Ciò che si nasconde nell'ombra di Fenici_Bianche (/viewuser.php?uid=101312)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Incubi al chiarore di luna ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Odore di foglie e terra marce ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Le streghe dell'animo umano ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV: Ciò che si nasconde nell'ombra ***
Capitolo 5: *** Capitolo V: Fede nelle persone sbagliate ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI: Così è nelle mente, come fuori di me ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce ***
Capitolo 1 *** Capitolo I: Incubi al chiarore di luna ***
Ciò
che si nasconde nell’ombra
Capitolo
I: Incubi al chiarore di luna
Il
deserto del
vastissimo Paese del Vento poteva apparire lo stesso di ogni altra
sera. Il blu
della notte rivestiva le dune del contrasto argenteo con la luna piena.
Benché
fosse autunno, nel resto del mondo, soltanto le gocce di rugiada fra
gli aghi
dei cactus vischio bagnavano l’atmosfera. Ma su
quell’arida nazione aleggiava
uno spettro che non si era mai sopito.
Era
un alito di vento fresco,
quasi freddo, con un vago odore di terra umida e di foglie secche che
marcivano
nel fango. Arrivava da oriente, dai boschi caducifogli del Paese del
Fuoco, da
un tempo antico quanto i miti. Smuoveva l’atmosfera
solitamente immobile ed era
così inusuale da inabissare nelle tane, celate sotto un
oceano di sabbia, prede
e predatori. Erano abituati ai rigidi dettami di un habitat inospitale,
ma non
potevano nulla contro il potere dell’ignoto.
Sembrava
tutto
tranquillo, ma non lo era.
Gaara
della Sabbia
avvertiva quella stessa, irrazionale, sensazione. Attraversava la
nazione che
aveva giurato di proteggere il giorno in cui era diventato Kazekage del
Villaggio della Sabbia. Tuttavia, somigliava enormemente a quel bambino
che
aveva giurato di distruggere il mondo agli inizi della sua vita da
ninja.
Era
ritto, immobile.
Sul viso di cera si delineavano la pennellata sottile della bocca e il
contorno
delle occhiaie nerissime, le quali sagomavano lo sguardo azzurro,
spalancato,
privo di sfumature. Come la statua di un autorevole leader, quale lui
era,
Gaara era muto, era cieco ed era sordo tranne che per i suoi pensieri.
Rimestavano
sotto la chioma scarmigliata, simile a fiamma viva.
Uguale
calore avevano
le impressioni, gli incubi, che scivolavano ai lati
del suo sguardo. Si
contorcevano insieme alle lingue asciutte di sabbia da cui era
attorniato e sopra
cui viaggiava, slittando su un tappetto di sabbia che levitava a
qualche metro
di distanza dal terreno. L’aura azzurra di chakra, da cui il
suo fisico esile
era avvolto, luccicava, aderiva sopra quel materiale così
abbondante nel deserto
e lo plasmava secondo i suoi comandi, i quali venivano impartiti dal
pensiero
senza che la lingua dovesse pronunciare una parola.
Gaara
era fatto così:
conservava tutto dentro di sé e quel che fuoriusciva dalle
maglie strettissime
della concentrazione, lo tormentava con dubbi da cui era impossibile
fuggire. I
suoi fratelli, persino i suoi uomini, l’avrebbero intuito in
un attimo
osservando quell’incedere ondivago, la confusione mediante
cui muoveva di
scatto la sabbia sotto ai piedi cambiando traiettoria, pur non
palesando
nemmeno un sintomo d’incertezza.
Per
contrasto, i
pensieri del ninja più forte di tutta la nazione si
spostavano di poco. Ritornavano
al principio di quella notte uguale a tutte le altre. Alla luna piena
che aveva
ammirato fin dalla sua innocente, scellerata,
infanzia. Al freddo ferro
della ringhiera del balcone sotto le dita affusolate. A quella vaga
eccitazione
per la mattina successiva, dove avrebbe accolto il nuovo Hokage del
Villaggio
della Foglia e il suo seguito. Alla paura che le congratulazioni per la
nomina
sbandassero fuori dalle labbra senza controllo, tradendo la vergognosa
presenza
di un’emozione.
Gaara
era fatto così:
custodiva gelosamente quel suo piccolo mondo interiore. La sua gente
del
Villaggio della Sabbia, la sua nazione, la sua
splendida luna piena, lo
sapevano. Lo percepivano senza che lui dovesse pronunciarlo.
Per
questo, solo per
questo, la luna l’aveva informato. Comunicava con il Kazekage
in una lingua di
cui lui era l’unico conoscitore. Poteva avvisarlo mediante un
banale fascio di
luce verso le ombre della sera. Quell’uomo ancora
dall’aspetto di un adolescente
aveva colto il messaggio: aveva seguito i raggi argentei notando un
arabesco di
ombre strane. Erano formate da conformazioni rocciose, case e altri
oggetti di
cui non si era accorto per anni. All’inizio, Gaara della
Sabbia aveva quasi
creduto che quel corpo celeste volesse rallegrarlo prima che la paura
l’appesantisse.
Poi
aveva visto quel
profilo. Piedi, gambe, busto, braccia e mani
nell’oscurità. E un viso in
penombra, dal sorriso di un mostro.
Le
viscere gli erano
piombate addosso come se non gli fossero mai appartenute. Avvinghiate
in
un’improvvisa morsa di terrore, di turbamento, di sorpresa
senza gioia, gli
avevano frenato il respiro. Era rimasto così, irrigidito,
per un tempo
incalcolabile. Qualche goccia di sudore era scivolata giù
dalla fronte e lui si
era accorto di non aver sbattuto le palpebre da quando aveva iniziato a
fissare
quella forma. Con una fatica immane, degna
dell’utilizzo di una tecnica
estremamente potente, Gaara aveva serrato lo sguardo. Aveva respirato.
La
nausea l’aveva carpito. Un singhiozzo aveva scosso il nodo
alla gola. Poi, con
una calma prudente, aveva sbirciato le ombre dalle ciglia socchiuse.
Lui
non
c’era più. Come lo sapesse, come fosse stato in
grado di capirlo, non ne aveva
idea. Aveva fissato il villaggio attorno a sé e tutto gli
era sembrato, di
nuovo, normale: gli edifici sfiorati dalla carezza della luna, le
imponenti
mura naturali, circondanti il perimetro del villaggio, nel buio. I
ninja di
pattuglia sopra i tetti, uomini capaci di tramutarsi in ombre
artificiali che
si dileguavano nella luce naturale.
La
luna non aveva più
illuminato nulla del genere. Le ammonizioni erano sparite nei suoi
contorni da
palla di cristallo. Pareva quasi che il disagio del Kazekage fosse
derivato da
un innocuo scherzo dei sensi, dell’agitazione che albergava
in lui. Tuttavia,
Gaara non era uomo da ammettere le fragilità
dell’animo umano.
Era
partito,
occultando la sua presenza ai ninja di guardia, eludendo persino il
giro di
pattuglia dei fratelli. Li amava con tutto il suo cuore, eppure non
osava
rivelargli nulla.
Era,
semplicemente, fatto
così.
Là,
in solitudine,
immerso in quello smisurato mare di sabbia, Gaara assaporava quello
strano
odore di foresta putrescente e si domandava da dove arrivasse.
Più lo
inseguiva, più gli sfuggiva trasformandosi in un sentore che
sfiorava appena le
narici. Credette, davvero, che i suoi sensi stessero affrontando un
improvviso
stress fuori dalla sua comprensione. Ne ebbe paura: il cuore
rintoccò veloce
nel petto e, per un istante, dubitò di sé stesso
e dell’immagine che aveva
mantenuto così a lungo della sua persona. Stava per
arrendersi alla propria
debolezza.
Poi
quel mondo che
conosceva sin da bambino, sommerso dall’unico elemento che lo
avesse mai accolto
sin dalla nascita, comprese il delirio delle sue preoccupazioni. Come
un
genitore che avrebbe fatto di tutto per il suo unico figlio, il deserto
ebbe
compassione di lui.
Così
si sollevò,
mostrando ciò che si nascondeva nell’ombra, in
agguato.
In
principio, fu un
dardo di sabbia. Emerse dalla linea piatta del deserto, senza che
nessun evento
atmosferico l’avesse scatenato. Gaara non se ne accorse.
Intuì che stava
viaggiando per perforargli il cranio solo in quel lasso di tempo dove
chiunque
sarebbe morto senza via di scampo.
Filtrata
dall’adrenalina
inibitrice, il Kazekage scorse quella pallottola dalla traiettoria
netta e
precisa: era levigata in superficie, schizzava priva di incertezze.
L’accompagnava un fruscio asciutto e quell’odore
penetrante di cui Gaara aveva
un vago ricordo, per via di un viaggio diplomatico nel Paese del Fuoco
di pochi
mesi prima. Stava raggiungendo la punta del suo naso. Allora Gaara
sorrise. Uno
degli angoli si sollevò in una smorfia un poco crudele.
«Patetico»
un
lampo del passato attraversò quel sussurro inudibile, ma il
ninja seppe con
certezza che anche quel suo misterioso, inetto,
assalitore l’aveva
udito. La sabbia di Gaara s’issò
fra lui e il dardo. Fu il colpo
a morire al posto suo. Il Kazekage sentì il rumore del
pulviscolo che
evaporava, sfracellato contro una barriera più consistente
di esso. Le ciglia
gli fremettero: qualche granello si era insinuato ai lati del suo
sguardo, ma
non se ne curò.
Il
deserto fece
capolino da dietro la tenda di sabbia da cui era stato protetto. Si
aprì
mostrandogli una nuova calma assordante. Era sempre placida, era sempre
vuota,
tuttavia il ninja percepì chiaramente l’umiliazione.
«Io
che sono vivo
grazie alla sabbia… Ti aspettavi forse qualcosa di
diverso?»
Parlava
senza umore o
espressione Gaara, ma il suo sorriso era largo sulle labbra sottili.
Per la
prima volta, mosse un passo in avanti sul suo tappeto di sabbia.
«Sei
piuttosto
impreparato, o forse sei solo uno sciocco ragazzino… Chi
altri avrebbe sfidato Gaara
del Deserto?» la voce calò, ghiaccio
sopra l’arido paese di cui era il vero
signore. Era insolente, era indifferente.
Era
oltraggiosa per
chiunque si stesse prendendo gioco di lui a quel modo.
«Hai
risvegliato
qualcosa che non puoi controllare, moccioso.
Preparati a morire» ancora
una volta, Gaara percepì quell’istinto
primordiale, di cui tutti i ninja
leggendari erano dotati, sfarfallargli nello stomaco. Erano impulsi
totalmente
privi di logica, da cui traeva la consapevolezza di aver indovinato
qualcosa al
di là della sua comprensione.
Quella
sensazione gli
causò un altro moto di nausea, nonostante la sicurezza di
facciata e quel
sorriso di cui si era rivestito dopo tanto, troppo,
tempo. Non sembrava
nemmeno che il suo sussurro fosse rivolto al nemico
nell’ombra, tanto era
sfuggito al suo controllo naturalmente: un fiume che scorreva verso il
mare
ignorando gli ostacoli sul tracciato. Euforia e timore si mescolarono
in gola.
Poi
sentì la sabbia tremare
sotto ai suoi piedi e il fremito nelle viscere si trasformò
in una tenaglia.
Gaara soffocò un singhiozzo di nausea, gli occhi spalancati
su un panorama che
sobbalzava con lui.
Cosa
diavolo…
Si
rese conto di tutto
in un lampo: di quel puzzo che gli inacidiva le narici, dei brividi da
cui era
scosso il suo cuore e le sue budella. Della sabbia che gli stava
invadendo
bocca e occhi, trasformandolo in un cieco a cui mancavano gli altri
sensi, se
non quello del dolore.
Un
vento strano, con
quell’odore nauseabondo, sfuocava il cielo con la sabbia
mutandolo in
acquitrino, da mare cristallino qual era. Gaara
s’inginocchiò sul suo tappeto
di sabbia e lo sentì molle attorno alle gambe,
perché si stava trasformando in
un bozzolo protettivo che non voleva, ma che derivava da quella sua
sensazione
di panico. La sabbia sapeva soltanto difenderlo, d’altronde.
E
divorarmi…
Gaara
non riuscì più a
trattenere il vomito. Mentre assisteva a quel corpo che buttava fuori
tutta
l’ansia e la fatica che non sapeva di aver conservato fino a
quel momento, udì
il boato con cui il deserto stava sfogando la propria frustrazione: una
tempesta di sabbia!
«Cosa…
ho… liberato?»
Il
Kazekage percepì,
per la prima volta, una sensazione bagnata sulle guance, ma fu per
qualche
breve istante: furono prosciugate proprio come i resti del suo stomaco.
Sentiva
ben poche cose, a parte la sabbia che lo stava, lentamente,
sommergendo: l’assordante
impazzimento del cuore, l’acido in bocca, l’assenza
d’aria nei polmoni. Eppure,
avvertiva uno strano piacere nella carezza familiare del suo elemento,
anche se lo disgustava più d’ogni altra cosa.
Io
voglio… voglio
andarmene!
Con
furia tentò di
governare l’unica cosa che l’avesse sempre
ascoltato, ma essa continuò nella
sua opera: turbinava nel vento e lo inabissava, sotto un oceano di
sabbia.
Allora capì. Comprese.
La
scarica elettrica
dell’adrenalina lo scosse molto prima che udisse quella
voce.
«Non
hai liberato
nulla, Kazekage… Sei solo tornato alla tua natura, di chi sa
uccidere e lo fa
per vivere… Cosa ci sarebbe di più
importante?»
«No,
tu sei… sei
un’illusione… Qualcuno che vuole
ferirmi!» Gaara aveva perso la propria
apparenza, scioltasi alla fiamma di una candela: quel viso di cera
gocciolava
di sudore e lacrime testarde, che non si erano fatte opprimere dalla
stretta
della sabbia. Ma non riusciva a rialzarsi in piedi: fissava la sabbia
con cui
venivano trascinati i suoi polsi più a fondo, le dita che
sfioravano l’ombra di
quel misterioso, diabolico, avversario.
Per
chi sono i miei
pensieri?
Solo
poche riflessioni
baluginavano nel pensiero avvinto dai sensi. Gli pareva di scorgere
braccia di
donna nelle lingue sabbiose da cui era avvolto. Il contorno delicato di
un
abbraccio di cui non poteva avere memoria.
«Perché…
perché mi fai
questo?» Masticò
impastato di sabbia, dolore e serenità
stomachevole: la mancanza d’aria stava togliendo il suo
spirito dal corpo. Era
sprofondato a terra, in quella culla arida di cui conosceva la
conformazione,
ma da cui non poteva trarre alcun calore.
Fu
con enorme fatica
che scorse i contorni di due gambe che si chinavano vicino a lui. Ma
quel
sorriso di mostro, no, non l’avrebbe mai dimenticato. Gli
parlava e lo metteva
di fronte alla realtà, a ciò che si era nascosto
nell’ombra e non l’aveva mai
abbandonato. Deglutì il boccone graffiante della sabbia e
della saliva e quasi
soffocò, disgustato e intorpidito.
Lui
semplicemente
parlò.
«Perché
mi odi come
il giorno in cui mi hai visto allo specchio, ma io non so che farmene
di un
sentimento tanto inutile: per me c’è solo
amore… L’amore infinito che provo per
te.»
Il
Kazekage della
Sabbia trasalì prima di svenire. L’ultima emozione
fu quella di un criminale
che aveva condannato anche le persone a lui care con le sue azioni.
Gaara
della Sabbia, il
bambino che era sopravvissuto per morire per mano della sua maschera
d’adulto,
sorrise senza gioia: non l’aveva mai incontrata nel corso
della sua breve
esistenza.
«Bene…
Ora che ho
fatto tutto quanto in mio potere… Che il mondo conosca il
male che mi ha fatto.»
Quel
deserto che
l’aveva tanto servito e, forse, amato, si svelò a
quel bambino, rinchiudendo il
Kazekage in una prigione di vento e sabbia. Così gli occhi
del Gaara che era
stato poterono scorgere il profilo blu e dorato del Paese del Vento,
oscurato
dalla tempesta che avanzava con lui.
Si
dirigeva verso la
figura alta delle pareti di roccia da cui il Villaggio della Sabbia era
circondato.
Continua
nel Capitolo II: Odore di foglie e terra marce
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Capitolo 2 *** Capitolo II: Odore di foglie e terra marce ***
Capitolo
II: Odore di foglie e terra marce
Gli
abitanti del Villaggio della
Sabbia avevano compreso che una tempesta stava arrivando. Abituati
com’erano al
deserto, dentro cui erano maturati come cactus sulle rocce impervie,
l’avevano
riconosciuta immediatamente grazie a quell’improvviso cambio
di pressione che
aveva scaldato l’aria sulle braccia nude, a quel tocco
graffiante delle
particelle di sabbia sulle narici.
Quando
avevano scorto l’orizzonte
limpido macchiarsi di una linea di foschia, avevano afferrato di colpo
la
gravità della situazione: restavano poche ore prima che la
tempesta si
riversasse all’interno della conca naturale dove sorgeva il
villaggio,
riempiendola di polvere e morte.
Per
questo, i ninja erano corsi
dai consiglieri del villaggio, perché impartissero gli
ordini necessari a
creare una barriera di chakra che contrastasse l’avanzata
della sabbia per
mettere in salvo i civili: Baki li comandava con il pugno di ferro,
controllando che nemmeno una persona fosse lasciata senza aiuto. Anche
i deboli
che, un tempo, avrebbe disprezzato.
Per
questo, i due fratelli
maggiori del Kazekage avevano raggiunto la sua Residenza in fretta, per
buttarlo giù dal letto, domandandosi come fosse possibile
che l’uomo in grado
di percepire ogni minima variazione del deserto, non avesse ancora
intuito il
pericolo.
Proprio
per questo, quel letto intonso
di fronte agli occhi di Temari e Kankurō apparve una minaccia
più grande della
distruzione che si annunciava alle loro porte.
Lo
rimirarono come se Gaara fosse
là, addormentato, e gli angoli piegati del lenzuolo,
sgualciti dal vento che si
stava alzando, stessero sfiorando quel viso emaciato, da malato, oppure
quelle
braccia sottili che risaltavano dentro le tuniche ampie di cui spesso
si
rivestiva.
La
stessa stoffa che Temari aveva
visto ciondolare, quella sera, dai polsi del Kazekage mentre strisciava
le mani
tremanti sulla fronte solcata da uno strano sudore freddo. Le parve di
rivederlo
là, quel suo piccolo e pestifero fratello, il terzo uomo da
cui avrebbe sempre
tratto una marea di guai, eppure che non poteva smettere di amare con
tutta sé
stessa.
Percepì
quella fortissima
commozione avvinghiarle il petto in quell’istante. Il
rimpianto la costrinse a
mordersi il labbro inferiore, unico lusso che potesse concedersi.
Kankurō
rifiutò persino quella
magrissima consolazione. «Temari, cosa
facciamo?» la sorella
maggiore non avrebbe saputo cosa rispondere a quella voce prosciugata
di
qualunque sfumatura, una maschera coprente come la pittura tradizionale
che il
fratello si cospargeva sul viso. Il ninja la scrutava senza realmente
vederla
con quegli occhi marrone scuro e i suoi vestiti neri parevano indossati
da una
delle sue marionette, tanto era impercettibile il movimento del
respiro.
Temari
deglutì a vuoto, ma si
riprese dal suo confinamento mentale ritornando a quel vento da cui i
loro
abiti venivano strattonati, sempre più forte e fragoroso, a
quell’urgenza che
li aveva sospinti nell’unica tana in cui credevano vi fosse
rifugio e che, tuttavia,
li aveva traditi. D’improvviso, si accorse di uno strano
sentore di cui la
camera di Gaara era pervasa: un odore marcescente, da cui rievocava
ricordi che
acuivano quella tremenda sensazione di rimpianto.
Allora
indossò la sua apparenza
indifferente, perché calzasse con quella del familiare con
cui aveva convissuto
sin da quando aveva memoria.
«Quello
per cui siamo stati
addestrati, Kankurō. Proteggiamo il
villaggio.» la voce con cui gli
rispose, fredda, la ferì. Poteva percepire
quell’inconfondibile sapore ferroso sulla
lingua, anche se non aveva perso nemmeno una goccia di sangue.
L’odore
putrescente li inseguì
mentre partivano senza emettere un suono, come ombre quali erano.
Così
giunse la tempesta. Temari e
Kankurō ebbero il tempo d’informare il consiglio della
scomparsa del loro
leader. Furono in grado di partecipare alla preparazione della barriera
di
chakra che avrebbe protetto l’abitato. Si erano mossi per
tempo, ignorando la
paura in cui le loro viscere erano state attanagliate e la frenesia
dell’animo.
Avevano fatto tutto quanto in loro potere, prima che la tempesta li
raggiungesse.
In
principio, nessuno di loro
volle dubitare su quanto conoscessero del deserto e sui suoi fenomeni
atmosferici.
Quella
mareggiata arida bussò
forte contro la barriera innalzata. Picchiò così
tanto da costringere i ninja
specializzati nel controllo del chakra a darsi cambi repentini per
mantenere la
protezione. Alcuni vennero tolti di peso dal loro compito, con le
labbra
semiaperte da cui fiottava un rivolo di sangue, per via della fatica, o
con gli
occhi rivolti in alto, in procinto di svenire. Nonostante fossero
segnali
bizzarri, gli abitanti del villaggio continuavano a riporre una fiducia
incondizionata nell’operato dei ninja.
Dalla
loro parte, dopotutto,
avevano il sangue dell’attuale Kazekage
e di quello precedente: Temari e
Kankurō erano due copie dei loro genitori e, sebbene avessero ben poche
similitudini con il fratello minore, lavoravano senza sosta esattamente
come
lui. Temari planava sopra il suo ventaglio d’acciaio, le mani
e le pieghe dello
strumento macchiate di sangue per evocare a sé i fedeli
kamatari, le bestie
abili nell’uso del chakra con cui aveva stretto un patto
tanti anni prima.
A
terra, il fratello più piccolo
guizzava da una parte all’altra del villaggio, le marionette
seguivano i suoi
comandi condotte dall’esperienza di una vita, cercando
chiunque non si fosse
reso conto del pericolo e conducendolo verso un rifugio sicuro.
Erano
la perfetta sintesi della
sicurezza che gli abitanti del villaggio avevano ricevuto in tutti
quegli anni.
Non potevano, in alcun modo, dubitare di loro.
Non
lo sapevano. Non potevano
intuirlo in alcun modo: le maschere dei due giovani, una composta di
pittura e
l’altra di pura forza di volontà, erano un
miraggio dietro cui non risiedeva
un’oasi di pace, ma il deserto, arido e ricolmo dei suoi
pericoli.
Temari
aveva sospettato che
Kankurō avesse afferrato qualcosa, tuttavia sapeva
di essere l’unica a
cui quell’odore terribile avesse richiamato un pozzo senza
fondo di ricordi. Il
sangue le copriva la pelle delle braccia e la carne lacerata bruciava a
contatto
con l’aria contro cui sferzava volando sul suo ventaglio, ma lei
non era più
nel suo corpo da tempo immemore. Vedeva il fondo di quella
caduta libera,
una luce rivelatoria o ingannevole che fosse.
Quest’odore
insopportabile… sa di
foglie e terra marce.
Quella
strana riflessione,
affiorata dal subconscio, la stordì peggio del dolore o
della concentrazione.
Riportava il suo sguardo acquamarina indietro, a quel passato da cui
sperava d’essersi
allontanata per sempre, ma che tornava a tormentarla.
Non
si era accorta che la tempesta
di sabbia l’aveva capito. Uno stridio
sospetto crebbe sopra di lei e,
imprigionata com’era nei suoi pensieri, Temari scorse a
malapena qualche
granello di sabbia centellinare dal soffitto della barriera.
La
donna era completamente avvinta
da quel viaggio dove era di nuovo una bambina dal viso
d’ingenua spavalderia e
si perdeva in quegli sprazzi di sensazioni passate: percepiva il caldo
sole di
una stagione sempre uguale a sé stessa, la pelle sudata
dentro i vestiti
leggeri e avviluppata in un alone di straordinaria
caparbietà, in cui ogni
bambino si sarebbe sentito capace di conquistare il mondo…
Sulla
luce in fondo al pozzo della
memoria si delineò una figura in ombra e lei la
braccò con l’ostinazione tipica
dell’età infantile, desiderando
l’ebbrezza di un’avventura che le avrebbe
permesso di ottenere le adulazioni dei suoi insegnanti e le occhiate
orgogliose
del padre…
Proprio
mentre quella penombra
ingannevole si dissolveva rivelandole il corpicino mingherlino di un
bambino,
la kunoichi si rese conto che non c’era acqua sul fondo: era
il riflesso della
pietra ad averla ingannata così facilmente.
Gaara?!
Lo
stesso fratellino che aveva
sperato di abbracciare nei suoi pensieri. Gli stessi capelli rossi, lo
stesso
incarnato cianotico, le stesse mani dalle dita smilze. Il sorriso di un
mostro
sulle labbra sottili. La paura le strinse le viscere. Dalle
profondità dei
ricordi, trasse una voce distante, l’ancora di salvezza per
quando quel suo
piccolo, diabolico, fratello aveva
cercato di sfidare il suo
diritto alla sopravvivenza. Rammentava persino le mani nodose della sua
balia
che le accarezzavano i capelli scomposti, ordinando le sue paure e
gettandoci
sopra un fascio di speranza.
«Vedrai,
piccola Temari… Arriverà
il vento di foglie e terra marcia e so lo porterà
via… Non dovremo più avere
niente a che fare con quel…»
Poi,
con un assordante rumore di
vetri in frantumi, la barriera di chakra si spezzò. Polvere
e morte si
riversarono nella tana che Gaara, Temari e Kankurō avevano giurato di
proteggere. La kunoichi serrò lo sguardo. Non ebbe il tempo
di fare alcunché.
Allora
è vero…
Il
pensiero le crollo addosso così
come la sabbia. Avvertì il peso della sua stretta mortale
sui polmoni. Vide
l’oscurità arida della polvere che le entrava
negli occhi spalancati.
Boccheggiava, il suono gracchiante dei suoi ansimi le riempì
le orecchie. Ai
limiti del suo sguardo rifulsero tanti punti di luce accecanti,
dove le
parve di scorgere il viso devastato di Kankurō.
Si
rese conto della propria
superficialità.
«Sorellona!»
L’urlo
del fratello era un velo
leggero, inghiottito dal rombo secco della sabbia. Temari ci si
aggrappò come
un’ancora di salvezza, cercando disperatamente la forza di
reagire. Il sangue
ardeva sulle sue braccia e richiamava a sé i kamatari, li
guidava verso il
punto in cui quel turbinio la stava trascinando, sempre più in
basso,
lontana dal suo elemento.
Vide
quelle povere creature che la
tallonavano, che tentavano di perforare il pulviscolo consistente come
una
parete di roccia per seguirla ovunque stesse andando. Eppure, quella
tempesta
aveva una sua volontà, più forte e terribile di
un banale patto di sangue.
Temari non si stupì quando vide i kamatari avvinti dalle
correnti di quel
mulinello asciutto, quando rimirò le nuvole di fumo che
producevano poco prima
di sparire, rompendo il legame con lei per sopravvivere. Anche lei,
dopotutto,
aveva temuto che una persona a lei vicina le strappasse la vita.
«Gaara…
cosa ti ho fatto
fratellino?»
Il
senso di colpa morì nella tosse
e così la kunoichi concluse il volo nella bufera.
Precipitò per terra
inghiottendo terra e pulviscolo. Non riuscì nemmeno a
sentire l’impatto, tanto
il suo istinto era proteso verso quell’ossigeno assente
nell’atmosfera.
È
tutto inutile…
S’accasciò
sul terreno, non
riuscendo nemmeno a piangere: la sabbia la stava prosciugando del
tutto.
Rombava imperterrita attorno a lei, impedendole di capire quanta
distruzione stesse
portando alla sua casa. Alla sua gente.
Avrei
dovuto…
Avrei dovuto fare di più per tutti voi.
I
respiri di Temari si erano fatti
brevi e pieni di sabbia. Gli occhi stavano perdendo
vitalità. Proprio quando
stava per cedere a ciò che si celava oltre
l’oscurità, il passato riemerse ancora,
ma questa volta per confortarla.
Sarebbe
stato bello vedere con te
l’alba… mio pezzo di cuore…
Quasi
rise di fronte a quel
pensiero. Immaginò il viso appuntito dell’uomo che
amava, i suoi occhi dal
taglio allungato e quei suoi capelli neri e cespugliosi. Le sembrava
proprio di
osservarlo là, con lei, mentre la metteva seduta con le sue
braccia all’apparenza
gracili, che nonostante tutto erano in grado di farla sentire accolta
come sotto
una coperta. Odorava persino l’inconfondibile gusto di
sigaretta su per le
narici e quella sua voce secca, disperata, che
rimbombava nelle sue
orecchie con un suono ovattato.
Già…
Mi sarebbe piaciuto vedere
quel cespuglio di capelli sulla testa di un bambino…
Temari bofonchiò una risata. Non riusciva nemmeno ad alzare
il braccio per
accarezzare la guancia un po’ bagnata del miraggio da cui era
tratta in salvo.
Poi,
quel ragazzo dagli occhi neri
e acuti d’una volpe premette le labbra dal sapore di fumo
sulla bocca di
Temari, immettendole nuova aria in circolo. Lei inarcò la
schiena,
esterrefatta. Il cuore batté più forte:
l’uomo stava premendo le mani contro il
suo petto, donando un nuovo ritmo vitale all’organo che
minacciava di fermarsi.
Temari allargò gli occhi. Non si era accorta di essere
tornata alla realtà.
S’issò
a sedere e il mondo prese a
girarle intorno.
«Stupida!
Stai giù!»
eccolo là, Shikamaru, di fianco a lei! Gli occhi verde acqua
di Temari lo
fissavano senza vederlo per davvero. Avvertiva soltanto la stretta
delle sue
mani calde contro la pelle fredda delle braccia e la forza con cui la
ristendeva di nuovo per terra. Qualcosa luccicava agli angoli degli
occhi di
quello scemo.
«Dannazione,
Temari! Kankurō ci ha
detto tutto, volevi suicidarti?!»
Kankurō?!
La domanda del ragazzo passò in secondo piano. Temari si
rialzò appoggiandosi
sui gomiti, ignorando le proteste di Shikamaru. La testa stava
smettendo di
girarle e, adesso, squadrava la situazione meglio di prima.
La
tempesta di sabbia infuriava
ancora, ma non era più con loro. Batteva
ferocemente di nuovo contro una
barriera di chakra, su cui si stendeva continuando a oscurare il
villaggio.
Eppure, il riverbero bluastro del chakra le permise di distinguere
chiaramente
le case e gli abitanti del villaggio, tutti liberi dal giogo del
terribile fenomeno
atmosferico.
«Cosa…
Cosa è successo?»
chiese di rimando a Shikamaru, ma prima che lui aprisse bocca per
rimproverarla, una voce attrasse la sua attenzione. «Santo
cielo, Temari!»
ora che il frastuono della tempesta era attutito, la donna
poté udire i passi
rapidi e la voce conosciuta di qualcun altro.
«Ino…»
era davvero la kunoichi del
Villaggio della Foglia quella che li raggiunse ai limitari del
perimetro della
barriera, anche se quest’ultima stentò a
riconoscere la donna del Villaggio
della Sabbia: la sorella del Quinto Kazekage giaceva con i capelli
biondo
sabbia stravolti dal vento. Screpolature s’affacciavano sulle
labbra e sul viso
bianco come un lenzuolo. Il vestito nero era stracciato mostrando
lividi su
gambe e braccia. Il petto le si alzava tremante, come se stesse
reimparando a
respirare normalmente. Una vena si chiuse nella testa di Ino e
fissò il
compagno di team irritata.
«Shikamaru,
sei uno scemo! Dovevi
chiamarmi immediatamente!» sbottò infine,
spostando vigorosamente il ragazzo e
accostandosi di fianco alla donna convalescente, le mani protese
all’altezza
del suo cuore. Un velo di chakra le cinse i palmi, stillando energia
guaritrice
sull’incavo del seno di Temari fino al resto del corpo.
La
donna prese un profondo
respiro, gemendo: aria e sangue circolavano veloci e,
d’improvviso, sentì le
forze che le tornavano. «Mi… mi sono distratto»
il pigolio di Shikamaru
era così tenero che Temari non
resistette: cercò la sua mano a tentoni e
la strinse forte. Riconobbe immediatamente il callo sul pollice
derivato
dall’accendino. Lui contraccambiò la presa e le si
accostò vicino, le guance
rosa d’imbarazzo e altre emozioni difficili da distinguere.
«Abbi
pazienza, Ino… Credeva che
gli sarei morta di fronte» la ragazza sbuffò, ma
non osò dire null’altro. Lei e
Shikamaru capivano benissimo cosa si provasse di fronte a una persona
cara sul
punto di morire.
Restarono
in silenzio per qualche
istante, offrendo il tempo a Temari di ritornare pienamente in
sé. Poi l’aiutarono
ad alzarsi e si misero in cammino verso il centro di comando
improvvisato dove
Baki, Kankurō e il Sesto Hokage del Villaggio della Foglia discutevano
animosamente.
«La
tempesta ci ha preso due ore
dopo che ci eravamo accampati: stavo facendo il mio turno di guardia
quando ho
visto una strana linea scura all’orizzonte, ma quel furbone
di Shikamaru non mi
voleva dare retta!»
«Che
seccatura che sei, Ino…» replicò
l’uomo accostando Temari più vicino a
sé, le guance rosa d’imbarazzo. Per tutta
risposta, la kunoichi del Villaggio della Sabbia non poteva smettere di
sogghignare: conosceva bene quel ragazzo dall’espressione
perennemente stanca e
i continui battibecchi che lui e la sua compagna di team si
rivolgevano. Trovava
divertente il modo in cui reagiva a una banale presa in giro e, se
fosse stato
per lei, l’avrebbe fatto ogni giorno della sua vita.
Se
solo fossi così audace anche
con te, fratellino…
Quell’abbraccio
non dato ritornò
vivido per ferirla con la propria fragilità. Questa volta,
fu lei a stringersi
di più a Shikamaru, appigliandosi al suo fianco con forza.
Lui capì, o
quantomeno colse cosa si celava dietro quella sua occhiata assente. Sei
sempre troppo abile nel capire cosa mi passi per la testa… Pensò
Temari
avvertendo le dita dell’uomo che le accarezzavano le spalle,
donandole un
minimo sollievo.
Tuttavia,
la sensazione sparì
quasi subito in puro imbarazzo quando la donna scorse lo sguardo
sornione di
Ino da cui erano osservati con molta attenzione.
«Insomma,
morale della favola: il
Sesto Hokage ci passa vicino, capisce che io ho ragione e ci ordina di
correre
qui ad aiutarvi! Abbiamo dovuto attraversare una dozzina di chilometri
dentro
una bolla di chakra» «Questo vuol dire che il
Villaggio della Sabbia è
circondato dalla tempesta?» Temari era grata che Ino non
avesse infierito con
una delle sue battute. Le piaceva prenderli in giro, ma la kunoichi
della
Foglia aveva carpito che la sofferenza dell’altra non era
dovuta soltanto a
quell’incontro ravvicinato con la morte. Il suo sguardo era
un mare smosso,
dove fra le onde scure si sollevavano più dubbi che pensieri.
«Proprio
così, anche se è un po’
strano: abbiamo studiato il clima del Paese del Vento per prepararci
alla
traversata nel deserto e questo non doveva essere periodo di
tempeste… Credo
che l’Hokage sappia qualcosa e abbia voluto parlarne
immediatamente con tuo
fratello e quel vecchiaccio dalle labbra secche.»
«Dannazione,
Ino! Riesci a stare
seria per un momento?» Shikamaru roteò gli occhi,
ma non ebbe la forza d’insistere:
tutt’attorno a loro osservavano i danni che la scarsa
presenza della tempesta
aveva causato al villaggio. Brandelli di parete cadevano dai bordi
degli edifici.
Ninja medico correvano fra le vie del villaggio, trasportando barelle
con i feriti,
oppure cullando in braccio bambini dagli sguardi atterriti, su cui
gocciolavano
rivoli di sangue freschi. Era del tutto comprensibile che la sua amica
cercasse
di distrarsi da quella situazione che rievocava la distruzione della
guerra.
Anche
tu… anche tu cerchi di
sfuggire a qualcosa, eh ragazza tosta?
Shikamaru
la scrutava in quei
frangenti in cui lei non ci avrebbe badato, rimirando quei suoi capelli
tendenti
al riccio e desiderando di accarezzarli con le dita. Si limitava a
sorreggere
quell’anima che pareva sul punto di andare in pezzi in ogni
momento e ripensava
all’Hokage, a quello sguardo nero e impenetrabile con cui li
aveva guidati sino
a lì, scagliando una sfilza di fulmini viola contro il vento
e la sabbia,
sparendo fra le spire della bufera per uscirne più serio e
scuro in volto.
Hokage…
cos’hai visto nell’ombra?
Domande
a cui, presto, avrebbe
dato una risposta.
La
prossimità del quartier
generale di fortuna fu preannunciata da una certa confusione e da urla
ben poco
piacevoli. «Kankurō!» esclamò Temari
liberandosi improvvisamente dalla stretta
e correndo verso il luogo di provenienza delle grida, ancora celato
dalla
figura di un edificio. «Aspetta Temari!» Shikamaru
la raggiunse immediatamente,
ma la donna sembrava che si fosse ripresa del tutto.
«Ehi,
aspettatemi!» sentirono
entrambi Ino distante come se fosse stata spinta via lontano, a
centinaia di
chilometri. Di fronte a loro, Temari e Shikamaru assistettero a
qualcosa che
non si sarebbero mai aspettati. La bocca della donna reagì
d’impulso a quella
scena, rimbrottando contro l’unica persona su cui avesse una
qualche sorta d’influenza.
«Cosa
diavolo stai facendo Kankurō?!»
il suo fratello di mezzo, il suo scontroso
fratellino, era ritto, con
fili di chakra che s’allungavano dalle sue dita per
manipolare il corpo
artificiale di Sasori, la marionetta. Questa
molleggiava a mezz’aria in
attesa degli ordini del suo padrone, mentre tutt’attorno a
essi si ergeva un
muro concentrico di ninja della Foglia pronti ad attaccare, con i
kunai,
shuriken, spille e pergamene impregnate di chakra ben alte di fronte a
loro.
Con
l’istinto forgiato dall’addestramento
ninja, Temari estrasse una pergamena simile alle altre. Da essa si
riprese il
ventaglio che aveva perso nella tempesta, dopo aver formato con le mani
i
sigilli necessari al richiamo del suo strumento. Lo aprì,
pronta a scuoterlo
nel caso qualcuno avesse tentato di far del male al fratello.
Se
ha evocato Sasori significa che la situazione è
peggio di quanto sembra…
Il
ragionamento di Temari venne
interrotto dalla voce violenta del fratello, ancora graffiante per via
della
sabbia in gola.
«Non
capisci, Temari! Quel pallone
gonfiato ci sta… sta offendendo la
nostra gente e oltraggia il nostro
Kazekage!» la kunoichi non comprese subito.
Setacciò il gruppo di persone
ammassate ai confini della scena per incrociare Baki. Lo
notò fra un gruppo di
ninja della Sabbia che stavano puntando le armi, a loro volta, contro
il gruppo
di ninja della Foglia che minacciava Kankurō.
Poi
lo vide. Il Sesto Hokage del
Villaggio della Foglia stava ritto di fronte a Kankurō, come la statua
di un
autorevole leader qual era. I capelli argentei scintillavano anche
nella
penombra causata dalla tempesta e sulla faccia, nascosta per
metà dalla
mascherina fino al naso, spiccavano gli occhi nero pece.
Uno
sguardo intenso e pericoloso,
rivolto a lei.
«’sera
Temari. Potresti
dire con il tuo… fratellino di
smettersela, prima che si faccia male?»
le parlò con tono cortese, fin troppo per il modo in cui i
suoi muscoli erano tesi
e la sua espressione affilata come una lama. Temari deglutì
a vuoto, pur allentando
la posizione di guardia.
«Non
dargli ascolto! Questo traditore
cerca volontariamente di minare l’alleanza fra di
noi e la Foglia! Ha osato…»
«Ha
detto che c’è Gaara dietro
tutto questo?»
La
domanda di Temari zampillò da
lei come se non l’avesse mai pronunciata. Era una cascata che
precipitava
ghiacciata su tutto il manipolo in tensione, cogliendoli di sorpresa.
La
fissarono tutti quanti spiazzati. Le loro armi si abbassarono. Persino
Baki, il
suo indecifrabile maestro, le rivolse un’occhiata frastornata.
L’unico
che continuò a fissarla
privo del benché minimo cedimento fu l’Hokage. Le
si avvicinò a passi lenti,
mostrandole un improvviso interesse. «Posso chiederti come
fai a saperlo, Temari
della Sabbia?» c’era una strana forma di
rispetto in quella richiesta, la
stessa attenzione con cui aveva visto l’Hokage rivolgersi a
Gaara in tanti
incontri diplomatici. Per un attimo, la turbò.
Avvertì
a malapena la presenza di
Shikamaru e Ino al suo fianco, probabilmente rimasti indietro per non
animare
ulteriormente quegli istanti di tensione. Le dita di Shikamaru le
sfiorarono
inavvertitamente il braccio. Allora si riprese.
«Perché
le mie preghiere sono
state esaudite, Hokage»
deglutì ancora, sabbia e l’odore di terra e
foglie marce le inondarono il palato. «Cosa intendi
dire?» l’Hokage aveva quasi
uno sguardo lucente. La luna fece capolino da quella foschia perenne e
dorata.
«La
strega dell’est… Nocnitsa è
venuto a prenderlo.»
Continua
nel Capitolo III: Le streghe dell’animo umano
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Capitolo 3 *** Capitolo III: Le streghe dell'animo umano ***
Capitolo III: Le streghe
dell’animo umano
“Era
iniziato tutto… come un gioco.”
Fuori
infuriava la tempesta di sabbia sulla barriera di chakra.
Dall’epicentro del
villaggio s’alzavano rumori di crolli sparsi, circondati da
urla, pianti e
ansimi. Le case, simili a vasi di terracotta, non contenevano
null’altro che
silenzio. Il seme della paura abitava lontano da loro, sulle bocche
aride dei
civili, attraversate da screpolature allo stesso modo delle mura
esterne degli
edifici. Era bastato così poco per disperderli, un banale
assaggio di un
fenomeno atmosferico a cui avrebbero dovuto essere
preparati!
Eppure,
i ninja della Sabbia e della Foglia non riuscivano a preoccuparsi della
realtà
da cui erano ghermiti, da un nemico di cui stentavano a individuare la
vera
forma, dispersa nel buio del vento e della sabbia. I loro occhi erano
rivolti a
Temari, ma non soltanto sulla sua figura asciutta, simile a una delle
pieghe
dei suoi ventagli d’acciaio, né sul suo viso in
cui gli occhi guardavano in
basso, proprio dove tutti loro giungevano infine: alle mani sporche di
terriccio, il quale si era conficcato sotto le sue unghie.
Alla
pergamena umida e consunta che la donna teneva in mano e che aveva
nascosto,
tanto tempo prima, nel vaso di uno dei cactus di Gaara.
“Un
gymnocalycium… Era un regalo di suo
zio…”
Ino
non sapeva che importanza avesse l’uomo nella storia di
Temari, ma intuiva lo
legasse lo stesso filo con cui aveva delineato il suo racconto: di
paura e
leggende che sarebbero dovute rimanere tali. La prova del mito era in
quelle
lettere scolorite, impresse sulla carta col sangue.
Nocnitsa,
in pegno il mio sangue e quello del mostro di cui mi dovrai liberare.
La
finzione era divenuta realtà. Esattamente come i suoi
colleghi e alleati,
disposti in cerchio attorno alla sorella del Kazekage, Ino
ascoltò, capì. Vide
quei sentimenti sulle facce degli altri. Non doveva usare la sua
abilità innata
per afferrare ciò che si nascondeva oltre la superficie
immacolata dei ninja.
C’era
Shikamaru con la sua sigaretta ormai prossima a consumargli i
polpastrelli.
Aveva quello sguardo nero e intenso di chi analizzasse un fenomeno per
la prima
volta, cogliendone con freddezza gli aspetti più inconsueti.
Il cuore di Ino le
si fermò in gola: l’attraversò
l’improvviso desiderio di abbracciarlo e riuscì
solo a contrastarlo pensando che avrebbe voluto fare la stessa cosa per
Temari.
Quella donna affranta che parlava e scriveva una storia su cui veniva
gettata
un’altra prospettiva.
Anche
se non lo conosceva così bene come il suo compagno di team,
o la donna per cui
lui restava immobile senza rivelare un singulto d’emozione,
Ino avrebbe
volentieri offerto un abbraccio a Kankurō. A quel ragazzo che per amore
di
entrambi i suoi fratelli si dilaniava nel pensiero. Ino intuiva la
vastità dei
suoi sentimenti senza dovergli leggere la mente. Ne aveva visti a
centinaia di
volti come il suo, durante la Quarta Guerra Mondiale dei Ninja.
Il
ragazzo soffriva in silenzio e la sua pittura si crepava, mostrando un
volto
umano.
“Non
fui capace di soddisfare la seconda metà del
patto… Qualcuno deve avere
provveduto al posto mio.”
Temari
srotolò il fondo della pergamena e videro una
novità in mezzo al passato:
macchie di sangue più vivide, sferzate poco prima che la
formula sul foglio
volgesse alla fine. Sangue per evocare una creatura mitica, di cui
nessuno di
loro aveva conoscenza.
“Una
strega che si nutre del passato per rubare il futuro.”
A
quel punto, Kakashi si risvegliò da quell’ascolto
intento. Il Sesto Hokage
aveva uno sguardo strano, greve. Ino se lo sentì addosso e
le sembrò che un
peso le fosse caduto sulle spalle. Come il racconto. Come i visi
attoniti dei
presenti. Come la tempesta che tentava di conficcare i suoi artigli nei
loro
polmoni.
Ino
maledisse la sua abilità di poter entrare nella mente degli
altri, di poter
proiettare la sua in loro impossessandosi di ricordi ed emozioni,
avendo il
potere di plasmarli a suo piacimento. I suoi occhi azzurri si
tramutarono in un
vetro privo di riflessi.
“Mostraglielo.”
L’ex
maestro della sua migliore amica glielo comandò con calma,
persino con una vaga
nota di dolcezza, se non per lei almeno perché sapeva quanto
potesse essere
difficile realizzare il suo ordine. Ino fece un cenno
d’assenso. Con un
profondo sospiro, dal suo corpo scacciò le congetture e
incertezze. Restava
solo il suo animo che viveva seguendo il ritmo del cuore: placido,
meccanico.
Vuoto.
Mentre
alzava le mani per formare quasi una cornice attorno al volto
dell’Hokage, Ino
aprì la mente e chiese che i presenti entrassero in simbiosi
col suo respiro,
in modo tale da poter scorgere i ricordi dell’Hokage insieme
a lei. Il mormorio
delle loro coscienze s’introdusse nella sua percezione delle
cose, ma Ino
continuava a specchiarsi nello sguardo al centro del sigillo della
tecnica
segreta del clan Yamanaka, nero e stanco. Leggeva quanto vi si
disvelava e
tutto le sembrava lontanissimo e chiaro come un mattino dal cielo
terso. Lo
stesso che vide nei ricordi di Kakashi.
Erano
gli occhi azzurri, privi di qualunque sfumatura, di Gaara. Due globi
inespressivi dentro un cranio su cui si stendeva pelle tirata, quasi
appassita.
Ino analizzò il suo aspetto smorto con la
serenità tipica di quello stato dove
la conduceva la tecnica segreta del suo clan, in cui i sentimenti e le
emozioni
non prevalevano su quelli del suo ospite. Era più semplice
non perdere il
controllo dell’arte magica, era più facile
assistere al corpo inerte del
Kazekage che ordinava alla tempesta di muoversi grazie al chakra da cui
era
ricoperto. Ma lui non era altro che un involucro di pelle che
alimentava qualcun
altro.
Poi
un lampo violaceo attraversò i lineamenti di Gaara. Oltre al
rumore assordante
della tempesta avvertì un crepitio simile a un tuono, la
nuova tecnica creata
dall’Hokage in sostituzione del suo Taglio del Fulmine. Il
fasciò di luce viola
scoppiettò nelle mani del leader della Foglia di quelle
memorie. Guizzò rapido
verso il ragazzo immobile e Ino constatò semplicemente che
sarebbe morto, priva
di alcuna inflessione del suo cuore.
Dovette
ricredersi all’apparizione di una mano da dietro la schiena
di Gaara. La mano
minuscola di un bambino.
“Un
attacco patetico… Hokage.”
Sabbia
si erse a proteggere il suo padrone dal fiasco sulle sue spalle.
L’Elettricità
Viola fu assimilata nel flusso bruno di sabbia.
Persino
in quello stato di distacco totale da sé stessa, Ino
avvertì uno strano moto di
sorpresa all’altezza del petto. Confusa, si chiese se le
appartenesse o fosse
soltanto una reminiscenza delle emozioni provate dall’Hokage
di fronte a quella
scena. Avvertiva qualcosa di identico ai limitari della sua
consapevolezza,
quel rumorio di fondo prodotto da tutti i ninja che rivivevano, con
lei, quella
memoria.
Il
piccolo Gaara del Deserto non si curò di ciò che
aveva scatenato il suo arrivo.
Incastonato in un ricordo dove niente lo poteva toccare, il bambino si
mostrò
baldanzoso, con il sorriso di un mostro. Le pupille erano due spilli
all’interno delle cornee.
A
Ino sembrò di scorgere un riflesso rubino in esse, ma
era… bizzarro.
Un’aura strana circondava quel passato che aveva ripreso
forma nel presente:
sembrava una candida aureola di rami secchi su cui poggiava della
brina, ma che
odorava di foglie e terra marce. Un’onda di sabbia si mosse
contro la
percezione passata dell’Hokage. Ino comprese che lo
spettacolo si stava
concludendo.
L’Hokage
si ritirò dalla sua mente e la kunoichi serrò la
propria coscienza agli altri
ninja. Espirò rumorosamente, incapace di pronunciare una
parola. Le narici
bruciavano e nella sua mente ritornavano lei e tutte le sue
sfaccettature.
Sperimentò la paura l’incredulità, la
rabbia, l’impotenza e un’altra enorme
mescolanza di emozioni tutte insieme. Crollò a terra, senza
più forze per
sostenere quell’improvviso ritorno alla realtà.
Un
ninja della Foglia le si avvicinò per cercare di aiutarla a
rialzarsi. Lo vide
attraverso una patina accecante, ancora avvinta da quel viaggio breve,
ma
vivido. Appena chiuse le palpebre per riprendere contatto con il mondo
da cui era
assalita, rivide Gaara di fronte a lei. Quel corpo non era altro che
un’impronta del ragazzo di cui aveva intravisto qualche
attimo in quegli anni
di pace. Le ricordò enormemente quel ragazzino di cui aveva
avuto paura durante
l’esame di selezione dei chūnin, quando era troppo piccola
per contenere
null’altro che fosse il suo mondo interiore. Il cuore le si
strinse in una
morsa, ma essa fu soverchiata da un panico opprimente.
Quando
riaprì gli occhi, vide Kankurō che scattava verso
l’Hokage, con Sasori al
fianco. Sbiancò. Istintivamente, mosse le dita per catturare
Kankurō
all’interno della sua tecnica, sfondando le barriere mentali
compromesse
dall’ira dell’uomo.
Percepì
ancora di sbieco le urla sorprese dei ninja attorno a lei, il movimento
rapido
dei membri della Foglia che correvano a proteggere l’Hokage.
Lei e Kankurō
erano in mezzo a quella commozione, ma la loro battaglia si trovava da tutt’altra
parte.
Ino
s’era intrufolata nella mente di Kankurō. Tentò di
arginarlo più che poté. Frenò
il suo attacco e impose la propria volontà sopra la furia
del ninja. Ma era
stanca, sfibrata dal viaggio mentale appena concluso, in cui aveva
portato con
sé tutti loro.
Kankurō
straripò oltre il limitare che aveva eretto per
controllarlo. Ino annaspò e
quasi non rammentò più chi fosse: era sommersa in
un abisso infinito dove
esisteva solo Kankurō e ciò che viveva in lui, talmente
oscuro da farle perdere
ogni punto di riferimento.
Così…
morirò!
L’istinto
la costrinse a tornare nel suo corpo per riemergere in sé
stessa. Inspirò a
pieni polmoni un sorso d’aria e il ninja che le era rimasto
al fianco trasalì.
Di nuovo, la kunoichi dovette riacquistare il controllo del suo corpo:
l’aria
sopra la pelle. Il sapore granuloso della sabbia fra i denti. Il suono
ovattato
della tempesta.
L’odore
pungente di quella strega di cui avevano scoperto
l’esistenza. La vista di
Kankurō trattenuto dai ninja della Foglia, a pochi centimetri di
distanza
dall’Hokage.
A
qualcosa sono servita…
Ironizzò,
ma uno strato di lacrime le solcava le guance. Un rio di sangue
scivolava dal
naso sul labbro superiore. Sapeva di ferro e sale, di anni interi che
le erano
stati rovesciati addosso con un ecosistema di pensieri e sentimenti
fittissimo.
Ino non osava immaginare cosa stesse attraversando Temari.
Senza
che lei lo vedesse, Shikamaru scrutò per un po’ la
sua compagna di team. Fissò
poi il leader della Foglia che puntava gli occhi su Kankurō, privo di
pentimento. Era un’arma tesa e pronta a colpire, avrebbe
potuto dire affilata.
La sua Temari si ostinava a osservare il terreno,
quasi fosse
un’estranea.
A
che gioco stai giocando, capo? Pensò
Shikamaru scrollando la cenere da una sigaretta ormai consumata del
tutto.
“Bastardo…
Hai cercato di ucciderlo!” Kankurō sibilò e la sua
voce era uno spillo che ebbe
il potere di ferirli tutti. Persino i ninja che lo trattenevano
sembrò
allentassero la presa su di lui e Sasori. Non c’era
granché che potesse celare
l’evidenza.
Tuttavia,
il bersaglio di quelle parole non mostrò d’esserne
rimasto colpito. “Sapevo che
non l’avrei preso: ho abbastanza stima del Kazekage da sapere
che non si
sarebbe lasciato sorprendere da un colpo tanto prevedibile…
ma non posso
escludere che, di qui a poco, sia necessario che la mia
Elettricità Viola vada
a segno.”
Le
parole dell’Hokage avevano inizialmente placato Kankurō,
però quanto disse dopo
una breve pausa lo riportarono a una rinnovata aggressività.
I ninja della
Foglia furono costretti a stringere la presa su di lui, in particolare
sulla
gola e sugli avambracci, in modo che non gli fosse possibile manovrare
la sua
marionetta, scatenando le proteste dei ninja della Sabbia. Si
precipitarono
attorno al cerchio formato da Kankurō e i ninja della Foglia. Era come
se
fossero rinvenuti da un sogno a occhi aperti.
“Hokage…
ordini ai suoi uomini di darsi una calmata o dovrete vedervela con noi!
È con
uno dei villaggi più potenti del continente che state
trattando!” Baki
intervenne, nonostante avesse rivelato qualcosa di profondamente
spiacevole nel
modo in cui aveva articolato la propria minaccia.
Ino
si rialzò in piedi, tremante. Il ninja la sostenne fino a
quando non fu in
grado di restare in quella posizione da sola. I suoi occhi azzurri
erano fermi
su Temari con ancora in mano il pezzo di carta, stretto nel pugno
sporco di
terra. Il cactus era appoggiato su una roccia vicino a lei.
L’aveva estratto
lasciando le radici completamente intatte.
“Per
quel che mi riguarda, c’è una sola decisione
possibile in questa situazione,
Consigliere: il Kazekage ha scatenato un pandemonio fuori di qui, io e
i miei
ninja abbiamo dovuto dare fondo a tutte le nostre energie per
raggiungervi…”
“E
questo sarebbe un valido motivo per ammazzarlo?!” La voce di
Kankurō era
spezzata dalla stretta al collo, anche se Ino si accorse di un
minuscolo
cambiamento nella sua postura: le dita di una mano si erano ritorte in
un modo
strano. Sembrava che stessero manipolando qualcosa…
L’Hokage
continuò a fissare Kankurō senza il minimo mutamento
nell’atteggiamento
indifferente. “Non eravamo molto lontani dal confine col
Fuoco quando siamo
stati sorpresi dalla tempesta. Fra un paio d’ore sono certo
che l’oltrepasserà.
Sakura e gli altri non sono preparati a questa
possibilità.”
“Sakura?!”
la sorpresa brecciò l’ira del fratello del
Kazekage. I suoi occhi
s’allargarono. Le dita smisero, per una manciata di secondi,
di muoversi. Ino
capì al volo.
No,
Kankurō…
Tentò
di parlare, ma la gola le bruciava enormemente. Era come se una sorta
di
collegamento empatico la vincolasse ancora al ninja della Sabbia,
perché si
afferrò il collo tossendo in preda alla mancanza di fiato.
Qualcuno si voltò
verso di lei, il ninja al suo fianco le diede qualche pacca sulla palla
domandandole
come si sentisse. Tuttavia, Ino sapeva distinguere con precisione lo
sguardo di
Shikamaru su di lei da tutti gli altri.
Ti
prego… fai qualcosa!
Lo
implorò mentalmente, sperando che l’amico avesse
capito cosa stesse per fare
Kankurō. Invece, udì che la discussione stava continuando
come se nulla fosse.
“Sì,
Kankurō… non siete l’unico villaggio che protegge
i confini della propria
nazione” replicò l’Hokage con freddezza,
lanciando un’occhiata di sbieco a
Temari. Era immobile, ancora seduta sulla roccia con a fianco il
cactus. Le
mani stringevano la pergamena e gli occhi erano serrati su una miriade
di
possibilità. Pareva quasi che il leader della Foglia fosse
deluso da qualcosa.
“È
comunque una soluzione estrema quella che propone, Hokage! Possiamo
pensare a
un altro piano per liberare il Kazekage dal controllo di
questa… strega”
blaterò Baki facendo un cenno ai ninja della Sabbia
perché mantenessero alte le
armi. I suoi sottoposti non emisero un suono mentre svolgevano
l’ordine. La
loro aura minacciosa lambiva i confini della percezione degli alleati
della
Foglia. La tensione cresceva e picchiava le loro speranze
più ottimistiche.
“Con
una tempesta che minaccia di distruggere la barriera che abbiamo
creato, da un
momento all’altro? Non ho intenzione di far scontare a degli
innocenti la
nostra mancanza di prontezza.”
“Allora
hai già deciso che deve pagare Gaara per
tutti?!” era la prima volta che
il fratello chiamava per nome il leader della Sabbia. Ino
rabbrividì sentendo
nuove lacrime emergere ai lati del suo sguardo. Le scacciò
via notando quanto
quel grido di Kankurō avesse turbato sua sorella: era china su
sé stessa, le
spalle avevano ceduto e fremevano, quasi fossero percosse. La mano
della donna
s’accostò al ventaglio di fianco a lei, dalla
parte opposta del cactus.
L’Hokage
non si rendeva conto di nulla, o probabilmente non voleva farlo. In
ogni caso,
aveva già deciso che le loro reazioni non gli sarebbero
importate.
“Credo
che tuo fratello abbia già fatto abbastanza per meritarselo,
non pensi?” quelle
parole colpirono peggio di un’arma. Le disse con calma, con
una lentezza calcolata.
Li
sconvolse tutti. Kankurō si era immobilizzato, pietrificato.
Persino
Baki trasalì come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno
viso.
Gli
unici che non vennero intaccati furono Shikamaru, Temari e Ino. Uno
fissava il
suo leader come se avesse messo a fuoco la soluzione di un enigma.
L’altra
aveva riaperto gli occhi, pur non distogliendoli da terra. La sua mano
aveva
agguantato le pieghe acuminate del ventaglio, tralasciando la ferita
che si era
causata alle dita per averlo stretto troppo.
L’ultima
rimuginava e rimuginava, mordendosi le labbra: era di nuovo
nell’universo di
Kakashi e in quello di Kankurō. Era di nuovo sé stessa e
rielaborava ogni cosa
aveva osservato in loro, frenetica e col cuore impazzito. Riusciva solo
a
pensare a Gaara e ai suoi occhi vacui.
Si
era completamente dimenticata degli indizi che Kankurō aveva lasciato
intravedere.
Per
questo, sobbalzò quando dalla schiena di Sasori affiorarono
le lame. Kankurō
aveva trovato il modo di comandare la marionetta pur senza liberarsi! I
ninja
attorno a essa furono colti alla sprovvista. Alcuni erano riusciti a
sfuggire
in tempo, privi di ferite.
Altri
avevano subito il taglio delle lame. Urlarono: il sangue
schizzò dalle loro
braccia e dal busto, dove i vestiti erano stati strappati. Quelli che
trattenevano Kankurō rimasero storditi.
Bastò
perché il ninja della Sabbia ottenesse quanto desiderava. La
presa sui suoi
avambracci perse forza, abbastanza da permettergli di usare meglio i
fili di
chakra. Un fiotto di fiamme partì dalla schiena di Sasori,
inducendo chi stava
vicino alla marionetta a scappare via, tranne Kankurō. Se ne resero
conto
troppo tardi.
Le
fiamme scaldarono l’ambiente sfiorando i vestiti del fratello
di Gaara senza
intaccarli. Anche Kakashi rimaneva immobile, con le braccia conserte
come
un’aperta sfida al ragazzo. Lui non si fece attendere.
Scattò
verso il Sesto Hokage con il pugno pronto a colpirlo. Sasori si era
accostato
al suo fianco, con le lame puntate sull’obiettivo.
“No!”
Ino
raspò, senza forze per contrastare di nuovo
l’offensiva di Kankurō. Gli altri
ninja erano storditi quanto lei. Shikamaru restava immobile. Il suo
intuito
aveva già individuato cosa sarebbe accaduto, senza bisogno
di assistervi.
Quando
Temari balzò contro Kankurō, fu l’unico a non
restarne sorpreso. La kunoichi
della sabbia s’avventò col ventaglio contro il
fratello. Lui ricevette il colpo
prima di capire da chi fosse partito. L’impugnatura del
ventaglio lo colpì alla
spalla, la parte alta fra le mani di Temari. Fu sbalzato indietro
dall’urto.
Gridò
di dolore mentre cadeva a terra. Strisciò il braccio e la
gamba scorticandoseli
a dovere. Ino lo percepì sulla sua pelle: il collegamento
empatico stentava a
sparire. Agguantò il braccio saldamente, serrando i denti
per via di
quell’improvvisa fitta di dolore.
Temari
fissò la nuvola di polvere che si era alzata
dall’atterraggio del fratello. Lo
scrutò con lo sguardo duro mentre si rialzava e la osservava
sconvolto, quasi
la donna che conosceva fosse controllata da qualcun altro. Lei non si
mosse. Fra
le sue dita scorrevano fiotti di sangue come fili di ragnatela.
“Non
osare mai più mancare di rispetto ai nostri alleati in
questo modo” Kankurō non
fu l’unico a rimanere spiazzato: i suoi colleghi della Sabbia
erano sbalorditi
che la sorella del Kazekage avesse rivolto quelle parole proprio al
fratello. I
ninja della Foglia, però, erano ancora tesi, preoccupati che
la donna stesse
preparando loro una trappola. Il loro leader pareva di
un’opinione totalmente
diversa: i suoi muscoli si erano rilassati.
“Temari…
quel pallone gonfiato…” “Non importa
quello che ha fatto o detto: noi della
Sabbia siamo dei ninja” Temari intervenne prima che
il fratello concludesse
la sua invettiva. Parlò con una voce glaciale, completamente
distaccata
dall’immagine di quella donna che aveva raccontato una colpa
di gioventù con il
cuore in mille pezzi. Lo ferì peggio di quel colpo che gli
aveva inflitto.
Ino
trattenne il respiro. Si avvicinò al compagno di team a
passi lenti, le gambe
stavano smettendo in quel momento di tremarle. Lui la vide arrivare e
le passò
un braccio attorno alla schiena. “Tutto a posto?”
le chiese continuando a
fissare la scena di fronte a sé, dove Kankurō si era
rialzato da terra e si
risistemava, abbandonando Sasori a fianco di una roccia. Sul profilo
delle
labbra s’appoggiava già una nuova sigaretta.
Questo convinse Ino che la
tensione stava scemando. Ne fu rincuorata.
“Sì,
sono solo preoccupata per te: quella ti rimette a posto nel giro di
mezzora…”
blaterò abbozzando una risata priva di gioia. Sentiva il
cuore pesante, anche
se non c’entrava niente, anche se non era lei quella kunoichi
della Sabbia che
indossava la maschera del ninja e puntava l’Hokage con quegli
occhi
inespressivi. Deglutì a vuoto.
Shikamaru
scrollò le spalle. “Forse non ce ne
sarà bisogno” le rispose ed era talmente
vago da preoccuparla e incuriosirla. Stava per domandargli cosa gli
passasse
per la testa, quando la voce di Temari la catturò.
“A
nome del Kazekage chiedo scusa per quanto è accaduto. Errori
simili non si
ripeteranno né da parte nostra, né da parte dei
nostri ninja. Il Villaggio
della Sabbia rispetta l’alleanza con il vostro
villaggio” Sentenziò con
intensità la kunoichi, la voce alta e chiara in modo che la
sentissero tutti
quanti. I ninja della foglia erano guardinghi: i loro sguardi
viaggiavano da
lei al Sesto Hokage.
Poi,
si rilassarono quando videro il loro leader scrollare le spalle.
“Scuse
accettate” mormorò stiracchiando i muscoli
intorpiditi. Questo convinse
definitivamente i suoi sottoposti: deposero le armi nelle fodere,
limitandosi a
fissarli. Kankurō si era seduto, in disparte: si stava togliendo con un
panno i
rimasugli di pittura dal volto.
Temari
inspirò a fondo. “Hokage, ha ragione a temere per
l’incolumità del nostro
villaggio, è la priorità anche per tutti
noi… Per questo non vogliamo altro che
il nostro Kazekage torni a guidarci.”
Sì,
coraggio Temari!
Ino
la incitò mentalmente, staccandosi da Shikamaru. Non
riusciva ancora a
comprendere perché l’Hokage avesse scelto di
atteggiarsi con così tanta durezza
nei confronti dei due fratelli di Gaara. Il fatto che la donna stesse
riprendendo il comando della situazione la riempiva di speranza.
“E
come pensavate di riprendervi il Kazekage? L’ultima volta che
l’ho visto non mi
sembrava nel pieno delle sue facoltà. Senza contare che
quello che ho detto al
tuo maestro e a tuo fratello resta invariato”
ribatté l’Hokage.
Oh
no…
Ino
comprendeva il punto di vista dell’Hokage, però
era disperata all’idea che
potesse essere l’unico praticabile. Si arrovellava,
setacciando ogni anfratto
della sua mente alla ricerca di una soluzione praticabile.
Pensò e pensò, fino
al momento in cui incrociò gli occhi di Temari, che si erano
fermati su di lei
da chissà quanto tempo.
Una
scarica d’energia la travolse. Le illuminò il
viso, schiarendo il buio della
sua angoscia.
Anche
gli altri afferrarono al volo il significato dell’occhiata.
Fu come se fossero
tornati a respirare. Sussultarono in un unico istante simile allo
sfarfallio di
un barlume di speranza. Shikamaru risvegliò la compagna di
team con una fugace
stretta, convincendola di aver intuito bene ciò che Temari
le aveva suggerito.
Eppure,
il suo capo villaggio non volle unirsi a loro.
“Assolutamente
no” sentenziò l’uomo, secco come la
sabbia a cui cominciava ad assomigliare.
“La
prego Hokage!” esclamò Ino sfuggendo al sostegno
di Shikamaru, dimentica della
fatica e dei granelli di sabbia in gola, parlando con la sua solita
voce
squillante. Spezzava quel gioco delle parti dove
l’indifferenza regnava
incontrastata.
Sono
l’unica che può farlo…
“La
tecnica del mio clan è l’unica cosa che possa
lontanamente funzionare!”
aggiunse giungendo di fronte al suo superiore a passi affrettati.
Brillava
della luce nel suo sguardo azzurro, a contrastare il buio insito in
quello di
Hatake Kakashi.
“Forse
non hai capito quello che ci ha detto Temari. Nocnitsa…
è una strega che
caccia i bambini e se ne nutre. Per poter manipolare così
facilmente una persona
adulta… vuol dire che il ragazzino che hai
conosciuto all’esame di
selezione dei chūnin non se n’è mai
andato” Kakashi spiegava con la stessa
tracotanza con cui l’aveva visto tante volte redarguire
Sakura, Naruto e Sasuke.
La stessa, pomposa, certezza di aver vissuto il
doppio dei suoi anni e
il triplo delle sue sofferenze. La stava provocando, voleva che cedesse
alla
rabbia proprio come Kankurō. Alla disperazione come Temari.
Ma
lei non l’avrebbe fatto. Sulle sue spalle
sentiva le mani callose dei
due uomini da cui aveva appreso quasi la totalità delle sue
conoscenze: poteva
odorare il fumo di una sigaretta ancora accesa, prima che la pioggia la
spegnesse per sempre, o il profumo dei fiori. Erano con lei, lo
sarebbero stati
per tutta la vita.
“Hokage,
l’ho ascoltata molto bene. Ho anche capito che qualcun altro
ha ultimato il
rituale al posto di Temari. Potrebbe averlo modificato per fare in modo
che
avesse presa sul Kazekage” ribatté Ino
sull’attenti. “Anche se fosse… resta il
fatto che ci vorrebbe troppo tempo e non ne abbiamo”
replicò l’uomo incrociando
le braccia. Aveva perso parte della sua strafottenza.
“Chiedo
scusa Hokage, ma nella testa è tutto relativo!”
celiò Ino battendo il pugno
contro la tempia. “Un’ora di tempo passa molto
lentamente qui dentro.
Scommetto che avrei tutto il tempo necessario…”
“Per
fare cosa, Yamanaka?” la interruppe il
suo leader. Ora, era quasi
cattivo, con del fuoco ardente in quello sguardo di pece.
“Per farlo rinsavire!
Che sia una tecnica o una sottospecie di altra… arte
magica, se fossi
nella sua testa potrei scoprirlo da come la circolazione del chakra si
comporta. Ci aiuterebbe a capire chi ha messo il suo sangue sulla
pergamena”
Ino continuava, le parole veloci quanto il cuore che batteva
all’impazzata, la
mente che rispondeva all’urgenza della sua volontà
in un baleno.
Persino
gli altri ninja assistevano meravigliati: rimiravano la futura leader
del clan
Yamanaka come se la vedessero per la prima volta, ma nessuno di loro
poteva
conoscerla bene come Shikamaru, o Chōji. Quando si metteva qualcosa in
testa,
c’era ben poco che potesse contrastarla.
Hai
puntato sulla persona giusta…
Shikamaru
guardava Temari e sospirava, spegnendo l’ennesima sigaretta
fra le dita. Lei
ignorava lui e tutto il resto, fissa soltanto sulla ragazza che si era
fatta
carico della sua richiesta silenziosa così spontaneamente da
indurla alla
speranza.
Voi
donne… siete davvero troppo problematiche.
“Hokage,
con tutto il dovuto rispetto, non è forse quello che lei ha
fatto tanti anni fa
con Naruto e Sakura? Cosa sarebbe cambiato da allora?”
“Era diverso… stavamo
solo eseguendo degli ordini” sibilò Hatake Kakashi.
“Allora,
la prego, mi dia quell’ordine!”
sbottò Ino. Non aveva ceduto nemmeno per
un istante: era ancora là, con il corpo teso e
l’espressione battagliera.
L’Hokage sbuffò battendo il piede a terra
ritmicamente: a differenza della
ragazza, aveva perso gran parte della sua tenacia.
“Ino…
Sei una kunoichi troppo preziosa per la Foglia… non posso
permetterti questo
rischio” disse infine.
“Hokage…
Credo che l’alleanza fra il Villaggio della Foglia e della
Sabbia sia molto più
importante della vita di un singolo ninja” quando Ino
proferì quell’affermazione,
le parve che fosse fuoriuscita da sola, grazie a un impeto di cui non
era
padrona. Era un verdetto a cui non poteva sottrarsi. Iniziava a farsi
sentire
in ogni fibra del suo essere. Ebbe un fremito impercettibile lungo le
ossa,
però lo scacciò, lo contenne,
esattamente come doveva fare: era un ninja
e nulla più.
Qualcosa,
in quella risposta istintiva, scosse profondamente il capo villaggio.
Era
nuovamente in tensione e la sua subordinata ebbe improvvisamente paura
che l’avrebbe
colpita. Serrò gli occhi, contraendosi in preparazione di un
urto che non
avvenne.
La
sensazione di un paio di mani sulle spalle divenne reale. Erano quelle
di
Kakashi. Ino riaprì gli occhi, colta alla sprovvista: vide
una luce in fondo
all’oscurità del suo sguardo.
“Molto
bene Ino… molto bene”
c’era una sfumatura nella voce del suo superiore
che le rinvigorì lo spirito. Sorrise, finalmente libera da
qualunque forma di
preoccupazione, fagocitata da una scarica d’adrenalina.
“Agli
ordini, Hokage!” squillò come una tromba,
risvegliando tutti e le loro speranze.
La
tensione, l’aria battagliera, svanì in un baleno.
I ninja della Foglia e della
Sabbia tornarono ad avvicinarsi, a prestarsi aiuto reciproco, a
preparare l’equipaggiamento
per avventurarsi nella tempesta di sabbia. Ino fu presa da parte da
Temari e
Kankurō, i quali volevano aiutarla poco prima che affrontasse quella
missione in
cui lei si era gettata a capofitto. Era un enorme sospiro di sollievo,
lo
scemare di una situazione che nessuno voleva si esacerbasse.
L’Hokage
rimirava tutti e se ne stava in disparte dopo aver parlato con Temari e
Baki,
seduto allo stesso posto che la kunoichi della Sabbia aveva occupato
durante il
racconto. Il cactus non c’era più, rimesso nel
vaso fra le mani della donna.
In
sua vece, lo raggiunse l’altrettanta acuminata presenza di
Shikamaru. L’uomo
dietro le vesti del capo villaggio sbuffò tracciando una
linea di sabbia col
piede.
Amico
mio. Non potevi tirare su allievi meno fastidiosi?
Eppure,
il Sesto Hokage era quasi euforico. Un sorriso era celato dietro la
maschera da
cui era ricoperto fino al naso. Si chiese cosa sarebbe successo se non
avesse
lasciato Chōji al confine del Paese del Fuoco con Sakura, ma non poteva
fantasticare più di tanto: quel moccioso dall’aria
perennemente stanca pretendeva
d’essere preso in considerazione.
“Gli
ho concesso un’ora e non di più”
sussurrò alzando gli occhi sul cielo bruno di
sabbia: oltre quella copertura uniforme faceva capolino la schiaritura
di una
luce mattutina.
“Lo
sospettavo: i tempi sono piuttosto stretti” rispose
Shikamaru. “Non vuoi andare
ad aiutarli? Avrebbero bisogno del tuo acume. Da soli fanno troppo leva
sulla
forza bruta” il ragazzo abbozzò un sorriso alla
domanda del suo leader. Non c’erano
più sigarette a pendergli dalle labbra.
“Stavo
pensando che mi sarebbe piaciuto chiarire qualche dubbio, prima di
andare”
raccolse un po’ di sabbia da terra e la rinchiuse nel pugno.
Era talmente
stretta che svicolò dalla presa attraverso lo spiraglio del
mignolo, cadendo e
spargendosi nell’aria quale pulviscolo.
A
Kakashi ricordò la figura di Gaara durante un incontro
diplomatico di qualche
mese prima: la sua aria malinconica, quella sabbia che scivolava dal
pugno
bianco come un cencio. Stavano festeggiando, eppure lui era in disparte
e taciturno.
I suoi fratelli gli erano alle calcagna, ma erano incapaci
d’invadere il
limitare di quel suo spazio vuoto. Sospirò, chiudendo gli
occhi.
Sentì
Shikamaru che argomentava la sua posizione.
“Non
riesco a capire perché abbia usato
l’Elettricità Viola se sapeva che non avrebbe
colpito il Kazekage. In una situazione del genere, sprecare
così il proprio
chakra non mi sembra un gran idea.”
“Buona
osservazione” replicò il Sesto Hokage portando le
braccia al petto. Shikamaru
continuò: “L’unica cosa che mi sembra
vagamente possibile è che tu, Kakashi,
sapevi che c’era qualcosa di strano. Avevi intuito che il
Kazekage era
controllato, forse già anche da cosa… Volevi una
prova e te la sei presa con la
forza.”
“E
questo cosa ti fa pensare?” domandò Kakashi
rifilandogli un’occhiata eloquente.
Shikamaru si chinò in avanti, appoggiando i gomiti sulle
ginocchia. Le gambe si
muovevano ritmiche, avvinte dalla rapidità dei suoi pensieri.
“Mi
fa pensare che hai umiliato il Villaggio della Sabbia, colpito
Kankurō… ferito
Temari perché avevi un motivo” il ragazzo si
voltò verso di lui. Un reticolo
rosso gli venava le cornee di stanchezza e di qualcos’altro
di facilmente
identificabile.
“Non
sarebbe ora che mi dicessi cosa ti passa per la testa, capo?”
Kakashi sbuffò.
“Perché
ti interessa?” gli chiese aspettandosi una risposta diversa
da quella che il
ninja gli rifilò in un baleno. “Se un giorno
dovrò essere a fianco di Naruto…
voglio prepararmi subito a queste seccature” il Sesto Hokage
si rilassò, ma Shikamaru
non aveva ancora finito di parlare.
“E
perché sono a tanto così dal cacciarti un pugno
per come hai trattato la mia
donna” lo fissò con il fuoco negli
occhi. Un pozzo nero e bruciante. Mio
Dio, Asuma… è la tua copia!
A
Kakashi veniva da ridere, anche se quel ragazzino era
tutt’altro che
amichevole: gli rammentò il suo maestro e quella frase che
gli aveva detto
tanti anni prima, in un momento simile, eppure diverso.
Sospirò, vinto da quei
giovani che si ostinavano a soverchiarlo con la loro strafottenza.
“D’accordo
Shikamaru. Te lo dirò.”
Continua
nel Capitolo IV:
Ciò che si nasconde nell’ombra
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Capitolo 4 *** Capitolo IV: Ciò che si nasconde nell'ombra ***
Capitolo IV: Ciò
che si nasconde nell’ombra
Sabbia
e vento li
accolsero fuori dal rifugio che avevano così faticosamente
protetto. L’Hokage
guidava la spedizione al fianco dei fratelli del Kazekage, mentre Ino
restava
indietro con un folto gruppo d’altri ninja. Baki e Shikamaru
erano nel
villaggio, per controllare che la barriera resistesse e per ricevere le
informazioni che loro gli avrebbero mandato.
“Lo
sai, Ino… Il mio
aiuto è indispensabile qui. Dobbiamo trovare assolutamente
chi ha combinato
questo disastro” Shikamaru
aveva raggiunto la compagna
di team poco dopo essersi separato da Kakashi. Era il solito ragazzo
placido,
persino nelle situazioni più stressanti, ma
l’amica aveva riconosciuto subito
lo spettro di una qualche preoccupazione. Aveva tentato di togliere il
velo
dell’apparenza, però invano. Il ragazzo
l’aveva tacciata con una delle sue
laconiche risposte: “Pensa a fare bene il tuo
lavoro, okay? Noi e Temari ci
occuperemo resto.”
Investita
da quel
senso di responsabilità, la kunoichi aveva passato gran
parte del tempo atto ai
preparativi per meditare, nutrendo l’energia spirituale e
rafforzando il
controllo sul chakra, mediante cui avrebbe provato a sbrogliare il
conglomerato
di pensieri e sfaccettature di Gaara. Temari l’aveva
sostenuta, offrendole
scorci di un passato a lei estraneo.
“Suo
zio, Yashamaru… è
stato l’unico che gli sia rimasto accanto quando
c’era Shukaku… Fu la sua morte
a trasformarlo in quel ragazzino che hai visto durante
l’esame di selezione dei
chūnin.”
Ino
aveva accettato
quelle informazioni così come Temari le aveva consegnato il
vaso con il
gymnocalycium: era un cactus piccolo, eppure ben curato, con un fusto
verde
brillante, spine tenaci e un fiore grande che spuntava dalla sporgenza
sulla
sommità del tronco. Era bello, emanava un vago odore
vegetale e quasi di… salsedine.
Le dispiacque che, nel negozio di famiglia, ne avessero tenuti pochi
esemplari
ed esclusivamente su ordinazione.
Le
mani sue e della
sorella di Gaara si erano congiunte sopra le spine, creando calore
dalla presa
e dolore dalla pressione contro le spine del cactus. Addirittura del
sangue era
fluito sopra di esse dalla parte di Temari, tanto aveva premuto le dita
sulla
pianta.
“Ti
prego, Ino… se
dovessi essere in difficoltà… pensa a
me” aveva
proferito
la donna con lo sguardo lucido oltre la maschera da kunoichi. Nei suoi
occhi
acquamarina, alla ragazza era parso di scorgere quasi un faro
all’orizzonte.
Aveva capito, mentre il sangue di Temari le aveva tinto le dita.
Insieme, s’era
insinuata nel suo animo una lieve presenza spirituale. Una parte della
sua
essenza, a cui quella sorella aveva rinunciato per amore del fratello.
“Temari…
non vi
deluderò!”
la sua voce si era alimentata di quel sacrificio e
l’aveva immagazzinato per quando avrebbe tuonato nella
coscienza del Kazekage
per risvegliarlo. Temari le aveva sorriso, l’ultima volta
dove si erano
approcciate come amiche.
Poi,
la donna che
conosceva era stata assorbita dalla figura intransigente di chi facesse
le veci
del leader del Villaggio della Sabbia.
Era
al fianco
dell’Hokage e, ogni volta che la bolla di chakra cedeva a una
sferzata di
vento, lei rispediva indietro l’assalto con un colpo di
ventaglio, mentre i
ninja preposti ripristinavano la protezione. Viaggiavano ormai da un
po’,
avvinghiati dal buio della sabbia e della notte, da cui filtrava a
malapena la
luminosità dell’alba prossima e su cui si
riverberava la luce azzurrognola del
chakra. Ino si strinse nelle spalle, un brivido freddo del deserto era
penetrato dall’ultimo attacco della tempesta.
Fu
allora che Kankurō
si unì a lei. “Come stai?” le
domandò rallentando il passo. I ninja della
Foglia si spostarono in fretta, senza toccarlo, nonostante lo spazio
fosse
ristretto. Due di loro avevano scampato le fiamme di Sasori per un
soffio. Ino
se ne dispiacque, nonostante li comprendesse.
“Bene…
Mi sono
ripresa!” sorrise con la voce bassa quanto il ninja della
Sabbia, eppure con la
sua solita tonalità vivace. Si erano accostati
l’uno all’altro. “Sei sicura?
Prima ti ho mandato via con una certa… foga”
replicò l’uomo grattandosi
il viso. Ora che aveva strisciato via la pittura dalla faccia si
distinguevano
chiaramente le emozioni del ragazzo dietro al ninja. Era uno spettacolo
quasi
tenero.
“No,
davvero… stai
tranquillo” era così preoccupata che
aggiunse: “E… l’Hokage ti ha
raccontato una mezza verità: Sakura è rimasta al
confine, ma dubito che la
tempesta possa arrivare fin dove si sono accampati… a meno
che non passi un
intero ettaro di foresta!” celiò dandogli una
gomitata complice, offrendogli il
sorriso più allegro che potesse in una situazione tesa come
quella.
“Uh,
lo sospettavo…
quel vecchio bastardo mi ha preso in giro dal primo momento”
mormorò lui in
risposta e c’era talmente tanta stanchezza nella sua voce,
talmente tanta rabbia
e frustrazione, da non poter derivare da quella banale
rivelazione. Alla
kunoichi si rafforzò il nodo alla gola. D’impulso,
s’affrettò a ribattere affidandosi
all’istinto da cui era stata guidata sin da bambina. Lo
stesso attraverso il
quale aveva lenito, un tempo, le ferite della migliore amica.
“L’ho
visto,
Kankurō… Io, Shikamaru e Chōji avevamo i brividi quando
sentivamo il suo
sguardo su di noi… Non devi sentirti in
colpa” sussurrò appoggiando una
mano sul suo braccio. Sopra c’era la fasciatura che gli aveva
fatto per la
scorticatura, ma lei sentiva lo stesso il calore della pelle.
Il
ninja della Sabbia
mise una mano sopra la sua. Era grande, callosa come quelle di tanti
altri shinobi,
calda come lo sguardo con cui si rivolse ai suoi occhi. Le apparve
estremamente
giovane, con le iridi larghe e brune, Un marionettista che si scagliava
a
capofitto in uno scontro, eppure anche un ragazzo qualunque. Sorrideva.
Il
cuore della ragazza si scaldò.
Fu
un momento più
breve di quanto desiderasse. Quasi si fosse reso conto di aver svelato
qualcosa
di intimo, Kankurō passò la mano sulle bende, fissando il
braccio con la
classica indifferenza di facciata. “Sakura le fa
meglio” Ino roteò gli occhi al
cielo di sabbia. Era improvvisamente scontenta che il ragazzo fosse
ritornato
l’identico, fastidioso, idiota. Eppure
sorrise. “Lo immaginavo…
glielo dirò, la prossima volta che la vedo.”
“Se
mi facessi il
favore di dirle di mollare quello psicopatico di
Sasuke… te ne sarei
grato” Ino sbuffò. “Perché
non glielo dici tu? Sono sicura che muore dalla
voglia di sentirsi ripetere la stessa cosa da
chiunque!” brontolò.
L’aria di normalità, tuttavia, le stava placando i
nervi. Tentò di rammentare
l’ultima posizione di Gaara sulla mappa che avevano usato per
programmare la
spedizione, immaginando come lo avrebbero trovato una volta squarciato
il velo
della tempesta…
“Sai…
certe volte è
davvero complicato vedere qualcuno a cui vuoi bene soffrire
inutilmente…
Penso che tu possa capirmi” un fremito le scosse
l’interno dello stomaco. Oh,
certo che poteva comprenderlo!
I
suoi pensieri
volarono a un Anbu della Foglia per cui aveva nutrito tanto dolore.
Fantasticò
su quel suo sorriso di cortesia, il quale non era altro che il fantasma
di una
gioia a cui lui non aspirava più... Ripensò a
quanto si era adoperata per
tentare di farlo uscire da quello stato d’apatia in cui si
era, volontariamente,
confinato e a quante delusioni aveva raccolto dai suoi
tentativi
infruttuosi.
“Sì…
lo capisco.
Penso che tu sia più coraggioso di me!”
esclamò percependo la freddezza dei
suoi pensieri. “Non era una cosa scontata?”
domandò di rimando l’uomo. Stava
per rispondergli più piccata di quanto volesse, quando si
fermarono
d’improvviso.
Kakashi
e Temari
avevano smesso di avanzare.
“Lo
sento”
sibilò la donna col sudore che le imperlava la fronte.
Estrasse il ventaglio
dalla fodera sulla schiena. Un crepitio s’infilò
nelle loro orecchie. Dalla
mano del Sesto Hokage proveniva una luce inconfondibile.
“Bene… Scopriamolo!”
il leader della Foglia scattò in avanti. Lo seguirono.
La
bolla di chakra li
riparava, evitando che la tempesta penetrasse nei loro polmoni. A un
certo
punto, la parte frontale si aprì, permettendo a Kakashi di
balzare contro un
angolo delle correnti di vento e sabbia dall’apparenza spessa,
quasi
palpabile. L’attacco del capo villaggio, basato sulla natura
del fulmine,
penetrò la superficie distruggendola come se fosse una
parete di pietra,
palesando ciò che si celava dietro di essa. Ino
deglutì a vuoto. Si avvicinò
alla breccia. Avvertì il braccio di Kankurō al fianco del
suo.
“Ecco
a voi il vostro
Kazekage” il sibilo di Kakashi la trapassò mentre
anche tutti gli altri ninja
li raggiungevano. La giovane si chiese cosa passasse per la loro testa,
desiderando di essere all’infuori di quella morsa da cui il
suo petto era
ghermito.
Là
c’era il Quinto
Kazekage del Villaggio della Sabbia. Là,
c’era l’ombra di quel ragazzo,
in una forma peggiore di quanto i ricordi di Kakashi avessero mostrato
in
precedenza. La pelle di quel giovane leader era crepata come un terreno
arido.
Gli occhi erano divenuti bianchi e, da quelle occhiaie nerissime,
colava un
reticolo di vene rese visibili dalla pelle sottilissima. Il chakra che
scorreva
fra le spaccature della pelle e da cui era prosciugato lentamente
continuava a
espandersi, mentre lo squarcio si richiudeva su quella dura
realtà sopra cui i
loro animi si erano sfracellati.
La
voce dell’Hokage fu
un pessimo risveglio. “Be’… credo che
un’ora sia tutto ciò che ci rimane”
sospirò con il medesimo atteggiamento privo
d’emozioni che aveva tenuto
dall’inizio di quella storia. La sua conferma della
gravità della situazione
acuì l’urgenza dei loro movimenti.
I
ninja dei due
villaggi trafficavano da ogni parte, predisponendo i rinforzi per la
bolla di
chakra e i cambi che avrebbero effettuato per mantenerla fino
all’alba. Per
quanto fossero indaffarati e parlassero concitati, Ino li udiva a
stento. Il
ripasso di Temari tagliava di netto ogni interferenza.
“Appena
sarai pronta,
l’Hokage colpirà di nuovo il muro di sabbia, per
permetterti di usare la tua
tecnica sul Kazekage… Una volta che sarai dentro la sua
mente, Nocnitsa si
accorgerà di te e cercherà di scacciarti via. Ma
tu dovrai contrattaccare e
prendere quante più informazioni puoi sul suo conto e su chi
l’ha evocata.”
“Quello
che riuscirai
a trovare dovrai comunicarmelo subito. Io e i
kamatari torneremo al
villaggio, per cercare insieme agli altri il nostro sospettato. Tu
dovrai
soltanto trovare il modo di placare il Kazekage fino a quando non
l’avremo
fatto.”
Ino
aveva annuito a
ogni passo della spiegazione, avvertendo la testa più
leggera con ciascun
movimento. Come se avesse intuito qualcosa, Temari le strinse le
spalle,
offrendole un breve attimo di conforto. “Vedrai,
Ino… ce la farai” era
gentile e calorosa. La ragazza non seppe contraddirla.
“Sì…
riporterò
indietro Gaara” per tanto tempo l’avevano chiamato
solamente attraverso il suo
titolo! Il suo nome indusse Temari ad abbracciarla,
cogliendola di
sorpresa. Ma la ricambiò: era tutto quello che poteva
desiderare.
Se
soltanto fossi
capace come tutti voi…
La
kunoichi della
Foglia rifletté dopo essersi allontanata dalla donna,
camminando verso
l’Hokage. Lui le rivolgeva uno sguardo severo, penetrante,
perché aveva
indovinato ogni suo dubbio o remora. La sua sottoposta
scrollò le spalle. Non
poteva farci alcunché.
Vedeva
Gaara nei suoi
pensieri e questo, per il momento, le bastava.
Un
filo d’aria fresca,
dissimile dal furente turbinio della tempesta, era filtrato dalla bolla
di
chakra, nel punto in cui s’apriva sul muro di sabbia da cui
il Kazekage era
protetto. Annunciava l’ultimo saluto della notte, prima che
l’alba li
sottraesse ai loro incubi.
Kankurō
decise di
destarla prima del tempo. “Così vai…
sei decisa?” le domandò roco accostandosi
al suo fianco. Ino sorrise, pur mantenendo il volto davanti a
sé. Aveva come il
sospetto che se si fosse fermata, non sarebbe più partita.
“Non
c’è molto altro
che io possa fare… me la sono voluta!” rise
affrettata, immersa in un sogno a
occhi aperti. Non riuscì a negarsi un’occhiata
sfuggente al ninja che aveva
imparato a conoscere negli anni di guerra e pace: quando Temari e
Shikamaru
formavano una coppia affiatata durante le varie operazioni, di solito
lei e
Kankurō, insieme a Chōji, concludevano le missioni più
chiacchierando, anziché
sferrando batoste ai nemici. L’uomo sapeva come farsi
detestare, eppure… ne
riconosceva la bontà d’animo.
Sakura…
te ne renderai
conto forse troppo tardi: gli uomini che t’ignorano sono un
pessimo
investimento.
Rimuginava
ancora su
Sai, ma era lontano. La mente, con i suoi capricci e preoccupazioni,
prevaleva
sulla realtà che l’aspettava a casa. Non riusciva,
comunque, a considerarlo un
aspetto negativo.
Il
ninja della Sabbia
le agguantò una spalla. La ragazza
s’irrigidì. Fu costretta a rallentare fino a
fermarsi, rammentando dove fosse e cosa l’aspettasse una
volta entrata nella
mente di Gaara. Deglutì, percependo un nodo in gola.
Il
ragazzo la fissava
e sembrava uno spettro con cui avesse stretto un patto di sangue, tanto
la
perforava con quell’occhiata. “Ce la
farai… Yamanaka Ino.”
Il
silenzio raccolse la
sentenza del ninja, depositandola nel cuore dell’alleata.
Kankurō scese con la
mano sul suo braccio, donandole una carezza quasi fraterna. Aveva una
voce
gentile quanto la sorella.
“Io…
nono sono bravo
come Temari… non sono neppure intelligente come Gaara. Sono
fortunato che non
debba occuparmi di nulla, a parte degli ordini che ricevo…
ma dei miei amici
m’importa e molto” le strinse
l’avambraccio suscitandole un sussulto.
Ino sentiva che solo il contegno del ninja gli impediva di trasformarlo
nello
stesso tipo di abbraccio ricevuto poco prima dall’amica.
“Se avessi bisogno
di me… non esitare a
chiamarmi” il cuore di Ino si
tranquillizzò. La giovane annuì, palesando il
solito sorriso audace. La paura era un vago punzecchio allo stomaco.
“Prometti
che mollerai un ceffone a Sai da parte mia?” Kankurō
sbuffò, ma anche lui
ghignava. Non era più intriso da quell’alone di
serietà. “Non posso prometterti
nulla… potresti non desiderarlo più”
Ino non capiva per quale motivo quello stupido
fosse più maturo di quanto lasciasse intendere. Tuttavia
aveva ragione: una
delusione poteva sparire facilmente.
Il
successo di questa
missione mi darà altro a cui pensare.
Si
separò dall’amico arrivando
dall’Hokage. Nella mano del leader del villaggio ardeva
già una scintilla
d’elettricità. Nei suoi occhi neri si riverberava
la sua scossa bruciante. “Se
avessi saputo che il tempo extra che avevo preventivato sarebbe stato
speso in
questo modo… ti avrei dato solo dieci minuti di
tempo.”
Ino
non fu colpita
dalla provocazione del suo capo: la faccia un po’ delusa di
Shikamaru, l’unica
breccia mediante cui aveva ottenuto accesso alla loro discussione di
prima,
l’aveva convinta che il piano di Kakashi fosse molto meno
roseo, o
interessante, per tutti loro.
“Allora
direi che sia
il caso di cominciare subito, non crede Hokage?”
la giovane non mosse un
muscolo mentre l’uomo accusava l’indifferenza
sortita dalla sua frecciatina.
Soltanto la gonna di Ino si scosse all’urlo furioso della
tempesta, che si
lamentava della nuova ferita causata
dall’Elettricità Viola di Kakashi. La
kunoichi alzò le mani di fronte a sé, costruendo
una cornice adatta per il
volto del Kazekage.
Avvertiva
gli occhi di
Temari e Kankurō sulla sua schiena. La rinvigorirono.
“Appena
cala la
polvere… Vai!” Ino fece un
cenno al comando dell’Hokage. La sabbia
vorticava, provando a ricomporsi, ma era stata travolta via
dall’impeto
dell’attacco dell’uomo. Lui spingeva la mano
più in profondità, nel muro di
sabbia. Esso crollava inerme, attraversato dalla scossa del fulmine. Il
fenomeno naturale lottava contro il vigore della natura umana.
Oltre
il quadro degli
elementi, Ino lo scorse. Il Kazekage era immobile,
come l’avevano
lasciato pochi minuti prima. Era triste e gravato dal suo stesso,
immenso,
chakra.
“Capovolgimento
spirituale!” lo strillo fuoriuscì da lei con il
suo spirito. Vide distantissimo
il proprio corpo che piombava a terra, perché lei era
già atterrata in un’altra
vita: era nel corpo di Gaara, in quello spazio vuoto ove doveva abitare
la sua
coscienza. Tuttavia, essa restava muta e lei precipitava in un nero
nulla.
Com’è
possibile… Lui
dovrebbe essere qui!
I
pensieri di Ino
l’accompagnavano a gran voce, risuonando
nell’atmosfera surreale della mente.
La giovane era trascinata in fondo a quel baratro, mentre sentiva la
sua forma
incorporea strattonata in alto, procurandole un dolore lancinante. Un
rumore
molto simile all’ululato del vento l’avvolgeva da
ogni parte, anche se non ne
sentiva la presenza.
Viaggiava
informe,
senza riuscire a definire il proprio aspetto, né le regole
di quell’universo
sconosciuto.
Se
solo riuscissi a…
fermarmi!
Mentre
ragionava
udendo la propria voce ovunque, frenetica e stridula, la vista le diede
la
possibilità di notare qualcosa in
quell’oscurità. In un luogo dove non
esistevano nervi da cui trarre degli impulsi cerebrali, la paura la
investì
tutta, attanagliandola con una sorta d’attacco di
claustrofobia.
In
fondo alla caduta
c’era qualcuno. Non era Gaara.
Aveva
l’aspetto strano
di una creatura antropomorfa, eppure decisamente disumana: una sorta di
folta
chioma di rami cosparsi di brina, la quale era apparsa attorno al Gaara
bambino
delle memorie di Kakashi, avviluppava il nero da cui due lampi rossi
erano
circondati. Comprese che fossero due occhi, innervati di sangue.
Nocnitsa…
Il
pensiero rivelatore
e Ino precipitarono verso l’abisso. L’unica cosa
che restava, della sua vita al
di fuori della mente, era il rintocco pesante del cuore. Le rammentava
quale
fosse la ragione del suo viaggio… per quale motivo la paura
non dovesse
ottenebrarla…
Devo…
allontanarmi!
Poi,
la creatura spalancò
delle fauci di cui Ino non aveva intravisto la presenza. Palesarono
anche la
pelle candida della strega, la quale emerse dal vuoto. Un manto di neve
da cui
spuntava una fila frastagliata di zanne. Qualunque sentimento stesse
placando
il panico della giovane, si frantumò in mille pezzi.
Più
i suoi pensieri
strillavano, più rapidamente scendeva verso quella bocca
enorme, abbastanza per
fagocitarla in un boccone. Ino faceva forza su sé stessa per
ribellarsi a quel
destino, usando il battito del cuore come un sostegno. Un aiuto per
calmare il
ritmo concitato dei suoi ragionamenti.
Devo
solo prendere
corpo… devo prendere il controllo di questo mondo!
Con
tutta la forza di
volontà di cui era capace, Ino fu pervasa dal dolore. Era
una sofferenza dovuta
allo sforzo di ricreare il suo corpo, l’unica mossa che
potesse salvarla.
Mentre la sensazione lancinante quasi la dissolveva, mutandola in una
mente
priva d’anima, dal buio balenò una luce. Ino
respirò, accorgendosi d’aver dato
vita ai suoi polmoni.
Anche
le braccia
baluginarono, plasmandosi grazie alla sua sola forza di
volontà. La kunoichi
deglutì, di nuovo in grado di sentire la lingua sul palato.
Il suo spirito
venne riaccolto completamente in quella forma familiare proprio a poca
distanza
da quelle fauci pronte a divorarla.
Adesso…
devo solo
mandarti via!
Non
avrebbe saputo
come comportarsi, se fosse stato per lei. Fu un ricordo a soccorrerla:
vide il
gymnocalycium di fronte a lei, con le dita di Temari incise su di esso.
Pensò a
quelle spine coriacee e, improvvisamente, se le sentì
addosso, come un’armatura
acuminata. Sbarrò gli occhi, ma il cuore le batteva placido
nel petto.
Quando
i denti
dell’essere mitico l’azzannarono, le spine del
gymnocalycium si conficcarono
nel suo palato. Fu un impatto doloroso anche per Ino: sebbene quella
straordinaria protezione la bardasse, attingeva comunque alla sua fonte
d’energia. La stessa che la manteneva in vita.
La
kunoichi emise un
lamento, soffocandolo con un inspiro astioso. Tuttavia, non poteva
competere
con il grido di Nocnitsa.
Era
assordante. Le
colmò le orecchie, obbligando Ino a strillare
anch’essa contro il dolore dei
timpani perforati, nonostante fossero solo un’immagine del
suo vero corpo. Con
uno sforzo sovrumano, la ragazza provò ad agguantare la
presa sulle zanne da
cui era ghermita, desiderando ardentemente d’imprigionare la
strega prima che
potesse ucciderla.
La
bocca gigantesca di
Nocnitsa si dileguò in un istante. Ino sbatté le
palpebre, schiudendo le
labbra. Il grido era sparito, ma una luce brillante le
inondò gli occhi,
accecandola. Portò le mani davanti al viso, ansando per via
della percezione
stordita del proprio corpo.
Lentamente,
si concentrò
sugli altri sensi, in attesa che la vista si riabilitasse. Si accorse
di essere
in piedi e che un calore asciutto la copriva. L’aria bruciava
nelle narici, per
via della temperatura alta.
Questo
è…
Il
suo ragionamento,
questa volta, restò nella sua testa. Riaprì gli
occhi, dando ragione alla sua
intuizione.
“Il
Villaggio della
Sabbia.”
La
giovane era stupita
dai dettagli di quella memoria, comprese le sensazioni che percepiva.
Il sole
bollente, l’atmosfera immobile e inodore. Il panorama
costituito dalle pareti
naturali da cui era cinto l’abitato e il cielo azzurrissimo, terso,
sopra di sé. Avvertiva perfino la sabbia a contatto con i
piedi, o lo
scricchiolio che produceva quando calpestata.
Questo
è un ricordo
molto vivido… ma di chi…
Un
rumore la distolse
dalla sua contemplazione. Ino si girò di scatto, osservando
le case del
villaggio, più rade e meno imponenti di quelle del presente.
Avvicinandosi agli
edifici, la giovane intese che la distrazione proveniva da una porta
aperta,
issata all’ingresso di una casupola dalle pareti bianche,
però scalfite dal
tempo. Strizzò gli occhi avanzando ancora, fino a quando le
sue orbite si
allargarono dallo stupore. Aveva compreso a chi appartenesse quel luogo
del
passato.
Temari!
Non
poteva che essere
l’amica quella bambina che era sgattaiolata fuori
dall’abitazione! Aveva la
stessa chioma bionda e scarmigliata. Gli identici occhi
dell’azzurro d’un mare
agitato. Quella piccola Temari ne pareva come animata. Correva
forsennata,
incurante dell’afa opprimente, o dell’aria
stagnante. Era una ragazzina vivace
come Ino aveva fantasticato, conoscendola.
Questo
deve essere…
una sorta di collegamento con Nocnitsa… forse è
rimasto indietro mentre lei
fuggiva… ma non so se possa darmi un indizio su chi
l’abbia richiamata…
Ino
rimuginava
imitando l’euforia dell’amica del passato, mentre
quest’ultima scappava
all’orizzonte. La kunoichi della Foglia cominciava a sentire
una rinnovata
ondata di panico, indecisa sul comportamento da adottare e sulla
ragione dietro
l’assenza di Gaara.
Era
talmente persa in
quella frenesia interiore, che per poco non trovò la chiave
per schiudere le
porte di quel mistero.
Alzò
gli occhi da
terra, su cui aveva disegnato vari schemi con la punta del piede. Si
ritrovò di
fronte ciò che aveva ignorato fino a quel momento.
Allargò gli occhi. Il labbro
inferiore le penzolò giù.
Temari
ne aveva
parlato nel suo racconto. Glielo aveva ripetuto nella loro
chiacchierata a
quattrocchi, prima che s’intrufolassero fra le grinfie della
tempesta. Era così
evidente, così stupido, che quasi si picchiò la
fronte.
La
kunoichi espirò
rumorosamente. Rilassò le spalle, conteggiando gli echi
lontani del cuore.
Questi ultimi affiorarono dalle profondità del suo
inconscio, risvegliando
parte della coscienza corporea. Non poteva abbandonare del tutto Gaara
proprio
adesso!
“Temari…
mi senti?”
La
sua voce usciva
dalla sua bocca, eppure aveva ripreso a rimbombarle attorno, quasi le
fosse
estranea. Un’improvvisa stretta alla mano, simile a una
contrazione dei
muscoli, le fece comprendere che la donna gliel’aveva
afferrata.
“Dimmi.”
L’ordine
la sospinse,
rendendole più facile il compito di formulare la risposta.
“La
bambinaia…”
Le
mani nodose
dell’anziana che Temari le aveva tratteggiato, iniziando
proprio da quel
particolare, baluginò sulle sue palpebre chiuse. Erano
apparse oltre il profilo
della porta aperta della casa, salutando la piccola Temari. L’unica
che le
avesse parlato di Nocnitsa… L’unica che conoscesse
il patto!
Ino
seppe che era
stato sufficiente. La presa sulla sua mano sparì e il tono
di voce di Kankurō
sostituì quello della sorella maggiore, sussurrandole: “Ben
fatto, amica
mia… Puoi riposarti un po’, se
vuoi…”
Ino
fu grata per la
premura del ninja della Sabbia. Avrebbe voluto accettare il consiglio,
se non
altro per riprendere la ricerca di Gaara con più energie, ma
una sensazione gelida
le sconvolse lo stomaco.
La
giovane s’irrigidì,
fermando pure il respiro. L’ultimo odore che
percepì era di terra e foglie
marce. Sollevò il capo, rivolgendo lo sguardo sulla porta
aperta dove aveva
intravisto le mani nodose della bambinaia.
Ora,
Nocnitsa la
fissava con il sorriso di un mostro. Era terribile,
crudele. Gli
occhi erano rossi, la pelle emaciata. Indossava le sfumature di un
inverno
privo della scintilla della vita.
Senza
che Ino potesse
fare alcunché per impedirlo, stregata dalla paura, le dita
bianche e ossute
della strega si allungarono verso di lei. Le viscere quasi la
trascinarono a
terra.
“No…
vai via!” ululò
la kunoichi tentando di allungare la distanza fra lei e la creatura
grazie alla
forza di volontà, attraverso cui poteva plasmare quel mondo
interiore. Ma non
ne aveva più il controllo.
Lo
spazio da cui
entrambe erano separate si restringeva. I contorni del Villaggio della
Sabbia
divenivano un ammasso informe con la sabbia sotto di loro. Ino fremette
in
tutto il corpo e, invano, tentò di liberarsi dalla morsa
dell’incantesimo di
Nocnitsa, dalla vista macabra delle sue dita che
giungevano per
artigliarle la gola. Nonostante la giovane avesse serrato le palpebre,
le
unghie della creatura ne avevano squarciato l’orizzonte buio.
“No…
non posso… io
devo salvare Gaara!” la risolutezza di Ino viaggiò
lontana da lei, echeggiando
e smarrendosi nel vacuo spazio in cui Nocnitsa aveva steso il suo
dominio. A quel
punto, le incrollabili certezze della
kunoichi subirono un duro colpo. Lacrime sorsero dagli angoli degli
occhi,
riversandosi sulle guance.
“No…
non posso fallire
così…” mormorò con la voce
tremante. Il freddo delle dita dell’essere le
toccarono la gola.
La
terra fremette,
sconvolta. Ino spalancò gli occhi, sbalordita. Scorse di
sfuggita il riflesso
della bocca contorta della creatura, perché era sparita.
Io
non c’entro niente…
Ino
deglutì, ma non
fece in tempo a concludere le proprie riflessioni. Una nuova e violenta
scossa
la sbalzò a contatto con il terreno sabbioso. Gemette
strozzata. La schiena
aveva sbattuto con forza. La vista e l’udito crollarono
insieme agli altri
sensi.
L’ultima
cosa che la
ragazza vide, fu la sabbia che si sollevava da terra come una marea.
Aveva la
forma di due braccia aggraziate da cui era portata giù,
verso le profondità
dell’inconscio di Gaara.
Poi,
l’erede del clan
Yamanaka non vide e non udì più nulla.
Fuori
dal corpo inerme
della giovane, Kankurō aveva smesso di tenerle il polso, preoccupato
dai
continui sbalzi ritmici del suo cuore. Lui, l’Hokage e gli
altri ninja si
guardavano intorno, completamente meravigliati.
La
tempesta era
scemata. La furia degli elementi era sparita.
Solo
una bolla di
sabbia, indistruttibile come un muro di viva roccia, proteggeva il
corpo
svenuto del Kazekage.
Continua
nel Capitolo V: Fede nelle persone sbagliate
|
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Capitolo 5 *** Capitolo V: Fede nelle persone sbagliate ***
Capitolo V: Fede nelle
persone sbagliate
Il
cielo blu,
schiarito ai limitari dell’orizzonte, fece capolino dalla
cupola della tempesta
di sabbia. Temari si fermò. Il ventaglio stava scendendo
lentamente verso
terra.
“Cosa
diavolo…”
Sibilò
la donna
notando i fedeli kamatari che atterravano con lei. I loro musi
schizzavano da
una parte all’altra, odorando l’aria alla ricerca
di una risposta.
“La
tempesta sta…”
Temari allargò gli occhi, turbata, mentre le correnti di
vento scemavano e
mutavano in un’atmosfera immobile, con la sabbia che frullava
per poi
dissolversi, priva del sostegno di quella volontà da cui era
stata trasportata
fino a quel momento.
Il
deserto ricomparve
dal buio. Le rocce emersero dalle spire della sabbia con la loro
frastagliata
spina dorsale. I cactus vischio pungevano la tempesta che si stava
ritirando da
loro, strappando lembi di pulviscolo che precipitavano a terra. Un
ritorno alla
normalità per cui la kunoichi della Sabbia non credeva
avrebbe provato tanto
affetto.
Si
guardò indietro
speranzosa, il corpo e il cuore protesi verso il luogo da cui si era
appena
allontanata. La mente rivolta dove era diretta, guidata da quel senso
del
dovere di cui era diventata una volontaria sottoposta. Scosse il capo.
Il
silenzio che la cingeva era una tortura per i suoi dubbi.
Anche
se fosse… ho una
missione da compiere!
La
donna risalì sul
proprio ventaglio spronando i kamatari a seguirla e loro risposero in
fretta,
come un’unica creatura, artefacendo raffiche di vento sopra
cui tutti loro
potessero essere sospinti. La giovane dalla quale erano condotti
mostrava
risolutezza nello sguardo assottigliato, ma nel suo petto echeggiava la
preoccupazione. Udiva le parole cariche di squillante energia di
un’amica a cui
aveva affidato un compito forse troppo pericoloso per chiunque.
Ti
prego, Ino… non
arrenderti!
La
sorella del
Kazekage incitò ancora le creature dall’aspetto di
donnole ed esse aumentarono
l’intensità delle loro acrobazie, costringendo le
correnti ad adeguarsi a
quella rapidità. La sabbia si sollevava da terra richiamata
dall’ululato del
vento. Un oceano dorato, infranto da un veliero impalpabile.
Solo
tu… solo tu puoi
trovare la chiave per un cuore tanto triste.
Temari
chiuse gli
occhi percependo una goccia caderle dalle ciglia sulla guancia sporca
di
centinaia di granelli di sabbia, onnipresente ovunque. Poi, la sorella
di Gaara
vide soltanto l’ombra e il suo abbraccio nero.
Lo
stesso che Ino
avvertiva addosso. Ferma, smarrita in uno spazio dove albergavano i
suoi
sentimenti più profondi, le sue emozioni più
forti: sentiva il freddo della
paura che le accarezzava le braccia nude inducendole un brivido, la
rabbia che
le scaldava le viscere e da cui traeva la sensazione di essere
intrappolata
sotto il sole cocente del deserto, ma rinchiusa dentro una gabbia di
ghiaccio.
Se
solo ci fosse una…
una via di mezzo.
Il
suo pensiero
aleggiava leggero intorno all’oscurità, anche se
non si spandeva al di fuori di
sé stessa. Rimaneva dentro la sua testa, da dove il dolore
proveniva.
Poi,
una sensazione di
tepore le fasciò il braccio. Era una strana percezione fra
quegli estremi, una
confortevole carezza. Le ricordò l’abbraccio che
si erano regalati lei,
Shikamaru e Chōji alla fine della guerra, quelle lacrime di cui avevano
smentito
l’esistenza oltre le palpebre chiuse. Aveva un retrogusto
dolce sulla punta
della lingua, il sapore di un pasticcino addentato dopo una sessione
estenuante
di allenamenti.
Come
se il mondo non
avesse più importanza…
Avrebbe
continuato a
galleggiare in quel languore per sempre, ma un improvviso rumore
insistente, ritmico,
picchiò forte contro la sua coscienza. Le trasmise una sorta
d’urgenza,
vanificando il ristoro offertole da quella tiepida carezza.
Non
ti fermare.
Ino
avrebbe voluto
scacciare via quel fastidioso battito, mediante il quale risuonava in
lei una
voce affranta, stridula, da cui era disturbata. Reiterava lo stesso
concetto
lottando contro i suoi desideri. Era inutile, fastidiosa, era…
La
mia voce!
Una
scossa percorse
tutto il corpo di Ino, un vigore che non credeva di possedere
più. In un lampo,
nel buio s’avvicendarono il viaggio per giungere al Villaggio
della Sabbia, il
volto ricolmo di rimorsi di Temari, i denti digrignati di rabbia di
Kankurō, le
unghie uncinate di Nocnitsa vicino al collo.
Il
viso distante di un
ragazzo che salutava il mondo da dietro un muro di sabbia.
Allora
ricordò ogni
cosa. Allora la missione affiorò dalle tenebre come il
battito incessante del
cuore.
Gaara!
Spalancò
gli occhi. La
luce l’avvolse, ma era in parte coperta da
un’ombra. Per un istante,
l’adrenalina la trapassò ripensando alla strega
con cui aveva lottato chissà
quanto tempo prima, ma una mano dotata di dita affusolate, non
ossute, e
di unghie ben curate le asciugò il sudore sulla fronte.
Aveva lo stesso tiepido
calore che aveva provato sul braccio.
“Per
favore…
rimani un attimo stesa.”
No,
non può essere!
Ino
sbatté le
palpebre, accorgendosi di essere davvero supina sopra un letto di
sabbia
rovente, di fronte a un cielo dotato di un sole accecante. Ricompose
dai
riflessi della luce il colore rosso dei capelli, l’azzurro
degli occhi e la
pelle candida di chi fosse capitato per caso nel deserto e che,
tuttavia, ne
era il guardiano più fedele. Quella figura appena messa a
fuoco le sorrise.
Gaara.
Il
giovane era chino
su di lei e la stava studiando con la medesima attenzione con cui Ino
lo
ricambiava. Tentò di issarsi a sedere, ma il Kazekage le
mise una mano sulla
spalla invitandola a sdraiarsi.
“Abbi
pazienza… C’è
qualcosa qui…” Ino
sussultò per via di quella voce straordinariamente
gentile, che raramente aveva udito fuoriuscire dalla bocca di quel
giovane
leader. S’irrigidì per le dita che le sfiorarono
il collo, suscitandole un
lampo di dolore. Strinse i denti inspirando aria dagli spiragli di
quella morsa
d’acciaio. Il contatto con la pelle bruciava, quasi il
ragazzo avesse tastato
una ferita aperta di cui la kunoichi non riusciva a delineare la
presenza.
“Ti
chiedo scusa… sembra
che qualcuno abbia cercato di tagliarti la gola.”
Perché
mi parla con
così tanta calma? Sembra che non sia preoccupato,
o…
Ino
smise di
riflettere e sbarrò gli occhi rimirando quel Kazekage dalle
ciglia socchiuse in
uno sforzo di concentrazione e con gli stessi abiti che gli aveva visto
indosso
già diverse volte. Era tutto ordinario, tutto entro i
confini della sua usuale
presenza.
A
eccezione dei tagli
vistosi, su tutto il corpo. La ragazza
impallidì.
Erano
sottili, ma
profondi. Sferzavano le guance di Gaara, la parte dei polsi visibile
fuori
dalle maniche lunghe, nonché la pelle di cui poteva scorgere
un pezzo sotto il
colletto della giacca. Sembrava che un vento di kunai
l’avesse frustato. La
kunoichi trattenne il respiro. Alcune di quelle ferite stillavano
ancora
sangue.
Il
calore del chakra
le inondò la gola, donandole sollievo e terrore al tempo
stesso.
“La
prego, Kazekage!”
strillò mettendosi a sedere. Il petto le si alzava e
abbassava agli ordini
della sua angoscia. Il ragazzo ritrasse la mano, lo sguardo ferito.
Tuttavia,
Ino si rilassò. Quando Gaara rimosse il proprio chakra dalla
mano, la sua pelle
sembrò meno spenta e il suo respiro riprese
profondità perdendo affanno.
“Volevo…
volevo solo aiutarti”
mormorò lui e Ino comprese che ci fosse qualcosa di strano, di
molto strano.
Era sempre Gaara, il leader da cui potevano scaturire occhiate fredde e
imperiose, però il comportamento non ne rispecchiava la
forza di carattere. Era
sfuggente, eludeva lo sguardo della ragazza ogni volta che tentava di
puntarglielo negli occhi. Inoltre, palesava le sue emozioni filtrandole
attraverso una sofferenza ben visibile nell’espressione
mortificata. Ne avrebbe
avuto compassione, se non ne fosse stata segretamente impaurita.
La
ragazza si sporse
verso il ninja, affrettandosi a limitare i danni della sua esuberanza.
“Io… le
chiedo scusa, Kazekage… le sono grata,
ma non voglio che la sua salute
peggiori a discapito della mia… lasciatemi…”
“Sai
che io sono solo il
figlio del Kazekage, vero?
Credevo… credevo di non trarre in
inganno nessuno” la interruppe borbottando. La kunoichi della
Foglia annuì in
accordo con lui, il sudore le scendeva lungo la tempia assieme a un
brivido sul
collo.
L’erede
del clan
Yamanaka conosceva i pericoli principali di una mente inconsapevole di
sé
stessa. Si trovava di fronte a una parte molto intima di Gaara,
intaccata da
uno strano incanto…
Senza
le dovute
cautele… non potrei sapere in che stato ritornerà
padrone di sé.
A
dispetto della sua
apprensione, Ino sfoggiò un enorme sorriso. Pareva quasi
scintillasse sotto la
candida luce del sole.
“Oh,
le chiedo scusa!
Vengo da fuori del Paese del Vento e devo aver scambiato il suo viso
con quello
del Kazekage! Mi capita spesso con i libri di scuola!”
cianciò la ragazza
ridendo, accostandosi al capo villaggio inconsapevole di esserlo. Sotto
quella
luce intensa, ove il bianco inghiottiva i contorni di cielo e terra, la
figura
tesa del giovane spiccava con tutte le sue sfaccettature.
“Davvero?
E
cos’avrebbero in comune il grande Kazekage e
il suo ultimogenito?”
brontolò lo shinobi incrociando le braccia al petto, ignaro
di Ino che
guadagnava terreno a ogni attimo di distrazione. Lo sguardo di lei
puntava le
ferite sul collo del ragazzo, le quali s’inabissavano sotto i
bordi della
giacca.
“Be’…
avete un
portamento simile e lo sguardo è pressoché
identico! Si vede che avete
entrambi la stoffa del leader!” Ino rideva priva di
convinzione, con il calore
che la stritolava, la pelle che cuoceva sotto ai raggi del sole e il
pensiero
che cascava nell’incubo di aver trovato chi stava cercando,
solo per perderlo
per sempre…
Era
così angosciata da
sé stessa e dagli elementi di una messinscena mentale da
cui, in condizioni
normali, non sarebbe stata in alcun modo scalfita, che il sorriso con
cui Gaara
si girò verso di lei ebbe il potere di farla trasalire.
Deglutì, il palato
arido. La mano si bloccò a mezz’aria, a poca
distanza dallo sfiorare le braccia
martoriate del ragazzo. Un altro tipo di calore, più gentile
rispetto
all’arsura del pensiero nel quale si stavano confrontando, le
salì alle guance.
Le
labbra di Gaara si
stendevano in un sorriso timido, giovane. Le
rammentò i tempi
dell’Accademia Ninja, le prime missioni con il Team 10, dove
i successi si concludevano
in una festa e i fallimenti sapevano di rabbia e lacrime trattenute a
stento.
Ripensò a quell’epoca e, d’improvviso,
si rese conto che momenti del genere non
erano mai appartenuti al ragazzo di fronte a lei. A
quell’uomo, dal viso di
un adolescente.
Gli
occhi di quel
leader brillavano mentre si sbottonava la giacca. “Non ho mai
incontrato
nessuno proveniente da fuori che sapesse così tante cose
sulla mia famiglia… ma
credo che tu abbia ragione, anche se… non so
spiegare il perché: i miei
fratelli sarebbero leader più in gamba di me.”
No
Gaara… non è vero…
La
bocca della
kunoichi era scossa dall’impeto di riferire ad alta voce
quell’osservazione, ma
lei tacque serrando i pugni sulle ginocchia, accettando muta il dono
della
giacca con cui il ninja le protesse le spalle bruciate, più
rosate delle
emozioni che le ribollivano sul viso. Il ragazzo la scrutava
dolcemente,
addirittura impensierito dalla sua espressione apprensiva, incapace
d’intuire
l’origine del malessere di quella bizzarra viaggiatrice: era
incurante dei
tagli da cui era attraversato come se fossero letti di fiume arsi, i
quali
proseguissero fin dentro la maglia a mezze maniche, macchiando di
sangue
rappreso e fresco la sua pelle.
“È
curioso… se non
stessi rischiando un’insolazione, direi che è buffo:
non ho mai visto
nessuno arrivare qui con un equipaggiamento non adatto… cosa
ti porta in questo
posto dimenticato da tutti?” Ino strinse le labbra e le
spalle, accucciandosi
dentro la stoffa della giacca, impregnata di un odore vegetale e di
salsedine
di cui aveva già esperienza. La confortava. La
impauriva.
Quanto
in là posso
spingermi senza causare danni irreparabili…
La
futura erede del
clan Yamanaka interruppe i propri ragionamenti: coloro che sapevano
utilizzare
la tecnica segreta della sua famiglia si guardavano bene dal rimuginare
troppo
intensamente su quanto accadeva nella mente. Perciò
parlò, senza più darsi pena
di suonare convincente.
Seguì
l’istinto e
l’animo che sfarfallava in quella rappresentazione artefatta
della realtà, eppure
da cui potevano sgorgare i loro veri sentimenti.
“Sono
venuta qui
perché ho saputo di un giovane figlio del Quarto Kazekage
che vive in
solitudine… senza nessuno su cui fare affidamento”
la kunoichi
sussurrava lasciando che il tessuto della giacca le toccasse le spalle,
incurante del dolore bruciante delle scottature. Nei suoi occhi
azzurri, di
sfuggita, balenava il viso di Gaara, contorto da sentimenti
conflittuali, il
quale non faceva altro che evidenziare quanto quel mondo illusorio
fosse
cresciuto sulle fobie e sul passato del capo del Villaggio della Sabbia.
“Ho
pensato… ho
creduto che a quel ragazzo potesse servire un’amica”
affermò
candidamente, la faccia ardente e le iridi azzurre tremanti, dentro cui
pareva
battesse il suo cuore, mentre osservava il ninja al suo fianco: serio,
meravigliato, sconvolto, rattristato, arrabbiato. Una lunga serie di
emozioni
ne attanagliarono i lineamenti delicati.
Poi,
in un istante, speranzoso,
di fronte a quel panorama che cambiava restituendo le rocce nude del
deserto, i
cactus solitari e le ombre lunghe di un sole che calava, facendosi da
parte su
quel mondo di cui non era il signore. Quest’ultimo era
soltanto il Kazekage,
con quelle sue emozioni fugaci indossate di fretta, entro i contorni
del viso
pallido, racchiuse dietro il bordo di una maschera di cera.
Ino
rabbrividì, senza
che fosse in grado di intendere il motivo del suo timore, né
come mai Gaara
sembrasse tanto terrorizzato e sollevato dalle sue parole. Assistette
alla sua
mano che saliva verso il suo volto, alle dita che tentarono di
scostarle una
ciocca dietro le orecchie. Pregò che quel momento giungesse
presto, che il
Kazekage riconoscesse il suo volto e provasse gioia per non essere
davvero il
protagonista di quella storia, dove il suo villaggio lo detestava, in
cui la
sua famiglia aveva il calore di un abbraccio non dato.
Ma
le loro speranze
erano solo un miraggio. Ino si maledisse per non aver compreso prima
che
quell’oasi non era al di fuori di un incubo.
Un
riverbero rosso, sanguigno,
sbucò nell’orizzonte alle spalle di Gaara. Aveva
l’aspetto di due occhi. Poteva
essere stato uno scherzo della mente di Ino, un capriccio delle sue
paure non
del tutto sopite. Tuttavia bastò a fermare la mano del
Kazekage. Bastò a
cancellarne il sorriso.
Bastò
a scatenare
l’adrenalina nel sangue e la sensazione di panico con cui
mantenerla in
circolo.
Una
raffica di vento
li frustò. Sollevò sabbia ovunque, inaridendo i
loro volti ormai vuoti
d’espressione e di calore. L’aria aveva un che di
freddo, glaciale,
nonostante l’ambiente fosse pervaso da una calura opprimente.
Ino sentiva le
cose più disparate come in un sogno, ma non fu
ciò a preoccuparla.
Gaara
aveva distolto
gli occhi e scrutava fremendo il deserto dietro di sé, ove
la ragazza aveva
visto quello sguardo rosso. Un fruscio strano, simile a una voce
urlante,
accompagnava le correnti, ornate di sabbia, che li stavano raggiungendo.
Quando
il ragazzo
incrociò il suo sguardo era, di nuovo, completamente avvinto
dalle illusioni.
“Mi
dispiace... io… devo
andare!” la kunoichi intuì e svelta lo
trattenne a terra, prima che
scattasse lontano e lei non potesse più ritrovarlo.
“Perché? Che cos’è
successo?!” esclamò provando a guardare il
giovane, ma non c’era più traccia di
serenità in quel suo cielo personale. Aveva fretta. La
fretta di un animale
braccato.
“Loro
sono qui… non
posso restare!” Così rispondendo sbrigativo, col
tono incrinato, Gaara s’issò
strattonando il braccio dalla presa di Ino, la quale si chiuse
sull’aria. Non
riusciva a capire cosa fosse successo, né perché
lui la fissasse con una punta
di vergogna, persino di colpa in quel viso ora colorato di rosso.
“Mi
dispiace…”
lo sentì mormorare mentre fuggiva. Ancora confusa dalla
situazione, la kunoichi
riuscì a captare un indizio in tempo perché non
perdesse di vista il Kazekage e
potesse inseguirlo in quell’ambiente informe, per via della
tempesta di sabbia
che sembrava li avesse perseguitati fin là dentro.
Si
concentrò sul vento
che avanzava, assottigliando gli occhi per evitare che la sabbia
l’accecasse.
Nel compiere il gesto, i suoi sensi si acuirono, permettendo
all’udito di
cogliere ciò che quelle raffiche portavano con loro,
sottoforma di evento
atmosferico.
Erano
voci… sconosciute
e conosciute.
Ino
sbarrò gli occhi e
subito schizzò dietro il Kazekage, simile a un punto scuro
sul cielo di sabbia
bruna. La giovane correva con fatica, ma non a causa del terreno su cui
scappava. Le voci che udiva le gravavano il passo.
Assassino…
sei un
mostro!
Il
Quarto Kazekage avrebbe
dovuto ucciderti con le sue stesse mani!
Fratellino…
pensavi
davvero che ti volessimo bene?
La
kunoichi percepì le
lacrime scenderle giù per le guance e la coscienza quasi
sparirle in mezzo a
tanto vociare indistinto. Invano, provò a scacciare le ombre
dell’animo di
Gaara, separandole da entrambi, però i suoi tentavi erano
accolti da una risata
echeggiante in quel vento furioso, o da riflessi carmini oltre il buio
della
tempesta di sabbia. Ma non c’era altro modo per carpire la
presenza della strega,
se non attraverso le voci che fluivano liberamente dalla mente di
Gaara. Quegli
incubi che avevano il potere di soffocare il
respiro e di trascinare
il pensiero in un mare di oscurità.
Ino
avrebbe desiderato
arrendersi. Avrebbe, davvero, voluto evitare che
quell’ammasso infimo di
negatività la soverchiasse. Eppure resisteva, obbligandosi a
tenere il senso
della vista intatto.
Gaara
era laggiù, un
po’ più vicino, rallentato anch’egli dal
furore del maestrale d’angoscia,
tristezza e panico. Ino ne udiva sempre le emanazioni, in diversi toni
e
persone.
Credevi
davvero che
avremmo potuto perdonarti? Tu che ci hai strappato la dolce Karura? O
che hai
lasciato morire il buon Yashamaru?
Ino
riprese il
controllo su sé stessa, riacquistando il dono dei propri
sensi. Digrignò i
denti con furia e, con ultimo scatto della coscienza, varcò
il confine verso
cui il Kazekage era sparito.
La
meraviglia la
travolse, mitigando fortunosamente l’effetto delle voci su di
lei, capaci, ne
era certa, di ferire in modo fatale qualunque animo vi restasse immerso
troppo
a lungo. Capì per quale motivo Gaara fosse percorso da rii
di sangue. Il corpo
della giovane, ora più stabile in quella visione, strinse le
labbra sotto la
gabbia dei denti.
Un
mare di cactus…
Deglutì
a vuoto
gettandosi in quella nuova scena creata dall’immaginazione
corrotta del giovane
leader.
Cactus
enormi si
ergevano da terra, fitti come muri invalicabili, da cui spiccava un
altrettanto
impenetrabile frotta di spine. Gaara vi si addentrava a fatica, sebbene
la
tempesta avesse smesso di braccarlo in quel bosco di dolore.
Ino
avanzava piano in
esso, eludendo la puntura delle spine con cautela, ma per quanto si
sforzasse
di essere scrupolosa, il Kazekage attraversava gli ostacoli con
incoscienza.
Erano ormai vicini, quasi fossero all’inizio della loro breve
conversazione.
“Gaara…
ti prego… fermati!”
la ragazza gridava, eppure le sue parole cadevano mute, come se le
piante ne
assorbissero il volume. E il ragazzo non riusciva, o non
voleva, udirla.
Ino
cominciava a
percepire la paura in ogni sua fibra. Non aveva una sufficiente forza
mentale
mediante cui sollevare entrambi da quella visione di spine, ma poi vide
il
sangue da cui queste ultime erano macchiate. Udì i lamenti
del Kazekage, i suoi
gemiti affranti.
Rendendosi
conto di
tutto questo, comprendendo la sofferenza interiore alla quale Gaara
tante volte
si era sottratto per amore della sua gente e che in quel momento lo
pungolava,
l’espressione della kunoichi s’indurì.
Il chakra ne avvolse la figura del
pensiero, uguale al suo aspetto reale.
No,
strega… non lo
avrai!
Con
uno sforzo fuori
da qualunque sua abilità umana, derivato solamente dal
desiderio di salvare
quel ragazzo con cui stava soffrendo in quell’incubo lucido,
Ino trasse un
respiro dal proprio inconscio, fino al momento in cui la sua
volontà s’elevò
dritta, fiera, imponendosi sopra alle illusioni
costruite ad arte per
ferire, uccidere, l’animo del Kazekage.
Piegò
le forme dei
cactus, le distaccò dal ninja in pena, le spinse ai limitari
della loro
percezione. L’autorità attraverso il quale
impartì i suoi comandi rese quella
visione più instabile, meno efficace nei
suoi intenti velenosi. Il
giovane fu in grado di distanziarsene. Ino ne fu felice, colpita da una
gioia
incontenibile.
Però
non durò molto.
Appena il ragazzo se ne andò da quella parte di pensiero, una
miriade di
spine la trafisse. Il veleno del male le inasprì
la consapevolezza di sé.
Ino
urlò di dolore,
attraverso polmoni che non esistevano più, in
quell’universo fatto apposta per
torturare i suoi ospiti, guidato dal barlume rosso di occhi che
comparivano e
sparivano nella mente inondata dal dolore.
Cosa
vuoi fare, razza
di stupida? Non sei capace di fare niente!
Ma
chi ha messo nel
team del figlio del Terzo Hokage una che non vale nulla?
Se
almeno fossi
intelligente come Sakura…
Eri
davvero convinta
che Sasuke o Sai potessero perdere la testa per un’oca come
te?
Dalla
ragazza
strariparono grida, pianti, sangue e sudore, ance se non
c’era più un corpo
quale riferimento delle sue sensazioni. Era finita in un nulla di
pensieri che
non le appartenevano, nonostante le rammentassero qualcosa di dormiente
nel
fondo del suo animo. La dilaniavano al comando di una presenza più
forte
della sua. Una creatura in grado di governare il buio
dell’animo umano
mediante i suoi ricordi più intimi.
Le
dita ossute di
Nocnitsa penetrarono la morsa di dolore, agganciandola. Imprigionata in
una
così grande esperienza negativa, fu quasi sopportabile che
quell’essere si
avvinghiasse a lei, mostrandole quel sorriso di un mostro,
incatenandola
alla paura come se la maledicesse.
Allora,
dalle labbra
secche della strega, cariche di denti affilati, nacque la
più dolce delle voci.
La più orribile delle condanne.
Ino…
credevi sul serio
di farcela?
Padre…
Gli
occhi di Ino
piansero, se ancora vi fossero orbite da cui potesse fuoriuscire un
fiotto di
lacrime. La bocca di Nocnitsa si avvicinò, allargandosi su
un immenso buio…
Una
mano la condusse
via da quella presa. Ino inspirò dolorosamente. Era di nuovo
in possesso di un
paio di polmoni che la sostenessero.
Nel
deserto, ora
ricreatosi di fronte a lei, Gaara la scrutava infuriato. Nelle iridi
azzurre
pareva tuonasse un temporale. Il suo respiro era mozzato da ansimi.
“Stupida…
perché mi hai inseguito?!”
Ino
sobbalzò, colta
alla sprovvista dalla durezza della sua voce. Erano ritornati in mezzo
alla
foresta di cactus, ma si trovavano in una sottospecie di spiazzo, in
cui le
piante si richiudevano su di loro, sigillando ogni apertura con spine
acuminate.
La
kunoichi non riuscì
a rispondere granché. Un gemito strozzato le
scappò, il corpo non ancora
abituato al rientro in quella parvenza di realtà. Gaara
l’aiutò a sedersi al
centro di quella sorta di radura. Non si era accorta di essere caduta a
terra.
Non ne sentiva alcun effetto sul corpo, siccome doveva ancora
riprendersi da
quella strana esperienza.
“Sei
quasi morta per
raggiungermi… i cactus ti stavano smembrando!”
Ino strabuzzò e si volse
indietro, dove il suo bozzolo di sofferenza s’era tramutato
in un mare di spine
imbrattate del suo sangue.
Allora…
tutto ciò è
successo dentro la mia testa…
La
comprensione fu
frenata da una lancinante sequela di fitte. In un baleno, gli effetti
della
stretta quasi mortale di Nocnitsa la ghermirono, squarciando la pelle
con vari
tagli, facendo fiumare sangue su braccia e spalle. Ino sapeva che era
tutto
fittizio, che il suo corpo non era davvero intaccato da quelle ferite.
Però,
come per le lacerazioni di Gaara, esse erano molto più di
una lesione
corporale: erano la manifestazione della debolezza dello spirito, l’instabilità
del suo essere.
Ino
sbiancò, percependo
il proprio istinto che si ribellava a quel male, che le comandava di
andarsene
in fretta da quella mente tanto pericolosa.
Gaara
si accostò a
lei, prendendole delicatamente il braccio. “Maledizione! Di
questo passo
morirai dissanguata! Lascia che io…”
il chakra illuminò la sua mano, ma
Ino fu più rapida. Gliela schiaffeggiò via,
lontano dalle ferite che lui voleva
sanarle. Questa volta, non riserbò alcun moto di compassione
per l’espressione
offesa del giovane.
“Sei
impazzito, per
caso? Non puoi curarmi in queste condizioni, rischieresti di restarci
secco!”
eruppe con il respiro spezzato, la tachicardia a mille. Dannazione…
il
contatto prolungato con questa negatività ci sta
influenzando troppo! Se
continuiamo di questo passo… diventeremo due amebe cariche
di rabbia!
Ino
si morse il
labbro, cercando le parole per proseguire, ma Gaara batté le
sue buone
intenzioni in velocità. “Continui a dirlo, ma la
situazione non cambia:
non lascerò che tu muoia per delle stupide ferite che ti sei
fatta per
raggiungermi!” la ragazza avrebbe trovato ammirevole, persino
galante, un tale
sfoggio di stoico spirito di sacrificio. Ma quel viaggio nella testa
del
Kazekage stava viziando il suo lato romantico.
“Se
non volevi
rischiare, non ti saresti dovuto infilare qui in mezzo!
O forse credi
che io sia cieca e non veda i tagli che ti ricoprono?!”
sbottò velenosa, già
avvertendo le guance rosse per la propria impudenza. Si aspettava quasi
che il
leader del Villaggio della Sabbia le rispondesse in malo modo, visto
che
appariva quasi padrone di sé, o almeno della sua gelida
autorità.
Invece
restò muto. Ino
rialzò gli occhi su di lui, dopo averli nascosti in un
angolo della giacca, per
paura della reazione dello shinobi.
Gaara
non la guardava
più. Osservava i cactus sopra le loro teste, il mondo di cui
custodiva la
chiave e che, pure, non sapeva di possedere. Con quei suoi occhi
azzurri, quel
sorriso mesto di un prigioniero. Una nuova morsa ghermì
l’animo della ragazza,
una tenaglia dolorosa.
“Scusa…
non
avrei dovuto…” Lui scosse la testa, fermandole il
coraggio. “Sai… questi sono gli
amici più cari che ho” Ino
scrutò il Kazekage, spiazzata da quella voce
tornata remissiva. Da quella paura che aleggiava sul suo spirito
dimesso.
“Sono…
sono proprio
come me” la kunoichi assistete a Gaara che si
alzava in piedi, che mirava
le spine lunghe e pungenti da cui erano circondati. Ne tastò
la superficie
longilinea, lasciando che le dita vi scivolassero sopra.
“Sono
belli… imponenti…
ma basta che ti avvicini e…”
la mano cadde dalla spina al suo fianco.
Fili di sangue fresco ne adornavano le nocche come un guanto strappato.
“Sono
proprio come
me…” Ino sbarrò gli occhi.
Improvvisamente capì. Improvvisamente afferrò
ciò che si celava nell’ombra di Gaara.
Ora
so… come farci
ritornare alla normalità.
Ino
prese un profondo
respiro, lo stesso mediante il quale aveva salvato il ragazzo da quella
selva
di spine. Questa volta, tuttavia, non era per manipolare, ma per
creare:
dai ricordi che entrambi conoscevano, la ragazza plasmò una
forma familiare, con
un tocco intimo rubato dagli animi di Temari e Kankurō, dentro cui si
era
intrufolata spesso, nell’arco di poche ore.
Forse
per questo
motivo, il piccolo gymnocalycium risaltava in quelle immagini scolorite
dal
dolore.
“Non
dico che non
possano essere i tuoi amici… anch’io credo che le
piante sappiano ascoltare
meglio di tante persone!” Ino rideva rimuginando sulle sue
giornate in
compagnia delle piante del negozio, quando Sakura passava i pomeriggi
alla
mercé di Tsunade, o quando Shikamaru e Chōji erano troppo
impegnati a oziare
per aiutarla negli allenamenti. Rammentava i mormorii con cui sfogava
la sua
frustrazione, i fiori che, silenziosi, coglievano le sue sentenze
lasciandosi
baciare dal sole. Erano così belli, profumati e chini quasi
fossero intenti ad
abbeverarsi delle sue parole, anziché dell’acqua
da cui erano annaffiati, che
la ragazza non poteva più dire nulla di arcigno su quelle
persone dal quale era
ignorata.
In
fin dei conti… mi
basta un fiore per essere felice.
Il
fiore sulla sommità
del gymnocalycium era sgargiante. Quando Ino
s’avvicinò a Gaara, persino lui ne
rimase impressionato. Nel suo sguardo viaggiavano dei ricordi, un
antico fiume
in cui le acque avevano il sapore dolce di un’amicizia. Ino
ne fu intenerita e
il suo cuore scalpitava mentre portava la mano del Kazekage sopra il
fiore
colorato. Aveva sempre quel tepore di cui aveva avvertito la piacevole
carezza
appena risvegliata.
“Ma
se non mantieni il
controllo… se non te ne prendi cura, cresceranno
fino a farti mancare l’aria”
dalla corolla di petali, fece scorrere la mano di Gaara sulle spine.
Quelle
spine tenaci che, però, sapevano piegarsi dolcemente, se
premute con
gentilezza.
Senza
la forza dei
rimorsi di Temari.
La
kunoichi deglutì.
Le dita del ragazzo erano più delicate di quanto
immaginasse, persino in quei
pensieri.
“Ma
se, invece, ti
interesserai di loro… non potranno più
farti del male” e quelle dita
prive di calli come quelle di Kankurō le strinsero il palmo. Ino vide
la sua
segreta richiesta esaudita, ossia capire come potessero mani tanto
fragili
impugnare con vigore le sue dita, al punto da indurle un brivido lungo
la
schiena. Oppure erano gli occhi del ragazzo, puntati nel suo spirito, a
rivolgerle quella sensazione di calore, ancora una volta, sulle guance.
Però,
questa volta, la kunoichi non riusciva a rinnegarla più,
celando il viso nella
giacca che Gaara le aveva offerto prima. Lasciò che lui la
studiasse, che ne
perlustrasse i lineamenti alla ricerca di quella verità
nascosta.
Deglutì
a vuoto.
D’istinto, proferì solo una frase: “Gaara…
non lasciare che
l’autocommiserazione ti rovini.”
Non
si aspettava una
risposta, né una domanda sul perché lei
conoscesse il suo nome, anche se lui
non gliel’aveva rivelato. Era un’altra soluzione
quella di cui lui aveva
bisogno.
“Chi…
chi mi ha
regalato questo cactus?” Gaara era chino
su di lei, con le ciglia
socchiuse, ma Ino non aveva paura, anzi, quasi speranza.
Senza
rendersene
conto, commise il suo più grande errore.
“Si
chiamava Yashamaru,
Gaara… ed era il fratello di tua madre”
la sabbia che li attorniò non
era violenta, né percossa dal vento. Imitava solamente il
frullo del cuore di
Ino che rintoccava ogni secondo di quel lungo momento. Il gymnocalycium
era
caduto dalle sue mani e rotolava lontano, immerso nella memoria.
Le
labbra di Gaara
erano premute contro le sue. Tutto ciò non era reale.
Era soltanto la
parvenza di quello che le loro menti sperimentavano in assenza di un
corpo.
Eppure, Ino voleva sentirle di più, voleva che Gaara la
stringesse così come
lei gli aveva afferrato il colletto della maglia per sentirlo vicino.
Era solo
una finzione, un’unione che non
riguardava l’un l’altro al di fuori
delle loro menti.
Gaara
leggeva i suoi
pensieri come un libro aperto. Estrapolava informazioni su quanto era
accaduto
dall’istante in cui era scomparso nella tempesta di sabbia.
Vedeva Temari e la
sua storia, Kakashi e la sua freddezza, Kankurō e la sua rabbia.
Scorgeva lei
e la sua risolutezza, con la quale si era fiondata nella sua
mente
sconfiggendo i dubbi. Assistette alla battaglia che aveva intrapreso
con
Nocnitsa, ferendosi a vicenda.
A
quel punto, Gaara le
strinse le braccia, avvolgendola in un abbraccio in cui non percepiva
nessun
dolore, nonostante le ferite ancora aperte. Il chakra li cospargeva
entrambi e
leniva le lacerazioni, la forma bruciante dei loro affanni. Ino si
sentì come sospinta
verso il Kazekage e si sentì obbligata a cadergli fra le
braccia, abbandonando
il bacio.
“Ti
chiedo scusa,
Yamanaka Ino… non avresti dovuto affrontare tutto
questo.”
La
ragazza scosse la
testa, rialzando il viso verso Gaara. La voce del ragazzo non era
più
titubante, né i suoi occhi palesavano timore. Era il Quinto
Kazekage del
Villaggio della Sabbia che la fissava dall’alto della sua
posizione fiera, con
un sorriso tenue che non si affacciava sugli occhi. A Ino andava bene
così: era
l’uomo del quale si era messa alla ricerca nel buio creato da
Nocnitsa.
“L’ho
fatto
volentieri, Kazekage… se non altro per
zittire quel pallone gonfiato del
mio capo” una risata che gli mosse appena la cassa toracica,
quasi un singulto.
Ino era felice che Gaara fosse ritornato, che si fosse risvegliato da
quell’incubo. Era talmente incantata da aver paura di
andarsene e di non
tornare mai più.
Dovrò
accontentarmi di
ricordare questi istanti…
Gli
sorrise,
donandogli un’ultima stretta vigorosa. Aveva il cuore che
echeggiava pesante.
“Coraggio, Kazekage… fuori di
qui hanno bisogno di te!” Ino ghignò
complice, eppure non ottenne nessun risultato da
quell’esortazione. Il giovane
non la guardava più. Osservava i cactus sopra le loro teste,
con una strana… nostalgia.
Allora, la kunoichi comprese.
Una
scarica di terrore
la percorse. I suoi pensieri le rimbombarono nella memoria.
Avvertimenti a cui
lei stessa non si era attenuta.
Senza
le dovute
cautele… non potrei sapere in che stato tornerà
padrone di sé.
“Kazekage!”
Ino
esclamò, ma Gaara le mise una mano davanti alla bocca,
impedendole di
proseguire il suo discorso. “Io… ti sono grato, Yamanaka
Ino. Quello che
hai fatto per Temari e Kankurō… Quello che hai fatto per me
non
l’avrebbero compiuto in molti” si
abbassò sul suo orecchio, regalandole
una fitta di disgustoso dolore per quella vicinanza paragonabile al
percorso di
due fiumi paralleli.
“Forse…
nessuno
l’avrebbe fatto” le strinse le spalle, rialzandosi.
Il suo sguardo era scuro,
adombrato, all’interno dei lineamenti decisi delle occhiaie.
No,
Gaara…
Le
lacrime di Ino
caddero copiose su quelle dita che le sigillavano le labbra. Una
barriera peggiore
dei tentativi di Nocnitsa di ucciderla, perché erano
perpetrati dall’uomo che
sperava di salvare.
“Non
devi essere
triste… mi hai dato un ultimo ricordo di cui essere
felice… lo custodirò con
gioia" l’espressione statica del ragazzo ebbe un sussulto di
dolore.
Guardò il dito che Ino gli aveva morso, liberando la bocca
dalla presa.
“Kazekage…
Gaara… non
puoi essere serio!” la giovane parlò dimentica del
rispetto, dei confini e
delle barriere che esistevano fra lei e l’erede di quella
posizione un tempo
occupata dal padre. Nei suoi occhi si affermava la convinzione di
Temari, nei
suoi denti serrati la frustrazione di Kankurō. Però era il
suo cuore che dava
vita alle parole con cui si espresse: “Dopo tutto quello che
la tua gente ha
passato… quello che i tuoi fratelli hanno
affrontato… Dopo tutto quello che ho
vissuto… come puoi parlare
così?!” la kunoichi ansimava mentre le dita del
leader del Villaggio della Sabbia cadevano dal suo viso. Il movimento
non
corrispose a un mutamento della situazione.
“Sai…
credo tu stia
dando troppa importanza alle cose, Ino” proferì
strisciando via il
sangue dal dito su cui si stava tratteggiando il segno del morso.
"Tutto
quello che mi riguarda… è futile.”
Gli
occhi di Gaara si
scagliarono su di lei e, subito, prima che potesse scaraventarsi contro
quello
stupido rimproverandolo, la sabbia le agguantò gambe e
braccia, incatenandola
al suo posto. In un ambiente diverso, meno ostile,
l’erede del clan
Yamanaka avrebbe potuto facilmente contrastare un’offensiva
così innocua, tuttavia
non c’era sola la sabbia a trattenerla.
Avvertiva
il peso
degli ordini del Kazekage, la silenziosa sentenza con la quale la
obbligava a
perdere contatto con le cose di quel mondo.
Va’
via.
“No
Gaara… non lo
farò!” ululò la kunoichi, pur cadendo
sotto il peso della sabbia. Ne era
sommersa, fasciata come un abito troppo stretto. Solo il suo sguardo,
azzurro e
terso come quello del ragazzo, fuoriusciva dal buio di quel bozzolo di
sabbia.
La stessa figura di Gaara, ora, risaltava fra le ombre che stavano
ingurgitando
tutto. Aveva un vago odore di foglie e terra marce.
“Non
è qualcosa che
puoi decidere, Ino… è il mio destino,
già da molto tempo.”
“Così
te ne andrai
abbandonando la tua gente alla morte!?” ringhiò la
kunoichi da sotto la sua
gabbia di sabbia. Vide un sorriso mesto in risposta, con parole che le
indussero un brivido: “Se io me ne andassi… non ci
sarebbe più nulla che la
minacci.”
Ino
trasalì, ma non
poteva più dire alcunché: il pulviscolo
s’era insinuato per le sue narici,
facendola tossire. Scorse il cielo così brillante di Gaara,
privo di alcuna
sfumatura, chiudersi oltre le palpebre.
“Dopo
Yashamaru… dopo mia…”
persino nella cecità dei sensi, Ino udì un
singulto nella gola di Gaara. Fu uno
degli ultimi scorci che notò di quel ragazzo sempre
più lontano.
“Temari
aveva ragione
a desiderarlo.”
L’oscurità
si richiuse
su di loro, imprigionandoli in due incubi separati. Le ultime parole di
cui Ino
ebbe il suono furono un regalo contro cui stava lottando disperatamente.
Vattene,
Ino del clan
Yamanaka. Farò in modo che questa creatura non ti dia
fastidio.
Razza
di imbecille… è
proprio quello che questa strega vuole!
La
sua voce risuonò
potente, sebbene fosse vuota, buttata in un nulla dove era soverchiata
dal
dolore di aver notato Gaara piangere, poco prima che la sua figura
sparisse.
Stupido…
come puoi
credere anche solo a metà di quello che hai detto?!
Ino
sospettava che
quello fosse un ostacolo superabile, che potesse ancora recuperare
quel
ragazzo dall’animo gentile, di cui aveva intravisto la
presenza nei meandri di
quell’inconscio oberato di immagini orrende. Ma la sabbia la
costringeva e la
inibiva. Poteva quasi sentire il suo vero respiro raggiungerle i
polmoni.
Allora
si sforzò di vedere
di nuovo, anche se le ombre erano troppe, anche se aveva
paura di ciò che
esse celavano. Non aveva mai fatto nulla di simile, nulla che
richiedesse un
sacrificio talmente grande da parte di altri.
Rinsaldò le dita sui
palmi, già simili, nel tatto, a quelli presenti nel corpo
dormiente ancora per poco.
Poteva addirittura scorgere le macchie scolorite del sangue con cui
un’amica le
aveva macchiato le mani. Una sorella pronta a tutto.
Temari…
ti prego…
aiutami!
Il
suo richiamo ruggì
dal cuore e attorno al suo sembiante. Fu talmente forte da spazzare la
sabbia
come se fosse solamente polvere su una mensola. Quel grido divenne un
vento
inarrestabile, rapido e glaciale. Disperse l’odore soffocante
di Nocnitsa, la
visione dei suoi occhi rossi nel buio.
Colpita
dall’impeto di
quella raffica inaspettata, presa in contropiede da quel turbinio
gelido, Ino
fu vinta dalle proprie fragilità. Cadde nel buio, ove
l’attendeva il ricordo
delle dita di Gaara sulla pelle, del suo sguardo smarrito nei sensi di
colpa.
Come
in un barlume di
speranza, sentì il calore dell’abbraccio di suo
padre e la sua voce, come una
dolce carezza.
Tesoro…
solo tu ce la
puoi fare!
Continua
nel Capitolo VI: Così è nella mente, come fuori
di me
|
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Capitolo 6 *** Capitolo VI: Così è nelle mente, come fuori di me ***
Capitolo
VI: Così è nelle mente, come fuori di me
In
un’altra vita, in un universo in cui la mente era solo una
parte del corpo,
Temari cascò a terra emettendo un gemito strozzato.
“Temari!”
Shikamaru s’inginocchiò al suo fianco, passandole
una mano dietro la schiena,
madida di sudore ghiacciato. “Che ti prende? È
successo qualcosa?” la donna
stentava a inquadrare il viso del ragazzo, o il profilo imponente degli
edifici
del villaggio. Percepiva a malapena l’aria che le inondava i
polmoni, oppure la
terra asciutta che grattava con le dita, facendosi male sotto le unghie.
Vedeva,
sentiva, tutt’altro: era ancora con Ino,
con le loro mani sopra il
gymnocalycium. Notava il sorriso dell’amica percependone il
calore addosso. Un
ricordo che le spezzò il cuore.
“Sì,
Shikamaru… sto bene… stavo
solo pensando a…” mormorò Temari con la
voce
graffiata dallo sforzo di respirare normalmente. Il ragazzo
sbuffò, aiutandola
a rialzarsi.
“So
cos’hai fatto, Temari… ma non sono convinto che
sia stata una buona idea: la
mente non è un banale ripostiglio. Solo quella svampita che
abbiamo mollato
laggiù sa come cavarsela qui dentro…”
replicò lui toccando con l’indice
la tempia. “E tu hai già attraversato il deserto
evocando i kamatari… Forse
dovresti riposare, intanto che noi cerchiamo…”
“Non
osare tagliarmi fuori!” tuonò la donna,
come se quella lancinante
sensazione di poco prima non l’avesse neppure scalfita,
sebbene fosse stata maledettamente
spaventosa: Temari aveva potuto avvertire il proprio spirito
che
l’abbandonava. Una parte importante dal quale si era
distaccata per sostenere
un animo più fragile del suo.
“Avrò
anche sentito il colpo, ma non sono una kunoichi qualunque, vedi di
mettertelo
bene in testa!” riprese a correre con passo meno spedito. Era
gravata da quella
leggerezza fastidiosa, in cui persino i ragionamenti volteggiavano
senza pace,
procurandole confusione e panico.
Se
penso che Ino sta affrontando anche di peggio…
La
magra consolazione di Temari, da cui emergeva più amarezza
che serenità, fu
allontanata da una ritrovata stabilità. La donna
strabuzzò, meravigliata che
quel pigrone avesse deciso di sostenerla.
Shikamaru
le stringeva la schiena di nuovo, permettendole di restare dritta.
Fissava la
strada di fronte a loro, su cui svettavano mucchi di sabbia abbandonati
dalla
tempesta scomparsa di colpo. Tuttavia, il suo cuore batteva al fianco
della
donna, con un placido ritmo.
“Devo
ammettere che hai più buon senso di me: non so come avrei
fatto a trovare il
nostro obiettivo senza il tuo aiuto… ti fa onore”
un complimento del
genere non se lo sarebbe mai aspettata da parte di Shikamaru. La
kunoichi della
Sabbia arrossì, perdendo interesse per quel viso tanto
bello, sul quale avrebbe
rovesciato volentieri una scarica di pugni.
“Eh
già, ti stavi comportando da sprovveduto… si
direbbe che non hai mai completato
una missione di ricerca!” blaterò Temari,
nonostante fosse certa che il ragazzo
non le avrebbe risposto. Era strano da quando lui e
l’Hokage avevano
parlato. O forse lo era da più tempo, da quando aveva
scoperto quello che lei
aveva fatto per liberarsi di Gaara.
Ma
non ha importanza… conta soltanto scovare il nostro
sospettato.
Temari
rifletté sugli indizi che avevano raccolto, sulla frenesia
da cui erano
sospinti in avanti, nonostante la battuta d’arresto iniziale.
Rivide
le sue gambe che correvano verso la casa della balia, solo per trovarla
vuota e
abbandonata.
“Davvero
non lo sapevi, Temari? La tua tata è morta durante la Quarta
Guerra Mondiale” un
vicino di casa l’aveva narrato
a entrambi da un angolo della strada, ove si era rifugiato con la sua
famiglia,
per paura che il tetto crollasse sulle loro teste. Parole dette con
tono
dimesso, mentre fasciava la testa del figlio.
Temari
non aveva saputo cosa dire di fronte a quella scena di cui si era
sentita
responsabile. Era restata in silenzio ascoltando il motivo della morte
della
vecchia balia, legato al dolore causato dalla devastazione del
conflitto, senza
il dovuto interesse. La giovane aveva pensato al fratello minore, poi a
Kankurō. Si era sentita indegna di condividerne lo stesso sangue.
Era
stato Shikamaru a ridarle un po’ di colorito e speranza. “Avete
visto
qualcuno nei dintorni della sua casa, di recente?”
aveva chiesto con le
mani in tasca e la sigaretta che ardeva intrappolata tra le labbra,
consumandosi in un filo di fumo. Temari aveva scorto i suoi pugni
stringersi,
oltre il tessuto dei pantaloni.
“Be’…
molti di noi sono rimasti sconvolti dalla sua morte: ogni tanto
qualcuno lascia
dei fiori alla porta… Anche se c’è
stato un fatto strano.”
“Parli”
Shikamaru lo aveva incalzato immediatamente, rimanendo
all’apparenza calmo,
eppure alla kunoichi era sembrato che la mascella gli si fosse chiusa
sulla
sigaretta con una certa forza.
“Nulla
di serio, ma sembra che qualcuno si sia introdotto in quella casa
qualche sera
fa… non abbiamo saputo spiegarci perché:
è vuota da tempo… ma mio figlio ha
visto una persona incappucciata aggirarsi lì vicino, prima
che il fatto
accadesse”
neppure il rumore del respiro turbava quel racconto che i due shinobi
ascoltavano intenti. “È andato a
salutarla, sapete come sono i bambini… Gli
ha detto di essere stato qualcuno di cui si era preso cura la donna.
È finita
lì.”
“Shikamaru!”
Temari
era esplosa agguantandogli il braccio, quasi conficcando le unghie
nella pelle.
“Quando lei ha prestato servizio presso la nostra
famiglia… non poteva
uscire dalla Residenza del Kazekage per motivi di sicurezza!”
il ninja
aveva intuito dove il ragionamento della donna li stesse portando.
“Significa
che chiunque fosse… doveva essere parte di una famiglia del
personale di
servizio, o di quelle dei ninja di guardia!”
avevano annuito insieme. Erano
corsi alla Residenza del Kazekage in fretta e, per brevi momenti,
Temari si era
dimenticata delle proprie remore, dell’imbarazzo che provava
camminando a
fianco dell’uomo di cui si era innamorata.
Chissà
cosa ne pensi di tutta questa storia…
Si
domandava la giovane lanciando qualche occhiata sfuggente al ragazzo:
non aveva
la forza di indagare cosa si celasse dietro l’ombra del suo
sguardo assorto.
Forse…
più tardi tutto avrà un senso.
Sperava
Temari, pregando che il tempo fosse meno crudele di quanto non fosse
stato sino
ad allora, con le sue rivelazioni antiche, gli affanni presenti e le
minacce
future. Continuarono a correre fra le strade del Villaggio della
Sabbia,
popolate di persone ferite e case malconce, sperando che Baki potesse
fornire
loro le risposte che cercavano.
Risposte
diverse, eppure collegate alle domande che Kankurō si poneva osservando
la
gabbia fitta di sabbia dentro cui era rinchiuso il corpo inerme di
Gaara. Dopo
aver sorretto Ino per un po’, quasi sperando di sostenerla
contro l’ignoto che
avrebbe trovato nella mente del fratello minore, il ragazzo
l’aveva distesa
infine sulla sabbia, alla scomparsa della tempesta
tutt’attorno a loro.
Essa
permaneva soltanto su Gaara, il quale era crollato a terra come se un
enorme
peso l’avesse schiacciato. Nel buio creato dalla sabbia, che
rimestava in balia
del vento, il Kazekage si distingueva appena nella sua posa supina. La
luna
illuminava tutto il deserto, ma la sua luce veniva risucchiata in
quell’antro
oscuro, senza rischiararne neppure un granello del terreno.
I
ninja della Sabbia e della Foglia si erano avvicinati a quella
minuscola
barriera impenetrabile, ma i loro tentativi di abbatterla erano stati
respinti
da un suono stridulo da cui erano stati colpiti peggio di
un’arma.
Anche
Kankurō l’aveva udito, condividendo con gli altri coraggiosi
una strana
sensazione di vuoto nella cassa toracica e un nodo alla gola che
supplicava
d’esser sciolto nel pianto, come se quel richiamo
incomprensibile avesse la
forza di distruggere l’autocontrollo temprato da anni
d’allenamento. Rimiravano
poi un lampo oscuro, dal vago colore rosso, simile a due occhi che si
burlassero della loro stoltezza.
Soltanto
Kakashi non li aveva intravisti, né aveva avvertito le
sensazioni dei
sottoposti e degli alleati. Era restato al fianco di Ino, sempre in
piedi,
fissando il corpo pallido dell’allieva di uno dei suoi pochi
amici, uno dei
tanti morti. Si leggeva nel suo sguardo una miscela di vorticante
nostalgia e
biasimo, la quale lo rendeva più umano di quanto Kankurō
avrebbe desiderato.
Voleva
ammazzare Gaara… non farti abbindolare!
Così
fu la rabbia a muovere la lingua del fratello maggiore del Kazekage:
“Insomma,
Hokage! Non hai alcuna intenzione di darci una mano?!”
latrò furente
guadagnandosi le ennesime occhiate guardinghe dei ninja della Foglie e
le
contrapposte reazioni degli shinobi della Sabbia, i quali
s’erano già tesi come
corde pronte a spezzarsi.
Kakashi
non rispose subito. Nel sospiro a cui s’abbandonò
pesava un sentimento
sfinente, da cui la sua replica partì priva
d’energia: “Cosa pretendi che io
faccia?” domandò atono, le braccia incrociate
più per stanchezza, anziché per
il desiderio di sfidare il giovane come aveva fatto al principio di
quella
sera. Kankurō non ebbe alcuna intenzione di carpirne la differenza.
“Sei
o non sei il ninja più forte di Konoha? Cosa aspetti a
distruggere questa
barriera con uno dei tuoi fulmini da quattro soldi?”
infierì il ragazzo
avvicinandosi, mentre un folto gruppo di ninja della Foglia lo seguiva
con
attenzione. Alcuni avevano le mani all’altezza di shuriken e
kunai, qualcuno
mimava una posizione delle mani per qualche tecnica.
Kakashi
si prese ancora del tempo per rispondere. Si inginocchiò di
fianco a Ino,
premendo le dita sul collo della kunoichi. Occhiaie violacee si
delineavano
sotto i suoi occhi, inscuriti da ombre che pellegrinavano in essi.
“Non è di
lui che ti devi preoccupare… se lei se
ne va, abbiamo perso
entrambi.”
“Ino!”
il ninja della Sabbia esclamò dimentico della frustrazione
iniziale, mutata con
forza da un’improvvisa ondata di colpa. Corse di fianco
all’amica che aveva
lasciato, rendendosi conto solamente in quel momento di quante cose
fossero davvero
cambiate: trattenendo fra le dita il polso molle della
ragazza, s’accorse
che il battito stava sparendo.
“Cosa
le sta succedendo?!” mormorò il giovane
appoggiando il palmo della mano
sull’incavo del collo di Ino: era ghiacciato, privo di
qualunque calore.
Kakashi
lo ignorò di nuovo, ma questa volta il suo gesto fu
comprensibile: con un cenno
del capo chiamò un ninja medico, il quale si
chinò al fianco della kunoichi
priva di sensi. La donna aveva un volto serio mentre poneva le mani
pregne di
chakra all’altezza della fronte della collega.
“Sta
accadendo quello che immaginavo…” risposte infine
il superiore di Ino, talmente
piano che Kankurō dovette, suo malgrado, accostarsi vicino a lui.
“Qualcuno
o qualcosa sta cercando di fermarla.” mentre lo
spiegava, un filo di sangue
sporse da un angolo della bocca di Ino, colando dal viso al collo.
Sul
volto senza pittura di Kankurō si tratteggiò il turbamento.
“No…
Ino!” sibilò
il ragazzo rimettendosi vicino a lei, stringendo
quella mano così triste e pallida da farlo rabbrividire. Per
la prima volta da
quando si conoscevano, il fratello di Temari e Gaara
s’accorse che sui suoi
palmi, per all’apparenza delicati, poteva percepire le
impronte dei calli.
Sei
uno shinobi in gamba… non mollare!
L’amico
la pregò segretamente, sperando che il Sesto Hokage non gli
facesse pesare quel
fremito da cui era attraversata la stretta alla mano di Ino, appoggiata
al suo
petto.
“Secondo
i miei calcoli… fra poco il suo corpo dovrebbe essere
attraversato dagli stessi
tagli del Kazekage.”
A
che gioco stai giocando, razza di psicopatico!?
Anche
se era arrabbiato, il ragazzo scorgeva la verità nelle
parole dell’uomo: la
mano della giovane era fredda, screpolata come se il deserto le
scottasse la
pelle con gli stessi effetti del ghiaccio.
Cosa
posso fare… cosa…
Kankurō
setacciava la sua mente alla ricerca di qualunque idea lo potesse
servire, lui
che era più abituato ad agire, anziché supplicare
il fato di risparmiarlo.
Eppure non c’era nulla che potesse aiutarlo: rimaneva coi
suoi pensieri, mentre
la mano di Ino perdeva quel poco calore di cui era ammantata
spaccandosi,
macchiandogli le dita e la maglia con poche gocce di sangue.
Aveva
quasi perso la speranza, quando i polpastrelli della ragazza furono
attraversati da un subitaneo tepore. L’amico,
all’inizio, non capì. Sentiva le
dita di Ino sempre cosparse di tagli, simili a quelli che aveva notato
sul
corpo di Gaara, però c’era qualcosa che la serbava
da un’apparente morte lenta
e crudele.
Era
una forza che poteva sentire vicino al petto, fino a quando fu evidente
nella
luminosità bluastra del chakra di cui le mani della kunoichi
si erano colorate.
Allora, trasportato in una visione quasi identica al sogno ad occhi
aperti di
cui era stato vittima durante la guerra, rimirò Ino e la
sorella con le mani
strette sopra il gymnocalycium dello zio. Osservò il sangue
scendere dalle dita
di Temari.
Temari,
ti prego… aiutami!
Udì
nitidamente la voce dell’amica. Un rimando a una situazione
che non stava
vivendo.
In
preda a quella sensazione sconvolgente, Kankurō sbatté le
palpebre in fretta,
ritornando a scorgere il placido deserto dinanzi a lui e il viso
immobile di
Ino sulla quale si era disteso un sorriso. Il ragazzo
strabuzzò, strisciando le
dita della giovane fra le sue, percependo che le piccole lacerazioni si
stavano
sanando.
Il
chakra, com’era apparso, si dissipò dalla mano e
dal resto del corpo della
kunoichi, depositandosi nel suo animo nascosto ai loro occhi.
Quando
alzò gli occhi da lei, Kakashi lo stava fissando. Il suo
sguardo di pece ardeva.
“Hai visto qualcosa?” chiese con la voce asciutta.
Kankurō deglutì. Senza che
se ne fosse accorto, un rivolo di sudore freddo gli scivolò
lungo la nuca.
Il
Sesto Hokage fu magnanimo. Si rivolse al ninja medico ponendogli la
stessa
domanda, al quale quest’ultima rispose negativamente. Il
ninja della Sabbia si
era ripreso, quando l’uomo gliela rivolse, ancora, in
silenzio.
“Sì…
credo di aver capito bene solo adesso che cosa facessero prima Temari
e…”
non riuscì a proseguire: la sua bocca era secca. Anche se
tentava di schiarire
la voce, avvertiva il tocco pungente della sabbia in fondo alla gola,
per via
della mancanza d’acqua in quelle ore arse dalla sete.
Kakashi
decise di ignorarlo. “Come sta? Le sue condizioni quali
sono?” chiese al ninja
medico, la quale scosse la testa, palesando tutto il suo disappunto.
“Si direbbe
che stia bene, ora che questa ondata di chakra le ha guarito le ferite
che
stavano iniziando ad apparire… anche se… è
strano” concluse chinandosi
sopra il viso della kunoichi. Con delicatezza e occhio clinico, le
alzò la
palpebra sinistra, osservando fenomeni che il superiore e
l’alleato non
potevano comprendere.
Poi
emise dai polpastrelli una piccola dose di chakra, quasi volesse
stimolare una
risposta dai muscoli attorno all’orbita. Non accadde nulla.
Il
ninja medico s’issò a sedere, espirando
rumorosamente. “Prima mi sono chiesta
perché non riuscissi a curarla, nonostante le stessi
riversando addosso tutto
il chakra curativo che ho… adesso penso di aver
capito” sospirò gettando
un’occhiata fugace all’Hokage, sebbene il gesto non
fosse sfuggito allo shinobi
della Sabbia.
“Di
cosa stai parlando?” sibilò il ragazzo avvertendo
quell’improvviso calore
andarsene dalla mano di Ino.
Il
ninja medico fu colto alla sprovvista: Guardò affrettata il
suo leader, ma lui
estinse i suoi dubbi immediatamente. “Parla liberamente. Non
nasconderci
nulla” la donna si strinse nelle spalle, fissando
la sua paziente delle
circostanze.
“Si
direbbe che quella improvvisa emersione del chakra fosse dovuta al
fatto che
lei fosse tornata indietro… e che ora non ci sia
più” di fronte alle
facce perplesse di entrambi, il medico si grattò la guancia,
cercando le parole
per esprimersi al meglio.
“Ho
avuto a che fare con gli Yamanaka durante i loro stati di abbandono
del
corpo, se così possiamo definirli…
anche se subiscono ferite nel corso
della loro tecnica, possono guarire perché mantengono sempre
un legame con il
loro corpo. Reagiscono bene agli stimoli a base di chakra…
ma qui è come se non
ci fosse più nulla, anzi…”
alzò gli occhi sui suoi due ascoltatori,
tossendo come per trovare il coraggio di parlare.
“Sembra
che ci sia una sottospecie… di resistenza a
ciò che viene dall’esterno.”
Kakashi
si dimostrò particolarmente colpito da
quell’ultima osservazione della
sottoposta. “Be’, pare che le mie peggiori
previsioni si siano avverate”
mormorò trafficando con il marsupio alla cinta.
All’inizio, né Kankurō, né il
ninja medico capirono cosa volesse fare. Bastò che
scorgessero la lama lucente
di un kunai per farli agitare entrambi.
“Ehi
Hokage! Cosa diavolo vuoi combinare!?”
esclamò il ragazzo ponendosi in
mezzo all’uomo e all’amica, bloccando ogni
possibilità di tiro.
“Hokage,
non credo siano necessarie misure tanto estreme!” la voce
alta della donna
arrivò alle orecchie degli altri shinobi, spingendoli a
ritornare in prossimità
di Ino. I ninja della Foglia, tuttavia, si limitarono a manifestare
qualche
occhiata apprensiva, mentre i ninja della Sabbia si aprirono a una
protesta
veemente.
“Non
hai sentito cos’ha detto il mio ninja medico, ragazzo?”
il Sesto Hokage apostrofò
Kankurō non dando segno d’aver ascoltato
nessun’altra lamentela. Per un
istante, il giovane fu quasi lusingato.
“Se
non risponde agli stimoli, non significa che tu possa fare quello che
voglia!”
ribatté aspro il ninja della Sabbia, alzando di
più le braccia per impedire che
l’altro potesse scavalcarlo facilmente. Nel frattempo, il
ninja medico
rifletteva, guardando con intensità la sabbia. Aveva il
mento appoggiato alla
mano.
“Non
avevo dubbi… ma se non fossi io ciò di
cui ti dovresti preoccupare?” la
domanda del leader della Foglia ebbe il potere di spiazzare il fratello
di
mezzo di Temari e Gaara. La sua espressione perplessa fu nascosta
dall’esclamazione di aperta sorpresa del medico.
“Hokage! Vuoi forse di che…”
“Proprio
così” Kakashi la interruppe e, subito,
calò un gran silenzio fra tutti i
presenti. Si sarebbe tagliato soltanto con la lama affilata di un kunai.
Lo
stesso che stringeva in mano il Sesto Hokage.
“La
cosa che mi ha messo in guardia è stato vedere lo stesso
tipo di ferite che ha
il Kazekage sulla mano di Ino che stringevi” l’uomo
spostò Kankurō, ponendosi
al fianco di Ino. Lei riposava incosciente, con il petto che si alzava
lieve a
ogni respiro. L’amico la fissò incantato, la bocca
socchiusa, tramortita da
un’emozione difficile da identificare, se non
nell’attesa.
“Ho
pensato che… fosse strano vedere gli stessi effetti di una
persona controllata
da Nocnitsa su di lei” il Sesto Hokage
levò il pugnale in alto,
catturandone con il riflesso lucente gli sguardi di tutti. Il ninja
medico ebbe
un singulto evidente, che gli formò, visivamente, un nodo
alla gola.
“L’unica
cosa che rimane da vedere… è se io
abbia ragione.”
Il
deserto era placido. Da ovest giunse l’odore salato di un
oceano di cui quella
distesa di sabbia era la sua più ampia spiaggia.
“Se
i miei calcoli sono esatti… non vorrà
che lei sparisca prima del tempo”
fu solo per un frangente di secondo che Kankurō udì
chiaramente il germe del
dubbio nella voce del leader della Foglia. Il restante lasso di tempo
fu
dedicato al movimento fluido e rapido del kunai che piombava sul cuore
di Ino.
Una corta scintilla, capace di produrre un incendio.
Lo
shinobi di Sunagakure immaginò che avesse lo stesso colore
vermiglio degli
occhi di Ino quando si spalancarono. Immaginò che quelle
fiamme crescessero
d’intensità in un baleno, divampando con un urlo
violento zampillato dalla
bocca aperta della ragazza, prima che il kunai si conficcasse nella sua
meta.
Fu una vampata d’energia così violenta da
sbalzarli indietro tutti, colpiti da
un’onda d’urto di cui non avrebbero saputo
anticiparne la venuta.
Proprio
come la tempesta…
Il
pensiero di Kankurō rimase inascoltato dalla sua coscienza. I suoi
sensi erano
assaliti dal ronzio nelle orecchie, dal sapore della sabbia in bocca,
per
l’ennesima volta. Erano riempiti dalla vista dei ninja della
Foglia e della
Sabbia, fra cui spiccavano l’Hokage e il ninja medico,
scaraventati a terra.
Poi,
si concentrarono sul corpo inerte dell’amica, che si issava
in piedi piano,
guidato da una volontà che non le apparteneva,
perché soppressa da
quell’agghiacciante sorriso di un mostro,
con la bocca screpolata.
No,
Ino…
Ancora
una volta, quella supplica pervenne in una mente incapacitata a
formularla con
la voce. Kankurō era perso in quegli occhi di fuoco che bruciavano al
posto di
quelli della kunoichi. Gli parlavano. Gli sussurravano qualcosa di
nascosto e
orribile.
Ammettilo…
sei solo un perdente.
L’uomo
si irrigidì sul terreno, i muscoli immobilizzati da un
dolore che non aveva
forma corporea. Arrivava dal passato, da memorie in cui lui era solo un
ingenuo, sprovveduto, bambino. Quello scherno aveva
la medesima tonalità
fanciullesca.
Quella
voce… è mia…
Prima
che potesse riprendersi dalla scoperta, prima che quella creatura
potesse usare
Ino per fargli del male, si rivelò la reale differenza fra
lui e il Sesto
Hokage di Konohagakure.
L’ombra
di Kakashi guizzò da terra in un battito di ciglia.
“Commuovente…
credevo avrei sentito quella voce soltanto nei miei incubi”
le parole dell’uomo
parvero molto vicine a Kankurō, forse per via del fatto che
l’avesse appena
protetto da un colpo partito dal corpo dell’amica. Ne vide il
volto dagli occhi
iniettati di sangue che ringhiava a poca distanza da quello del suo
leader e la
mano stretta a pugno, imbevuta di un chakra… bizzarro.
È
pallido… come se stesse bruciando.
Un
peso crollò sul ragazzo e, quasi, lo schiacciò
impedendogli di rialzarsi.
Credette che non si sarebbe più mosso da terra, attendendo
semplicemente la sua
morte, ma ancora una volta comprese davvero per quale motivo il leader
della
Foglia fosse proprio quel tipo dalla faccia da schiaffi.
“Forza
Kankurō!” Kakashi gli mollò un calcio
allo stinco, tanto si era
approssimato a lui a furia di respingere la sua sottoposta senza
sbalzarla
indietro. “È solo fumo negli occhi… la
tua famiglia ha bisogno di te”
soffiò il capo villaggio mentre il ragazzo avvertiva
l’effetto del suo colpo:
una scarica di dolore e adrenalina gli percorse la gamba, salendo su
fino al
cervello, dove la sua coscienza dimorava.
Allora
il ragazzo si risvegliò. Percepì la sabbia fra le
dita distese. Strinse i denti
sulle labbra, infuriato contro sé stesso, più di
chiunque altro.
Che
un tale bastardo m’abbia dovuto ricordare chi sono…
Il
ninja della Sabbia s’issò in piedi in un lampo,
dimentico del male e di quella
sensazione di vorticante nausea. Non era altro che
un’illusione, perpetrata con
l’inganno.
“Così
ti sei intrufolata nei miei ricordi… speravi davvero di
trovarci qualcosa di
utile, eh mostro?” Kankurō sputò a terra la
sabbia, asciugandosi il mento con
il dorso della mano. La creatura lo fissava furente da oltre Kakashi,
tentando
invano di superarlo. La mano della ragazza era incastrata nella presa
del
superiore.
“Be’…
devo ammettere che mi hai fatto incazzare strega!”
Non
avresti dovuto fare del male né a mio fratello,
né ai miei amici.
Come
se Nocnitsa gli avesse letto il pensiero, l’essere spinse
l’Hokage animata da
quella provocazione, pur venendo trattenuta dalla presa
dell’uomo. Lui irrigidì
la tenaglia del braccio dentro cui le aveva bloccato il pugno,
spingendola a
gridare per il dolore, anziché per la rabbia.
“Bene…
ora che ho rimesso a posto entrambi… Ninja!”
Il leader di Konoha alzò la
voce sul finale, facendo riprendere gli shinobi rimasti a terra e
scombussolati
dall’attacco inaspettato della creatura. Tuttavia, si
alzarono in piedi con
gesti lenti. Alcuni scossero la testa come se un’arte
illusoria li avesse
spediti in un mondo diverso dal reale. Il ninja medico che aveva
soccorso Ino
restò in ginocchio. Kankurō avrebbe giurato che fili di
lacrime gli scendessero
dagli occhi.
“Ascoltatemi
attentamente! Questo essere ha preso il controllo del corpo di Ino e
potrebbe
tentare di entrare nelle vostre menti… di farvi ricordare
qualcosa di
spiacevole… o di farvi ascoltare la vostra voce da
bambini” fu
impercettibile, ma il fratello di Temari e Gaara se ne accorse:
l’uomo aveva
esitato, prima di proseguire: “ma non dovete farvi cogliere
impreparati! Un
intero villaggio dipende dalla vostra prontezza di riflessi.”
“Giusto
Hokage!”
“Noi
della Sabbia non deluderemo la nostra gente!”
Come
diavolo faccia a passare da un estremo all’altro in
così poco tempo lo sa
soltanto lui…
Lo
shinobi di Sunagakure rimuginò assistendo al modo in cui i
suoi colleghi
avevano accettato lo sprono del capo villaggio alleato, anche se pochi
muniti
prima l’avevano squadrato in malo modo. Eppure ne era
comunque contento.
Dobbiamo
restare uniti fino a quando Ino e Gaara non ritorneranno fra noi.
La
speranza aveva cominciato a crescere in lui da quando aveva sentito,
nei
pensieri di Ino, la richiesta d’aiuto verso la sorella. Aveva
compreso che
l’amica non si era arresa neppure nei momenti in cui il suo
corpo era sembrato
spento e privo d’energia.
Sono
in debito con te… Me lo rinfaccerai fino alla fine dei miei
giorni!
Kankurō
si concesse il lusso d’un sorriso mentre i ninja della Foglia
approfittavano
del fatto che l’Hokage avesse ancora salda la presa sul
braccio della collega
per afferrarla, rendendola inoffensiva. Era terribile vedere il volto
di Ino
sfigurato dagli urli mostruosi della creatura. Al ragazzo si strinse lo
stomaco, ma spinse le unghie nei palmi fino a quando il dolore gli
schiarì la
mente.
Devo
essere forte. Ino, Temari, Shikamaru e persino l’Hokage si
stanno impegnando
per fare in modo che il piano funzioni… non sarò
da meno!
Con
quella ritrovata risolutezza, il ninja della Sabbia camminò
verso il gruppo di
ninja da cui la furia di Nocnitsa era controllata, nonostante stessero
pagando
il prezzo dei loro sforzi: vide che uno shinobi aveva morso il labbro
inferiore, facendo sgorgare un rivolo di sangue, mentre le altre due
kunoichi
sembravano sul punto di far uscire gli occhi dalle orbite, talmente
tenevano le
palpebre spalancate.
In
principio, il giovane non intese il motivo, ma ne ebbe una
dimostrazione
esaustiva appena giunse al loro fianco, sbattendo le palpebre per una
frazione
di secondo a causa della sabbia.
Tu…
sei una nullità!
Kankurō
sbarrò gli occhi in un lampo, ritornando con
difficoltà al panorama del
deserto, il quale appariva sfuocato e sconquassato da un terremoto che
riguardava soltanto il suo animo.
Fece
fatica ad ambientarsi in quel mondo dove si rifletteva la luce candida
della
luna, in cui le ombre non plasmavano i contorni di una figura che,
nonostante
gli anni trascorsi, conosceva poco, ma dalla quale non si sarebbe
potuto
separare proprio come non avrebbe potuto staccarsi il cuore dal petto.
Quella
forma minuscola, d’un bambino, l’aveva fissato
arcigno con i suoi stessi occhi.
Con la sua stessa bocca e voce l’aveva udito lanciargli
contro quell’offesa. Ne
avvertì una nuova, sebbene si fosse allontanato da quel
luogo dove l’aveva
scorto. Una diversa brutalità che lo costrinse a sentire i
propri muscoli
fremere.
Ma
tu cos’hai di speciale?! Tanta fatica per diventare un bravo
marionettista… per
essere il più stupido e incompetente della grande famiglia
del Kazekage!
Il
dubbio attanagliò il giovane, come se fosse
quell’affermazione fosse stata una
parte cruciale di tutta la sua esistenza.
No…
non posso averlo pensato sul serio! Vero?
Si
pose una mano di fronte alla bocca, stringendo le dita sulla mascella
quasi la
volesse staccare dal resto del cranio, ma una sulla spalla lo fece
sobbalzare e
desistere dai suoi intenti inconsapevoli.
“Forza
Kankurō… come ho detto, è solo fumo negli
occhi” il ragazzo si volse verso
l’Hokage che fissava la sua sottoposta. Il sospiro di Kakashi
racchiudeva molta
stanchezza, anche se la sua voce non ne era in alcun modo intaccata.
“Lei
sta bene… non è là dentro. Dobbiamo
impedire che questa creatura ci
infastidisca con le sue illusioni” il ninja della Sabbia lo
vide pensieroso per
un attimo, mentre nella testa di Kankurō continuava a serpeggiare la
sua
vecchia voce, ricolma di stridulo sdegno per lui e tutto ciò
che era. Ne era
inebetito.
“Non
so se sia possibile metterla fuori gioco… ma forse conosco un
sistema
che potrebbe ricacciarla dentro il corpo di Ino e bloccarla.”
“Questo
non la metterà in pericolo?” domandò il
fratello maggiore del Kazekage
d’impulso, la voce incrinata da sabbia e
instabilità. C’era qualcosa di
sfuggente nell’aria: la luna piena era ancora larga e
ingombrante in quel cielo
sempre più chiaro, in cui la luce purpurea
dell’alba lambiva l’orizzonte e
consegnava l’odore salmastro di un mare lontanissimo.
Sembrava quasi fosse il
cielo l’oceano dove sarebbero sprofondati in
un’eterna notte.
“Ovviamente,
può essere solo una soluzione temporanea… anche
se non so quanto sia possibile:
questa… Nocnitsa non mi sembra una di
quelle normali creature con cui si
possa stringere un patto di sangue. È…”
persino Kakashi pareva incerto.
Grattò la testa con l’indice, lasciando che la
chioma argenta ondeggiasse come
vele d’una barca.
“Sembra…
più umana del dovuto” Kankurō non seppe
perché, ma un singulto gli
attraverso lo stomaco. Non gli piacque, per niente.
“Be’…
penso che lo scopriremo quando Temari e Shikamaru avranno finito la
loro luna
di miele” detto questo, lo shinobi di Suna seppe
che la conversazione col
Sesto Hokage si era conclusa. L’uomo non aggiunse
più nulla mentre si dirigeva
verso l’allieva del compianto Asuma. In mano, ricomparso
dalla manica della
giubba, ciondolava il kunai.
Kankurō
vide a rilento la scena, al punto da credere d’esser vittima
di una delle
famose arti illusorie di Kakashi dello Sharingan. Non provava quel
senso di
lealtà che l’aveva indotto a frapporsi fra
l’uomo più micidiale di Konohagakure
e il corpo inerte dell’amica. C’era attesa, forse
persino speranza.
Osservò
il leader del villaggio alleato impartire ordini ai ninja medico. Li
vide
accorrere e formare un sigillo sulla pelle di Ino, in grado di
contenere
all’interno lo spirito di Nocnitsa. L’Hokage si
muoveva piano. La lama del
kunai era rilucente di chakra.
Il
fratello di mezzo di Temari e Gaara non aveva alcuna idea in merito.
Del resto,
c’erano così tanti misteri in quella strana storia
che lo stesso riflesso della
luna gli appariva semplice come un chiaro segno.
Ma
di cosa?
Si
chiedeva il giovane scorgendola sempre più grande e chiara,
quasi li dovesse
inghiottire tutti in un suo cratere grigio.
L’unico
che ci capirebbe qualcosa sarebbe Gaara!
Quella
riflessione, arrivata un po’ per gioco, leggera
nell’intento di evocare
un’immagine del fratello più serena, si
tramutò in un’improvvisa sentenza di
condanna.
“Attento
Hokage!” urlò di getto fiondandosi verso
l’uomo che stava puntando il kunai
contro il petto di Ino.
Udì
le grida arrabbiate degli shinobi di Konoha, i loro piedi che
scattavano per
raggiungerlo. Non avevano dubitato nemmeno un istante delle loro
più tristi
previsioni. Ma non sarebbero stati abbastanza veloci da fermarlo, non
con
Sasori che gli copriva le spalle. Non con la sabbia che afferrava le
loro
caviglie, ostacolando ciascuno di loro.
Arrivò
appena in tempo per sbalzare il Sesto Hokage lontano dalla linea di
tiro d’un
dardo di sabbia. Lo comprese perché la cassa toracica
sbatté contro la sua
pelle, spezzandosi lungo la costola sorpresa direttamente
dall’attacco.
Kankurō
annaspò cercando l’aria. Trovo il dolore nel gesto
del respiro, nell’osso rotto
che pungolava i suoi organi vitali. Precipitò a terra
deviando col braccio, per
pochi centesimi di secondo, un’altra scarica di dolore alla
schiena. Gemette
con il fiato mozzato.
Kakashi
era in piedi di fronte a lui, salvato da quella caduta rovinosa grazie
al suo
sconsiderato gesto di generosità.
“Spostatevi!”
lo sentì gridare girato verso i
ninja medico, ma entrambi non ebbero modo di vederli eseguire
l’ordine del loro
superiore: un’ondata di sabbia li travolse, liberando
Nocnitsa dalla sua
prigione. Fu la rivelazione mediante cui compresero appieno chi
si era
nascosto fino a quel momento.
Una
mano minuscola si sporse dai limiti della gabbia di sabbia dentro il
quale
Gaara era rinchiuso. Fra fitte di dolore e rabbia, Kankurō ne riconobbe
l’incarnato pallido e, quando il proprietario
dell’arto si discostò del tutto
dal suo nascondiglio, il ragazzo ne distinse istintivamente i
lineamenti del
viso, dello sguardo azzurro. Era ciò che si era annidato nei
suoi ricordi alla
stregua di incubi e che, in quel momento, non poteva più
rinnegare.
Forse
è stato meglio così… Temari non ce
l’avrebbe fatta.
Il
piccolo Gaara del Deserto lo fissò come se gli avesse letto
i pensieri. Gli
sorrise con quell’aria dolce di bambino quale appariva,
sebbene fosse lezioso, vuoto,
quanto un dipinto su cui poggiasse la luce. La sabbia gli scorreva
attorno.
Senza che Kankurō o l’Hokage se ne fossero accorti per tempo,
aveva rivestito
gli altri ninja presenti serrandoli in gabbia simili a quella del
Kazekage.
Quel
ricordo vivente era apparso dal nulla e dal nulla parlò
mentre la sua creatrice
lo raggiungeva facendo sì che sul corpo di Ino
aleggiasse lo spettro di un
chakra che non le apparteneva, carico di una negatività che
penetrava nella
testa, quasi impedendo a Kankurō di sentire la voce del fratello minore.
“Ciao
fratellone” lo apostrofò quel
bambino del passato. Ancora bloccato a
terra, il ninja della Sabbia ne fu alzato da una spinta di sabbia dura
come
pietra, che lo tenne in piedi contro la sua volontà.
Avvertiva
i muscoli e le ossa doloranti. Con la coda dell’occhio
mirò Sasori inerte a
distanza da lui. Ma i suoi erano tramortimenti di poco conto in
confronto a quel
sorriso, a quella voce gelida con cui
aveva sperato di non dover
convivere mai più.
“Pronto
a morire?” un soffio sfuggito da labbra innocenti per
età, non per inesperienza
nel pronunciare quel tipo di minacce. Kankurō ne fu profondamente
ferito, per
motivi tanto diversi fra loro.
“No,
Gaara… non lo sono mai stato” rispose sentendo la
propria voce malinconica.
Il
bambino non replicò. La sua reazione fu il guizzo
d’un dardo di sabbia che
partiva per il cuore del fratello maggiore.
Il
crepitio viola d’un fulmine a ciel sereno ne distrusse la
forma, spargendo
granelli di sabbia ovunque. L’Hokage era in piedi, respirava
a fatica, ma un
altro fiotto purpureo gli scoppiettava fra le mani. Lo
scagliò al suolo,
inondando la sabbia tumultuosa di lampi con cui disfò la
consistenza delle
gabbie da cui gli shinobi erano fermati, rigettandola nella spuma di un
deserto
oceanico.
Parve
che un unico sospiro s’issasse dai loro polmoni compressi. Lo
stesso Kankurō
ritrovò un po’ di vigore percependo i muscoli
delle braccia e delle gambe
scarcerati dalla presa della sabbia di Gaara.
In
momenti come questi… vorrei che ci fossi tu al mio fianco.
Il
ragazzo sorrise. Il suo pensiero raggiunse il ricordo di una kunoichi
che
l’aveva medicato tante volte, salvandogli addirittura la vita
una volta. Pensò
a quei capelli rosa che gli cadevano sul viso quando stringeva una
fasciatura
sul suo braccio, a quegli occhi verdi che s’alzavano sul suo
viso e gli
sorridevano ancor prima di compiere il gesto con la bocca.
Kankurō
ne restò rapito più a lungo di quanto avrebbe
dovuto, smarrito in una
sensazione di perduta speranza che lo accomunava a quella visione. Ne
udì un
fugace momento, tratto da una chiacchierata di cui ricordava ben poco,
se non
il desiderio inespresso d’abbracciare quella giovane e quella
sua voce dolce,
dentro cui dimorava uno spettro che non era mai riuscito a scacciare
via da
quei momenti.
“Coraggio
Kankurō! Non fa bene al morale vedere il fratello del Kazekage
così dolorante!”
Hai
ragione… come potrei darti torto?
A
quel punto, il giovane rialzò gli occhi dal terreno
incrociando la figura
eretta dell’Hokage. Lui guardava davanti a sé il
fianco del piccolo Gaara e il
corpo di Ino posseduto da quegli occhi rossi e da quella bocca contorta
in un
ghigno. Poteva avvertirne l’incanto sul suo cervello appena
riscossosi da quel
suo rifugio personale e ne notava l’effetto anche sui ninja
liberi dalla presa
della sabbia, i quali sembravano ondeggiare a un vento impalpabile,
travolti da
riflessioni che si leggevano sui loro sguardi affranti.
Alcuni
piangevano. Il ninja medico che aveva soccorso Ino era rannicchiata a
terra,
scossa da tremori. Erano tutti vinti dalle immagini di quella strega.
Restiamo
solo io e l’Hokage…
Sasori
schizzò al suo fianco, guidato dal richiamo del chakra fra
le dita del suo
padrone. Per un istante, la marionetta gli rammentò come
l’avesse ottenuta e,
soprattutto, chi l’avesse sconfitta
rendendola solo il ricordo della
persona che, un tempo, era stata. Sakura aveva sempre la forza di
ritornargli
nella mente.
“Ehi
moccioso… pensavi che sarebbe bastato così poco
per fermarci?” Kakashi parlò
con tono di scherno, però la situazione e il suo corpo lo
tradivano: i suoi
shinobi e gli alleati non erano in grado di sostenere nessuno scontro e
le sue
spalle rabbrividivano sotto il peso respiro, quasi questo potesse
spezzarsi da
un momento all’altro. Le ombre da cui le sue orbite erano
circondate
contrastavano con il suo sguardo sgranato a forza.
Gaara
non trovò necessario scrutarlo. Fissava il fratello maggiore
con una strana
furia che indusse il ragazzo a indietreggiare. Gli incubi di Nocnitsa,
i
sussurri della sua voce da bambino, picchiavano i limitari del suo
inconscio,
ma non lo avevano piegato.
“Credevo
che un assaggio ti avrebbe sistemato, ma mi sbagliavo… vuoi
essere colpito dove
ti farà più male”
replicò il Gaara del passato avanzando verso il suo
obiettivo, mentre la creatura da cui il corpo di Ino era guidato si
dirigeva
verso Kakashi.
Così
deve essere…
Kankurō
esalò un sospiro, portando le mani vibranti di chakra
all’altezza del viso.
Sasori seguì i cenni delle sue dita, frusciando davanti al
suo marionettista.
Scintille di fuoco già scoppiettavano dalla schiena
dell’arma.
“Morirai
per mano di un tuo ninja…” sibilò Gaara
un’ultima volta contro il suo pari
grado. Poi, ordinando alla sabbia un balzo immenso, chiuse
definitivamente i
rapporti con quella figura che non lo interessava granché,
rispetto a Kankurō.
“Allora
fratellone… dove eravamo
rimasti?” domandò il bambino mentre la
sua sabbia copriva il cielo issando un muro tramite il quale
sigillò quello
scontro privato dal resto del mondo. Una discussione fra
fratelli.
Il
maggiore tese i muscoli, armeggiando con la tasca dei pantaloni dove si
trovavano
le pergamene con cui poteva evocare le altre marionette. Solo il cielo
poteva
sapere quanto gli sarebbero servite!
“Al
fatto che tu sei solo un brutto ricordo del passato… e che mi
dispiace
considerarti tale” Gaara rise mandandogli un
brivido lungo la schiena.
Aveva un che di quella risata di cui si sarebbe ammantato una volta
cresciuto:
eterea, come l’ultimo sogno prima di svegliarsi.
“È
un po’ tardi per credere a certe cose, non trovi?”
chiese il bambino
accarezzando un fiotto di sabbia che lo stava affiancando.
L’unico contatto che
aveva avuto per tanti, troppi anni.
“In
questo mondo esisteremo soltanto io e la sabbia, fratellone…
adesso
muori e lasciami respirare”
finì così il loro scambio, quasi fosse stato
un’espressione tardiva di quell’epoca vissuta
scrutandosi con rabbia e timore
alteri. Iniziò quella lotta a cui non erano mai davvero
giunti.
La
sabbia di Gaara scattò dappertutto, causando una mareggiata
polverosa
impressionante per un bambino tanto piccolo e per un obiettivo singolo.
Con
Gaara le cose non sono mai state semplici…
Rifletté
il fratello amaro. In circostanze diverse si sarebbe messo a ridere.
Invece,
indurì il viso balzando in aria, deviando parte della sabbia
con lo Scudo di
Luce Meccanica inserito nel braccio di Sasori. Riuscì a
evitare che la sabbia
gli ostacolasse il salto, o che penetrasse fra i delicati ingranaggi
della
marionetta.
Ma
chissà per quanto tempo riuscirà a tenerti
testa…
Kankurō
si muoveva in automatico, condotto da fili che non erano fra le sue
mani,
eppure connessi al suo istinto e alla sua esperienza. Con
un’unica e fluida
articolazione delle dita, dallo stomaco di Sasori fece guizzare il cavo
imbevuto di veleno, mediante cui bersagliò il fratello al
suolo. Un attacco
inutile, privo di mordente. L’aveva già capito.
La
sabbia si era scontrata con l’arto artificiale della
marionetta. Il piccolo
Gaara del Deserto aveva fissato lo spettacolo a braccia incrociate.
In
fin dei conti… sei o non sei il Kazekage dalle difese
impenetrabili?
Kankurō
si scoprì a sorridere. Un misto d’orgoglio e
compassione che lo portò oltre i
confini di quella battaglia già scritta, perché
la sua conclusione era
scontata.
Mi
dispiace, fratellino… credo davvero di essere stato la tua
più grande
delusione.
Il
ragazzo evocò Karasu e Kuroari, in modo tale che le
marionette s’insinuassero
nel mezzo della piccola tempesta di sabbia aizzata da Gaara contro di
lui.
Dovevano intrappolarlo, ma il fratello maggiore conosceva il risultato
di quel
nuovo tentativo. La sua spinta verso l’alto stava scemando.
L’unico modo per
difendersi dal tumulto creato da Gaara era pregare che le difese di
Sanshōuo
non saltassero.
Almeno
Temari aveva la scusa di essere un bersaglio avvincente… ma
di un fratello che
manda avanti le sue marionette cosa te ne saresti dovuto fare?
Sanshōuo
sbucò dalla restante pergamena, la sua ultima risorsa. Si
avviluppò attorno al
padrone come un fedele sottoposto disposto a dargli la vita. Quando
precipitarono a terra, il ragazzo capì che stava rimandando
l’inevitabile.
La
tempesta sbraitava contro le pareti della marionetta, scovando qualche
spiraglio dove intrufolarsi. Il ninja ne sentì
l’odore marcescente che lo
spinse ancora più a fondo nel suo stato quasi semicosciente.
In
fondo… sono solo una tua brutta copia.
Lui
e la marionetta si schiantarono. Le ossa rotte
s’impadronirono del suo
cervello, scagliandogli addosso un macigno di dolore. Kankurō
urlò, le dita
rattrappite nei palmi delle mani. Il fiato entrava nei polmoni solo per
prolungare la sua sofferenza.
Sakura…
dove sei?
La
domanda ebbe un’improvvisa risposta al suo fianco, ove
confluirono tutti i suoi
ricordi della kunoichi: accanto a lui, non poteva nulla per il male che
stava
cominciando a sfaldare i suoi sensi, fino a farla rassomigliare al
miraggio che
era. Eppure, la sua voce era dolce e chiara come la rammentava, piena
di
malinconia.
“Coraggio
Kankurō! Non fa bene al morale vedere il fratello del Kazekage
così dolorante!”
A
quel punto, una risata arsa secca gli uscì dalla gola dentro
cui cresceva la
quantità di sabbia. Con essa, l’immagine della
ragazza sparì dalla sua memoria,
salvandolo da quel mondo fatto solo di puro dolore.
Hai
ragione… come potrei darti torto?
Il
male passò. Venne respinto da quel ritrovato coraggio che
gli aveva concesso di
rialzarsi in piedi scardinando la placca con cui era chiuso il dorso di
Sanshōuo, simile a un’enorme lucertola. La tempesta di sabbia
non era più tanto
persistente: aspettava, pazientemente. Plasmava uno
spiazzo in cui
l’atmosfera era immobile. Un luogo dove poté
incrociare gli occhi di Gaara
senza paura di restare accecato dal pulviscolo. Quella memoria vivente
lo fissò
con un sorriso beffardo, il quale non si estese oltre i limiti delle
labbra.
“Delle
difese banali, Kankurō. Avresti
dovuto imparare meglio la lezione
delle mie armature di sabbia.”
Il
ragazzo esplose in una risata fragorosa, quasi inducendo un sobbalzo al
fratello minore. Il ninja della Sabbia aveva un male tremendo. Ogni
muscolo si
contraeva, portando col suo moto un osso spezzato che lo feriva
internamente.
Ma
non poteva smettere. Sentiva la voce di Sakura che lo incoraggiava da
dentro il
suo cuore. Avrebbe persino pianto dal ridere, se il rischio di un
fraintendimento da parte di Gaara non avesse respinto le lacrime
indietro.
“Hai
ragione, fratellino... ma cosa sarebbe l’artista
senza un imitatore?”
la sua voce era ilare, pur avvertendo il suo corpo che si ribellava
alla
volontà. La sua mente, invece, ripensò a quei
pomeriggi d’infanzia passati a
fare e disfare i marchingegni di Karasu. Era sempre pronto a immaginare
con
quale sistema riprodurre meglio le abilità difensive di
Gaara, o quali armi
inserire nei meccanismi per superare le abilità offensive di
Temari.
Fratelli
miei… sono solo una marionetta che si finge umana.
Gaara
aveva perso il sorriso. Scrutò a lungo il viso di Kankurō,
quasi desiderasse
perforare quegli occhi bruni e lucidi, in cui scintillava uno spirito
indomito.
Eppure, quello sprovveduto fratello maggiore non poteva nulla contro il
potere
di quel Gaara infantile, che non aveva né la forza,
né la volontà di fermare.
Lasciò
che la sabbia lo circondasse e risalisse il suo corpo stanco, sebbene
fosse
all’apparenza fiero. Scorse gli occhi di Gaara
un’ultima volta, prima che il
buio si chiudesse su di lui.
“Allora
farò in modo che la copia sparisca da questo mondo,
lasciando intatti gli
originali… spero che la sabbia non ti uccida troppo
presto” udì la voce
di Gaara ovattata nelle orecchie già piene di sabbia. Gli
stava perforando i
timpani.
Kankurō
sentiva un dolore atroce, ma non poteva gridare. La sabbia
s’infilava nelle
fessure della bocca, cercando una breccia fra i denti serrati.
I
miei peggiori incubi si stanno avverando…
Negli
occhi ormai completamente rivolti indietro, rivissero i volti atterriti
di tutti
gli shinobi che avevano incontrato la morte nelle tombe di sabbia
predisposte
da Gaara. Rammentò il rumore delle loro carni che si
spappolavano e il clangore
delle loro ossa. Si chiese se anche il suo corpo avrebbe subito lo
stesso disgustoso
effetto.
Almeno…
la mia morte non sarà dovuta a una schifosa strega.
Kankurō
ebbe un singulto alla cassa toracica, proprio mentre la sabbia gli
spezzava
qualche altra costola. Eppure, i suoi pensieri lo abbandonavano solo
per andare
agli unici due ninja di cui conservasse la memoria, in quegli istanti
di
veglia.
Dove
siete?
Il
buio inghiottì il suo corpo, ma non la sua domanda.
Ino…
dove sei?
In
un altro universo oscuro, la kunoichi della Foglia udì
quelle parole
pronunciate da una voce familiare. Non era la sua, né di
qualche altro ninja
che fosse rimasto con lei nel deserto. Quando aprì gli
occhi, si spalancarono
dallo stupore.
Temari
la fissava dall’alto, sorridendo. Non era veramente la donna
che conosceva. Lo
distingueva chiaramente dall’alone bluastro da cui era
circondata, quasi
rendendo il suo corpo informe. Aveva, inoltre, la capacità
di riversarle nel
corpo un gran tepore, da cui era sospinta a mettersi a sedere.
“Dove
siamo?” chiese Ino rammentando tutto quello che aveva fatto
prima che svenisse.
L’immagine di Temari giunta in suo aiuto non rispose, forse
non ne aveva la
capacità Lasciò che la kunoichi alleata
percepisse sotto i palmi gli spigoli
del suo ventaglio d’acciaio e, fra i capelli, il vento.
Siamo
in alto… ma in quale parte della mente di Gaara?
Osservò
la giovane. S’affacciò da uno dei bordi dello
strumento sopra cui entrambe
viaggiavano. La sorpresa ebbe modo di afferrarla nuovamente.
“Questo…
Questo è…”
“Proprio
così, Ino. È l’Assalto al Villaggio
della Foglia.”
Continua
nel Capitolo VII: Dall’ombra
ti presi e ti trassi alla luce
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Capitolo 7 *** Capitolo VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce ***
Capitolo
VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce
“Proprio
così, Ino. È l’Assalto al Villaggio
della Foglia.”
Temari
soggiunse in suo aiuto, continuando a sorvolare il panorama di
distruzione che,
un tempo, il Suono e la Sabbia avevano inferto sul villaggio natio
della
giovane. Lei osservò con un nodo alla gola le abitazioni,
così familiari,
sbriciolate dagli attacchi dei nemici, in una dimostrazione di violenza
che non
rammentava d’aver intravisto all’epoca.
Cosa…
Chi ha fatto tutto questo?
Si
sarebbe fatta beffe della sua ingenuità, se soltanto ne
avesse avuto la
possibilità: il suo cuore ferito frenò ogni
sarcasmo, per quanto patetico
fosse. Sotto quel cielo rosso e nero per via del fumo degli incendi, in
quell’aria pesante nei polmoni, Ino riconobbe
l’incubo di quei giorni lontani,
eppure attuale nella memoria del Kazekage.
“Ti
prego Temari… dobbiamo trovarlo”
disse la kunoichi della Foglia con tono
dimesso, percependo la debolezza del suo spirito. Si sentiva piccola, impotente,
scorgendo ricordi di persone indistinte, che appartenevano a tutti i
popoli
conosciuti dal giovane leader della Sabbia, e da cui era plasmata una
folla
dove passato e presente si sovrapponevano fra loro.
C’era
la gente di Konoha che battagliava contro gli shinobi del Suono.
C’erano
persino gli abitanti di Iwa che piangevano agli angoli delle strade,
pregando
il cielo di risparmiarli. Nelle ombre, Ino riconosceva i ninja di Kiri
per via
del coprifronte, i quali perlustravano le macerie con sguardi pieni di
malinconia.
Dov’è…
dov’è il tuo popolo, Gaara?
L’alleata
della Sabbia rispose alla sua preghiera: planò velocemente,
seguendo le correnti
verso una massa enorme, i cui contorni erano confusi dal fumo e dalla
lontananza. Poi, quando ormai l’avevano raggiunta,
l’erede del clan Yamanaka
capì quale fosse il motivo di un aspetto tanto informe: la
creatura, simile a
un animale dalla coda lunghissima, era completamente sovrastata dalla
sabbia.
La
ragazza impallidì, deglutendo a vuoto. Comprese anche la
ragione per cui non
avesse notato gli abitanti della Sabbia nel precedente panorama di
devastazione: erano intrappolati fra la sabbia e la pelliccia
dell’essere. I
loro visi terrorizzati erano trasformati in statue viventi.
Questa
è la Bestia a Una Coda… Shukaku!
La
giovane kunoichi non aveva memoria di quella creatura, se non quella
legata
alla Quarta Guerra Mondiale dei Ninja. Come molti altri suoi coetanei,
all’epoca dell’Assalto alla Foglia, era stata
vittima di un genjutsu che le
aveva indotto un sonno profondo, impedendole di partecipare alla difesa
del suo
villaggio, al fianco del padre e di Shikamaru.
Impedendomi
di proteggere il Terzo Hokage…
Ino
percepì lo spettro di lacrime di cui aveva già
asciugato il segno da tanti
anni. Aveva considerato quel vecchio capo villaggio come un matusa a
cui
sarebbe mancata la volontà di fronte al pericolo. Invece,
l’aveva smentita nel
modo più assoluto. Un altro Kage si era guadagnato lo stesso
tipo stupore da
parte di chi l’aveva conosciuto in tenera età.
Dove
sei, Quinto Kazekage del Villaggio della Sabbia?
L’erede
del clan Yamanaka setacciò le pieghe della pelle della
bestia con lo sguardo, cercando
fra i volti insozzati dalla sabbia quello del loro leader. Fu la
sorella di
quest’ultimo, infine, a indirizzarla per la strada giusta,
rammentandole i
particolari di un hiden di cui aveva solo sentito
parlare.
“L’Ospite…
riposa sempre sulla testa.”
Allora,
Ino lo vide. Riconobbe quel suo corpo inerte, racchiuso per
metà dentro un
involucro di pelle e sabbia. I suoi occhi erano chiusi e
l’espressione appariva
stanca persino quando era incosciente.
Gaara…
Un
pensiero che era poco meno di una supplica, già esasperata
da quella situazione
paradossale, da quel ragazzo che si rifiutava d’uscire dal
suo dolore. Ino
strinse i bordi affilati del ventaglio fra le dita. La ferirono, ma
furono un
aiuto in mezzo a tanta, penosa frustrazione.
“Temari…
come lo raggiungiamo?” chiese con la voce tremante. Il tanuki
non offriva,
infatti, una zona d’atterraggio semplice: aizzava la sabbia
di cui era
rivestito ovunque, sfaldando le abitazioni del villaggio e la foresta
vicina
quasi fossero trascinate da una marea di fango. Il suo capo zigzagava a
destra
e a sinistra, alla ricerca di prede per la sua furia a cui rivolgeva
zampate
capaci di sconquassare la terra. Quando Ino rialzò gli
occhi, Temari le
sorrideva.
“Mi
hai chiamata per un motivo, amica mia… distrarremo
il suo gelosissimo
custode.”
La
donna le rispose in un unico sospiro. Appena ne produsse un secondo, il
suo
corpo etereo baluginò nell’oscurità
d’un cielo fumoso e di fiamme acri. Un
barlume di speranza in mezzo al buio. Al terzo sospiro, la volta
celeste si
cosparse di punti luminosi. Guizzavano in ogni direzione, simili a
stelle
cadenti che volessero esaudire un desiderio.
“I
kamatari!” Ino spalancò gli occhi. Le
creature evocate da Temari si
riunirono in formazione e, con una spinta compiuta
all’unisono, volarono verso
il muso di Shukaku, distogliendolo dalla sua rabbia senza un obiettivo
preciso.
Gli esseri simili a donnole lo perseguitavano schizzando da una parte
all’altra
del suo campo visivo, ottenendo tutta la sua attenzione. Fu sufficiente
perché
le due kunoichi potessero avvicinarsi al Monocoda fino a balzare
indisturbate
sopra la sua testa.
“Coraggio
Ino…. Non abbiamo molto tempo prima che
spariscano” l’amica annuì seguendola
verso la sommità del capo dove Gaara riposava.
Quando
la ragazza scorse la sua schiena immobile, le sue
spalle cadenti,
le sue braccia inerti, non le sembrò che
dormisse. Le ricordò un ninja
nemico sconfitto, che attendesse rassegnato la sua sorte. Un singhiozzo
le
sfuggì dalle labbra. In fretta, si portò di
fronte al Kazekage appoggiando le
mani sul suo volto.
“Ti
prego… svegliati” l’implorazione cadde
vana su quel volto di cera, una maschera
da sepoltura ideale per un defunto dal passato illustre.
L’idea l’atterrì. Le
sue dita strisciavano su una pelle liscissima, priva
d’imperfezioni.
“Siamo
arrivate tardi” un sibilo che aveva sconfinato
oltre le sue barriere
mentali per concretizzarsi nel mondo costruito dalle scelte del
Kazekage, palesando
la paura più grande della giovane Yamanaka. Talmente si
sentiva responsabile di
quello spettacolo macabro che l’aria le abbandonò
i polmoni.
Un’ancora
di salvezza le agganciò una spalla, salvandola da un mare di
disperazione.
Temari sorrideva ancora. Era più effimera di un sogno a
occhi aperti. “Sono qui
per questo, Ino… lascia fare a me.”
Sotto
gli occhi attoniti dell’amica, la donna
s’accovacciò di fianco al fratello premendo
la fronte contro la sua. Aveva allungato una mano avvolta dalla luce
per
circondargli le spalle, stringendolo in un abbraccio dal vago sentore
d’un
desiderio che quei due fratelli condividevano in segreto. Temari aveva
uno
sguardo talmente dolce che Ino avvertì l’impulso
d’allontanarsi, provando la
vergogna di disturbare un momento di cui non doveva essere spettatrice.
Ma la
kunoichi della Sabbia la trattenne, afferrandole una mano.
“Va
bene così, amica mia… non posso restare a
lungo”
Condusse
le sue dita verso la fronte di Gaara, irrorandole della stessa luce
che,
lentamente, consumava la sua figura fiera anche in quei frangenti di
tenerezza.
“L’ultima cosa che posso fare… è
aiutarvi.”
Un
sussurro leggero, come ogni cosa divenne dopo quelle parole. Ino
rimirò il
bagliore che da Temari si spandeva sommergendoli in un tepore
confortevole.
Leniva il dolore e la paura. Un abbraccio pari a quello che la donna
aveva
donato al fratello.
In
mezzo a tutto quel chiarore, a Ino parve di rivederlo, ma questa volta
messo in
atto da due ragazzi più piccoli, appena ritrovatisi dopo uno
scontro da cui
entrambi avevano rischiato di non ritornare. Ino lo sapeva, anche se
non era
stata presente nel momento in cui Naruto aveva sconfitto Gaara,
salvandoli.
Temari
sosteneva il futuro Kazekage del villaggio aiutandolo a camminare e
Kankurō
faceva altrettanto al fianco opposto. Ma la sua versione dei fatti non
era
parte di quanto la kunoichi della Foglia osservava.
Era
il battito di cuore della sorella di Gaara che percepiva come se fosse
il suo.
Era il suo respiro, gravato dagli ansimi, che le
saliva su per le
narici. Erano le sue lacrime che le scendevano
lungo le guance,
inducendo il suo corpo a sussultare affranto. Poi, udì
quelle parole che
avevano scosso Temari, pronunciate in un tono trascinato da una
stanchezza che
riguardava tutto quanto quel fratellino aveva sofferto in una vita
così breve.
“Temari,
Kankurō… perdonatemi.”
Allo
stesso modo di come li aveva inglobati in essa, la luce
svanì. Lo spirito della
kunoichi della Sabbia non c’era più. Ma le ciglia
del fratello vibrarono.
“Gaara…”
Ino mormorò accostandosi a lui, appoggiando le mani sulle
sue spalle ora
sostenute da un ritrovato stato di veglia. La ragazza
percepì il calore
dell’amica che l’abbandonava, pur offrendole
un’eredità importante. Un’ultima
raccomandazione prima di sparire definitivamente.
Ino…
te lo affido.
Alla
fine, Gaara aprì gli occhi. La kunoichi lo fissò
mentre il suo sguardo azzurro
metteva a fuoco il resto di quel mondo personale da cui era circondato
e notava
il suo volto solcato di lacrime. Avvertì le sue spalle
irrigidirsi sotto le
dita, il suo respiro che fuoriusciva affrettato dalla bocca.
“Ino…”
sussurrò alzando le mani sulle sue guance, asciugandole.
Aveva una delicatezza
tale da farla sentire la più giovane dei due. Eppure era lei
la più grande,
colei a cui era stato dato il compito di liberare Gaara da quel carcere
a cui
si era condannato spontaneamente. Perciò parlò
con voce ferma, sebbene carica
di emozione per quanto aveva assistito. Era consapevole che anche quel
leader
tanto giovane ne era stato colpito in egual misura.
“Tua
sorella… ti vuole davvero bene.”
Era
una considerazione semplice, eppure le appariva così
straordinaria. Persino
lei, Shikamaru e Chōji avevano avuto più
possibilità di formare un legame
solido come quello di una famiglia. Dalle chiacchierate con Temari e
Kankurō,
sapeva che entrambi provavano dispiacere per questo. Era certa che
anche il
ragazzo di fronte a lei serbasse lo stesso sentimento nel suo cuore.
Lui
si limitò a fissarla. Le sue dita erano un po’
più calde. Il suo sguardo aveva
una vena di rimpianto che luccicava a ogni battito di ciglia.
“Ormai… non ha
più importanza… non c’è
nulla che possa essere fatto per me” la kunoichi scosse
la testa vigorosamente udendo il fatalismo da cui era permeata la
replica del
Kazekage. Gli prese i polsi distogliendolo dal tentativo
d’arginare le sue
lacrime, in modo che l’ascoltasse per davvero.
“Gaara…
c’è ancora tanto che può essere
fatto… ti sei lasciato un sacco di cose alle
spalle” la sua voce riverberava tutt’attorno a
loro. L’Assalto al Villaggio
della Foglia si stava lentamente dissolvendo, lasciando solo un vago
rumore di
sottofondo e una luce che derivava dagli ultimi rimasugli
dell’energia di
Temari. Il bianco del nulla si stava chiudendo su di loro,
scarcerandoli da una
parte del dolore provato da Gaara.
“Hai…
hai chiesto perdono per tutto quello che hai fatto… hai
offerto la tua vita al
villaggio e hai rischiato di perderla per proteggerlo”
quell’affermazione formò
un’ombra nello sguardo del giovane, ma Ino non se ne
curò. La sua voce era
sospinta dalla bramosia di dirgli cosa credeva potesse soccorrerlo da
sé
stesso.
“E…
durante la guerra, chiunque ha avuto modo di capire cosa ti
fosse stato
fatto.”
In
quel momento, anche l’ultimo scorcio del ricordo
svanì. Restarono loro due, la
luce candida e il silenzio. Ino deglutì, un fremito la
percosse come uno
schiaffo. Gaara aveva le mani ferme in alto, tenute per i polsi da lei.
Tuttavia, il suo sguardo bruciava come se tutto il fuoco e la rabbia
dell’evento passato si fossero riversati nel suo cielo
cristallino.
“Davvero?
E cosa mi sarebbe stato fatto, esattamente?”
la ragazza spalancò gli occhi,
trasalendo. Non si era neppure resa conto che era stato il giovane a
pronunciare la domanda, talmente le era arrivata affilata quanto il
lancio di
un kunai.
“Gaara…
ti hanno manipolato come se fossi un giocattolo”
poco prima che
concludesse la sua replica, il Kazekage strattonò i polsi
dalla sua presa. Fu
un movimento rapido, netto. L’erede del clan Yamanaka
percepì le dita frustate
con violenza. Si afferrò le mani una alla volta, inspirando
a denti stretti: la
pelle avvampava per il male.
“Così
le mie colpe sarebbero giustificate
perché qualche idiota pensava fossi
un esperimento divertente?” Ino fu ferita
da quella domanda, fredda nel
tono come le notti del deserto. Rialzò gli occhi dalle sue
mani per incrociare
lo sfarfallio delle fiamme in quello sguardo gemello al suo nella
sfumatura,
sebbene fosse molto più crudele.
Rabbrividì. In un istante provò
un’enorme vergogna.
“No
Gaara… non volevo dire questo.”
Quanto
sono patetiche le mie difese…
Ino
si sbugiardava già nel suo animo, aprendo la strada a
quell’espressione gelida
che si avvicinava piano al suo viso, impartendogli il silenzioso ordine
di
restare immobile. Non reagì nemmeno quando la mano di Gaara
salì alla sua nuca,
agguantandole la pelle con forza. Trasalì, gemendo dal
dolore.
Davvero…
nella tua mente le cose feriscono come nella vita reale.
Le
sue riflessioni amare trovavano verità in quegli occhi che
era costretta a fissare.
Le occhiaie di Gaara non erano altro che il limitare d’un
cerchio di fuoco. “Hai
una vaga idea di quanto piacere provassi
nell’uccidere? Nell’annullare
completamente un avversario fino a quando non restava altro che un mucchio
di carne e ossa?”
Le
iridi della giovane vibrarono, ma non potevano in alcun modo piangere.
Il cuore
le batteva all’impazzata, l’istinto le intimava di
muoversi mentre la paura la
frenava, mentre Gaara si accostava al suo orecchio soffiando una
sentenza che
dava nome alla più tremenda delle torture.
“Vorresti
provare queste emozioni sulla tua pelle?”
“No!”
La
voce di Ino le morì in gola. Ebbe giusto il tempo di
afferrargli le spalle,
prima d’esalare un gemito di dolore. Strinse
l’immagine del leader della Sabbia
che spariva. L’ultima sensazione tangibile a cui
poté aggrapparsi era la mano
del ragazzo ben salda sulla sua nuca, da cui era costretta a
precipitare nel
vuoto, dentro un universo estremamente pericoloso.
Sono
in balia dei pensieri di Gaara...
Come
lo pensò, sapendo bene di mostrare le sue riflessioni al
ragazzo che aveva
preso il controllo della sua percezione delle cose, la voce del giovane
la
circondò, conducendola in un panorama buio.
“Vorresti
vedere i miei primi omicidi dopo la morte di Yashamaru?”
La
voce di Gaara era cortese oltre ogni dire, eppure Ino ne avvertiva il veleno
addosso. Era una macchia scura che scivolava via da lei per plasmare
gli attori
di quello spettacolo imposto, le facce terrorizzate dei ninja della
Sabbia che
imploravano pietà e, in cambio, ricevevano il fracasso delle
loro ossa che si
spezzavano a causa della sabbia. La giovane Yamanaka
sospirò, alzando una
barriera difensiva contro quelle sensazioni dei ricordi, eppure ne
venne
investita comunque, quasi fosse un naufrago alla mercè del
mare.
Un
violento piacere l’assalì,
tramutandosi in un sospiro crudele, persino
dolce, da cui i suoi polmoni furono spinti ad allargarsi fino
al limite,
come se quelle morti improvvise avessero aumentato il suo spazio
vitale. Ino
singhiozzò, percependo quel suo corpo fluttuante, privo di
sostanza,
abbandonarsi verso quegli stralci di passato da cui era avviluppata. La
sua
vista perdeva contatto con la sua volontà e riproduceva
qualunque cosa Gaara
volesse mostrarle, senza celare nulla.
Così
tanta rabbia… così tanta sofferenza.
I
pensieri della kunoichi vorticarono pieni di tristezza. Parve che il
buio si
stringesse, opprimendola.
“Forse
non è abbastanza, in fin dei conti mi stavo semplicemente
difendendo… Vorresti
rivivere le morti dei genin durante l’esame di selezione dei
chūnin? La mia
indifferenza alle loro grida?”
Ti
prego Gaara… fermati.
La
sua richiesta era priva d’energia e lui non
l’ascoltò. Il buio diffuse le urla
strazianti dei ragazzini contro cui si erano sfidati nella Foresta
della Morte.
Genin che non aveva mai incontrato per pura fatalità e che,
ora, ritornavano in
vita soltanto per morirle di fronte con i loro pianti, con la sabbia
che li
annientava dentro i suoi sarcofagi. Un’altra ondata di
appagamento, questa
volta più fredda, la travolse al punto da svuotarla delle
sue emozioni.
Era
ciò che sentivi, Gaara?
Lui
non le rispose. Non l’apostrofò con quelle sue
domande garbate e altere. Le
spalancò la porta a una nuova scena del passato, non
soddisfatto delle sue
reazioni, del fatto che si fosse lasciata incatenare in quella prigione
di
incubi senza opporre molta resistenza. Così la
colpì usando l’unica arma
davvero efficace: i suoi legami.
L’oscurità
disvelò l’ultimo atto di una sceneggiata senza
capo, né coda: modellò il volto
impaurito di Temari mentre veniva attaccata da un arto di sabbia,
deformato in
una sembianza animalesca. I ricordi di Gaara le diedero tutte le
informazioni
sul contesto, relativo a quell’infruttuoso Assalto al
Villaggio della Foglia.
Ma quanto vedeva non faceva parte dei piani del Suono e della Sabbia.
Era uno
sfogo inaspettato. Il capriccio di un bambino.
Non
andare oltre…
Ino
rabbrividiva e scompariva in quella visione, nel gusto
vendicativo a cui
quel Gaara si era abbandonato colpendo la sorella. La ragazza era
talmente
provata da non percepire altro di sé stessa, se non quella
richiesta lieve che
tentava di articolare con la mente.
Non
ferirci entrambi in questo modo…
In
un baleno, quella visione cambiò obiettivo per prendersi
gioco della sua
ritrosia, per ottenere quella reazione disperatamente ricercata dal suo
carceriere. I sensi della giovane, completamente in simbiosi con quelli
del
Kazekage, balzarono su Sakura.
S’interessarono
di quella sua posa difensiva inutile, ancor prima di combattere. Vide
il kunai
alzato dell’amica. Fremeva insieme alle sue spalle, insieme
all’animo di Ino.
La sabbia deforme la raggiungeva. Il cuore di quel ragazzo antico
batteva
all’impazzata.
“Basta!”
Ino
tuonò con la paura di morire per
l’intensità della sua emozione. Aveva
squarciato il velo d’ombra credendo di gettarsi a proteggere
l’amica. Invece,
era di nuovo in quello spazio luminoso, di fronte a Gaara. Le mani
della
kunoichi tremavano aggrappate alle sue spalle. La sua vista era
proiettata
verso il basso, ma non c’era la patina lucida delle lacrime a
offuscarla. Aveva
due occhi vuoti. Un animo vuoto.
Il
Kazekage colse il brivido di quel suo corpo apparente.
Appoggiò le mani sulle
sue spalle chine, contenendo in parte il tramortimento che impediva
alla
kunoichi di concentrarsi, di riprendere contatto con la situazione in
cui lei
si trovava. Eppure, la voce del ragazzo non fu magnanima come il suo
gesto.
“Questo
è solo un assaggio… Yamanaka Ino.”
Aveva
la voce ferrea di quando l’aveva trascinata in quel viaggio
degli orrori. Il
respiro di Ino continuava a essere lento e carico di ansimi.
“Non
ti trovi di fronte a un giocattolo… ma a
un mostro.”
Ino
sbuffò. Il suo corpo s’allargava e si comprimeva.
La ragazza si percepiva un
po’ meglio, anche se era instabile, sul punto di distaccarsi
dalla mente del
Kazekage per colpa di un peso da cui era schiacciata.
“Vattene
da qui, prima che diventi il tuo peggior incubo.”
A
quel punto, un moto improvviso la scrollò, ma era
completamente diverso da
quanto aveva sperimentato. I suoi muscoli si contrassero attorno allo
stomaco,
spingendola a sospirare una risata flebile come riflesso del gesto. Con
lentezza, Ino rialzò gli occhi su Gaara osservando la sua
espressione
interdetta, sebbene fosse dotata di uno sguardo sempre battagliero.
Glielo
puntava addosso minacciandola, però era un tentativo vano. Lei
aveva capito.
Stirò
la bocca in un sorriso con cui sforzò i suoi muscoli
facciali al limite. Ogni
movimento, per quanto minuscolo, era una sfida contro la sua paura, la
sua
fragilità, il suo desiderio di andarsene. Con delicatezza
sollevò una mano sul
viso di Gaara, sfiorandogli la guancia. Toccò quella pelle
sempre priva
d’imperfezioni.
Il
silenzio regnava sulle mille domande che il ragazzo avrebbe voluto
soddisfare.
Fissava lo sguardo di Ino, ancora parzialmente vinto da quanto aveva
vissuto. In
esso, s’agitava una fiammella arrivata alla fine della sua
miccia, ma che non
rinunciava a lottare. Ino ignorava il suo stato prossimo
all’evanescenza
soltanto per palesare una serenità di cui non
c’era traccia in entrambi e che,
tuttavia, presentava lo stesso come se fosse l’unica emozione
che risiedesse
nel suo animo.
Per
chi lo fai, Yamanaka Ino?
Il
pensiero di Gaara aleggiò in entrambe le loro menti quale
un’illusione sottile.
La voce di Ino era più concreta.
“Kazekage…
Gaara” il suo tono divenne più
dolce scegliendo di chiamarlo per nome.
Il ragazzo era intimorito e il suo cuore sbraitava al posto di quella
sua
figura immobile. Le dita della giovane scesero dal volto fino alla base
del collo,
lisciando la nuca.
“Per
quanto tu possa sforzarti… per quanto tu possa ferirmi o
spaventarmi… non
potrai mai essere il mio peggiore incubo.”
Un
soffio che alimentò un altro tipo di fuoco nello spirito di
quel leader
giovane. Le sue guance arsero al posto degli occhi, dove
l’incendio di poco
prime s’era estinto. La kunoichi raggiunse con la mano i suoi
capelli, procurandogli
un brivido da cui era impaurito e catturato al tempo stesso.
“Vorresti
scoprirne il motivo?”
In
quell’istante, fu il turno del Kazekage di vagare nel cuore
di Ino. Tuttavia,
la presa della kunoichi era gentile. La pressione della sua mano sul
collo se
ne sarebbe andata alla minima ritrosia di chi era guidato fra quelle
visioni.
Pareva sussurrare: “Se non vuoi restare, non ti
tratterrò.”
Tuttavia,
lui si abbandonò a quel buio dove l’erede degli
Yamanaka lo guidava con la poca
energia di cui disponeva. Per questa ragione, ciò che il
giovane rimirò nel
palcoscenico creato dall’ombra era filtrato da un velo,
eppure egli non poté
fare a meno di restarne avvinto.
Era
Ino mentre ascoltava il pianto di sua madre dall’altra parte
di una porta
chiusa, subito il dopo il funerale del padre. Era lei, oppressa
dall’impotenza,
quando appoggiava mazzi di fiori, pesanti come macigni, sulle tombe di
Inoichi
e del padre di Shikamaru. Aveva il sapore salato delle sue
lacrime sulla
lingua dopo una notte d’incubo, dove gli amici della giovane
erano morti per
mano di ninja nemici senza una forma precisa. Gaara si accorse che
stavano
volgendo il tempo all’indietro, perché visse una
rabbia crudele, vendicativa,
udendo la notizia che colui che aveva ucciso Asuma era sepolto, in
pezzi,
nella proprietà dei Nara.
Quella
furia, un fuoco di paglia, si dileguò nel ricordo di una
visita fatta assieme
ai compagni di team all’ennesima tomba, quella del maestro.
Le sue emozioni
si venarono di biasimo mediante il suono di una conversazione fra lei e
Shikamaru.
“Se
fossi stata più forte… il nostro maestro sarebbe
ancora qui” una
scrollata di spalle del
compagno di team accompagnò una replica laconica, la quale
celava in malo modo
un’identica vergogna.
“Non
possiamo essere tutti Naruto, o Sakura.”
L’immagine
dell’amica di Ino si materializzò di fronte a lui
e sentiva che lei la scrutava
con amore e un profondo senso di colpa. Sakura era ben vestita, bella
negli
abiti mondani con cui aspettava un assente seduta a una panchina. Gaara
comprese di essere tornato in un tempo recente, in cui la voce di
Sakura
fuoriusciva adulta dalla bocca piegata in basso: “Me
lo dovevo aspettare…
Lui non viene mai quando c’è il
sole.”
Il cuore di Ino si stringeva
attorno a quell’immagine
del passato, eppure attuale a ogni nuovo incontro con l’amica
di sempre. Rivisse
con lui tutte le giornate passate a vedere Sakura che aspettava un
ragazzo di
cui non c’era traccia. Condivise con lui la frustrazione per
quel ninja che
anche lei aveva amato e di cui intravedeva il profilo nelle ombre. I
suoi lineamenti
mutarono nel viso altrettanto pallido di un altro ninja della Foglia,
di cui
Gaara apprese il nome grazie al sussurro che percepì nel
cuore di Ino e che
strinse il suo in una morsa.
“Sakura…
Sai… perché non potete essere felici?”
In
quell’ultimo turbinio di sensazioni, sempre più
deboli, il Kazekage riemerse
dall’oscurità per tornare alla luce. Ino lo
fissava di nuovo sorridendo. La sua
presenza era più distante e inafferrabile. Lui la scorgeva a
malapena dietro un
velo che si scioglieva sulle sue guance. Quelle emozioni, quei
sentimenti e
ricordi l’avevano investito in pieno, pur col loro flebile
tocco.
La
kunoichi spostò le dita dalla sua nuca. Ne
avvertì l’assenza tramite un brivido
di freddo.
“Pensavi
che avrei avuto paura nel mostrarti tutto questo? Che avrei provato
imbarazzo
per tutte le mie stupide preoccupazioni?”
No
Ino…
Quel
pensiero incerto pareva una scusa sussurrata vergognosamente. Gaara le
teneva
ancora una spalla. L’altra mano era andata ad asciugare il
pianto sul suo viso.
Con un gesto delle dita, Ino sollevò con dolcezza il mento
di Gaara perché la
guardasse. Era eterea, sfuggente come un miraggio. “In un
certo senso… sono
contenta” la sua voce e il suo sorriso perdevano
consistenza. La spalla
della kunoichi scivolava dalla presa del ragazzo.
“Persino
una kunoichi inutile come me… ha tanti scheletri
nell’armadio.”
Un’ultima,
faticosa, ammissione. Ino sentì la propria mente cedere
definitivamente. Cadde
all’indietro, perdendo contatto con il mondo di Gaara.
Probabilmente, sarebbe
piombata in uno stato d’incoscienza da cui, poi, si sarebbe
risvegliata
soltanto una volta raggiunto il suo corpo reale, impedendole di portare
a
termine la sua missione. La tristezza che avvertiva nel suo cuore era
tutta per
quel fallimento grandissimo: non sarebbe stata in grado di salvare
Gaara.
Perdonami
per la mia debolezza…
Il
suo pensiero spirò da lei raggiungendo colui che la stava
afferrando prima che
crollasse nel vuoto. La trasse di nuovo a sedere, fra braccia piene di
calore da
cui traspariva ancora il vago odore della brezza marina, di fiori
appena
sbocciati alla luce del sole. La ragazza si appoggiò al
petto di quel compagno
di vicissitudini, riacquistando il respiro al ritmo del cuore che
batteva piano
sul suo orecchio. Esalò un sospiro languido. Le mani del suo
salvatore le
sorreggevano la schiena, evitando che ricascasse.
“Ino…
sono io a doverti chiedere perdono.”
Gaara
le mormorò all’orecchio suscitandole uno
sfarfallio in tutta la sua presenza.
Era piacevole come una giacca appoggiata sulle sue spalle per
proteggerla dal
sole. Lei sorrise. La fatica e quella miscela di sensazioni non le
concedevano
di riaprire gli occhi.
“Non
c’è nulla che debba perdonarti,
Kazekage” rispose in un unico fiato. L’evanescenza
della sua voce spinse il ragazzo a portare una mano sul suo capo,
offrendole
una sensazione di tepore ristoratore. La kunoichi si rese conto che
soltanto il
tocco del leader della Sabbia la serbava da un freddo glaciale, da cui
sarebbe
stata costretta ad andarsene perché intorpidiva la sua
volontà.
“Sono
io l’intrusa in questo mondo… mio padre mi ha
insegnato che, nella mente,
sentimenti ed emozioni sono vissute con
un’intensità maggiore di quanto appaia
esternamente…
se avessi voluto farmi davvero del male, invece che spaventarmi, l’avresti
fatto.”
Alla
fine di quella spiegazione, lei riuscì a sollevare il viso,
aprendo piano gli
occhi sulla faccia arrossita del Kazekage. La sua espressione era tesa,
persino
preoccupata, eppure lei non ne era toccata. Si sentiva… felice,
in balia
di una marea da cui era trasportata a riva.
Anche
se non volevi, Kazekage… alla fine ti ho capito.
Risistemò
il volto sull’incavo del collo del ragazzo, già
allo stremo delle proprie
forze.
“Ino…
come stai? Riesci a muoverti?” lei sbuffò esalando
una risata effimera quanto
le sue energie. “Sento che potrei precipitare da un momento
all’altro… anche se
non vorrei” il Kazekage s’irrigidì
mentre la stringeva di più, riversando sul
suo spirito un calore gentile tramite cui mitigava i suoi brividi.
“Allora…
lascia che mi prenda cura di te.”
In
un baleno, un nuovo vigore l’avvolse. Aveva lo stesso calore
di cui Gaara le
aveva donato un accenno con il suo abbraccio. Mutava rapidamente per
diventare
una parte di lei: la sensazione si adeguò al suo fiato,
alleggerendone il peso
a ciascun movimento delle spalle. Il battito del cuore
echeggiò placido, sanato
dalla fragilità causatagli dal freddo.
La
kunoichi si sentiva meglio alimentandosi di quell’energia
curativa, ma poi
accadde qualcosa. La sua mente tornò lucida, partecipe di
quanto viveva in
quello spazio a immagine del Kazekage. A quel punto, lottando contro il
tepore
e il suo stesso spirito di sopravvivenza, la giovane Yamanaka
alzò il viso dall’abbraccio
di Gaara. Cercò a tentoni la sua mano, siccome la vista
tardava a riappropriarsi
del suo compito.
Con
una fatica immane, spostò le dita del leader della Sabbia
dai suoi capelli
mentre le sue palpebre sbattevano sopra i suoi occhi, su cui si
rifletteva il
viso sfuocato e sorridente di Gaara.
“Cosa
sta succedendo?” chiese. Lui non rispose a parole. Come
trattenuto da una
grande stanchezza, il suo pensiero le giunse alla mente. Sto
solo cercando
di rimandarti indietro… erede degli Yamanaka.
La
sua risposta difficoltosa le indusse l’urgenza di riottenere
il controllo della
situazione. La giovane Yamanaka inspirò profondamente,
scuotendo via gli ultimi
rimasugli dei brividi da cui la sua percezione era stata turbata. Si
concentrò
su quel flusso d’energia che proveniva dal Kazekage e lo
arrestò.
Lei
era concreta come se si trovasse nella vita di tutti i giorni, ma Gaara
restava
effimero, la sua presenza sempre più labile quasi fosse un
pensiero che la
kunoichi volesse visualizzare a tutti i costi. In preda alla
preoccupazione, la
ragazza combatté contro sé stessa e contro
l’altro per redistribuire quella
forza vitale da cui lui si stava separando, ma dovette faticare
parecchio per
vincere la sua volontà d’acciaio.
Così
tanta fatica per costringerti a sopravvivere… e dovresti
essere tu il mostro?
Quella
riflessione, da cui si distese un ghigno a denti stretti sulla bocca di
Ino, fu
in grado di soverchiare la ribellione del Kazekage. L’aveva
udita, siccome entrambi
non riuscivano a ripristinare del tutto il controllo sulle loro
coscienze,
talmente erano spossati da tutto.
La
sua resistenza svanì, conquistata dalla determinazione di
Ino, la quale si
espanse in quell’immenso bianco plasmando un ambiente
familiare su cui lei
potesse sviluppare le proprie abilità innate:
sull’orizzonte si delinearono le
forme delicate dei fiori, contornate dall’architettura
geometrica della serra
posta dietro il negozio di famiglia. Il profumo delle piante promanava
intenso,
con il medesimo effetto di un toccasana. Il sole sfiorava le loro
schiene,
sebbene fosse filtrato dalla stoffa bianca della struttura. Ma il
sudore che
entrambi avvertivano sulle loro schiene non era dovuto alla calura del
sole.
Gaara lo sapeva bene.
Per
questo, il suo volto ora nitido, così come il resto della
sua immagine
corporea, palesava disappunto e tristezza. Non vi era traccia di rabbia
in lui,
ma quell’emozione si era impressa nel suo animo esasperandone
la voce.
“Ino…
se non lascerai che io ti doni la mia energia… morirai”
la kunoichi
trasalì spontaneamente a quella sentenza di morte. Una
reazione comprensibile a
una prospettiva così misera. Ma non se ne curò,
identificando la preoccupazione
dell’altro come uno stratagemma per raggirarla.
“Risparmiami
il teatrino, Kazekage… ti sono grata per avermi curata, ma
non c’è bisogno che nessuno
di noi due muoia: posso tornare indietro quando voglio per recuperare
le forze…
non c’è alcun bisogno che tu compia un sacrificio
eroico” il leader
della Sabbia fu colto di sorpresa. La fissò intensamente,
poggiandole una mano
sulla guancia per girarle il viso verso il suo. Ino sostenne quello
strano
esame non abbassando mai gli occhi, nonostante sentisse le guance calde.
“Quindi
non lo sai… credevo avessi percepito il cambiamento, ma
forse non ne hai avuto
modo per via di tutto quello che è
successo…” il ragazzo ponderava ad alta
voce, manifestando un’abitudine che la giovane Yamanaka
trovava simile a quella
dell’Hokage di ragionare fra sé e sé
anche in presenza degli altri. In entrambi
i casi, lei soffriva un identico tipo di nervosismo.
“Insomma,
Kazekage! Hai intenzione di dirmi cos’è che sai,
una volta per tutte!?” sbottò
liberandosi dalla sua presa gentile. Al seguito del suo animo
frustrato, i
fiori della visione sfarfallarono senza che il vento li avesse
sfiorati, frusciando
in un mormorio di foglie e petali. La terra sotto le loro ginocchia
divenne più
fredda e persino Gaara le apparve più altero, mantenendo la
mano a mezz’aria
per un lungo istante, quasi avesse perso qualcosa che non credeva gli
sarebbe
sfuggito.
Solo
quando rimise la mano sopra il ginocchio, tastandosi il polso per
controllare
la stabilità della sua presenza in quella visione, decise di
parlare usando un
tono meno esasperato. Sembrava un’inutile difesa contro una
tempesta.
“D’accordo,
Yamanaka… ti dirò tutto”
si schiarì la voce e, per una frazione di
secondo, la ragazza si dispiacque di aver fatto trapelare la sua
stanchezza,
mettendo a rischio quel fragile equilibrio in cui condividevano un
flusso vitale
di cui avrebbero fatto volentieri dono l’uno
all’altro. Ma lei aveva creato
quello spazio affine alla sua memoria proprio per evitare che il
ragazzo
potesse dissipare la propria presenza a piacimento. Si
mostrò tranquilla, pur
col cuore che rintoccava pesante, attendendo quelle parole che, una
volta
udite, avrebbero spezzato il suo spirito.
Il
sole pareva offuscato da una nube passeggera. Ino comprese da quale
giornata
avesse raccolto la serra in cui passava molto del suo tempo libero.
Udì all’esterno
un certo vociare indistinto, affrettato dalla cadenza di passi rapidi e
dal
clangore degli attrezzi di giardinaggio spostati in modo sbrigativo.
Un
tuono distante rimbombò nelle loro casse toraciche.
L’ultimo cinguettio d’un
uccellino coraggioso sfidò il maltempo, mentre il primo
picchiettio della
pioggia si tuffava sul materiale idrofobo sopra le loro teste. Gaara
riprese a
parlare una manciata di secondi dopo, allineandosi ai lampi del
temporale.
“Non
riesco più a svegliarmi.”
All’inizio,
la kunoichi non capì esattamente cosa Gaara le stesse
rivelando. Lo fissò
pensando che aveva un aspetto nostalgico in quell’angolo
delle sue memorie. Le
appariva una sorta di giardiniere a cui la pioggia evocasse le
preoccupazioni
dell’autunno e dell’inverno. Ino ci
rimuginò sopra talmente tanto, senza che il
ragazzo la interrompesse, da accorgersi solo in quegli istanti della
mancanza
di qualcosa in quella figura baciata da un sole
che s’insinuava fra le
nubi leggere.
L’assenza
dell’ideogramma amore la colpì
meglio di quanto le parole del Kazekage
non avessero ottenuto. La ragazza ritornò indietro, al
momento in cui aveva scorto
il giovane da solo, nel deserto, rinchiuso nel suo elemento prediletto.
Anche
allora, rammentò, non aveva visto quella parola sulla sua
fronte a cui il
leader della Sabbia s’affidava, facendo sì che lo
rappresentasse prima della
sua voce, simile nell’impatto ai suoi capelli rossi. Non
sapeva perché non ci
fosse, né riusciva a chiederlo al suo portatore.
Semplicemente,
sfiorò con la mano il suo viso, sempre così privo
d’imperfezioni e, ora, di
calore. “Gaara…”
ripeté il suo nome come se potesse cancellare la loro
angoscia.
Strisciava le dita sulla guancia del ragazzo accarezzandone lo zigomo,
anche se
non c’erano lacrime a bagnarli il viso. Gli ultimi segni di
quel gesto inusuale
per lui erano sepolti nel suo animo.
“L’ho
cancellata stanotte… poco prima che andassi sul terrazzo
della Residenza” Gaara
spiegò, in preda a un desiderio di non lasciare nulla di non
detto. Lui, che
parlava raramente, lo faceva per sormontare il senso di colpa che Ino
provava.
“Non
mi ricordo perché l’ho fatto… non so
neanche se avesse senso quello che avevo
pensato… non riesco a togliermi dalla testa che doveva
essere un esame che ho
fallito” lentamente, per non interrompere quel corso di
pensieri, Ino raggiunse
la fronte tratteggiando con l’indice le linee del kanji
sparito dalla realtà e
dalla mente.
Gaara
s’abbandonò contro il palmo della sua mano
causandole un fremito lungo la
schiena, una stretta allo stomaco a cui non poteva dare un nome
soltanto per
paura. La ragazza la negò, sigillando le sue emozioni dentro
una barriera
impenetrabile anche per il ninja di fronte a lei.
Non
è la mia storia ad avere importanza.
Si
scambiarono uno sguardo. Il Kazekage le sorrise, dimenticando per un
istante il
peso del suo discorso.
“Quella
creatura che tu conosci con il nome di Nocnitsa…
me lo ha rinfacciato una
volta che mi ha imprigionato qui. Continuavo a sentire la mia voce da
bambino
che mi puniva per le mie scelte… sentivo un odore
nauseabondo… vedevo occhi
rossi dappertutto” il giovane leader deglutì
prendendo fiato. Un movimento
impercettibile gli scuoteva le spalle, qualcosa che si stava impegnando
a
mantenere sotto controllo.
“Ho
cominciato a vedere il passato… tutto il male che
ho causato… fino a
quando non sono più riuscito a separarmene” la
pioggia era insistente. Si
accompagnava ai rombi di tuono e al luccichio dei lampi.
Un’aria fresca
penetrava dall’ingresso della serra. Cominciò a
spazzare via i colori di quella
scena, riportandoli al bianco. Ino era stanca, per quanto cercasse di
respingere
la sua spossatezza, le restavano poche energie.
Gaara
le afferrò il polso che sosteneva la sua mano intenta a
sfiorargli la fronte.
Il cuore della kunoichi palpitava contro i polpastrelli del giovane,
ricordandole quanto poco tempo restasse a entrambi.
Dov’è
il tuo cuore, Kazekage?
Lui
non ribatté a quel pensiero che frullò fino alla
sua coscienza. L’attirò a sé
mentre il ricordo di Ino perdeva consistenza, lasciando soltanto
l’odore umido
d’una tempesta lontana.
Gaara
le riprese il viso con la mano. Erano di nuovo nella situazione di
prima, come
se lui non avesse detto nulla. Lei gli strinse le spalle
istintivamente, sincerandosi
che nessuno dei due sparisse nel vuoto.
“Ho
cercato di dimenticare quanto potevo, sperando di salvarmi da me
stesso… ma
poi sei arrivata tu a ricordarmi che cosa mi stesse
succedendo… Sei così
ostinata, Yamanaka Ino…”
Come
un cactus in mezzo al deserto…
Il
pensiero del Kazekage evase il suo controllo giungendo alla mente della
kunoichi. Lei arrossì, cercando di evitare che lui se ne
accorgesse, ma non
poteva più distogliere il viso dal suo. Era intrappolata,
eppure… qualcosa la induceva
a ritrarsi. La vergogna la stava spingendo lontano
da quel volto dagli
occhi socchiusi, la cui bocca rappresentava un desiderio inespresso.
“Avrei
voluto risparmiarti qualunque delusione.”
Quella
frase la fece reagire: in essa si celava il motivo della fretta del
ragazzo,
del modo in cui l’aveva avvicinata al suo volto sperando di
annullare le sue
ultime resistenze. Ma Ino si ribellò spingendolo piano,
evitando che tutto
potesse chiudersi in quel modo.
“Ti
prego Gaara… aspetta” la voce
della kunoichi era fragile, anche se
cercava di conservare un tono dignitoso, da ninja del clan Yamanaka
quale lei era
e quale lo stesso leader della Sabbia l’aveva chiamata. Lui
sospirò, consapevole
di quanto sarebbe capitato.
Perché
Ino? Perché vuoi che ti faccia ancora del male?
La
giovane non l’ascoltò. Proseguì:
“Continui a insistere che l’unica soluzione
sia sacrificarti… ma ti ho già spiegato che non
è l’unica strada percorribile.”
Non
hai finito di dirmi tutto, Kazekage…
La
voce e i ragionamenti di Ino si miscelarono, mostrando di nuovo le
altre
soluzioni possibili. Gaara sapeva tutto del piano, del fatto che sua
sorella e
Shikamaru stessero setacciando il Villaggio della Sabbia alla ricerca
di chi lo
aveva imprigionato in quello stato. Era certa che ci fosse un modo per
cancellare
gli effetti della tecnica che lo stava bloccando dentro la sua mente,
così come
era sicura che lui sapesse della presenza dei ninja medico, di suo
fratello e
dell’Hokage al di fuori, pronti a sostenerli nel caso in cui
le loro energie
vitali fossero venute meno. Eppure, lui si rifiutava di prendere in
considerazione
tutti quei dettagli di fondamentale importanza… per
quale motivo?
Infine,
Gaara esaudì la sua richiesta. Non la guardava
più, ma per Ino fu quasi meglio:
l’umiliazione aveva iniziato a stringerle il petto e a
colorarle le guance.
“Ino…
la strega ha preso il controllo del tuo corpo…
lei e il me stesso del
passato stanno attaccando mio fratello e gli altri… Ho
intravisto il piano di
quella creatura prima che la scacciassi da te.”
A
quella rivelazione finale, la kunoichi fu svuotata da ogni sentimento.
“Capisco…
quindi è per questo che volevi spaventarmi,
perché vuoi sacrificarti… non
volevi che soffrissi per la mia incapacità”
la sua voce usciva fredda.
Ripensò al ricordo del padre che l’aveva
incoraggiata quando s’era liberata dalla
sabbia del Kazekage che avrebbe dovuto rispedirla nel suo corpo. Le
parve così
effimera, così stupida, da percepire
qualcosa che si frantumava nel suo
animo, condannandola a una tortura pari alla carne dilaniata dalle
spine dei
cactus. Era stata un’ingenua… era…
Davvero
sono inutile…
Gaara
intervenne prima che la sofferenza la chiudesse completamente dentro
sé stessa.
“Ino… ho bisogno che tu rimanga
forte… posso chiederti questo favore, da
parigrado dell’Hokage?” la domanda aveva
la nota fresca della fronte del
ragazzo premuta contro la sua, delle sue dita che le sfioravano i
capelli. La
ragazza riprese un attimo il controllo per scorgere quello sguardo di
un cielo
sempre uguale a sé stesso. Lei deglutì. Il pianto
minacciava di rompere le sue
fragili barriere, ma lei non aveva più alcun diritto di
manifestarlo.
Come
vuoi, Kazekage… Pensò
consapevole d’essere una kunoichi ridicola persino
nell’eseguire una richiesta
semplice come quella. Prese un respiro profondo, incamerando nello
spirito quel
poco di energia che conservava nel fondo delle sue riserve. A Gaara
bastò, nonostante
sapesse che non sarebbe servito a placare la sua sofferenza.
“Ino…
ormai sono abituato all’idea del sacrificio: sarei dovuto
andarmene da questo
mondo già alla nascita.”
Kazekage…
perché devi essere così antipatico in un momento
come questo?
Un
singhiozzo le sfuggì, ma trattenne il resto del pianto in
sé stessa. Ardeva
ancora l’imbarazzo per essersi fatta beffare da una creatura
tanto ignobile. “Moltissime
persone hanno dato la loro vita per me… perché
non dovrei ricambiare il favore?”
Non
lo merito…
“Kazekage…
dovrei essere io a compiere questo gesto… sono io la
responsabile della fuga di
Nocnitsa e del fatto che abbia preso il controllo del mio
corpo… manipolare la
mente è la mia specialità… è
l’unico motivo per cui mi è stato chiesto di fare
questa missione” la kunoichi provò a
dissuaderlo con quella sua voce rotta
per colpa della sua stessa incompetenza. Ma nella risolutezza dello
sguardo del
ragazzo non c’era posto per quelle recriminazioni.
“Senza
di te, erede degli Yamanaka… non ci sarebbe nessuno che
possa salvare mio
fratello o gli altri… anche se mi donassi la tua vita, non
sarei comunque in
grado di svegliarmi” fu inutile arginare quel fiume che ormai
straripava sulle
sue guance. La consapevolezza che non vi fosse alternativa, distrusse
le ultime
difese di Ino. Pianse in silenzio, lasciando che le sue lacrime
parlassero più di
tutte le sue giustificazioni, dei suoi sensi di colpa.
Gaara
era stanco. La sua forma era inconsistente, quasi un miraggio in uno di
quegli
anfratti di deserto dove il sole s’abbatteva inclemente. Ogni
aspetto di quella
situazione paradossale, d’altronde, non li aveva risparmiati
da nessun tipo di dolore.
“Capisci
perché non avrei voluto dire nulla?” Gaara
sorrideva asciugando le sue lacrime
con la manica della tunica. Con l’altra mano le sostenne la
schiena, conscio
che sarebbe bastato una minima incertezza per farli cadere entrambi nel
vuoto.
“Non
volevo farti del male… non dopo tutto quello che
ti ho fatto passare qui.”
L’unica
mia fonte di sofferenza sono io Kazekage… tu non
c’entri nulla.
La
ragazza risparmiò loro il suono della sua voce incrinata.
Aveva le braccia
conserte, strette a mantenere quel poco di dignità di cui
poteva momentaneamente
rivestirsi. Era un bersaglio facile per l’ultimo desiderio
del Kazekage. Le
sollevò il mento per incrociare di nuovo i loro sguardi,
dopo che lei aveva
fissato ostinatamente le sue ginocchia.
Il
giovane non era toccato dalla durezza dei suoi pensieri. Voleva portare
a
termine il suo gesto disperato il prima possibile, perciò le
sue riflessioni
scappavano dai confini della sua mente affaticata dalla perdita delle
sue
ultime energie.
Senza
rendersene conto, fu la causa del fallimento dei suoi stessi piani. Da
quei
pensieri liberi d’ogni remora, la kunoichi trasse la forza di
coltivare una
ritrovata speranza.
All’inizio,
aveva inteso i pensieri di Gaara senza ponderarli troppo. Si
schiantavano
contro il suo animo congelato dall’umiliazione. Si era
lasciata sospingere
verso di lui, incapace di resistergli, percependo un fiotto di calore
da cui
era irrorata mediante l’abbraccio del Kazekage.
Poi,
un minuscolo pensiero, nascosto in mezzo agli altri frenetici da cui la
sua
mente era assediata, le apparve estraneo in mezzo a una strategia
infallibile.
Là dove Gaara demoliva il suo rifiuto ad accettare quel
sacrificio di cui si
riteneva immeritevole, quell’emanazione delle riflessioni del
Kazekage s’introdusse
lieve come una carezza.
Fra
tutti coloro che avrei potuto conoscere… sono felice che
l’ultima sia proprio
tu, Ino…
Quell’energia
tiepida, che si diffondeva dal Kazekage, si tramutò
d’improvviso in un fuoco
immenso. Dove il ragazzo aveva tentato di blandirla con la gentilezza,
Ino s’impose
premendo le dita sulle sue spalle. Il gesto faceva più male
a lei, la quale rinvigoriva
la presa sempre di più, eppure era il giovane leader della
Sabbia colui ad
esserne colpito maggiormente.
“Cosa…”
aveva cominciato a domandarle, ma la voce della kunoichi era
più chiara della
sua confusione. Nel nulla candido da cui erano avviluppati
tornò la pioggia, il
temporale, ma s’insinuò anche il profumo dei fiori
e la dolce apparizione del
sole fra le nubi.
“Kazekage,
ti chiedo un favore… guardami”
lui aveva smesso di farlo quando la
strana reazione della giovane l’aveva sorpreso. Ino si chiese
cosa stesse
scorgendo ora che rialzava lo sguardo dalle sue spalle afferrate con
forza sul
suo viso lavato dal pianto. Forse era pulito come uno specchio e lui
poteva
riflettersi in quelle iridi azzurre, di un cielo che celasse moltissime
sfumature oltre l’orizzonte. La kunoichi era consapevole che
anche lo sguardo
del giovane nascondeva troppe sfaccettature importanti per essere
perse. Perciò
sorrise, guadagnandosi una piccola manifestazione di quella aurora
nascosta, apparsa
con il rossore sulle sue guance.
Ino
s’avvicinò al suo viso, avvertendo calore e
freschezza nell’atmosfera di quel
temporale estivo. Permeava le loro fragili presenze create dalle loro
menti e
così segnava i loro animi avvinghiati da tante emozioni,
simili alla rabbia del
tuono e alla speranza del sole che faceva capolino fra le nuvole.
Gaara…
non tutto è perduto.
Nel
battito di ciglia che susseguì a quel pensiero
deliberatamente scappato dalla
mente della ragazza, nel sospiro stupito del leader della Sabbia, Ino
chiuse la
distanza lambita da entrambi premendo le labbra su quelle di Gaara.
Salì con le
braccia al suo collo, spingendolo ad abbandonarsi contro di lei.
Il
ragazzo sobbalzò e persino un gemito sorpreso
sfuggì dalla sua gola. Tuttavia,
non si ritrasse. Con lentezza, seguì la curva delle braccia
di Ino per cingerle
le spalle. Risalì al suo viso per sfiorarle le guance.
In
quei momenti brevi trascorse tutta una vita. Erano frammenti di
ciò che era
stato: era il ricordo d’un cespuglio di trifogli che nasceva
con la kunoichi e
buttava un nuovo germoglio con il crescere della sua controparte umana.
Le sue
fioriture e le sue momentanee perdite di freschezza erano in simbiosi
con le
conquiste e i fallimenti di Ino.
Era
cresciuto rigoglioso quando la kunoichi s’era affacciata per
la prima volta
nella vita di Sakura e aveva perso qualche foglia alla rottura del loro
legame quasi
fraterno. S’era rinvigorito quando avevano ritrovato la pace.
L’aveva consolata
quando l’aria si era impregnata di fumo acre, quando le
speranze s’erano assottigliate
all’inizio della guerra. Era il vero contrappunto di quella
kunoichi i cui
pensieri ora si tingevano di speranza.
Gaara…
La tua vita non è vana.
Solo
allora sentì l’animo del giovane davvero scosso.
In lui albergava un desiderio
che non osava disvelare e che pure lo spingeva ad aggrapparsi a lei
fino quasi
a unirsi alla sua mente. Aveva ancora un sacco di proteste e
preoccupazioni con
cui scacciava il piano che Ino gli stava mostrando, eppure le
rassicurazioni
della kunoichi erano più forti.
Il
Kazekage spariva per consolidarsi al fianco della giovane che
così insistentemente
gli prometteva l’alba dopo la notte.
Mi
fido di te, Ino.
Un’ultima
stretta da parte di quel corpo che più non esisteva. Era
l’accettazione di quella
soluzione disperata che entrambi potevano sostenere soltanto con tutte
le loro
forze.
Non
posso ordinarti nulla, ninja di Konoha… posso chiederti
soltanto un altro
favore: sopravvivi… te ne prego.
Lei
sorrise, ma anche la sua bocca spariva come il resto dei loro corpi.
Non le
sarebbe più appartenuta fino a quando non avesse portato a
termine quel
tentativo di mettere in salvo tutti coloro che amavano.
Vedrai…
ne usciremo insieme.
Così
rassicurandolo, salirono oltre il bianco della mente immacolata del
ragazzo,
perché avevano perso molte delle loro forze per ottenere
quel risultato. Le
loro volontà viaggiavano sempre più in alto, per
toccare la superficie di quel
mondo racchiuso dietro i confini d’una maschera di cera.
Fu
un risveglio più brutale di quanto Ino immaginasse. I suoi
nuovi occhi si
spalancarono sulla notte del deserto. Il suo respiro estraneo
riempì i polmoni
di un corpo che non le era familiare. Quando
s’issò a sedere, fissando a fatica
uno strano panorama dove la sabbia ondeggiava ovunque intrappolando i
ninja
della spedizione, un solo collega della Foglia s’accorse del
suo ritorno. La
chiamò con il nome che apparteneva a quella forma in cui ora
albergava.
“Kazekage!
Sei tornato!”
Continua
nel Capitolo VIII: T’amai
perché mi ricordasti la primavera
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