Ciò che si nasconde nell'ombra

di Fenici_Bianche
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Incubi al chiarore di luna ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Odore di foglie e terra marce ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Le streghe dell'animo umano ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV: Ciò che si nasconde nell'ombra ***
Capitolo 5: *** Capitolo V: Fede nelle persone sbagliate ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI: Così è nelle mente, come fuori di me ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: Incubi al chiarore di luna ***


Ciò che si nasconde nell’ombra

Capitolo I: Incubi al chiarore di luna

 

Il deserto del vastissimo Paese del Vento poteva apparire lo stesso di ogni altra sera. Il blu della notte rivestiva le dune del contrasto argenteo con la luna piena. Benché fosse autunno, nel resto del mondo, soltanto le gocce di rugiada fra gli aghi dei cactus vischio bagnavano l’atmosfera. Ma su quell’arida nazione aleggiava uno spettro che non si era mai sopito.

Era un alito di vento fresco, quasi freddo, con un vago odore di terra umida e di foglie secche che marcivano nel fango. Arrivava da oriente, dai boschi caducifogli del Paese del Fuoco, da un tempo antico quanto i miti. Smuoveva l’atmosfera solitamente immobile ed era così inusuale da inabissare nelle tane, celate sotto un oceano di sabbia, prede e predatori. Erano abituati ai rigidi dettami di un habitat inospitale, ma non potevano nulla contro il potere dell’ignoto.

Sembrava tutto tranquillo, ma non lo era.

 

Gaara della Sabbia avvertiva quella stessa, irrazionale, sensazione. Attraversava la nazione che aveva giurato di proteggere il giorno in cui era diventato Kazekage del Villaggio della Sabbia. Tuttavia, somigliava enormemente a quel bambino che aveva giurato di distruggere il mondo agli inizi della sua vita da ninja.

Era ritto, immobile. Sul viso di cera si delineavano la pennellata sottile della bocca e il contorno delle occhiaie nerissime, le quali sagomavano lo sguardo azzurro, spalancato, privo di sfumature. Come la statua di un autorevole leader, quale lui era, Gaara era muto, era cieco ed era sordo tranne che per i suoi pensieri. Rimestavano sotto la chioma scarmigliata, simile a fiamma viva.

Uguale calore avevano le impressioni, gli incubi, che scivolavano ai lati del suo sguardo. Si contorcevano insieme alle lingue asciutte di sabbia da cui era attorniato e sopra cui viaggiava, slittando su un tappetto di sabbia che levitava a qualche metro di distanza dal terreno. L’aura azzurra di chakra, da cui il suo fisico esile era avvolto, luccicava, aderiva sopra quel materiale così abbondante nel deserto e lo plasmava secondo i suoi comandi, i quali venivano impartiti dal pensiero senza che la lingua dovesse pronunciare una parola.

 

Gaara era fatto così: conservava tutto dentro di sé e quel che fuoriusciva dalle maglie strettissime della concentrazione, lo tormentava con dubbi da cui era impossibile fuggire. I suoi fratelli, persino i suoi uomini, l’avrebbero intuito in un attimo osservando quell’incedere ondivago, la confusione mediante cui muoveva di scatto la sabbia sotto ai piedi cambiando traiettoria, pur non palesando nemmeno un sintomo d’incertezza.

Per contrasto, i pensieri del ninja più forte di tutta la nazione si spostavano di poco. Ritornavano al principio di quella notte uguale a tutte le altre. Alla luna piena che aveva ammirato fin dalla sua innocente, scellerata, infanzia. Al freddo ferro della ringhiera del balcone sotto le dita affusolate. A quella vaga eccitazione per la mattina successiva, dove avrebbe accolto il nuovo Hokage del Villaggio della Foglia e il suo seguito. Alla paura che le congratulazioni per la nomina sbandassero fuori dalle labbra senza controllo, tradendo la vergognosa presenza di un’emozione.

 

Gaara era fatto così: custodiva gelosamente quel suo piccolo mondo interiore. La sua gente del Villaggio della Sabbia, la sua nazione, la sua splendida luna piena, lo sapevano. Lo percepivano senza che lui dovesse pronunciarlo.

Per questo, solo per questo, la luna l’aveva informato. Comunicava con il Kazekage in una lingua di cui lui era l’unico conoscitore. Poteva avvisarlo mediante un banale fascio di luce verso le ombre della sera. Quell’uomo ancora dall’aspetto di un adolescente aveva colto il messaggio: aveva seguito i raggi argentei notando un arabesco di ombre strane. Erano formate da conformazioni rocciose, case e altri oggetti di cui non si era accorto per anni. All’inizio, Gaara della Sabbia aveva quasi creduto che quel corpo celeste volesse rallegrarlo prima che la paura l’appesantisse.

Poi aveva visto quel profilo. Piedi, gambe, busto, braccia e mani nell’oscurità. E un viso in penombra, dal sorriso di un mostro.

 

Le viscere gli erano piombate addosso come se non gli fossero mai appartenute. Avvinghiate in un’improvvisa morsa di terrore, di turbamento, di sorpresa senza gioia, gli avevano frenato il respiro. Era rimasto così, irrigidito, per un tempo incalcolabile. Qualche goccia di sudore era scivolata giù dalla fronte e lui si era accorto di non aver sbattuto le palpebre da quando aveva iniziato a fissare quella forma. Con una fatica immane, degna dell’utilizzo di una tecnica estremamente potente, Gaara aveva serrato lo sguardo. Aveva respirato. La nausea l’aveva carpito. Un singhiozzo aveva scosso il nodo alla gola. Poi, con una calma prudente, aveva sbirciato le ombre dalle ciglia socchiuse.

 

Lui non c’era più. Come lo sapesse, come fosse stato in grado di capirlo, non ne aveva idea. Aveva fissato il villaggio attorno a sé e tutto gli era sembrato, di nuovo, normale: gli edifici sfiorati dalla carezza della luna, le imponenti mura naturali, circondanti il perimetro del villaggio, nel buio. I ninja di pattuglia sopra i tetti, uomini capaci di tramutarsi in ombre artificiali che si dileguavano nella luce naturale.

La luna non aveva più illuminato nulla del genere. Le ammonizioni erano sparite nei suoi contorni da palla di cristallo. Pareva quasi che il disagio del Kazekage fosse derivato da un innocuo scherzo dei sensi, dell’agitazione che albergava in lui. Tuttavia, Gaara non era uomo da ammettere le fragilità dell’animo umano.

Era partito, occultando la sua presenza ai ninja di guardia, eludendo persino il giro di pattuglia dei fratelli. Li amava con tutto il suo cuore, eppure non osava rivelargli nulla.

Era, semplicemente, fatto così.

 

Là, in solitudine, immerso in quello smisurato mare di sabbia, Gaara assaporava quello strano odore di foresta putrescente e si domandava da dove arrivasse. Più lo inseguiva, più gli sfuggiva trasformandosi in un sentore che sfiorava appena le narici. Credette, davvero, che i suoi sensi stessero affrontando un improvviso stress fuori dalla sua comprensione. Ne ebbe paura: il cuore rintoccò veloce nel petto e, per un istante, dubitò di sé stesso e dell’immagine che aveva mantenuto così a lungo della sua persona. Stava per arrendersi alla propria debolezza.

Poi quel mondo che conosceva sin da bambino, sommerso dall’unico elemento che lo avesse mai accolto sin dalla nascita, comprese il delirio delle sue preoccupazioni. Come un genitore che avrebbe fatto di tutto per il suo unico figlio, il deserto ebbe compassione di lui.

Così si sollevò, mostrando ciò che si nascondeva nell’ombra, in agguato.

 

In principio, fu un dardo di sabbia. Emerse dalla linea piatta del deserto, senza che nessun evento atmosferico l’avesse scatenato. Gaara non se ne accorse. Intuì che stava viaggiando per perforargli il cranio solo in quel lasso di tempo dove chiunque sarebbe morto senza via di scampo.

Filtrata dall’adrenalina inibitrice, il Kazekage scorse quella pallottola dalla traiettoria netta e precisa: era levigata in superficie, schizzava priva di incertezze. L’accompagnava un fruscio asciutto e quell’odore penetrante di cui Gaara aveva un vago ricordo, per via di un viaggio diplomatico nel Paese del Fuoco di pochi mesi prima. Stava raggiungendo la punta del suo naso. Allora Gaara sorrise. Uno degli angoli si sollevò in una smorfia un poco crudele.

 

«Patetico» un lampo del passato attraversò quel sussurro inudibile, ma il ninja seppe con certezza che anche quel suo misterioso, inetto, assalitore l’aveva udito. La sabbia di Gaara s’issò fra lui e il dardo. Fu il colpo a morire al posto suo. Il Kazekage sentì il rumore del pulviscolo che evaporava, sfracellato contro una barriera più consistente di esso. Le ciglia gli fremettero: qualche granello si era insinuato ai lati del suo sguardo, ma non se ne curò.

Il deserto fece capolino da dietro la tenda di sabbia da cui era stato protetto. Si aprì mostrandogli una nuova calma assordante. Era sempre placida, era sempre vuota, tuttavia il ninja percepì chiaramente l’umiliazione.

«Io che sono vivo grazie alla sabbia… Ti aspettavi forse qualcosa di diverso?»

Parlava senza umore o espressione Gaara, ma il suo sorriso era largo sulle labbra sottili. Per la prima volta, mosse un passo in avanti sul suo tappeto di sabbia.

«Sei piuttosto impreparato, o forse sei solo uno sciocco ragazzino… Chi altri avrebbe sfidato Gaara del Deserto?» la voce calò, ghiaccio sopra l’arido paese di cui era il vero signore. Era insolente, era indifferente.

Era oltraggiosa per chiunque si stesse prendendo gioco di lui a quel modo.

 

«Hai risvegliato qualcosa che non puoi controllare, moccioso. Preparati a morire» ancora una volta, Gaara percepì quell’istinto primordiale, di cui tutti i ninja leggendari erano dotati, sfarfallargli nello stomaco. Erano impulsi totalmente privi di logica, da cui traeva la consapevolezza di aver indovinato qualcosa al di là della sua comprensione.

Quella sensazione gli causò un altro moto di nausea, nonostante la sicurezza di facciata e quel sorriso di cui si era rivestito dopo tanto, troppo, tempo. Non sembrava nemmeno che il suo sussurro fosse rivolto al nemico nell’ombra, tanto era sfuggito al suo controllo naturalmente: un fiume che scorreva verso il mare ignorando gli ostacoli sul tracciato. Euforia e timore si mescolarono in gola.

Poi sentì la sabbia tremare sotto ai suoi piedi e il fremito nelle viscere si trasformò in una tenaglia. Gaara soffocò un singhiozzo di nausea, gli occhi spalancati su un panorama che sobbalzava con lui.

Cosa diavolo…

 

Si rese conto di tutto in un lampo: di quel puzzo che gli inacidiva le narici, dei brividi da cui era scosso il suo cuore e le sue budella. Della sabbia che gli stava invadendo bocca e occhi, trasformandolo in un cieco a cui mancavano gli altri sensi, se non quello del dolore.

Un vento strano, con quell’odore nauseabondo, sfuocava il cielo con la sabbia mutandolo in acquitrino, da mare cristallino qual era. Gaara s’inginocchiò sul suo tappeto di sabbia e lo sentì molle attorno alle gambe, perché si stava trasformando in un bozzolo protettivo che non voleva, ma che derivava da quella sua sensazione di panico. La sabbia sapeva soltanto difenderlo, d’altronde.

E divorarmi…

Gaara non riuscì più a trattenere il vomito. Mentre assisteva a quel corpo che buttava fuori tutta l’ansia e la fatica che non sapeva di aver conservato fino a quel momento, udì il boato con cui il deserto stava sfogando la propria frustrazione: una tempesta di sabbia!

«Cosa… ho… liberato?»

 

Il Kazekage percepì, per la prima volta, una sensazione bagnata sulle guance, ma fu per qualche breve istante: furono prosciugate proprio come i resti del suo stomaco. Sentiva ben poche cose, a parte la sabbia che lo stava, lentamente, sommergendo: l’assordante impazzimento del cuore, l’acido in bocca, l’assenza d’aria nei polmoni. Eppure, avvertiva uno strano piacere nella carezza familiare del suo elemento, anche se lo disgustava più d’ogni altra cosa.

Io voglio… voglio andarmene!

Con furia tentò di governare l’unica cosa che l’avesse sempre ascoltato, ma essa continuò nella sua opera: turbinava nel vento e lo inabissava, sotto un oceano di sabbia. Allora capì. Comprese.

 

La scarica elettrica dell’adrenalina lo scosse molto prima che udisse quella voce.

«Non hai liberato nulla, Kazekage… Sei solo tornato alla tua natura, di chi sa uccidere e lo fa per vivere… Cosa ci sarebbe di più importante?»

«No, tu sei… sei un’illusione… Qualcuno che vuole ferirmi!» Gaara aveva perso la propria apparenza, scioltasi alla fiamma di una candela: quel viso di cera gocciolava di sudore e lacrime testarde, che non si erano fatte opprimere dalla stretta della sabbia. Ma non riusciva a rialzarsi in piedi: fissava la sabbia con cui venivano trascinati i suoi polsi più a fondo, le dita che sfioravano l’ombra di quel misterioso, diabolico, avversario.

Per chi sono i miei pensieri?

Solo poche riflessioni baluginavano nel pensiero avvinto dai sensi. Gli pareva di scorgere braccia di donna nelle lingue sabbiose da cui era avvolto. Il contorno delicato di un abbraccio di cui non poteva avere memoria.

«Perché… perché mi fai questo?» Masticò impastato di sabbia, dolore e serenità stomachevole: la mancanza d’aria stava togliendo il suo spirito dal corpo. Era sprofondato a terra, in quella culla arida di cui conosceva la conformazione, ma da cui non poteva trarre alcun calore.

Fu con enorme fatica che scorse i contorni di due gambe che si chinavano vicino a lui. Ma quel sorriso di mostro, no, non l’avrebbe mai dimenticato. Gli parlava e lo metteva di fronte alla realtà, a ciò che si era nascosto nell’ombra e non l’aveva mai abbandonato. Deglutì il boccone graffiante della sabbia e della saliva e quasi soffocò, disgustato e intorpidito.

Lui semplicemente parlò.

 

«Perché mi odi come il giorno in cui mi hai visto allo specchio, ma io non so che farmene di un sentimento tanto inutile: per me c’è solo amore… L’amore infinito che provo per te.»

Il Kazekage della Sabbia trasalì prima di svenire. L’ultima emozione fu quella di un criminale che aveva condannato anche le persone a lui care con le sue azioni.

Gaara della Sabbia, il bambino che era sopravvissuto per morire per mano della sua maschera d’adulto, sorrise senza gioia: non l’aveva mai incontrata nel corso della sua breve esistenza.

«Bene… Ora che ho fatto tutto quanto in mio potere… Che il mondo conosca il male che mi ha fatto.»

Quel deserto che l’aveva tanto servito e, forse, amato, si svelò a quel bambino, rinchiudendo il Kazekage in una prigione di vento e sabbia. Così gli occhi del Gaara che era stato poterono scorgere il profilo blu e dorato del Paese del Vento, oscurato dalla tempesta che avanzava con lui.

Si dirigeva verso la figura alta delle pareti di roccia da cui il Villaggio della Sabbia era circondato.

 

Continua nel Capitolo II: Odore di foglie e terra marce

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Capitolo 2
*** Capitolo II: Odore di foglie e terra marce ***


 

 

Capitolo II: Odore di foglie e terra marce

 

Gli abitanti del Villaggio della Sabbia avevano compreso che una tempesta stava arrivando. Abituati com’erano al deserto, dentro cui erano maturati come cactus sulle rocce impervie, l’avevano riconosciuta immediatamente grazie a quell’improvviso cambio di pressione che aveva scaldato l’aria sulle braccia nude, a quel tocco graffiante delle particelle di sabbia sulle narici.

Quando avevano scorto l’orizzonte limpido macchiarsi di una linea di foschia, avevano afferrato di colpo la gravità della situazione: restavano poche ore prima che la tempesta si riversasse all’interno della conca naturale dove sorgeva il villaggio, riempiendola di polvere e morte.

Per questo, i ninja erano corsi dai consiglieri del villaggio, perché impartissero gli ordini necessari a creare una barriera di chakra che contrastasse l’avanzata della sabbia per mettere in salvo i civili: Baki li comandava con il pugno di ferro, controllando che nemmeno una persona fosse lasciata senza aiuto. Anche i deboli che, un tempo, avrebbe disprezzato.

Per questo, i due fratelli maggiori del Kazekage avevano raggiunto la sua Residenza in fretta, per buttarlo giù dal letto, domandandosi come fosse possibile che l’uomo in grado di percepire ogni minima variazione del deserto, non avesse ancora intuito il pericolo.

Proprio per questo, quel letto intonso di fronte agli occhi di Temari e Kankurō apparve una minaccia più grande della distruzione che si annunciava alle loro porte.

 

Lo rimirarono come se Gaara fosse là, addormentato, e gli angoli piegati del lenzuolo, sgualciti dal vento che si stava alzando, stessero sfiorando quel viso emaciato, da malato, oppure quelle braccia sottili che risaltavano dentro le tuniche ampie di cui spesso si rivestiva.

La stessa stoffa che Temari aveva visto ciondolare, quella sera, dai polsi del Kazekage mentre strisciava le mani tremanti sulla fronte solcata da uno strano sudore freddo. Le parve di rivederlo là, quel suo piccolo e pestifero fratello, il terzo uomo da cui avrebbe sempre tratto una marea di guai, eppure che non poteva smettere di amare con tutta sé stessa.

Percepì quella fortissima commozione avvinghiarle il petto in quell’istante. Il rimpianto la costrinse a mordersi il labbro inferiore, unico lusso che potesse concedersi.

 

Kankurō rifiutò persino quella magrissima consolazione. «Temari, cosa facciamo?» la sorella maggiore non avrebbe saputo cosa rispondere a quella voce prosciugata di qualunque sfumatura, una maschera coprente come la pittura tradizionale che il fratello si cospargeva sul viso. Il ninja la scrutava senza realmente vederla con quegli occhi marrone scuro e i suoi vestiti neri parevano indossati da una delle sue marionette, tanto era impercettibile il movimento del respiro.

Temari deglutì a vuoto, ma si riprese dal suo confinamento mentale ritornando a quel vento da cui i loro abiti venivano strattonati, sempre più forte e fragoroso, a quell’urgenza che li aveva sospinti nell’unica tana in cui credevano vi fosse rifugio e che, tuttavia, li aveva traditi. D’improvviso, si accorse di uno strano sentore di cui la camera di Gaara era pervasa: un odore marcescente, da cui rievocava ricordi che acuivano quella tremenda sensazione di rimpianto.

 

Allora indossò la sua apparenza indifferente, perché calzasse con quella del familiare con cui aveva convissuto sin da quando aveva memoria.

«Quello per cui siamo stati addestrati, Kankurō. Proteggiamo il villaggio.» la voce con cui gli rispose, fredda, la ferì. Poteva percepire quell’inconfondibile sapore ferroso sulla lingua, anche se non aveva perso nemmeno una goccia di sangue.

L’odore putrescente li inseguì mentre partivano senza emettere un suono, come ombre quali erano.

 

Così giunse la tempesta. Temari e Kankurō ebbero il tempo d’informare il consiglio della scomparsa del loro leader. Furono in grado di partecipare alla preparazione della barriera di chakra che avrebbe protetto l’abitato. Si erano mossi per tempo, ignorando la paura in cui le loro viscere erano state attanagliate e la frenesia dell’animo. Avevano fatto tutto quanto in loro potere, prima che la tempesta li raggiungesse.

In principio, nessuno di loro volle dubitare su quanto conoscessero del deserto e sui suoi fenomeni atmosferici.

Quella mareggiata arida bussò forte contro la barriera innalzata. Picchiò così tanto da costringere i ninja specializzati nel controllo del chakra a darsi cambi repentini per mantenere la protezione. Alcuni vennero tolti di peso dal loro compito, con le labbra semiaperte da cui fiottava un rivolo di sangue, per via della fatica, o con gli occhi rivolti in alto, in procinto di svenire. Nonostante fossero segnali bizzarri, gli abitanti del villaggio continuavano a riporre una fiducia incondizionata nell’operato dei ninja.

 

Dalla loro parte, dopotutto, avevano il sangue dell’attuale Kazekage e di quello precedente: Temari e Kankurō erano due copie dei loro genitori e, sebbene avessero ben poche similitudini con il fratello minore, lavoravano senza sosta esattamente come lui. Temari planava sopra il suo ventaglio d’acciaio, le mani e le pieghe dello strumento macchiate di sangue per evocare a sé i fedeli kamatari, le bestie abili nell’uso del chakra con cui aveva stretto un patto tanti anni prima.

A terra, il fratello più piccolo guizzava da una parte all’altra del villaggio, le marionette seguivano i suoi comandi condotte dall’esperienza di una vita, cercando chiunque non si fosse reso conto del pericolo e conducendolo verso un rifugio sicuro.

Erano la perfetta sintesi della sicurezza che gli abitanti del villaggio avevano ricevuto in tutti quegli anni. Non potevano, in alcun modo, dubitare di loro.

 

Non lo sapevano. Non potevano intuirlo in alcun modo: le maschere dei due giovani, una composta di pittura e l’altra di pura forza di volontà, erano un miraggio dietro cui non risiedeva un’oasi di pace, ma il deserto, arido e ricolmo dei suoi pericoli.

Temari aveva sospettato che Kankurō avesse afferrato qualcosa, tuttavia sapeva di essere l’unica a cui quell’odore terribile avesse richiamato un pozzo senza fondo di ricordi. Il sangue le copriva la pelle delle braccia e la carne lacerata bruciava a contatto con l’aria contro cui sferzava volando sul suo ventaglio, ma lei non era più nel suo corpo da tempo immemore. Vedeva il fondo di quella caduta libera, una luce rivelatoria o ingannevole che fosse.

Quest’odore insopportabile… sa di foglie e terra marce.

 

Quella strana riflessione, affiorata dal subconscio, la stordì peggio del dolore o della concentrazione. Riportava il suo sguardo acquamarina indietro, a quel passato da cui sperava d’essersi allontanata per sempre, ma che tornava a tormentarla.

Non si era accorta che la tempesta di sabbia l’aveva capito. Uno stridio sospetto crebbe sopra di lei e, imprigionata com’era nei suoi pensieri, Temari scorse a malapena qualche granello di sabbia centellinare dal soffitto della barriera.

La donna era completamente avvinta da quel viaggio dove era di nuovo una bambina dal viso d’ingenua spavalderia e si perdeva in quegli sprazzi di sensazioni passate: percepiva il caldo sole di una stagione sempre uguale a sé stessa, la pelle sudata dentro i vestiti leggeri e avviluppata in un alone di straordinaria caparbietà, in cui ogni bambino si sarebbe sentito capace di conquistare il mondo…

Sulla luce in fondo al pozzo della memoria si delineò una figura in ombra e lei la braccò con l’ostinazione tipica dell’età infantile, desiderando l’ebbrezza di un’avventura che le avrebbe permesso di ottenere le adulazioni dei suoi insegnanti e le occhiate orgogliose del padre…

 

Proprio mentre quella penombra ingannevole si dissolveva rivelandole il corpicino mingherlino di un bambino, la kunoichi si rese conto che non c’era acqua sul fondo: era il riflesso della pietra ad averla ingannata così facilmente.  

Gaara?!

Lo stesso fratellino che aveva sperato di abbracciare nei suoi pensieri. Gli stessi capelli rossi, lo stesso incarnato cianotico, le stesse mani dalle dita smilze. Il sorriso di un mostro sulle labbra sottili. La paura le strinse le viscere. Dalle profondità dei ricordi, trasse una voce distante, l’ancora di salvezza per quando quel suo piccolo, diabolico, fratello aveva cercato di sfidare il suo diritto alla sopravvivenza. Rammentava persino le mani nodose della sua balia che le accarezzavano i capelli scomposti, ordinando le sue paure e gettandoci sopra un fascio di speranza.

«Vedrai, piccola Temari… Arriverà il vento di foglie e terra marcia e so lo porterà via… Non dovremo più avere niente a che fare con quel…»

 

Poi, con un assordante rumore di vetri in frantumi, la barriera di chakra si spezzò. Polvere e morte si riversarono nella tana che Gaara, Temari e Kankurō avevano giurato di proteggere. La kunoichi serrò lo sguardo. Non ebbe il tempo di fare alcunché.

Allora è vero…

Il pensiero le crollo addosso così come la sabbia. Avvertì il peso della sua stretta mortale sui polmoni. Vide l’oscurità arida della polvere che le entrava negli occhi spalancati. Boccheggiava, il suono gracchiante dei suoi ansimi le riempì le orecchie. Ai limiti del suo sguardo rifulsero tanti punti di luce accecanti, dove le parve di scorgere il viso devastato di Kankurō.

Si rese conto della propria superficialità.

 

«Sorellona!»

L’urlo del fratello era un velo leggero, inghiottito dal rombo secco della sabbia. Temari ci si aggrappò come un’ancora di salvezza, cercando disperatamente la forza di reagire. Il sangue ardeva sulle sue braccia e richiamava a sé i kamatari, li guidava verso il punto in cui quel turbinio la stava trascinando, sempre più in basso, lontana dal suo elemento.

Vide quelle povere creature che la tallonavano, che tentavano di perforare il pulviscolo consistente come una parete di roccia per seguirla ovunque stesse andando. Eppure, quella tempesta aveva una sua volontà, più forte e terribile di un banale patto di sangue. Temari non si stupì quando vide i kamatari avvinti dalle correnti di quel mulinello asciutto, quando rimirò le nuvole di fumo che producevano poco prima di sparire, rompendo il legame con lei per sopravvivere. Anche lei, dopotutto, aveva temuto che una persona a lei vicina le strappasse la vita.

«Gaara… cosa ti ho fatto fratellino?»

Il senso di colpa morì nella tosse e così la kunoichi concluse il volo nella bufera. Precipitò per terra inghiottendo terra e pulviscolo. Non riuscì nemmeno a sentire l’impatto, tanto il suo istinto era proteso verso quell’ossigeno assente nell’atmosfera.

È tutto inutile…

S’accasciò sul terreno, non riuscendo nemmeno a piangere: la sabbia la stava prosciugando del tutto. Rombava imperterrita attorno a lei, impedendole di capire quanta distruzione stesse portando alla sua casa. Alla sua gente.

 

Avrei dovuto… Avrei dovuto fare di più per tutti voi.

I respiri di Temari si erano fatti brevi e pieni di sabbia. Gli occhi stavano perdendo vitalità. Proprio quando stava per cedere a ciò che si celava oltre l’oscurità, il passato riemerse ancora, ma questa volta per confortarla.

Sarebbe stato bello vedere con te l’alba… mio pezzo di cuore…

Quasi rise di fronte a quel pensiero. Immaginò il viso appuntito dell’uomo che amava, i suoi occhi dal taglio allungato e quei suoi capelli neri e cespugliosi. Le sembrava proprio di osservarlo là, con lei, mentre la metteva seduta con le sue braccia all’apparenza gracili, che nonostante tutto erano in grado di farla sentire accolta come sotto una coperta. Odorava persino l’inconfondibile gusto di sigaretta su per le narici e quella sua voce secca, disperata, che rimbombava nelle sue orecchie con un suono ovattato.

Già… Mi sarebbe piaciuto vedere quel cespuglio di capelli sulla testa di un bambino… Temari bofonchiò una risata. Non riusciva nemmeno ad alzare il braccio per accarezzare la guancia un po’ bagnata del miraggio da cui era tratta in salvo.

 

Poi, quel ragazzo dagli occhi neri e acuti d’una volpe premette le labbra dal sapore di fumo sulla bocca di Temari, immettendole nuova aria in circolo. Lei inarcò la schiena, esterrefatta. Il cuore batté più forte: l’uomo stava premendo le mani contro il suo petto, donando un nuovo ritmo vitale all’organo che minacciava di fermarsi. Temari allargò gli occhi. Non si era accorta di essere tornata alla realtà.

S’issò a sedere e il mondo prese a girarle intorno.

 

«Stupida! Stai giù!» eccolo là, Shikamaru, di fianco a lei! Gli occhi verde acqua di Temari lo fissavano senza vederlo per davvero. Avvertiva soltanto la stretta delle sue mani calde contro la pelle fredda delle braccia e la forza con cui la ristendeva di nuovo per terra. Qualcosa luccicava agli angoli degli occhi di quello scemo.

«Dannazione, Temari! Kankurō ci ha detto tutto, volevi suicidarti?!»

Kankurō?! La domanda del ragazzo passò in secondo piano. Temari si rialzò appoggiandosi sui gomiti, ignorando le proteste di Shikamaru. La testa stava smettendo di girarle e, adesso, squadrava la situazione meglio di prima.

La tempesta di sabbia infuriava ancora, ma non era più con loro. Batteva ferocemente di nuovo contro una barriera di chakra, su cui si stendeva continuando a oscurare il villaggio. Eppure, il riverbero bluastro del chakra le permise di distinguere chiaramente le case e gli abitanti del villaggio, tutti liberi dal giogo del terribile fenomeno atmosferico.

«Cosa… Cosa è successo?» chiese di rimando a Shikamaru, ma prima che lui aprisse bocca per rimproverarla, una voce attrasse la sua attenzione. «Santo cielo, Temari!» ora che il frastuono della tempesta era attutito, la donna poté udire i passi rapidi e la voce conosciuta di qualcun altro.

 

«Ino…» era davvero la kunoichi del Villaggio della Foglia quella che li raggiunse ai limitari del perimetro della barriera, anche se quest’ultima stentò a riconoscere la donna del Villaggio della Sabbia: la sorella del Quinto Kazekage giaceva con i capelli biondo sabbia stravolti dal vento. Screpolature s’affacciavano sulle labbra e sul viso bianco come un lenzuolo. Il vestito nero era stracciato mostrando lividi su gambe e braccia. Il petto le si alzava tremante, come se stesse reimparando a respirare normalmente. Una vena si chiuse nella testa di Ino e fissò il compagno di team irritata.

«Shikamaru, sei uno scemo! Dovevi chiamarmi immediatamente!» sbottò infine, spostando vigorosamente il ragazzo e accostandosi di fianco alla donna convalescente, le mani protese all’altezza del suo cuore. Un velo di chakra le cinse i palmi, stillando energia guaritrice sull’incavo del seno di Temari fino al resto del corpo.

La donna prese un profondo respiro, gemendo: aria e sangue circolavano veloci e, d’improvviso, sentì le forze che le tornavano. «Mi… mi sono distratto» il pigolio di Shikamaru era così tenero che Temari non resistette: cercò la sua mano a tentoni e la strinse forte. Riconobbe immediatamente il callo sul pollice derivato dall’accendino. Lui contraccambiò la presa e le si accostò vicino, le guance rosa d’imbarazzo e altre emozioni difficili da distinguere.

«Abbi pazienza, Ino… Credeva che gli sarei morta di fronte» la ragazza sbuffò, ma non osò dire null’altro. Lei e Shikamaru capivano benissimo cosa si provasse di fronte a una persona cara sul punto di morire.

Restarono in silenzio per qualche istante, offrendo il tempo a Temari di ritornare pienamente in sé. Poi l’aiutarono ad alzarsi e si misero in cammino verso il centro di comando improvvisato dove Baki, Kankurō e il Sesto Hokage del Villaggio della Foglia discutevano animosamente.

 

«La tempesta ci ha preso due ore dopo che ci eravamo accampati: stavo facendo il mio turno di guardia quando ho visto una strana linea scura all’orizzonte, ma quel furbone di Shikamaru non mi voleva dare retta!»

«Che seccatura che sei, Ino…» replicò l’uomo accostando Temari più vicino a sé, le guance rosa d’imbarazzo. Per tutta risposta, la kunoichi del Villaggio della Sabbia non poteva smettere di sogghignare: conosceva bene quel ragazzo dall’espressione perennemente stanca e i continui battibecchi che lui e la sua compagna di team si rivolgevano. Trovava divertente il modo in cui reagiva a una banale presa in giro e, se fosse stato per lei, l’avrebbe fatto ogni giorno della sua vita.

Se solo fossi così audace anche con te, fratellino…

Quell’abbraccio non dato ritornò vivido per ferirla con la propria fragilità. Questa volta, fu lei a stringersi di più a Shikamaru, appigliandosi al suo fianco con forza. Lui capì, o quantomeno colse cosa si celava dietro quella sua occhiata assente. Sei sempre troppo abile nel capire cosa mi passi per la testa… Pensò Temari avvertendo le dita dell’uomo che le accarezzavano le spalle, donandole un minimo sollievo.

Tuttavia, la sensazione sparì quasi subito in puro imbarazzo quando la donna scorse lo sguardo sornione di Ino da cui erano osservati con molta attenzione.

 

«Insomma, morale della favola: il Sesto Hokage ci passa vicino, capisce che io ho ragione e ci ordina di correre qui ad aiutarvi! Abbiamo dovuto attraversare una dozzina di chilometri dentro una bolla di chakra» «Questo vuol dire che il Villaggio della Sabbia è circondato dalla tempesta?» Temari era grata che Ino non avesse infierito con una delle sue battute. Le piaceva prenderli in giro, ma la kunoichi della Foglia aveva carpito che la sofferenza dell’altra non era dovuta soltanto a quell’incontro ravvicinato con la morte. Il suo sguardo era un mare smosso, dove fra le onde scure si sollevavano più dubbi che pensieri.

«Proprio così, anche se è un po’ strano: abbiamo studiato il clima del Paese del Vento per prepararci alla traversata nel deserto e questo non doveva essere periodo di tempeste… Credo che l’Hokage sappia qualcosa e abbia voluto parlarne immediatamente con tuo fratello e quel vecchiaccio dalle labbra secche.»

«Dannazione, Ino! Riesci a stare seria per un momento?» Shikamaru roteò gli occhi, ma non ebbe la forza d’insistere: tutt’attorno a loro osservavano i danni che la scarsa presenza della tempesta aveva causato al villaggio. Brandelli di parete cadevano dai bordi degli edifici. Ninja medico correvano fra le vie del villaggio, trasportando barelle con i feriti, oppure cullando in braccio bambini dagli sguardi atterriti, su cui gocciolavano rivoli di sangue freschi. Era del tutto comprensibile che la sua amica cercasse di distrarsi da quella situazione che rievocava la distruzione della guerra.

Anche tu… anche tu cerchi di sfuggire a qualcosa, eh ragazza tosta?

 

Shikamaru la scrutava in quei frangenti in cui lei non ci avrebbe badato, rimirando quei suoi capelli tendenti al riccio e desiderando di accarezzarli con le dita. Si limitava a sorreggere quell’anima che pareva sul punto di andare in pezzi in ogni momento e ripensava all’Hokage, a quello sguardo nero e impenetrabile con cui li aveva guidati sino a lì, scagliando una sfilza di fulmini viola contro il vento e la sabbia, sparendo fra le spire della bufera per uscirne più serio e scuro in volto.

Hokage… cos’hai visto nell’ombra?

Domande a cui, presto, avrebbe dato una risposta.

 

La prossimità del quartier generale di fortuna fu preannunciata da una certa confusione e da urla ben poco piacevoli. «Kankurō!» esclamò Temari liberandosi improvvisamente dalla stretta e correndo verso il luogo di provenienza delle grida, ancora celato dalla figura di un edificio. «Aspetta Temari!» Shikamaru la raggiunse immediatamente, ma la donna sembrava che si fosse ripresa del tutto.

«Ehi, aspettatemi!» sentirono entrambi Ino distante come se fosse stata spinta via lontano, a centinaia di chilometri. Di fronte a loro, Temari e Shikamaru assistettero a qualcosa che non si sarebbero mai aspettati. La bocca della donna reagì d’impulso a quella scena, rimbrottando contro l’unica persona su cui avesse una qualche sorta d’influenza.

«Cosa diavolo stai facendo Kankurō?!» il suo fratello di mezzo, il suo scontroso fratellino, era ritto, con fili di chakra che s’allungavano dalle sue dita per manipolare il corpo artificiale di Sasori, la marionetta. Questa molleggiava a mezz’aria in attesa degli ordini del suo padrone, mentre tutt’attorno a essi si ergeva un muro concentrico di ninja della Foglia pronti ad attaccare, con i kunai, shuriken, spille e pergamene impregnate di chakra ben alte di fronte a loro.

Con l’istinto forgiato dall’addestramento ninja, Temari estrasse una pergamena simile alle altre. Da essa si riprese il ventaglio che aveva perso nella tempesta, dopo aver formato con le mani i sigilli necessari al richiamo del suo strumento. Lo aprì, pronta a scuoterlo nel caso qualcuno avesse tentato di far del male al fratello.

Se ha evocato Sasori significa che la situazione è peggio di quanto sembra…

Il ragionamento di Temari venne interrotto dalla voce violenta del fratello, ancora graffiante per via della sabbia in gola.

 

«Non capisci, Temari! Quel pallone gonfiato ci sta… sta offendendo la nostra gente e oltraggia il nostro Kazekage!» la kunoichi non comprese subito. Setacciò il gruppo di persone ammassate ai confini della scena per incrociare Baki. Lo notò fra un gruppo di ninja della Sabbia che stavano puntando le armi, a loro volta, contro il gruppo di ninja della Foglia che minacciava Kankurō.

Poi lo vide. Il Sesto Hokage del Villaggio della Foglia stava ritto di fronte a Kankurō, come la statua di un autorevole leader qual era. I capelli argentei scintillavano anche nella penombra causata dalla tempesta e sulla faccia, nascosta per metà dalla mascherina fino al naso, spiccavano gli occhi nero pece.

Uno sguardo intenso e pericoloso, rivolto a lei.

«’sera Temari. Potresti dire con il tuo… fratellino di smettersela, prima che si faccia male?» le parlò con tono cortese, fin troppo per il modo in cui i suoi muscoli erano tesi e la sua espressione affilata come una lama. Temari deglutì a vuoto, pur allentando la posizione di guardia.

«Non dargli ascolto! Questo traditore cerca volontariamente di minare l’alleanza fra di noi e la Foglia! Ha osato…»

«Ha detto che c’è Gaara dietro tutto questo?»

 

La domanda di Temari zampillò da lei come se non l’avesse mai pronunciata. Era una cascata che precipitava ghiacciata su tutto il manipolo in tensione, cogliendoli di sorpresa. La fissarono tutti quanti spiazzati. Le loro armi si abbassarono. Persino Baki, il suo indecifrabile maestro, le rivolse un’occhiata frastornata.

L’unico che continuò a fissarla privo del benché minimo cedimento fu l’Hokage. Le si avvicinò a passi lenti, mostrandole un improvviso interesse. «Posso chiederti come fai a saperlo, Temari della Sabbia?» c’era una strana forma di rispetto in quella richiesta, la stessa attenzione con cui aveva visto l’Hokage rivolgersi a Gaara in tanti incontri diplomatici. Per un attimo, la turbò.

Avvertì a malapena la presenza di Shikamaru e Ino al suo fianco, probabilmente rimasti indietro per non animare ulteriormente quegli istanti di tensione. Le dita di Shikamaru le sfiorarono inavvertitamente il braccio. Allora si riprese.

«Perché le mie preghiere sono state esaudite, Hokage» deglutì ancora, sabbia e l’odore di terra e foglie marce le inondarono il palato. «Cosa intendi dire?» l’Hokage aveva quasi uno sguardo lucente. La luna fece capolino da quella foschia perenne e dorata.

 

«La strega dell’est… Nocnitsa è venuto a prenderlo.»

 

Continua nel Capitolo III: Le streghe dell’animo umano

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Le streghe dell'animo umano ***


 

 

 Capitolo III: Le streghe dell’animo umano

 

“Era iniziato tutto… come un gioco.”

Fuori infuriava la tempesta di sabbia sulla barriera di chakra. Dall’epicentro del villaggio s’alzavano rumori di crolli sparsi, circondati da urla, pianti e ansimi. Le case, simili a vasi di terracotta, non contenevano null’altro che silenzio. Il seme della paura abitava lontano da loro, sulle bocche aride dei civili, attraversate da screpolature allo stesso modo delle mura esterne degli edifici. Era bastato così poco per disperderli, un banale assaggio di un fenomeno atmosferico a cui avrebbero dovuto essere preparati!

Eppure, i ninja della Sabbia e della Foglia non riuscivano a preoccuparsi della realtà da cui erano ghermiti, da un nemico di cui stentavano a individuare la vera forma, dispersa nel buio del vento e della sabbia. I loro occhi erano rivolti a Temari, ma non soltanto sulla sua figura asciutta, simile a una delle pieghe dei suoi ventagli d’acciaio, né sul suo viso in cui gli occhi guardavano in basso, proprio dove tutti loro giungevano infine: alle mani sporche di terriccio, il quale si era conficcato sotto le sue unghie.

Alla pergamena umida e consunta che la donna teneva in mano e che aveva nascosto, tanto tempo prima, nel vaso di uno dei cactus di Gaara.

 

“Un gymnocalycium… Era un regalo di suo zio…”

Ino non sapeva che importanza avesse l’uomo nella storia di Temari, ma intuiva lo legasse lo stesso filo con cui aveva delineato il suo racconto: di paura e leggende che sarebbero dovute rimanere tali. La prova del mito era in quelle lettere scolorite, impresse sulla carta col sangue.

Nocnitsa, in pegno il mio sangue e quello del mostro di cui mi dovrai liberare.

La finzione era divenuta realtà. Esattamente come i suoi colleghi e alleati, disposti in cerchio attorno alla sorella del Kazekage, Ino ascoltò, capì. Vide quei sentimenti sulle facce degli altri. Non doveva usare la sua abilità innata per afferrare ciò che si nascondeva oltre la superficie immacolata dei ninja.

 

C’era Shikamaru con la sua sigaretta ormai prossima a consumargli i polpastrelli. Aveva quello sguardo nero e intenso di chi analizzasse un fenomeno per la prima volta, cogliendone con freddezza gli aspetti più inconsueti. Il cuore di Ino le si fermò in gola: l’attraversò l’improvviso desiderio di abbracciarlo e riuscì solo a contrastarlo pensando che avrebbe voluto fare la stessa cosa per Temari. Quella donna affranta che parlava e scriveva una storia su cui veniva gettata un’altra prospettiva.

Anche se non lo conosceva così bene come il suo compagno di team, o la donna per cui lui restava immobile senza rivelare un singulto d’emozione, Ino avrebbe volentieri offerto un abbraccio a Kankurō. A quel ragazzo che per amore di entrambi i suoi fratelli si dilaniava nel pensiero. Ino intuiva la vastità dei suoi sentimenti senza dovergli leggere la mente. Ne aveva visti a centinaia di volti come il suo, durante la Quarta Guerra Mondiale dei Ninja.

Il ragazzo soffriva in silenzio e la sua pittura si crepava, mostrando un volto umano.

 

“Non fui capace di soddisfare la seconda metà del patto… Qualcuno deve avere provveduto al posto mio.”

Temari srotolò il fondo della pergamena e videro una novità in mezzo al passato: macchie di sangue più vivide, sferzate poco prima che la formula sul foglio volgesse alla fine. Sangue per evocare una creatura mitica, di cui nessuno di loro aveva conoscenza.

“Una strega che si nutre del passato per rubare il futuro.”

 

A quel punto, Kakashi si risvegliò da quell’ascolto intento. Il Sesto Hokage aveva uno sguardo strano, greve. Ino se lo sentì addosso e le sembrò che un peso le fosse caduto sulle spalle. Come il racconto. Come i visi attoniti dei presenti. Come la tempesta che tentava di conficcare i suoi artigli nei loro polmoni.

Ino maledisse la sua abilità di poter entrare nella mente degli altri, di poter proiettare la sua in loro impossessandosi di ricordi ed emozioni, avendo il potere di plasmarli a suo piacimento. I suoi occhi azzurri si tramutarono in un vetro privo di riflessi.

“Mostraglielo.”

L’ex maestro della sua migliore amica glielo comandò con calma, persino con una vaga nota di dolcezza, se non per lei almeno perché sapeva quanto potesse essere difficile realizzare il suo ordine. Ino fece un cenno d’assenso. Con un profondo sospiro, dal suo corpo scacciò le congetture e incertezze. Restava solo il suo animo che viveva seguendo il ritmo del cuore: placido, meccanico. Vuoto.

 

Mentre alzava le mani per formare quasi una cornice attorno al volto dell’Hokage, Ino aprì la mente e chiese che i presenti entrassero in simbiosi col suo respiro, in modo tale da poter scorgere i ricordi dell’Hokage insieme a lei. Il mormorio delle loro coscienze s’introdusse nella sua percezione delle cose, ma Ino continuava a specchiarsi nello sguardo al centro del sigillo della tecnica segreta del clan Yamanaka, nero e stanco. Leggeva quanto vi si disvelava e tutto le sembrava lontanissimo e chiaro come un mattino dal cielo terso. Lo stesso che vide nei ricordi di Kakashi.

Erano gli occhi azzurri, privi di qualunque sfumatura, di Gaara. Due globi inespressivi dentro un cranio su cui si stendeva pelle tirata, quasi appassita. Ino analizzò il suo aspetto smorto con la serenità tipica di quello stato dove la conduceva la tecnica segreta del suo clan, in cui i sentimenti e le emozioni non prevalevano su quelli del suo ospite. Era più semplice non perdere il controllo dell’arte magica, era più facile assistere al corpo inerte del Kazekage che ordinava alla tempesta di muoversi grazie al chakra da cui era ricoperto. Ma lui non era altro che un involucro di pelle che alimentava qualcun altro.

Poi un lampo violaceo attraversò i lineamenti di Gaara. Oltre al rumore assordante della tempesta avvertì un crepitio simile a un tuono, la nuova tecnica creata dall’Hokage in sostituzione del suo Taglio del Fulmine. Il fasciò di luce viola scoppiettò nelle mani del leader della Foglia di quelle memorie. Guizzò rapido verso il ragazzo immobile e Ino constatò semplicemente che sarebbe morto, priva di alcuna inflessione del suo cuore.

 

Dovette ricredersi all’apparizione di una mano da dietro la schiena di Gaara. La mano minuscola di un bambino.

“Un attacco patetico… Hokage.”

Sabbia si erse a proteggere il suo padrone dal fiasco sulle sue spalle. L’Elettricità Viola fu assimilata nel flusso bruno di sabbia.

Persino in quello stato di distacco totale da sé stessa, Ino avvertì uno strano moto di sorpresa all’altezza del petto. Confusa, si chiese se le appartenesse o fosse soltanto una reminiscenza delle emozioni provate dall’Hokage di fronte a quella scena. Avvertiva qualcosa di identico ai limitari della sua consapevolezza, quel rumorio di fondo prodotto da tutti i ninja che rivivevano, con lei, quella memoria.

Il piccolo Gaara del Deserto non si curò di ciò che aveva scatenato il suo arrivo. Incastonato in un ricordo dove niente lo poteva toccare, il bambino si mostrò baldanzoso, con il sorriso di un mostro. Le pupille erano due spilli all’interno delle cornee.

A Ino sembrò di scorgere un riflesso rubino in esse, ma era… bizzarro. Un’aura strana circondava quel passato che aveva ripreso forma nel presente: sembrava una candida aureola di rami secchi su cui poggiava della brina, ma che odorava di foglie e terra marce. Un’onda di sabbia si mosse contro la percezione passata dell’Hokage. Ino comprese che lo spettacolo si stava concludendo.

 

L’Hokage si ritirò dalla sua mente e la kunoichi serrò la propria coscienza agli altri ninja. Espirò rumorosamente, incapace di pronunciare una parola. Le narici bruciavano e nella sua mente ritornavano lei e tutte le sue sfaccettature. Sperimentò la paura l’incredulità, la rabbia, l’impotenza e un’altra enorme mescolanza di emozioni tutte insieme. Crollò a terra, senza più forze per sostenere quell’improvviso ritorno alla realtà.

Un ninja della Foglia le si avvicinò per cercare di aiutarla a rialzarsi. Lo vide attraverso una patina accecante, ancora avvinta da quel viaggio breve, ma vivido. Appena chiuse le palpebre per riprendere contatto con il mondo da cui era assalita, rivide Gaara di fronte a lei. Quel corpo non era altro che un’impronta del ragazzo di cui aveva intravisto qualche attimo in quegli anni di pace. Le ricordò enormemente quel ragazzino di cui aveva avuto paura durante l’esame di selezione dei chūnin, quando era troppo piccola per contenere null’altro che fosse il suo mondo interiore. Il cuore le si strinse in una morsa, ma essa fu soverchiata da un panico opprimente.

 

Quando riaprì gli occhi, vide Kankurō che scattava verso l’Hokage, con Sasori al fianco. Sbiancò. Istintivamente, mosse le dita per catturare Kankurō all’interno della sua tecnica, sfondando le barriere mentali compromesse dall’ira dell’uomo.

Percepì ancora di sbieco le urla sorprese dei ninja attorno a lei, il movimento rapido dei membri della Foglia che correvano a proteggere l’Hokage. Lei e Kankurō erano in mezzo a quella commozione, ma la loro battaglia si trovava da tutt’altra parte.

Ino s’era intrufolata nella mente di Kankurō. Tentò di arginarlo più che poté. Frenò il suo attacco e impose la propria volontà sopra la furia del ninja. Ma era stanca, sfibrata dal viaggio mentale appena concluso, in cui aveva portato con sé tutti loro.

Kankurō straripò oltre il limitare che aveva eretto per controllarlo. Ino annaspò e quasi non rammentò più chi fosse: era sommersa in un abisso infinito dove esisteva solo Kankurō e ciò che viveva in lui, talmente oscuro da farle perdere ogni punto di riferimento.

Così… morirò!

 

L’istinto la costrinse a tornare nel suo corpo per riemergere in sé stessa. Inspirò a pieni polmoni un sorso d’aria e il ninja che le era rimasto al fianco trasalì. Di nuovo, la kunoichi dovette riacquistare il controllo del suo corpo: l’aria sopra la pelle. Il sapore granuloso della sabbia fra i denti. Il suono ovattato della tempesta.

L’odore pungente di quella strega di cui avevano scoperto l’esistenza. La vista di Kankurō trattenuto dai ninja della Foglia, a pochi centimetri di distanza dall’Hokage.

A qualcosa sono servita…

Ironizzò, ma uno strato di lacrime le solcava le guance. Un rio di sangue scivolava dal naso sul labbro superiore. Sapeva di ferro e sale, di anni interi che le erano stati rovesciati addosso con un ecosistema di pensieri e sentimenti fittissimo. Ino non osava immaginare cosa stesse attraversando Temari.

 

Senza che lei lo vedesse, Shikamaru scrutò per un po’ la sua compagna di team. Fissò poi il leader della Foglia che puntava gli occhi su Kankurō, privo di pentimento. Era un’arma tesa e pronta a colpire, avrebbe potuto dire affilata. La sua Temari si ostinava a osservare il terreno, quasi fosse un’estranea.

A che gioco stai giocando, capo? Pensò Shikamaru scrollando la cenere da una sigaretta ormai consumata del tutto.

 

“Bastardo… Hai cercato di ucciderlo!” Kankurō sibilò e la sua voce era uno spillo che ebbe il potere di ferirli tutti. Persino i ninja che lo trattenevano sembrò allentassero la presa su di lui e Sasori. Non c’era granché che potesse celare l’evidenza.

Tuttavia, il bersaglio di quelle parole non mostrò d’esserne rimasto colpito. “Sapevo che non l’avrei preso: ho abbastanza stima del Kazekage da sapere che non si sarebbe lasciato sorprendere da un colpo tanto prevedibile… ma non posso escludere che, di qui a poco, sia necessario che la mia Elettricità Viola vada a segno.”

Le parole dell’Hokage avevano inizialmente placato Kankurō, però quanto disse dopo una breve pausa lo riportarono a una rinnovata aggressività. I ninja della Foglia furono costretti a stringere la presa su di lui, in particolare sulla gola e sugli avambracci, in modo che non gli fosse possibile manovrare la sua marionetta, scatenando le proteste dei ninja della Sabbia. Si precipitarono attorno al cerchio formato da Kankurō e i ninja della Foglia. Era come se fossero rinvenuti da un sogno a occhi aperti.

 

“Hokage… ordini ai suoi uomini di darsi una calmata o dovrete vedervela con noi! È con uno dei villaggi più potenti del continente che state trattando!” Baki intervenne, nonostante avesse rivelato qualcosa di profondamente spiacevole nel modo in cui aveva articolato la propria minaccia.

Ino si rialzò in piedi, tremante. Il ninja la sostenne fino a quando non fu in grado di restare in quella posizione da sola. I suoi occhi azzurri erano fermi su Temari con ancora in mano il pezzo di carta, stretto nel pugno sporco di terra. Il cactus era appoggiato su una roccia vicino a lei. L’aveva estratto lasciando le radici completamente intatte.

“Per quel che mi riguarda, c’è una sola decisione possibile in questa situazione, Consigliere: il Kazekage ha scatenato un pandemonio fuori di qui, io e i miei ninja abbiamo dovuto dare fondo a tutte le nostre energie per raggiungervi…”

“E questo sarebbe un valido motivo per ammazzarlo?!” La voce di Kankurō era spezzata dalla stretta al collo, anche se Ino si accorse di un minuscolo cambiamento nella sua postura: le dita di una mano si erano ritorte in un modo strano. Sembrava che stessero manipolando qualcosa…

L’Hokage continuò a fissare Kankurō senza il minimo mutamento nell’atteggiamento indifferente. “Non eravamo molto lontani dal confine col Fuoco quando siamo stati sorpresi dalla tempesta. Fra un paio d’ore sono certo che l’oltrepasserà. Sakura e gli altri non sono preparati a questa possibilità.”

 

“Sakura?!” la sorpresa brecciò l’ira del fratello del Kazekage. I suoi occhi s’allargarono. Le dita smisero, per una manciata di secondi, di muoversi. Ino capì al volo.

No, Kankurō…

Tentò di parlare, ma la gola le bruciava enormemente. Era come se una sorta di collegamento empatico la vincolasse ancora al ninja della Sabbia, perché si afferrò il collo tossendo in preda alla mancanza di fiato. Qualcuno si voltò verso di lei, il ninja al suo fianco le diede qualche pacca sulla palla domandandole come si sentisse. Tuttavia, Ino sapeva distinguere con precisione lo sguardo di Shikamaru su di lei da tutti gli altri.

Ti prego… fai qualcosa!

Lo implorò mentalmente, sperando che l’amico avesse capito cosa stesse per fare Kankurō. Invece, udì che la discussione stava continuando come se nulla fosse.

“Sì, Kankurō… non siete l’unico villaggio che protegge i confini della propria nazione” replicò l’Hokage con freddezza, lanciando un’occhiata di sbieco a Temari. Era immobile, ancora seduta sulla roccia con a fianco il cactus. Le mani stringevano la pergamena e gli occhi erano serrati su una miriade di possibilità. Pareva quasi che il leader della Foglia fosse deluso da qualcosa.

 

“È comunque una soluzione estrema quella che propone, Hokage! Possiamo pensare a un altro piano per liberare il Kazekage dal controllo di questa… strega” blaterò Baki facendo un cenno ai ninja della Sabbia perché mantenessero alte le armi. I suoi sottoposti non emisero un suono mentre svolgevano l’ordine. La loro aura minacciosa lambiva i confini della percezione degli alleati della Foglia. La tensione cresceva e picchiava le loro speranze più ottimistiche.

“Con una tempesta che minaccia di distruggere la barriera che abbiamo creato, da un momento all’altro? Non ho intenzione di far scontare a degli innocenti la nostra mancanza di prontezza.”

“Allora hai già deciso che deve pagare Gaara per tutti?!” era la prima volta che il fratello chiamava per nome il leader della Sabbia. Ino rabbrividì sentendo nuove lacrime emergere ai lati del suo sguardo. Le scacciò via notando quanto quel grido di Kankurō avesse turbato sua sorella: era china su sé stessa, le spalle avevano ceduto e fremevano, quasi fossero percosse. La mano della donna s’accostò al ventaglio di fianco a lei, dalla parte opposta del cactus.

 

L’Hokage non si rendeva conto di nulla, o probabilmente non voleva farlo. In ogni caso, aveva già deciso che le loro reazioni non gli sarebbero importate.

“Credo che tuo fratello abbia già fatto abbastanza per meritarselo, non pensi?” quelle parole colpirono peggio di un’arma. Le disse con calma, con una lentezza calcolata.

Li sconvolse tutti. Kankurō si era immobilizzato, pietrificato. Persino Baki trasalì come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso.

Gli unici che non vennero intaccati furono Shikamaru, Temari e Ino. Uno fissava il suo leader come se avesse messo a fuoco la soluzione di un enigma. L’altra aveva riaperto gli occhi, pur non distogliendoli da terra. La sua mano aveva agguantato le pieghe acuminate del ventaglio, tralasciando la ferita che si era causata alle dita per averlo stretto troppo.

L’ultima rimuginava e rimuginava, mordendosi le labbra: era di nuovo nell’universo di Kakashi e in quello di Kankurō. Era di nuovo sé stessa e rielaborava ogni cosa aveva osservato in loro, frenetica e col cuore impazzito. Riusciva solo a pensare a Gaara e ai suoi occhi vacui.

Si era completamente dimenticata degli indizi che Kankurō aveva lasciato intravedere.

 

Per questo, sobbalzò quando dalla schiena di Sasori affiorarono le lame. Kankurō aveva trovato il modo di comandare la marionetta pur senza liberarsi! I ninja attorno a essa furono colti alla sprovvista. Alcuni erano riusciti a sfuggire in tempo, privi di ferite.

Altri avevano subito il taglio delle lame. Urlarono: il sangue schizzò dalle loro braccia e dal busto, dove i vestiti erano stati strappati. Quelli che trattenevano Kankurō rimasero storditi.

Bastò perché il ninja della Sabbia ottenesse quanto desiderava. La presa sui suoi avambracci perse forza, abbastanza da permettergli di usare meglio i fili di chakra. Un fiotto di fiamme partì dalla schiena di Sasori, inducendo chi stava vicino alla marionetta a scappare via, tranne Kankurō. Se ne resero conto troppo tardi.

Le fiamme scaldarono l’ambiente sfiorando i vestiti del fratello di Gaara senza intaccarli. Anche Kakashi rimaneva immobile, con le braccia conserte come un’aperta sfida al ragazzo. Lui non si fece attendere.

Scattò verso il Sesto Hokage con il pugno pronto a colpirlo. Sasori si era accostato al suo fianco, con le lame puntate sull’obiettivo.

 

“No!” Ino raspò, senza forze per contrastare di nuovo l’offensiva di Kankurō. Gli altri ninja erano storditi quanto lei. Shikamaru restava immobile. Il suo intuito aveva già individuato cosa sarebbe accaduto, senza bisogno di assistervi.

 

Quando Temari balzò contro Kankurō, fu l’unico a non restarne sorpreso. La kunoichi della sabbia s’avventò col ventaglio contro il fratello. Lui ricevette il colpo prima di capire da chi fosse partito. L’impugnatura del ventaglio lo colpì alla spalla, la parte alta fra le mani di Temari. Fu sbalzato indietro dall’urto.

Gridò di dolore mentre cadeva a terra. Strisciò il braccio e la gamba scorticandoseli a dovere. Ino lo percepì sulla sua pelle: il collegamento empatico stentava a sparire. Agguantò il braccio saldamente, serrando i denti per via di quell’improvvisa fitta di dolore.

Temari fissò la nuvola di polvere che si era alzata dall’atterraggio del fratello. Lo scrutò con lo sguardo duro mentre si rialzava e la osservava sconvolto, quasi la donna che conosceva fosse controllata da qualcun altro. Lei non si mosse. Fra le sue dita scorrevano fiotti di sangue come fili di ragnatela.

 

“Non osare mai più mancare di rispetto ai nostri alleati in questo modo” Kankurō non fu l’unico a rimanere spiazzato: i suoi colleghi della Sabbia erano sbalorditi che la sorella del Kazekage avesse rivolto quelle parole proprio al fratello. I ninja della Foglia, però, erano ancora tesi, preoccupati che la donna stesse preparando loro una trappola. Il loro leader pareva di un’opinione totalmente diversa: i suoi muscoli si erano rilassati.

“Temari… quel pallone gonfiato…” “Non importa quello che ha fatto o detto: noi della Sabbia siamo dei ninja” Temari intervenne prima che il fratello concludesse la sua invettiva. Parlò con una voce glaciale, completamente distaccata dall’immagine di quella donna che aveva raccontato una colpa di gioventù con il cuore in mille pezzi. Lo ferì peggio di quel colpo che gli aveva inflitto.

Ino trattenne il respiro. Si avvicinò al compagno di team a passi lenti, le gambe stavano smettendo in quel momento di tremarle. Lui la vide arrivare e le passò un braccio attorno alla schiena. “Tutto a posto?” le chiese continuando a fissare la scena di fronte a sé, dove Kankurō si era rialzato da terra e si risistemava, abbandonando Sasori a fianco di una roccia. Sul profilo delle labbra s’appoggiava già una nuova sigaretta. Questo convinse Ino che la tensione stava scemando. Ne fu rincuorata.

“Sì, sono solo preoccupata per te: quella ti rimette a posto nel giro di mezzora…” blaterò abbozzando una risata priva di gioia. Sentiva il cuore pesante, anche se non c’entrava niente, anche se non era lei quella kunoichi della Sabbia che indossava la maschera del ninja e puntava l’Hokage con quegli occhi inespressivi. Deglutì a vuoto.

Shikamaru scrollò le spalle. “Forse non ce ne sarà bisogno” le rispose ed era talmente vago da preoccuparla e incuriosirla. Stava per domandargli cosa gli passasse per la testa, quando la voce di Temari la catturò.

 

“A nome del Kazekage chiedo scusa per quanto è accaduto. Errori simili non si ripeteranno né da parte nostra, né da parte dei nostri ninja. Il Villaggio della Sabbia rispetta l’alleanza con il vostro villaggio” Sentenziò con intensità la kunoichi, la voce alta e chiara in modo che la sentissero tutti quanti. I ninja della foglia erano guardinghi: i loro sguardi viaggiavano da lei al Sesto Hokage.

Poi, si rilassarono quando videro il loro leader scrollare le spalle. “Scuse accettate” mormorò stiracchiando i muscoli intorpiditi. Questo convinse definitivamente i suoi sottoposti: deposero le armi nelle fodere, limitandosi a fissarli. Kankurō si era seduto, in disparte: si stava togliendo con un panno i rimasugli di pittura dal volto.

Temari inspirò a fondo. “Hokage, ha ragione a temere per l’incolumità del nostro villaggio, è la priorità anche per tutti noi… Per questo non vogliamo altro che il nostro Kazekage torni a guidarci.”

Sì, coraggio Temari!

Ino la incitò mentalmente, staccandosi da Shikamaru. Non riusciva ancora a comprendere perché l’Hokage avesse scelto di atteggiarsi con così tanta durezza nei confronti dei due fratelli di Gaara. Il fatto che la donna stesse riprendendo il comando della situazione la riempiva di speranza.

 

 

“E come pensavate di riprendervi il Kazekage? L’ultima volta che l’ho visto non mi sembrava nel pieno delle sue facoltà. Senza contare che quello che ho detto al tuo maestro e a tuo fratello resta invariato” ribatté l’Hokage.

Oh no…

Ino comprendeva il punto di vista dell’Hokage, però era disperata all’idea che potesse essere l’unico praticabile. Si arrovellava, setacciando ogni anfratto della sua mente alla ricerca di una soluzione praticabile. Pensò e pensò, fino al momento in cui incrociò gli occhi di Temari, che si erano fermati su di lei da chissà quanto tempo.     

Una scarica d’energia la travolse. Le illuminò il viso, schiarendo il buio della sua angoscia.

Anche gli altri afferrarono al volo il significato dell’occhiata. Fu come se fossero tornati a respirare. Sussultarono in un unico istante simile allo sfarfallio di un barlume di speranza. Shikamaru risvegliò la compagna di team con una fugace stretta, convincendola di aver intuito bene ciò che Temari le aveva suggerito.

Eppure, il suo capo villaggio non volle unirsi a loro.

 

“Assolutamente no” sentenziò l’uomo, secco come la sabbia a cui cominciava ad assomigliare.

“La prego Hokage!” esclamò Ino sfuggendo al sostegno di Shikamaru, dimentica della fatica e dei granelli di sabbia in gola, parlando con la sua solita voce squillante. Spezzava quel gioco delle parti dove l’indifferenza regnava incontrastata.

Sono l’unica che può farlo…

“La tecnica del mio clan è l’unica cosa che possa lontanamente funzionare!” aggiunse giungendo di fronte al suo superiore a passi affrettati. Brillava della luce nel suo sguardo azzurro, a contrastare il buio insito in quello di Hatake Kakashi.

 

“Forse non hai capito quello che ci ha detto Temari. Nocnitsa… è una strega che caccia i bambini e se ne nutre. Per poter manipolare così facilmente una persona adulta… vuol dire che il ragazzino che hai conosciuto all’esame di selezione dei chūnin non se n’è mai andato” Kakashi spiegava con la stessa tracotanza con cui l’aveva visto tante volte redarguire Sakura, Naruto e Sasuke. La stessa, pomposa, certezza di aver vissuto il doppio dei suoi anni e il triplo delle sue sofferenze. La stava provocando, voleva che cedesse alla rabbia proprio come Kankurō. Alla disperazione come Temari.

Ma lei non l’avrebbe fatto. Sulle sue spalle sentiva le mani callose dei due uomini da cui aveva appreso quasi la totalità delle sue conoscenze: poteva odorare il fumo di una sigaretta ancora accesa, prima che la pioggia la spegnesse per sempre, o il profumo dei fiori. Erano con lei, lo sarebbero stati per tutta la vita.

 

“Hokage, l’ho ascoltata molto bene. Ho anche capito che qualcun altro ha ultimato il rituale al posto di Temari. Potrebbe averlo modificato per fare in modo che avesse presa sul Kazekage” ribatté Ino sull’attenti. “Anche se fosse… resta il fatto che ci vorrebbe troppo tempo e non ne abbiamo” replicò l’uomo incrociando le braccia. Aveva perso parte della sua strafottenza.

“Chiedo scusa Hokage, ma nella testa è tutto relativo!” celiò Ino battendo il pugno contro la tempia. “Un’ora di tempo passa molto lentamente qui dentro. Scommetto che avrei tutto il tempo necessario…”

 

“Per fare cosa, Yamanaka?” la interruppe il suo leader. Ora, era quasi cattivo, con del fuoco ardente in quello sguardo di pece. “Per farlo rinsavire! Che sia una tecnica o una sottospecie di altra… arte magica, se fossi nella sua testa potrei scoprirlo da come la circolazione del chakra si comporta. Ci aiuterebbe a capire chi ha messo il suo sangue sulla pergamena” Ino continuava, le parole veloci quanto il cuore che batteva all’impazzata, la mente che rispondeva all’urgenza della sua volontà in un baleno.

Persino gli altri ninja assistevano meravigliati: rimiravano la futura leader del clan Yamanaka come se la vedessero per la prima volta, ma nessuno di loro poteva conoscerla bene come Shikamaru, o Chōji. Quando si metteva qualcosa in testa, c’era ben poco che potesse contrastarla.

Hai puntato sulla persona giusta…

Shikamaru guardava Temari e sospirava, spegnendo l’ennesima sigaretta fra le dita. Lei ignorava lui e tutto il resto, fissa soltanto sulla ragazza che si era fatta carico della sua richiesta silenziosa così spontaneamente da indurla alla speranza.

Voi donne… siete davvero troppo problematiche.

 

“Hokage, con tutto il dovuto rispetto, non è forse quello che lei ha fatto tanti anni fa con Naruto e Sakura? Cosa sarebbe cambiato da allora?” “Era diverso… stavamo solo eseguendo degli ordini” sibilò Hatake Kakashi.

“Allora, la prego, mi dia quell’ordine!” sbottò Ino. Non aveva ceduto nemmeno per un istante: era ancora là, con il corpo teso e l’espressione battagliera. L’Hokage sbuffò battendo il piede a terra ritmicamente: a differenza della ragazza, aveva perso gran parte della sua tenacia.

Ino… Sei una kunoichi troppo preziosa per la Foglia… non posso permetterti questo rischio” disse infine.

Hokage… Credo che l’alleanza fra il Villaggio della Foglia e della Sabbia sia molto più importante della vita di un singolo ninja” quando Ino proferì quell’affermazione, le parve che fosse fuoriuscita da sola, grazie a un impeto di cui non era padrona. Era un verdetto a cui non poteva sottrarsi. Iniziava a farsi sentire in ogni fibra del suo essere. Ebbe un fremito impercettibile lungo le ossa, però lo scacciò, lo contenne, esattamente come doveva fare: era un ninja e nulla più.

Qualcosa, in quella risposta istintiva, scosse profondamente il capo villaggio. Era nuovamente in tensione e la sua subordinata ebbe improvvisamente paura che l’avrebbe colpita. Serrò gli occhi, contraendosi in preparazione di un urto che non avvenne.

 

La sensazione di un paio di mani sulle spalle divenne reale. Erano quelle di Kakashi. Ino riaprì gli occhi, colta alla sprovvista: vide una luce in fondo all’oscurità del suo sguardo.

“Molto bene Ino… molto bene” c’era una sfumatura nella voce del suo superiore che le rinvigorì lo spirito. Sorrise, finalmente libera da qualunque forma di preoccupazione, fagocitata da una scarica d’adrenalina.

“Agli ordini, Hokage!” squillò come una tromba, risvegliando tutti e le loro speranze.

 

La tensione, l’aria battagliera, svanì in un baleno. I ninja della Foglia e della Sabbia tornarono ad avvicinarsi, a prestarsi aiuto reciproco, a preparare l’equipaggiamento per avventurarsi nella tempesta di sabbia. Ino fu presa da parte da Temari e Kankurō, i quali volevano aiutarla poco prima che affrontasse quella missione in cui lei si era gettata a capofitto. Era un enorme sospiro di sollievo, lo scemare di una situazione che nessuno voleva si esacerbasse.

L’Hokage rimirava tutti e se ne stava in disparte dopo aver parlato con Temari e Baki, seduto allo stesso posto che la kunoichi della Sabbia aveva occupato durante il racconto. Il cactus non c’era più, rimesso nel vaso fra le mani della donna.

In sua vece, lo raggiunse l’altrettanta acuminata presenza di Shikamaru. L’uomo dietro le vesti del capo villaggio sbuffò tracciando una linea di sabbia col piede.

Amico mio. Non potevi tirare su allievi meno fastidiosi?

Eppure, il Sesto Hokage era quasi euforico. Un sorriso era celato dietro la maschera da cui era ricoperto fino al naso. Si chiese cosa sarebbe successo se non avesse lasciato Chōji al confine del Paese del Fuoco con Sakura, ma non poteva fantasticare più di tanto: quel moccioso dall’aria perennemente stanca pretendeva d’essere preso in considerazione.

 

“Gli ho concesso un’ora e non di più” sussurrò alzando gli occhi sul cielo bruno di sabbia: oltre quella copertura uniforme faceva capolino la schiaritura di una luce mattutina.

“Lo sospettavo: i tempi sono piuttosto stretti” rispose Shikamaru. “Non vuoi andare ad aiutarli? Avrebbero bisogno del tuo acume. Da soli fanno troppo leva sulla forza bruta” il ragazzo abbozzò un sorriso alla domanda del suo leader. Non c’erano più sigarette a pendergli dalle labbra.

“Stavo pensando che mi sarebbe piaciuto chiarire qualche dubbio, prima di andare” raccolse un po’ di sabbia da terra e la rinchiuse nel pugno. Era talmente stretta che svicolò dalla presa attraverso lo spiraglio del mignolo, cadendo e spargendosi nell’aria quale pulviscolo.

A Kakashi ricordò la figura di Gaara durante un incontro diplomatico di qualche mese prima: la sua aria malinconica, quella sabbia che scivolava dal pugno bianco come un cencio. Stavano festeggiando, eppure lui era in disparte e taciturno. I suoi fratelli gli erano alle calcagna, ma erano incapaci d’invadere il limitare di quel suo spazio vuoto. Sospirò, chiudendo gli occhi.

Sentì Shikamaru che argomentava la sua posizione.

 

“Non riesco a capire perché abbia usato l’Elettricità Viola se sapeva che non avrebbe colpito il Kazekage. In una situazione del genere, sprecare così il proprio chakra non mi sembra un gran idea.”

“Buona osservazione” replicò il Sesto Hokage portando le braccia al petto. Shikamaru continuò: “L’unica cosa che mi sembra vagamente possibile è che tu, Kakashi, sapevi che c’era qualcosa di strano. Avevi intuito che il Kazekage era controllato, forse già anche da cosa… Volevi una prova e te la sei presa con la forza.”

“E questo cosa ti fa pensare?” domandò Kakashi rifilandogli un’occhiata eloquente. Shikamaru si chinò in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Le gambe si muovevano ritmiche, avvinte dalla rapidità dei suoi pensieri.

“Mi fa pensare che hai umiliato il Villaggio della Sabbia, colpito Kankurō… ferito Temari perché avevi un motivo” il ragazzo si voltò verso di lui. Un reticolo rosso gli venava le cornee di stanchezza e di qualcos’altro di facilmente identificabile.

“Non sarebbe ora che mi dicessi cosa ti passa per la testa, capo?” Kakashi sbuffò.

 

“Perché ti interessa?” gli chiese aspettandosi una risposta diversa da quella che il ninja gli rifilò in un baleno. “Se un giorno dovrò essere a fianco di Naruto… voglio prepararmi subito a queste seccature” il Sesto Hokage si rilassò, ma Shikamaru non aveva ancora finito di parlare.

“E perché sono a tanto così dal cacciarti un pugno per come hai trattato la mia donna” lo fissò con il fuoco negli occhi. Un pozzo nero e bruciante. Mio Dio, Asuma… è la tua copia!

A Kakashi veniva da ridere, anche se quel ragazzino era tutt’altro che amichevole: gli rammentò il suo maestro e quella frase che gli aveva detto tanti anni prima, in un momento simile, eppure diverso. Sospirò, vinto da quei giovani che si ostinavano a soverchiarlo con la loro strafottenza.

“D’accordo Shikamaru. Te lo dirò.”

 

Continua nel Capitolo IV: Ciò che si nasconde nell’ombra

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Capitolo 4
*** Capitolo IV: Ciò che si nasconde nell'ombra ***


 Capitolo IV: Ciò che si nasconde nell’ombra

 

Sabbia e vento li accolsero fuori dal rifugio che avevano così faticosamente protetto. L’Hokage guidava la spedizione al fianco dei fratelli del Kazekage, mentre Ino restava indietro con un folto gruppo d’altri ninja. Baki e Shikamaru erano nel villaggio, per controllare che la barriera resistesse e per ricevere le informazioni che loro gli avrebbero mandato.

 

“Lo sai, Ino… Il mio aiuto è indispensabile qui. Dobbiamo trovare assolutamente chi ha combinato questo disastro” Shikamaru aveva raggiunto la compagna di team poco dopo essersi separato da Kakashi. Era il solito ragazzo placido, persino nelle situazioni più stressanti, ma l’amica aveva riconosciuto subito lo spettro di una qualche preoccupazione. Aveva tentato di togliere il velo dell’apparenza, però invano. Il ragazzo l’aveva tacciata con una delle sue laconiche risposte: “Pensa a fare bene il tuo lavoro, okay? Noi e Temari ci occuperemo resto.”

Investita da quel senso di responsabilità, la kunoichi aveva passato gran parte del tempo atto ai preparativi per meditare, nutrendo l’energia spirituale e rafforzando il controllo sul chakra, mediante cui avrebbe provato a sbrogliare il conglomerato di pensieri e sfaccettature di Gaara. Temari l’aveva sostenuta, offrendole scorci di un passato a lei estraneo.

 

“Suo zio, Yashamaru… è stato l’unico che gli sia rimasto accanto quando c’era Shukaku… Fu la sua morte a trasformarlo in quel ragazzino che hai visto durante l’esame di selezione dei chūnin.”

Ino aveva accettato quelle informazioni così come Temari le aveva consegnato il vaso con il gymnocalycium: era un cactus piccolo, eppure ben curato, con un fusto verde brillante, spine tenaci e un fiore grande che spuntava dalla sporgenza sulla sommità del tronco. Era bello, emanava un vago odore vegetale e quasi di… salsedine. Le dispiacque che, nel negozio di famiglia, ne avessero tenuti pochi esemplari ed esclusivamente su ordinazione.

Le mani sue e della sorella di Gaara si erano congiunte sopra le spine, creando calore dalla presa e dolore dalla pressione contro le spine del cactus. Addirittura del sangue era fluito sopra di esse dalla parte di Temari, tanto aveva premuto le dita sulla pianta.

“Ti prego, Ino… se dovessi essere in difficoltà… pensa a me” aveva proferito la donna con lo sguardo lucido oltre la maschera da kunoichi. Nei suoi occhi acquamarina, alla ragazza era parso di scorgere quasi un faro all’orizzonte. Aveva capito, mentre il sangue di Temari le aveva tinto le dita. Insieme, s’era insinuata nel suo animo una lieve presenza spirituale. Una parte della sua essenza, a cui quella sorella aveva rinunciato per amore del fratello.

“Temari… non vi deluderò!” la sua voce si era alimentata di quel sacrificio e l’aveva immagazzinato per quando avrebbe tuonato nella coscienza del Kazekage per risvegliarlo. Temari le aveva sorriso, l’ultima volta dove si erano approcciate come amiche.

 

Poi, la donna che conosceva era stata assorbita dalla figura intransigente di chi facesse le veci del leader del Villaggio della Sabbia.  

Era al fianco dell’Hokage e, ogni volta che la bolla di chakra cedeva a una sferzata di vento, lei rispediva indietro l’assalto con un colpo di ventaglio, mentre i ninja preposti ripristinavano la protezione. Viaggiavano ormai da un po’, avvinghiati dal buio della sabbia e della notte, da cui filtrava a malapena la luminosità dell’alba prossima e su cui si riverberava la luce azzurrognola del chakra. Ino si strinse nelle spalle, un brivido freddo del deserto era penetrato dall’ultimo attacco della tempesta.

 

Fu allora che Kankurō si unì a lei. “Come stai?” le domandò rallentando il passo. I ninja della Foglia si spostarono in fretta, senza toccarlo, nonostante lo spazio fosse ristretto. Due di loro avevano scampato le fiamme di Sasori per un soffio. Ino se ne dispiacque, nonostante li comprendesse.

Bene… Mi sono ripresa!” sorrise con la voce bassa quanto il ninja della Sabbia, eppure con la sua solita tonalità vivace. Si erano accostati l’uno all’altro. “Sei sicura? Prima ti ho mandato via con una certa… foga” replicò l’uomo grattandosi il viso. Ora che aveva strisciato via la pittura dalla faccia si distinguevano chiaramente le emozioni del ragazzo dietro al ninja. Era uno spettacolo quasi tenero.

“No, davvero… stai tranquillo” era così preoccupata che aggiunse: “E… l’Hokage ti ha raccontato una mezza verità: Sakura è rimasta al confine, ma dubito che la tempesta possa arrivare fin dove si sono accampati… a meno che non passi un intero ettaro di foresta!” celiò dandogli una gomitata complice, offrendogli il sorriso più allegro che potesse in una situazione tesa come quella.

 

“Uh, lo sospettavo… quel vecchio bastardo mi ha preso in giro dal primo momento” mormorò lui in risposta e c’era talmente tanta stanchezza nella sua voce, talmente tanta rabbia e frustrazione, da non poter derivare da quella banale rivelazione. Alla kunoichi si rafforzò il nodo alla gola. D’impulso, s’affrettò a ribattere affidandosi all’istinto da cui era stata guidata sin da bambina. Lo stesso attraverso il quale aveva lenito, un tempo, le ferite della migliore amica.

L’ho visto, Kankurō… Io, Shikamaru e Chōji avevamo i brividi quando sentivamo il suo sguardo su di noi… Non devi sentirti in colpa” sussurrò appoggiando una mano sul suo braccio. Sopra c’era la fasciatura che gli aveva fatto per la scorticatura, ma lei sentiva lo stesso il calore della pelle.

 

Il ninja della Sabbia mise una mano sopra la sua. Era grande, callosa come quelle di tanti altri shinobi, calda come lo sguardo con cui si rivolse ai suoi occhi. Le apparve estremamente giovane, con le iridi larghe e brune, Un marionettista che si scagliava a capofitto in uno scontro, eppure anche un ragazzo qualunque. Sorrideva. Il cuore della ragazza si scaldò.

 

Fu un momento più breve di quanto desiderasse. Quasi si fosse reso conto di aver svelato qualcosa di intimo, Kankurō passò la mano sulle bende, fissando il braccio con la classica indifferenza di facciata. “Sakura le fa meglio” Ino roteò gli occhi al cielo di sabbia. Era improvvisamente scontenta che il ragazzo fosse ritornato l’identico, fastidioso, idiota. Eppure sorrise. “Lo immaginavo… glielo dirò, la prossima volta che la vedo.”

“Se mi facessi il favore di dirle di mollare quello psicopatico di Sasuke… te ne sarei grato” Ino sbuffò. “Perché non glielo dici tu? Sono sicura che muore dalla voglia di sentirsi ripetere la stessa cosa da chiunque!” brontolò. L’aria di normalità, tuttavia, le stava placando i nervi. Tentò di rammentare l’ultima posizione di Gaara sulla mappa che avevano usato per programmare la spedizione, immaginando come lo avrebbero trovato una volta squarciato il velo della tempesta…

 

“Sai… certe volte è davvero complicato vedere qualcuno a cui vuoi bene soffrire inutilmente… Penso che tu possa capirmi” un fremito le scosse l’interno dello stomaco. Oh, certo che poteva comprenderlo!

I suoi pensieri volarono a un Anbu della Foglia per cui aveva nutrito tanto dolore. Fantasticò su quel suo sorriso di cortesia, il quale non era altro che il fantasma di una gioia a cui lui non aspirava più... Ripensò a quanto si era adoperata per tentare di farlo uscire da quello stato d’apatia in cui si era, volontariamente, confinato e a quante delusioni aveva raccolto dai suoi tentativi infruttuosi.

“Sì… lo capisco. Penso che tu sia più coraggioso di me!” esclamò percependo la freddezza dei suoi pensieri. “Non era una cosa scontata?” domandò di rimando l’uomo. Stava per rispondergli più piccata di quanto volesse, quando si fermarono d’improvviso.

 

Kakashi e Temari avevano smesso di avanzare.

Lo sento” sibilò la donna col sudore che le imperlava la fronte. Estrasse il ventaglio dalla fodera sulla schiena. Un crepitio s’infilò nelle loro orecchie. Dalla mano del Sesto Hokage proveniva una luce inconfondibile. “Bene… Scopriamolo!” il leader della Foglia scattò in avanti. Lo seguirono.

La bolla di chakra li riparava, evitando che la tempesta penetrasse nei loro polmoni. A un certo punto, la parte frontale si aprì, permettendo a Kakashi di balzare contro un angolo delle correnti di vento e sabbia dall’apparenza spessa, quasi palpabile. L’attacco del capo villaggio, basato sulla natura del fulmine, penetrò la superficie distruggendola come se fosse una parete di pietra, palesando ciò che si celava dietro di essa. Ino deglutì a vuoto. Si avvicinò alla breccia. Avvertì il braccio di Kankurō al fianco del suo.

 

“Ecco a voi il vostro Kazekage” il sibilo di Kakashi la trapassò mentre anche tutti gli altri ninja li raggiungevano. La giovane si chiese cosa passasse per la loro testa, desiderando di essere all’infuori di quella morsa da cui il suo petto era ghermito.

Là c’era il Quinto Kazekage del Villaggio della Sabbia. , c’era l’ombra di quel ragazzo, in una forma peggiore di quanto i ricordi di Kakashi avessero mostrato in precedenza. La pelle di quel giovane leader era crepata come un terreno arido. Gli occhi erano divenuti bianchi e, da quelle occhiaie nerissime, colava un reticolo di vene rese visibili dalla pelle sottilissima. Il chakra che scorreva fra le spaccature della pelle e da cui era prosciugato lentamente continuava a espandersi, mentre lo squarcio si richiudeva su quella dura realtà sopra cui i loro animi si erano sfracellati.

La voce dell’Hokage fu un pessimo risveglio. “Be’… credo che un’ora sia tutto ciò che ci rimane” sospirò con il medesimo atteggiamento privo d’emozioni che aveva tenuto dall’inizio di quella storia. La sua conferma della gravità della situazione acuì l’urgenza dei loro movimenti.

 

I ninja dei due villaggi trafficavano da ogni parte, predisponendo i rinforzi per la bolla di chakra e i cambi che avrebbero effettuato per mantenerla fino all’alba. Per quanto fossero indaffarati e parlassero concitati, Ino li udiva a stento. Il ripasso di Temari tagliava di netto ogni interferenza.

“Appena sarai pronta, l’Hokage colpirà di nuovo il muro di sabbia, per permetterti di usare la tua tecnica sul Kazekage… Una volta che sarai dentro la sua mente, Nocnitsa si accorgerà di te e cercherà di scacciarti via. Ma tu dovrai contrattaccare e prendere quante più informazioni puoi sul suo conto e su chi l’ha evocata.”

“Quello che riuscirai a trovare dovrai comunicarmelo subito. Io e i kamatari torneremo al villaggio, per cercare insieme agli altri il nostro sospettato. Tu dovrai soltanto trovare il modo di placare il Kazekage fino a quando non l’avremo fatto.”

Ino aveva annuito a ogni passo della spiegazione, avvertendo la testa più leggera con ciascun movimento. Come se avesse intuito qualcosa, Temari le strinse le spalle, offrendole un breve attimo di conforto. “Vedrai, Ino… ce la farai” era gentile e calorosa. La ragazza non seppe contraddirla.

“Sì… riporterò indietro Gaara” per tanto tempo l’avevano chiamato solamente attraverso il suo titolo! Il suo nome indusse Temari ad abbracciarla, cogliendola di sorpresa. Ma la ricambiò: era tutto quello che poteva desiderare.

 

Se soltanto fossi capace come tutti voi…

La kunoichi della Foglia rifletté dopo essersi allontanata dalla donna, camminando verso l’Hokage. Lui le rivolgeva uno sguardo severo, penetrante, perché aveva indovinato ogni suo dubbio o remora. La sua sottoposta scrollò le spalle. Non poteva farci alcunché.

Vedeva Gaara nei suoi pensieri e questo, per il momento, le bastava.

 

Un filo d’aria fresca, dissimile dal furente turbinio della tempesta, era filtrato dalla bolla di chakra, nel punto in cui s’apriva sul muro di sabbia da cui il Kazekage era protetto. Annunciava l’ultimo saluto della notte, prima che l’alba li sottraesse ai loro incubi.

Kankurō decise di destarla prima del tempo. “Così vai… sei decisa?” le domandò roco accostandosi al suo fianco. Ino sorrise, pur mantenendo il volto davanti a sé. Aveva come il sospetto che se si fosse fermata, non sarebbe più partita.

“Non c’è molto altro che io possa fare… me la sono voluta!” rise affrettata, immersa in un sogno a occhi aperti. Non riuscì a negarsi un’occhiata sfuggente al ninja che aveva imparato a conoscere negli anni di guerra e pace: quando Temari e Shikamaru formavano una coppia affiatata durante le varie operazioni, di solito lei e Kankurō, insieme a Chōji, concludevano le missioni più chiacchierando, anziché sferrando batoste ai nemici. L’uomo sapeva come farsi detestare, eppure… ne riconosceva la bontà d’animo.

Sakura… te ne renderai conto forse troppo tardi: gli uomini che t’ignorano sono un pessimo investimento.

Rimuginava ancora su Sai, ma era lontano. La mente, con i suoi capricci e preoccupazioni, prevaleva sulla realtà che l’aspettava a casa. Non riusciva, comunque, a considerarlo un aspetto negativo.

 

Il ninja della Sabbia le agguantò una spalla. La ragazza s’irrigidì. Fu costretta a rallentare fino a fermarsi, rammentando dove fosse e cosa l’aspettasse una volta entrata nella mente di Gaara. Deglutì, percependo un nodo in gola.

Il ragazzo la fissava e sembrava uno spettro con cui avesse stretto un patto di sangue, tanto la perforava con quell’occhiata. “Ce la farai… Yamanaka Ino.

Il silenzio raccolse la sentenza del ninja, depositandola nel cuore dell’alleata. Kankurō scese con la mano sul suo braccio, donandole una carezza quasi fraterna. Aveva una voce gentile quanto la sorella.

“Io… nono sono bravo come Temari… non sono neppure intelligente come Gaara. Sono fortunato che non debba occuparmi di nulla, a parte degli ordini che ricevo… ma dei miei amici m’importa e molto” le strinse l’avambraccio suscitandole un sussulto. Ino sentiva che solo il contegno del ninja gli impediva di trasformarlo nello stesso tipo di abbraccio ricevuto poco prima dall’amica.

 “Se avessi bisogno di me… non esitare a chiamarmi” il cuore di Ino si tranquillizzò. La giovane annuì, palesando il solito sorriso audace. La paura era un vago punzecchio allo stomaco. “Prometti che mollerai un ceffone a Sai da parte mia?” Kankurō sbuffò, ma anche lui ghignava. Non era più intriso da quell’alone di serietà. “Non posso prometterti nulla… potresti non desiderarlo più” Ino non capiva per quale motivo quello stupido fosse più maturo di quanto lasciasse intendere. Tuttavia aveva ragione: una delusione poteva sparire facilmente.

 

Il successo di questa missione mi darà altro a cui pensare.

Si separò dall’amico arrivando dall’Hokage. Nella mano del leader del villaggio ardeva già una scintilla d’elettricità. Nei suoi occhi neri si riverberava la sua scossa bruciante. “Se avessi saputo che il tempo extra che avevo preventivato sarebbe stato speso in questo modo… ti avrei dato solo dieci minuti di tempo.”

Ino non fu colpita dalla provocazione del suo capo: la faccia un po’ delusa di Shikamaru, l’unica breccia mediante cui aveva ottenuto accesso alla loro discussione di prima, l’aveva convinta che il piano di Kakashi fosse molto meno roseo, o interessante, per tutti loro.

“Allora direi che sia il caso di cominciare subito, non crede Hokage?” la giovane non mosse un muscolo mentre l’uomo accusava l’indifferenza sortita dalla sua frecciatina. Soltanto la gonna di Ino si scosse all’urlo furioso della tempesta, che si lamentava della nuova ferita causata dall’Elettricità Viola di Kakashi. La kunoichi alzò le mani di fronte a sé, costruendo una cornice adatta per il volto del Kazekage.

 

Avvertiva gli occhi di Temari e Kankurō sulla sua schiena. La rinvigorirono.

“Appena cala la polvere… Vai!” Ino fece un cenno al comando dell’Hokage. La sabbia vorticava, provando a ricomporsi, ma era stata travolta via dall’impeto dell’attacco dell’uomo. Lui spingeva la mano più in profondità, nel muro di sabbia. Esso crollava inerme, attraversato dalla scossa del fulmine. Il fenomeno naturale lottava contro il vigore della natura umana.

Oltre il quadro degli elementi, Ino lo scorse. Il Kazekage era immobile, come l’avevano lasciato pochi minuti prima. Era triste e gravato dal suo stesso, immenso, chakra.

 

“Capovolgimento spirituale!” lo strillo fuoriuscì da lei con il suo spirito. Vide distantissimo il proprio corpo che piombava a terra, perché lei era già atterrata in un’altra vita: era nel corpo di Gaara, in quello spazio vuoto ove doveva abitare la sua coscienza. Tuttavia, essa restava muta e lei precipitava in un nero nulla.

Com’è possibile… Lui dovrebbe essere qui!

I pensieri di Ino l’accompagnavano a gran voce, risuonando nell’atmosfera surreale della mente. La giovane era trascinata in fondo a quel baratro, mentre sentiva la sua forma incorporea strattonata in alto, procurandole un dolore lancinante. Un rumore molto simile all’ululato del vento l’avvolgeva da ogni parte, anche se non ne sentiva la presenza.

Viaggiava informe, senza riuscire a definire il proprio aspetto, né le regole di quell’universo sconosciuto.

Se solo riuscissi a… fermarmi!

 

Mentre ragionava udendo la propria voce ovunque, frenetica e stridula, la vista le diede la possibilità di notare qualcosa in quell’oscurità. In un luogo dove non esistevano nervi da cui trarre degli impulsi cerebrali, la paura la investì tutta, attanagliandola con una sorta d’attacco di claustrofobia.

In fondo alla caduta c’era qualcuno. Non era Gaara.

Aveva l’aspetto strano di una creatura antropomorfa, eppure decisamente disumana: una sorta di folta chioma di rami cosparsi di brina, la quale era apparsa attorno al Gaara bambino delle memorie di Kakashi, avviluppava il nero da cui due lampi rossi erano circondati. Comprese che fossero due occhi, innervati di sangue.

Nocnitsa…

Il pensiero rivelatore e Ino precipitarono verso l’abisso. L’unica cosa che restava, della sua vita al di fuori della mente, era il rintocco pesante del cuore. Le rammentava quale fosse la ragione del suo viaggio… per quale motivo la paura non dovesse ottenebrarla…

Devo… allontanarmi!

 

Poi, la creatura spalancò delle fauci di cui Ino non aveva intravisto la presenza. Palesarono anche la pelle candida della strega, la quale emerse dal vuoto. Un manto di neve da cui spuntava una fila frastagliata di zanne. Qualunque sentimento stesse placando il panico della giovane, si frantumò in mille pezzi.

Più i suoi pensieri strillavano, più rapidamente scendeva verso quella bocca enorme, abbastanza per fagocitarla in un boccone. Ino faceva forza su sé stessa per ribellarsi a quel destino, usando il battito del cuore come un sostegno. Un aiuto per calmare il ritmo concitato dei suoi ragionamenti.

Devo solo prendere corpo… devo prendere il controllo di questo mondo!

 

Con tutta la forza di volontà di cui era capace, Ino fu pervasa dal dolore. Era una sofferenza dovuta allo sforzo di ricreare il suo corpo, l’unica mossa che potesse salvarla. Mentre la sensazione lancinante quasi la dissolveva, mutandola in una mente priva d’anima, dal buio balenò una luce. Ino respirò, accorgendosi d’aver dato vita ai suoi polmoni.

Anche le braccia baluginarono, plasmandosi grazie alla sua sola forza di volontà. La kunoichi deglutì, di nuovo in grado di sentire la lingua sul palato. Il suo spirito venne riaccolto completamente in quella forma familiare proprio a poca distanza da quelle fauci pronte a divorarla.

Adesso… devo solo mandarti via!

 

Non avrebbe saputo come comportarsi, se fosse stato per lei. Fu un ricordo a soccorrerla: vide il gymnocalycium di fronte a lei, con le dita di Temari incise su di esso. Pensò a quelle spine coriacee e, improvvisamente, se le sentì addosso, come un’armatura acuminata. Sbarrò gli occhi, ma il cuore le batteva placido nel petto.

Quando i denti dell’essere mitico l’azzannarono, le spine del gymnocalycium si conficcarono nel suo palato. Fu un impatto doloroso anche per Ino: sebbene quella straordinaria protezione la bardasse, attingeva comunque alla sua fonte d’energia. La stessa che la manteneva in vita.

La kunoichi emise un lamento, soffocandolo con un inspiro astioso. Tuttavia, non poteva competere con il grido di Nocnitsa.

Era assordante. Le colmò le orecchie, obbligando Ino a strillare anch’essa contro il dolore dei timpani perforati, nonostante fossero solo un’immagine del suo vero corpo. Con uno sforzo sovrumano, la ragazza provò ad agguantare la presa sulle zanne da cui era ghermita, desiderando ardentemente d’imprigionare la strega prima che potesse ucciderla.

 

La bocca gigantesca di Nocnitsa si dileguò in un istante. Ino sbatté le palpebre, schiudendo le labbra. Il grido era sparito, ma una luce brillante le inondò gli occhi, accecandola. Portò le mani davanti al viso, ansando per via della percezione stordita del proprio corpo.

Lentamente, si concentrò sugli altri sensi, in attesa che la vista si riabilitasse. Si accorse di essere in piedi e che un calore asciutto la copriva. L’aria bruciava nelle narici, per via della temperatura alta.

Questo è…

Il suo ragionamento, questa volta, restò nella sua testa. Riaprì gli occhi, dando ragione alla sua intuizione.

“Il Villaggio della Sabbia.”

 

La giovane era stupita dai dettagli di quella memoria, comprese le sensazioni che percepiva. Il sole bollente, l’atmosfera immobile e inodore. Il panorama costituito dalle pareti naturali da cui era cinto l’abitato e il cielo azzurrissimo, terso, sopra di sé. Avvertiva perfino la sabbia a contatto con i piedi, o lo scricchiolio che produceva quando calpestata.

Questo è un ricordo molto vivido… ma di chi…

Un rumore la distolse dalla sua contemplazione. Ino si girò di scatto, osservando le case del villaggio, più rade e meno imponenti di quelle del presente. Avvicinandosi agli edifici, la giovane intese che la distrazione proveniva da una porta aperta, issata all’ingresso di una casupola dalle pareti bianche, però scalfite dal tempo. Strizzò gli occhi avanzando ancora, fino a quando le sue orbite si allargarono dallo stupore. Aveva compreso a chi appartenesse quel luogo del passato.

Temari!

 

Non poteva che essere l’amica quella bambina che era sgattaiolata fuori dall’abitazione! Aveva la stessa chioma bionda e scarmigliata. Gli identici occhi dell’azzurro d’un mare agitato. Quella piccola Temari ne pareva come animata. Correva forsennata, incurante dell’afa opprimente, o dell’aria stagnante. Era una ragazzina vivace come Ino aveva fantasticato, conoscendola.

Questo deve essere… una sorta di collegamento con Nocnitsa… forse è rimasto indietro mentre lei fuggiva… ma non so se possa darmi un indizio su chi l’abbia richiamata…

Ino rimuginava imitando l’euforia dell’amica del passato, mentre quest’ultima scappava all’orizzonte. La kunoichi della Foglia cominciava a sentire una rinnovata ondata di panico, indecisa sul comportamento da adottare e sulla ragione dietro l’assenza di Gaara.

Era talmente persa in quella frenesia interiore, che per poco non trovò la chiave per schiudere le porte di quel mistero.

 

Alzò gli occhi da terra, su cui aveva disegnato vari schemi con la punta del piede. Si ritrovò di fronte ciò che aveva ignorato fino a quel momento. Allargò gli occhi. Il labbro inferiore le penzolò giù.

Temari ne aveva parlato nel suo racconto. Glielo aveva ripetuto nella loro chiacchierata a quattrocchi, prima che s’intrufolassero fra le grinfie della tempesta. Era così evidente, così stupido, che quasi si picchiò la fronte.

La kunoichi espirò rumorosamente. Rilassò le spalle, conteggiando gli echi lontani del cuore. Questi ultimi affiorarono dalle profondità del suo inconscio, risvegliando parte della coscienza corporea. Non poteva abbandonare del tutto Gaara proprio adesso!

“Temari… mi senti?”

 

La sua voce usciva dalla sua bocca, eppure aveva ripreso a rimbombarle attorno, quasi le fosse estranea. Un’improvvisa stretta alla mano, simile a una contrazione dei muscoli, le fece comprendere che la donna gliel’aveva afferrata.

“Dimmi.”

L’ordine la sospinse, rendendole più facile il compito di formulare la risposta.

“La bambinaia…”

Le mani nodose dell’anziana che Temari le aveva tratteggiato, iniziando proprio da quel particolare, baluginò sulle sue palpebre chiuse. Erano apparse oltre il profilo della porta aperta della casa, salutando la piccola Temari. L’unica che le avesse parlato di Nocnitsa… L’unica che conoscesse il patto!

Ino seppe che era stato sufficiente. La presa sulla sua mano sparì e il tono di voce di Kankurō sostituì quello della sorella maggiore, sussurrandole: “Ben fatto, amica mia… Puoi riposarti un po’, se vuoi…”

Ino fu grata per la premura del ninja della Sabbia. Avrebbe voluto accettare il consiglio, se non altro per riprendere la ricerca di Gaara con più energie, ma una sensazione gelida le sconvolse lo stomaco.

La giovane s’irrigidì, fermando pure il respiro. L’ultimo odore che percepì era di terra e foglie marce. Sollevò il capo, rivolgendo lo sguardo sulla porta aperta dove aveva intravisto le mani nodose della bambinaia.

 

Ora, Nocnitsa la fissava con il sorriso di un mostro. Era terribile, crudele. Gli occhi erano rossi, la pelle emaciata. Indossava le sfumature di un inverno privo della scintilla della vita.

Senza che Ino potesse fare alcunché per impedirlo, stregata dalla paura, le dita bianche e ossute della strega si allungarono verso di lei. Le viscere quasi la trascinarono a terra.

“No… vai via!” ululò la kunoichi tentando di allungare la distanza fra lei e la creatura grazie alla forza di volontà, attraverso cui poteva plasmare quel mondo interiore. Ma non ne aveva più il controllo.

Lo spazio da cui entrambe erano separate si restringeva. I contorni del Villaggio della Sabbia divenivano un ammasso informe con la sabbia sotto di loro. Ino fremette in tutto il corpo e, invano, tentò di liberarsi dalla morsa dell’incantesimo di Nocnitsa, dalla vista macabra delle sue dita che giungevano per artigliarle la gola. Nonostante la giovane avesse serrato le palpebre, le unghie della creatura ne avevano squarciato l’orizzonte buio.

 

“No… non posso… io devo salvare Gaara!” la risolutezza di Ino viaggiò lontana da lei, echeggiando e smarrendosi nel vacuo spazio in cui Nocnitsa aveva steso il suo dominio.  A quel punto, le incrollabili certezze della kunoichi subirono un duro colpo. Lacrime sorsero dagli angoli degli occhi, riversandosi sulle guance.

“No… non posso fallire così…” mormorò con la voce tremante. Il freddo delle dita dell’essere le toccarono la gola.

 

La terra fremette, sconvolta. Ino spalancò gli occhi, sbalordita. Scorse di sfuggita il riflesso della bocca contorta della creatura, perché era sparita.

Io non c’entro niente…

Ino deglutì, ma non fece in tempo a concludere le proprie riflessioni. Una nuova e violenta scossa la sbalzò a contatto con il terreno sabbioso. Gemette strozzata. La schiena aveva sbattuto con forza. La vista e l’udito crollarono insieme agli altri sensi.

L’ultima cosa che la ragazza vide, fu la sabbia che si sollevava da terra come una marea. Aveva la forma di due braccia aggraziate da cui era portata giù, verso le profondità dell’inconscio di Gaara.

Poi, l’erede del clan Yamanaka non vide e non udì più nulla.

 

Fuori dal corpo inerme della giovane, Kankurō aveva smesso di tenerle il polso, preoccupato dai continui sbalzi ritmici del suo cuore. Lui, l’Hokage e gli altri ninja si guardavano intorno, completamente meravigliati.

La tempesta era scemata. La furia degli elementi era sparita.

Solo una bolla di sabbia, indistruttibile come un muro di viva roccia, proteggeva il corpo svenuto del Kazekage.

 

Continua nel Capitolo V: Fede nelle persone sbagliate

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Capitolo 5
*** Capitolo V: Fede nelle persone sbagliate ***


 Capitolo V: Fede nelle persone sbagliate

 

Il cielo blu, schiarito ai limitari dell’orizzonte, fece capolino dalla cupola della tempesta di sabbia. Temari si fermò. Il ventaglio stava scendendo lentamente verso terra.

“Cosa diavolo…”

Sibilò la donna notando i fedeli kamatari che atterravano con lei. I loro musi schizzavano da una parte all’altra, odorando l’aria alla ricerca di una risposta.

La tempesta sta…” Temari allargò gli occhi, turbata, mentre le correnti di vento scemavano e mutavano in un’atmosfera immobile, con la sabbia che frullava per poi dissolversi, priva del sostegno di quella volontà da cui era stata trasportata fino a quel momento.

 

Il deserto ricomparve dal buio. Le rocce emersero dalle spire della sabbia con la loro frastagliata spina dorsale. I cactus vischio pungevano la tempesta che si stava ritirando da loro, strappando lembi di pulviscolo che precipitavano a terra. Un ritorno alla normalità per cui la kunoichi della Sabbia non credeva avrebbe provato tanto affetto.

Si guardò indietro speranzosa, il corpo e il cuore protesi verso il luogo da cui si era appena allontanata. La mente rivolta dove era diretta, guidata da quel senso del dovere di cui era diventata una volontaria sottoposta. Scosse il capo. Il silenzio che la cingeva era una tortura per i suoi dubbi. 

Anche se fosse… ho una missione da compiere!

La donna risalì sul proprio ventaglio spronando i kamatari a seguirla e loro risposero in fretta, come un’unica creatura, artefacendo raffiche di vento sopra cui tutti loro potessero essere sospinti. La giovane dalla quale erano condotti mostrava risolutezza nello sguardo assottigliato, ma nel suo petto echeggiava la preoccupazione. Udiva le parole cariche di squillante energia di un’amica a cui aveva affidato un compito forse troppo pericoloso per chiunque.

Ti prego, Ino… non arrenderti!

La sorella del Kazekage incitò ancora le creature dall’aspetto di donnole ed esse aumentarono l’intensità delle loro acrobazie, costringendo le correnti ad adeguarsi a quella rapidità. La sabbia si sollevava da terra richiamata dall’ululato del vento. Un oceano dorato, infranto da un veliero impalpabile.

Solo tu… solo tu puoi trovare la chiave per un cuore tanto triste.

Temari chiuse gli occhi percependo una goccia caderle dalle ciglia sulla guancia sporca di centinaia di granelli di sabbia, onnipresente ovunque. Poi, la sorella di Gaara vide soltanto l’ombra e il suo abbraccio nero.

 

Lo stesso che Ino avvertiva addosso. Ferma, smarrita in uno spazio dove albergavano i suoi sentimenti più profondi, le sue emozioni più forti: sentiva il freddo della paura che le accarezzava le braccia nude inducendole un brivido, la rabbia che le scaldava le viscere e da cui traeva la sensazione di essere intrappolata sotto il sole cocente del deserto, ma rinchiusa dentro una gabbia di ghiaccio.

Se solo ci fosse una… una via di mezzo.

Il suo pensiero aleggiava leggero intorno all’oscurità, anche se non si spandeva al di fuori di sé stessa. Rimaneva dentro la sua testa, da dove il dolore proveniva.

 

Poi, una sensazione di tepore le fasciò il braccio. Era una strana percezione fra quegli estremi, una confortevole carezza. Le ricordò l’abbraccio che si erano regalati lei, Shikamaru e Chōji alla fine della guerra, quelle lacrime di cui avevano smentito l’esistenza oltre le palpebre chiuse. Aveva un retrogusto dolce sulla punta della lingua, il sapore di un pasticcino addentato dopo una sessione estenuante di allenamenti.

Come se il mondo non avesse più importanza…

Avrebbe continuato a galleggiare in quel languore per sempre, ma un improvviso rumore insistente, ritmico, picchiò forte contro la sua coscienza. Le trasmise una sorta d’urgenza, vanificando il ristoro offertole da quella tiepida carezza.

Non ti fermare.

Ino avrebbe voluto scacciare via quel fastidioso battito, mediante il quale risuonava in lei una voce affranta, stridula, da cui era disturbata. Reiterava lo stesso concetto lottando contro i suoi desideri. Era inutile, fastidiosa, era…

La mia voce!

 

Una scossa percorse tutto il corpo di Ino, un vigore che non credeva di possedere più. In un lampo, nel buio s’avvicendarono il viaggio per giungere al Villaggio della Sabbia, il volto ricolmo di rimorsi di Temari, i denti digrignati di rabbia di Kankurō, le unghie uncinate di Nocnitsa vicino al collo.

Il viso distante di un ragazzo che salutava il mondo da dietro un muro di sabbia.

Allora ricordò ogni cosa. Allora la missione affiorò dalle tenebre come il battito incessante del cuore.

Gaara!

 

Spalancò gli occhi. La luce l’avvolse, ma era in parte coperta da un’ombra. Per un istante, l’adrenalina la trapassò ripensando alla strega con cui aveva lottato chissà quanto tempo prima, ma una mano dotata di dita affusolate, non ossute, e di unghie ben curate le asciugò il sudore sulla fronte. Aveva lo stesso tiepido calore che aveva provato sul braccio.

Per favore… rimani un attimo stesa.”

No, non può essere!

Ino sbatté le palpebre, accorgendosi di essere davvero supina sopra un letto di sabbia rovente, di fronte a un cielo dotato di un sole accecante. Ricompose dai riflessi della luce il colore rosso dei capelli, l’azzurro degli occhi e la pelle candida di chi fosse capitato per caso nel deserto e che, tuttavia, ne era il guardiano più fedele. Quella figura appena messa a fuoco le sorrise.

Gaara.

 

Il giovane era chino su di lei e la stava studiando con la medesima attenzione con cui Ino lo ricambiava. Tentò di issarsi a sedere, ma il Kazekage le mise una mano sulla spalla invitandola a sdraiarsi.

Abbi pazienza… C’è qualcosa qui…” Ino sussultò per via di quella voce straordinariamente gentile, che raramente aveva udito fuoriuscire dalla bocca di quel giovane leader. S’irrigidì per le dita che le sfiorarono il collo, suscitandole un lampo di dolore. Strinse i denti inspirando aria dagli spiragli di quella morsa d’acciaio. Il contatto con la pelle bruciava, quasi il ragazzo avesse tastato una ferita aperta di cui la kunoichi non riusciva a delineare la presenza.

Ti chiedo scusa… sembra che qualcuno abbia cercato di tagliarti la gola.”

Perché mi parla con così tanta calma? Sembra che non sia preoccupato, o…

Ino smise di riflettere e sbarrò gli occhi rimirando quel Kazekage dalle ciglia socchiuse in uno sforzo di concentrazione e con gli stessi abiti che gli aveva visto indosso già diverse volte. Era tutto ordinario, tutto entro i confini della sua usuale presenza.

 

A eccezione dei tagli vistosi, su tutto il corpo. La ragazza impallidì.

Erano sottili, ma profondi. Sferzavano le guance di Gaara, la parte dei polsi visibile fuori dalle maniche lunghe, nonché la pelle di cui poteva scorgere un pezzo sotto il colletto della giacca. Sembrava che un vento di kunai l’avesse frustato. La kunoichi trattenne il respiro. Alcune di quelle ferite stillavano ancora sangue.

Il calore del chakra le inondò la gola, donandole sollievo e terrore al tempo stesso.

“La prego, Kazekage!” strillò mettendosi a sedere. Il petto le si alzava e abbassava agli ordini della sua angoscia. Il ragazzo ritrasse la mano, lo sguardo ferito. Tuttavia, Ino si rilassò. Quando Gaara rimosse il proprio chakra dalla mano, la sua pelle sembrò meno spenta e il suo respiro riprese profondità perdendo affanno.

 

“Volevo… volevo solo aiutarti” mormorò lui e Ino comprese che ci fosse qualcosa di strano, di molto strano. Era sempre Gaara, il leader da cui potevano scaturire occhiate fredde e imperiose, però il comportamento non ne rispecchiava la forza di carattere. Era sfuggente, eludeva lo sguardo della ragazza ogni volta che tentava di puntarglielo negli occhi. Inoltre, palesava le sue emozioni filtrandole attraverso una sofferenza ben visibile nell’espressione mortificata. Ne avrebbe avuto compassione, se non ne fosse stata segretamente impaurita.

La ragazza si sporse verso il ninja, affrettandosi a limitare i danni della sua esuberanza. “Io… le chiedo scusa, Kazekage… le sono grata, ma non voglio che la sua salute peggiori a discapito della mia… lasciatemi…”

“Sai che io sono solo il figlio del Kazekage, vero? Credevo… credevo di non trarre in inganno nessuno” la interruppe borbottando. La kunoichi della Foglia annuì in accordo con lui, il sudore le scendeva lungo la tempia assieme a un brivido sul collo.

L’erede del clan Yamanaka conosceva i pericoli principali di una mente inconsapevole di sé stessa. Si trovava di fronte a una parte molto intima di Gaara, intaccata da uno strano incanto…

Senza le dovute cautele… non potrei sapere in che stato ritornerà padrone di sé.

 

A dispetto della sua apprensione, Ino sfoggiò un enorme sorriso. Pareva quasi scintillasse sotto la candida luce del sole.

“Oh, le chiedo scusa! Vengo da fuori del Paese del Vento e devo aver scambiato il suo viso con quello del Kazekage! Mi capita spesso con i libri di scuola!” cianciò la ragazza ridendo, accostandosi al capo villaggio inconsapevole di esserlo. Sotto quella luce intensa, ove il bianco inghiottiva i contorni di cielo e terra, la figura tesa del giovane spiccava con tutte le sue sfaccettature.

Davvero? E cos’avrebbero in comune il grande Kazekage e il suo ultimogenito?” brontolò lo shinobi incrociando le braccia al petto, ignaro di Ino che guadagnava terreno a ogni attimo di distrazione. Lo sguardo di lei puntava le ferite sul collo del ragazzo, le quali s’inabissavano sotto i bordi della giacca.

“Be’… avete un portamento simile e lo sguardo è pressoché identico! Si vede che avete entrambi la stoffa del leader!” Ino rideva priva di convinzione, con il calore che la stritolava, la pelle che cuoceva sotto ai raggi del sole e il pensiero che cascava nell’incubo di aver trovato chi stava cercando, solo per perderlo per sempre…

Era così angosciata da sé stessa e dagli elementi di una messinscena mentale da cui, in condizioni normali, non sarebbe stata in alcun modo scalfita, che il sorriso con cui Gaara si girò verso di lei ebbe il potere di farla trasalire. Deglutì, il palato arido. La mano si bloccò a mezz’aria, a poca distanza dallo sfiorare le braccia martoriate del ragazzo. Un altro tipo di calore, più gentile rispetto all’arsura del pensiero nel quale si stavano confrontando, le salì alle guance.

 

Le labbra di Gaara si stendevano in un sorriso timido, giovane. Le rammentò i tempi dell’Accademia Ninja, le prime missioni con il Team 10, dove i successi si concludevano in una festa e i fallimenti sapevano di rabbia e lacrime trattenute a stento. Ripensò a quell’epoca e, d’improvviso, si rese conto che momenti del genere non erano mai appartenuti al ragazzo di fronte a lei. A quell’uomo, dal viso di un adolescente.

Gli occhi di quel leader brillavano mentre si sbottonava la giacca. “Non ho mai incontrato nessuno proveniente da fuori che sapesse così tante cose sulla mia famiglia… ma credo che tu abbia ragione, anche se… non so spiegare il perché: i miei fratelli sarebbero leader più in gamba di me.”

No Gaara… non è vero…

La bocca della kunoichi era scossa dall’impeto di riferire ad alta voce quell’osservazione, ma lei tacque serrando i pugni sulle ginocchia, accettando muta il dono della giacca con cui il ninja le protesse le spalle bruciate, più rosate delle emozioni che le ribollivano sul viso. Il ragazzo la scrutava dolcemente, addirittura impensierito dalla sua espressione apprensiva, incapace d’intuire l’origine del malessere di quella bizzarra viaggiatrice: era incurante dei tagli da cui era attraversato come se fossero letti di fiume arsi, i quali proseguissero fin dentro la maglia a mezze maniche, macchiando di sangue rappreso e fresco la sua pelle.

“È curioso… se non stessi rischiando un’insolazione, direi che è buffo: non ho mai visto nessuno arrivare qui con un equipaggiamento non adatto… cosa ti porta in questo posto dimenticato da tutti?” Ino strinse le labbra e le spalle, accucciandosi dentro la stoffa della giacca, impregnata di un odore vegetale e di salsedine di cui aveva già esperienza. La confortava. La impauriva.

Quanto in là posso spingermi senza causare danni irreparabili…

 

La futura erede del clan Yamanaka interruppe i propri ragionamenti: coloro che sapevano utilizzare la tecnica segreta della sua famiglia si guardavano bene dal rimuginare troppo intensamente su quanto accadeva nella mente. Perciò parlò, senza più darsi pena di suonare convincente.

Seguì l’istinto e l’animo che sfarfallava in quella rappresentazione artefatta della realtà, eppure da cui potevano sgorgare i loro veri sentimenti.

“Sono venuta qui perché ho saputo di un giovane figlio del Quarto Kazekage che vive in solitudine… senza nessuno su cui fare affidamento” la kunoichi sussurrava lasciando che il tessuto della giacca le toccasse le spalle, incurante del dolore bruciante delle scottature. Nei suoi occhi azzurri, di sfuggita, balenava il viso di Gaara, contorto da sentimenti conflittuali, il quale non faceva altro che evidenziare quanto quel mondo illusorio fosse cresciuto sulle fobie e sul passato del capo del Villaggio della Sabbia.

“Ho pensato… ho creduto che a quel ragazzo potesse servire un’amica” affermò candidamente, la faccia ardente e le iridi azzurre tremanti, dentro cui pareva battesse il suo cuore, mentre osservava il ninja al suo fianco: serio, meravigliato, sconvolto, rattristato, arrabbiato. Una lunga serie di emozioni ne attanagliarono i lineamenti delicati.

Poi, in un istante, speranzoso, di fronte a quel panorama che cambiava restituendo le rocce nude del deserto, i cactus solitari e le ombre lunghe di un sole che calava, facendosi da parte su quel mondo di cui non era il signore. Quest’ultimo era soltanto il Kazekage, con quelle sue emozioni fugaci indossate di fretta, entro i contorni del viso pallido, racchiuse dietro il bordo di una maschera di cera.

 

Ino rabbrividì, senza che fosse in grado di intendere il motivo del suo timore, né come mai Gaara sembrasse tanto terrorizzato e sollevato dalle sue parole. Assistette alla sua mano che saliva verso il suo volto, alle dita che tentarono di scostarle una ciocca dietro le orecchie. Pregò che quel momento giungesse presto, che il Kazekage riconoscesse il suo volto e provasse gioia per non essere davvero il protagonista di quella storia, dove il suo villaggio lo detestava, in cui la sua famiglia aveva il calore di un abbraccio non dato.

Ma le loro speranze erano solo un miraggio. Ino si maledisse per non aver compreso prima che quell’oasi non era al di fuori di un incubo.

 

Un riverbero rosso, sanguigno, sbucò nell’orizzonte alle spalle di Gaara. Aveva l’aspetto di due occhi. Poteva essere stato uno scherzo della mente di Ino, un capriccio delle sue paure non del tutto sopite. Tuttavia bastò a fermare la mano del Kazekage. Bastò a cancellarne il sorriso.

Bastò a scatenare l’adrenalina nel sangue e la sensazione di panico con cui mantenerla in circolo.

 

Una raffica di vento li frustò. Sollevò sabbia ovunque, inaridendo i loro volti ormai vuoti d’espressione e di calore. L’aria aveva un che di freddo, glaciale, nonostante l’ambiente fosse pervaso da una calura opprimente. Ino sentiva le cose più disparate come in un sogno, ma non fu ciò a preoccuparla.

Gaara aveva distolto gli occhi e scrutava fremendo il deserto dietro di sé, ove la ragazza aveva visto quello sguardo rosso. Un fruscio strano, simile a una voce urlante, accompagnava le correnti, ornate di sabbia, che li stavano raggiungendo.

Quando il ragazzo incrociò il suo sguardo era, di nuovo, completamente avvinto dalle illusioni.

“Mi dispiace... io… devo andare!” la kunoichi intuì e svelta lo trattenne a terra, prima che scattasse lontano e lei non potesse più ritrovarlo. “Perché? Che cos’è successo?!” esclamò provando a guardare il giovane, ma non c’era più traccia di serenità in quel suo cielo personale. Aveva fretta. La fretta di un animale braccato.

Loro sono qui… non posso restare!” Così rispondendo sbrigativo, col tono incrinato, Gaara s’issò strattonando il braccio dalla presa di Ino, la quale si chiuse sull’aria. Non riusciva a capire cosa fosse successo, né perché lui la fissasse con una punta di vergogna, persino di colpa in quel viso ora colorato di rosso.

Mi dispiace…” lo sentì mormorare mentre fuggiva. Ancora confusa dalla situazione, la kunoichi riuscì a captare un indizio in tempo perché non perdesse di vista il Kazekage e potesse inseguirlo in quell’ambiente informe, per via della tempesta di sabbia che sembrava li avesse perseguitati fin là dentro.

Si concentrò sul vento che avanzava, assottigliando gli occhi per evitare che la sabbia l’accecasse. Nel compiere il gesto, i suoi sensi si acuirono, permettendo all’udito di cogliere ciò che quelle raffiche portavano con loro, sottoforma di evento atmosferico.

Erano voci… sconosciute e conosciute.

 

Ino sbarrò gli occhi e subito schizzò dietro il Kazekage, simile a un punto scuro sul cielo di sabbia bruna. La giovane correva con fatica, ma non a causa del terreno su cui scappava. Le voci che udiva le gravavano il passo.

Assassino… sei un mostro!

Il Quarto Kazekage avrebbe dovuto ucciderti con le sue stesse mani!

Fratellino… pensavi davvero che ti volessimo bene?

La kunoichi percepì le lacrime scenderle giù per le guance e la coscienza quasi sparirle in mezzo a tanto vociare indistinto. Invano, provò a scacciare le ombre dell’animo di Gaara, separandole da entrambi, però i suoi tentavi erano accolti da una risata echeggiante in quel vento furioso, o da riflessi carmini oltre il buio della tempesta di sabbia. Ma non c’era altro modo per carpire la presenza della strega, se non attraverso le voci che fluivano liberamente dalla mente di Gaara. Quegli incubi che avevano il potere di soffocare il respiro e di trascinare il pensiero in un mare di oscurità.

Ino avrebbe desiderato arrendersi. Avrebbe, davvero, voluto evitare che quell’ammasso infimo di negatività la soverchiasse. Eppure resisteva, obbligandosi a tenere il senso della vista intatto.

 

Gaara era laggiù, un po’ più vicino, rallentato anch’egli dal furore del maestrale d’angoscia, tristezza e panico. Ino ne udiva sempre le emanazioni, in diversi toni e persone.

Credevi davvero che avremmo potuto perdonarti? Tu che ci hai strappato la dolce Karura? O che hai lasciato morire il buon Yashamaru?

Ino riprese il controllo su sé stessa, riacquistando il dono dei propri sensi. Digrignò i denti con furia e, con ultimo scatto della coscienza, varcò il confine verso cui il Kazekage era sparito.

La meraviglia la travolse, mitigando fortunosamente l’effetto delle voci su di lei, capaci, ne era certa, di ferire in modo fatale qualunque animo vi restasse immerso troppo a lungo. Capì per quale motivo Gaara fosse percorso da rii di sangue. Il corpo della giovane, ora più stabile in quella visione, strinse le labbra sotto la gabbia dei denti.

Un mare di cactus…

 

Deglutì a vuoto gettandosi in quella nuova scena creata dall’immaginazione corrotta del giovane leader.

Cactus enormi si ergevano da terra, fitti come muri invalicabili, da cui spiccava un altrettanto impenetrabile frotta di spine. Gaara vi si addentrava a fatica, sebbene la tempesta avesse smesso di braccarlo in quel bosco di dolore.

Ino avanzava piano in esso, eludendo la puntura delle spine con cautela, ma per quanto si sforzasse di essere scrupolosa, il Kazekage attraversava gli ostacoli con incoscienza. Erano ormai vicini, quasi fossero all’inizio della loro breve conversazione.

“Gaara… ti prego… fermati!” la ragazza gridava, eppure le sue parole cadevano mute, come se le piante ne assorbissero il volume. E il ragazzo non riusciva, o non voleva, udirla.

Ino cominciava a percepire la paura in ogni sua fibra. Non aveva una sufficiente forza mentale mediante cui sollevare entrambi da quella visione di spine, ma poi vide il sangue da cui queste ultime erano macchiate. Udì i lamenti del Kazekage, i suoi gemiti affranti.

Rendendosi conto di tutto questo, comprendendo la sofferenza interiore alla quale Gaara tante volte si era sottratto per amore della sua gente e che in quel momento lo pungolava, l’espressione della kunoichi s’indurì. Il chakra ne avvolse la figura del pensiero, uguale al suo aspetto reale.

No, strega… non lo avrai!

 

Con uno sforzo fuori da qualunque sua abilità umana, derivato solamente dal desiderio di salvare quel ragazzo con cui stava soffrendo in quell’incubo lucido, Ino trasse un respiro dal proprio inconscio, fino al momento in cui la sua volontà s’elevò dritta, fiera, imponendosi sopra alle illusioni costruite ad arte per ferire, uccidere, l’animo del Kazekage.

Piegò le forme dei cactus, le distaccò dal ninja in pena, le spinse ai limitari della loro percezione. L’autorità attraverso il quale impartì i suoi comandi rese quella visione più instabile, meno efficace nei suoi intenti velenosi. Il giovane fu in grado di distanziarsene. Ino ne fu felice, colpita da una gioia incontenibile.

Però non durò molto. Appena il ragazzo se ne andò da quella parte di pensiero, una miriade di spine la trafisse. Il veleno del male le inasprì la consapevolezza di sé.

 

Ino urlò di dolore, attraverso polmoni che non esistevano più, in quell’universo fatto apposta per torturare i suoi ospiti, guidato dal barlume rosso di occhi che comparivano e sparivano nella mente inondata dal dolore.

Cosa vuoi fare, razza di stupida? Non sei capace di fare niente!

Ma chi ha messo nel team del figlio del Terzo Hokage una che non vale nulla?

Se almeno fossi intelligente come Sakura…

Eri davvero convinta che Sasuke o Sai potessero perdere la testa per un’oca come te?

Dalla ragazza strariparono grida, pianti, sangue e sudore, ance se non c’era più un corpo quale riferimento delle sue sensazioni. Era finita in un nulla di pensieri che non le appartenevano, nonostante le rammentassero qualcosa di dormiente nel fondo del suo animo. La dilaniavano al comando di una presenza più forte della sua. Una creatura in grado di governare il buio dell’animo umano mediante i suoi ricordi più intimi.

Le dita ossute di Nocnitsa penetrarono la morsa di dolore, agganciandola. Imprigionata in una così grande esperienza negativa, fu quasi sopportabile che quell’essere si avvinghiasse a lei, mostrandole quel sorriso di un mostro, incatenandola alla paura come se la maledicesse.

Allora, dalle labbra secche della strega, cariche di denti affilati, nacque la più dolce delle voci. La più orribile delle condanne.

Ino… credevi sul serio di farcela?

 

Padre…

Gli occhi di Ino piansero, se ancora vi fossero orbite da cui potesse fuoriuscire un fiotto di lacrime. La bocca di Nocnitsa si avvicinò, allargandosi su un immenso buio…

 

Una mano la condusse via da quella presa. Ino inspirò dolorosamente. Era di nuovo in possesso di un paio di polmoni che la sostenessero.

Nel deserto, ora ricreatosi di fronte a lei, Gaara la scrutava infuriato. Nelle iridi azzurre pareva tuonasse un temporale. Il suo respiro era mozzato da ansimi. “Stupida… perché mi hai inseguito?!”

Ino sobbalzò, colta alla sprovvista dalla durezza della sua voce. Erano ritornati in mezzo alla foresta di cactus, ma si trovavano in una sottospecie di spiazzo, in cui le piante si richiudevano su di loro, sigillando ogni apertura con spine acuminate.

La kunoichi non riuscì a rispondere granché. Un gemito strozzato le scappò, il corpo non ancora abituato al rientro in quella parvenza di realtà. Gaara l’aiutò a sedersi al centro di quella sorta di radura. Non si era accorta di essere caduta a terra. Non ne sentiva alcun effetto sul corpo, siccome doveva ancora riprendersi da quella strana esperienza.

“Sei quasi morta per raggiungermi… i cactus ti stavano smembrando!” Ino strabuzzò e si volse indietro, dove il suo bozzolo di sofferenza s’era tramutato in un mare di spine imbrattate del suo sangue.

Allora… tutto ciò è successo dentro la mia testa…

La comprensione fu frenata da una lancinante sequela di fitte. In un baleno, gli effetti della stretta quasi mortale di Nocnitsa la ghermirono, squarciando la pelle con vari tagli, facendo fiumare sangue su braccia e spalle. Ino sapeva che era tutto fittizio, che il suo corpo non era davvero intaccato da quelle ferite. Però, come per le lacerazioni di Gaara, esse erano molto più di una lesione corporale: erano la manifestazione della debolezza dello spirito, l’instabilità del suo essere.

Ino sbiancò, percependo il proprio istinto che si ribellava a quel male, che le comandava di andarsene in fretta da quella mente tanto pericolosa.

 

Gaara si accostò a lei, prendendole delicatamente il braccio. “Maledizione! Di questo passo morirai dissanguata! Lascia che io…” il chakra illuminò la sua mano, ma Ino fu più rapida. Gliela schiaffeggiò via, lontano dalle ferite che lui voleva sanarle. Questa volta, non riserbò alcun moto di compassione per l’espressione offesa del giovane.

“Sei impazzito, per caso? Non puoi curarmi in queste condizioni, rischieresti di restarci secco!” eruppe con il respiro spezzato, la tachicardia a mille. Dannazione… il contatto prolungato con questa negatività ci sta influenzando troppo! Se continuiamo di questo passo… diventeremo due amebe cariche di rabbia!

Ino si morse il labbro, cercando le parole per proseguire, ma Gaara batté le sue buone intenzioni in velocità. “Continui a dirlo, ma la situazione non cambia: non lascerò che tu muoia per delle stupide ferite che ti sei fatta per raggiungermi!” la ragazza avrebbe trovato ammirevole, persino galante, un tale sfoggio di stoico spirito di sacrificio. Ma quel viaggio nella testa del Kazekage stava viziando il suo lato romantico.

“Se non volevi rischiare, non ti saresti dovuto infilare qui in mezzo! O forse credi che io sia cieca e non veda i tagli che ti ricoprono?!” sbottò velenosa, già avvertendo le guance rosse per la propria impudenza. Si aspettava quasi che il leader del Villaggio della Sabbia le rispondesse in malo modo, visto che appariva quasi padrone di sé, o almeno della sua gelida autorità.

Invece restò muto. Ino rialzò gli occhi su di lui, dopo averli nascosti in un angolo della giacca, per paura della reazione dello shinobi.

 

Gaara non la guardava più. Osservava i cactus sopra le loro teste, il mondo di cui custodiva la chiave e che, pure, non sapeva di possedere. Con quei suoi occhi azzurri, quel sorriso mesto di un prigioniero. Una nuova morsa ghermì l’animo della ragazza, una tenaglia dolorosa.

Scusa… non avrei dovuto…” Lui scosse la testa, fermandole il coraggio. “Sai… questi sono gli amici più cari che ho” Ino scrutò il Kazekage, spiazzata da quella voce tornata remissiva. Da quella paura che aleggiava sul suo spirito dimesso.

“Sono… sono proprio come me” la kunoichi assistete a Gaara che si alzava in piedi, che mirava le spine lunghe e pungenti da cui erano circondati. Ne tastò la superficie longilinea, lasciando che le dita vi scivolassero sopra.

“Sono belli… imponenti… ma basta che ti avvicini e…” la mano cadde dalla spina al suo fianco. Fili di sangue fresco ne adornavano le nocche come un guanto strappato.

Sono proprio come me…” Ino sbarrò gli occhi. Improvvisamente capì. Improvvisamente afferrò ciò che si celava nell’ombra di Gaara.

Ora so… come farci ritornare alla normalità.

 

Ino prese un profondo respiro, lo stesso mediante il quale aveva salvato il ragazzo da quella selva di spine. Questa volta, tuttavia, non era per manipolare, ma per creare: dai ricordi che entrambi conoscevano, la ragazza plasmò una forma familiare, con un tocco intimo rubato dagli animi di Temari e Kankurō, dentro cui si era intrufolata spesso, nell’arco di poche ore.

Forse per questo motivo, il piccolo gymnocalycium risaltava in quelle immagini scolorite dal dolore.

“Non dico che non possano essere i tuoi amici… anch’io credo che le piante sappiano ascoltare meglio di tante persone!” Ino rideva rimuginando sulle sue giornate in compagnia delle piante del negozio, quando Sakura passava i pomeriggi alla mercé di Tsunade, o quando Shikamaru e Chōji erano troppo impegnati a oziare per aiutarla negli allenamenti. Rammentava i mormorii con cui sfogava la sua frustrazione, i fiori che, silenziosi, coglievano le sue sentenze lasciandosi baciare dal sole. Erano così belli, profumati e chini quasi fossero intenti ad abbeverarsi delle sue parole, anziché dell’acqua da cui erano annaffiati, che la ragazza non poteva più dire nulla di arcigno su quelle persone dal quale era ignorata.

In fin dei conti… mi basta un fiore per essere felice.

 

Il fiore sulla sommità del gymnocalycium era sgargiante. Quando Ino s’avvicinò a Gaara, persino lui ne rimase impressionato. Nel suo sguardo viaggiavano dei ricordi, un antico fiume in cui le acque avevano il sapore dolce di un’amicizia. Ino ne fu intenerita e il suo cuore scalpitava mentre portava la mano del Kazekage sopra il fiore colorato. Aveva sempre quel tepore di cui aveva avvertito la piacevole carezza appena risvegliata.

“Ma se non mantieni il controllo… se non te ne prendi cura, cresceranno fino a farti mancare l’aria” dalla corolla di petali, fece scorrere la mano di Gaara sulle spine. Quelle spine tenaci che, però, sapevano piegarsi dolcemente, se premute con gentilezza.

Senza la forza dei rimorsi di Temari.

La kunoichi deglutì. Le dita del ragazzo erano più delicate di quanto immaginasse, persino in quei pensieri.

“Ma se, invece, ti interesserai di loro… non potranno più farti del male” e quelle dita prive di calli come quelle di Kankurō le strinsero il palmo. Ino vide la sua segreta richiesta esaudita, ossia capire come potessero mani tanto fragili impugnare con vigore le sue dita, al punto da indurle un brivido lungo la schiena. Oppure erano gli occhi del ragazzo, puntati nel suo spirito, a rivolgerle quella sensazione di calore, ancora una volta, sulle guance. Però, questa volta, la kunoichi non riusciva a rinnegarla più, celando il viso nella giacca che Gaara le aveva offerto prima. Lasciò che lui la studiasse, che ne perlustrasse i lineamenti alla ricerca di quella verità nascosta.

 

Deglutì a vuoto. D’istinto, proferì solo una frase: “Gaara… non lasciare che l’autocommiserazione ti rovini.”

Non si aspettava una risposta, né una domanda sul perché lei conoscesse il suo nome, anche se lui non gliel’aveva rivelato. Era un’altra soluzione quella di cui lui aveva bisogno.

Chi… chi mi ha regalato questo cactus?” Gaara era chino su di lei, con le ciglia socchiuse, ma Ino non aveva paura, anzi, quasi speranza.

Senza rendersene conto, commise il suo più grande errore.

 

“Si chiamava Yashamaru, Gaara… ed era il fratello di tua madre” la sabbia che li attorniò non era violenta, né percossa dal vento. Imitava solamente il frullo del cuore di Ino che rintoccava ogni secondo di quel lungo momento. Il gymnocalycium era caduto dalle sue mani e rotolava lontano, immerso nella memoria.

Le labbra di Gaara erano premute contro le sue. Tutto ciò non era reale. Era soltanto la parvenza di quello che le loro menti sperimentavano in assenza di un corpo. Eppure, Ino voleva sentirle di più, voleva che Gaara la stringesse così come lei gli aveva afferrato il colletto della maglia per sentirlo vicino. Era solo una finzione, un’unione che non riguardava l’un l’altro al di fuori delle loro menti.

 

Gaara leggeva i suoi pensieri come un libro aperto. Estrapolava informazioni su quanto era accaduto dall’istante in cui era scomparso nella tempesta di sabbia. Vedeva Temari e la sua storia, Kakashi e la sua freddezza, Kankurō e la sua rabbia. Scorgeva lei e la sua risolutezza, con la quale si era fiondata nella sua mente sconfiggendo i dubbi. Assistette alla battaglia che aveva intrapreso con Nocnitsa, ferendosi a vicenda.

A quel punto, Gaara le strinse le braccia, avvolgendola in un abbraccio in cui non percepiva nessun dolore, nonostante le ferite ancora aperte. Il chakra li cospargeva entrambi e leniva le lacerazioni, la forma bruciante dei loro affanni. Ino si sentì come sospinta verso il Kazekage e si sentì obbligata a cadergli fra le braccia, abbandonando il bacio.

 

“Ti chiedo scusa, Yamanaka Ino… non avresti dovuto affrontare tutto questo.”

 

La ragazza scosse la testa, rialzando il viso verso Gaara. La voce del ragazzo non era più titubante, né i suoi occhi palesavano timore. Era il Quinto Kazekage del Villaggio della Sabbia che la fissava dall’alto della sua posizione fiera, con un sorriso tenue che non si affacciava sugli occhi. A Ino andava bene così: era l’uomo del quale si era messa alla ricerca nel buio creato da Nocnitsa.

“L’ho fatto volentieri, Kazekage… se non altro per zittire quel pallone gonfiato del mio capo” una risata che gli mosse appena la cassa toracica, quasi un singulto. Ino era felice che Gaara fosse ritornato, che si fosse risvegliato da quell’incubo. Era talmente incantata da aver paura di andarsene e di non tornare mai più.

Dovrò accontentarmi di ricordare questi istanti…

Gli sorrise, donandogli un’ultima stretta vigorosa. Aveva il cuore che echeggiava pesante. “Coraggio, Kazekage… fuori di qui hanno bisogno di te!” Ino ghignò complice, eppure non ottenne nessun risultato da quell’esortazione. Il giovane non la guardava più. Osservava i cactus sopra le loro teste, con una strana… nostalgia. Allora, la kunoichi comprese.

Una scarica di terrore la percorse. I suoi pensieri le rimbombarono nella memoria. Avvertimenti a cui lei stessa non si era attenuta.

Senza le dovute cautele… non potrei sapere in che stato tornerà padrone di sé.

 

Kazekage!” Ino esclamò, ma Gaara le mise una mano davanti alla bocca, impedendole di proseguire il suo discorso. “Io… ti sono grato, Yamanaka Ino. Quello che hai fatto per Temari e Kankurō… Quello che hai fatto per me non l’avrebbero compiuto in moltisi abbassò sul suo orecchio, regalandole una fitta di disgustoso dolore per quella vicinanza paragonabile al percorso di due fiumi paralleli.

“Forse… nessuno l’avrebbe fatto” le strinse le spalle, rialzandosi. Il suo sguardo era scuro, adombrato, all’interno dei lineamenti decisi delle occhiaie.

No, Gaara…

Le lacrime di Ino caddero copiose su quelle dita che le sigillavano le labbra. Una barriera peggiore dei tentativi di Nocnitsa di ucciderla, perché erano perpetrati dall’uomo che sperava di salvare.

“Non devi essere triste… mi hai dato un ultimo ricordo di cui essere felice… lo custodirò con gioia" l’espressione statica del ragazzo ebbe un sussulto di dolore. Guardò il dito che Ino gli aveva morso, liberando la bocca dalla presa.

 

“Kazekage… Gaara… non puoi essere serio!” la giovane parlò dimentica del rispetto, dei confini e delle barriere che esistevano fra lei e l’erede di quella posizione un tempo occupata dal padre. Nei suoi occhi si affermava la convinzione di Temari, nei suoi denti serrati la frustrazione di Kankurō. Però era il suo cuore che dava vita alle parole con cui si espresse: “Dopo tutto quello che la tua gente ha passato… quello che i tuoi fratelli hanno affrontato… Dopo tutto quello che ho vissuto… come puoi parlare così?!” la kunoichi ansimava mentre le dita del leader del Villaggio della Sabbia cadevano dal suo viso. Il movimento non corrispose a un mutamento della situazione.

“Sai… credo tu stia dando troppa importanza alle cose, Ino” proferì strisciando via il sangue dal dito su cui si stava tratteggiando il segno del morso. "Tutto quello che mi riguarda… è futile.

Gli occhi di Gaara si scagliarono su di lei e, subito, prima che potesse scaraventarsi contro quello stupido rimproverandolo, la sabbia le agguantò gambe e braccia, incatenandola al suo posto. In un ambiente diverso, meno ostile, l’erede del clan Yamanaka avrebbe potuto facilmente contrastare un’offensiva così innocua, tuttavia non c’era sola la sabbia a trattenerla.

Avvertiva il peso degli ordini del Kazekage, la silenziosa sentenza con la quale la obbligava a perdere contatto con le cose di quel mondo.

Va’ via.

 

“No Gaara… non lo farò!” ululò la kunoichi, pur cadendo sotto il peso della sabbia. Ne era sommersa, fasciata come un abito troppo stretto. Solo il suo sguardo, azzurro e terso come quello del ragazzo, fuoriusciva dal buio di quel bozzolo di sabbia. La stessa figura di Gaara, ora, risaltava fra le ombre che stavano ingurgitando tutto. Aveva un vago odore di foglie e terra marce.

“Non è qualcosa che puoi decidere, Ino… è il mio destino, già da molto tempo.”

“Così te ne andrai abbandonando la tua gente alla morte!?” ringhiò la kunoichi da sotto la sua gabbia di sabbia. Vide un sorriso mesto in risposta, con parole che le indussero un brivido: “Se io me ne andassi… non ci sarebbe più nulla che la minacci.”

Ino trasalì, ma non poteva più dire alcunché: il pulviscolo s’era insinuato per le sue narici, facendola tossire. Scorse il cielo così brillante di Gaara, privo di alcuna sfumatura, chiudersi oltre le palpebre.

“Dopo Yashamaru… dopo mia…” persino nella cecità dei sensi, Ino udì un singulto nella gola di Gaara. Fu uno degli ultimi scorci che notò di quel ragazzo sempre più lontano.

“Temari aveva ragione a desiderarlo.”

 

L’oscurità si richiuse su di loro, imprigionandoli in due incubi separati. Le ultime parole di cui Ino ebbe il suono furono un regalo contro cui stava lottando disperatamente.

Vattene, Ino del clan Yamanaka. Farò in modo che questa creatura non ti dia fastidio.

 

Razza di imbecille… è proprio quello che questa strega vuole!

La sua voce risuonò potente, sebbene fosse vuota, buttata in un nulla dove era soverchiata dal dolore di aver notato Gaara piangere, poco prima che la sua figura sparisse.

Stupido… come puoi credere anche solo a metà di quello che hai detto?!

Ino sospettava che quello fosse un ostacolo superabile, che potesse ancora recuperare quel ragazzo dall’animo gentile, di cui aveva intravisto la presenza nei meandri di quell’inconscio oberato di immagini orrende. Ma la sabbia la costringeva e la inibiva. Poteva quasi sentire il suo vero respiro raggiungerle i polmoni.

 

Allora si sforzò di vedere di nuovo, anche se le ombre erano troppe, anche se aveva paura di ciò che esse celavano. Non aveva mai fatto nulla di simile, nulla che richiedesse un sacrificio talmente grande da parte di altri. Rinsaldò le dita sui palmi, già simili, nel tatto, a quelli presenti nel corpo dormiente ancora per poco. Poteva addirittura scorgere le macchie scolorite del sangue con cui un’amica le aveva macchiato le mani. Una sorella pronta a tutto.

Temari… ti prego… aiutami!

 

Il suo richiamo ruggì dal cuore e attorno al suo sembiante. Fu talmente forte da spazzare la sabbia come se fosse solamente polvere su una mensola. Quel grido divenne un vento inarrestabile, rapido e glaciale. Disperse l’odore soffocante di Nocnitsa, la visione dei suoi occhi rossi nel buio.

Colpita dall’impeto di quella raffica inaspettata, presa in contropiede da quel turbinio gelido, Ino fu vinta dalle proprie fragilità. Cadde nel buio, ove l’attendeva il ricordo delle dita di Gaara sulla pelle, del suo sguardo smarrito nei sensi di colpa.

Come in un barlume di speranza, sentì il calore dell’abbraccio di suo padre e la sua voce, come una dolce carezza.

Tesoro… solo tu ce la puoi fare!

 

Continua nel Capitolo VI: Così è nella mente, come fuori di me

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Capitolo 6
*** Capitolo VI: Così è nelle mente, come fuori di me ***


Capitolo VI: Così è nelle mente, come fuori di me

 

In un’altra vita, in un universo in cui la mente era solo una parte del corpo, Temari cascò a terra emettendo un gemito strozzato.

“Temari!” Shikamaru s’inginocchiò al suo fianco, passandole una mano dietro la schiena, madida di sudore ghiacciato. “Che ti prende? È successo qualcosa?” la donna stentava a inquadrare il viso del ragazzo, o il profilo imponente degli edifici del villaggio. Percepiva a malapena l’aria che le inondava i polmoni, oppure la terra asciutta che grattava con le dita, facendosi male sotto le unghie.

Vedeva, sentiva, tutt’altro: era ancora con Ino, con le loro mani sopra il gymnocalycium. Notava il sorriso dell’amica percependone il calore addosso. Un ricordo che le spezzò il cuore.

 

“Sì, Shikamaru… sto bene… stavo solo pensando a…” mormorò Temari con la voce graffiata dallo sforzo di respirare normalmente. Il ragazzo sbuffò, aiutandola a rialzarsi.

“So cos’hai fatto, Temari… ma non sono convinto che sia stata una buona idea: la mente non è un banale ripostiglio. Solo quella svampita che abbiamo mollato laggiù sa come cavarsela qui dentro…” replicò lui toccando con l’indice la tempia. “E tu hai già attraversato il deserto evocando i kamatari… Forse dovresti riposare, intanto che noi cerchiamo…”

Non osare tagliarmi fuori!” tuonò la donna, come se quella lancinante sensazione di poco prima non l’avesse neppure scalfita, sebbene fosse stata maledettamente spaventosa: Temari aveva potuto avvertire il proprio spirito che l’abbandonava. Una parte importante dal quale si era distaccata per sostenere un animo più fragile del suo.

“Avrò anche sentito il colpo, ma non sono una kunoichi qualunque, vedi di mettertelo bene in testa!” riprese a correre con passo meno spedito. Era gravata da quella leggerezza fastidiosa, in cui persino i ragionamenti volteggiavano senza pace, procurandole confusione e panico.

Se penso che Ino sta affrontando anche di peggio…

La magra consolazione di Temari, da cui emergeva più amarezza che serenità, fu allontanata da una ritrovata stabilità. La donna strabuzzò, meravigliata che quel pigrone avesse deciso di sostenerla.

 

Shikamaru le stringeva la schiena di nuovo, permettendole di restare dritta. Fissava la strada di fronte a loro, su cui svettavano mucchi di sabbia abbandonati dalla tempesta scomparsa di colpo. Tuttavia, il suo cuore batteva al fianco della donna, con un placido ritmo.

“Devo ammettere che hai più buon senso di me: non so come avrei fatto a trovare il nostro obiettivo senza il tuo aiuto… ti fa onore” un complimento del genere non se lo sarebbe mai aspettata da parte di Shikamaru. La kunoichi della Sabbia arrossì, perdendo interesse per quel viso tanto bello, sul quale avrebbe rovesciato volentieri una scarica di pugni.

“Eh già, ti stavi comportando da sprovveduto… si direbbe che non hai mai completato una missione di ricerca!” blaterò Temari, nonostante fosse certa che il ragazzo non le avrebbe risposto. Era strano da quando lui e l’Hokage avevano parlato. O forse lo era da più tempo, da quando aveva scoperto quello che lei aveva fatto per liberarsi di Gaara.

Ma non ha importanza… conta soltanto scovare il nostro sospettato.

Temari rifletté sugli indizi che avevano raccolto, sulla frenesia da cui erano sospinti in avanti, nonostante la battuta d’arresto iniziale.

 

Rivide le sue gambe che correvano verso la casa della balia, solo per trovarla vuota e abbandonata.

“Davvero non lo sapevi, Temari? La tua tata è morta durante la Quarta Guerra Mondiale” un vicino di casa l’aveva narrato a entrambi da un angolo della strada, ove si era rifugiato con la sua famiglia, per paura che il tetto crollasse sulle loro teste. Parole dette con tono dimesso, mentre fasciava la testa del figlio.

Temari non aveva saputo cosa dire di fronte a quella scena di cui si era sentita responsabile. Era restata in silenzio ascoltando il motivo della morte della vecchia balia, legato al dolore causato dalla devastazione del conflitto, senza il dovuto interesse. La giovane aveva pensato al fratello minore, poi a Kankurō. Si era sentita indegna di condividerne lo stesso sangue.

Era stato Shikamaru a ridarle un po’ di colorito e speranza. “Avete visto qualcuno nei dintorni della sua casa, di recente?” aveva chiesto con le mani in tasca e la sigaretta che ardeva intrappolata tra le labbra, consumandosi in un filo di fumo. Temari aveva scorto i suoi pugni stringersi, oltre il tessuto dei pantaloni.

“Be’… molti di noi sono rimasti sconvolti dalla sua morte: ogni tanto qualcuno lascia dei fiori alla porta… Anche se c’è stato un fatto strano.”

Parli” Shikamaru lo aveva incalzato immediatamente, rimanendo all’apparenza calmo, eppure alla kunoichi era sembrato che la mascella gli si fosse chiusa sulla sigaretta con una certa forza.

“Nulla di serio, ma sembra che qualcuno si sia introdotto in quella casa qualche sera fa… non abbiamo saputo spiegarci perché: è vuota da tempo… ma mio figlio ha visto una persona incappucciata aggirarsi lì vicino, prima che il fatto accadesse” neppure il rumore del respiro turbava quel racconto che i due shinobi ascoltavano intenti. “È andato a salutarla, sapete come sono i bambini… Gli ha detto di essere stato qualcuno di cui si era preso cura la donna. È finita lì.”

“Shikamaru!” Temari era esplosa agguantandogli il braccio, quasi conficcando le unghie nella pelle. “Quando lei ha prestato servizio presso la nostra famiglia… non poteva uscire dalla Residenza del Kazekage per motivi di sicurezza!” il ninja aveva intuito dove il ragionamento della donna li stesse portando.

“Significa che chiunque fosse… doveva essere parte di una famiglia del personale di servizio, o di quelle dei ninja di guardia!” avevano annuito insieme. Erano corsi alla Residenza del Kazekage in fretta e, per brevi momenti, Temari si era dimenticata delle proprie remore, dell’imbarazzo che provava camminando a fianco dell’uomo di cui si era innamorata.

 

Chissà cosa ne pensi di tutta questa storia…

Si domandava la giovane lanciando qualche occhiata sfuggente al ragazzo: non aveva la forza di indagare cosa si celasse dietro l’ombra del suo sguardo assorto.

Forse… più tardi tutto avrà un senso.

Sperava Temari, pregando che il tempo fosse meno crudele di quanto non fosse stato sino ad allora, con le sue rivelazioni antiche, gli affanni presenti e le minacce future. Continuarono a correre fra le strade del Villaggio della Sabbia, popolate di persone ferite e case malconce, sperando che Baki potesse fornire loro le risposte che cercavano.

 

Risposte diverse, eppure collegate alle domande che Kankurō si poneva osservando la gabbia fitta di sabbia dentro cui era rinchiuso il corpo inerme di Gaara. Dopo aver sorretto Ino per un po’, quasi sperando di sostenerla contro l’ignoto che avrebbe trovato nella mente del fratello minore, il ragazzo l’aveva distesa infine sulla sabbia, alla scomparsa della tempesta tutt’attorno a loro.

Essa permaneva soltanto su Gaara, il quale era crollato a terra come se un enorme peso l’avesse schiacciato. Nel buio creato dalla sabbia, che rimestava in balia del vento, il Kazekage si distingueva appena nella sua posa supina. La luna illuminava tutto il deserto, ma la sua luce veniva risucchiata in quell’antro oscuro, senza rischiararne neppure un granello del terreno.

I ninja della Sabbia e della Foglia si erano avvicinati a quella minuscola barriera impenetrabile, ma i loro tentativi di abbatterla erano stati respinti da un suono stridulo da cui erano stati colpiti peggio di un’arma.

Anche Kankurō l’aveva udito, condividendo con gli altri coraggiosi una strana sensazione di vuoto nella cassa toracica e un nodo alla gola che supplicava d’esser sciolto nel pianto, come se quel richiamo incomprensibile avesse la forza di distruggere l’autocontrollo temprato da anni d’allenamento. Rimiravano poi un lampo oscuro, dal vago colore rosso, simile a due occhi che si burlassero della loro stoltezza.

Soltanto Kakashi non li aveva intravisti, né aveva avvertito le sensazioni dei sottoposti e degli alleati. Era restato al fianco di Ino, sempre in piedi, fissando il corpo pallido dell’allieva di uno dei suoi pochi amici, uno dei tanti morti. Si leggeva nel suo sguardo una miscela di vorticante nostalgia e biasimo, la quale lo rendeva più umano di quanto Kankurō avrebbe desiderato.

Voleva ammazzare Gaara… non farti abbindolare!

 

Così fu la rabbia a muovere la lingua del fratello maggiore del Kazekage: “Insomma, Hokage! Non hai alcuna intenzione di darci una mano?!” latrò furente guadagnandosi le ennesime occhiate guardinghe dei ninja della Foglie e le contrapposte reazioni degli shinobi della Sabbia, i quali s’erano già tesi come corde pronte a spezzarsi.

Kakashi non rispose subito. Nel sospiro a cui s’abbandonò pesava un sentimento sfinente, da cui la sua replica partì priva d’energia: “Cosa pretendi che io faccia?” domandò atono, le braccia incrociate più per stanchezza, anziché per il desiderio di sfidare il giovane come aveva fatto al principio di quella sera. Kankurō non ebbe alcuna intenzione di carpirne la differenza.

“Sei o non sei il ninja più forte di Konoha? Cosa aspetti a distruggere questa barriera con uno dei tuoi fulmini da quattro soldi?” infierì il ragazzo avvicinandosi, mentre un folto gruppo di ninja della Foglia lo seguiva con attenzione. Alcuni avevano le mani all’altezza di shuriken e kunai, qualcuno mimava una posizione delle mani per qualche tecnica.

Kakashi si prese ancora del tempo per rispondere. Si inginocchiò di fianco a Ino, premendo le dita sul collo della kunoichi. Occhiaie violacee si delineavano sotto i suoi occhi, inscuriti da ombre che pellegrinavano in essi. “Non è di lui che ti devi preoccupare… se lei se ne va, abbiamo perso entrambi.”

 

“Ino!” il ninja della Sabbia esclamò dimentico della frustrazione iniziale, mutata con forza da un’improvvisa ondata di colpa. Corse di fianco all’amica che aveva lasciato, rendendosi conto solamente in quel momento di quante cose fossero davvero cambiate: trattenendo fra le dita il polso molle della ragazza, s’accorse che il battito stava sparendo.

“Cosa le sta succedendo?!” mormorò il giovane appoggiando il palmo della mano sull’incavo del collo di Ino: era ghiacciato, privo di qualunque calore.

Kakashi lo ignorò di nuovo, ma questa volta il suo gesto fu comprensibile: con un cenno del capo chiamò un ninja medico, il quale si chinò al fianco della kunoichi priva di sensi. La donna aveva un volto serio mentre poneva le mani pregne di chakra all’altezza della fronte della collega.

“Sta accadendo quello che immaginavo…” risposte infine il superiore di Ino, talmente piano che Kankurō dovette, suo malgrado, accostarsi vicino a lui. “Qualcuno o qualcosa sta cercando di fermarla.” mentre lo spiegava, un filo di sangue sporse da un angolo della bocca di Ino, colando dal viso al collo.

Sul volto senza pittura di Kankurō si tratteggiò il turbamento.

 

“No… Ino! sibilò il ragazzo rimettendosi vicino a lei, stringendo quella mano così triste e pallida da farlo rabbrividire. Per la prima volta da quando si conoscevano, il fratello di Temari e Gaara s’accorse che sui suoi palmi, per all’apparenza delicati, poteva percepire le impronte dei calli.

Sei uno shinobi in gamba… non mollare!

L’amico la pregò segretamente, sperando che il Sesto Hokage non gli facesse pesare quel fremito da cui era attraversata la stretta alla mano di Ino, appoggiata al suo petto.

“Secondo i miei calcoli… fra poco il suo corpo dovrebbe essere attraversato dagli stessi tagli del Kazekage.”

A che gioco stai giocando, razza di psicopatico!?

Anche se era arrabbiato, il ragazzo scorgeva la verità nelle parole dell’uomo: la mano della giovane era fredda, screpolata come se il deserto le scottasse la pelle con gli stessi effetti del ghiaccio.

Cosa posso fare… cosa…

Kankurō setacciava la sua mente alla ricerca di qualunque idea lo potesse servire, lui che era più abituato ad agire, anziché supplicare il fato di risparmiarlo. Eppure non c’era nulla che potesse aiutarlo: rimaneva coi suoi pensieri, mentre la mano di Ino perdeva quel poco calore di cui era ammantata spaccandosi, macchiandogli le dita e la maglia con poche gocce di sangue.

Aveva quasi perso la speranza, quando i polpastrelli della ragazza furono attraversati da un subitaneo tepore. L’amico, all’inizio, non capì. Sentiva le dita di Ino sempre cosparse di tagli, simili a quelli che aveva notato sul corpo di Gaara, però c’era qualcosa che la serbava da un’apparente morte lenta e crudele.

Era una forza che poteva sentire vicino al petto, fino a quando fu evidente nella luminosità bluastra del chakra di cui le mani della kunoichi si erano colorate. Allora, trasportato in una visione quasi identica al sogno ad occhi aperti di cui era stato vittima durante la guerra, rimirò Ino e la sorella con le mani strette sopra il gymnocalycium dello zio. Osservò il sangue scendere dalle dita di Temari.

Temari, ti prego… aiutami!

 

Udì nitidamente la voce dell’amica. Un rimando a una situazione che non stava vivendo.

In preda a quella sensazione sconvolgente, Kankurō sbatté le palpebre in fretta, ritornando a scorgere il placido deserto dinanzi a lui e il viso immobile di Ino sulla quale si era disteso un sorriso. Il ragazzo strabuzzò, strisciando le dita della giovane fra le sue, percependo che le piccole lacerazioni si stavano sanando.

Il chakra, com’era apparso, si dissipò dalla mano e dal resto del corpo della kunoichi, depositandosi nel suo animo nascosto ai loro occhi.

Quando alzò gli occhi da lei, Kakashi lo stava fissando. Il suo sguardo di pece ardeva. “Hai visto qualcosa?” chiese con la voce asciutta. Kankurō deglutì. Senza che se ne fosse accorto, un rivolo di sudore freddo gli scivolò lungo la nuca.

 

Il Sesto Hokage fu magnanimo. Si rivolse al ninja medico ponendogli la stessa domanda, al quale quest’ultima rispose negativamente. Il ninja della Sabbia si era ripreso, quando l’uomo gliela rivolse, ancora, in silenzio.

… credo di aver capito bene solo adesso che cosa facessero prima Temari e…” non riuscì a proseguire: la sua bocca era secca. Anche se tentava di schiarire la voce, avvertiva il tocco pungente della sabbia in fondo alla gola, per via della mancanza d’acqua in quelle ore arse dalla sete.

Kakashi decise di ignorarlo. “Come sta? Le sue condizioni quali sono?” chiese al ninja medico, la quale scosse la testa, palesando tutto il suo disappunto. “Si direbbe che stia bene, ora che questa ondata di chakra le ha guarito le ferite che stavano iniziando ad apparire… anche se… è strano” concluse chinandosi sopra il viso della kunoichi. Con delicatezza e occhio clinico, le alzò la palpebra sinistra, osservando fenomeni che il superiore e l’alleato non potevano comprendere.

Poi emise dai polpastrelli una piccola dose di chakra, quasi volesse stimolare una risposta dai muscoli attorno all’orbita. Non accadde nulla.

Il ninja medico s’issò a sedere, espirando rumorosamente. “Prima mi sono chiesta perché non riuscissi a curarla, nonostante le stessi riversando addosso tutto il chakra curativo che ho… adesso penso di aver capito” sospirò gettando un’occhiata fugace all’Hokage, sebbene il gesto non fosse sfuggito allo shinobi della Sabbia.

“Di cosa stai parlando?” sibilò il ragazzo avvertendo quell’improvviso calore andarsene dalla mano di Ino.

 

Il ninja medico fu colto alla sprovvista: Guardò affrettata il suo leader, ma lui estinse i suoi dubbi immediatamente. “Parla liberamente. Non nasconderci nulla” la donna si strinse nelle spalle, fissando la sua paziente delle circostanze.

“Si direbbe che quella improvvisa emersione del chakra fosse dovuta al fatto che lei fosse tornata indietro… e che ora non ci sia più” di fronte alle facce perplesse di entrambi, il medico si grattò la guancia, cercando le parole per esprimersi al meglio.

“Ho avuto a che fare con gli Yamanaka durante i loro stati di abbandono del corpo, se così possiamo definirli… anche se subiscono ferite nel corso della loro tecnica, possono guarire perché mantengono sempre un legame con il loro corpo. Reagiscono bene agli stimoli a base di chakra… ma qui è come se non ci fosse più nulla, anzi…” alzò gli occhi sui suoi due ascoltatori, tossendo come per trovare il coraggio di parlare.

“Sembra che ci sia una sottospecie… di resistenza a ciò che viene dall’esterno.

 

Kakashi si dimostrò particolarmente colpito da quell’ultima osservazione della sottoposta. “Be’, pare che le mie peggiori previsioni si siano avverate” mormorò trafficando con il marsupio alla cinta. All’inizio, né Kankurō, né il ninja medico capirono cosa volesse fare. Bastò che scorgessero la lama lucente di un kunai per farli agitare entrambi.

“Ehi Hokage! Cosa diavolo vuoi combinare!?” esclamò il ragazzo ponendosi in mezzo all’uomo e all’amica, bloccando ogni possibilità di tiro.

“Hokage, non credo siano necessarie misure tanto estreme!” la voce alta della donna arrivò alle orecchie degli altri shinobi, spingendoli a ritornare in prossimità di Ino. I ninja della Foglia, tuttavia, si limitarono a manifestare qualche occhiata apprensiva, mentre i ninja della Sabbia si aprirono a una protesta veemente.

“Non hai sentito cos’ha detto il mio ninja medico, ragazzo?” il Sesto Hokage apostrofò Kankurō non dando segno d’aver ascoltato nessun’altra lamentela. Per un istante, il giovane fu quasi lusingato.

“Se non risponde agli stimoli, non significa che tu possa fare quello che voglia!” ribatté aspro il ninja della Sabbia, alzando di più le braccia per impedire che l’altro potesse scavalcarlo facilmente. Nel frattempo, il ninja medico rifletteva, guardando con intensità la sabbia. Aveva il mento appoggiato alla mano.

“Non avevo dubbi… ma se non fossi io ciò di cui ti dovresti preoccupare?” la domanda del leader della Foglia ebbe il potere di spiazzare il fratello di mezzo di Temari e Gaara. La sua espressione perplessa fu nascosta dall’esclamazione di aperta sorpresa del medico. “Hokage! Vuoi forse di che…”

Proprio così” Kakashi la interruppe e, subito, calò un gran silenzio fra tutti i presenti. Si sarebbe tagliato soltanto con la lama affilata di un kunai.

 

Lo stesso che stringeva in mano il Sesto Hokage.

“La cosa che mi ha messo in guardia è stato vedere lo stesso tipo di ferite che ha il Kazekage sulla mano di Ino che stringevi” l’uomo spostò Kankurō, ponendosi al fianco di Ino. Lei riposava incosciente, con il petto che si alzava lieve a ogni respiro. L’amico la fissò incantato, la bocca socchiusa, tramortita da un’emozione difficile da identificare, se non nell’attesa.

“Ho pensato che… fosse strano vedere gli stessi effetti di una persona controllata da Nocnitsa su di lei” il Sesto Hokage levò il pugnale in alto, catturandone con il riflesso lucente gli sguardi di tutti. Il ninja medico ebbe un singulto evidente, che gli formò, visivamente, un nodo alla gola.

“L’unica cosa che rimane da vedere… è se io abbia ragione.

Il deserto era placido. Da ovest giunse l’odore salato di un oceano di cui quella distesa di sabbia era la sua più ampia spiaggia.

“Se i miei calcoli sono esatti… non vorrà che lei sparisca prima del tempo” fu solo per un frangente di secondo che Kankurō udì chiaramente il germe del dubbio nella voce del leader della Foglia. Il restante lasso di tempo fu dedicato al movimento fluido e rapido del kunai che piombava sul cuore di Ino. Una corta scintilla, capace di produrre un incendio.

 

Lo shinobi di Sunagakure immaginò che avesse lo stesso colore vermiglio degli occhi di Ino quando si spalancarono. Immaginò che quelle fiamme crescessero d’intensità in un baleno, divampando con un urlo violento zampillato dalla bocca aperta della ragazza, prima che il kunai si conficcasse nella sua meta. Fu una vampata d’energia così violenta da sbalzarli indietro tutti, colpiti da un’onda d’urto di cui non avrebbero saputo anticiparne la venuta.

Proprio come la tempesta…

Il pensiero di Kankurō rimase inascoltato dalla sua coscienza. I suoi sensi erano assaliti dal ronzio nelle orecchie, dal sapore della sabbia in bocca, per l’ennesima volta. Erano riempiti dalla vista dei ninja della Foglia e della Sabbia, fra cui spiccavano l’Hokage e il ninja medico, scaraventati a terra.

Poi, si concentrarono sul corpo inerte dell’amica, che si issava in piedi piano, guidato da una volontà che non le apparteneva, perché soppressa da quell’agghiacciante sorriso di un mostro, con la bocca screpolata.

No, Ino…

Ancora una volta, quella supplica pervenne in una mente incapacitata a formularla con la voce. Kankurō era perso in quegli occhi di fuoco che bruciavano al posto di quelli della kunoichi. Gli parlavano. Gli sussurravano qualcosa di nascosto e orribile.

Ammettilo… sei solo un perdente.

L’uomo si irrigidì sul terreno, i muscoli immobilizzati da un dolore che non aveva forma corporea. Arrivava dal passato, da memorie in cui lui era solo un ingenuo, sprovveduto, bambino. Quello scherno aveva la medesima tonalità fanciullesca.

Quella voce… è mia…

Prima che potesse riprendersi dalla scoperta, prima che quella creatura potesse usare Ino per fargli del male, si rivelò la reale differenza fra lui e il Sesto Hokage di Konohagakure.

 

L’ombra di Kakashi guizzò da terra in un battito di ciglia.

Commuovente… credevo avrei sentito quella voce soltanto nei miei incubi” le parole dell’uomo parvero molto vicine a Kankurō, forse per via del fatto che l’avesse appena protetto da un colpo partito dal corpo dell’amica. Ne vide il volto dagli occhi iniettati di sangue che ringhiava a poca distanza da quello del suo leader e la mano stretta a pugno, imbevuta di un chakra… bizzarro.

È pallido… come se stesse bruciando.

Un peso crollò sul ragazzo e, quasi, lo schiacciò impedendogli di rialzarsi. Credette che non si sarebbe più mosso da terra, attendendo semplicemente la sua morte, ma ancora una volta comprese davvero per quale motivo il leader della Foglia fosse proprio quel tipo dalla faccia da schiaffi.

Forza Kankurō!” Kakashi gli mollò un calcio allo stinco, tanto si era approssimato a lui a furia di respingere la sua sottoposta senza sbalzarla indietro. “È solo fumo negli occhi… la tua famiglia ha bisogno di te” soffiò il capo villaggio mentre il ragazzo avvertiva l’effetto del suo colpo: una scarica di dolore e adrenalina gli percorse la gamba, salendo su fino al cervello, dove la sua coscienza dimorava.

Allora il ragazzo si risvegliò. Percepì la sabbia fra le dita distese. Strinse i denti sulle labbra, infuriato contro sé stesso, più di chiunque altro.

Che un tale bastardo m’abbia dovuto ricordare chi sono…

 

Il ninja della Sabbia s’issò in piedi in un lampo, dimentico del male e di quella sensazione di vorticante nausea. Non era altro che un’illusione, perpetrata con l’inganno.

“Così ti sei intrufolata nei miei ricordi… speravi davvero di trovarci qualcosa di utile, eh mostro?” Kankurō sputò a terra la sabbia, asciugandosi il mento con il dorso della mano. La creatura lo fissava furente da oltre Kakashi, tentando invano di superarlo. La mano della ragazza era incastrata nella presa del superiore.

“Be’… devo ammettere che mi hai fatto incazzare strega!”

Non avresti dovuto fare del male né a mio fratello, né ai miei amici.

Come se Nocnitsa gli avesse letto il pensiero, l’essere spinse l’Hokage animata da quella provocazione, pur venendo trattenuta dalla presa dell’uomo. Lui irrigidì la tenaglia del braccio dentro cui le aveva bloccato il pugno, spingendola a gridare per il dolore, anziché per la rabbia.

“Bene… ora che ho rimesso a posto entrambi… Ninja!” Il leader di Konoha alzò la voce sul finale, facendo riprendere gli shinobi rimasti a terra e scombussolati dall’attacco inaspettato della creatura. Tuttavia, si alzarono in piedi con gesti lenti. Alcuni scossero la testa come se un’arte illusoria li avesse spediti in un mondo diverso dal reale. Il ninja medico che aveva soccorso Ino restò in ginocchio. Kankurō avrebbe giurato che fili di lacrime gli scendessero dagli occhi.

“Ascoltatemi attentamente! Questo essere ha preso il controllo del corpo di Ino e potrebbe tentare di entrare nelle vostre menti… di farvi ricordare qualcosa di spiacevole… o di farvi ascoltare la vostra voce da bambini” fu impercettibile, ma il fratello di Temari e Gaara se ne accorse: l’uomo aveva esitato, prima di proseguire: “ma non dovete farvi cogliere impreparati! Un intero villaggio dipende dalla vostra prontezza di riflessi.”

“Giusto Hokage!”

“Noi della Sabbia non deluderemo la nostra gente!”

 

Come diavolo faccia a passare da un estremo all’altro in così poco tempo lo sa soltanto lui…

Lo shinobi di Sunagakure rimuginò assistendo al modo in cui i suoi colleghi avevano accettato lo sprono del capo villaggio alleato, anche se pochi muniti prima l’avevano squadrato in malo modo. Eppure ne era comunque contento.

Dobbiamo restare uniti fino a quando Ino e Gaara non ritorneranno fra noi.

La speranza aveva cominciato a crescere in lui da quando aveva sentito, nei pensieri di Ino, la richiesta d’aiuto verso la sorella. Aveva compreso che l’amica non si era arresa neppure nei momenti in cui il suo corpo era sembrato spento e privo d’energia.

Sono in debito con te… Me lo rinfaccerai fino alla fine dei miei giorni!

Kankurō si concesse il lusso d’un sorriso mentre i ninja della Foglia approfittavano del fatto che l’Hokage avesse ancora salda la presa sul braccio della collega per afferrarla, rendendola inoffensiva. Era terribile vedere il volto di Ino sfigurato dagli urli mostruosi della creatura. Al ragazzo si strinse lo stomaco, ma spinse le unghie nei palmi fino a quando il dolore gli schiarì la mente.

Devo essere forte. Ino, Temari, Shikamaru e persino l’Hokage si stanno impegnando per fare in modo che il piano funzioni… non sarò da meno!

Con quella ritrovata risolutezza, il ninja della Sabbia camminò verso il gruppo di ninja da cui la furia di Nocnitsa era controllata, nonostante stessero pagando il prezzo dei loro sforzi: vide che uno shinobi aveva morso il labbro inferiore, facendo sgorgare un rivolo di sangue, mentre le altre due kunoichi sembravano sul punto di far uscire gli occhi dalle orbite, talmente tenevano le palpebre spalancate.

In principio, il giovane non intese il motivo, ma ne ebbe una dimostrazione esaustiva appena giunse al loro fianco, sbattendo le palpebre per una frazione di secondo a causa della sabbia.

Tu… sei una nullità!

 

Kankurō sbarrò gli occhi in un lampo, ritornando con difficoltà al panorama del deserto, il quale appariva sfuocato e sconquassato da un terremoto che riguardava soltanto il suo animo.

Fece fatica ad ambientarsi in quel mondo dove si rifletteva la luce candida della luna, in cui le ombre non plasmavano i contorni di una figura che, nonostante gli anni trascorsi, conosceva poco, ma dalla quale non si sarebbe potuto separare proprio come non avrebbe potuto staccarsi il cuore dal petto.

Quella forma minuscola, d’un bambino, l’aveva fissato arcigno con i suoi stessi occhi. Con la sua stessa bocca e voce l’aveva udito lanciargli contro quell’offesa. Ne avvertì una nuova, sebbene si fosse allontanato da quel luogo dove l’aveva scorto. Una diversa brutalità che lo costrinse a sentire i propri muscoli fremere.

Ma tu cos’hai di speciale?! Tanta fatica per diventare un bravo marionettista… per essere il più stupido e incompetente della grande famiglia del Kazekage!

Il dubbio attanagliò il giovane, come se fosse quell’affermazione fosse stata una parte cruciale di tutta la sua esistenza.

No… non posso averlo pensato sul serio! Vero?

Si pose una mano di fronte alla bocca, stringendo le dita sulla mascella quasi la volesse staccare dal resto del cranio, ma una sulla spalla lo fece sobbalzare e desistere dai suoi intenti inconsapevoli.

 

“Forza Kankurō… come ho detto, è solo fumo negli occhi” il ragazzo si volse verso l’Hokage che fissava la sua sottoposta. Il sospiro di Kakashi racchiudeva molta stanchezza, anche se la sua voce non ne era in alcun modo intaccata.

“Lei sta bene… non è là dentro. Dobbiamo impedire che questa creatura ci infastidisca con le sue illusioni” il ninja della Sabbia lo vide pensieroso per un attimo, mentre nella testa di Kankurō continuava a serpeggiare la sua vecchia voce, ricolma di stridulo sdegno per lui e tutto ciò che era. Ne era inebetito.

“Non so se sia possibile metterla fuori gioco… ma forse conosco un sistema che potrebbe ricacciarla dentro il corpo di Ino e bloccarla.”

“Questo non la metterà in pericolo?” domandò il fratello maggiore del Kazekage d’impulso, la voce incrinata da sabbia e instabilità. C’era qualcosa di sfuggente nell’aria: la luna piena era ancora larga e ingombrante in quel cielo sempre più chiaro, in cui la luce purpurea dell’alba lambiva l’orizzonte e consegnava l’odore salmastro di un mare lontanissimo. Sembrava quasi fosse il cielo l’oceano dove sarebbero sprofondati in un’eterna notte.

“Ovviamente, può essere solo una soluzione temporanea… anche se non so quanto sia possibile: questa… Nocnitsa non mi sembra una di quelle normali creature con cui si possa stringere un patto di sangue. È…” persino Kakashi pareva incerto. Grattò la testa con l’indice, lasciando che la chioma argenta ondeggiasse come vele d’una barca.

Sembra… più umana del dovuto” Kankurō non seppe perché, ma un singulto gli attraverso lo stomaco. Non gli piacque, per niente.

“Be’… penso che lo scopriremo quando Temari e Shikamaru avranno finito la loro luna di miele” detto questo, lo shinobi di Suna seppe che la conversazione col Sesto Hokage si era conclusa. L’uomo non aggiunse più nulla mentre si dirigeva verso l’allieva del compianto Asuma. In mano, ricomparso dalla manica della giubba, ciondolava il kunai.

 

Kankurō vide a rilento la scena, al punto da credere d’esser vittima di una delle famose arti illusorie di Kakashi dello Sharingan. Non provava quel senso di lealtà che l’aveva indotto a frapporsi fra l’uomo più micidiale di Konohagakure e il corpo inerte dell’amica. C’era attesa, forse persino speranza.

Osservò il leader del villaggio alleato impartire ordini ai ninja medico. Li vide accorrere e formare un sigillo sulla pelle di Ino, in grado di contenere all’interno lo spirito di Nocnitsa. L’Hokage si muoveva piano. La lama del kunai era rilucente di chakra.

Il fratello di mezzo di Temari e Gaara non aveva alcuna idea in merito. Del resto, c’erano così tanti misteri in quella strana storia che lo stesso riflesso della luna gli appariva semplice come un chiaro segno.

Ma di cosa?

Si chiedeva il giovane scorgendola sempre più grande e chiara, quasi li dovesse inghiottire tutti in un suo cratere grigio.

L’unico che ci capirebbe qualcosa sarebbe Gaara!

Quella riflessione, arrivata un po’ per gioco, leggera nell’intento di evocare un’immagine del fratello più serena, si tramutò in un’improvvisa sentenza di condanna.

“Attento Hokage!” urlò di getto fiondandosi verso l’uomo che stava puntando il kunai contro il petto di Ino.

Udì le grida arrabbiate degli shinobi di Konoha, i loro piedi che scattavano per raggiungerlo. Non avevano dubitato nemmeno un istante delle loro più tristi previsioni. Ma non sarebbero stati abbastanza veloci da fermarlo, non con Sasori che gli copriva le spalle. Non con la sabbia che afferrava le loro caviglie, ostacolando ciascuno di loro.

 

Arrivò appena in tempo per sbalzare il Sesto Hokage lontano dalla linea di tiro d’un dardo di sabbia. Lo comprese perché la cassa toracica sbatté contro la sua pelle, spezzandosi lungo la costola sorpresa direttamente dall’attacco.

Kankurō annaspò cercando l’aria. Trovo il dolore nel gesto del respiro, nell’osso rotto che pungolava i suoi organi vitali. Precipitò a terra deviando col braccio, per pochi centesimi di secondo, un’altra scarica di dolore alla schiena. Gemette con il fiato mozzato.

Kakashi era in piedi di fronte a lui, salvato da quella caduta rovinosa grazie al suo sconsiderato gesto di generosità.

“Spostatevi!” lo sentì gridare girato verso i ninja medico, ma entrambi non ebbero modo di vederli eseguire l’ordine del loro superiore: un’ondata di sabbia li travolse, liberando Nocnitsa dalla sua prigione. Fu la rivelazione mediante cui compresero appieno chi si era nascosto fino a quel momento.

 

Una mano minuscola si sporse dai limiti della gabbia di sabbia dentro il quale Gaara era rinchiuso. Fra fitte di dolore e rabbia, Kankurō ne riconobbe l’incarnato pallido e, quando il proprietario dell’arto si discostò del tutto dal suo nascondiglio, il ragazzo ne distinse istintivamente i lineamenti del viso, dello sguardo azzurro. Era ciò che si era annidato nei suoi ricordi alla stregua di incubi e che, in quel momento, non poteva più rinnegare.

Forse è stato meglio così… Temari non ce l’avrebbe fatta.

Il piccolo Gaara del Deserto lo fissò come se gli avesse letto i pensieri. Gli sorrise con quell’aria dolce di bambino quale appariva, sebbene fosse lezioso, vuoto, quanto un dipinto su cui poggiasse la luce. La sabbia gli scorreva attorno. Senza che Kankurō o l’Hokage se ne fossero accorti per tempo, aveva rivestito gli altri ninja presenti serrandoli in gabbia simili a quella del Kazekage.

Quel ricordo vivente era apparso dal nulla e dal nulla parlò mentre la sua creatrice lo raggiungeva facendo sì che sul corpo di Ino aleggiasse lo spettro di un chakra che non le apparteneva, carico di una negatività che penetrava nella testa, quasi impedendo a Kankurō di sentire la voce del fratello minore.

“Ciao fratellone” lo apostrofò quel bambino del passato. Ancora bloccato a terra, il ninja della Sabbia ne fu alzato da una spinta di sabbia dura come pietra, che lo tenne in piedi contro la sua volontà.

Avvertiva i muscoli e le ossa doloranti. Con la coda dell’occhio mirò Sasori inerte a distanza da lui. Ma i suoi erano tramortimenti di poco conto in confronto a quel sorriso, a quella voce gelida con cui aveva sperato di non dover convivere mai più.

“Pronto a morire?” un soffio sfuggito da labbra innocenti per età, non per inesperienza nel pronunciare quel tipo di minacce. Kankurō ne fu profondamente ferito, per motivi tanto diversi fra loro.

“No, Gaara… non lo sono mai stato” rispose sentendo la propria voce malinconica.

Il bambino non replicò. La sua reazione fu il guizzo d’un dardo di sabbia che partiva per il cuore del fratello maggiore.

 

Il crepitio viola d’un fulmine a ciel sereno ne distrusse la forma, spargendo granelli di sabbia ovunque. L’Hokage era in piedi, respirava a fatica, ma un altro fiotto purpureo gli scoppiettava fra le mani. Lo scagliò al suolo, inondando la sabbia tumultuosa di lampi con cui disfò la consistenza delle gabbie da cui gli shinobi erano fermati, rigettandola nella spuma di un deserto oceanico.

Parve che un unico sospiro s’issasse dai loro polmoni compressi. Lo stesso Kankurō ritrovò un po’ di vigore percependo i muscoli delle braccia e delle gambe scarcerati dalla presa della sabbia di Gaara.

In momenti come questi… vorrei che ci fossi tu al mio fianco.

Il ragazzo sorrise. Il suo pensiero raggiunse il ricordo di una kunoichi che l’aveva medicato tante volte, salvandogli addirittura la vita una volta. Pensò a quei capelli rosa che gli cadevano sul viso quando stringeva una fasciatura sul suo braccio, a quegli occhi verdi che s’alzavano sul suo viso e gli sorridevano ancor prima di compiere il gesto con la bocca.

Kankurō ne restò rapito più a lungo di quanto avrebbe dovuto, smarrito in una sensazione di perduta speranza che lo accomunava a quella visione. Ne udì un fugace momento, tratto da una chiacchierata di cui ricordava ben poco, se non il desiderio inespresso d’abbracciare quella giovane e quella sua voce dolce, dentro cui dimorava uno spettro che non era mai riuscito a scacciare via da quei momenti.

“Coraggio Kankurō! Non fa bene al morale vedere il fratello del Kazekage così dolorante!”

 

Hai ragione… come potrei darti torto?

A quel punto, il giovane rialzò gli occhi dal terreno incrociando la figura eretta dell’Hokage. Lui guardava davanti a sé il fianco del piccolo Gaara e il corpo di Ino posseduto da quegli occhi rossi e da quella bocca contorta in un ghigno. Poteva avvertirne l’incanto sul suo cervello appena riscossosi da quel suo rifugio personale e ne notava l’effetto anche sui ninja liberi dalla presa della sabbia, i quali sembravano ondeggiare a un vento impalpabile, travolti da riflessioni che si leggevano sui loro sguardi affranti.

Alcuni piangevano. Il ninja medico che aveva soccorso Ino era rannicchiata a terra, scossa da tremori. Erano tutti vinti dalle immagini di quella strega.

Restiamo solo io e l’Hokage…

Sasori schizzò al suo fianco, guidato dal richiamo del chakra fra le dita del suo padrone. Per un istante, la marionetta gli rammentò come l’avesse ottenuta e, soprattutto, chi l’avesse sconfitta rendendola solo il ricordo della persona che, un tempo, era stata. Sakura aveva sempre la forza di ritornargli nella mente.

“Ehi moccioso… pensavi che sarebbe bastato così poco per fermarci?” Kakashi parlò con tono di scherno, però la situazione e il suo corpo lo tradivano: i suoi shinobi e gli alleati non erano in grado di sostenere nessuno scontro e le sue spalle rabbrividivano sotto il peso respiro, quasi questo potesse spezzarsi da un momento all’altro. Le ombre da cui le sue orbite erano circondate contrastavano con il suo sguardo sgranato a forza.

Gaara non trovò necessario scrutarlo. Fissava il fratello maggiore con una strana furia che indusse il ragazzo a indietreggiare. Gli incubi di Nocnitsa, i sussurri della sua voce da bambino, picchiavano i limitari del suo inconscio, ma non lo avevano piegato.

“Credevo che un assaggio ti avrebbe sistemato, ma mi sbagliavo… vuoi essere colpito dove ti farà più male” replicò il Gaara del passato avanzando verso il suo obiettivo, mentre la creatura da cui il corpo di Ino era guidato si dirigeva verso Kakashi.

Così deve essere…

Kankurō esalò un sospiro, portando le mani vibranti di chakra all’altezza del viso. Sasori seguì i cenni delle sue dita, frusciando davanti al suo marionettista. Scintille di fuoco già scoppiettavano dalla schiena dell’arma.

“Morirai per mano di un tuo ninja…” sibilò Gaara un’ultima volta contro il suo pari grado. Poi, ordinando alla sabbia un balzo immenso, chiuse definitivamente i rapporti con quella figura che non lo interessava granché, rispetto a Kankurō.

 

“Allora fratellonedove eravamo rimasti?” domandò il bambino mentre la sua sabbia copriva il cielo issando un muro tramite il quale sigillò quello scontro privato dal resto del mondo. Una discussione fra fratelli.

Il maggiore tese i muscoli, armeggiando con la tasca dei pantaloni dove si trovavano le pergamene con cui poteva evocare le altre marionette. Solo il cielo poteva sapere quanto gli sarebbero servite!

“Al fatto che tu sei solo un brutto ricordo del passato… e che mi dispiace considerarti tale” Gaara rise mandandogli un brivido lungo la schiena. Aveva un che di quella risata di cui si sarebbe ammantato una volta cresciuto: eterea, come l’ultimo sogno prima di svegliarsi.

“È un po’ tardi per credere a certe cose, non trovi?” chiese il bambino accarezzando un fiotto di sabbia che lo stava affiancando. L’unico contatto che aveva avuto per tanti, troppi anni.

“In questo mondo esisteremo soltanto io e la sabbia, fratellone… adesso muori e lasciami respirare” finì così il loro scambio, quasi fosse stato un’espressione tardiva di quell’epoca vissuta scrutandosi con rabbia e timore alteri. Iniziò quella lotta a cui non erano mai davvero giunti.

 

La sabbia di Gaara scattò dappertutto, causando una mareggiata polverosa impressionante per un bambino tanto piccolo e per un obiettivo singolo.

Con Gaara le cose non sono mai state semplici…

Rifletté il fratello amaro. In circostanze diverse si sarebbe messo a ridere. Invece, indurì il viso balzando in aria, deviando parte della sabbia con lo Scudo di Luce Meccanica inserito nel braccio di Sasori. Riuscì a evitare che la sabbia gli ostacolasse il salto, o che penetrasse fra i delicati ingranaggi della marionetta.

Ma chissà per quanto tempo riuscirà a tenerti testa…

Kankurō si muoveva in automatico, condotto da fili che non erano fra le sue mani, eppure connessi al suo istinto e alla sua esperienza. Con un’unica e fluida articolazione delle dita, dallo stomaco di Sasori fece guizzare il cavo imbevuto di veleno, mediante cui bersagliò il fratello al suolo. Un attacco inutile, privo di mordente. L’aveva già capito.

La sabbia si era scontrata con l’arto artificiale della marionetta. Il piccolo Gaara del Deserto aveva fissato lo spettacolo a braccia incrociate.

In fin dei conti… sei o non sei il Kazekage dalle difese impenetrabili?

Kankurō si scoprì a sorridere. Un misto d’orgoglio e compassione che lo portò oltre i confini di quella battaglia già scritta, perché la sua conclusione era scontata.

Mi dispiace, fratellino… credo davvero di essere stato la tua più grande delusione.

Il ragazzo evocò Karasu e Kuroari, in modo tale che le marionette s’insinuassero nel mezzo della piccola tempesta di sabbia aizzata da Gaara contro di lui. Dovevano intrappolarlo, ma il fratello maggiore conosceva il risultato di quel nuovo tentativo. La sua spinta verso l’alto stava scemando. L’unico modo per difendersi dal tumulto creato da Gaara era pregare che le difese di Sanshōuo non saltassero.

Almeno Temari aveva la scusa di essere un bersaglio avvincente… ma di un fratello che manda avanti le sue marionette cosa te ne saresti dovuto fare?

Sanshōuo sbucò dalla restante pergamena, la sua ultima risorsa. Si avviluppò attorno al padrone come un fedele sottoposto disposto a dargli la vita. Quando precipitarono a terra, il ragazzo capì che stava rimandando l’inevitabile.

La tempesta sbraitava contro le pareti della marionetta, scovando qualche spiraglio dove intrufolarsi. Il ninja ne sentì l’odore marcescente che lo spinse ancora più a fondo nel suo stato quasi semicosciente.

In fondo… sono solo una tua brutta copia.

 

Lui e la marionetta si schiantarono. Le ossa rotte s’impadronirono del suo cervello, scagliandogli addosso un macigno di dolore. Kankurō urlò, le dita rattrappite nei palmi delle mani. Il fiato entrava nei polmoni solo per prolungare la sua sofferenza.

Sakura… dove sei?

La domanda ebbe un’improvvisa risposta al suo fianco, ove confluirono tutti i suoi ricordi della kunoichi: accanto a lui, non poteva nulla per il male che stava cominciando a sfaldare i suoi sensi, fino a farla rassomigliare al miraggio che era. Eppure, la sua voce era dolce e chiara come la rammentava, piena di malinconia.

“Coraggio Kankurō! Non fa bene al morale vedere il fratello del Kazekage così dolorante!”

 

A quel punto, una risata arsa secca gli uscì dalla gola dentro cui cresceva la quantità di sabbia. Con essa, l’immagine della ragazza sparì dalla sua memoria, salvandolo da quel mondo fatto solo di puro dolore.

Hai ragione… come potrei darti torto?

Il male passò. Venne respinto da quel ritrovato coraggio che gli aveva concesso di rialzarsi in piedi scardinando la placca con cui era chiuso il dorso di Sanshōuo, simile a un’enorme lucertola. La tempesta di sabbia non era più tanto persistente: aspettava, pazientemente. Plasmava uno spiazzo in cui l’atmosfera era immobile. Un luogo dove poté incrociare gli occhi di Gaara senza paura di restare accecato dal pulviscolo. Quella memoria vivente lo fissò con un sorriso beffardo, il quale non si estese oltre i limiti delle labbra.

“Delle difese banali, Kankurō. Avresti dovuto imparare meglio la lezione delle mie armature di sabbia.”

Il ragazzo esplose in una risata fragorosa, quasi inducendo un sobbalzo al fratello minore. Il ninja della Sabbia aveva un male tremendo. Ogni muscolo si contraeva, portando col suo moto un osso spezzato che lo feriva internamente.

Ma non poteva smettere. Sentiva la voce di Sakura che lo incoraggiava da dentro il suo cuore. Avrebbe persino pianto dal ridere, se il rischio di un fraintendimento da parte di Gaara non avesse respinto le lacrime indietro.

“Hai ragione, fratellino... ma cosa sarebbe l’artista senza un imitatore?” la sua voce era ilare, pur avvertendo il suo corpo che si ribellava alla volontà. La sua mente, invece, ripensò a quei pomeriggi d’infanzia passati a fare e disfare i marchingegni di Karasu. Era sempre pronto a immaginare con quale sistema riprodurre meglio le abilità difensive di Gaara, o quali armi inserire nei meccanismi per superare le abilità offensive di Temari.

Fratelli miei… sono solo una marionetta che si finge umana.

 

Gaara aveva perso il sorriso. Scrutò a lungo il viso di Kankurō, quasi desiderasse perforare quegli occhi bruni e lucidi, in cui scintillava uno spirito indomito. Eppure, quello sprovveduto fratello maggiore non poteva nulla contro il potere di quel Gaara infantile, che non aveva né la forza, né la volontà di fermare.

Lasciò che la sabbia lo circondasse e risalisse il suo corpo stanco, sebbene fosse all’apparenza fiero. Scorse gli occhi di Gaara un’ultima volta, prima che il buio si chiudesse su di lui.

“Allora farò in modo che la copia sparisca da questo mondo, lasciando intatti gli originali… spero che la sabbia non ti uccida troppo presto” udì la voce di Gaara ovattata nelle orecchie già piene di sabbia. Gli stava perforando i timpani.

Kankurō sentiva un dolore atroce, ma non poteva gridare. La sabbia s’infilava nelle fessure della bocca, cercando una breccia fra i denti serrati.

I miei peggiori incubi si stanno avverando…

Negli occhi ormai completamente rivolti indietro, rivissero i volti atterriti di tutti gli shinobi che avevano incontrato la morte nelle tombe di sabbia predisposte da Gaara. Rammentò il rumore delle loro carni che si spappolavano e il clangore delle loro ossa. Si chiese se anche il suo corpo avrebbe subito lo stesso disgustoso effetto.

Almeno… la mia morte non sarà dovuta a una schifosa strega.

Kankurō ebbe un singulto alla cassa toracica, proprio mentre la sabbia gli spezzava qualche altra costola. Eppure, i suoi pensieri lo abbandonavano solo per andare agli unici due ninja di cui conservasse la memoria, in quegli istanti di veglia.

Dove siete?

Il buio inghiottì il suo corpo, ma non la sua domanda.

 

Ino… dove sei?

In un altro universo oscuro, la kunoichi della Foglia udì quelle parole pronunciate da una voce familiare. Non era la sua, né di qualche altro ninja che fosse rimasto con lei nel deserto. Quando aprì gli occhi, si spalancarono dallo stupore.

Temari la fissava dall’alto, sorridendo. Non era veramente la donna che conosceva. Lo distingueva chiaramente dall’alone bluastro da cui era circondata, quasi rendendo il suo corpo informe. Aveva, inoltre, la capacità di riversarle nel corpo un gran tepore, da cui era sospinta a mettersi a sedere.

“Dove siamo?” chiese Ino rammentando tutto quello che aveva fatto prima che svenisse. L’immagine di Temari giunta in suo aiuto non rispose, forse non ne aveva la capacità Lasciò che la kunoichi alleata percepisse sotto i palmi gli spigoli del suo ventaglio d’acciaio e, fra i capelli, il vento.

Siamo in alto… ma in quale parte della mente di Gaara?

Osservò la giovane. S’affacciò da uno dei bordi dello strumento sopra cui entrambe viaggiavano. La sorpresa ebbe modo di afferrarla nuovamente.

“Questo… Questo è…”

 

“Proprio così, Ino. È l’Assalto al Villaggio della Foglia.”

 

Continua nel Capitolo VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce ***


Capitolo VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce

 

“Proprio così, Ino. È l’Assalto al Villaggio della Foglia.”

Temari soggiunse in suo aiuto, continuando a sorvolare il panorama di distruzione che, un tempo, il Suono e la Sabbia avevano inferto sul villaggio natio della giovane. Lei osservò con un nodo alla gola le abitazioni, così familiari, sbriciolate dagli attacchi dei nemici, in una dimostrazione di violenza che non rammentava d’aver intravisto all’epoca.

Cosa… Chi ha fatto tutto questo?

 

Si sarebbe fatta beffe della sua ingenuità, se soltanto ne avesse avuto la possibilità: il suo cuore ferito frenò ogni sarcasmo, per quanto patetico fosse. Sotto quel cielo rosso e nero per via del fumo degli incendi, in quell’aria pesante nei polmoni, Ino riconobbe l’incubo di quei giorni lontani, eppure attuale nella memoria del Kazekage.

“Ti prego Temari… dobbiamo trovarlo” disse la kunoichi della Foglia con tono dimesso, percependo la debolezza del suo spirito. Si sentiva piccola, impotente, scorgendo ricordi di persone indistinte, che appartenevano a tutti i popoli conosciuti dal giovane leader della Sabbia, e da cui era plasmata una folla dove passato e presente si sovrapponevano fra loro.

C’era la gente di Konoha che battagliava contro gli shinobi del Suono. C’erano persino gli abitanti di Iwa che piangevano agli angoli delle strade, pregando il cielo di risparmiarli. Nelle ombre, Ino riconosceva i ninja di Kiri per via del coprifronte, i quali perlustravano le macerie con sguardi pieni di malinconia.

Dov’è… dov’è il tuo popolo, Gaara?

 

L’alleata della Sabbia rispose alla sua preghiera: planò velocemente, seguendo le correnti verso una massa enorme, i cui contorni erano confusi dal fumo e dalla lontananza. Poi, quando ormai l’avevano raggiunta, l’erede del clan Yamanaka capì quale fosse il motivo di un aspetto tanto informe: la creatura, simile a un animale dalla coda lunghissima, era completamente sovrastata dalla sabbia.

La ragazza impallidì, deglutendo a vuoto. Comprese anche la ragione per cui non avesse notato gli abitanti della Sabbia nel precedente panorama di devastazione: erano intrappolati fra la sabbia e la pelliccia dell’essere. I loro visi terrorizzati erano trasformati in statue viventi.

Questa è la Bestia a Una Coda… Shukaku!

La giovane kunoichi non aveva memoria di quella creatura, se non quella legata alla Quarta Guerra Mondiale dei Ninja. Come molti altri suoi coetanei, all’epoca dell’Assalto alla Foglia, era stata vittima di un genjutsu che le aveva indotto un sonno profondo, impedendole di partecipare alla difesa del suo villaggio, al fianco del padre e di Shikamaru.

Impedendomi di proteggere il Terzo Hokage…

Ino percepì lo spettro di lacrime di cui aveva già asciugato il segno da tanti anni. Aveva considerato quel vecchio capo villaggio come un matusa a cui sarebbe mancata la volontà di fronte al pericolo. Invece, l’aveva smentita nel modo più assoluto. Un altro Kage si era guadagnato lo stesso tipo stupore da parte di chi l’aveva conosciuto in tenera età.

Dove sei, Quinto Kazekage del Villaggio della Sabbia?

L’erede del clan Yamanaka setacciò le pieghe della pelle della bestia con lo sguardo, cercando fra i volti insozzati dalla sabbia quello del loro leader. Fu la sorella di quest’ultimo, infine, a indirizzarla per la strada giusta, rammentandole i particolari di un hiden di cui aveva solo sentito parlare.

L’Ospite… riposa sempre sulla testa.”

Allora, Ino lo vide. Riconobbe quel suo corpo inerte, racchiuso per metà dentro un involucro di pelle e sabbia. I suoi occhi erano chiusi e l’espressione appariva stanca persino quando era incosciente.

Gaara…

 

Un pensiero che era poco meno di una supplica, già esasperata da quella situazione paradossale, da quel ragazzo che si rifiutava d’uscire dal suo dolore. Ino strinse i bordi affilati del ventaglio fra le dita. La ferirono, ma furono un aiuto in mezzo a tanta, penosa frustrazione.

“Temari… come lo raggiungiamo?” chiese con la voce tremante. Il tanuki non offriva, infatti, una zona d’atterraggio semplice: aizzava la sabbia di cui era rivestito ovunque, sfaldando le abitazioni del villaggio e la foresta vicina quasi fossero trascinate da una marea di fango. Il suo capo zigzagava a destra e a sinistra, alla ricerca di prede per la sua furia a cui rivolgeva zampate capaci di sconquassare la terra. Quando Ino rialzò gli occhi, Temari le sorrideva.

“Mi hai chiamata per un motivo, amica mia… distrarremo il suo gelosissimo custode.”

La donna le rispose in un unico sospiro. Appena ne produsse un secondo, il suo corpo etereo baluginò nell’oscurità d’un cielo fumoso e di fiamme acri. Un barlume di speranza in mezzo al buio. Al terzo sospiro, la volta celeste si cosparse di punti luminosi. Guizzavano in ogni direzione, simili a stelle cadenti che volessero esaudire un desiderio.

I kamatari!” Ino spalancò gli occhi. Le creature evocate da Temari si riunirono in formazione e, con una spinta compiuta all’unisono, volarono verso il muso di Shukaku, distogliendolo dalla sua rabbia senza un obiettivo preciso. Gli esseri simili a donnole lo perseguitavano schizzando da una parte all’altra del suo campo visivo, ottenendo tutta la sua attenzione. Fu sufficiente perché le due kunoichi potessero avvicinarsi al Monocoda fino a balzare indisturbate sopra la sua testa.

“Coraggio Ino…. Non abbiamo molto tempo prima che spariscano” l’amica annuì seguendola verso la sommità del capo dove Gaara riposava.

 

Quando la ragazza scorse la sua schiena immobile, le sue spalle cadenti, le sue braccia inerti, non le sembrò che dormisse. Le ricordò un ninja nemico sconfitto, che attendesse rassegnato la sua sorte. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra. In fretta, si portò di fronte al Kazekage appoggiando le mani sul suo volto.

“Ti prego… svegliati” l’implorazione cadde vana su quel volto di cera, una maschera da sepoltura ideale per un defunto dal passato illustre. L’idea l’atterrì. Le sue dita strisciavano su una pelle liscissima, priva d’imperfezioni.

Siamo arrivate tardi” un sibilo che aveva sconfinato oltre le sue barriere mentali per concretizzarsi nel mondo costruito dalle scelte del Kazekage, palesando la paura più grande della giovane Yamanaka. Talmente si sentiva responsabile di quello spettacolo macabro che l’aria le abbandonò i polmoni.

Un’ancora di salvezza le agganciò una spalla, salvandola da un mare di disperazione. Temari sorrideva ancora. Era più effimera di un sogno a occhi aperti. “Sono qui per questo, Ino… lascia fare a me.”

Sotto gli occhi attoniti dell’amica, la donna s’accovacciò di fianco al fratello premendo la fronte contro la sua. Aveva allungato una mano avvolta dalla luce per circondargli le spalle, stringendolo in un abbraccio dal vago sentore d’un desiderio che quei due fratelli condividevano in segreto. Temari aveva uno sguardo talmente dolce che Ino avvertì l’impulso d’allontanarsi, provando la vergogna di disturbare un momento di cui non doveva essere spettatrice. Ma la kunoichi della Sabbia la trattenne, afferrandole una mano.

“Va bene così, amica mia… non posso restare a lungo”

Condusse le sue dita verso la fronte di Gaara, irrorandole della stessa luce che, lentamente, consumava la sua figura fiera anche in quei frangenti di tenerezza. “L’ultima cosa che posso fare… è aiutarvi.

 

Un sussurro leggero, come ogni cosa divenne dopo quelle parole. Ino rimirò il bagliore che da Temari si spandeva sommergendoli in un tepore confortevole. Leniva il dolore e la paura. Un abbraccio pari a quello che la donna aveva donato al fratello.

In mezzo a tutto quel chiarore, a Ino parve di rivederlo, ma questa volta messo in atto da due ragazzi più piccoli, appena ritrovatisi dopo uno scontro da cui entrambi avevano rischiato di non ritornare. Ino lo sapeva, anche se non era stata presente nel momento in cui Naruto aveva sconfitto Gaara, salvandoli.

Temari sosteneva il futuro Kazekage del villaggio aiutandolo a camminare e Kankurō faceva altrettanto al fianco opposto. Ma la sua versione dei fatti non era parte di quanto la kunoichi della Foglia osservava.

Era il battito di cuore della sorella di Gaara che percepiva come se fosse il suo. Era il suo respiro, gravato dagli ansimi, che le saliva su per le narici. Erano le sue lacrime che le scendevano lungo le guance, inducendo il suo corpo a sussultare affranto. Poi, udì quelle parole che avevano scosso Temari, pronunciate in un tono trascinato da una stanchezza che riguardava tutto quanto quel fratellino aveva sofferto in una vita così breve.

“Temari, Kankurō… perdonatemi.”

 

Allo stesso modo di come li aveva inglobati in essa, la luce svanì. Lo spirito della kunoichi della Sabbia non c’era più. Ma le ciglia del fratello vibrarono.

“Gaara…” Ino mormorò accostandosi a lui, appoggiando le mani sulle sue spalle ora sostenute da un ritrovato stato di veglia. La ragazza percepì il calore dell’amica che l’abbandonava, pur offrendole un’eredità importante. Un’ultima raccomandazione prima di sparire definitivamente.

Ino… te lo affido.

Alla fine, Gaara aprì gli occhi. La kunoichi lo fissò mentre il suo sguardo azzurro metteva a fuoco il resto di quel mondo personale da cui era circondato e notava il suo volto solcato di lacrime. Avvertì le sue spalle irrigidirsi sotto le dita, il suo respiro che fuoriusciva affrettato dalla bocca.

Ino…” sussurrò alzando le mani sulle sue guance, asciugandole. Aveva una delicatezza tale da farla sentire la più giovane dei due. Eppure era lei la più grande, colei a cui era stato dato il compito di liberare Gaara da quel carcere a cui si era condannato spontaneamente. Perciò parlò con voce ferma, sebbene carica di emozione per quanto aveva assistito. Era consapevole che anche quel leader tanto giovane ne era stato colpito in egual misura.

 

“Tua sorella… ti vuole davvero bene.”

Era una considerazione semplice, eppure le appariva così straordinaria. Persino lei, Shikamaru e Chōji avevano avuto più possibilità di formare un legame solido come quello di una famiglia. Dalle chiacchierate con Temari e Kankurō, sapeva che entrambi provavano dispiacere per questo. Era certa che anche il ragazzo di fronte a lei serbasse lo stesso sentimento nel suo cuore.

Lui si limitò a fissarla. Le sue dita erano un po’ più calde. Il suo sguardo aveva una vena di rimpianto che luccicava a ogni battito di ciglia. “Ormai… non ha più importanza… non c’è nulla che possa essere fatto per me” la kunoichi scosse la testa vigorosamente udendo il fatalismo da cui era permeata la replica del Kazekage. Gli prese i polsi distogliendolo dal tentativo d’arginare le sue lacrime, in modo che l’ascoltasse per davvero.

“Gaara… c’è ancora tanto che può essere fatto… ti sei lasciato un sacco di cose alle spalle” la sua voce riverberava tutt’attorno a loro. L’Assalto al Villaggio della Foglia si stava lentamente dissolvendo, lasciando solo un vago rumore di sottofondo e una luce che derivava dagli ultimi rimasugli dell’energia di Temari. Il bianco del nulla si stava chiudendo su di loro, scarcerandoli da una parte del dolore provato da Gaara.

“Hai… hai chiesto perdono per tutto quello che hai fatto… hai offerto la tua vita al villaggio e hai rischiato di perderla per proteggerlo” quell’affermazione formò un’ombra nello sguardo del giovane, ma Ino non se ne curò. La sua voce era sospinta dalla bramosia di dirgli cosa credeva potesse soccorrerlo da sé stesso.

“E… durante la guerra, chiunque ha avuto modo di capire cosa ti fosse stato fatto.”

 

In quel momento, anche l’ultimo scorcio del ricordo svanì. Restarono loro due, la luce candida e il silenzio. Ino deglutì, un fremito la percosse come uno schiaffo. Gaara aveva le mani ferme in alto, tenute per i polsi da lei. Tuttavia, il suo sguardo bruciava come se tutto il fuoco e la rabbia dell’evento passato si fossero riversati nel suo cielo cristallino.

“Davvero? E cosa mi sarebbe stato fatto, esattamente?” la ragazza spalancò gli occhi, trasalendo. Non si era neppure resa conto che era stato il giovane a pronunciare la domanda, talmente le era arrivata affilata quanto il lancio di un kunai.

“Gaara… ti hanno manipolato come se fossi un giocattolo” poco prima che concludesse la sua replica, il Kazekage strattonò i polsi dalla sua presa. Fu un movimento rapido, netto. L’erede del clan Yamanaka percepì le dita frustate con violenza. Si afferrò le mani una alla volta, inspirando a denti stretti: la pelle avvampava per il male.

“Così le mie colpe sarebbero giustificate perché qualche idiota pensava fossi un esperimento divertente?” Ino fu ferita da quella domanda, fredda nel tono come le notti del deserto. Rialzò gli occhi dalle sue mani per incrociare lo sfarfallio delle fiamme in quello sguardo gemello al suo nella sfumatura, sebbene fosse molto più crudele. Rabbrividì. In un istante provò un’enorme vergogna.

“No Gaara… non volevo dire questo.”

Quanto sono patetiche le mie difese…

 

Ino si sbugiardava già nel suo animo, aprendo la strada a quell’espressione gelida che si avvicinava piano al suo viso, impartendogli il silenzioso ordine di restare immobile. Non reagì nemmeno quando la mano di Gaara salì alla sua nuca, agguantandole la pelle con forza. Trasalì, gemendo dal dolore.

Davvero… nella tua mente le cose feriscono come nella vita reale.

Le sue riflessioni amare trovavano verità in quegli occhi che era costretta a fissare. Le occhiaie di Gaara non erano altro che il limitare d’un cerchio di fuoco. “Hai una vaga idea di quanto piacere provassi nell’uccidere? Nell’annullare completamente un avversario fino a quando non restava altro che un mucchio di carne e ossa?”

Le iridi della giovane vibrarono, ma non potevano in alcun modo piangere. Il cuore le batteva all’impazzata, l’istinto le intimava di muoversi mentre la paura la frenava, mentre Gaara si accostava al suo orecchio soffiando una sentenza che dava nome alla più tremenda delle torture.

“Vorresti provare queste emozioni sulla tua pelle?”

 

“No!” La voce di Ino le morì in gola. Ebbe giusto il tempo di afferrargli le spalle, prima d’esalare un gemito di dolore. Strinse l’immagine del leader della Sabbia che spariva. L’ultima sensazione tangibile a cui poté aggrapparsi era la mano del ragazzo ben salda sulla sua nuca, da cui era costretta a precipitare nel vuoto, dentro un universo estremamente pericoloso.

Sono in balia dei pensieri di Gaara...

Come lo pensò, sapendo bene di mostrare le sue riflessioni al ragazzo che aveva preso il controllo della sua percezione delle cose, la voce del giovane la circondò, conducendola in un panorama buio.

“Vorresti vedere i miei primi omicidi dopo la morte di Yashamaru?”

La voce di Gaara era cortese oltre ogni dire, eppure Ino ne avvertiva il veleno addosso. Era una macchia scura che scivolava via da lei per plasmare gli attori di quello spettacolo imposto, le facce terrorizzate dei ninja della Sabbia che imploravano pietà e, in cambio, ricevevano il fracasso delle loro ossa che si spezzavano a causa della sabbia. La giovane Yamanaka sospirò, alzando una barriera difensiva contro quelle sensazioni dei ricordi, eppure ne venne investita comunque, quasi fosse un naufrago alla mercè del mare.

Un violento piacere l’assalì, tramutandosi in un sospiro crudele, persino dolce, da cui i suoi polmoni furono spinti ad allargarsi fino al limite, come se quelle morti improvvise avessero aumentato il suo spazio vitale. Ino singhiozzò, percependo quel suo corpo fluttuante, privo di sostanza, abbandonarsi verso quegli stralci di passato da cui era avviluppata. La sua vista perdeva contatto con la sua volontà e riproduceva qualunque cosa Gaara volesse mostrarle, senza celare nulla.

Così tanta rabbia… così tanta sofferenza.

I pensieri della kunoichi vorticarono pieni di tristezza. Parve che il buio si stringesse, opprimendola.

 

“Forse non è abbastanza, in fin dei conti mi stavo semplicemente difendendo… Vorresti rivivere le morti dei genin durante l’esame di selezione dei chūnin? La mia indifferenza alle loro grida?

Ti prego Gaara… fermati.

La sua richiesta era priva d’energia e lui non l’ascoltò. Il buio diffuse le urla strazianti dei ragazzini contro cui si erano sfidati nella Foresta della Morte. Genin che non aveva mai incontrato per pura fatalità e che, ora, ritornavano in vita soltanto per morirle di fronte con i loro pianti, con la sabbia che li annientava dentro i suoi sarcofagi. Un’altra ondata di appagamento, questa volta più fredda, la travolse al punto da svuotarla delle sue emozioni.

Era ciò che sentivi, Gaara?

Lui non le rispose. Non l’apostrofò con quelle sue domande garbate e altere. Le spalancò la porta a una nuova scena del passato, non soddisfatto delle sue reazioni, del fatto che si fosse lasciata incatenare in quella prigione di incubi senza opporre molta resistenza. Così la colpì usando l’unica arma davvero efficace: i suoi legami.

L’oscurità disvelò l’ultimo atto di una sceneggiata senza capo, né coda: modellò il volto impaurito di Temari mentre veniva attaccata da un arto di sabbia, deformato in una sembianza animalesca. I ricordi di Gaara le diedero tutte le informazioni sul contesto, relativo a quell’infruttuoso Assalto al Villaggio della Foglia. Ma quanto vedeva non faceva parte dei piani del Suono e della Sabbia. Era uno sfogo inaspettato. Il capriccio di un bambino.

Non andare oltre…

 

Ino rabbrividiva e scompariva in quella visione, nel gusto vendicativo a cui quel Gaara si era abbandonato colpendo la sorella. La ragazza era talmente provata da non percepire altro di sé stessa, se non quella richiesta lieve che tentava di articolare con la mente.

Non ferirci entrambi in questo modo…

In un baleno, quella visione cambiò obiettivo per prendersi gioco della sua ritrosia, per ottenere quella reazione disperatamente ricercata dal suo carceriere. I sensi della giovane, completamente in simbiosi con quelli del Kazekage, balzarono su Sakura.

S’interessarono di quella sua posa difensiva inutile, ancor prima di combattere. Vide il kunai alzato dell’amica. Fremeva insieme alle sue spalle, insieme all’animo di Ino. La sabbia deforme la raggiungeva. Il cuore di quel ragazzo antico batteva all’impazzata.

Basta!

 

Ino tuonò con la paura di morire per l’intensità della sua emozione. Aveva squarciato il velo d’ombra credendo di gettarsi a proteggere l’amica. Invece, era di nuovo in quello spazio luminoso, di fronte a Gaara. Le mani della kunoichi tremavano aggrappate alle sue spalle. La sua vista era proiettata verso il basso, ma non c’era la patina lucida delle lacrime a offuscarla. Aveva due occhi vuoti. Un animo vuoto.

Il Kazekage colse il brivido di quel suo corpo apparente. Appoggiò le mani sulle sue spalle chine, contenendo in parte il tramortimento che impediva alla kunoichi di concentrarsi, di riprendere contatto con la situazione in cui lei si trovava. Eppure, la voce del ragazzo non fu magnanima come il suo gesto.

“Questo è solo un assaggio… Yamanaka Ino.

Aveva la voce ferrea di quando l’aveva trascinata in quel viaggio degli orrori. Il respiro di Ino continuava a essere lento e carico di ansimi.

“Non ti trovi di fronte a un giocattolo… ma a un mostro.”

Ino sbuffò. Il suo corpo s’allargava e si comprimeva. La ragazza si percepiva un po’ meglio, anche se era instabile, sul punto di distaccarsi dalla mente del Kazekage per colpa di un peso da cui era schiacciata.

“Vattene da qui, prima che diventi il tuo peggior incubo.

A quel punto, un moto improvviso la scrollò, ma era completamente diverso da quanto aveva sperimentato. I suoi muscoli si contrassero attorno allo stomaco, spingendola a sospirare una risata flebile come riflesso del gesto. Con lentezza, Ino rialzò gli occhi su Gaara osservando la sua espressione interdetta, sebbene fosse dotata di uno sguardo sempre battagliero. Glielo puntava addosso minacciandola, però era un tentativo vano. Lei aveva capito.

 

Stirò la bocca in un sorriso con cui sforzò i suoi muscoli facciali al limite. Ogni movimento, per quanto minuscolo, era una sfida contro la sua paura, la sua fragilità, il suo desiderio di andarsene. Con delicatezza sollevò una mano sul viso di Gaara, sfiorandogli la guancia. Toccò quella pelle sempre priva d’imperfezioni.

Il silenzio regnava sulle mille domande che il ragazzo avrebbe voluto soddisfare. Fissava lo sguardo di Ino, ancora parzialmente vinto da quanto aveva vissuto. In esso, s’agitava una fiammella arrivata alla fine della sua miccia, ma che non rinunciava a lottare. Ino ignorava il suo stato prossimo all’evanescenza soltanto per palesare una serenità di cui non c’era traccia in entrambi e che, tuttavia, presentava lo stesso come se fosse l’unica emozione che risiedesse nel suo animo.

Per chi lo fai, Yamanaka Ino?

Il pensiero di Gaara aleggiò in entrambe le loro menti quale un’illusione sottile. La voce di Ino era più concreta.

“Kazekage… Gaara” il suo tono divenne più dolce scegliendo di chiamarlo per nome. Il ragazzo era intimorito e il suo cuore sbraitava al posto di quella sua figura immobile. Le dita della giovane scesero dal volto fino alla base del collo, lisciando la nuca.

“Per quanto tu possa sforzarti… per quanto tu possa ferirmi o spaventarmi… non potrai mai essere il mio peggiore incubo.”

Un soffio che alimentò un altro tipo di fuoco nello spirito di quel leader giovane. Le sue guance arsero al posto degli occhi, dove l’incendio di poco prime s’era estinto. La kunoichi raggiunse con la mano i suoi capelli, procurandogli un brivido da cui era impaurito e catturato al tempo stesso.

 

“Vorresti scoprirne il motivo?”

In quell’istante, fu il turno del Kazekage di vagare nel cuore di Ino. Tuttavia, la presa della kunoichi era gentile. La pressione della sua mano sul collo se ne sarebbe andata alla minima ritrosia di chi era guidato fra quelle visioni. Pareva sussurrare: “Se non vuoi restare, non ti tratterrò.”

Tuttavia, lui si abbandonò a quel buio dove l’erede degli Yamanaka lo guidava con la poca energia di cui disponeva. Per questa ragione, ciò che il giovane rimirò nel palcoscenico creato dall’ombra era filtrato da un velo, eppure egli non poté fare a meno di restarne avvinto.

Era Ino mentre ascoltava il pianto di sua madre dall’altra parte di una porta chiusa, subito il dopo il funerale del padre. Era lei, oppressa dall’impotenza, quando appoggiava mazzi di fiori, pesanti come macigni, sulle tombe di Inoichi e del padre di Shikamaru. Aveva il sapore salato delle sue lacrime sulla lingua dopo una notte d’incubo, dove gli amici della giovane erano morti per mano di ninja nemici senza una forma precisa. Gaara si accorse che stavano volgendo il tempo all’indietro, perché visse una rabbia crudele, vendicativa, udendo la notizia che colui che aveva ucciso Asuma era sepolto, in pezzi, nella proprietà dei Nara.

Quella furia, un fuoco di paglia, si dileguò nel ricordo di una visita fatta assieme ai compagni di team all’ennesima tomba, quella del maestro. Le sue emozioni si venarono di biasimo mediante il suono di una conversazione fra lei e Shikamaru.

“Se fossi stata più forte… il nostro maestro sarebbe ancora qui” una scrollata di spalle del compagno di team accompagnò una replica laconica, la quale celava in malo modo un’identica vergogna.

“Non possiamo essere tutti Naruto, o Sakura.”

 

L’immagine dell’amica di Ino si materializzò di fronte a lui e sentiva che lei la scrutava con amore e un profondo senso di colpa. Sakura era ben vestita, bella negli abiti mondani con cui aspettava un assente seduta a una panchina. Gaara comprese di essere tornato in un tempo recente, in cui la voce di Sakura fuoriusciva adulta dalla bocca piegata in basso: “Me lo dovevo aspettare… Lui non viene mai quando c’è il sole.”

 Il cuore di Ino si stringeva attorno a quell’immagine del passato, eppure attuale a ogni nuovo incontro con l’amica di sempre. Rivisse con lui tutte le giornate passate a vedere Sakura che aspettava un ragazzo di cui non c’era traccia. Condivise con lui la frustrazione per quel ninja che anche lei aveva amato e di cui intravedeva il profilo nelle ombre. I suoi lineamenti mutarono nel viso altrettanto pallido di un altro ninja della Foglia, di cui Gaara apprese il nome grazie al sussurro che percepì nel cuore di Ino e che strinse il suo in una morsa.

“Sakura… Sai… perché non potete essere felici?”

In quell’ultimo turbinio di sensazioni, sempre più deboli, il Kazekage riemerse dall’oscurità per tornare alla luce. Ino lo fissava di nuovo sorridendo. La sua presenza era più distante e inafferrabile. Lui la scorgeva a malapena dietro un velo che si scioglieva sulle sue guance. Quelle emozioni, quei sentimenti e ricordi l’avevano investito in pieno, pur col loro flebile tocco.

 

La kunoichi spostò le dita dalla sua nuca. Ne avvertì l’assenza tramite un brivido di freddo.

“Pensavi che avrei avuto paura nel mostrarti tutto questo? Che avrei provato imbarazzo per tutte le mie stupide preoccupazioni?”

No Ino…

Quel pensiero incerto pareva una scusa sussurrata vergognosamente. Gaara le teneva ancora una spalla. L’altra mano era andata ad asciugare il pianto sul suo viso. Con un gesto delle dita, Ino sollevò con dolcezza il mento di Gaara perché la guardasse. Era eterea, sfuggente come un miraggio. “In un certo senso… sono contenta” la sua voce e il suo sorriso perdevano consistenza. La spalla della kunoichi scivolava dalla presa del ragazzo.

“Persino una kunoichi inutile come me… ha tanti scheletri nell’armadio.”

Un’ultima, faticosa, ammissione. Ino sentì la propria mente cedere definitivamente. Cadde all’indietro, perdendo contatto con il mondo di Gaara. Probabilmente, sarebbe piombata in uno stato d’incoscienza da cui, poi, si sarebbe risvegliata soltanto una volta raggiunto il suo corpo reale, impedendole di portare a termine la sua missione. La tristezza che avvertiva nel suo cuore era tutta per quel fallimento grandissimo: non sarebbe stata in grado di salvare Gaara.

Perdonami per la mia debolezza…

Il suo pensiero spirò da lei raggiungendo colui che la stava afferrando prima che crollasse nel vuoto. La trasse di nuovo a sedere, fra braccia piene di calore da cui traspariva ancora il vago odore della brezza marina, di fiori appena sbocciati alla luce del sole. La ragazza si appoggiò al petto di quel compagno di vicissitudini, riacquistando il respiro al ritmo del cuore che batteva piano sul suo orecchio. Esalò un sospiro languido. Le mani del suo salvatore le sorreggevano la schiena, evitando che ricascasse.

 

“Ino… sono io a doverti chiedere perdono.”

Gaara le mormorò all’orecchio suscitandole uno sfarfallio in tutta la sua presenza. Era piacevole come una giacca appoggiata sulle sue spalle per proteggerla dal sole. Lei sorrise. La fatica e quella miscela di sensazioni non le concedevano di riaprire gli occhi.

“Non c’è nulla che debba perdonarti, Kazekage” rispose in un unico fiato. L’evanescenza della sua voce spinse il ragazzo a portare una mano sul suo capo, offrendole una sensazione di tepore ristoratore. La kunoichi si rese conto che soltanto il tocco del leader della Sabbia la serbava da un freddo glaciale, da cui sarebbe stata costretta ad andarsene perché intorpidiva la sua volontà.

“Sono io l’intrusa in questo mondo… mio padre mi ha insegnato che, nella mente, sentimenti ed emozioni sono vissute con un’intensità maggiore di quanto appaia esternamente… se avessi voluto farmi davvero del male, invece che spaventarmi, l’avresti fatto.”

Alla fine di quella spiegazione, lei riuscì a sollevare il viso, aprendo piano gli occhi sulla faccia arrossita del Kazekage. La sua espressione era tesa, persino preoccupata, eppure lei non ne era toccata. Si sentiva… felice, in balia di una marea da cui era trasportata a riva.

Anche se non volevi, Kazekage… alla fine ti ho capito.

Risistemò il volto sull’incavo del collo del ragazzo, già allo stremo delle proprie forze.

“Ino… come stai? Riesci a muoverti?” lei sbuffò esalando una risata effimera quanto le sue energie. “Sento che potrei precipitare da un momento all’altro… anche se non vorrei” il Kazekage s’irrigidì mentre la stringeva di più, riversando sul suo spirito un calore gentile tramite cui mitigava i suoi brividi.

“Allora… lascia che mi prenda cura di te.”

 

In un baleno, un nuovo vigore l’avvolse. Aveva lo stesso calore di cui Gaara le aveva donato un accenno con il suo abbraccio. Mutava rapidamente per diventare una parte di lei: la sensazione si adeguò al suo fiato, alleggerendone il peso a ciascun movimento delle spalle. Il battito del cuore echeggiò placido, sanato dalla fragilità causatagli dal freddo.

La kunoichi si sentiva meglio alimentandosi di quell’energia curativa, ma poi accadde qualcosa. La sua mente tornò lucida, partecipe di quanto viveva in quello spazio a immagine del Kazekage. A quel punto, lottando contro il tepore e il suo stesso spirito di sopravvivenza, la giovane Yamanaka alzò il viso dall’abbraccio di Gaara. Cercò a tentoni la sua mano, siccome la vista tardava a riappropriarsi del suo compito.

Con una fatica immane, spostò le dita del leader della Sabbia dai suoi capelli mentre le sue palpebre sbattevano sopra i suoi occhi, su cui si rifletteva il viso sfuocato e sorridente di Gaara.

“Cosa sta succedendo?” chiese. Lui non rispose a parole. Come trattenuto da una grande stanchezza, il suo pensiero le giunse alla mente. Sto solo cercando di rimandarti indietro… erede degli Yamanaka.

La sua risposta difficoltosa le indusse l’urgenza di riottenere il controllo della situazione. La giovane Yamanaka inspirò profondamente, scuotendo via gli ultimi rimasugli dei brividi da cui la sua percezione era stata turbata. Si concentrò su quel flusso d’energia che proveniva dal Kazekage e lo arrestò.

Lei era concreta come se si trovasse nella vita di tutti i giorni, ma Gaara restava effimero, la sua presenza sempre più labile quasi fosse un pensiero che la kunoichi volesse visualizzare a tutti i costi. In preda alla preoccupazione, la ragazza combatté contro sé stessa e contro l’altro per redistribuire quella forza vitale da cui lui si stava separando, ma dovette faticare parecchio per vincere la sua volontà d’acciaio.

Così tanta fatica per costringerti a sopravvivere… e dovresti essere tu il mostro?

 

Quella riflessione, da cui si distese un ghigno a denti stretti sulla bocca di Ino, fu in grado di soverchiare la ribellione del Kazekage. L’aveva udita, siccome entrambi non riuscivano a ripristinare del tutto il controllo sulle loro coscienze, talmente erano spossati da tutto.

La sua resistenza svanì, conquistata dalla determinazione di Ino, la quale si espanse in quell’immenso bianco plasmando un ambiente familiare su cui lei potesse sviluppare le proprie abilità innate: sull’orizzonte si delinearono le forme delicate dei fiori, contornate dall’architettura geometrica della serra posta dietro il negozio di famiglia. Il profumo delle piante promanava intenso, con il medesimo effetto di un toccasana. Il sole sfiorava le loro schiene, sebbene fosse filtrato dalla stoffa bianca della struttura. Ma il sudore che entrambi avvertivano sulle loro schiene non era dovuto alla calura del sole. Gaara lo sapeva bene.

Per questo, il suo volto ora nitido, così come il resto della sua immagine corporea, palesava disappunto e tristezza. Non vi era traccia di rabbia in lui, ma quell’emozione si era impressa nel suo animo esasperandone la voce.

“Ino… se non lascerai che io ti doni la mia energia… morirai” la kunoichi trasalì spontaneamente a quella sentenza di morte. Una reazione comprensibile a una prospettiva così misera. Ma non se ne curò, identificando la preoccupazione dell’altro come uno stratagemma per raggirarla.

“Risparmiami il teatrino, Kazekage… ti sono grata per avermi curata, ma non c’è bisogno che nessuno di noi due muoia: posso tornare indietro quando voglio per recuperare le forze… non c’è alcun bisogno che tu compia un sacrificio eroico” il leader della Sabbia fu colto di sorpresa. La fissò intensamente, poggiandole una mano sulla guancia per girarle il viso verso il suo. Ino sostenne quello strano esame non abbassando mai gli occhi, nonostante sentisse le guance calde.

“Quindi non lo sai… credevo avessi percepito il cambiamento, ma forse non ne hai avuto modo per via di tutto quello che è successo…” il ragazzo ponderava ad alta voce, manifestando un’abitudine che la giovane Yamanaka trovava simile a quella dell’Hokage di ragionare fra sé e sé anche in presenza degli altri. In entrambi i casi, lei soffriva un identico tipo di nervosismo.

 

“Insomma, Kazekage! Hai intenzione di dirmi cos’è che sai, una volta per tutte!?” sbottò liberandosi dalla sua presa gentile. Al seguito del suo animo frustrato, i fiori della visione sfarfallarono senza che il vento li avesse sfiorati, frusciando in un mormorio di foglie e petali. La terra sotto le loro ginocchia divenne più fredda e persino Gaara le apparve più altero, mantenendo la mano a mezz’aria per un lungo istante, quasi avesse perso qualcosa che non credeva gli sarebbe sfuggito.

Solo quando rimise la mano sopra il ginocchio, tastandosi il polso per controllare la stabilità della sua presenza in quella visione, decise di parlare usando un tono meno esasperato. Sembrava un’inutile difesa contro una tempesta.

“D’accordo, Yamanaka… ti dirò tutto” si schiarì la voce e, per una frazione di secondo, la ragazza si dispiacque di aver fatto trapelare la sua stanchezza, mettendo a rischio quel fragile equilibrio in cui condividevano un flusso vitale di cui avrebbero fatto volentieri dono l’uno all’altro. Ma lei aveva creato quello spazio affine alla sua memoria proprio per evitare che il ragazzo potesse dissipare la propria presenza a piacimento. Si mostrò tranquilla, pur col cuore che rintoccava pesante, attendendo quelle parole che, una volta udite, avrebbero spezzato il suo spirito.

 

Il sole pareva offuscato da una nube passeggera. Ino comprese da quale giornata avesse raccolto la serra in cui passava molto del suo tempo libero. Udì all’esterno un certo vociare indistinto, affrettato dalla cadenza di passi rapidi e dal clangore degli attrezzi di giardinaggio spostati in modo sbrigativo.

Un tuono distante rimbombò nelle loro casse toraciche. L’ultimo cinguettio d’un uccellino coraggioso sfidò il maltempo, mentre il primo picchiettio della pioggia si tuffava sul materiale idrofobo sopra le loro teste. Gaara riprese a parlare una manciata di secondi dopo, allineandosi ai lampi del temporale.

“Non riesco più a svegliarmi.”

 

All’inizio, la kunoichi non capì esattamente cosa Gaara le stesse rivelando. Lo fissò pensando che aveva un aspetto nostalgico in quell’angolo delle sue memorie. Le appariva una sorta di giardiniere a cui la pioggia evocasse le preoccupazioni dell’autunno e dell’inverno. Ino ci rimuginò sopra talmente tanto, senza che il ragazzo la interrompesse, da accorgersi solo in quegli istanti della mancanza di qualcosa in quella figura baciata da un sole che s’insinuava fra le nubi leggere.

L’assenza dell’ideogramma amore la colpì meglio di quanto le parole del Kazekage non avessero ottenuto. La ragazza ritornò indietro, al momento in cui aveva scorto il giovane da solo, nel deserto, rinchiuso nel suo elemento prediletto. Anche allora, rammentò, non aveva visto quella parola sulla sua fronte a cui il leader della Sabbia s’affidava, facendo sì che lo rappresentasse prima della sua voce, simile nell’impatto ai suoi capelli rossi. Non sapeva perché non ci fosse, né riusciva a chiederlo al suo portatore.

Semplicemente, sfiorò con la mano il suo viso, sempre così privo d’imperfezioni e, ora, di calore. “Gaara…” ripeté il suo nome come se potesse cancellare la loro angoscia. Strisciava le dita sulla guancia del ragazzo accarezzandone lo zigomo, anche se non c’erano lacrime a bagnarli il viso. Gli ultimi segni di quel gesto inusuale per lui erano sepolti nel suo animo.

“L’ho cancellata stanotte… poco prima che andassi sul terrazzo della Residenza” Gaara spiegò, in preda a un desiderio di non lasciare nulla di non detto. Lui, che parlava raramente, lo faceva per sormontare il senso di colpa che Ino provava.

“Non mi ricordo perché l’ho fatto… non so neanche se avesse senso quello che avevo pensato… non riesco a togliermi dalla testa che doveva essere un esame che ho fallito” lentamente, per non interrompere quel corso di pensieri, Ino raggiunse la fronte tratteggiando con l’indice le linee del kanji sparito dalla realtà e dalla mente.

Gaara s’abbandonò contro il palmo della sua mano causandole un fremito lungo la schiena, una stretta allo stomaco a cui non poteva dare un nome soltanto per paura. La ragazza la negò, sigillando le sue emozioni dentro una barriera impenetrabile anche per il ninja di fronte a lei.

Non è la mia storia ad avere importanza.

Si scambiarono uno sguardo. Il Kazekage le sorrise, dimenticando per un istante il peso del suo discorso.

 

Quella creatura che tu conosci con il nome di Nocnitsa… me lo ha rinfacciato una volta che mi ha imprigionato qui. Continuavo a sentire la mia voce da bambino che mi puniva per le mie scelte… sentivo un odore nauseabondo… vedevo occhi rossi dappertutto” il giovane leader deglutì prendendo fiato. Un movimento impercettibile gli scuoteva le spalle, qualcosa che si stava impegnando a mantenere sotto controllo.

“Ho cominciato a vedere il passato… tutto il male che ho causato… fino a quando non sono più riuscito a separarmene” la pioggia era insistente. Si accompagnava ai rombi di tuono e al luccichio dei lampi. Un’aria fresca penetrava dall’ingresso della serra. Cominciò a spazzare via i colori di quella scena, riportandoli al bianco. Ino era stanca, per quanto cercasse di respingere la sua spossatezza, le restavano poche energie.

Gaara le afferrò il polso che sosteneva la sua mano intenta a sfiorargli la fronte. Il cuore della kunoichi palpitava contro i polpastrelli del giovane, ricordandole quanto poco tempo restasse a entrambi.

Dov’è il tuo cuore, Kazekage?

Lui non ribatté a quel pensiero che frullò fino alla sua coscienza. L’attirò a sé mentre il ricordo di Ino perdeva consistenza, lasciando soltanto l’odore umido d’una tempesta lontana.

Gaara le riprese il viso con la mano. Erano di nuovo nella situazione di prima, come se lui non avesse detto nulla. Lei gli strinse le spalle istintivamente, sincerandosi che nessuno dei due sparisse nel vuoto.

“Ho cercato di dimenticare quanto potevo, sperando di salvarmi da me stesso… ma poi sei arrivata tu a ricordarmi che cosa mi stesse succedendo… Sei così ostinata, Yamanaka Ino…”

Come un cactus in mezzo al deserto…

Il pensiero del Kazekage evase il suo controllo giungendo alla mente della kunoichi. Lei arrossì, cercando di evitare che lui se ne accorgesse, ma non poteva più distogliere il viso dal suo. Era intrappolata, eppure… qualcosa la induceva a ritrarsi. La vergogna la stava spingendo lontano da quel volto dagli occhi socchiusi, la cui bocca rappresentava un desiderio inespresso.

“Avrei voluto risparmiarti qualunque delusione.

 

Quella frase la fece reagire: in essa si celava il motivo della fretta del ragazzo, del modo in cui l’aveva avvicinata al suo volto sperando di annullare le sue ultime resistenze. Ma Ino si ribellò spingendolo piano, evitando che tutto potesse chiudersi in quel modo.

“Ti prego Gaara… aspetta” la voce della kunoichi era fragile, anche se cercava di conservare un tono dignitoso, da ninja del clan Yamanaka quale lei era e quale lo stesso leader della Sabbia l’aveva chiamata. Lui sospirò, consapevole di quanto sarebbe capitato.

Perché Ino? Perché vuoi che ti faccia ancora del male?

La giovane non l’ascoltò. Proseguì: “Continui a insistere che l’unica soluzione sia sacrificarti… ma ti ho già spiegato che non è l’unica strada percorribile.”

Non hai finito di dirmi tutto, Kazekage…

La voce e i ragionamenti di Ino si miscelarono, mostrando di nuovo le altre soluzioni possibili. Gaara sapeva tutto del piano, del fatto che sua sorella e Shikamaru stessero setacciando il Villaggio della Sabbia alla ricerca di chi lo aveva imprigionato in quello stato. Era certa che ci fosse un modo per cancellare gli effetti della tecnica che lo stava bloccando dentro la sua mente, così come era sicura che lui sapesse della presenza dei ninja medico, di suo fratello e dell’Hokage al di fuori, pronti a sostenerli nel caso in cui le loro energie vitali fossero venute meno. Eppure, lui si rifiutava di prendere in considerazione tutti quei dettagli di fondamentale importanza… per quale motivo?

Infine, Gaara esaudì la sua richiesta. Non la guardava più, ma per Ino fu quasi meglio: l’umiliazione aveva iniziato a stringerle il petto e a colorarle le guance.

“Ino… la strega ha preso il controllo del tuo corpo… lei e il me stesso del passato stanno attaccando mio fratello e gli altri… Ho intravisto il piano di quella creatura prima che la scacciassi da te.”

 

A quella rivelazione finale, la kunoichi fu svuotata da ogni sentimento. “Capisco… quindi è per questo che volevi spaventarmi, perché vuoi sacrificarti… non volevi che soffrissi per la mia incapacità” la sua voce usciva fredda. Ripensò al ricordo del padre che l’aveva incoraggiata quando s’era liberata dalla sabbia del Kazekage che avrebbe dovuto rispedirla nel suo corpo. Le parve così effimera, così stupida, da percepire qualcosa che si frantumava nel suo animo, condannandola a una tortura pari alla carne dilaniata dalle spine dei cactus. Era stata un’ingenua… era…

Davvero sono inutile…

Gaara intervenne prima che la sofferenza la chiudesse completamente dentro sé stessa. “Ino… ho bisogno che tu rimanga forte… posso chiederti questo favore, da parigrado dell’Hokage?” la domanda aveva la nota fresca della fronte del ragazzo premuta contro la sua, delle sue dita che le sfioravano i capelli. La ragazza riprese un attimo il controllo per scorgere quello sguardo di un cielo sempre uguale a sé stesso. Lei deglutì. Il pianto minacciava di rompere le sue fragili barriere, ma lei non aveva più alcun diritto di manifestarlo.

Come vuoi, Kazekage… Pensò consapevole d’essere una kunoichi ridicola persino nell’eseguire una richiesta semplice come quella. Prese un respiro profondo, incamerando nello spirito quel poco di energia che conservava nel fondo delle sue riserve. A Gaara bastò, nonostante sapesse che non sarebbe servito a placare la sua sofferenza.

Ino… ormai sono abituato all’idea del sacrificio: sarei dovuto andarmene da questo mondo già alla nascita.”

Kazekage… perché devi essere così antipatico in un momento come questo?

 

Un singhiozzo le sfuggì, ma trattenne il resto del pianto in sé stessa. Ardeva ancora l’imbarazzo per essersi fatta beffare da una creatura tanto ignobile. “Moltissime persone hanno dato la loro vita per me… perché non dovrei ricambiare il favore?”

Non lo merito…

“Kazekage… dovrei essere io a compiere questo gesto… sono io la responsabile della fuga di Nocnitsa e del fatto che abbia preso il controllo del mio corpo… manipolare la mente è la mia specialità… è l’unico motivo per cui mi è stato chiesto di fare questa missione” la kunoichi provò a dissuaderlo con quella sua voce rotta per colpa della sua stessa incompetenza. Ma nella risolutezza dello sguardo del ragazzo non c’era posto per quelle recriminazioni.

“Senza di te, erede degli Yamanaka… non ci sarebbe nessuno che possa salvare mio fratello o gli altri… anche se mi donassi la tua vita, non sarei comunque in grado di svegliarmi” fu inutile arginare quel fiume che ormai straripava sulle sue guance. La consapevolezza che non vi fosse alternativa, distrusse le ultime difese di Ino. Pianse in silenzio, lasciando che le sue lacrime parlassero più di tutte le sue giustificazioni, dei suoi sensi di colpa.

Gaara era stanco. La sua forma era inconsistente, quasi un miraggio in uno di quegli anfratti di deserto dove il sole s’abbatteva inclemente. Ogni aspetto di quella situazione paradossale, d’altronde, non li aveva risparmiati da nessun tipo di dolore.

“Capisci perché non avrei voluto dire nulla?” Gaara sorrideva asciugando le sue lacrime con la manica della tunica. Con l’altra mano le sostenne la schiena, conscio che sarebbe bastato una minima incertezza per farli cadere entrambi nel vuoto.

“Non volevo farti del male… non dopo tutto quello che ti ho fatto passare qui.

L’unica mia fonte di sofferenza sono io Kazekage… tu non c’entri nulla.

La ragazza risparmiò loro il suono della sua voce incrinata. Aveva le braccia conserte, strette a mantenere quel poco di dignità di cui poteva momentaneamente rivestirsi. Era un bersaglio facile per l’ultimo desiderio del Kazekage. Le sollevò il mento per incrociare di nuovo i loro sguardi, dopo che lei aveva fissato ostinatamente le sue ginocchia.

Il giovane non era toccato dalla durezza dei suoi pensieri. Voleva portare a termine il suo gesto disperato il prima possibile, perciò le sue riflessioni scappavano dai confini della sua mente affaticata dalla perdita delle sue ultime energie.

 

Senza rendersene conto, fu la causa del fallimento dei suoi stessi piani. Da quei pensieri liberi d’ogni remora, la kunoichi trasse la forza di coltivare una ritrovata speranza.

All’inizio, aveva inteso i pensieri di Gaara senza ponderarli troppo. Si schiantavano contro il suo animo congelato dall’umiliazione. Si era lasciata sospingere verso di lui, incapace di resistergli, percependo un fiotto di calore da cui era irrorata mediante l’abbraccio del Kazekage.

Poi, un minuscolo pensiero, nascosto in mezzo agli altri frenetici da cui la sua mente era assediata, le apparve estraneo in mezzo a una strategia infallibile. Là dove Gaara demoliva il suo rifiuto ad accettare quel sacrificio di cui si riteneva immeritevole, quell’emanazione delle riflessioni del Kazekage s’introdusse lieve come una carezza.

Fra tutti coloro che avrei potuto conoscere… sono felice che l’ultima sia proprio tu, Ino…

 

Quell’energia tiepida, che si diffondeva dal Kazekage, si tramutò d’improvviso in un fuoco immenso. Dove il ragazzo aveva tentato di blandirla con la gentilezza, Ino s’impose premendo le dita sulle sue spalle. Il gesto faceva più male a lei, la quale rinvigoriva la presa sempre di più, eppure era il giovane leader della Sabbia colui ad esserne colpito maggiormente.

“Cosa…” aveva cominciato a domandarle, ma la voce della kunoichi era più chiara della sua confusione. Nel nulla candido da cui erano avviluppati tornò la pioggia, il temporale, ma s’insinuò anche il profumo dei fiori e la dolce apparizione del sole fra le nubi.

“Kazekage, ti chiedo un favore… guardami” lui aveva smesso di farlo quando la strana reazione della giovane l’aveva sorpreso. Ino si chiese cosa stesse scorgendo ora che rialzava lo sguardo dalle sue spalle afferrate con forza sul suo viso lavato dal pianto. Forse era pulito come uno specchio e lui poteva riflettersi in quelle iridi azzurre, di un cielo che celasse moltissime sfumature oltre l’orizzonte. La kunoichi era consapevole che anche lo sguardo del giovane nascondeva troppe sfaccettature importanti per essere perse. Perciò sorrise, guadagnandosi una piccola manifestazione di quella aurora nascosta, apparsa con il rossore sulle sue guance.

Ino s’avvicinò al suo viso, avvertendo calore e freschezza nell’atmosfera di quel temporale estivo. Permeava le loro fragili presenze create dalle loro menti e così segnava i loro animi avvinghiati da tante emozioni, simili alla rabbia del tuono e alla speranza del sole che faceva capolino fra le nuvole.

 

Gaara… non tutto è perduto.

Nel battito di ciglia che susseguì a quel pensiero deliberatamente scappato dalla mente della ragazza, nel sospiro stupito del leader della Sabbia, Ino chiuse la distanza lambita da entrambi premendo le labbra su quelle di Gaara. Salì con le braccia al suo collo, spingendolo ad abbandonarsi contro di lei.

Il ragazzo sobbalzò e persino un gemito sorpreso sfuggì dalla sua gola. Tuttavia, non si ritrasse. Con lentezza, seguì la curva delle braccia di Ino per cingerle le spalle. Risalì al suo viso per sfiorarle le guance.

In quei momenti brevi trascorse tutta una vita. Erano frammenti di ciò che era stato: era il ricordo d’un cespuglio di trifogli che nasceva con la kunoichi e buttava un nuovo germoglio con il crescere della sua controparte umana. Le sue fioriture e le sue momentanee perdite di freschezza erano in simbiosi con le conquiste e i fallimenti di Ino.

Era cresciuto rigoglioso quando la kunoichi s’era affacciata per la prima volta nella vita di Sakura e aveva perso qualche foglia alla rottura del loro legame quasi fraterno. S’era rinvigorito quando avevano ritrovato la pace. L’aveva consolata quando l’aria si era impregnata di fumo acre, quando le speranze s’erano assottigliate all’inizio della guerra. Era il vero contrappunto di quella kunoichi i cui pensieri ora si tingevano di speranza.

 

Gaara… La tua vita non è vana.

Solo allora sentì l’animo del giovane davvero scosso. In lui albergava un desiderio che non osava disvelare e che pure lo spingeva ad aggrapparsi a lei fino quasi a unirsi alla sua mente. Aveva ancora un sacco di proteste e preoccupazioni con cui scacciava il piano che Ino gli stava mostrando, eppure le rassicurazioni della kunoichi erano più forti.

Il Kazekage spariva per consolidarsi al fianco della giovane che così insistentemente gli prometteva l’alba dopo la notte.

Mi fido di te, Ino.

Un’ultima stretta da parte di quel corpo che più non esisteva. Era l’accettazione di quella soluzione disperata che entrambi potevano sostenere soltanto con tutte le loro forze.

Non posso ordinarti nulla, ninja di Konoha… posso chiederti soltanto un altro favore: sopravvivi… te ne prego.

Lei sorrise, ma anche la sua bocca spariva come il resto dei loro corpi. Non le sarebbe più appartenuta fino a quando non avesse portato a termine quel tentativo di mettere in salvo tutti coloro che amavano.

Vedrai… ne usciremo insieme.

 

Così rassicurandolo, salirono oltre il bianco della mente immacolata del ragazzo, perché avevano perso molte delle loro forze per ottenere quel risultato. Le loro volontà viaggiavano sempre più in alto, per toccare la superficie di quel mondo racchiuso dietro i confini d’una maschera di cera.

Fu un risveglio più brutale di quanto Ino immaginasse. I suoi nuovi occhi si spalancarono sulla notte del deserto. Il suo respiro estraneo riempì i polmoni di un corpo che non le era familiare. Quando s’issò a sedere, fissando a fatica uno strano panorama dove la sabbia ondeggiava ovunque intrappolando i ninja della spedizione, un solo collega della Foglia s’accorse del suo ritorno. La chiamò con il nome che apparteneva a quella forma in cui ora albergava.

“Kazekage! Sei tornato!”

 

Continua nel Capitolo VIII: T’amai perché mi ricordasti la primavera

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