colpivano roventi l’asfalto. 

Era primo pomeriggio, e la lezione di scherma si era appena conclusa. 

Adrien uscì dall’atrio della scuola schermendosi gli occhi con la mano sulla fronte, le ciglia aggrottate. 

Teneva la borsa grigia a tracolla sulla spalla destra, Plagg nascosto nella tasca della giacca. 

E allora la vide. 

Saltellava allegramente salendo i gradini della scalinata. 

Quei gradini dove i loro sguardi si erano incrociati per la prima vera volta tanto tempo prima. Il punto in cui lei si era innamorata di lui e lui, inconsapevolmente, di lei.

Marinette sorrise vedendolo. Il fiato corto dalla corsa, si accovacciò posando le mani sulle ginocchia. 

“Ah!”

Aveva le guance paffute chiazzate di rosso, e ad Adrien parve adorabile. 

Sorrise dolcemente guardandola, mentre, con una mano, la aiutava a rimettersi dritta. 

“Perché mi guardi così?” chiese lei, non appena i loro sguardi si incrociarono. 

“Così come?” le rispose Adrien, in volto un’espressione ingenua. 

Marinette rise, mentre gli si faceva più vicina. 

“Così da ebete.”

Adrien arrossì. “Non sorrido da ebete” protestò. 

“Mmh” annuì lei, poco convinta. Si avvicinò ancora un poco, incrociando le dita dietro la nuca di lui. 

Adrien era nervoso. Marinette sapeva che lui sapeva? Probabilmente no, altrimenti anche lei si sarebbe sentita imbarazzata. Oppure era tutto un suo piano per fargli uno scherzo. Fargli credere che fosse nuda per vendicarsi maliziosamente di qualcosa che lui le aveva fatto e che in quel momento non ricordava. 

Istintivamente, la respinse per i fianchi. Certo, il suo tocco era leggero come il battito d’ali di una farfalla, eppure Marinette ci rimase male. 

Lo guardò confusa. “T-ti ho offeso? Mi dispiace, non volevo.” Cercava le sua mani, il suo sguardo, ma Adrien indietreggiò di qualche passo, gli occhi volti a terra. 

No, dal tono triste e dispiaciuto con cui aveva pronunciato quelle parole, Adrien capì che lei non sapeva che lui sapeva

“No, Milady. Certo che non mi hai offeso. Stavi solo scherzando.”

Gesticolava nervoso con le mani, cercando di mettere nella sua voce tanta più convinzione possibile. “È solo che…” si guardò freneticamente attorno. Poi un’idea. 

“Vedi” riprese “è da ieri sera che sono un po' raffreddato, niente di che - solo un po' di tosse - però non voglio che, insomma, toccandoti…”

La sua faccia era rovente, se lo sentiva. Si diede mentalmente dello stupido, lei non ci sarebbe mai cascata. 

Marinette lo guardò, le ciglia aggrottate. 

“Guarda che non me la bevo.”

‘Ecco’ pensò Adrien. ‘E adesso cosa cavolo le dico? Che mi imbarazzo a vederla perché so che ieri sera si è addormentata nuda dopo aver fatto la doccia?’

Prese a contorcersi le dita, mentre un rivolo di sudore gli colava giù per il braccio. 

Il nervosismo di Adrien allarmò Marinette, il cui viso si incupì nel giro di un attimo. 

Sentiva la gola completamente secca, un nodo all’altezza del cuore. 

Fece un passo indietro, le labbra dischiuse. 

“P-per caso c’è…” mai parole le erano risultate tanto difficili da pronunciare. “U-un’altra?” mormorò. 

Il cuore di Marinette batteva all’impazzata dalla paura. Sentiva già le lacrime premere per uscire.

Nella sua borsa, Tikki si premette una mano sulla fronte. Possibile che quei due fossero tanto ottusi?

“Un’altra?” A quelle parole, Adrien si ridestò. “Certo che no!” Non poteva permettere per nulla al mondo che un disguido del genere compromettesse la loro relazione. “Marinette, ascoltami.”

Le si avvicinò, intrecciò le mani di lei alle sue. “Milady, sai benissimo che non ci sarà mai nessun’altra all’infuori di te. Su questo non devi dubitare mai. Io ti amo, ok? Niente e nessuno potrà cambiare i sentimenti che provo per te. N-non ci devi neanche pensare.”

Scosse con convinzione la testa. 

Marinette emise un leggero singhiozzo. Separò una mano da quella di Adrien per asciugarsi le guance. 

Adrien alzò lo sguardo verso di lei, e subito si allarmò. “Ti prego, non piangere. Accidenti, sono proprio un idiota.”

Le strofinò la pelle morbida del viso con i polpastrelli, mentre con l’altra mano la tirava a sé in un abbraccio. 

Marinette non poteva fare a meno di piangere. Sapeva solo di aver avuto paura, come mai in vita sua. Era stato come se un’immensa voragine si fosse aperta dentro di sé, nel suo cuore. Come se il suo intero mondo stesse cadendo a pezzi.  

Si abbandonò all’abbraccio di Adrien, circondandolo con le braccia. Teneva la testa poggiata sul suo petto, lacrime liberatorie gli avevano bagnato il colletto della giacca. 

“Ehi, m-mi dispiace. Tantissimo.” Adrien teneva un braccio avvoltole attorno alla vita, un altro a circondarle la testa. Con le dita le accarezzava piano i capelli, mentre le lasciava una scia di baci lungo la tempia. 

“S-sei proprio uno scemo” singhiozzò Marinette, scuotendo la testa contro il suo petto. “Mi hai fatto prendere un accidente.”

Si staccò da lui, con il pugno destro si strofinava le ciglia imperlate di lacrime. 

Adrien era terribilmente mortificato, si sentiva un essere senza cuore per aver fatto soffrire Marinette a quel modo. 

Tendeva nervosamente le mani verso di lei, senza però sapere come prenderla, né come consolarla. 

Marinette alzò lo sguardo su di lui, dopo che i singhiozzi si erano calmati. 

Col cuore più leggero, guardare Adrien con quella espressione nervosa e mortificata le fece quasi tenerezza. 

“E allora si può sapere cosa ti prende?”
Il tono le era uscito un po' più arrabbiato di quanto non intendesse, tuttavia non se ne pentì. Se voleva farsi dire cosa cavolo gli era preso, era meglio fingersi più irritata di quanto già non fosse. 

“Io… e-ecco”

Adrien non riusciva neanche a sostenere il suo sguardo. 

Marinette sbuffò. Quindi si voltò, facendo per tornarsene a casa. Si trovavano ancora all’ingresso della scuola. 

Le strade erano deserte. Era talmente caldo che nessuno si azzardava ad uscire di casa ad un orario improponibile come quello. 

Adrien si slanciò subito verso di lei, afferrandole la mano. 

“Perché te ne vai?”

Marinette lo guardò spazientita. “Perché mi sono scocciata di aspettare una tua risposta. Se proprio non vuoi che me ne vada, dimmi almeno che cosa ti è preso.”

La sua voce era pungente. Dentro di sé, Marinette esultò. Conosceva abbastanza bene Adrien da sapere che da un momento all’altro avrebbe sputato il rospo. 

“Va bene, va bene. Ora te lo dico. Ma tu, per favore, non te ne andare.”

La prese per le mani attirandola a sé. 

Marinette lo guardava in attesa di una risposta. 

“So di ieri sera” sussurrò semplicemente, le gote rosse. 

Marinette sentì il cuore perdere un battito. Ma certo, come aveva fatto ad essere così stupida? Era ovvio che Adrien non aveva potuto fare a meno di entrare in camera sua per vedere come stava. Ecco spiegato il motivo per cui Tikki le era sembrata evasiva, quella mattina, quando le aveva chiesto cosa avesse detto ad Adrien per farlo rimanere fuori, ed ecco anche perché lui era tanto imbarazzato. Sapeva quale fosse il regalo che lei gli stava preparando per il compleanno, ma non voleva che Marinette ci rimanesse male sapendo che la sorpresa fosse stata scoperta. 

Tirò un sospiro di sollievo. 

“Tutto qui?” chiese sorridendo. Le dispiaceva che tanta accortezza sulla segretezza del regalo fosse andata sprecata, ma si aspettava qualcosa di talmente peggiore che quel pensiero non le sembrò poi così tanto terribile. 

Adrien la guardò confuso. “T-tutto qui?”

Credeva che Marinette si sarebbe arrabbiata, e invece sembrava addirittura contenta.
“Beh, sì. Insomma, mi dispiace che tu lo sia venuto a sapere in questo modo, ma prima o poi sarebbe dovuto accadere.”

Sapere cosa? Che lei dorme nuda?

Adrien non ci stava capendo più niente. Annaspava come in cerca di parole, ma non sapeva proprio cosa dire. 

“Sei s-sicura?”

“Ma sì, tranquillo.”

E allora si alzò in punta di piedi per dargli un bacio. “Allora, cosa ne pensi?” chiese con tono curioso. 

Adrien sentiva le orecchie fischiare, e si ritrasse subito. Cosa ne pensava? Di lei… nuda?

Indietreggiò goffamente, fino a quando non andò a sbattere contro la porta di ingresso della Dupont. 

Marinette rimase interdetta. “N-non ti piace?”

Non credeva possibile che ad Adrien potesse non piacere il suo regalo. Eppure…

Improvvisamente, si sentì una stupida. Ma che cosa si era messa in mente?

Adrien si affrettò a contraddirla. “Certo che mi piace. Insomma, mi piace tantissimo. Oddio, ma cosa sto dicendo…” 

Si passò una mano sulla fronte madida. In quel momento voleva soltanto sotterrarsi dall’imbarazzo. 

“Ma se ti piace allora perché fai così?” 

Marinette iniziava a spazientirsi. Quella questione si stava protraendo fin troppo. Sentiva che c’era ancora qualcosa che lui le stava nascondendo. 

“P-perché, insomma… il pensiero di te s-senza… senza v-vestiti, ecco io…”

“Cosa?”

Marinette non riusciva a credere alle sue orecchie. Il pensiero di lei senza vestiti? Sicura che Adrien non stesse delirando?

“Ma si può sapere di cosa stai parlando?” la sua voce era dura, il volto in fiamme. 

Adrien era la confusione e l’imbarazzo fatta persona. 

“Ma della stessa cosa di cui stavi parlando tu! O no?”

Il volto confuso di Marinette gli fece finalmente capire che stavano parlando di due cose completamente diverse. “I-io, cioè… Tikki. Ha detto c-che non potevo entrare e…”

A questo punto, a maggior ragione perché chiamata in causa, Tikki si costrinse ad uscire allo scoperto. Lei e Plagg avevano promesso a Marinette ed Adrien di non intromettersi mai nei loro litigi, ma in quel momento le parve inevitabile. 

Marinette sbottò: “Tikki, che storia è mai questa?”

Non riusciva minimamente a capire il nesso tra il suo regalo per Adrien e il fatto che lui la immaginasse senza vestiti. Era… terribilmente imbarazzante. E anche irritante. 

“Mi dispiace, Marinette. Non ti avevo detto niente perché non volevo che ti arrabbiassi, ma mi rendo conto di aver sbagliato. Quando ieri sera Adrien è arrivato, era preoccupatissimo perché tu avevi mancato il suo appuntamento e non gli rispondevi al telefono. Voleva entrare a tutti i costi, perché voleva vederti e sapere se stavi bene, ed in quel momento l’unica cosa che mi è venuta in mente per evitare di fargli vedere il tuo regalo era che tu ti fossi addormentata subito dopo aver fatto la doccia. Mi dispiace tantissimo, è tutta colpa mia.”

Il tono dolce e dispiaciuto con cui Tikki aveva pronunciato queste parole permise a Marinette di calmarsi. Anzi, forse per il sollievo che finalmente la verità fosse venuta a galla, oppure per l’ilarità della situazione, non potè impedirsi di scoppiare in una fragorosa risata. 

Adrien stava ancora elaborando le parole di Tikki, quando, alle risa di Marinette, le sue labbra si piegarono in un risolino nervoso. 

“È davvero tutto qui?” chiese Marinette tra una respiro e l’altro. 

Adrien annuì debolmente, senza esserne del tutto convinto, mentre Tikki tirò un sospiro di sollievo vedendo che la situazione si era risolta. 

“Quindi non era vero che Marinette, insomma che lei…”

Marinette lo interruppe: “Ma certo che no, scemo. O almeno” aggiunse maliziosa “non ieri sera.”

Adrien arrossì violentemente. 

Marinette gli diede un dolce bacio sulla guancia. “È divertentissimo prenderti in giro, lo sai?” gli sussurrò in un orecchio. 

Adrien avvertì un brivido corrergli lungo la schiena. 

“Cattiva, insettina” rispose imbronciato. 

Marinette rise. Lo guardava negli occhi, i loro volti a pochi centimetri di distanza. 

Poteva sentire il respiro leggero di Adrien sul suo volto. Gli diede prima un bacio sulla punta del naso, poi sull’arco di Cupido. Le sue labbra rimasero per qualche istante sospese a pochi attimi da quelle di Adrien, come in attesa. Il respiro si era fatto corto, il cuore batteva veloce. 

Adrien sentiva le mani tremare, e anche le gambe. Era incredibile l’effetto che gli faceva Marinette ogni singola volta. 

E proprio quando schiuse le labbra per baciarla, lei si ritrasse di qualche centimetro. 

“Micetto, credo dovremmo andare da qualche altra parte. Un posto più appartato, magari.”

Il suo era poco più di un bisbiglio, ma Adrien sentì distintamente le sue parole. 

“Oltre che a prendermi in giro, ti diverti anche a torturarmi?”

Marinette si morse il labbro, mentre si voltò facendo per scendere le scale. “Allora, vieni o no?” gli chiese porgendo la mano. 

Adrien la afferrò senza esitare. 

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Capitolo 4
*** Blague ***


1.

 

Din-don. 

Lo squillo del campanello colse di sorpresa Sabine, che si affrettò subito ad aprire la porta. 

Sorrise guardando dallo spioncino, quel ragazzo era davvero incredibile. 

“Buongiorno, signora” un sorridente Adrien fece capolino nel soggiorno luminoso della piccola casa di Marinette. 

Sabine scosse la testa serena: “Ti prego, chiamami Sabine” lo corresse per l’ennesima volta. “Sei come uno di famiglia, ormai.”

Adrien la guardò sorpreso. Non perché la madre di Marinette gli avesse chiesto di chiamarla per nome - ogni volta glielo ricordava nonostante lui finisse puntualmente col chiamarla ‘signora’. Era la frase successiva ‘sei come uno di famiglia’ che gli smosse qualcosa nel petto. 

Famiglia. 

Effettivamente, si sentiva parte di una famiglia più a casa di Marinette che nella sua magione. O gabbia dorata, come si divertiva a chiamarla.

Sorrise imbarazzato. “Grazie… ehm, Sabine.”

Sabine richiuse la porta alle sue spalle. 

“Prego, accomodati. Hai già fatto colazione?”

“Non ancora, in realtà ero venuto a prendere Marinette per andare insieme.”

Sabine sorrise. “Non è ancora scesa, conoscendola starà ancora dormendo. Perché non vai a controllare? Nel frattempo finisco questi biscotti alle gocce di cioccolato di cui Marinette va pazza. Mi domando come non sia già diventata una botte a furia di mangiarne a tegliate.”

Adrien sorrise, pensando a chi in realtà mangiasse tutti quei biscotti. 

“Allora vado a vedere” disse, mentre faceva per salire gli scalini che portavano alla camera della sua ragazza. 

Sabine lo guardò salire con un sorriso dipinto sulle labbra, poi riprese a maneggiare l’impasto dei biscotti. 

 

 

2.

 

Una volta sollevata la piccola botola, Adrien entrò nella camera di Marinette. Tutto era in disordine e il silenzio regnava sovrano. Individuò subito la figura di Marinette accoccolata sul divanetto in pelle rosa sotto la finestra. 

‘Incredibile, dorme ancora’ pensò, gli occhi verdi che esprimevano infinita dolcezza. 

Si sedette sul bordo del divano per osservarla meglio. Doveva svegliarla, ma non ne aveva il coraggio. Aveva il volto incassato tra le braccia e coperto da una ciocca scura di capelli. Con una carezza, Adrien l’accostò dietro l’orecchio, scoprendo due grandi e vispi occhi azzurri. 

“Sei sveglia” mormorò, piuttosto sorpreso. Perché non era ancora pronta? Non aveva neanche risposto ai suoi messaggi. 

“Mmh” mugolò Marinette, girandosi col corpo verso la parete. Ora dava la schiena ad Adrien, che si sporse un poco per capire cosa fosse successo. 

“Tutto bene?” chiese, una nota di preoccupazione nella voce. 

Lei scosse la testa e si portò le ginocchia al petto. 

“Hai la febbre?” 

Fece per portarle la mano sulla fronte, ma lei scosse di nuovo la testa. 

“Ehi” le accarezzò il braccio destro con la mano, sistemandosi meglio sul divano. “Mari” la chiamò dolcemente. 

Si chinò per avvicinarsi al suo volto, le braccia tese che si reggevano sui palmi. Le diede un bacio sulla tempia, e le sussurrò: “Perché non mi dici che cos’hai? Altrimenti non posso aiutarti.”

Marinette scostò di poco il volto dalle braccia. Lo guardò così dolce e apprensivo, e il cuore le si strinse in petto. 

Si morse il labbro e voltò di poco la schiena verso di lui, che teneva ancora le braccia poggiate ai lati del suo corpo. 

“Ho il ciclo” borbottò. 

Lui distese le sopracciglia e si abbassò dandole un bacio sulla guancia. 

“Ti serve qualcosa?” mormorò dolcemente. Lei scosse debole la testa. 

“Ti… ti fa tanto male?”

Marinette annuì. 

“Più delle altre volte?”

Annuì di nuovo. 

“E… e come mai?”

Marinette sbuffò spazientita e gli volse di nuovo la schiena. 

Adrien disse mortificato: “Milady, mi dispiace. Io… hai fame? Ti prendo qualcosa da mangiare?”

“Non ho fame.”

“Va bene.”

Rimase in silenzio per qualche secondo. “Vuoi che me ne vada?”

Marinette si girò verso di lui. “No, resta.”

Lui la scrutò per capire se potesse avvicinarsi. 

Marinette aveva le ciglia aggrottate e le labbra contratte in una smorfia. Tese le braccia richiedendo il suo abbraccio. Adrien la assecondò volentieri, stringendola dolcemente a sé. Poi si tirò su puntellando il gomito sinistro sul cuscino, e la osservò da vicino. Mentre con l’altra mano la accarezzava su e giù per il fianco, le lasciò una scia di baci sul volto. Prima sulle guance morbide e rosate, poi sulle palpebre, sulla fronte e sulle labbra imbronciate. Gli schiocchi di quei baci risuonavano dolci nella stanza, mentre il tocco delle sue labbra fece rilassare Marinette. 

“Dove ti fa male?” chiese in un sussurro. 

Lei lo guardò in cagnesco. “Dappertutto.”

Lui si morse un labbro, e dal fianco spostò la mano verso la schiena, accarezzandola con gesti lenti e concentrici. 

Marinette sorrise. Nonostante tutto, la stuzzicava un mondo vedere Adrien così apprensivo. Con un sussurro debole chiese indicando la bottiglia sulla scrivania: “Ti dispiace prendermi un po' d’acqua?”

Lui scattò subito. “Certo”.

Si alzò e prese quanto richiesto. “Vuoi anche la coperta?”

Marinette annuì. Mentre lo vide tornare, un’idea le venne in mente. 

Ripensò a quando, prima che si mettessero insieme, si divertiva a torturarsi guardando su YouTube video di coppiette carine e pucciose che si facevano scherzi a vicenda. Si era ripromessa che, qualora Adrien fosse diventato il suo ragazzo (perché non poteva immaginare nessun altro per quel ruolo), avrebbe provato anche lei a divertirsi a stuzzicarlo con qualche scherzo. Nei mesi in cui erano stati insieme non si era ancora presentata l’occasione per metterne in atto qualcuno, ma adesso le sembrava il momento perfetto. 

Quando Adrien tornò a sedersi al suo fianco, le porse dolcemente la coperta, e si occupò personalmente di posargliela sul corpo, coprendo ogni singolo buco per evitare spifferi di ogni sorta. Le porse la bottiglia e la ripose per terra vicino al piede del divano non appena ebbe finito di bere. Poi tornò ad accarezzarle la schiena e sussurrarle parole dolci contro il volto. 

Marinette prese allora a contorcersi leggermente e a respirare più forte. Poi si girò di nuovo sul lato sinistro, dandogli la schiena. Adrien si allarmò subito. “Milady?”

Lei nascose il volto tra le braccia per reprimere un sorriso e cercare di rendere il tutto il più credibile possibile. 

“Sto bene, Chaton. Non” espirò piano “preoccuparti.”

Adrien la guardò dubbioso. “Sicura?”

Marinette annuì. “Sì, sto bene. Davv…AHH”

Strizzò gli occhi e si rannicchiò più stretta tra le gambe. 

“Milady? Mari… che succede?”

Adrien si sporse preoccupato verso di lei. Cercò di liberare il volto di Marinette dalla presa delle sue braccia sottili, ma invano. Marinette continuava a lamentarsi e a contorcersi, e Adrien non sapeva cosa fare. 

“Marinette, ti prego” la supplicava con le parole e con lo sguardo. “Cos’era?” 

Marinette scosse la testa come per sminuire il suo dolore. “Era… era solo un crampo.”

“Solo uno?”

Qualche crampo” concesse. 

 “Posso… posso fare qualcosa?”

Marinette sbuffò, prima di tornare a contorcersi di nuovo. Adrien la guardava senza sapere cosa fare. Si sentiva troppo impotente, e cercava in tutti i modi di rassicurarla e di confortarla, senza però riuscirci.
“Vado a chiamare tua madre? Forse l’ambulanza?”

Marinette cercò il più possibile di trattenersi dallo scoppiare a ridere, continuando, in maniera molto credibile, la sua farsa. 

“No” rispose aggrappandosi al suo braccio. “Resta con me.”

Lui annuì preoccupato. “Certo, va bene”

Marinette emise di nuovo un gemito di dolore, mentre si portava la mano sudaticcia di Adrien sul ventre. Lui rimase immobile, senza sapere cosa fare, mentre lei cercava di regolarizzare il respiro. 

Vedendo che Marinette non si contorceva più, sperò che il peggio fosse passato. 

Si sedette meglio sul divano e con la mano destra poggiata sul ventre di Marinette iniziò ad accarezzarle la pancia. 

“Va… va meglio?” sussurrò cauto. 

Lei annuì forzatamente, mentre riprendeva a gemere sottovoce. Poi, in un crescendo, cercò di fargli capire che i crampi stavano riprendendo più forti di prima. Strinse forte la mano poggiata contro di lei e si morse le labbra come per impedirsi di urlare. Rimanere seria stava diventando sempre più difficile. 

Adrien era disperato, non faceva che consolarla e cercare di ricordarsi il numero dell’ambulanza. In quel momento riusciva a pensare soltanto a Marinette, e nient’altro. Voleva alzarsi e chiedere aiuto, ma al tempo stesso non riusciva a trovare la forza per lasciarla sola. E se nel frattempo fosse peggiorata?

“Amore, per favore. Parlami. Cosa sta succedendo?”

Marinette sentì il cuore sobbalzare sentendosi chiamare amore. Era la prima volta che Adrien lo faceva, nonostante non si risparmiasse mai frasi e nomignoli affettuosi e sdolcinati. 

“Ho…ho capito. Sarà meglio che ti porti all’ospedale. Plagg trasf…”

La mano di Marinette lo bloccò. 

Arrivata a quel punto, nonostante volesse ancora prolungare la sua agonia di qualche minuto, si rese conto che la situazione era andata troppo oltre. 

Non riuscì ad impedirsi di ridere, mentre lo guardava scrutarla confuso. 

“Mi dispiace” furono le uniche due parole che riuscì a pronunciare tra una risata e l’altra. 

Adrien non potè credere a quello che stava vedendo. 

“Milady, ma cos…”

Marinette lo abbracciò cercando di aggraziarselo. “Ti prego” disse ridendo “non ti arrabbiare.”

Lui si scostò dal suo abbraccio. 

“Stai dicendo che era tutta una finta?” 

Lei annuì con sguardo colpevole, in un modo talmente adorabile che ad Adrien si sciolse il cuore. 

“Però” aggiunse poi a sua discolpa “il ciclo ce l’ho veramente.”

Adrien non sapeva che dire. 

“Ed è vero che mi fa più male del solito.”

Lui rimase ancora in silenzio. 

Marinette lo scrutò. “Per favore, non arrabbiarti. Volevi aiutarmi, no? Mettiamola così: avevo bisogno di qualcos’altro a cui pensare che potesse distrarmi. Ci sei riuscito perfettamente.”

Adrien si passò una mano sul volto. “Mi sono preoccupato veramente, sai?”

‘Oopss, è arrabbiato.’ Marinette conosceva abbastanza Adrien per sapere che quando era arrabbiato si costringeva a fare l’offeso. 

“Chaton, mi…mi dispiace. Non volevo…”

“Certo che volevi, mi hai fatto uno scherzo di proposito.” 

Marinette si morse il labbro, poi lo attirò a sé. 

“Non lo farò più, va bene?”

Lui le diede un leggero bacio sul collo. Sentiva ancora il respiro pesante dalla paura. 

“Mmh” mugolò contro la sua pelle profumata. 

Marinette prese ad accarezzargli i capelli, cercando di calmarlo. Sembrava quasi che i ruoli si fossero ribaltati. 

Adrien la strinse forte forte, poi mormorò: “Sono contento che tu stia bene.”

Marinette sentì il cuore mancarle un battito, poi rispose: “In realtà sono ancora una ragazza con il ciclo.”

Lui sorrise. “Che ne dici se vado a comprare un po' di schifezze e quando torno vediamo un film insieme?”

Lo sguardo di Marinette si illuminò. 

Adrien aggiunse: “Moulin rouge o Colazione da Tiffany?”

Marinette scosse la testa: “Questa volta vediamo Tutti insieme appassionatamente.”

Adrien sospirò preparandosi all’idea di doversi sorbire tre ore di film. 

“Ne sei proprio sicura? Perché invece non ved…”

“No, no. Non si discute. Ho deciso per Tutti insieme appassionatamente.”

“Agli ordini, Milady” si rassegnò. Le diede un ultimo, tenerissimo bacio e si avviò a fare le sue commissioni. 

 

Convenevoli finali: 

Lo so, lo so, era tantissimo che non aggiornavo! Purtroppo tra lo studio e le altre centomila cosa che mi hanno tenuta impegnata in queste settimane non sono riuscita a dare libero sfogo ai miei film mentali, che, devo dire, non erano neanche poi così originali. Stamattina, però, mi è venuta questa idea e ho dovuto subito metterla per iscritto, e devo dire di essere abbastanza soddisfatta del risultato finale. Mi dispiace che dopo tutte queste settimane senza nessun aggiornamento questo capitolo non sia molto lungo. Cercherò di impegnarmi il più possibile e di portarne altri, magari avrò più tempo durante le vacanze di Natale, ma non prometto niente ^^’ 

A presto <33

 

Tallita_

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Capitolo 5
*** Ascenseur ***


1.

 

“Buongiorno, signorina Dupain-Cheng. Adrien è in camera che l’attende.”

La voce glaciale di Nathalie fu il primo suono che Marinette udì una volta che il portone di villa Agreste le si aprì davanti. 

“Ehm, buongiorno Nathalie” balbettò in risposta Marinette. 

“Prego, mi segua” continuò la segretaria, avviandosi con passo altero verso la scalinata di marmo posta di fronte all’ingresso. Dietro di lei, Marinette cercò di tenere il passo. “Non c’è bisogno che mi accompagni se è impegnata. Conosco… conosco la strada, ecco.”

Il ticchettio dei tacchi a spillo di Nathalie si interruppe. 

“Questo è il mio lavoro, signorina. Accogliere e servire gli ospiti.”

Marinette arrossì imbarazzata. “Oh, certo. Mi…mi scusi.”

Nathalie si voltò e riprese la sua camminata di ferro. Salirono gli scalini in un silenzio di tomba, fino ad arrivare davanti alla porta della camera di Adrien. A quel punto, Nathalie si fermò e si voltò verso Marinette. “La macchina sarà pronta a partire tra un quarto d’ora, vi prego di farvi trovare pronti all’ingresso.”

Marinette annuì prontamente. “Sì, signora. Voglio dire” aggiunse scuotendo la testa e agitando le mani davanti a sé “sì, Nathalie.”

La segretaria del sig. Agreste annuì e si allontanò verso il suo ufficio. 

 

***

 

Una volta entrata nella stanza di Adrien, Marinette sorrise tra sé e sé. Era sempre bello trovarsi in quel luogo, perché significava stare con Adrien, e perché era lì che si racchiudevano alcuni dei loro ricordi più dolci. 

Non appena svoltato l’angolo, scorse subito la sagoma di Adrien, distesa sul letto ancora addormentata. Marinette sorrise come un’ebete, avvicinandosi piano a lui. 

Adrien era sempre bellissimo, eppure quando dormiva celava un fascino che lasciava Marinette non indifferente. Si sedette piano sul bordo del letto, consapevole di doverlo svegliare, ma troppo intenerita per farlo. 

Con una mano, percorse il profilo del suo volto, le labbra, la mandibola, le gote, le palpebre. Tutto era perfetto in lui. Sentì un’improvvisa voglia di baciarlo, e allora si avvicinò piano a lui, e poggiò delicatamente le sue labbra su quelle di Adrien. Nonostante quel leggero bacio non ottenne risposta, Marinette si ritrovò a desiderare di approfondire quel tocco. 

Sperava di svegliarlo così, con un bacio. 

Assaporò dolcemente le sue labbra, senza averne mai abbastanza. Allora, per stare più comoda, si sdraiò accanto a lui e puntò il gomito sul letto per portarsi all’altezza del suo viso. Si accostò alla sua bocca, mentre con la mano libera si reggeva al suo petto. E nel frattempo continuava a baciarlo, assaporarlo, assaggiarlo. Era strano baciarlo senza essere ricambiata, ma anche terribilmente eccitante. Aiutandosi con la lingua riuscì, con una leggera pressione, a schiudere le labbra di Adrien, e ad approfondire il bacio. Spostò la mano dal petto alla nuca, accarezzando con le dita i suoi morbidi capelli biondi. 

Dopo qualche secondo, sentì le labbra di Adrien rispondere al suo tocco, e allora si sistemò meglio sopra di lui. 

Adrien gemette senza capire bene cosa stesse accadendo, poi aprì piano le palpebre e si ritrovò la sua ragazza stesa cavalcioni su di lui, che lo baciava in maniera non proprio innocente. Sentì il corpo irrigidirsi, mentre si chiedeva se non stesse ancora sognando, ma la lingua di Marinette che premeva contro la sua era troppo reale per trattarsi di un mero frutto del suo inconscio. Eccitato, si tirò un po' su afferrandola per i fianchi, cercando di assecondare al meglio le voglie di lei. Ma, non appena diede segnali di essere completamente sveglio, Marinette si scostò, invitandolo ad alzarsi. 

Lui protestò cercando di convincerla a tornare da sé, invano. 

“È già tardissimo, Adrien. Nathalie ci aspetta giù tra dieci minuti.”

Bu…buginette” ansimò senza fiato. 

“Su, non fare il bambino” sorrise afferrandolo per le mani “dobbiamo andare a Le grand Paris per l’incontro con Chloé e gli altri, non te ne sarai mica dimenticato?”

“Ma…” cercò di protestare. 

Marinette scosse la testa. “Niente ma, Chaton. Ci aspettano.” 

 

***

 

Una volta saliti in macchina in una corsa contro il tempo, Adrien tornò a cercare le attenzioni di Marinette, incurante della presenza del gorilla alla guida. 

Le poggiò una mano sulla gamba, avvicinandosi piano, come per tastare il terreno. Ma Marinette interruppe ogni speranza sul nascere. Era perfettamente consapevole che, quando Adrien lo voleva, sapeva essere estremamente eccitante. Ed, in quel momento, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di cadere vittima delle sue avances. Doveva essere il più concentrata possibile per l’incontro di quella mattina. 

Adrien mise il broncio per qualche minuto buono, poi si avvicinò e le sussurrò in modo che il gorilla non potesse sentire: “Non si fa, Milady. Prima mi provochi e poi ti tiri indietro.”

Marinette trattenne il respiro. 

Poi sorrise maliziosa. 

“Allora ti è piaciuta la sveglia, stamattina?”

Lui la guardò pieno di desiderio, e fece per avvicinarsi, pensando che adesso avesse campo libero. 

Ma lei lo fermò di nuovo. “Per favore, Adrien” sospirò “non è il momento.”

Lui sbuffò. Infine, bisbigliò divertito: “Questa me la paghi, Buginette.”

 

 

2.

 

Una volta nella hall dell’hotel, Adrien e Marinette furono accolti da due entusiasti Alya e Nino, pronti per il primissimo raduno del club dei supereroi. Una volta scoperte le vere identità di Ladybug e Chat Noir, era stato molto difficile per loro digerire quanto i loro migliori amici avevano tenuto nascosto per tutto quel tempo, ma avevano infine compreso le ragioni del loro silenzio e avevano unito le loro forse, insieme a Chloé, e creato un club dei supereroi di Parigi, con Ladybug come presidentessa. Quella era la loro prima riunione, ed erano tutti euforici al pensiero di quello di cui avrebbero discusso. 

Alya andò incontro a Marinette e la abbracciò forte. “Finalmente siete arrivati, ma quanto ci avete messo?” 

Marinette rise imbarazzata, mentre Adrien annuì poco convinto. Era ancora di malumore per il rifiuto di Marinette. 

“Allora, andiamo?” chiese raggiante Alya. Marinette fece per seguire lei e Nino verso l’ascensore, quando Adrien le bloccò il polso. Poi disse, rivolto verso Alya e Nino: “Voi avviatevi, io e Marinette vi raggiungiamo tra poco.” 

Marinette lo guardò interrogativa, mentre Alya e Nino, increduli anche loro, si costrinsero a proseguire da soli verso la suite di Chloé. 

“Adrien, si può sapere che ti prende? Perché non possiamo andare tutti insieme?”

Adrien la guardò maliziosamente, dirigendosi verso un ascensore dal lato opposto a quello appena preso da Alya e Nino. “Adrien, mi spieghi cosa sta succedendo?” chiese nuovamente Marinette, senza però ricevere risposta. 

La condusse, anzi, verso l’ingresso dell’ascensore più nascosto che riuscì a trovare e la accompagnò dentro tenendo una mano poggiata dietro la schiena di lei. 

 

 

***

 

Din-din. 

Le porte dell’ascensore si chiusero senza interferenze. 

“Adrien, ma cos…”

Sentì all’improvviso una mano avvolgerla per la schiena e un’altra premuta nell’incavo tra orecchio e collo. 

“Shhh” sussurrò Adrien, inclinando il capo per avere una migliore visione del suo volto. 

Marinette sentì il fiato mozzarsi mentre la mano sinistra di Adrien prese a vagare giù lungo la sua schiena, molto chiara la destinazione cui aspirava. 

Adrien espirò pesantemente contro il collo di Marinette, provocandole una scia di brividi lungo la schiena. 

Chchaton…” balbettò incoerentemente. 

“Ti avevo avvertita, Milady” le sussurrò nell’orecchio. “Mai provocare un gatto in calore.”

Premette più forte il corpo contro quello di lei, facendole poggiare la schiena contro lo specchio dell’ascensore. 

“Adrien…”

Un soffio sul collo, una mano poggiata in modo provocante sul fondoschiena. Marinette trattenne il fiato, le gambe molli. 

“Non fare la finta tonta, Buginette” mormorò di nuovo Adrien. “Te l’avevo detto che me l’avresti pagata.”

Dopodiché, prese a sfiorare il collo di Marinette con le labbra, piano. 

Leggero e delicato come ali di farfalla. 

Non erano veri e propri baci, quanto più tocchi leggeri che ebbero su Marinette un effetto mai provato prima. Voleva che smettesse di torturarla a quel modo, ma anche che la toccasse più deciso, senza farla sentire così desiderosa di altro. D’altronde, era proprio quello il suo obiettivo.  

Marinette cercò di divincolarsi poggiando le mani sul petto fermo di Adrien. “A…Adrien” ansimò “t…ti prego, non è il momento.”

Lui sorrise malizioso contro la sua pelle, spostando una mano dalla sua guancia al collo, alla scapola, sempre più giù, vicinissimo al seno. 

Chchaton…” boccheggiò, senza più fiato in corpo. 

“Mmh?” rispose lui, noncurante. 

“P…per favore. Ci sono le telecamere.”

Adrien sbuffò. “Non le guarda nessuno, le telecamere.”

Le prese delicatamente un seno con la mano destra, mentre teneva la sinistra ancora appoggiata dietro la schiena. Il suo tocco su di lei era talmente leggero che Marinette, nonostante fosse consapevole che quello non era né il momento né il luogo, si sorprese a volerne di più. 

“A…Adrien” ripetè ansando, mentre lui spostò le labbra sul lato destro del suo collo, soffiando e sfiorando, ma senza davvero toccarla. 

“C…chiunque potrebbe entrare, e…”

“E…?” chiese, allontanandosi per un istante dalla sua pelle. La guardò negli occhi, una mano ancora poggiata sul seno, l’altra nell’incavo del gluteo. Si avvicinò pericolosamente al viso di Marinette, che adesso sentiva il suo respiro sulle labbra e il profumo dei suoi capelli invaderle le narici. 

Marinette ansimò, il respiro irregolare. Chiuse gli occhi per cercare di calmarsi, invano. Sentiva ancora il corpo solido di Adrien premuto contro il suo, e nonostante la paura di essere scoperti, sentiva un’irresistibile voglia di seguire i suoi istinti. 

Milady” mormorò Adrien guardandola dritto negli occhi “se vuoi che mi allontani, non devi fare altro che chiedere.”

Marinette sentì le gambe cedere, quindi si aggrappò alle sue braccia. Adrien si fece sempre più vicino, le loro labbra ora si sfioravano. “Buginette?”

“Mmh?” fu l’unico suono che Marinette riuscì a pronunciare. 

“Sei ancora in tempo per chiedermi di fermarmi” le bisbigliò contro. 

In risposta, Marinette si avvinghiò più salda su di lui, intrecciando le mani dietro il collo di Adrien. Ma a lui ancora non bastava. “Vuoi che mi fermi?”

Marinette lo guardò con sguardo supplichevole. Che tortura era mai quella?

Scosse la testa, mordendosi un labbro. 

Adrien sorrise malizioso, mentre con la mano sinistra lasciò la presa sul suo seno. Marinette sentì un vuoto nel punto in cui le sue dita si trovavano fino a poco prima, ed emise un sospiro di disappunto. 

“N-non fermarti” riuscì infine a sussurrare.  

Adrien sogghignò, mentre inclinò di nuovo la testa contro il collo di Marinette. Prese a baciarla davvero questa volta, di baci dolci e desiderosi al tempo stesso. Marinette si lasciò scappare un gemito, e Adrien sorrise sadico contro la sua pelle. 

Ormai il collo di Marinette era in suo possesso, non c’era centimetro che le sue labbra non avessero assaporato. Marinette si stupì nel costatare come semplici baci potessero causare una moltitudine così piacevole di sensazioni, e reclinò leggermente il capo all’indietro per facilitargli il lavoro. 

Per non parlare delle mani, che l’accarezzavano così vogliose e gentili sul fianco, dietro la schiena, e la facevano sentire così amata e desiderata. 

Poi Adrien spostò la sua attenzione dal collo al volto caldo e morbido di Marinette, che ormai aveva assunto tutte le tinte esistenti di rosso. Posò le labbra sugli angoli della sua bocca rosata, e Marinette si chiese come facesse ad essere così accorto e passionale al contempo. 

Nel frattempo scese con le mani fino all’orlo della maglietta, stuzzicandolo con le dita. Con la bocca aveva percorso tutto il profilo delle sue labbra, facendo bene attenzione a produrre piccoli schiocchi ad ogni bacio, quegli schiocchi che così tanto eccitavano Marinette. 

Finalmente prese a baciarla sul serio sulle labbra, mentre con una mano si era insinuato sotto la maglietta, e le accarezzava piano la schiena bollente. 

Le prese un labbro tra i denti, succhiandolo e assaporandolo delicatamente. Marinette, stuzzicata fin troppo, smise di sottostare alle sue carezze e iniziò a baciarlo più appassionatamente. Infilò la lingua calda dentro di lui, bisognosa del suo contatto e delle sue carezze. 

Ma, inaspettatamente, lui rifiutò i suoi baci, e si scostò un poco per arrivare alla tastiera dell’ascensore. 

“Che piano era?” chiese come se nulla fosse, il respiro leggermente ansante. 

Marinette lo guardò sbigottita, ancora premuta contro lo specchio. Sentì la mano di Adrien lasciare la presa sulla suo fianco, e l’altra scivolare fuori dalla maglietta. 

I suoi occhi esprimevano ancora tutto il desiderio che lui aveva provocato, e all’improvviso si rese conto di essere cascata nella sua trappola. Così come lei aveva provocato lui, ecco che lui l’aveva ripagata con la sua stessa moneta. Cercò di raddrizzarsi sulle gambe e di riguadagnare quanto più contegno possibile, mentre si sporse contro di lui e premette il sesto tasto. 

Regolarizzò il respiro per quanto possibile, riaggiustandosi l’orlo della maglietta e i capelli scarmigliati. 

Adrien la guardava malizioso, nonostante anche lui avesse fatto fatica a fermarsi. Comunque, non lo avrebbe mai ammesso. 

Dopo qualche interminabile secondo, le porte dell’ascensore si aprirono, e Marinette, in modo noncurante, sussurrò contro Adrien: “Questa me la paghi.”

Lui sogghignò, mentre le passava una mano intorno alla vita. “A tuo servizio, Milady.”

 

 

 

 

Convenevoli finali: 

Ebbene, siete sorpresi che abbia aggiornato dopo neanche una settimana? (Sei giorni ma dettagli, in realtà il capitolo era pronto già lunedì, ma per un motivo o per un altro alla fine ho aspettato che fosse sabato per rileggerlo e pubblicarlo). Non c’è niente da fare, quando c’è l’ispirazione, e soprattutto il tempo, le dita corrono veloci e inarrestabili sulla tastiera. 

Spero tanto che questa os leggermente più piccante del solito vi sia piaciuta!

 

A presto <33

Talitha_

 

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Capitolo 6
*** Interview ***


1.

 

“Non siate annoiati, ma di notizie assetati! Buonasera Parigi, e benvenuti in un nuovo episodio di Faccia a faccia! Puntata speciale, quella di stasera. Era tanto, ormai, che i nostri eroi non comparivano qui sul grande schermo. Ladybug, buonasera!”

Ladybug si schiarì la gola e si accomodò meglio sulla poltroncina rossa dello studio televisivo. “Buonasera, Nadja.”

“Vi avevamo invitati qui, stasera, per discutere insieme del progetto “Prevenire è meglio che deakumizzare” finanziato dal sindaco di Parigi e da altri importanti imprenditori. Purtroppo Chat Noir non è riuscito a venire, ma sono contentissima che tu abbia accettato il mio invito. Vorresti spiegarci brevemente di cosa si tratta, Ladybug?”

Marinette annuì, le mani poggiate sulle ginocchia. “Certo, Nadja. È molto tempo, ormai, che Chat Noir ed io stiamo cercando di combattere Papillon. Purtroppo non è per nulla facile, nonostante tutti gli sforzi e i sacrifici che stiamo compiendo, non solo noi supereroi, ma anche tutta Parigi. Per questo abbiamo cercato di trovare un modo per prevenire, o almeno restringere, il numero di persone che ogni giorno cadono vittime del suo potere. Ho parlato col sig. Bourgeois, e siamo riusciti a ideare un progetto che potrebbe fare al caso nostro. Si sa, Papillon fa leva sui sentimenti delle persone per costringerle e passare dalla sua parte. E chi le biasima? Tutti, nella nostra vita quotidiana, siamo afflitti da problemi e preoccupazioni. Esiste, quindi, un modo per evitare di cadere nelle grinfie di Papillon? Per il momento, una delle uniche persone che sia mai riuscita a resistere al suo potere è stata Chloé Bourgeois. Certo, Chloé non è la persona più perfetta del mondo ed ha commesso molti sbagli. Ma tutti possiamo migliorare, e spero che lei ed altri specialisti possano far capire a tante persone come resistere a questo potere che ancora non sappiamo come gestire. Questo eviterebbe tanto dolore, e darebbe anche a me e Chat Noir più tempo per vivere le nostre vite ed indagare sull’identità e le intenzioni di Papillon.”

Nadja sorrise affabile. “È davvero un’idea meravigliosa, Ladybug. Io stessa sono stata akumizzata, ma credo che, se avessi saputo come gestire le mie emozioni avrei risparmiato a te e Chat Noir una bella pena. Bene, adesso ci collegheremo con il sindaco di Parigi che ci fornirà altri dettagli su questo bellissimo progetto. Ma prima, pubblicità!”

 

***

 

Non appena annunciata la pubblicità, uno sciame di persone sbucò da ogni anfratto dello studio, correndo da una parte all’altra come prede di una strana frenesia. 

Marinette scostò leggermente le gambe fasciate dal suo costume, per evitare di far inciampare qualcuno. 

“Allora, come va?”

La voce di Nadja le parve più falsa di una moneta da tre euro. 

Ladybug stirò le labbra nell’accenno di un sorriso. 

“Oh, piuttosto bene. Grazie.”

“Ah.”

“Mmh”

“E Chat Noir? Spero stia bene. Mi è sembrato parecchio strano ricevere un suo rifiuto.”

Calcò su quella parola in un modo che infastidì moltissimo Marinette. Come se fosse lei quella che si aspettava non sarebbe venuta. Continuò a sorridere, accavallando le gambe sottili. 

“Chat Noir sta benissimo, mi ha chiesto di salutarti. Era molto triste per aver declinato il tuo invito, ma purtroppo aveva altre questioni di cui occuparsi.”

“Ah, sì? Non è nulla di grave, spero.”

Le antenne di Marinette si raddrizzarono ancora un poco. Non le piaceva la piega che stava prendendo alla situazione. Ancora due minuti alla fine della pubblicità. 

“Mi dispiace non poterti rispondere, Nadja. Non so nulla della vita privata di Chat Noir.”

Nadja assunse un’espressione incredula. “Davvero?” chiese, alzando un sopracciglio. “Proprio strano, mi sembrava che ultimamente foste così legati. Molto più di prima.”

Marinette si costrinse a non mandare tutto all’aria e tornarsene a casa. Nadja era fatta così, sempre alla ricerca dello scoop. Persino in qualità di Marinette doveva stare attenta a quello che diceva. Non le piaceva che la sua relazione con Adrien fosse sbandierata ai quattro venti, e neanche a lui. 

Era estremamente irritante essere sulla bocca di tutta Parigi non solo nelle vesti di Ladybug, ma anche della se stessa di tutti i giorni. 

Continuò a sorridere. 

“Non preoccuparti. Io e Chat Noir passiamo talmente tanto tempo insieme che ormai siamo diventati una coppia di supereroi molto affiatata, capisco possa essere difficile per qualcuno che ci guarda dall’esterno fraintendere il nostro rapporto.”

E Nadja aggiunse così, con noncuranza. “Ah, come cambiano i tempi. Se due amici come voi si scambiano baci sulle labbra, non oso pensare cosa facciano due fidanzati. Oh, tra dieci secondi siamo di nuovo in onda, tutto pronto?”

Marinette afferrò con forza i braccioli della poltrona. 

 

 

2.

 

“È davvero una vipera, dirmi una cosa del genere. Ma ci credi? E se anche fosse? Se noi fossimo una coppia? Cosa gliene potrebbe importare a persone come lei?”

Camminava avanti e indietro con le mani sui fianchi, percorrendo tutta la superficie del balcone che avevano scelto quella sera. Ogni volta che decidevano di incontrarsi di nascosto sceglievano a turno un posto differente, anche se il loro posto speciale rimaneva sempre la terrazza dietro la cattedrale di Notre-Dame che si affacciava sulla Senna. Quella su cui lui aveva preparato la loro prima sorpresa.

“Shh, abbassa la voce.” Marinette avvertì una mano guantata avvolgerla da dietro, un respiro dolce sulla nuca. Si fermò. “Potrebbe sentirti qualcuno. Vieni qui.”

Chat Noir la attirò a sé, posando un dito sulla sue labbra morbide. 

Marinette emise un respiro strozzato. Poi mise il broncio. 

“Mi ha stufata, sempre a fare elucubrazioni e domande inopportune.”

Chat Noir la guardò comprensivo. Poi la avvolse in un delicato abbraccio. 

“Mi dispiace, eri da sola. So come attacca Nadja, ed è tutta colpa mia se adesso ti senti così.”

Marinette scosse vivacemente la testa contro il suo petto. “Non devi biasimarti, non è colpa tua. È solo che quella donna mi manda in bestia. Non ci lascia mai un attimo in pace, neanche da Marinette ed Adrien. È estenuante.”

Chat Noir le lasciò un leggero bacio sulla punta del naso, le mani incrociate dietro la vita di Ladybug. Poi le scostò una ciocca di capelli dagli occhi, e la infilò dietro l’orecchio destro. 

“Mi sei mancata” mormorò. 

Marinette sentì le gambe cederle. 

“Anche tu mi sei mancato” rispose, nascondendo il suo viso dallo sguardo da attento scrutatore di Adrien. 

“Com’è andata a Londra?” sussurrò contro il suo petto.

Lui sospirò pesantemente, stringendola più forte a sé, facendo scivolare la mano destra sul collo di lei, col pollice che le carezzava piano la tempia. 

Marinette inclinò leggermente le testa per assecondare il suo tocco, gli occhi chiusi. 

Chat Noir rimase qualche secondo in silenzio, infine mormorò: “Poteva andare peggio.”

Ladybug alzò subito il suo sguardo preoccupato verso di lui, e questa volta fu Adrien a eludere i suoi occhi azzurri. 

Marinette si morse il labbro, poi sussurrò piano: “C’entra tuo padre, vero?”

Lui sospirò amaramente, scuotendo la testa. “Non voglio parlare di questo, adesso” disse cambiando argomento, circondandola di nuovo con le braccia e portando il mento sui capelli di lei. “Non quando posso stringerti tra le braccia dopo tutto     questo tempo.”

Lei sorrise contro di lui. “Da come parli si direbbero passate settimane, non cinque giorni.”

Chat Noir mise il broncio. “Non avevi detto che ti ero mancato?”

Ladybug alzò la testa per guardarlo negli occhi, poi sollevò delicatamente le punte dei piedi fino ad arrivare all’altezza del suo volto. Lo fissò intensamente in quegli occhi verdi per qualche secondo, poi gli schioccò un leggero bacio sulle labbra. “Certo che mi sei mancato, sciocco di un gatto” gli rise contro. 

Lui continuò ad osservarla ancora un po’, mentre con le mani le accarezzava la schiena. Marinette si era completamente dimenticata di Nadja e delle sue domande indiscrete, ormai. L’unica cosa che contava, ora, era essere tra le braccia del suo gattino preferito. 

Senza che se ne rendesse conto, un leggero sorriso dipinse le sue labbra. 

“Perché ridi?” le chiese dolce Adrien.

Lei scosse la testa. “Stavo solo pensando che riesci sempre a farmi dimenticare i miei problemi.”

Lui arrossì leggermente sotto il velo della maschera. Poi si sporse contro il suo orecchio, inarcando di poco la schiena. “La stessa cosa vale per te, Milady.”

Marinette tremò leggermente sotto il respiro delle sue parole, allacciando più forte le braccia dietro il suo collo. 

“Te l’ho già detto che mi sei mancata?” mormorò di nuovo lui contro il suo collo profumato, schioccandole un leggero bacio che provocò un altro brivido a Marinette. 

Lei sorrise di nuovo, annuendo con un grugnito. 

Allora Adrien si scostò un poco da lei, e Marinette avvertì subito il freddo dove poco prima si trovava il corpo di Chat Noir. 

Ladybug corrucciò le labbra in segno di disappunto. 

Lui sorrise malizioso, mentre allentava la sua presa su di lei. Poi la fece sedere sulla coperta che aveva portato a gambe incrociate, e le chiese di chiudere gli occhi. 

Lei protestò, senza capire cosa stesse accadendo, poi obbedì vedendo i suoi occhi verdi brillare sotto la luce della luna. Rimase per interminabili secondi senza udire altro se non i passi sempre più lontani di Chat Noir e il rimbombo di clacson di macchine lontane. 

Poi udì un fruscio leggerissimo, e percepì di nuovo la presenza del suo partner accanto a lei. Adrien si assicurò che tenesse ancora gli occhi chiusi, poi si sedette di fronte a lei attento a non calpestare la sua coda. 

“Non aprirli ancora, mi raccomando” si assicurò. 

Lei corrugò le sopracciglia. “Ma cos…?”

Percepì il dito guantato di Adrien fare leggera pressione sulle sue labbra, e allora fece come lui aveva chiesto. 

Ladybug sentì poi il respiro di Chat Noir sul suo volto, era vicinissimo. Se si fosse sporta anche solo di pochi centimetri era convinta che le loro labbra si sarebbero toccate.  

Non sapeva perché, ma era piuttosto nervosa. 

Adrien trattenne il respiro per qualche secondo, poi sporse di poco il viso, e le sue labbra sfiorarono quelle di Marinette. Sentiva il loro sapore di fragole, la loro consistenza morbida, ma non approfondì il bacio. Ne respirava l’odore e ne saggiava il sapore, ma rimase immobile. 

Ladybug era troppo presa dal momento per pensare a cosa stesse accadendo. Aveva ancora gli occhi chiusi, e tratteneva il respiro. Sentì la mancanza di qualcosa su di sé, e solo dopo si accorse che le mani di lui non la circondavano come facevano sempre. Prima che potesse dire qualcosa, Adrien si scostò dalle sue labbra lasciandole un leggerissimo bacio. Poi aprì gli occhi e la vide ancora in attesa di qualcosa, probabilmente di un suo cenno. 

Rimase a fissarla senza neanche accorgersene, troppo bella per poterle resistere, con quelle labbra di rose, le guance rotonde, gli occhi chiusi e le ciglia che sfarfallavano leggermente. 

“Posso aprirli, ora?” la voce di Marinette lo colse di sorpresa, e fu allora che si rese conto che lei lo stava ancora aspettando. 

Si schiarì la gola. “Non ancora.” La voce era più rauca di quanto non avesse previsto. 

Lei corrugò le ciglia indispettita, e ad Adrien scappò un sorriso. 

“Si può sapere almeno che stai facendo?” chiese di nuovo lei, in tono divertito. 

Lui scosse la testa, e lei, anche se non poteva vederlo, percepì un leggero spostamento dell’aria. 

“Ti sto osservando” mormorò senza che se ne rendesse conto. 

Lei si ritrasse un poco, sorpresa. 

Chaton…”

“È che mi sembri più bella di quando me ne sono andato.”

Marinette aprì gli occhi, mentre le gote diventavano sempre più rosse. 

“Non dire sciocchezze.”

Lui la guardava serissimo, negli occhi come pagliuzze scintillanti che riflettevano la luce delle stelle. “È vero.”

Ladybug, senza sapere perché - ormai doveva essersi abituata alle sue avances, no? - si sorprese imbarazzata. Distolse lo sguardo dai suoi occhi, e vide che Adrien teneva le mani dietro la schiena. 

Prima che potesse fare altre domande, lui la prevenne. “Ti ho portato una cosa” mormorò guardandola negli occhi. Marinette gli parve confusa. “Da Londra” specificò. 

Ladybug non sapeva cosa dire. “N-non dovevi” protestò scuotendo la testa. 

Quella era la prima volta, da quando si erano messi insieme, che non avevano potuto vedersi per più di due giorni. E, anche se sembrava strano - e forse anche stupido, la consapevolezza che lui non fosse a pochi passi di distanza l’aveva resa inquieta. Certo, in caso di bisogno lui sarebbe subito tornato utilizzando il power-up dello spazio, eppure non era la stessa cosa. E sapere che lui l’aveva sempre tenuta nei suoi pensieri, e le aveva anche portato un regalo, la fece sentire talmente sollevata che sentì subito gli occhi farsi umidi. 

“Milady, p-perché piangi?” 

Una nota di preoccupazione nella voce, Adrien non esitò un istante a portarle una mano alla guancia per confortarla. 

Lei scosse la testa con fare noncurante. “È che mi sei mancato tanto” sussurrò, mentre una prima perfetta goccia sfuggì dall’intreccio delle sue ciglia. 

Lui sorrise alle sue parole, avvicinandosi alle sue labbra per schioccarle un leggero bacio. 

“Allora, non vuoi vedere cosa ti ho portato?”

Lei si portò subito una mano in volto per asciugarsi la lacrima, ma lui la prevenne con una dolce carezza. Allora annuì, tirando un poco su con il naso. 

Adrien si rese conto allora di essere piuttosto nervoso. E se non le fosse piaciuto? Se lo considerasse come inopportuno?

Si morse il labbro inferiore, indeciso all’improvviso della sua scelta. Ladybug era lì, di fronte a lui, che lo aspettava curiosa, e vedendolo così nervoso gli portò una mano alla guancia. “Tutto bene?”

Chat Noir sentiva il respiro corto. “Ehm… sì, certo. È solo che…”

Lei inclinò leggermente la testa, inarcando le sopracciglia come per invitarlo a continuare. “Il gatto ti ha per caso mangiato la lingua?” chiese con una punta di malizia. 

Lui arrossì, mentre si portava la mano libera alla faccia. 

“È che… all’improvviso mi sembra un regalo così stupido. Forse… ehm” abbassò lo sguardo “non dovrei dartelo.”

Lei sorrise prendendolo per le guance: “E perché mai? Lo sanno tutti che fai dei regali fantastici.” Si sporse un poco verso di lui, gli diede un bacio leggero sul naso, e abbassando il tono di voce aggiunse: “Soprattutto quanto si parla della tua bellissima ragazza.” 

Chat Noir deglutì, ritrovarsela così vicino all’improvviso lo aveva colto impreparato. 

“Adesso mi hai incuriosita” aggiunse poi, circondandolo per le spalle. “Devi assolutamente darmelo.”

Lui distolse gli occhi dal suo sguardo magnetico, e sospirò come a rassegnarsi. Portò sotto gli occhi scintillanti di Marinette una piccola scatolina bianca, con un nastro rosa piegato a fiocco sull’estremità. Lui boccheggiò come in cerca di parole, e, dopo aver intrecciato il suo sguardo con quello curioso di lei, disse piano: “Appena l’ho visto ho pensato a te, e ehm… so che può sembrare inopportuno, e se non lo vuoi n-non sei costretta ad accettarlo, però…” Marinette lo guardava con un sorriso sulle labbra, pensando che in quel momento, così, imbarazzato, fosse la cosa più adorabile al mondo. La voce gli tremava leggermente, insieme con le mani che reggevano il piccolo pacchettino rosa. Scosse un attimo la testa, e poi riprese coi farfugli. “Davvero, non devi accettarlo se non ti piace. Al momento mi sembrava un bel regalo, adesso non più” si pizzicava nervoso il sopracciglio. “Volevo soltanto che avessi qualcosa che potesse legarti a me, e che potessi portare sempre con te, e ti facesse ricordare sempre che io ci sono, se ne hai bisogno, e… insomma…”

Ladybug si divertiva a guardarlo penare tanto, ma era anche curiosa di sapere l’oggetto di tante tribolazioni nella mente di lui. Sorrise dicendo: “Forse è meglio se lo apro, non ti pare?”

Lui annuì, e le porse tra le mani il pacchetto. Marinette lo prese tra le sue, insieme con le dita di Adrien, che accarezzò nel tentativo di tranquillizzarlo.  

“Ehi, sta’ tranquillo. Sono sicura che sarà il regalo più bello che tu abbia mai potuto farmi.” Poggiò il pacchetto sulla coperta tra le loro gambe, e si alzò sulle ginocchia per baciarlo sulle labbra. Poi portò la sua testa contro il suo collo, e gli accarezzò i capelli fino a che non lo sentì più calmo tra le sue braccia. Allora si girò e si sistemò meglio tra le sue gambe, prendendo il pacchetto e sciogliendo piano il nastro rosa con le dita. 

Lui le circondò la vita con la mano per farla mettere più comoda, e si appoggiò con la schiena alla ringhiera della terrazza. 

Scrutava attentamente il volto di Marinette, cercando di non perdersi neanche una singola espressione dei suoi occhi. La osservò scoprire il contenuto della scatola, un fremito scuoterle le labbra, i contorni degli occhi subito umidi, le ciglia tremare leggermente. 

“N-non ti piace?” chiese, forse una nota di rassegnazione nella voce. 

E si sorprese quando Marinette si voltò verso di lui, gli occhi scintillanti, e premette con forze le labbra contro quelle di Adrien, e inspirò profondamente contro di lui, e sentì scivolare qualcosa di caldo ed umido dentro di lui, e non si rese conto di quanto quel contatto gli fosse mancato fino a quando non lo sentì per la prima volta dopo quasi una settimana. 

Strinse più forte la vita di Ladybug contro il suo petto, portando una mano alla sua guancia morbida e bollente. Quando si scostò per riprendere fiato, Marinette ansimò contro le sue labbra: “Tu, pazzo di un gatto. Come puoi pensare che un regalo come questo non possa piacermi?” Lo baciò di nuovo, questa volta piano, come se cercasse di imprimersi il più possibile la sua forma e il suo sapore nella mente. “Ci avrai speso anche tantissimo, adesso mi fai sentire in colpa perché non ho niente per te” gli sussurrò contro. 

Lui la guardò sollevato, felice. “Non ci pensare neanche, non voglio nessun regalo.” Lei fece per protestare, ma la zittì con un bacio. Osservò Marinette abbassare ancora incredula lo sguardo verso il piccolo anellino d’argento che teneva tra le dita, e allora disse: “Mi basta sapere che ti piace e che ti andrà di indossarlo, qualche volta.”

A quelle parole, Ladybug si girò di scatto a guardarlo, in volto un’espressione sconvolta. “Qualche volta? Questo rimarrà per sempre al mio dito, non me lo toglierò mai e poi mai, neanche per rimpiazzare quelli che verranno.” Si accorse un po' tardi di come quella frase potesse suonare alle orecchie di Chat Noir, che iniziava a sentire anche lui le lacrime premere per uscire. “Quelli che verranno?” chiese in un sussurro, ancora incerto di aver capito bene. 

Lei arrossì, e abbassò lo sguardo verso il piccolo oggettino che teneva tra le dita. “Certo” rispose infine sorridendo “non credere di cavartela soltanto con uno.” E, così dicendo, gli volse una timida occhiata. Lui annuì prontamente, come a prendere sul serio quell’importante incarico. Già pensava a tutti gli anelli che le avrebbe regalato, e sorrise come un ebete al pensiero. 

“Spero che sia della misura giusta” aggiunse poi, prendendoglielo dalle dita pronto per metterlo al suo legittimo posto. “Siccome non sapevo proprio quale fosse ho chiamato Alya per chiederle consiglio. Quando ha scoperto che volevo regalarti un anello ho creduto che da un momento all’altro il suo urlo avesse raggiunto anche te.”

Lei sorrise. “Infatti mi era sembrato di sentire qualcosa, l’altro giorno.” 

Lui abbassò lo sguardo verso le sue dita guastate e affusolate, e solo allora si accorse che lei indossava ancora il suo costume da supereroina. Ladybug pronunciò una parola che suonò come una formula magica, e subito si ritrovò tra le sue braccia nelle vesti di Marinette. Chat Noir non potè resistere, e le diede un tenero bacio sulle labbra, e poi le infilò l’anello in quello che gli parse uno dei gesti più intimi che avessero mai condiviso. “È perfetto” sussurrò Marinette contro il suo orecchio. Lui si girò un poco per guardarla negli occhi, e le lasciò un bacio sulla guancia. “Sono contento che ti piaccia.”

Lei prese a osservare sognante la sua mano, che le sembrava così diversa ora. Chat Noir, invece, osservava lei con occhi sognanti, lei che lo faceva sempre così felice ogni giorno che passava. Si chiese come fosse possibile. 

Intorno, brillavano la luna e le stelle nel cielo, una leggera aria fresca scompigliava i capelli. 

Marinette rabbrividì leggermente quando un rivolo di vento un po' più forte e fresco l’attraversò, e Chat Noir fece bene attenzione ad avvolgerla per non farle prendere freddo. 

“Forse è meglio se ti porto a casa” le sussurrò tra i capelli. 

Lei lo guardò male: “Aspettiamo ancora un po’.”

Lui scosse la testa sorridendo. “Fa freddo” ribatté, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 

“Non se mi stringi forte” protestò lei accucciandosi di più contro di lui. 

Adrien sussultò. “È molto tardi” disse poi. 

Lei sussurrò in risposta, gli occhi chiusi: “Domani non c’è scuola.”

Lui quasi si arrese alle sue parole. “Sei impossibile” sorrise lui. 

Lei alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi, poi disse con un ghigno: “Se non vuoi stare qui con me basta che lo dici.”

Lui protese il viso in avanti, e le loro fronti si toccarono. “Sai che non è vero” rispose scuotendo lievemente la testa. 

Lei si avvicinò ancora di più, facendo incontrare i loro nasi. 

“Mmh.”

Chat Noir pensò che quel momento fosse davvero magico. Parigi era come una bolla sotto di loro, o forse erano loro, a stare in una bolla. Gli unici rumori che sentivano erano quelli dei loro respiri, e i fruscii delle loro carezze. 

Quando, qualche minuto dopo, la cattedrale suonò la mezzanotte, Adrien si costrinse ad alzarsi. Marinette protestò tra le sue braccia, ma non ci fu nulla da fare. Chat Noir la portò a casa saltando tra i tetti, e non ebbe pace fino a che non la vide tranquilla sotto le coperte. Le scoccò un leggero bacio sulla fronte, poi sul naso, sulle labbra e sul mento. Lei rideva sotto di lui, e andarsene in quel momento gli parve una delle azioni più difficili che egli avesse mai fatto. 

Solo dopo qualche minuto, a metà tra sogni e realtà, Marinette si ricordò che la mattina dopo aveva Manon a casa, e che Nadja Chamack sarebbe passata a portarla e a prenderla. Il sonno le passò di colpo. 

 

*** 

Erano le nove, e Marinette era già lavata e vestita. Quando si era svegliata quella mattina,

lo schermo del telefono era intasato dalle notifiche dei ventuno messaggi che Adrien le aveva mandato. Tre come stai, quattro ti amo, sette sei sveglia, quattro chiamami quando ti svegli e altri tre ti amo.  

Pochi, tutto sommato. Nei giorni in cui era stato via la media - di mattina - era di trentacinque messaggi. Si vedeva che era più tranquillo ora che soltanto un paio di chilometri li separavano. 

Marinette sorrise tra le labbra, ma il sorriso le morì quando sentì dei passetti purtroppo ben conosciuti saltellare le scale che separavano la sua camera dal resto della casa. 

“Marineeeette!” sentì chiamarsi, e si spremette una mano sulla faccia, perché già sapeva che quella mattinata sarebbe stata lunghissima. 

Manon non si fece problemi a prendere subito possesso della sua camera, buttando i suoi amati pupazzi sparsi sul pavimento e sparpagliando le matite sulla scrivania. 

“Marineeeeette, giochiamo a Ladybug e Chat Noir con le tua bambole?!? Per favoreee!!” Esclamò, in un sorriso esagerato e gli occhi da cerbiatta. 

Marinette sospirò in tono accondiscendente, e fece per alzarsi, quando la figura di Nadja Chamack apparve da sotto la botola. Cercò di sorriderle il più educatamente possibile, anche se il suo buongiorno puzzava di falso a chilometri di distanza. 

“Buongiorno, Marinette” rispose Nadja in un sospiro, visibilmente abbattuta. 

Marinette inarcò le sopracciglia. “Tutto bene, Nadja?”

Lei fece come fosse a casa sua, prese una sedia e si sedette alla scrivania di Marinette, proprio di fronte a lei. “Niente di che, Marinette. Davvero. È solo che ieri sera è stata molto stressante. L’hai vista, vero, l’intervista a Ladybug?”

Marinette annuì con aria sospetta. 

Nadja continuò: “E tu dirai, cosa c’entra l’intervista con Ladybug? Apparentemente è andata molto bene, no?”

Marinette annuì di nuovo. 

Nadja sospirò pesantemente, poggiandosi con il gomito sulla scrivania. “Questo devo proprio dirtelo Marinette, anche se non credo lo sappia nessun altro.” Si avvicinò piano, abbassando la voce per non farsi sentire da Manon che faceva finta di giocare con le bambole, ma che in realtà non si stava perdendo una singola parola di ciò che le due andavano confabulando.  

“Credo” sussurrò Nadja “ecco, credo che Ladybug mi odi.”

Manon scattò ritta in piedi, pronta subito a prendere le difese di Ladybug, ma poi si ricordò che aveva sentito di nascosto, e che sicuramente sua madre si sarebbe arrabbiata se lo avesse scoperto. Finse un improvviso attacco akuma. 

Marinette impallidì sul posto, senza sapere cosa dire. 

Nadja scosse la testa. “Sicuramente penserai che io stia dicendo una stupidaggine, ma sono proprio sicura che sia così. Comunque” aggiunse sospirando scoraggiata “non credo io possa farci niente. Se Ladybug mi odia, devo accettarlo e cercare di non farlo notare. Giusto?”

Marinette non sapeva che dire, e annuì assecondandola. Si reggeva forte alla superficie della scrivania, i polpastrelli della mano erano sbiancati. 

Nadja abbassò casualmente lo sguardo verso la mano di Marinette, e altrettanto casualmente fece caso al piccolo anello che decorava il dito medio. 

Subito le si illuminò lo sguardo. 

Marinette non fece in tempo a rendersi conto dell’imprudenza di non essersi tolta l’anello che subito quella la tempestò di domande, e Marinette rispose in maniera talmente elusiva e indispettita che a Nadja ricordò qualcuno di sua conoscenza. 

Tuttavia, Nadja era troppo presa dallo scoop per fare caso al comportamento di Marinette. Insomma, Adrien Agreste aveva appena regalato un anello alla sua ragazza, e i due avevano solo diciassette anni!! Cosa mai poteva significare?!?

Marinette si controllò il più possibile dal non cacciare Nadja a suon di calci, quando questa fu chiamata via da un’importante chiamata di lavoro. 

Ahh, quanto era vero. Marinette odiava proprio quella donna! 

 

 

 

Convenevoli finali: 

Credete forse che questo aggiornamento così, di mercoledì, sia un miraggio? Uno scherzo malefico di Volpina? 

No, cari lettori, è proprio vero. In realtà avevo iniziato a scrivere questo capitolo un sacco di settimane fa, e l’ho ritrovato così, per caso, incompleto. Tra ieri sera e stamattina sono riuscita a terminarlo e ho deciso di pubblicarlo subito, ché altrimenti rimandavo fino al weekend. 

Spero che questo aggiornamento inatteso vi abbia fatto piacere, e che anche la storia vi abbia strappato una risata. 

 

A presto, 

Talitha_ <333

 

 

 

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Capitolo 7
*** Fanfiction ***


1.

 

Marinette si mordicchiava nervosamente le unghie mentre fissava catturata lo schermo del telefono. Aveva preso l’abitudine, da qualche giorno, di visitare un certo sito per passare il tempo in quei buchi in cui non sapeva mai cosa fare. In realtà, era proprio per riempire quei minuti che tutto era iniziato, ma, si sa, una tira l’altra, e nel giro di pochi giorni le era sfuggito il controllo della situazione. 

Ed in quel momento era talmente concentrata, catturata da quello che stava leggendo, che non si accorse che la batteria del telefono era quasi scarica, o che i vicini avevano scelto proprio quel giorno per smantellare la casa e tosare l’erba nel giardino. 

Non avvertì dei passi avvicinarsi, né una voce chiamare insistente il suo nome. 

 

«Un altro colpo venne inferto al corpo dilaniato di Chat Noir, un altro gemito di dolore uscì dalle sue labbra. 

Chaton, chaton” lo chiamava disperata lei, coprendo con una mano guantata la ferita che gli squarciava il petto “ti prego, non lasciarmi.” 

 

Il suo sguardo si muoveva al ritmo delle parole che i suoi occhi e la sua mente divoravano. Una dopo l’altra dopo l’altra. 

 

Gli occhi di Ladybug erano imperlati di lacrime, la voce una supplica, un flebile sussurro che fece più male a Chat Noir di qualunque altra ferita. Si costrinse a guardarla negli occhi, quegli splendidi occhi azzurri, e, con le ultime forze rimaste, mormorò nel tono più dolce che Ladybug avesse mai udito: “Ma io non ti lascerò mai, Milady.”

Lei scosse la testa con forza, singulti le squassavano il petto. Si abbassò su di lui, fino a condividerne il respiro, e assaggiò con forza le sue labbra, come a dargli un po’ della vita che era in lei, e farlo sopravvivere.»

 

Una mano le toccò la spalla. Marinette saltò in piedi sul divano, gli occhi umidi e il respiro corto. 

“Ehi, ma che ti prende?”

Marinette sbatté le palpebre per liberare le ciglia dalle gocce salate che le imperlavano, il cuore a mille per lo spavento. 

Adrien la guardò preoccupato, le guance rosse e gli occhi azzurri spalancati. Fece il giro del divano per andarle incontro, mentre Marinette si accasciava di nuovo sul cuscino dove era seduta poco prima. Poi, si passò una mano tra i capelli scuri sciolti e spense lo schermo del telefono, facendolo scivolare in una fessura tra i cuscini del grande divano bianco della camera di Adrien. 

“T-tutto bene?” le chiese nuovamente lui, sedendole accanto. 

Marinette fece per annuire, ma poi ripensò a quello che aveva appena letto, e all’improvviso sentì lacrime calde rigarle le guance. Lacrime dovute, forse, alla tensione accumulata durante la lettura, oppure alla consapevolezza che quello che aveva letto si sarebbe potuto avverare. 

Adrien rimase immobile come una statua di ghiaccio, troppo sconvolto dalla visione di lei che piangeva per pensare a come reagire. Vedeva Marinette piangere silenziosamente, lo sguardo fisso su un punto che in realtà non stava osservando, e gocce salate scivolare giù per quelle guance rosate, ora un po' impallidite. 

Soltanto quando Marinette non potè fare a meno di soffocare un singhiozzo, Adrien scattò sul posto e le si avvicinò senza alcuna considerazione per gli spazi personali di lei. La avvolse per le braccia e la spinse a sé, poi poggiò il mento sui suoi capelli al gelsomino e prese a massaggiarle piano le braccia per tutta la loro lunghezza. 

Gli tremava un poco la voce quando provò più volte a chiederle cosa fosse successo nel giro dei dieci minuti in cui era andato a farsi una doccia dopo esser tornato da una lezione di scherma. 

Ripassò a mente tutti i momenti che avevano trascorso insieme prima che lui andasse in bagno, ma non riuscì proprio a pensare che lei avesse potuto tenergli nascosta così bene una cosa tanto grave come quella aveva tutta l’aria di essere. Aveva forse ricevuto la notizia della morte della nonna? Oppure una mail in cui rifiutavano la sua domanda al concorso di moda di cui gli aveva parlato il giorno prima? 

Adrien continuava a chiedere a Marinette cosa le fosse preso, ma lei si ostinava a scuotere la testa e stringersi più forte a lui. Nel frattempo si susseguivano nella sua mente scenari uno peggiore dell’altro, fino a che si rese conto che se avesse continuato per quella strada sarebbe diventato pazzo. 

“Marinette” mormorò allora, la voce leggermente tremante “se continui a piangere senza dirmene il motivo giuro che divento pazzo.”

Lei tirò su col naso, nascondendo i suoi occhi dallo sguardo inquisitore di lui. Cercò di respirare più a fondo, cullata dalla mano di Adrien che le accarezzava a cerchi la schiena. Era arrivata a quell’ultimo stadio del pianto in cui le ultime lacrime danno spazio ad occhi rossi e gonfi e a pesanti singhiozzi che impiegheranno ancora un po' di tempo prima di calmarsi. Poi rimase immobile, il viso premuto contro la maglietta di Adrien, ora totalmente impregnata da lacrime e moccio. 

Lui sospirò, dopo qualche istante di silenzio. “T-ti va di raccontarmi cosa è successo?” 

Aveva paura della risposta di lei. Se avesse scoperto di avere una malattia terminale?

Marinette scosse la testa.
“Milady” riprese Adrien, col tono più supplichevole che gli riuscì “lo sai che a me puoi dire tutto.”

Lei si discostò un poco dal suo petto, ruotando leggermente la testa per respirare meglio. Abbassò lo sguardo. 

Adrien le scostò i capelli appiccicati alla fronte, le posò una mano sulla guancia, e prese a cullarla per qualche minuto sussurrandole nell’orecchio parole dolci. 

Marinette ora era più serena, il respiro tornato regolare, le guance rigate da due perfette strisce lucide. 

“Milady?” la chiamò ancora lui.

“Mmh?”

“Perché non mi racconti cosa è successo?”

La sua voce era calma, dolce, invitante. Eppure Marinette scosse di nuovo la testa. 

Adrien non riusciva a capire. “Ma… perché no?”

Lei alzò di poco la testa, senza però guardarlo negli occhi. “Perché… sicuro mi prenderesti in giro.”

Lui si fece tutto serio e la costrinse a guardarlo negli occhi. “Non ti prenderei mai in giro, e tu lo sai. Mai.”

Lei abbassò lo sguardo e tornò ad appoggiarsi al suo petto. “È perché ancora non sai di che si tratta.”

Lui protestò vivacemente. “Non è vero.”

Marinette non dette segni di risposta. 

“Mari, per favore. Ti prometto che non riderò e non ti prenderò in giro. Ma, ti prego, dimmi cosa è successo.”

La sua voce supplichevole si insinuò piano nella testa di Marinette, che stava iniziando a cedere. Adrien si trattenne dal sorridere, certo di essere quasi riuscito a convincerla. 

“Parola di gatto?” chiese allora lei. 

Lui annuì senza esitare.”Parola di gatto” ripetè. 

Marinette si girò più comoda contro di lui, poggiando la testa contro il suo collo. Inspirando il suo profumo, sussurrò: “Stavo leggendo una cosa.”

Adrien batté le palpebre, cercando di capire se fosse lei a prendere in giro lui.  

“U-una cosa?” 

Deglutì.

Lei annuì. “Una cosa” ripetè. 

Lui stava diventando sempre più confuso. “C-che tipo di cosa?”

“Una cosa… su un sito.”

Marinette sentì Adrien irrigidirsi contro di sé. “U-un sito di storie” aggiunse, facendo scivolare la mano destra intorno alla vita di lui. 

Adrien sentiva il suo respiro caldo sul collo, il corpo morbido adagiato sul suo. Non sapeva come rispondere, quindi lasciò a Marinette spazio per andare avanti con quello che stava cercando di dire. 

Marinette alzò leggermente lo sguardo quando vide che Adrien non dava cenni di risposta. “Mi dai un bacino, prima?” chiese allora, inaspettatamente. Adrien arrossì un poco, ma poi si chinò su di lei e le diede un bacio sulla guancia salata, piano. Colle labbra accarezzò la sua pelle, fino ad arrivare all’angolo della bocca, e la baciò di nuovo come sapeva che a lei piaceva da impazzire. Marinette allora portò le mani dietro al suo collo e attorcigliò le dita tra i suoi capelli, respirandone il profumo cercando di farsi coraggio ed andare avanti. 

“Quando sei partito per Londra, il mese scorso,” prese a dire, con un tono piuttosto serio che fece subito rizzare le orecchie ad Adrien “siccome mi mancavi tanto ho provato a fare una cosa che non avevo mai fatto.”

U-una cosa che non aveva mai fatto? Ma cosa c’entrava col sito di storie?

“Avevo sentito parlare di, ehm… fanfiction scritte dai fan di Ladybug e Chat Noir sulla loro probabile storia d’amore. Non ne avevo mai lette prima, e mi incuriosivano molto, e…” sospirò “ho cominciato a leggerne qualcuna, anche di… piuttosto p-piccante, ecco.”

Adrien sgranò gli occhi, tutto rosso in volto. Fortuna che Marinette non poteva vederlo, e che lui non potesse vedere lei. Si abbracciarono più stretti. 

Marinette riprese: “So che può sembrare una cosa stupida, però mi aiutavano a sentirti più vicino. Poi ho trovato un’autrice che ti descriveva proprio… beh, benissimo” aggiunse con un sorrisetto. 

“Benissimo?” sussurrò Adrien, una punta di malizia nella voce. 

“Ma sì, benissimo.”

“Che intendi per benissimo?”

Marinette sbatté le palpebre. “Che sembravi proprio tu.”

Lui si scostò un poco dall’abbraccio. “Era bellissimo e affascinante come me?” chiese sornione. 

Lei puntò gli occhi al cielo, finalmente un sorriso dipinto sulle labbra. 

“Intendi vanitoso e sfrontato come te? Sì, proprio così.”

Lui si finse offeso, abbassò la testa sul collo di lei e prese a solleticarlo in un gioco di labbra. Lei rise sotto il suo tocco, cercando di allontanarlo da sé con le mani, mentre Adrien prendeva sempre più possesso del suo collo. Le risa di Marinette riecheggiarono nella grande stanza, e Adrien si sentì finalmente calmo da quando l’aveva sorpresa a leggere fanfiction. 

Dopo qualche minuto in cui lui si era arreso alle suppliche di Marinette di fermarsi, le chiese: “Non mi hai ancora detto il motivo per cui stavi piangendo, prima.”

Lei evitò di incrociare il suo sguardo verde. 

Un improvviso silenzio calò nella stanza. 

Marinette sentì la mano di Adrien vagare a cerchi sulla sua schiena, e chiuse gli occhi concentrandosi su quel tocco rassicurante. 

Respinse indietro le lacrime e abbozzò un sorriso. “Era solo una storia triste, tutto qui.”

Lui la guardò incredulo, portando un po' la testa all’indietro, come per osservarla meglio. “Solo una storia triste?”

Lei annuì, con tutta la convinzione di cui fu capace. 

Adrien non voleva forzarla, ma moriva anche dalla voglia di sapere cosa avesse smosso quella semplice storia in Marinette, perché dai suoi singhiozzi, prima, era chiaro che non fosse solo una semplice storia triste. 

Si aggiustò meglio sul divano, rinforzando la presa sulla schiena di Marinette. 

“P-posso leggerla?”

Marinette alzò subito lo sguardo su di lui. “No” rispose, e quell’unica sillaba le uscì in un tono più duro di quanto avesse previsto. 

Adrien sospirò. Le portò una mano alla guancia e mormorò dolcemente: “Perché non vuoi parlarmene? È chiaro come il sole che questa semplice storia ti ha turbata. Forse parlandone insieme quello che hai letto non ti sembrerà più tanto grave.”

Marinette scosse vivacemente la testa, lottando con tutta se stessa per non darla vinta alle lacrime. Sentiva già gli occhi pizzicarle, la vista sfocata. 

Si aggrappò a lui, sperando che non dovesse di nuovo vederla piangere. 

“Milady…”

“Ti prego, n-non mi va di parlarne” sentì pronunciare da quelle sue labbra perfette. “Non adesso.”

Lui si costrinse ad accettare il suo silenzio, e a rispettare la sua decisione. 

La strinse a sé, schioccandole un dolce bacio sulla punta dei capelli. “Ma certo. Quando vorrai, io ci sarò sempre.”

Lei si fece scappare un singhiozzo liberatorio, mentre si lasciava coccolare dalle carezze e dalle parole confortanti di Adrien. 

E allora pensò che, senza di lui, lei sarebbe stata persa. Che non poteva immaginare un mondo senza Adrien. 

E non perché lui la completasse e tutte quelle sciocchezze simili. 

Ma perché lui era la persona che più la faceva sentire bene, che più la amava e la comprendeva. E che senza la quale si sarebbe sentita sola, disperata, vuota, come un cielo senza stelle, un mare senza pesci, un cuscino senza piume.

Lui era tutte quelle cose per lei, e la straziava semplicemente l’idea che un giorno lui non ci sarebbe più stato. 

Che non avrebbe potuto più sentire il suono della sua voce o della sua risata. Che non avrebbe più potuto stringere le sue mani o baciare le sue labbra, o toccare i suoi capelli e immergersi nel verde dei suoi occhi. 

Sentiva come un buco pieno di dolore nel petto, come poche volte le era capitato prima. In quel momento voleva soltanto piangere, stringere i denti, strizzare gli occhi, chiudere le mani a pugni. E più ci pensava e più le sembrava che quel buco di dolore stesse prendendo possesso di lei. Era straziante. 

Dopodiché, senza alcun preavviso, sollevò la testa dalla spalla di Adrien, fino a guardarlo direttamente negli occhi. 

Lui riuscì a leggere in quello sguardo tutta la sofferenza di Marinette, e ne rimase spiazzato. 

Lei si portò le mani agli occhi, asciugandoli alla bell’è meglio. “Adrien?”

“Mh?” chiese lui, in un gemito strozzato. Probabilmente anche lui avrebbe pianto, da un momento all’altro. Non sopportava di vederla così. 

“M-mi prometti una cosa?”

Tirava ancora su col naso, ma improvvisamente il suo sguardo si era fatto più limpido, tranquillo. 

“Q-qualunque cosa, amore. Lo sai.”

Marinette sentì il cuore fare una capovolta, nel petto. 

I suoi occhi erano ancora intrecciati a quelli di Adrien. Ogni tanto, qualche singhiozzo le mozzava il respiro, ma sembrava proprio che il suo pianto si fosse calmato. 

“Non morire” disse, serissima. 

Per un istante, lui si chiese se non stesse scherzando. Ma poi si accorse del suo sguardo diretto e delle sue parole concise. 

“Non morirò” rispose, sfiorandole la guancia con un dito. 

“Neanche per salvarmi” aggiunse lei. 

Lui rimase interdetto. “Questo non posso promettertelo.”

Marinette fece una smorfia. “Perché no?”

“Perché non potrei mai permettere che tu muoia sapendo che io posso impedirlo. Mai. Mai e poi mai.”

Questa volta era lui ad essere serio. Serissimo. 

Marinette sostenne il suo sguardo, questa volta. “Allora neanche io te lo prometto.”

“Che non morirai?”

“Che non morirò per salvarti.”

Lui strinse le labbra. 

“Saresti una stupida, allora.”

Marinette si accigliò. “Come, scusa?”

“Ho detto che saresti una stupida.”

“E perché mai?”

“Perché sacrificheresti la tua vita invano.”

Marinette non stava capendo. E se quella era una delle solite battute di Adrien, non era divertente. Per davvero. 

“Ma che stai dicendo? Certo che non la sacrificherei invano.”

Si scostò un po' da lui, confusa. 

Sulle labbra di Adrien apparve l’accenno di un sorriso malizioso. La prese per le spalle e la attirò di nuovo contro di sé. Poi le sussurrò nell’orecchio: “Dimentichi, Milady, che i gatti hanno ben nove vite. Se tu morissi per salvarmi, sarebbe inutile. E se io morissi per salvarti, comunque continuerei a vivere. Quindi, non hai niente di cui preoccuparti. Va bene?”

Marinette rimase lì, contro il suo collo, immobile. Adrien la teneva ancora per le spalle, la sua presa solida sulla pelle di lei. Stava piangendo, seppur silenziosamente, e non voleva che lei se ne accorgesse. 

“Sei il solito scemo.”

Lui sorrise tra le lacrime. Poi inclinò di poco la testa, sporgendosi per baciarle il collo. 

“Uno scemo che morirebbe per te, e che dopo tornerebbe da te, soltanto con una vita in meno.”

“E se le vite finissero?”

Lui scosse la testa. “Non ti libererai tanto facilmente di me, Buginette.”

Marinette inspirò profondamente, tranquillizzata dalle sue parole. “Lo spero per il tuo bene, Chaton.”

 

 

Convenevoli finali:

Ehhhhh, finalmente un nuovo capitolo!!!!

Cari lettori, buona Vigilia, Natale, Santo Stefano, Capodanno E 2021. Ormai le abbiamo fatte tutte le feste, e io mi degno di aggiornare solo ora, che autrice spregevole -.-

Comunque, nonostante questo capitolo non mi faccia granché impazzire (anche perché la storia ha preso una piega drammatica che non avevo previsto, ma non mi andava di tagliarla e quindi ve la tenete così xP), spero comunque vi sia piaciuto. Confido di riuscire ad aggiornare di nuovo prima della fine delle feste: ho già in mente un nuovo capitolo un po' diverso dal solito. Spero di poterlo scrivere così come l’ho immaginato, ma prima volevo finire questo e dirvi che sono viva e vegeta e che non mi sono affatto scordata di voi ^^’

 

Ancora auguri e affettuosi saluti, 

Talitha_ <33

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Capitolo 8
*** Héros - première partie ***


1.

 

“Non siate annoiati, ma di notizie assetati! Buonasera parigini, qui Nadja Chamack per un servizio speciale. Perdonate l’interruzione del programma ‘Vrai ou fausse?’, purtroppo qui a Parigi la situazione è sempre più critica. A quanto pare, il nuovo super cattivo akumizzato da Papillon si sta rivelando più forte del previsto. Sembra proprio che oggi i nostri paladini stiano trovando un po' di difficoltà nel collaborare, non trovi anche tu, Clara?”

L’inviata annuì, mentre si portava il microfono alle labbra. 

“Hai proprio ragione, Nadja. Sono alcuni giorni, in realtà, che Ladybug e Chat Noir sembrano più distratti del solito. Oggi in particolar modo: sono più di due ore che cercano di neutralizzare L’Elettricista, quando normalmente impiegano soltanto pochi minuti per sconfiggere un cattivo. Purtroppo le telecamere non sono riuscite a registrare nulla, L’Elettricista le ha messe tutte K.O., ma sospetto che tra i due supereroi sia successo qualcosa che renda difficile il lavoro di squadra.”

Nadja sorrise, come fa sempre quando sente odore di scoop. 

“Esatto, Clara. Alcuni ipotizzano abbiano litigato, ma io credo che la causa di questa loro difficoltà sia un’altra. Magari la situazione tra i due supereroi si è fatta più piccante del previsto. In attesa di news sull’attacco Akuma, ecco alcune foto scattate durante i combattimenti degli ultimi giorni che rafforzano la mia ipotesi. È evidente che il rapporto tra Ladybug e Chat Noir va ben oltre una sincera amicizia…”

 

***

 

Uno schiocco di frusta fendette l’aria. 

“Milady, attenta!”

Chat Noir prese la rincorsa per dirigersi verso Ladybug, e proteggerla dall’attacco del nemico. 

Era spaventato. 

Il potere dell’Elettricista si stava rivelando più pericoloso del previsto. Lanciava fili di cavi elettrici a mo’ di frusta, e chiunque venisse colpito diventava un suo assoggettato. 

Ladybug si voltò giusto in tempo per rendersi conto dell’imminente pericolo, due mani di gatto la afferrarono per la vita e la spinsero a terra, per schivare il filo elettrico. 

“Giusto in tempo” soffiò Chat Noir, con una mano proteggeva il capo della sua partner. 

Ladybug sbuffò. Stava andando tutto a rotoli. 

Tra lei e Adrien sul campo di battaglia c’era sempre stata una grande sintonia, che non era mai stata ostacolata dai loro sentimenti, se non in alcuni e pericolosi casi. 

Ora, invece, era tutto diverso. 

Non che prima Adrien non amasse Ladybug, anzi. Soltanto che adesso sapere chi c’era dietro quella maschera - la persona che più amava al mondo - lo faceva sempre stare con le orecchie ritte, in allerta. 

Adrien era estremamente protettivo, questo Marinette lo sapeva. E la trovava anche una cosa dolcissima, ma non quando si trovavano nelle loro vesti da supereroi. 

Quando combattevano per difendere Parigi, anche la minima distrazione avrebbe potuto compromettere la missione e il bene della città. 

E Chat Noir era sempre lì a coprirle le spalle, senza però pensare a lui e alla missione. 

Marinette odiava tutto questo. Capiva il bisogno di Adrien di proteggerla a qualunque costo, però ci sono delle circostanze in cui bisogna anteporre il bene della comunità a quello della persona che si ama. 

Loro sono supereroi, il loro dovere è quello di difendere la città e le persone che vi abitano, anche a costo di qualche rischio. 

“Stai bene?”

Adrien le porse una mano guantata per aiutarla ad alzarsi. Lei non la accettò. 

“Sì, sto benissimo.”

Il tono con cui le uscì quella frase era più cinico di quanto avesse voluto, e questo intristì Adrien. 

Fece per parlare, quando Ladybug si voltò e spiccò il volo. 

“Non possiamo più permetterci di perdere tempo a neutralizzare i suoi soldati, sarebbe soltanto uno spreco di energie. Dobbiamo trovarlo e affrontarlo direttamente.”

Chat Noir la seguì, mentre saltava con grazia da un tetto all’altro scrutando l’orizzonte in cerca di qualche indizio che potesse indicarle la posizione dell’Elettricista. 

“Milady, è troppo pericoloso. Non… non possiamo rischiare che ti colpisca.”

Ladybug si fermò in piedi in bilico su una tegola. 

Chat Noir” scandì lentamente quelle due parole, come a voler sottolineare il suo ruolo in quel momento. “Se avessimo ragionato così con ogni nemico che abbiamo affrontato, Papillon avrebbe ottenuto i nostri Miraculous con uno schiocco di dita. Smettila di fare l’iperprotettivo e ascolta il mio piano.”

Gli occhi di Adrien erano delusi, feriti. 

“Ma…”

“Niente ma. Dobbiamo agire subito, è tutto il pomeriggio che stiamo dietro a Papillon. Sono stanca e voglio che tutto questo finisca il prima possibile.”

“Aspetta.”

Adrien le afferrò il polso. “Marinette, ma che ti prende? È tutto il pomeriggio che mi rispondi male, ogni cosa che faccio è sempre sbagliata. Sei arrabbiata con me?”

Ladybug scivolò via dalla sua presa. “Non sono Marinette, adesso. E questo non è il momento adatto per parlare. Ora seguimi, finalmente ho capito come usare questo orologio.”

E saltò via. 

Adrien la fissò per qualche istante, come inebetito. Poi scosse la testa e si costrinse a fare come Ladybug gli aveva chiesto. 

 

2.

Finalmente quel pomeriggio estenuante era terminato. Marinette e Adrien stavano tornando a casa, separati da un pesante silenzio di parole non dette. 

Quando Papillon aveva colpito, erano nel bel mezzo di una passeggiata romantica lungo gli Champs-Elysées. 

Era tutto perfetto

Era tutto perfetto. 

Poi tutto era andato a rotoli. La battaglia era stata un fiasco su ogni fronte. Certo, alla fine erano riusciti a purificare l’Akuma, ma c’erano volute quasi tre ore prima che tutto tornasse alla normalità. 

Ladybug non si era mai sentita tanto frustrata in vita sua. 

Da tempo si era iniziata a chiedere se ci fosse effettivamente spazio per una relazione sentimentale tra loro: all’inizio non ci aveva fatto molto caso, però con il passare dei giorni si era accorta come fosse sempre più difficile ragionare razionalmente quando c’era in ballo Chat Noir, la persona di cui era follemente innamorata. 

Un bacio rubato, uno sguardo d’amore. 

All’inizio, quando cadevano uno addosso all’altra, Ladybug non provava nulla. Cercava sempre di tenersi il più professionale possibile di fronte a casi del genere. 

Ora non ci riusciva più. Si sentiva tutta scombussolata, il cervello smetteva di funzionare e perdeva il controllo della situazione. Tutta colpa di Chat Noir. 

Non andava assolutamente bene. Lei era la Guardiana della Miracle Box, oltre al possessore del Miraculous della Coccinella. 

Non poteva permettersi distrazioni del genere. 

“Posso sapere cosa c’è che non va?” 

Dopo lunghissimi minuti di silenzio, Adrien la sorprese stringendole leggermente la mano, negli occhi uno sguardo implorante. 

A quelle parole, Marinette sentì il cuore mancare un battito. Era incredibile come Adrien riuscisse ad essere dolce anche da arrabbiato. 

Scosse la testa con amarezza. “Fai prima a chiedermi cosa c’è che va. E la risposta è molto semplice: niente.”

Adrien si sentì offeso dal tono con cui Marinette aveva parlato. Lei se ne accorse, eppure non riuscì a impedirsi di parlare. 

“Adrien, non possiamo andare avanti a questo modo” dichiarò infine. 

Lui la fissò sorpreso, gli occhi spalancati. Sentiva l’ossigeno mancargli nei polmoni, un nodo formarsi in gola. Fece per parlare, ma era a corto di parole. 

Marinette avvertì le sue dita stringere la presa attorno alla mano di lei, e tutto il suo corpo irrigidirsi accanto a sé. Continuava a guardare dritto, forse senza il coraggio di affrontare il suo sguardo. 

Adrien annaspò: “C-che cosa intendi dire?”

Marinette abbassò gli occhi, cercando le parole adatte per esprimere al meglio il suo punto di vista. Poi respirò profondamente, e finalmente si voltò a guardarlo. 

Non si aspettava di vederlo così. Spaventato, terrorizzato

Marinette sentì anche lei l’ossigeno mancarle, il coraggio venirle meno. In quel momento avrebbe voluto semplicemente essere una ragazza normale, con una vita normale, nelle braccia del suo ragazzo, senza pensieri né preoccupazioni. 

“Adrien…” cominciò, senza sapere come continuare. 

Adrien le strinse la mano più forte, ora erano entrambi fermi in mezzo alla strada, ma era tardi e quasi nessuno si avventurava in una passeggiata a quell’ora, se non qualche padrone col cane e sparute coppiette appartate qua e là. 

Un fruscio d’aria fresca li attraversò indisturbato, ma nessuno dei due se ne curò. I loro cuori battevano troppo veloci, e il sangue scorreva talmente violento nelle loro vene che gli unici brividi che percorrevano le loro schiene erano di paura. 

Lo sguardo di Adrien era di ghiaccio, sulla punta delle labbra aveva incastrato una domanda, ma non osava pronunciarla. Come se quelle semplici parole combinate tra loro avessero un potere più grande di lui, e del suo amore per Marinette, e di tutto quello che erano riusciti a costruire in quei pochi giorni di relazione, che sembravano infinito e briciole al tempo stesso. 

“Adrien…” ripeté Marinette, in un tono non molto più convincente di prima. Con uno sforzo immane, ingoiò il groppo in gola e le lacrime che già le pizzicavano le ciglia. Fu una sensazione stranissima, come se i suoi occhi si fossero inariditi in un secondo. “È inutile illuderci, è chiaro che non sta andando come speravamo, e…”

“Mi stai lasciando?” 

Le parole taglienti di Adrien la colpirono in pieno petto. Involontariamente, Marinette indietreggiò di un passo, come se tutta quella situazione fosse troppo grande da gestire, da sopportare.  L’intreccio delle loro dita si sciolse. 

“N-no, io…”

Adrien la interruppe, nel tono una… freddezza che Marinette non gli aveva mai sentito. “Perché se mi vuoi lasciare, Marinette, io non sarò certo quello che ti ostacolerà. Ma vorrei prima capire su cosa si basa questa tua decisione, perché se si tratta di quello che è successo oggi, allora mi dispiace… n-non lo accetto.”

Le ciglia di Marinette sfarfallarono sotto la luce della luna, ora nuovamente umide. “Chaton… non dire così. Io…”

Lui portò una mano avanti, come a zittirla. “Non accetto che tu mi lasci soltanto perché ci siamo trovati in difficoltà a gestire una situazione completamente nuova. E non accetto neanche che tu mi umili così, facendomi sentire in colpa se mi preoccupo per te, se cerco di proteggerti, se sono innamorato di te.”

Una prima lacrima rigò la guancia rossa di Marinette. Adrien si sentì morire al pensiero che fosse colpa sua il motivo per cui lei stesse piangendo, però si disse anche deciso a risolvere la situazione, e questo non sarebbe stato possibile se lui avesse continuato a pensare solo a lei. 

D’altronde, era solo una lacrima. Ora due, anzi tre. Solo lacrime. Gocce d’acqua salata. Nulla di più. 

“N-non è vero, Adrien. E lo sai ben…”

“No che non lo so. So solo che tu mi stai lasciando e che io non posso starmene con le mani in mano.”

Marinette sbatté le palpebre, liberando nuove lacrime dall’intreccio delle sue ciglia. 

“I-io… non ti sto lasciando!”

“Sì che lo stai facendo.”

“No!” gemette, strizzando gli occhi. La vista era offuscata dal pianto, o forse dal dolore, e dalla rabbia. “Sto solo dicendo che, per il bene di Parigi, dovremmo trovare un’altra soluzione. Non possiamo andare avanti così.”

Adrien si spazientì. “Ma che significa: ‘Non possiamo andare avanti così’?! Sul serio, Marinette, ti rendi conto che ti stai contraddicendo da sola?”

Marinette abbassò nuovamente lo sguardo. Verso le loro mani, che ormai si erano separate da un pezzo. In quel momento desiderava soltanto sentire le braccia di Adrien circondarle la vita, le sue parole dolci confortarla come facevano sempre, le sue labbra calde baciarla con amore. 

“Adrien, io… sono molto confusa. Forse sarebbe meglio prendersi… una pausa per vedere se…”

“U-una pausa?” chiese Adrien, a fior di labbra. 

Marinette tornò a guardarlo. “So che ti sto chiedendo tanto, ma vorrei soltanto un po' di tempo per… per pensare. Ti prego, Adrien. Devo capire cosa fare”. Marinette deglutì. “Per il bene di Parigi, delle persone che ci circondano. Per il bene di… noi.”

Adrien sorrise amaramente. “Quale noi, Marinette? Stiamo insieme soltanto da diciassette giorni. È troppo poco tempo per anche solo pensare ad un noi.”

Marinette scosse vivacemente la testa. “Adrien, io penso ad un noi da molto più di diciassette giorni. Sin dal giorno in cui ti ho visto la prima volta, da Adrien e da Chat Noir. Io e Adrien come ad un noi di amici - nonostante continuassi a sperare in un qualcosa di più. Io e Chat Noir come ad un noi di partner. E quello che pensavo all’inizio non ha fatto altro che rafforzarsi sempre di più. Fino a che l’amicizia è diventata amore, e i due noi uno soltanto. N-non voglio che questo” fece un gesto rotatorio con la mano, “noi finisca. Non ho sofferto e lottato tanto per arrendermi così presto. Voglio soltanto scovare una soluzione, una via d’uscita. Un modo per risolvere i nostri problemi.”

Entrambi rimasero in silenzio per una manciata interminabile di secondi. Adrien si avvicinò a lei, e le prese la mano, e poi disse: “Ma perché non possiamo farlo insieme? Perché dobbiamo separarci per capire come agire? Io…” 

Nella sua voce Marinette riuscì a leggere dolore, panico. Ritrasse gentilmente la mano da quella di lui. 

“Per favore, Adrien. Soltanto qualche giorno. Ti chiedo solo questo. Fidati di me, come hai sempre fatto.”

E di fronte a quel viso rigato dalle lacrime, quelle ciglia bagnate e gli occhi scintillanti del riflesso della luna, le labbra rosse contratte in una smorfia di dolore e le mani tremolanti, e quella voce che lo pregava di acconsentire, Adrien non seppe dire di no. 

“Va bene, Marinette.”

E quel Marinette suonò così strano tra le sue labbra. Quasi… freddo

E senza un’altra parola, non un bacio, una carezza o uno sguardo, lui se ne andò. 

E per la prima volta da quando Marinette lo conosceva, la lasciò sola

Come lei aveva chiesto. 

 

Se l’era cercata. E non poteva biasimare altri che lei. 

 

 

3. 

 

Come sempre, la schiena di Adrien era lì, di fronte a lei. 

Ma per la prima volta da molto, moltissimo tempo, Marinette si sentì come se non avesse il diritto di osservarne il profilo, o di tracciare le curve dei ciuffi di capelli che si andavano nascondendo sotto il colletto della sua camicia bianca. 

“La tua padrona si è comportata malissimo col ragazzo” un bisbiglio - che nessuno oltre Tikki fu in grado di sentire - giunse dal basso. 

“La mia padrona aveva le sue buone ragioni per fare quello che ha fatto” ribatté una vocina dolce, che si diresse sotto la sedia di Adrien per raggiungere l’altro kwami. 

“No che non le aveva, zuccherino”. Plagg sembrava più impaziente del solito. “Nessuno, nemmeno la tua padrona, può permettersi di far soffrire così il mio Adrien”. Poi, con tono e gesti plateali, aggiunse: “Stanotte non ha chiuso occhio, piangeva e si disperava. E, ovviamente, ha interrotto il mio riposino di bellezza.”

Tikki sbuffò. “Senti, noi non siamo nessuno per intrometterci negli affari privati dei nostri padroni. E, a mio parere, Ladybug ha fatto benissimo ad accantonare i suoi sentimenti per il bene della città.”

Plagg la guardò sconcertato. “E al bene del mio Adrien non ci pensa?”

Tikki alzò gli occhi al cielo. “Certo che ci pensa, Plagg. Altrimenti non avrebbe passato anche lei la notte insonne a disperarsi su tutto quello che ha detto e fatto ad Adrien.”

Plagg strinse gli occhi. “Come minimo si merita di soffrire anche lei.”

Tikki strabuzzò gli occhi. “Ma che stai dicendo? Marinette è la persona più responsabile che conosca, e ha dato prova di grande coraggio ieri sera.”

“Stai dicendo che il mio padrone non è coraggioso perché non ci ha pensato prima?”

Tikki era stufa di quella conversazione. “Non ho detto questo, e lo sai bene.”

Poi si voltò a guardare le gambe incrociate di Marinette sotto al banco. “Sarà meglio non intrometterci, questa volta. Devono riuscire a risolversela tra di loro.”

Plagg fece per parlare, ma Tikki si voltò e gli intimò con lo sguardo di chiudere la bocca.
“Così avrebbe voluto anche il Maestro Fu” aggiunse. E allora Plagg la guardò a bocca aperta prima di girare i tacchi e tornarsene al suo posto nella cartella di Adrien, tra il libro di storia e quello di scienze. ‘Quella… coccinella buona a nulla. Infangare così la memoria di Maestro Fu.” 

Si accoccolò meglio contrò l’astuccio morbido.
Tsk… le donne.”

 

***

 

Alya guardò di sottecchi la sua compagna di banco. 

Era tutta la mattina che moriva dalla voglia di chiederle cosa fosse successo, perché era chiaro come il sole che le sue occhiaie e il suo ritardo fossero segni di un brutto presagio. 

Aveva un cattivo presentimento. 

Purtroppo aveva dovuto tenere a freno le sue domande, ché la signorina Mendeleiev scattava con un occhio di falco non appena la sua mente anche solo elaborava una frase da dire - e che non fosse pertinente alla lezione, ovviamente. 

E poiché questo accadeva piuttosto raramente (che Alya partecipasse alla lezione di scienze), allora sicuramente ogni suo tentativo di dare aria alla bocca era assolutamente inopportuno. E quindi la professoressa la zittiva con una gelida occhiata ancor prima che Alya potesse schiudere le labbra. 

Non restò altro, ad Alya, che fare elucubrazioni su tutte le possibili varianti di avvenimenti. E, si sa, Alya ha una fantasia straordinaria quando si tratta di ricostruire un evento su pochissime basi a disposizione. 

Premessa: Marinette, da quando lei e Adrien stavano insieme, non era mai - e dico mai - arrivata a scuola in ritardo. 

Dato di fatto 1: Adrien aveva passato la notte in bianco. 

Dato di fatto 2: Marinette aveva passato la notte in bianco. 

Conclusione: Marinette e Adrien aveva litigato

Ora, sicuramente non serviva la mente geniale di Alya per arrivare ad una conclusione del genere, perché lei ci era arrivata un secondo dopo l’arrivo dell’amica in classe. 

Il modo in cui aveva evitato lo sguardo di Adrien. 

Il modo in cui Adrien aveva evitato il suo sguardo. 

Andiamo, era palese che quei due avessero litigato

Il problema, quindi, non era tanto il ragionamento che Alya aveva condotto, tanto più la conclusione a cui lei era arrivata. 

Perché, da quando aveva memoria e da quanto aveva fatto esperienza nella propria vita, non era assolutamente possibile che Adrien e Marinette - la perfetta coppia di Adrien e Marinette - avessero litigato in toni talmente accesi da portare ad una ignorazione totale

Alya era esterrefatta, e non poteva assolutamente capacitarsi della teoria che la sua mente aveva partorito.

E allora, come prima cosa, si convinse di essersi sbagliata, e riprovò a condurre daccapo il proprio ragionamento. Quando, però, si accorse che non poteva non essere come aveva dedotto che fosse, allora si spremette le meningi alla ricerca di una spiegazione plausibile ad un litigio del genere.  

- vi prego di perdonare la mente contorta di Alya e i suoi film mentali, ma purtroppo sono cosa inevitabile in questo genere di situazione - 

Perché, nonostante i litigi all’interno di una coppia fossero normalissimi, a cui neanche la perfezione dell’Adrienette vi poteva scappare, era pressoché impossibile che dopo soli diciotto giorni dalla loro messa insieme un tale evento si fosse verificato. 

Questo era pane per la mente di Alya, e l’interessante lezione di chimica organica della signorina Mendeleiev andò a farsi fottere illuminare le menti di altri brillanti studenti.

Finalmente, e dico finalmente, la campanella sancì la fine della lezione. Allora Alya si sporse contro Nino e gli disse contro l’orecchio: “Adesso tu prendi Adrien e ti fai dire cosa cavolo è successo ieri con Marinette, perché ho davvero un brutto presentimento a riguardo, capito?”

Lui annuì con lo sguardo perso - certo, aveva notato che il suo amico non era in forma smagliante quella mattina, ma la sua mente durante la lezione appena trascorsa non era stata così attiva come quella della sua ragazza.  

“Bravo ragazzo” rispose allora lei con un sorriso, scoccandogli un bacio sulla guancia - e guadagnandosi l’ennesima occhiata assassina da parte della professoressa. 

Nel frattempo, Adrien era sgattaiolato via dalla classe come un gatto randagio, mentre Marinette era rimasta pietrificata sul posto, gli occhi già lucidi di lacrime. 

Non appena Alya si voltò verso di lei per attuare il piano investigativo che aveva messo a punto negli ultimi cinque minuti di lezione, rimase sconcertata dalla vista di una Marinette così debole e affranta. 

Raccolse velocemente le loro cose dal banco e le infilò nelle rispettive cartelle, dopodiché afferrò delicatamente l’amica per le spalle e la condusse fuori la porta, sotto gli sguardi sconcertati delle altre compagne di classe. 

Alya fece loro cenno di non preoccuparsi, che ci avrebbe pensato lei, e trascinò una passiva Marinette fino alle toilette delle ragazze. Scelse uno dei bagni più grandi e le chiuse dentro a chiave. 

E si voltò verso Marinette, e lesse nel suo sguardo tutta la sua infelicità e i suoi rimpianti, e cercò di infondere nel suo, di sguardo, supporto e sostegno. 

Solo allora Marinette si permise di piangere, gettando le braccia al collo della cara, vecchia amica Alya. 

 

***

 

Dopo cinque lunghissimi minuti di singhiozzi, moccio, parole confuse ripetute senza un filo logico, lacrime e lacrime e ancora singhiozzi, Marinette riuscì a calmarsi un po’. 

Alya continuava a sbatterle dolcemente la mano sulla schiena, come fa una mamma che culla il figlio, e a ripeterle parole dolci e di incoraggiamento. 

Marinette aveva ancora il mento poggiato sulla spalla di Alya, ogni tanto il corpo ancora scosso dai singhiozzi. 

Alya sorrise dolcemente contro i suoi capelli. “Va meglio, adesso?”

Marinette scosse la testa. 

“Tesoro, se non mi spieghi cosa è successo non sarò mai in grado di aiutarti. Avrò pure una particolare capacità nel capire le persone, ma la telepatia non rientra ancora tra le mie innumerevoli qualità.”

Marinette scosse nuovamente la testa. “È molto più complicato di quanto sembri.”
Alya si sporse a guardarla negli occhi. “Sono sicura che se me ne parli ti sembrerà meno difficile da affrontare.”
Marinette sorrise amaramente. “Non ci spero.”

“Ehi, Marinette. Cos’è questo faccino abbattuto? Non sono proprio abituata a vederti così, sai? Dov’è finita la determinata, forte Marinette che ho imparato a conoscere?”

“Forse ti sbagli, perché in fondo Marinette non è così sicura di sé come potrebbe sembrare” rispose lei a fior di labbra. 

Alya le tirò una pacca sulla spalla. “É stato forse Adrien a iniziare tutto questo? A farti soffrire in questo modo? Perché se è così puoi stare sicura che gli vado subito a spaccare quel bel faccino che si ritrova, poco importa che è il miglior amico del mio ragazzo, né tantomeno un famosissimo modello.”

Marinette sorrise sconsolata. “L’unica da biasimare per quello che è successo sono io. Adrien non ha nessuna colpa, se non di essere un ragazzo terribilmente affettuoso.”

Alya sbatté le ciglia. Quel caso si stava rivelando più complesso ed intrigante di quanto non immaginasse. 

“Che intendi dire?” le chiese. 

Marinette si portò le braccia intorno al corpo, come ad abbracciarsi. Rimase per un po' in silenzio, cercando di trovare un modo per poter spiegare ad Alya quello che era successo senza compromettere le loro identità segrete. 

Poi, udì il suono della campanella risuonare dell’aria. La ricreazione era finita. 

Guardò Alya con occhi spaventati. Non era pronta a tornare in classe, a sedere dietro Adrien e a osservare i riflessi nei suoi capelli dorati e le pieghe della sua camicia sulla schiena, e a disperarsi pensando a tutto quello che aveva rovinato, passando in rassegna tutti i ricordi che erano riusciti a costruire in quei giorni. 

“Marinette, non devi tornare in classe, se non te la senti”. 

Alzò di nuovo lo sguardo su Alya, la cara vecchia Alya, e pensò che non avrebbe mai potuto saltare la lezione perché non era abbastanza forte per fare fronte ad una situazione che lei stessa aveva causato. 

Scosse la testa e si costrinse a sorridere. “Grazie a te mi sento già meglio.”

Le diede un bacio sulla guancia come a rafforzare le sue parole, girò la chiave del bagno e si diresse al lavandino per darsi una rinfrescata alla faccia. 

Poi, sarebbe tornata in classe e avrebbe affrontato la situazione nel modo migliore che poteva, e, dopo la fine delle lezioni, a casa, si sarebbe scervellata per trovare una soluzione ai loro problemi. 

D’altronde, tutte le coppie ne hanno, giusto?

 

[Continue]

 

 

Convenevoli finali:

Ahahah, scrivere di questi due che litigano credo sia la cosa più divertente in assoluto *me sadica*. 

In realtà, dovreste considerare questa storia come scollegata da tutte le altre os, tant’è che avevo pensato di pubblicarla a parte, però mi piace così tanto cliccare il tasto ‘Aggiungi un nuovo capitolo’ che mi sembrava uno spreco iniziare una nuova storia tutta daccapo. Inoltre, mi sembrava anche di prendere in giro voi lettori, che aspettate impazienti che io pubblichi un nuovo capitolo, mentre in realtà mi sto dedicando ad un’altra storia. 

Quindi, per accontentare me, che scrivo di cose che non c’entrano una cippa con l’andazzo principale della raccolta, e voi, che attendete con ansia (o almeno, così mi diverto ad immaginarvi) un nuovo aggiornamento, ho deciso di pubblicare questa prima parte (di due) direttamente qui. 

- come si dice, due piccioni con una fava. E che piccioni, altro che quelli di Monsieur Ramier - 

Adrien: *etchiuuuuuu*

Bene, bando alle ciance - o ciancio alle bande, come preferite - spero tantissimo che questo capitolo vi sia piaciuto. Mi raccomando, commentate e fatemi sapere cosa ne pensate, vi risponderò al più presto. <33

Ultima cosa!!: siccome vi ho tenuto a digiuno durante tutte queste vacanze, vi dico sin da subito che la seconda parte verrà pubblicata tra due giorni.

 *già vi vedo mentre aprite frenetici il sito per vedere se ho mantenuto la parola, muahaha*

Tranquilli, terrò fede alle mie promesse.

 

A mercoledì,

Talitha_ <33

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Capitolo 9
*** Héros - deuxième partie ***


1.  

 

L’attacco akuma era arrivato senza alcun tipo di preavviso. 

Come sempre, d’altronde. 

Marinette era in panico. 

Non sapeva cosa fare, né come comportarsi. 

Erano passati cinque lunghissimi, orribili giorni da quella sera sugli Champs-Elysées. E da allora lei e Adrien non si erano più parlati. 

Era stato straziante svegliarsi la mattina senza avere già dieci notifiche di Adrien, andare a scuola senza poter passare i primi minuti in cortile con lui, a ridere e scherzare. 

Guardare la sua schiena dal banco e sapere che non aveva più il diritto di pensare che sarebbe stata sua per sempre. 

Tornare a casa da sola, senza lui che insisteva ogni volta per accompagnarla, senza un bacio sempre troppo breve sulla soglia di casa. 

Andare a dormire senza lui che le augurasse la buonanotte, premuroso, dolce e terribilmente affettuoso come sempre. 

Vivere senza la voce della sua risata che le rischiarava la giornata, senza quelle battute stupide che all’inizio proprio non sopportava. 

Tutte queste mancanze la atterrivano, e le impedivano di formulare pensieri di senso compiuto. 

Forse, dopotutto, aveva ragione lui. 

Come sempre, d’altronde. 

Forse era vero che insieme sarebbe stato tutto più facile, e che avrebbero trovato un modo per risolvere la situazione, che, per la cronaca, andava peggiorando sempre di più. 

Soltanto negli ultimi giorni erano usciti centinaia di articoli, su giornali e riviste online, addirittura servizi ai telegiornali, intere puntate dedicate nei talk show, migliaia di post e commenti sui social. Tutti riguardanti la relazione tra Ladybug e Chat Noir, e la brutta ripercussione che stava avendo sulla loro vita da supereroi.  

Decine di dubbi infestavano le menti dei parigini. 

Quanto ancora sarebbe andata avanti questa situazione? 

La tanto agognata relazione tra i due non era forse evitabile? 

Perché stavano facendo di tutto per evitare la stampa quando era evidente quello che c’era tra di loro?

Stavano insieme anche nella vita vera oppure non conoscevano la loro identità dietro la maschera?

Sarebbero riusciti ad unire le loro forze per sconfiggere finalmente Papillon?

Marinette non riusciva a non disperarsi fronte a tutte quelle domande, e in quel momento l’unica cosa che avrebbe voluto erano le braccia di Adrien intorno a sé, le sue parole incoraggianti sussurrate contro l‘orecchio. 

E in tutto questo, non aveva ancora idea di cosa fare. 

Mettere definitivamente da parte i propri sentimenti per il bene di Parigi? Ma a cosa avrebbe portato? Chi le assicurava che, con una rottura, tra lei e Chat Noir le cose sarebbero tornate come prima?

Oppure, restare con Adrien e cercare di collaborare al fine di diventare una squadra ancora più unita, lavorare insieme per sconfiggere Papillon e ripristinare l’ordine nella città? Ma cosa le assicurava, qui, che sarebbe stato possibile trovare un punto d’incontro, un equilibrio tra i loro sentimenti e la loro relazione tra supereroi?

Marinette fu destata dallo squillo del telefono che preannunciava un nuovo attacco. 

Scattò in piedi. 

L’ultima cosa che ci voleva, adesso, era rivedere Adrien. Affrontare il suo sguardo duro, offeso. Sentire su di sé i suoi occhi, o, peggio, non sentirli affatto. 

Ricacciò indietro le lacrime, stanca di stare sempre lì a commiserarsi. Si sforzò di prendere le redini della situazione. Si trasformò e saltò fuori dalla finestra, iniziando a saltellare sui tetti fino ad arrivare alla piazza del Louvre. 

Luogo appartato, c’è da dire. 

Perfetto per un incontro del genere: sotto i riflettori, gli sguardi e i giudizi di tutti. 

Ingoiò di nuovo il malloppo che avvertiva in gola e si fece coraggio. 

Se voleva riuscire, avrebbe dovuto prendere la situazione di petto, senza farsi travolgere dai sentimentalismi. 

Così, carica di buoni propositi, si diresse in battaglia.  

Ma poi il suo sguardo incrociò quello verde di Chat Noir, e tutto il mondo divenne sfocato. 

 

***

 

Alla vista di Ladybug, Adrien boccheggiò. Aveva bisogno d’aria. Tanta aria. 

Si passò una mano tra i capelli, stando attento a non graffiare le sue orecchie con gli artigli, e si costrinse a rimanere il più indifferente possibile. 

Quei giorni senza di lei erano stati un inferno. Alcuni tra i più brutti della sua vita. 

E sapere che la colpa di tutta quella situazione fosse solo ed esclusivamente sua lo uccideva più di qualunque altro pensiero. 

Era colpa sua se Marinette aveva ritenuto necessario prendersi una pausa per ristabilire l’equilibrio tra di loro. Se aveva dovuto mettere da parte i propri sentimenti in quella che era stata una delle decisioni più difficili della sua vita. 

Non riusciva a credere di essere stato tanto stupido da mandare tutto ai quattro venti. Aveva passato in rassegna tutti i loro ricordi più belli, sin da quando si erano conosciuti. Ed era stato quasi divertente constatare come quei ricordi fossero ‘doppi’. Dei suoi momenti con Marinette e di quelli con Ladybug. 

D’altra parte, però, doveva anche ammettere di essere terribilmente arrabbiato con Marinette. 

Perché aveva interrotto ogni comunicazione tra di loro, ogni legame. 

Dal suo canto, lui era ancora convinto che insieme sarebbero riusciti a trovare un equilibrio, ma lei era troppo cocciuta per accettare una qualsiasi opinione diversa dalla sua. 

E questo era un aspetto del carattere di Marinette che Adrien ancora faticava ad accettare, soprattutto dopo quello che era successo. 

Nel frattempo, di fronte a lui, Ladybug stava avanzando, ora sempre più vicina. Si scambiarono uno sguardo velocissimo, in cui ognuno fu in grado di leggere le sofferenze dell’altro, poi Chat Noir interruppe quell’intreccio, proprio mentre Marinette stava facendo per parlare. 

Chat Noir si costrinse a non soffermare i suoi occhi sulle sue labbra rosee, socchiuse, leggermente tremolanti. Invece, disse: “Dobbiamo sbrigarci prima che il Fabbro* distrugga mezza città.”

Fece per voltarsi, quando avvertì una leggera pressione in corrispondenza polso destro. Era la prima volta che i loro corpi si toccavano da quasi una settimana, sebbene ci fossero ancora le stoffe dei loro costumi a dividerli. 

Guardandola ancora una volta, Adrien si trattenne dal desiderio di stringerla tra le sue braccia e coprire quelle tremule labbra di baci. 

“A-Adrien…” mormorò Ladybug, senza neanche accorgersene. Il respiro le si mozzò in gola, mentre il cuore batteva all’impazzata nel petto. 

Nell’aria intorno non un rumore, non un sospiro. 

Lui ritrasse il braccio, sciogliendo il loro tocco. “Chat Noir, se non ti dispiace.”

Si pentì subito di aver pronunciato quelle parole in un tono così aspro, e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di tornare indietro di qualche secondo per rimangiarsele. 

‘Marinette’. 

Il nome di lei rimase soltanto una bozza sulle labbra di Adrien. Non aveva il coraggio di pronunciarlo.  

Le ciglia di Ladybug sfarfallarono, proprio come quella sera di cinque giorni prima, proprio come ogni istante prima che le lacrime riducano il mondo intorno ad una semplice chiazza sfocata. 

Ma non quella volta. Negli ultimi giorni era successo fin troppe volte. 

Ladybug deglutì, lo sguardo rivolto verso il cielo azzurro per ricacciare indietro le lacrime. 

Un boato risuonò nell’aria. Una bomba era esplosa. 

Marinette scattò sul posto, il suo yo-yo già pronto all’azione. 

“Andiamo allora, Chat Noir.”

Non Micetto, Gattino, Chaton. Solo un freddo e formale Chat Noir

 

 

2.  

 

Contro ogni previsione di entrambi, la battaglia era filata liscia come l’olio. 

Pulita, veloce, distaccata. 

Sebbene fossero entrambi estremamente tesi e confusi, avevano cercato di raggirare i propri pensieri buttandosi a capofitto nel loro lavoro. 

Dopo aver catturato l’akuma, Ladybug, quasi sollevata, si voltò verso il suo partner per dargli il pugno, come facevano sempre dopo aver sconfitto il nemico. 

Ma, incontrando lo sguardo di Chat Noir, ricordò ogni cosa, e allora il sorriso le si spense sulle labbra e il pugno si riaprì, le mani stese sui fianchi. 

Con le labbra emise un fremito leggerissimo, gli occhi rivolti a terra. 

Chat Noir, di fronte a lei, avrebbe tanto voluto dirle qualcosa, qualsiasi cosa. 

Una battuta, una frase gentile, una parola d’amore. 

Con lei, gli erano sempre venute spontanee, ma adesso si sentiva come a corto di ispirazione. 

“Ben fatto, Chat Noir”. 

La voce limpida di Ladybug lo colpì a pieno. Alzò subito lo sguardo sui suoi occhi, come per verificare che le parole che aveva appena sentito non fossero frutto della sua immaginazione. 

E invece vi lesse gratitudine. 

Erano azzurri come li ricordava, forse anche più vividi, adesso, e avevano assunto una piega strana, come se stessero sorridendo. Ma erano anche tristi, e sconfortati. Confusi e persi. 

Chat Noir fece un passo in avanti, poi un altro. 

Ora un soffio li separava, e Adrien si sentì improvvisamente leggero come una piuma.  Avvertiva l’eco del respiro delicato di lei sulla pelle, a per la prima volta dopo giorni inspirò il suo profumo. 

Scrutò i suoi occhi spauriti, come a trovarci un consenso. Sembravano impietriti, e scorrevano velocissimi a destra e sinistra, per guardarlo dritto negli occhi anche lei. 

Adrien socchiuse le palpebre e le labbra, e il suo stomaco fece una capovolta. Un raggio di sole colpì i loro volti e i loro corpi. 

Ladybug sentì le gambe cedere sotto il respiro di Adrien. Ora le loro labbra erano vicinissime, quasi si toccavano. Sarebbe bastato un battito d’ali di farfalla per colmare il vuoto tra di loro, e Adrien era deciso ad andare avanti. E già gli pareva di sentire il sapore di fragole delle labbra di Marinette, quando due mani poggiate sul suo petto lo fecero indietreggiare e il mondo parve ribaltarsi all’improvviso. 

Si ristabilì meglio sulle gambe, avendo perso l’equilibrio, quando scorse gli occhi supplicanti di Marinette e il suo sguardo desolato. 

“M-mi dispiace, Adrien. Io…”

Chat Noir indietreggiò, rosso in volto. Si era illuso che Ladybug lo avesse perdonato, che tutto fosse tornato come prima, quando in realtà non era affatto così. Si disse uno stupido, e sentiva già gli occhi pizzicare, le labbra tremare, mentre nella testa gli risuonavano le parole di Marinette. 

M-mi dispiace, Adrien.

Abbassò lo sguardo fino a guardare per terra, il cuore che batteva all’impazzata. 

Ladybug si passò una mano sulla fronte, alla ricerca di parole da dire. Per un attimo aveva creduto che tutto fosse tornato a posto, poi però le erano ritornati in mente i momenti del combattimento di poco prima. Sguardi freddi e gesti vuoti, meccanici. Non voleva che la loro relazione si riducesse a qualcosa del genere. 

Non fece in tempo ad udire il fruscio di una coda che Chat Noir era volato via. 

Di nuovo. 

 

*** 

 

Quella sera, un trillo del telefono fece sobbalzare Marinette. Si sporse dalla testiera del letto per controllare chi fosse a scriverle, e il cuore e il respiro le si arrestarono nel suo petto, e una profonda nostalgia si fece largo dentro di sé.

Era un messaggio di Adrien. 

 

Mi dispiace per prima. Non accadrà mai più, se non lo vuoi. 

 

Marinette rilesse venti volte quelle parole prima di convincersi che non erano frutto della sua immaginazione, ma quando se ne rese conto le aveva ripetute nella mente talmente tanto che ormai avevano perso di significato. 

Cercò un modo di rispondergli, invano. Le sue dita composero almeno trenta messaggi differenti, prima di cancellarli tutti. 

Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva se lo aveva respinto, che le dispiaceva di tutte le brutte parole che gli aveva rivolto, e di quelle belle che aveva taciuto. 

Quel messaggio rimase senza risposta per tutto il fine settimana.

Il lunedì mattina, Adrien e Marinette si incrociarono fuori da scuola, entrambi mortificati e senza il coraggio di dire qualcosa. 

Alya li osservò con dispiacere, senza la minima idea di cosa fare per aiutare quei due. 

All’inizio credeva che, qualunque cosa fosse accaduta, si sarebbe risolta nel giro di pochi giorni, al massimo. Ora, che era passata già una settimana, capiva che la faccenda fosse più grande di quanto avesse previsto. E il problema era che né lei né Nino erano riusciti a cavare niente dalle loro bocche. 

I loro migliori amici stavano attraversando un periodo di crisi e loro non avevano la minima idea di cosa fare. 

Cercò a fondo di spremersi le meningi, in cerca di una via d’uscita. Invano. 

Adrien e Marinette continuavano ad ignorarsi deliberatamente, o almeno ce la stavano mettendo tutta, perché era chiaro ed evidente che tra di loro c’erano ancora delle questioni irrisolte. 

 

 

3. 

 

Due settimane. Erano passate due fottutissime settimane da quando Marinette aveva chiesto quella pausa, e nulla era cambiato da allora. Fortunatamente, dall’attacco del Fabbro Papillon si era come volatilizzato insieme con le sue farfalle, e anche la stampa si era tranquillizzata dopo la risposta rapida e veloce dei supereroi nei confronti della sua minaccia. 

Al messaggio che le aveva inviato il sabato prima, Marinette non aveva ancora risposto. E Adrien dubitava che l’avrebbe mai fatto. 

Doveva ancora avercela con lui per aver tentato di baciarla senza che lei fosse d’accordo, e ne aveva tutte le ragioni. Adrien non ancora si capacitava di non esser riuscito a capire prima i pensieri di Marinette a riguardo. 

Alzò lo sguardo sul soffitto della sua camera, mentre pensava a lei. Sempre e solo a lei. Tutti i giorni, e anche le notti. 

Pensava alle sue labbra rosse, le guance morbide, gli occhi azzurri come pozze d’acqua limpida. Le orecchie perfette e le mani sottili e affusolate, che tante volte lo avevano accarezzato e fatto sentire amato. 

Pensava a tutte le volte che lui aveva fatta ridere, e a tutte quelle in cui l’aveva baciata, e lei lo aveva fatto sentire come fosse in paradiso. 

“Ho combinato un casino, Plagg” diceva ogni giorno, con le lacrime agli occhi. 

E lui rispondeva sempre: “Sono sicuro che si sistemerà tutto, ragazzo. Vedrai.”

Ma Adrien non ci credeva, e ogni giorno che passava la speranza che tutto potesse tornare come prima si affievoliva sempre di più. 

Per questo, non riuscì a credere ai suoi occhi il giorno in cui, a due settimane dall’inizio della suddetta pausa, Marinette gli scrisse il seguente messaggio: 

 

Possiamo parlare?

 

Due semplicissime parole, che riuscirono a smuovere qualcosa nel petto di Adrien. 

Rispose alla velocità della luce. 

 

Certo. Quando vuoi. 

 

Stasera alle dieci, al solito posto. 

 

Stasera alle dieci, al solito posto. 

Stasera alle dieci, al solito posto. 

Stasera alle dieci, al solito posto. 

Stasera alle dieci, al solito posto.

Adrien non poteva credere ai suoi occhi. 

 

***

 

Ladybug udì un fruscio alle sue spalle. Proprio come quella volta pochi giorni fa, quando Adrien l’aveva lasciata da sola sul tetto del Louvre. 

Si voltò lentamente, fino a ritrovarsi di fronte la figura di un gatto nero appollaiata sulla ringhiera del balcone. Del loro balcone. 

“Sei in anticipo” constatò Ladybug. 

“Anche tu” rispose Chat Noir. 

Entrambi poterono notare una nota di nervosismo nelle loro voci, e le mani, sebbene coperte dai guanti, erano già irrimediabilmente sudate. 

Adrien annaspò in cerca di parole da dire, scuse forse, ma venne interrotto dalla mano a pois di Ladybug, tesa e col palmo rivolto verso di lui. 

“P-perché non ci sediamo?” propose nervosa. 

Lui annuì, scendendo con fare felino dalla ringhiera. Marinette guardò ammirata il movimento flessuoso delle sue gambe snelle, il leggero dondolio della coda, il fruscio delle orecchie e dei capelli. 

Si sedettero entrambi a gambe incrociate, più vicini di quando Adrien avesse previsto. In un respiro, riuscì a sentire l’odore paradisiaco di Marinette, che per troppo in quei giorni gli era stato negato. 

Ripercorse con gli occhi del buio il profilo del suo volto perfetto, e il cuore gli sobbalzò nel petto alla vista di lei, così bella e fresca e rossa. Sembrava una rosa. 

Dannazione, la rosa. Avrebbe dovuto portargliene una, come faceva sempre, quando si incontravano lì. Non riusciva a credere di essersene dimenticato. 

Guardò Marinette con occhi terribilmente mortificati, e lei gli rispose con un sorriso triste, come a dire che non era una cosa importante, in quel momento. 

Adrien prese ad attorcigliarsi le mani con fare nervoso, come faceva sempre. 

Marinette se ne accorse, e non riuscì ad impedirsi di prenderne una tra le sue, di mani. La percepì agitata e frenetica sotto il guanto, e cercò di calmarla nel modo in cui le riuscì meglio, in un gioco di carezze e dita intrecciate. 

Erano le guance di Chat Noir, adesso, ad essere diventate rosse. Il respiro si fece corto, il battito più veloce. 

Alzò lo sguardo su Marinette, e la vide determinata, pronta. 

Annuì leggermente col capo, come a farle intendere che era pronto ad ascoltare le sue parole. 

Marinette abbassò gli occhi sulle loro dita annodate in un miscuglio di rosso e nero. 

“Ho…ho pensato molto in questi giorni, Adrien.” Ladybug sorrise nervosamente abbassando le lunghe ciglia scure. “Cielo, quanto ho pensato, e…”

“A cosa hai pensato?” la interruppe lui, la voce un po' rauca. 

Marinette sbatté le ciglia. “Ho pensato a noi, e a te. E a tutti i momenti che abbiamo trascorso insieme. Anche a tutte le cose brutte che ti ho detto, e volevo iniziare col dirti che…” i loro sguardi si incontrarono, Adrien trattenne il fiato. “… che mi dispiace. Per tutto quando. Sono stata egoista a parlarti in quel modo, e…” deglutì “e non riesco a credere che tu sia ancora qui dopo tutta la sofferenza che ti ho causato. È stata tutta colpa mia se tutto questo è accaduto, e non devi biasimare altri che me.”

“Marin…”

“No” scosse la testa lei, un sorriso dolce in volto. “Fammi finire.”

Poi prese un respiro profondo. E continuò: “Mi dispiace anche se ti ho fatto aspettare tutto questo tempo, e volevo ringraziarti per aver rispettato la mia decisione senza dire nulla. Davvero, grazie.”

E infuse in quella semplice parola tutta la gratitudine e l’amore che provava per lui.
Il cuore di Adrien fece l’ennesima capovolta. Voleva parlare, ma le parole non gli venivano. 

Ladybug si avvicinò di poco a lui, anche le loro ginocchia si toccavano, adesso. 

Respirava con le labbra dischiuse, anche lei in cerca disperata di parole. Si accorse che lui la guardava incuriosito, e rise nervosamente dicendo: “M-mi sono dimenticata quello che dovevo dirti.”

Lui si lasciò scappare una leggera risata. 

“Mi ero preparata tutto un discorso, sai. Ero giorni che lo provavo e riprovavo. Poi mi hai fatto quella domanda e mi hai fatto perdere il filo.”

Chat Noir rise di sottecchi, poi, senza neanche accorgersene, la prese per i fianchi con le mani, delicatamente, come se fosse il gesto più normale del mondo. 

Marinette avvertì la leggera pressione delle dita di Adrien su di sé, lungo la schiena e la vita, e brividi le scesero giù, lungo la colonna vertebrale. 

Sentì quelle grandi mani avvolgerla, e portarla sulle gambe incrociate di lui, e in un batter d’occhio si ritrovò in braccio a Chat Noir, il volto premuto contro il suo petto. 

Inspirò il suo profumo, e poi si rilassò, e lo circondò con le braccia. 

“Va meglio?”

Lei alzò lo sguardo puntando il mento sul suo petto. Annuì. Poi continuò ad accoccolarsi contro di lui, strofinando la guancia contro di lui. 

“Non mi merito tutto questo” aggiunse poco dopo, a fior di labbra. 

Lui la guardò interrogativo. 

“Non mi merito il tuo perdono senza che io abbia fatto niente per meritarlo” specificò. 

Lui alzò gli occhi al cielo. “La stessa cosa potrei dirla io.”

Lei scosse la testa. “Non è vero.”
“Sì che è vero. È stata solo colpa mia se tutto è cominciato, perché non ho mai imparato a mettere da parte i miei sentimenti quando è necessario. M-mi dispiace così tanto, Marinette. Ho sbagliato. E d’ora in poi cercherò di fare il possibile affinché tu non dovrai mai più sentirti frustrata o arrabbiata con me.”

“Adrien, c-come puoi dire una cosa del genere? Non è affatto colpa tua. Tu che sei così affettuoso e premuroso, non potrei mai arrabbiarmi con te. È solo… è solo che il nostro ruolo di supereroi mi porta a guardare la nostra relazione da un punto di vista diverso. Quando siamo solo tu e io adoro che tu sia così dolce e che ti preoccupi sempre per me. Quando siamo in battaglia non possiamo permettercelo. Era questo quello che stavo cercando di dirti quella sera, ma ero così frustrata dal combattimento, da tutte le chiacchiere che me la sono presa con te.” Una patina lucida aveva ricoperto tutta la superficie dei suoi bellissimi occhi azzurri. “Non è stata colpa tua, Adrien. Ti prego, non pensare che tutto questo lo sia stato, perché non è così.”

Lui prese ad accarezzarle piano la schiena, come sapeva che a lei piaceva da morire. Marinette sospirò sotto il suo tocco, che le parve come la prima boccata d’aria che si prende dopo aver trattenuto il respiro per tanto, troppo tempo. 

Rimasero così, per interminabili minuti, Marinette con l’orecchio premuto ad auscultare il battito del suo cuore, Adrien con il naso poggiato ad annusare il suo profumo, ed erano in pace, come poche volte si erano sentiti, perché finalmente sembrava che la quiete dopo la tempesta fosse arrivata, nonostante ci fossero ancora tante cose di cui parlare. 

Un fruscio d’aria fresca li colse, e Marinette venne percorsa da un leggero brivido. Allora Adrien strinse più forte le braccia contro la sua vita, sussurrandole contro l’orecchio: “Vuoi che ti porti a casa?”

Lei lo guardò sorpresa. “Certo che no. Non ho ancora finito di parlare.”

Poi riabbassò la testa e tornò a farsi cullare dal leggero movimento dei suoi polmoni e dal battito incessante del suo cuore. 

“Non voglio separarmi da te, Adrien. Non voglio che tutto questo finisca."
Lui sospirò. “Neanch’io.”

“Ma non voglio neanche che la nostra relazione ostacoli la missione che dobbiamo adempiere, per questo ho cercato il più possibile un modo in cui conciliare quello che siamo con quello che dobbiamo fare e con quello che gli altri si aspettino che facciamo.”

“Che intendi dire?”

Ladybug respirò il profumo dell’aria, fresco e pungente, misto a quello dolce e familiare di Chat Noir. 

 “Ormai tutti hanno capito che tra di noi c’è qualcosa, non ha più senso fare finta di niente. Diamogli quello che vogliono. Un bacio? Ben serviti.”

Adrien sussultò al pensiero, era troppo tempo che le loro labbra non si incontravano. 

“Non non abbiamo niente da nascondere,” proseguì Ladybug “se non le nostre identità. In questo modo spero di riuscire a calmare le persone, e spero anche che ci lascino più spazio per agire, quando ce n’è bisogno. Non dovremmo più nascondere i nostri sguardi, né appartarci per darci la mano. Saremmo più liberi, e sereni. In battaglia, credo dovremmo fare come abbiamo sempre fatto. Essere noi stessi. È normale che ci siano dei disguidi dovuti a… ehm, hai capito, ma… purtroppo su questo punto dovremmo continuare a lavorare, fino a diventare i partner più affiatati che si siano mai visti. Che ne pensi?”
Chat Noir vide lo sguardo azzurro di Ladybug scrutarlo come in cerca di approvazione, e allora assunse uno sguardo che da troppo tempo Marinette non vedeva più. 

Si avvicinò con la fronte alla sua, un sorriso sornione stampato in volto. “Mmh” iniziò. “Non ho ben capito la parte dei disguidi. Cosa intendevi dire?”

Marinette arrossì. “Hai capito cosa intendevo dire” disse, puntandogli l’indice sulle labbra. 

Adrien fece lo sguardo da angioletto innocente. “Se non me lo dici tu, Milady, non credo di riuscire a capire.”

Milady.

Il cuore di Marinette sussultò. “Stupido di un gatto.”

Lui schioccò un leggero bacio sulla punta del suo dito, quello che lei aveva poggiato sulle sue labbra. “Sarò stupido, ma anche molto curioso.”

Marinette sentì mille farfalle vorticarle nello stomaco tutte insieme. Mille, piccole paia di ali solleticarle la pelle, farle venire i brividi e la pelle d’oca. 

Dopo aver respirato la sua stessa aria, mormorò con un tono che risvegliò tutte insieme anche le farfalle di Adrien: “Sai, i disguidi possono essere di vario tipo, Chaton. Carezze” e, senza distogliere il suo sguardo dagli occhi di Chat Noir, gli carezzò dolcemente la guancia col dito che lui aveva appena baciato. 

“Abbracci” aggiunse in un bisbiglio, spostando le braccia dal suo petto per intrecciarle dietro il suo collo. Chat Noir sospirò, godendosi appieno quel momento magico, che era sicuro si sarebbe ricordato per tutta la vita. 

“Baci” soffiò sensualmente Ladybug, tornando a guardarlo diritto negli occhi. Poi, dischiuse le labbra, talmente piano da far quasi venire la bava alla bocca a Chat Noir. Stava fissando prima i suoi occhi, poi le sue labbra lucide, rosee, morbide. Marinette le inumidì leggermente con la coda della lingua, e Chat Noir credette di star vivendo in un sogno. Uno di quelli da cui avrebbe dato tutto ciò che aveva per non svegliarsi mai. Osservò quel minuscolo pezzo di lingua che aveva percorso sensualmente tutto il profilo delle labbra di Marinette, il respiro sempre più pesante. 

Ladybug rise, ora pericolosamente vicina a lui. “Micetto, non eri stato proprio tu ad aver chiesto delucidazioni sui suddetti disguidi?”

Lui annuì deglutendo. 

Poco meno di un centimetro li separava, poco meno anche di un battito d’ali di farfalla. Ladybug fece un ultimo, lievissimo, passo avanti, e le loro labbra si toccarono. Chat Noir non osava muoversi, e Ladybug rise maliziosa contro di lui. 

“Se non te la senti posso anche finirla qui” sussurrò beffarda contro la sua bocca. Adrien fu in grado di percepire ogni singolo movimento delle sue labbra. Non trovò il coraggio di scuotere la testa, né di parlare, perché altrimenti avrebbe interrotto quel contatto intimo e magico. 

Allora chiuse del tutto gli occhi, premette le dita sulla schiena di Ladybug, e, semplicemente, iniziò ad assaporarla. Come si fa con un frutto esotico, o con un sapore che non si ha mai sperimentato prima. Come si fa con una cosa preziosa, per paura di rovinarla o di consumarla. Assaporò le sue labbra come fosse la prima volta, baciando ogni singolo centimetro o fessura, assaggiando ogni singola sfumatura di sapore e odore. 

Marinette si fece cullare da quel bacio dolce e sensuale, e seguì ogni movimento di Chat Noir. 

Raddrizzò la schiena in modo che lui avesse una presa più ferma su di lei, e sussultò quando avvertì la punta della lingua di lui chiedere il permesso di entrare. E allora anche le loro lingue si assaporarono e si assaggiarono, come fossero nuove e vecchie amiche al contempo, e tutto il tempo e lo spazio attorno a Ladybug e Chat Noir si annullò. 

Con un ultimo schiocco di baci e un sibilo di lingue, Marinette si scostò per riprendere fiato. Fissò Chat Noir dritto negli occhi, senza più avvertire l’urgenza di abbassare lo sguardo. 

“Non hai ancora risposto alla mia domanda” gli ricordò tra un respiro e l’altro. 

Adrien aggrottò le perfette ciglia bionde, ancora troppo provato dall’estasi di quel bacio per riprendere pieno possesso delle sue facoltà. “Quale domanda?”

Marinette fece scorrere una mano sulla sua guancia. “Ti avevo chiesto cosa ne pensavi.” 

Gli occhi di Chat Noir brillarono nel buio. “A proposito di quello che ti ho detto” aggiunse Ladybug. 

Lui socchiuse gli occhi per un istante, poi la prese per le guance e le schioccò un dolce, piccolo bacio sulle labbra. Poi un altro e un altro ancora. Marinette chiuse gli occhi per godersi quelle carezze, poi udì la voce di Adrien dire: “Qualunque cosa tu decida di fare, io ti appoggerò sempre, Milady. Sono d’accordo su tutto ciò che hai detto. Anzi” e le stampò un altro bacio sull’angolo della bocca “sai che voglio sempre che tutti sappiano quanto siamo felici insieme. Potremmo rilasciare un’intervista a Nadja, oppure…”

“Ehi, ehi, ehi, non c’è bisogno di tirare in ballo per forza Nadja.”

Lui sorrise, era adorabile quando aveva le labbra corrucciate. “Va bene” acconsentì “niente intervista con Nadja. Potremmo concederne una ad Alya, se ti fa più piacere.”

Gli occhi di Marinette brillarono sotto la luce della luna.  Poi si avvicinò per essere lei, questa volta, a scoccargli un bacio sulle labbra. “Ecco, già meglio” mormorò tra i denti di Chat Noir. 

 

 

 

*nome a casissimo per fare da combo con l’Elettricista del capitolo precedente. 

 

 

 

 

Convenevoli finali: 

Ecco, detto fatto! Spero tanto che questi due capitoli vi siano piaciuti, e anche che non vi siate offesi troppo se ho fatto litigare Marinette e Adrien xP 

Sappiate che è stato difficilissimo trovare un motivo di litigio che non fosse troppo futile, perché davvero da questi due di litigi importanti non è che se ne possano cavare molti xD

(Inoltre, piccola curiosità: la prima metà - della prima parte - di questa storia è una di quelle che avevo in cantiere da più tempo. Sinceramente quando l’ho riletta non mi ricordavo un fico secco su come volevo farla finire, quindi mi sono pure reinventata un finale tutto nuovo lol.)

Detto questo, vi saluto e vi mando alla prossima, che spero non tardi ad arrivare, anche se, come sempre, non prometto niente. 

Pensandoci un secondo, mi rendo conto che questa settimana ho pubblicato tre volte ^^’ 

Non so, preferite che non mi faccio sentire per giorni e giorni e poi vado appena ho qualcosa pronto oppure che cerchi di aggiornare con una certa costanza - magari sempre nel fine settimana? 

Fatemi sapere <33

 

A presto, 

Talitha_

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Capitolo 10
*** Douche ***


1. 

 

Una voce flautata fece capolino dalla sua schiena.

“Posso usare la tua doccia?”

Adrien strabuzzò gli occhi. Cosa gli aveva appena chiesto, Marinette?

“Adrien?”

Lui alzò lo sguardo su di lei. “Mmh?”, chiese, come spaesato. Fece per sedersi meglio sul divano, aggrappandosi con la mano sul bracciolo in pelle bianca, come se fosse improvvisamente colto da una vertigine e avesse paura di cadere. 

“Ho chiesto se posso usare la tua doccia, ma se non vuoi non f…” 

“Certo che voglio!” esclamò infervorato. “Voglio dire” si corresse “certo che puoi usare la mia doccia. Fai come se fossi a casa tua, te lo dico sempre.”

Marinette gli rivolse un sorriso raggiante, che sciolse il cuore di Adrien. Fece il giro del divano saltellando, dirigendosi proprio verso di lui. Gli si sedette sulle gambe, prendendogli le guance tra le mani calde e attirandolo al suo petto morbido, come a stringerlo in un abbraccio. Il viso di Adrien divenne paonazzo. Sentiva qualcosa di soffice premere contro la sua guancia, e rimase così, senza sapere dove poggiare le sue mani o se lei desiderasse che lui facesse qualcosa. 

Ma, prima che potesse fermarsi a pensarci un attimo su, la sentì prenderlo per le spalle, e poi labbra dolci schioccargli un bacio sulla guancia, e un altro ancora sulle labbra. “Grazie, Chaton.”

Il suo era solo un leggero sussurro, che contribuì a far andare Adrien ancora più in tilt. 

“Mmh” aggiunse Marinette, una volta essersi alzata “poi mi asciughi anche i capelli? Sarebbe molto romantico, non trovi?”

Adrien sbatté le ciglia dorate. “C-certo, Milady” balbettò, non completamente conscio di ciò che le stava rispondendo - ancora troppo impegnato ad elaborare la sua richiesta. 

Marinette batté entusiasta le mani. “Perfetto!” esclamò, e si diresse trotterellando verso la porta del bagno. 

Adrien prese a fare profondi respiri per tentare di calmarsi, quando fu interrotto dalla voce di lei che lo chiamava dal bagno. “Adrien? Non trovo gli asciugamani, posso usare il tuo accappatoio?”

Il ragazzo rimase pietrificato sul divano, senza sapere cosa significasse una richiesta del genere. Marinette che usava il suo accappatoio? Il suo accappatoio che veniva utilizzato per asciugare il corpo di Marinette?

Deglutì a fatica, ormai il cuore a mille e il respiro corto e pesante. 

“Adrien? Mi senti?”, lo richiamò al mondo reale la voce ovattata di Marinette. 

“Sì!” rispose allora, la parola più rauca di quanto avesse previsto. 

Marinette si affacciò alla porta del bagno, poggiando una mano sulla maniglia. “Sì che mi senti o sì che posso utilizzare il tuo accappatoio?”

Adrien si voltò a guardarla, lentamente, tenendosi pronto a distogliere immediatamente lo sguardo nel caso in cui lei si fosse già spogliata. 

Invece era ancora perfettamente vestita e asciutta. Umettò le labbra completamente secche e prese un bel respiro. “Ehm… tutte e due le cose.”

Lei sorrise, raggiante. “Perfetto, grazie.” Fece per chiudere la porta del bagno dietro di sé, quando  ci ripensò e aggiunse: “Ti chiamo quando ho finito o vengo io da te?”

Adrien sembrò non capire. Sbatté nuovamente le ciglia. “Mh?”

Marinette si portò una mano alla fronte. “Per asciugarmi i capelli, schiocchino. Ma che ti prende oggi, per caso il gatto ti ha mangiato la lingua?”

Come ‘Ma che ti prende oggi?’? E glielo chiede pure? Non capitava mica tutti i giorni che la sua ragazza chiedesse di fare la doccia nel suo bagno, di usare il suo accappatoio e di asciugarle i capelli perché era una cosa - a suo dire - incredibilmente romantica. E anche di stritolare la sua testa contro i suoi seni

Rimase a fissarla come un ebete per una manciata di secondi, tanto che Marinette si chiese se avesse la febbre. E stava quasi per andargli vicino e tastargli la fronte, quando Adrien sorrise - seppur in maniera poco convinta - e le rispose: “Chiamami quando hai finito.” 

Lei decise che avrebbe indagato più tardi, quindi sorrise per l’ennesima volta e richiuse la porta del bagno. 

“Ah, le donne…”

Adrien si girò di scatto. “Tu non ti intromettere.”

Plagg rise sotto i baffi - veri, per la cronaca. “Ah, i pivelli innamorati.”

Adrien corrugò le ciglia. “A chi hai dato del pivello?”

Plagg assunse uno sguardo da gattino innocente. “E chi ha parlato di pivelli?”

Adrien scosse la testa. “Ricordati, caro mio, chi rifornisce il tuo pancino di cremoso e delizioso Camembert.”

“E tu ricordati, caro mio, chi è che ti ha fatto diventare il più figo e ambito supereroe di tutta Francia” ribatté Plagg, incrociando le piccole braccia nere al petto. 

“Brutto di un gatto, se ti prendo te la faccio vedere io!”

Plagg si scostò dalla traiettoria delle sue mani, un sorriso sadico stampato in volto. “Tanto non mi prendi!”

 

***

 

“Adrien?”, chiamò Marinette, affacciandosi alla porta del bagno. “Ho finito, puoi venire.”

Lui si alzò di scatto dal divano, dove si era riseduto dopo essersi arreso alla cattura di Plagg, e da cui decise non si sarebbe più mosso fino a che lei non lo avesse chiamato. 

“Arrivo” rispose, in un tono piuttosto innaturale. 

Si affrettò a richiudere la porta del bagno perché lei non prendesse freddo con gli spifferi che arrivavano da fuori. Dopodiché, si voltò a guardarla, e divenne rosso come un peperone vedendola col suo accappatoio ancora indosso. 

“Perché mi guardi così?”, chiese lei, con una voce pericolosamente innocente. 

Lui la guardò con la faccia più indifferente che potè. “Così come?”

Lei incrociò le braccia al petto, poco sotto l’altezza del seno. Del seno

Adrien deglutì per la centesima volta, quel pomeriggio. 

“Come se fossi un croissant al cioccolato, ecco come.”

Lui sbatté le palpebre, buttandola sul malizioso. “Io ti definirei più come un macaron alla fragola.”

Lei arrossì. “Dai, vieni. E non fare lo scemo.”

Prese una sedia e l’asciugacapelli, e si posizionò proprio sotto lo specchio del lavandino. Attaccò la spina alla corrente e gli porse il fono, poi si sedette e liberò i capelli dall’asciugamano che aveva attorcigliato in testa. 

Lui fece per premere il tasto ON, decisamente impacciato, quando Marinette si voltò e gli disse sadica, gli occhi stretti a due fessure: “Guarda che prima devi pettinarli.”

Lui rimase per un attimo interdetto, poi si diresse subito verso il cassetto in cui si trovava la spazzola e tornò da lei. Osservò un istante i suoi capelli bagnati, scuri e lucenti, e si chiese da dove si dovesse iniziare per spazzolarli. 

Marinette sospirò pesantemente, con l’aria di chi ha a che fare con un caso perso. 

Per difendersi, lui disse: “Non ho mai spazzolato i capelli di nessuno, non voglio farti male.”

Marinette rise. “Non so se questo sia un bene o un male.”

“Perché?”, domandò, le ciglia chiare leggermente aggrottate. 

“Un bene perché significa che prima di me non c’è stata nessun’altra, un male perché di questo passo credo proprio faremo le ore piccole.”
Lui mise il broncio, ma, effettivamente, spazzolare e asciugare i capelli di Marinette mentre lei ancora indossava il suo accappatoio gli sembrava una cosa così romantica - ed eccitante - che non vi avrebbe mai potuto rinunciare. 

Lei rise vedendolo così scoraggiato, perciò aggiunse: “Non preoccuparti di farmi male, sono sicura che sarai talmente delicato che neanche me ne accorgerò.”

Lui sembrò riacquistare un po' di fiducia a quelle parole, impugnò meglio la spazzola per evitare che gli scivolasse dalle dita e iniziò ad agire dalla cute, scendendo poi, piano piano, pianissimo, fino alle punte. 

Marinette si impegnò al massimo per non fare facce strane quando lui prendeva un nodo, ché altrimenti si sarebbe fatta veramente mattina. 

Dopo ben dieci lunghissimi minuti in cui i capelli di Marinette ridiventarono lisci e lucenti (con quel caldo si erano quasi asciugati da soli), Adrien decise che era arrivato il momento adatto di accendere il fono. 

Le sue dita accarezzavano delicate le ciocche di capelli di Marinette, quasi lui avesse paura di spezzarle. Guardandolo allo specchio, Marinette vide Adrien talmente concentrato in quello che stava facendo che aveva sporto leggermente la lingua tra le labbra. Era davvero adorabile. 

Stava seguendo ogni suo movimento, dal modo in cui corrugava le ciglia quando le sue dita incontravano un nodo, al modo in cui si ostinava a voler finire di asciugare una ciocca prima di passare ad un altra, e, quando - finalmente - terminò, Marinette aveva sudato talmente tanto che le parve quasi necessario fare un’altra doccia. In compenso, adesso aveva dei capelli liscissimi e setosi, grazie alla sacrosanta pazienta di Adrien e sua. 

“Vanno bene così?”, chiese infine. 

Lei lo guardò dallo specchio, regalandogli un sorriso. Poi si alzò e si voltò verso di lui ruotando un ginocchio sulla sedia. Gli intrecciò le braccia dietro al collo, chiuse gli occhi e gli stampò un lungo bacio sulle labbra. “Sono perfetti, grazie.”

Lui sorrise prendendola per la vita. “Forse lo potremmo rifare, se ti va.”

Lei annuì, mentre gli pizzicava dolcemente il labbro inferiore con le dita. “Mmh.”

Adrien rimase un po' a guardarla, poi concentrò la sua attenzione sui suoi capelli, e constatò di aver fatto proprio un bel lavoro. 

“Adesso, però,” aggiunse Marinette, dopo essersi allontanata da lui per andare a rimettere la sedia a posto “devi prestarmi qualcosa da mettere. Non vorrai certo che vada in giro per casa con solo il tuo accappatoio indosso.”
Con solo il suo accappatoio indosso. Adrien boccheggiò alla ricerca d’aria. D’improvviso, avvertì l’impellente bisogno di correre ad aprire la finestra. 

“C-cosa ti serve?”

Lei gli diede una leggera pacca sulla spalla. “E dai, non ti facevo mica così timido” disse sorridendo. “Vediamo” aggiunse, elencando l’occorrente sulle dita della mano “mi servirebbero un paio di mutande - anche i boxer vanno bene - …”

Boxer?

“… dei pantaloni e una felpa. Il reggiseno posso rimettere quello che avevo prima, a meno che tu non preferisca che rimanga senza.”

S-senza?

Adrien era rosso rosso, le orecchie avevano preso a fischiargli. Marinette lo osservò piena di maliziosa soddisfazione, prima di aggiungere, puntando l’indice sul mento: “Anche se, ora che mi ci fai pensare, dovrei proprio lascare un cambio qui. Così, le prossime volte, non sarai costretto a prestarmi qualcosa di tuo. Che ne dici?”, chiese, attorcigliando le dita dietro il suo collo. 

Le prossime volte?

Adrien deglutì, annuendo imbarazzato. Perché quella situazione stava diventando così disagevole soltanto per lui? Lei si stava comportando come se stesse facendo la domanda più banale del mondo. ‘Che vuoi mangiare stamattina, per colazione?’ Ecco, con lo stesso tono sereno e spigliato. 

Rimase in silenzio per svariati secondi, mentre sentiva il fumo uscire dalle orecchie. 

Marinette continuava a guardarlo, estremamente divertita. Forse non avrebbe dovuto comportarsi in maniera così sadica con lui, ma era talmente dolce in quel momento che non potè non stuzzicarlo un altro po’. 

Premette di più il suo corpo contro quello di Adrien, stringendogli le braccia attorno al collo, le dita attorcigliate tra i suoi capelli. 

“Adrien?”, sussurrò, con il tono più sensuale che le uscì. Con camuffata nonchalance, si prese timidamente il labbro inferiore tra i denti. 

Le ciglia di Adrien sfarfallarono. Marinette riusciva chiaramente a percepire il battito selvaggio del cuore di lui contro il suo petto. 

Adrien rispose con un grugnito mozzato, che tradiva tutto l’imbarazzo e l’eccitazione. 

Marinette appoggiò il volto sulla spalla di Adrien, lo spazio tra i loro corpi ormai inesistente. Adrien boccheggiò. Sentì labbra di fragola accostarsi al suo orecchio, e mormorare lentamente: “Sento freddo.”

Lui scattò indietro, prendendola per i fianchi. Ad un tratto, si ricordò di doverle prestare dei vestiti, perché lei sotto l’accappatoio, il suo accappatoio, era ancora nuda. Completamente nuda

Si scostò del tutto da lei, indietreggiando di qualche passo. 

“C-certo. Vado a prenderti subito i vestiti.”

Una - momentaneamente - soddisfatta Marinette accennò ad un sorriso innocente. Adorava farlo impazzire a quel modo. Doveva farlo più spesso. 

Adrien si allontanò in fretta, richiudendo nervosamente la porta del bagno dietro di sé. Una volta afferrati una tuta e dei boxer - sì, i suoi boxer - si ridiresse in bagno, bussando prima alla porta. Non voleva certo che lei nel frattempo si fosse spogliata. O meglio, sfilata l’accappatoio. Sentì Marinette ridere al suono leggero delle sue nocche che battevano contro la porta, e un divertito ‘avanti’ pronunciato dalla sua bellissima voce. 

Prese l’ennesimo respiro profondo dandosi coraggio - d’altronde, avrebbe dovuto soltanto darle i vestiti e sgattaiolare via dal bagno - ed entrò. 

Trovò Marinette così come l’aveva lasciata pochi secondi prima, naturalmente, quindi le andò incontro e le porse i vestiti. Marinette gli regalò un sorriso raggiante, prima di prenderli con le sue mani delicate e riporli sulla sedia accanto a lei. 

Senza sapere cosa fare, ora che se la ritrovava di fronte e che non aveva nessun motivo di restare ancora lì - dato che lei doveva vestirsi -, Adrien la guardò come per chiedere il permesso di andarsene. 

Marinette, ovviamente, capì quello che Adrien stava cercando di dirle, ma fece finta di niente e afferrò la cinta di stoffa dell’accappatoio muovendo le dita come per sciogliere il fiocco che lo teneva chiuso attorno al suo corpo. 

Adrien avvampò e si girò immediatamente, dandole le spalle. “M-ma che stai facendo?”, le chiese, senza più fiato in corpo. Credeva che da un momento all’altro avrebbe preso a sanguinargli anche il naso. 

Marinette non riuscì a trattenere un risolino. 

“Mi sto vestendo” disse, come se fosse la cosa più normale al mondo da dire, in quel momento. 

“Mi stai… prendendo in giro, per caso?” 

Marinette vide le sue spalle tramare. 

“Certo che no” esclamò in un sorriso, che lui, ovviamente, non poteva vedere. 

Adrien fece per voltarsi, ma poi ricordò che lei si stava spogliando e si costrinse a darle ancora le spalle. 

“Puoi girarti, Adrien. Non mi vergogno di te, lo sai” mormorò Marinette, la voce di qualche tonalità più bassa.

Milady, ti diverti a torturarmi?”

Lei lo prese per le spalle, poi lo cinse da dietro con le braccia. Appoggiò la guancia sulla sua schiena. La cinta dell’accappatoio era solo leggermente allentata, ma questo Adrien non poteva saperlo: avvertiva comunque le rotondità dei suoi seni premergli sulla schiena. 

“M-Marinette?”, la sua voce era un gemito tremante. 

“Mh?”

“C-che stai facendo?”

Lei sorrise contro di lui. “Mi diverto a torturarti. E devi ammettere che sono anche piuttosto brava.” Intrecciò meglio le mani sul petto di Adrien, carezzando col pollice la sua pancia. 

Adrien ansimò. “S-sei crudele.”

Lei annuì. “Ma è così divertente, Chaton.”

Lui fremette sotto il suo tocco. Ora le dita di lei avevano cominciato a vagare senza pudore sulla sua pancia, arrivando addirittura ad afferrare l’orlo della maglietta. 

E proprio quando sembrava che le sue mani fresche stessero per toccare finalmente la sua pelle nuda e bollente, quella piacevole agonia… finì

Marinette ritrasse le braccia dal suo corpo e le portò alla cintura dell’accappatoio, che strinse nuovamente intorno a sé. 

“Puoi girarti, adesso.”

Adrien torse lentamente il busto, il fiato trattenuto. Marinette gli scoccò un leggero bacio sulle labbra, le mani poggiate sulle sue guance bollenti. Poi, gli disse tra i denti: “Mi aspetti di là? Ti raggiungo tra cinque minuti.”

Un brivido corse lungo la schiena di Adrien. Quella ragazza lo stava facendo impazzire. Appositamente. Annuì debolmente, poi si avvicinò alla porta. Si costrinse a non voltarsi, perché gli era parso di sentire un fruscio di stoffe dietro di sé. 

 

 

2.

 

Marinette mantenne la sua parola. Dopo cinque minuti uscì dal bagno fresca - e profumata - come una rosa. Adrien, invece, era sempre più sudato, e ancora non si era ripreso dagli eccitanti eventi dell’ultima ora. Nei pochissimi minuti di pausa - o meglio, tregua - che aveva avuto mentre aspettava che lei si vestisse, Adrien aveva ripercorso con la mente tutti i singoli momenti, le frasi, le espressioni, i movimenti di Marinette. Il modo in cui aveva incastrato il suo labbro umido tra i denti, lo sguardo sensuale con cui lo aveva guardato prima di iniziare a slacciare la cintura dell’accappatoio, il moto lento - lentissimo - delle sue dita affusolate contro la maglietta di lui. 

Era come se lei avesse preso possesso della sua mente e si fosse insinuata tra i suoi pensieri, manipolandoli a suo piacimento. 

‘Strega’ pensò divertito. 

Non ebbe, però, tempo di pensare a come scamparle, che lei ricomparve dalla fatidica porta del bagno. Ridendo, si diresse sul suo letto, come se le fosse appartenuto da sempre. Si distese sopra con un salto, sistemandosi poi a pancia in su sopra le morbide coperte. 

Adrien ebbe l’ennesimo fremito lungo il collo, giù per tutta la spina dorsale. 

Era tornato a sedersi sul divano, dove, prima che lei irrompesse con le sue voglie, era intento a leggere un fumetto. 

Si sforzò di darle le spalle, quando sentì la sua mano battere sul materasso. “Vieni qui?”, gli chiese con una vocina implorante. 

Sospirò. Non avrebbe mai saputo dirle di no. 

Si alzò simulando controvoglia, e la raggiunse cercando di non soffermarsi su quella figura sdraiata sul letto, o sul fatto che stesse indossando i suoi vestiti

Marinette sventolò le braccia verso di lui, come per attirarlo nella sua ragnatela. 

Ma ad Adrien l’idea non dispiaceva. Cercò di scacciare i pensieri non proprio purissimi che gli invadevano la mente, stendendosi di fianco a lei, pronto ad avvolgerla tra le sue braccia. 

Marinette si accoccolò senza indugi contro di lui, incassando la testa nell’incavo della sua spalla. Lui annusò i suoi capelli. Sapevano del suo shampoo. E di Marinette, ovviamente. Un miscuglio di zucchero e gelsomino. Sospirò. 

Marinette rise sulla stoffa della sua maglietta. Poi si tirò indietro a guardarlo, e sussurrò: “Sei davvero adorabile, lo sai?”

Adrien arrossì leggermente. Poi, però, stanco di come lei stesse avendo la meglio su di lui, ribatté, in un sorriso malizioso: “Anche tu sei adorabile con i miei vestiti indosso.”

Ora fu lei ad arrossire. Senza mancare, però, di prendersi delicatamente il labbro tra i denti. Ancora. Adrien prese a fissare, allora, le curve delle sue labbra perfette, del modo in cui i suoi denti spuntavano sensualmente da quella carne rosea, e di nuovo si sentì come se lei fosse in netto vantaggio. 

Marinette gongolò, piena di soddisfazione. Poi si poggiò meglio sul fianco, prendendo il braccio di Adrien e portandoselo intorno alla vita. Nonostante lui lo avesse già fatto altre milioni di volte (avvolgerle la vita con il braccio), questo continuava a sembrargli come un gesto infinitamente intimo. Poi Marinette si issò un poco, portandosi all’altezza del suo volto, delle sue labbra, e prese a baciarlo con passionale lentezza, assaporando le sue labbra, senza fretta, senza rabbia. 

Solo un’incontenibile voglia di assaggiarlo, di sentire il suo calore avvolgerla, di avvertire per tutto il corpo brividi di piacere. In quel bacio, era lei a guidare. Lui assecondava soltanto i suoi movimenti, troppo colto alla sprovvista per poter prendere in mano le redini della situazione. 

Ora, senza sapere come, Marinette sedeva a cavalcioni su di lui, e la cosa non gli dispiacque affatto. Sentiva le sue labbra scontrarsi gentilmente con le sue, prenderle e accarezzarle, poi lasciarle e riprenderle ancora, in un gioco di schiocchi, lingue, brividi, e sospiri. E proprio quando gli sembrava di non essere più così tanto in svantaggio, proprio quando era riuscito a riprendersi dalla sorpresa iniziale e prendere a sollevarle la felpa, e ad accarezzarle i fianchi nudi e salire più su e ancora più su fino al gancetto del reggiseno - dove solitamente si fermava per poi tornare in basso -, che si accorse che qualcosa non andava. 

Avvertì Marinette sorridere sadica contro le sue labbra, mentre apriva la bocca per lasciarsi sfuggire un gemito di piacere, sentendo le sue mani vagare sulla sua schiena, frenetiche, alla ricerca di qualcosa che non c’era

Marinette non indossava il reggiseno. 

Non se n’era accorto prima, perché la sua felpa le stava talmente larga che era impossibile rendersene conto. E lei era stata talmente abile a camuffarlo che… oh cielo, lo stava facendo impazzire. 

“M-ma…?”, i suoi balbettii confusi erano manna per le orecchie di Marinette. Sorrise ancora di più, mentre continuava a baciarlo, questa volta più forte, incurante del fatto che Adrien cercasse di allontanarla prendendola per i fianchi. 

Si staccò soltanto quando non ebbe più fiato nei polmoni. Gli scoccò un ultimo bacio sulle labbra, terribilmente soddisfatta. Poi bisbigliò, ansante: “Qualcosa non va, Chaton?”

Lui spalancò gli occhi. Qualcosa che non va? Ma davvero lo stava prendendo in giro?

M-milady…” si fermò, incapace di continuare. 

Lei inarcò un sopracciglio, mentre ancora respirava rumorosamente nel tentativo di riprendere fiato. 

“Cosa? Per caso ti ho morso?”, e detto questo, si precipitò con le mani sulle labbra di lui per controllare eventuali ferite, che sapeva benissimo non esserci. Fece bene attenzione, però, a sistemarsi meglio con le gambe contro i suoi fianchi, stringendo la presa delle ginocchia sul bacino di lui. 

Poi, senza che se lo aspettasse, Adrien le afferrò il polso, mentre la mano era già sulla sua bocca, accarezzandola e rigirandola con la scusa di verificare che non gli avesse fatto male. Certamente, la sua presa era leggerissima sul sottile polso di Marinette, ma comunque lei non riuscì a liberarsene. Non ci provò nemmeno. 

“Marinette?”

“Sì?”. Le ciglia di Marinette sfarfallarono. 

Adrien si costrinse a non restare ammaliato dal suo sguardo da cerbiatta. “Ti stai per caso divertendo a torturarmi?”

Lei si morse il labbro, per la terza volta quel giorno. Assunse l’aria più seria che potè. “Di che stai parlando?”

Lui scosse la testa, un sorriso consapevole dipinto sulle labbra. “Non fare la finta tonta, sai benissimo ciò a cui mi riferisco.”

Lei sbatté ancora una volta le ciglia, e si liberò dalla presa gentile delle sue dita sul polso. Poggiò entrambe le mani sul petto di Adrien. “Ti dico che non lo so.”

Era ancora perfettamente seria, credibile, ma Adrien la conosceva fin troppo bene per capire che la sua era soltanto malizia. Ben camuffata, certo. Ma pur sempre malizia. 

Decise allora di prendere di petto la situazione. “Va bene, allora. Sarà come dici tu.”

E lei parve subito assumere un’aria trionfante, come se il suo piccolo gioco fosse riuscito, quando avvertì le mani di lui scendere sapientemente lungo tutta la superficie della sua schiena, partendo dalle spalle e poi giù, giù e ancora più giù. Arrivò all’elastico dei pantaloni, e proseguì il suo percorso ancora una manciata di centimetri. Marinette ansimò quando sentì le sue mani prenderla sui glutei e ribaltare completamente il suo corpo, portandola a finire con la schiena contro il materasso. 

Il corpo di Adrien premette contro il suo, aderendovi perfettamente. Incapace di muoversi, Marinette non potè far altro che guardare il volto di Adrien prendere lentamente possesso del suo collo, baciando, leccando, mordicchiando ogni centimetro di pelle esposta. 

Marinette gettò la testa all’indietro ed inarcò istintivamente la schiena. Adrien rise contro il suo collo quando il primo gemito di piacere fuggì alle sue labbra, ancora pregne dell’odore di lui, e raggiunsero le orecchie tese di Adrien. 

Adesso, Marinette non capiva più niente. Era completamente in balia dei suoi baci, delle sue mani, delle sue carezze esperte. Sapeva esattamente dove toccarla per farla impazzire, e non ebbe pietà in questo. D’altronde, riconobbe di meritarselo. 

E non fu affatto dispiaciuta. 

Adrien continuò a baciarla sul collo, sulla scapola, dietro le orecchie, mentre le sue mani vagavano sul corpo di Marinette, e si fermarono sull’orlo della felpa che stava indossando. La sua felpa. 

Marinette gemette quando le sue mani entrarono a contatto con la pelle nuda della sua pancia. Questa fremette, abbassandosi e rialzandosi freneticamente sotto il tocco di Adrien.  

“A-Adrien?” ansimò Marinette, senza più fiato in corpo. Lui continuò a baciarla e assaporarla come se nulla fosse, proprio come lei aveva fatto solo pochi minuti prima. E solo dopo quello che a lei sembrava un tempo infinito lui rispose con un mugolio. “Mh?”

Lei avvertì il tocco delle sue mani farsi sempre più bollente sulla pancia, mentre avanzava inesorabilmente, sempre più su. 

“A-Adrien.”

 Ripetè il suo nome, senza sapere perché. Le sue labbra avevano bisogno di esternare le sue sensazioni, perché erano l’unica cosa che riuscisse a muovere. Le mani erano bloccate, così come il resto del corpo. 

Sentiva il petto sempre più bollente e ansioso del suo tocco, nonostante lui la stesse torturando.  Le stava facendo credere di star avvicinandosi al punto in cui lei sin dall’inizio aveva voluto condurlo, ma senza arrivarci mai. Proprio quando sembrava che soltanto un centimetro li separasse, lui ricominciava daccapo, avvolgendola per la schiena e ritornando alla pancia. 

Senza fermare l’impeto delle sue mani, Adrien smise per qualche secondo di torturarle il collo. Con lo sguardo si diresse ai suoi occhi, imploranti e colmi di eccitazione. Ritornò dritto al suo orecchio sinistro. Prese il lobo morbido tra le labbra e lo succhiò un poco, delicatamente. Poi, inavvertitamente, le sussurrò, proprio mentre le sue mani erano quasi arrivate, frenetiche sotto le sue costole: “Qualcosa non va, Buginette?”

Marinette inarcò la schiena quando le sue dita accarezzarono il centimetro di pelle sottostante al profilo del seno destro. 

“A-Adrien, ti prego.”

Il suo tono era una supplica. A gongolare, questa volta, fu Adrien. 

“Come? Mi pare di non aver sentito bene” le sussurrò contro. 

Ora anche la mano sinistra era vicinissima. Marinette gemette. 

“T-ti stai divertendo a vendicarti, p-per caso?”

Lui sorrise malizioso. “Di cosa stai parlando, Milady?”

Marinette roteò gli occhi. Poi ansimò di nuovo quando sentì le mani di Adrien disegnarle piccoli cerchi sulla pelle infuocata. 

Chaton, p-per favore.”

Lui non nascose un ghigno malizioso. “Per favore cosa, Marinette?”

Lei cercò di riprendere fiato, e gemette di disappunto quando sentì che le sue mani non la stavano toccando più. Erano scovolate via da sotto la felpa. Questo era peggio che essere torturata a quel modo, decisamente. Marinette spalancò gli occhi senza sapere cosa dire. 

Adrien le accarezzò il profilo della mascella con le labbra, mentre mormorava: “Cosa vuoi che faccia, Buginette?”

Lei lo guardò malissimo, il petto che si muoveva furente alla ricerca d’ossigeno. Senza fiato per parlare, afferrò una delle mani di Adrien, entrambe ancora ferme sull’orlo della maglietta, e se la portò al seno. Adrien sussultò avvertendo quella strana morbidezza sotto il tessuto pesante della felpa. Anche Marinette ansimò. 

Adrien deglutì, cercando di non rovinare tutto proprio il quel momento. Si avvicinò di nuovo all’orecchio sinistro di Marinette e le sussurrò: “Vuoi che ti tocchi?” 

Quelle parole costarono una fatica immensa ad Adrien, ma Marinette non ci fece caso. Spalancò gli occhi, poi annuì energicamente. 

Lui sorrise contro il suo collo: “Sì o no, Buginette?”

Lei inspirò profondamente, sempre più a corto di aria. Poi esplose esclamando: “Oh, sì. Ti prego, .”

Adrien emise un sospiro di soddisfazione, prima di lasciarle un ultimo, leggerissimo, bacio sul collo, e un altro sulle labbra, ormai completamente secche. Con le mani si diresse di nuovo all’orlo della felpa, e piano, pianissimo, iniziò a sollevarla. 

Prima, però, tornò un attimo serio. Cercò lo sguardo di Marinette, limpido, azzurro e pieno di desiderio. Le baciò amorevolmente le labbra, poi le chiese, senza alcun tipo di malizia o intento alla provocazione: “Marinette, sei sicura?”

Lei ricambiò il suo sguardo, e gli sorrise, questa volta genuinamente. Era un sorriso dolce, caldo, che sapeva di casa. Prese Adrien per le spalle e si issò un poco, per riempire alla perfezione l’incavo del suo collo. “Sono sicura, Adrien. Con te lo sono sempre. So che non mi faresti mai nulla di male.”

Lui espirò pieno di sollievo. Era contento di sapere che Marinette aveva un’incondizionata fiducia in lui. Le schioccò un altro bacio sull’incavo dell’orecchio, poi la fece di nuovo distendere sulla schiena e cominciò a baciarla sulle labbra, piano, con amore. Senza urgenza. Avevano tutto il tempo del mondo, o almeno così a loro sembrava, e, dal punto di vista di Adrien, un grande passo stava per essere compiuto all’interno della loro relazione. Certo, lui aveva molto spesso palpato il petto di Marinette, ma mai aveva approfondito questo contatto. D’altronde, avevano voluto che ogni cosa, tra di loro, venisse a suo tempo. Erano ancora giovani, e ci sarebbero stati anni e anni per scoprirsi a vicenda. Ora era arrivato il momento di aggiungere un nuovo tassello al puzzle del loro rapporto, e le mani di Adrien tremavano all’idea, molto più di quelle di Marinette. 

Dopo aver tranquillizzato entrambi con dolci baci, con le mani ritornò al fatale orlo della felpa. Prese a sollevarla piano, gli occhi fissi su quelli di Marinette. Non voleva che lei ci ripensasse all’ultimo minuto e lui fosse troppo… preso per accorgersene. 

Ma lei sorrise scuotendo leggermente la testa al suo sguardo, come a dirgli che era perfettamente sicura. Tranquilla, persino. 

Adrien inspirò a fondo, costringendosi a distogliere lo sguardo dagli occhi di Marinette. La felpa - che ancora non era risalita abbastanza - emetteva un debole fruscio a contatto con la pelle di lei, mentre Adrien si abbassò con la testa all’altezza della sua pancia. Prima respirò un poco per vedere la reazione di Marinette a contatto col rimbalzo del suo respiro. La vide tremare sotto di lui, e allora strusciò un poco le labbra sulla sua pelle profumata, e prese a baciarla come fosse una sottile e preziosa lamina d’oro o la più rara delle piume. 

Lei gemeva e ansimava, e lui era sempre più invogliato a baciare e leccare quel nettare prezioso. Le mani, che nel frattempo si erano fermate, la presa ancora salda sulla stoffa della felpa, ripresero la loro risalita. Allora Adrien lasciò momentaneamente il suo territorio lì in basso e tornò a baciare Marinette sulle labbra, con un ritmo dolce e sensuale al contempo. Poi - finalmente - le dita di lui avevano raccolto abbastanza stoffa per sfilare la felpa. Continuando a guardarla dritta negli occhi - e interrompendo quel contatto soltanto per lasciar passare la testa di lei sotto il cotone - Adrien si liberò finalmente di quell’ammasso ingombrante di tessuto, o almeno così lo definì Marinette nella sua testa. 

Allora lui fu libero di portare le mani all’altezza dei suoi seni, e con una dolcezza senza pari prese ad accarezzarli, trattandoli come la cosa più delicata al mondo, che si sarebbe potuta rompere con il minimo gesto più deciso del normale. Marinette gemette e lui anche. Non aveva ancora osato abbassare lo sguardo, altrimenti credeva sarebbe impazzito dalla meraviglia e dall’eccitazione. 

Scoprì piano tutti gli scorci di pelle del petto di lei, lasciando al tatto questo sensazionale compito.

Nel mentre, aveva continuato a baciare Marinette sulle labbra, piano, per godersi appieno tutte le incredibili scoperte che, nel frattempo, le sue mani stavano compiendo. 

Dopo un periodo di tempo indefinibile, Marinette poggiò una mano sulla sua guancia, con urgenza, come se il semplice tocco delle sue mani non bastasse e la sua pelle avesse bisogno di più. 

Adrien rimase interdetto per pochi secondi, separandosi dalle sue labbra. Poi lesse nuovamente li sguardo sicuro di Marinette e, con un ultimo bacio sul naso, uno sul collo e un altro sull’orecchio - meglio esser sicuri di non trascurare nessuno - si abbassò su di lei. 

Rimase senza fiato quando la guardò per la prima volta, incapace di concepire come tanta bellezza fosse concentrata in un solo essere etereo. Sentì le mani tremare con più decisione, mentre il fiato gli si mozzò nel petto e le sue labbra tremule pronunciarono due singole, dolcissime parole: “Sei bellissima.”

Marinette gli accarezzò i capelli, mentre sentiva dolci lacrime depositarsi sull’orlo delle sue ciglia. 

Non riuscì a trovare le forze per dire qualcosa, qualsiasi cosa. Anche una sciocchezza, così, per stemperare il nervosismo. 

Adrien abbassò piano il suo sguardo incantato su di lei. La dolce curva dei suoi seni, la loro punta rosea e turgida, il loro leggero tremolio, dovuto ai pesanti respiri di Marinette. 

“Adrien, smettila di guardarmi così. M-mi imbarazzi.”

Lui non distolse lo sguardo dal suo petto. Anzi, con le dita aveva appena iniziato a compiere delicati cerchi su quella pelle morbida e bianca, e stava studiando con gli occhi un modo per potersi avvicinare senza farle del male. Decise di provare a vedere come reagiva nei diversi modi in cui cercava di darle piacere, e notò con soddisfazione che ognuno era accolto a suon di sospiri e gemiti. Avvicinò le labbra all’aureola rosata del suo seno destro, e piano, pianissimo, la prese tra le labbra. E prima la baciò con leggeri schiocchi, poi, incoraggiato dal suo nome pronunciato a gemiti dalle labbra di lei, provò con la lingua, e prima delicatamente, poi in modo sempre più passionale, prese possesso di lei, e Marinette non potè far altro che notare con infinito piacere come lui avesse imparato così presto i punti più sensibili, quelli dove preferiva le mani o la bocca. 

Nessuno dei due si accorse che il sole aveva lasciato la sua ultima scia arancione nella stanza, o che la luna avesse iniziato la sua ascesa, pronta per illuminare la notte intera. 

 

3. 

 

Più tardi, quella sera, Marinette aveva il volto nascosto contro il petto di Adrien, in pace come mai prima. Le mani di lui - oh, quelle mani - la reggevano dietro la schiena ancora nuda. 

Nessuno dei due aveva voglia di muoversi da quella posizione. C’era un tale silenzio. 

I loro kwami si erano probabilmente dileguati al primo segnale di pericolo, lasciando Adrien e Marinette soli alle loro passioni. 

Marinette sospirò contro la maglietta di Adrien. “Vorrei non dovermene andare.”

Lui alzò lievemente la testa verso di lei. “Resta.”

La voce con cui lo disse fece fare una capovolta al cuore di Marinette. Scosse piano la testa. “Non posso.”
“Ma vorresti.”

Marinette avvertì la mano di Adrien tracciale piccoli, delicati cerchi sulla schiena. Sospirò di nuovo. “Sì, vorrei.”

“E allora resta” le ripeté lui. 

Lei alzò la testa, fino ad incrociare il suo sguardo. Poi gli soffiò un dolce bacio sulle labbra. “Mi dispiace, Adrien. Non posso rimanere qui. Cosa direi ai miei genitori?”

Lui inspirò piano. Accidenti, si era dimenticato dei genitori. Se suo padre avesse scoperto Marinette lì, nuda tra le sue braccia, sarebbe andato su tutte le furie. 

Scacciò via il pensiero dalla mente con un bacio. Lo fece appositamente durare qualche secondo in più del dovuto. Marinette si ritrasse. “Non funzionerà, Chaton”. 

“Cosa?” Adrien aggrottò le sopracciglia dorate. 

“Convincermi a suon di baci. Non funzionerà.”
Lui sospirò. “Almeno ci ho provato” disse, sorridendo malizioso. Marinette si scostò leggermente da lui, puntellandosi sul gomito. Si sporse per riprendere la felpa ormai abbandonata sul letto. Se la infilò velocemente e si alzò prima che lui potesse fermarla, lasciando un vuoto inesprimibile tra le sue braccia.
“Dove vai?”, le chiese, con un tono di disappunto. 

Lei non rispose, scivolando in punta di piedi verso la porta del bagno. Prima che lui potesse decidersi a vedere cosa fosse successo, lei ne uscì. 

Senza più i suoi vestiti. 

Non senza più vestiti, certo. Semplicemente, si era rimessi quelli con cui era venuta. Una maglietta rosa e un paio di jeans. 

Lui la guardò senza capire. “Ma cos..?”

Lei si avvicinò al letto prima che lui potesse continuare. Vi si sedette e si appoggiò sui palmi delle mani, schioccandogli un leggero bacio sul naso. 

“Ma perché ti sei rimessa i tuoi vestiti? Non erano sporchi?”

Lei sorrise, divertita. Gli scostò una ciocca di capelli biondi dal volto. “Certo che no, sciocchino. Quella della doccia era solo una scusa.”
“E anche quella dei vestiti?”

“Certo che sì.”

Adrien la guardo per un attimo, ancora incredulo. Poi, prima che lei potesse fermarlo, la prese per i fianchi e la fece stendere sotto di sé, iniziando a solleticarla senza alcuna pietà. Lei scoppiò subito a ridere sotto il tocco delle sue dita frenetiche, pregandolo di fermarsi. 

“Piccola bugiarda” esclamò malizioso Adrien, cercando di sovrastare la risata incontrollabile di lei “come hai osato prenderti gioco di me?”

Lei cercò di divincolarsi in tutti i modi dalla sua presa, puntando i palmi delle mani sul suo petto per allontanarlo. “Ahahaha, A-Adrien… per favoreee.”  

Lui scuoteva la testa maligno, e continuava a farle il solletico cercando di prenderla in tutti i suoi punti più sensibili. 

“Smetterò solo ad una condizione.”

Lei subito lo guardò, implorante. 

Si avvicinò di più al suo orecchio, entrambi rabbrividirono. “Promettimi che domani tornerai” mormorò, e ogni singolo muscolo del corpo di Marinette si tese al suo sussurro “e che ti lascerai toccare e baciare proprio come oggi.”

Lei lo guardò, le pupille dilatate. Si fece più vicina al suo volto, e, a un centimetro dalle sue labbra, bisbigliò: “Affare fatto, Chaton.”

 

 

 

Convenevoli finali:

Ahhhhh, buon San Valentino lettori. (È ancora sabato sera, ma dettagli.) <333

Siamo arrivati al decimo capitolo di questa raccolta, non mi sembra vero!! Anche se spesso sono stata incostante, sono contenta perché tutto quello che ho scritto mi ha sempre pienamente soddisfatta, e anche perché siete in tanti - o almeno questo è quello che spero - ad apprezzare le mie storie. 

Mi dispiace tanto se vi ho fatto aspettare più di un mese per un nuovo aggiornamento, ma purtroppo sono stata impegnata fin sopra i capelli, e non avevo neanche tanta ispirazione, ad essere sincera. Diciamo che più che scrivere ho letto tante, tantissime fanfiction super fluffy sui nostri due polli preferiti. (Se avete un po' di dimestichezza con l’inglese, vi consiglio di dare un’occhiata anche su altri siti internazionali, in cui sicuramente c’è una più ampia scelta di storie. Questo, ovviamente, non esclude che non dobbiate continuare a seguirmi, ahahaha!!)

Comunque, spero di essere stata perdonata con questa storia, che credo si sia aggiudicata - al momento - il premio della più lunga tra tutte quelle appartenenti a questa raccolta (circa seimila parole *_*). 

Inizialmente non doveva essere così lunga, ma poi mi sono lasciata trasportare e… non so, l’ho finita e non me ne sono neanche accorta xD

Spero tantissimo che, nonostante sia un po' più piccante dei capitoli precedenti - direi che quasi quasi supera anche la scena dell’ascensore ahah - sia comunque riuscita a farvi immaginare bene i personaggi, e a non snaturarli troppo. Odio davvero l’OC, però quando si va ben oltre il target cui la storia originale è dedicata si rischia di andarci un po' incontro. 

Quindi, fatevi sotto nei commenti, e fatemi sapere cosa ne pensate!! Vi aspetto con ansia <33

 

A presto, 

Talitha_

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Capitolo 11
*** Rêve ***


1. 

 

Marinette sedeva ad un tavolino appartato nel loro locale preferito, quello che serviva i dolci più buoni di Parigi dopo la panetteria Dupain. Adrien si fermò ad osservarla dietro la vetrata, quella figura esile e dolce, il mento sorretto dal palmo della mano sinistra e le gambe accavallate con talmente tanta grazia da farlo sembrare il gesto più naturale al mondo. 

La osservava ancora mentre lei gettava un’occhiata veloce all’orologio appeso sulla parete del caffè, e poi un’altra a quello del telefono, come per accertarsi che davvero fosse così tardi. 

Che davvero lui stesse tardando al loro appuntamento.  

Ancora in strada, Adrien non capiva bene perché non si decidesse ad entrare e raggiungerla. O meglio, sapeva perfettamente il motivo, eppure gli pareva tanto stupido che non voleva nemmeno considerarlo. 

Adesso Marinette aveva catturato un labbro tra i denti e lo stava mordicchiando nervosamente, forse valutando se aspettarlo ancora un po' o chiamarlo subito. 

Se non si fosse limitato ad osservarla indisturbato dalla vetrina del locale, quasi come lei fosse una bambola da esposizione, Adrien avrebbe sicuramente notato il leggero tremolio delle dita di Marinette che picchiettavano languide sul tavolo, o il rintocco nervoso e frenetico dei suoi piedi. Avanti e indietro, avanti e indietro. 

Non se ne era accorto, perché non aveva la sua vista da gatto, e perché la stava guardando piuttosto da lontano, eppure riusciva perfettamente a percepire il suo nervosismo. Il che era molto strano, perché nonostante avvertisse tutta la sua preoccupazione, Adrien non stava facendo nulla per farle sapere che lui stava bene, che era nascosto lì, proprio dietro la finestra. Rimase fermo dov’era, ripensando a quello che forse era il motivo che lo stava trattenendo dal raggiungerla e… no, non poteva essere. 

E sarebbe rimasto fermo anche tutto il pomeriggio se lei non avesse rivolto impaziente uno sguardo fuori dal locale, e non lo avesse visto lì, dritto come un bamboccio. 

Allora un sorriso le sbocciò sulle labbra rosee e tutta la tensione scemò via dal suo viso. 

A quel punto, Adrien avvertì come una molla scattare nel petto, ricambiò il sorriso di lei, seppur senza troppa convinzione, e le gambe gli permisero di muoversi ed entrare nel caffè. Un piccolo tintinnio lo accolse all’ingresso, insieme con l’odore di zucchero e cioccolato. Il tavolo su cui lui e Marinette sedevano sempre era separato dagli altri da una piccola aiuola di fiori ogni volta diversi, così che potessero parlare di affari da supereroi senza il rischio di essere uditi da orecchie indiscrete. 

Quando Adrien la raggiunse, Marinette si alzò in piedi per salutarlo con un unico, fluido movimento. Avvertì le sue braccia esili circondargli il collo e due soffici labbra stampargli un bacio sulla guancia. 

“Sai” un sussurro gli provocò un brivido “mentre mi stavi facendo aspettare seduta qui, sola soletta, mi sono divertita a preparare tutta una serie di rimproveri da farti non appena fossi arrivato. Tuttavia” e la voce di Marinette si abbassò ancora di qualche tono, e un’altra scia di brividi gli attraversò la schiena “ritengo molto probabile che tu sia stato lì fuori a fissarmi per un buon quarto d’ora, e non so se esserne lusingata” un bacino sulla tempia “o imbarazzata” un altro sotto l’orecchio “o arrabbiata”. Niente bacino, stavolta. 

Adrien sorrise sornione, cercando di ignorare l’effetto che aveva su di lui il respiro caldo di Marinette che ancora gli batteva sul collo. Le posò una mano sulla vita, facendola voltare leggermente, giusto il necessario per salutarla con un bacio. A pochi centimetri dal viso di lei mormorò: “Mi dispiace”. 

Lei corrugò un poco le sopracciglia. “Per cosa?”

“Per averti fatta aspettare.”

Lei accennò ad un sorriso, e poggiò la fronte su quella di Adrien. “Non mi hai ancora detto se devo esserne lusingata o imbarazzata o arrabbiata.”

Adrien si staccò leggermente per guardarla meglio negli occhi. Fece per pensarci un attimo, poi disse: “Mi piaci quando sei arrabbiata e metti il broncio, ma ancora di più quando diventi tutta rossa e impacciata. Invece” aggiunse con un tono di pura malizia “quando sei lusingata diventi terribilmente boriosa ed insopportabile.”

Marinette ridacchiò. “Vada per lusingata, allora”.

Lui alzò gli occhi al cielo, le mani premute ai lati della sua vita sottile. “Vedi Insopportabile.”

“Mmh” annuì lei distratta, gli occhi già chiusi in attesa del suo bacio. Adrien se ne accorse, e subito si avvicinò di più a lei, e già poteva assaporare il suo sapore di fragole quando abbassò le palpebre e una certa immagine fece capolino nella sua mente. 

Decisamente nell’attimo sbagliato. 

Si costrinse allora a sviare la meta delle sue labbra, e a scoccarle un piccolo bacio sulla guancia. 

 Marinette sbatté le ciglia in uno stato di confusione, quando comprese che il bacio non c’era stato e che lui la stava già allontanando da sé e prendendo posto sulla sedia. 

Lo sguardo di Adrien era di puro disagio quando anche lei si costrinse a sedersi, senza capire bene cosa fosse successo. 

“T-tutto bene?”, chiese lei, ancora smarrita. 

Prese la mano tremolante di Adrien e la strinse tra le dita, e quando alzò di nuovo gli occhi su di lui lo sentì risponderle: “Certo, Milady. Ho solo pensato che non si dovrebbe dare troppa corda alle persone lusingate, men che meno dei baci. Contribuirebbe a montar loro la testa.”

Marinette fece piegare le sue labbra nel sorriso più convinto che le riuscì, perché era chiaro come il sole che qualcosa era successo e che lui stava evitando di parlarne. E di baciarla. Cosa che, se possibile, le parve ancora più grave. 

Stava allora disperatamente pensando a cosa dire per cavargli il fattaccio di bocca senza che lui se ne accorgesse, quando una lesta cameriera colse l’occasione per prendere l’ordinazione. 

Se prima che arrivasse la cameriera Marinette aveva ancora dei dubbi circa l’esattezza delle sue deduzioni, quando vide Adrien ordinare solo una cioccolata calda e due fette di cheesecake si convinse senza ombra di dubbio che c’era qualcosa che non andava. E se c’era una persona al mondo che conosceva Adrien come le proprie tasche e che sapeva come fargli sputare il rospo in meno di tre secondi, quella era lei. 

Con nonchalance si aggiustò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio e tornò a stringere tra le sue le dita di Adrien. Erano fredde e sudaticce, ed ancora un po' tremolanti. Lui la guardò preoccupato, e Marinette preferì far finta di niente e iniziò a blaterare del più e del meno sugli argomenti più disparati. 

Arrivarono la cioccolata calda e la torta e i biscottini, e Marinette sorrise quando dei baffi scuri di cioccolata disegnarono le labbra di Adrien. 

Continuò col resoconto dettagliatissimo della sua giornata, e si meravigliò di quante cose ci fossero da raccontare nonostante fosse sveglia da sole due ore. Adrien la guardava con un ciglio inarcato, come per farle capire che la stava ascoltando.

Eppure, Marinette osservò nei suoi occhi verdi come una patina di confusione e di assenza. Come se non fosse completamente lì con lei, ma stesse rivangando un pensiero o una scena. E pareva proprio che questo ricordo lo mettesse in uno stato di agitazione tale da farlo rivoltare continuamente sulla sedia, e da rifuggire dal suo sguardo ogni volta che i loro occhi si incrociavano per più di qualche secondo. A quel punto, arrossiva violentemente e si mordeva convulsamente le labbra. Poi beveva un altro sorso di cioccolata e tornava a fissare un punto indefinito del tavolino, con lo sguardo di chi, pretendendo di ascoltare, sta in realtà con la testa da tutt’altra parte. 

Di punto in bianco, con la naturalezza di chi chiede che tempo che fa, Marinette domandò: “Perché non mi hai baciata, prima?”

Adrien sbatté le palpebre con fare confuso, come se un dato di fatto fosse appena stato messo in discussione. “Ti ho baciata, prima”. 

“No, che non l’hai fatto”.

Lui si sistemò meglio sulla sedia. Sorrise nervosamente quando rispose: “Ti ho baciata”. 

“Sì, sulla guancia.”

“Lo dici come se fosse una brutta cosa.”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Non era questo che intendevo. E lo sai.” 

Lui ribatté: “Non intendevi sminuire i baci sulla guancia?” La guardò con un pizzico mal riuscito di malizia, prendendole la mano. “Se non ti piacciono i baci sulla guancia - sentimento che non condivido affatto, sia ben chiaro - vorrà dire che non te ne do più.”

“Non cambiare argomento, Chaton. Lo sai che mi piacciono i baci sulla guancia. Che adoro i tuoi baci sulla guancia.” 

Adrien poggiò la schiena sulla sedia. Stava cercando altre scuse cui aggrapparsi per sfuggire all’argomento, ma non gliene venne in mente nessuna che potesse liberarlo dalla luce di sospetto negli occhi di Marinette. Quella non se ne andava mai facilmente. 

“Non ti scappa proprio nulla, eh?”, ammise infine, grattandosi la nuca. 

Lei alzò le sopracciglia, incredula. “Certo che non mi scappa se fai ritardo al nostro appuntamento e mi saluti con un solo bacio sulla guancia e fai finta di ascoltarmi mentre pensi a tutt’altro” elencò sulle dita. “A cosa stavi pensando?”

Adrien arrossì violentemente, mentre sentiva le gambe tremare e il desiderio istintivo di sotterrarsi. Sino alla sera prima, se qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe dovuto affrontare una discussione del genere con Marinette, gli avrebbe riso in faccia. Ma adesso...

“Adrien” un sussurro dolce “a me puoi dire tutto, lo sai.”

Sentì il pollice caldo della mano di lei accarezzare dolcemente le sue dita, in un gesto rassicurante. 

“S-si tratta di un sogno” ammise a fior di labbra. 

“Un sogno?”

“Un sogno che ho fatto stanotte.”

Marinette corrugò le sopracciglia e si sporse un po’ avanti sul tavolino. “Un incubo?”

Lui rise amaramente. “Direi di sì.”

Il volto di Marinette era la perfetta rappresentazione della confusione. Tuttavia, si trattenne dal chiedere altro, perché era evidente che stavano parlando di un argomento delicato, e non voleva forzarlo né farlo sentire a disagio. 

“È che...” cercò di spiegarsi meglio lui “non mi sembrava tanto un brutto sogno mentre ehm... la sognavo.”

La sognavi?” 

Adrien spalancò gli occhi, realizzando solo in quel momento di essersi compromesso da solo. 

“Io... ecco” boccheggiò, senza il coraggio di andare oltre. Sentiva il panico riempirgli il petto, mentre lo sguardo scrutatore di Marinette seguiva ogni suo singolo movimento e tremolio. 

“Adrien, mi... mi stai facendo preoccupare” disse lei, senza capire il perché della sua reazione esagerata. Forse, forse… ah

Marinette alzò di nuovo gli occhi su Adrien, che adesso non vi leggeva più confusione e smarrimento, ma un sentimento molto più simile alla tristezza. 

Non era possibile! Non poteva aver già capito tutto! 

Si alzò bruscamente dalla sedia, sotto gli occhi esterrefatti di Marinette. “M-mi dispiace” farfugliò, quasi le lacrime agli occhi “M-Milady, mi dispiace tantissimo.” 

L’intreccio delle loro mani si sciolse, e nello stesso preciso istante una goccia calda e perfetta emerse dalle sue ciglia bionde. 

E quando Marinette trovò il coraggio di inspirare e pronunciare il suo nome, lui se n’era già andato via. 

 

***

 

Adrien se ne era andato. 

Volatilizzato. 

Marinette era ancora in piedi, imbambolata, a fissare la porta dalla quale era appena uscito. Di corsa. 

Subito fece per seguirlo, e capire cosa diavolo fosse successo per spingerlo a lasciarla da sola durante un loro appuntamento. 

Senza finire i biscottini né la torta. 

Senza insistere fino allo sfinimento per pagare. 

Senza portarsi la giacca, dentro la quale probabilmente stava anche il telefono. Sì, controllò, era ancora nella tasca. 

Con un leggero tremolio alle gambe, Marinette si costrinse a sedersi. Si sforzò di analizzare per qualche secondo quanto accaduto negli ultimi minuti da un punto di vista razionale, ma non vi riuscì. Dopo aver preso un respiro profondo, raccolse le proprie cose e quelle di Adrien, si diresse verso la cassa per pagare il conto e lasciò il caffè con una calma quasi glaciale, sotto lo sguardo sbigottito della cameriera. 

Una volta che l’aria fresca di quella mattinata di primavera le gonfiò i polmoni, si domandò come cavolo sarebbe riuscita a rintracciare Adrien. 

Percorse alcuni metri verso l’insenatura nascosta tra due palazzi, la imboccò e, dopo un’altra manciata di respiri profondi, si trasformò. 

 

***

 

Era un codardo.

Adrien era un dannato codardo

Lasciare la sua ragazza così, sola, senza salutarla, senza darle spiegazioni, nel bel mezzo di una discussione come quella era… assolutamente imperdonabile. 

Era questo ciò che continuava a ripetersi Chat Noir, mentre correva a perdifiato tra i tetti di Parigi. 

Non riusciva a credere quanto fosse stato uno stupido per rovinare tutto nel giro di pochissimo tempo. Fino al giorno prima - alla sera prima - tutto nella sua relazione con Marinette procedeva alla perfezione. Erano felici insieme. Felici come lui non era mai stato prima. Aveva scoperto cosa significava stare con la persona che più amava al mondo, e adesso aveva rovinato tutto. 

Oh, sì. Proprio tutto

Perché sicuramente Marinette non lo avrebbe mai perdonato, ora che aveva capito cosa aveva fatto. E non importava che tutto fosse stato solo il frutto di un sogno, perché a lui in quel momento era piaciuto, e non aveva fatto nulla per impedire che accadesse. 

 

2. 

 

Ladybug lo trovò così, seduto rannicchiato su una delle torri di Notre-Dame, lo sguardo perso nel vuoto e segni di lacrime asciutte sul volto. 

Quando si accorse della sua presenza, Chat Noir trasalì. Non si aspettava certo che Marinette avesse voluto vederlo così presto. Anzi, credeva proprio che lei non lo avesse voluto vedere mai più. 

Rimase in silenzio, senza sapere cosa dire, forse per evitare di farla andare via, e di godere ancora per un po' della sua calda presenza accanto a lui. 

Marinette si sedette a terra con le gambe penzoloni, e la pietra dura e fredda sotto le cosce le fece venire subito la voglia di accucciarsi sulle gambe di Chat Noir. Tuttavia, mise da parte quei pensieri stupidi, perché lui in quel momento stava soffrendo e lei doveva essere lì ad aiutarlo e sostenerlo. 

“Puoi parlarmene, se te la senti” disse dopo un po’, la voce un sussurro. 

Lui voltò di scatto il viso verso di lei, incredulo. Cosa gli aveva appena chiesto? 

Ladybug osservò il lampo di dolore nei suoi occhi verdi, e subito si pentì di avergli fatto quella domanda. Forse aveva bisogno ancora di un po' di tempo prima di parlarne. O forse non voleva parlarne affatto. 

Si fece un po' più vicina a lui, tanto da riuscire a poggiare la testa sulla sua spalla sinistra. Poi lo prese sottobraccio e gli strinse delicatamente la mano guantata, facendo attenzione a non ferirsi con i suoi artigli. Adrien si irrigidì, spiazzato da quei gesti affettuosi. 

Non era arrabbiata?

Ladybug avvertì il suo disagio, e pensò subito di aver esagerato. “M-mi dispiace, non volevo forzarti” aggiunse dopo qualche secondo. “Capisco… quanto possa essere difficile, per te. Insomma, non posso capirlo, ma lo immagino… oddio” gemette, premendosi una mano sulla fronte “sono proprio una pessima consolatrice, non è vero?”

Detto questo, alzò la testa dalla sua spalla per guardarlo negli occhi, e lui, invece di rifuggire il suo sguardo, prese a guardarla perplesso. “U-una pessima consolatrice?”, mormorò incredulo. Da quando era lei a dover consolare lui?

Lei tornò a guardare l’orizzonte, mordendosi un labbro. Se non avesse indossato la tuta, probabilmente avrebbe anche preso a mangiarsi le unghie, come faceva sempre quando era nervosa. “Lo so, m-mi dispiace. Forse è meglio se sto zitta. Però sappi che per qualunque cosa io ci sono sempre, ok?”

Adrien sbatté ancora una volta le palpebre. Ma di che diamine stava parlando?

“M-Marinette?”, riuscì a farfugliare, la gola improvvisamente secchissima. 

Lei si voltò nuovamente verso di lui, un luccichio di speranza negli occhi. Era prontissima ad ascoltarlo e a consolarlo. “Sì?”

“N-non sei… ehm, arrabbiata?”

Questa volta fu lei a sbattere incredula le palpebre. “Certo che no! Perché mai dovrei esserlo?”

Adrien corrugò le sopracciglia. Non era arrabbiata. 

“I-io, credevo che tu…” cercò di dire “credevo che tu volessi…lasciarmi.”

Lasciarlo?

Marinette si scostò completamente da lui e ritirò le gambe penzoloni, in modo da riuscire a girarsi completamente verso di lui. “Lasciarti?”, chiese, con un filo di scetticismo. Adrien strinse le labbra, e, vedendo che non accennava a risponderle, Marinette riprese con voga: “Adrien, guardami”, disse, prendendogli il mento tra le dita “so che, anche se si tratta solo di un sogno, questo ha avuto un grande impatto su di te. Ma non capisco cosa ti abbia fatto pensare che io voglia lasciarti. A maggior ragione in un momento di difficoltà come questo. N-non lo farei mai. Hai capito?”

“Q-quindi non ti importa che io l’abbia baciata?”

Cosa? “Cosa?”

“N-non ti importa che io l’abbia baciata?”

“T-tua madre?”

“Mia madre?”

Marinette strabuzzò gli occhi. “Non stavamo parlando di tua madre?”

“Che c’entra mia madre, adesso?”

“Io, tu…. Non hai sognato tua madre?”

“Cosa? No!”, rispose Adrien, più confuso che mai. Quand’è che l’aveva nominata?

Marinette si rimise dritta con la schiena, cercando di dare un senso logico alle rivelazioni degli ultimi secondi. Venne ridestata dalla voce di Adrien, che le chiese: “Cosa te lo ha fatto pensare? Non ho mai parlato di lei!”

“Io… non lo so! Non era a lei che ti stavi riferendo? Quando hai detto che mentre sognavi non ti eri accorto che quello fosse un incubo fino a quando non ti sei svegliato? Ho… ho pensato che avessi sognato tua madre, e che quando ti sei svegliato ti sei accorto che lei non c’era più e…”

“Non era lei che stavo sognando” la interruppe con foga Adrien. "Io… oddio, Marinette” gemette, passandosi le mani nei capelli (e tra le orecchie vellutate). 

“Si può sapere allora chi hai sognato? E chi hai baciato?”

Ecco, adesso era veramente finita. Ora che glielo avrebbe detto, Marinette avrebbe definitivamente rotto con lui. 

Adrien?”, venne ridestato dalla voce di lei. 

Chat Noir si sforzò di voltarsi verso di lei, un tremolio inarrestabile nelle mani. “Ho sognato questa ragazza” iniziò. 

“Quale ragazza?”, chiese con circospezione Marinette. 

“N-non lo so!”, nella sua voce era evidente un tono di disperazione. “Non lo so” ripetè piano. “Solo che… non eri tu.” 

“Ok” disse semplicemente Marinette, non sapendo cos’altro rispondere. 

“E ho sognato che…” si interruppe, un nodo in gola. 

“Che?”, lo invitò lei. 

“Ho sognato che la baciavo.”

“La baciavi?”

“S-Sì” ammise tutto d’un fiato. “L’ho baciata, e mentre lo facevo mi stava piacendo. Poi mi sono svegliato e mi sono reso conto che non eri tu e… Milady, mi sono sentito malissimo. Mi sento malissimo. Non so cosa mi sia preso. Non so davvero cosa… no, non servono giustificazioni. Ti ho tradita, e devo accettarne le conseguenze.”

“Mi hai tradita?”

Adrien trasalì. Nel tono di Marinette non lesse rabbia né tristezza o rancore. Solo pura e maliziosa ironia. 

“I-io… io….”

Ladybug premette un dito guantato sulle sue labbra. “Chaton” disse, e quella sua voce bassa e sensuale fece rabbrividire Adrien. Ma non la meritava, non…

“Ti ho mai detto che sei il gattino più adorabile, amabile, premuroso, dolce e sciocco che ci sia?”

Adrien trattenne il fiato. 

Marinette proseguì: “Certo, per quanto possa infastidirmi che tu abbia sognato di aver baciato un’altra, non mi sognerei mai, mai e poi mai di buttare all’aria tutta la nostra relazione, tutto quello che abbiamo costruito insieme, per uno stupido sogno.”
“M-ma tu non capisci, Marinette! Era così reale, e mi stava piacendo! La stavo baciando e non ho fatto nulla per impedirlo!”

Marinette sorrise dolcemente, scuotendo piano la testa, come chi ha l’aria di avere a che fare con un caso perso. “Chaton, per quanto possa sembrarti di avermi tradito, so che per te quel bacio non ha significato niente. Quanto meno per me non significa niente. Hai sognato di baciare - e di apprezzarlo - una ragazza senza volto che probabilmente è solo frutto del tuo subconscio. E quindi? Può capitare, non devi farne certo un affare di stato, gattino.”
“N-non ne sto facendo un affare di stato” ribatté lui, incrociando le braccia. Tuttavia, stava iniziando a sentire il peso che aveva sul petto da quella mattina, quando si era risvegliato, un poco più leggero. 

“Certo che sì, ma se credi che sia meglio lasciarci perché per me sarebbe impossibile perdonare un tale affronto…” propose, la testa adesso appoggiata sul petto di lui, mentre con le dita aveva iniziato a tracciare piccoli cerchi sulle sue cosce “forse davvero sarebbe meglio lasciarsi” aggiunse con tono provocatorio. 

“N-non credo sia necessario” disse allora lui, leggermente spiazzato. Marinette gli dette qualche secondo per farlo riprendere, poi si sporse ancora un po' di più verso di lui, fino ad arrivare a soli pochi centimetri dalle sue labbra. “Tuttavia, credo che potrei essere un po' offesa, perché una certa ragazza misteriosa ha ricevuto un tuo bacio, mentre io, oggi, ancora nessuno.”

Adrien allora si concesse un sorriso sornione, e oh, quanto le erano mancati quei sorrisi. Sentì due mani forti avvolgerle la vita, e una strana felicità le si schiuse nel petto quando, subito prima di baciarla, due labbra sussurrarono: “Allora forse sarà meglio rimediare.”

 

 

3. 

 

“Sono così contento” le mormorò Adrien tra i capelli. Marinette alzò la testa dal suo petto. 

“Perché non ti ho lasciato?”, rispose, con il sorriso sulle labbra. 

“Anche” disse lui. “Sono contento di averti nella mia vita.”

Marinette arricciò le labbra, tornando a poggiare la testa nell’incavo del suo collo. “Credo che tu sia l’unica persona al mondo che possa uscirsene con frasi del genere in maniera così naturale”. 

Lui sorrise, continuando ad accarezzarle la schiena. “Lo prendo come un complimento” rispose. 

Erano sdraiati sul divano in pelle bianca della camera di Adrien. Il pretesto era stato quello di vedere un film dopo una giornata piena di emozioni, ma entrambi sapevano che non lo avrebbe seguito nessuno, e quindi non si erano neanche presi la briga di sceglierne uno. Si stava così bene, stretti l’uno all’altra, l’unico rumore quello dei loro respiri e dei battiti del cuore. Marinette fece scivolare due mani intorno alla vita di Adrien. “Anch’io sono contenta di averti nella mia vita” sussurrò contro il tessuto della sua felpa. Adrien sentì il cuore mancare un battito. 

Con una mano sulla vita la portò un po' di più all’altezza del suo volto. Le lasciò una scia leggera di baci lungo la guancia, con una cadenza lenta e dolce. Marinette teneva gli occhi chiusi, e si catturò un labbro tra i denti quando una scia di brividi le attraversò tutto il corpo. E gemette di sorpresa quando Adrien, con un unico, silenzioso movimento, la fece scivolare sotto di lui. Avvertì la sua mano destra vagare su un fianco, e la sinistra scostarle i capelli dal volto. “Stavo pensando” le bisbigliò all’orecchio “che per cancellare definitivamente il mio tradimento onirico dovrei darti il bacio più bello del mondo. Così, per quanto mi possa essere piaciuto il bacio dell’altra ragazza, questo non potrà mai superare il tuo, a livello di perfezione”. 

Marinette ascoltò con gli occhi aperti e le ciglia spalancate, e al solo udire quelle parole le sembrò che il respiro si fosse fatto più corto. “C-credo che si potrebbe fare” farfugliò, le gote già incredibilmente rosse. 

Adrien sorrise audacemente, poi seppellì la testa nel collo di Marinette. “Innanzitutto, credo che il bacio perfetto debba essere preceduto da tutta una serie di piccoli baci a loro volta perfetti. Non trovi anche tu?”, mormorò con voce rauca. 

Quando avvertì il suo respiro sul collo, Marinette inarcò la schiena. “S-sì” riuscì a rispondere, ormai la testa da tutt’altra parte. Percepì le dita dei piedi arricciarsi nel momento in cui un primo bacio le sfiorò il lobo dell’orecchio. E il primo venne subito seguito da un secondo, e il secondo da un terzo e…

Al primo gemito di Marinette, Adrien non potè far altro che sorridere contro la sua pelle delicata. La consapevolezza che la causa di quel suono tanto incantevole fosse lui, insieme con le sue mani e le sue labbra, era una delle sensazioni più belle al mondo. Proseguì con la sua danza di baci, alternati a piccoli morsi innocenti. E quando Marinette percepì la lingua di Adrien percorrere tutto il profilo del suo collo inspirò fortemente ed emise un secondo, delizioso gemito. 

“Credi che questo possa avvicinarsi ad un prototipo di preliminare al bacio perfetto?”, le chiese allora, con tono malizioso. 

P-prototipo?”, rispose Marinette tra un respiro e l’altro. 

Adrien sorrise contro la sua pelle. Ne ispirò a fondo il profumo, poi sussurrò: “Converrai anche tu che la formula al bacio perfetto non si possa ottenere, così, al primo tentativo, ma che si debba provare” e la baciò di nuovo dietro l’orecchio “e provare” aggiunse, prima di prenderle il lobo tra i denti “e provare” concluse, baciando il punto che sapeva, oh, sapeva le avrebbe strappato un altro gemito. 

Marinette strinse con forza la sua spalla, alla quale si era aggrappata già da diversi minuti. Poi, un nuovo piccolo, dolce suono uscì dalle sue labbra di fata, e Adrien sorrise compiaciuto della sua previsione. Vedendolo sogghignare a quel modo, Marinette gli diede un leggero colpo al petto. “T-ti diverti per caso a prendermi in giro?”, gli chiese dopo vari secondi cercati a ritrovare l’uso della parola. Lui si rituffò nel suo collo, sfuggendo al suo sguardo. “Non lo farei mai, Milady. E lo sai.”

Lei alzò gli occhi al cielo. “So solo che mi stai usando come cavia per raggiungere un tuo appagamento personale” protestò. 

“E sarebbe?”, le domandò lui, continuando ad accarezzare senza alcuna pietà la sua vita, con movimenti lenti e concentrici.
“Sarebbe” rispose Marinette, cercando di riprendere un po' di contegno issandosi leggermente con le braccia “cancellare il tuo tradimento onirico e ottenere il totale perdono della tua ragazza.”

Adrien corrugò le ciglia. “La mia ragazza non mi ha ancora perdonato completamente?”, chiese in un sussurro. 

“Non se continui a ridere e sogghignare ogni volta che le strappi un gemito. Ecco, proprio come stai facendo adesso” disse, indicando con l’indice la sua espressione divertita. 

Adrien rispose: “In mia difesa, posso dire che i gemiti della mia ragazza sono davvero adorabili, e che è una vera e propria soddisfazione riuscire a strappargliene uno.”

Marinette arrossì, mollandogli un altro colpo sul petto. “Non credo sia giusto utilizzare i gemiti della tua ragazza come scusa per un comportamento così infantile” ribatté piccata, in un tono non molto convinto, a dire la verità. 

“Mmh” annuì Adrien, che ormai non le dava quasi più retta. Il suo odore e il calore del suo corpo erano troppo invitanti per perder tempo su questioni come quelle. Tornò a baciarla nonostante le sue deboli proteste, questa volta non più sul collo, però. Lambì tutta la superficie delle sue labbra morbide, in una serie di baci sempre più vogliosi, decisi. Trattenersi dal baciare ogni singolo angolo del suo corpo stava diventando sempre più difficile, soprattutto dal momento in cui anche lei aveva deciso di essere stanca di assistere passiva e di iniziare a contribuire direttamente all’elaborazione di quel primo prototipo. Fu Marinette questa volta a sogghignare, quando Adrien gemette al tocco gentile della lingua di lei. Schiuse di più la bocca per lasciarla entrare, e tremò quando l’avvertì, calda, bagnata, invitante, tutta e sola per lui. Ed entrambi ansimarono quando le loro lingue si incontrarono e si sfiorarono, e ormai nessuno dei due aveva più coscienza del mondo al di fuori dei loro corpi roventi. 

Soltanto più tardi, quando Marinette fu costretta ad alzarsi per andarsene, Adrien si sentì dire: “Non so a quali livelli di perfezione aspiravi, ma il bacio di oggi mi è sembrato di gran lunga un buon primo prototipo”. Un ghigno gli dipinse le labbra. Prendendole la vita tra le mani, e schioccandole un ultimo, tenerissimo bacio, Adrien rispose: “Anche a me è sembrato un buon punto di partenza. Ottimo, anzi” aggiunse fiero, ripercorrendo col pensiero i punti salienti delle ultime due ore. “Tuttavia” continuò “è indubbio il fatto che dobbiamo continuare ad esercitarci. Il modello di bacio più perfetto al mondo non può mica essere raggiunto in un solo pomeriggio.”

Marinette sorrise, scuotendo la testa. “Hai ragione, Chaton. Credo ci attenderanno pomeriggi molto, molto impegnativi.”

Lui la attirò in un abbraccio. “Dì pure tutta una vita”, sussurrò, dandole un leggero bacio sulla tempia. 

 

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Capitolo 12
*** Pull ***


Fruscio di coperte. 

Morbide coperte, soffici e bianche, come le piccole nuvole che punteggiano il cielo in un giorno di sole. 

Schiocco di labbra. 

Labbra dolci e calde, che danzano come leggiadre ballerine sul palco di un’opera. 

Labbra leggere come piume che piano - pianissimo - volteggiano nell’aria, avanti e indietro, come ad assaporarne ogni singolo scorcio. 

“Dovrei andarmene” sussurra Marinette. Stringe più forte le braccia contro Adrien, come se soltanto così potesse riuscire a sfuggire ai suoi obblighi e a rimanere lì, per sempre, nell’intreccio del suo corpo. 

“No” un mormorio basso e dolce le giunge alle orecchie, vanificando tutti i suoi sforzi. Come può anche solo pensare di poter resistere a quella voce così familiare e invitante, e a quel corpo tanto caldo e morbido?

Non può

Marinette sospira, allentando un poco la stretta intorno alle spalle di Adrien. 

Lui solleva la testa, piano. 

Le sue ciglia bionde riflettono gli ultimi raggi di sole che filtrano dalle finestre della stanza. 

“Ti prego” mormora ancora. “Ancora un po’."
Lei sorride, poi scuote la testa. 

“Devo proprio andare” ripete. Anche se solo Dio in cielo può immaginare lo sforzo che le costa abbandonare il calore del suo corpo e la morbidezza di quei capelli di seta dorata tra le dita. 

Adrien la ferma per i fianchi, facendole correre un brivido giù per la schiena. “Per favore” insiste, gli occhi verdi in cerca di un qualunque segno di incertezza nei suoi occhi, per prenderlo, giocarci, amplificarlo; costringerla a rimanere lì ancora un po’, forse un giorno o due. 

Fosse per sempre, Adrien non avrebbe nulla di che lamentarsi. 

Lei chiude le palpebre, sfuggendo al suo subdolo tentativo di farla restare. A tentoni, cerca le labbra sul viso di lui. Le regala un ultimo, dolcissimo bacio. Candido e sensuale. Poi fa leva sul suo petto per mettersi a sedere. 

Per un istante, avverte un leggero capogiro. Scuote la testa, e le passa tutto. Solo allora ricorda di non avere più la maglietta, persa in chissà quale meandro di quel letto enorme, tutto solo per loro due. 

Con una piccola torsione del busto si sporge oltre il corpo di Adrien per individuarla su quella distesa di coperte, ma nulla da fare. 

È allora che Adrien le lancia un sorrisetto malefico. 

“Dove l’hai messa?”, lo interroga Marinette, le braccia incrociate al petto a mo’ di intimidazione. Tuttavia, Adrien continua a sorridere, prendendola per la vita. 

Marinette si divincola dal tocco fermo delle sue mani, decisa a non dargliela vinta. Gli punta un dito sulle labbra, cercando di rompere quel ghigno che ancora le dipinge. 

Chaton, si può sapere dove hai lanciato la mia maglietta?”

Milady” mormora lui, in risposta, come se in quella singola parola si trovassero tutte le risposte ai suoi interrogativi. 

Adesso Marinette siede cavalcioni sul suo torso nudo, con le mani di lui ancora premute lungo i fianchi. Sono fresche e ruvide contro la pelle scoperta, e Marinette non può fare a meno di rabbrividire. 

Poi, senza che neanche se ne accorga, Adrien si è issato contro il suo orecchio. Le bacia prima il lobo, piano, poi le sussurra: “L’ho lanciata in un posto dove non potrai mai trovarla. Ergo,” aggiunge, e le ciglia di Marinette sfarfallano come le piume di un cigno che dispiega le ali “sarai costretta a rimanere sempre qui, insieme a me. Non vorrai mica affrontare le strade di Parigi mezza nuda”. 

“N-non sono mezza nuda” ribatte debolmente lei “ho ancora il reggiseno.”

“Mmh”. 

Eccolo, l’ennesimo mormorio che le risveglia tutte le farfalle nello stomaco. 

Solo dopo qualche secondo si rende conto di essere di nuovo avvolta tra le sue braccia, con la testa di Adrien contro i suoi capelli. 

“Sei incorreggibile”. 

“E tu hai un profumo buonissimo. E sei troppo morbida. E calda. Invitante”. 

Marinette avverte un rossore - che non si preoccupa di essere discreto - invaderle le guance. 

Lo stringe ancora una volta forte forte, e anche lei aspira il suo profumo buonissimo. 

Poi rivolge gli occhi verso sinistra, oltre le coperte. Nessuna traccia della sua maglia. Adrien avverte lo spostamento della sua testa, le le ghigna di nuovo contro l’orecchio. “Non la troverai mai.” 

Marinette sorride, ora è lei ad essere sadica. Porta le braccia al collo di lui, e riprende ad accarezzargli i capelli, proprio come stava facendo soltanto cinque minuti prima. 

Adrien geme leggermente sotto il tocco delle sue dita, tanto che Marinette crede che se fosse stato trasformato in Chat Noir avrebbe fatto le fusa. 

E Marinette adorava quanto Chat Noir faceva le fusa come effetto del suo tocco su di lui. 

Dopo qualche minuto passato a fargli credere di essersi arresa, e proprio mentre lui pare stia per addormentarsi sotto di lei, Marinette si scosta velocemente, afferra la felpa di Adrien e se la infila. Il tutto, in un lasso di tempo talmente fulmineo da far accorgere Adrien della sua fuga soltanto quando lei si appresta a raccogliere le scarpe dal pavimento e la borsetta caduta ai piedi della scrivania. 

Purtroppo, il poco vantaggio che Marinette credeva di avere su di lui viene subito riempito dai pochi, ampi movimenti di Adrien. E in due falcate è già lì, in piedi, che la intrappola prima che lei possa fuggire. 

“Non avevi detto di amarmi?”, le chiede col broncio. 

Lei appoggia la testa contro la sua spalla, ormai arresa. “Certo che ti amo, Chaton. Ma sai benissimo cosa succede se anche questa volta do buca ad Alya.”

Lui annuisce contro i capelli scuri di lei, sebbene ancora poco convinto. 

Marinette sente due braccia stringerle la schiena. Respira con forza l’odore della pelle di Adrien, come se questa potesse darle la carica per staccarsi da lui. 

“Dopo torni da me?”, chiede ancora, con la voce di un cucciolo ferito. 

Lei scuote la testa, rassegnata. “Adrien, se i miei genitori scoprissero che le ultime tre notti le ho passate qui da te… andrebbero su tutte le furie.”

Adrien sospira. “Allora vengo io da te.”

“Ma…” cerca di ribattere lei, prima di essere interrotta da un leggero bacio.  

“Niente ma” riprende Adrien. “Se non sei con me, non dormo bene.”

Ancora una fitta nel cuore di Marinette. “Davvero?”

“Mmh” annuisce lui, evitando il suo sguardo. 

“Non lo stai dicendo soltanto per farmi dire di sì?”

Adrien torna a poggiare gli occhi su du lei, d’improvviso molto serio in volto. “Lo sai che non ti dico mai bugie, Milady.”
Lei rotea gli occhi al cielo, per smorzare un po' la tensione. “E va bene” gli concede, e subito nota una scintilla illuminare i suoi occhi verdi. 

“Ora, però” aggiunge, alzandosi sulla punta dei piedi per scoccargli un leggero bacio sulle labbra, e poi un altro sull’angolo della bocca “devo veramente andare. Ci vediamo più tardi”. 

Lui sorride, sornione. Ha ottenuto quello che voleva, dopotutto. “A più tardi” le sussurra nell’orecchio, prima che lei sgusci via dalle sue braccia. 

A più tardi. 

Tre, innocenti paroline, cariche di significati suggestivi

Le risuonano ancora nella testa per qualche secondo, prima che possa comprendere a cosa alludano in realtà. Quindi, con la mano già poggiata sulla maniglia della porta e la sua - oh - la sua profumatissima felpa indosso, Marinette si volta e aggiunge: “Niente fantasie, Chaton. Stasera si dorme. E basta.”

E lui annuisce candidamente, come se quella fosse stata la sua idea per tutto il tempo. Marinette rotea ancora gli occhi verso il cielo, si volta e finalmente è libera di dedicarsi alla sua amica Alya. 

 

Non che le sarebbe dispiaciuto passare più tempo tra le braccia del suo ragazzo. 

Assolutamente

 

 

Convenevoli finali: 

Dopo quanto - due mesi? - torno finalmente ad aggiornare questa raccolta. Devo dire che mi era mancata molto ahah

Purtroppo ho deciso di pubblicare questa os che avevo già scritto da un po' di tempo perché questa settimana davvero non sono riuscita a scrivere il prossimo capitolo della long. Quindi mi dispiace per tutti coloro che stavano aspettando un mio aggiornamento dall’altra parte, ma spero anche questa piccola storia vi sia piaciuta xD

A presto,

Talitha <33

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Capitolo 13
*** Bibliothèque ***


Kissing prompt: A kiss that is leading to more, but is interrupted by a third party.

 

Marinette non dava segno di volersi fermare. E, Dio, Adrien stava letteralmente impazzendo. 

Ormai aveva perso il conto di quante volte le loro labbra si sono scontrate e assaporate nel silenzio della biblioteca della scuola. 

Erano quasi le sei, e se ne erano andati tutti a casa, ma c’era sempre il rischio di essere colti da qualcuno, e Adrien trovava la situazione al contempo pericolosa, ed… estremamente eccitante. 

E forse anche Marinette la pensava esattamente come lui, perché si stava stringendo con sempre più forza a lui, e lo baciava con talmente tanta passione, sulle labbra, sul collo, sul volto, dietro le orecchie. Sembrava che ogni bacio la lasciasse perennemente insoddisfatta, perché si ostinava a voler riprovare ancora e ancora e ancora. 

Adrien le posò le mani sulla vita, spingendola leggermente indietro. Era strano come in quella situazione fosse lui ad essere il più responsabile. Di solito era tutto il contrario. 

“Marinette”, protestò debolmente, tanto che lei non sembrò neanche accorgersene, continuando imperterrita a lambire con le sue labbra deliziose la pelle delicata del collo di Adrien. 

Adrien chiuse gli occhi, cercando di ignorare i brividi e il calore che si stava diffondendo in tutto il suo corpo a causa di quel singolo, meraviglioso contatto.  

M-Marinette?”, sussurrò ancora, prima di soffocare un gemito. Cercò di non concentrarsi sul tocco inebriante della lingua di lei sulla pelle. Dannazione. 

Sentì ancora Marinette aggrapparsi con forza con le mani al colletto della sua giacca, nel tentativo di spingerlo più vicino, e di forzarlo ad inclinare la testa nella giusta angolazione per lasciarle campo libero sul suo collo profumato. 

Adrien cercò di tornare con i piedi per terra, ma per quanto ci riuscisse gli sembrava impossibile, con Marinette che lo assaggiava quasi famelica, preda di non sapeva quale istinto. Non che a lui dispiacesse, certo. Solo, non nella biblioteca della scuola, con la schiena premuta contro gli scaffali di una libreria, e i loro gemiti e respiri affannati che risuonavano chiaramente in tutta la stanza enorme, e dove chiunque avrebbe potuto scoprirli con una facilità disarmante. 

Fu per questo che Adrien raccolse tutte le sue forze - e quante ne servirono - per non abbandonarsi al tocco di lei e spingerla indietro con un po' più di decisione. “Ehi, ehi”, le disse con dolcezza, mentre cercava con lo sguardo gli occhi di Marinette, che luccicavano nella luce soffusa della biblioteca pieni di confusione ed eccitazione. Oh, come resistere a quello sguardo blu cielo e - soprattutto - avido di baci. 

Adrien scosse la testa, sforzando di ricordarsi quello che doveva dirle. Il motivo per cui l’aveva fermata. Perché era un buon motivo, giusto? “Milady,” mormorò con voce rauca, accarezzandole piano la schiena, “abbiamo fatto tanto per non farci scoprire, e adesso offriamo al mondo l’occasione di sgamarci su un piatto d’argento”.

“M-ma… ma…”, farfugliò lei, il respiro ancora affannato. 

“Niente ‘ma’”, ridacchiò Adrien. “Ammetti soltanto di non riuscire a resistere alla mia bellezza e di morire ogni volta che mi vedi dalla voglia di baciarmi”, le sussurrò nell’orecchio, e sentì chiaramente Marinette ansimare e fare peso sulle sue braccia intrecciate ancora dietro alla vita per reggersi in piedi. Le gambe le tremavano. Adrien sogghignò. 

“È tutta colpa tua”, Marinette lo colpì con un pugnetto al petto. “Tua e di quella tua stupida colonia. Lo hai fatto apposta a metterla prima di venire a scuola. Ti diverti a torturarmi”, concluse, con un incantevole broncio disegnato sulle labbra. 

Adrien rise di gusto. “Potrei aver messo qualche goccia di colonia in più del solito per attirare la tua attenzione,” ammise, “ma non mi aspettavo certo di arrivare a questo”.

“Questo cosa?”, chiese Marinette con voce flautata. 

Adrien la guardò dritto negli occhi azzurri e luccicanti di malizia. “A te che mi salti addosso come una piovra affamata” mormorò. 

Marinette si morse un labbro, e la vista di quella carne dolce che si incurvava sotto la pressione leggera dei suoi denti annebbiò per un secondo la vista di Adrien. “Eppure sono sicura che mentiresti se dicessi che l’attacco della piovra non ti è piaciuto”, lo stuzzicò, intrecciandogli le dita dietro il collo, e inclinando la testa in un gesto di malcelato interesse verso la pelle bianca che si intravedeva sotto il colletto sgualcito della giacca. “E se dicessi che faresti di tutto per evitare un altro attacco”, sussurrò divertita, e con la testa si avvicinò pericolosamente a lui, tanto che Adrien fu in grado di percepire perfettamente il respiro caldo e ancora - o già? - affannato di Marinette contro di lui. Quella ragazza voleva veramente condurlo alla pazzia. 

“Marinette, potrebbero scoprirci da un momento all’altro”, fece notare ancora una volta, ma con così poca convinzione che Marinette rise di gusto. 

“O potremmo passare indisturbati un altro po' in questo posto deserto”, gli rispose lei. 

“Da quando sei così sventata?”

“Da quando tu sei così assennato?" 

Adrien ansimò. Marinette si divertiva a prendersi gioco di lui, e questo ormai doveva essergli ben chiaro. Eppure, non poteva impedirsi di pensare a quanto tutto quello fosse rischioso, perché se quella era la volta buona che qualcuno scopriva la loro relazione tutto sarebbe andato a rotoli. 

Questa volta furono le gambe di Adrien a tremare quando le labbra di Marinette si scontrarono di nuovo con la sua pelle. Adesso erano più delicate, calme, e presero ad assaporare con calma con qualunque mezzo a loro disposizione - ovvero tanti - ogni centimetro del collo di Adrien. 

Marinette si alzò in punta di piedi e si aggrappò alle sue spalle per avere una posizione più stabile. Adrien si morse le labbra per trattenere un gemito quando sentì le sue dita gentili accarezzargli i capelli e la lingua esperta lambire la sua pelle. Dopodiché, con suo grande - e inaspettato - disappunto, Adrien sentì Marinette indietreggiare leggermente il capo e rompere quel contatto da brividi. “Adrien, a cosa stai pensando?”, gli sussurrò nell’orecchio. “Sei così rigido, quando sto cercando solo di farti rilassare.”

E glielo chiede anche?

“Marinette, se qualcuno ci scoprisse…” ripetè per l’ennesima volta, e lei gli parve un po' scocciata di sentire ancora quelle parole, perché gli tappò la bocca nel modo più convincente e piacevole possibile. Adrien mugugnò di piacere e di sorpresa quando le loro labbra si scontrarono così inaspettatamente, e pensò quasi di sottrarsi a lei prima che Marinette gli sussurrò contro: “Baciami”, e allora Adrien si permise di lasciarsi andare al loro tocco. Da quell’istante, per molti, bellissimi istanti, Adrien non capì più nulla. Sentiva solo le mani e le labbra di Marinette su di lui, e non potè che ricambiare ogni singolo tocco e gemito di lei. 

Tempo e spazio si annullarono, così come qualsiasi altro elemento li circondasse, e rimasero solo loro due, insieme ad una grande quantità di baci, carezze, sussurri, sospiri e gemiti. 

E poi…

Una voce familiare giunse alle loro orecchie. Una voce fin troppo familiare. 

“Santo cielo, prendetevi una camera.”

Adrien sentì Marinette irrigidirsi all’istante contro di lui. Lui, dal canto suo, non osava alzare lo sguardo verso la persona che aveva parlato con tono caustico e divertito, e a cui Marinette dava le spalle.

“Sto parlando con voi due, sapete? Non credo ci siano altri spasimanti in questa stanza.”

A quel punto, Marinette si girò di scatto, rossa come un peperone. “Alya, posso spiegare!”

Alya rise di gusto, avvicinandosi trionfante verso di loro. “Ma come, Marinette, credevi che non lo sapessi già?”

“L-lo sapevi?”, questa volta fu Adrien a parlare, perché sentiva che Marinette era improvvisamente troppo sconvolta per proferire parola.  

Alya sogghignò. “Certo che sì. Potreste anche essere la coppia segreta più accorta del mondo, ma ad Alya Césaire non sfugge niente. E poi, conosco troppo bene Marinette. Mentre Adrien, come la maggior parte dei ragazzi innamorati, è stato estremamente facile da sgamare.”

Lui arrossì violentemente. “M-ma come… io…?” Strinse con forza la mano di Marinette. 

Lei ricambiò la sua stretta sudaticcia. 

Alya rivolse loro uno sguardo consapevole. “Tesoro, il modo in cui guardi Marinette la dice molto più lunga di quanto tu pensi.”
Adrien sentì Marinette morire di imbarazzo accanto a lui. 

“A-Alya, mi dispiace. Io… noi… volevamo tenerlo nascosto per un po’.”

“Per un po’, Marinette? Sono quasi tre mesi!”

Marinette era talmente agitata che Adrien era certo si sarebbe messa a piangere da un momento all’altro. Sapeva quanto Marinette avesse faticato a tenere nascosta la loro relazione anche ad Alya, e non perché non si fidasse di lei, ma perché non avrebbe voluto fare un torto alle altre sue amiche e compagni di classe. E poi, non sembrava arrivare mai il momento giusto. Soprattutto quando pensi sia arrivata l’ora di parlarne. 

Marinette fissò lo sguardo a terra, mentre stringeva ancora la mano di Adrien. Sapeva che se avesse parlato sarebbe scoppiata a piangere, per questo intervenne in suo aiuto. “Non è colpa di Marinette, Alya. È solo mia. Volevo soltanto che potessimo stare un po' in pace prima che tutto il mondo venisse a sapere che stavamo insieme, e… vedere se poteva funzionare prima di fare un casino.”
Alya alzò un sopracciglio. “Il modo in cui eravate avvinghiati fino a poco fa mi fa capire che le cose stiano funzionando.”

Adrien fece per parlare, ma non sapeva bene cosa rispondere. Accanto a lui, sentì Marinette tirare su col naso. 

Alya si avvicinò. “Andiamo, ragazza. Non c’è bisogno di piangere.” Marinette sussultò quando udì il tono della voce di Alya. Non era di rimprovero, e neanche di rancore. Ma dolce e… comprensivo?

“N-non sei arrabbiata?”, mormorò sottovoce Marinette, asciugandosi le lacrime con l’orlo della manica della felpa. 

“Certo che no”, rispose Alya, che si era avvicinata e adesso di trovava di fronte a Marinette. “Ecco, forse un po’. All’inizio. Quando ho capito che non me ne avresti parlato subito. E mi dispiace che vi abbia colto sul fatto. Non l’ho fatto apposta, ve lo giuro. Stavo aspettando che fosse Marinette a parlarmene.”
Marinette sussultò leggermente, ma Adrien, che la conosceva fin troppo bene, se ne accorse subito. 

Lasciò andare la mano di Marinette, che si gettò tra le braccia di Alya in un fascio di lacrime. “Mi dispiace, Alya! Ho sbagliato, avrei dovuto dirtelo subito! Ma non trovavo mai il momento, sono stata una codarda. Capisco se non mi vorrai mai più perdonare, anzi io stessa non mi perdonerei, e…”.

“Ma certo che ti perdono, sciocchina”, rise Alya, stringendola forte tra le braccia. 

Marinette indietreggiò. “Dici davvero?”, chiese incredula. Alya guardò prima lei e poi Adrien. 

“Certo”, rispose. “A patto che mi racconti tutto.” Adrien rabbrividì all’accento significativo che Alya aveva messo su quella parola. Alya sogghignò. “Ecco, forse non proprio tutto tutto, preferirei sorvolare sui dettagli di momenti come quello che ho interrotto.”
Entrambi arrossirono, e Alya prese loro le mani. Poi fece un saltino euforico. “Quanto siete adorabili!! Finalmente potremo fare quelle uscite a quattro che io e Marinette pianificavamo un po' di tempo fa”.

Adrien alzò le sopracciglia con un’espressione maliziosa stampata in volto. “Ah, sì?”, chiese guardando Marinette. 

Lei distolse subito lo sguardo, probabilmente maledicendo Alya per quella frase. Sapeva che Adrien l’avrebbe esasperata fino a che non avesse saputo ogni singolo dettaglio del periodo in cui lei aveva una smisurata crush per lui e organizzava suddette uscite a quattro con i loro amici. 

Alya rise ancora, e Adrien con lei, mentre Marinette diventava sempre più rossa e iniziò a protestare: “Smettetela di prendermi in giro, non è divertente!”

Trasalì dolcemente quando Adrien le circondò la vita con un braccio. Le stampò un bacio sulla guancia e la condusse verso il tavolo dove erano ancora sparpagliate le loro cose. 

“È ora di andare, si è fatto tardi”, le fece notare. 

Marinette annuì, ancora rossa in volto, e prese a sistemare i libri e i quaderni nella cartella e a riordinare il tavolo. 

Alya si ricordò improvvisamente il motivo per cui era andata in biblioteca alle sei e mezza di sera. “Vado a prendere il libro che ho dimenticato di là, torno subito”, esclamò, e solo quando furono di nuovo soli Marinette riuscì a tirare un sospiro di sollievo. 

Si girò a guardare Adrien che stava sistemando le penne nell’astuccio. “Forse avevi ragione, prima”, ammise con aria colpevole. 

“Quando stavo cercando di arrestare la mia piovra affamata?”

Marinette rise. “Esatto”, rispose. “Siamo stati fortunati, però. Era solo Alya.”

Adrien annuì. 

Marinette si fece improvvisamente silenziosa. 

“Spara”, le disse lui. 

“Cosa?”

“È evidente che hai ancora qualcosa da dire.”

Lei si morse il labbro. “Stavo pensando che, forse, non sarebbe male dirlo anche a qualcun altro. Tipo i miei genitori. Solo se sei d’accordo, però”.

Lui sorrise. “Certo che sono d’accordo. Perché non dovrei?”

Marinette fece per parlare ma venne interrotta dalla voce squillante di Alya. “Sto tornando, per cui levatevi le mani di dosso se avete approfittato di questo momento per riprendere da dove vi avevo interrotti!”

Marinette arrossì e Adrien rise, e allora Alya emerse da dietro gli scaffali della libreria. 

“Preso tutto?”, chiese Adrien rivolto a Marinette. 

Lei annuì, e Alya esclamò contenta: “Tutti a casa, allora!”

 

 

Convenevoli finali:

Sono stata ispirata da una lista di prompt su Tumblr, e dunque eccovi qui il risultato. Probabilmente ne utilizzerò qualcun altro in futuro, e non vedo l’ora di tutte le storie zuccherose che potrei scriverci su ahahah

 

Vi linko la lista: 

https://kashimalin-fanfiction.tumblr.com/post/178524845380/50-types-of-kisses-writing-prompts

 

A presto, 

Talitha <33

 

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