Legilimens

di Ahimadala
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 L'incidente ***
Capitolo 2: *** 2. Innocente ***
Capitolo 3: *** 3. Sola ***
Capitolo 4: *** 4. Stanca ***
Capitolo 5: *** 5. Un patto ***
Capitolo 6: *** 6. Privacy ***
Capitolo 7: *** 7. Segreti ***
Capitolo 8: *** 8. Anche gli eroi soffrono ***
Capitolo 9: *** 9. Curiosity ***
Capitolo 10: *** 10. Silenzio ***
Capitolo 11: *** 11. I know what you are ***
Capitolo 12: *** 12. Sconveniente ***
Capitolo 13: *** 13 Il processo ***
Capitolo 14: *** 14. Non lo dirò a nessuno ***
Capitolo 15: *** 15. Intoxicated ***
Capitolo 16: *** 16. Domani, e il giorno dopo ancora ***
Capitolo 17: *** 17. Vestiti babbani ***
Capitolo 18: *** 18. Contro il resto del mondo ***
Capitolo 19: *** 19. Pleasure ***
Capitolo 20: *** 20. Regalo di Bentornato ***
Capitolo 21: *** 21. Passaporta ***
Capitolo 22: *** 22. Incidente ***
Capitolo 23: *** 23. Non sei sola ***
Capitolo 24: *** 24. Mastermind ***
Capitolo 25: *** 25. Veritá ***
Capitolo 26: *** 26. Cheers ***
Capitolo 27: *** 27. The end ***



Capitolo 1
*** 1 L'incidente ***


San Mungo
Settembre 1998

Il dottor Friedrich sospirò sonoramente, rimuovendo i suoi occhiali e strofinandosi gli occhi con una mano. Poi rivolse il proprio sguardo esausto verso la ragazza davanti a sè.

"Allora?" chiese la grifondoro, incapace di trattenersi. Il suo piede picchiettava nervosamente contro il pavimento per l'impazienza.

"Beh" sospirò l'uomo, rimettendosi di nuovo gli occhiali e rileggendo il referto sulla scrivania. "Nessuno dei nostri guaritori è stato in grado di annullare l'incantesimo".

Il labbro di Hermione tremò leggermente.

"Tuttavia" continuò il dottore, con gli occhi della ragazza nuovamente puntati su di sè, "ho motivo di sospettare che la responsabilità sia sua".

Prima che lei potesse inondarlo di domande, proseguí. "L'incantesimo obliviante che ha utilizzato, singorina Granger, non è solo potente, ma è intriso di una profonda traccia magica" incrociò le mani davanti a sè. "Forse, e sottolineo forse, la reversione dell'incantesimo potrebbe avere successo se venisse svolta dalla stessa traccia magica che lo ha impresso".

"D'accordo" rispose prontamente Hermione, prima che l'uomo potesse offrirle altre spiegazioni.

"Ma la avverto, non è magia semplice. Avrà bisogno di settimane di allenamento con i nostri guaritori per riuscire a padroneggiare correttamente l'incantesimo. Ed anche in quel caso, purtroppo, non è detto che..."

"Voglio provare" replicò decisa la grifona. "Qualsiasi cosa".

***

Gennaio 1999

"D'accordo, signorina Granger. Faccia un respiro profondo e sollevi lentamente la sua bacchetta. Appena si sentirà pronta potrà lanciare l'incantesimo".

Hermione fece come le fu indicato.

Non si era sentita così nervosa nemmeno quando aveva obliviato i suoi genitori.

E adesso, forse, dopo sei mesi di tentativi e dopo aver contattato i migliori specialisti in incatesimi di memoria di tutta europa, sarebbe finalmente riuscita a restituire la memoria alle due persone più importanti della sua vita, che giacevano addormentate davanti a lei.

Avevano tutti detto la stessa cosa: non era stato possibile rimuovere l'incantesimo perchè la magia con cui era stato impresso era troppo forte. La cosa l'aveva lasciata interdetta. Aveva sempre saputo di essere una strega più che capace, ma così tanto da lanciare un incantesimo irreversibile?

Si era domandata, dopo aver ricevuto quella stessa risposta da ben tre guaritori diversi, cosa ne fosse stato di Dolohov e Yaxley, i mangiamorte che aveva obliviato poco dopo aver cancellato la memoria ai suoi genitori. Di loro tuttavia non vi era più traccia, non erano più stati ritrovati.

Fece come le era stato detto, respirando profondamente.

Un giovane ragazzo, avvolto in un camice bianco, si avvicinò a lei.
"Prima lancia il legilimens" disse. "Devi seguire il flusso dei ricordi che hai impiantato in loro. Tra di essi troverai una porta, un punto di debolezza" ripetè, come se stesse parlando del procedimento per la prima volta. "Deve essere presente da qualche parte. Devi aggrapparti a quello, e poi lanciare l'incantesimo che revertirà il processo".

Hermione annuì, ascoltando attentamente nonostante conoscesse quelle istruzioni ormai a memoria.

Tese il braccio destro.

"Legilimens".

Un leggero fascio di luce lasciò la sua bacchetta, coprendo la breve distanza che la separava dal corpo di sua madre.

Ma appena quel flusso di energia sfiorò la tempia della donna, Hermione si ritrovò accecata: le sue cornee bruciarono. Fu un dolore brevissimo, ma talmente intenso da farle credere di star prendendo fuoco.
Il calore risalí verso la sua testa, diffondendosi all'interno della sua scatola cranica, incendiando ogni sua fibra nervosa.

La sua vista iniziò ad appannarsi e udí il suono della propria bacchetta ricadere sul pavimento.

Un momento dopo, il buio.

***

Sentiva qualcuno parlare.

La pressione va bene la temparatura corporea anche. Nessun segno di risveglio, di nuovo, che turno infinito questa settimana.

Era strano: la voce sembrava così vicina ma allo stesso tempo cosí lontana.

Un'altra voce, più dolce, si sovrappose alla precedente.

Sono passati due giorni.Spero che si svegli presto. Che ore sono? Ah, le cinque e mezzo. Mi aspettano alla tana tra un'ora.

Questa la riconobbe: era Harry.

Che cosa avrà combinato questa volta?
Sarebbe stato bello se ci fosse stata anche lei alla tana. Mamma continuerà a chiedere di lei. Spero che Harry non chieda a Ginny di sposarlo.
Con Charlie via e George già sistemato mamma mi tormenterà. Come spiegarle che tra noi è finita?

Si sforzò di aprire gli occhi. Le luci della stanza l'accecarono, costringendola a richiuderli immediatamente. La sua testa era in fiamme.

Ron era lì, aveva sentito la sua voce. Perchè parlava così di lei in sua presenza?

"Ron" balbettò flebilmente.

"Hermione" esclamò sbalordito il rosso, affarrendo la sua mano e voltandosi al tempo stesso verso la porta. "Si é svegliata" urlò, attirando l'attenzione dell'infermiere di turno a quell'ora.

Il resto successe molto in fretta.

Harry e Ron furono allontanati da lei, ed Hermione si ritrovò sommersa da camici bianchi. Almeno cinque o sei persone iniziarono a parlare allo stesso istante, sovrapponendosi l'una all'altra.

La sua testa stava per scoppiare. Si portò le mani alle orecchie, sperando che quelle voci cessassero.

Perché parlavano cosí di lei?

 Perché erano tutti così interessati al suo cervello?

É stato il primo incantesimo a rimbalzare su di lei perciò-

É un vero peccato che sia successo proprio a lei. Dubito che il suo cervello sia rimasto illeso, il danno neuronale sembrava piuttosto diffuso-

Perchè non parla? è tanto grave?
Non sembrava che il danno avesse coinvolto anche i centri del linguaggio ma meglio ricontrollare.
E se si fosse esteso?
Per la barba di Merlino, se raggiungesse il tronco encefalico-

É il caso più interessante che mi sia mai capitato in tutta la carriera-

Hermione si immobilizzò improvvisamente, rendendosi conto che portarsi le mani alle orecchie non l'aveva affatto aiutata a non sentire quelle voci.

Fissò i medici che aveva davanti, che a sua volta la osservavano come se fosse un raro esemplare allo zoo.

Nessuno di loro stava parlando, si rese conto. Le loro labbra erano ferme, i loro occhi saettavano tra lei e le cartelle che avevano in mano, sfogliando pagine su pagine probabilmente riguardanti la sua storia clinica.

Cercò di concentrarsi su quella prima voce, quella che aveva attirato la sua attenzione.

I suoi occhi atterrarono su un dottore basso e occhialuto in fondo alla stanza. Lo fissò intensamente.

Se l'incantesimo fosse rimbalzato... Potrebbe essere successo che- no, no. Non é possibile, é rarissimo. Nessuno c'é mai più riuscito dopo che-

L'uomo sollevò improvvisamente lo sguardo, incrociando gli occhi di Hermione. La grifona guardò altrove, ma la voce dell'uomo- o quella che credeva fosse la sua voce- non abbandonò le sue orecchie.

E se invece lo fosse davvero? Perché non parla? E se mi avesse sentito? Se mi avesse letto nel pensiero?

Improvvisamente la sua voce, nella testa di Hermione, venne silenziata. La grifona si voltò istintivamente, vedendo il piccolo dottore stempiato schizzare fuori dalla stanza d'ospedale.

Lunatico.

Vuole farsi licenziare.

Sono stanco di coprire i suoi turni-

Che idiota ad ignorare uno dei casi più interessanti che ci siano mai capitati-

Ma si rende conto di chi è lei-

Hermione si sforzò di riflettere, aggrappandosi a quelle poche parole prima che venissero spazzate via dal flusso di informazioni che affluiva alle sue orecchie.

Aveva davvero letto... Il suo pensiero?
Erano i pensieri di tutti che sentiva?

Le voci rimbombarono ancora nella sua testa dolorante.

Faceva male.

La sua vista si appannò.

"Non mi- " balbettò con la bocca asciutta. "Non mi sento molto bene".

E poi, ancora una volta, il buio. 

E il silenzio.

***

É sorprendente, dopo un incidente del genere un ricovero in così poco tempo

L'incantesimo rimbalzato sembra non aver provocato alcun danno

Sarà stato un semplice abbassamento di pressione

Probabilmente si è trattato di un calo di zuccheri

É sveglia

Aprí lentamente gli occhi, ritrovandosi nuovamente circondata da camici bianchi. Harry e Ron erano in fondo alla stanza.

Il suo sguardo cercò invano il piccolo dottore stempiato e occhialuto di prima.

"Ecco, beva" le disse una donna, porgendole un bicchiere. "É disidratata, ha semplicemente avuto un calo di zuccheri".

Hermione afferrò il bicchiere, leggendo il cartellino sul camice della donna:  Patricia Potts, aveva sentito parlare di lei.

"Quando posso tornare a casa?" chiese. 

La donna si voltò verso il resto dei propri colleghi, che continuavano a scambiarsi degli sguardi perplessi. "Beh" sospirò infine, mettendo da parte la cartella che aveva in mano. "I vari controlli che abbiamo effettuato non hanno dimostrato alcuna presenza di lesioni dovute all'incantesimo rimbalzato, fortunatamente". 

Hermione stava per intromettersi, ma la donna fu più veloce di lei a continuare.

"Tuttavia, crediamo che sarebbe più sicuro per lei se restasse ancora qualche giorno in osservazione. Incidenti del genere sono parecchio rari e non sappiamo se il danno provocato è realmente assente oppure tarda a manifestarsi".

É incredibile che stia così bene dopo il trauma che ha subito. Il suo cervello dovrebbe essere fritto. É inspiegabile, eppure...

"Per quanto?" chiese la ragazza.

"Almeno due o tre giorni, in modo da poter accorrere immediatamente nel caso in cui si manifesti qualche... complicazione"

Hermione chiuse gli occhi, domandandosi al contempo quanti danni il suo incantesimo avesse realmente provocato. Forse sarebbe stato il caso di dire a qualcuno della sua condizione, ma non c'era nessuno che le ispirasse pienamente fiducia nell'ospedale. Se solo potesse restare da sola con Harry e Ron magari...

"Va bene" disse infine, desiderosa che tutti i presenti lasciassero la sua stanza. Sentiva di poter svenire un'altra volta. Le voci, o meglio i pensieri, di tutti si sovrapponevano nella sua testa e divenivano asfissianti. 

Harry e Ron rimasero con lei ancora per un po' dopo che i medici lasciarono la sua stanza, ma non durò a lungo. L'orario di visite si concluse da lì a poco e nessuno dei tre era particolarmente in vena di chiacchiere.

Hermione, in fondo, ne era grata. La situazione con il rosso era ancora parecchio tesa e ritrovarsi così dentro la sua testa... 
Non era qualcosa a cui poteva pensare. Non adesso, almeno. Non finchè non avesse capito cosa le stava succedendo.

Aveva bisogno di passare del tempo da sola, di riflettere e analizzare i fatti. Aveva sempre fatto così, era abituata a risolvere i problemi da sola.

Era da sola quando aveva obliviato i suoi genitori. Era da sola quando aveva girato l'Europa alla ricerca dei migliori guaritori di ogni paese. Sapeva stare da sola, aveva affrontato cose peggiori.

Si godette il silenzio e la solitudine dopo che i due ragazzi se ne furono andati, osservando il sole tramontare fuori dalla finestra, pensando a quanto desiderasse essere a casa sua per potersi perdere nella lettura e nelle ricerche.

La notte arrivò presto e la grifona cadde in un sonno profondo. Stare sveglia, circondata da folle di persone, era estenuante. 

Non si rese conto di quanto tempo fosse passato quando una voce la svegliò, ma dal fatto che la sua stanza fosse ancora immersa nell'oscurità dedusse che non doveva esser passato molto tempo da quando aveva preso sonno.

Qualcuno era nella sua stanza. Perchè si trovava al buio?

Solo un goccio di veritaserum. Non è poi così grave, dormirà per il resto della notte.
Non posso parlare dei miei sospetti a quegli altri, ruberebbero la mia idea. Oh, se fosse vero-

Hermione si mise seduta sul letto, mentre i suoi occhi si abituavano all'oscurità. Un medico le dava le spalle, maneggiando delle boccette su un tavolino in fondo alla stanza. Era lo stesso dottore basso e occhialuto che era schizzato fuori dalla stanza al suo risveglio di qualche ora prima.

L'uomo si voltò, sussultando dallo spavento quando si accorse che Hermione era sveglia.

"Buonasera" disse, indossando il sorriso più falso che la ragazza avesse mai visto.

Fatta eccezione per un'imprecazione, da quel momento in poi la grifona non fu più in grado di udire la sua voce- i suoi pensieri. 

"Stavo proprio per svegliarla, signorina Granger" disse l'uomo, accedendo le luci della stanza con un colpo di bacchetta. "Si è dimenticata di prendere una pozione, è fondamentale per il suo ricovero".

"La dottoressa Potts mi ha dato tutto" replicò la grifona, sforzandosi di prender tempo. Era veritaserum. Lo aveva sentito. E non era un'idota: ne riconosceva il colore e la consistenza all'interno della boccetta.

Ma perchè non riusciva più a sentire i pensieri dell'uomo? 

Forse l'effetto dell'incantesimo che era rimbalzato su di lei era svanito. Era stata solo una cosa momentanea.
Avrebbe dovuto sentirsi sollevata, eppure si sentì come se le mancasse qualcosa. La presenza di quell'uomo nella sua stanza iniziava ad angosciarla, e nonostante non sentisse più i suoi pensieri era sufficiente guardarlo in faccia per dubitare delle sue intenzioni.

Iniziò a sudare.

"Oh" si bloccò per un momento, lisciandosi il camice. "La dottoressa si sarà confusa, deve esserci stato un err-"

Entrambi sobbalzarono quando la porta della stanza si aprì. "Signorina Granger va tutto bene? Credevo stesse dormendo" la dottoressa Potts notò solo in un secondo momento il dottore stempiato in un angolo. "Pricett, cosa ci fai qui?" domandò, squadrandolo dalla testa ai piedi. 

Abbiamo dovuto spostare tutti i turni per questo idiota

"Io..." esitò l'uomo, infilandosi furtivamente la piccola boccetta della pozione nella tasca del camice. "Stavo andando via" concluse infine, dileguandosi oltre la soglia della porta alla velocità della luce.

"Mi scusi, signorina Granger" disse infine la donna, rivolgendosi ad Hermione. "Ha bisogno di qualcosa?"

La grifona scosse la testa, sollevata dall'intervento della donna e felice di ritorvarsi di nuovo da sola.

Se prima aveva qualche dubbio, adesso ne era più che certa: non poteva dire a nessuno della sua condizione.

***

Seppur con risentimento da parte del personale, Hermione Granger ottenne la sua vittoria: fu dimessa dal San Mungo con due giorni d'anticipo.

Essere l'eroina del mondo magico aveva i suoi vantaggi.

Era enormemente sollevata e al contempo euforica, impaziente di restare finalmente da sola e dedicarsi alla lettura. Doveva aver qualche libro a casa sull'argomento, insieme a diversi manuali di incantesimi di memoria e medicina magica che aveva intenzione di esaminare fino alla nausea.

La sua curiosità di scoprirne di più fu tale da surclassare la delusione nello scoprire che Ron non era venuto a prenderla.

Furono Ginny ed Harry ad accoglierla appena uscita dall'ospedale, accompagnandola al proprio appartamento.
E fu solo dopo una tazza di thé e diverse suppliche che la ragazza riuscì a convincere i suoi amici a lasciarla da sola.

"Si si, andiamo" disse Harry, mentre Hermione lo accompagnava frettolosamente verso la porta.
"Hai ancora dieci giorni di malattia" continuò il ragazzo che è sopravvissuto. "Usali per riposarti e rimetterti, Herm".

"Lo farò" replicò la grifona, scambiandosi un abbraccio col suo migliore amico.

Ginny, accanto a loro, sorrise. "Il ministero può sorpavvivere qualche giorno senza la sua paladina".

Harry rivolse uno sguardo seccato alla propria ragazza. "Disse quella che era di nuovo sulla sua scopa il giorno dopo una caduta da sette metri di altezza".

"Ehi ehi" lo riprese la rossa. "Parliamo di Herm, non di me".

"Prometto di non fare vedere la mia faccia per i prossimi dieci giorni" ribadí ancora una volta Hermione, osservando i suoi due amici smaterializzarsi oltre la soglia del suo appartamento.

Rimase immobile per un secondo a fissare il punto in cui si trovavano.

Finalmente sola.

***

Dopo i suoi primi esperimenti, e dopo aver capito come funzionava questa nuova e strana abilità che si era ritrovata a possedere, decise che era finalmente arrivato il momento di tornare al lavoro. Aveva già accumulato  fin troppi arretrati, ci avrebbe messo una vita a recuperare.

Era ancora più che convinta dell'idea che non parlare a nessuno di quello che era successo fosse la cosa migliore per il momento. Almeno finchè non avesse capito cosa c'era di così strano e perchè quel guaritore sembrava particolarmente incline ed esaminare il suo cervello con intenzioni tutt'altro che buone. 

E poi, forse, avrebbe potuto approfittare di questo dono a suo vantaggio.

Se non altro, per i giorni successivi all'incidente, la possibilità di leggere la mente degli altri le aveva permesso di evadere dai suoi stessi pensieri e di distrarsi dal lacerante dolore dovuto alla consapevolezza di non poter più restituire la memoria ai suoi genitori.

Aveva organizzato tutto.
Sarebbe uscita la mattina presto, in modo da evitare la confusione che si creava nei corridoi del ministero all'ora di punta: questo avrebbe dovuto essere sufficiente per non sovraccaricare la sua mente. 

Dopodichè, nei giorni successivi, avrebbe dovuto trovare il coraggio di visitare le librerie di Diagon Alley: da ciò che aveva scoperto dai pochi libri che aveva sull'argomento a casa, le tecniche di occlumanzia avrebbero potuto aiutarla. C'era un libro in particolare al quale era interessata: la biografia di una donna americana nata con il dono di legiliminens naturale.

A quanto pare era una cosa molto rara, ed un'abilitá non facile con cui convivere, sebbene decisamente interessante e ambita da molti.

Si vestì lentamente quella mattina, nervosa ma al contempo eccitata all'idea di rientrare finalmente a lavoro. Si chiese se fosse realmente pronta a scoprire cosa tutti pensavano di lei, e la sua mente saettò nuovamente a Ron per la milionesima volta in quei giorni.

Scrollò le spalle, abbottonandosi la camicetta. Lo avrebbe certamente scoperto, non aveva senso stressarsi pensandoci e ripensandoci su all'infinito.

Tempo al tempo.

Finì di prepararsi ed uscì, materializzandosi dietro l'ingresso segreto del ministero. Le strade erano silenziose e poco trafficate, proprio ciò che si aspettava uscendo di casa in così largo anticipo.

Ebbe perfino la fortuna di ritrovarsi da sola in ascensore, e non incontrò nessuno finchè le porte non si aprirono e non si ritrovò all'ultimo piano dell'edificio, dove il suo ufficio si trovava. 

Tre teste si sollevarono nella sua direzione non appena la sua figura apparve alla fine del corriodio. Hermione deglutì, improvvisamente nervosa.

 "Hermione" le venne incontro Cameron, la donna che lavorava nell'ufficio accanto al suo e che odiava esser definita la sua assistente, sebbene, nella pratica, il suo lavoro consistesse effettivamente nello smistare i casi e le proposte di legge che poi atterravano sulla scrivania dell'eroina del mondo magico.

Hermione si sforzò di sorridere e ignorare i pensieri che lasciarono la mente della donna, ma non fu facile. Aveva sempre sospettato di non esserle particolarmente simpatica, ma non aveva idea che la donna riversasse su di lei così tante delle proprie frustrazioni. 

L'eroina della burocrazia.
Così l'aveva definita.

Dopo pochi convenevoli Hermione la liquidò, calcolando visivamente i pochi metri che ancora la separavano dalla porta del suo ufficio. Poteva farcela senza incontrare nessuno, si disse.

O forse no.

"Signorina Granger, così di buon'ora".

Hermione si voltò, sorridendo. "Dean" salutò, riconoscendo la sua voce, felice di vedere un volto familiare e di non sentire commenti offensivi nei propri confronti. 

Durante il corso dei suoi anni ad Hogwarts, Hermione e Dean non avevano mai avuto un rapporto particolarmente stretto, ma la situazione era decisamente cambiata da quando entrambi avevano iniziato a lavorare al ministero nello stesso dipartimento.

"Boss" la schernì il ragazzo, offrendole il suo solito caffè. "Ricovero record".

"Avrò anche rischiato di friggermi il cervello, ma odio ancora che mi chiami così" rise, prendendo un sorso.
"Grazie" aggiunse, indicando il bicchiere fumante.

"Oh, figurati" replicò il ragazzo con fare teatrale. "Farei di tutto per ingraziarmi il capo, sai".

Hermione finse di dargli una gomitata. "Allora, cosa mi sono persa?"

Il giovane camminò insieme a lei fino alla porta del suo ufficio. "É tutto sulla tua scrivania, organizzato in ordine di priorità" abbassò la voce. "Cameron insisteva per organizzare i documenti in ordine di data, il che è stupido perchè sappiamo tutti che il primo caso che andrai a cercare sarà quello su-"

"Su diritti e tutele per Lupi Mannari" concluse Hermione, rendendosi conto troppo tardi del suo errore.

Dean la guardò con aria stranita. "Come fai a sapere che ne abbiamo già discusso?"

 La seduta è stata anticipata proprio mentre eri ricoverata pensò il ragazzo.
É stato un po' strano in effetti, sembrava che qualcuno volesse che Hermione non fosse presente-

Hermione, sebbene perplessa da quell'ultima informazione, scrollò le spalle come se niente fosse. "Io so tutto" disse, ammiccando goffamente e  fermandosi davanti alla porta del proprio ufficio.

"Già, ecco perchè sei il capo" sospirò Dean, dandole una pacca sulla spalla e allontanandosi verso la propria postazione in fondo al corriodio.

"Non sono il capo" urlò alle sue spalle la ragazza, alzando gli occhi al cielo e afferrando la maniglia della porta. 

Si infilò rapidamente all'interno prima che qualcuno potesse fermarla. Sospirò, togliendosi la giacca e contemplando la montagna di documenti accumulatisi sulla scrivania nelle due settimane in cui si era assentata.

Prese posto sulla sua solita sedia, iniziando ad esaminare i vari fascicoli. Tuttavia fu più dura del previsto: le interruzioni erano ovunque. Ogni volta che qualcuno passava fuori dalla sua porta il flusso dei suoi pensieri la raggiungeva, come se ci fosse una persona intenta a parlarle oltre la soglia.

Spesso alzava la testa dai documenti, convinta che qualcuno la stesse chiamando, solo per rendersi conto che in realtà non era così. 

Si strofinò gli occhi, sentendosi già esausta dopo aver esaminato i primi due file. Fissò l'orologio: erano appena le undici. Aveva impiegato ben due ore per leggere solo due proposte di legge. Non era questo il suo solito ritmo.

Cercò di giustificare sè stessa, ripetendosi che era solo questione di tempo e abitudine, e che avrebbe dovuto procurarsi un manuale di occlumanzia al più presto.

"Si fermi" urlò una voce all'esterno,
o almeno credette che stesse urlando.

"Devo vederla" ripetè un' altra voce vagamente familiare, che tuttavia Hermione fece fatica a riconoscere.

Sí, le aveva udite davvero. Non erano nella sua mente.

"É la decima volta che viene qui, le é già stato detto di non presentarsi piú-"

Il rumore dei tacchi di Cameron riecheggiò lungo il corridoio. Tuttavia Hermione rimase inchiodata alla propria scrivania: non era proprio il momento per ulteriori distrazioni.

Aveva già il suo lavoro da svolg-

"Devo parlare con lei" ribattè la voce maschile.

"Signor Malfoy" lo richiamò Cameron. Hermione sussultò improvvisamente, rischiando di cadere dalla sedia.

Si rese conto che il rumore dei loro passi si era arrestato: erano fermi fuori dalla sua porta.

Rimase immobile per qualche secondo. Cosa avrebbe mai potuto volere Draco Malfoy da lei?
Non era già abbastanza che lei ed Harry avessero testimoniato al processo suo e di sua madre?

Avrebbe dovuto starsene al Manor, sorseggiando i suoi stupidi e costosissimi vini e riflettendo su quanto fosse fortunato a non ritrovarsi a marcire in una cella ad Azkaban come suo padre.

Si alzò dalla sedia, avviandosi verso la porta con l'intenzione di allontanarlo personalmente.

Si accorse che, nel periodo della sua breve riflessione, Dean aveva soccorso Cameron, schierandosi tra il biondo e la porta dell'ufficio di Hermione.

"Malfoy, ti ho detto di andartene" imprecò ancora una volta l'ex grifondoro.

"Dean" lo richiamò Hermione, correggendosi un momento dopo. "Thomas" riprese, con un tono ben più professionale che le procurò un' occhiataccia da Cameron.

Vent'anni e parla come se ne avesse ottanta

Scosse la testa, ignorando quel commento. "Che succede?" domandò, scrutando i due ragazzi.

La sua mente fu inondata da parole e frasi di odio che Dean avrebbe certamente voluto riversare su Malfoy.

Fece un passo avanti, superando il collega e ritrovandosi faccia a faccia con il biondo.

"Non ho idea di quale sia il problema" iniziò. "Ma credo proprio che sia meglio che tu te ne vada, Malf-"

Non finí la frase.
Focalizzò i propri occhi su di lui, incrociando le sue iridi grigie.

Non successe nulla, non sentí alcuna voce nella sua testa.

Non quella di Malfoy.
Non quella di Dean.
Non quella di Cameron.

Neanche i suoi stessi pensieri la raggiunsero.

Silenzio.

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Capitolo 2
*** 2. Innocente ***


Avviso: una piccola differenza rispetto ai libri.
Quando Harry raggiunge Severus, durante la battaglia di Hogwarts, Voldemort se ne è già andato. Perciò Harry non assiste alla conversazione tra Voldemort e Severus, nè vede Nagini attaccare Piton, ma trova l'uomo già ferito e morente.

Maggio 1998

"Non sono stato io" urlò ancora una volta Lucius Malfoy, sotto lo sguardo inerte e sprezzante dei membri del Winzegamot.

Il giudice Bones sollevò un foglio, scrutandolo per un momento. "La sua bacchetta é stata ritrovata accanto al corpo senza vita di Severus Piton, che ha segretamente agito sotto ordine di Albus Silente per tutta la durata della guerra".

"É stato lui" urlò nuovamente l'uomo. "É stato Voldemort".

Neanche il nome di colui che fino a qualche settimana prima non poteva essere nominato riuscì a scuotere l'austerità di Susan Bones.
"Perciò, la dichiaro colpevole dell'omicio di Severus Piton, fedele servitore dell'ordine della fenice, e in virtú dei poteri conferitimi la condanno ad una sentenza a vita presso il carcere di massima sicurezza di Azkaban".

Il silenzio calò nella stanza, spezzato dall'urlo strozzato che lasciò la gola di Narcissa. Paralizzata ed incredula, incapace di realizzare cosa fosse appena successo, la donna rimase immobile, ignorando il caos che si scatenò tutt'intorno a lei.

Gli Auror circondarono Lucius, mentre un dissenatore si materializzò ad attenderlo fuori dalla stanza, pronto a scortarlo ad Azkaban.

"Avete visto le ferite sul suo corpo" urlò un disperato Draco Malfoy, sperando che qualcuno lo ascoltasse. "Non può essere stato lui. Non è stato lui".

Ma nessuno lo degnò di un solo sguardo.

Nessuno dei membri del Winzegamot, troppo in alto, fisicamente e figurativamente, per preoccuparsi di lui, per provare pietá di fronte ad un ex-mangiamorte fallito.

Non suo padre, troppo codardo per guardare il proprio figlio negli occhi dopo tutto ciò in cui lo aveva trascinato.

Non sua madre, distrutta emotivamente e fisicamente, il cui sguardo perso e lucido puntava il vuoto.

E così, ancora una volta, il mondo che il giovane si illudeva di conoscere si sgretolava davanti ai suoi occhi.

Quando arrivò il momento del suo processo, poche settimane dopo quello di suo padre, l'atmosfera era differente.

Se non avesse trascorso le notti successive alla condanna sveglio per via dei singhiozzi continui di Narcissa, la sua mente sarebbe stata lucida abbastanza da risconoscere immediatamente il motivo per cui tutti sembravano aver cambiato atteggiamento.

C'era qualcuno al banco dei testimoni.

No, non qualcuno. Loro tre.

Udí poco o nulla di ciò che dissero.

"Tre mesi nel carcere di massima di sicurezza di Azkaban" furono le uniche parole del giudice Bones che raggiunsero le sue orecchie.

Qualcuno protestò. Qualcun'altro si alzò in piedi.

Non ci fece caso. Non gli importava.
Cosa aveva da temere?
I dissennatori?

Sentire sua madre piangere tutte le sere era peggio.

***

Gennaio 1999

"Non ti daranno mai retta" replicò sfinito Lucius, già totalmente privo di energia e vitalità dopo solo pochi mesi ad Azkaban.

"Non importa" insisté Draco, stringendo le labbra in una linea sottile e fissando il proprio orologio. La visita sarebbe finita tra pochi minuti.

"Crederanno che lo abbiamo manomesso-"

"Dammelo e basta" ansimò esasperato il giovane, sperando che suo padre riuscisse semplicemente a fidarsi di lui.

 Dopotutto, cos'altro aveva da perdere?

Aveva trascorso i suoi tre mesi ad Azkaban pensando e ripensando a ciò che avrebbe potuto fare per scagionare suo padre.

Lucius non era un assassino. Non era stato lui ad uccidere Severus.
Il suo processo era stato fin troppo affrettato: era bastato loro trovare la bacchetta dell'uomo accanto al corpo senza vita di Piton per condannarlo.

Ma il giovane non aveva alcuna intenzione di rinchiudersi al Manor ad ascoltare inerme i pianti di sua madre.

Doveva almeno provare.

Dopo tre mesi a riflettere ed analizzare i fatti in ogni minimo dettaglio, si rese conto che sarebbe stato facile ottenere che suo padre fosse rimesso a processo se solo fosse riuscito ad ottenere l'aiuto di qualcuno di influente.

Era così che funzionavano le cose nel mondo magico. E non se ne era mai dovuto preoccupare fino a quel momento, perché quello influente era sempre stato lui.

Ma adesso le cose erano cambiate: erano altre le persone a cui nessuno avrebbe potuto dire di no.

E per Draco Malfoy, anche se confinato in una cella e lontano dai nuovi equilibri sociali, fu facile capire di chi si trattasse.

***

Febbraio 1999

Avrebbe dovuto mandarlo via. Si era alzata dalla sua sedia con l'intenzione di allontanarlo. Ma adesso, incrociando i suoi occhi e ritrovandovi solo silenzio e nient'altro, era incuriosita.

Abbassò lo sguardo verso le proprie scarpe, respirando profondamente. "Hai cinque minuti, Malfoy" disse, indicando al giovane la porta del proprio ufficio e seguendolo all'interno sotto lo stupore di Dean e Cameron.

Non era affatto interessata a ciò che il giovane doveva dirle, qualunque cosa fosse. Il suo disprezzo per Malfoy era rimasto invariato da ciò che provava dai tempi di Hogwarts, e il motivo per il quale aveva testimoniato al suo processo non aveva nulla a che vedere con lui. 

Non lo aveva fatto per lui, lo aveva fatto perchè era la cosa giusta. Perché credeva in ciò che aveva dichiarato: se Malfoy non li avesse coperti quel fatidico giorno, non ce l'avrebbero mai fatta.

Rabbrividí per un momento, ricacciando indietro il ricordo di ciò che le era successo al Manor.

Prese posto dietro la propria scrivania mentre il giovane si accomodava in una delle due poltrone allestite di fronte a lei. Hermione continuò a fissarlo: non sentiva assolutamente nulla. 

Fatta eccezione per le leggere occhiaie che risaltavano sulla pelle chiara del suo volto, il ragazzo non sembrava poi troppo diverso da come lo aveva sempre conosciuto.
Sedeva rigido sulla sedia, la schiena dritta, gli abiti eleganti perfettamente stirati. Si domandò, mentre lo scrutava, quanti elfi domestici si trovassero ancora in schiavitù al Manor, e la cosa non fece altro che accrescere il proprio nervosismo.

 Il giovane tirò fuori dalla sua tasca una piccola boccettina con una nube bianca di vapore che fluttuava all'interno: un ricordo.  "Chiedo solo che tu lo veda" disse, lo sguardo freddo e vuoto, come se guardasse il mondo da oltre una vetrata, senza però focalizzarsi su nulla.

"Che cosa sarebbe?" chiese Hermione,  scrutando il piccolo contenitore e sforzandosi, al tempo stesso, di sentire qualcosa. Ma fu uno sforzo invano. Draco era rigido e composto, ogni suo singolo movimento lento e calcolato.

"I ricordi di mio padre" deglutì, ed Hermione colse un minimo cambiamento nei suoi occhi. "Del 2 Maggio 1998".

La ragazza si irrigidì sulla sedia. "Lucius Malfoy è  stato giudicato colpevole in un processo e condannato" disse duramente. "Qualsiasi prova avrebbe dovuto esser presentata mesi fa-"

"Non ce ne hanno dato il tempo" la interruppe, stringendo i denti.

Senza scomporsi, ed ignorando totalmente il suo commento, Hermione proseguì. "Ed ogni decisione sul caso spetta al giudice Bones".

Oh per favore.

Hermione sussultò. Lo aveva sentito, chiaro e preciso.

Draco portò le mani al nodo della sua cravatta, allentandolo impercettibilmente. Lo sguardo della ragazza ricadde su una delle vene del suo collo, che pulsò mentre il suo volto pallido prendeva lentamente colore.

"E chi ha deciso che dovrebbe essere Bones ad occuparsi di questo caso? " disse, il suo tono di voce calmo ma deciso. "Perchè c'è stato solo un giudice ad occuparsi di tutti i processi degli ultimi sette mesi?"

Hermione aprì la bocca per replicare, ma l'ex-serpeverde fu più veloce di lei, sporgendosi in avanti sulla scrivania. "Dove è finito il resto della giuria?".

"Lo stato di emergenza immediatamente dopo la fine della guerra non ha permesso di ripristinare l'apparato giudiziario al completo" esclamò Hermione, trattenendo il respiro per riuscire a finire la frase prima che lui la interrompesse di nuovo. "Nel caso ti sia sfuggito, metà dei suoi componenti è morta" concluse, ansimando per riprendere fiato e rendendosi conto solo adesso che, in un punto imprecisato del suo discorso, si era alzata dalla sedia. 

Draco la seguì, alzandosi a sua volta e puntando le mani contro il capo opposto della scrivania. "Non ci sono stati testimoni, non gli è stata data la possibilità di difendersi".

"Non è certo colpa del giudice Bones se nessuno ha voluto testimoniare al suo processo".

Gli occhi di Draco presero vita in un modo che fece quasi rabbrividire la grifona. "La colpa è sua perchè a me e mia madre non è stato permesso di testimoniare" affermò, digrignando i denti.

L'esitazione di Hermione davanti allo sguardo furioso del ragazzo si dissolse prima che il giovane terminasse la sua frase.  In un'altra circostanza avrebbe addirittura riso dinanzi a quella affermazione. Come poteva Malfoy essere così presuntuoso da credere che gli sarebbe stato concesso di testimoniare? Se non fosse stata così furiosa, avrebbe scosso la testa e ricordato al ragazzo che il mondo al quale era abituato, in cui chiunque si piegava di fronte alla M laccata sul suo anello e allo scintillio dei suoi galeoni, non esisteva più. 

Ma il modo in cui le stava parlando aveva fatto ribollire il sangue nelle sue vene come non le capitava da mesi. "Fossi in te, Malfoy" disse, sentendosi di nuovo come se fosse tra i corridoi di Hogwarts a rispondere alle sue provocazioni. "Eviterei di forzare troppo la mano".

Il giovane abbassò lo sguardo, ed Hermione fu momentaneamente pervasa dalla sensazione di aver vinto: aveva ottenuto finalmente la sua rivincita sul bullo che l'aveva sempre tormentata. Aveva lei il potere adesso, era lei quella con il coltello dalla parte del manico. 

Avrebbe dovuto sentirsi alla grande. Fiera, felice, orgogliosa. Perché si sentiva in tutt'altro modo?

Il biondo sospirò, e quando i suoi occhi incontrarono di nuovo quelli marroni ed infuocati di Hermione, la ragazza si rese conto che il suo sguardo era ritornato quello vuoto e privo di vita che aveva nel momento in cui era entrato nel suo ufficio. Questo, tuttavia, non fu sufficiente a placare il sangue che ribolliva nelle due vene. 

"Ti sto solo chiedendo di guardarlo" insitè, spingendo la piccola boccetta sul tavolo.

"Lucius è stato condannato, non è necessario che porti queste prove manomesse per dimostrare che-"

"Non è manomesso" la interruppe.

Hermione fece roteare gli occhi. "Visto che ne sei così sicuro, perchè non lo porti direttamente a Bones?"

Pensava di poter approfittare di lei? E perchè? Semplicemente perchè aveva testimoniato al suo processo? Oh, aveva sbagliato di grosso.

"E credi che mi ascolterebbe?" sbottò Draco, alzando tono di voce e scattando in avanti con una rapidità tale da costringere Hermione a tirare fuori la sua bacchetta, puntandola contro il suo petto.

Un sorriso amaro prese forma sulle labbra del biondo. 

Riflessi della guerra. Non è facile dormire sempre con un occhio aperto, vero Granger?

Hermione si sforzò di rimanere immobile e di non tradire l'agitazione che la voce di Draco nella sua testa le provocava.

Il silenzio cadde sulla stanza, spezzato solo dai respiri pesanti di entrambi. 

Credi che sarei davvero qui se non fossi disperato?

"Dov'è finito il tuo senso di giustizia, Granger?" chiese, apparantemente non intimorito dalla bacchetta di Hermione puntata contro il suo petto. "Non meritano tutti una difesa?"

Nessuna risposta. 

"Vedi questo ricordo" disse, alzando la voce. "O dategli del veritaserum. O  datelo a me" urlò, sporgendosi in avanti al punto che il suo petto incontrò la punta della bacchetta tesa "o leggetegli la mente. Ma fate qualcosa".

Alle ultime parole, Hermione sussultò leggermente. "Dovresti andartene".

Ci fu un momento di silenzio, nel quale il giovane non parlò e la sua mente non fece trapelare nulla. 

Poi, lentamente, indietreggiò, avviandosi verso l'uscita, lasciando la piccola boccetta ripiena di vapore sulla scrivania.

Si fermò dinanzi alla porta, voltandosi verso Hermione mentre la sua mano raggiungeva la maniglia. "Mio padre è molte cose" disse, lo sguardo vuoto "ma non un assassino". 
Aprì la porta, facendo un passo oltre la soglia prima di cercare nuovamente gli occhi della ragazza "come non lo era Sirius Black".

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Capitolo 3
*** 3. Sola ***


Le parole di Draco continuarono a risuonare nella mente di Hermione per giorni da quando lasciò il suo ufficio. 

E quello che aveva detto, oltretutto, era la cosa che meno la tormentava di lui.

No, non c'era solo il fatto che avesse tirato in ballo Sirius Black ad avere acceso la curiosità della grifona. Nei brevi minuti della loro animata conversazione Hermione aveva cercato di osservare e studiare Draco Malfoy il più possibile, ed era giunta ad un' importante conclusione: era un abile occlumante.

Occludeva i suoi pensieri persino a sè stesso, e solo concentrandosi attentamente era possibile cogliere l'impercettibile cambiamento del suo sguardo quando le sue barriere cedevano appena. Si chiese dove avesse imparato, ottenendo al tempo stesso un'ulteriore conferma a ciò che aveva spesso ipotizzato: l'occlumanzia era la chiave. Se avesse imparato a chiudere la sua mente sarebbe riuscita, forse, a padroneggiare questa abilitá. 

Draco Malfoy usava l'occlumanzia per evitare che i suoi pensieri uscissero. 

Forse lei avrebbe potuto sfruttarla per evitare che altri pensieri entrassero.

Si convinse che sarebbe dovuta necessariamente andare a visitare la libreria di Diagon Alley.
Alzò lo sguardo verso l'orologio da parete del suo ufficio: le 20.30, ormai per oggi era troppo tardi. 

Forse avrebbe potuto provare a chieder qualcosa ad Harry, per quanto ne sapeva il ragazzo aveva ricevuto lezioni di occlumanzia dal migliore in circolazione, colui che era riuscito ad ingannare persino Voldemort. Magari avrebbe potuto offrirle qualche informazione, se fosse riuscita a chiedergliela senza destare troppi sospetti. 

Si chiese di nuovo come mai Malfoy utilizzasse l'occlumanzia, ammonendosi un momento dopo per aver pensato ancora una volta a lui.
Tuttavia, per quanto si sforzasse, non poteva impedire alla sua mente di saettare tra le abilità occlumanti del serpeverde ed il caso di Sirius Black del quale le aveva parlato.

Toc Toc.

Sollevò la testa dai suoi documenti, scorgendo i disordinati capelli neri del suo migliore amico fare capolino oltre la porta. "Entra" disse, con un sorriso stanco sul volto.

"Mhh" il giovane fece un passo avanti, scrutando le pile di fogli tutt'intorno a lei. "Non  credi che invece sarebbe il caso che uscissi tu?"

Per Godric, sono le otto e mezza

"Ho due settimane di arretrati da recuperare" ansimò Hermione, portandosi le mani alle tempie. 

"E dove stava scritto che dovessi recuperare tutto nei primi due giorni?" 

Dio mio, Hermione, non sembri in forma

Hermione sollevò lo sguardo indignato verso il proprio amico e la sua palpebra sinistra pulsò momentaneamente per lo stress. "Hai ragione" sospirò infine, richiudendo il fascicolo che aveva davanti e afferrando la propria borsa. "Continuerò domani".

"Oh, credevo sarebbe stato più difficile convincerti" disse Harry, dandole una pacca sulla spalla mentre lasciavano l'ufficio.

Hermione sbuffò mentre entravano in ascensore. "Sono solo preoccupata per la riforma a tutela dei diritti dei lupi mannari".

Già, strano che abbiano anticipato la discussione così senza preavviso

"Sono felice che se ne sia parlato" sospirò  "ma avrei voluto esserci. Insomma, hanno rimandato la cosa per mesi" si portò una mano tra i capelli, allentando il rigido chignon che aveva in testa mentre lasciavano l'edifico. "E decidono di farlo proprio quando sono in ospedale".

Giá, in effetti é stato strano

"E la legge non è comunque stata approvata, perciò se ne riparlerà tra mesi adesso e-"

La ragazza si bloccò nel bel mezzo del suo sfogo, notando che Harry aveva smesso di camminare. "Non vai a casa?" chiese.

Devo dirglielo, magari è stata invitata. Sarebbe più invogliata a venire se-

"In realtà" iniziò, abbassando lo sguardo imbarazzato. "Ceno alla tana questa sera".

"Oh" fu l'unica cosa che lasciò la bocca di Hermione.

Ecco, ho fatto un casino. Maledetto Ron, non può mettermi in questa situazione

"Credevo fossi stata invitata e-"

"Non preoccuparti" lo interruppe Hermione, sforzandosi di sorridere il più possibile. 

"Herm, mi dispiace. Non ho idea di cosa sia successo tra te e Ron e perchè la situazione sia così tesa, ma..."

"Harry" cercò di tranquillizzarlo. "Va tutto bene, dico sul serio". Guardò l'orologio. "Sono molto stanca, e domani inizio la mattina presto, perciò..."

Il giovane fece un passo avanti, abbracciandola. "Ti voglio bene" le disse.

"Anch'io" replicò, rispondendo all'abbraccio. "E salutami Ginny".

"Sarà fatto" affermò il giovane, sciogliendosi dalla sua presa. "Allora, a domani"

Hermione rimase lì, ferma, sola, ad osservare il punto del marciapiede dal quale si era smaterializzato.
Negli ultimi anni difficilmente le era capitato di ritrovarsi da sola, di sentirsi sola.

Ma adesso la scuola era finita, la guerra era conclusa e molti volevano godersi le cose belle della vita: amore, amicizia, la prospettiva di un futuro. Tutte cose alle quali lei aveva tentato di aggrapparsi: ci aveva provato, davvero. Eppure la situazione con Ron era lentamente sfuggita al suo controllo.

Il declino era stato lento ma inesorabile, consumatosi nei pochi mesi successivi alla guerra, durante i quali Hermione si era destreggiata tra via vai per tutti gli ospedali di Europa ed un fidanzato affettuoso ma sfuggente.

Nonostante entrambi avessero perso qualcuno, lei e Ron avevano avuto modi diversi di reagire alla perdita. Le paure di Hermione, il suo bisogno di aver sempre il controllo della situazione e il suo desiderio di combattere ancora per rivoluzionare il mondo magico si erano scontrate con gli interessi del ragazzo.
Dopo la guerra, infatti, Ron Weasley aveva deciso che il momento di combattere era definitivamente concluso. Adesso avrebbero dovuto rilassarsi.

Ed aveva ragione. Razionalmente, Hermione sapeva che aveva ragione. Ma lei sentiva che c'erano ancora molte battaglie per le quali avrebbe dovuto schierarsi in prima linea.

Queste differenze crebbero presto tra di loro, ergendo un muro che nessuno dei due sarebbe riuscito a scavalcare.

Avevano presto iniziato ad allontanarsi l'uno dall'altra. E lei lo sentí: percepiva quando lui era distante, quando i suoi sorrisi erano falsi, quando fingeva di essere interessato a ciò che raccontava.

Ben presto si accorse, quando le sue risposte divennero sfuggenti ed evasive, i suoi gesti meno spontanei e piú calcolati, che l'interesse del rosso nei suoi confronti sembrava svanito.

E, per la seconda volta nella sua vita, Hermione Granger si sentí insicura e gelosa.

Da quel momento in poi il declino del loro rapporto procedette, rapido ma silenzioso, fino al punto di rottura.

Era tornata stanca dal lavoro, e con due ore di ritardo. Sicuramente Ron non l'aveva aspettata per la cena, ma avrebbe voluto vederlo lo stesso. Entrò in casa e inviò lui un messaggio via gufo. 

Nel frattempo si infilò sotto la doccia, lasciando le sue mutandine di pizzo per terra fuori dalla porta del bagno, sperando che il rosso, nel momento in cui fosse arrivato nel suo appartamento, l'avrebbe raggiunta lì.
Se la prese comoda, mettendoci tutto il tempo necessario.

Dopo un po', pensando che forse il ragazzo non avesse visto il suo messaggio, si avvolse nell'accappatoio e lasciò la doccia.

Con sua grande sorpresa, Ron era seduto sul suo divano. 

"Ehi" richiamò la sua attenzione, osservando mentre si rigirava tra le mani il telecomando della tv babbana che aveva fatto installare nel suo appartamento. 

"Ehi" la salutò, voltandosi un momento nella sua direzione prima di riportare l'attenzione sul telecomando. "Come hai detto che funzionava?"

Esitante, Hermione si avvicinò al divano, sedendosi accanto a lui e afferrando lo strumento. "Ecco" disse, indicando il tasto di accensione e premendolo un istante dopo.

"Grazie" annuí il rosso mentre il televisore prendeva vita. "Papà non riesce mai a farla funzionare".

"Quando sei arrivato?"

"Poco fa" sospirò, lo sguardo fisso sulle immagini che si susseguivano sul piccolo schermo.

Ancora in accappatoio e gocciolante, Hermione rimase in silenzio, aspettando che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa. Quando i secondi iniziarono a diventare minuti, decise di esser lei a rompere il silenzio. "Va tutto bene?"

"Si" replicò il rosso, fissando finalmente i suoi occhi su di lei per più di una frazione di secondo. Scrutò i suoi capelli ancora gocciolanti. "Dovresti asciugarti".

Hermione rimase ferma accanto a lui sul divano. "Già, hai ragione".

Ci fu un'altra, straziante, pausa nella conversazione. Hermione strinse le mani a pugno, affondando le unghie contro i palmi . "Sei sicuro che vada tutto bene?" sospirò, incapace di reggere il silenzio imbarazzante.

Il rosso alzò gli occhi al cielo. "Si" replicò con tono seccato, cosa che non fece altro che accrescere il nervosismo di Hermione.

La ragazza prese un respiro profondo. "D'accordo" disse, avvicinandosi a lui sul divano e appoggiandosi sulla sua spalla, mentre con una mano accarezzava il suo petto. 

"Hermione, ma cos-"

Portò le proprie labbra su quelle di Ron, che immediatamente si ritrasse. 

"Allora lo vedi che c'è qualcosa che non va?" sbottò la grifona con occhi lucidi, cercando di impedire al proprio orgoglio di sgretolarsi in mille pezzi.

"Ah, io sarei quello che ha qualcosa che non va?" si alzò in piedi il ragazzo. 

Forse per il nervosismo, o forse per la frustrazione, o per il triste risvolto che aveva preso la serata, Hermione non fu in grado di trattenere le lacrime. "Se non mi vuoi più, o non vuoi piú questo" disse, agitando le mani tra loro, "puoi semplicemente dirmelo".

L'espressione sul volto del ragazzo divenne rigida e seria, ma Hermione continuò. 

"Perchè mi sembra evidente che ci sia qualcosa che non va-" 

"Non ho voglia di litigare" replicò secco il rosso, avviandosi verso il caminetto. 

"Abbi il coraggio di dirmelo in faccia" insistè Hermione alle sue spalle. "Non sono stupida, Ron. So cogliere i segnali..." abbassò lo sguardo. "O forse un po' lo sono, stupida" si asciugò una lacrima con la mano. "Perchè li ho ignorati fin troppo a lungo".

Il rosso spalancò la bocca, poi la richiuse, guardando altrove. Trascorsero in silenzio diversi secondi prima che si voltasse nuovamente verso il caminetto, afferrando la metropolvere. "Tu immagini le cose" disse, rivolgendole uno sguardo sprezzante e sparendo in una fiammata verde.

Le parole di Ron, in quella e in tutte le successive discussioni,  riuscirono gradualmente a creare una breccia attraverso la rigida corazza di sicurezza della grifondoro, portandola a dubitare di sè stessa.

Perché se c'era una cosa di cui Hermione Granger non aveva mai dubitato prima d'ora, quello era il suo istinto. La sua intuitivitá, avrebbe detto.

Ma, accecata dall'amore o forse dalla paura di vedere qualcun'altro uscire dalla sua vita, si era lentamente convinta di essere lei quella in torto, di essere lei quella che immaginava che le cose non andassero bene.

C'era sicuramente una spiegazione per gli atteggiamenti distanti di Ron. E doveva per forza essere una spiegazione diversa dall'unica che affiorava alla mente della grifona: che la loro relazione si fosse rivelata una delusione, per lui.

Poichè rimossa l'ansia e l'incertezza della guerra, Ron Weasley si era presto reso conto di aver tutta una vita davanti. Un futuro ampio e stracolmo di possibilità, e a differenza di Hermione, Harry e persino Ginny, non  aveva alcuna fretta di sistemarsi o decidere cosa farne della sua vita cosí presto. 

Ma la relazione con Hermione era qualcosa di comodo, familiare, abitudinario. 

Ed ecco che si erano ritrovati intrappolati in un loop di risentimento e malcontento reciproco in soli pochi mesi, che alla fine era stata proprio Hermione a spezzare.

E così, adesso, agli occhi dei Weasley era lei quella che aveva rotto la relazione, perdendo la cosa più vicina ad una famiglia che le fosse rimasta. 

***

Draco sbucò fuori dal caminetto, scrollandosi la cenere di dosso e trovando sua madre seduta su una delle ampie poltrone del salone, lo sguardo puntato fuori dalla finestra.

Un elfo si materializzò dinanzi a lui.

"Signore, la cena é servita".

Il giovane annuí, rivolgendosi alla donna che sedeva senza batter ciglio. "Ceni con me?" chiese, consapevole che la risposta sarebbe stata negativa.

"Non ho fame" rispose flebilmente la donna, come lui aveva previsto.

Senza che sua madre lo degnasse di uno sguardo e con lo stomaco attorcigliato su sé stesso, Draco afferrò il sacchetto di metropolvere sopra il caminetto.
"Nott Manor" urlò, svanendo in una fiammata verde pochi istanti dopo.

"Brutta giornata?" chiese il suo amico non appena le fiamme si dissolsero.

Draco si limitò ad annuire, entrando nell'ampio salone. I suoi incontri con l'ex compagno di casa erano diventati sempre più frequenti ultimamente. Erano soliti vedersi la sera ed affogare la loro rispettiva solitudine in una delle tante raffinate bottiglie una volta appartenute a Theodore Nott Senior.

"Billy" urlò Theo mentre si lanciava sul grosso divano al centro del salone.

Un piccolo elfo con indosso un assurdo paio di pantaloncini  ed un buffo cappello più grande della sua testa si materializzò davanti a lui- "Il padrone ha chiamato?"

"Oh, Billy" riprese il ragazzo, facendo scricchiolare il grosso divano mentre si dimenava per trovarvi una posizione comoda. "Non ho detto di smetterla di chiamarmi così?"

L'elfo abbassò lo sguardo.

"In ogni caso, Bil" continuò. "Gradiremmo molto se potessi portarci una di quelle vecchie bottiglie di mio padre dal suo nascondiglio segreto".

"D'accordo" annuì la creatura, sparendo e riapperendo un momento dopo con in mano una polverosa bottiglia di liquido ambrato e due bicchieri.

"Grazie Bill" annuì Theodore, riempiendo un bicchiere e porgendoglielo. "Favorisci?".

Il piccolo elfo lo guardò con aria smarrita e terrorizzata, scuotendo la testa.

"Come immaginavo". Theo prese un profondo respiro, scolando il bicchiere lui stesso. 

L'elfo si smaterializzò via e Draco, momentaneamente perplesso per quella scena, si accomodò nella poltrona di fronte al suo amico. 

"Ma cosa-?" chiese, indicando il punto in cui l'elfo si trovava mentre Theo gli porgeva un bicchiere fin troppo pieno.

"Vivo da solo amico" rispose, scolando il suo secondo bicchiere. "Faccio io le regole. Ho liberato tutti gli elfi, ma Bill ha deciso di restare qui. Folle vero?" cambiò ancora una volta posizione sul vecchio divano, poggiando i piedi sullo schienale. "Ma in fondo è di compagnia. E in più, conosce tutti i nascondigli segreti di mio padre, perciò..."

"Aspetta. Aspetta" Draco strabuzzó le palpebre  "Hai liberato tutti gli elfi domestici?"

"Lo so, lo so" sorrise, agitando il bicchiere al punto che alcune gocce della bevanda caddero sul velluto del divano. "Molto Hermione-Granger da parte mia, ma sto solo anticipando i tempi".

Draco rimase fermo, chiedendosi quanti bicchieri di whiskey incendiario Theo avesse bevuto prima del suo arrivo. "A cosa ti riferisci?"

"Oh, già lo sai" disse, prendendo un grosso sorso. "É praticamente la persona più influente all'interno del ministero. Fatta eccezione per San Potter naturalmente, ma lui non ha il suo cervello".

Draco abbassò lo sguardo a quell'affermazione, fin troppo risentito dalla sua recente conversazione con la grifona per risconoscere ad alta voce la sua intelligenza.

"Immagina tutta questa influenza nelle mani di qualcuno con la sindrome dell'eroe dei grifondoro e la testardaggine di Hermione Granger. Mi stupisce che tu abbia ancora elfi domestici al manor" gesticolò, facendo cadere altro liquore per terra. "Fidati, amico, se vuoi avere qualche speranza di riuscire a parlare con lei ti consiglio di andarci con Mippy".

Il biondo si rigirò il bicchiere tra le dita. "In realtà..."

L'amico saltò in piedi, sedendosi dritto sul divano. "Non ci credo, ci hai parlato, davvero?"

"Si" annuì. "E stata una sorpresa anche per me. E a quanto pare anche per i suoi tirapiedi, Thomas e quella donna sempre vestita di viola".

"Raccontami come è andata" disse il moro, riempiendosi nuovamente il bicchiere. Il terzo da quando era arrivato.

"Mi ha sbattuto fuori dopo cinque minuti" sospirò il ragazzo, riflettendo. "Ma c'era qualcosa di strano in lei, di diverso..." l'ultima frase lasciò la sua bocca prima che se ne rendesse conto, più come una riflessione tra sé e sè che come qualcosa che avrebbe voluto condividere.

Theodore rise. "Oh, e sarebbe?"

"Non lo so" replicò, improvvisamente serio. 

"É la guerra, amico"

"Già" scosse la testa Draco, sforzandosi di rimuovere l'immagine di Hermione sul pavimento del manor dalla sua mente, ma pensando al contempo che no, non era quello il cambiamento che aveva visto in lei. Non sapeva come, ma sentiva ci fosse qualcosa...

"Le hai detto di Sirius Black?" domandò Theo.

"Si"

"E?" lo incoraggiò. "Come é andata?"

"Spero che funzioni" fece spallucce. "É la mia ultima possibilità".

"Non dire così" lo corresse il suo amico, abbandonando il breve momento di serietá. "Non è l'ultima".

"Oh, e che altre possibilità avrei?"

"Puoi sempre provare a sedurla" rise il moro, coricandosi nuovamente sul divano. "Ammetto che non sarebbe facile, ma-"

"Avrei più possibiltà di sedurre una madragora" sbuffò Draco.

"Oh, amico" lo guardò teneramente. "Datti credito, non sei così male".

Il biondo alzò gli occhi al cielo. 

"In ogni caso, dicevo" riprese il ragazzo, fissando il soffitto e gesticolando con movimenti ampi e lenti. "Che non è affatto male, la Granger. Non credi?"

"Non dirai sul serio?" riprese Draco, improvvisamente in imbarazzo. Non era la prima volta che lui e Theodore parlavano di ragazze, ma, stranamente, Hermione Granger non era mai stata oggetto delle loro conversazioni. 

"Oh, andiamo. Non l'abbiamo mai guardata prima perchè..." rise. "Perchè le convinzioni dei nostri genitori si sono infilate fin dentro i nostri pantaloni, ma-" 

"Ma?" sollevò le sopracciglia il biondo.

Silenzio. 

"Theo?" lo richiamò Draco. "Non ci starai pensando davvero?"

"A cosa?" chiese il moro con aria distratta.

"Granger"

"Oh, ci sto pensando e come" sorrise. "É in forma, ed ha delle belle labbra, e -oh mio dio- il suo sedere."

"BASTA" urlò il biondo, costringendo il suo amico a fermarsi. L'ultima cosa alla quale voleva pensare era il corpo della Granger.
No, non poteva pensare a lei in quel senso. Non lo aveva mai fatto, perché avrebbe dovuto iniziare adesso?

Dopotutto, non era niente di speciale. 

Vero?

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Capitolo 4
*** 4. Stanca ***


Per evitare di pensare alla propria solutidine, Hermione cercò di cimentarsi ancora di più sul lavoro. Erano successe diverse cose al Ministero che non avevano molto senso e che faceva fatica a spiegarsi.

Oltre allo stupore di sapere che la discussione sulla sua proposta di legge per i lupi mannari si era svolta in sua assenza, aveva poi scoperto che le pagine e pagine di proposte che aveva scritto e consegnato riguardo la liberazione degli elfi domestici erano sparite dalla sua scrivania.

Eppure ricordava di averle accuratamente e attentamente posizionate nel suo cassetto.

Sbuffò, portandosi le mani alle tempie. Aveva imposto a sé stessa di uscire dal lavoro un'ora prima quell'oggi, in modo da poter finalmente acquistare qualche libro di occlumanzia a Diagon Alley, approfittando della giornata apparentemente tranquilla così da non incontrare troppa folla.
Non era ancora in grado di padroneggiare il suo dono, ed esporsi ad una folla numerosa la faceva sentire come se il suo cervello stesse per esplodere.

Inoltre, preferiva non essere vista. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che la Skeeter scrivesse sulla gazzetta del profeta che Hermione Granger era improvvisamente interessata all'occlumanzia. Era già sufficientemente spaventata per lo strano episodio che si era verificato in ospedale con quel piccolo dottore stempiato e occhialuto: Pricett, così avevano detto si chiamasse.

Lasciò andare le carte che aveva in mano, rendendosi improvvisamente conto che quel cognome lo conosceva bene. Come aveva fatto a non rendersene conto?

Toc toc

Cameron bussò alla porta del suo ufficio ed Hermione sussultò appena, temendo quasi di aver attirato la sua presenza con la forza dei propri pensieri.
Si chiese se la donna fosse imparentata con quel dottore del San Mungo. Avere lo stesso cognome non era una cosa che succedeva spesso nel mondo magico, ed osservando adesso il suo volto corrugato e la sua corporatura piccola e curva, la somiglianza saltò improvvisamente ai suoi occhi.

Fratelli, ipotizzò.

La donna avanzò verso la scrivania della grifona con in mano una pila di documenti e la ragazza non potè fare a meno di notare l'assurdo completo lilla che indossava oggi, accompagnato da scarpe coordinate.
"Vogliono che analizzi questi documenti".

E ovviamente ho dovuto portarteli io.

"Regolamentazione nella produzione di bacchette" lesse "a quanto pare la prossima legge che vogliono discutere riguarda l'utlizzo di corda di cuore di drago, crine di unicorno, insomma" alzò appena gli occhi al cielo, gesto che tuttavia non sfuggì alla ragazza "tutela delle creature eccetera eccetera. Devi leggere questa bozza, sono stati rivisti alcuni punti della tua proposta".

Hermione afferrò la pila di documenti, lasciando saettare vagamente lo sguardo sulla prima pagina. "E gli elfi domestici?" chiese dopo qualche secondo, notando che non ve ne era menzione nel documento che Cameron le aveva appena consegnato.

Oh, non ancora, per favore.
"Cosa?" domandò la donna alzando le sopracciglia con aria indifferente.

"Qui non dice nulla a riguardo" la grifona sollevò la pagina principale del file, sperando vi fosse qualcosa sul retro. Niente. "Tutte le mie proposte sono state mandate indietro senza essere nemmeno lette. Vengono scartate a prescindere".

Non ho nè il tempo nè le energie per un'altra di queste scenate. "Mi dispiace, ma se la tua proposta non viene approvata dal consiglio..."

"Mi toccherà riscriverne un'altra. Si, lo so" sospirò Hermione, rivolgendo poi lo sguardo verso la donna. "A proposito, Cameron... Volevo chiederti" esitò. "Sai per caso chi ha avuto accesso al mio ufficio mentre non ero presente?"

Oh, solo gli elfi domestici che fanno le pulizie

"Solo io e Thomas per consegnarti i fascicoli delle correzioni alle tue proposte e dei documenti che dovresti esaminare" si impettì la donna, il suo tono di voce completamente diverso rispetto all'astio che proveniva dai suoi pensieri. "Perchè?"

"Nulla" rispose infine Hermione, stanca di sentire i suoi pensieri e desiderosa solo di restare da sola. "C'è altro?"

"No, è tutto" replicò Cameron, lasciando l'ufficio impettita sopra i suoi tacchi lilla.

Hermione si ritrovò ancora una volta con le mani alle tempie, piegata tra le pile di documenti sparse sulla sua scrivania e con la sensazione che tutto questo duro lavoro non la stesse portando da nessuna parte.

E se Ron avesse avuto ragione? si chiese, scrollando la testa un istante dopo e afferrando l'ennesimo documento per evitare di pensare al nodo che le opprimeva lo stomaco.

Il suo sguardo cadde in quel momento sulla piccola boccettina che Malfoy aveva abbandonato sulla sua scrivania e, per un solo istante, pensò che forse avrebbe potuto guardare il ricordo al suo interno. Se non altro per capire come lo avessero manomesso.

No, si disse. Non erano i Malfoy a meritare il suo tempo: c'erano problemi ben più importanti dei quali avrebbe dovuto occuparsi.

Tuttavia, dopo aver inutilmente letto e riletto diverse pagine, fu costretta ad ammettere che la sua mente era altrove, distante dall'inchiostro che aveva davanti.

Pensò a dove potesse trovarsi il pensatoio più vicino e a quale potesse essere il momento più opportuno per accedervi senza farsi notare.

Era paradossale come, pur non essendo riuscita a sentire i suoi pensieri, Malfoy fosse comunque riuscito ad intrufolarsi nella sua testa.
Ed adesso Hermione Granger era nel mezzo di un fuoco incrociato tra orgoglio e curiosità, che si davano battaglia nella sua mente già esausta.

Si allontanò dalla scrivania, facendo capolino oltre soglia della porta nel corridoio parzialmente vuoto.
Prese un respiro profondo, nascondendo la piccola boccetta nella tasca della sua giacca, e si avviò verso l'ascensore. Il pensatoio più vicino si trovava all'ufficio misteri. Non sarebbe stato facile raggiungerlo senza incontrare nessuno, ma approfittare della pausa pranzo avrebbe potuto aiutarla.

Era quasi sul punto di pentirsi della sua decisione quando, una volta raggiunto l'ingresso dell'ufficio misteri, udì delle voci in fondo al corridoio. Maledicendo quella pessima decisione, afferrò la maniglia e svaní nella stanza.

Si sentì stupida ed ingenua mentre versava il contenuto della piccola bottiglietta nel pensatoio, giurando a sè stessa che nessuno mai sarebbe dovuto venire a conscenza del fatto che stava facendo ciò che Draco Malfoy le aveva detto di fare.

Delle immagini iniziarono a prendere forma sulla superficie acquosa e, prendendo un respiro profondo, vi si immerse. Oramai era troppo tardi per arrestare la sua curiosità.

Si ritrovò in una stanza umida e poco illuminata. Si guardò intorno, sperando di riuscire a raccogliere quanti più indizi possibile che il ricordo fosse stato manomesso.

Avvertì un fruscio e, abbassando lo sguardo, ritrovò il grosso serpente, Nagini, a pochi passi da lei. Trattenne il respiro, ripetendosi mentalmente che era solo un ricordo e niente di tutto ciò era reale.

"Mio signore, la resistenza sta crollando" balbettò Lucius.
Hermione lo osservò: era pallido, magro e sudato.
"Vi prego, lasciatemi andare a cercare mio figlio".

Voldemort faceva rotolare la bacchetta tra le dita con aria calma ed indifferente. "Se tuo figlio è morto, Lucius, non è un mio problema. Non è venuto da me come gli altri serpeverde, forse ha deciso di diventare amico di Harry Potter?"

Hermione tremò, intimorita dalla voce di Voldemort che si infilava sotto la sua pelle. Di cosa stava parlando? Dov'era Draco?

"No.. mai" sussurò Lucius.

"Devi solo sperarlo" concluse Voldemort, abbassando lo sguardo nuovamente sulla sua bacchetta. "Vammi a prendere Piton" ordinò.

"P-piton, m-mio signore?"

"Si, adesso. Ho bisogno di lui, vai".

Spaventato, ed inciampando nella penombra, Lucius lasciò la stanza, dirigendosi verso l'esterno.
La scena mutò, ed Hermione si ritrovò nel bel mezzo del campo di battaglia, ma da una prospettiva completamente diversa a quella che lei aveva vissuto.

Correva in mezzo all'esercito dei mangiamorte, tra Yaxley e Greyback. Lucius camminava dritto, non prestando attenzione agli incantesimi che volavano tutt'intorno a lui e che per poco non rischiarono di colpirlo.

"Dracooo" urlò l'uomo, iniziando a correre sempre più veloce.

Hermione lo seguì, sentendo tuttavia che iniziava a mancarle il fiato.

Un urlo alle sue spalle la costrinse a voltarsi.
Greyback era per terra, con la schiena grossa e pelosa rivolta verso di lei.
Dopo un istante si voltò, ed Hermione si sentì come se i suoi occhi scuri e indemoniati potessero realmente vederla. Il suo sorriso si aprì, rivelando i suoi canini insanguinati.

Le ginocchia della ragazza cedettero. Cadde in terra su qualcosa di umido. Abbassò lo sguardo: una pozza di sangue rosso colava copiosamente dal collo di Lavander Brown.

Ed Hermione schizzò fuori da quel ricordo, affannando per riprendere aria, con il cuore che batteva all'impazzata e lacrime che sgorgavano sul suo volto. Non si era neanche resa conto di aver iniziato a piangere.

Con mani tremanti, sollevò la sua bacchetta e rimise il ricordo nella boccetta, schizzando via dalla stanza il più velocemente possibile.

Non seppe mai dove Lucius fosse diretto, né se il ricordo fosse manomesso o meno. Per la prima volta in vita sua, ad Hermione Granger mancò il coraggio di arrivare fino in fondo.

Non poteva rivivere tutto quello un'altra volta.

***

Terminate le noiose questioni burocratiche alla Gringotts, per le quali avrebbe volentieri mandato un elfo domestico se qualcuno non lo avesse reso socialmente inaccettabile, Draco era alla ricerca di un posto appartato dal quale potersi smaterializzare direttamente a Nott Manor.

Qualcosa, tuttavia, catturò la sua attenzione prima che potesse procedere con il suo piano originario.

Hermione Granger era a Diagon Alley.

Fissò l'orologio, chiedendosi se non avesse del lavoro da svolgere e come mai non fosse al ministero a quest'ora.

Qualcosa dentro di lui, curiosità o istinto, lo spinse a seguirla. Hermione si guardava intorno con aria sospettosa e furtiva, come se non volesse esser vista da nessuno.

Camminò lentamente, a debita distanza, finchè non la vide entrare al ghirigoro.

Nascosto nell'ombra tra gli alti scaffali, Draco Malfoy si ritrovò a chiedersi perché l'eroina del mondo magico fosse così interessata all'occlumanzia adesso che la guerra era finita.
La scintilla del dubbio, tuttavia, si spense presto. Non era importante il perché. La cosa importante era che avrebbe potuto sfruttare la cosa a suo vantaggio.

***

Oltrepassata la soglia del piccolo negozio, Hermione tirò un sospiro di sollievo, godendosi la quiete della propria mente. Nel breve tragitto che aveva percorso per le pressocchè desolate vie di Diagon Alley il suo cevrello era stato raggiunto dai pensieri confusi e frettolosi dei pochi passanti in giro, lasciandola adesso con un forte mal di testa ed un ronzio nelle orecchie. Sperava davvero che l'occlumanzia fosse la chiave: se così non fosse stato, sarebbe stata costretta a chiedere l'aiuto di qualcuno, e tornare al San Mungo non era un'opzione contemplabile per il momento.

Saettò tra gli scaffali rapidamente, raggiungendo la sezione che le interessava. Dal silenzio nel negozio non ebbe bisogno di guardarsi intorno per capire che era l'unica cliente. L'anziano proprietario sedeva in dormiveglia nella piccola scrivania all'ingresso, ma i suoi pensieri non la disturbarono.

Si rilassò così, perdendosi tra i titoli sugli scaffali. C'erano decine di libri che avrebbe voluto divorare al più presto, ma per motivi di natura logistica, e anche finanziaria, impose a sè stessa di non correre troppo e partire dalle basi: se Malfoy era in grado di padroneggiare l'occlumanzia, avrebbe potuto farlo anche lei.

Quando Hermione lasciò il negozio con i pesanti libri dentro la sua borsetta segretamente allargata, la strada appariva più calma. Non era meno affollata di quanto era entrata nel negozio, eppure i pensieri dei passanti erano meno invadenti nella sua mente. Forse era davvero solo questione di abitudine.

Camminò finché non raggiunse in vicolo appartato dal quale smaterializzarsi.

Quando fu sul punto di farlo, tuttavia, vide un'ombra alle sue spalle. Si voltò di scatto, spaventata e confusa. Non aveva sentito nessuno avvicinarsi.

Capì presto il perchè quando si trovò faccia a faccia con Draco Malfoy. Ancora una volta, la sua mente era impenetrabile.

Hermione si ritrovò presto con le spalle contro il muro del vicolo, mentre il biondo la fissava dall'alto in basso. Cercò di ricambiare il suo sguardo, cercando di comunicare con gli occhi tutto il disprezzo che provava nei suoi confronti.

"Che cosa vuoi, Malfoy?" chiese, facendo un passo lateralmente per proseguire sulla sua strada.

Draco fu più veloce di lei, tendendo in avanti il braccio e impedendole di proseguire. "Hai visto il ricordo?"

Hermione mantenne la propria compostezza. "Non devo rendere conto a te di ciò che faccio".

"Non lo hai visto" concluse a denti stretti.

L'arroganza con cui si rivolse a lei fece ribollire il sangue nell vene di Hermione. Provò di nuovo a fare un passo avanti, ritrovandosi ancora una volta la strada bloccata. "Sarà meglio che mi lasci andare" disse. "Non siamo più a scuola".

"Certo che no" replicò il biondo, sorridendo amaramente e fissandola con aria di sfida. Abbassò lo sguardo sul suo corpo con la stessa aria di superioritá con cui era solito tormentarla.

Hermione si concentrò sulla direzione delle sue pupille, scorgendo il leggero cambiamento nei suo occhi quando le sue barriere si sollevarono.

Cazzo, Theo ha ragione.

Rabbrividì alla sensazione della sua voce dentro la testa.

Gli occhi di Draco soffermarono per qualche secondo sua borsetta. "Scommetto che é piuttosto pesante".

Hermione spalancò la bocca, non riuscendo a mascherare la sorpresa.

Il giovane fu svelto, continuando prima che potesse controbattere. "Rilassati, Granger. Non mi importa della tua borsa. Mi importa più del suo contenuto" sorrise. "Occlumanzia?"

Lo sguardo di Hermione passò ben presto dall'indignazione alla rabbia. "Fossi in te mi farei gli affari miei".

"Oh, è quello che sto facendo" la squadrò ancora una volta dalla testa ai piedi.

Cazzo.

"Non so a cosa possa servirti l'occlumanzia adesso, e non mi importa" disse, scuotendo la testa. "Ma non riuscirai mai a padroneggiarla da sola. La teoria non basta, hai bisogno di qualcuno con cui fare pratica, di un maestro".

Hermione indietreggiò appena, scontrandosi con l'intonaco rugoso del muro alle sue spalle e sforzandosi di non lasciar trapelare quanto il suo sguardo che continuava a scendere lungo il suo corpo la facesse sentire a disagio. Avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo, spingerlo via e smaterializzarsi immediatamente nel suo appartamento.
Tuttavia, non fece nulla di tutto ciò. "E cosa ti fa pensare che io non ne abbia uno?"

"Non ce l'hai" disse con convinzione.

Hermione si ritrovò spiazzata: era lei quella con l'abilità di leggere nel pensiero, eppure sembrava stesse accadendo l'esatto opposto.

"Ti propongo un patto" iniziò Draco.

"Non mi interessa" replicò seccamente, provando di nuovo a scansarsi e ritrovandosi, ancora una volta, la strada bloccata.

"Io posso aiutarti con l'occlumanzia. Sono bravo, ho imparato dal migliore" la sua voce era ferma e sicura, il suo sguardo fisso a cercare gli occhi di lei. "In cambio ti chiedo solo di vedere i ricordi di mio padre. O di interrogarlo, con il veritaserum".

"Non mi interessa, ho detto" insistè la grifona, incapace di mantenere il contatto visivo. Fece un passo in avanti, spingendolo via con quanta più forza potè.

Draco indietreggiò sotto la sua spinta, ma non quanto Hermione si sarebbe aspettata. I suoi occhi continuavano a fissare le mani che lo avevano spinto.

Hermione si allontanò da lui in fretta, temendo che potesse metterla nuovamente spalle al muro. Il suo cuore aveva preso a battere a velocità accelerata.

"Ti chiedo solo di pensarci. E di fare giustizia".

Fece qualche passo verso la strada. "É quello che sto facendo".

"Continua a raccontartelo, Granger" urlò alle sue spalle. "Ma sappiamo entrambi che non è così".

Hermione sentì il proprio volto tingersi di rosso per la rabbia. "Tu non sai niente".

Era talmente arrabbiata che dalle sua bacchetta fuoriuscirono delle scintille, dovute alla magia che si agitava nelle sue vene. Per un solo istante contemplò l'idea di colpirlo come qualche anno fa.
Tuttavia, all'improvviso, si bloccò. Il fuoco nelle sue vene si spense, e sentì il suo viso ritornare al suo colore naturale.

Per Salazar, fallo e basta

Confusa dalle poche e sconnesse parole che la voce di Draco faceva rimbombare nella sua mente, nervosa per la conversazione avuta e furiosa per molte più cose di quante riuscisse ad elencare, Hermione raggiunse il punto di rottura.

Era sfinita, stanca. Stanca di impegnarsi, stanca di vedere sempre il lato positivo. Stanca di sorridere forzatamente, di farsi andar bene tutto, di lavorare dalla mattina alla sera e non ottenere nulla. Stanca di sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene.

Perciò rimase in silenzio e, rivolgendo solo un ultimo sguardo al ragazzo, gli diede le spalle e svoltò l'angolo.

Draco provò a rincorrerla ed Hermione seppe dai suoi pensieri che aveva ancora altro da dirle, qualcosa che credeva l'avrebbe convinta ad accettare il suo aiuto.

Ma non le interessava.

Era stanca.

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Capitolo 5
*** 5. Un patto ***


20 Febbraio 1999

Era di nuovo lì, sul campo di battaglia. Provò a correre ma non ci riuscì. Le sue gambe erano pesanti e salde per terra. Nonostante si sforzasse, il suo corpo sembrava andare a rallentatore mentre il resto del mondo tutt'intorno correva all'impazzata.

Provò ad urlare, ma fu un tentativo inutile. Nessuno le prestava attenzione, nessuno la sentiva. E allora si sforzò di più, ancora e ancora, ma non ci fu niente da fare. I suoi amici non erano con lei. Continuava a guardarsi intorno, ma le uniche facce familiari che riusciva a scorgere giacevano per terra, la pelle pallida e le pupille immobili e prive di vita.

"Harry" urlò. "Roon".

E poi fu sola.

Aprì gli occhi, ritrovandosi nella sua buia camera da letto. Il suo sguardo scivolò verso la sveglia sul comodino, che segnava le quattro e mezzo di mattina.

Il suo cuore continuava a martellare prepotentemente all'interno della sua gabbia toracica. Accarezzò con una mano il suo collo sudato, constatando che riprende sonno sarebbe stato impossibile dopo quell'incubo.

Si alzò dal letto e si diresse in cucina, versandosi un bicchiere d'acqua e godendosi per qualche secondo il silenzio della notte.

Afferrò dalla sua borsa i libri appena acquistati, iniziando a sfogliarli distrattamente e ripensando a ciò che Draco le aveva detto.

Le parole del biondo rimbombarono nella sua mente, facendola passare immediatamente dalla stanchezza alla determinazione.

Avrebbe padroneggiato quella tecnica, costi quel che costi.

***

Assonnati e storditi dall'alcool, Draco e Theo giacevano semi-sdraiati sull'antico e pregiato divano di velluto del salone, il preferito di Nott Senior.

Fu Draco l'unico a sobbalzare appena quando una fiammata verde illuminò la stanza in penombra.

"Vi sono mancata?" tuonó Pansy, entrando nel salone sui suoi - fin troppo- rumorosi tacchi.

Theo si alzò barcollante, abbracciandola goffamente e porgendole la bottiglia semi vuota di whishey incendiario.

La ragazza annussò il contenuto della bottiglia mentre il giovane si rigettava pesantemente sul divano. "Uh, roba antica" constatò, versandosi un bicchiere della bevanda e prendendo posto in una delle poltrone.

"Quando sei ritornata, Pan?" chiese Draco, che era rimasto immobile, non disturbandosi ad alzarsi a salutarla.

La ragazza si guardò intorno per la stanza. "Che ore sono?"

Entrambi i ragazzi fecero spallucce.

"Beh, comunque neanche un'ora fa" spiegò, sorseggiando il suo drink.

"E come sono stati questi mesi in Giappone?" domandò Theo, facendo penzolare il braccio con il bicchiere per aria e versando alcune gocce sul pavimento.

"Oh" rispose la serpeverde, abbassando lo sguardo. "Ho conosciuto parenti che non sapevo di avere, ed il clima non è male. Lo stile poi" disse, alzandosi in piedi. "Guarda questo vestito".

"Tua madre come sta?" domandò Draco, consapevole che Pansy non avrebbe voluto parlarne.
Sia lei che Theo avevano perso il padre durante la guerra, ma per entrambi, nonostante il trauma, sembrava fosse meglio così.

Aveva sempre creduto che Lucius fosse diverso da Parkinson e Nott. Loro occupavano un posto elevato tra le grazie di Voldemort non solo per il loro denaro, che non si avvicinava lontanamente all'immensa fortuna dei Malfoy, ma per la loro spietatezza, per le missioni compiute, per gli Avada Kedavra che avevano lasciato le loro bacchette.

Draco sapeva che suo padre non era come loro: bramava il potere, ma non era disposto ad uccidere per averlo, o forse, per meglio dire, non ne era capace. E così aveva sfruttato il suo denaro per addentrarsi tra i ranghi più elevati dell'esercito di Voldemort. E quando non era bastato, aveva venduto il suo stesso figlio, ammaliato da chissà quale ideale.

Se non altro Pansy e Theo non erano andati incontro a tutto questo.

"Sta bene" annuì Pansy, riportandolo alla realtà. "Ma vuole restare lì con il resto della sua famiglia, allontarsi dall'Inghilterra".

"E tu cosa farai?" chiese Theo, mettendosi seduto, anche lui improvvisamente serio.

Pansy sembrò combattuta per un momento. "Io... credo che resterò qui. Voglio bene a mia madre ma..." si bloccò. Un alone lucido ricoprì i suoi occhi e Nott, notandolo, cercò di cambiare argomento di conversazione.

"Perciò anche il Parkinson Manor è libero adesso?"

Sia Draco che Pansy sollevarono la testa verso il loro amico con sguardo interrogativo e leggermente perplesso.

"Che c'è, non avete voglia di organizzare una festa?" domandò il moro. "Abbiamo cantine stra piene di scaffali su scaffali di bevande pregiate"

"Quanto avete bevuto?" chiese Pansy, rivolgendosi a Draco.

"Tanto" annuì il biondo. Poi fece cenno a Pansy di avvicinarsi al suo orecchio, bisbigliando: "ma non così tanto".

"Mi siete mancati ragazzi".

***

28 Febbraio 1999

Qualche giorno- e qualche notte insonne- dopo, Hermione si ritrovò più stanca e frustrata che mai. Gli incubi continuavano a tormentarla da quando aveva deciso di vedere quel maledettissimo ricordo e tutte le sue esercitazioni di occlumanzia e meditazione non stavano dando alcun risultato.

Perciò adesso oltre al perenne mal di testa di cui soffriva per via di questa nuova abilità, vi erano anche le poche ore di sonno a peggiorare il quadro.

La sua vita sentimentale era andata in frantumi ben prima di tutto ciò. I suoi genitori non sapevano chi lei fosse. L'unica cosa alla quale si era aggrappata negli ultimi mesi era il lavoro, ma adesso problemi e complicazioni di diverso genere sembravano sbucare da ogni angolo anche lì.

C'era però qualcosa che la spingeva ad andare avanti, qualcosa che aveva riacceso la scintilla della sua determinazione ed il suo spirito competitivo. E, seppur non ne fosse pienamente consapevole, il merito era di Draco.

Perciò adesso, nonostante tutte le difficoltà che si trovava ad affrontare, Hermione rimaneva più determinata che mai ad apprendere l'occlumanzia.

"Harry" richiamò l'amico che pranzava con lei, abbassando la propria forchetta in un atto di coraggio. Spinse via il piatto di insipida insalata servita dalla caffetteria del ministero e si guardò intorno. "Mi chiedevo, per curiosità, come fossero le tue lezioni occlumanzia con Piton... "

Il ragazzo smise momentaneamente di masticare, fissandola perplesso prima di deglutire. "Orrende, se è questo che vuoi sapere" disse, pulendosi il volto con il fazzoletto. "Perchè?"

Che incubo

"Questioni ministeriali" replicò, scrollando le spalle. "Come mai orrende? Non era un bravo insegnante?"

"No, non è quello" continuò Harry. "Credo che Piton sia stato uno dei migliori occlumanti che siano mai esisiti... Ma è la disciplina in sè il problema".

"Che cosa vorresti dire?"

"Ci vuole controllo" affermò, bloccandosi nel tentativo di trovare le giuste parole. Il suo sguardo sembrò estraniarsi dal presente, come se stesse vivendo un momento passato. "Troppo controllo. Forza di volontà, disciplina" abbassò gli occhi. "Oltre a possedere abilità magiche sopra la media".

"Oh". L'esclamazione lasciò la bocca di Hermione prima che potesse fermarsi. Forza di volontà? Disciplina? In Draco Malfoy?

In questo momento lo odiava ancora di più.

Spero non sia un altra ramanzina

"So che ti sei sempre interessata..."
continuò Harry.

La guerra é finita, non voglio più averne niente a che fare

"Ma davvero, Herm, non te lo consiglio" mise anche lui via il suo piatto. "Oltre al fatto che-".

"Ehi, Harry" urlò la voce di Dean dal lato opposto della caffetteria. "Hermione".

Il ragazzo li raggiunse, sprizzante di gioia più del solito.
La grifona lesse i suoi pensieri un attimo prima che il giovane parlasse, sforzandosi di trovare in tempo record una scusa per la risposta negativa che avrebbe dovuto dargli.

".. e perciò sto organizzando una rimpatriata a sorpresa per il compleanno di Seamus, ci sarete vero?"

"Sicuro" annuí Harry. Ginny ne sarà felice
"Dove?"

"Da Fortebraccio" spiegò Dean, dandogli una pacca sulla spalla e poi voltandosi verso di lei. "E tu, Hermione?"

La ragazza imprecò mentalmente. "In realtà-" iniziò, sforzandosi invano di ignorare i pensieri di Dean.

Non dirmi altro lavoro
Ho controllato io i suoi file
Sempre la solita

Iniziò a sudare. Avrebbe davvero voluto partecipare, sapeva che le avrebbe fatto bene un po' di vita sociale.

Ma come poteva? Era in compagnia di sole due persone e già nella sua testa regnava il panico. Fortebraccio era diventato il pub magico più frequentato, come avrebbe potuto reggere la folla di gente che vi sarebbe stata?

"Mi dispiace" disse, alzandosi dal tavolo. "Proprio non posso".

Prese la sua borsa e si allontanò prima che i pensieri dei due ragazzi la raggiungessero.

***

Gli elfi domestici che popolavano le cucine del Manor continuavano a disturbarsi a preparare la cena, che puntualmente ritornava loro indietro intatta.

E adesso Draco si trovava, inspiegabilmente, a dir loro che tanto valeva si riposassero.

Mai, in diciotto anni di vita, aveva messo piede nelle piccole cucine di casa sua.

Gli elfi erano saltati dallo spavento quando lo avevano visto arrivare, e solo dopo diversi minuti di esasperanti spiegazioni era riuscito a convincere le creature che no, non avrebbero dovuto cucinare. E che no, non c'era altro che dovessero fare.

Rimase lì ad osservare quei piccoli esseri strabuzzare gli occhi sbigottiti per qualche secondo, maledicendo mentalmente Theo per avergli messo in testa un'idea così assurda.

Dopodiché sgusciò fuori dalla piccola stanza e corse diretto verso il camino.

Ancora avvolto nella fiammata verde che lo trasportò a Nott Manor, inciampò in Pansy, anche lei appena arrivata.

"Allora?" domandò Theo, senza dare il tempo ai due di recuperare l'equilibrio.

"Che idea stupida" imprecò, dirigendosi verso il comodo divano. "Insomma, loro voglio lavorare. É la loro natura".

"Non dire mai una cosa del genere in pubblico di questi tempi" lo avvisò Theo puntando il dito.

Pansy si avvicinò al moro ancora in piedi, dandogli una pacca sulla spalla. "Dio, ancora con questa storia degli elfi domestici? Saresti perfetto per la Granger" sospirò, aggrottando le sopracciglia un secondo dopo. "Oddio, c'è qualcosa che devi dirci?" esclamò con aria forzatamente scandalizzata.

"Come se lei ci starebbe" replicò Draco dal divano, costringendo i due a voltarsi nella sua direzione.

"Ehi. Mi sottovaluti, mi considero offeso".

Il biondo alzó gli occhi al cielo, pentendosi di ciò che aveva detto. Non aveva saputo trattenere la sua lingua. Sapeva che non era vero, che Pansy stava solo scherzando. Theo non poteva essere realmente interessato ad Hermione.
O si?

"Per favore" rise il biondo. "Miss eroina della giustizia si metterebbe mai con noi discendenti di Mangiamorte?" si rese conto di aver parlato al plurale troppo tardi, fortunatamente i due non ci fecero caso.

Ma che gli era preso?

"Io credo che abbia il suo fascino" affermò Theo. "Già vedo le scritte sui giornali: l'eroina del mondo magico e il figlio del Mangiamorte deceduto. Cosa ne pensa il fantastasma di Nott Senior? Scopritelo a pagina24" rise. "E poi..." un sorrisetto malizioso invase i suoi lineamenti "il dispetto più grande che potrei fare a mio padre sarebbe scoparmi una sanguemarcio, ancor meglio se lei, sul suo caro diva-".

"Disgustoso" esclamò Pansy, interrompendolo prima che potesse continuare.

Draco rimase immobile, meditando sull'immagine di Hermione insieme al suo amico. "Io lo farei per fare un dispetto a Weasley" esclamò.
"Se fossi in te, ovviamente" aggiunse poi, con un attimo di ritardo.

"Dio, ma cosa vi prende a tutti e due?" si intromise Pansy. "Sparisco per pochi mesi ed è questo che succede?"

"Già" continuò Theo, ignorando l'amica. "Peccato non stia più con Weasley".

Pansy si bloccò. "Uhh davvero?" chiese, scuotendo la testa un momento dopo. "Ok basta, non siamo più a scuola e a me non interessano questi pettegolezzi" disse, più a sé stessa che a loro. "Quello che stavo per dire, da quando sono arrivata qui, é che stasera usciamo".

"Cosa?" esclamarono i due ragazzi all'unisono.

"Avete capito bene" la ragazza afferrò Theo per un braccio, tendendosi per raggiungere Draco.

"Oh, non esiste" continuò il biondo. "Io non vengo".

"E invece si" insisté la serpeverde. "Fa bene a tutti e tre far vedere le nostre facce in giro, altrimenti penseranno che stiamo fondando una setta o chissà cosa".

"Non ci provare" fece un passo indietro Draco.

"Sbaglio o siamo tutti delle persone libere?" sbottò la ragazza.

"Non sbagli" cercò di spiegare Draco, "ma-".

Tuttavia Pansy fu più veloce, afferrando il suo braccio prima che potesse ritrarsi, e quando il giovane riaprí gli occhi si ritrovò davanti all'insegna di Fortebraccio.

"Offro io, signorine" iniziò Pansy, stringendo con forza i due ragazzi a braccetto. "Mi ringrazierete più tardi".

***

Hermione lanciò per terra il manuale di occlumanzia sul quale aveva perso un'intera settimana.

La sua testa scoppiava. Harry aveva ragione: ci voleva un enorme controllo, ed era estenuante.

Non potendone più per quella sera, ma incapace di rimanere da sola con i propri pensieri e non avendo voglia di andare a dormire per paura degli incubi, afferró dallo scaffale un grosso manuale di giurisdizione magica, da mesi abbandonato tra l'elenco di cose che avrebbe dovuto leggere.

Si avviò verso la cucina con il grosso tomo al seguito, iniziando a sfogliare le pagine mentre l'acqua per il thé bolliva.

Non avrebbe mai ammesso ad anima viva che stava facendo ancora una volta ciò che Draco le aveva suggerito. Il fatto che avesse nominato Sirius Black aveva accesso fin troppo la sua curiosità, ed era determinata a scoprirne di più sul suo caso.

Perché era dovuto restare ad Azkaban per dodici anni per un delitto che non aveva commesso?

Perché nessuno aveva mai indagato oltre? Perché non era stato interrogato? Come si era svolto il processo?

Era bastato un dito, uno stupidissimo dito, a segnare la sua condanna, a farlo giudicare colpevole dell'omicidio dei suoi migliori amici.

Persa nei suoi pensieri, per poco non si dimenticò la teiera sul fuoco, rischiando quasi di versarsi l'acqua bollente addosso quando qualcuno iniziò a bussare freneticamente alla sua porta.

Trattenne il respiro. Chi poteva essere a quest'ora?

"So che sei lí, Herm" urlò la voce di Ginny. "Non me ne vado finché non mi apri".

Al silenzio di Hermione la rossa riprese a bussare freneticamente contro il legno della porta.

Prendendo un respiro profondo, Hermione aprí.

Un metro e sessanta di fuoco e furia la scavalcarono, addentrandosi nella sua cucina.

La rossa si guardò intorno nel piccolo spazio, agitando i suoi capelli, che risaltarono in contrasto con il suo vestito azzurro. "É per questo che ci hai bidonati? Un thé e..." abbassò lo sguardo sul grosso tomo aperto sul tavolo, che Hermione si affrettò a chiudere bruscamente.

Dio, Hermione sei uno straccio

"Mi dispiace" tentò di giustificarsi.

"No, non voglio sentire scuse" la interruppe Ginny, afferrandola per un braccio e trascinandola in camera da letto. "So perché hai detto di no".

Hermione non rispose, attenendo che Ginny continuasse mentre si avventava sul suo armadio.

"Ron non c'è " continuò la ragazza, esaminando i suoi vestiti.

Sarà a fare chissà cosa con chissà chi

"Perciò non vedo per quale motivo non dovresti venire stasera". Afferrò un vestito rosso, con ancora l'etichetta.

Hermione avvertí un nodo alla gola. Quel vestito lo aveva acquistato con sua madre poche settimane prima di cancellarle la memoria.
Lo aveva conservato per ricordo, portandolo dietro nella sua borsetta durante tutta la guerra.

"Non voglio che pensi che solo perché tra te e mio fratello é finita tu debba prendere le distanze da me" continuò Ginny.
Altrimenti giuro che lo faccio fuori

E forse per il ricordo di sua madre, per la tensione accumulata o semplicemente per l'affetto e la vicinanza che Ginny le stava dimostrando, e di cui si era resa conto di aver bisogno, una lacrima scivolò lungo la sua guancia.

La rossa, notandolo, si sedette accanto a lei sul letto, avvolgendola in un abbraccio che fece sciogliere Hermione come neve al sole.

"Ti concedo 20 minuti" concluse infine Ginny, sciogliendosi dall'abbraccio e indicando il vestito rosso. "E devi permettermi di sistemarti i capelli".

"Oh no..." insistè Hermione. "Non credo sia una b-"

"Basta parlare".

"Ma io-"

"No".

E fu così che, senza capire come fosse successo, Hermione si ritrovò a tremare davanti al rinnovato ingresso di Fortebraccio, rabbrividendo non solo per la fredda brezza serale ma anche per il caos che proveniva dall'interno del pub. Ginny la trascinò dietro di sé, sgomitando tra la folla fino a raggiungere un tavolo in fondo al locale dove era in corso una vera e proprio riunione di casata.

Ginny salutò Harry con un bacio sulle labbra e afferrò due burrobirre, una delle quali finí tra le mani di Hermione.

Con la bevanda in mano, ed il caos in testa, Hermione concluse che un po' di alcool non avrebbe potuto farle male. Se non altro, forse, le avrebbe permesso di spegnere un po' il cevrello, cosa che non era riuscita ad ottenere con l'occlumanzia.

Iniziò dunque a sorseggiare timidamente la sua burrobirra, con sorsate che divenivano via via più peqsanti man mano che si approcciava a salutare i suoi ex-compagni.

Dopo un po' di tempo, nonostante il fischio nelle sue orecchie, iniziò a sentirsi più rilassata. La tensione nelle sue spalle diminuí e i pensieri che lasciavano le menti brille dei suoi amici iniziarono quasi a divertirla.

Bel sedere, Granger

Sobbalzò a quel commento, voltandosi e ritrovandosi McLaggen di fronte.
Il ragazzo sorrise, imbarazzato.

Anche il davanti non è poi così male

"Hermione" la salutò. "Da quanto tempo".

"Non poi così tanto" replicò la grifona.

"Giá" annuí il giovane, avvicinandosi a lei. "Come vanno le cose? Ho saputo di te e Ron e..."

Fortunatamente, proprio in quel momento, un coro di buon compleanno si levò dalla folla di grifondoro, accompagnato da una grossa torta e un giro di Whishey Incendiario.

Hermione approfittò della confusione generata per afferrare il suo bicchiere e sottrarsi a McLaggen, decidendo che, nonostante tutto, la serata era andata meglio di quanto si sarebbe aspettata.

La sua testa tuttavia aveva bisogno di una breve pausa, perciò, senza che nessuno la notasse, decise di sgusciare fuori dal locale per qualche minuto, godendosi l'aria fresca e attenendo che il momento degli auguri cessasse così da poter salutare tutti e rientrare casa nel modo meno asociale possibile.

Attraversare il locale affollato non fu facile. Nei pochi passi che separavano il tavolo in fondo dalla porta di ingresso la sua mente fu inondata da voci sconosciute e parole sconce.

Abbassò lo sguardo, accellerrando il passo, finché, nel giro di pochi secondi, le voci non diminuirono fino a cessare.

La sua mano era sul punto di afferrare la maniglia della porta quando questa si aprí di colpo, mancandola per un pelo.

Ed Hermione, sorpresa dall'improvviso silenzio nella sua mente, si ritrovò davanti la persona che meno di tutte avrebbe voluto incontrare: Draco Malfoy.

***

Draco strabuzzò le palpebre più volte: certo, ovvio che Hermione Granger sarebbe stata lí. La riunione degli aitanti grifondoro si sarebbe mai potuta svolgere senza la loro principessina?

Scrutandola per un momento, concluse che questa serata non era stata così una cattiva idea, dopotutto. L'universo gli stava offrendo un'altra possibilità di provare a convincerla ad accettare la sua offerta. Avrebbe dovuto tentare un altro approccio però questa volta.

"Hai visto il ricordo?" chiese, bloccandole la strada verso l'uscita fermo sulla soglia della porta.

Il suo sguardo sembrava confuso mentre lo fissava. Era una cosa positiva, si disse. Doveva riuscire a mantenere la sua attenzione. Hermione fece ancora un passo avanti, oltre la soglia della porta, ma le bloccò di nuovo la strada.

Adesso il suo sguardo si fece minaccioso. "Se continui a farlo potrei farti spedire ad Azkaban".

Approccio sbagliato, cazzo

Il ragazzo alleggerí lentamente la propria postura, quanto bastava affinché Hermione riuscisse a spingerlo e uscire dal locale. Dopodiché fece qualche passo dietro di lei all'esterno.

"Come va con l'occlumanzia?" domandò, camminando lentamente alle sue spalle
Inevitabilmente, il suo sguardo risalí lungo le gambe nude della ragazza, fino all'orlo del suo vestito rosso.

Così fottutamente grifondoro

Non appena formulò quel pensiero, Hermione si arrestò sui suoi passi.
Si voltò verso di lui. "Perché dovrei risponderti, Malfoy? smettila di impicciarti dei miei affari"

"Oh non devi affatto" abbassò ancora volta lo sguardo lungo il corpo di lei, questa volta osservando il modo in cui quel vestito cadeva sulle sue cosce dal davanti.

Cazzo

Scosse la testa e continuò. "Non devi dirmelo, Granger. Lasciami indovinare.. come vanno i mal di testa?"

Alle sue parole, Hermione sospirò. Dunque aveva ragione, aveva bisogno di qualcuno che la aiutasse, e al momento lui era la sua opzione migliore.

"La mia offerta é ancora aperta" replicò, sforzandosi di usare un tono più amichevole.

Hermione abbassò momentaneamente lo sguardo, mordendosi il labbro. Quell'espressione non gli era nuova. Forse stava finalmente valutando la sua offerta.

"Come so che funzionerà?"

Il cuore di Draco saltò un battito. "Sono bravo. Sono molto bravo. Mettimi alla prova". Non gli importò di sembrare disperato. Indicò la sua bacchetta, invitandola a provare a leggere la sua mente. Era pronto. Era sempre pronto.

Hermione seguì i suoi occhi verso la propria bacchetta. "Non serve" disse, scuotendo la testa. "Una lezione".

Cazzo. Ovviamente deve complicare le cose.

"Non é abbastanza"

"Ti concedo una lezione, Malfoy. Se otterrò un miglioramento, valuterò se aiutarti o meno" il suo tono era risoluto e anche un po' minaccioso.

Barcollò momentaneamente sui suoi tacchi, e Draco si domandò quanto avesse bevuto. Senza se ne rendesse conto, la grifona fece un passo avanti, avvicinandosi a lui tanto da fargli sentire il proprio alito alcolico. Decisamente abbastanza

"E se lo dici ad anima viva..." lo minacciò, puntando un dito contro il suo petto.

Draco, contro ciò che il suo buon senso gli suggeriva, non si allontanò, osservando da vicino le sue pupille dilatate. Se lei non era intimorita da questa vicinanza, non sarebbe stato lui il primo a tirarsi indietro.

"Rilassati" sorrise. "Neanche io ci tengo che si sappia che ho chiesto il tuo aiuto".

"E come mai?". Il suo sguardo sembrò bruciargli la pelle mentre spostava finalmente il dito dal suo petto e incrociava le braccia. Avrebbe dovuto essere grato che non lo stesse più toccando. Tuttavia, quel gesto non fece altro che attirare i suoi occhi sul suo seno scoperto. 

Cercò di riconcentrarsi sulla conversazione, trovandolo tuttavia insolitamente duro.

Oh per Salazar

Al suo silenzio, un sorrisetto soddisfatto invase la labbra della ragazza. "Come immaginavo" rispose, squadrandolo dall'alto in basso. Draco deglutì.
"Ti manderò l'indirizzo al quale incontrarci. Sarà meglio che funzioni, Malfoy".

Attonito ed in silenzio, Draco non ebbe tempo di rispondere. La grifona lo superò, svanendo oltre la porta del locale.

Respirando a pieni polmoni l'aria fresca della sera, Draco si trattenne qualche minuto prima di rientrare, aspettando che l'odore del fottutissimo profumo di Hermione finisse di infestare le sue narici.

Scusate per il ritardo. Ho avuto un po' un blocco per scrivere questo capitolo. Ma finalmente si entra nel vivo. Hermione e Draco inizieranno ad incontrarsi per queste famose lezioni....

Un bacio, a presto ❤️

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Capitolo 6
*** 6. Privacy ***


Qualche bicchiere più tardi Draco rientrò al Manor con la vista appannata e i pensieri confusi.

Hermione aveva accettato di vederlo. Una sola lezione certo, ma... Conoscendo Hermione Granger, forse sarebbe stata sufficiente.

Si portò una mano alla fronte, ammonendo l'alcol in circolo nelle sue vene per i suoi pensieri. Cazzo, lo aveva proprio ammesso: Theo aveva ragione.

Granger era bella. Addirittura sexy avrebbe osato dire, se la cosa tuttavia non lo facesse vergognare di se stesso. Come aveva potuto sfuggirgli per anni? Era sempre stata sotto i suoi occhi e...

Qualcosa urtò contro la sua finestra. Si alzò dal divano e raggiunse con passi incerti la piccola civetta marrone che portava al becco una pergamena arrotolata.

Bleecker street 23, Londra
Lunedì alle 21.
H.G.

48 ore. Questo era il tempo che Hermione gli aveva concesso per preparare una lezione che riuscisse miracolosamente a farle ottenere progressi immediati.

Mise via la pergamena e si avviò verso il seminterrato, dove, tra gli scaffali del suo laboratorio di pozioni, doveva sicuramente esserci una pozione anti-sbronza e qualche siero energizzante.

Sarebbe stata una lunga notte.

***

Dopo averlo fissato per trenta lunghi minuti, l'orologio finalmente scoccò le ore 21. Le mani di Draco erano salde mentre afferrava il sacchetto di metropolvere e si infilava nel caminetto, contrariamente ai suoi nervi.
Non appena le fiamme si dissiparono, Draco si guardò intorno trattenendo il respiro.

Questo non era decisamente ciò che si sarebbe aspettato di vedere.

Credeva che Hermione lo avrebbe trascinato in una biblioteca, o in qualche sala conferenze del ministero. Ripensandoci bene, tuttavia, ricordava perfettamente come la grifona, barcollando sui suoi tacchi e puntando il dito, lo aveva minacciato di non rivelare ad anima viva dei loro incontri.

E adesso si ritrovò a chiedersi con molta più curiositá perché ad Hermione interessasse l'occlumanzia e perché fosse determinata a tenere la cosa nascosta.

Era chiaro che se avesse parlato apertamente di questo suo interesse avrebbe trovato un insegnante, anche se  probabilmente di dubbia qualità.
Ma a giudicare dal modo in cui si era aggirata furtivamente per diagon alley acquistando quei libri, l'istinto gli suggeriva che ci fosse qualcosa di più sotto.

Hermione Granger nascondeva un segreto, e Salazar sa quanto improvvisamente Draco Malfoy fosse curioso di scoprirlo.

Ma no, non era quello il piano. E non era quello il motivo per cui era lì. Lei aveva bisogno del suo aiuto e lui della sua influenza. Uno scambio reciproco, concluso il quale avrebbero potuto tornare ad odiarsi come se niente fosse mai accaduto.

Strabuzzò ancora qualche volta le palpebre, scrutando la stanza. Hermione sedeva su un piccolo sofá e lo fissava con un sopracciglio alzato, probabilmente chiedendosi perché fosse impalato lì come un idiota.

Non un grande inizio.

***

Hermione si sforzò di rimanere seduta quando Draco Malfoy uscì dal suo caminetto. Questo non era un incontro formale, nè tantomeno stava accogliendo un amico.

Si limitò ad osservarlo col sedere fermo sui cuscini del divano.

Indossava un semplice dolcevita nero, con un paio di pantaloni dello stesso colore, decisamente in contrasto con il pallore della sua pelle e i suoi capelli cosí oscenamente lisci e perfetti. La sua intera presenza, rigida ed elegantemente composta, appariva talmente fuoriluogo nel suo piccolo appartamento babbano da essere quasi comica.
Con un cenno della mano lo invitò a sedersi sulla poltrona accanto al divano. "Vogliamo iniziare?"

Draco fece come aveva indicato.
Il suo sguardo saettò rapidamente sui libri e i manuali che la grifona aveva sistemato in mostra sul piccolo tavolino.

Figurati. "Qualsiasi cosa tu abbia letto lí, é inutile".

Hermione lo fissò strabuzzando le palpebre. Non voleva sentirsi offesa, eppure una piccola parte del suo orgoglio era stata ferita da quel commenti.

Draco prese un respiro profondo e la guardò dritto negli occhi. "Non voglio mentirti. Imparare non sarà facile".

Hermione deglutì, cercando di ricomporsi. "Non importa, voglio farlo. Ti ascolto".

"Voglio che tu ne sia certa" insistè Draco, mentre allentava con una mano il collo del sue dolcevita. "Non sará affatto piacevole. Io non voglio essere qui più di quanto tu non mi voglia qui. Ma a me serve il tuo aiuto e a te serve il mio-" Hermione fece per aprire la bocca per parlare ma il giovane la precedette. "Perché puoi sicuramente trovare altri maestri, ma non possono insegnarti le cose che so io. E a quanto pare, per un motivo che non mi interessa conoscere, non vuoi che si sappia che ti interessa l'occlumanzia...".

La ragazza strinse le labbra, fissandolo in silenzio.

"Ti aiuterò e non lo dirò a nessuno. Però dovrò entrare dentro la tua testa, lo capisci?"

Le sue parole iniziarono a fare breccia. Forse non aveva davvero riflettuto su cosa questo potesse comportare nella pratica, si era concentrata solo sulla parte teorica fino ad adesso. Se le avesse letto nel pensiero... Non avrebbe scoperto il suo segreto?

"Non esagero quando dico che sono il migliore insegnante che puoi trovare. E tu, se ciò che si dice é vero, sei la strega più brillante della tua età".

A quella parole Hermione si sentì quasi sul punto di arrossire, ammonendo mentalmente se stessa per quella reazione.

"Perciò cerca di tenermi fuori".

Hermione annuì, sentendo che il sudore scivolarle lungo il collo per l'ansia.

Draco afferrò uno dei libri sul tavolino. "Tutta questa teoria non serve a nulla senza la pratica" tirò fuori la sua bacchetta. "Adesso, visto che é la tua prima volta, ti avviserò. Ma per le volte successive dovrai essere già pronta, non riceverai alcun preavviso".

Hermione strabuzzò le palpebre, mentre il suo cuore iniziò a battere velocemente.

"A quanto pare hai un segreto da nascondere, Granger. Vediamo se riesci a tenermi lontano" il biondo incrociò i suoi occhi un'ultima volta, poi afferrò la sua bacchetta. "Legilimens".

Hermione lo sentí scavare nella sua testa, scorrere tra immagini ed immagini di ricordi. La sua presenza era calda nella sua mente e meno estranea di quanto si sarebbe aspettata.

Erano da Rosmerta. Il ricordo era di appena qualche giorno prima. Hermione stava parlando con Padma, sorseggiando il suo drink. Tutt'intorno il resto degli ex grifondoro beveva e scherzava animatamente.

Bel sedere, Granger.

La voce di McLaggen generò un eco che fece sussultare la grifona. Draco, tuttavia, sembrò non accorgersene. Il suo sguardo era  puntato sulla scena che stavano visualizzando, sulla sé stessa del ricordo.

Ed Hermione si rese conto in quel momento che Draco non poteva vedere quel ricordo nella sua mente: McLaggen non aveva realmente parlato.

Si concentrò, focalizzando la sua magia per cercare di scacciarlo via, di allontanarlo.

Beh, anche il davanti non è male

L'immagine divenne sfocata e l'eco della voce di McLaggen diminuì fino a svanire mentre il suo sguardo viscido scivolava sul seno esposto di Hermione.

Per qualche secondo, si sentì come se la sua mente e quella di Draco stessero combattendo. Lei tentava di opporre resistenza, di chiuderlo fuori, ma lui continuava a spingere.

Lo sforzo era estenuante e lui fu più forte di lei. Una serie di immagini, risalenti ai giorni precedenti, si susseguirono una dopo l'altra.

Erano nel suo ufficio. Cameron era di fronte a lei con il suo orrendo completo viola.
Poi l'immagine divenne sfocata e mutò di nuovo, e Draco continuò a scavare indietro, a scendere in profondità.

"Cosa nascondi, Granger?" riecheggiò la sua voce profonda, mentre il battito di Hermione accellerava e i suoi palmi sudavano.

La sfida più difficile per la grifona fu quando atterrarono in quella che era stata la sua camera d'ospedale al San Mungo. Draco sembrava fermamente determinato ad approfondire quel suo ricordo, ed Hermione dovette raccogliere tutte le proprie energie per trovare la forza mentale di allontanarlo.

Lo sforzo la lasciò esausta, sudante, con il cuore che batteva a mille nella sua gabbia toracica. Doveva finire, aveva bisogno di una pausa, aveva...

Tirò un sospiro di sollievo quando Draco sembrò fermarsi su in ricordo più datato, di qualche settimana dopo la fine della guerra, mesi prima dell'incidente. Approfittò del momento per riprendere fiato. Come poteva dirgli di fermarsi, come fargli capire che aveva bisogno di una pausa?

Non poteva sentirlo nella sua mente?

Rimase immobile mentre Draco girava intorno all'immagine di lei e Ron seduti sullo stesso divano su cui lei sedeva adesso. Era una sera d'estate, non ricordava particolarmente quale...

"Allora" iniziò l'Hermione del ricordo non appena il programma che stavano seguendo si concluse "che cosa hai voglia di fare?" chiese al rosso, allungando una mano sulla sua coscia.

Il giovane non la guardò, continuando a giocherellare con il telecomando. E fu in quel momento che Hermione capí di che ricordo si trattava, che cosa era successo dopo...

L'Hermione del ricordo iniziò a baciare il collo di Ron, sotto lo sguardo di Draco Malfoy che assisteva alla scena con un'espressione indecifrabile. E per quanto provasse a cambiare scenario, era troppo esausta dallo sforzo precedente per opporsi alla forza, e all'esperienza, del biondo.

"Ho un allenamento domani mattina presto" disse il rosso. Si voltò per osservare l'orologio sulla parete: "Non riposerò abbastanza se non vado adesso-".

"Puoi restare a dormire qui" affermò Hermione, con una rapidità tale che Draco ridacchiò sotto i baffi.

"Ti ringrazio ma... " esitò il ragazzo, abbassando lo sguardo. "Devo alzarmi davvero presto, e poi dovrei andare alla tana a prendere la scopa, e la divisa..."

"Ho capito" annuí Hermione con un falso sorriso in volto. "Non preoccuparti" continuò, alzandosi dal divano ed accompagnandolo alla porta.

I due si scambiarono un goffo bacio sulle labbra prima che il rosso se ne andasse, lasciando Hermione sola nel suo appartamento.

E fu in quel momento che, osservando la figura di se stessa dirigersi scocciata verso la camera da letto, provò di nuovo ad opporsi a Draco. Non poteva vedere...

E allora iniziò, nonostante fosse stremata, a combattere con tutte le proprie energie mentali.  Non voleva che Draco vedesse... Sarebbe stato troppo, troppo imbarazzante.

Il biondo la seguí nella camera da letto, osservando l'Hermione del ricordo che indossava il pigiama e si infilava sotto le coperte. Il suo sguardo indugiò sulle sue gambe nude e sulle mutandine in pizzo nero che aveva- inutilmente- indossato in previsione della serata con quello che all'epoca era ancora il suo ragazzo.

Hermione provò ad urlare, ma fu come se nessuno - o meglio, Draco- riuscisse a sentirla.

Si sistemò sotto il leggero lenzuolo di lino estivo, appoggiando la testa contro il cuscino e chiudendo gli occhi per una frazione di secondo. Poi, resasi conto che prendere sonno non sarebbe stato facile, aprí il secondo cassetto del suo comodino, all'interno del quale si trovava il suo vibratore nuovo di zecca, ancora nella custodia.

Lo fissò per un istante prima di aprire la confezione con un sospiro amareggiato...

"BASTA" si ritrovò ad urlare. Aprí gli occhi, scoprendo di essere di nuovo nel presente, nel suo appartamento. Con il fiato pesante ed il collo sudato, il suo sguardo furioso atterrò sul biondo che sedeva di fronte a lei.

Si alzò in piedi di scatto, camminando avanti e indietro, riempiendo di aria i suoi polmoni prima di ricominciare ad urlare. "Ti avevo detto di fermarti" inveí contro di lui. "Non dovevi vederlo, é stata un'invasione della mia privacy e-"

Una sorta di via di mezzo tra un grugnito ed una risata lasciò la gola del ragazzo mentre i suoi occhi la seguivano su e giù per il salotto.  "Privacy?" ripeté. "Sono entrato nella tua testa Granger. Credi che Severus rispettasse la mia privacy? Se c'è qualcosa che non vuoi farmi vedere opponi resistenza" si alzò dal divano. "Combatti".

Hermione si voltò verso di lui. "Era la prima volta per me, non avevo idea di come far-"

"Ti sei opposta piú che bene quando si trattava del San Mungo".

La grifona  tacque, stringendo le labbra in una linea sottile, e la curiosità di Draco non fece altro che crescere.

Cosa diavolo ti é successo, Granger?

"Qualunque cosa ti sia successa, sicuramente per te é più importante da tener nascosta rispetto all'incapacità di scoparti del tuo patetico fidanzato".

La ragazza spalancò la bocca con aria indignata, richiudendola un momento dopo. Draco era vicino, si rese conto, e la osservava come se fosse un puzzle da risolvere, come se potesse leggerle in volto ciò che nascondeva.

"Ma non mi hai spiegato nulla" protestò, con voce più bassa ed il respiro ancora pesante. "Non so come difendermi, le tecniche da usare..."

"Lo sai benissimo" indicò tutti i libri sistemati sul tavolino. "La teoria non é un problema per te. É la pratica ciò di cui hai bisogno, di qualcuno forte abbastanza che ti spinga a tirare su le tue barriere".

Ci fu qualche secondo di silenzio. Hermione rifletté su ciò che Draco aveva detto ed su quanto rischiasse di rivelate con queste 'lezioni'. Se era riuscita a tenerlo fuori dal ricordo più importante oggi, la prossima volta sarebbe dovuta andare meglio, giusto?

"Vuoi continuare?" domandò Draco, con un tono di voce talmente apprensivo che i nervi di Hermione sembrarono calmarsi.

Si risedette sul divano ed il giovane si riaccomodò sulla sua poltrona.

  "Voglio sapere..." iniziò Hermione. "Tu la usi sempre?"

Il ragazzo alzò le sopracciglia. "Che intendi?"

"L'occlumanzia. Anche in questo momento, per esempio, la stai usando?"

Conosceva già la risposta, sapeva che la stava usando. La sua mente era inafferrabile, i suoi pensieri sfuggenti.

Il biondo sembrò rifletterci per un momento, sospirando con rassegnazione come se stesse per rivelare qualcosa di segreto. "Quando vivi per mesi con Lui dentro casa" il suo sguardo divenne vuoto "diventa automatico. E poi i tre mesi ad Azkaban... "

"Quindi le tue barriere sono sempre alzate?"

"Quasi sempre, si"

"É stancante?" chiese Hermione, quasi dimenticandosi della rabbia che aveva provato fino a qualche momento prima.

"É solo questione di abitudine".

"D'accordo" disse infine, alzandosi. "Due incontri a settimana, che concorderemo di volta in volta".

"Emh... Va bene" annuí Draco, con un po' di scetticismo per l'improvviso cambio di atteggiamento della grifona.

"Niente più invasioni della mia privacy" continuò la ragazza, puntando il dito contro il suo petto perfettamente fasciato dal maglione in cashmere. "Se ti soffermi su un ricordo chiaramente personale, abbiamo chiuso".

"Non mi sono soffermato" ribatté Draco, tentando di impedire a se stesso di sorridere.

Se lo avessi fatto sarebbe stata la mia fine

Il suo sguardo parve confuso, come se stesse pensando a qualcosa di lontano. Hermione vide con i propri occhi le sue barriere cadere.

Quale patetico idiota lascia la sua ragazza insoddisfatta. Eroe del mondo magico ma non della camera da letto, a quanto pare

Hermione si sforzò di mantenere un atteggiamento composto e professionale, respirando profondamente e contando fino a dieci tra sé e sé. Non doveva mostrare alcuna reazione ai suoi pensieri, altrimenti avrebbe potuto sospettare.  "Mercoledì, stessa ora" disse infine, afferrando il sacchetto di metropolvere sul caminetto e porgendoglielo.

"Ma-" ribatté Draco. "E io cosa ci guadagno?"

Hermione strabuzzò gli occhi, alzando un sopracciglio con aria interrogativa.

"Guarderai il ricordo?" chiese infine Draco.

"Dopo la prossima lezione. Alla fine di ogni settimana farò qualcosa per aiutarti, se" - sottolineò con particolare enfasi il se- i tuoi insegnamenti porteranno dei risultati".

Insicuro su ciò che era appena avvenuto,  Draco prese il sacchetto dalle mani di Hermione e si infilò nel caminetto.

"Buona fortuna, Granger" disse, afferrando un pugno di metropolvere. "Spero davvero che tu sia la strega più brillante della tua età" e, senza dare alla ragazza la possibilità di rispondere, svaní in una fiammata verde.

Purtroppo giugno=sessione estiva, perciò gli aggiornamenti procederanno a rilento.

La mia intenzione per questa storia é che il rapporto tra i due proceda come una "slowburn" perciò le scintille non saranno immediate.

Diciamo che Draco inizia ad essere incuriosito dal segreto di Hermione e da brava serpe cercherà di scoprirlo. Hermione invece, da vera grifona, dovrà rispettare il patto ed aiutare il giovane, nonostante i suoi incubi e il fatto che dovrà confrontarsi con Lucius.

Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. Naturalmente si accetta ogni opinione.
Un bacio e a presto ❤️

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Capitolo 7
*** 7. Segreti ***


Draco e Theo godevano in silenzio della reciproca compagnia, troppo persi ognuno nella propria mente. Era un silenzio piacevole, privo di aspettative, disagi e imbarazzi vari.

Purtroppo, come ogni cosa piacevole della vita, anche quel rilassante e catartico silenzio era destinato a durare poco.  E la sua fine fu segnata dall'esuberanza di Pansy Parkinson che, tirata a lucido e con indosso i tacchi più alti che Draco avesse mai visto su di un essere umano, precipitò nell'ampio salone del Manor con la potenza di uno tsunami. 

"Oh dio" esclamò appena li vide. "Non ditemi che siete già ubriachi".

Theo sollevò la bottiglia che teneva in mano, facendo vedere alla ragazza che era ancora piena per metà. "Con così poco? Mi offendi"

"Comunque" lo ignorò la serpeverde, facendo avanti e indietro davanti al divano con un equilibrio quasi impossibile per un essere vivente "Blaise è in città, e vuole vederci" incrociò le braccia sul petto, scrutando i due ragazzi che non si erano mossi di un millimetro.

"Il mio camino è sempre aperto" si limitò a rispondere Theo.

"No. No, no, no" continuò Pansy. "Dovete smetterla con questa autocommiserazione reciproca. Sinceramente, credo che andiate uno a svantaggio dell'altro".

"Questo lo prendo per un complimento" annuí Nott, ignorando il suo bicchiere e attaccandosi alla bottiglia con le labbra.

"Avete dieci minuti per mettervi addosso qualcosa di decente, dopodiché andiamo, Blaise ci sta aspettando".

"Io non mi muovo" protestò sommessamente Draco. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era ritrovarsi un'altra volta  in un locale affollato di grifondoro ubriachi. 

"Dacci tregua, donna" la richiamò Theo. "Sono uscito la scorsa settimana, per questo mese sono a posto".

Chi la conosce sa che Pansy Parkinson non é mai stata quel tipo di persona abituata ad ottenere un no come risposta. 

Perciò, pochi minuti più tardi, seppur con lo stesso entusiasmo di un animale in cattività,  Draco si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo quando si rese conto che il posto in cui erano diretti non era il pub della scorsa volta, ma un lounge bar di nuova apertura fin troppo elegante per la folla scalmanata che avevano incontrato il sabato precedente.

Blaise li attendeva seduto in un piccolo tavolo apparecchiato per quattro.
Dopo essersi salutati, e dopo un lungo e fin troppo dettagliato racconto degli affari in italia del neo-arrivato, l'umore dei due ragazzi strappati controvoglia dal comodo divano migliorò non appena il primo giro di alcolici fu servito. 

"Come facciate a bere così tanto e non svenire rimane un mistero per me" disse Pansy, giocherellando con il suo bicchiere di vino mentre le portante principali iniziavano ad arrivare.  

"Oh, adesso si che mi lusinghi" sorrise Theo. 

"Tutto molto emozionante" sbottò Draco, rivolgendosi a Blaise. "Ma  posso sapere quale bisogno c'era di venire qui?" gesticolò tutt'intorno. "Avremmo potuto cenare da me, o da Pansy o da Th-" si bloccò, ricordandosi come il ragazzo avesse deciso di liberare gli elfi domestici che vivevano da lui. "Come non detto".

"Pansy mi ha raccontato in che situazione critica riversate" spiegò Zabini, indicando l'aspetto dei due giovani che, se confrontato con l'elegante e lucido completo cucito a mano che lui indossava, appariva più che trasandato. "E la cosa peggiore che possiate fare al momento è piangervi addosso".

"Facile per te" replicò Draco. "Tuo padre non era un mangiamorte, non eri direttamente coinvolto".

Zabini posò il suo bicchiere. "Ma voi due siete stati scagionati, siete liberi adesso" disse, ponendo un enfasi particolare sull'ultima parola. "E noi, in quanto vostri amici, non ce ne staremo a guardate mentre vi auto-emarginate dalla società".

"Auto-emarginate" ridacchiò Theo contro il bordo del suo bicchiere.

Da dove era seduto, Draco vedeva perfettamente l'ingresso del locale, oltre, naturalmente, alla saccente ed impeccabilmente pettinata testa di Zabini che gli sedeva di fronte. 

E fu così che, tra i quattro ragazzi, fu lui il primo a vedere chi aveva appena fatto il suo ingresso: una vista che, oltre a salvarlo da quella spiacevole conversazione, gli fece spalancare la bocca così tanto che la sua mandibola rischiò di lussarsi.

Pansy, seguendo il suo sguardo con la rapidità di un falco, addirittura rovesciò una goccia di vino rosso sul suo vestito per lo stupore.

Astoria Greengrass.

Beh, questo non era una novità. Anzi, chiunque la conoscesse avrebbe potuto dire che il posto super costoso ed eccessivamente snob in cui si trovavano sembrava costruito appositamente per lei. 

No, la cosa che lasciò tutti e quattro i serpeverde a bocca aperta non era la presenza della piccola di casa Greengrass, ma la persona che la accompagnava.

Ron Weasley.

Ron lenticchia Weasley.

Il rosso fece spavaldo il suo ingresso nel locale con un braccio avvolto intorno alle spalle della serpeverde, non notando la presenza del quartetto di serpi sedute in un angolo.

E la mente del biondo non poté fare a meno di pensare ad Hermione, a quel poco che aveva visto della sua relazione con Ron e al modo in cui lui, adesso, abbracciava la ragazza al suo fianco con disinvoltura e confidenza.

Molta confidenza.

Quel tipo di confidenza che si acquisisce dopo settimane, o addirittura mesi, di relazione con una persona. 

Qualcosa, intuito o istinto, gli suggeriva che Hermione fosse totalmente all'oscuro della nuova - o neanche troppo, si direbbe- relazione del suo ex. E perchè la cosa sembrava all'improvviso interessante? 

Forse per il brivido di aver scoperto un segreto, Draco fu attraversato da una scarica di adrenalina. Ma non era spavento, non era paura.
Era lo stesso brivido che provava quando, sul campo da quiddich, era ad un passo dall'afferrare il boccino. La stessa sensazione che attraversava i suoi nervi e gli provocava la pelle d'oca ogni volta che, a lezione, dava la risposta esatta al posto di Hermione. 

Si sentì, stranamente, e per la prima volta dopo molto tempo, di nuovo vivo. Non come un corpo che si trascina avanti per inerzia, assuefatto e assopito da litri di etanolo, ma come un ragazzo animato da ambizione e spirito competitivo. Si era dimenticato come ci si sentisse.

Il rosso iniziò a guardarsi intorno nel locale non appena i due si accomodarono, e fu allora che il suo sguardo lentigginoso si soffermò finalmente sul loro tavolo. 

Draco ne ebbe la conferma: nessuno sapeva che si trovava lì, e lui non voleva che si sapesse.

Beh, questa era certamente una cosa che avrebbe potuto sfruttare a suo vantaggio, doveva solo trovare il modo giusto, capire quanto e cosa sapeva Hermione. Se fosse riuscito a guadagnare la sua fidu-

"Draco? Ci sei?" la mano di Pansy fu improvvisamente davanti la sua faccia. "Tutto ok? Credevo che tra te e Astoria fosse..."

Il biondo scosse la testa, riemergendo dal loop dei propri pensieri. Aveva abbassato le sue barriere in un luogo publico senza rendersene conto. Anche questa era una cosa che non succedeva da più di un anno. Forse quasi due. Anche con litri di alcool in circolo, non era in grado mai di alienarsi completamente dalla realtà, di abbassare la guardia. Aveva la perenne sensazione che lui potesse saltar fuori da un momento all'altro, materializzarsi alle sue spalle e-
"Cosa?" chiese a Pansy.

"Tu e Astoria" specificò la ragazza. "So che tuo padre e suo padre avevano un accordo, prima della guerra, per te e lei".

Il biondo non potè trattenere una risata. "E perciò? Credi che-" realizzò in quel momento come, agli dei suoi amici, dovesse esser apparso il suo momento di alienazione. Credevano davvero che fosse per lei? Per Astoria?
"Sinceramente, l'ultima cosa che desideravo erano delle nozze combinate. E per quel poco che ho avuto modo di conoscer di lei, non so a chi dei due sia andata peggio". Afferrò il suo bicchiere di whiskey, prendendone un sorso e riflettendo. 

Dal modo in cui Weasley era stato incapace di soddisfare la sua precedente ragazza...

La bevanda gli andò di traverso per la piccola risata che lo attraversò a quel pensiero. 

"Draco, va tutto bene?" domandò Theo con aria confusa, scrutando il suo strano atteggiamento come se stesse esaminando un raro animale allo zoo. Il biondo tentò di ricomporsi. 

"Si" annuì, mettendo da parte il bicchiere.

La sua semplice affermazione per Pansy fu sufficiente. La ragazza si voltò nuovamente verso il tavolo dove la strana coppia era accomodata. "Perché nessuno ne sapeva niente? Com'è possibile che la Skeeter non ci abbia fatto un articolo?"

"Davvero?" replicò Blaise. "Astoria Greengrass sta con un Weasley, oltretutto quel Weasley, e la cosa più strana a cui riesci a pensare che non ci abbiano fatto un articolo? E poi-" continuò il moro "Weasley non stava con la Granger?"

"Sei stato via troppo a lungo" sorrise Theodore. "Hanno rotto diverso tempo fa".

"Oh" riflettè Blaise sorseggiando il suo calice di vino. "E invece Potter e la W-"

Pansy gli diede una gomitata. "Rinuncia, Zabini. Stanno ancora insieme".

Il moro sorrise contro il bordo del suo bicchiere. "Beh, perciò la Granger è single adesso?"

Draco sollevò la testa di scatto a quella domanda. I suoi amici, fortunatamente, sembrarono non notarlo. 

"Stai scherzando vero?" Pansy sembrò improvvisamente irritata.

"Cosa?" rise il moro, indicando il tavolo dove la neo-coppia sedeva. "Vedi? La famiglia, il nome e tutta quella roba lì non contano più niente. Le regole sono cambiate. E con queste nuove regole" gesticolò "la Granger è un partito migliore di Astoria. Insomma, ha influenza, potere, sicuramente anche un discreto stipendio. E lavora al ministero".

"Il tuo romanticismo mi spiazza" lo interruppe Theodore.

Il moro fece spallucce. "Bisogna valutare ogni variabile. E poi, fisicamente parlando, l'ho sempre trovata sex-"

Il bicchiere del moro andò in frantumi tra le sue mani, provocandogli una ferita sul palmo e una camicia fradicia e macchiata.

Draco si alzò di scatto dalla sua sedia, chiedendosi se la responsabilità fosse sua e temendo al contempo la risposta.

Ma che fine avevano fatto le sue barriere quella sera?
Aveva davvero bevuto così tanto? O Theo aveva messo qualche strana pozione nel sui drink?
O forse era stato Blaise?
Si, avrebbe scommesso qualche galeone su Blaise.

"É stata una bella serata, ma il mio tempo è scaduto" disse, afferrando diversi galeoni dalla sua tasca e lasciandoli sul tavolo. 

"Buonanotte".

***

Mentre svolgeva la sua routine mattutina di preparazione prima di andare a lavoro, Hermione cercò di ripensare a ciò che quella prima "lezione" - se così poteva definirla- di occlumanzia con Draco le aveva lasciato. 

Il giovane le aveva insegnato -più o meno- come difendersi nel caso in cui qualcuno attaccasse la sua mente. Come poteva fargli capire che non era quello ciò che le interessava senza destare  in lui alcun sospetto sulla sua condizione? Voleva essere come lui, avere delle barriere apparentemente impossibili da oltrepassare, che non lasciavano uscire -e, presumibilmente anche entrare- nulla.

L' ultima cosa di cui aveva bisogno era che Draco Malfoy conoscesse il suo segreto. L'avrebbe sicuramente ricattata, costringendola a svolgere per lui ogni sorta di favore politico, minacciando di rivelare questa sua abilità all'intero mondo magico. E a quel punto l'avrebbero probabilmente rinchiusa in una cella al San Mungo ed esaminata come un fenomeno da baraccone, o, ancora peggio, sarebbe stata emarginata dalla società, dal suo lavoro, dai suoi amici. 

Perchè, diciamocelo, chi mai vorrebbe esser amico di qualcuno che può leggere dentro la tua testa?

Raggiunse di buon'ora come al solito il ministero, che quella mattina sembrava insolitamente affollato. Camminò lentamente, avviandosi verso il suo solito ascensore. Tre persone la salutarono quando fece il suo ingresso nel piccolo ed angusto spazio. 

Mentre le porte si richiudevano, Hermione prese una serie di respiri profondi, fissando un punto indefinito della parete dinanzi a lei. 

Tuttavia, concentrarsi sull'aria che entrava e usciva dalle sue narici non fu sufficiente per riuscire a tenere fuori dalla sua mente i dettagli sulla notte di follie che il Signor Hunter, dipartimento Trasporti, aveva apparentemente trascorso.

Le porta dell'ascensore si spalancarono dopo neanche un piano, accogliendo altre due persone. Hermione chiuse gli occhi, ripensando al lunedi sera. Immaginò che Draco fosse di fronte a lei. Ripensò alla sensazione che aveva provato quando aveva avvertito la sua presenza nella sua testa scorrere tra i suoi stessi ricordi. Cercò di aggrapparsi a quello, immaginando di opporsi a lui. 

Ricordava l'estenuante sforzo che le era costato tenerlo lontano da ciò che era successo al San Mungo. Ma c'era riuscita. Certo, la scena alla quale aveva successivamente assistito non era uno dei suoi momenti migliori, ma era stata in grado di proteggere il suo segreto, e quello era l'importante. 

Si sentiva ancora furiosa con lui, e ripensandoci adesso, non sapeva dove avesse trovato l'autocontrollo di non schiantarlo contro la parete. 

Era stata sul punto di farlo, il suo sangue ribolliva come un calderone che era rimasto troppo a lungo sul fuoco.
Ma poi lui si era alzato dal divano e le si era messo faccia a faccia.
Aveva dovuto alzare lo sguardo: era più alto di lei. Molto più alto. Non ci aveva mai fatto caso.
L'aveva guardata dritto negli occhi, e, nonostante quel contatto apparentemente intimo, lei
comunque non era riuscita a sentire nulla nella sua mente.

Come ci riusciva? 

"Hermione?!"

Sbattè le palpebre, sentendosi come se fosse appena stata rianimata dopo minuti di apnea. Dean era in piedi davanti alle porte dell'ascensore. "Siamo arrivati" ripetè con un piede già all'esterno.

Si guardò intorno. C'erano altre persone nell'ascensore con lei, ma aveva smesso di sentir i loro pensieri senza rendersene conto. 

C'era riuscita. Dovette trattenere l'istinto di esultare. Si era rimessa a pensare alla lezione, a Malfoy, e in qualche strano modo aveva funzionato. 

Sgusciò rapidamente fuori dall'ascensore, affiancando Dean nel corridoio che conduceva al suo ufficio. Man mano che il suo cervello si riconnetteva lentamente alla realtà, i pensieri che affollavano la mente del giovane prendevano piede nella sua testa.

Avrebbe voluto riaggrapparsi alla sensazione, alla forza, di prima, e concedere finalmente a chi le stava intorno un briciolo di privacy. Ma poi udì qualcosa che destò la sua curiosità e, ammonendo sè stessa per quel gesto, decise volontariamente di origliare.

Sembra felice, non lo sa ancora

La porta del suo ufficio era vicina, ed Hermione rallentò il passo in attesa di scoprire ciò che Dean stava nascondendo. "Allora, che cosa abbiamo in programma oggi?" domandò. "Hanno discusso le mie ultime proposte?"

"Sai-" tentennò il giovane -oh no, non sarò io a comunicarlo. Ho fatto il possibile, e poi, maledetta Cameron- "ancora non mi è stato comunicato. Ma se dovessi sapere qualcosa prima di te, ti aggiornerò".

Aveva mentito. Dean le aveva mentito. Era una strana sensazione averlo scoperto così. Si sentiva delusa e sollevata al tempo stesso. Delusa per via della bugia, sollevata per esserne al corrente.

Entrò nel suo ufficio, sistemandosi dietro la scrivania e non rivolgendo la minima attenzione alle pile di documenti che giacevano su di essa. Iniziò invece a riflettere su ciò che poteva esser successo e sul perchè Dean avesse sentito la necessità di mentirle. 

Brutte notizie, a quanto pare. Probabilmente la sua ennesima proposta era stata bocciata. 

Temeva davvero che reagisse male per una cosa del genere? ormai ci aveva fatto l'abitudine, era la terza volta consecutiva che la sua proprosta veniva mandata indietro.

Si morse il labbro mentre fissava impaziente l'orologio in attesa che la notizia, qualunque essa fosse, le venisse comunicata.

Dopo solo un quarto d'ora, qualcuno bussò alla sua porta; Hermione sapeva, dal rumore dei tacchi che richieggiarono nel corriodio, di chi si trattava. 

Senza che la ragazza dicesse nulla, Cameron spalancò la porta del suo ufficio, facendo il suo ingresso con ben poca grazia. Oggi aveva optato per un acceso completo verde, che la faceva sembrare come un grosso cavolfiore. 

La donna non sollevò lo sguardo dalle carte che aveva in mano, e quel gesto fu sufficiente per far capire alla grifona che non portava buone notizie.

Odio il mio lavoro, pensò la donna prima di aprire la bocca e parlare. 

"I fondi sono stati ritirati".

Hermione sbattè le palpebre, aggrappandosi alle poche parole che lasciarono la bocca della donna con eccessiva rapidità. "Co-cosa?" chiese, ricomponendosi un momento dopo. Hai un potere Hermione, si disse.
Usalo.

Cameron esitò, sollevando finalmente lo sguardo. I suoi occhi incrociarono quelli di Hermione, che si raddrizzò sulla propria sedia. L'espressione esitante sul volto della donna si contrappose alla saccenza dei pensieri che lasciarono la sua testa.

E questa sarebbe la strega più brillante della sua età? per favore.

Hermione serrò le labbra in una linea sottile, mantenendo la sua postura composta.

"I fondi per il tuo progetto per i nati babbani sono stati tagliati. Non partirà per quest'anno".

Hermione trattenne l'istinto di alzarsi dalla sua sedia ed urlare. Prese invece un respiro profondo, accavvallando le gambe sotto la scrivania. "Bene, e che motivazione ha offerto il consiglio per ciò?"

"Mancanza di fondi" replicò seccamente Cameron, il suo sguardo era tornato sui fogli che reggeva tra le mani.

"Ma i fondi erano stati concessi" Hermione fu incapace di trattenere il suo temperamento. "E adesso mi dicono che li hanno ritirati? Possono farlo?"

"Ci sono state delle emergenze in altri dipartimenti, c'è stata la necessitá di riditribuirli"

Hermione serrò la mandibola. "Bene" disse, mentre la risolutezza si faceva strada in lei. "Gradirei un appuntamento con il capo dipartimento".

Cameron, contro ogni norma di buon senso o educazione, alzò letteralmente gli occhi al cielo. "Non so se sia possibile, il Signor Ludwig è molto impegnato".

"Va bene" annuì, desiderando solo che la donna lasciasse il suo ufficio, mentre rabbia e fustrazione si davano battaglia nel suo stomaco. "Me ne occuperò personalmente".

"Ma-" protestò la donna. 

"Grazie, Cameron" tagliò corto Hermione, afferrando un documento a caso dalla pila sulla sua scrivania. Seppur contrariata, la donna ricevette il messaggio e fece retromarcia, quasi sbattendo la porta dell'ufficio mentre usciva.

Quando fu finalmente sola, Hermione si lasciò andare contro la sua scrivania. Avrebbe voluto urlare.
Quando aveva accettato questo valoro, solo pochi mesi prima, era carica di entusiasmo. Credeva che avrebbe realmente avuto la possibilità di dare il suo contributo, dicambiare le cose. 

Ma più il tempo passava, più si sentiva messa con le spalle al muro. E la strana convinzione che l'avessero assunta per motivi che nulla avessero a che vedere con la sua bravura si faceva strada in lei. 

Forse fu la rabbia, o la frustrazione, o il non aver un cuscino contro il quale urlare, ma le lacrime iniziarono a sgorgare copiosamente lungo le sue guance senza che avesse la possbilità di fermarle. 

***

Con più impazienza addoso di quanto avrebbe mai ammesso ad anima viva, Draco passò la mezz'ora precedente all'orario del suo incontro con Hermione a fissare l'orologio e a far nervosamente avanti e indietro per il salone del manor.

Avrebbe dovuto indagare se Hermione sapesse qualcosa della relazione di Ron con Astoria. Se, come immaginava, la ragazza fosse stata all'oscuro di tutto, avrebbe potuto guadagnare la sua fiducia e poi rivelarglielo.
Forse, in quel caso, si sarebbe sentita più vicina a lui e lo avrebbe aiutato.

Sospirò, sentendosi stupido. Stava davvero pensando ad un piano per conquistare la fiducia di Hermione-sono-stata-torturata-da-tua-zia- Granger? 

No, si sarebbe attenuto al piano: le lezioni di occlumanzia avrebbero funzionato. 

Quando la lancetta del suo orologio scoccò finalmente le tanto attese ore 21, il biondo si infilò nell'elegante caminetto del suo salone, recitando l'indirizzo che corrispondeva all'appartamento di Hermione Granger.

Non sapeva esattamente cosa si aspettasse di trovare, ma quando sgusciò fuori dal suo piccolo caminetto e vide la grifona accasciata sul divano con la testa fra le mani e gli occhi chiusi, per un momento pensò di aver sbagliato data o orario. 

Hermione sussultò non appena lo vide, il suo sguardo si soffermò sull'orologio appeso alla parete sopra il caminetto. "Oh" disse, constatando l'orario. "Non mi ero accorta fossero già le nove". 

A differenza della volta scorsa, oggi non c'erano libri e manuali di occlumanzia sparsi sul piccolo tavolino del salotto, bensì pile di scartoffie e documenti. Draco, dal punto in cui si trovava, riuscì solo a scorgere il logo del ministero stampato su di essi. Tuttavia, ancora una volta, la curiosità si impossesò di lui.

 Cosa poteva mai far perdere ad una persona precisa come Hermione Granger la cognizione del tempo?

Prima che avesse modo di sbirciare furtivamente uno dei tanti documenti, la grifona si affrettò a farli sparire con un colpo della sua bacchetta.

Draco si accomodò sulla poltrona che aveva occupato la volta precedente senza dire una parola.
Non appena la loro pratica ebbe inizio, si accorse che c'era qualcosa che non andava in Hermione.

Il primo ricordo sul quale si soffermò era recente. Era nel suo ufficio, la stessa donna baffuta che aveva tentato di respingerlo non molto tempo fa era in piedi davanti alla scrivania della ragazza.

"I fondi sono stati ridistribuiti"

"E questa sarebbe la strega più brillante della sua età?"

Sentí una forza tentare di opporsi a lui. Hermione stava combattendo contro la sua mente. Evidentemente c'era qualcosa che non voleva vedesse, o sentisse.
Eppure non riusciva a capire cosa.

Era per questo che sembrava apparentemente turbata quella sera? Perché una segretaria del ministero l'aveva insultata?

Per quanto non potesse dire di conoscere a pieno Hermione Granger, dopo aver sorbito la sua presenza per sette lunghi anni poteva decisamente affermare che non era il tipo di persona che si lasciava abbattere da un insulto. 

Poteva anzi testimoniare, suo malgrado, che fosse quel tipo di persona che risponde alle provocazioni.

Si oppose alla resistenza di Hermione, mantenendo la mente ancorata a quel ricordo recente. Si aspettava che si alzasse da un momento all'altro dalla sua scrivania e urlasse alla donna, o almeno rispondesse a tono. 

Tuttavia, non fece nulla di tutto ciò, rimanendo invece con il sedere ancorato alla sedia  e un sorriso forzato in volto che la faceva somigliare ad un folletto della gringotts.

La grifona si oppose con più forza e, prima di ritrovarsi fuori dalla sua mente, l'ultima cosa che il giovane vide fu Hermione Granger piegata contro la propria scrivania, le mani alle tempie e le lacrime che correvano lungo le sue guance.

Erano nuovamente nel salotto. L'unico rumore a spezzare il silenzio era quello provocato dal respiro affannoso che lasciava la bocca della ragazza.

C'era riuscita.

Lo aveva spinto fuori dalla sua mente. Aprí la bocca per congratularsi, ma non fece in tempo a proferire parola. Hermione scattò in piedi, dandogli le spalle. Rimase immobile così per qualche secondo. 

E Draco, quasi più a disagio di quella volta in cui si ritrovò trasformato in un furetto dentro i pantoni di Goyle, iniziò a scrutare ogni centimetro della sua figura.

Notò, mentre i suoi occhi esaminavano le sue scarpe comode ma eleganti e le calze che fasciavano i suoi polpacci, che indossava ancora l'outfit da lavoro.
Cosa diavolo era successo che non le aveva concesso neanche il tempo di cambiarsi?

E perché diavolo piangeva?

"Granger?" chiese, non potendone più di quell'imbarazzante silenzio.

Le spalle di Hermione si alzarono e, finalmente, si voltò, lasciando intravedere i suoi occhi lucidi. "É meglio se continuiamo un altro giorno".

"No" sbottò il giovane.

"No?" 

"No. Mi avevi detto che dopo questa lezione avresti guardato il ricordo. É uno scambio reciproco, Granger" disse, mantenendo un tono di voce calmo ma sicuro. "Perciò adesso finiamo".

Sperò di suonare convincente. Ovviamente voleva che Hermione lo aiutasse a scagionare suo padre, perciò aveva bisogno che assecondasse il suo piano, che la lezione andasse a termine.

Tuttavia in quel preciso istante, in quella frazione di secondo nella quale i suoi occhi incontrarono quelli rossi e lucidi di Hermione, ciò che desiderava veramente era di non andarsene.

Hermione rabbrividí, e non per l'aria gelida che entrava dalla finestra aperta della cucina, né tantomeno per il fatto che indossasse ancora la ridicola camicetta che usava per andare al lavoro. 

No, non fu quello il motivo per il quale le venne la pelle d'oca.
Fu lo sguardo gelido del ragazzo in piedi davanti a lei, il grigio -no, l'argento- dei suoi occhi, che andò via via assottigliandosi sotto la pozza nera delle sue pupille che si dilatavano.

E poi la sua voce, che scivolò come seta sulla sua pelle, fino ad infilarsi dentro di lei. 

Cosa ti é successo, Hermione?

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Capitolo 8
*** 8. Anche gli eroi soffrono ***


Era strano.

Neanche le parole della Umbridge erano riuscite, all'epoca, a scalfire la tenacia di Hermione Granger.

Né tantomeno Voldemort, che aveva letteralmente imbandito una caccia all'uomo -o alla strega- specificatamente contro di lei.
Hermione Granger non si era mai lasciata abbattere. Si era alzata e aveva lottato, con l'audacia di un grifone e quel pizzico di astuzia che l'avrebbe resa un'ottima serpeverde se non fosse stata contagiata dal complesso dell'eroe di San Potter.

Perciò adesso Draco Malfoy non riusciva a capacitarsi del perché la punta di diamante del Golden trio fosse così a pezzi, né tantomeno riusciva a spiegarsi perché avesse reagito in modo così passivo agli insulti di una donna che, tra l'altro, lavorava sotto di lei. 

Non credeva che avrebbe mai visto quel fuoco dentro di lei affievolirsi in questo modo, ma-

Si portò le mani alle tempie.

Quel fuoco dentro di lei.

Aveva davvero pensato questa cosa?
Si rigirò il bicchiere tra le mani, osservando quel liquido ambrato e chiedendosi ancora una volta se qualcuno dei suoi amici lo stesse effettivamente drogando. 

Era sicuramente un'ipotesi più che auspicabile per spiegare le strane assurdità che di tanto in tanto balenavano per la sua mente. 

Poco gli importava di ciò di cui i suoi amici stavano discutendo in quel momento. L'unica cosa alla quale riusciva a pensare era l'assurda reazione di Hermione della scorsa sera ed il modo in cui lo aveva cacciato da casa sua nel giro di pochi secondi. E, più di tutto, il modo in cui lui, per qualche strano ed assurdo motivo, desiderava tutto purchè andarsene.
Voleva restare lì. Voleva restare con lei. 

Ma perchè?

Curiosità. 

Moriva dalla curosità di sapere cosa mai potesse esser successo per mettere K.O. una come Hermione Granger, e allo stesso tempo rimproverava sè stesso per non esser riuscito a scorprirlo nonostante avesse letteralmente letto la sua mente.
E poi, ovviamente, c'era il quesito fondamentale: perchè diavolo le importava conoscere l'occlumanzia? E perchè la cosa doveva rimanere talmente segreta che l'unica persona alla quale aveva chiesto aiuto - più o meno- era proprio lui?

Com'era possibile che Hermione Granger fosse improvvisamente diventata così misteriosa e piena di segreti?

Attese che Pansy e Blaise se ne andassero per rimanere da solo con Theo e poter parlare con lui dei dubbi che attualmente lo tormentavano. Doveva sfogarsi con qualcuno o la cosa gli avrebbe tolto quel poco di sonno che riusciva a concedersi di tanto in tanto. Non poteva resistere ben quattro giorni prima di rivedere Hermione. 

Quando furono finalmente da soli, si rivolse verso il suo amico con un' espressione seria in volto. "Cosa sai del lavoro di Hermione?" chiese.

Il ragazzo strabuzzò appena le palpebre, colto di sprovvista da quella domanda. "A cosa ti riferisci?"

"Tu mi hai detto dove l'avrei trovata, al ministero, perciò saprai dirmi qualcosa sul suo lavoro".

"Beh" iniziò Nott, fissando con aria pensierosa il suo bicchiere. "Non so di preciso in cosa consista il suo lavoro. Da quel poco che so - e non chiedermi come lo so- aveva fatto domanda per un posto al dipartimento di creature ma..."

"Ma?" lo incalzò Draco, impaziente di saperne di piú, senza curarsi ormai di nascondere il suo interesse per gli affari della grifona.

"Ma, per qualche strano motivo, qualcuno credeva che  non fosse il caso di concedere alla salvatrice del mondo magico il lavoro dei suoi sogni" il moro aggrottò le sopracciglia. "E non era un problema di titoli, nè di abilità. Potter voleva lavorare come Auror ed è stato immediatamente assunto senza aver conseguito i M.A.G.O. E Weasley, beh... è il portiere peggiore che abbia mai giocato nel campionato nazionale di quidditch, eppure eccolo lì, a riscaldare la panchina dei Cannon".

Draco arricciò le labbra contro il bordo del suo bicchiere. "E perché?" domandò, inconsapevole del motivo per cui ciò che aveva udito lo faceva sentire stranamente nervoso. 

Theo fece spallucce. "Sai com'é la Granger, quando si mette in testa una cosa... Elfi domestici, lupi mannari e tutta quella roba lì. Se fosse stata assunta in dipartimento, avrebbe avuto voce in capitolo su quali leggi sarebbero state accettate o meno. Lí dove l'hanno messa invece..."

"Possono bocciare tutte le sue proposte, praticamente" finí Draco per lui. 

Theo annuí. 

Dopo un momento di silenzio, spezzato solo dai sospiri entrambi, Theo parlò. 

"Credevo davvero che sarebbe cambiato qualcosa" sospirò. "Che Potter, la Granger -persino Weasley- ce l'avrebbero fatta a cambiare le cose. Ma é tutta apparenza, una copertura" prese un sorso dal suo bicchiere. "Perché in fondo non è cambiato nulla. Voldemort é morto, eppure chi c'è al ministero? Le stesse persone di sempre. Gli stessi bigotti che lo hanno aiutato a salire al potere e che arricciano il naso ogni volta che la Granger passa per i loro corridoi. E mi chiedo perché non ci arrivino-" si alzò in piedi, e Draco per poco non indietreggiò, rannicchiandosi ancora di più sul divano. Non aveva mai visto il suo amico cosí. "É tutta una stronzata. Voldemort é morto. Mio padre é morto. Parkinson é morto, Goyle é morto. Tuo padre é in prigione, eppure cosa é cambiato?"

"Theo" Draco si alzò, facendo un passo avanti verso il suo amico, che aveva il volto rosso ed il respiro pesante. "Theo, stai bene?"

"Si" borbottò il ragazzo, risistemandosi sul divano. "Si, sto bene..."

Ci fu qualche momento di silenzio, prima che il biondo decidesse di riportare la conversazione sull'argomento iniziale. "É stato tutta una stronzata, vero? Il modo in cui siamo cresciuti, tutto quello che ci hanno insegnato-"

Theo afferrò direttamente la bottiglia dal tavolino, sollevandola verso di lui. "Sono felice di non essere l'unico ad averlo capito, salute" disse, bevendo un lungo sorso senza aspettare una risposta dal suo amico.

"Sembra diversa, sai" continuò Draco, maledicendo sé stesso per non riuscire a smettere di parlare di Hermione.

L'amico alzò un sopracciglio e la sua espressione mutò completamente. "Mmh- ti andrebbe di approfondire?"

Draco sospirò. "Sembrava... Sconfitta".

"Uhhh" sorrise Theo. "Dopo aver sconfitto il signore oscuro, Hermione Granger soccombe sotto il peso della burocrazia".

"Ah-ah" lo riprese il biondo. "So che sembra assurdo, ma..."

"Se c'è una persona che può togliere quei vecchi bigotti dalle loro poltrone e fare davvero qualcosa per la società magica, amico, quella é lei"  fece una breve pausa "se non ce la farà lei, dubito che arriverá qualcun'altro di più brillante".

Il biondo sorrise amaramente alla battuta del suo amico, che racchiudeva più verità di quanto lui sarebbe mai stato in grado di ammettere. 

D'altro canto, il sorriso che attualmente ricopriva il volto di Theo era tutt'altro che amareggiato.
Era un sorriso che Draco non vedeva da  tanto tempo e al momento non sapeva se sentirsi felice per il suo amico o preoccupato per sé stesso.

"Cosa c'è?" chiese, timoroso come se si stesse nuovamente avvicinando ad un Ippogrifo.

"Oh niente". Il ghigno sul volto di Theo non fece che aumentare e fu allora che, forse, Draco capí.

"Oh no" scatto in piedi, puntando un dito contro di lui. "Sei fuori di testa". 

"Se ti piace pensarlo..."

"Stai bevendo davvero troppo" il biondo afferrò la propria giacca. "E probabilmente anche io. Questo spiega perché stiamo delirando". Si avviò verso il caminetto "in realtà, te lo confesso, avevo iniziato a sospettare che qualcuno di voi mi drogasse. Adesso sono certo sia stato Blaise" cercò invano il sacchetto di metropolvere.

"Mmh-mhh". Theo interruppe il suo breve delirio, affiancandolo con in mano il piccolo sacchettino che racchiudeva la sua via di fuga da quella conversazione ridicola e spiacevole.

Con disinvoltura, Nott glielo porse.
Con molta meno disinvoltura, Draco lo afferrò e si catapultò nel caminetto. 

"Ti sbagli" borbottò. "Ti sbagli di grosso".

"Sicuramente".

"Ci vediamo" concluse infine Draco, mentre veniva trasportato nel salone del Manor.

"Cerca di non fare esplodere altri bicchieri".

Questa volta quando mise piede sul freddo pavimento di marmo non furono il volto di Voldemort o quello di sua zia Bellatrix a tormentare i suoi pensieri, ma l'odioso e compiaciuto sorrisetto sul volto del suo migliore amico.

***

Draco odiava gli strani scherzi che la sua mente gli faceva ultimamente.
Non che potesse effettivamente lamentarsi: il sogno di questa notte era decisamente meglio degli incubi che lo avevano tormentato negli ultimi mesi. 

Tuttavia era decisamente sconveniente sognare Hermione Granger.
Non che  avesse sognato chissà che cosa: semplicemente lei che cammina per il suo ufficio con le sue stupide gonne lunghe fino al ginocchio e le sue camicette rigorosamente abbottonate, i capelli raccolti in uno chignon perfettamente abbinato al suo immancabile atteggiamento da maestrina, impartendo ordini a destra e manca per i corridoi del ministero della magia.

Non era necessario conoscerla a fondo per capire che avesse un disperato bisogno di aver sempre il controllo della situazione.
Si era mai lasciata andare?

Si portò le mani alle tempie, affidandosi all'occlumanzia per evitare di formulare assurde, inappropriate e deplorevoli immagini che potessero riguardarla. 

Si era ossessionato troppo pensando a lei negli ultimi giorni e sperava davvero che l'incontro di questa sera lo avrebbe aiutato a placare la sua irrazionale curiosità e togliersela dalla testa.

Era impaziente di vederla. Aveva praticamente trascorso l'intera giornata fissando l'orologio e trascinandosi da una parte all'altra del Manor in attesa delle ore 21.

Quando arrivò il momento di infilarsi nel caminetto e pronunciare l'indirizzo di casa di Hermione, Draco aveva i nervi a fior di pelle.

Una volta che le fiamme si estinsero notò che Hermione, invece, era apparentemente tranquilla. Fredda, calma e misurata: l'esatto opposto di come era l'ultima volta che l'aveva vista. L'esatto opposto di come l'aveva sempre ricordata. 

Nel suo salotto non c'erano più scartoffie sparse tra il piccolo tavolino ed il divano, sebbene indossasse ancora gli abiti da lavoro, incluse quelle orrende scarpe che le slanciavano i polpacci sottili.
I suoi capelli erano legati nel classico chignon da maestrina, con solo qualche ricciolo ribelle sfuggito all'inferno di forcine che ricadeva ai lati del suo viso. 

Il suo volto era... Strano. Stanco, avrebbe osato dire.
Il suo sguardo invece... Vuoto.

"Mi sono esercitata" disse Hermione appena Draco mise piede fuori dal caminetto. "Credo di star migliorando".

Draco si mise seduto, schiarendosi la gola. "Bene. Te l'ho detto la corsa volta... Ce l'avevi fatta, eri riuscita-"

"Riguardo la scorsa volta..."

"Si?" Draco sollevò la testa di scatto verso di lei, sperando di non sembrare troppo disperato. 

"Gradirei non parlarne".

Ci fu qualche momento di silenzio, spezzato nuovamente dalla grifona. "Riguardo a tuo padre" riprese, con un tono di voce secco e pragmatico. "Ho visto il ricordo e sembra autentico".

Hermione si sentiva osservata dal giovane con un'intensità tale che temeva le stesse già leggendo la mente.
Non aveva ancora tirato fuori la sua bacchetta, eppure si sentiva sempre più messa a nudo di fronte a lui. 

Era incredibile come con Draco la sua condizione si ribaltasse: era capace di leggere nella mente delle persone, ma con lui accadeva esattamente l'opposto.
Era lui a leggere lei, e lo stava facendo tutt'ora.  Hermione lo notò dal  modo in cui i suoi grigi occhi scivolavarono lungo il suo corpo, come se ne stesse assorbendo ogni dettaglio, e poi saettarono da un angolo all'altro del suo volto mentre parlò.

 Cercò di ricordarsi di cosa stava parlando e continuare il suo discorso, abbassando lo sguardo verso i propri piedi per non soccombere sotto il peso degli occhi argentei di Draco. 

Tutto ciò é ridicolo, pensò ad un certo punto, mentre sentiva il proprio battito accellerare inspiegabilmente.
Però stava effettivamente migliorando con l'occlumanzia, perciò era necessario, non é vero?

Riprese il discorso.  "Ho esaminato il caso di Sirius Black e ho visto quanto frettolosamente sia stato svolto il processo che l'ha condannato. Ho trovato molti elementi in comune con quello di tuo padre" si alzò per afferrare un grosso tomo dalla libreria, mostrandolo a Draco. "Ed ho controllato ciò che la legge magica prevede in questi casi. Se il processo venisse ripetuto secondo la legge, molto probabilmente verrebbe assolto dall'accusa di omicidio, l'unica prova fornita dall'accusa é inconsistente".

Draco ci mise un po' a seguire il filo del suo discorso. "Ah, d'accordo. Bene" tossí. "É davvero..."  brillante.

Hermione abbassò lo sguardo, imbarazzata. "Questa é solo la teoria. Non sconosco così bene la legge, perciò... E con l'occlumanzia non abbiamo ancora finito" chiarí con tono autoritario.

Dall'espressione che ricopriva il volto di Draco, avrebbe osato dire che appariva sincertamente impressionato, anche se non avrebbe mai potuto dirlo con certezza.
Ancora una volta, la sua mente era impenetrabile. 

"Credo che altre due o tre settimane così" continuó la grifona "potrebbero essermi d'aiuto per ottenere il livello di padronanza che desidero. E dovrebbero essere sufficienti per riuscire ad ottenere un processo per tuo padre, mi occuperò io di contattare un avvocato".

"Non è necessario, Granger. Me ne occuperò io di quello".

"No, Malfoy. Gradirei che fosse qualcuno di mia conoscenza".

Il biondo annuí, rimanendo in silenzio. "D'accordo, quindi..."

"Si, cominciamo" riprese Hermione, strofinando i propri palmi sudati contro la gonna. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, applicando tutto ciò che ormai aveva imparato a conoscere.

Quando la mente di Draco scivolò nella propria, accolse la sua presenza, scansandola dal primo ricordo sui cui approdò, quello della sua giornata al ministero. 

Era una tecnica che Malfoy usava spesso, partire dai ricordi più recenti e poi correre a ritroso.

Schivò il suo primo tentativo con relativa facilità, gioiendo internamente. Fece un po' più di fatica quando Draco indugiò sul ricordo delle sue ricerche sul caso di Siurus Black, ma alla fine riuscì ad allontanarlo senza che vedesse molto.

Prosegui così a ritroso ripercorrendo le sue ultime giornate, fino a che non decise di spostarsi dal giorno alla notte.

Vide sé stessa sul proprio letto. Fuori dalla finestra era buio. Il suo volto era sudato, i suoi capelli incollati alla fronte e al collo mentre il suo petto di alzava e abbassava freneticamente. Gli occhi chiusi, la fronte aggrottata. 

"É solo un sogno. É solo un sogno. 
É finita" sussurò.

Poi il ricordo si bloccò di colpo. Draco lasciò la sua mente, ed Hermione riaprí gli occhi ritrovandosi nel proprio salotto. Le iridi grigie di Draco erano puntate verso di lei, le labbra leggermente schiuse come se fosse sul punto di dire qualcosa. 

Tuttavia dalla sua bocca non uscirono parole. 

Era stato uno dei suoi incubi. 

Hermione rabbrividí.
Non ne aveva parlato con nessuno, neanche con i suoi migliori amici. 

E adesso Draco Malfoy ne era a conoscenza.

Il biondo si alzò di scatto dal divano, evitando di guardarla negli occhi. Mantenne lo sguardo puntato verso le proprie scarpe e parlò. "Credo che per oggi possa bastare. Grazie Granger per..." 

Salazar
Grazie?! Ma che sto dicendo?

Cercò il sacchetto di metropolvere sul caminetto di Hermione. 

Ma perché ultimamente non lo trovo mai

 Si voltò suo malgrado verso il punto in cui la grifona sedeva sul divano, comunicando con lo sguardo ciò di cui aveva bisogno.
Hermione indicò silenziosamente l'angolo cui il sacchetto si trovava, osservando passivamente mentre il biondo lo afferrava e si infilava nel camino. 

La sua bocca urlò "Malfoy Manor" e, nello stesso istante, udí la sua voce dentro la propria testa.

Mi dispiace Granger, per tutto

Ooook so che non aggiornavo davvero da tantissimo. Ma ora sono in vacanza e ho abbozzato i prossimi capitoli perciò gli aggiornamenti riprenderanno con costanza settimanale. Grazie mille a tutti ❤️❤️❤️

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Capitolo 9
*** 9. Curiosity ***


Hermione Granger si ritrovava a rileggere una proposta che aveva scritto da capo per la quinta volta consecutiva. 

Cos'altro c'era ormai da modificare? Praticamente nulla. 

Non era mai stata una persona presuntuosa, ma poteva affermare fieramente che la sua proposta era perfetta.
Lo era stata fin dalla prima bozza, ma dopo averla riscritta per ben cinque volte poteva senz'altro dire che era impeccabile.

Eppure era tornata indietro.
Il chè era assurdo. Chi aveva il compito di leggere e valutare le sue proposte aveva mai consultato un manuale di Legge magica? probabilmente no.

Sicuramente no. 

La cosa non fece altro che far schizzare alle stelle il suo nervosismo. C'erano solo due possibili opzioni che spiegassero cosa stava succedendo: chi aveva il compito di superivisonare e approvare le sue proposte non conosceva nulla di legge magica, e dunque non avrebbe dovuto ritrovarsi in quella posizione, oppure, ancora peggio e ben più probabile, le sue proposte non venivano nemmeno lette, ma scartate a prescindere.

Richiuse tutto, imbustando la sua nuova e "rivista" proposta di legge senza cambiarne nemmeno una virgola. Se nessuno le avesse detto nulla, avrebbe avuto la conferma che tutto il suo duro lavoro non veniva neanche correttamente esaminato.
Lasciò il suo ufficio e consegnò la pergamena imballata a Dean, dopodichè si diresse verso gli archivi del ministero. 

Era stanca di lavorare a vuoto. Volevano ignorare le sue proposte? bene.
Li avrebbe resi vittime della stessa burocrazia nella quale avevano tentato di intrappolarla, illudendola e offrendole un misero "contentino" di tanto in tanto. 

Nessuno visitava mai personalmente gli enormi archivi del ministero, ed Hermione ne era grata. Si diresse decisa verso la sezione che ospitava i documenti sui processi avvenuti negli ultimi vent'anni,  duplicando l'interno scomparto e nascondendo i vari fascicoli nella sua borsa di perline segretamente allargata. 

Aveva una missione adesso, e aiutare Lucius Malfoy sarebbe stato solo un effetto collaterale di un piano ben più grande.

Fare giustizia.

***

Due o tre settimane al massimo. Questo significava che avrebbe dovuto vedere Hermione Granger per  altre quattro, o  massimo sei, volte.
E poi sarebbe finita. 

Lei lo aveva effettivamente aiutato, aveva fatto di più per lui di quanto chiunque avesse mai fatto da quanto suo padre era stato arrestato.
Lucius aveva le sue colpe: Draco ne era consapevole e sapeva fosse giusto che pagasse per quelle. Sapeva anche che Hermione si sarebbe assicurata che Lucius marcisse ad Azkaban tutto il tempo necessario per i cirmini che aveva commesso, ma non un giorno di più.
L'unica cosa che doveva fare era convincere prima lei e poi il resto del mondo magico che suo padre non era responsabile per l'omicidio di Severus, ed era sulla buona strana.

Stava andando tutto come aveva sperato, se non meglio. Eppure non riusciva a sentirsi felice per ciò.
Felice forse era una pretesa assurda, ma non avvertiva quel senso di soddisfazione o sollievo che credeva di dover provare. C'era qualcosa che non gli tornava in tutta la situazione in cui si era ritrovato, ed il problema era Hermione. 

Non avrebbe dovuto importargli dei misteri che circondavano Hermione Granger, eppure tante piccole cose di lei si erano insinuate nella sua mente dopo solo pochi incontri, e adesso non riusciva a togliersela dalla testa.

Aveva ottenuto da lei ciò che voleva, tra sole tre settimane sarebbe andato avanti  per la sua strada e avrebbe aiutato suo padre. Non doveva pensare ad Hermione Granger ed i suoi affari, non doveva esser così incuorisito dai mille segreti che improvvisamente sembravano circondarla. Né  avrebbe dovuto ritrovarsi a tifare segretamente per lei, a sperare che prima o poi riuscisse a ribaltare definitivamente quei vecchi bigotti che da decenni facevano la polvere sulle poltrone del ministero.

Doveva davvero smettere di bere, pensò, rigirandosi il suo solito drink tra le mani. Lui e Theo bevevano da mesi, regalavano bottiglie a destra e manca, talvolta in un impeto di rabbia le scagliavano ancora piene contro i muri: eppure le cantine di Nott Manor sembravano inesauribili. Per ogni bottiglia che consumavano, altre due si materializzavano sulla mensola sul caminetto. 

E, sebbene non riuscisse a spiegarsi il motivo, Theo odiava profondamente questa cosa.

"Che ti prende?" lo richiamò la voce del suo amico una volta che le fiamme verdi del caminetto si furono estinte, trasportando altrove l'energia esuberante di Pansy e l'arroganza irriverente di Blaise.

Sul suo volto c'era l'ombra di quel sorrisetto che Draco non tollerava. "Sono distratto, ma non è come pensi... " sospirò.

Nott si rimise comodo sul divano. "Illuminami".

Soccombendo all'ingombranza dei suoi pensieri, di cui sperava di alleggerirne il peso, Draco raccontò a Theo di tutti i dubbi che lo tormentavano. Di ciò che Hermione gli aveva detto, di ciò che aveva visto nella sua mente, delle stranezze del suo lavoro, di come l'aveva aiutato per il caso di Lucius. 

"Capisco" annuí Theo lisciandosi il mento con una mano. "Perciò nessuno dei suoi amici sa che le interessa l'occlumanzia, ti ha minacciato di mantenere il segreto -segreto che stai spiattellando a me, ti ringrazio- il suo ex ragazzo sta con la tua quasi-ex ragazza, e in più c'è una signora al lavoro a cui non sta simpatica".

Il ragazzo ripeté i fatti elencati da Draco molto rapidamente, con le sopracciglia aggrottate. "Scusami, ma non ci vedo poi nulla di così anomalo nel 90% di tutto ciò".

Il biondo sospirò. "Piangeva, cazzo. Davanti a me".

"E la cosa ti ha turbato cosí tanto perché..?"

Draco si portò le mani alle tempie. "C'è qualcosa che non va in lei. E in più é stata al San Mungo, l'ho visto nella sua mente".

"Hai visto anche perché?"

"No" imprecò il biondo. "Qualcunque cosa fosse era piu che determinata a non farmi vedere".

"Ok" Theo si dondolò sul divano. "Magari era semplicemente qualcosa di imbarazzante, non credi?"

"Credo proprio di no".

Theodore sospirò. "Non sei aperto al dialogo, comunque" fece spallucce. "Perché non potrebbe esserlo?"

Draco sbottò. "Perché dopo aver esaurito ogni energia per allontanarmi dal ricordo del San Mungo sono atterrato su un ricordo molto, molto imbarazzante per lei".

"Uh, sembra interessante..."

"Non ho voglia di parlare di questo" il biondo si portò le mani alle tempie. "É solo che..."

L'espressione di Theo divenne improvvisamente più seria, e Draco non sapeva se stesse per emettere una delle sue rare perle di saggezza o una delle sue più squallide battute.
"Amico, sei entrato nella testa di Hermione Granger, mi stupirebbe se ne fossi uscito completamente sano di mente".

"Già" sospirò il biondo. 

"No, sul serio. Non potrebbe essere tutto legato a queste sedute di legimanzia? Insomma, capisco che tu abbia avuto il miglior maestro e tutta quella roba lì, ma entrare nella mente degli altri non ti fotte un po' il cervello?"

Draco iniziò a rifletterci. Era sempre stato un abile occlumante, ma la legimanzia era tutta altra cosa. C'era qualcosa di profondamente stressante nell'entrare nella mente degli altri, e chi non sapeva mantenere il controllo della situazione scivolava inconsapevolmente nella follia. Un po' come era successo a sua zia Bellatrix. 

Poteva essere questo il suo problema? Era bastata una passeggiata all'interno della confusionaria mente di Hermione Granger per metterlo K.O.?

Il suo continuo pensare ad Hermione Granger poteva esser un segno che stesse lentamente scivolando nella follia? 

Forse avrebbe dovuto essere lui a farsi ricoverare al San Mung-

Il San Mungo.
Hermione. 

Era così determinata che non vedesse il motivo per cui era lì. Poteva essere dunque per un problema legato alla sua magia?

O forse Hermione Granger stava diventando pazza e la cosa la imbarazzava?

Cercò di mettere insieme i pezzi. Forse era per questo che le interessava così tanto l'occlumanzia... Aveva abusato della legimanzia in passato e la cosa l'aveva lentamente distrutta.
Forse era stato durante la guerra.

Magari era così che erano riusciti a nascondersi e fuggire per tutti quei mesi, con centinaia di ghermidori e Mangiamorte alle calcagna. 

Più ci pensava, più la sua teoria iniziava a prendere forma, sebbene si sentisse come se dovesse risolvere un puzzle senza poter vedere l'immagine principale. E con dei pezzi mancanti.

"Pronto, terra chiama Malfoy?"

La sua testa scattò in alto. Si era perfino dimenticato di essere in compagnia. 

"Vuoi rendermi partecipe di questo tuo trip mentale o me ne vado a dormire?"

Draco lo guardò con sguardo vitreo per qualche secondo, dopodiché scatto in piedi. "Devo fare delle ricerche" disse, correndo verso il camino con l'intenzione di seppellirsi nella biblioteca del Manor. 

Theo si alzò lentamente dietro di lui. Fu solo quando le fiamme del camino iniziarono a risalire lungo le sue gambe che Draco udí il suo amico ridacchiare.

"Salazar, siete perfetti l'uno per l'altra".

***

Hermione si infilò nel caminetto con il cuore che batteva a raffica.

Disse a sè stessa che era per via della rabbia e dell' eccitazione per la sua nuova missione che l'adrenalina  correva nel suo corpo, tuttavia la verità era che si sentiva leggermente emozionata all'idea di rivedere David.

David era il suo avvocato di fiducia. Il miglior avvocato che avesse mai trovato. Mezzosangue, intelligente, affascinante. Era stato un corvonero ad Hogwarts, diplomato con il masso dei risultati nei M.A.G.O,  record battuto solo da Hermione cinque anni dopo. 

Si erano conosciuti in circostanze un po' strane: Hermione si trovava mentalmente in un pessimo stato appena dopo la fine della guerra. La sua unica priorità, a quel punto, erano stati i suoi genitori.
Poco le era importato del fatto che il ministero avesse iniziato un processo contro il suo uso illegale dell'incantesimo estensivo irriconoscibile.
Cosa possono fare, si disse, richiudermi ad Azkaban per una borsetta?

Proprio in quel periodo, senza un apparante motivo, David si era presentato alla sua porta.
L'aveva difesa e scagionata senza che lei facesse nulla.
La sua piccola illegalitá era stata fondamentale per la vittoria della guerra, aveva spiegato il ragazzo alla commissione, evitandole una sanzione legale che non avrebbe potuto permettersi.

Quando si era offerta di pagarlo alla fine del processo, David aveva rifiutato. 

"Perchè lo hai fatto, allora?" domandò Hermione, fissandolo incuriosita mentre sistemava i documenti nella sua 24 ore. 

"Per fare giustizia" rispose il moro, alzandosi in piedi e lisciandosi la giacca. La fissò con i suoi occhi scuri, neri come la notte, "é il mio lavoro".

Hermione non aveva dato peso  a quel gesto all'epoca. Ron era parte importante della sua vita e aveva fin troppi problemi per concedersi la piccola lussuria di fantasticare su un ragazzo che non fosse il suo fidanzato.

Dopo quella prima volta, era stata lei a contattare David durante un periodo particolarmente complicato nel suo dipartimento.
Aveva bisogno di un parere legale e nessuno degli avvocati tra le mura del ministero le era stato d'aiuto.

David, d'altro canto, era stato piú disponibile di quanto Hermione si sarebbe aspettata. Avevano passato una notte intera svegli, immersi tra i manuali alla ricerca di un cavillo legale che potesse esserle d'aiuto. E alla fine Hermione aveva ottenuto la sua prima -ed ultima- vittoria contro i bigotti del ministero. 

Perciò, adesso, se c'era una persona che poteva aiutarla, quella era proprio David.

L'elegante legno scuro del salotto apparve alla sua vista non appena le fiamme si estinsero.
David l'attendeva sul divano, in una mano reggeva un bicchiere di brandy e con l'altra sfogliava uno dei fascicoli che Hermione gli aveva inviato perché li esaminasse.
Indossava uno dei suoi eleganti e lussuosi completi da lavoro. 

"Hermione".

I suoi occhi si illuminarono, saettando rapidamente lungo il corpo della grifona mentre la raggiungeva davanti al caminetto. 

Sei bellissima

Hermione per poco non sussultò, sentendosi arrossire.
David aveva realmente pensato che fosse bellissima?
E perché questa cosa la faceva sentire come una quattordicenne su di giri?

Il resto della serata procedette tranquillamente. David esaminò tutti i fascicoli che Hermione gli aveva inviato, confrontando il caso di Lucius Malfoy con quello di Sirius Black.
Apparentemente, il ministero sembrava avere il vizio di svolgere i processi in maniera eccessivamente frettolosa immediatamente dopo una sconfitta di Voldemort. 

David era fiducioso, credeva ci fossero effettivamente le basi per scagionare Lucius dalle accuse, almeno finché non avessero trovato altre prove a favore dell'ipotesi di omicidio. 

Dopo circa un paio d'ore, Hermione alzò lo sguardo verso l'orologio. Erano quasi le 21, questo significava che a momenti Draco sarebbe sbucato nel suo appartamento. 

"Devo proprio andare adesso" disse al ragazzo, che sollevò di scatto lo sguardo fissandola intensamente.

"Hermione" disse con voce profonda. "Di solito non faccio mai domande, ma... Perché vuoi aiutare Lucius Malfoy?"

Hermione deglutí. "É.." balbettò. "É complicato, ma credo davvero che sia innocente. Non sei d'accordo?"

"Dell'omicidio di Severus?" il ragazzo sollevò le sopracciglia. "Sicuramente. Ma é colpevole di ben altre atrocità, contro quelli come me e te".

La grifona abbassò lo sguardo. David aveva ragione, e mai le sarebbe venuto in mente di lavorare per uno come Lucius se solo non avesse avuto bisogno dell'aiuto di Malfoy. 

"Capisco quello che dici" si giustificò. "Mi dispiace. Non ho pensato che potesse essere troppo per te-"

"No, Hermione" disse il ragazzo, poggiando una mano sopra quella della grifona. "Puoi chiedermi aiuto quando vuoi, non importa per cosa".

Hermione scattò in piedi, sentendosi mancare il respiro. Il modo in cui la guardava aveva fatto ricordare al suo povero corpo stressato e pieno di caffeina che non aveva una rapporto fisico, con un vero essere umano, da mesi.
"Non so come ringraziarti, davvero. Sono in debito con te" sorrise. "Se c'è qualcosa che posso fare per sdebitarmi, fammelo sapere".

Ora o mai più. 
Fallo
Chiediglielo, forza

"In realta ci sarebbe qualcosa" iniziò timidamente il giovane. 

Hermione lo fissò attonita.
La sua apparenza era tutto fuorché quella di una persona timida.
Annuì appena, incoraggiandolo a continuare. Credeva di aver ormai capito cosa stava per chiederle, ma non sapeva se la notizia la facesse sentire più eccitata o spaventata.

"Ti andrebbe di venire a cena con me, qualche volta? Non devi dire per forza di si, naturalment-"

"Ci sto" sorrise Hermione con fin troppa fretta, ammonendo mentalmente sè stessa un momento dopo. 

"Magari questo sabato?"

L'entusiasmo della mente di David pervase le sue fibre nervose, facendola sentire leggermente più tranquilla e spazzando via, per il momento, il suo nervosismo. 

Fu solo quando il suo sguardo cadde sul suo orologio, che segnava già le nove e dieci, che la bolla scoppiò. Era in ritardo. 

"Va benissimo" replicò senza pensarci troppo, infilandosi nel caminetto e afferrando la metropolvere con fin troppa fretta. "Ci vediamo".

***

20.30 
Malfoy Manor

Draco ribolliva dall'impazienza di rivedere finalmente Hermione. In un modo o nell'altro, per quanto ci avesse provato, non era stato capace di togliersela dalla testa dal loro ultimo incontro. Camminava freneticamente davanti al caminetto del salone, fissando l'orologio e implorandolo con lo sguardo di muovere quelle maledette lancette, che sembravano andare al rallentatore.

I dubbi che giravano intorno ad Hermione Granger stavano lentamente ed inesorabilmente scavando dentro la sua pelle, ed era chiaro che l'unico modo per togliersela dalla testa era trovare delle risposte alle sue domande e chiudere la questione. 

Era sempre stato così, in fondo.
Non c'era nulla di strano in ciò che gli stava succedendo. Fin dai tempi di scuola, se qualcosa catturava il suo interesse - qualcunque cosa, da un libro della sezione proibita agli affari personali di qualche suo rivale di casa- Draco Malfoy arrivava fino in fondo, appagando la sua curosità, anche contro ogni legalità e moralità, e passando poi al suo interesse successivo. 

Ed era stato così fino a che non era giunta l'estate del suo quinto anno. Purtroppo, da quel momento in poi, nella sua mente era rimasto ben poco spazio per qualsiasi futile curiosità. 

Il fatto che adesso i suoi pensieri non facessero che tormentarlo con gli irrisolti misteri di Hermione Granger era un segno incoraggiante.
Forse stava finalmente guarendo, ed era solo una cosa positiva che la sua mente lo tormentasse pensando agli affari della grifondoro e non al suo turbolento passato, o al suo incerto futuro. 

Sí, stava decisamente guarendo.

Che questo fosse legato ad Hermione Granger era solo un po' spaventoso, ma aveva affrontato cose decisamente più terrificanti, perciò avrebbe potuto tollerare questa consapevolezza finchè fosse rimasta confinata tra le quattro ossa della sua scatola cranica. 

Alzando esasperatamente lo sguardo verso l'orologio per la decima volta negli ultimi trenta secondi, decise di ignorare quei cinque minuti di anticipo ed infilarsi nel caminetto. 

Conoscendo Hermione, e vedendo come l'aveva trovata tutte le volte in cui si erano incontrati, probabilmente in questo momento era accomodata sul suo divano, con un mucchio di scartoffie sul piccolo tavolino e la mente talmente assorta nel suo lavoro da sobbalzare non appena lui fosse apparso tra le fiamme. 

Era esattamente così che si aspettava di trovarla. 

Con grande sorpresa, tuttavia, dovette ricredersi. 

L'appartamento era immerso nella semi- oscurità, illuminato solo dalla luce argentea della luna piena che entrava dalle finestre aperte. Hermione non era seduta sul divano, nè sul tavolino o tutt'intorno c'era qualcosa che indicasse che si fosse solo momentaneamente alzata. Sembrava anzi che non fosse mai stata lì, non quel giorno. 

Era certo tuttavia che quello era il giorno e orario del loro appuntamento. Non poteva essersi sbagliato. 

Cosa poteva mai aver fatto tardare Hermione Granger? 

Era certo che il suo fosse un ritardo imprevisto.
Aveva certamente avuto un contrattempo, altrimenti avrebbe sicuramente bloccato il passaggio e a quest'ora lui si ritroverebbe nel camino del Manor con i vestiti cosparsi di metropolvere, e non da solo nell'appartamento della sua rivale di scuola.
Hermione Granger non poteva certamente essere il tipo di persona da concedersi una svista del genere. Non se il collegamento in questione portava dalla sua camera da letto -o quasi- al posto in cui era stata torturata e fatta prigioniera.

Tutta questa situazione era assurda.
In più iniziava a sentirsi stranamente nervoso, da solo, al buio, nell'appartamento di Hermione. 

No, pensandoci bene non c'era nulla di strano.
Era più che legittimo che si sentisse terrorizzato. 

Attese cinque estenuanti minuti con ogni muscolo teso e gli occhi fissi sul caminetto. 

Hermione avrebbe dovuto essere lì da un momento all'altro. Perché non arrivava?

Passarono altri cinque minuti ancora. 

Quando l'orologio scoccó le 21.05 si fece coraggio ed avanzò di un metro, sedendosi sul divano. 

Aveva tutto il dritto di farlo, si disse. 

Era stata lei a fissare ora e luogo del loro appuntamento, e lui era solo stato un gran gentiluomo a non tardare, squisitamente puntuale come al solito.

Perciò era solo colpa della grifona il fatto che lo avesse abbandonato dentro la propria casa.
Anche se avesse improvvisamente deciso di non vederlo, sarebbe stata sua premura e responsabilità chiudere il collegamento via metropolvere. 

Perciò se adesso si ritrovava qui, a frugare curiosamente tra la sua posta abbandonata sul davanzale, la colpa era solo di Hermione. 

Nulla di interessante, comunque, pensò, scrollando le diverse lettere di Ginny Weasley alle quali Hemrione non aveva apparentemye risposto. 

Strano, sí.
Ma non ciò che a lui interessava. 

Da ciò che ebbe modo di leggere, neanche la sua cara sorellina era a conoscenza della segreta relazione di lenticchia. 

Avrebbe pensato piú tardi a come, e se, questa informazione potesse in qualche modo tornargli utile.

Proprio quando era sul punto di mollare quella pila di smielati convenevoli su carta, una lettera ripiegata attirò la sua attenzione. 

Miss Granger, 

Le scrivo per comunicarle il mio immenso dispiacere per l'incidente che le é capitato e per scusarmi personalmente per averla coinvolta in un impresa così ambiziosa e, me ne rendo conto solo adesso, pericolosa. 

Mi rincuora la notizia del suo rapido ricovero, ma la esorto a passare dal mio studio per ulteriori e più approfonditi accertamenti riguardo le sue condizioni, e per discutere, se vorrà, dello stato dei suoi genitori. 

Con affetto. 

Dr. Richard Friedrich

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Capitolo 10
*** 10. Silenzio ***


Quando la fiamma del caminetto si accese all'improvviso, Draco ringraziò mentalmente tutti gli dei nel cielo, i quattro fondatori di Hogwarts e persino l'inventore del quidditch per i suoi abili riflessi da cercatore, che gli consentirono di mettere da parte le lettere sulle quali stava curiosando e di assumere una posa assorta ed annoiata, che ricordava quella di sua madre alla coppa del mondo.

Le sue barriere mentali furono di nuovo su, calmando all'istante i battiti accelerati del suo cuore e impedendo alla sua mente di divagare sui possibili e vari significati che quella strana lettera dal San Mungo potesse avere, pur con la consapevolezza che ci avrebbe rimurginato sopra non appena i suoi piedi fossero atterrati sulle ceneri del camino del Manor.

"M-malfoy" balbettò Hermione, guardandolo stupita ed accendendo le luci con un movimento della sua bacchetta. "Sei qui da molto? M-mi dispiace. Non mi sono resa conto che fosse così tardi".

Draco la squadrò dalla testa ai piedi, notando che c'era qualcosa di diverso in lei. Non era solo il fatto che Hermione Granger, dea della precisione e della puntualità, si fosse presentata in ritardo ad un appuntamento segreto dentro la sua stessa casa. Era il suo aspetto ad essere - leggermente - diverso.

A chiunque altro il piccolo dettaglio della sua camicetta appena un bottone più aperta sarebbe sfuggito, come anche il fatto che oggi avesse misteriosamente deciso di non indossare uno dei suoi soliti orrendi e lunghi cardigan, abbinando invece la sua gonna sopra il ginocchio ad un elegante giacca, il tutto condito con uno spruzzo in più di profumo, che aveva fatto arrivare quell'odore intossicante fin dentro le sue narici dal momento in cui le fiamme del caminetto si erano accese.

A chinque altro questi dettagli sarebbero sfuggiti: ma non a lui, non a Draco Malfoy. Lui, dopotutto, era sempre stata una persona molto attenta ai dettagli. Sempre ad accorgersi delle piccole cose, da buon e scaltro serpeverde qual'era.

Le sue guance erano insolitamente tinte di una leggera sfumatura di rosa, e per un secondo pensò che fosse trucco, prima, tuttavia, di incontrare i suoi occhi marroni e scorgere una piccola scintilla dietro le sue pupille insolitamente dilatate.

Non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva neanche con una bacchetta puntata alla tempia, ma quest'aria le si addiceva decisamente di più rispetto all'espressione triste e agli occhi semi-lucidi con i quali l'aveva sempre vista ultimamente. Si chiese tuttavia cosa fosse improvvisamente capitato per renderla così felice.

Weasley, forse?

Sicuramente non poteva aver saputo della sua relazione con Astoria, ammesso che stessero ancora insieme (o che lo fossero mai stati).

Beh, non era questo il momento di pensarci, si ricordò, inspirando profondamente e reindirizzando i propri pensieri verso l'aria che entrava e usciva dalle sue narici.

"Da oltre dieci minuti" rispose alla sua domanda, notando che l'orologio segnava le nove e dieci e decidendo di omettere i suoi cinque minuti di anticipo.

"Oh" Hermione girò intorno al divano, sedendosi al suo solito posto e invitando Draco a fare lo stesso. "Beh, grazie per-" espirò "per aver aspettato".

Draco sollevò le sopracciglia. Perchè diavolo sembrava aver il fiatone? Era arrivata qui via metropolvere, non a cavallo di un Theestral.
La scrutò per qualche momento: "spero non diventi un'abitudine, farmi aspettare".
Hermione spalancò la bocca, ma prima che potesse dire qualcosa, lui continuò:
"- voglio dire, se hai altro da fare avvisami e basta" proseguí, guardandosi le unghie con aria indifferente.

Hermione inspirò, e Draco si rese conto che il rossore si estese lungo le sue guance per la rabbia.

"É successo una volta sola, Malfoy. Posso assicurarti che non si verificherà di nuovo. E ci terrei a ricordarti che sono stati solo dieci miseri minuti".

Continuò a fissarlo con sguardo assassino finché i suoi occhi grigi non si sollevarono dalle sue unghie e si piantarono sul suo volto.

"Spero siano stati minuti produttivi almeno per uno di noi due, Granger".

Draco credeva di aver ottenuto ciò che voleva quando vide quel vago rossore sulle sue guance estendersi e le sue pupille dilatarsi. Bene, l'aveva fatta arrabbiare. Sperava che reagisse, che urlasse, o persino che lo schiantasse sulla parete o gli desse uno schiaffo. Eppure, proprio quando sembrava sul punto di agire, un sospirò lasciò le sue labbra. Le sue spalle si abbassarono e le sue braccia ricaddero penzoloni lungo i suoi fianchi.

"Stiamo solo perdendo tempo" disse, abbassando lo sguardo. "Vogliamo cominciare?"

Draco notò il sorrisetto che le curvò appena gli angoli della bocca per una frazione di secondo, ed il rossore che si spostò dalle sue tempie, probabilmente dovuto al nervosismo che le stava causando, alle guance. Aveva voluto provocarla, ottenere una reazione da parte sua... eppure, evidentemente, Hermione Granger aveva altro per la testa al momento. Non vedeva l'ora di scoprire di cosa si trattasse.

"Si, ottima idea" replicò, tirando fuori la sua bacchetta. Stava per scoprire cosa l'aveva messa così di buon'umore, rendondola immune alle sue provocazioni e fancendole quasi dimenticare del loro appuntamento.

Si sentiva furioso, ma era logico che lo fosse. Dopotutto il suo tempo era prezioso, e di certo non è mai stato il tipo di uomo che ama aspettare. Non in situazioni di lavoro, almeno, come questa poteva essere descritta. Era totalmente logico e ragionevole che si sentisse così.

Entrò con forza nella mente di Hermione, con meno preavviso e più brutalità del solito. Se voleva avere una possibilità di impicciarsi realmente nei suoi affari, avrebbe dovuto impegnarsi sul serio questa volta. Hermione stava migliorando in maniera esageratamente rapida, e dopotutto avrebbe dovuto aspettarselo.

Salazar, Severus sarebbe stato fiero di lei.

Per un momento gli parve di sentire la sua stessa voce, come un eco nelle sue orecchie, mentre immagini su immagini si succedevano rapidamente ed Hermione si oppeneva a lui.

Spinse con più forza, ignorando ciò che aveva appena sentito e pensando che, probabilmente, fosse solo una conseguenza del suo eccessivo sforzo.

Forse Theo ha ragione, questa cosa mi sta friggendo il cervello.

Udì la sua stessa voce di nuovo, ignorandola e decidendo di smetterla di distrarsi.

Con uno sforzo che gli sarebbe probabilmente costato dodici ore consecutive di sonno, riuscì finalmente ad approdare nel ricordo più recente della grifona, cogliendola apparentemente di sorpresa visto il modo in cui la udì sussultare.

Inspirò profondamente mentre l'immagine si metteva a fuoco dinanzi ai suoi occhi, osservando l'elegante e lussuoso salone in cui era atterrato.

"Hermione" affermò una voce odiosamente profonda con uno strano accento italiano.

"Sei bellissima".

Alzò gli occhi al cielo, voltandosi nauseato verso un tipo dall'aria vagamente familiare.
I suoi occhi saettarono tra la figura di questo tizio, che apparentemente si chiama David, ed Hermione, le cui guance erano di un rosso che avrebbe fatto invidia ai capelli del suo ex.

Hermione provò a spingerlo fuori da quel ricordo, ma, con uno sforzo non indifferente, lui vi si aggrappò, rimanendovi ancorato.

Riuscí ad opporsi abbastanza da capire che stavano parlando di lui. O meglio, non proprio di lui, bensì del suo caso, del caso di suo padre.

"... quello che ha fatto a te, a quelli come te"

Su questo punto Hermione insisté con più forza per spingerlo via e per poco non ci riuscì.

"Ora o mai più"

"Dai, chiediglielo"

Draco affannò. Si sentiva stremato, tanto dallo sforzo con il quale si stava opponendo ad Hermione, tanto dalle mille cose alle quali avrebbe voluto pensare che iniziavano a far breccia nelle barriere della sua mente esausta.

"Cena...Sabato sera"

Fu l'ultima cosa che riuscì a sentire, mentre Hermione aveva la meglio su di lui.

Quando riaprì gli occhi, notò che la ragazza aveva lo sguardo puntato verso il basso, il respiro pesante - ma non tanto quanto il suo- e le pupille dilatate.

"Wow" esclamò Hermione tra un respiro e l'altro. "Questo è stato-" si bloccò, scuotendo la testa. "Credo di star migliorando, è pazzesco"

"Chi era quello?"

Hermione aggrottò le sopracciglia, fissandolo con aria confusa. "Un- emh-"

Draco non mancò di notare il suo nervosismo, o il modo in cui le sue dita si rigiravano nervosamente intorno alla manica della sua giacca.

"Un amico" concluse la grifona.

"Ah, e ci sono altri amici a cui hai parlato dei fatti miei di cui dovrei essere a conoscenza?" disse, prima che la parte razionale della sua mente, che di solito manteneva il controllo sulla sua bocca, potesse fermarlo.

L'espressione di Hermione fu talmente sorpresa ed indignata che non fece altro che fomentare ulteriormente quella parte irrazionale di sè.

"Perchè se non ricordo male, questo era un accordo segreto" disse, preparando la propria faccia alla serietà necessaria per la bugia che stava per raccontare: "ed io non ho detto a nessuno della tua parte in questo accordo".

"É un avvocato" si alzò di scatto Hermione, fulminandolo con lo sguardo.

"Credevo fosse un tuo amico" la provocò ancora, non vacillando davanti ai suoi occhi scuri, che minacciavano di risucchiarlo al loro interno come due buchi neri.

"Si, anche. Ed è il migliore avvocato che tu possa trovare Malfoy, te lo assicuro".

"Se me ne avessi parlato, avrei provveduto io a trovarne uno, non credi? La mia famiglia conosce esperti di legge magica da ogni parte del mondo" si alzò anche lui, ristabilendo l'equilibro e riprendendo a fissare il volto di Hermione dall'angolo che maggiormente preferiva, ovvero quello del suo metro e ottanta.

"Oh, e come ti sono stati d'aiuto fino ad ora?". Hermione non sembrava per nulla intimida dal fatto che lui si fosse alzato in piedi e la stesse fissando dall'alto in basso. "Hai chiesto il mio aiuto, perciò devi lasciarmi fare le cose a modo mio".

Draco strinse le labbra in una linea sottile, mordendosi la lingua. Non aveva intenzione di andarsene senza vincere la discussione. Una parte di sè sapeva che ciò che stava facendo era stupido ed inutilmente rischioso, ma per qualche assurdo ed incomprensibile motivo non era più completamente in controllo delle proprie azioni.

"Spero sia come dici tu, Granger. Non vorrei che il tuo giudizio fosse annebbiato da qualcos'altro-"

"Come, scusa?"

Si mise le mani in tasca, limitandosi a fare spallucce e a far saettare indifferentemente lo sguardo per il salotto. Il sacchetto di metropolvere era accanto al caminetto, forse sarebbe stato veloce abbastanza da afferrarlo e filarsela prima che Hermione lo schiantasse sull'edificio di fronte. "Credo sia poco professionale che il tuo nuovo ragazz-"

Hermione quasi urlò, impedendogli di continuare, eppure non riuscì ad impedire alle sue guance di tingersi di rosa. "David non è il mio ragazzo".

Draco le rivolse il miglior sorriso di cui era capace.

***

Vedendolo così, con le mani in tasca e quell'espressione in viso, Hermione pensò di non essere più nel suo appartamento, ma nei corridoi di Hogwarts, in un periodo della sua vita in cui il suo unico problema erano i battibecchi con un odioso compagno di scuola.
Per un momento provò quasi nostalgia di quei giorni, ma la sensazione svanì in fretta.

Scosse la testa, approfittando dell'insolito silenzio di Draco per mettere fine a qualsiasi litigata che non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose.

Aveva preso una decisione, ed era convinta della decisione che aveva preso: credeva che Lucius fosse innocente e voleva aiutarlo, principalmente per due motivi: il primo era che fosse la cosa giusta da fare, naturalmente. Nessuno dovrebbe pagare per un crimine che non ha commesso, nemmeno qualcuno spregevole come Lucius Malfoy.
Il secondo motivo, tuttavia, era meno nobile: voleva creare scompiglio al ministero.

Il modo in cui ogni sua proposta, idea e duro lavoro erano stati perennemente ignorati da qualsiasi membro del consiglio le aveva fatto venire voglia di confrontarli tutti, publicamente e pesantemente, con qualcosa che non avrebbero potuto ignorare.

"Per oggi abbiamo finito" disse, evitando lo sguardo del ragazzo e tenendo gli occhi puntati verso le proprie scarpe.

Trascorse qualche secondo di silenzio, finchè i piedi di Draco finalmente non presero a muoversi in direzione del caminetto. Sembrava quasi che esitasse, notò, come se non volesse andarsene. A qualcunque gioco stesse giocando, Hermione giurò a sè stessa che non avrebbe permesso a Draco Malfoy di mettersi tra lei e questa nuova missione.

***

La gabbia nella quale erano rinchiusi i suoi pensieri era sul punto di esplodere mentre si avviava con riluttanza al caminetto.

Perchè Hermione sembrava agire in modo così strano? Un momento sembrava lei, l'Hermione che conosceva, quella a cui era abituato e che rispondeva alle sue frecciatine. In altre occasioni, tuttavia, sembrava una persona completamente diversa.

Come aveva conosciuto questo David e perchè si fidava così ciecamente di lui? E perchè lui stesso avrebbe dovuto fidarsi di questo tizio? dopotutto non lo conosceva affatto.

Il suo occhio cadde di nuovo sul tavolino, dove la strana lettera che aveva letto giaceva in cima a tutte le altre. Esattamente dove non doveva trovarsi.

Dannazione, pensò.

Prima che se ne accorgesse anche Hermione, si infilò nel caminetto, sperando che quando avrebbe notato la lettera fuori posto, sarebbe stato fisicamente lontano da lei. Inimicarsi Hermione Granger, purtroppo, era un lusso che non poteva permettersi: veva già rischiato abbastanza con le sue continue provocazioni questa sera. Era una fortuna che lei non avesse abboccato, decidendo invece di ignorarlo.

Eppure, adesso, non riusciva a smettere di desiderare che invece avesse reagito.

***

Mentre si preparava per quello che non era - nel modo più assoluto- un vero appuntamento con il suo avvocato, Hermione inviò un messaggio a Ginny con il suo cellulare. La rossa continuava a inviarle le sue risposte via gufo, ma Hermione non aveva intenzione di mollare la sua battaglia affinchè almeno uno dei suoi amici imparasse ad usare la tecnologia babbana. Era decisamente più comodo e veloce comunicare via sms.

Si vestì dopo una serie di inutili cambi, indecisa su quale fosse l'outfit che meno di tutti gridasse sto uscendo a cena con il mio avvocato.

Non era un appuntamento, era solo una semplice uscita con un amico. Più o meno. Un po' come le sue uscite con Dean e Seamus, o con Harry e Ginny. Non era una cattiva idea allargare la sua cerchia di amici, e lei e David avevano più cose in comune di quante riuscisse ad elencarne.
Conversare con lui era semplice ed interessante, perciò non c'era alcun motivo che giustificasse il suo sentirsi così nervosa. Sarebbe stata una piacevole serata, senza dubbio.

Alzandosi dal tavolo e abbandonando qualsiasi lavoro per la serata, decise che tanto valeva approfittare del tempo in più per cercare di domare in qualche modo la sua chioma. L'umidità all'esterno lasciava presumere che non sarebbe stato un lavoro facile, perciò avrebbe sicuramente potuto approfittare di qualche incantesimo extra.

Proprio mentre si alzava dal tavolo la piccola civetta rossa di Ginny bussò alla sua finestra.

Sorridendo, srotolò la pergamena, leggendo il messaggio della sua amica e rispondendo, per l'ennesima volta, con il suo telefono. Avviandosi verso il bagno con la pergamena ancora tra le dita, qualcosa catturó la sua attenzione sul piccolo tavolino accanto al divano. Si avvicinò, cercando di capire cosa ci fosse di diverso.
Quando fu abbastanza vicina affinché i suoi occhi riuscissero a mettere a fuoco, si rese conto che in cima alla pila di lettere di Ginny ve ne era una che aveva volontariamente ignorato e seppellito.

Dr. Richard Friedrich

Afferrò la lettera per un momento, fissando quelle parole che ormai conosceva a memoria.

Ricordava più che bene di aver seppellito la lettera in fondo alla montagna di posta scambiata con la rossa.

Come era riemersa?

***

"Beh, perchè invece non usciamo?"

Quando aveva pronunciato, in maniera totalmente casuale e con assoluta nonchalance, quelle semplici parole, Draco aveva in realtà commesso un grosso errore. Non uno dei più gravi della sua vita, ci mancherebbe. Nè tantomento uno dei più gravi dell'ultimo periodo.

Tuttavia, questo poteva essere senza dubbio annoverato tra i peggiori della settimana.

Forse anche del mese, pensò, quando, una volta entrati nel locale dove per purissima coincidenza Hermione e quel tizio stavano appassionatamente chiaccherando - probabilmente dei fatti suoi- Theo iniziò a fissarlo come uno snaso guarderebbe una pentola piena d'oro.

Nott, con la stessa grazia di un ippogrifo, si fece addirittura andare del wiskey incendiaro di traverso quando lui, per tenere d'occhio Hermione, aveva quasi rischiato di scivolare dalla sua sedia. Ma cosa diavolo aveva Theo da ridere?
Forse aveva sbagliato a raccontargli di Hermione. Evidentemente vivere da solo gli stava facendo male ed iniziava a perdere il senso della realtà. Come poteva Theo non capire l'importanza che lui tenesse sotto controllo Hermione e quel tizio? Era ovvio che avrebbe dovuto farlo. Non si fidava affatto di lui, era un perfetto estraneo a conoscenza dei fatti suoi.
Non era importante quanto o meno fosse amico di Hermione, - e a giudicare dal modo in cui suoi occhi scivolavano con fin troppa facilità sulla scollatura della grifona, non ci avrebbe giurato troppo- lui non si fidava. Per questo motivo doveva tenerli sotto controllo.
E proprio per questo motivo adesso si trovavano a bere in questo stupido locale e non al Manor, dove bottiglie di Wishkey decisamente migliore di questo lo attendevano.

"Ma si può sapere cosa vi prende?"

La voce di Pansy fu come un secchio d'acqua fredda fredda nel bel mezzo di un sonno profondo: spiacevole ma efficace. Draco fu immediatamente riportato alla realtà, distogliendo lo sguardo dalla folta chioma di Hermione, chiaramente visibile anche in lontananza e nella semi-oscurità del posto, e rivolgendolo verso i due ragazzi seduti di fronte a lui.

Poi, per un momento, il tempo sembrò fermarsi. I suoi occhi assistettero inerti mentre quelli della ragazza che aveva conosciuto fin da quando era bambino si fissavano rapidamente su Hermione, poi su quel David, poi di nuovo su Hermione.

Il tutto mentre quei due, ovviamente, continuavano la loro animata conversazione scolandosi le loro birre. Doveva riconoscere alla Granger che, per essere una che arriva a stento al metro e sessanta capelli inclusi, beveva parecchio.

"Granger è qui con..." Le parole si bloccarono nella gola della serpeverde, mentre la sua bocca restò parzialmente aperta.

"Lo conosci?" chiese immediamente Draco, riprendendosi dal suo iniziale stupore.

"Io..." Pansy scosse la testa, ed in men che non si dica la sua fredda maschera di indifferenza fu di nuovo al suo posto. "Più o meno" arricciò le labbra.

"Che ne pensi? Che tipo è? Ha una casa elegante ma.... A quale famiglia appartiene?" domandò il biondo.

Il resto, purtroppo, a differenza di ciò che era accaduto solo pochi minuti prima, accadde fin troppo in fretta.

Theo, apparentemente incapace di funzionare come un normale essere umano, e probabilmente sotto l'effetto di chissa che tipo di erba elfica, scoppiò in una fragorosa risata. Il che non sarebbe stato affatto strano, se solo non avesse avuto in bocca l'equivalente di quello che -secondo Draco- erano almeno 200ml di whiskey incendiario, che si riversarono sulla sua elegante camicia senza pietà.

Ignorando completamente il fatto di averlo impregnato di alcool come il peggior vagabondo di Knocturn Alley, Theo proseguì con il suo show, sbattendo violentemente il palmo della sua mano contro il piccolo tavolino e facendo rimbalzare tutta l'argenteria. Il suono dei loro cucchiani da dolce che ricadevano ben poco delicatamente sui piattini di ceramica, ovviamente, non fece altro che attirare l'attenzione di tutti i presenti sul loro tavolo.

E così i suoi occhi, proprio mentre si trovava con la camicia impregnata di liquido ambrato e più vergogna addosso di quanta ne avesse mai provata in vita sua, incontrarono quelli di Hermione.

E, in quel momento, potè osservare pienamente il suo aspetto.

Portava i capelli sciolti, e questo lo aveva notato. Ciò che tuttavia non aveva notato era il modo in cui i suoi ricci oggi apparivano leggermente più definiti del solito, incorniciandole il viso e ricadendo delicatamente sulle sue spalle scoperte. I suoi occhi seguirono la linea della sua scollatura: niente di eclatante, ma decisamente più profonda di qualsiasi altra cosa le avesse mai visto indossare.

Non aveva mai visto così tanta della sua pelle prima d'ora. E perchè questa cosa improvvisamente gli sembrava importante?

Era totalmente logico che non l'avesse vista, ovviamente. Perchè avrebbe dovuto mai vedere la pelle di Hermione Granger?
La sua pelle era qualcosa di totalmente ed assolutmente irrilevante ai fini del suo piano, eppure adesso, per qualche strano ed assurdo motivo, non riusciva a distogliere lo sguardo da essa.


La serata, dopotutto, stava andando alla grande.

Hermione aveva fatto il possibile per sfruttare l'occlumanzia ed evitare di invadere la privacy di David, evitando allo stesso tempo di essere sommersa dai pensieri confusionari del resto dei clienti del locale.

Doveva ammettere che, finalmente, stava funzionando. Era stancante, ma funzionava.

Nonostante le risate, l'ottima burrobirra e l'essersi persa in una più che stimolante ed appassionante discussione su tutto ciò che rigurdasse le creature magiche, Hermione tuttavia iniziava a sentirsi stremata. L'occlumanzia era efficace, ma tenere su certe barriere mentali costantemente era uno sforzo estenuate. Come ci riusciva Malfoy?

Improvvisamente, un grosso frastuono che sembrava provenire da un angolo del locale alle sue spalle fece voltare le teste di tutti i clienti. Hermione seguì lo sguardo sconvolto dei loro vicini di tavolo, voltandosi verso la fonte di quel rumore.

Ogni rumore si estinse nella sua testa mentre i suoi occhi incrociavano le iridii argentee di Draco Malfoy. C'era silenzio adesso, ma senza sforzo, senza fatica.
Si sentiva come quelle volte in cui, al mare da bambina, scendeva sott'acqua e nulla la raggiungeva più. C'era solo lei e quel silenzio, una bolla dove nulla di ciò che succedeva all'esterno poteva disturbarla.

Dopo brevissimi secondi che parvero un eternità, la bolla scoppiò.

Riemerse dall'acqua, mentre i suoi polmoni si riempivano nuovamente di aria come dopo un'apnea e rumori di ogni tipo e natura invadevano le sue orecchie, riechieggiando contro le pareti della sua scatola cranica. Un terribile mal di testa iniziò a martellare contro le sue tempie.

Le ci volle un po' rendersi conto di cosa era successo: Draco aveva distolto lo sguardo.

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Capitolo 11
*** 11. I know what you are ***


Proprio mentre si crogiolava nell'umilazione per il ricordo, ben impresso nella sua mente, di ciò che era successo l'altra sera al ristorante, la civetta di Hermione bussò alla sua finestra. 

Corse ad afferrare il messaggio: lo avvisava che aveva fatto progressi per quanto riguardava la causa di suo padre e aveva delle buone notizie da annunciargli, e che il loro prossimo incontro sarebbe probabilmente stato l'ultimo. 

Quella notizia non lo fece sentire felice come avrebbe dovuto, stranamente.

Hermione era stata brillante: era migliorata notevolmente con l'occlumanzia. E lui stava per ottenere la sua ricompensa per la sua parte nel loro accordo. Tutto secondo i piani, se non meglio. Aveva persino accelerato ed anticipato quelle che erano le sue iniziali aspettative.

Il vero problema tuttavia, cìò che non gli permetteva di godersi a pieno quella che era stata la sua prima vittoria in oltre un anno di sconfitte e umiliazioni, era il fatto che non fosse riuscito a placare i dubbi che lo tormentavano su di lei. Anzi, questi non avevano fatto altro che aumentare sempre di più.

 Più tempo trascorreva con lei, più il mistero che sembrava girarle intorno si infittiva, e per qualche assurdo motivo la sua mente non voleva darsi pace e lasciarla perdere. Passare del tempo con Hermione aveva risvegliato la sua mente assopita, aveva riacceso quel qualcosa dentro di lui che credeva di aver perso nel momento in cui quell'orribile marchio era stato impresso sul suo avambraccio. 

 Non aveva intenzione di lasciar perdere i dubbi che la circondavano. Non sarebbe stato in grado di farlo neanche se avesse voluto, ma aveva ormai raggiunto il punto in cui aveva dovuto ammettere a sè stesso che non lo voleva. Pensare a lei era l'unica cosa che riusciva a liberarlo dei suoi incubi, persino laddove l'occlumanzia aveva fallito. 

Si coricò sul letto, stringendo tra le mani la lettera della grifona mentre l'idea che aveva formulato solo l'altro giorno si faceva nuovamente strada tra le sue barriere mentali come un tarlo nel legno. Il mistero della strana lettera dal San Mungo aveva creato una breccia nelle sue difese, e lui decise di abbandonarsi al proprio flusso di pensieri, lasciando che lo trasportassero. 

Non aveva più paura di lasciarsi andare, si rese conto. Non doveva più temere di restare solo con sè stesso. Non sarebbe stato il volto di Voldemort a manifestarsi dietro le sue palpebre non appena avesse chiuso gli occhi: l'espressione imbronciata di Hermione Granger aveva preso il suo posto.

Lasciò che i suoi dubbi guidassero il suo flusso di coscienza.

Cosa centravano i genitori di Hermione? 

Si ricordò vagamente di averli visti una volta, molti anni fa, al ghirigoro prima dell'inizio dell'anno scolastico. Sapeva anche che i mangiamorte erano andati a cercarli durante la guerra, ma avevano trovato la casa vuota. Aveva tirato un enorme sospiro di sollievo quel giorno, realizzando quanto realmente folle fosse ciò che Voldemort, suo padre, e lui stesso, stavano facendo. 
Da ciò che aveva letto, apparentemente erano al San Mungo. Era assurdo: cosa ci facevano dei babbani al San Mungo? I mangiamorte erano forse riusciti a trovarli? non ricordava fosse successo. Forse li avevano catturati e torturati fino a farli impazzire? 

Il suo stomaco si attorcigliò su sè stesso al pensiero.

Abbandonando ogni falsa promessa di smetterla di pensare ad Hermione, decise di assecondare quei sentimenti che tormentavano il suo stomaco e fare delle ricerche sull'uomo della lettera, il dr. Richard Friedrich.

***

Solo qualche giorno più tardi, e dopo diverse notte insonni, Draco conosceva tutto di quell'uomo. A quanto pare era uno specialista di incantesimi di memoria, il chè lo aveva portato a scervellarsi sulle diverse spiegazioni che potevano collegarlo ad Hermione ed ai suoi genitori babbani. 
Se avesse avuto questa curiosità non molto tempo fa, sarebbe bastato il suo nome o qualche galeone della sua camera blindata per avere accesso a tutte le cartelle cliniche che avesse voluto.
Ma ovviamente non era più così che funzionavano le cose, e -molto in fondo- una parte di sè sapeva ne era persino grata.

Forse anche questa improvviso senso di giustizia era un effetto collaterale delle lezioni di occlumanzia con Hermione. Entrare nella testa della grifona gli stava fottendo il cervello più di quanto avesse mai potuto immaginare.

Imprecò quando Theo apparve tra le fiamme del caminetto della sua camera da letto, rimproverandolo per non essersi fatto vedere per più sere consecutive.
Mise immediatamente da parte il libro che stava leggendo: un manuale di magimedicina aperto capitolo riguardante l'incantesimo obliviante.

Il ragazzo avanzò verso il letto, senza aver apperentemente notato il libro che Draco aveva richiuso di colpo, nascondendolo grossolanamente sotto il cuscino. Con in faccia quel sorrisetto capace di far schizzare alle stelle il nervosismo del biondo, Theo si gettò poco graziosamente sul grosso letto a baldacchino. 

"Non importa cosa sei così intenzionato a nascondermi" sorrise. "Sono certo che prima poi lo scoprirò, ed è molto più divertente se mi lasci un po' nell'ombra con giusto qualche indizio ogni tanto, grazie amico". 

Draco alzó gli occhi al cielo, mordendosi l'interno della guancia.

"Tuttavia" proseguì Theo "Pansy sarà decisamente più insistente, perciò ti consiglio di trovare un nascondiglio migliore prima che appaia da quel caminetto".

Draco si raddrizzò improvvisamente, urtando la testa contro la testiera in legno. 

"Credo tu abbia circa dieci secondi" replicò pigramente Theo, fissando il soffitto con aria divertita.

Senza dire una parola, Draco afferrò rapidamente il libro da sotto il cuscino, insieme ad una pila di scartoffie sul suo comodino, e si diresse verso il suo armadio. 

"Sette, sei". 

La pila di fogli cadde per terra, e Draco imprecò a denti stretti. 

"Quattro"

Raccolse con una mano i fogli dal pavimento, mentre con l'altra spalancava la porta del suo armadio. 

"Tre, due-"

La fiamma del caminetto si accese, rivelando la presenza di Pansy.  Il suo outfit appariva meno curato del solito oggi.

"Posso sapere cosa cavolo ci fate qui?" chiese con fiato pesante sotto lo sguardo divertito di Theo.

Pansy lo ignorò, andando a sdraiarsi accanto al suo amico sul grande letto.  I due sospirarono, ignorando completamente l'attuale proprietario del letto sul quale giacevano, che li fissava in piedi davanti all'armadio.

"Scusate?" richiamò di nuovo la loro attenzione Draco. "Cosa ci fate qui?"

"Sono tre giorni che ci dai buca" replicò Theo. "Volevamo sapere che fine avessi fatto".

Il biondo scrollò le spalle. "Ho avuto da fare".

"E cosa per l'esattezza, a parte impicciarti degli affari di Hermione Granger?" 

Draco lo fulminò con lo sguardo, e il sorriso sul volto di Theo si allargò ancora di più. Pansy d'altro canto cambiò completamente espressione al sentir nominare la Granger, e questo accese il suo interesse. Si avvicinò, sedendosi sulla poltrona accanto al letto.
Negare il suo interesse non aveva senso, tanto valeva recitare una farsa e cercare di capire cosa turbasse Pansy così tanto.

Sollevò le sopracciglia con aria annoiata, assumendo una posa disinvolta e rivolgendosi a Pansy. "Beh, almeno io non divoro pagine e pagine di Witch weekly sulla sua vita privata".

Pansy alzò gli occhi al cielo, ma qualcosa di ben diverso dall'indignazione attraversò le sue pupille. Parlò più lentamente del solito, "sono semplicemente sorpresa dal fatto che lei e Weasley non abbiano ancora sfornato un'intera squadra di quidditch di pel di carota". 

Draco rabbrividì appena all'immagine che le parole della ragazza evocarono nella sua mente. "Sembra che entrambi si stiano dando da fare per conto proprio, comunque" disse, sperando di non sembrare una zitella pettegola ma di incitare Pansy a riprendere a parlare di quel David.
Ricordava bene l'espressione sorpresa che aveva assunto quando lo aveva visto al ristorante con Hermione...

"Si.. beh" esitò la ragazza, mentre Draco fremeva per l'impazienza. 

Salazar, era ridotto male

"Ah, sbaglio o hai detto di conoscerlo?" continuó.

Theo emise un verso simile ad una specie di grugnito, ma si sforzó di ignorarlo.

"Piú o meno" disse Pansy guardando altrove.

"Molto piú e poco meno" ridacchiò Nott, e le teste di entrambi ruotarono rapidamente verso di lui. Theo alzò le mani: "scusate, è che siete troppo divertenti".

"Cosa ci sarebbe di così divertente?"sbuffó Pansy.

"Beh" Theo si mise comodo contro la testiera del letto. "Che la Granger possa avere una vaga frequentazione con quel tizio vi ha evidentemente turbati entrambi. Dio, avreste dovuto vedere le vostre facce" sorrise. "Adesso, non voglio presumere di conoscere appieno quale sia il vostro orientamento sessuale, ma..."

Si rivolse verso Draco. "Scommetto la cantina di mio padre ed il mio ultimo elfo domestico che nel tuo caso si tratta della Granger. Quella ragazza ti tiene in pu-" si interruppe, non finendo la frase quando Draco lo fissò con lo sguardo di chi è capace di lanciare un Aveda Kedavra non verbale.
Dopodichè si rivolse a Pansy, che appariva talmente turbata da essersi persino dimenticata della solita espressione disgustata che si costringeva ad assumere ogni volta che Hermione veniva accidentalmente nominata. "E tu, beh... Ad occhio e croce scommetterei che il tuo interesse sia diretto verso quel tipo a cena con la Granger. Tuttavia, devo ammettere che l'idea di Pansy Parkinson ed Hermione Granger insieme... "

Pansy e Draco lo fissarono dapprima con aria confusa, poi inorridita.

Theo sembrava più divertito che mai, mentre Draco si appigliava a tutta l'occlumanzia che Severus gli aveva insegnato per impedire che quell'immagine si formasse nella sua mente- almeno per il momento. 
L'ultima cosa di cui aveva bisogno era un altra immagine compremettente che riguardasse Hermione.

"A proposito di divertimento, inizia a mancarmi anche Blaise" continuò Theo, rivolgendosi a Pansy. "Qualcuno sa dirmi dove si è cacciato?"

Draco fece spallucce, completamente disinteressato ai mille affari, e finti misteri, dei quali il loro amico amava circondarsi. "Non sono neanche sicuro che sia ancora a Londra".

"No, dovrebbe essere qui" continuò Pansy, sollevata che si fosse cambiato argomento della conversazione. "Ha detto di dover lavorare a qualcosa di grosso, qualcosa riguardo alla creazione di un torneo europeo di quidditch o una roba del genere".

La parola quidditch accese decisamente l'entusiasmo dei due ragazzi. "Cosa?" esclamò Theo. "E da quando? credevo si occupasse di finanza, banca e tutte quelle cose noiose".

"Sai com'è Blaise-"

"No, in realtà no".

"Beh, non sta a me spiegartelo".

"Non spiegarmelo, allora" replicò Theo, risistemandosi comodo sul letto. Un sorriso curvó gli angoli della sua bocca mentre fissava il soffitto.  "Sarà molto più divertente scoprirlo da solo".

***

Era l'ultima sera in cui sarebbero incontrati, in cui avrebbe avuto l' opportunità di scivolare nella sua mente contorta, della quale capiva sempre meno giorno dopo giorno. Anzichè sentire il giusto senso di leggerezza, Draco sentiva invece che era successo tutto troppo in fretta. 

La verità era che stava bene. Per la prima volta dopo mesi, questi semplici incontri con Hermione Granger erano riusciti a dare un senso alle sue giornate vuote, a riempire il suo tempo di qualcosa che non fossero litri di alcool, incubi e frustrazione.

Probabilmente il processo di suo padre, ammesso che Hermione fosse riuscita ad ottenere che venisse rifissato, gli avrebbe portato via del tempo, eppure sapeva che non sarebbe stata la stessa cosa. Era dura da ammettere a sè stesso, ma lo fece: non voleva che Hermione Granger uscisse dalla sua routine. 

Forse avrebbe potuto continuare a vederla, si disse. Magari di tanto in tanto avrebbe potuto fissare un incontro con lei per verificare come procedeva con l'occlumanzia. Oppure avrebbero potuto vedersi per chiaccherare davanti ad un bicchiere di burrobirra, che a lei sembrava piacere così tanto. 

Scattó in piedi di colpo, mentre le lancette dell'orologio si avvicinavano alle ore 21.

Ma cosa diavolo stava pensando? Era totalmente ridicolo. Lui ed Hermione Granger a chiaccherare davanti ad una burrobirra come due vecchi amici... Di tutti gli assurdi pensieri che aveva formulato di recente, questo si meritava a mani basse il primo posto.

Si infilò nel caminetto, mentre una strana sensazione, che nulla centrava con le fiamme che lo teletrasportavano nel salotto della grifona, appesantiva il suo stomaco. 

Non appena l'appartamento si materializzò davanti a lui, i suoi occhi incrociarono quelli di Hermione e per un momento si sentì teletrasportato in un altro posto.  La sensazione tuttavia fu breve: Hermione distolse immediatamente lo sguardo, strofinandosi le mani sui pantaloni scuri con aria apparentemente imbarazzata.
L'espressione perplessa che apparve sul suo volto della grifona gli fece quasi temere che gli avesse letto nel pensiero: quello che c'era all'interno della sua testa, ultimamente, non era qualcosa di cui andava molto fiero.

Questo riportó il fiume dei suoi pensieri all'idea di qualche sera fa, al fatto che forse le interessava l'occlumanzia poichè aveva abusato della legilimanzia in passato.
Un'altra delle sue mille domande su di lei che sarebbero rimaste senza risposta, dal momento che non l'avrebbe più rivista. Non così almeno. Nella migliore delle ipotesi l'avrebbe incontrata in lontananza per le strade di Diagon Alley o, ancora peggio, l'avrebbe intravista in qualche ristorante mano nella mano con quel tizio dall'accento fastidiosamente snob. 

"Stiamo per portare al consiglio la causa di tuo padre. David è certo che non potranno negarci un processo, rimarrà solo da stabilire la data" iniziò Hermione con tono pragmatico. "Tuttavia, prima sarebbe meglio discuterne tutti e tre" continuò. "Organizzerò un incontro, in modo che avrai tutte le informazioni da riportare a tuo padre per aiutarlo a prepararsi al processo".

Strabuzzò le palpebre, cercando di concentrarsi sulle informazioni che Hermione gli stava riferendo e di ignorare il modo in cui alcuni dei sui  ricci sfuggivano al suo chignon e ricadevano agli angoli del suo collo. Non gli sarebbe dispiaciuto accarezzare quella pelle liscia per spostarli...

Salazar, Draco, cazzo.

"Va bene" disse, sedendosi sul piccolo divano e chiedendosi come mai la stanza oggi fosse così calda.

Quando la solita 'lezione' cominciò, e lui scivolò nella sua mente per quella che sarebbe stata l'ultima volta, decise improvvisamente di cambiare approccio. Era inutile continuare a sforzarsi di opporre resistenza: era brava, aveva imparato. Le sue barriere erano solide e salde. Tutta la teoria presente nei libri Hermione Graner era riuscita a metterla in pratica alla perfezione, come sempre, con solo un piccolo, pressochè minuscolo, aiuto da parte sua.

Decise di non combattere questa volta. Lasciò che la magia di Hermione non trovasse nulla contro cui scontrarsi, facendosi trascinare da essa.

Hermione parve sorpresa da quel gesto, poichè la udì sospirare.

Immagini su immagini della mente della grifona si susseguirono rapidamente senza che potesse concentrarsi su una di esse. Solo una rapida e confusa sequenza di parole, luoghi, echi. 

E poi vide sè stesso. Osservò sè stesso quel fatidico giorno al ristorante. La prospettiva era diversa da quella di cui aveva sempre avuto esperienza. Non era più un osservatore esterno del ricordo, ma lo viveva dagli occhi di Hermione.

La testa di quel tizio che mal sopportava era davanti a sè, ma era solo un elemento sfocato ed impreciso. L'unica cosa che vedeva erano i suoi stessi occhi grigi. In più, percepiva un profondo silenzio.

C'era stata una gran confusione quella sera nel locale. Oltre al caos scatenato da Theo, che aveva fatto rimbalzare le posate da dolce come delle pluffe, il costante borbottare dei numerosi clienti non si era fermato un solo momento.

Eppure adesso, vivendo la scena da dentro la testa di Hermione Granger, non sentiva nulla. 

Il suo volto era tutto ciò che vedeva, l'unica figura a fuoco tra la confusione tutt'intorno.
Percepiva nelle orecchie lo stesso pacifico silenzio che circonda i giardini del Manor all'alba, quando i primi raggi arancioni del sole tagliano il cielo e tutt'intorno la natura dorme.

Forse c'era un incantesimo particolare intorno al loro tavolo, forse avevano richiesto una determinata privacy o-

Poi, all'improvviso, fu sopraffatto da un rumore più assordante che mai. Voci di ogni tipo e frasi di ogni lingua risuonarono nelle sue orecchie, risalendo fino alle sue tempie. Li sentiva nella sua testa come se decine di persone contemporaneamente stessero urlando nei suoi timpani.

Ma non era... Non poteva significare ciò che pensava significasse...

Se il suo cervello non fosse stato così sopraffatto dal quel frastuono, avrebbe facilmente messo insieme i pezzi. Tuttavia, approfittando del suo stordimento, Hermione lo spinse fuori dalla sua testa. 

Riaprì gli occhi all'interno del piccolo salotto, mentre l'emicrania si faceva strada nel suo lobo frontale e un ronzio riempiva le sue orecchie. 
Cercò lentamente di rimettere insieme ciò che era appena successo, ciò che aveva visto, tutto ciò che aveva scoperto nell'utimo periodo.
In un modo o nell'altro tutto si incastrava, ogni cosa era collegata. 

"Ottimo Malfoy, credo possa bastare" disse Hermione, alzandosi dal divano ed evitando di incrociare i suoi occhi. 

La seguì, mettendosi in piedi. Le sue ginocchia erano più deboli di quanto ricordasse. 

"Ti manderò via gufo indirizzo e data dell'incontro per discutere i dettagli del caso di tuo padre. È fondamentale che tu abbia tempo per parlarne con lui e prepararlo al processo. Ci sono determinati cavilli legali sui quali faremo leva al Winzegamot, ed è fondamentale che lui non dica nulla che David non abbia prima approvato".

Sentir nominare suo padre e David nella stessa frase lo fece rinsavire, facendogli recuperare la lucidità, o almeno una parte di essa.

Però non poteva andarsene così... Doveva prima...Doveva prima avere una prova... L'idea che aveva formulato era probabilmente assurda, ma se avesse funzionato...

Senza che Hermione se ne accorgesse, schioccò le dita dietro la schiena, spostando il piccolo sacchetto di metropolvere dalla sua posizione attuale, ovvero sulla piccola mensa a sinistra del caminetto, alla mensola di destra. 

Non era molto. Anzi, probabilmente non era nulla. Era stupido ciò che stava facendo, completamente insensato. E anche se avesse avuto il risultato che voleva, non avrebbe significato nulla. Hermione non poteva davvero essere... Era impossibile...

Esitó, alzandosi con estrema lentezza dal divano ed avviandosi con ancor più lentezza verso il camino. Come aveva previsto, Hermione fece per muoversi, ruotando appena la punta delle proprie scarpe a sinistra, dove il sacchetto si sarebbe dovuto trovare.

In quel momento, sentendosi enormemente stupido, provó a pensare ad una sola parola: destra.

Non avevo senso. Non avrebbe dovuto avere nessun senso.

La osservó attentamente: i suoi occhi erano ancora puntati verso le proprie scarpe. Prima ancora di alzare lo sguardo, ruotó verso destra, raggiungendo la mensola e afferrando il sacchetto di metropolvere. Quando glielo porse, Hermione finalmente sollevó gli occhi abbastanza da incrociare i suoi.
Qualcosa mutó in quelle iridi marroni mentre Draco le osservava, cercando di carpire da esse quanto più possibile. Era forse l'ultima volta in cui avrebbe avuto l'occasione di guardarla così da vicino.

Le pupille di Hermione si dilatorono, mentre la presa delle sue dita intorno al sacchetto cedeva.
Spalancò la bocca, come se si fosse appena resa conto di qualcosa, e un leggero colorito roseo risalì dal suo collo verso le sue guance.

La mano di Draco fu sulla sua, afferrando il sacchetto che stava per cadere a terra.
Per un singolo, brevissimo secondo, sfioró la sua pelle: entrambi sobbalzarono, come se colpiti da una scossa elettrica.

Il momento passó.

Con una manciata di polvere in mano, Draco si infilò nel piccolo caminetto, mentre Hermione gli dava le spalle, probabilmente in attesa che finalemnte se ne andasse.

Mentre la sua bocca recitava l'indirizzo di casa sua, con la mente provó a fare ciò che aveva fatto pochi minuti prima.

So cosa sei.

Le fiamme risalirono rapidamente lungo le sue gambe, e mentre si avvolgevano intorno al suo petto, vide Hermione voltarsi.

Lo sguardo sbarrato, la bocca leggermente socchiusa, le sopracciglia aggrottate e la fronte corrugata. Un misto di dubbio e stupore, la stessa espressione che assumeva davanti ad una pozione malriuscita quando non riusciva a capire dove avesse sbagliato.

Si ritrovó nel vuoto e buio salone di casa sua, il suo cuore batteva ad un ritmo accelerato.

Finalmente aveva capito.

Hermione era una legilimens.

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Capitolo 12
*** 12. Sconveniente ***


Il pensiero che Hermione Granger potesse essere una legilimens gli tolse il sonno.

Erano passati tre giorni dal loro ultimo incontro.

Tre giorni in cui non aveva chiuso occhio, vagando nervosamente tra la biblioteca del Manor e la sua camera da letto, scervellandosi su come potesse esser successo e da quanto tempo la cosa andasse avanti. Ammesso che avesse ragione e non stesse in realtà scivolando in uno stato delirante e allucinogeno.

Ma... aveva senso che Hermione fosse una legilimens. Tutti i suoi strani atteggiamenti, tutti i misteri che sembravano circondarla: questo spiegava tutto quanto, dalla segretezza con le lezioni di occlumanzia al suo strano interesse per imparare la tecnica.

C'erano ancora alcune delle sue precedenti domande che rimanevano senza risposta, ma erano state seppellite dalla montagna di nuovi dubbi che erano insorti. Uno in particolare era quello che gli faceva venire la pelle d'oca, provocando in lui le reazioni più disparate.

Da un lato non vedeva l'ora di rivederla per comprendere come questo suo dono funzionasse. Dall'altro, l'unica ipotesi che aveva elaborato per spiegare come il dono funzionasse gli faceva desiderare di seppellire la testa sotto la sabbia come gli struzzi per il resto della sua vita o di emigrare in un altro continente senza fare mai più ritorno.

Se Hermione Granger era una legilimens, cosa aveva letto nella sua mente?

***

"E questa cos'è?" tuonò con supponenza la voce di Cameron, la quale si era catapultata nel suo ufficio evitando persino la falsa cordialità di bussare alla porta.

David sedeva alla sua scrivania, ed Hermione sapeva che presto qualcuno sarebbe corso nel suo ufficio a lamentarsi. 

Per il bene delle sue orecchie sperava mandassero qualcun'altro, ma aveva fortunatamente raggiunto il livello di freddezza ed occlusione mentale necessario per rispondere a tono senza farsi sopraffare dalle emozioni.
Guardò la donna con aria rilassata ed indifferente, fingendo di non sapere che cosa fosse ciò che stringeva tra le mani.

"Questo" protestò Cameron, srotolando la pergamena sulla quale era impressa la richiesta di rifissare il processo di Lucius Malfoy.

"Non vedo cosa centri con ciò di cui si occupa il mio ufficio" ribattè Hermione con freddezza.

"Per favore" continuó la donna. "Lo sanno tutti i membri del Winzegamot che dove figura il nome di questo tizio" disse, gesticolando verso il ragazzo come se non potesse sentirla "ci sei di mezzo anche tu. E mi hanno mandato ad avvisarti che se deciderai di procedere con questa storia le cose non si metteranno bene, ci saranno delle conseguenze".

Hermione alzò le sopracciglia. "Non vedo come il lavoro privato del signor Bellini possa interferire con l'attività del sotto-dipartimento di cura delle Creature Magiche".

"Non faccia la finta tonta, signorina Granger" insistè Cameron, con un tono di voce apparentemente più calmo. "Tutti sanno che il signor Malfoy l'ha cercata personalmente di recente, e poco tempo dopo se ne esce con questo".

Hermione mantenne il contatto visivo con la donna, scuotendo la testa come se ciò di cui stesse parlando non la riguardasse affatto e non ne sapesse nulla. "Perdonami, ma non comprendo cosa il Winzegamot effettivamente mi stia chiedendo" disse, raddrizzando la schiena sulla sua sedia e mantenendo le spalle rilassate. "Come potrei io interferire negli affari privati del signor Malfoy e del suo avvocato?"

Cameron inspirò profondamente, aspettando qualche secondo alla ricerca delle parole giuste per replicare, che tuttavia non trovò. 

"Se non c'è altro, io ed il signor Bellini dovremmo riprendere ad indagare il caso della mia proposta per la regolamentazione del lavoro degli elfi domestici".

La donna girò sui suoi tacchi con aria sconfitta. Hermione attese che raggiungesse la porta per sfoggiarle il suo sorriso migliore.

Non si sentiva così bene da tempo. Aveva ritrovato l'energia, la voglia di rivalsa, il desiderio di ribellione e di cambiare le cose che credeva di aver perso il giorno in cui Silente era stato ucciso.

Il suo sangue ribollì di gioia ed eccitazione. 

La sua mente era tranquilla ed andava alla grande. Non invadeva più i pensieri di chi le stava intorno, ma poteva scegliere di sua spontanea volontà cosa e chi origliare, se lo voleva.

Non era qualcosa di cui andava molto fiera, ma possedeva senza dubbio un dono eccezionale; sarebbe stato un peccato non sfruttarlo per realizzare il cambiamento che la società magica necessitava e meritava, no?


Stava per incontrare Hermione e quel David.

Presto sarebbe stato sommerso di informazioni, avrebbe affrontato una battaglia legale - e sociale- contro l'intera comunitá magica e avrebbe dovuto confrontarsi con suo padre, cosa che lo entusiasmava come una lezione di cura delle creature magiche ai tempi di scuola. Senza contare la spiacevole passeggiata ad Azkaban che lo attendeva.
Eppure, nonostante la sua invidiabile lista di problemi, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era il fatto che avrebbe rivisto Hermione e che lei probabilmente avrebbe letto nella sua mente, come sicuramente aveva fatto chissà quante altre volte...

O forse no?

Improvvisamente gli venne in mente ciò che Hermione aveva detto, quella sera al pub, quando da ubriaca aveva deciso di accettare la sua offerta e concedergli una possibiltà. 

"Sono bravo" aveva insistito.

Poi le aveva indicato la sua bacchetta, invitandola ad usarla contro di lui e a provare a leggere la sua mente. Ma Hermione aveva abbassato lo sguardo e un espressione pensierosa aveva oltrepassato i suoi lineamenti. 

"No, non ce n'è bisogno" replicó, scuotendo appena la testa.

All'epoca non aveva dato peso a quella risposta, ma adesso aveva senso anche quella, era un altro piccolo pezzo che trovava il suo posto in quel puzzle confusionario. Finalmente l'immagine iniziava a prendere forma.
Forse Hermione non riusciva a leggere nei suoi pensieri, o forse solo in parte. Quando si era sforzato di pensare 'destra' lo aveva sicuramente sentito. 
La spiegazione più logica era che l'occlumanzia lo proteggesse, dunque era fondamentale che rinforzasse le sue barriere.  E se era in grado di farle sentire solo ciò che voleva...

C'era qualcosa di straordinario ed affascinante in questa idea, ma vista la direzione che i suoi pensieri stavano prendendo fu costretto ad interrompere quel flusso di coscienza. Non prima, tuttavia, che alcune sconce ed inappropriate immagini riuscissero a sottrarsi a quella barriera mentale sempre più fragile.

Per Merlino, era assolutamente sconveniente che Hermione Granger fosse così interessante.

Mentre si preparava ad affrontare qualche ora di intensa meditazione prima dell' incontro, si prese ancora qualche minuto per riflettere, il più lucidamente possibile,  su cosa stava succedendo. Hermione era una legelimens.
Hermione Granger era una fottuta legilimens e lui era, probabilmente, l'unico a saperlo. 
Forse il Draco Malfoy di non molto tempo fa avrebbe trovato un modo per approfittare di questa cosa, di ricattarla per ottenere un tornaconto personale. Eppure adesso il ricatto era l'ultima cosa che passava per i suoi pensieri.
La guerra, come anche le ultime settimane, avevano in qualche modo risvegliato una parte di sé che non credeva esistesse. Non voleva più correre dietro a sotterfugi o stupidi giochetti. Strano ma vero, il suo unico desiderio era fare giustizia e fare valere la verità, niente piú che quella.

Voleva scagionare suo padre dall'accusa di omicidio, principalmente per il fatto che averlo di nuovo al Manor, seppur agli arresti domiciliari, sarebbe stata l'unica cosa in grado di aiutare sua madre. Solo pensare a Narcissa gli fece venire una fitta al petto, perciò cercò di deviare i suoi pensieri su Hermione e sull'incontro che lo attendeva. 

La cosa a cui non aveva il coraggio di pensare, per il momento, era il fatto che avrebbe dovuto affrontare suo padre. Sapeva che Lucius non avrebbe mai accettato l'aiuto di qualcuno come Hermione e David, precisamente una nata babbana ed un mezzosangue, e aveva volontariamente omesso di metterlo a corrente di quale fosse il suo attuale piano.  La cosa migliore era che lo scoprisse direttamente il giorno del processo.

Quando si fece l'orario del loro incontro, si avviò con riluttanza al caminetto.

L'indirizzo suggeriva che non si sabbero visti a casa di Hermione, ed una piccola parte di sè sentì già la mancanza di quelle poltrone scomode.

L'elegante salone nel quale fu catapultato lo lasciò qualche momento sconcertato. Non era certo di cosa si aspettasse di trovare; probabilmente un ufficio, una scrivania sommersa di scartoffie e due sedie di fronte ad essa, una accanto all'altra, per lui e per Hermione.
Sicuramente non si aspettava di trovare un salone grande quasi quanto quello del Manor, ma ben più moderno nell'arredamento e dall'aria più calda e accogliente.  Non c'erano due sedie per lui ed Hermione come aveva immaginato, ma un largo e comodo divano già occupato.

Hermione sedeva molto vicina a quel tizio, le loro gambe a sfiorarsi appena.  I due alzarono rapidamente lo sguardo dalle loro carte non appena lo videro nel caminetto.

David gli fece cenno di accomodarsi su una poltrona situata di fronte a loro, mentre Hermione si raddrizzò, assumendo una posa più composta.

Dal modo in cui sedeva rilassata solo un momento prima, potè intuire che non fosse la prima volta che si trovava in questo posto, probabilmente casa di lui, e improvvisamente provó ancora meno simpatia per il suo avvocato.

***

Era andata a casa di David leggermente in anticipo. A sè stessa aveva raccontato che il motivo per cui lo faceva era dovuto alla necessità di accordarsi preventivamente su ciò che avrebbero dovuto comunicare a Draco, ma in fondo sapeva che non era quella la vera ragione. 

La verità era che si sentiva tremendamente nervosa all'idea di rivedere Malfoy. 

Era possibile che fosse riuscito a scoprire il suo segreto? O perlomeno a farsi un'idea di ciò? Se così fosse, la cosa migliore da fare era tenersi alla larga da lui e apparire il piú disinvolta possibile.

Fortunatamente David parlò per la maggior parte dell'incontro e le sue barriere mentali erano ormai abbastanza salde da consentirle di non invadere i suoi pensieri involontariamente.

Per la maggior parte del tempo tentò di evitare gli occhi di Draco: non voleva che risuccedesse ciò che si era verificato la scorsa sera al ristorante. Incrociare il suo sguardo provocava strane reazioni all'interno della sua mente; reazioni che, per quanto piacevoli, non poteva permettersi.

Forse, una volta chiuso il caso di Lucius, avrebbe potuto dedicare del tempo ad indagare come mai aveva una così strana reazione a lui, ma in che modo?
Era ovvio che non si sarebbero più rivisiti, se non forse incrociandosi per caso per le strade di Diagon Alley o tra gli uffici della Gringotts. Presto sarebbe stato tutto finito e sarebbero andati ognuno per la propria strada.

Mentre si crogiolava nel pensiero di come avrebbe mai potuto incontrarlo, iniziò involontariamente a fissarlo, rendendosene conto tuttavia solo quando il biondo sollevò lo sguardo.

Quando incrociò le sue pupille guardò immediatamente altrove. Era una stupida: che ne era stato di tutti quei discorsi riguardo l'ignorarlo e non fare nulla che potesse attirare la sua attenzione?
In quell'istante, mentre ammoniva sè stessa per la situazione che aveva creato, realizzò che David aveva smesso di parlare.

"Hermione, vuoi aggiungere qualcosa?" le chiese con un documento in mano. 

Si erano entrambi accorti che stava fissando Malfoy? Deglutì e scosse la testa. "No, stavi andando alla grande".

David sollevò appena gli angoli della bocca, facendole l'occhiolino prima di riprendere il discorso.

Hermione desideró dentro di sé che fosse quel gesto il motivo per cui adesso stava sudando, ma sapeva che la vera ragione era Draco. Sentiva i suoi occhi scrutare ogni suo movimento, fissarla come se non aspettasse altro che incrociare il suo sguardo. Se solo avesse sollevato gli occhi dal pavimento, sapeva che le sue pupille sarebbero state la prima cosa che avrebbe visto.

Forse Draco se ne era accorto, aveva capito cosa succedeva nella sua mente ogni qual volta i loro occhi si incrociavano. Forse era stata lei stessa a rivelargli il suo segreto durante la loro ultima lezione...

Si alzò in piedi di scatto. "Scusate" disse "vado un attimo in bagno".

***

Dopo che Hermione lasciò la stanza, avviandosi verso il bagno senza chiedere dove si trovasse, Draco ebbe la conferma che fosse più che familiare con questo posto.

Il padrone di casa era apparentemente a disagio all'idea di trovarsi da solo con lui, poichè smise improvvisamente di parlare quando la grifona lasciò la stanza. Infastidito da quel silenzio, Draco accavallò le gambe e prese la parola.

"Herm-" tossì. "Granger non mi ha accennato nulla per quanto riguarda la tua parcella. Non so se preferisci che io ti paghi adesso o alla fine del processo-"

"Non voglio i tuoi soldi"

Draco strabuzzò le palpebre, sorpreso per la rapidità e la freddezza di quella risposta. Non dovette fare domande tuttavia, David parlò prima che avesse l'occasione di formularne una.

"Se fossi venuto nel mio studio con questa pratica, offrendomi tutto l'oro della tua camera blindata, mi sarei rifiutato di lavorare per te, o per qualcuno come tuo padre". Draco lo fissò attonito mentre prendeva fiato, voltandosi leggermente verso la direzione del bagno in cui si trovava Hermione. "Ma per qualche motivo che non comprendo, lei ha deciso di aiutarvi. E io mi fido del suo istinto. Ma ci tengo a precisare che non lo faccio per voi, lo faccio per lei". 

Proprio mentre elebarova quelle informazioni, con la bocca asciutta e alla ricerca di quale potesse essere la risposta giusta da dare, Hermione ritornò dal bagno. 
Il suo volto sembrava aver rirpeso un colorito normale; non aveva più le guance rosa come pochi minuti prima, e David riprese il suo discorso come se niente fosse.

Dopo mezz'ora di convenevoli e spiegazioni legali a tratti più noiose delle lezioni di storia della magia, alle quali comunque si sforzò di prestare attenzione, credeva di aver ben chiaro il quadro della situazione. I moduli erano stati già brillantemente consegnati da David al winzegamot, e nei prossimi giorni gli avrebbe comunicato la data del processo via gufo. 

Hermione aveva fissato l'avvocato per tutto il tempo con gli occhi colmi di entusiasmo, come se non stesse effettivamente parlando di scagionare Lucius Malfoy. 

Doveva ammettere che, solo sei settimane fa, non si sarebbe mai aspettato che sarebbe stato così facile. Certo, non era stato semplicisimo convincere Hermione, e se non fosse stato per l'occlumanzia non ce l'avrebbe mai fatta, ma tutto è bene quel che finisce bene. Più o meno.

Hermione fu la prima dei tre ad alzarsi in piedi.

I due ragazzi la seguirono quasi contemporaneamente, e Draco notò con immenso fastidio che questo David, oltre ad avere delle spalle così larghe da farlo somigliare all' armadio che aveva riparato circa due anni fa, era persino più alto di lui.
Il biondo fu il primo a raggiungere il caminetto, e dal modo in cui l'avvocato lo fissava dedusse che non vedeva l'ora che se ne andasse per restare da solo con Hermione.
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso del rancore nei suoi confronti, spodestando definitivamente Potter dal ruolo di persona più irritante che avesse mai conosciuto.

Decise, contro ogni buon senso, di fare del suo meglio per innervosirlo. 

Si lisciò la giacca con estrema lentezza, afferrando il sacchetto di metropolvere e porgendolo ad Hermione, che lo fissò con lo stesso sguardo di un elfo domestico sorpreso a rubare della marmellata.

"Prima le signore" asserì, non facendo altro che amplificare la confusione e lo sconcerto che leggeva nello sguardo della grifona.

"M-malfoy" replicoòHermione, le cui guance avevano assunto uno strano colorito acceso.

Non è poi così difficile farla arrossire, pensò. E questo colore aveva un chè di affascinante sul suo volto...
Cazzo, Draco. Controllati, impose a sè stesso. 

I suoi pensieri su Hermione peggioravano in modo esponenziale con ogni secondo che passava in sua presenza; forse era un bene che non si sarebbero più visti così tanto spesso.
Era assurdo, di solito più conosceva una persona, più questa diventava noiosa e priva di interesse ai suoi occhi. Ma con Hermione Granger era l'esatto opposto: più cose scorpriva di lei, più misteri si aprivano. Ne voleva di più. 
Ma era assurdo, inappropriato e sconveniente, e mai anima viva avrebbe dovuto sapere che aveva realmente pensato una cosa del genere.

"Insisto" replicò, gustandosi il modo in cui il rossore sulla sue guance si espanse e dicendo a sè stesso che si sarebbe concesso di indugiare in queste fantasie solo fino al processo. Non mancava molto, comunque. Poi non l'avrebbe più rivista e gli sarebbe sicuramente passata.

Hermione lo afferrò incerta dalle sue mani, mantenendo il contatto visivo finchè le loro dita non si sfiorarono.

In quel momento abbassò lo sguardo, mentre Draco rivolse il proprio verso la terza persona nella stanza.

Mentre Hermione si infilava nel caminetto e afferrava un pugno di metro polvere, rivolse appena un cenno di saluto col capo a David, scomparendo in una fiammata verde con le guance ancora tinte del rossore che lui le aveva provocato.

Appena fu via, potè udire il ragazzo al suo fianco sbuffare di frustrazione. Si avviò al caminetto con la velocità di un falco e il petto gonfio di soddisfazione.

Poco prima che le fiamme avvolgessero anche lui, gli fece l'occhiolino. 

"Arrivederci, avvocato".

Capitolo un po' di passaggio. So che non succede molto, ma prometto che il prossimo sará piuttosto movimentato e vedremo finalmente il processo di Lucius

Grazie a tutti quelli che leggono ❤️❤️❤️

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Capitolo 13
*** 13 Il processo ***


Il freddo che regnava tra le celle di Azkaban era la cosa più brutta di quel posto. Poteva ancora sentirlo delle volte, nel buio della sua camera da letto, quando al vuoto quasi perenne della sua mente si aggiungeva l'oscurità. Spesso, quando il ricordi si faceva troppo opprimente, dormiva con una candela accesa, che nelle serate peggiori diventavano due, o tre, o persino quattro.

Ancora non aveva pienamente deciso la strategia che avrebbe utilizzato, ma era più che intenzionato ad omettere chi lo aveva aiutato. Lo scenario migliore era quello in cui Lucius lo scopriva il giorno stesso del processo o, ancor meglio, una volta agli arresti domiciliari.

I dissenatori lo scortarono nella stanza della visite, mentre quel freddo familiare si faceva strada lungo la sua pelle.

Notò che suo padre era molto più magro e pallido di quando l'aveva visto l'ultima volta. I cerchi sotto i suoi occhi erano sempre più viola ed i suoi capelli, una volta così lucidi e lisci da riflettere persino il bagliore della luna nella piena oscurità, adesso erano un'aggrovigliata massa di color grigio ardesia.

In quel momento, l'unico sentimento che riuscì a provare verso l'uomo che aveva davanti era pena.

Si accorse che reggeva tra le mani un volume consumato della gazzetta del profeta, sulla cui copertina figuravano sorridenti Potter e la Weasley. L'articolo annunicava le loro nozze, nulla che potesse minimamente interessargli. Si sedette di fronte a lui mentre continuava a fissare l'immagine sulla pagina con le labbra piegate in una smorfia.

"Disgustoso" esclamò infine, richiudendo il giornale e gettandolo poco graziosamente in un angolo.

"Tra due settimane da oggi, si terrà un nuovo processo" disse, trattenendo il respiro e osservando attentamente l'espressione sul volto di suo padre. Tirò fuori dalla sua borsa una serie di documenti che quel David gli aveva lasciato. "Il tuo caso verrà riduscusso, l'unica prova fornita dall'accusa è inconsistente. Se non riusciranno a fornire altre prove a favore dell'omicidio, e il mio avvocato é fiducioso che non riusciranno, è probabile che tu ottenga gli arresti domiciliari per i crimini commessi durante la guerra, ma non ci saranno più le basi per trattenerti ulteriormente ad Azkaban".

L'uomo continuò a fissarlo in silenzio, con la bocca leggermente spalancata. Draco riuscì a vedere nei suoi occhi l'esatto momento in cui la sua mente registrò quell'informazione. Qualcosa si riaccese in quel volto pallido e scarno, e la sua bocca si aprí in un accenno di sorriso, rivelando i suoi denti ingialliti.

Non lo riconosceva affatto.

"Chi è stato? Alfred? Quel vecchio imbecille" rise. "Sapevo che ce l'avrebbe fatta alla fine. Faceva il modesto quando sosteneva che non ci sarebbe stato nulla da fare-"

"In realtà-" provò ad interromperlo Draco, ma Lucius continuò.

"O forse Gilbert? Sapevo che non sarebbe riuscito a riposarsi neanche se lo avesse voluto. E ha troppa influenza all'intenro del ministero per essere ignorato, dico bene?"

"Non è stato nessuno di loro" protestò sommessamente Draco, notando che il tempo della sua visita stava per scadere. "Non è importante. Ascolta, non devi parlare con nessuno finchè sei qui. Il giorno del processo non dovrai raccontare la tua versione, nè testimoniare nuovamente. Il mio avvocato" proseguì, sforzandosi di trattenere una smorfia "è fiducioso che otterrai immediatamente gli arresti domiciliari. Non possono più trattenerti".

"Grandioso". L'espressione sul volto di Lucius rasentava più la follia che la felicità. "Sapevo che sarebbe successo, che ci avrebbero tirato fuori di fuori di qui..."

Non guardò suo figlio negli occhi mentre parlò, e Draco si sentí stranamente sollevato quando uno dei dissenatori aprí la porta, decretando la fine della sua visita.

Stranamente, adesso, non sentiva più così freddo in loro presenza.

***

Emozione, stupore e giusto un pizzico di fastidio: erano queste le emozioni che facevano ribaltare lo stomaco di Hermione mentre rileggeva per la terza volta consecutiva l'annuncio del fidanzamento ufficiale dei suoi due migliori amici.

Era vero, era stata piuttosto distante ultimamente, ma si sentiva terribilmente ferita all'idea di venirlo a scoprire in questo modo. Decise comunque di approfittare del fatto di doversi congratulare con Harry per parlargli di ciò che stava per succedere. Ben presto il caso di Lucius Malfoy sarebbe stato di publico dominio, e preferiva spiegare personalmente ai suoi amici perchè aveva deciso di aiutare Draco piuttosto che lasciare che lo scoprissero direttamente sulla gazzetta del profeta, anche se evidentemente loro non si erano posti lo stesso problema.

Prese un respiro profondo, rinforzando momentaneamente le sue barriere, e si avviò verso l'ufficio di Harry.

Bussò una volta alla porta, aprendola lentamente dopo un seccato "Avanti".

"Oh, Hermione, sei tu" sospirò il ragazzo che è sopravvissuto, rimettendosi seduto non appena la porta si chiuse alle sue spalle.

La ragazza avanzò fino alla scrivania, sedendosi con riluttanza ad una delle sedie dinanzi ad essa. "Si beh, congratulazioni" disse, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più smaglianti, notando tuttavia che Harry non appariva così felice come si sarebbe aspettata di trovarlo. Si sforzò di non invadere la sua privacy e attese che fosse lui a parlare.

Il ragazzo sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Hermione pensò che stesse per dire qualcosa, ma poi si fermò.

"Va tutto bene?" provò a chiedere, dimenticandosi per un momento di ciò che doveva dirgli. Erano mesi che non lo vedeva così. Doveva aver passato la notte insonne, poichè delle profonde occhiaie solcavano il suo viso.

"Si tratta di questo" disse, tirando fuori una copia della gazzetta del profeta. La stessa sulla quale quella mattina lei stessa aveva letto la notizia. "Non è vero. Non c'è nessun annuncio, nessun fidanzamento" strinse i pugni "É più complicato di così, ma almeno tu non congratularti con me, non posso sopportare un altro 'tanti auguri' o 'felicitazioni".

Lo stupore di Hermione rischiò di far cedere le sue barriere, e involontariamente scoprì che era successo qualcosa la scorsa sera ad una cerimonia per l'annuncio di un nuovo campionato di quidditch. Ricordava di aver letto qualcosa a riguardo, ma aveva ovviamente sorvolato sulla questione, non curandosene.

"Ti va di parlarne?" provò a chiedere.

Harry scosse la testa. "In realtà no, ma forse Ginny avrà qualcosa da dirti".

Si limitò ad annuire. Era sul punto di alzarsi e andarsene: improvvisamente, dopo aver visto il suo amico in queste condizioni, la causa di Lucius le sembrava qualcosa di apparentemente insignificante.

"Sei venuta solo per congratularti?" disse infine il ragazzo, alzando gli occhi verso di lei.

Leggendo in essi il desiderio di parlare di qualcosa che non fosse l'apparente falso annuncio di matrimonio, Hermione decise che tanto valeva raccontare la verità. Prese un respiro profondo. "Prima che tu lo sappia da qualcun'altro, voglio avvisarti che presto si terrà nuovamente il processo per il caso di Lucius, ed io e David abbiamo lavorato affinchè venisse rifissato".

Gli occhi di Harry si accesero, passando dalla confusione, allo stupore, alla rabbia.

"Prima che tu dica qualcosa, posso spiegarti perchè l'ho fatto" inspirò. "Non mi aspetto che tu appoggi la mia decisione, ma preferisco che tu lo sappia da me piuttosto che leggerlo sui giornali" .

Lo sguardo di Harry non fece altro che incupirsi sempre di più, finchè non pronuncio le fatidiche parole: Sirius Black.

***

Draco si svegliò la mattina del processo più nervoso all'idea di rivedere Hermione che per le sorti di suo padre. Adesso non era più stupito della direzione che i suoi pensieri continuavano a prendere. Era totalmente normale che si sentisse così: Hermione era una fottuta legilimens.

La meditazione di quella mattina fu più lunga e intensa del solito. Era fondamentale che mantenesse le sue barriere. Oltre ad Hermione ci sarebbe stato anche David, e non poteva lasciare che il suo rancore si mettesse in mezzo e prendesse il controllo delle sue azioni proprio oggi.

Theo sarebbe stato presente, e anche per sopportare le sue probabili insinuazioni e battutine avrebbe sicuramente avuto bisogno di tutta l'occlumanzia possibile. Gli aveva fatto promettere che sarebbe venuto da solo, ma si era psicologicamente preparato all'idea che avrebbe dovuto subire gli sguardi curiosi di Pansy e Blaise.

L'unica cosa alla quale non riusciva a prepararsi abbastanza, e allo stesso tempo per la quale si sentiva euforico ed entusiasta come un bambino sul campo da quidditch, era rivedere Hermione.
Solo ripensare al modo in cui i suoi occhi lo guardavano, a quel contatto visivo che si prolungava sempre un momento di troppo tra di loro, provocò una scarica elettrica lungo la sua spina dorsale.

Poteva comunicare con lei senza parlare, senza che nessun'altro sentisse. Era forse la cosa più magica ed eccitante che gli fosse mai capitata.

Inspirò.

Aveva detto a sè stesso che si sarebbe concesso la lussuria di pensare a lei solo fino a che il processo non si fosse concluso, e adesso, mentre si allacciava la cravatta, si ritrovò a sperare che venisse rinviato: magari uno dei giurati avrebbe avuto un contrattempo, o una causa ben più grave e urgente di cui occuparsi, e sarebbero stati costretti a posticipare la data.
Così avrebbe avuto un occasione in più di incontrarla, e magari un paio di giorni in più per crogiolarsi in questi pensieri assolutamente sconvenienti.

***

Hermione si avviò verso il tribunale accompagnata da David e con il cuore in gola.
Non appena i suoi piedi atterrarono sul marciapiede, le sue ginocchia minacciarono di cedere.

Si sforzó di rimanere in piedi mentre seguiva David per il passaggio segreto che li avrebbe condotti verso l'aula dell'udienza. La stessa aula nella quale, mesi fa, aveva testimoniato a favore di Draco e Narcissa.

Non appena le porte dell' ascensore si aprirono scorse l'alone argenteo dei capelli di Malfoy in fondo al corridoio ed il suo cuore iniziò ad accelerare. Rallentò il passo, appigliandosi all'occlumaniza per calmare i propri battiti.

Non poteva farsi sopraffare dalla paura che potesse sospettare il suo segreto. Era fondamentale che rimanesse calma: niente più scivoloni. Si era concessa una semplice distrazione la scorsa volta, ma un solo indizio non fa una prova.

Quando fu vicina abbastanza, si rese conto che il biondo non era da solo, e per qualche motivo David, che camminava qualche passo avanti a lei, si arrestò di colpo. Andò a sbattere contro la sua schiena, prima che il giovane si schiarrisse la voce con un colpo di tosse.
Lesse per un istante il panico nei suoi occhi e si concesse solo un momento per accertarsi che fosse tutto apposto.

Oh no, non può essere qui

I suoi occhi misero finalmente a fuoco le due figure dai capelli scuri che aspettavano insieme a Draco: Pansy Parkinson e Theo Nott. Perché la loro presenza sembrava averlo innerovsito così tanto?

"Avvocato" salutò Draco con un cenno del capo, rivolgendo un momento dopo il suo sguardo verso di lei. I suoi occhi grigi la fissarono intensamente. Hermione sentì la bocca asciutta.

Distolse lo sguardo dal volto di Draco con più fatica del solito, ammonendosi mentalmente per averlo fissato troppo a lungo. I suoi occhi cercarono la sua ancora di supporto, David, che tuttavia appariva ben più nervoso di quanto lo avesse mai visto. L'inspiegabile ed improvvisa agitazione di David minacciò di contagiarla, insinuandosi come un tarlo tra le barriere della sua mente.

"Granger, che piacere rivederti".

La voce di Theo Nott, del quale si era quasi dimenticata la presenza, la fece sussultare. Il ragazzo le rivolse un sorriso a trentadue denti, piegandosi teatralmente e afferrandole la mano. Gli occhi di Hermione saettarono imbarazzati tra tutti i presenti mentre le labbra di Theo le accarezzavano le sue nocche.

Pansy Parkisnon e David sembrarono non prestarle attenzione, mentre Draco, si rese conto, stringeva i pugni da dentro le tasche della sua giacca, fissando il suo amico con aria rassegnata.

"A-anche per me" balbettò.

"Sarà meglio entrare" intervenì Draco con lo sguardo fisso verso le proprie scarpe.

David scosse la testa, raddrizzando le spalle e riassumendo, almeno in parte, quella sua postura elegante e sicura di sè. "Si, sarà meglio prendere posto" esclamò, lisciandosi con una mano la giacca e dirigendosi per primo verso l'aula.

Uno alla volta, lentamente e silenziosamente, presero tutti i loro posti tra i banchi insolitamente affollati.

Il brusio dovuto al continuo borbottare dei presenti era snervante, ed Hermione si ritrovò a pensare a come, solo qualche settimana fa, non sarebbe mai stata in grado stare in una stanza così piena di gente. Draco era stato brillante nell'insegnarle la materia.
Prese posto insieme al biondo e ai suoi due amici, mentre David camminava con aria disinvolta avanti e indietro in attesa che i dissennatori scortassero Lucius.

***

Quando i dissenattori fecero il loro ingresso con Lucius al seguito, il freddo che calò sull'aula stranamente non si insinuò fin dentro le sue ossa come al solito. Forse era fin troppo distratto dal continuo picchiettare nervoso della scarpa di Hermione contro il pavimento.

Non mancò di notare lo strano contatto visivo tra suo padre ed Hermione mentre prendeva il proprio posto al centro dell'aula, e si gustò, dalla sua comoda poltrona, l'esatto momento in cui la sua mente bigotta registrò cosa stava succedendo e chi lo aveva realmente aiutato.
Un'espressione di disgusto appena accennata incurvò le sue labbra scarne, una alla quale Draco era piú che abituato, ma che passò totalmente inosservata ad occhi inesperti.

Hermione accanto a lui sembrò agitarsi, strofinadosi le mani contro il tessuto acrilico della sua gonna. Seguendo quel movimento, si ritrovò inaspettatamente ad osservare le sue gambe, avvolte da delle calze semplici ma fin troppo sottili, attraverso le quali era possibile intravedere la sua pelle rosea e soffice.

Si sforzò di distogliere lo sguardo, concentrandosi con tutte le sue energie per evitare che qualche pensiero lo tradisse.

Fortunatamente il processo iniziò dopo solo pochi minuti.

David espose il suo brillante discorso e gli occhi e le orecchie di tutti presenti, Lucius compreso, furono rapiti dalle sue abili capacità oratorie. La sua mente smise quasi immediamente di registrare le informazioni e le prediche che lasciavano la bocca di quell'odioso ragazzo italiano.
Nulla che ormai non avesse sentito e risentito più volte.

Fu riportato alla realtà solo dalle parole del giudice Bones, che parvero arrivare fin troppo in fretta.

"Il caso è sospeso. Lucius Malfoy sconterà il resto della sua pena agli arresti domiciliari presso la propria residenza" un rumore confuso di voci indignate si sollevò dalla folla. La donna sollevò lo sguardo dai propri documenti e, senza che dicesse nulla, sull'aula calò di nuovo il silenzio.
"La sua bacchetta ed i suoi averi rimarrano sotto custodia presso gli uffici del ministero".

Un piccolo colpo di martellettò segnò pacatamente la fine dell'udienza.

Theo gli mise una pacca sulla spalla, mentre i dissenattori rientravano nell'aula per scortare Lucius al Manor. La gente iniziò ad alzarsi e ad uscire. Qualcuno fischiò, qualcun'altrò urlò qualcosa che arrivò alle sue orecchie come un grugnito confuso.

Nonostante la confusione, solo un pensiero riechieggiava nella sua mente: era finita.

***

"Perciò è fatta" esclamò Hermione, alzandosi dalla propria sedia.

Si diressero insieme fuori dall'aula, e Draco fu mentalmente grato a Theo per aver trattenuto Pansy e quel David qualche passo piú indietro con chissà quale discorso.

"Credo di sì" si limitò a replicare, mentre pensava a qualcosa, qualsiasi cosa, da dire per prolungare quello che sarebbe stato il suo ultimo momento con lei.

"Grazie, Granger" disse infine, porgendole istintivamente la mano e ritirandola un secondo dopo.

Ma che diavolo stava facendo? Idiota.

Prima che potesse ripensare alle proprie azioni, Hermione fece un passo avanti. La vide sollevarsi sulle punte e stendere le braccia verso di lui, abbracciandolo goffamente.

Le sue braccia ricambiarono la stretta, avvolgendosi intorno alla vita di Hermione Granger come se sapessero esattamente dove posizonarsi, come fosse la milionesima volta che la toccavano. Fu sopraffato dall'odore dolce del suo shampoo, e poi... Salazar, la sua pelle.

Hermione si separò di scatto dalla sua presa.

Draco strinse le labbra in una linea sottile, fissandola dall'alto in basso e sentendosi come se qualcuno gli avesse rovesciato addosso un secchio di acqua gelata.

Un leggero rossore tingeva il collo e le guance della grifona. Se prima aveva dei dubbi, adesso ne era assolutamente certo.

Mi hai sentito, non è vero?

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Capitolo 14
*** 14. Non lo dirò a nessuno ***


Capitolo un po' più lungo degli altri ed anche di passaggio.  La storia sta venendo fuori più lunga e contorta di quanto avessi inizialmente programmato, ma nonostante tutto vi garantisco che la porteró a termine (seppur lentamente).
Un grazie enorme a chiunque stia avendo la pazienza di continuare a leggere nonostante i miei aggiornamenti lenti ❤️ 


"Devo andare".

Hermione fece un passo indietro, voltandosi verso l'uscita. Il suo sguardo era adesso passato dallo stupore alla paura, e quel rossore che tanto adorava aveva rapidamente abbandonato la sua pelle. 

"Hermione aspetta" urlò. Desiderò avvicinarsi a lei, ma non lo fece. 

La ragazza si voltò. Un velo lucido ricopriva i suoi occhi. 
Scosse la testa, riprendendo a camminare verso l'uscita sempre più veloce. 

"Non lo dirò a nessuno" provò a ripetere, avanzando nella speranza che lei e solo lei sentisse. 

Hermione non si voltò. 

Quando raggiunse la folla che aveva lasciato l'aula poco prima e iniziò a fare slalom tra di essa, Draco la perse di vista. 

Provò di nuovo a parlare con lei. 

Non lo dirò a nessuno pensò intensamente, non preoccupandosi di come sarebbe probabilmente apparso, immobile e con gli occhi chiusi, agli occhi dei passanti che occupavano l'affollato corridoio.

Riuscí a raggiungere l'uscita dopo più di uno spintone e qualche gomitata, ma lei era stata più veloce. 
Rimase lí, con il fiato pesante ed il cuore in gola, ad osservare quel punto sul marciapiede dal quale si era smaterializzata. 

"Non lo dirò a nessuno" ripetè a bassa voce.

***

C'era una folla insolitamente scalmanata l'indomani all'ingresso del ministero. Guardò il suo orologio da polso, chiedendosi se non avesse forse perso la cognizione del tempo e fosse per caso arrivata al lavoro meno in anticipo del solito. 

L'orologio confermava che erano appena le otto del mattino, dunque doveva esserci un'altra ragione che spiegasse la presenza di così tanta gente.

Mentre ragionava su quale potesse essere il modo migliore per raggiungere il proprio ufficio evitando la calca, udì una voce stridula urlare un vago "eccola lì, è lei", e prima che potesse rendersene conto fu accerchiata da flash, microfoni, e volti estranei. 

Il caos delle loro voci sarebbe stato sufficiente a provocarle una delle peggiori emicranie dalla fine della guerra. 
Tuttavia, come se non bastasse, a quello si era anche aggiunto il fatto che le sue barriere, travolte dalla sorpresa dell'improvviso assalto dei giornalisti, avevano ceduto.

Più voci di quante potesse mai immaginarne rimbombarono tra la sua scatola cranica e i suoi timpani, sovrapponendosi l'una all'altra con una tale rapidità che non riuscì a comprendere neanche una parola di ciò che le venne chiesto, nè tantomento riuscì a spiegarsi perchè i giornali fossero improvvisamente così interessati a lei. 

Poteva essere che...

Il sangue si gelò nelle sue vene, mentre la paura che percorse le sue fibre nervose raggiunse rapidamente il suo cervello. La scarica di adrenalina che ne seguì le diede la forza fisica di avanzare in avanti, sgomitando tra la folla aiutata dalla sua 24ore, non curandosi delle smorfie, dei gestacci e delle imprecazioni che ricevette lungo il tragitto. 

Camminò velocemente fino all'ascensore, mentre uno dopo l'altro i suoi assalitori continuavano ad inseguirla, i flash scattavano e piume magiche si muovevano freneticamente su pergamene già colme di chissà quale storia. 

Tirò un sospiro di sollievo quando le porte dell'ascensore finalmente si chiusero, lasciandola da sola. Tuttavia i pochi secondi che passarono prima che raggiungesse il suo piano non furono sufficienti per concederle il tempo necessario per mettere a fuoco la situazione. 
Fu così che si ritrovò di fronte al volto imbronciato di Cameron. 

A giudicare dall'espressione corrugata che raggrinziva ancora di più la sua faccia rugosa, e dalla posa che aveva assunto, ricurva come quella di un avvoltoio ed altrettanto inquietante, poteva scommettere che si fosse appostata lì da un bel po' in attesa del suo arrivo. 

Hermione tuttavia non aveva la voglia, nè tantomeno il tempo, di concentrarsi su di lei. Il terrore che il suo segreto potesse essere stato divulgato al mondo era già abbastanza a cui pensare.

Le passò davanti, accelerando sulle sue comode scarpe ed ignorando le urla alle sue spalle.

Gli assurdi tacchi che si ostinava a indossare impedirono a Cameron di stare al passo delle piccole ma rapide falcate della grifona.

Hermione entrò nel suo ufficio, chiudendosi la porta alle spalle e sigillandola con un incantesimo.
Ebbe a malapena il tempo di girare intorno alla sua scrivania prima che qualcuno si accanisse inutilmente contro la maniglia.

"Ho da fare" si limitò a replicare, non preoccupandosi affatto di apparire maleducata.
Dopotutto a cosa l'aveva portata sforzarsi costantemente di essere carina e gentile conn tutti?

Passò qualche minuto, mentre il suono dei tacchi di Cameron che facevano su e giù per il corridoio continuva a riecheggiare nelle sue orecchie. 

Era sul punto di silenziare la stanza e immergersi completamente nel suo lavoro quando qualcuno bussò ancora una volta. 
Lo ignorò, sollevando la propria bacchetta e preparando l'incantesimo. 

"Hermione, sono io, Dean".

Rimase un secondo con la bocca aperta e la bacchetta alzata, prima di sospirare con aria rassegnata e puntarla contro la porta, aprendola.

Dean rimase qualche momento sulla soglia, attendendo che Hermione gli facesse cenno di entrare. 

Mentre prendeva posto nella sedia di fronte la sua scrivania, notò che aveva tra le mani una copia della gazzetta del profeta.

Attese che fosse lui a parlare.

"Hermione" disse, molto cautamente. "Mi dispiace, trovo sia assurdo quello che stanno facendo, ma..."

Si bloccò, e la grifona sbuffò dalla frustrazione esitandolo a continuare. "Ma?" disse, alzando le sopracciglia e sforzandosi di non sfogare la sua rabbia su di lui. 

"Vogliono che tu ti prenda qualche giorno di pausa. Insomma, finchè non si calmera la situazione"

Spalancò la bocca per lo stupore, ma Dean proseguì. 

"Al massimo una settimana, sai come sono i giornali. Tempo che trovino qualche altro frivolo gossip da stampare in prima pagina e si saranno già dimenticati di te".

Hermione non riuscì a trattenere l'espressione perplessa che solcò il suo volto. 

Dean gli porse la copia del giornale che teneva tra le mani. "Ecco, immaginavo che non l'avessi ancora visto. Per quel che vale, Herm, mi dispiace" disse infine, alzandosi ed avviandosi verso l'uscita mentre gli occhi sconcertati della grifona saettavano rapidamente sulla pagina.

***

"É disgustoso" ripetè Lucius, mentre Draco filava dritto verso il camino sforzandosi di ignorarlo.

"Deplorevole" continuò l'uomo alle sue spalle. 

Lentamente il ragazzo si voltò, notando che il sacchetto di metropolvere, attualmente la sua più rapida via di fuga da quel posto divenuto sempre più asfissiante, si trovava tra le mani di suo padre.

Lo fissò con aria rassegnata. "Dammelo" disse.

L'uomo rimase fermo. "Non capisci Draco-"

"No, sei tu che non capisci" inspirò profondamente. "Ma non ti rendi conto che le cose sono cambiate?" 

La solita smorfia disgustata di Lucius apparve sulle labbra dell'uomo, e la furia di Draco schizzò alle stelle.

"Ah, è questo che pensi? Che sia disgustoso?" rise, a tratti istericamente. "Non so, preferiresti dunque continuare a marcire tra le celle di Azkaban? Perchè è esattamente questo ciò che staresti facendo se io non avessi chiesto l'aiuto di Hermione Granger. Anzi-" rise ancora più forte "anche io e la mamma saremmo ancora lì, o forse la nostra anima sarebbe già stata risucchiata dai dissenatori, se solo Hermione Granger non avesse testimoniato al nostro processo" si morse l'interno della guancia, notando come l'espressione di Lucius sembrò non vacillare. 
"E credimi, padre, dormo decisamente meglio da quando non c'è alcun serpente che gira per i corridoi di casa nostra".

"É un disonore" imprecò Lucius, rivolgendo lo sguardo verso i quadri dei suoi antenati alle pareti, che Draco aveva oramai brillantemente imparato ad ignorare.

"Accio metro polvere" disse infine il ragazzo, sfoderando con aria superba la sua bacchetta davanti a Lucius. 

Le labbra dell'uomo si strinsero in una linea sottile, e Draco si sentì il petto pieno di soddifazione mentre si infilava nel caminetto sotto lo sguardo inerme ed impotente di suo padre. 

Non aveva più alcun potere su di lui.

***

"Ed è per questo che oltre metà della comunità magica londinese crede che la signorina Granger sia sotto l'effetto della maledizione imperius" lesse Theo con tono eclatante.

Il biondo si portò le mani alle tempie, scolando il suo bicchiere di whiskey incendiario in un sol sorso e poggiandolo sul tavolino in maniera ben poco delicata. Theo si avvicinò con la bottiglia in una mano e il giornale ancora stretto nell'altra, riempiendolo nuovamente fino all'orlo.

"Fidati" gli disse, "ne avrai bisogno per ciò che deve ancora arrivare". Dopodiché si rimise al centro del salotto e riprese la sua orazione. "Tuttavia, molti si chiedono se non ci sia forse altro alla base di questa improvvisa e nuova alleanza. Potrebbe forse essere scoppiata una scintilla tra i due vecchi rivali di scuola? Oppu-"

"Oh, per Salaza-"

"Ah, ah" lo bloccò Theo. "Non interrompermi proprio sul più bello". Si schiarì la gola con un finto colpo di tosse. 
"Dov'ero rimasto? ah, si. Oppure si sarà riaccesa una vecchia fiamma, assopita sotto le ceneri della guerra che vengono lentamente spazzate via?"

Draco decise che era arrivato il momento di scolare anche il secondo bicchiere. E dal momento che Theo sembrava aver ancora parecchio da leggere, afferò la bottiglia e preparò il terzo. 

"Cosa ne penseranno i suoi vecchi compagni di scuola? Scopritelo a pagina trenta- oh" Theo si bloccò, e il rumore di fogli per aria costrinse Draco ad alzare lo sguardo dal pavimento.

"No, ti prego" lo supplicò.

Per qualche strano motivo, quella fu una delle poche occasioni della sua vita in cui Theo gli diede ascolto. Aveva un'aria strana ed insolitamente preoccupata, e questa cosa accese un campanello d'allarme nel suo cervello. 

"Cosa c'è?" domandò.

"Non credo che le cose si metteranno bene per lei, sai"

Scosse la testa, cercando di capire. "Per Hermione? Cosa? Perchè?"

Theo parlò molto lentamente, così lentamente che rischiò di esplodere dal nervosismo. "Hai letto questo articolo, no? E non pensi che ci sia da fare due più due?"

"Eh?" il biondo era più confuso che mai. "Non ti seguo, spiegati meglio"

Theo alzò gli occhi al cielo, con un espressione da 'sono l'uico intelligente nella stanza' che avrebbe letteralmente fatto invidia ad Hermione Granger.
"Non ti sembra che sia successa fin troppo in fretta questa cosa? Come se qualcuno stesse aspettando il momento giusto per screditarla"

Draco continuò a fissarlo con espressione intontita, perciò Theo proseguí. 
"Insomma, è chiaro che la sua presenza al ministero non era proprio gradita. Però come avrebbero mai potuto negare alla salvatrice del mondo magico il lavoro dei suoi sogni?" riprese di nuovo a fissare la prima pagina del giornale. "Invece adesso hanno l'alibi perfetto. Che sia stata manipolata tramite imperius, rapita da un filtro d'amore o semplicemente dal tuo bel faccino, comunque hanno l'occasione per allontanarla e rallentare il suo lavoro".

Il biondo era sul punto di piangere, o forse di strapparsi i capelli, a giudicare dal modo in cui le sue dita si stringevano nervosamente intorno a quelle ciocche argentee. "É colpa mia? Che cosa dovrei fare?" chiese.

Il moro cambiò improvvisamente espressione, mettendosi seduto con la schiena contro la poltrona e accavallando le gambe. "Tu? Beh, nulla direi" affermò, sorseggiando il suo drink con aria disinvolta. 

Perchè improvvisamente non era più così serio e preoccupato? 
Si stava prendendo gioco di lui?

Sospirò.

Era Theodore.

Ovviamente si stava prendendo gioco di lui.

"Voglio dire amico, non è mica un tuo problema" 

Draco continuò a fissarlo come se gli fosse spuntata una seconda testa, mentre una sensazione che avrebbe osato definire senso di colpa si insinuava nel suo petto rendendogli difficoltoso respirare. "Theo-"

"Hai ottenuto ciò che volevi. Ognuno per la sua strada, ciò che succede alla Granger d'ora in poi sono affari suoi". 

Dal modo in cui lo fissava, Draco capì che  lo stava provocando: si alzò di scatto. 

"Ho bisogno di pensare" disse, avviandosi verso il caminetto rassegnato all'idea di dover tornare al Manor. 

Theo gli aveva riempito la testa con fin troppe idee.
Aveva bisogno di silenzio e di tempo per riflettere lucidamente e senza alcool in corpo che potesse in qualche modo annebbiare il sui giudizio. 

Doveva meditare.

"Oh no, rimani pure qui" lo bloccò il ragazzo, alzandosi anche lui e mettendosi davanti al caminetto prima che Draco potesse raggiungerlo. "Pensa pure quanto ti pare, io ho delle cose da sbrigare, ci metterò un po'"

"Che cosa?" chiese il biondo, sfinito dalla devastante angoscia che gli attanagliava lo stomaco e dalle stranezze del suo amico.

"Oh, sai com'è" replico il ragazzo con un alzata di spalle mentre si infilava nel caminetto e recitava un indirizzo sconosciuto. 

"No, non ho ida di come diavolo è" esclamò frustrato Draco ad un caminetto ormai vuoto.

***

Quando raggiunse l'ufficio di Harry e bussò contro la porta leggermente aperta, il ragazzo non fece in tempo a mettere da parte il giornale prima che lei lo vedesse. 
Si passò una mano tra i capelli scuri, rivolgendole uno sguardo indulgente.

"Mi dispiace Hermione" esclamò. "Per quello che vale, mi fido delle tue scelte, anche se non le comprendo".

La ragazza si appoggiò con aria rassegnata contro la porta. "Mi hanno mandata a casa per un paio di giorni" lo informò, desiderando solo di sfogarsi con qualcuno. 

"Dagli tempo" esclamò il ragazzo che è sopravvissuto. Non c'era sorpresa nel suo sguardo, ed Hermione dovette trattenersi dall'invadere i suoi pensieri e soddisfare la curiosità di scoprire che cosa dicevano su di lei le voci di corridoio. "Tra qualche giorno una nuova ed eclatante notizia sarà sulle copertine e sulla bocca di tutti, e si dimenticheranno presto di te".

Sorrise sommessamente. "Già, grazie Harry". 

Stava per voltare i tacchi e avviarrsi verso casa quando il ragazzo la richiamò.

"Herm, aspetta".

"Si?" chiese. 

"Ron è tornato" disse, "o meglio, arriverà stasera. Mi chiedevo se ti andasse di cenare con noi... Voglio dire, con me e Ginny" abbassò lo sguardo. "E i Weasley"

Fu presa di sorpresa da quell'invito improvviso, ma decise comunque di accettare. Probabilmente le avrebbe fatto bene passare del tempo con i suoi soliti amici anzichè chiudersi in casa a rimurginare su ciò che i giornali dicevano di lei. 
"Certo" esclamò. "Perciò con Ginny....?" chiese esitante, non sapendo fino a che punto potersi spingere con la curiosità. 

Harry sospirò. "É... "

"Complicato" finì lei per lui, notando il sollievo nel suo volto per non aver dovuto finire la frase. "A stasera, Harry"

"A stasera, Hermione".

Si avviò per il corridoio con una strana sensazione nel petto.
Era grata per l'invito a cena che aveva appena ricevuto, che aveva in parte calmato quel nervosismo che le attanagliava lo stomaco. 

Dopotutto, non era così terribile la situazione. 
Per quanto potesse essere spregevole ciò che i giornali dicessero di lei,  era sicuramente meglio di ciò che aveva inizialmente immaginato.

Sembrava che il suo segreto fosse, per il momento, al sicuro. 
In fondo, che motivo avrebbe avuto Malfoy di spifferare tutto ai giornali?
Avrebbe avuto più senso sfruttare ciò che sapeva per ottenere qualcosa in cambio da lei. 

Forse avrebbe dovuto parlargli...
O era meglio aspettare che fosse lui a farsi avanti con la sua richiesta?

L'idea che Malfoy avesse un arma per ricattarla avrebbe dovuto terrorizzarla, eppure non era così che si sentiva. 
Quando pensava a Malfoy, riusciva solo a pensare a quanto effettivamente l'avesse aiutata. 

Era grazie a lui se adesso era in grado di sedersi a cena con le persone che amava senza invadere i loro pensieri e senza che il suo cervello rischiasse di esplodere.
Ne era valsa la pena sopportare l'ennesimo stupido articolo della Skeeter sul suo conto, dopotutto. 

Si avviò nell'ascensore ignorando gli sguardi oltraggiati e curiosi che si voltarono nella sua direzione e trovandoli quasi divertenti. 

Quando le porte dell'ascensore si chiusero, intrappolandola nello stesso cunicolo con due donne di mezza età che continuavano a squadrarla dalla testa ai piedi con l'aria assetata di gossip, per un momento ebbe un flashback di quella volta in cui, al quarto anno, la Skeeter scrisse della sua -inesistente- relazione con Harry. 
E la gente adesso credeva davvero che potesse esserci qualcosa tra lei e Malfoy. La cosa era così comica che dovette trattenere un accenno di risata. 

Incoraggiata da questo improvviso buonumore, decise che tanto valeva sfruttare il suo dono per ridere un po' e scoprire quali effettivamente fossero questi gossip da corridoio sul suo conto. 

I Malfoy farebbero di tutto per risollevare i loro nome di questi tempi 

Quanto oro gli avrà promesso per farsi vedere con un mangiamorte?

Non è possibile che Lucius Malfoy approvi realmente questa storia

É un insulto verso tutti maghi e le streghe che la gente come loro ha perseguitato

Quanto i pensieri delle donne fossero in contrasto tra loro e allo stesso tempo sulla stessa lunghezza d'onda era qualcosa di talmente contorto e complesso che rifletteva alla perfezione il caos della società magica subito dopo la fine della guerra.

Le porte dell'ascensore si aprirono e si immerse tra la folla, diretta verso l'uscita, godendo passo dopo passo delle teorie e dei pettegolezzi più disparati. 

Dev'essere stato un filtro d'amore, ecco perche sono riusciti a farla franca

É sempre stata innamorata di lui, fin da bambina. Chi non lo sarebbe dopotutto

É così romantico

É disgustoso

É un feticismo

É...momento giusto...la ragazza..

Si arrestò di copo, beccandosi una spallata e gli sguardi infastidi degli impiegati del ministero che camminavano poco dietro di lei. Si guadò intorno tra la folla. Aveva riconosciuto quella voce, l'aveva già sentita. Si sforzò di cercarla...

La sua magia é potente... Contro se stessa... Scoperta... 

Qualcuno stava usando l'occlumanzia, seppur in maniera abbastanza goffa.
Accellerò il passo, raggiungendo l'uscita e smaterializzandosi nel proprio appartamento. 

Il suo cuore prese a battere rapidamente mentre la sua mente cercava di ricordare dove avesse sentito quella voce inquietante. 

Chiuse gli occhi, concentrandosi. 

Rivide il San Mungo, e quel piccolo dottore stempiato che se ne stava in un angolo.
Ricordava ciò che aveva pensato su di lei, ed il modo in cui aveva provato a somministrarle del veritaserum. 

Se c'era una cosa di cui era stata certa fin dal primo momento, era che non avrebbe dovuto fidarsi di lui. Non serviva leggere la sua mente per comprendere che non avesse delle buone intenzioni. 

Ma... Perché si era fatto vivo proprio adesso, proprio oggi?

Non poteva realmente sapere...

Per evitare di farsi prendere del panico, si dedicò alla meditazione per il resto della giornata.

 L'indomani avrebbe contattato Malfoy, cedendo a qualsiasi fosse il suo ricatto pur di assicurarsi che il suo segreto rimanesse al sicuro, almeno finché non avesse capito perché questo dottore sembrava così interessato a lei. 

Si cambiò e preparò con calma per la cena che l'attendeva. 
Sapeva che le avrebbero sicuramente fatto diverse domade riguardo alla causa di Lucius, ma non le importava. Era felice di poter finalmente passare del tempo con i Weasley. Nonostante le cose con Ron non fossero andate nel migliore dei modi, erano comunque la sua famiglia. 

Si smaterializzò poco fuori dal confine della tana, portando con sè una torta di zucca e una cassa di burrobirre per la serata. Il calore invase il suo petto quando vide la tana illuminata e udì le risate provenire dall'interno. 

Per un attimo le sembrò di essere tornata a prima della guerra, quando era ancora tutto normale. 

Ginny aprì la porta, accogliendola e rivolgendole uno sguardo che interpretò come un "dobbiamo parlare".
Tuttavia non usò i suoi nuovi poteri per scoprire se avesse effettivamente ragione o no. La cosa migliore che poteva fare, per sé stessa e chi le stava intorno, era evitare di invadere la privacy dei suoi amici e delle persone a lei care.

Ben presto Molly la raggiunse, stritolandola in un forte abbraccio come se niente fosse cambiato.

Si sentì bene.

Arthur, George e Bill la accolsero al tavolo mettendole in mano un bicchiere di burrobirra. 
Sembrava andare tutto per il meglio, come se ogni cosa fosse tornata alla normalità. 

 Fu grata per il fatto che Ron arrivò alla tana solo pochi minuti dopo di lei.

Tutte le attenzioni furno su di lui, il piccolo di casa di rientro dopo una trasferta, e l'argomento principale della cena fu il quidditch.
La cosa non la infastidì ne la annoiò, e si sentí immensamente sollevata per il fatto che l'intero pasto si svolse senza che nessuno nominasse Lucius, il ministero o quello stupido articolo della Skeeter.

Non appena fu finita la cena, si alzò da tavola con il pretesto di aiutare a sparecchiare nella speranza di rimanere un po' da sola con Ginny.
La rossa si alzò immediatamente dopo di lei, ma non appena tirò fuori la sua bacchetta per far lievitare le stoviglie sporche verso la cucina, Ron la interruppe. 

"Aspetta, Gin. Faccio io".

La ragazza si rimise seduta, fissando il fratello con aria in parte seccata ed in parte curiosa. 

Hermione trattenne il respiro mentre Ron ed una carrellata di piatti sporchi la seguivano nella piccola cucina. Attese in silenzio che le stoviglie si sistemassero nel lavandino, recitando l'incantesimo con il quale iniziarono a lavarsi da sole. 

Quando il ragazzo non iniziò la conversazione, prese un respiro profondo e parlò. 

"Allora" disse, rivolgendo finalmente lo sguardo verso quegli occhi azzurri di cui non molto tempo fa credeva di essere follemente innamorata. "Sembra che sia andata bene questa trasferta"

Non le interessava realmente parlare di quidditch, ma da quando le cose tra lei e Rn erano finite, complice anche la distanza e la tensione accumulatasi tra di loro in mesi di relazione, le sembrava di non essere più in grado di comunicare con il suo migliore amico.

Forse è questo che succede, dopotutto, quando si oltrepassa quella linea sottile tra amore e amicizia. Forse non è più possibile tornare indietro. 

Il ragazzo le rivolse uno sguardo sorpreso. "Beh, non lo sai?" disse, apparentemente sbalordito. "Abbiamo vinto 240 a 0, abbiamo fatto il record della stagione per la vittoria più veloce del camp-" poi si bloccò, come se si fosse ricordato con chi stava parlando. Scrollò le spalle. Quella luce che si era accesa nei suoi occhi si spense. "Voglio dire, si, é andata bene. Molto bene".

Hermione sorrise. Quella piccola crepa nel suo cuore che si era creata al momento della loro rottura sembrò allargarsi per un momento, mentre la parte razionale della sua mente le ricordava che non era la relazione con lui a mancarle, ma l'amicizia.

"Bene" rispose, abbassando lo sguardo imbarazzata verso le proprie scarpe.

"Hermione, ascolta" la chiamò il rosso con un sospiro.

Rialzò lo sguardo verso di lui con estrema rapidità. "Si?"

"Volevo parlati di... " sospirò. "Beh, di quello che dicono i giornali".

Hermione richiuse la bocca di colpo. Sapeva che prima o poi questo momento della serata sarebbe arrivato, ma sperava di non doverlo affrontare proprio col suo ex. "É, è complicato da spiegare, ma-"

"Voglio solo assicuramri che tu stia bene, e che lui non ti abbia minacciata o manipolata in qualche modo-"

La grifona spalancò la bocca, sorpresa dal fatto che potesse pensare una cosa del genere. In che modo avrebbe dovuto farsi manipolare da Malfoy? Era carino che i suoi amici si preoccupassero per lei, ma questo era quasi offensivo.

"No, non sono stata affatto manipolata" iniziò a spiegarsi in modo pacato. "Anzi, ho deciso  di aiutarlo per lo stesso motivo per cui ho testimoniato al suo processo. Credo davvero che Lucius Malfoy non sia colpevole dell'omicidio di Severus, e credo che ciò che è successo sia molto simile all'ingiustizia subita da Sirius Black quando fu accusato dell'omicidio di Lily e James Potter".

"Mhh, si" annuì il rosso, sebbene Hermione ebbe l'impressione con non la stesse seguendo affatto.

"C'è qualcosa che non va?" chiese, stanca della tensione che pesava sulle loro teste come un macigno.
Sapeva che non le sarebbe piaciuto ciò che stava per lasciare la bocca di Ron, ma preferiva farla finita il prima possibile.

"Beh, è un po' strano per noi sai... vedere che all'improvviso aiuti Lucius Malfoy ad uscire di prigione".

"Non l'ho aiutato ad uscire di prigione" inspirò profondamente Hermione, sforzandosi di mantenere la calma e non trasformare la conversazione in una lotta di supremazia.
Ormai conosceva Ron abbastanza da riconoscere quando cercava un conflitto, e sapeva che era meglio soffocare le fiamme sul nascere.

"Ho a malapena fatto in modo che ottenesse un processo equo e secondo la legge, ed una condanna adeguata ai crimini da lui commess-" si bloccò quando vide il rosso alzare gli occhi al clielo e perdere interesse in ciò che stava dicendo. 

"É sempre una questione di burocrazia per te, non è vero?"

Un nodo si formò nella gola della grifona. 

Noiosa burocrazia

A quanto pare era così che le persone intorno a vedevano tutto ciò che faceva.
Non le importava affatto quando le persone in questione erano irrilevanti come Cameron o buona parte dei suoi colleghi al ministero, ma quando a pensare questo di lei erano i suoi migliori amici...

"Non si tratta di questo" provò a spiegare.
Ma come poteva?
Forse avrebbe dovuto confessare il suo segreto. Dopotutto Ron, Harry e Ginny erano un po' la sua famiglia. 

Eppure perchè l'idea di farlo la terrorizzava?
Avrebbe dovuto sentirsi al sicuro a confessare il suo segreto a loro, e invece il solo pensiero le faceva provare tutt'altro. 

Forse era lei stessa il problema se l'idea che i suoi amici conoscessero il suo segreto la terrorizzava più del fatto che Malfoy lo avesse scoperto.

"Si, va bene" disse infine il rosso, lasciando la cucina e piantandola in asso. 

Avrebbe voluto continuare a parlare, a spiegarsi, a far valere le sue ragioni. 
Eppure, adesso che si ritrovava in mezzo a queste persone, aveva l'impressione che nessuno volesse realmente sentire ciò che aveva da dire. 
Tutti la vedevano semplicemente come qualcuno disposto ad ascoltare e con cui sfogarsi, ma non erano mai disposti a ricambiare.

Provò ad inseguire Ron nella sala da pranzo per proseguire la discussione, notando con suo grande rammarico che tutti sembrarono interrompere le loro conversazioni non appena mise piede nella stanza. 
Sebbene si stesse sforzando di mantenere alte le sue barriere e non invadere la mente di nessuno, non aveva bisogno di sfruttare il suo dono per comprendere che c'era qualcosa che non andava

Improvvisamente si sentì a disagio, come se la sua presenza non fosse più molto gradita. 

Era stata accolta, si era seduta alla loro tavola, aveva conversato e condiviso con tutti loro una bella serata. 
Tuttavia non era un membro della famiglia, e quando Ron rientrò dalla cucina con la sua immancabile espressione corrugata in volto, fu chiaro a chiunque qual'era il suo ruolo.

La sua vera famiglia giaceva in una piccola e spoglia stanza del San Mungo, senza la più pallida idea di chi lei fosse.
Non era qui. 
Non era questa.

Il nodo nella sua gola si infittí, ed arrancando una squallida scusa lasciò la Tana con lo stomaco sottosopra.

***

Quando i suoi piedi atterrarono nel suo appartamento le lacrime erano sul punto di riversarsi copiosamente lungo le sue guancie, ma si sforzò di trattenerle e risparmiare a se stessa gli occi gonfi dell'indomani. 

Raggiunse invece la sua finestra, dove si trovava una piccola pergamena che doveva essere stata consegnata da poco. 
La aprì, non riconoscendone affatto la calligrafia

Avviso di colloquio per la signorina Hermione Granger

La informiamo di un repentino cambiamento nello stato mentale dei usoi genitori. Viste le loro condizioni instabili , siamo purtroppo costretti a chiederle di recarsi il prima possibile presso il nostro ambulatorio per ulteriori esami. 

Dr. Richard Friedrich

Lasciò immediatamente andare il pezzo di carta, che cadde per terra.

Qualcosa non andava.

Erano successe tante, troppe cose nelle ultime ore.

Quando aveva lasciato il San Mungo i dottori le avevano assicurato che i suoi genitori erano in condizioni stabili e che sarebbero dovuti rimanere sotto osservazione per almeno un anno dall'incidente prima di stabile che il coma in cui erano precipitati fosse irreversibile. Le avevano tuttavia garantito che fino ad all'ora c'era ancora una, seppur piccola, speranza.

Perchè la convocavano proprio adesso? 
E perchè il messaggio era arrivato su un'anonima pergamena arrotolata e non portava il sigillo ufficiale del San Mungo?

Prese a scavare tra la posta ricevuta negli ultimi mesi, tirando fuori la prima lettera ricevuta dal Dr. Friedrich.
La confrontò con quella che teneva tra le mani, notando l'evidente differenza di calligrafia. 
 
Ripensò allo strano incontro di quella mattina al ministero...

E se....

Forse era vero. 
Forse quel dottore era a conoscenza del suo segreto...

Toc.

Si voltò verso la finestra, dove un'altra lettera, questa volta trasportata da un piccolo gufo argentato, era lí ad aspettarla.

Malfoy. 

***

Erano passate diverse ore da quando Theo era uscito senza rientrare. 
Non provò neanche a pensare a dove potesse essere finito.
Riflettere su Hermione era stato sufficiente a procurargli un terribile mal di testa. 

L'unica conclusione alla quale era giunto  era che si sentiva in colpa. 

Per colpa sua la vita di Hermione era stata stravolta, e per cosa? Per liberare un ex Mangiamorte che non voleva essere aiutato?

Aveva sempre pensato che il suo piano di sfruttare l'influenza di Hermione -e il suo inarrestabile spirito grifondoro che la spingeva a far sempre la cosa giusta- avrebbe fatto filare tutto liscio e senza conseguenze.
E dopotutto, per lui, era andata esattamente così. 

Eppure adesso non si sentiva minimamente contento di ciò che aveva ottenuto, e non riusciva a far tacere quella fastidiosa voce dentro la sua testa che continuava a ripetere che era ingiusto ciò che Hermione stava passando e che, forse, adesso avrebbe dovuto essere lui ad aiutare lei.

Si portò le mani alle tempie. 

Era già terribile che nelle ultime settimane non avesse fatto altro che pensare a lei, ma addirittura preoccuparsi per ciò che stava passando...

La risposta meno spaventosa che riuscì a dare a sé stesso per giustificare il suo attuale stato era che, probabilmente, lo spirito grifondoro era contagioso come uno di quei virus babbani, ed era solo ed unicamente per questa ragione che si sentiva così insolitamente motivato a far ad ogni costo la cosa giusta per lei. 

Sospirò. 

I suoi pensieri erano semplicemente ridicoli.

Voleva starle vicino ed aiutarla, ma non era neanche sicuro che lei volesse rivederlo di nuovo. 
A giudicare dall'espressione terrorizzata con la quale era scappata via dopo aver letto nella sua mente durante il loro abbraccio, probabilmente no. 

L'unica cosa buona che poteva fare era mantenere il suo segreto e cercare di convincerla che non lo avrebbe detto a nessuno. 
Hermione doveva sapere che qualunque fossero le sue ragioni per tenerlo cosí nascosto, non avrebbe dovuto preoccuparsi. 

Si guardò intorno, trovando quello che cercava ancor prima che l'idea avesse pienamente preso forma nella sua mente. 

D'istinto afferò dalla mensola accanto al caminetto piuma e pergamena.

So che non ti fidi di me, e non hai alcun motivo per farlo, ma il tuo segreto è al sicuro, Granger

Non lo dirò a nessuno 

Rimase a guardare il piccolo uccello scomparire nell'oscurità. 

Non si aspettava di ricevere una risposta,
ma c'era qualcosa di stranamente sereno nel sedere accanto alla finestra ed ascoltare il rumore del vento che soffiava tra i pini che circondavano Nott manor, perciò rimase lì per diversi minuti. 

Non si rese conto di quanto tempo fosse passato, nè tantomeno quante ore fossero ormai trascorse da quando Theo era uscito, ma d'un tratto scorse qualcosa alla periferia del suo campo visivo. 

Il cuore si bloccò nella sua gola quando vide il piccolo gufo tornare indietro con un messaggio al becco. 

Puoi venire adesso?

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Capitolo 15
*** 15. Intoxicated ***


Era stranamente nervoso ed eccitato all'idea di vederla. Gli aveva chiesto di andare a casa sua all'improvviso, senza  nessun apparente motivo.

E lui era letteralmente schizzato giù dal divano, catapultandosi nel camino in tempo record. 

Di cosa voleva parlargli?

Che domanda stupida si disse mentre le fiamme lo avvolgevano.

Ovviamente avrebbero discusso del suo segreto, della notizia che era stata riportata dai giornali, di come fare per ripulire il nome di Hermione e convincere il mondo che no, non era sotto l'effetto di una maledizione imperio. Nè tantomeno c'era una relazione romantica di qualsiasi tipo tra di loro... 

Sperava solo che si fosse dimenticata di ciò che aveva probabilmente letto nella sua mente il giorno del processo, del fatto che trovasse il suo profumo invitantemente dolce e il suo corpo così piccolo e fragile tra le sue braccia.

E, soprattutto, avrebbe dovuto mantenere alte le sue barriere.
Hermione non doveva sapere che non aveva fatto altro che pensare a quell'abbraccio per i giorni che avevano seguito il processo, fermandosi solo per qualche occasionale litigio con suo padre.

Appena i suoi occhi la misero a fuoco, una forza dirompente, alla quale non si era affatto preparato, assalì la sua mente prima che avesse la benchè minima occasione di prepararsi.

Hermione corse tra i suoi pensieri e ricordi, sorvolando rapidamente gli eventi degli ultimi giorni e puntando direttamente a quelli riguardanti il modo in cui aveva scoperto del suo segreto. 

Rivide se stesso quel giorno a casa di lei,  quando aveva sbirciato tra la sua posta scoprendo la lettera di quello strano dottore. Percepiva l'ansia e il nervosismo di Hermione all'interno della sua stessa mente, e la rapidità con cui scavò tra i suoi ricordi rischiò di fargli mancare il respiro.
La grifoná seguí tutto il filo delle sue ricerche sul dottor Friedrich e infine arrivò al giorno del processo.
Vide che intensa meditazione fece quella mattina per prepararsi alla sua presenza, soffermandosi qualche secondo su quel momento prima di schizzare ancora in avanti, fino ad adesso.

Quando scivolò fuori entrambi rimasero immobili a fissarsi con il fiato pesante. 

"Scusa" disse Hermione, con voce tremante. "No- non sei stato tu. Ma dovevo saperlo".

Continuò fissarla mentre cercava di capire cosa fosse successo.
Aveva letto nella sua mente alla ricerca di qualcosa di specifico, ma cosa?  

Mentre riprese fiato, con le mani di Hermione che lo invitavano a prendere posto sul divano, riuscì a balbettare "Non sono stato io a fare cosa, precisamente?"

Hermione prese un respiro profondo, come per calmarsi, ma nonostante tutto  la sua mano continuò a tremare mentre afferrava una delle lettere sul tavolino, porgendogliela.

Per un momento credette che si trattasse della lettera che lui stesso aveva mandato, tuttavia la carta era logora e consumata e gli bastò un semplice sguardo per notare che non si trattava della sua calligrafia.

La lesse con estrema lentezza, non capendo molto di ciò che vi era impresso.

Era firmata dal dr. Friedrich, lo stesso dottore su cui aveva curiosato nelle ultime settimane.

Alzò lo sguardo con aria interrogativa verso di lei.

"Sei l'unico che lo sa, Malfoy" ripetè Hermione, scandendo le sillabe con tono quasi solenne. "L'unico".

Continuò a fissarla senza capire che cosa volesse realmente dire. Riabassò poi lo sguardo verso la pergamena.

"I- i tuoi genitori?" chiese, cercando di capire qualche fosse il collegamento tra sé stesso e quella lettera.

Hermione gli strappò la pergamena dalle mani, lasciandosi andare sul divano. "É-è una lunga storia, ma non sono loro il punto" sospirò.  

Dracò apri la bocca molto lentamente, quasi trattenendo il respiro, incerto su cosa lei volesse ed allo stesso momento terrorizzato di dire o fare la cosa sbagliata.
L'unica cosa di cui era certo era che  voleva restare.
E lei aveva bisogno di aiuto, perciò l'avrebbe aiutata. Qualsiasi cosa lei gli avesse chiesto di fare, l'avrebbe fatta.

Non sapeva cosa fosse successo in quel secondo in cui aveva sentito la presenza di Hermione Granger scivolare nella sua mente, ma osservando adesso le sue pupille dilatate e le sue guance rosa, ed ascoltando il ritmo dei suoi veloci respiri, sentiva che avrebbe fatto qualunque cosa lei gli avesse chiesto.

Oh, cazz-

Fortunatamente, quello sconveniente e deplorevole flusso di pensieri fu interrotto da Hermione stessa.
Si sforzò di concentrarsi sulle parole che lasciavano la sua bocca e non sul battito accelerato del proprio cuore e sul fastidioso calore del piccolo salotto.

Il fiume di parole che lasciarono la bocca della grifona nel giro di pochi minuti lo asfissiò.

Si rese conto che ciò che credeva fosse una grande scoperta e rivelazione sul suo conto, ovvero che fosse una legilimens, era in realtà solo la punta dell'iceberg.

Era in questo stato perchè aveva obliviato i suoi geniotri e poi aveva provato ad invertire l'incantesimo?

E aveva deciso di tenere la cosa segreta perchè un tipo inquietante al San Mungo aveva cercato di drogarla per studiare il suo cervello?

E questo tipo sembrava improvvisamente essere sbucato fuori dal nulla proprio dopo lo scandalo sui giornali?

Scosse la testa, cercando di mettere insieme tutto quanto, fissandola adesso come non aveva mai fatto.

Tutto questo era...

Mentre lui pensava semplicemente a come liberare quell'ingrato e bigotto di suo padre da Azkaban, Hermione Granger affrontava tutto questo completamente da sola, in più lottando giornalmente contro quegli idioti del ministero che cercavano di metterle i bastoni tra le ruote ad ogni suo passo, ed in più aiutando lui stesso a liberare il più idiota e bigotto di tutti?

Aprì la bocca, ma da essa non uscì alcuna parola.

Ogni volta che credeva di essere vicino a risolvere il contorto mistero che questa ragazza rappresentava, migliaia nuovi dettagli e sfaccettature venivano fuori.

"Mi dispiace" balbettò infine Hermione, passandosi una mano tra i capelli sciolti. "Volevo asicurarmi che non fossi stato tu a dirlo a qualcuno e-" prese un respiro profondo. "Non volevo riversare i miei problemi su di te, so che il nostro accordo é concluso, ma-"

"Te l'ho già detto, Granger" la interruppe. "Non lo dirò a nessuno. E anche se non hai alcun motivo per fidarti di me, ti dimostrerò che puoi farlo".

La osservò attentamente, mentre le sue spalle si liberavano finalmente di un po' della tensione che vi era accumulata in esse.

Si stava forse, finalmente, fidando di lui?
Sentì lo stomaco sottosopra al pensiero,  e se non fosse stato seduto su quel divano improvvisamentre non più così scomodo, lo sguardo che Hermione gli rivolse avrebbe probabilmente compromesso la sua capacità di mantenere l'equilibrio.

L'atmosfera divenne improvvisamente più rilassata, ed un po' dell'asfissiante calore della stanza sembrò dissolversi. Il suo cuore, tuttavia, non accennava a rallentare.

Attese silenziosamente che fosse lei a parlare per prima, osservandola mentre sfregava le mani sudate sulla sua orrenda gonna marrone.

"Trovo solo che sia un po' sospetto" riprese, fissando la lettera richiusa sul tavolino. Con una mano si sistemò i capelli dietro l'orecchio, abbastanza da scoprire la pelle liscia e bianca del suo collo.
"É strano che questo messaggio sia arrivato il giorno stesso dello scandalo sui giornali".

Draco scosse la testa, temendo per un momento di aver perso qualche parte della conversazione. Insipirò lentamente per qualche secondo, così da concedere il tempo alla sua mente annebiata di formulare una frase che avesse un senso. "Capisco quello che intendi, ma se qualcuno sta effettivamente cercando di tenderti un trappola, credo che sia un tentativo un po' maldestro... Che senso ha lasciare una scia di indizi così evidente?"

"Non ne sono sicura" sospirò Hermione.

Draco deglutí, nervoso e allo stesso tempo eccitato dal fatto che i suoi occhi lo osservavano in attesa di risposte. "Non dico che non sia effettivamente inquietante ciò che questo Prichett probabilmente vuole da te, ma é solo il delirio di un povero mago di mezza età, neanche troppo sveglio, direi" spiegò.

Osservò attentamente il volto di Hermione, cercando di studiare la reazione che le sue parole stavano provocando senza perdersi neanche un dettaglio. Incoraggiato dal modo in cui le sue labbra sembrarono incurvarsi appena contro le sue guance, proseguí.

"Non so, ma cosa spera di ottenere? Il suo piano dovrebbe essere farti andare al San Mungo, drogarti e aprirti il cervello?" nonostante ciò che avesse appena descritto fosse grottesco e raccapricciante, l'angolo della bocca di Hermione si incurvò ancora di più, e le sue labbra si schiusero appena, lasciando intravedere i suoi denti bianchi.

Fu incoraggiato a continuare.

"Anche se fosse, é tutto così goffo e delirante che persino a me sono bastati pochi minuti per venire a capo del suo piano". Mise via la lettera, notando che gli occhi di Hermione erano fissi sul suo volto.
"Penso che questo tizio sia un totale idiota se pensa di poter battere in astuzia una delle streghe più brillanti che si siano mai viste"

Hermione spalancò la bocca.

Draco osservò quelle iridi marroni per un secondo di troppo, prima di rendersi conto di quali parole avevano effettivamente lasciato la sua bocca.

Abbassò lo sguardo verso le proprie gambe, improvvisamente in imbarazzo.
Poteva sentire che Hermione lo stava ancora fissando, ma non trovò il coraggio di guardarla negli occhi.

Lui non era come lei, in fondo. Era lei l'impavida e coraggiosa grifondoro, quella capace di mantenere il contatto visivo finché le sue povere ginocchia non iniziavano a tremare.

Diresse lo sguardo verso il proprio corpo, in attesa che la forza che gli serviva per guardarla negli occhi senza che il suo stomaco si contorcesse su se stesso sorgesse da qualche parte nel suo inconscio.
Notò con un po' di sorpresa che erano molto vicini.
In che punto della conversazione si era avvicinato cosí tanto a lei? Non se ne era reso conto.
La sua gamba sfiorava quella di Hermione. Appena se ne accorse, spostò appena il proprio ginocchio, come se la pelle di lei bruciasse.

Hermione sospirò.

Quel sospiro pesante fu abbastanza per far si che i suoi occhi ritornassero sul volto di lei, attratti da una forza più grande del suo stesso imbarazzo.

Il respiro di Hermione era accelerato e le sue labbra rosa leggermente socchiuse.

In quell'istante tutto si spense nella sua mente perennemente all'erta e calcolativa. 
Non c'era più nulla se non una piccola, stupida e folle idea, che piano piano risaliva dalla profonditá in cui l'aveva seppellita. 

***

Hermione non riusciva a controllare il ritmo sfrenato dei propri battiti, e più si sforzava di respirare lentamente, più l'aria lasciava la sua bocca sotto forma di celeri sospiri.

La vicinanza del corpo di Draco non aiutava, né la vista magnetica delle sue pupille che si dilatavano, non separandosi da lei neanche per quel millesimo di secondo che gli sarebbe servito a sbattere le palpebre.
Quel suo sguardo era abbastanza da farle tremare le ginocchia.
Provò a distrarsi da esso, commettendo il terribile errore di scendere verso il basso,  ritrovandosi così ad osservare le sue labbra.

Voglio baciarti

Sussulto quando la voce di Draco rimbombó nelle sue orecchie, non riuscendo a capire se avesse effettivamente parlato oppure no.

No, non poteva avere parlato.

Le sue labbra non si erano mosse.

Erano rimaste immobili, leggermente schiuse. Data la vicinanza dalla quale le stava osservando, poté notare un piccolo taglio, che solcava il suo labbro inferiore da un capo all'altro, scomparendo verso la profondità.
Era talmente vicina che le sembrava di poter vedere l'aria entrare e uscire dalla sua bocca socchiusa, mentre l'odore del suo dentifricio alla menta intossicava le sue narici.

E poi il suo cervello si spense.

Le sue labbra furono avvolte dalla morbidezza e dal calore di quelle di Draco. 

 Fu un semplice contatto, un timido sfiorarsi, un tocco così delicato da essere quasi impercettibile.

Ma fu abbastanza da farle sapere che le labbra di Draco Malfoy sapevano di menta, e che sentirle contro le proprie era ancora meglio che limitarsi ad osservarle.

***

La lingua di Hermione percorse il profilo del suo labbro inferiore ed un gemito lasciò la sua bocca.

La attirò a se, avvolgendo un braccio intorno alla sua vita.
Con l'altra mano risalì lungo suo il collo, fino a raggiungere la sua guancia soffice e calda.
Le sue dita si incastrarono tra i suoi capelli sciolti e arruffati, mentre i denti di Hermione tormentavano le sue labbra.

Non si era mai sentito così.

Era intossicato da lei.

Hermione era riuscita ad impossesarsi del suo corpo e della sua mente in modo così lento e subdolo che non se ne era neanche reso conto.

Eppure era successo: i suoi sensi erano totalmente sopraffatti da lei, dal suo profumo, dal sapore delle sue labbra, dal modo in cui il suo corpo rispondeva al suo tocco e si incastrava contro il proprio. 

E la sua mente... quella era andata da tempo, persa nel labirinto senza via di uscita che era questa strega. 

Poi, all'improviso, la sensazione della lingua di Hermione contro la propria scomparve, e sentì il suo corpo irrigidirsi contro il suo petto.

Aprì gli occhi.

Hermione aveva le guance arrossate, una vista dalla quale ormai stava diventando dipendente, e le sue labbra erano umide e gonfie.

Si perse ad osservarle, pensando a quanto volesse perdersi in esse di nuovo. 

***

Aveva baciato Malfoy. 

Il modo in cui la stringeva rischiava di farle perdere il controllo. Non sapeva come, e dove, avesse trovato la forza di separarsi dalle sue labbra. Non era stato facile, ma se non si fosse separata da lui adesso non era sicura fino a che punto si sarebbe spinta.

Ma cosa stava pensando? Era Malfoy quello che aveva baciato...

Mentre il calore del suo corpo contro il proprio si affievoliva leggermente cercò i suoi occhi, forse per accertarsi che ciò che era successo era reale, ma notò che erano fissi sulle proprie labbra.

Draco si morse il labbro inferiore. La sua presa su di lei non vacillò, così come nemmeno il suo sguardo.

"Hermione" disse, sospirando lentamente.

Non riuscí a trovare la forza, o forse l'ossigeno, per ciò che avrebbe voluto dire. Rimase ferma ad osservarlo, non sapendo se sperasse che la baciasse di nuovo o se ne andasse.

Dopo qualche secondo ancora, la presa di Draco si allentò, fino a separarsi da lei.
Indietreggiò di un centimetro sul divano, abbastanza perchè sentisse la mancanza del calore del suo corpo, ma non abbastanza da impedire alle sue narici di continuare ad essere intossicate dal suo profumo. 

Scosse la testa, sforzandosi di recuperare la lucidità e rallentare il ritmo dei propri respiri, in modo che un po' di ossigeno riuscisse finalmente a raggiungere il suo cervello.
Fu solo allora che finalmente i suoi polmoni riuscissero a riempirsi abbastanza da permetterle di parlare.

"Ho..." disse. "Ho bisogno di riflettere" lo guardò. "Riguardo alla lettera" aggiunse immediatamente. "Lucidamente. Adesso si é fatto tardi, e-"

Non trovava il fiato per finire la frase, il suo cuore batteva all'impazzata e sentí che le sue gambe tremavano.

Malfoy si alzò dal divano, annuendo leggermente.

Quando lo raggiunse in piedi qualche secondo dopo, le sue ginocchia erano molli come spaghetti scotti.

Arrivò davanti al caminetto, porgendogli il sacchetto di metropolvere senza il coraggio di guardarlo negli occhi.

Draco lo prese dalle sue mani lentamente, sfiorando le sue dita per un secondo di troppo, mentre il cuore minacciava di schizzare fuori dalla sua gabbia toracica.

"Ti vedrò domani?" disse, allontanandosi da lei ed infilandosi nel caminetto.

"S-"

Voglio vederti domani

Alzò finalmente lo sguardo su di lui. I suoi occhi la fissavano intensamente. Il suo volto aveva preso colore, e le sue mani stringevano un pugno di metro polvere.

Stava aspettando una sua risposta, ma il suo cervello sembrava aver perso contatto con la sua bocca.

"Si" ripeté in un sospiro.

Rimase ad osservarlo.

Il suo sguardo rimase fisso su di lei finche le fiamme non lo avvolsero, portandolo via.

Quando fu da sola, le sue ginocchia cedettero definitivamente. Il suo cuore continuò a martellare senza sosta, come se non volesse fermarsi mai, e le sue dita accarezzarono il profilo delle proprie labbra.

Aveva baciato Malfoy.

Aveva baciato Draco Malfoy.

Ed era stato il miglior bacio della sua vita.

***

"Che cosa sai?"chiese Draco mentre si mordeva l'interno della guancia per trattenere il nervosismo.

Non voleva credere che fosse stato il suo amico a rivelare il segreto di Hermione, segreto che tra l'altro lui non aveva mai realmente rivelato. Tuttavia, conoscendo Theo, sapeva che si divertiva ad apparire più stupido di quanto fosse in realtà, e ciò che gli aveva raccontato gli aveva forse dato modo di intuire quale fosse il misterioso segreto di Hermione.

Il problema non era tuttavia quanto fosse più o meno stupido il suo migliore amico, ma il fatto che avesse rivelato a qualcun'altro ciò che lui gli aveva confidato.

Theo fece inizialmente il finto tonto. "Devi dirmi a cosa ti riferisci" rispose, facendo spallucce.

Draco insipirò profondamente, serrando la mascella. "Lo sai di cosa parlo".

"Sul serio?" rise Theo.

Draco serrò le labbra. Una vena sul suo collo pulsò per il nervosismo.

"Ascolta amico, nonostante la mia immensa intelligenza e gli indizi che ti sei lasciato dietro, non ho idea di cosa stia succedendo a Granger" disse. "So solo che é qualcosa di grosso, e sono abbastanza sveglio da sapere quando é il caso di farmi gli affari miei".

Draco alzò un sopracciglio, momentaneamente perplesso. Dopodiché rilassò le spalle, constatando che il suo amico aveva effettivamente ragione. Qualsiasi cosa ci fosse sotto, probabilmente non valeva neanche la pena di preoccuparsi.

Razionalmente sapeva che era così, eppure ultimamente quando si trattava di Hermione la sua razionalità sembrava abbandonarlo.

"Ti va di parlare finalmente di questa apprensione per Hermione Granger?"

Draco si lasciò andare, appoggiandosi alla poltrona e poi, viste le sue ginocchia ancora deboli, sedendosi definitivamente.
Si portò le mani alle tempie, chiudendo gli occhi e sospirando con frustrazione.

"Draco..." Theo si avvicinò molto lentamente, come se temesse che potesse scappare via se avesse fatto un movimento troppo brusco. "Non ti ho mai visto così".

C'era un sottile velo di curiosità nel suo tono, ma sopra quello una seria preoccupazione.

"Cosa succede?" Domandò il ragazzo.

Draco apri gli occhi, lasciando andare un verso di rabbia e frustrazione. "Io-" balbettò.

"Qualsiasi cosa sia, spara" lo incoraggiò Theo. "Non ti vedevo così combattuto da quando mi hai raccontato di quello" disse, indicando il suo avambraccio con aria perplessa. "Perciò sono pronto a tutto".

Il biondo si portò le mani ai capelli, spettinandoli ulteriormente, e si morse il labbro al pensiero di ciò che stava per rivelare.

Theo parve notare quel gesto. "Oh-"

"Cosa?" Alzò lo sguardo Draco.

"Niente" Theo lo scruto. "Dimmi pure"

"Ho-" tossí.
  "Ho baciato Hermione".

***

Pansy continuava a fissare quella porta che non era mai stata in grado di oltrepassare.

Sin da quando era bambina, suo padre si rinchiudeva nel proprio studio per ore e ore: nel momendo in cui spariva dietro quella porta sapeva che non lo avrebbe rivisto per diverse ore. 

E né lei, né tantomeno sua madre, avevano mai oltrepassato quella soglia. Non erano mai riuscite a scoprire cosa si nascondesse dietro quella tavola di legno finemente decorata.
Tuttavia sua madre, a differenza sua, non aveva mai provato il desiderio di scorpirlo.
Dopo la morte del marito la signora Parkinson aveva anzi deciso di mettere tra sè stessa e quella porta quanta più distanza possibile, trasferendosi in un altro continete.
Pansy però non riusciva a dar pace alla sua curiosità.
Più i suoi incantesimi per cercare di buttare giù quella porta maledetta fallivano, più essa cresceva.

Ciò che Theo aveva suggerito aveva senso, ma era un opzione che ancora non aveva avuto il coraggio di considerare.
 
Secondo lui sarebbe dovuta andare al ministero a richiedere che mandassero qualche esperto di magia oscura a valutare il contenuto di quella stanza.

"Questione di sifurezza pubblica", continuava a ripetere Theo.

I loro padri erano mangiamorte, perciò secondo la legge le loro case avrebbero già dovuto essere opportunamente esaminate e ripulite da qualsiasi traccia di magia oscura.

Tuttavia il ministero sembrava non avere alcun interesse nel fare ciò, o forse era troppo occupato a fare altro. Per questo motivo Theo aveva sostenuto, con particolare insistenza, che avrebbe dovuto procurarsi un avvocato, magari uno di quelli bravi, e sfondare le porte del ministero a colpi di raffinata burocrazia. Un po' come aveva fatto Malfoy.

Pansy aveva alzato gli occhi al cielo, non cedendo alla sua palese provocazione, ma adesso, continuando a fissare quella porta chiusa e chiedendosi per la milionesima volta cosa si celasse al di dietro, decise che tanto valeva fare almeno un tentativo.

Dopotutto era suo padre l'ex mangiamorte. Ed era morto. Perchè doveva sentirsi come se fosse lei la criminale?

La mattina seguente a quella lunga notte di riflessione raggiunse esitante l'ingresso del ministero.

Gli sguardi che ricevette una volta messo piede all'interno le ricordarono il motivo per cui aveva sempre evitato di chiedere aiuto. 
Si sforzò di ignorarli, guardando verso le proprie scarpe mentre camminava per il corridoio affollato alla ricerca dell'ufficio al quale avrebbe dovuto rivolgersi. 

Ovviamente la sua esperienza con la burocrazia magica non era delle migliori, e le poche volte in cui era stata in questo posto aveva esplorato solo le aule dei processi, non si era mai ritrovata ad immergersi nel caos di gente che corre, scartoffie che volano e creature di tutti i tipi che occupano gli uffici. 

Una volta raggiunto il secondo livello dell'edificio, fortunatamente, tutti sembravano fin troppo impegnati persino per guardarla male.

Camminò lentamente, scrutando tutte le targhette goffammente assegnate a ciascun ufficio, cercando di capire quale fosse la porta alla quale avrebbe dovuto bussare e allo stesso tempo cercando di passare il più possibile inosservata.

"Lascia stare queste stupide idiozie" urlò qualcuno dietro una porta socchiusa nel bel mezzo del corridoio. 

La targhetta al di fuori di essa suggeriva che potesse essere proprio ciò che stava cercando. Alzò la mano a mezz'aria, valutando se fosse il caso di bussare.

"Non capisci, la mia teoria potrebbe essere vera. E se io avessi ragione sulla ragazza-"

La mano di Pansy esitò, ritraendosi lentamente. Forse avrebbe dovuto aspettare altrove.

"Non me ne frega niente delle tue strampalate teorie" imprecò la donna, catturando fin troppo la curiosità della serpe perchè si allontanasse e smettesse di origliare. "L'unica cosa che dovevi fare era screditare Hermione Granger. Avresti potuto scrivere qualsiasi cosa sulla sua cartella clinica e sarebbe andato bene, ma se sei stato totalmente inutile" imprecò ancora. " É solo una fortuna che quella ragazzina abbia deciso di allearsi con il mangiamorte in disgrazia e mi abbia facilitato il lavoro".

Pansy, dimenticandosi ormai persino del motivo per cui era lì, sbirciò dalla porta socchiusa, giusto in tempo per vedere una donna vestita di viola stendere i suoi piedi tozzi sulla scrivania. 

Un uomo dalla pessima capigliatura sedeva di fronte a lei. Non vide il suo volto, ma il retro della sua testa spelacchiata era un'immagine talmente raccapricciante che difficilmente l'avrebbe dimenticata.

"Non mi interessa della politica, Cam. Questa è scienza"

"Ah-" rise la donna. "Questa è bella. Nemmeno ai tuoi stessi colleghi importa qualcosa della tua scienza" scosse la testa, portandosi una mano tra i capelli e liberandoli dallo stretto chignon in cui erano raccolti. "La politica è tutto, fratellino. É cio su cui si fonda la nostra società. E sono delle fondamenta piuttosto fragili di questi tempi. Così fragili che i deliri di  una ragazzina sanguemarcio riescono a farle tremare. E loro hanno mandato me ad occuparmene" sbuffò.

Quando riaprí la bocca per riprendere il proprio sfogo, tuttavia, le parole rimasero bloccate sulla punta della sua lingua.

Pansy trattene il respiro, facendo lentamente un passo indietro, mentre la porta di spalancava di colpo rischiando quasi di colpirla in pieno volto.

I volti tozzi e baffuti dei due la fissarono con un' espressione corrugata. Tuttavia, mentre lo sguardo dell'uomo pareva quello di un povero mago delirante, gli occhi della donna la fecero rabbrividire.

"Come posso aiutarti cara?" chiese, abbassando immediatamente le gambe dal tavolo e lisciandosi i capelli unti con una mano.

Pansy strinse il mucchio di scartoffie che si era portata dietro contro il proprio petto, ispirando a pieni polmoni e a testa alta.

Dopodiché fece un passo avanti nella stanza, mentre la propria mentre correva all'impazzata.

Doveva parlare con Draco.

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Capitolo 16
*** 16. Domani, e il giorno dopo ancora ***


Non era riuscita ad alzarsi dal letto quella mattina, e solo le poche ore in cui la sua mente era sprofondata nell'oscurità del sonno le avevano dato modo di distrarsi dal pensiero di quel bacio.

Aveva baciato Malfoy.

I suoi polpastrelli tornano a sfiorare le proprie labbra, mentre ripensava alla sensazione di quelle di Malfoy su di esse. Non andava fiera della direzione che i propri pensieri stavano prendendo. Quel bacio era sicuramente stato un errore. Malfoy non era neanche un suo amico... E anche se lo fosse stato, era totalmente inopportuno e sconviente che la propria mente formulasse certi pensieri riguardo ai propri amici.

Avrebbe dovuto alzarsi. Fermare adesso quel susseguirsi di immagini deplorevoli all'interno della sua testa raggiungendo il bagno e versandosi un bel po' di acqua ghiacciata sul viso.

Tuttavia quella semplice vocina nella sua testa che la spingeva a fare le cose questa volta non era abbastanza forte.
Forse solo un richiamo proveniente dall'esterno sarebbe stato in grado di farla alzare. Un richiamo forte come....

Il campanello.

Saltò giù  dal letto sollevata e al contempo seccata da questa conveniente interruzione, correndo alla porta con il cuore in gola. Tirò un sospiro di sollievo quando, osservando dallo spioncino, si rese conto che ad aver suonato era stata Ginny.

Cercò di calmare il ritmo dei propri battiti con qualche respiro profondo, ma rendendosi conto dell'inutilità della cosa aprì rassegnata la porta, facendo nota mentale di evitare il caffè per quella mattina.

La rossa si precipitò nell'appartamento sembrando non prestare alcuna attenzione all'evidente agitazione di Hermione.

Si appoggiò in maniera non apparentemente stabile ad uno sgabello della cucina, iniziando a vomitare su di Hermione un fiume di parole che il suo cervello, ancora annebbiato dal sonno e dal ricordo della notte precedente, fece fatica a seguire.

Riuscì solo a comprendere la parola "scusa" in mezzo a quel fiume senza fine, cosa le fece sbattere le palpebre e scuotere la testa.

"P-per cosa?" chiese, invitando Ginny a sedersi e spiegarsi meglio, anche perché non riusciva a concentrarsi mai realmente sulla conversazione quando la sua amica si ostinava a dondolarsi sul bordo dello sgabello, dandole l'impressione che potesse ribaltarsi da un momento all'altro.

"Beh, per ieri sera" rispose la rossa, fissandola come le fosse spuntata un'altra testa.

Hermione abbassò lo sguardo. Dopo ciò che era successo con Draco e quella lettera, aveva quasi dimenticato la non così piacevole serata trascorsa alla tana. 

"Mi dispiace non aver avuto un momento per parlare con te" continuò Ginny, alzandosi dallo sgabello e avviandosi verso i fornelli come se fosse a casa propria. Con un colpo di bacchetta mise su l'acqua per il the.

Hermione non si lamentò, anzi ne fu grata. Le sue ginocchia sembravano non aver ancora ripreso la loro totale solidità dopo che il bacio di Malfoy le aveva ridotte alla consistenza di un budino sciolto.

"Non preoccuparti" riuscì a replicare quando si accorse che Ginny stava ancora aspettando una risposta. Poi, considerando che forse sarebbe stato meglio che fosse lei a parlare, chiese "Dimmi... va tutto bene?"

La rossa sospirò, riempiendo due tazze di the e mettendosi finalmente seduta come un normale essere umano.  "Beh, non proprio".

Hermione sfiorò appena con le labbra il bordo della tazza fumante. Era meglio lasciar parlare Ginny. 

Al suo silenzio, fortunamente, la rossa prese un respiro profondo ed iniziò il suo racconto.

Hermione ebbe finalmente modo di comprendere cosa era successo tra Harry e Ginny in quel lungo periodo e perdersi nella parlantina della sua amica riuscí, per diversi minuti di fila, a distrarre la sua mente dal ricordo delle labbra di Malfoy sulle proprie.

***

"Allora, come è andata?" chiese Theo, pur potendo già immaginare la risposta dall'aria affranta e scocciata sul volto di Pansy.

Pansy si gettò sul divano, non disturbandosi di chiedersi dove fosse Draco, e dimenticandosi persino di porsi il dubbio riguardo a Blaise. Lasciò andare la testa contro la spalliera con aria tragicomica, mentre le sue labbra si aprivano in un sospiro. "Un disastro, ovviamente".

"Beh, non potevi certo aspettarti che sarebbe stato così facile" affermò il ragazzo, alzando le spalle come se stesse constatando l'ovvio.

Pansy spalancò la bocca indignata. "Eppure se sei stato tu a dirmi che era un mio diritto e che sarei dovuta andare al ministero"

Theo si mise comodo accanto a lei. "Ho detto la verità. È un tuo diritto. Tuttavia sai com'è, non sempre questi vengono rispettati".

"Beh" sospirò Pansy "non ho voglia di parlare di questo adesso. Sono qui per un altro motivo in realtà".

Si alzò, non con l'intenzione di andarsene ma camminando avanti e indietro davanti al caminetto nel tentativo di riportare le esatte parole che aveva origliato.

"Dov'è Draco?" Chiese.

Theo fece spallucce. "Bella domanda. Quando lo trovi fammi sapere".

Pansy sembrò rimuginarci un po', ma poi decise che tanto valeva parlarne prima con Theo. Draco si sarebbe fidato di più di lui, dopotutto.
"Forse dovrebbe sapere una cosa".

***

Aveva detto di si.

Si sarebbero rivisti. Forse quella stessa sera. Probabilmente quella sera.

Era disperatamente nervoso, forse perchè non sapeva bene che cosa avrebbe dovuto aspettarsi.
Nella sua mente scenari su scenari differenti si susseguivano, e stranamente i suoi pensieri sembravano migliorare minuto dopo minuto, senza deviare nelle direzioni piu macabre e oscure come succedeva negli ultimi mesi ogni qualvolta perdeva il controllo. 
Era bello passare il tempo semplicemente pensando, lasciando vagare la mente in un susseguirsi di immagini, idee, ricordi e, per quanto non lo avrebbe ammesso neanche sotto cruciatus, fantasie che credeva di aver abbandonato da anni.

Si era dimenticato quanto fosse effettivamente piacevole lasciarsi andare, quanto ci si sentisse leggeri a non dover mantenere continuamente il controllo della situazione, sempre all'erta.
E si era dimenticato quanta energia avesse effettivamente a dispozione nel proprio corpo quando non la consumava tutta nello sforzarsi di mantenere alte le sue barriere mentali 24 ore su 24. Era qualcosa di estenuante bloccare costantemente i propri stessi pensieri.

Ma che scelta aveva avuto?
L'alternativa era quella o un continuo susseguirsi di attacchi di panico. Non credeva sarebbe mai stato possibile per se stesso ritornare a pensare ad altro che non fosse la guerra, Voldemort e gli orrori a cui aveva assistito.
Ma dopo aver provato la sensazione delle labbra di Hermione, e del suo corpo soffice e caldo contro il proprio, sembrava quasi assurdo riuscire a pensare ad altro.

Era così assorto a ripensare a quel bacio, a cio che sarebbe potuto succedere tra lui ed Hermione, a tutte le cose che avrebbe voluto chiederle, e a tutte quelle invece che avrebbe preferito scoprire da se, che gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che la fiamma del caminetto della sua camera da letto si era accesa.

Scattò in piedi giusto in tempo per ritrovarsi faccia a faccia con Theo, mentre la cenere si sollevava ancora una volta, trasportando a questo giro Pansy. 

Li guardò dapprima sorpreso. Poi, notando l'aria apparentemente preoccupata che entrambi sembrvano avere, cambiò espressione. Avrebbe chiesto in un altra occasione come aveva fatto Theo ad oltrepassare l'incantesimo di blocco che aveva  impostato. 
Si trattava di Theo, dopotutto. Silente in persona avrebbe fatto fatica a tenerlo fuori da qualcosa una volta che si era messo in testa di entrarci.

"Che cosa succede?" Chiese immediatamente, fissando Theo dritto negli occhi ed ignorando completamente Pansy. Non era da Theo apparire preoccupato, o lontamente serio, ma le poche volte in cui aveva visto questa espressione sul volto del suo amico erano state sufficienti affinché la memorizzasse.

Theo guardò verso Pansy per tre lunghissimi secondi, finché finalmente Draco non portò il suo sguardo su di lei. A differenza di Theo, non sembrava così nervosa, cosa che gli fece supporre che qualcunque cosa avesse da dire, sicuramente riguardava Hermione.

"Allora?" domandò impaziente, alternando lo sguardo tra i due.

Pansy sollevò appena le spalle e guardò di nuovo verso Theo, come se non sapesse da dove cominciare, il che non fece nulla di buono per il nervosismo del biondo.

Poi, dopo dieci lunghissimi e silenziosissimi secondi, finalmente Theo parlò.

"Siediti, Draco".

Sedersi?

Si presentavano a casa sua con delle facce che sembravano preannunciare lo scoppio di una terza guerra magica e la prima cosa che gli dicevano era di sedersi?

Ora, se c'era una cosa che proprio non avrebbe fatto era sedersi.

Dal modo in cui Theo lo guardò, dedusse che aveva capito la direzione che i suoi pensieri avevano preso, cosa che non fece altro che innervosirlo ulteriormente. Ma da quando era diventato così un libro aperto?

Inspirò, preparandosi a bombardare il suo amico di domande, ma Pansy lo precedette.

"Riguarda Hermione Granger" disse. Lo fissò come se da un momento all'altro potesse spuntargli un seconda testa, e si rese conto che stava studiando la sua reazione. Tuttavia, era fin troppo andato per preoccuparsi che Pansy scoprisse che era innamorato di Hermione.

Al diavolo, che lo scoprissero tutti. Sarebbe andato lui stesso a rivelarlo alla Skeeter se solo qualcuno si desse una mossa a spiegargli cosa diamine stava succedendo. Alzò le sopracciglia con aria impaziente, premendo le unghie contro i suoi palmi per trattenere il suo crescente nervosismo. 

Dopo un eternità, Pansy finalmente iniziò a spiegarsi. 

"Sono andata al ministero questa mattina" disse, facendo saettare lo sguardo tra lui e Theodore. "Per l'ufficio di mio padre. Sai, la porta" abbassò lo sguardo, scuotendo la testa. "comunque, non è importante. Mentre ero lì, ho origliato una conversazione, qualcuno stava parlando di Hermione".

"Chi?" chiese Draco. Le parole lasciarono la sua bocca prima che potesse fermarle, ma al momento non poteva importagliene di meno. 

"Una donna, la Prichett. Era insieme ad un uomo, un po' stempiato-"

"Il dottore" la interruppe, serrando la mascella. 

"Non é lui il punto" replicò immediatamente Pansy, cercando ancora un volta con gli occhi l'aiuto di Theo, che finalmente sembrò aver deciso che era arrivato il momento di ristabilire l' ordine nella conversazione.

"Infatti" parlò Draco, interrompendo Theo nel momento esatto in cui aprí la bocca. "É solo in pazzo delirante, no?"

Theo provo di nuovo ad intervenire. "Si ma-"

"Non potrebbe realmente fare del male ad Hermione neanche se lo volesse"

"Si, ma-" provò ancora una volta ad intromettersi Theo, ovviamente senza successo.

"Come crede di potersi mettere contro Hermione Granger? Ha affrontato Bellatrix per l'amor del cielo-"

"Drac-" provò ancora una volta Theo, indeciso se fosse realmente il caso di provare a interromperlo o godersi lo spettacolo fino a quando sarebbe durato.

"Per non parlare di Voldemort in persona. Potter non sarebbe durato dieci minuti senza di le-"

"Oh per Salazar e Merlino vuoi lasciarci parlare?!" sbottò Pansy, facendo saettare la testa di Theo con una rapidità tale da fare scrocchiare le sue vertebre cervicali.

Non era una cosa comune vedere Pansy perdere la pazienza. Infatti, anche Draco parve così sorpreso da quell'intromissione da interrompere il suo delirante monologo (e tutto il divertimento di Nott).

"Non é il dottore il problema" riprese Pansy, scandendo bene ogni parola e sfidandolo con gli occhi ad interromperla a suo rischio e pericolo. "Ma-" riprese "la signora Pritchett, sua sorella".

Draco alzò le sopracciglia, mordendosi la lingua nel tentativo di non interrompere.

"Lavora nello stesso ufficio di Hermione" aggiunse Theo.

Draco annuí, ricordando vagamente una signora con dei baffi da topo che minacciava di farlo rinchiudere ad Azkaban solo per aver messo piede all'interno del ministero.

"L'ho sentita dire che qualcuno l'ha incaricata di screditare Hermione".

Draco sbatté più volte le palpebre.

"Pare che qualcuno al ministero voglia farla fuori" aggiunse Theo. "Burocraticamente, si intende" specificò poi, vista l'evidente apprensione di Draco.

Draco rimase fermo, riflettendo su ciò che gli stavano dicendo. Era logico, dopotutto. Non era nulla di nuovo il fatto che chiunque al ministero cercasse in ogni modo di ostacolare il lavoro di Hermione. Eppure c'era qualcosa di leggermente inquietante nel fatto che avessero appositamente incaricato qualcuno di screditarla, seppure la cosa non lo stupisse. E aveva lo strano presentimento che ci fosse qualcosa di più grosso sotto che semplicemente il desiderio di qualcuno di far fare una brutta figura ad Hermione. Senza considerare, poi, che a quanto pare il motivo perfetto per screditarla pubblicamente lo aveva offerto lui stesso a quegli sciacalli. Ed era inutile che raccontasse a se stesso che non gli importava. 
Era una bugia: gli importava eccome. Non voleva che Hermione soffrisse per averlo aiutato. Non voleva che Hermione soffrisse e bassa. Salazar...

"Draco, tutto bene?"

Riemerse da quella spirale di pensieri quando Theo lo richiamò alla realtà. Doveva parlare con Hermione. Subito. Sperando che sarebbe stata a casa, ma probabilmente si.   

Annuí rivolto verso Theo. Purtroppo o per fortuna, non aveva bisogno di spiegare ciò che gli stava passando per la testa. Aveva il vago presentimento, o forse la certezza, che Theo fosse a conoscenza della natura dei suoi sentimenti.
Forse da prima che se ne fosse accorto lui stesso.

"Cosa dovremmo fare?" chiese Pansy, con un tono così poco sarcastico, o, avrebbe osato dire, sincero, da fare voltare entrambi i ragazzi verso di lei.

I due la guardarono come se si fosse appena trasformata in un Ippogrifo. Non uno qualsiasi, ma uno con le piume arcobaleno e probabilmente più di una testa.

"Che c'è?" sbottò, indossando un espressione il cui obiettivo -fallito- era probabilmente quello di recuperare la sua solita facciata di disprezzo. "Granger ha aiutato tuo padre, il minimo che tu possa fare é ricambiare il favore, no?"

Draco sbattè le palpebre. Più volte.

Se il sangue non stesse ribollendo nelle sue vene per l'incontenibile desiderio di correre da Hermione ed informarla di ciò che aveva appena sentito, e rivederla, e magari parlare di ciò che era successo tra loro -o magari, Merlino lo perdoni per questo pensiero- non parlare affatto, sarebbe stato più che propenso ad approfondire questo improvviso strano atteggiamento della sua amica.

Theo sembrò pensarla allo stesso modo, seppure, a differenza del biondo, sembrava esserci sul suo volto uno strano velo di divertimento per tutta questa situazione che Draco non riusciva a spiegarsi.
Ma erano poche le cose di Theo al quale riusciva effettivamente a trovare una spiegazione.

"Devo parlarne con lei" disse, risoluto.

Theo e Pansy continuarono a fissarlo con delle espressioni da ebeti.

"Adesso" aggiunse, come se non fosse scontato. Davvero, perché erano ancora qui?

Perse la pazienza, avviandosi per il caminetto. "Restate pure qui se volete" sbottò, sperando internamente che non considerassero realmente il suo invito. Infilò un piede all'interno mentre il suo pugno stringeva una manciata di metropolvsre. "Solo, evitate di scendere al piano di sotto" disse infine, recitando più sottovoce che potè l'indirizzo di Hermione e pregando di non finire in un caminetto dal capo opposto della Gran Bretagna.

***

Raggiunse casa di Hermione nel momento esatto in cui la sua mente formulò un logico e più che appropriato pensiero: sarebbe stata a casa?

Non aveva neanche idea di che ore fossero. Sicuramente era parecchio in anticipo rispetto al solito orario in cui si vedevano.

A conferma della sua esatta, seppur ritardata, intuizione, l'appartamento di Hermione era immerso nell'oscurità. Due tazze probabilmente vuote giacevano sul tavolo della cucina, visibile dal salotto, e dalla porta della camera da letto non proveniva alcuna luce che indicasse che Hermione fosse al suo interno.

Fece un passo fuori dal caminetto, fissando l'orologio sopra di esso. Erano le sette.

Due ore.

I loro soliti appuntamenti erano alle 21. Era un po' strano, in effetti. Cosa faceva Hermione Granger il resto della giornata? O meglio, almeno, dal momento in cui rientrava dal lavoro fino a quell'ora?

Per Salazar e Merlino, aveva letteralmente letto nella sua mente per settimane, eppure adesso non riusciva a rispondere a questa singola e stupida domanda su di lei.

I suoi occhi vagarono di nuovo verso la porta chiusa della sua camera da letto, e la sua mente ripensò a ciò che aveva visto di lei, lì dentro, nella sua testa...

Oh.

Oh no

Non adesso

Quanto tempo era passato?
Mesi?
Forse addirittura un anno...

Il suo pene premette contro la zip dei suoi pantaloni, improvvisamente troppo stretti.
Era dai tempi di Hogwarts, quando era stato nel pieno della sua tempesta ormonale, che non gli capitava di eccitarsi così nel bel mezzo di una situazione decisamente sconveniente.

Quando aveva visto quel ricordo nella mente di Hermione si era sentito divertito, incuriosito persino. C'era sicuramente qualcosa di interessante nel sapere che la supereroina del mondo magico non trovava la vita sessuale con il suo eroe-compagno appagante. Tuttavia, non si era sentito eccitato.

E, stranamente, quell'immagine era rimasta seppellita in qualche angolo remoto dei suoi ricordi. La sua mente fuori controllo si era dilettata nelle più creative fantasie.
Ma adesso....
Adesso vedeva solo l'immagine di Hermione che si masturbava. Non aveva bisogno di chiudere gli occhi, ma anche con gli occhi aperti aveva l'impressione di non riuscire a mettere a fuoco nulla di ciò che fosse reale e tangibile.

Guardò di nuovo il caminetto.
Era stato impulsivo e stupido presentarsi qui all'improvviso. Qualsiasi cosa avesse da dire ad Hermione avrebbe potuto attendere altre due ore, o meglio -guardò verso l'orologio- un'ora e quarantacinque.

E lui avrebbe fatto più che bene a tornarsene in camera sua, nella speranza che Theo e Pansy se ne fossero andati, così da risolvere questa... Situazione.

Si.
Gli avrebbe fatto solo bene lasciarsi andare un po'. Quando era stata l'ultima volta che lo aveva fatto?
Non riusciva neanche a ricordarlo. E comunque, non era stato così .... Urgente.

Avrebbe pensato dopo alle conseguenze  che masturbarsi pensando ad Hermione Granger che si masturba avrebbe avuto sulla sua povera mente.  Adesso il suo cervello sembrava essere troppo a corto di sangue per formulare qualsiasi pensiero coerente.

Si guardò intorno con il cuore che batteva rapidamente. Il sacchetto di metropolvere.

Data la sua vista più che offuscata, gli ci volle qualche secondo per trovarlo dove era sempre stato: sul caminetto.

Logico. Ovvio.

Afferò un pugno di metropolvere senza preoccuparsi di richiudere il sacchetto e posizionarlo esattamente come era prima. Doveva tornare in camera sua.

Si infilò nel caminetto e prese un respiro profondo (o forse ansimò, non avrebbe saputo dirlo).
"Malfoy Ma-"

Le parole gli si bloccarono in bocca mentre venne spinto, o schiacciato, o un po' di entrambe, contro il retro del caminetto.

E prima che la sua mente potesse realizzare cosa fosse successo, ancora più del suo sangue fluí verso il basso. Davvero, era sorprendente che stesse ancora in piedi. Ma il suo cazzo era molto più reattivo del suo cervello, e si rese conto prima di esso che Hermione era appena rientrata.

Tramite metropolvere, ovviamente.

Si piegò in avanti, facendo l'errore di aumentare ulteriormente il contatto fisico tra i loro corpi.
Hermione saltò fuori dal caminetto quasi immediatamente, e luí finí con le ginocchia per terra.
Con i riflessi di chi ancora dorme con un occhio aperto, la grifona si voltò e gli puntò la bacchetta alla testa.

Appena si rese conto che si trattava di lui tirò un sospiro di sollievo.

Draco, mentalmente, imprecò.
Al momento essere schiantato contro il muro alle sue spalle era probabilmente la via più veloce per fare svanire l'erezione che lo tormentava.
Non poteva certamente alzarsi e sparire nel caminetto adesso, no?
Dopotutto Hermione pensava che fosse appena arrivato.
Ma non poteva neanche alzarsi, goffo e ricurvo per nascondere la spiacevole protuberanza tra i suoi pantaloni, e sedersi sul divano e parlare con lei come se niente fosse.

Era un vicolo cieco. Davvero, non c'era via di uscita.

"M-malfoy?" Chiese Hermione, con più preoccupazione che stupore nel suo tono di voce.

Draco strinse le pupille.

"Va tutto bene?"

No. "Si".

Hermione lo guardò aggrottando le sopracciglia, e solo in quel momento parve ricordarsi della cosa più importante: questa ragazza poteva leggergli nel pensiero.
Dio, la situazione non poteva mettersi peggio così.

Tossí, in un tentativo disperato di prendere tempo sperando che gli venisse in mente qualcosa di sensato da dire. O anche meno sensato, purché lo salvasse da questa situazione.

"V-vuoi del the?" dmandò Hermione. Una delle sue mani stringeva ancora la bacchetta, sebbene il suo braccio penzolasse inerme lungo il suo fianco.

Draco alzò lo sguardo di scatto verso i suoi occhi.
"Si" disse, fingendo qualche altro colpo di tosse. "Credo di aver ingoiato un po' di polvere".

Oh Draco, sul serio?

Hermione annuí. Lo fissò per qualche secondo in più, forse in attesa che si alzasse e uscisse dal caminetto. Poi, lentamente, si voltò e si avviò per la piccola cucina.

Draco tirò un sospiro di sollievo. Era la sua occasione. Doveva solo alzarsi e sedersi sul divano nella posizione meno dolorosa possibile...

Hermione e due tazze di the fumante furono davanti a lui prima del previsto, ma se non altro il suo misero piano sembrava aver avuto successo. Fortunamente, Hermione decise di sedersi di fronte a lui, piuttosto che accanto.
Bene, il calore del suo corpo così vicino non avrebbe certamente aiutato.

Hermione guardò perplessa l'orologio, prima di prendere un sorso dalla sua tazza fumante. Si sforzò di concentrarsi sui suoi occhi e non, per Salazar, sulle sue labbra.

"Sei in anticipo" disse, visto il suo silenzio.

"Si, emh-" tossí. "Non mi sono reso conto di che ora fosse. É stato stupido, ammetto".

"Dovevi dirmi qualcosa di urgente?" chiese, fissandolo. Dio, quando lo fissava... Qualcosa si accendeva in lui ogni volta che si sentiva osservato da lei, ogni volta che i suoi occhi cercavano il suo volto in cerca di risposte. Avrebbe voluto avere tutte le risposte del mondo, solo per potergliele offrire.

"Si, almeno credo" iniziò, parlando piano in modo da dare tempo al suo cervello di trovare le parole giuste. "Pansy era al ministero ieri, e potrebbe aver origliato una conversazione".

Hermione continuava a fissarlo con quello sguardo che gli faceva venire sempre più voglia di baciarla, e dovette concentrarsi sul liquido vagamente opaco nella sua tazza per trovare le giuste parole.

"Tra i fratelli Pritchett".

"Oh..." Sembrò rifletterci per un momento, mordendosi appena il labbro inferiore mentre le sue mani si stringevano in torno alla tazza. Draco distolse lo sguardo.  "E cosa dicevano?"

Fortunamente le parole trovorano la loro strada senza intoppi tra il suo cervello profondamente in carenza di sangue e la sua bocca sempre più asciutta. "Qualcuno ha incaricato Cameron Pritchett di screditarti publicamente, sembrebbe. E purtroppo sembra esserci riuscita dopo il processo di mio padre... Mi dispiace, Hermione".

Hermione

L'aveva mai chiamata per nome prima d'ora? Si era sempre rivolto a lei come Granger... No?
Eppure adesso non riusciva a pensare a lei in altro modo se non come Hermione.

Lei sembrò non farci caso. O, se lo fece, non lo diede a vedere.
E, soprattutto, non sembrava particolarmente sorpresa da ciò che le stava dicendo.

La grifona finí di sorseggiare il suo the con naturalezza, posando poi la sua tazza sul tavolino e scrollando le spalle. "Si, beh... Sospettavo che qualcuno non apprezzasse il mio lavoro" disse, accavallando le gambe e poggiandosi contro lo schienale della poltrona. "Qualcuno, subito dopo la fine della guerra, mi ha fatto causa per uso illegale dell'incantesimo estensivo irriconoscibile, riesci a crederci?".

Draco sgranò le palpebre, sorpreso e sollevato dal suo tono di voce. Sorrise. "C-cosa?"

"Giá" disse. "É stato ridicolo. Eppure, non fosse stato per David, non credo che me la sarei cavata così bene".

Draco rischiò soffocare con il thè al sentir nominare David, ma Hermione non sembrò farci caso.
Prese un respiro profondo. "Perciò non ti preoccupa quello che ti ho appena detto?"

Lei sembrò rifletterci. La tipica espressione pensierosa -con le sopracciglia aggrottate e gli occhi fissi su un punto lontano- invase i suoi lineamenti, e il sorriso di pochi secondi prima scomparve dal suo volto. "No" disse infine. "Non é niente che già non sospettassi".

C'era una vaga aria di sconfitta in lei. Non nelle sue parole, ma sul suo volto, nel suo tono di voce, nel modo in cui le sue spalle si erano abbassate e il suo sguardo aveva evitato di incrociare i suoi occhi.
Dio, avrebbe fatto di tutto pur di liberarla da questa sensazione.

"Cosa possiamo fare?"

Hermione alzò lo sguardo di colpo, fissandolo con aria stranita.

Non parlò, perciò fu ancora una volta Draco ad aprire bocca. "Ciò che stanno facendo é ridicolo. Deve pur esser possibile contrastarli".

Un angolo della bocca di Hermione si inclinò verso l'alto. "Dovrebbe esserlo, ma..." Sospirò. "A volte penso che sconfiggere il male é molto più semplice con una bacchetta che con la politica"

"Molto profondo" disse, ricambiando il suo sguardo. Era come se all'improvviso l'elettricitá avesse permeato l'aria tutto intorno a loro. Non c'era più tensione, si rese conto, nelle proprie spalle.

"E dimmi, Draco.. " disse Hermione, fissandolo con aria quasi divertita e -avrebbe osato dire- di sfida. Il suo cuore saltò un battito, sia perché lo aveva chiamato per nome, sia per il modo in cui i suoi occhi lo stavano fissando. Come se potesse scavare attraverso di lui e prendere ogni cosa.

Probabilmente era esattamente ciò che stava facendo.

O forse lo aveva già fatto.

Deglutì.

"...da quando sei così interessato alla causa delle creature magiche?" I suoi occhi brillavano con quello spirito di competizione e un pizzico di malizia, con cui a lezione di pozioni lo fissava quando offriva la risposta giusta al posto suo, battendolo. (Ovvero quasi sempre).

Da adesso

***

Hermione sussultò. Un brivido invase ogni centimetro della sua pelle quando la voce di Draco riecheggiò nelle sue orecchie.
Ed ecco che tutte le parole che credeva di avere svanirono. E sebbene Draco fosse ancora seduto sulla poltrona opposta alla sua, in qualche strano modo che non riusciva a spiegarsi, era come se si fosse fatto più vicino.

Poi si alzò. I suoi occhi grigi fissi contro i propri mentre continuava a fissarla. Era talmente persa al loro interno che non si accorse immediatamente del fatto che con la sua mano la stava invitando ad alzarsi.

L'afferrò, trovandosi faccia a faccia con lui.
Draco sorrise maliziosamente. "Se per te va bene, potrei chiedere qualche idea a Theo... Ha molta fantasia quando di tratta di-" sembrò pensarci, stringendo il labbro inferiore tra i denti per un secondo. Hermione non riuscì a separare i suoi occhi da esso- "disturbare il sistema".

"O-ok" disse, senza aver la più pallida idea di ciò a cui stava acconsentendo. Non c'era molto ossigeno nell'aria quando lui stava così vicino affinché riuscisse a formulare un pensiero coerente.

Il suo cuore accelerò. Stava...
Stava per baciarla di nuovo?

Era probabile. Era così vicino.... E sembrava gli fosse piaciuto la scorsa notte, e anche lei lo voleva. Godric se lo voleva.
Eppure, si sentiva infinitamente più nervosa della prima della volta.

"Credo che dovremmo parlare di ciò che é successo ieri sera" disse Draco, la sua voce quasi un sussurro. Riuscì ad udirlo con chiarezza perché, si rese conto, era vicino. Molto vicino.

Tanto vicino che il suo profumo alla menta la raggiunse.

A me no che tu non voglia parlare

Hermione chiuse gli occhi e sospirò. Ancora non sapeva come fosse possibile ciò che faceva, ma il fatto che potesse comunicare con lei in questo modo era forse la cosa più eccitante che le fosse mai capitata.

Riaprí gli occhi lentamente quando l'eco delle sue parole nelle sue orecchie svaní. Pochi centimetri separavano le loro labbra, e si rese conto che i suoi occhi erano delle pozze nere che cercavano i suoi, cercando, scavando in essi, per scoprire se lo volesse anche lei.

Sapeva che lo voleva. Era certa che lui lo sapesse. Ma lui voleva che lo dicesse, perciò prese un respiro profondo e, con fiato tremante, disse "non voglio parlare".

I suoi occhi cambiarono immediatamente. Continuò a guardarla, ma con un'intensita diversa. Fece un passo avanti. Hermione non arretrò, e prima che se ne rendesse conto una delle sue mani avvolse con delicatezza la sua guancia mentre le sue labbra incontrorno di nuovo quelle di Draco.

Ma questo non fu affatto come il bacio della sera precedente. Dove la sera scorsa vi era stata timidezza ed esitazione, adesso c'era fretta, fame, desiderio. La sue labbra, la sua lingua, i suoi denti, stuzzicarono i suoi sensi e le sue ginocchia minacciarono di cedere.

I suoi piedi si spostarono senza che ne avesse il controllo, e quando senti di star perdere l'equilibrio si ritrovò fortunamente con le spalle contro il muro. Draco la sovrastava, il fiato pesante, la sua bocca che si separó dalla propria solo per un solo momento, giusto il tempo per i suoi occhi di guardarla e trovare in lei il consenso per ciò che stava succedendo, avventandosi su di lei un momento dopo.

La avvolse con un braccio, lasciando scorrere la sua mano larga contro la propria schiena e sempre più giù.

Era in fiamme.

La bocca di Draco si separó dalle sue labbra, avventandosi contro il suo collo, e un gemito lasciò la sua bocca. Il suo respiro era caldo contro la sua pelle e il suo petto sempre più vicino.

Esitante allungò le mani su di lui, aggrappandosi alle sue spalle.
Draco sospirò, e la tortura della sua lingua alla base della sua gola si fermò solo per un momento.

"Hermione" disse, separandosi dalla sua pelle e risalendo verso le sue labbra.

Quando la baciò, il peso del suo corpo contro quello di lei, Hermione sentí la sua erezione contro la propria gamba.  Sussultò sorpresa...
Merlino, quanto tempo era passato dall'ultima volta...

La mano di Draco si spostò dalla sua schiena, accarezzando ogni centimetro dei suoi fianchi, scendendo lentamente lungo la sua gamba mentre le sue labbra continuavano a baciarla.

Il suo stomaco si attorcigliò su  se stesso, per poi fare una capriola. Una delle gambe di Draco  si posizionò in mezzo  alle sue, esercitando la giusta pressione proprio lì e -oh

Si rese conto solo in quel momento quanto un solo bacio fosse stato capace di eccitarla. Ma ora che se ne era resa conto ...
Un ulteriore ondata di calore invase il suo petto e le sue guance. Era sicura di essere arrossita, ma Draco non sembrò farci caso, continuando a torturare l'angolo tra il suo collo e la sua spalla sinistra con i denti.

Poi, la sua mano sulla coscia risalí di un centimetro. Il cuore di Hermione saltò un battito, riprendendo a velocità aumentata da quello successivo.

"Hermione" sussurrò Draco. La sua voce era ben più profonda e pesante di quanto non lo fosse stata solo.... Quanto? Cinque minuti prima? Ore?
Non avrebbe saputo dirlo, aveva letteralmente perso la cognizione del tempo.

Ti voglio

Le sue labbra si separano da lei, ed appoggiò la fronte contro la sua, sospirando.

"Dio, Hermione".

La sua mano, quella mano, la accarezzò ancora. Sospirò, e le le parole lasciarono la sua bocca prima che il suo cervello potesse fermarla. Nonostante l'imbarazzo che aveva provato pochi momenti prima al rendersi conto della sua stessa eccitazione, lo voleva. Troppo.

"Per favore".

Draco spalancò la bocca, forse sorpreso dalle sue parole. Poi i suoi occhi si accesero, e l'angolo delle sue labbra si curvò verso l'alto.

"Per favore cosa, Hermione?" Chiese, avvicinandosi alle sue labbra, ma non abbastanza da toccarle.

Hermione non rispose, il respiro lasciava la sua bocca tropo in fretta affinché potesse formulare delle parole.

"Vuoi..." disse, lasciando scorrere la sua mano verso il basso. Hermione instintivamsnte si spinse verso di essa, finendo per strusciarsi contro la sua gamba. Poi, finalmente, la sua mano si fermò lungo l'elastico del suoi pantaloni. Accarezzò la sua pelle, sollevandolo appena con un dito. "Vuoi che continui, Hermione?"

Annuí. Aggrappandosi alle sue spalle per non cadere a terra. Le sue gambe erano ormai incapaci di reggerla.

La sua mano sbottonò i suoi pantaloni, accarezzando la sua pelle e scendendo lentamente.
Il suo volto studiava da vicino ogni singola reazione su quello di Hermione, e i loro respiri si mescolavano.

Quando le sue dita sfiorarono finalmente il suo clitoride da sopra la stoffa delle sue mutandine, Hermione spalancò la bocca.

Le sue dita la accarezzarono, prima leggere, poi applicando sempre più pressione, finché non riuscì più a tenere gli occhi aperti.
Era così vicina.  Poche volte le era capitato di sentirsi così eccitata... Ma in questo momento, col profumo di Draco nelle narici e le sue dita lí...

Era qualcosa al quale non avrebbe osato pensare nemmeno nelle sue più irreali fantasie, eppure...

Poi le sue dita si fermarono, e le sentí sollevare appena l'elastico delle sue mutandine. E poi "ohh".

"Si, Hermione" ansimò Draco contro le sue labbra.

Dove le sue dita si muovevano con delicatezza, le sua lingua nella sua bocca sembrava  incapace di controllarsi.

Le sue dita scivolarono dentro e fuori di lei senza alcuna esitazione, e quando il suo pollice rirpese a stimolarle il clitoride dovette stringere le braccia intorno al suo collo per non cadere.

"Si Hermione, ti prego" ansimò ancora Draco, rimanendo a guardare la sua bocca che si spalancava, mentre si contraeva intorno alle sue dita.

Chiuse gli occhi, senza rendersi conto dei secondi che passarono mentre l'onda del suo orgasmo la travolgeva. Quando li riaprí Draco era davanti a lei, i capelli arruffati, le labbra gonfie, le pupille due pozze nere che non si separavano dal suo volto.

"É stato-" deglutì, cercando di riprendere fiato, ma non riuscendo a completare la frase.

Le sue labbra furono contro le sue. "Shh" disse, prendendo delicatamente tra i denti il suo labbro inferiore.
Con il cuore in gola, Hermione lasciò che fosse lui a continuare a baciarla, e quando un po' più di ossigeno riprese a fluire verso il suo cervello, con le mani accarezzò il suo addome, scendendo sempre più verso il basso, sempre più verso...

Una delle mani di Draco le afferò il polso. "Non devi farlo" disse, guardandola negli occhi.

"No, ma..." Abbasso lo sguardo, incapace di mantenere il contatto visivo e non credendo alle sue stesse parole "... Voglio farlo".

Draco inspirò.
"Abbiamo tempo per questo, Hermione" disse, sigillando le sue labbra con un bacio così da impedirle di aggiungere altro. Si separò da lei "devo andare adesso" disse.

Hermione sgranò gli occhi. "C-cosa?"

Ignorò completamente la sua domanda. "Posso rivederti domani?" chiese, guardandola come se non fosse sicuro di ottenere una risposta positiva. Con aria priva della sicurezza con il quale l'aveva guardata fino a pochi secondi prima, quando le sue dita... Dio

"S-si. Certo" esclamò, per quanto la poca aria che riusciva a raggiungere i suoi polmoni le consentí.

Draco afferrò un pugno di metropolvere e si infilò nel camino. "Bene" disse, stringendo con una posa alquanto innaturale il pugno davanti a sé. "Parlerò con Theo, troveremo un modo".

Hermione ci mise qualche secondo per capire di che cosa stesse parlando, avendo dimenticato tutto ciò che era successo prima che le loro labbra si fossero avventate l'une sulle altre. Quando lo realizzò, Draco stava per andarsene.

"A domani, Hermione" disse, scomodando in una fiammata prima che avesse modo di rispondere.

"A-a domani, Draco" sussurrò.

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Capitolo 17
*** 17. Vestiti babbani ***


Non appena i suoi piedi si ritrovarono tra le ceneri del caminetto della sua camera da letto, le sue ginocchia si accasciarono a terra. Gli era costato uno sforzo enorme sorreggere il suo peso dopo ciò che era successo, e solo adesso stava finalmente concedendo ai suoi polmoni l’aria di cui avevano bisogno, respirando pesantemente. I suoi occhi scivolarono verso la sporgenza tra i suoi pantaloni che stava lentamente diminuendo, e quella macchia poco più su che era fortunatamente riuscito a nascondere con l’orlo del suo maglione. Dio, ma quanti anni aveva, tredici?  No, si disse. Perché neanche a tredici anni gli era mai capitata una cosa del genere. Certo, era anche vero che non aveva mai portato Hermione Granger all’orgasmo con le sue stesse mani quando aveva tredici anni.  Forse al sé stesso tredicenne, nella stessa situazione, sarebbe andata peggio: piuttosto che venirsene nei pantaloni, sarebbe direttamente deceduto di infarto. Non escludeva tuttavia quell'opzione dal suo immediato futuro, visto il modo in cui il suo cuore continuava a martellare prepotentemente contro la sua gabbia toracica. Per un momento pensò seriamente che stesse per uscire fuori, aprendo un varco tra le sue costole. Resto lì, in quel modo, per diversi minuti, almeno fino a chè non sentì che le sue ginocchia avevano recuperato una solidità sufficiente a reggerlo in piedi. Si alzò lentamente, cambiando i propri vestiti con un colpo della sua bacchetta, e si lanció sul letto. Avrebbe passato l'intera notte a pensare a ciò che era successo. Nonostante sapesse che avrebbe potuto applicare tutta l’occlumanzia di cui ormai era un maestro per bloccare il ricordo e lasciare che la sua mente scivolasse nel sonno, e che il sangue ritornasse al suo cervello, non voleva affatto farlo. Voleva restare così: steso sul letto, solo l'eccitazione e l'adrenalina a rincorrersi tra le sue vene e nel suo cervello. Ed il tutto era dovuto niente meno che a Hermione Granger. Come diamine si era ritrovato in questa situazione? Era tutto iniziato con il semplice desiderio di liberare suo padre. Eppure adesso di quel vecchio bigotto al piano di sotto non poteva importargliene di meno,  e pensare a come avrebbe reagito se avesse saputo su cosa il suo caro figlioletto purosangue stava fantasticando, lo fece addirittura sorridere. Forse adesso, per la prima volta nella sua vita, non aveva paura del domani. Avrebbe anzi osato dire che era felice, e quasi impaziente, di scoprire ciò che i giorni a venire gli avrebbero riservato. 


Quando riaprì gli occhi la mattina seguente, la luce che inondava la sua camera quasi lo accecò, suggerendo che fosse mattina ben inoltrata. Un bel cambiamento dato che di solito era sempre in piedi alle prime luci dell’alba -nella migliore delle ipotesi comunque, ovvero quando riusciva ad addormentarsi. Si alzò molto lentamente, decidendo di ignorare i lamenti del suo stomaco e di non scendere di sotto per la colazione. Avrebbe sicuramente incontrato suo padre, così come sua madre, e questo avrebbe rovinato il suo insolito buonumore. Si infilò sotto l’acqua bollente della doccia, ripensando mentalmente a ciò di cui aveva discusso con Hermione. Le aveva promesso che l’avrebbe aiutata, e lei aveva acconsentito che chiedesse l’aiuto di Theo, perciò si vestì al volo e si catapultò nel caminetto. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto fare per togliere Hermione dalla complicata posizione politica e burocratica in cui si era ritrovata, ma non aveva dubbi sul fatto che Theo, in questo ambito, fosse un vero e proprio stratega. E così, senza curarsi dell’orario, e nemmeno certo che lo avrebbe trovato in casa, lasció che le fiamme lo conducessero al Nott Manor. Per sua fortuna, Theo sedeva annoiato, con una copia della gazzetta del profeta tra le mani, davanti ad una tavola imbandita di talmente tante prelibatezze che il suo stomaco si ribellò ancor prima che i suoi piedi fossero ben saldi al suolo.

Il ragazzo sollevó lo sguardo dal suo giornale, e non riuscì a nascondere la sua espressione sorpresa. 

“Aspettavi qualcun altro?” disse Draco, sgusciando fuori dal caminetto e andando a sedersi al capo opposto del tavolo. I suoi occhi esaminarono rapidamente il ben di Dio che aveva davanti. 

“In realtà si”. Theo ripiegò il suo giornale, poggiandolo sul tavolo e scrutando il suo amico con aria confusa mentre si serviva un'abbondante porzione di uova, pancetta e pane appena sfornato. 

“Devo parlarti” inizió Draco tra un boccone e l’altro

“Oh, lo credo”.

“Mi serve il tuo aiuto” continuò il biondo, azzannando un panino al burro ed ignorando completamente il sarcasmo di Theo.

“Sono tutto orecchi”.

 Il moro allungò esitante un braccio verso la propria tazza di caffè, abbandonata davanti al giornale. Si muoveva lentamente, come se qualsiasi movimento troppo brusco potesse in qualche modo rompere lo strano incantesimo dal quale il suo amico era evidentemente posseduto. 

“Riguarda Hermione”. 

Theo si strozzò con il suo caffè, mettendo via la tazza e decidendo che finché la situazione non fosse diventata più chiara, sarebbe stato più saggio evitare di avvicinare qualsiasi cosa alla sua bocca. Continuando a tossire, annuì, facendo cenno al suo amico di continuare.

Finalmente, Draco smise di ingozzarsi, e con un'espressione talmente seria da convincere Theo non fosse in realtà posseduto da niente, o perlomeno da niente da lui conosciuto, gli vomitò addosso un fiume di fatti, parole e spiegazioni che lo lasciò stupefatto. 

Theo, sebbene inizialmente sorpreso, inizió a riflettere ed analizzare ogni singola cosa che Draco gli aveva detto. Passarono diversi secondi in silenzio, mentre il moro fissava prima il soffitto, poi il pavimento, poi faceva saettare nervosamente lo sguardo tra il caminetto e l’orologio sopra di esso. Dopo quella che a Draco parve un’eternità, finalmente parlò. 

“Bisogna esporli pubblicamente, creare uno scandalo".

 Il biondo non afferrò immediatamente, perciò Theo, seccato, continuò. “Stanno agendo cercando di screditarla pubblicamente, no? Quindi dobbiamo fare lo stesso con loro” alzò le spalle. "È così che funziona in politica"

“Politica”.

 Theo sospirò. “Dobbiamo trovare qualcuno disposto a scrivere e pubblicare un articolo per noi”

Draco alzò un sopracciglio. 

“Oh, ancora meglio, dovrebbero intervistarla”. Diresse il suo sguardo verso il giornale ripiegato sul tavolo. “Suppongo che Hermione non possa certamente contare su chi scrive per la gazzetta del profeta” disse, accarezzandosi il mento con aria pensierosa. “Il settimanale della strega, che ne dici?”

Ancora parzialmente disorientato dalla rapidità con cui Theo sembrava aver risposto alla sua richiesta, scosse la testa, non sicuro al 100% di ciò che stava negando. 

“No, no. Immaginavo". 

Calò il silenzio tra i due per qualche secondo, e nello stesso istante in cui i lineamenti di Theo si illuminarono di nuovo, la fiamma del caminetto si accese.

Draco imprecò mentalmente, mentre Theo sobbalzò sulla sua sedia, come se fosse sorpreso di quella visita. Probabilmente, era talmente assorto nelle sue riflessioni da aver dimenticato che aspettava qualcuno. 

Pansy entrò nel salotto, in piena mattinata, vestita come qualcuno di ritorno dal peggior pub di Knockturn Alley. Gonna corta, tacchi alti, capelli spettinati e trucco sbavato, ed un assurda borsa che penzolava dal suo braccio sinistro.

Parve sorpresa di vedere Draco lí, ma dopo qualche secondo scrollò le spalle, dopo aver probabilmente deciso che la sua presenza le era in realtà completamente indifferente. 

Draco, nel frattempo, nutriva più o meno lo sesso sentimento nei suoi confronti, associato tuttavia ad una certa dose di nervosismo per avere interrotto ciò che Theo stava per dire. Osservó il suo amico, che adesso aveva occhi solo per Pansy.  

“Ehi” disse, attendendo che riportasse i  suoi occhi su di sé. “Quindi? Stavi dicendo?”

Il ragazzo aggrottò  le sopracciglia, poi si riprese lentamente da quello stupore iniziale. “Oh, si… Lovegood scrive ancora per quel giornale?”

“Chi?”

“Lovegood. Luna lovegood”

Draco continuò a fissarlo con un’espressione inebetita. 

“Corvonero, bionda. Un anno in meno di noi ad Hogwarts”.

“Si. Si. So chi è”

“Beh, allora? Ha ancora lei quel giornale?” domandò Theo con nonchalance e impazienza, i suoi occhi che continuavano a saettare tra il biondo e la ragazza ancora in piedi davanti al caminetto. “Ehi, dov’è Blaise?”

Pansy si voltò verso il caminetto alle sue spalle. “Oh, avrebbe dovuto essere proprio dietro di me in realtà”.

“Cosa c'entra Lovegood?” sbottò Draco. 

Theo riportò l’attenzione su di lui. “Beh gestiva quel giornale, molto popolare tra la resistenza durante la guerra. E adesso è popolarissimo".

"Ma tra Potter e i suoi" rispose scoraggiato. "Cosa importa alla gente che sta attaccando Hermione? Neanche lo leggeranno".

Theo fece saettare lo sguardo tra lui e Pansy. La ragazza alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi al tavolo e servendosi un bicchiere di succo d'arancia. 

"Draco, ascolta".  Theo si portò le mani alla fronte, poggiando i gomiti sul tavolo, come se stesse spiegando ad un bambino qualcosa di assolutamente elementare. "Il Cavillo è attualmente il giornale più popolare in assoluto". Sollevò tra le mani la sua copia della Gazzetta del profeta. "La vedi questa? È spazzatura. Ogni purosangue lo compra esclusivamente per facciata, non mancando di arrotolarci all'interno una copia del Cavillo ogni mattina, naturalmente ben nascosta. A meno che non se lo facciano consegnare direttamente a casa. Scommetto cinquanta galeoni che lo legge anche tuo padre".

"C-cosa?"

Questa volta, finalmente, fu Pansy a parlare. "Draco, nessuno ormai dá alla Skeeter il minimo di credibilità. L'unico motivo per cui continua a pubblicare i suoi frivoli articoli è perché i vecchi purosangue vogliono che ne riacquisti. Ma anche loro, segretamente, divorano le pagine del Cavillo".

"M-ma" esitó il biondo. "Non parlava di creature fantastiche e strambe teorie complottiste?"

Pansy mise via il suo bicchiere di succo ormai vuoto, appoggiandosi contro il tavolo in un modo che avrebbe fatto svenire sul colpo Narcissa e qualsiasi altra madre purosangue che faceva del galateo la propria religione. "Sei così indietro che è imbarazzante".

L'espressione del biondo cambió. Non gli piaceva affatto la piega che la conversazione aveva assunto. Era venuto qui per parlare di un problema serio con Theo, e adesso aveva l'impressione che i suoi amici lo stessero solamente prendendo in giro. 

"Il cavillo, dopo la guerra, è diventato il giornale più importante della società magica” riprese Theo con un sorrisetto sul volto. “Sebbene nessuno abbia il coraggio di ammetterlo”.

“E ovviamente quelli del ministero non possono controllarlo, per questo le stanno provando tutte per rilanciare la gazzetta del profeta” continuò Pansy. 

Adesso, forse, Draco stava iniziando a capire. 

“Quindi potremmo suggerire ad Hermione di mettersi in contatto con Lovegood e farsi intervistare, tutto qui?”

Theo si accarezzò il mento con aria pensierosa. “Non risolverebbe tutti i suoi problemi, ma è un primo passo per vincere questa guerra diplomatica che il ministero sta combattendo contro di lei”.

Draco annuì, cercando di elaborare pienamente le parole dei suoi amici. Quella sera stessa sarebbe tornato da Hermione e le avrebbe parlato di questo. Al solo pensiero di rivederla, sentì le sue guance riprendere ad arrossire. Tuttavia, Theo e Pansy non sembrarono notarlo, avendo già preso a parlare di altro. 

Draco non se ne curò, decidendo che era arrivato il momento di alzarsi, tornarsene al Manor  e fissare l’orologio finchè non avesse ritenuto l’ora da esso indicata un orario decente per precipitarsi nel caminetto dell’appartamento di Hermione. 

Mentre si alzò, uno strano odore raggiunse le sue narici, facendolo tossire. Voltando i suoi occhi verso Pansy, si rese conto che quell’odore proveniva dal fumo sprigionato dal piccolo oggetto che teneva tra le mani. Sgranò le palpebre… “Ma quella è-“

“Una sigaretta babbana? Si” rispose con nonchalance, avvicinandosela alle labbra ed inspirando. 

Rimase immobile ad osservarla. Da quando Pansy Parkinson, colei che aveva sempre ripudiato qualsiasi cosa non appartenesse rigorosamente al mondo purosangue, fumava sigarette babbane?

Avendo probabilmente letto sul suo volto cosa stava pensando, la ragazza parlò di nuovo. “Sembra tu abbia visto un fantasma”. Espirò su di lui una nuvoletta di fumo, facendolo tossire di nuovo. “È molto meglio di quei vecchi sigari che vengono propinati a noi, e che comunque possono fumare solo gli uomini".

 Draco si prese solo qualche secondo in più per metabolizzare la cosa. Quando i suoi occhi si riportarono sul caminetto, la sua fuga fu tuttavia rallentata di nuovo. Le fiamme si accesero, trasportando questa volta Blaise. 

Anche lui, come  Pansy, aveva l’aria di chi non aveva affatto dormito, ed era vestito in modo insolito. 

“Finalmente” esclamò Pansy vedendolo arrivare. “Temevo fossi collassato sul mio divano”. 

Il ragazzo barcollò fino alla poltrona più vicina, lasciandosi andare contro di essa. 

Theo si alzò dal tavolo della colazione, con un bicchiere pieno d’acqua in mano, e lo porse al nuovo arrivato. “Cosa vi avevo detto? Le feste babbane sono folli”. Pose un'enfasi particolare sull’ultima parola, e Draco finì per credere che ci fosse qualche sostanza allucinogena nelle uova che aveva appena mangiato. 

“Siete stati ad una festa nel mondo babbano?” la sua domanda non era indirizzata a nessuno in particolare, ma la risposta provenì da tutte e tre le bocche. 

“Si”.

“Non c’è più molto posto per noi nell'alta società magica” affermò Pansy. 

“Né nella bassa” aggiunse Blaise. “E preferisco i pub babbani a quelli di Knockturn alley".

Draco era sorpreso. Sapeva che i suoi amici ne avevano passate tante dopo la guerra, e che ognuno di loro era arrivato alla conclusione che l’ideologia con la quale erano stati rigidamente cresciuti era una stronzata. Ma credeva che il cambiamento più assurdo fosse stato il proprio. Insomma, lui frequentava Hermione Granger, una nata babbana, e non una qualsiasi: il braccio destro di Potter, la loro nemica numero uno, colei che avevano sempre tormentato e bullizzato. Avrebbe addirittura osato dire che stava iniziando a provare qualcosa per lei, che andava ben oltre la semplice attrazione fisica. Dati i fatti, credeva di essere lui quello che più di tutti aveva preso le distanze dal mondo nel quale erano cresciuti. 

Si era sbagliato di grosso: i suoi amici si erano spinti molto oltre, addirittura nel mondo babbano. Si chiese se forse non fosse stato troppo distratto da Hermione e dai suoi stessi affari per non accorgersi di questo loro cambiamento. Sembrava esser successo tutto in modo così improvviso. Forse, si rese conto, era dovuto al fatto che lui, a differenza dei suoi amici, aveva ancora due genitori, e per quanto non li vedesse spesso, vivevano comunque sotto il suo stesso tetto. Per loro invece non era così. Abitavano completamente da soli nei loro grossi manieri, all’interno dei quali regnava un silenzio assordante. Ecco perché erano sempre in compagnia l’uno dell’altro, e cercavano rifugio nel posto più lontano possibile da essi: il mondo babbano. 

Decise di rimanere lì ancora un po’: ultimamente li aveva trascurati, e sebbene nessuno sembrasse avergliene fatto una colpa o averlo notato, un po’ sentiva la loro mancanza. Si rese conto, inoltre, che né Theo né Pansy avevano mostrato la minima esitazione ad aiutarlo quando aveva parlato di Hermione, e quest’ultima soprattutto aveva abbandonato la pretesa di fare un espressione schifata ogni qualvolta lei venisse nominata. 

Erano cambiati, tutti quanti. Ciò che avevano vissuto li aveva fatti crescere, ma allo stesso tempo si sentiva come se stessero in realtà tutti recuperando  parte della spensieratezza che avevano perso tanti anni fa, finalmente liberi dalle grinfie dei loro genitori e di una società che gli aveva fatto il lavaggio del cervello fin dalla culla.

Fu solo molto tempo dopo che, rientrato al Manor, Draco decise, dopo mesi o addirittura anni, di recarsi nella biblioteca di famiglia per ammazzare il tempo. Non visitava quel posto da tantissimo, principalmente perché era diventato il luogo preferito di Voldemort durante il suo soggiorno al Manor.  Aveva frugato e profanato buona parte dei loro libri di genealogia, di magia oscura, di pozioni. Ma a lui adesso non importava. Si stava dirigendo lì solo per consultare la sezione nella quale venivano raccolti i giornali.

 Aveva sceso le scale silenziosamente e camminato lungo il corridoio con il cuore in gola, sperando di non incontrare i suoi. Poi, si era intrufolato nella biblioteca aprendo la porta il minimo indispensabile per infilarcisi di traverso. 

Una volta dentro camminó dritto verso il piccolo scaffale sulla sinistra dove venivano raccolti i giornali, e inginocchiandosi, non fu sorpreso di trovare solo le edizioni della Gazzetta del profeta.

Nella piccola sezione accanto, c’era una raccolta di volumi del settimanale della strega che sembravano non essere mai stati aperti. Probabilmente continuavano ad arrivare e ad essere sistemati qui dagli elfi domestici: ormai da troppo tempo sua madre aveva perso l'interesse per le riviste di gossip. 

Era deluso. Non sapeva cosa si aspettava di trovare: forse qualche copia del Cavillo consegnata per sbaglio. 

Incerto, decise che voleva saperne di più. 

“Mippy” chiamò. 

Il piccolo elfo apparve davanti ai suoi occhi all’istante, guardandolo con aria intimorita. “Il padrone desidera?”

“Emh” abbassò lo sguardo verso le proprie scarpe. “Volevo chiederti se potessi procurarmi le copie del Cavillo degli ultimi mesi? E anche quelle che usciranno da oggi in poi”. 

Il piccolo elfo annuì, e quando Draco si rese conto che stava per andarsene, lo bloccò. Con le mani in tasca, tirò fuori un galeone, porgendolo alla creatura. “Per i tuoi servigi” disse. “Posso chiederti di non riferirlo ai miei genitori?”

L'elfo rimase immobile ed in silenzio.  

“E, emh, di consegnare le copie in camera mia, per favore?”

La  piccola creatura sembrava quasi spaventata dal suo braccio teso e della mano che impugnava la moneta.

“Come il padrone desidera” squittì. 

“Aspetta” la bloccò di nuovo quando vide che stava per materializzarsi. “Prendi questo”.

Esitante, l’elfo allungo la piccola mano rugosa, afferrando finalmente la moneta. “Cosa volete che faccia con questa?” domandò.

Draco strabuzzò le palpebre. “Quello che volete”.

“G-grazie” borbottò con aria sempre più confusa, prima di dileguarsi. 

Lentamente, Draco se ne ritornò in camera. 

Con più vanità di quanto avrebbe mai voluto ammettere, si pettinò e vestì con attenzione. Le lancette dell'orologio lo convinsero che era finalmente giunto il momento in cui avrebbe rivisto Hermione, perciò si infilò nel caminetto. Non si era dato un orario preciso con Hermione, ed era molto in anticipo rispetto all’ora in cui erano soliti incontrarsi, ma dal momento che era temporaneamente sospesa dal lavoro sperò con tutto il cuore di trovarla in casa. 

Le sue speranze furono confermate. Hermione era accovacciata sul divano, con una tazza di thè ed una serie di scartoffie sparse sul tavolino davanti a lei. Appena lo vide le sue sopracciglia si sollevarono fino a raggiungere la fronte, e saltò giù dal divano. 

“Scusa” affermò. “Non c’eravamo dati un orario, ma ho parlato con Theo di ciò di cui abbiamo discusso ieri, e sembra avere un’idea. Volevo parlartene”.

Hermione lo fissò intensamente, e potè quasi giurare di vedere le sue guance arrossire quando nominò la giornata precedente. La cosa gli fece stranamente piacere. Era lei quella in imbarazzo? Da un lato non voleva che si sentisse così verso di lui, dall’altro era segretamente grato per ciò, perché significava che non aveva idea, fortunatamente, di ciò che gli era successo. 

“O-ok” disse, rimettendosi seduta. La osservò mentre, con aria pensierosa, avvicinava le mani alla propria tazza di thè. Poi le allontanò. “Vuoi del thè?” domandò, alzando immediatamente lo sguardo e incrociando i suoi occhi. 

Una strana sensazione, vagamente simile ad una tempesta, agitò il suo stomaco. Tuttavia ormai aveva incrociato gli occhi di Hermione Granger abbastanza volte da riconoscerla. Non era una sensazione nuova, ma di volta in volta cresceva di intensità. 

“No, grazie” si limitò a rispondere, con tono più tranquillo di quanto si aspettasse.

Tra i due, visti dall’esterno, sembrava essere lei quella più agitata. 

“Conosci il giornale di Lovegood?” chiese.

Hermione strabuzzò le palpebre. “Il cavillo?”

“Si, quello. Theo sostiene che sia attualmente il giornale più influente di tutta la società magica dopo gli eventi della guerra. E questo al ministero non piace”. 

“Perché non possono controllarlo” borbottò Hermione a bassa voce.

Draco annuì. “Dunque, secondo Theo, sarebbe molto d’effetto se tu rilasciassi un’intervista con loro per raccontare tutto. Loro hanno tentato di screditare te, tu devi provare a screditare loro”.

Hermione rimase qualche secondo in silenzio, riflettendo sulla questione, poi si lasciò andare sospirando contro lo schienale del divano. “Si, ha senso. Potrebbe funzionare. Ma per Godric, queste battaglie a colpi di scandali pubblici non le capiró mai”. 

“Era meglio quando eri solo tu e la tua bacchetta?” domandò Draco, improvvisamente serio. Cercò i suoi occhi marroni, notando un velo di tristezza in quelle pupille scure.

Hermione annuì. 

“Credi di poter arrangiare un intervista con Lovegood?”

“Certo”. Si alzò, afferrando un foglio di pergamena. “Anche per domani, in realtà. Non ho molto da fare comunque  in questi giorni”. Il suo sguardo si diresse verso le scartoffie ammucchiate sul tavolino, dal quale afferrò una penna babbana e scrisse un messaggio.  

Rimase ad osservarla, mentre il suo sguardo cadeva sui suoi abiti babbani. Non era la prima volta che la vedeva vestita così, eppure adesso non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.  Questi vestiti le donavano molto più delle gonne lunghe fino al ginocchio e dei cardigan che indossava al ministero. Per un momento pensò a come avrebbero reagito i funzionari se si fosse presentata tra i loro corridoi con questi semplici pantaloni e questa maglietta. Avrebbe pagato per vedere la scena.

Quando Hermione si voltò per attaccare il messaggio alla zampa del piccolo gufo appollaiato sul davanzale della finestra, i suoi occhi furono attratti da una forza che non potè controllare verso il suo fondoschiena. Deglutì. Si, stava davvero rivalutando la moda babbana. Ripensò agli abiti con cui aveva visto Pansy quella mattina, e per un momento immaginò Hermione vestita allo stesso modo. I suoi pugni si strinsero contro il bracciolo della sedia. 

“Ti faccio sapere appena mi risponderà” disse Hermione, rimettendosi seduta. “Magari potresti venire qui il giorno dell’intervista, se ti va”.

“Si” replicò, senza la minima esitazione. 

Tra di loro cadde di nuovo il silenzio, parzialmente riempito da un lamento proveniente dal suo stomaco. Gli avvenimenti degli ultimi giorni, doveva ammettere, avevano completamente riaperto la sua fame. Guardò verso l’orologio, constatando che era ormai ora di cena, e decise di rischiare di fare una follia. 

“Granger?” la chiamò, esitante, attendendo  che i suoi occhi si posassero su di lui. “Ti andrebbe di andare a cena?”

***

“S-si”

 La sua momentanea esitazione non fu dovuta alla sua mancanza di desiderio, quanto più alla sorpresa di quella proposta. 

Il suo sguardo si posò verso il suo frigorifero vuoto, e verso le scatole di cibo cinese d’asporto che riempivano il suo bidone dell’immondizia. L’idea di una cena fuori, in quel momento, era più che appagante. 

“Si" ripeté, più convinta questa volta.

“Bene”. Il biondo si alzò in piedi, ed Hermione lo seguì. 

“Lascia solo che vada a cambiarmi” disse, indicando in direzione della sua camera.

“No”.

Alzò lo sguardo verso di lui. 

“Voglio dire, cosa c’è che non va con quello che indossi?”

“Sono vestiti babbani” rispose, come se fosse scontato. Draco non poteva aspettarsi davvero che si presentasse vestiva così in un qualsiasi locale della società magica. Anche a Knockturn Alley, probabilmente, non l'avrebbero fatta entrare. Per non parlare del fatto che sarebbe bastata la sua sola presenza a procurarle una sufficiente dose di sguardi torvi.

Draco strinse le labbra. Forse, pensó Hermione, si era reso conto solo adesso di ciò che indossava.

“E se andassimo in un posto babbano?”

Hermione fu grata di non avere niente tra le mani in quel momento, eccetto la penna con quale aveva scritto il messaggio, che le scivolò dalle dita e rotolò sul pavimento. “Vuoi andare in un posto babbano?”

“Perché no?” replicò il biondo con le mani in tasca. “Non sono ben accetto tra i maghi, comunque”. 

“Nemmeno io” sospirò sottovoce, ma non abbastanza perché lui non sentisse. Il suo sguardo si addolcì per un momento, ma poi si riaccese di qualcosa che non riusciva ad interpretare.

 “Allora, conosci un buon posto? Sto morendo di fame”. 

“In realtà si” sorrise Hermione, rendendosi conto che il suo stomaco stava protestando contro la dieta a base di insalata scondita e cibo d’asporto a cui l’aveva sottoposta. Afferrò la sua borsa e sfilò il cappotto dall' appendiabiti, e poi, per la prima volta dopo settimane, uscì dalla porta di casa con un sorriso in volto. 

Si diresse con Draco verso un piccolo ristorante italiano nel quale non metteva piede da anni. L’ultima volta che era stata qui, era stato insieme ai suoi genitori. Aveva sempre voluto ritornarci, ma non ne aveva mai avuto il coraggio. Forse, si rese conto mentre varcava la soglia con il biondo al suo fianco, non voleva farlo da sola.

 Questo posto era uno dei motivi per il quale aveva scelto il suo attuale appartamento. Ci passava davanti tutti i giorni, come se in qualche modo, così facendo, potesse sentirsi più vicina ai suoi genitori. 

Il locale non era particolarmente pieno, e un cameriere li fece accomodare in un piccolo tavolino in fondo, davanti ad una vetrata che dava sulla strada. Stranamente, Draco sembrava a suo agio nel mondo babbano. Si aspettava che da un momento all’altro cambiasse idea, o tirasse fuori la sua bacchetta, oppure si materializzasse via, qui davanti a tutti, pur di sfuggire a questo mondo. Invece, il suo volto trasmetteva solo tranquillità mentre si guardava intorno con aria curiosa. 

Quando furono seduti, e dopo che il cameriere gli lasciò i menù, prese un respiro profondo.  “Tutto ok?” gli chiese. 

Forse, tra i due, al momento era lei quella meno a suo agio. 

“Si” sospirò il biondo, aprendo il menù. “Tranquilla, Hermione, prometto che me ne starò buono fino alla fine della serata, nessun babbano verrà ferito o insultato questa sera”.

Hermione tossì, presa alla sprovvista. “Scusami”

Draco alzò le spalle. “No, hai ragione. Sono stato un’idiota, praticamente da sempre” abbassò lo sguardo sul menù. “Soprattutto con te”. 

Hermione trattenne il respiro. 

“Sai cosa mi piace di questo posto?” disse poi il ragazzo, fissando con le sopracciglia aggrottate le immagini immobili sul menù. “A nessuno importa di noi”.

Hermione si guardò intorno. Era la verità: da quando erano entrati, solo il cameriere che li aveva accompagnati al tavolo aveva rivolto loro uno sguardo, e di sfuggita. Nel mondo magico non avrebbero sicuramente goduto di tale riservatezza. 

“E’ bello poter essere una persona qualunque, ogni tanto” rifletté.

Draco annuì, rilassandosi contro la sedia e lasciando andare il menù. Hermione temette che non avesse trovato al suo interno niente di suo gradimento, probabilmente abituato com’era alle prelibatezze cucinate dagli elfi domestici del manor, ma proprio quando aprì bocca per chiedergli se voleva cambiare locale, il cameriere si fiondò al loro tavolo. 

“I signori vogliono ordinare?” disse, senza alzare lo sguardo dal taccuino. 

Draco non reagì, così Hermione, buttando un momento lo sguardo sul menù, finì per ordinare il suo solito piatto. “Per me i ravioli di carne con burrata, per favore” disse, temendo per le parole che avrebbero lasciato al bocca di Draco. E se avesse chiesto qualcosa di strano, appartenente al mondo magico?

Tuttavia, mantenendo la sua postura rilassata, il biondo si limitò a dire “lo stesso per me, grazie”.

Hermione, senza essersi resa conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento, espirò. 

“Qualcosa da bere?”

Sentì un nodo alla gola. Tutte le volte in cui era stata qui con i suoi, non aveva ancora compiuto 18 anni, dunque non aveva mai ordinato da bere. Tuttavia sua mamma prendeva sempre il vino della casa, e le faceva sempre bere un sorso dal suo bicchiere. 

“Il vino della casa” disse, con voce strozzata, perdendosi nei ricordi. 

Draco sussurrò di nuovo al cameriere che avrebbe preso lo stesso, e quest’ultimo si allontanò, lasciandoli di nuovo da soli. 

“Tutto ok?” chiese questa volta Draco a lei. 

Il nodo nella sua gola si sciolse un po’, abbastanza da consentirle di articolare una frase intera. “Lo beveva sempre mia madre”.

Il giovane abbassò lo sguardo, rigirandosi tra le dita il tovagliolo sul tavolo. “Vuoi parlare di loro?”

Non aveva mai parlato dei suoi genitori con nessuno da quando la guerra era finita. Si era limitata ad esporre i fatti essenziali, a far sapere a tutti dove si trovavano  e che no, per il momento non avevano ancora recuperato la memoria. Aveva omesso di dire che c’erano buone probabilità che non l’avrebbero mai recuperata. Tuttavia adesso, con Draco Malfoy, le parole fluirono dalla sua bocca come un fiume in piena, alleggerendo, frase dopo frase e virgola dopo virgola, quel peso che si portava dentro da mesi. Lui si limitava ad ascoltarla, a chiedere qualcosa di tanto in tanto quando nominava elementi a lui sconosciuti del mondo babbano, sorseggiando il suo vino con eleganza. 

Fu solo quando le loro portate arrivarono al tavolo che Hermione finì di parlare dei suoi genitori, mentre Draco, sempre con il massimo dell’eleganza, afferrava la bottiglia e le riempiva di nuovo il bicchiere. Osservando i suoi movimenti, si rese conto probabilmente aveva preso lezioni di galateo ancora prima di iniziare a camminare e si sentì improvvisamente in imbarazzo per i propri modi maldestri. 

Forse sarà stato per via della leggerezza indotta dal vino, ma decise di chiedergli se effettivamente la trovasse goffa. Quando aprí la bocca per parlare, lui la batté sul tempo. 

“Li senti?”

Scosse la testa. “Cosa?”

“I pensieri di tutti loro” disse, guardandosi intorno nel locale. 

No, si rese conto. Non li sentiva. Eppure, diversamente dal solito, non stava facendo nessuno sforzo. Quando era con lui, nella sua testa regnava il silenzio.

 “No”. 

“Sei un ottima alunna, Granger” disse il biondo, afferrando la sua forchetta e infilzando il primo di un’abbondante porzione di ravioli. 

“In realtà credo dipenda da te” spiegò. “Quando sono con te, in mezzo agli altri, non devo tenere su le mie barriere”.

Dal modo in cui la sua bocca si aprì e la sua forchetta rimase sospesa a mezz'aria, dedusse che le sue parole lo avevano sorpreso. 

“Ricordi quel giorno che ci incontrammo al ristorante, quando ero a cena con David?”

Draco fece una smorfia. “Si, lo ricordo”. 

“Ecco, avevo mal di testa, tenere su le barriera era stato uno sforzo estenuante,  ma poi ti ho visto e…”

“E?”

“E non ho sentito più nulla. C’era silenzio, ma senza sforzo”.

I suoi occhi si fissarono sul suo pomo d'Adamo che si alzava e si abbassava mentre deglutiva. Con la sua immancabile eleganza, mise da parte la forchetta e si pulí il viso con il tovagliolo. Hermione non poté fare a meno di seguire affascinata il movimento delle sue mani. 

"Tu senti i miei pensieri?"

Parló così in fretta che Hermione fece quasi fatica a capire cosa avesse detto. "No. È strano ma, quando ti ho visto la prima volta, non ho sentito nulla. Sarà per via dell'occlumanzia".

"Non la sto più usando"

Inizió a sudare, ed improvvisamente trovò difficile riuscire a concentrarsi sugli ultimi ravioli che le erano rimasti nel piatto, perciò mise da parte la forchetta. 

"Io, non sento i tuoi pensieri" disse. Perché faceva così caldo adesso? "Non sempre, almeno. E non in questo momento. Solo ogni tanto, piccole frasi, di sfuggita. Tu… puoi controllarlo".

Come adesso?

Sussultò. La sua voce, nella sua testa, aveva un'inclinazione più profonda. Annuí, temendo di alzare lo sguardo. Poteva sentire le sue guance arrossire, ma si disse che era per via del vino e della temperatura del locale. 

"Ti era mai successo prima?" domandò.

Draco sorrise. "Di conoscere una legilimens e di poter comunicare con lei telepaticamente?" gli angoli della sua bocca si piegarono in un modo che non aveva mai visto, ma che metteva ancora più in risalto la bellezza dei suoi lineamenti. "No, devo dire di no".

Hermione rimase in silenzio. Non riusciva a togliere i suoi occhi da lui, e non si curava più del fatto che lui potesse notare che lo stava fissando. 

Però, devo ammettere che è eccitante

Ogni volta che comunicava con lei in questo modo, era come se la sua pelle venisse pervasa da elettricità. 

Un sospiró lasció le sue labbra. "È come… come se avessimo una via di comunicazione segreta".

Si fissarono intensamente negli occhi per quella che ad Hermione parve un'eternità, ma il momento fu spezzato quando il cameriere si avvicinò al loro tavolo con il conto. 

Le ci volle qualche secondo per riprendersi dalla trance in cui era sprofondata. Raggiunse la propria borsa e tiró fuori il portafoglio. In quello stesso momento, si rese conto che Draco aveva tirato fuori qualcosa dalla propria tasca, e si mise a tossire per attirare la sua attenzione. 

Cercò di comunicargli con gli occhi di fermarsi. Non poteva sul serio credere che fosse possibile pagare con i galeoni. 

Colse l'attimo di confusione del biondo per porgere la propria carta di credito al cameriere, che l'afferrò e sparí. 

Draco era impallidito. 

"Non puoi tirare fuori i galeoni nel mondo babbano" lo ammoní sottovoce. 

Scosse la testa. "Non stavo pensando, è solo che-"

Furono interrotti dal cameriere, che restituì ad Hermione la sua carta e li congedó. Dopo che si infilarono i cappotti e lasciarono il locale, Hermione cercó Draco con gli occhi. 

"Avrei voluto essere io ad offrirti la cena". 

Tiró un sospiro di sollievo. "Tutto qua?" rise. "Avevi una faccia, temevo… non lo so" scrollò le spalle. 

"Che mi fossi ricordato che dovrei odiare i babbani e tutto cioè che ha a che fare con il loro mondo?" la guardó con un sorrisetto di traverso.

 Osservandolo dal basso verso l'alto, fu rapita dal modo in cui la sua pelle chiara si scontrava con il nero profondo del suo cappotto. 

Si morse le labbra. "Scusa".

"No, non devi scusarti".

Continuarono a camminare lentamente. Nonostante la strada fosse vuota, e avrebbero potuto entrambi materializzarsi, nessuno dei due aveva avanzato l’idea. Forse perché nessuno dei due voleva che la serata finisse. Sicuramente, lei non lo voleva. 

Non era una notte particolarmente fredda, ma neanche così calda da giustificare il calore che sentiva sulla propria pelle, così intenso da farle quasi desiderare togliersi il cappotto. 

"Sai, non ci voleva la guerra perchè mi rendessi conto che tutto ciò in cui pensavo di credere in realtà è una grandissima stronzata".

Hermione trattenne il respiro. Aveva capito che Draco non credeva più negli ideali che lui stesso proclamava con fervore anni fa, quando era solo poco più che un bambino. Eppure non credeva che ne avrebbe mai parlato così apertamente, soprattutto con lei. Forse, negli ultimi mesi, si erano avvicinati più di quanto credesse. Dopotutto anche lei si era appena confidata con lui. 

"La guerra ci ha solo dato lo schiaffo in faccia di cui avevamo bisogno" sospiró il biondo. Una nuvoletta si vapore lasció la sua bocca, l'unica cosa che fece realizzare ad Hermione quanto in realtà l'aria fuori fosse fredda.

"Ci?"

Draco rallentó ulteriormente il passo, avanzando sempre più lentamente a mano a mano che si avvicinavano a casa di Hermione. 

"Si. Io, Theo, Pansy, Blaise. Riguarda tutti noi. Stupisce anche me, ma è così. Non meritavi il modo in cui ti abbiamo trattata e tutto quello che hai subito, adesso ce ne rendiamo conto".

"Nemmeno voi" si affrettó a dire. "Eravate solo bambini. Vi hanno fatto il lavaggio del cervello".

"Già"

Per la piccola parte del tragitto rimanente, avanzarono in silenzio, solo il rumore dei loro piedi sulla strada a riempire l'atmosfera.

Ad un certo punto, tuttavia, Draco smise di camminare, guardandosi intorno con aria stranita. 

"Va tutto bene?"

Scosse la testa, guardando dietro di sè, poi davanti, infine un'ultima volta a destra e sinistra. "Si" affermò, sebbene ad Hermione non sembrò completamente convinto. "Credevo di aver sentito qualcosa".

Quando i suoi piedi si rimisero in movimento, ci vollero solo poche falcate per raggiungere il portone di casa di Hermione. 

"È stato bello" sospirò quando furono faccia a faccia. 

Draco, che fino a quel momento aveva camminato con le mani in tasca, adesso aveva le braccia a penzoloni lungo il suo corpo. "Potremmo rifarlo" avanzò, abbassando lo sguardo. "Se ti va, naturalmente".

Hermione capí, nonostante la sua facciata esterna di eleganza, che internamente era nervoso quasi quanto lei, dunque si affrettó a rispondere. "Si, si mi andrebbe". 

"Grazie, Hermione" 

Nessuno dei due mosse un piede, e quando l'attesa si fece interminabile, Hermione sentí scorrere di nuovo nelle sue vene quell'audacia che credeva l'avesse abbandonata. 

Si sollevò in punta di piedi, e con meno delicatezza di quanta avrebbe voluto, afferrò il bordo del suo cappotto. 

Fu Draco, tuttavia, ad abbassarsi leggermente e a portare le proprie labbra sulle sue. 

Le loro lingue si intrecciarono, mentre le sue braccia si avvolsero intorno a lei, stringendola contro il suo petto. 

Quando le loro bocche di separano, con i loro respiri che si intrecciavano sotto forma di  piccole nuvolette di vapore, ad Hermione parve di essere la protagonista di una commedia romantica. 

Fece un passo indietro, verso il portone di casa sua, mentre le sue labbra si allargavano automaticamente in un sorriso che sfuggiva al suo controllo. 

Quando afferrò le chiavi dalla sua borsa, si voltò ad osservarlo. 

Era fermo lí, in piedi, con le mani in tasca, ed i suoi occhi non si separavano da lei. 

"Granger?" la chiamó mentre infilava la chiave nella serratura.

Rispose con un piede già oltre la soglia. "Si?"

"Ti donano" disse. Hermione non capì, ma i suoi occhi scivolarono lungo il suo corpo, dall'alto in basso, e si sentì rabbrividire. "Questi abiti babbani".

"Buonanotte, Draco" fu l'unica cosa che riuscì a rispondere, con le sue guance in fiamme nonostante l'aria fredda. 

Notte, Hermione





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Capitolo 18
*** 18. Contro il resto del mondo ***




C'era sempre stato qualcosa di particolare nelle mani di Draco. Lo aveva notato ben prima di iniziare ad avere a che fare con lui negli ultimi mesi. Lo aveva osservato sempre ai tempi di scuola, soprattutto a lezione di pozioni, dove, era costretta ad ammettere, era più bravo di lei. 

Le sue dita bianche, lunghe e sottili, maneggiavano gli ingredienti con una delicatezza alla quale le sue piccole mani non potevano mai sperare di avvicinarsi. 

Il pesante coltello che impugnava, e con il quale stava tagliando la radice di asfodelo in fette sottilissime, sembrava avere la leggerezza di una piuma tra le sue dita. Osservó lo stesso strumento tra le proprie mani, rigirandoselo tra le dita più e più volte. Era pesante. Quando sollevò lo sguardo l'aula non era più la stessa di prima. 

Non c'era più nessuno lí dentro, nè i loro compagni di casa, ne il professor Piton. Nel piano di lavoro davanti a lei non c'era più un calderone che ribolliva, e al suo fianco c'era lui. 

I suoi occhi, troppo chiari per essere definiti azzurri, la fissavano dall'alto in basso, e il verde della sua uniforme, unito alle flebili luci della lampade che illuminavano l'aula, conferiva loro un'insolita scintilla. 

Senza dire nulla, sollevò la mano verso il suo volto, e le sue dita sottili, da cui non riusciva a staccare gli occhi di dosso, le afferrarono con delicatezza il mento, inclinandolo verso l'alto, e poi 

Din

Chiuse gli occhi

Tum

Din din

Tum

Riaprí gli occhi, scoprendo suo malgrado di non essere più ad Hogwarts nell'aula di pozioni, ma nella sua camera da letto. 

Il rumore che l'aveva disturbata veniva dalla porta, e non aveva bisogno di sentirne la voce per capire di chi si trattasse. 

Non appena le sue mani sbloccarono la serratura, la porta venne spinta con una tale forza da farla vacillare all'indietro. 

Una furia dai capelli rossi si precipitò nel suo salotto, con una tale rapidità che gli occhi di Hermione non fecero in tempo a mettere a fuoco l'oggetto che stringeva tra le mani. 

Farfugliò qualcosa che non comprese, ma quando finalmente i suoi piedi si fermarono, Hermione riuscí a capire cosa stringeva tra le mani. Era un giornale. 

Strizzó gli occhi, cercando di mettere a fuoco l'immagine familiare sulla copertina nonostante i movimenti agitati della sua amica.

"Vuoi spiegarmi che sta succedendo?"



****


Quella mattina, sebbene non così tardi come la precedente, si svegliò con la sensazione di essere più riposato che mai, e con un buco nello stomaco che reclamava di essere riempito. 

Doveva ammettere che il cibo babbano era meglio di quanto si aspettasse. Era stata una piacevole sorpresa: la sera precedente avrebbe avuto voglia di provare tutte le pietanze sul menú. Il menù era accompagnato da una foto per ogni pietanza, e sembravano una più deliziosa dell'altra. Tuttavia, per quella sera aveva deciso di limitarsi ad assaggiarne una sola, ma appena avesse capito come cambiare i suoi galeoni in soldi babbani, avrebbe fatto un tour di tutti i ristoranti di Londra. Con Hermione, naturalmente. 

Quando la nebbia del sonno inizió a diradarsi nella sua mente, si rese conto che ad averlo svegliato non era il suono degli uccellini fuori dalla sua finestra, né tantomeno la luce del sole che filtrava oltre le tende. C'era uno strano trambusto al piano di sotto, un trambusto insolito visto che in quella casa regnava sempre il silenzio.

Si alzó dal letto. Sul tavolino accanto alla porta erano accumulate diverse copie de Il cavillo, con quella più recente, della giornata odierna, in superficie. Fece saettare rapidamente gli occhi sulla copertina, decidendo tuttavia che si sarebbe dedicato alla lettura solo dopo aver capito cosa stava succedendo. 

"Mippy" chiamó. 

Non appena il piccolo elfo si materializzò ai suoi piedi, frugò nelle tasche del suo cappotto, adagiato contro la sedia, per tirare fuori un galeone. Lo porse alla creatura che, come la volta precedente, rimase a guardare incerta il suo braccio teso. 

"Cosa succede al piano di sotto?"

L'elfo squittí. "Il padrone Lucius è furioso, sir. Molto furioso".

"Come mai?" domandò, mentre una strana e spiacevole sensazione si faceva strada nel suo stomaco, spazzando via la sua fame. 

L'elfo abbassò lo sguardo verso i propri piedi, e il giovane non si rese nemmeno conto che la sua mano che impugnava la moneta non era più tesa verso di lui, ma giaceva a pendoloni lungo il suo corpo. "È - è per quel giornale".

Il suo sguardo saettò verso le copie del Cavillo sulla sua scrivania. "Per quello?" indicó. "Non vuole che io lo legga?"

"N-no" balbettò l'elfo. "Per questo".

Con uno schiocco di dita fece apparire quella che Draco riconobbe come una copia della Gazzetta del Profeta. 

I suoi occhi misero immediatamente a fuoco l'immagine in copertina. In quello stesso istante, sentì il suo stomaco sprofondare fin sotto ai suoi piedi e il cuore risalirgli in gola. La moneta che aveva tra le dita scivolò, producendo un tintinnio contro il pavimento e rotolando lontano, ma lui non la vide. Aveva occhi solo per quell'immagine in copertina, sulla prima pagina del giornale. 

Lui ed Hermione, che si baciavano. 


***


"Questo è ciò con cui eri alle prese negli ultimi giorni?" 

La voce di Ginny risuonó come un eco lontano. La ascoltava senza realmente sentirla, troppo concentrata su quella fotografia. Un momento così intimo… E per tutto il tempo c'era stato qualcuno ad osservarli. Qualcuno che li stava seguendo. Forse fin da dentro il ristorante. 

La stavano sorvegliando per attendere che gli desse l'occasione finale di screditarla pubblicamente? Ma quale senso aveva? 

Lo sconcerto iniziale duró tuttavia solo pochi secondi. La cosa che provava davvero era rabbia. Era stanca, esausta, che un giornale ufficiale, o che si proclamava tale, speculasse così sulla sua vita privata da quando aveva quattordici anni.

E cosa importava al mondo se avesse una relazione con Malfoy? Questa società si proclamava improvvisamente evoluta e aperta, ma era più chiusa di quella precedente. Fingeva di accettare lei, perché nata babbana, senza averlo mai davvero fatto. Ed era finalmente libera di sputare odio sui Malfoy e su quelli come loro, non dovendo più fingere un rispetto che, come per lei, non c'era mai realmente stato. Era una società marcia fino al midollo, guidata da persone che si proclamavano superiori a tutto il resto, e che purtroppo avevano in mano gli strumenti per influenzare e controllare la vita degli altri. 

Quando questa rabbia si consolidò nel suo petto, riportó il suo sguardo su Ginny. La rossa aveva smesso di parlare, ma non per questo sembrava intimidita. Era ferma con il giornale in mano in una posa statutaria, che lasciava intendere che non se ne sarebbe andata da qui finché non le avesse offerto delle spiegazioni. Eppure non si sentiva pronta, non del tutto. 

"Vuoi del the?" disse, girandole intorno e dirigendosi al suo piccolo cucinotto. Con movimenti goffi e carichi di nervosismo, mise su l'acqua a bollire. 

Uno strano silenzio caló nella stanza. Da parte di Hermione, era carico di tensione e nervosismo. Si chiese cosa significasse per Ginny, ma voltandosi a guardarla non riuscì a decifrare nulla di familiare o di già visto nei suoi occhi marroni. Eppure li aveva visti in quasi tutte le loro sfumature: tristi, arrabbiati, furiosi, disperati, allegri, esultanti. Ma adesso?

Dovette trattenersi, sforzandosi di mantenere le sue barriere alte e non invadere la sua privacy. 

Quando il sangue nelle sue vene sbollì appena, e l'acqua sul fuoco fu abbastanza calda, riempí due tazze di thè e ne persone una alla sua amica. 

"Lo hanno già visto tutti?" chiese, riscaldandosi le mani contro la tazza bollente. 

Ginny avvicinó la tazza alle proprie labbra, poi la allontanó senza prenderne un sorso. "Ron è stato il primo". 

Hermione rabbrividì. "L'ha presa male?"

La rossa si limitò a fare spallucce. "Forse si, ma non è quello il punto, Herm. Perché ultimamente ho la sensazione che tu ti sia isolata da noi, da me…e poi esce fuori questo?"

Quando Hermione aprì la bocca per continuare, Ginny glielo impedí. 

"Sia chiaro, a differenza di quell'idiota di mio fratello,  e anche di Harry, a me non importa che tu passi del tempo con Malfoy. Avrebbe potuto esserci chiunque qui in copertina. Voglio capire perché ci hai allontanati tutti. Se le cose tra te e mio fratello non sono andate come speravate, non significa che tu debba tagliare me fuori dalla tua vita".

Hermione avvertì una fitta al petto. Adesso capiva che Ginny era semplicemente triste, e si sentì in colpa. Non era solo la sua amicizia con Harry e Ron a mancarle, ma anche quella con la piccola di casa Weasley. Ginny aveva trovato in lei la sorella che non aveva mai avuto in quella famiglia così numerosa. Ed Hermione l'aveva ignorata ed esclusa dalla propria vita negli ultimi mesi, non poteva darle torto. Voleva raccontarle tutto, e lo avrebbe fatto, davvero. Ma non ancora. Forse, adesso, si sarebbe limitata solo ad alcuni dettagli. 

Si mise comoda contro la sedia del tavolo della cucina, prendendo un altro sorso dalla sua tazza fumante. Anche quella di Ginny, ancora piena, liberava nell'aria piccole nuvolette di fumo. La rossa allungò una mano verso di essa, ma anziché afferrarla, la allontanó ancora un po' sul tavolo dove era seduta. Poi, con la sua sedia, si spostò qualche centimetro indietro. 

Se non fosse stata troppo presa da tutto ciò che stava succedendo, e dall'immagine in movimento di lei e Draco che si baciavano ancora e ancora sul giornale, le avrebbe chiesto se c'era effettivamente qualcosa che non andava con la sua bevanda. Sapeva non fosse proprio il massimo, ma Ginny, a differenza di tutti gli altri, lo aveva sempre bevuto. 

Capovolse il giornale, evitando di avere quell immagine decisamente distraente sotto gli occhi, e poi cercó quelli della sua amica. 

"Mi dispiace. È tutto iniziato quando Malfoy mi ha chiesto aiuto per il processo" disse, cercando le parole giuste per dire la verità omettendo tuttavia il suo incidente, e ciò che aveva comportato. "E lu si è offerto di aiutarmi in questa guerra politica che il ministero sta combattendo contro di me…. E poi-"

"Avrei voluto solo che me lo dicessi" fu la risposta di Ginny. Sedeva lì, ferma, con le mani incrociate sullo stomaco. La delusione che percepiva nella sua voce fu come un coltello contro il petto di Hermione. "Ieri ho scoperto una cosa, e la prima persona con cui avrei voluto parlarne eri tu" disse. 

Hermione la ascoltó con il cuore in gola. 

"Ero venuta a cercarti ma non eri in casa. Così avevo detto che sarei ripassata stamattina".

"Cosa volevi dirmi?"

In quell'istante le fiamme del caminetto si accesero, ed Hermione non ebbe bisogno di alzare lo sguardo dalla sua tazza. C'era solo una persona che poteva presentarsi a casa sua così all'improvviso dopo aver visto quell'articolo sulla Gazzetta del Profeta. 

E così, per diversi secondi, ognuno rimase immobile dov'era. Draco, ancora con i piedi tra le cenere del caminetto, facendo saettare il suo guardò tra Hermione e Ginny. 

La rossa, con un'espressione a tratti contriata e a tratti curiosa, che scrutava il nuovo arrivato con la stessa espressione che sua madre rivolgeva a lei e i suoi fratelli quando si cacciavano nei guai. Ed infine Hermione, con la sua tazza ancora in mano, che cercava gli occhi di Draco con aria ancora più confusa della sua. 

La prima reazione arrivó invece da parte della rossa. "Mi stai dicendo che lui ha accesso al tuo caminetto ed io no?" sbottò. "Ti rendi conto che ho dovuto volare fino a qui sulla mia scopa per non correre il rischi di sma-"

Si bloccò, non finendo la frase. Hermione la fissó con aria sempre più confusa, e anche Draco la studiava cauto. Non si era ancora mosso dal caminetto. 

"Va bene" continuó poi la rossa, scuotendo la testa. "Volevo solo parlare con te, in maniera onesta, Hermione… ".

Quando si alzò dal suo sgabello, il cuore di Hermione precipitò in fondo al suo petto. Si era lamentata continuamente della sua solitudine, eppure non aveva fatto altro che allontanare tutte le persone che le stavano intorno. Era in parte anche colpa sua se si era sentita così sola, adesso se ne rendeva conto.  

"Mi dispiace" si affrettó a dire. "Hai ragione, io ho allontanato tutti. Ed è stato stupido e meschino da parte mia".

Ginny rilassò le spalle. "Non mi importa di te e Ron, Hermione, ma mi manca avere un'amica con cui parlare".

"Lo so". E lo sapeva veramente adesso. Lo sentiva fin in fondo al suo stomaco quanto le fosse mancato parlare con lei, e con Harry. "Ti racconterò tutto".

Un colpo di tosse proveniente dal caminetto riportó l'attenzione di entrambe le ragazze su Draco. "Se non è buon momento… posso tornare più tardi" 

"Oh no" intervení Ginny, prima che Hermione potesse dirgli che in effetti no, non era affatto un buon momento. "Tu rimani qui".


***


Dopo che Hermione ebbe il tempo di offrire una spiegazione più che dettagliata su tutto ciò che era successo con quelli del ministero, e con lui, prestando particolare attenzione ad omettere qualsiasi cosa che riguardasse l'occlumanzia e il suo incidente, gli occhi sadici di Ginevra Wesley si piantorono su di lui, esaminandolo dalla testa ai piedi. 

Cercó di ricambiare il suo sguardo, sforzandosi di non lasciar trapelare quanto si sentisse come un piccolo topolino sotto gli occhi di un falco pronto a divorarlo. 

Granger, ho paura 

Hermione si alzó di scatto. "Malfoy, vuoi altro the?" 

Per quanto la prospettiva non lo entusiasmasse, annuì. Quando tuttavia Hermione si allontanó, si pentì di quella decisione. Adesso era solo con lei. 

La rossa si fece avanti sulla poltrona su cui era seduta, avvicinandosi a lui. "Io non mi fido di te, Malfoy. Ma il caso vuole che Hermione lo faccia, perciò ti concedo il beneficio del dubbio". 

Deglutì. 

"Ma se per un motivo o per un altro questo fa parte di un tuo subdolo piano per ottenere qualcosa da lei-"

Prese un respiro profondo. "Credi che la strega più brillante della sua età riuscirebbe a farsi prendere in giro proprio da me?"

L'espressione della rossa cambiò, e finalmente prese ad osservarlo con aria meno diffidente e, avrebbe osato dire, sorpresa. In quello stesso istante, Hermione ritorno dal bancone della cucina con una tazze fumante di the tra le mani, porgendogliela. 

I suoi occhi non mancarono di notare come Ginny si voltó dall'altro lato, cambiando posizione sulla poltrona in modo da essere il più lontano possibile dalla nuvoletta di vapore che si sprigionava dalla tazza. Una smorfia solcó il suo visivo, e in seguito si alzò in piedi. 

"Vado un attimo al bagno". 

Quando restarono da soli, Draco ebbe finalmente un momento per parlare, da solo, con Hermione. 

 "C'era qualcuno ieri sera. Tu lo avevi sentito" disse la grifona, con un aria né preoccupata né spaventata, ma come se stesse semplicemente discutendo del tempo.

Strinse la sua mano. "Si. O almeno credo. Qualcuno ti sta seguendo".

"Credi ce l'abbiano con me? Cosa dovrei fare?"

Annuí. "Parlaró con Theo per sicurezza, ma credo che dovresti comunque rilasciare l'intervista con il Cavillo. Lovegood verrà stasera, vero?"

Hermione annuí.

Il rumore dello sciacquone li fece sussultare entrambi. Si allontanarono di qualche centimetro sul divano, recuperando le loro posizioni originali a debita distanza. 

Ginny, tuttavia, era uscita dal bagno improvvisamente più pallida in volto, e non prestò loro attenzione. 

"È meglio che vada" disse, rivolgendo un ultimo, disgustato, sguardo alla tazza ancora fumante sul piccolo tavolino.  "Hermione?"

La riccia scattó in piedi. 

"Saresti mica così gentile da aprire il passaggio via metropolvere per casa mia?"


***


"L'uomo del giorno" urló Theo quando apparí nel caminetto di casa sua. In una mano impugnava quella copia della Gazzetta del Profeta, mentre nell'altra stringeva… una sigaretta babbana. 

Draco avanzó verso di lui, cercando di comunicare con lo sguardo quanto non avesse voglia di scherzare.

 Theo alzò le mani in aria difensiva. "Va bene, va bene". 

Draco si portò una mano alla fronte. "Dovrebbe ancora fare l'intervista vero?"

Il moro inspiró. "Oh sì, e dovrebbe renderla più scandalosa che mai".

"D'accordo" annuí Draco, iniziando a camminare avanti e indietro per il salotto. "Suggerimenti?"

Il ragazzo posò la sigaretta su un piccolo posacenere verde e argento, poi prese a scrutare il giornale. Ignorando completamente Draco, si avvicinò ad un piccolo scaffale adagiato al muro e tirò fuori una piuma, inchiostro e un foglio di pergamena. 

"Siediti" disse. "Ci vorrà un po'".


***


Draco non aveva insistito perché Theo venisse a casa di Hermione per l'intervista, principalmente perché non sapeva se Hermione sarebbe stata a suo agio. Però mentre continuava a leggere e rileggere le migliaia di cose che Theo era riuscito a scrivere in un singolo foglio, comprendendone a stento la metà, prego dentro di sé che per Hermione quell'ammasso illogico di frasi avesse un senso. 

Si trattenne al Nott Manor fino all'orario dell'intervista, fissata praticamente per ora di cena. Suo padre era probabilmente fuori di sé per ciò che aveva visto sul giornale, e per quanto non gli importasse ciò che pensava, non aveva neanche voglia di confrontarlo al riguardo. Perciò decise che l'avrebbe evitato quanto più possibile: dopotutto, lui era agli arresti domiciliari per sempre, mentre Draco era un uomo libero. Forse avrebbe potuto valutare l'idea di trasferirsi permanentemente da Theo e non parlargli mai più. 

Ritornó nel caminetto di camera sua solo per potersi poi trasferire da lì a casa di Hermione. Aveva provato uno strano senso di soddisfazione, che si era irradiato come un onda di calore per tutto il suo petto, quando aveva scoperto che Hermione aveva chiuso tutti i collegamenti via metropolvere eccetto quello per camera sua. Si fidava di lui più di quanto avesse immaginato, e la cosa faceva ribaltare il suo stomaco su sé stesso. 

Quando andò da Hermione, attese silenziosamente che leggesse la lunga pergamena scritta da Theo con i veri suggerimenti per rendere la sua intervista il più efficiente possibile: il loro obiettivo non era solo dire la verità, ma farlo nel modo più impattante possibile. Dopo il colpo della Gazzetta del Profeta di quella mattina, avrebbero avuto bisogno di tutto l'aiuto possibile. Nonostante lui non avesse capito più della metà di ciò che Theo aveva scritto, Hermione divorava le sue parole con gli occhi spalancati, mentre il suo piede picchiettava nervosamente contro il pavimento. Di tanto in tanto pronunciava addirittura delle esclamazioni meravigliate, annuiva, corrugava la fronte. 

Dopo un po', iniziò a sentirsi persino geloso di quel misero pezzo di carta che aveva catturato a tal punto la sua attenzione. 

Quando pensó di non poterne più, qualcuno bussò alla sua porta. Lovegood era finalmente arrivata. 

Quando l'intervista di Hermione ebbe inizio, si sedette su una poltrona, la sua poltrona, limitandosi ad osservarla mentre le parole fluivano dalla sua bocca con naturalezza. A man a mano che parlava, il suo guardò diventava più luminoso. Ma questa volta non brillava per passione, come quando parlava delle cause per le quali si batteva, né di curiosità, come quando leggeva un libro di qualsiasi nuova materia. Brillava di rabbia: si sentiva al contempo incantato ed intimidito da lei. C'era fermezza nella sua voce così dolce, e per quanto amasse sentirla parlare, ad un certo le sue parole smisero di raggiungere il suo cervello. Nella sua testa c'era spazio solo per le sue labbra, ed i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da esse. 

E poi sentí quella familiare sensazione che ormai gli faceva spesso compagnia quando era in sua presenza. Cercó di posizionarsi sulla sedia in modo che la spiacevole sporgenza non si notasse, ma per fortuna entrambe le ragazze erano abbastanza prese dall'intervista da non notare il suo momentaneo disagio. 

Più la guardava, piú il sangue gonfiava il suo pene al punto da fare male. Strinse le mani intorno ai braccioli della poltrona, mentre qualcosa che non voleva fermare iniziava ad impossessarsi di lui.

 Salazar le cose che avrebbe voluto fare con lei, e a lei. 


***


Luna sembrava entusiasta della sua intervista, e nonostante Hermione avesse sempre avuto delle riserve nei confronti della sua famiglia e del suo giornale durante gli anni di scuola, non poteva negare l'importante contributo che avevano offerto durante la guerra e la rilevanza che avevano oggi. Il loro lavoro era importante, e una parte di lei si sentiva in colpa per non averlo riconosciuto prima (e per aver sminuito e screditato tutto ciò che lo riguardava).

Perciò quando la ragazza la interruppe, dicendo che aveva abbastanza materiale e che sapeva come montare un pezzo di effetto, Hermione trattene la sua innata tentazione di intromettersi, di offrire un suggerimento, di chiedere cosa, e come, avrebbe fatto. Doveva fidarsi e basta. 

Nonostante tutto, c'era anche un altro motivo per cui non vedeva l'ora che Luna se ne andasse, ed era il fatto che fremeva dalla voglia di rimanere sola con Draco. Per tutta la durata dell'intervista aveva sentito i suoi occhi su di sé, come se cercasse di incendiare la sua pelle con lo sguardo. Di tanto in tanto aveva azzardato rivolgergli un'occhiata di sfuggita, ma ogni singola volta aveva dovuto distogliere lo sguardo con altrettanta rapidità, altrimenti sarebbe rimasta senza parole- e senza fiato.

Adesso che erano rimasti da soli, Hermione era improvvisamente molto, molto, più consapevole dello sguardo di Draco su di lei. Non che avesse fatto effettivamente fatto qualcosa per non incoraggiarlo, anzi. Da quando la sera precedente le aveva detto che le donavano I suoi vestiti babbani, aveva iniziato a tirarne fuori dall'armadio quanti più possibile, ed era imbarazzata di ammettere che si era cambiata più volte davanti allo specchio, con lo stesso entusiasmo di quando si era preparata per il ballo del ceppo a 14 anni. 

Neanche lo shock della notizia sui giornali era stato capace di influenzarla e scoraggiarla da questi episodi di superficialità. Dopotutto perché avrebbe dovuto? Tra tutte le cose che le erano successe, questa era letteralmente una barzelletta. 

La verità era che il modo in cui Draco la guardava aveva risvegliato dentro di lei il desiderio di sentirsi desiderata. Il modo in cui i suoi occhi si posavano su di lei, senza separarsi… le faceva provare delle cose che credeva di non poter mai sentire. 

Rimasti da soli, rivolse finalmente il suo sguardo verso di lui. Sedeva come non l'aveva mai visto: le gambe divaricate sulla poltrona, i gomiti poggiati sulle ginocchia.

I suoi occhi non facevano che scendere lungo le sue gambe, e poi risalire di nuovo. E poi riscendere. 

Deglutì. Da quanto tempo erano in silenzio? Perché Draco non si era mosso dalla poltrona? 

Una parte di lei non voleva che se ne andasse, ma l'altra era tanto eccitata quanto terrorizzata dal fatto che restasse. 

Si mise seduta sul divano, più vicino possibile alla poltrona su cui sedeva lui. "Credi sia andata bene?"

Annuì. "Sei stata brillante". 

La sua voce era ferma, così come il suo sguardo. Una parte di lei sapeva cosa sarebbe successo, o cosa stava per succedere, ed era al contempo eccitata e terrorizzata. "Grazie". 

Rimasero in silenzio per qualche secondo. Quando apri la bocca per parlare, lui fece lo stesso. Entrambi attesero che fosse l'altro a farsi avanti. 

Vuoi che vada via?

I suoi occhi la fissavano intensamente, come se la sua intera vita dipendesse da quella risposta. 

"No". Fu quasi un sussurro, ma lui lo sentì, e con una velocità che la sorprese, si alzò dalla poltrona e si mise sul divano accanto a lei. 

"Sembri nervosa" disse, scrutando il suo volto come se non volesse perdersi alcun dettaglio della sua risposta. 

"Lo sono. Solo un po'" si corresse immediatamente, temendo che la sua ammissione potesse farlo andare via. Non voleva che se ne andasse. 

Il suo volto si avvicinò. Non abbastanza da far si che le loro labbra si toccassero, ma abbastanza affinché il suo respiro caldo le solleticasse la pelle. "Se c'é qualcuno che dovrebbe essere nervoso, quello sono io". 

"Perché?" esclamò in un sospiro. Non riuscì ad impedire alla propria curiosità di prendere il sopravvento. 

Non lo vedi, Hermione? Non vedi cosa mi fai?

Insintivamente, il suo sguardo scivolò verso il basso, dove la sporgenza della sua erezione era evidente sotto la stoffa raffinata dei suoi pantaloni. Alzò immediatamente lo sguardo, mentre sentiva il rossore impossessarsi delle sue guance. 

La sua mano si sollevó, avvolgendo delicatamente il suo viso. Il suo pollice tracciò il profilo del suo labbro inferiore. 

Ebbero solo entrambi un attimo di esitazione, prima che le loro labbra si scontrassero l'una con l'altra. 

A differenza del bacio della sera precedente, oggi la dolcezza aveva lasciato spazio a qualcos'altro. Forse erano entrambi stressati, stanchi e stravolti da tutto ciò che succedeva intorno a loro, e ciascuno di loro stava riversando in quel bacio la propria frustrazione. 

 Nella sua bocca che incontrava quella di Draco, nelle sue mani che affondavano tra i suoi capelli, nel suo corpo che premeva contro quello di lui, sentiva ogni singola emozione negativa abbandonarla, ogni pensiero lasciare la sua mente per non lasciare spazio nient'altro che non fosse questo, solo questo. 

Anche nel modo in cui lui la stringeva c'era qualcosa di diverso. Un'urgenza completamente nuova. 

 Una delle sue mani cingeva la sua vita, mentre l'altra aveva afferrato la sua gamba, all'altezza del ginocchio. 

Con un movimento che Hermione non aveva previsto, ma che risultó la cosa più naturale che avesse mai fatto, le mani di Draco la spinsero contro di sé. Il suo corpo obbedì in maniera automatica, e si ritrovó seduta cavalcioni su di lui. 

Il ragazzo scorrere le mani contro la sua schiena, ed Hermione sentí la tensione accumulata nei propri muscoli sciogliersi sotto il suo calore. Cercó i suoi occhi… le sue pupille erano due pozzi completamente neri. La sua mascella era serrata. 

"È ok?" chiese Draco con il fiato pesante, le mani ferme contro la sua schiena, attendendo la sua risposta con le labbra schiuse.

Annuí, e un po' sotto la spinta delle sue mani, un po' sotto quella dei suoi stessi muscoli, Hermione si avvicinó al suo petto con questa nuova angolazione. 

Nel momento in cui le loro labbra si incontrarono di nuovo, sentí la sua erezione contro di lei, nel punto in cui i loro ventri si incontravano. Non aveva realmente apprezzato la sua grandezza prima, troppo imbarazzata per soffermarcisi con lo sguardo. Ma adesso… sentí il respiro mancarle mentre pensava che potesse essere lei a far questo effetto a qualcuno. A lui

L'angolo tra i loro corpi creó una frizione perfetta, che le aveva fatto rendere conto di quanto si sentisse eccitata.

Probabilmente la sentí anche lui, perchè le sue dita si strinsero intorno a lei, e il suo bacino si sollevó, assecondando quella vicinanza. Le sue labbra si spostarono lungo il suo collo, baciando e succhiando un punto sotto il suo orecchio.

Hermione si sentiva come se tutta la tensione accumulata negli ultimi mesi stesse esplodendo in questo momento, correndo nelle sue vene, annebbiando completamente i suoi pensieri. 

Le mani di Draco risalirono lungo la sua schiena, mentre la sua lingua ed i suoi denti continuavano ad avventarsi contro il suo collo. 

Hermione mosse di nuovo i fianchi, assecondando quella frizione. Il movimento invió una scossa lungo il suo corpo, e le mani di Draco si strinsero un po' di più contro la sua schiena. 

"Hermione" ansimó Draco contro il suo orecchio quando le sue labbra di separarono da lei. Il suo respiro contro il suo collo la fece rabbrividire. "Per favore". 

La strinse con forza contro di sé, impedendo ogni suo movimento. Hermione vide la tensione nei muscoli delle sue spalle e nella sua mascella serrata. Forse gli stava facendo male… 

Improvvisamente si sentí a disagio. Cercó di spostarsi, di scendere da lui, ma la sua presa glielo impedí. 

"Possiamo andare in camera tua?"

Il suo cervello impiegó qualche secondo a registrare le sue parole. Temeva che la stesse respingendo, o che le dicesse che gli stava effettivamente facendo male. 

Questa era tuttavia una piacevole sorpresa. Riuscì a connettere i suoi neuroni abbastanza da annuire, e con il cuore che martellava dentro il suo petto, afferrò la sua mano e lo trascinó nella sua camera. 

Le luci erano spente: l'unica illuminazione proveniva dalle luci dei lampioni che entravano dalla finestra, filtrando oltre le tende, e dalla luce accesa del salotto che entrava dalla parzialmente socchiusa proveniva dal salotto.

Non si baciarono subito. Hermione temeva ancora di aver perso il controllo pochi momenti prima, e non sapeva cosa passasse per la testa di Draco, il che era assurdo per una che aveva il potere di leggere nel pensiero. 

Draco era alle sue spalle, poteva sentirlo dal suo respiro pesante. Lentamente, trovò il coraggio di voltarsi. Hermione fu grata per la luce spenta, perché era certa che le sue guance avessero assunto un'accesissima tonalità di rosso al momento. 

Draco si avvicinó, cercando la sua mano. "Se hai cambiato idea, Hermione, devi dirmelo" 

"No" sussuró. 

Si baciarono di nuovo. Le mani di Draco le cinsero i fianchi, e i loro piedi li trascinarono lentamente contro il bordo del letto. Quando si fermarono, Draco appoggiò la fronte contro la sua, respirando sulle sue labbra. "Ne sei sicura?". 

Deglutì, mentre sentiva le sue ginocchia farsi deboli. Non credeva di aver mai sentito un bisogno così.   

"Ho bisogno di sentirtelo dire" continuó Draco. La stanza era immersa nel silenzio, riempito solo dai loro respiri che si intrecciavano. 

Annuí. "Sono sicura".

Draco espiró, e le sue braccia si strinsero di nuovo intorno al suo corpo, spingendola delicatamente contro il letto. 

Si ritrovó con la schiena contro il materasso, lui sopra di lei. Osservandolo così, dal basso verso l'alto, con le pupille dilatate e i suoi capelli biondi che le accarezzavano la fronte, si rese conto che era ancora più bello di quanto avesse mai notato. Non aveva mai realmente riconosciuto la sua bellezza. Solo quella convenzionale, che tutti erano soliti attribuirgli. Ma c'era qualcosa del suo volto che andava oltre. 

Una delle sue mani le accarezzó delicatamente il viso. Le sue dita viaggiarono dalla sua guancia, scendendo lungo il collo, fino a seguire il profilo della sua clavicola. Quando raggiunsero l'orlo della sua maglietta, si bloccarono.

Posso?

La parola riecheggiò dentro la sua mente, scuotendola. "Si" ansimó. "Per favore".

Quando rimase davanti a lui con solo il suo reggiseno, ripetè il gesto contro il suo corpo.  Sollevandosi appena sui propri gomiti, lo aiutò a liberarsi del maglione che indossava. 

Deglutì, mentre i suoi occhi scorrevano sul suo petto nudo. La sua pelle era talmente bianca da risaltare nel buio, come se quel poco di luce che riusciva a raggiungere la stanza si riflettesse su di essa. Una serie di cicatrici solcavano il suo addome magro, viaggiando  da appena al di sotto delle clavicole fino al punto in cui l'elastico dei suoi pantaloni non le rendeva più visibili. Senza rendersene conto, tracció con la mano il profilo di una di esse. Quando le sue dita raggiunsero i pressi del suo ombelico, Draco inspiró, e tutti i muscoli del suo addome si contrassero. 

Gli occhi di Hermione si spostarono inevitabilmente verso l'erezione visibile dai suoi pantaloni. Esitante, avvicinò la mano al bottone. I suoi movimenti erano lenti, e le sue dita tremavano, e il tempo sembró fermarsi del tutto mentre la zip si abbassava.  

Provò a toccarlo da sopra la stoffa dei suoi boxer: la testa di Draco sprofondò tra il suo collo e la sua spalla. Ripeté il gesto, muovendo la mano lungo la sua lunghezza, fino alla punta, incoraggiata dal suo respiro sempre più rapido contro il proprio orecchio. 

Quando fece per spostare l'elastico, una delle sue mani si avvolse intorno al suo polso.  

"Non ancora" ansimó contro la sua spalla. 

Esitante, lasció che guidasse il suo braccio fin sopra la sua testa, intrecciando le dita nelle sue e immobilizzandolo contro il materasso.  Poi riprese a baciarla, esplorando la nuova pelle scoperta. Dal modo in cui le sue labbra e le sue mani la toccavano, vedeva in lui la stessa impazienza che aveva dentro di sé. Eppure notava che si tratteneva: conteneva la sua voglia di affrettare le cose, esplorando invece ogni centimetro della sua pelle, prendendosi il suo tempo. 

Aveva sempre creduto che tutto questo  sarebbe stato frustrante: l'attesa, il continuo sfiorarsi senza mai andare oltre, ma invece provava solo piacere. Ogni gesto, ogni secondo, non faceva che aumentare quel bisogno che bruciava in fondo al suo stomaco.

Non era mai stato così con Ron. Avevano sempre affrettato le cose. Lei non se ne era mai lamentata, ma dopotutto come mai avrebbe potuto fare un paragone? 

Quei pensieri furono bruscamente interrotti  quando la bocca di Draco sfiorò la pelle intorno ombelico. Era sceso così in basso… Come aveva fatto lei poco prima, una delle sue mani le sbottonó pantaloni. Si sollevò, come per affrettarsi a toglierli, ma lui poggiò delicatamente un palmo sul suo stomaco. 

"Non alzarti". Voglio farlo io 

Con movimenti lenti e calcolati, iniziò a spogliarla dei suoi pantaloni. Era riuscito a rendere eccitante persino l'atto di spogliarsi, che fino ad allora aveva considerato come una delle cose che le piaceva meno del sesso. 

Avrebbe voluto fare lo stesso per lui, ma non ne ebbe la possibilità. Nell'istante in cui fu finalmente libera dai suoi jeans, la testa di Draco si piazzó in mezzo alle sue gambe. La sua guancia era poggiata contro la sua coscia, i suoi occhi su di lei, le sue mani intente ad accarezzare la pelle liscia del suo stomaco, facendo in modo che la sua schiena non si sollevasse dal letto. 

Sei bellissima 

Un'altra ondata di calore si impossessó di lei. 

Le sue mani continuarono ad accarezzarle la pelle, fermandosi al di sopra dell'elastico della sua biancheria. 

"Posso toccarti, Hermione?"

"Si". La risposta lasció le sue labbra con una tale rapidità che lui sorrise. La sua mano scivolò verso il basso, accarezzandola da sopra la stoffa, fino al punto in cui potè sentire sulla sua pelle l'effetto che ciò che stavano facendo aveva su di lei. 

 Hermione si rilassó sotto il suo tocco, abbandonando il suo incessante desiderio di avere sempre il controllo. 

Quando Draco sfiló con altrettanta delicatezza anche le sue mutandine, e la sue labbra furono su di lei, fu costretta a chiudere gli occhi. 

Dopo un primo, breve ed esitante contatto, la sua lingua si fece più insistente, e oh

Questa era una di quelle cose che lei e Ron non avevano mai fatto. Non le era mai importato. Non poteva mica essere meglio del vero sesso, vero?

Eppure lo era. Eccome se lo era.

Le sue dita si strinsero intorno alle lenzuola, ed il suo bacino si sollevó istintivamente per tentare di andare incontro alla sua bocca. 

Sentí Draco sorridere contro la sua coscia, avvertendo la mancanza del suo tocco. 

"Continuo?"

"Si" ansimó. "Per favore".

"Tutto ciò che vuoi" le sue labbra furono di nuovo dove le desiderava. "Devi solo chiedermelo". Il suo respiro era caldo contro di lei, e le sue parole… 

"Non riuscirei mai a dirti di no".

Ad ogni suo tocco, il suo piacere cresceva. Era così vicina, ed era successo tutto così in fretta. 

Il limite, tuttavia, lo raggiunse quando Draco avanzò con le dita verso la sua entrata. Tra la sua saliva e la sua stessa eccitazione, era così bagnata che scivolò dentro come se fosse la cosa più naturale del mondo. 

Si contrasse immediatamente intorno alle sue dita. Chiuse gli occhi, mentre veniva scossa dalle contrazioni. Per diversi secondi, nulla che appartenesse al mondo esterno riuscì a raggiungere la sua coscienza.

Quando lentamente si riprese, i suoi occhi si ritrovarono davanti all'arruffata nuvola argentata dei suoi capelli. Le sue labbra erano umide e gonfie. Le bació, non preoccupandosi di dove erano state fino a pochi momenti prima. 

"Hermione" ansimó, bloccandosi come se non trovasse le parole.

 Per la prima volta in vita sua, anche lei era rimasta senza. 

Draco le bacio il collo, "dimmi a cosa stai pensando". Dopo aver sussurrato quelle parole, le sue labbra si diressero sul suo seno, e le sue mani scivolarono dietro la sua schiena, liberandola di quell'ultimo piccolo ostacolo tra i loro corpi. Quando il suo reggiseno atterrò sul pavimento, e rimase completamente nuda, Hermione si rese conto che lui indossava ancora i pantaloni. 

Si affrettó ad afferrarli, nonostante le sue mani non fossero completamente ferme. Poi abbassò l'elastico dei suoi boxer, attendendo che li sfilasse completamente. I loro occhi evitarono di incontrarsi mentre lo faceva, e quando fu di nuovo su di lei, la sua voce aveva un'inclinazione diversa. 

"Ne sei sicura?" 

Gli occhi di Hermione saettarono tra le sue pupille dilatate ai suoi bicipiti, tesi sotto il peso del suo corpo, permeati da quella tensione visibile in ogni muscolo del suo corpo.

"Si".  Il cuore stava per schizzarle fuori dal petto per quanto lo voleva. Il suo corpo era interamente, totalmente, pronto per lui. "Non chiedermelo di nuovo, per favore". 

Quelle ultime parole sembrarono spezzare qualsiasi autocontrollo al quale si stava aggrappando. Senza che dicesse altro, Draco si posizionó tra le sue gambe e lentamente scivolò dentro di lei. 

Sospirarono entrambi. Hermione si rese conto di quanto le fosse mancata questa sensazione. Pelle contro pelle, il suo peso su di lei, dentro di lei. 

I loro corpi si incastravano alla perfezione, e per tutto il tempo in cui lo sentí tutt'intorno a sé, si dimenticò di ogni altra cosa. 

Ciò che avveniva fuori non era importante. 

C'erano solo loro due contro il resto del mondo, e ogni altra cosa sarebbe stata insignificante finché lui l'avesse stretta tra le sue braccia. 


















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Capitolo 19
*** 19. Pleasure ***


Ora si che si era veramente reso conto di tutto quello che si era perso.

 Suo padre, Voldemort, la guerra, non gli avevano portato via solo gli ultimi due anni della sua vita e della sua giovinezza, ma molto di più. Per via di quegli ideali malati e insensati che avevano inculcato nella sua testa, aveva passato anni senza rendersi conto di quanto Hermione Granger fosse, in realtà, una delle streghe più belle ad aver mai solcato il suolo della Gran Bretagna. E nonostante gli anni passati a disprezzarla ed odiarla senza un reale motivo, adesso che si ritrovava nel letto senza vestiti insieme a lei, giurò che non avrebbe trascorso più un solo secondo senza apprezzarla davvero per ciò che é.

 Come poteva il mondo intero non riconoscerla a pieno? Come aveva potuto quell’idiota di Ron Weasley lasciarsela sfuggire? 

Se c’era una cosa di cui era certo, era che lui non l’avrebbe fatto. 

Quando i primi raggi dell’alba iniziarono ad illuminare la stanza oltre le tende sulla finestra, la sua mente, mai più lucida di come lo era stata quella notte, iniziò a pensare a quale sarebbe stato il suo prossimo passo. Sicuramente Hermione non avrebbe voluto che se ne andasse, giusto?

Rivolse lo sguardo verso di lei, osservando il profilo delle sue spalle e i suoi capelli arruffati. 

Il ritmo del suo respiro diventava sempre più rapido e capì che si stava svegliando. Attese con il fiato sospeso che si voltasse verso di lui, osservando esitanti i suoi occhi marroni. 

Quando le sue labbra si curvarono in un sorriso, un senso di leggerezza e di sollievo invase il suo petto, facendolo sentire più leggero di quanto non gli fosse mai capitato. 

“Buongiorno” disse Hermione, le labbra che si allargarono. 

Si avvicinò a lei, sfiorando con le sue spalle lasciate scoperte dal lenzuolo, ed inizió a depositare piccoli baci lungo il profilo della sua clavicola. “Buongiorno a te, Granger”.



“Cosa fai oggi?” domandò esitante, guardandola uscire dal bagno con i capelli bagnati che le ricadevano lungo le spalle. Si morse le labbra, trattenendo l’istinto di trascinarla di nuovo a letto.

 I suoi istinti abbandonati si erano risvegliati con una furia ed un'urgenza del tutto nuove. Forse stava recuperando anni di tempeste ormonali represse tutte in una volta. 

Hermione strabuzzò le palpebre, e lui pensò ad un modo non troppo sfacciato per convincerla a trascorrere il resto della giornata con lui. 

“In realtà credevo di rientrare al ministero” disse, affacciandosi alla finestra e lasciandola aperta per il gufo che avrebbe trasportato la copia del giornale con la sua intervista. “Non hanno un reale motivo per impedirmi di recarmi. Possono solo ostacolare il mio lavoro in altri modi”.

 Il suo sguardo divenne di nuovo triste, e Draco sentì l’istinto di fare qualcosa, qualsiasi, per farla sorridere di nuovo. 

Scattò in piedi. “Beh, tanto vale prendersi la giornata libera e tornare domani, no? Così da dare a tutti il tempo di leggere per bene l’articolo”. 

Hermione camminò fino alla piccola cucina, maneggiando alcuni utensili di cui non riusciva a comprendere la funzione. Si morse l’interno della guancia, riflettendo sulla sua proposta. 

Andiamo, Hermione pensò. Lasciali marinare un po’ nello shock

Si voltò verso di lui, sorridendo, e uno strano utensile grigio, della forma di una piccola palla di metallo, le scivolò dalle mani. Si abbassò per prenderlo e porgerglielo. 

“Cosa stai cercando di fare?” le disse, indicando l’oggetto che aveva in mano. 

“Un caffè” rispose, come se fosse ovvio. 

"Perchè non andiamo fuori per colazione? O per pranzo. Tutto ciò che ti va di fare in questo ultimo giorno di libertà prima di tornare a lavoro”. 

Corrugó le sopracciglia con espressione pensierosa.

 “Cosa c’è, Hermione? Spara”, disse, sperando di incoraggiarla ad essere sincera. Cosa doveva fare per dimostrarle che poteva fidarsi di lui?

“Non vorrei farti perdere troppo tempo. Con me, dico. Non so se tu abbia altro da fare…”

La risposta di Draco ci mise qualche secondo ad arrivare. “Non avevo alcuna intenzione di tornare a casa mia, comunque” si limitò a dire, alzando le spalle. 

Con le mani accarezzò il proprio maglione, cercando di nascondere le pieghe che si erano formate dopo che aveva passato la notte spiegazzato su una poltrona - destino al quale non rimpiangeva affatto di averlo sottoposto. 

Il viso di Hermione si illuminò, più di quanto non lo fosse già, e pochi minuti dopo, senza che si rendesse conto di cosa o come fosse successo, si ritrovò seduto in un caldo caffè babbano, una tazza fumante davanti ad Hermione ed un piattino vuoto davanti a lui, sopra il quale giacevano i resti di una delle brioches più buone che avesse mai mangiato. 

Talmente buona che per un momento si dimenticò persino della strega seduta di fronte, e questo la diceva lunga. 

"Dove stai andando?" domandò Hermione quando si alzò in piedi. 

"A prenderne altri due" rispose, indicando i piatti vuoti e avviandosi verso il bancone prima che lei potesse fermarlo. 

La cosa che adorava di più del mondo babbano era il fatto che nessuno prestava loro attenzione. Nessuno sguardo seguiva lui o lei appena entravano in una stanza. Nessuno sembrava rabbrividire alla vista dei suoi capelli biondi in lontananza per strada, non calava improvvisamente il silenzio quando passava davanti ad un gruppo di persone. 

"A cosa stai pensando?"

Le parole di Hermione lo fecero emergere dai suoi pensieri non appena riprese posto. Alzò un sopracciglio. "Curioso che sia tu a chiedermi una cosa del genere. Non riesci a scoprirlo?"

Hermione alzò le spalle. "Ormai non sento più niente grazie alle tue lezioni. E con te é sempre stato più difficile". 

"É un po' uno spreco però, non trovi?"

"Forse". 

La risposta lo sorprese e lo incuriosì al tempo stesso. "Hai un gran dono. Potresti sfruttarlo per il tuo lavoro".

Hermione masticò lentamente per qualche secondo, misurando le sue parole. "Forse hai ragione". 

Sorrise. "Vuoi provare?"

"Adesso?"

"Perché no?" Si guardò intorno nel piccolo bar. Indicò un anziano babbano in un tavolo poco distante da loro, intento a leggere il giornale. 

"Lascia andare le tue barriere e prova a concentrarti solo su di lui, lasciando fuori tutto il resto".

"Come fai a sapere tutte queste cose?" 

"Severus" rispose, osservando i suoi occhi passare dalla pura curiosità a qualcosa di più profondo. "Le sue lezioni non erano solamente pratiche. Mi fece studiare testi su testi di occlumanzia, e la legilimanzia andava spesso di pari passo". 

"Wow". Aveva la bocca leggermente spalancata. " E questi testi…"

"Si trovano al Manor. Nella biblioteca. Potrei farteli avere".

I suoi occhi si illuminarono. "Davvero?"

"Certo" avrebbe voluto portarla lì e perdersi con lei tra gli scaffali, osservandola mentre i suoi occhi si illuminavano corsia dopo corsia. Forse avrebbe potuto farlo. I suoi non entravano quasi mai in biblioteca, comunque. Le probabilità che li scoprissero erano quasi nulle.  

Riportò i suoi occhi su di lei. "Ti farò avere tutti i libri che vuoi". Dal modo in cui le sue pupille si dilatarono, capì di averla colpita.

 "Vuoi ancora fare un tentativo?"

Hermione riportò lo sguardo sull'uomo che aveva indicato prima, annuendo. "Perché no, giusto?"

Chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo. Draco la osservó con il fiato sospeso, studiando ogni centimetro del suo volto. Dopo qualche secondo, potè vedere i suoi occhi muoversi a destra e sinistra sotto le sue palpebre socchiuse. 

"Cosa senti, Hermione?"

"Io non sento" disse, mantenendo gli occhi chiusi. "Vedo". 

"In che senso?"

Diede un altro morso alla sua brioches, studiando la ragazza seduta di fronte a lui, il movimento dei suoi bulbi oculari e il modo in cui il suo respiro accelerava.

Hermione riaprí gli occhi lentamente. "Lo vedevo".

 "Devi essere più precisa Hermione, non ti seguo". 

"Il giornale. Lo stavo leggendo. Era come se lo vedessi attraverso i suoi occhi. É possibile?"

Lei cercó il suo sguardo, come se avesse le risposte, ma per quanto Draco si sforzasse non ricordò di aver letto niente di simile.  "A quanto pare sì. È brillante".

L’espressione di Hermione divenne seria e le sue labbra si incurvarono verso il basso. “Credo sia il momento di rientrare al lavoro”

“Devi fargliela pagare” disse, allungando una mano verso la sua sul piccolo tavolino. Quel gesto era così naturale, eppure ben più intimo persino di ciò che avevano condiviso la sera precedente.

 Hermione sospirò al suo tocco, ma non ritrasse la mano.  “Vorrei sapere come”

“Non pensare che io ti stia adulando” disse, sorridendo e notando con piacere che il sorriso si riflettè sulle labbra di lei “ma oltre ad essere la strega più brillante della tua età, eroina del mondo magico, compagnia di Merlino e quant’altro-”

“Ordine di Merlino”.

“Appunto” continuò, scuotendo la testa. “Oltre a tutto ciò, hai anche un dono fantastico di cui nessuno è a conoscenza. Pensa a come potresti sfruttarlo a tuo vantaggio. Non dirmi che non ci hai mai pensato, Hermione, perché non ci crederei”.

“Solo di recente”. Quel sorriso malizioso, adesso, era così chiaro sul suo volto che avrebbe potuto dipingerlo. 

“Allora torna, e fai ciò che devi. Loro hanno giocato sporco con te fin troppo a lungo”. 

Hermione strinse la mano contro la sua. 

“E se mai avrai bisogno di un consigliere, conosco la persona che fa proprio al caso tuo”. 

Hermione aggrottò le sopracciglia. “Lo dici come se la cosa ti infastidisse”. 

“Oh, mi infastidisce e come” sospirò, “ma ne riconosco l’astuzia”. 

“Beh, avrò bisogno di tutto l’aiuto possibile, no?”


***



Theodore Nott.

Lo stratega a cui Draco si riferiva era Theodore Nott.

 Hermione si scervellò per ricordare se avesse mai interagito con lui durante i suoi anni ad Hogwarts, ma niente di particolare balzò alla sua memoria. 

“Sei sicuro che non sarà strano?” domandò mentre Draco si infilava senza riluttanza nel caminetto. 

“Affatto” disse, porgendole la mano. 

La afferrò ed entrò dopo di lui. “Magari non è opportuno presentarci senza preavviso. E se avesse altro da fare?”

Alle sue spalle nel piccolo spazio, lo sentì sbuffare. Poi una delle sue mani si adagiò contro il suo fianco, ed Hermione trattenne il respiro. 

Quando le fiamme si dissiparono, si trovò davanti ad un ampio salone, diverso da quello che si sarebbe aspettata. Forse un po’ più piccolo, forse un po’ troppo accogliente e confortevole, con il piccolo divano davanti al caminetto, due poltrone e diverse sedie intorno ad esso. Di fronte, un piccolo tavolino da caffè cosparso di giornali e libri, disposti uno sopra l’altro in modo disordinato. 

In fondo alla stanza si trovava un lungo tavolo, sopra al quale erano situati diversi bicchieri e bottiglie dall’aspetto piuttosto antico. Ad un estremo, seduto con i piedi penzoloni, vi era un piccolo elfo con gli occhi più grandi che avesse mai visto. Ai piedi due calzini, uno rosso ed uno verde, ed in testa un cappello che si sorreggeva sulle sue orecchie piegate. 

All’altro capo, con i piedi sul tavolo ed il volto nascosto dietro la più recente edizione de Il Cavillo, sedeva Theodore Nott.

Draco tossì per richiamare la sua attenzione, ma il ragazzo rimase dietro il suo giornale. “Mettiti comodo, finisco di leggere l’intervista di Hermione Granger e ti raggiungo”.

“A proposito di Granger” continuò Draco. 

“Cosa?” replicò, voltando pagina senza sollevare lo sguardo. “Non dirmi che lo avete fatto finalmente”.

“Theo” richiamò il biondo. 

Theo mise finalmente da parte il giornale, e per poco non cadde dalla sedia. 

“Oh mio-” si alzò in piedi, facendo saettare lo sguardo tra lei ed il suo amico. 

“Scusa” borbottò Hermione, rivolgendosi a Draco sottovoce. “Forse non era il caso presentarci così”. 

“Oh no no no, affatto”. Theo avanzò verso di lei scuotendo la testa, “non è affatto questo. Sono sorpreso che Draco ti abbia portato qui, ma non sentirti a disagio, anzi. Forse tu non mi conosci bene, ma Draco mi parla così tanto di te che io sento di conoscerti già. Mi perdonerai quindi l’eccesso di confidenza”. 

Hermione sentì il sangue nelle sue vene dirigersi verso le proprie guance, ma si sforzò di ignorare il commento che Theo aveva fatto su quanto Draco parlasse di lei, concentrandosi invece sulla mano di Draco sulla propria schiena mentre la guidava a prendere posto sul divano davanti al caminetto. 

Dopo che lei e Draco ebbero spiegato al ragazzo ogni singolo dettaglio della situazione alla quale era stata sottoposta al ministero, e dopo aver concesso al ragazzo abbastanza tempo di mandare giù il tutto insieme a qualche bicchiere di whiskey, il cervello di Theo si mise in moto. 

Il giovane tiró fuori articoli di giornali risalenti ad oltre un anno fa, perdendosi in un resoconto di tutto ciò che era infimo, strategico e politico, facendo notare ad Hermione piccoli ma rilevanti dettagli ai quali lei non aveva mai prestato attenzione.

Passarono diverso tempo così, Theo ad esporre e loro due ad ascoltare, persi e catturati dalle sue parole, finchè Draco non fece la domanda fatidica. 

“Cosa le consigli di fare, adesso che tornerà al ministero?”

Theo rimase in silenzio per qualche secondo, aggrottando le sopracciglia, 

“Io credo che in questi giorni in cui ti sei assentata la situazione sul tuo lavoro sia precipitata” prese il giornale di due giorni fa, quello sulla cui copertina figuravano lei e Draco. “E adesso avranno ulteriori ragioni per remarti contro. Non possono esporle esplicitamente, ma sarà implicito in ogni no, in ogni rifiuto. Finchè non troveranno il modo di metter anche questo su carta e farti fuori”. 

Prese un sorso dal bicchiere. “Mi dispiace Granger, ma a meno che Draco non abbia qualche spia segreta al ministero, che possa scoprire qualcosa che consenta di screditarli pubblicamente come loro fanno con te, temo tu non abbia fatto un buon affare con questo qui”.

Tutti e tre rimasero in silenzio per qualche secondo, mentre Hermione si mordeva le labbra pensierosa. 

“E se invece avessimo qualcosa del genere?”

Draco, al suo fianco, sussultò, mentre Theo strinse gli occhi, scrutando entrambi con aria curiosa. 

Vuoi rivelarlo, Granger?

“Credi non sia una buona idea?” sussurrò, con voce abbastanza bassa affinchè solo Draco capisse le sue parole. 

Io… no, credo sia la cosa giusta. Puoi fidarti di lui, ma devi farlo solo se ne sei convinta

“Credo sia il momento che le persone intorno a me lo sappiano”.

Theo tossì, come per ricordare ai due della sua presenza. Draco sbuffò, forse trattenendo una risata. 

Sarà divertente. 

Prese un respiro profondo.

 “Forse abbiamo qualcosa del genere" deglutí, sistemando le mani tra le ginocchia per evitare che tremassero. 

Draco poggió una mano contro la sua schiena, una carezza calda e rassicurante. 

Ora o mai più, disse a sé stessa. 

"È una lunga storia, ma… io posso leggere la mente”. 

Theo rimase in silenzio.

 Fissò Hermione, poi Draco, poi di nuovo Hermione. Sembrò andare avanti per un po’ prima che spalancasse finalmente la bocca. 

“Io- no…" si alzò in piedi, camminando avanti a indietro davanti al caminetto. "Tu cosa?"

Hermione aprì la bocca per parlare, ma il serpeverde la bloccò. 

"Questa é assolutamente la cosa più straordinaria che abbia mai sentito" disse, o meglio urlò. 

Hermione sussultò a quella reazione, e Draco al suo fianco iniziò a ridere. Spostò il suo sguardo su di lui, per un attimo distratta. Era forse la prima volta che lo sentiva ridere sinceramente, con i suoi denti perfettamente bianchi esposti e… aveva delle fossette, agli angoli delle labbra. Lo facevano sembrare molto più giovane. 

L’attenzione di Theo si spostò verso il suo amico. 

"È questo il motivo per cui eri sempre più distante? oh per Salazar e Merlino”. Poi si rivolse ad Hermione. “Puoi leggere la mia mente? Lo hai fatto per tutto questo tempo?”

Stranamente, non sembrava inorridito dalla cosa. Sembrava, anzi, divertito. 

“No” rispose. “Grazie a Draco, posso decidere io a chi leggere nel pensiero e quando”. 

Theo sospirò. “E’ pazzesco, davvero, wow”.

Hermione non potè far a meno di sorridere. “Credi quindi che potrebbe essere utile contro i miei capi al ministero?”

“Utile?” sorrise a sua volta il ragazzo, spettinandosi ulteriormente i capelli con una mano. “Oh mio dio, puoi ribaltarli dall’interno”.

La conversazione andò avanti a lungo, così a lungo che non si rese conto di quanto tempo fosse passato, e fu solo fissando l’orologio che si rese conto che era ormai notte fonda. Aver confessato il suo segreto, seppur ad una persona che non conosceva fino a quel momento, l'aveva fatta sentire più leggera. 

Forse era il momento di rivelarlo anche ai suoi amici, a Ginny ed Harry, in modo da spiegare finalmente il motivo del suo allontanamento degli ultimi mesi.

 Si, lo avrebbe fatto. Meritavano una spiegazione da parte sua. 

Draco, al suo fianco, sembrava insolitamente rilassato, ed era a suo agio qui come se fosse a casa. Non partecipava molto alla conversazione, lasciando che fossero lei e Theo a parlare per lo più. Tuttavia continuava a fissarla, sentiva il suo sguardo bruciarle la pelle. 

“Forse è ora di andare” disse infine Hermione, quando l’orologio scoccò mezzanotte. Non si era resa conto che fosse passato così tanto tempo. 

Theo si alzò, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. “Granger, sei la benvenuta qui. Per quanto mi riguarda potresti prendere tutta l’ala est del manor”. 

Sorrise mentre afferrava la sua mano. Con fare eccessivamente teatrale, come la prima volta che lo aveva visto al ministero per il processo di Lucius, Theo si piegò e baciò le sue nocche. 

Stai arrossendo Hermione? Davvero?

Theo portò lo sguardo verso Draco, con un sorriso malizioso sul volto. Poi si rivolse di nuovo a lei. “E’ stato un piacere”.

“Il piacere è stato mio, Theo” rispose, non riuscendo a trattenere un sorriso per la leggerezza che sentiva nel  petto. 

Il piacere è stato tuo Hermione, mhh? 

Si avviarono verso il caminetto, e la mano di Draco sembrava ardere contro il retro della sua schiena mentre la accompagnava. 

Un momento prima che le fiamme li avvolgessero per trasportarli nel suo appartamento, sentì il suo respiro caldo contro il collo.

Le sue labbra accarezzarono la pelle sensibile sotto il suo orecchio. 

“Stasera ti mostrerò io il vero piacere”. 

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Capitolo 20
*** 20. Regalo di Bentornato ***



Il cuore batteva per l’adrenalina nelle sue vene mentre percorreva a passo deciso il corridoio che conduceva al suo ufficio. Diverse teste si voltarono verso di lei e un brusio si sollevò tutt’intorno. Non si disturbò di usare i suoi poteri, e le sue energie, per scoprire di cosa stessero parlando. Non erano loro quelli di cui le importava.

 Era mancata per giorni, e dopo tutto ciò che era successo doveva regnare ormai il caos più totale nel suo dipartimento. L’idea di quanto potesse essere indietro con il suo lavoro, tuttavia, non la spaventava più. Anzi, ribolliva nelle sue vene la voglia di rimettersi in gioco e darsi da fare in un modo completamente nuovo, con questa nuova arma, rispondendo alle mosse sleali di chi cercava di ostacolarla con il loro stesso gioco. 

Non aveva deciso lei di giocare così, ma dal momento che ormai era in partita, tanto valeva provare a vincere. 

Il primo volto che le si parò davanti, per fortuna, fu quello di Dean. C’era sincera sorpresa, e sollievo, nei suoi pensieri. Tuttavia, un momento dopo, le sensazioni piacevoli furono sostituite da angoscia. Solo una breve sbirciata all'interno della sua testa le rivelò che la situazione era peggiore di quanto potesse immaginare. E c'era qualcosa … qualcosa che proprio non voleva che scoprisse. E ovviamente riguardava-

"Cameron" sussultò Dean quando la donna apparve accanto a loro, il rumore dei suoi tacchi attutito dal tappeto steso nel lungo corridoio d'ingresso del loro piano. 

La donna non gli rivolse neanche uno sguardo, fissando solamente Hermione. 

"Bentornata" le disse, con il sorriso più falso che la grifona avesse mai visto. 

"Grazie" rispose con altrettanta falsità, allungando una mano verso di lei sotto lo sguardo sconcertato dell'ex grifondoro. "Non vedo l'ora di rimettermi al lavoro". 

Hermione non ebbe bisogno di sbirciare nella sua mente per comprendere il suo desiderio di alzare gli occhi al cielo. Si concentrò tuttavia a scavare in modo discreto nei suoi pensieri, così da comprendere cosa fosse successo di così grave da terrorizzare Dean a tal punto. Si concentrò: da una rapida occhiata nella mente della donna, scoprì che avevano discusso di lei, nelle stesse aule del ministero dove si discuteva di questioni ben più serie ed importanti. Doveva saperne di più…

 Cercò di concentrarsi ancora, senza tuttavia sembrare costipata o darlo a vedere in qualche modo. 

"Beh, la strada é sempre quella" disse Cameron, squadrandola dall'alto in basso con un sopracciglio alzato ed indicandole la porta del suo ufficio. 

 "In realtà vorrei parlarti" disse, "potrei chiederti di dedicarmi un secondo del tuo tempo?"

La donna si guardò intorno, poi strinse le labbra e annuì, seguendo Hermione nella piccola stanza. 

Stranamente, la scrivania sembrava essere rimasta esattamente come l'aveva lasciata, ma non era così ingenua da credere che nessuno avesse frugato tra le sue cose mentre era via. 

"Prego, accomodati" disse, mentre pensava a come distrarre Cameron abbastanza a lungo da frugare indisturbata tra i suoi ricordi.

 Cercò dentro la sua borsa, esaminando le scartoffie e le bozze che si era portata dietro il suo ultimo giorno di lavoro, convinta che sarebbe servito a qualcosa. 

Riprese la sua vecchia proposta, quella riguardo i lupi mannari. Cameron la conosceva bene, o almeno avrebbe dovuto, dal momento che l'aveva rimandata indietro diverse volte. 

"Vorrei che mi dessi un tuo parere. Ci ho lavorato su in questi giorni e ho modificato diverse cose". 

La sorpresa sul volto della donna fu evidente mentre afferrava la pergamena un po' spiegazzata dalle mani di Hermione. "La porterò al consiglio". 

"Oh no ti prego, é solo una bozza" sorrise "vorrei solo una tuo opinione prima di riscriverla. Leggi almeno l'indice".

Non potendosi sottrarre in modo educato a quella richiesta, la donna prese a fare saettare velocemente gli occhi sull'inchiostro della pergamena. 

Hermione prese un respiro profondo, svuotò la mente, e penetrò la sua. 


La prima cosa che vide furono le parole che aveva davanti, sulle quali aveva invano dedicato ore delle sue giornate. 

Sorvolò su di esse, esaminando I suoi ricordi all'indietro. 

Approdò su qualcosa di interessante. Sembrava un ricordo del giorno dell'uscita della sua intervista per Il Cavillo. 

"Non possiamo farlo dopo di questo" imprecò un uomo anziano, in un completo elegante, con il foglio di giornale in mano. Non lo aveva mai visto al Ministero, eppure la scrivania in legno lucido a cui sedeva sembrava appartenere ad uno degli uffici dei piani più alti. 

"Non cambia niente" ribattè Cameron. Era rossa in volto e muoveva nervosamente le mani. 

“Cambia ogni cosa”. L’uomo la fulminò con lo sguardo, e l’algida donna si fece piccola sotto di lui. “Ti avevamo affiancato a lei perchè credevamo che ci avresti messo poche settimane per trovare un modo per farla fuori dai nostri affari. Invece non hai fatto altro che accrescere la sua popolarità".

“Ma- “ insistè Cameron, con voce tremante, “ma io vi ho procurato quella foto, con lei e Malfoy. Ce l’avevamo quasi fatta”.

“Hai fallito” disse l’uomo, “ancora una volta. Lei ha esaurito la sua pazienza”. 

Alla menzione di questa lei, Cameron sembrò rabbrividire. Si fece ancora più piccola sotto lo sguardo penetrante dell'uomo.

 “Datemi solo un’altra possibilità, l’ultima. Prometto che troverò qualcosa di inespugnabile”. 

L’uomo sospirò annoiato, ma Cameron continuò, follia e disperazione annebbiavano il suo sguardo. “Ho una pista. Posso-” deglutì. “Posso dimostrare che lei è…”

L’uomo la interruppe con un gesto della mano. “Non dirlo a me, spiegalo a lei, piuttosto”. 

Cameron si voltò. 

“Hmm-hmm”. 



“Signorina Granger”. 

Hermione sussultò, ritornando alla realtà. Il cuore batteva rapidamente nel suo petto. Cameron la stava scrutando, aveva entrambe le sopracciglia alzate adesso. Gli angoli delle sue labbra erano piegati in modo inquietante. 

Hermione fece finta di nulla. “Allora?” disse, indicando la pergamena tra le sue mani. “Cosa ne pensi?”

La donna si alzò, lasciando la pergamena sulla sua scrivania. “Come ti ho detto, devi sottoporre le tue proposte al consiglio”. 

E senza dare alla grifona la possibilità di aggiungere altro, se ne andò. 

Non rivide più Cameron per il resto della giornata, e purtroppo non scoprì nient'altro di utile o di interessante frugando tra le menti dei suoi colleghi. Avrebbe comunque parlato a Draco e Theo di ciò che aveva visto, e poi avrebbe deciso come procedere nei prossimi giorni. Sperava di incontrarli stasera. 

Ma prima di dedicarsi a quello c'era un'altra questione che voleva risolvere: aveva delle scuse da fare.

Si era smaterializzata fuori dalla porta di casa di Ginny ed Harry, tra le mani una busta con all’interno una bottiglia di vino ed una vaschetta di gelato alla fragola, il suo preferito, per qualsiasi cosa la sua amica potesse preferire in quel momento. Quando arrivó davanti al numero 12, tuttavia, si trovó davanti Ron. Usciva di casa a passi pesanti, sembrava arrabbiato. I suoi occhi la fulminarono. 

"Oh, ma guarda un po' chi c'è qui".

Harry apparve improvvisamente sull'uscio, le spalle sprofondarono appena la vide.

Hermione cercò gli occhi verdi del suo amico, evitando quelli azzurri e furiosi del suo ex. "Se cerchi Ginny, non è a casa" disse. "Non è tornata la scorsa sera". 

"Che vuol dire?"

"Abbiamo avuto una discussione" si spiegò. "Credevo fosse tornata alla tana, ma Ron dice che non la vedono da giorni. Abbiamo provato a cercarti, credevamo potesse essere con te…" 

"Ma non ci hai risposto, e non eri a casa ieri sera" finì Ron per lui. 

Il panico si fece strada dentro la mente di Hermione mentre registrava quelle parole. Ginny l'aveva cercata… aveva avuto bisogno di lei. 

"Io ero-" deglutì 

Ron ispirò, non consentendole di finire la frase. "Preferisco non saperlo".

Harry non reagì a quella frecciatina, passandosi una mano tra i capelli spettinati. Hermione notó le occhiaie scure sul suo volto.  "Non può essere andata lontano. Se non la troviamo è perché vuole stare da sola. Avrà bisogno di tempo per riflettere". 

"Riflettere su cosa?" chiese Ron. La rabbia trapelava da ogni suo poro. 

Hermione conosceva bene quella rabbia, e sapeva che anche ad Harry era familiare. L'avevano già vista, già affrontata. 

"Non sta a me dirvelo" rispose il ragazzo che è sopravvissuto, gli occhi puntati sul pavimento. 

Ron si voltó per andarsene. "Al diavolo" imprecó, prima di passare davanti ad Hermione e rivolgerle uno sguardo che le fece gelare il sangue nelle vene. 

"Mi dispiace Herm" sospiró Harry. 

C'era tristezza nel suo sguardo, più di quanta gliene avesse mai vista. Tuttavia non insisté per sapere cosa fosse successo tra di loro. 

Di qualunque cosa si trattasse, sapeva che c'era una valida ragione se non voleva o non poteva parlargliene. Dopotutto, non era lei stessa la regina del tenere dei segreti con gli amici? Che diritto aveva di pretendere una risposta? 

"Scrivimi" si limitó a dirgli. "Appena sai qualcosa, per favore". 

Ricevette solo un cenno del capo da parte del suo amico, l'unica cosa che gli suggeriva che, nonostante i suoi occhi spenti e lo sguardo vuoto, aveva registrato le sue parole. 

Poi chiuse la porta, rintanandosi dietro di essa, ed Hermione non ebbe altra scelta se non quella di andarsene. 


Quando tornó a casa, gettó il gelato ormai sciolto ed appiccicoso nel lavandino, decidendo di aprire da sola la bottiglia di vino. 

Neanche la carezza del liquido che scendeva lungo la sua gola riusciva a calmare l'ansia che le attanagliava lo stomaco. Aveva un brutto presentimento. 

Rimase per un po' a fissare l'orologio sul caminetto, le lancette che scorrevano trasformando il pomeriggio in notte. 

Si chiese se Draco sarebbe venuto. Non si erano dati appuntamento, ma aveva ormai iniziato a dare per scontato il fatto che venisse da lei ogni sera. La sua presenza l'aveva confortata e supportata in questi mesi. 

Decise di mettere da parte l'orgoglio, o qualsiasi parte di lei che sembrava suggerirle fosse uno sbaglio, e afferró un pezzo di pergamena. 


Vuoi venire, stasera? 

-H


Arrottoló il messaggio, legandolo alla zampa della sua piccola civetta, e rimase a guardare fuori dalla finestra mentre prendeva il volo. 

Solo dopo che le sue piccole ali non furono più visibili nel buio del mondo all'esterno notó tutta la posta accumulata sul davanzale. Tra le varie lettere, il giornale, e la rivista a cui si era abbonata vi era anche un piccolo pacchettino. 

Mise da parte una pergamena alquanto lavorata sulla quale riconobbe il timbro di casa Nott. Theo le aveva probabilmente scritto di altri dettagli sul suo piano per vincere la battaglia politica e mediatica che il ministero aveva avviato contro di lei. Tuttavia, decise di non aprire il messaggio: non aveva la giusta concentrazione, adesso. Era sfinita da tutti gli eventi della giornata. 

Decise di aprire il piccolo pacchettino che le avevano recapitato. 

 Non c'era un mittente né un sigillo ufficiale sulla carta marrone scuro, ma le parve di riconoscerla. Non era forse la stessa del ministero? Perché non lo avevano recapitato direttamente nel suo ufficio? Lo aprí, scoprendo un piccolo oggetto incartato all'interno. Lo scartó, esaminandolo. Sembrava… un fermacarte? Piccolo e dorato, con una testa di leone all'apice. Un regalo di bentornato? Davvero ipocrita da parte loro. 

Forse fu il vino, sebbene ne avesse bevuto appena un bicchiere, ma le parve di sentire la stanza girare. Una folata di vento, e la sua bacchetta cadde a terra dal tavolino dove l'aveva poggiata. 

I suoi piedi persero contatto con il suolo. 

Chiuse gli occhi. 

Era una passaporta. 



***


Draco era in trappola. 

Nonostante le ampie dimensioni del salone del Manor, si sentiva come se le sue pareti lo stessero soffocando. 

"Non puoi farlo" riprese ad urlare. 

Lucius non rispose, continuando a puntargli contro la bacchetta di Narcissa. 

La sua bacchetta, che suo padre gli aveva strappato dalle mani non appena era rientrato, era stretta nell'altra mano dell'uomo, così forte che temeva stesse per spezzarla. 

"Non andrai da nessuna parte" disse di nuovo Lucius. 

Draco aveva perso il conto ormai di quante volte aveva ripetuto quelle parole nelle ultime ore. 

"Mamma" provó un'ultima volta, la disperazione nelle sue parole. 

Questa volta, Narcissa sollevó appena lo sguardo verso di lui. Aveva gli occhi lucidi. Davanti a lei vi era quella fatidica copia della gazzetta del profeta. Con la stessa rapidità con cui lo aveva guardato, tuttavia, Narcissa distolse lo sguardo, sconfitta. 

Seguí la direzione degli occhi di sua madre, puntati verso la finestra: la piccola civetta di Hermione era fuori dalla grande vetrata. Volava in direzione della sua camera.

Lucius se ne accorse un secondo più tardi. 

Il giovane si catapultó per le scale, salendo i gradini due alla volta. Sentiva i passi di suo padre alle spalle. 

Fece in tempo ad entrare in camera sua e afferrare il biglietto dai piedi dell'animale, liberandolo nuovamente in cielo. Le sue dita tremanti stavano srotolando la pergamena quando questa gli fu strappata via da un incantesimo.

Gli occhi di suo padre, oltre ad essere circondati da occhiaie così scure da fargli credere che non avesse dormito negli ultimi due giorni, sembravano posseduti. 

Lí Draco fu assolutamente certo di una cosa: aveva sbagliato. Avrebbe dovuto lasciarlo ad Azkaban. 

"Tu non ti rendi conto, Draco". 

"No" urló. "Sei tu che non ti rendi conto. Non puoi rinchiudermi qui dentro" imprecó, cercando inutilmente il sacchetto di metropolvere. 

Suo padre aveva bloccato le porte e messo fuori uso i caminetti, e Draco non poteva smaterializzarsi senza la sua bacchetta. 

"La nostra famiglia non è mai stata più umiliata di così". 

Quelle parole prive di significato vennero a stento registrate dalle sue orecchie mentre si guardava intorno nella sua camera da letto. 

Pensa, pensa continuava a ripetersi. Doveva esserci un modo. 

La finestra alle sue spalle era ancora aperta. Leggere folate di vento fresco gli accarezzavano il collo. Un modo, forse, c'era. Doveva essere veloce, prima che l'incantesimo di Lucius potesse frapporsi fra lui e ciò che gli serviva. Per fortuna aveva dei riflessi da cercatore. 

"Hai ragione" disse, senza sapere bene neanche quali fossero state le ultime parole dell'uomo. Aveva bisogno di una distrazione. 

Lucius parve sorpreso. Strabuzzó le palpebre, raddrizzando le spalle. "Non sarà facile ripulirci da ciò che hai fatto, Draco". 

"Certo che no". Fece un impercettibile passo alla sua sinistra, verso la parete. C'era quasi. 

Lucius riprese a parlare. E blaterare. Ma aveva abbassato la bacchetta. Ora o mai più. 

Scattó in avanti, afferrando la sua scopa appoggiata contro la parete.

"Draco" esclamó la voce di suo padre. 

Avrebbe voluto vedere la sua espressione stupita, gustarne ogni sfaccettatura. Ma il suo piano, purtroppo, non lo prevedeva. 

Con una sola mossa, si sollevó sul davanzale della finestra e saltó giú, il manico della sua scopa stretto in una mano. 

L'urlo di Lucius raggiunse a stento le sue orecchie mentre sfrecciava via il più veloce possibile nella notte senza nuvole. 

Il vento freddo si infilava tra le cuciture del suo maglione, gli scompigliava i capelli e ghiacciava le dita, ma nonostante tutto continuò a volare, ancora e ancora, finché le sue mani non persero la sensibilità e le luci di Londra non fecero capolino all'orizzonte. 

Trovare casa di Hermione non fu facile, ma riconobbe l'insegna del piccolo ristorante italiano dove avevano cenato.

 Voló sopra i tetti, attento a non farsi vedere, finché non raggiunse la sua finestra. Era aperta. La luce era accesa all'interno, ma non vi era traccia di lei. 

Si appoggió contro il cornicione, "Hermione?" 

La chiamó ancora, piú volte.

Dopo qualche minuto, cercó goffamente di entrare nel suo appartamento attraverso la piccola fessura della finestra. Una volta dentro chiamó di nuovo il nome senza ottenere risposta.

Sbirció oltre la porta aperta della sua camera da letto, ma di lei non vi era traccia. Fece la stessa cosa in bagno. Forse era uscita, si disse.

Prese a camminare avanti e indietro. 

 C'era una bottiglia di vino aperta sul tavolo, quasi piena ancora. Un solo bicchiere giaceva vuoto sul davanzale della finestra. Accanto ad esso c'era tutta la sua posta. Il giornale, riviste varie, persino una lettera di Theo, ma nulla che indicasse dove potesse essere finita. Sbirció tra i vari messaggi alla ricerca di qualche indizio: forse era successo qualcosa ed era uscita di casa senza aver il tempo di spegnere le luci e chiudere la finestra. 

Forse Potter, o la Weasley, avevano avuto un'emergenza. Mentre sbirciava le lettere aperte, sentì un crack sotto la sua scarpa. 

Abbassó lo sguardo. 

La bacchetta di Hermione. 

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Capitolo 21
*** 21. Passaporta ***


"Ok cerca di calmarti" disse Theo, mentre lui continuava a camminare disperatamente avanti e indietro nel piccolo appartamento. 

Si era catapultato dal suo amico, e senza dargli tempo di fare domande lo aveva trascinato dentro il caminetto e poi di nuovo nell'appartamento di Hermione. Aveva bisogno del suo occhio vigile ed attento affinché raccogliesse più indizi possibile su cosa potesse essere successo e dove potesse essere finita Hermione. 

Ma Theo non voleva ascoltarlo, e non voleva capire. 

Si fermò, portandosi una mano alla tempia. L'orologio sul caminetto scoccò l'una di notte. Erano passate tre ore da quando era riuscito a scappare da casa sua, e non sapeva quante da quando Hermione era sparita. Quattro? Forse cinque? 

Inspirò profondamente, si strofinò gli occhi, e poi guardò finalmente Theo. "Lo sai anche tu che ho ragione". 

"Si. Ok, hai ragione, é questo che vuoi sentirti dire?"

"N-no" lasciò andare le braccia lungo i fianchi. "Voglio trovarla".

"Non pensiamo subito al peggio. Potrebbe essere dai Weasley, o con Potter".

"E ci sarebbe andata senza la bacchetta?"

"E se avessero avuto un emergenza e fossero venuti a prenderla all'improvviso?"

Draco morse l'interno della sua guancia, sfogando il suo nervosismo contro di essa finché il sapore metallico del sangue non gli riempì la bocca. 

“C’è qualcosa che non torna”. 

Theo si portò una mano ai capelli, e senza rispondergli prese di nuovo ad esaminare la stanza, camminando avanti e indietro. Raggiunse la finestra, sfogliando ancora una volta la posta sul davanzale. “È qui che hai trovato la bacchetta, giusto?”

Il biondo annuì. "Per terra, però”

Rimase a guardare mentre Theo si inginocchiava, raccogliendo da terra una semplice carta marrone. L’aveva ignorata quando aveva preso la bacchetta, ma adesso che gli occhi del suo amico la stavano scrutando prestò attenzione alla sua espressione, trattenendo il respiro. 

“Hermione ha ricevuto un pacco”. 

“Eh?”

“Ha ricevuto un pacco” ripetè di nuovo Theo, scandendo le parole come se stesse parlando ad un bambino. “Questa è carta da imballaggio”. 

Si avvicinò, trattenendo l’istinto di strappargliela dalle mani. “C’è scritto chi l’ha mandato?”

Theo se la rigirò tra le mani, poi scosse la testa. “E’ strano, neanche un sigillo”.

“Dunque non abbiamo niente”.

“Non è niente” sospirò Theo, e la sua espressione parve preoccupata. "Dobbiamo capire chi avrebbe potuto mandarle un pacco a quest’ora, e perchè”. 

“E che importanza ha?”

“Non lo capisci?” sbottò il giovane. “Hermione è sparita nel nulla, lasciando indietro la sua bacchetta”. 

Draco attese, col cuore in gola. Credeva di aver capito la direzione in cui il discorso di Theo stesse andando, eppure pregava dentro di sè che non fosse così. 

“Qui dentro c'era una passaporta".


***


Mezz’ora dopo, Theo e Draco si trovavano davanti al numero 12 di Grimmauld Place, bussando freneticamente alla porta dell’appartamento. Non si concesse di pensare al fatto che un tempo quella casa fosse appartenuta alla sua famiglia, e nemmeno gli importava dei secoli di storia racchiusi tra quelle pareti mentre continuava a consumare quel campanello con la forza del proprio dito. 

Dopo un paio di minuti, che al biondo parvero un’eternità, udirono dei passi dietro la porta, ed un assonnato Harry Potter fu sulla soglia. Spalancò la bocca, scrutando i due ragazzi, e Draco non diede tempo al suo cervello ancora addormentato di chiedere cosa ci facessero lí. 

“Hermione è qui?” domandò. 

Il ragazzo che è sopravvissuto sbattè le palpebre, passandosi una mano sulla maglietta spiegazzata delle Holidays Harpies che usava come pigiama. 

“No” disse, aggrottando le sopracciglia. “Perchè dovrebbe essere qui? che cosa volete?”

Nonostante l’avessero probabilmente buttato giù dal letto, non aveva comunque l’aria di una persona riposata. Delle occhiaie viola solcavano il suo volto. 

“Stiamo cercando Hermione” disse Theo, in modo più calmo e diplomatico di quanto non avesse fatto lui qualche momento prima. “Pensavamo che fosse qui".

“Non è qui. Immagino abbiate già provato al suo appartamento” guardò in cagnesco Draco, “Non vi serve l’indirizzo”.

Draco aprì la bocca per parlare, ma Theo lo bloccò con una mano sulla spalla, cercando lo sguardo di Harry. “Hermione ha lasciato l’appartamento prima che noi arrivassimo, con la finestra aperta, le luci accese e-” il biondo tirò fuori dalla tasca la bacchetta. 

 Potter, adesso, parve sorpreso, e il cuore di Draco prese a battere velocemente per la preoccupazione che gli lesse sui lineamenti. 

“Io non la conosco bene come voi” continuò Theo, poi si corresse, “come te. Ma mi sembra di capire che questo non è da lei”.

“N-no” balbetto Harry. “Non credo”. 

“Per caso tu e la Weasley avete qualche idea di dove potrebbe essere? ci dispiace svegliarvi a quest’ora, ma non saremmo qui se non fossimo realmente preoccupati”.

Draco trattenne il respiro, e in qualche modo non fu sorpreso dalle parole che lasciarono la bocca di Potter un momento dopo. 

“Ginny non è a casa”.

“Dov’è?” domandò il biondo. Alla sua esitazione aggiunse, “Hermione potrebbe essere con lei”.

Harry sospirò rassegnato, “non lo so” disse, senza guardarli in faccia. “E’ la seconda notte che non torna a casa, abbiamo discusso e non è più tornata”.

“E non hai provato a cercarla?”

“Non è dalla sua famiglia, se è questo che volete sapere. Forse anche Hermione la sta cercando, era passata qui questo pomeriggio, per lei”.

Quelle parole calmarono l’ansia che montava nel suo petto. Se Hermione era con la Weasley non poteva esserle successo niente di male, si disse. “Non hai idea di dove potrebbe essere?”

Scosse la testa, e qualche ciocca dei suoi capelli scuri gli cadde davanti agli occhi. “Probabilmente non vuole farsi trovare, tornerà lei, quando sarà pronta”. Dalle sue parole trasudò un dolore così profondo che Draco provò pietà per lui. Capì che non era il momento di insistere, e che Potter non li avrebbe aiutati più di così. 

“Grazie” si limitò a dire, mentre il ragazzo serrava le labbra e rispondeva con un misero cenno del capo. 

“Se le trovate-”

“Ti avviseremo” disse Theo. 

“No” replicó Harry. “Dite semplicemente a Ginny che io sono qui ad aspettarla, e non vado da nessuna parte, qualunque cosa deciderà di fare. Lei capirà”.

“D’accordo” annuì, fissando quegli occhi verdi pieni di rammarico. E con quell’ultimo cenno, Potter chiuse la porta, lasciandoli con nulla tra le mani ed un nuovo senso d’angoscia nel petto di Draco. 


“Hai sentito Potter” continuò Theo alle sue spalle, mentre camminava alla ricerca di un punto dal quale smaterializzarsi. Nonostante fosse ormai notte fonda e si gelasse, le strade erano popolate di babbani che entravano e uscivano dai locali sulla strada. 

“Magari hanno bisogno di un momento tra ragazze” continuò alle sue spalle l’amico, cercando di tranquillizzarlo. “E poi dove credi di andare?”

Draco smise di camminare, fermandosi in mezzo al marciapiede. Un gruppo di ragazzi babbani, probabilmente intorno alla sua stessa età, gli girò intorno, scrutandolo dalla testa ai piedi per ciò che indossava. Deglutì, a disagio. 

Theo, invece, sembrava ricevere ben altro tipo di attenzioni. 

Il ragazzo sorrise ad una giovane babbana che lo guardò un secondo più di quanto sarebbe stato opportuno, poi ritornò in sè e si avvicinò, parlando a bassa voce. “Dove pensi di smaterializzarti? Come intendi cercarla?”

Draco sentì l’aria fredda sulla sua pelle oltre il sottile tessuto della giacca che indossava, e l’adrenalina sparire lentamente dalle sue vene, dopo che l’aveva consumato per ore. “Non lo so”

“Ecco, appunto” sospirò Nott, portandosi una mano ai capelli. 

“Ma non posso non fare niente. Pensavi anche tu che lei fosse in pericolo”

“No” disse, puntando un dito contro di lui. “Pensavo che fosse strano che fosse sparita nel nulla lasciando indietro la sua bacchetta. Ma adesso, dopo quello che ci ha detto Potter, potrebbe avere un senso. Magari la Weasley voleva vedere Hermione, da sola, e le ha dato appuntamento in un posto segreto tramite passaporta, che ne so”. 

“E perchè mai Hermione ci sarebbe andata senza bacchetta?”

Theo distolse lo sguardo. “Magari le è semplicemente scivolata dalle mani”. 

Si morse le labbra. Sapeva che il discorso del suo amico, razionalmente, aveva senso. Eppure c’era una strana ed inquietante sensazione che continuava a costringerli il petto. 

“Ad Hermione Granger non scivola casualmente la bacchetta dalle mani”.

“Draco-” 

“E’ la verità”.

“Perchè non aspettiamo domani mattina?”

Alzò gli occhi verso il suo amico. 

“Aspettiamo domani mattina. Se Hermione non sarà a casa per allora, avviseremo Potter e tutti gli auror, e la cercheremo seriamente”. 

Aveva senso, ciò che diceva Theo aveva senso, eppure…

“Draco-” disse Theo, abbassando il suo tono di voce e guardandolo con aria apprensiva. “Cosa è successo a casa tua?”

“A casa mia?”

“Sei venuto da me senza bacchetta, e c’era la tua scopa nell’appartamento di Hermione” abbassò lo sguardo. 

Draco deglutì. “Mio padre-”

“Draco? Theo?” chiamò una voce familiare alle loro spalle. 

Entrambi si voltarono, mentre Pansy e Blaise, vestiti in abiti babbani, gli andavano incontro senza troppo equilibrio, facendosi strada tra il continuo via vai di gente. 

Cosa diavolo facevano tutti questi babbani in giro con questo freddo?

Ma soprattutto, si chiese Draco, distraendosi per un momento da tutto quello che stava succedendo, cosa ci facevano Pansy e Blaise qui?

“Cosa ci fate qui?” domandò per primo. 

I due lo squadrarono dalla testa ai piedi. “Piuttosto dovremmo fare noi questa domanda a te”.

“Perchè mai dovreste?” sbottò. Era stanco, e con l’adrenalina che abbandonava il suo corpo tutta la stanchezza accumulata si abattè su di lui come un macigno. 

“Noi frequentiamo questa zona” rispose Blaise al posto di Pansy, che al momento stava sussurrando qualcosa a Theo che non riusciva a sentire. 

Non ebbe il coraggio, nè la forza, di fare ulteriori domande. Voleva solo stendersi, andare a casa. Ma si ricordò che casa sua non era un’opzione possibile. Avrebbe potuto smaterializzarsi nell’appartamento di Hermione e aspettare lì finchè non sarebbe rientrata, stringendo la sua bacchetta tra le mani e ripetendosi che era solo paranoico e non poteva esserle successo niente di male. 

“Draco?” lo chiamò Theo, “che ne dici, ti va?”

“Cosa?”

“Di andare a fare un giro con loro. Beviamo una birra e torniamo a casa mia”.

“N-no” scosse la testa, “non voglio bere una birra e fare come se niente fosse”.

“Sei sconvolto” gli disse, piano, facendo in modo che Blaise e Pansy non sentissero. O forse fecero finta di non sentire. “Ci rilasseremo un po’, e poi torneremo a casa mia, o se preferisci aspetteremo Hermione nel suo appartamento e ci faremo una grassa risata per tutta questa situazione quando rienterá. Va bene?”

Sebbene non ne fosse pienamente convinto, annuì, perchè sarebbe stato più facile che dire di no e provare di nuovo a spiegare quell’angosciante peso che sentiva sul petto, che gli comprimeva i polmoni e gli rendeva difficoltoso respirare. 

Seguì gli altri dentro un pub affollato, dove la gente beveva e ballava, e non disse nulla neanche quando Theo gli mise in mano un bicchiere di birra babbana. La sorseggiò appena, e se non fosse stato per la serata che aveva appena passato, probabilmente ne avrebbe apprezzato il sapore e avrebbe chiesto il bis. 

Tuttavia, adesso, aveva un nodo alla gola che gli impediva di mandare giù più di un solo sorso della bevanda. 

Non fece molto caso alla conversazione dei suoi amici, né ai corpi stretti gli uni sugli altri che urtavano contro di lui, né all’odore di alcool e fumo che gli impregnava i vestiti. Il suo corpo era presente ma la sua mente, purtroppo, era altrove. 

Ma poi qualcosa catturò la sua attenzione. 

“Cos’è che hai detto?” disse a Blaise, che era intento a chiaccherare con Pansy e Theo. 

Il ragazzo lo guardó strabuzzando le palpebre, e Draco dovette ripetere la domanda per farsi sentire oltre il suono della musica. Era alta. Troppo alta per i suoi gusti. 

Blaise si avvicinò al suo orecchio e si mise una mano davanti alla bocca come ad attutire i suoni esterni. Anche Theo si strinse di più a loro, così da sentire cosa stava per dirgli. 

“Stavo solo spiegando i miei attuali progetti come manager sportivo” disse, con una nota di orgoglio e presunzione nella voce. Draco si disinteressò quasi immediatamente, ma poi aggiunse. “E non ci crederete mai chi ho come cliente”.

“Chi?” chiese Theo, mentre la mente di Draco  salpava lontano da quella conversazione. 

“Weasley” affermò il moro. 

Draco si voltò di nuovo verso di lui, e riavvicinò il suo orecchio. 

“Ron Wealsey?” domandò Theo. 

Blaise scosse la testa ed il cuore di Draco prese a battere allo stesso ritmo della musica che gli stava distruggendo i timpani. Afferrò Blaise per il bordo della giacca. 

“Ginny Weasley?”

Il moro annuì, facendo una smorfia mentre diregeva lo sguardo verso il punto in cui le mani di Draco spiegazzavano la sua giacca raffinata. Il biondo non se ne curò. “Quando l’hai vista l’ultima volta?”

“Questa sera”

Theo sollevò le sopracciglia sorpreso, ma Draco fu più rapido a chiedere. “Dove?”

“Al Wembley Stadium, ma perch-”

“Era da sola?” gli domandò senza fargli finire. 

Blaise aggrottò le sopracciglia. “Si. Credo di si”. 

Draco lo lasciò finalmente andare, e la sua mano si spostò istintivamente verso la bacchetta di Hermione nella tasca della sua giacca. 

Si diresse verso l’uscita, ma sentì una mano afferargli il braccio. Era Theo. “Dove stai andando?”

“Dove credi?”

“Vengo con te” gli disse il suo amico. 

“No” continuò Draco. “Mi accerterò solo che Hermione sia lì, poi me ne vado”. 

Theo non insistè, annuendo con aria rassegnata. Prima che Draco se ne andasse, tuttavia lo strinse un’ultima volta. “Casa mia è sempre aperta. A tempo pieno per te. Lo sai vero?”

Lo sapeva. E ne avrebbe avuto bisogno presto. 



Quando si smaterializzò fuori dal Wembley stadium, in qualche modo, lo seppe ancor prima di vederlo. 

Serrò la presa della sue dita sulla bacchetta di Hermione e percorse trattenendo il respiro il corridoio tra gli spalti che lo portò direttamente sul campo. Lì, sospesa su una scopa davanti agli anelli, lo sguardo perso a contemplare il cielo che lentamente si schiariva all’orizzonte, c’era Ginny Weasley. 

Da sola. 

“Una caduta da quell'altezza sarebbe piuttosto rischiosa".

La rossa abbassò la testa di scatto alle sue parole, ma non vacilló sulla sua scopa e la sua presa rimase salda mentre scendeva verso l'erba verde e umida del campo, con una velocità ed una grazia che erano solo migliorate dai tempi di Hogwarts. 

“Cosa ci fai qui?” gli disse, non scendendo dalla sua scopa. Aveva il volto stanco e gli occhi un po' gonfi, come se avesse pianto a lungo. 

“Hai visto Hermione?”

Il suo cuore saltó un battito quando il volto della ragazza si indurì. 

"No". Tuttavia, nonostante l'apparente rabbia nel suo sguardo, aggiunse “perchè me lo chiedi?”

Sollevó la bacchetta, lasciando che la osservasse. “È sparita e l'ha lasciata indietro, credevamo fosse con te”.

“No. Io non l’ho vista” 

"Perché ti nascondi qui?" Le domandó prima di potersi fermare. Aveva visto la disperazione nel volto di Potter, nel non sapere dove fosse finita, e ad ogni minuto che passava, condivideva e capiva sempre di più quel tipo di dolore. 

La rossa lo fulminò, e lui alzò le mani. “Non sono affari miei, lo so. Scusa" si portò una mano ai capelli. "Potter sembrava disperato, comunque”. 

A tal punto che lui, Draco Malfoy, si sentiva in dovere in aiutarlo. 

Ginny si morse le labbra, e i suoi occhi parvero gonfiarsi di nuovo. Non era bravo in queste cose, e non erano sicuramente affari suoi, ma…

“Anche Hermione voleva parlarti di qualcosa di importante, comunque. E di personale. Era dispiaciuta di non averlo fatto prima”.

“Temi che possa esserle successo qualcosa?” 

“Non è da lei sparire così, no?”

Ottenne la risposta di cui aveva bisogno, che fece incendiare l’ansia nel suo stomaco, dallo sguardo che lei gli rivolse. 

Fece per andarsne, ma prima si voltò un'ultima volta verso di lei. “Qual è il problema, Weasley? Potter ti adora, adorerà ancora di più il bambino”.

La rossa spalancò la bocca. “Come-”

“Sono molto intuitivo” si limitò a dire con un’alzata di spalle. “Hermione non sa nulla, comunque. Era di questo che volevi parlare l’altra volta?”

Ginny si morse le labbra, ma infine sospirò rassegnata. Il suo sguardo spinse Draco a rimanere, solo per qualche secondo ancora, prima di abbandonarsi all’angoscia e iniziare a cercare Hermione ovunque. 

"Si, volevo che fosse la prima a saperlo. Avevo bisogno di un'amica".

Deglutí, sforzandosi di sostenere il suo sguardo nonostante il disagio. “Mi dispiace" . 

"È solo che è successo tutto troppo in fretta” scosse la testa, e l'impugnatura delle dita sul manico della sua scopa si fece più stretta. "E io non so se sono pronta. La mia carriera è appena iniziata-"

“Non montarti la testa per questo” disse, abbassando la voce. “Ma sei la migliore giocatrice di quidditch che abbia mai volato sul campo di Hogwarts". 

“Appunto” protestò la rossa, il suo volto aveva ripreso colore. “Sono troppo giovane per rinuciarvi adesso, per lasciare andare tutto così”

“E dove sta scritto che devi rinunciarci?” 

“Perchè è sempre così, per noi donne. Tutte le giocatrici delle Holidays Harpies hanno mollato la squadra in questi casi, ed io…Voglio questo bambino, ma non voglio rinunciare al quidditch”

“Allora non farlo” gli disse, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Continua a giocare, continua a fare quello che ami. Potter sarà al tuo fianco ogni singolo istante”.

“Si, lo so questo” disse, mentre si abbassava sulla sua scopa e si avvicinava a lui. 

“Cosa stai facendo?” gli chiese.

Fece spallucce. “Sali. Andiamo a cercare Hermione”. 


Harry Potter neanche si accorse che Draco era sulla sua soglia quando prese tra le braccia la sua ragazza e la strinse con forza.

 Fu costretto a distogliere lo sguardo da quella scena, dall’intimità di quel momento, e fece qualche passo indietro sui gradini del numero 12 di Grimmauld Place. 

“Ginny” lo sentì sussurrare, le parole attutite contro i capelli di lei. 

“Mi dispiace” mormorò la sua ragazza. “Mi dispiace, avevo bisogno di riflettere” 

“E tutto ok” la strinse di nuovo. “E’ tutto ok”. 

Potter continuò a non riconoscere la sua presenza, e fu la Weasley a staccarsi da lui dopo qualche minuto ancora. 

“Harry” lo chiamó, portando l’attenzione verso il biondo. Potter finalmente lo guardò con i suoi grandi occhi verdi, che adesso erano ricoperti da uno strato lucido.

 “Dov’è Hermione?”

Draco strinse le labbra. “Non era con lei”. 

Ginny afferrò la mano del suo ragazzo. “Dice che non si fa vedere da ieri sera, e la sua bacchetta…”

Lo sguardo di Harry, adesso, parve sinceramente preoccupato. “Credevo fosse con te. Era venuta a cercarti ieri pomeriggio”. 

Ginny fece spallucce. “Non mi ha trovata, non la vedo da giorni”.

Il ragazzo che è sopravvissuto avvolse un braccio intorno alla spalla della sua fidanzata, stringendola a sè come se temesse che potesse sparire di nuovo. Ma i suoi occhi, nonostante tutto, adesso cercavano quelli di Draco. 

“Dobbiamo trovarla”. 


Non fu sorpreso di trovare Theo nell’appartamento di Hermione una volta che si materializzò li fuori. Stava per forzare la porta quando questa si aprì dall’interno. 

Il suo cuore mancò un battito. Per un solo istante pensó che fosse stato tutto un brutto scherzo ed Hermione fosse tornata a casa. 

 Ma si ritrovò davanti solamente il suo amico. Alla sua espressione interrogativa, Theo sollevò le spalle. "Quando siamo venuti dal Manor, ieri, abbiamo lasciato il passaggio aperto nel caminetto”. 

Annuì, camminando avanti e indietro e guardando fuori  dalla finestra. Potter e la Weasley sarebbero arrivati a momenti. Non aveva chiaro ciò che avrebbero fatto, ma… Potter era un auror, forse avrebbe notato qualcosa qui che a loro era sfuggito, un indizio, un modo per rintracciarla. Non poteva essere sparita nel nulla, e non riusciva a pensare a chi potesse essere stato a farle del male. Certo, c’erano delle persone al lavoro che volevano farla fuori… ma politicamente, non così. Non in questo modo.

“Dove sei stato, Draco?” gli chiese Theo. 

“Ho trovato la Weasley, lei e Potter stanno arrivando”. 

Nel momento in cui lo disse, le fiamme del caminetto si accesero e i due uscirono dalle fiamme stretti l’uno all’altra, i volti tesi per la preoccupazione. Tuttavia, Draco non mancò di notare la leggera nota di sollievo nel volto di Potter rispetto a quando lo aveva visto la sera precedente. Ma quell’espressione svanì appena mise piede nell’appartamento. I suoi occhi verdi presero a guardarsi intorno. 

Theo e Draco gli mostrarono le poche cose che avevano scoperto la sera precedente: la piccola scatola all’interno della quale, secondo loro, poteva esservi stata una passaporta, ed il punto per terra in cui il biondo aveva ritrovato la bacchetta. 

Potter confermò la loro teoria, ma poi prese a osservare meglio la stanza. Tutti trattenevano il respiro ad ogni suo movimento, e Draco sussultava ogni volta che apriva la bocca semplicemente per respirare, pensando che avesse capito qualcosa e stesse per rivelare la soluzione a quel mistero. 

L'ex grifondoro lo rimpreveró con lo sguardo più di una volta. 

“Ok” disse infine, passandosi una mano tra i capelli sempre più spettinati. Probabilmente lo avevano buttato giù dal letto anche quella mattina, sempre che avesse dormito. 

“Così non funziona. Dovremmo dividerci i compiti. Devono passare 24 ore dalla scomparsa” esitò anche lui al pronunciare l’ultima parola “affinchè gli auror decidano di assumersi il caso. Ma noi inizieremo adesso. Stasera andrò io a fare la denuncia al ministero, sperando che per allora Hermione sia già tornata”. 

“No” scattò il biondo, poi cercò gli occhi di Theo. “Non dovremmo affidarci al ministero”. 

“Perchè lo dici?”

“E’ una lunga storia” cercò anche gli occhi di Ginny, che parve in parte capirlo. “Ma non corre buon sangue tra lei e quelli del ministero”. 

Theo si intromise. “C’è ragione di pensare che se le sia successo qualcosa, potrebbero essere coinvolti loro”. 

Poi i suoi occhi si sollevarono verso Draco, un messaggio silenzioso che il biondo non capì a pieno, che comunque lo lasciò con una spiacevole sensazione addosso. 

“Ok, devo saperne più di questo” sospirò Potter. “Ma dobbiamo dividerci. Ginny, dovresti andare da Ron e i tuoi. Lui ed Hermione si incontrati ieri, a casa, cercavano entrambi te. Magari lui potrebbe averla vista dopo che è uscita, forse l’ha accompagnata qui”.

Il sangue ribollì nelle vene di Draco. Se Weasley sapeva qualcosa… 

“Malfoy, tu vai con lei”. 

“Co-cosa?”

“Non riesco a fare il mio lavoro con te che sospiri e sussulti ad ogni mio minimo movimento. Accompagna la mia ragazza, mi aiuterà Nott qui”. 

Theo ed il ragazzo si scambiarono uno sguardo. 

Draco, suo malgrado, non fece opposizioni. Doveva fidarsi. Doveva solo fidarsi. Forse, così facendo, quella spiacevole angoscia che gli attanagliava lo stomaco se ne sarebbe finalmente andata. 



“Forse è meglio se aspetti quaggiù" disse la rossa dopo che si furono smaterializzati a pochi metri di distanza dalla baracca che chiamavano casa. Si morse le labbra, sforzandosi di non fare commenti acidi.

 Lo stavano aiutando, e doveva trovare Hermione… Eppure il suo desiderio di punzecchiare un Weasley, a maggior ragione l’ex di Hermione, era incontenibile nonostante le circostanze. 

Fece come lei gli aveva ordinato, senza dire una parola. Il sole era ormai sorto, e i raggi illuminavano il cielo senza tuttavia riscaldare l’aria, che era ancora gelida. Fece un incantesimo riscaldante, prendendosi qualche secondo per osservare come la bacchetta di Hermione rispondesse così bene alla sua magia. 

La sua attenzione per l’oggetto tra le sue mani, tuttavia, fu di breve durata. 

Vide Molly Weasley abbracciare la figlia sulla soglia della porta, stringendola a sè. Un momento dopo udì un rimprovero, da una voce maschile questa volta, e si preparò per il momento in cui i suoi occhi lo avessero visto in lontananza. 

Contò mentalmente. 

Tre

Il suo volto era dello stesso colore dei suoi capelli mentre rimproverava la sorella minore per spavento che aveva fatto prendere a tutti loro.

Due

La abbracció, stringendola con forza contro il suo petto. Poi, finalmente, sollevó lo sguardo. 

Uno 

 Le sue sopracciglia si sollevarono e poi si aggrottano ed il suo volto si tinse di nuovo di rosso per la rabbia. 

“Che cosa ci fa lui qui?”

Weasley, quella sopportabile, gli fece cenno con la mano di avvicinarsi. 

“E’ successo qualcosa ad Hermione” disse la rossa. 

Ron finalmente tacque, e fece saettare lo sguardo fra di loro. “Come sai che possiamo fidarci di lui?” 

Non c’era provocazione, adesso, nelle sue parole. Lo stava chiedendo con semplice dubbio, e Draco strinse le labbra.

“Hermione si fida di lui” rispose decisa Ginny.  “Harry si fida di lui, e anche io, Ron, mi fido di lui”.

Draco incrociò il suo sguardo, rivolgendole un cenno di ringraziamento con il capo. Non aveva fatto nulla per meritarsi la sua fiducia,e visti i loro trascorsi non avrebbe mai potuto pretenderla, ma era comunque lieto che lei gliel’avesse concessa.  

“Quindi non l’hai vista?” chiese finalmente Draco, sostenendo lo sguardo di Ron. 

“No” sospirò. “Non dopo aver lasciato casa di Harry”

Draco non sapeva se aveva più voglia di piangere o urlare in quel momento, ma alla fine non fece nè l’una nè l’altra cosa. 

“Dobbiamo tornare” lo sguardo di Ginny era pervaso dalla stessa angoscia che provava anche lui, da ore ormai.

“Aspettate”, Ron li chiamò, mentre entravano in casa e si dirigevano verso il caminetto. “Vengo anche io".


“Quindi dovremmo semplicemente non far nulla?” disse Ron, sedendosi accanto alla sorella sul divano dell’appartamento di Hermione. 

Draco non riusciva a sedersi, o semplicemente a stare fermo, e quando non camminava avanti e indietro per il piccolo salotto si mangiava le unghie o picchiettava nervosamente il piede contro il pavimento. 

Erano passate ormai dodici, no, forse diciotto ore da quando Hermione era sparita, e non avevano la benché minima idea di dove potesse essere. 

Potter continuava a stringere tra le mani quel pezzo di carta marrone opaca, l'unico vago indizio, la cosa più vicina ad una traccia che su cui erano riusciti a metter le mani. 

‘Viene dal ministero’ aveva detto qualche ora fa, e ne sembrava sempre più convinto mentre continuava a studiarlo. 

“Da quello che mi avete raccontato” iniziò, i suoi occhi a cercare quelli dei due serpeverde per conferma, “e dagli indizi raccolti, c’è ragione di pensare che sia stato qualcuno del ministero. Finchè non usciranno notizie ufficiali, abbiamo un vantaggio”.

“E che vantaggio sarebbe?” riprese Ron, l’incredulità nella sua voce. 

Theo si fece avanti, lo sguardo assorto mentre ragionava su qualcosa. Non stava parlando a loro, sapeva Draco, ma più a sè stesso. “I pochi colpevoli sapranno cosa è successo ad Hermione, ma tutti gli altri no. Potremmo indagare facendo loro qualche domanda, e in base a chi da le risposte più sospett-”

Ma poi Theo si bloccò, e alzò lo sguardo verso Draco. E solo in quell’istante il biondo giunse alla stessa conclusione del suo amico. 

Loro sapevano. 

Era sempre stato lì sotto i loro occhi. In ogni cosa che Hermione aveva raccontato, alla base di ogni loro singolo incontro. 

E lui era stato così stupido da ignorarlo. 

Qualcuno sapeva del segreto che Hermione aveva fatto il possibile per tenere nascosto.

Avevano cercato di avvicinarla più volte, di attirarla con lettere ed inviti sempre più insistenti, e alla fine… 

Incroció gli occhi di Theo. 

"Credo di sapere dove si trova".

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Capitolo 22
*** 22. Incidente ***



 La testa di Hermione faceva male. Sentiva il cervello pulsare contro le pareti della sua scatola cranica, provocandole continue scariche di dolore. Si portó le mani alle tempie ancora prima di aprire gli occhi. 

Quando finalmente li aprì, dovette sbattere le palpebre più volte per abituarsi all'oscurità che la circondava. 

C’era un fischio nelle sue orecchie, e appena provò ad alzarsi fu sopraffatta da un forte senso di vertigine. Si fermò, prendendo dei respiri profondi. E poi ci provò di nuovo, più piano questa volta. 

Poggiò le mani sul materasso sotto di lei. La stanza non aveva un odore particolare, ma quel profumo di disinfettante e medicine era spiacevolmente familiare. 

Quando i suoi occhi finalmente si abituarono al buio, iniziò a guardarsi intorno. Riconosceva vagamente questo posto. L’odore di pulito che emanava dalle lenzuola fredde, il materasso sottile, i cuscini troppo grossi. Non era nel letto di casa sua. Eppure, nonostante credesse di riconoscere il luogo in cui si trovava, c'era troppo silenzio tutt'intorno a lei.  

Dopo essersi messa a sedere sul letto, attese qualche secondo che la sua testa smettesse di girare. Un lamento da parte del suo stomaco la portò a chiedersi che ore fossero e da quanto tempo non mangiava.

Lentamente, fece scivolare una gamba dopo l'altra oltre il bordo del letto. Appena uno dei suoi piedi toccò il pavimento freddo la porta della camera si spalancò.

Sbatté le palpebre per la luce che entró dal corridoio, mentre un'infermiera le andava incontro. Indossava la tipica uniforme dei dipendenti del San Mungo, eppure non l’aveva mai vista prima nelle innumerevoli volte in cui era stata qui. 

Si avvicinò al suo letto con un sorriso stampato in volto ed una cartella in mano. Nonostante il mal di testa, il fischio nelle orecchie e gli occhi che facevano fatica ad abituarsi alla luce, Hermione cercò il cartellino sul petto della donna, dove avrebbe dovuto leggere il suo nome. 

Non c'era. 

“Non si alzi” disse la donna, avvicinandosi al letto. Con delicatezza le afferrò i piedi, rimettendoli sul materasso. Poi aggiustò il cuscino alle sue spalle. Hermione non protestò: si sentiva fin troppo stanca, e persino tenere gli occhi aperti era uno sforzo. Avrebbe solo voluto chiuderli e riposare, ma non poteva farlo, c’era qualcosa… qualcosa che non andava. 

“Dove-” deglutì. “Dove sono?”

“Non se lo ricorda?" La donna si allontanò dal letto. “Ha avuto una crisi, l’hanno portata qui in urgenza”.

“Co-cosa?”

“Ha aggredito una sua collega al lavoro questa mattina, signorina Granger”.

Una fitta di dolore alla testa impedí ad Hermione di rispondere, poi sentì la bile risalire lungo la gola. Vomitò sul pavimento, mentre la stanza spoglia tutt'intorno continuava a girare. 

La donna, sempre con il suo tocco delicato, si avvicinò per reggerle i capelli. “Adesso è sconvolta, signorina Granger. La sua magia le ha giocato un brutto scherzo, era ridotta molto male quando l’abbiamo trovata”.

“N-non” cercò di combattere contro i conati. “Non è andata così” la gola le bruciava ed il suo stomaco continuava a rigirarsi su sé stesso. 

“Non si preoccupi, capiremo cos’ha che non va. Adesso si riposi”.

Hermione non ebbe la forza di opporsi a quelle mani gentili che le poggiarono la testa contro il cuscino e alla pesantezza delle sue stesse palpebre. Aveva la bocca asciutta. 

“Ecco, beva”. 

Quando sentí il bordo di un bicchiere contro le proprie labbra, non oppose resistenza, lasciando che l’acqua fresca le accarezzasse la gola e desse sollievo. 

E poi la sua mente e il suo corpo esausto si abbandonarono all’oscurità, che l’avvolse di nuovo. 


Quando riaprì gli occhi, il mal di testa era meno insistente. Dalla luce che vedeva oltre le sue palpebre chiuse dedusse che era ormai giorno, ovunque si trovasse. Attese qualche secondo prima di aprire gli occhi, prendendo una serie di respiri profondi. 

La stanza tutt’intorno era silenziosa, per ciò che le sue orecchie erano in grado di percepire, ma forse avrebbe dovuto spingersi oltre. Nonostante la stanchezza che ancora avvertiva, provò a usare il suo potere per udire i pensieri di qualcuno fuori dalla sua stanza. Quel poco che riuscì a percepire era ovattato e distante, come se avesse i tappi alle orecchie. 

Decise di aprire lentamente gli occhi e poi scese dal letto, un piede dopo l’altro. Indossava solo la biancheria intima sotto il camice ospedaliero che le avevano messo addosso. Si guardò intorno nella stanza. Fortunatamente, i suoi vestiti erano adagiati su una poltrona vicino la finestra.

Quando si avvicinò per prenderli, notò qualcosa di strano. La maglietta sulla sedia non era la stessa che aveva indosso nel momento in cui…

Come era arrivata qui? 

Aveva appena scritto a Draco, poi aveva controllato la posta e aveva aperto… 

Si appoggiò contro la poltrona mentre un senso di vertigine le faceva mancare la terra sotto i piedi. Respiró, concentrandosi sulla sensazione del pavimento freddo sotto di lei.  

Fissò di nuovo i suoi vestiti sulla poltrona. Quella maglia… Ricordava di averla cambiata quando aveva lasciato il ministero, prima di andare a trovare Ginny, e poi-

Ginny. Non ricordava di averla vista. 

I ricordi iniziarono a farsi confusi, e insieme al senso di vertigine che la costrinse a sedersi, iniziò a provare una forte nausea. Se non avesse avuto lo stomaco così vuoto, afflitto dai morsi della fame, probabilmente avrebbe già vomitato. 

Quando era stata l’ultima volta che aveva mangiato? Aveva acquistato del gelato, ricordava. Ma lo aveva poi mangiato? 

Ginny, doveva vedersi con Ginny. Era uscita dal lavoro…

O forse era stata al ministero. Riguardò la sua camicia. Era quella che aveva indossato al lavoro, così come le scarpe che giacevano a terra sotto la poltrona. Ma lei era rientrata a casa, si era cambiata, aveva…

Stava parlando con Cameron, si ricordò. All’improvviso il volto della donna divenne l’unica immagine chiara nella sua memoria, emergendo sullo sfondo sfocato del resto dei suoi ricordi, che avrebbero potuto appartenere a quella giornata come a qualunque altra. 

Provò lentamente ad alzarsi, reggendosi con una mano al muro per impedire al suo senso di vertigine di farla cadere. Non si fidava del suo stesso equilibrio. 

Prese un altro profondo respiro, e un passo dopo l’altro raggiunse la porta. Si ritrovò davanti un corridoio vuoto e silenzioso, e alla fine dello stesso un’altro spazio che sembrava vagamente simile ad una reception. Eppure non si sentiva stabile abbastanza sui propri piedi, e l’idea di percorrere quei pochi metri  le fece venire le vertigini. 

“Signorina Granger” 

Si voltò, troppo velocemente però, finendo per vomitare per terra bile e succhi gastrici. La stessa infermiera della sera prima le tenne i capelli, offrendole poi un asciugamano con cui pulirsi. 

 “Non dovrebbe stare in piedi dopo

 quello che le è successo”.

La trascinò di nuovo dentro la stanza. Nonostante il malessere fisico, Hermione era lucida abbastanza da capire che sarebbe stato saggio non lasciar trapelare immediatamente i suoi dubbi. Provò a frugare nella mente dell’infermiera, ma era come percepire un segnale a scatti. Per ogni parola che scivolava fuori, la donna rialzava il suo scuro mentale. 

 Dopo qualche secondo sentì di star per vomitare di nuovo e lasció andare qualsiasi tentativo di leggerle nel pensiero. Ci avrebbe riprovato quando sarebbe stata meglio. 

“Che ore sono?”

“Sono le 12 del mattino, ha dormito come un sasso questa notte, credevamo fosse il caso di non svegliarla”.

Deglutì. I suoi ultimi ricordi risalivano al pomeriggio, no, al mattino precedente. Quando aveva affrontato Cameron nel suo ufficio. 

“Non è venuto nessuno ancora?”

L’infermiera strinse le labbra. “Dopo quello che è successo, la signora Prichett ha sporto denuncia, perciò non può ricevere visite finchè non sarà chiuso il caso”.

Sentì la rabbia ribollire. Cameron aveva sporto denuncia? E per cosa, poi…

“Quale caso?”

“Non si ricorda?” chiese la donna, mentre la aiutava a mettersi a letto. Per un secondo, parve ad Hermione che le sue labbra si piegarono in un sorriso inquietante, nonostante il suo bel viso.  

Le sistemò il cuscino. “L’ha aggreddita. Non è stato intenzionale, certo, questo lo ha riconosciuto anche la signora Prichett. C’è qualcosa di strano in lei dal suo incidente, sostiene, e ha dichiarato che avrebbe fatto cadere l’accusa se lei si fosse decisa a farvi visitare una volta per tutte”. 

Hermione, nonostante lo stordimento che provava, sentì montare la rabbia. Non poteva essere vero, non ricordava, no…

“Dove è successo?” domandò. 

“Oh povera cara, la sua memoria gioca davvero brutti scherzi. Era al ministero, nel suo ufficio. Non sareste dovuta rientrare a lavoro così presto dopo quel brutto incidente, soprattutto senza essersi fatta visitare”. 

La donna le mise tra le mani un bicchiere colmo di una pozione. Hermione tentó di esaminarla senza farsi notare. 

“Bevete questo, e riposate ancora un po’”. 

Hermione avvicinò il bicchiere alle labbra, sotto gli occhi della donna che continuavano a scrutarla. Finse di bere, tenendolo lì per qualche secondo. Quando ingoiò aria e saliva, gli occhi della donna finalmente smisero di fissarla. 

"Povera ragazza" le disse. "Dormite, per oggi. Domani verranno a farvi delle domande”. 



“Ok signorina Granger, ricorda quello che è successo?”

Era un dottore diverso da quelli che l’avevano sempre visitata quello che si trovava davanti a lei adesso. Eppure, c’era qualcosa di vagamente familiare nel modo in cui apriva e chiudeva gli occhi dopo ogni domanda, nel suo modo di reggere la cartella sotto un braccio quando si spostava, e persino nella sua scrittura, per quel poco che era riuscita a scorgere. 

Aveva provato, non appena era entrato nella sua stanza, a leggere all’interno della sua mente. Il muro di difese che aveva incontrato non era così saldo, come se avesse studiato poco e in fretta l’occlumanzia. Per prepararsi a quell’incontro. 

Chiunque fossero questi dottori, qualsiasi cosa stesse succedendo, Hermione sapeva per certo due cose: Cameron, in qualche modo, l’aveva spedita qui. Non ricordava cosa fosse successo, ma tutti le avevano riportato sempre la stessa storia. Cameron l'aveva denunciata per averla aggredita, nonostante lei fosse certa di non averle mai torto un capello, per quanto l’avesse desiderato. La seconda cosa di cui era certa era che almeno una persona, tra tutte queste, voleva scoprirne di più sul suo dono. Perciò, dopo il suo primo ed unico tentativo di leggere nella mente dell’uomo, quando questo aveva sussultato e un sorriso inquietante si era formato sulle sue labbra, Hermione aveva deciso di smettere di provare. 

La sua testa era ancora confusa, e la cosa migliore che potesse fare, al momento, era evitare di prendere qualsiasi pozione le dessero e fingersi innocente. Nella speranza che, presto o tardi, le avrebbero permesso di ricevere delle visite. 

Doveva parlare con qualcuno, o mettere i suoi pensieri, i suoi ricordi sempre più confusi, per iscritto prima che svanissero ulteriormente. Iniziava ad avere il brutto presentimento che qualcuno la stesse manipolando. 

Tuttavia si sforzó di mantenere la calma e non lasciarsi prendere dal panico, ripetendosi che il motivo principale per cui era qui era una ragione politica. 

Non avrebbe dovuto rientrare al ministero, o se non altro forse avrebbe dovuto farlo più preparata. Non poteva essere una coincidenza che fosse successo immediatamente dopo il suo ritorno. Ebbe voglia di rompere qualcosa, sentì la sua magia crescere e agitarsi e- 

“Oh no, la prego” insistè il medico davanti a lei. “Per favore, non si agiti. La sua pressione sta salendo”. 

Si strofinò gli occhi con una mano. 

“Crediamo che lei, signorina, non stia molto bene dal suo incidente di qualche mese fa. Si è fatta dimettere troppo presto, e le sue condizioni non hanno fatto altro che peggiorare da allora”. 

Ad Hermione non piaceva affatto la direzione del suo discorso. Purtroppo, il suo brutto presentimento venne presto confermato. 

“La sua magia ha reagito in modo strano, signorina Granger, dunque dovremmo condurre dei test su lei ed i suoi genitori”. 

Il silenzio calò nella stanza, ed Hermione si rese conto che tutti i presenti la stavano studiando attentamente. Era come un animale in trappola. La cosa migliore era dare loro la reazione che si aspettavano da parte sua, sebbene non fosse completamente certa di quale fosse. 

Molto lentamente, annuì, evitando di incontrare i loro occhi. 

Era stata un idiota a lasciare che i suoi genitori restassero al San Mungo. Avrebbe semplicemente dovuto lasciarli andare ed accettare che non a tutto si può trovare una soluzione. Era stata una stupida a continuare ad insistere, a continuare a sperare che ci fosse un modo… 

“Bene” annuì il dottore. “Si ricorda la sequenza di incantesimi che aveva utilizzato?”

Si finse confusa. O per lo meno, più di quanto non si sentisse già. Fece saettare i suoi occhi tra i presenti, e poi si lasciò sfuggire un singhiozzo. “Io-” deglutì. “Il dr. Friedrich diceva che-” singhiozzò ancora, e poi cercò di mettere in campo la sua miglior performance, portandosi le mani sul volto. “E’ tutta colpa mia. Quando ho cancellato i loro ricordi, ho danneggiato il loro cervello babbano. Non sono stata brava abbastanza”. 

Ci fu un colpo di tosse, probabilmente per l’imbarazzo della situazione, e quando osò sbirciare oltre le sue dita, alcuni degli infermieri avevano lasciato la stanza. “D’accordo, non deve rispondere per forza adesso. Si riposi, potremo parlare più tardi”. 

Annuì alle parole del dottore, fingendo di tirar su con il naso. “Vorrei vedere i miei amici”. 

“Non può ricevere visite” la sua voce e la sua espressione si indurirono all’improvviso. “Per motivi legali. Mi dispiace”. 

Finse di continuare a piangere, finché finalmente il dottore e i due infermieri rimasti non lasciarono la sua stanza. 



Hermione fissava i corpi addormentati dei suoi genitori, ed in quel momento sentí tutte le cose nelle quali aveva riposto speranze abbandonarla: il fatto che avrebbe potuto salvarli, che tutto sarebbe tornato come prima, che una volta finita la guerra loro avrebbero recuperato la memoria e sarebbe stato come se nulla fosse successo. Solo adesso, finalmente, sentiva di aver finalmente accettato il fatto che nulla di tutto quello sarebbe successo. 

Ogni cosa ha un prezzo, e quello era il suo. Aveva scelto di pagarlo,  per la salvezza dei suoi genitori, e lo avrebbe fatto di nuovo, ancora e ancora. 

Adesso, si era resa conto, era pronta a lasciarli andare. Ad accettare che fossero salvi e andassero avanti con la loro vita, anche se lei non ne avrebbe fatto più parte.

Se solo fosse riuscita ad uscire da qui, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata riportarli alle loro vite, ad essere Wendell e Monica Wilkins, una coppia felice e senza figli. 

No, non se. Quando. Quando uscirà da qui. 

Uno dei guaritori, sempre giovane e mai visto nelle precedenti volte in cui era stata qui, le si avvicinò e le mise in mano una bacchetta. “Purtroppo la vostra bacchetta è andata persa nell’incidente” disse. 

Incidente. Più Hermione si sforzava di ricordare il cosiddetto incidente, e ciò che era successo dopo, più le veniva mal di testa. 

Strinse tra le dita la bacchetta che le diedero, con aria accondiscendente. La stessa vibrò appena la prese, ma era una cosa positiva, perchè non aveva alcuna intenzione di fare ciò che le stavano per chiedere.

“Adesso vogliamo che ripeta lo stesso identico incantesimo di quel giorno” disse il dottore davanti a lei. 

Annuì, sforzandosi di non tremare, un po’ per la rabbia ed il nervosismo, che tuttavia avrebbe sfogato su di loro non appena fosse uscita da qui, ed un po’ per il mal di testa crescente. 

Sapeva che non sarebbe uscita da qui finchè non avrebbe dato loro ciò che volevano. O almeno, questo era quello loro dovevano credere. 

Sollevò la bacchetta. E poi, prima che le dessero il via, prima che la sua mano fu perfettamente dritta davanti a sè, lanciò uno stupeficium non verbale. 

La luce bianca lasciò la bacchetta con una tale forza che venne spinta all’indietro, tanto da urtare il muro alle sue spalle. La bacchetta rotolò sul pavimento, e al mal di testa che già sentiva si aggiunse un tremendo mal di schiena. 

Venne aiutata ad alzarsi, ma appena la misero in piedi finse di nuovo di cadere, come se le sue ginocchia non potessero reggerla. “Dovremmo provare con un'altra bacchetta” si avvicinò di nuovo il dottore. Hermione colse uno strano movimento della sua mano, ma lui la nascose rapidamente dentro una delle tasche del camice. “Che cosa conteneva il nucleo della sua?”

Hermione sbattè le palpebre mentre due giovani infermieri la tenevano da entrambe le braccia. Poi piegò le labbra, come se stesse di nuovo per mettersi a piangere. 

“D’accordo, d’accordo” l’uomo si tolse gli occhiali, ed Hermione notò qualcosa di strano nei suoi occhi. Erano sempre stati di quel colore? Sembravano più scuri… “Riportatela in camera”. 

Hermione, comunque, lasciò andare qualche singhiozzo, assicurandosi che tutti lo sentissero e la vedessero solo una ragazzina che piange dalla quale non avrebbero ottenuto nulla. 


Era notte fonda, doveva essersi addormentata per qualche ora, nonostante avesse fatto il possibile per cercare di rimanere sveglia. Tuttavia era stanca, e solo il sonno riusciva a liberarla dal mal di testa, sebbene non fosse più così forte come quando si era svegliata la prima volta. 

Aveva il brutto, pessimo, presentimento, di sapere benissimo perchè si sentiva in quel modo. Si alzò in piedi. Fuori dalla sua finestra era ancora buio, il che suggeriva fosse notte fonda. Era la sua unica occasione per provare a sgattaiolare fuori, o per lo meno aggirarsi per i corridoi nella speranza di incontrare un volto conosciuto o ricavare qualcosa di utile, qualsiasi cosa.

Il corridoio fuori dalla sua camera era completamente buio, ma con una mano contro il muro iniziò ad avviarsi lentamente verso il punto in cui aveva scorto una piccola reception, aiutandosi solo grazie alla luce della luna che entrava dalle piccole finestrelle in alto. Il pavimento era freddo sotto i suoi piedi nudi, e scoprì con sollievo e un po’ di sorpresa che il bancone era vuoto. 

Era tutto così silenzioso. Non quel tipico silenzio che si sente la notte, quando tutti dormono. Sembrava quasi che lei fosse l’unica persona presente. 

Lentamente, poggiò la mano sulla maniglia più vicina a lei, il metallo freddo sotto le sue dita, e sforzandosi di non far alcun rumore provò ad aprire la porta. Era chiusa. Fece lo stesso con quella successiva e quella dopo ancora, ma entrambe sembravano esser state chiuse a chiave. 

Ripeté il gesto fino all'ultima porta del corridoio, tuttavia, proprio nel momento in cui stava per sfiorare quella maniglia, si bloccò. Quando abbassò lo sguardo, notò che le luci della stanza erano accese. C’era qualcuno all’interno. Appoggiò l’orecchio alla porta, ma non riuscì a sentire nulla.. 

Si allontanò un po’, reggendosi al muro mentre il suo cuore iniziava a battere rapidamente, e prese un respiro profondo. Chiunque fossero le persone all'interno, in questo momento non si sarebbero aspettati che lei potesse essere lì: i loro scudi non erano alzati, e quelle goffe barriere mentali non poterono nulla contro la sua intrusione. 

Scivolò nella mente più vicina alla porta, notando qualcosa di vagamente familiare in quei pensieri, come se li conoscesse già. Come se la conoscesse già, la donna i cui pensieri stava violando.

E oh, la conosceva e come. 

Fissò la stanza attraverso i suoi occhi. Era un laboratorio… un laboratorio di pozioni. Il dottore, lo riconosceva, era Prichett. Quell'uomo inquietante, stempiato e con gli occhiali. E gli ingredienti che aveva davanti a sè… Quella che stava preparando era una pozione polisucco. 

Cercò di farsi piccola dentro la testa di Cameron, di osservare senza interferire e dar segno della sua presenza.

“E’ passato fin troppo tempo” diceva la sua voce. Hermione si sentì ribollire dalla rabbia. “Che sia chiaro, non l’ho portata qui affinchè tu facessi i tuoi stupidi esperimenti. Domani la costringeremo a firmare le dimissioni e la lasceremo andare. Ho ottenuto ciò che dovevo”.

L’uomo continuò a tagliare gli ingredienti che aveva sul banco. “Non ho ancora visto nessun articolo sorellina. Nè su di lei, nè sulla tua promozione”.

“Arriverà domani. E il mio lavoro non è nulla di cui tu debba preoccuparti. Non mi interessa delle tue stupide teorie. L’importante è che sia fuori dal ministero e che sembri una sua decisione” Hermione la sentì sorridere, sentì nella sua mente il senso di soddisfazione che la invase a quel pensiero, insieme ad un piccolo accenno di paura, e di sollievo dopo un terrore appena scampato. 

“Se solo avessi una possibilità, il potere che potremmo, che tu potresti ottener-”

Cameron sollevò una mano, interrompendolo. “Non mi importa nulla. Il potere che voglio me lo darà lei quando avrò finito il mio lavoro con Hermione Granger. E succederà domani”. Si voltò, ed Hermione vide la porta con i suoi occhi. 

“Buonanotte, fratellino”

Fece a malapena in tempo a correre nella sua stanza, lasciando la porta parzialmente aperta e infilandosi sotto le coperte con il cuore che le martellava nel petto ed il respiro pesante. Se solo fosse riuscita a scavare un altro po’ nella mente di Cameron,  a scoprire chi fosse questa lei… 

Ma lo avrebbe fatto. A tempo debito avrebbe fatto in modo che tutti pagassero per quello che era successo. 


La vestirono, quella mattina la fecero vestire e la trascinarono in un ufficio Non c’era un nome sulla targhetta dorata davanti alla porta, ma solamente il nome del reparto:  Salute Mentale ospedale San Mungo

Doveva essere  in un’altra ala dell’ospedale, rispetto a quella dove era stata le altre volte, perchè qualcosa, qui tutt’intorno, era troppo silenzioso. 

C'era il solito dottore dietro la scrivania. O forse, avrebbe dovuto dire, quello a cui avevano rubato il volto. Eppure… c'era solo un modo. Un solo ed unico modo in cui avrebbe potuto tirarsi fuori da questa situazione. Perciò lasció che la facessero accomodare su una poltrona di pelle davanti ad una elegante scrivania piena di scartoffie, di fronte all'uomo dietro il quale era certa di nascondesse il dr. Pritchett. 

O, peggio ancora, sua sorella. 

"Ha due opzioni, signorina Granger" inizió l'uomo non appena Hermione fu davanti a lui.

Annuí, attendendo che proseguisse con il discorso. 

"La sua prima opzione è rimanere qui. Lasciare che conduciamo altri test su lei e i suoi genitori, in modo che possa finalmente-" Hermione strinse gli occhi, osservando il modo in cui sembrava far fatica a trovare le parole giuste. "Guarire, ecco. Per essere certi che spiacevoli episodi come quello del suo incidente non si verifichino di nuovo". 

Le sorrise. E nonostante il volto bello e giovane dell'uomo che stava impersonificando, quel sorriso inquietante fece accapponare la pelle della grifona. 

Hermione attese, ancora. Quando tuttavia fu chiaro che non avrebbe continuato fu lei a chiedere: "e la seconda?"

Il dottore sollevò una pergamena dalla scrivania. "Data la denuncia della signora Pritchett, se non accetta di lasciarci condurre altri test per capire cosa ha provocato questo suo incidente e risolvere il suo problema" Hermione dovette stringere i pugni, infilzandosi le unghie nella carne per trattenere la rabbia. "È costretta a dimettersi dalla sua posizione al ministero. E deve firmare per accettare che non potrà più ricoprire alcun ruolo pubblico all'interno della società magica". 

Il cuore sprofondò nel petto di Hermione. E insieme ad esso alcune lacrime le solcarono le guance. Non c'era bisogno di fingere, questa volta. 

Incontró un ultima volta quegli occhi. Oggi del colore giusto, nocciola, con un po' di ambra all'interno. Non scuri come lo erano stati ieri. E pensó che quell'idiota non era nemmeno capace di produrre una pozione polisucco come si deve. Doveva farlo e basta. Comunque, non avrebbe risolto le cose rimanendo dov'era, conservando quel lavoro. 

Afferró la piuma e la intinse nell'inchiostro, e quasi strappò via la pergamena dalle sue mani per la fretta di afferrarla e firmare. 

Rimase a fissare il suo nome, quelle lettere dipinte sulla carta color avorio, anche mentre il dottore si alzava. 

"Bene, le infermiere hanno già sistemato le sue cose. Scriveremo a qualcuno di venirla a prendere. Il suo contatto di emergenza è ancora il signor Potter, esatto?"

Hermione annuí, continuando a fissare quelle parole. 

Aveva firmato. 

E nonostante avesse dovuto sentirsi oppressa, schiacciata dal peso di ciò che stava lasciando, si sentí invece libera. 

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Capitolo 23
*** 23. Non sei sola ***


Draco lasciò che fossero Harry e Theo a parlare con l’infermiera al San Mungo. I suoni tutt’intorno divennero sempre più rumorosi nelle sue orecchie, ed il suo cuore non smetteva di battere mentre le parole che avevano lasciato la bocca di quella donna continuavano a riverberarsi nella sua testa. 

No, Hermione Granger non è una nostra paziente al momento, avevano detto. 

Hermione non era lì. Eppure lui ne era stato così sicuro. Ma se Hermione non si trovava al San Mungo, dove altro poteva essere?

Sentiva un fischio crescente nelle sue orecchie, e le luci della sala di ingresso dell’ospedale sembravano troppo luminose. Gli bruciavano gli occhi. Si costrinse a non distrarsi, concentrandosi su ciò che la donna stava ancora dicendo. 

“Avevamo due pazienti” disse, la voce ferma e il volto in un sorriso amichevole. “Il signore e la signora Granger, babbani. Sono stati dimessi la scorsa settimana”.

“Dimessi?” la voce di Theo, nonostante lo sforzo, lasciava trasudare un po’ di apprensione, e non appariva disinvolta come avrebbe dovuto. Il ragazzo tossì per correggersi. “Chi è venuto a prenderli?". 

La donna fece saettare il suo sguardo tra i due, indugiando sul volto serio del ragazzo che è sopravvissuto, nonché Auror. “Posso rivelare questa informazione solo ai parenti dei pazienti", poi deglutì. “A meno che questa non sia un'indagine, in quel caso dovrei vedere un mandato”.

Harry si sporse sul piccolo banco, le mani incrociate e le labbra piegate in un sorriso. “Speravamo di non arrivare al punto in cui sarebbe stato necessario aprire una causa contro l’ospedale”. 

La donna deglutì, e le sue mani tremanti tradirono la falsa sicurezza con cui si presentava.  

“Perchè poi non si tratterà solo di noi, ma di un intera squadra del ministero. Auror, detective, i giornali-”

La donna si mise a maneggiare alcune delle cartelle che aveva in mano. “Signor Potter, so bene che di lei ci si può fidare". 

I suoi occhi scuri saettarono avanti e indietro per il corridoio, e il ragazzo che è sopravvissuto si sporse di più sul bancone, così che la donna potesse quasi sussurrare al suo orecchio. Draco tese le orecchie, sforzandosi di sentire il più possibile nonostante la distanza.

"È da tempo che mandiamo degli avvisi alla signorina Granger. Purtroppo tutti i tentativi di ripristinare la memoria dei suoi genitori sono falliti". 

L'espressione sul viso di Potter era sorpresa, sebbene cercó subito di mascherarla. 

"È quasi un anno, ormai, che risiedono qui. Non possiamo più tenerli. Ma la signorina Granger non ha mai firmato il modulo di dimissione".

"E chi lo ha fatto?"

"Il dottore che li aveva in cura". La donna sfoglió una serie di scartoffie, poi aggrottó le sopracciglia. "In realtá, un suo delegato, a quanto leggo qui". 

Theo si sporse sul bancone insieme ad Harry. "Che cosa vorrebbe dire?"

"Il dr. Friedrich, lo specialista in incantesimi di memoria, ha mandato qualcuno a prendere i signori Granger".

Harry inspiró profondamente, stringendo le mani dietro al bancone. "Era lei di servizio quando li hanno dimessi?"

"N-no" disse la donna. 

"D'accordo". Harry si sollevó finalmente dal bancone, "la ringrazio per il suo aiuto". 

L'infermiera annuí sommessamente, rivolgendo un'ultima occhiata diffidente ai due serpeverde mentre uscivano. 



Il piano era semplice. O almeno questo era ciò che sosteneva Theo, il quale era riuscito persino a convincere Potter dell’estrema fattibilità della cosa. Draco, tuttavia, faticava sempre di più ad essere ottimista. 

Si erano nascosti sotto l’incredibile mantello dell’invisibilità di Potter. Theo ed Harry, per lo meno. Data la sua riluttanza all’ottimismo, infatti, Draco era stato costretto a rimanere nascosto dietro il tronco di un albero. Per Salazar, quei due insieme erano insopportabili.

Era stato difficile calmare l’entusiasmo, e le mille domande di Theo, riguardo l’oggetto. Eppure, nonostante ci volle un po’, alla fine Theo accettò che Harry gliene avrebbe parlato quando tutto questo fosse finito. Draco aveva dovuto trattenere quella voce nella sua testa che urlava ‘se’.

Se tutto quello fosse mai finito. 

 Anche adesso, mentre aspettavano che il dr. Friedrich varcasse la porta dell’ospedale e raggiungesse il punto per smaterializzarsi, Draco doveva sforzarsi di mettere a tacere quelle parole e la piccola vocina nella sua testa che gli diceva che ad Hermione stava succedendo qualcosa di terribile. 

Successe tutto molto rapidamente. 

Nel momento in cui l’uomo ignaro svoltò l’angolo dietro al quale i due maghi erano appostati, Potter e Theo lo afferrarono e si materializzarono in uno stanzino buio del Nott Manor.

 Harry fu il più rapido, liberando l’uomo dalla sua bacchetta, mentre Draco scagliò l’incantesimo che lo immobilizzò ad una sedia. Fu solo allora che il dottore ebbe finalmente il tempo di mettersi ad urlare. Tuttavia non c'era nessuno che potesse ascoltarlo. 

Harry si piazzò davanti a lui. 

Lui e Theo avevano rivelato un'intesa che aveva lasciato il biondo senza parole, e con un pizzico di gelosia, ed erano stati d'accordo sul fatto che l'approccio migliore per iniziare era che il dottore si trovasse faccia a faccia con l'eroe del mondo magico. 

 Draco era stato di diversa opinione, ma alla fine lo avevano convinto ad iniziare con un approccio tranquillo. 

Potter costrinse l’uomo a guardarlo negli occhi, l’unica luce nella stanza quella della flebile lampadina sopra le loro teste. I due serpeverde attendevano contro la parete, niente più di due sagome nell'oscurità. 

“Dr. Friedrich, posso darle del tu?" si passò una mano tra i capelli, spettinandoli appena. Quando l'uomo non rispose, Harry Potter continuó. 

 “Bene. Perdonaci per averti portato via così all’improvviso. Dobbiamo solo porti alcune domande, sarai a casa prima di cena”.

"Che cosa volete?" 

Uomo sveglio, pensó Draco tra sé e sé. 

"Vogliamo sapere perché hai dimesso I signori Granger e dove si trovano adesso". 

L'uomo aggrottó le sopracciglia. Draco alzó gli occhi al cielo. 

"Forse non mi hai capito, dottore. Puoi provare a rispondere di tua spontanea volontà, oppure ci prenderemo le risposte che ci servono da soli".

Theo, al suo fianco, stringeva tra le dita una piccola boccetta di veritaserum. Draco non aveva voluto sapere come se la fosse procurata, né perché sembrasse averla pronta da tempo e attendesse solo l'occasione di utilizzarla. 

“Non ho idea di cosa state parlando”. 

Un semplice cenno da parte di Potter e Theo fece qualche passo avanti. 

Draco rimase a guardare, la bacchetta di Hermione saldamente stretta tra le dita, mentre l’uomo mandava giù qualche goccia di veritaserum. Theo sorrideva compiaciuto. 

Potter si piegò di nuovo davanti a lui. “Ricominciamo da capo. Dove hai portato i signori Granger e perchè?”

L’uomo strabuzzò le palpebre con la stessa aria confusa. 

“Non vedo i Granger da settimane. Su ordine della signorina Hermione Granger erano ancora sedati nel nostro reparto” aveva il respiro pesante. Il volto gli si tinse di rosso, chiaro segno che la pozione stava facendo effetto. “Le ho scritto diverse lettere, ultimamente. Non possiamo più tenerli, è passato quasi un anno. Non sembra esserci modo di ripristinare i loro ricordi, non se lei continua ad opporsi ad altri esperimenti”. 

Potter si voltò verso Draco. “Di cosa sta parlando?”

“Deve essere Hermione a dirtelo” si limitò a rispondere. Il ragazzo che è sopravvissuto accettò la sua risposta senza aggiungere altro. 

Nel petto del biondo iniziava a farsi strada il brutto presentimento che avessero fatto un buco nell’acqua e fossero ancora molto lontani dal trovare Hermione. 

“Perciò tu non sai perchè risulta che siano stati dimessi a tuo nome?”

“Co-come? No, non ho idea. Io non centro nulla. Ho cercato di avvisare la signorina Granger che non avremmo potuto trattenerli ancora a lungo, visto l’insuccesso dei diversi tentativi di restituir loro la memoria”. 

Gli occhi verdi di Harry si tinsero di un velo di tristezza. 

“Notato qualcosa di strano, ultimamente? Qualcuno che potesse essere interessato a loro o ad Hermione Granger?” si intromise Theo.

L’uomo chiuse e riaprì la bocca alcune volte, forse combattendo contro il potere del siero. Poi, finalmente, parlò. “Quell’idiota del dr,. Pritchett" imprecò.

“Ci dica di più”

“Parlava sempre di loro e della signorina Granger. Ma è un pazzo, un delirante. Ed è anche pessimo nel suo lavoro”.

“Perchè ho la strana sensazione che stia omettendo qualcosa, dottore?” continuò Harry. Draco dovette ammettere, tra sè e sè, che era piuttosto bravo nel suo lavoro. 

L’uomo deglutì. Gocce di sudore gli scendevano dalla fronte e gli impregnavano la camicia. “Era così ossessionato da quei due babbani. Non c’era nulla che potessimo fare per loro, era ciò che continuavo a spiegargli. Non senza il consenso della figlia. Ma d'altro canto lei li ha parcheggiati da noi, li ha abbandonati per mesi nel nostro ospedale, come dei vegetali, come se non le importasse".

Draco strinse i denti. 

“Continui” proseguí Harry.

“Abbiamo semplicemente lasciato che fosse lui ad occuparsi di loro. Cambiare le flebo, lavarli, monitorare eventuali cambiamenti, per quanto impossibili a mio parere. Abbiamo tante cose da fare in reparto, e occuparci di due babbani per cui non c’è nulla da fare…”

Draco non si rese conto di quanto la presa delle sue dita sulla bacchetta si fosse fatta stretta finché Theo non poggiò la mano sulla sua. 

“Dunque, dove possiamo trovare questo dr. Prichett?”

“Vive qua a Londra, con sua sorella. Lei lavora al ministero”.

Una gelida rabbia correva dentro le vene di Draco, congelando ogni cosa. La quiete prima dell’esplosione. 

Potter si voltò verso loro due. “C’è altro che dovremmo chiedergli, secondo voi?”

Fu Theo a farsi avanti. “Ci scriva l’indirizzo” disse, producendo con la sua bacchetta piuma e pergamena. Poi guardò Harry. “Ci pensi tu o ci penso io?”

“Gli incantesimi non sono mai stati il mio forte”

Draco rimase ad osservare mentre il dottore implorava Theo, la bacchetta puntata su di lui. Senza dar peso alle sue parole, il suo amico procedette ad alterare i suoi ricordi. Dove e come Theo avesse imparato a padroneggiare questo tipo di incantesimi rimaneva un mistero per Draco. Ma il suo amico era sempre stato pieno di sorprese. 


Neanche un’ora più tardi, Draco era impaziente di mettersi sulle tracce del dr. Prichett, e magari strappargli le budella dal corpo. Se a mani nude oppure aiutato dalla bacchetta di Hermione, non lo aveva ancora deciso. 

 Potter aveva deciso di passare un momento dal quartiere generale degli auror, non per assicurarsi che la notizia della sparizione di Hermione si fosse già diffusa, ma esattamente per il motivo opposto. Meno persone all’interno del ministero sapevano cosa era successo, e che la stavano già cercando, meglio sarebbe stato per loro. E fu allora, mentre aspettavano nascosti in un angolo che Potter facesse la sua entrata e uscita con nonchalance, che si trovarono davanti Ginny Weasley.

Il respiro accelerato suggeriva che avesse volato a bordo della sua scopa per tutta Londra per cercarli. Draco dovette riconoscere la  sua tenacia. 

Un attimo prima che mettesse piede all’interno del quartiere generale, Draco ed il suo amico sbucarono fuori dall’angolo nel quale erano nascosti, e la rossa parve trarre un sospiro di sollievo. Si fermò, ed in neanche cinque secondi aveva già ripreso completamente fiato. Sportivi. A Draco quasi mancava esser uno di loro.

 La rossa aveva in mano una lettera, sulla quale notò impresso il sigillo del San Mungo. Gliela porse ancora prima che lui potesse strappargliela via dalle mani. 

Potter, a cui la lettera era indirizzata, lasciò l’ingresso principale mentre Draco era intento a leggere. 

Il volto del biondo si illuminó mentre i suoi occhi saettavano sulla pergamena nuova. 

Quelli del ragazzo che è sopravvissuto, d'altro canto, erano presi dallo sconcerto. Reggeva una copia della gazzetta del profeta, che riportava la data odierna.

 La lettera del San Mungo, il primo luogo dove erano stati per cercare Hermione senza trovarla, diceva che lei era sempre stata lì… 

La gazzetta del profeta invece… lo sguardo di sconcerto passò dal volto del grifondoro a quello del biondo mentre leggeva ciò che era scritto in prima pagina. 

Hermione Granger firma le dimissioni per problemi di salute mentale 

No, non poteva essere. 

Il mondo prese a girare tutto intorno, e delle scintille fuoriuscirono dalla punta della bacchetta di Hermione per la magia che ribolliva nelle sue vene. 

Theo gli piazzò entrambe le mani sulle spalle per calmarlo, mentre Potter trascinò la Weasley dietro di sè, come a farle scudo col suo corpo nel caso il biondo fosse esploso da un momento all’altro. 

 La sua rabbia si trasformò rapidamente in una calma gelida e ben più letale. Adesso non c’era tempo per le scenate. Sapevano dove si trovava Hermione. 

Incontrò gli occhi verdi di Potter, che annuì. 

Il grifondoro si prese solo un momento per stringere la mano della sua ragazza e fissare la scopa al bordo della quale li aveva raggiunti volando sulla città. Scosse appena la testa, ma poi i suoi occhi si riempirono di qualcos’altro. Fiducia, forse, che andava oltre ogni preoccupazione. 

“Ci vediamo lì”. 

La rossa annuì, e insieme i tre ragazzi si materializzarono davanti le porte del San Mungo. 



Hermione era pallida, aveva i capelli spettinati che le ricadevano lungo le spalle mentre gli andava incontro. Una borsa al suo fianco che non le aveva mai visto e lo sguardo spento. Trattenne l’istinto di correre da lei e lasciò che fosse Potter a firmare per portarla via e condurla fuori dalle porte dell’ospedale. 

Nulla di ciò che stava succedendo aveva un senso. 

Perchè quell’infermiera gli aveva detto che non c'era nessuna Hermione Granger tra i loro pazienti? 

Cercò con lo sguardo la reception, trovandovi un'altra donna rispetto a quella che avevano visto solo ieri. Ma non era importante, adesso. L’unica cosa che contava era che Hermione stesse bene. Tutte le altre domande avrebbero trovato  una risposta in un secondo momento. 

Una volta che fu fuori, Draco la prese tra le sue braccia e la strinse forte, non curandosi degli sguardi di Theo, Potter e la Weasley. 

Hermione non ricambiò l'abbraccio. Quando cercò i suoi occhi vi era ancora un velo cupo davanti al suo sguardo, quelle pupille scure e attente erano spente. 

Strinse i denti. “Hermione”.

“Vorrei andare a casa” disse lei. Per un attimo le parve che si stesse sforzando di comunicare qualcosa, con lui. Qualcosa che non poteva dire ad alta voce. 

C’è qualcosa che non va? 

Fece un minimo, quasi impercettibile, cenno del capo. Ma le sue dita si strinsero con più forza sul suo braccio e Draco capì. 

“Ti portiamo a casa”.


Hermione si comportava in modo strano, o almeno questo era ciò che si leggeva negli sguardi sempre più perplessi e preoccupati di Theo, Harry e Ginny mentre guardavano la ragazza passare da un angolo all’altro dell’appartamento. Prima chiuse le finestre, poi, dopo che Draco le passò la bacchetta, bloccò il caminetto, ed infine, senza dire niente a nessuno, afferrò un foglio di pergamena e una delle sue penne babbane e si sedette al tavolo a scrivere. Senza rivolgere una parola a nessuno di loro.

Rimasero tutti ad osservarla senza batter ciglio, come se qualsiasi movimento potesse disturbare la tesa concentrazione con la quale scriveva.  

Potter fu il primo ad aprire la bocca per provare a dire qualcosa, ma senza che Hermione alzasse lo sguardo dal foglio su cui era concentrata a scrivere, Draco lo bloccò con un cenno della mano. Il ragazzo che è sopravvissuto, sebbene con le sopracciglia aggrottate e l’aria sempre più perplessa, richiuse la bocca e sospirò, stringendosi alla sua compagna altrettanto confusa e preoccupata. 

Passarono diversi minuti così, in silenzio. Quattro paia di occhi concentrati solo sulla ragazza e su ciò che stava scrivendo sulla sua pergamena. Draco riuscì a cogliere qualche parola, nella sua calligrafia veloce e confusa.

Incidente, Ginny, Cameron…

Alla fine, tutto d’un tratto, Hermione sbattè violentemente la penna sul tavolo e alzó gli occhi su di loro. Il suo volto sembrava aver ripreso colore. Finalmente aprì la bocca per parlare, gli occhi centrati in quelli del biondo, il cui petto ribolliva già di rabbia e desiderio di vendetta. 

“Credo abbiano manomesso i miei ricordi”. 



Non si allontanò neanche un secondo dal fianco di Hermione. Adesso capiva come si sentiva Potter, vedeva i suoi stessi atteggiamenti riflessi nell'apprensione del grifondoro verso la Weasley. E non mancava neanche di notare il modo in cui i suoi occhi saettavano sul ventre di lei, ancora piatto, spesso quando lei era distratta e guardava altrove. 

“Devo sapere esattamente cosa è successo” Hermione guardò verso Ginny. “Meno parole possibili, pechè-” si portò una mano alla tempia, stringendo le labbra. “Quando provo a ricordare, mi viene questo terribile mal di testa” 

Draco, in piedi dietro alla sedia dove Hermione era seduta, prese ad accarezzarle la schiena con una mano, l’unico supporto che era in grado di offrirle al momento. 

Ginny scosse la testa, non sapendo da dove cominciare, e stringendole la mano, Harrry si fece avanti. “Cercavi Ginny, sei venuta da me”.

E così il ragazzo raccontò del breve incontro davanti casa sua, dello scontro con Ron. Draco, a sua volta, le raccontó che gli aveva scritto, omettendo tuttavia, nonostante lo sguardo di rimprovero di Theo, ciò che era successo con Lucius.

Hermione aveva abbastanza cose a cui pensare adesso. Gliene avrebbe parlato dopo, quando avrebbe dovuto per forza spiegare perché non avesse più con sé la sua bacchetta. 

Quando lasciarono leggere ad Hermione l’articolo sulla Gazzetta del Profeta di quella mattina, e poi le riportarono la loro “amichevole” conversazione con Friedrich, Hermione continuò a non sembrare sorpresa. 

“Ho dovuto firmare le dimissioni” cominciò, raccontando loro ogni dettaglio, dalla conversazione che aveva origliato a notte fonda, fino al racconto di quel fantomatico incidente, che non riusciva a comprendere se fosse successo o meno. 

“Chiunque sia” disse Hermione, sforzandosi di tenere le mani ferme “Cameron lavora per qualcuno che tira le redini del ministero da dietro le quinte. Non si espone mai” si strofinò ancora le tempie, sul volto un'espressione di dolore. 

“Forse adesso dovresti riposare” si fece avanti Draco. 

Hermione scosse la testa. “Credo di sapere. Lo sapevo, o credevo di aver capito chi fosse questa persona, ma… Non ricordo. E’ tutto così confuso”

“Dovresti riposare davvero” si fece avanti anche la rossa. E per quanto si sforzasse di mantenere un tono di voce fermo, Draco notò che aveva gli occhi lucidi. 

Hermione tremò, come per sforzarsi ancora, e solo quando Draco si inginocchiò accanto a lei e le prese le mani finalmente vide le sue spalle cedere e rilassarsi. 

Draco la guardò negli occhi e continuò  stringere  le mani nelle sue. “Riposati, Hermione. Ci pensiamo noi a te, e a tutto questo”. 



Hermione dormì per diverse ore, e Draco rimase vigile al suo fianco anche quando Harry, Ginny e persino Theo tornanoro a casa per mangiare e farsi una doccia. Lui, invece, rimase seduto sul bordo del letto, stringendo ancora la sua bacchetta tra le dita, ascoltando il ritmo del suo respiro. 

Era ormai passata quasi un’intera giornata. Il sole tramontava quando Hermione aprì lentamente gli occhi. “Che cosa è successo?”

La sua domanda fu seguita da un colpo  di tosse e Draco le fu subito accanto, porgendole un bicchiere d’acqua. La grifona ne prese un lungo sorso, poi il suo sguardo interrogativo si rivolse verso la sua stessa bacchetta. 

“Ho notato una scopa in salotto. Suppongo fosse la tua”. 

“Non è una bella storia”. 

Le dita fredde di Hermione gli sfiorarono la mano. Draco le prese tra i propri palmi per riscaldarle. “Dovresti mangiare qualcosa” si limitò a dirle. 

“Anche tu. Perchè eviti la mia domanda?” abbassò lo sguardo, “è forse per colpa mia?”

Il biondo le afferrò il mento tra indice e pollice, costringendola a guardarlo negli occhi. “Non pensarlo neanche per un secondo. Non è affatto così, e adesso abbiamo cose più importanti a cui pensare”. 

 Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta. 

“Sarà Potter, o forse Theo. Chiunque si sia fatto la doccia prima. Se vuoi posso mandarli via”. 

Ma Hermione si alzò dal letto. “No, non voglio che se ne vadano”.

Lentamente, Hermione andó ad aprire la porta. Draco seguí ogni suo movimento, un' ombra alle sue spalle pronta a prenderla in caso fosse caduta. 

La sorpresa fu piacevole per Hermione e tutt’altro per il serpeverde quando la porta si aprì e anziché Potter o Theo, quel David, ovviamente in completo elegante e senza neanche un capello fuoriposto, fu sulla soglia. Draco avrebbe quasi preferito Ronald Weasley al suo posto. Quasi. 

Il ragazzo fece saettare gli occhi tra loro due, concentrandosi sulla mano di Draco ferma sul fianco di Hermione. Probabilmente aveva letto anche lui, come il resto degli abitanti di Londra e oltre, della loro storia. 

“Ho letto di ciò ciò che è successo, e sapevo che doveva esserci qualcosa sotto, tu non l’avresti mai fatto. Il tuo lavoro era importante…" fece un passo verso di lei. "È importante".

Hermione lo abbracciò, sebbene solo per qualche secondo, e poi raccontò di nuovo anche a lui tutto quanto. Draco vide la mente del ragazzo mettersi all’opera, esaminando le varie sfaccettature del racconto sotto un punto di vista e un angolatura totalmente diversa dalla loro. 

“Credi davvero che lei ti abbia denunciato?” domandò poi David, nell’esatto momento in cui suonò il campanello. 

Draco andò ad aprire, accogliendo Theo, Potter e la Weasley. Sia lui che Hermione quasi grugnirono di piacere nel notare che i loro amici, per fortuna, non erano tornati a mani vuote. 

La conversazione riprese mentre sia Draco che Hermione si avventarono su delle fette di pizza grandi quanto le loro facce. Stavano morendo di fame. Draco non ricordava quando era stata l'ultima volta che aveva mangiato, e aveva paura di conoscere la risposta di Hermione. 

Theo si sedette al fianco di David, studiando attentamente non solo il suo discorso, ma lui stesso. 

Il giovane avvocato guardò verso Potter. “Possiamo richiedere di vedere le denunce giunte agli uffici. Ma se non è stata ufficialmente protocollata, anche le sue dimissioni basate su di essa possono non essere valide. E poi, tutto ciò che è successo al San Mungo… è così illegale che non so nemmeno da dove cominciare”

Hermione, con un delicato cenno della mano, lo invitò a fermarsi un momento. “Non mi interessa recuperare il mio lavoro al ministero”. 

Tutte le teste scattarono verso di lei. 

La ragazza iniziò a spiegarsi. “Non mi ha portato a nulla, in tutto questo tempo. E’ inutile. Io sono stata inutile lì”. 

“Dobbiamo solo scoprire chi è che dirige tutto da dietro le quinte” disse Draco a denti stretti. “Dev’esserci un motivo se questa persona non si fa avanti. Scommetto sia perché non può farlo apertamente”. 

Hermione abbassò lo sguardo. “Non saprei neanche da dove cominciare” e c’era una tale rassegnazione, un tale sconforto nel modo in cui le sue spalle si abbassarono, che Draco per un momento provò una strana paura in fondo al petto. Aveva paura che fossero riusciti ad abbatterla e piegarla. Aveva paura che, dopo tutto ciò che aveva dovuto affrontare, Hermione Granger si fosse spenta. Avrebbe lottato lui per lei, se necessario. 

Alzò lo sguardo verso Theo ed Harry, che in qualche modo stavano bisbigliando sottovoce tra di loro. “Da dove cominciamo?”

“Voi non credete alla storia dell’incidente?” la voce di Hermione era spezzata, come se stesse trattenendo le lacrime. A Draco si strinse il cuore nel petto a quella vista. 

“Certo che no” fu la Weasley la più rapida a rispondere. Ma presto Theo, Harry, David e per ultimo Draco confermarono le sue parole. 

“Dovremmo parlare con qualcuno nel tuo stesso dipartimento” continuò David, “per capire che voci siano girate e cosa credono sia successo”.

“Potremmo cominciare con Dean Thomas” fu Ginny a rispondere, “è la persona di cui ti fidavi di più al lavoro, vero?”

Hermione annuì, poi prese un sorso d’acqua. Dal modo in cui strinse gli occhi, Draco capì che il mal di testa doveva essere ritornato. Si avvicinò al suo orecchio. "Possiamo continuare un’altra volta”. 

Hermione parve indecisa e combattuta davanti a quella offerta, ma Ginny prese in mano la situazione. "Parlerò io con Dean, cercando di non destare sospetti in alcun modo. Come approccio iniziale credo sia la cosa migliore” gli altri annuirono. 

Harry fece un passo avanti. “Io scoprirò se c’è davvero una denuncia contro di te, Hermione” poi annuì in direzione dell’avvocato.

 Anche lui si alzò dalla poltrona su cui era seduto, avviandosi insieme agli altri verso la porta. “Io chiederò accesso alle cartelle al San Mungo e scoprirò cosa è successo, e quanto è illegale ciò che ti hanno fatto. Pagheranno per questo”. 

L’ultimo che ancora non si era avviato verso la porta, e rimaneva lì a fissarli, era  Theo. “Io ho un’idea” si limitò a dire. “Ma dovete fidarvi di me”. 

Hermione annuì, gli occhi lucidi che tuttavia non tradirono alcuna lacrima mentre guardava tutti i suoi amici andarsene. Draco capì cosa stava pensando senza che lei lo dicesse. 

Non sei sola, Hermione le disse, mentre la porta si chiudeva e rimasero da soli. 

Non sei sola 

La prese tra le sue braccia, stringendola forte. Hermione nascose il volto contro il suo petto. 

Non sei sola, continuò a ripetere, mentre la grifona concedeva finalmente alle sue lacrime di uscire e impregnarli la camicia. 

Non sei sola. 

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Capitolo 24
*** 24. Mastermind ***


Hermione si svegliò tra le braccia di Draco, il volto umido contro il suo petto. Quando alzò il suo sguardo su di lui, i suoi occhi erano leggermente lucidi. Aveva l’aria stanca. Fuori dalle finestre si intravedevano i primi raggi arancioni dell’alba. 

“Abbiamo dormito tutta la notte qui?” disse. 

Draco si tirò a sedere, ed Hermione notò che si massaggiò la spalla intorpidita. “Non volevo svegliarti per portarti in camera”. 

Lo osservò, aveva ancora la camicia umida per le sue lacrime. “Sarà stato scomodo”. 

“Lo è stato per te?”  chiese, serio. 

“No, sono stata bene”. 

Lo sguardo nei suoi occhi si addolcì. Si avvicinò a lei, e le sue labbra si adagiarono delicatamente sulla sua fronte. "Vuoi riposare ancora un po’?”

Si mise in piedi. Si sentiva bene, non aveva voglia di tornare a dormire. Scosse la testa. “Vorrei fare una doccia, in realtà”. 

Draco rimase a guardarla, con aria decisamente stanca. Hermione avrebbe scommesso che stesse anche peggio di quanto appariva.

 Il cuore si strinse nel suo petto al pensiero che aveva trascorso la notte sul divano, sicuramente in una posizione scomoda, solo per non svegliarla.

“Puoi continuare a dormire se ti va”. 

Il biondo annuì, nascondendo uno sbadiglio dietro il palmo della mano. 

“Oppure potresti venire con me”. 

Hermione vide tutta la stanchezza sparire dal suo volto mentre si alzava dal divano e la seguiva in bagno. 

I suoi occhi si accesero come ormai aveva visto fare più di una volta mentre il vapore proveniente dalla doccia riempiva il piccolo spazio, rendendo ogni superficie appannata e scivolosa. 

Hermione si dimenticó di ogni cosa in quel momento, mentre questa sua semplice fantasia finalmente prendeva vita. 

Si liberó rapidamente dei suoi vestiti mentre lui faceva lo stesso, e quando finalmente furono nudi una di fronte all'altro, gli afferró la mano. 

Draco scrutava attentamente ogni suo gesto, il suo petto si alzava e si abbassava in ampi movimenti, come se si stesse sforzando di respirare piano. 

I suoi occhi la scrutavano attenti a non perdersi nulla di ciò che lei gli comunicava solo con lo sguardo. 

Hermione capì: le aveva lasciato il comando. 

Una scarica di adrenalina la invase dalla testa fino alle punte dei piedi mentre si sistemarono sotto il getto dell'acqua calda nel piccolo box, i corpi stretti l'uno contro l'altro al punto che sentí la sua erezione premere contro l'addome. 

Le mani di Draco erano rigide lungo i fianchi, come se stesse trattenendo l'istinto di toccarsi, o di toccarla. 

Hermione accarezzó con le dita la punta del suo cazzo e un fremito lo scosse lungo tutto il corpo. 

"Non l'ho mai fatto così" sussurró, la voce che si confuse sotto il getto dell'acqua mentre si voltava, dandogli le spalle. 

Lo sentí imprecare tra respiri pesanti, invocando Salazar, Merlino ed il resto dei fondatori di Hogwarts. Sorrise, nonostante lei stessa sentisse il cuore sul punto di schizzare fuori. 

Lo guardó da oltre la spalla, annuendo quando portó entrambe le mani sui suoi fianchi. 

Hermione poggiò I palmi sulla parete scivolosa, cercando di aggrapparsi come meglio poté, e lasció che il suo sedere scivolasse contro il suo cazzo. 

Dio, Hermione 

"Sei sicura?" le sussurró all'orecchio, il respiro caldo e pesante che si mescolava al vapore tutt'intorno, mentre sfiorava la sua entrata con la punta del suo cazzo. 

"Si, Draco. Ti prego" riuscí a dire. 

Non se lo fece ripetere due volte. Scivoló dentro di lei con una spinta decisa e senza alcuna esitazione, i loro gemiti dispersi tra il rumore dell'acqua che si infrangeva sulle mattonelle. 

"Hermione" ansimó Draco, mentre lentamente scivola fuori fin quasi alla punta e poi rientrava con un movimento deciso. "Penso di amarti".




Con i capelli ancora umidi, Draco scese al bar più vicino per acquistare le loro brioches preferite per la colazione. Hermione non era certa di voler che si addentrasse da solo nel mondo babbano, ma Draco le aveva lasciato la bacchetta ed era andato e ritornato in meno di dieci minuti con più brioches di quante Hermione gli avesse chiesto di acquistare. Nonostante questo, mezz’ora più tardi non ne era rimasta neanche una quando qualcuno bussò al campanello. 

 Hermione sorrise a Ginny, che entrò con la scopa al seguito.

"Scusa, mi sono dimenticata di riaprire il passaggio nel caminetto”. 

Ginny fece saettare gli occhi tra loro due, sui capelli ancora umidi di entrambi. "Preferisco suonare il campanello”. 

Quel commento spazzó via l’atmosfera cupa, ed Hermione si sentì più leggera mentre la rossa si sedeva accanto a lei sul divano. Oggi era il giorno in cui avrebbe finalmente raccontato ai suoi amici tutta la verità. Harry arrivò non molto tempo dopo, sedendosi vicino a Ginny, e Draco mise tra le mani di entrambi una tazza di thè. Hermione ne prese un sorso, sorpresa anche lei dal sapore. 

Scusa, Granger. Non puoi essere la migliore in tutto

Hermione strinse le labbra e si sforzò di non sorridere, cercando con lo sguardo gli occhi esitanti di Harry e Ginny. “C’è una cosa che devo dirvi”. 

 Parlò a lungo, e rimasero tutti in silenzio ad ascoltare, persino Draco, che aveva ormai sentito tutta la storia più d'una volta.

 In gran parte di essa, inoltre, aveva preso parte. Lui, lui era una parte importante della sua storia. La più importante forse, si rese conto in quel momento, perché se non fosse stato per lui.. non si era resa conto di come, passo dopo passo, Draco l’avesse lentamente trascinata fuori da quella spirale di depressione e apatia dentro la quale era scivolata, e dalla quale temeva di non poter riemergere. 

Hermione si accorse degli sguardi che sia Harry che Ginny rivolgevano al serpeverde in vari punti del suo racconto. Sguardi di comprensione, ma, soprattutto, di gratitudine. Per esserci stato per lei, per averla supportata, aiutata e guidata dove loro non avrebbero potuto, dove loro non erano stati in grado di vedere. 

“E’ stata anche colpa mia” si affrettò a specificare Hermione, non sopportando il senso di colpa che iniziava ad occupare i loro lineamenti. “Io mi sono isolata”. 

Una lacrima sfuggì, correndo lungo la guancia di Ginny che si affrettò ad asciugarla. “Come hai potuto pensare che saremmo stati spaventati da te. Ti avremmo aiutata, per ciò che era possibile”. 

“Lo so, davvero” si fece avanti Hermione. “Sono stata una stupida”. 

Harry continuava a fissare Draco dritto negli occhi. “Grazie”. 

Il biondo non rispose a parole ma con un semplice cenno del capo, che fece rilassare le spalle di Harry. 

Dopo essersi asciugata un’altra lacrima ancora, Ginny aprì la bocca per parlare. Harry sorrise quando diede la colpa della sua emotività agli ormoni in circolo, eppure era così evidente il velo lucido che ricopriva anche le sue iridi verdi.

 “Quasi dimenticavo” iniziò. “Ho parlato con Dean”.

Hermione trattenne il respiro, e poté giurare che anche Draco al suo fianco avesse smesso di respirare. 

“Si licenzia”. Ginny si portò una mano ai capelli, spostandoli da davanti al viso. “Sostiene che molti lo faranno. Hanno tutti letto delle tue dimissioni e hanno trovato la cosa fin troppo sospetta. Almeno metà dipartimento è in sciopero al momento”. 

Draco strinse la sua mano in segno di incoraggiamento.

Hermione, nonostante tutto, lasciò che la sorpresa per quella notizia, e quell'inaspettato supporto, accendessero in lei un barlume di speranza.


***



 Più tardi quel pomeriggio, Hermione era al Nott manor con Draco e Theo. Nonostante l’entusiasmo di Harry e Ginny, Theo era stato molto pragmatico e non aveva lasciato che si illudessero troppo.

 C’era qualcosa di molto grosso sotto a ciò che era successo, e se persino Cameron era un pezzo sacrificabile di quel grande puzzle, una pedina guidata da qualcuno di ben più potente, il fatto che diversi impiegati si licenziassero… non sarebbe stato utile alla loro causa, a meno che la cosa non avesse la giusta risonanza mediatica. 

Dal momento che la Gazzetta del Profeta era sotto le redini del ministero, si era occupato Notte personalmente di contattare Luna Lovegood e offrirle tutte le informazioni necessarie per scrivere un articolo a riguardo. 

Dean aveva persino accettato di lasciarsi intervistare… 

Ed Hermione, adagiata sul divano contro la schiena di Draco, si sentì così grata a tutti quanti. C’erano così tante cose di cui occuparsi, ed il fatto che ciascuno dei suoi amici svolgesse un compito, che nessuno l’avesse lasciata da sola…

 Si sentiva sciocca per aver pensato, anche solo una volta, di essere sola al mondo. Non lo era. Non lo era mai stata. Cercó di non soffermarsi sulle parole che Draco le aveva sussurrato all'orecchio quella mattina, in preda alla frenesia del momento. Il cuore minacciava di uscirle fuori dal petto al ricordo. 

Quando la conversazione riguardo la loro prossima mossa, e l'articolo che sarebbe dovuto uscire, andó scemando, Theo si avvicinó a Draco ed Hermione con un'insolita espressione seria in volto. 

Stringeva due lettere tra le mani. Hermione sentì il petto di Draco irrigidirsi e si raddrizzò, così da poterlo guardare in volto. 

“Sono di tua madre” parlò il serpeverde. “Le ho aperte, scusa”. 

Draco non allungò una mano per afferrarle, il suo braccio rigido intorno alla spalla di Hermione, che gli accarezzò un ginocchio. 

“Che cosa dice?”

“Solo che vorrebbe che tornassi, e le dispiace per ciò che è successo. Tuo padre ti ridarà la tua bacchetta”. 

Draco espirò. “Non mi serve” guardò verso la grifona. “Ho scoperto che la corda di cuore di drago funziona molto meglio per me”. 

Hermione gli sorrise. Già, era una strana coincidenza, ma sembrava quasi che la sua bacchetta rispondesse meglio a lui. Forse, dopotutto quello che era successo, la sua magia era cambiata. Forse avrebbe avuto bisogno anche lei di una bacchetta nuova. 

“Non vuoi rispondere?” domandò Theo prima di lasciare definitivamente andare l’argomento. 

Il biondo scosse appena il capo, e nessuno parlò più di quelle lettere o della sua famiglia. Hermione non insistè affinchè si sfogasse con lei, sapeva che l'avrebbe fatto quando sarebbe stato pronto. 


***  


 Pansy Parkinson non aveva mai immaginato che trovarsi ad essere l’unica erede di tutte le proprietà della sua famiglia potesse rivelarsi così faticoso, né tantomeno che la burocrazia magica potesse essere così noiosamente complicata. Sicuramente il nome che portava non era di grande aiuto. Ma, nonostante tutto, aveva continuato a farsi coraggio e seguire il consiglio di Theo, ovvero quello di insistere affinchè le proprietà della sua famiglia venissero definitivamente e ufficialmente riconosciute a lei. Suo padre era morto, e i controlli degli auror per scongiurare qualsiasi residuo di magia oscura erano finiti mesi fa, o almeno così avrebbe dovuto essere. 

Non le importava neanche più di scoprire cosa si nascondesse dentro l’ufficio di suo padre. Sarebbe stata ben felice di avere il manor tutto per sè, così come l’intero patrimonio dei Parkinson, e poi dedicarsi ad un progetto che aveva a cuore, dare un senso alla sua vita ed occupare le sue giornate con qualcosa di diverso dal continuo uscire ed ubriacarsi in pub babbani.

 C’era tuttavia solo un consiglio del suo amico Theo, decisamente più sveglio di lei, che non voleva proprio seguire. Non si era neanche concessa il lusso di pensarci. 

Farsi aiutare da un avvocato era fuori discussione. Soprattutto se l’avvocato in questione doveva essere lui

E così si era presentata di nuovo al ministero, nonostante il caos riguardo Hermione Granger e le sue presunte dimissioni. Persino lei, che non la conosceva affatto, sapeva abbastanza sul suo conto da saper che non si sarebbe mai dimessa. Non di sua spontanea volontà. Eppure, nonostante lo scandalo riguardasse solo il dipartimento di creature magiche, la tensione sembrava aver permeato ogni angolo del ministero. C’era più silenzio persino nell’affollatissima entrata principale, i passi dei lavoratori più appesantiti, le spalle più rigide mentre si trascinavano verso i loro uffici. 

Pansy strinse le dita intorno al manico della sua borsa mentre entrava in ascensore con altre due donne, probabilmente non molto più grandi di lei. Erano silenziose anche loro, perciò la serpeverde non si perse in convenevoli. Una delle due scese al primo piano. Il suono dei suoi tacchi risuonò sul parquet. Le porte dell’ascensore stavano per richiudersi, e la serpeverde fissò per un attimo il piccolo schermo illuminato. L’ascensore avrebbe dovuto andare a destra e poi su di due piani per condurla a destinazione. 

In quell’istante, qualcuno si precipitò tra le porte sul punto di chiudersi. Una valigetta tra di esse fece sì che si riaprissero, accogliendo all’interno… 

Pansy trattenne il respiro, evitando di incrociare quegli occhi. Quel dannato completo elegante… 

“Signor Bellini”. 

Rivolse uno sguardo alla giovane donna al suo fianco, avvolta in uno stretto abito blu scuro e con lunghi capelli dorati che le ricadevano lungo le spalle, e trattenne l’istinto di alzare gli occhi al cielo.

  L'avvocato le rivolse un sorriso a trentadue denti, e Pansy desiderò tanto poter scappare, o nascondersi, o fare qualunque altra cosa pur di non incrociare il suo sguardo. 

Il silenzio cadde di nuovo nell’ascensore, ma fissando il pavimento vide i suoi piedi muoversi verso di lei. Contò mentalmente i secondi fino alla sua fermata, che sembrarono protrarsi per un’eternità. 

Quando le porte dell' ascensore finalmente si aprirono, il sollievo fu breve. 

Il ragazzo la seguì fuori, in un corridoio affollato nel quale nessuno prestò loro caso. 

“Perchè mi eviti?” disse a bassa voce, alle sue spalle, così vicino che se solo si fosse voltata lo avrebbe visto piegato contro di lei.  

Prese un respiro profondo e si costrinse a guardarlo, sebbene anche solo incrociare i suoi occhi per un secondo faceva male, e le ricordava di ciò che era successo, ciò da cui non poteva tornare indietro.

“Non ti sto evitando”. 

La sua voce sembrò farsi ancora più bassa quando sussurrò: “Non hai mai risposto a nessuna delle mie lettere. Non ti ho mai portato rancore per ciò che è successo, Pansy”. 

“Avresti dovuto” disse. Fece per andarsene, ma lui la afferrò per il polso. La sua presa era delicata. 

La lasciò andare rapidamente, non destando sospetti tra i passanti dell’affollato corridoio, non appena lei si voltò di nuovo a guardarlo. 

I suoi occhi saettarono verso i documenti nella sua borsa. “Cosa devi fare qui? Posso esserti d’aiuto?”

“Posso cavarmela da sola”. 

David strinse le labbra, e quando il suo sguardo si spense Pansy avvertì una fitta al petto. Sarebbe stato davvero molto più semplice se Hermione Granger si fosse innamorata di lui, se Draco non si fosse mai messo in mezzo. Così lui sarebbe andato avanti con la sua vita, si sarebbe dimenticato di lei, e lei non avrebbe più dovuto portare questo peso. 

La cosa peggiore, in tutto questo, era il fatto che lui non la odiasse affatto. La madre, un’innocente donna babbana, era morta per colpa sua, per mano del suo stesso padre, e lui continuava a non odiarla per questo. A non ritenerla responsabile. Eppure lei non riusciva più a guardare il suo riflesso allo specchio. 

“Se posso aiutarti in qualche modo” disse un'ultima volta a denti stretti, voltandosi per andarsene con aria rassegnata. 

 Pansy non lo meritava, non aveva mai meritato tutta la sua gentilezza. 

Odiò sé stessa quando disse. “Tu cosa fai qui? E’ per Hermione Granger?”

Il giovane fu rapido a rispondere. "Si".

“Vorrei dare una mano. Se c’è qualcosa che posso fare, per favore, vorrei essere io ad aiutare te". 


***


Theo era stato così gentile da mettere totalmente a disposizione casa sua affinchè Hermione parlasse con Luna e Dean, e con tutti gli altri impiegati del suo dipartimento che si erano licenziati dopo ciò che era successo, o che avevano anche solo accettato di farsi intervistare. Nel piccolo appartamento di Hermione sarebbero stati fin troppo stretti e il Malfoy Manor era purtroppo fuori discussione.  

Draco non aveva voluto pensare alla lettera di sua madre. Al momento si limitava ad indossare gli abiti di Theo e a dormire a casa di Hermione. Non osava tornare al Manor neanche per recuperare la sua bacchetta. 

Non so se rischiava che suo padre lo intrappolasse un’altra volta come aveva già fatto. 

Non voleva ammettere di sentirsi un po’ un parassita, e sapeva bene che Hermione e Theo non gli avrebbero mai fatto pesare quella cosa. E anche lui, per il momento, era più che felice di non separarsi un solo momento da quella strega. 

Appena la situazione fosse stata più tranquilla, tuttavia, si promise che sarebbe andato alla Gringotts, se non altro per valutare quanto denaro della sua eredità gli fosse possibile prelevare. E da allora sarebbe iniziata la sua nuova vita. Non gli importava che direzione avesse preso, ma solo chi sarebbe stato al suo fianco durante quel viaggio. 

Theo discuteva animatamente con la bionda ex-corvonero insieme a Dean Thomas. Sebbene avessero tutti frequentato Hogwarts nello stesso periodo senza mai rivolgersi la parola, Draco fu piacevolmente sorpreso di scoprire che andavano subito d’accordo. Non c’erano stati silenzi imbarazzanti quando erano arrivati, e mai si erano trovati in disaccordo su un punto all’ordine del giorno. Dean raccontò tutto ciò che di sospetto aveva mai osservato o sentito, ciascuna storia perfettamente in accordo con quella di Hermione.

Lovegood prendeva tranquillamente appunti, facendo delle domande di tanto in tanto e chiedendo di approfondire quando lo credeva necessario. Persino Theo, con grande sorpresa di Draco ed Hermione, fu costretto ad ammettere che Lovegood era in grado di focalizzarsi su dettagli ai quali lui non aveva dato peso, ma che avrebbero potuto rivelarsi fondamentali. 

Draco ed Hermione intervennero appena. La ragazza al suo fianco sembrava a tratti disconnettersi persino dalla conversazione. Come se fosse ancora troppo stanca, schiacciata dal peso che portava sulle spalle. Draco avrebbe voluto potersene fare completamente carico, liberarla.  

Proprio mentre pensava ciò, il piccolo elfo di Theo, che oggi indossava intorno al collo la vecchia sciarpa serpeverde del suo amico, si materialiizzò al centro della stanza. 

“Ci sono visite”. 

Draco sentì qualcosa rigirarsi nel fondo del suo stomaco. Probabilmente la colazione. 

“Di chi si tratta?”

“La signora Narcissa Malfoy”. 

Draco trattenne il respiro. Il silenzio calò nella stanza, mentre tutti gli occhi dei presenti si concentravano su di lui. 

“Vuoi che la mandi via?” 

Quelle parole, pronunciate da Theo, aleggiavano nell’aria, sospese sopra la sua testa come una lama pronta a trafiggerlo. Le lettere avrebbe potuto aspettarsele, ma che sua madre fosse venuta a cercarlo… Non lasciava il manor dal processo di suo padre, e anche prima di allora, non era mai uscita da quando la guerra si era conclusa. Era logico che sapesse dove cercarlo, che sapesse che l’avrebbe trovato qui. Eppure, nonostante tutto, qualcosa si mosse nel suo petto al pensiero. 

Ma non poteva dimenticare l’espressione di vergogna e disgusto con cui aveva fissato quella foto sul giornale, e l’impotenza con cui era rimasta a guardare quando Draco era stato intrappolato da suo padre, la sua bacchetta strappata dalle sue mani. 

Era sul punto di dire di no, di annuire e lasciare che Theo trovasse qualsiasi scusa pur di non farla entrare. Ma poi sentì la mano calda di Hermione sulla sua gamba, una carezza ed una richiesta. I suoi grandi occhi marroni lo guardavano con comprensione, ma anche come a chiedere: "sei sicuro che sia la cosa giusta?"

C'era dolore negli occhi di Hermione. Perchè lei i suoi genitori li aveva persi. Pur di proteggerli, aveva scelto di correre il rischio, di rinunciare a loro, e questo li aveva condotti qui. 

Perciò scosse la testa, e poi disse. “Vorrei sentire cosa ha da dire”. 

Giurò di vedere Hermione sorridere con la coda dell’occhio. Le prese la mano. 

Vieni con me? 


Narcissa Malfoy non era cambiata dall’ultima volta in cui Hermione l’aveva vista, al processo. A differenza di suo figlio, le cui occhiaie erano svanite, il cui volto aveva ripreso colore e persino il corpo aveva ripreso parte del suo peso, apparendo adesso tonico e forte come prima della guerra, Narcissa rimaneva pallida e magra. 

Le sue mani ossute e bianche come il latte spuntavano oltre le maniche del suo elegante vestito. Le rigirava tra di loro, seduta su una piccola poltrona di un altrettanto piccolo ufficio dove Theo li aveva fatti accomodare, lontano da tutti gli altri. 

La donna non guardò molto in direzione di Hermione. Le rivolse solo una timida occhiata non appena entrò nella stanza. I suoi occhi azzurri, di un celeste più acceso e caldo rispetto a quelli di suo figlio, si soffermarono solo un secondo sulla sua mano, stretta saldamente in quella di Draco. Se la cosa la infastidiva, allora era incredibilmente brava a nasconderlo. 

Un sorriso si stampò sul suo volto non appena vide Draco, e sebbene la grifona avrebbe giurato fosse sincero, il ragazzo al suo fianco si irrigidì. 

Narcissa non proferí parola mentre Draco ed Hermione prendevano posto su un divano. Nonostante fosse grande abbastanza da ospitare almeno tre persone, Draco si strinse comunque a lei, le loro gambe quasi intrecciate l’une alle altre. Sebbene stesse cercando di provocarla, l’espressione sul volto di Narcissa rimase impenetrabile. Hermione non si fece tentare dall’idea di leggerle il pensiero e togliersi ogni dubbio. Era sempre la madre di Draco, e comunque la stoicità del suo volto le suggeriva che non sarebbe stata un’impresa facile. Lei, come suo figlio, aveva vissuto un anno intero con Voldemort tra le mura di casa. Avrebbe scommesso che fosse un abile occlumante.

“Perchè sei qui?” la voce di Draco era fredda e tagliente. 

Un’ombra di dolore solcò gli occhi della donna, scomparendo con altrettanta rapidità. Tirò qualcosa fuori da una tasca nel suo vestito. “Ti ho riportato questa”. 

Quando Draco non accennò a voler afferrare la sua stessa bacchetta, la donna cercò gli occhi di Hermione e poggiò la bacchetta sul tavolino. 

“Mi dispiace, per quello che è successo”. 

Draco strinse con più forza la mano di Hermione, che ricambiò la stretta “lui lo sa che sei qui?”

La donna strinse le labbra. “I miei spostamenti non lo riguardano”. 

“Giurerei di si”. 

Narcissa strinse gli occhi, poi abbassò lo sguardo verso le mani ossute sul suo grembo. “Tuo padre è un uomo difficile”. 

“Modo interessante di descriverlo. Non tornerò, comunque”. 

“Non sono venuta a chiederti di tornare". 

Lì, Draco non trattenne la sua espressione sorpresa. “Allora cos-”

“Volevo solo riportarti la tua bacchetta” disse Narcissa, indicando l’oggetto sul piccolo tavolino. “E assicurarmi che stessi bene, ovunque tu stia dormendo in questi giorni”. 

Questa volta i suoi occhi si soffermarono su di Hermione per qualche secondo più a lungo, ed Hermione dovette affidarsi a tutto il suo coraggio per non retrocedere sotto quello sguardo, per sostenerlo. 

“Sto benissimo”. 

“Posso mandarti dei vestiti, qualsiasi cosa ti serva”. 

Draco rimase in silenzio, e la donna lo intese come il segno che quella breve conversazione era finita. Si alzò in piedi. Lentamente, tirò fuori un oggetto dalla tasca del suo vestito. 

Era una chiave dorata. 

Quando Draco non fece cenno di volerla afferrare, Narcissa si avvicinò, piazzando l’oggetto tra le mani di Hermione, sotto gli occhi sorpresi di entrambi. 

“E’ la chiave della tua camera blindata alla Gringotts. Tutto ciò che è tuo come Malfoy e tutto ciò che viene dalla mia parte della famiglia è lì. Prendi quello che ti serve”. 

Poi si avviò verso la porta della stanza. “Non devi tornare, non farlo” la sua voce sembrava sul punto di spezzarsi. “Ma scrivimi, ogni tanto. Fammi solo sapere come stai, e se mai dovessi avere bisogno di me.”

Le ultime parole furono appena un sussurro oltre la sua voce spezzata. Draco non alzò lo sguardo per osservare sua madre uscire, mentre le dita di Hermione si strinsero intorno al piccolo oggetto freddo. 


***



Hermione fissava le scatole e buste di cibo da asporto che si accumulavano oramai in quasi ogni angolo del suo appartamento, riflettendo sul fatto che avrebbe realmente avuto bisogno di risistemare casa sua, e poi di riprendere a  mangiare del cibo vero. Nonostante tutto, mandò giù l’ultimo boccone che restava del suo sandwich, fissando Draco che nel frattempo ne aveva divorati ben due. 

Si, doveva riordinare la sua mente, ma anche il suo appartamento. 

Gli occhi azzurri di Draco si illuminarono, come facevano ogni volta che lei rimaneva incantata a fissarlo. Persino mangiando un sandwich Draco Malfoy riusciva a conservare perfettamente la sua eleganza, mentre lei aveva il maglione cosparso di briciole. 

“Stavo pensando" iniziò, “sappiamo che qualcuno ha manomesso i miei ricordi di ciò chè è successo. Non c’è stato nessun incidente, e Harry e Ron giurano di avermi visto quel pomeriggio stesso". 

Mentre parlava, scrollò alcune delle briciole dal suo maglione, che caddero sul pavimento sporco e pieno di polvere. Dio, doveva davvero dare una ripulita.

“E io continuo ad avere dei vuoti, a vedere degli spezzoni. L'incantesimo per manomettere i miei ricordi è stato fatto male, fin troppo per poter essere una coincidenza". 

Draco la ascoltava attentamente "che cosa vorresti dire?"

“Sono sicura che ciò che è successo è ancora nella mia mente”. Agitò le mani, accarezzandosi i pantaloni. “Io sento che c’ero quasi, che avevo scoperto qualcosa. Se solo riuscissimo a tirarlo fuori, a togliere il velo dietro cui l'hanno nascosto…”

“Non ti farà male?” si sporse verso di lei, l’espressione preoccupata. “I tuoi mal di testa hanno appena iniziato a diminuire. Se mi mettessi a frugare all’interno della tua mente…”

Hermione scosse appena la testa. “Non mi ha mai fatto male, con te.  E’ sempre stato l’esatto opposto, in effetti”. 

Draco inspirò. “Vuoi provare adesso?”

Hermione sentì le ginocchia deboli per la devozione con cui la fissava, per quello sguardo che sembrava voler dire che sarebbe andato fin in capo al mondo, se solo lei glielo avesse chiesto. 

Annuì. 

Il biondo impugnò la bacchetta. L’altra mano era stretta intorno alla sua, le sue lunghe dita fredde a confortarla mentre avvicinava la bacchetta a lei. 

Inspirò, la sua voce e la sua magia una carezza contro la sua pelle, sulla sua anima. 

"Sei pronta?"

Hermione annuí. 

“Legilimens”. 

Sentì la sua presenza, calma e rassicurante, scivolare nella sua mente, e si abbandonò ad essa, lasciandole il controllo. Draco fu lento e cauto. Non indugiò a lungo nei ricordi di ciò che le era successo al San Mungo, seppur per un breve istante Hermione sentì la sua presenza raggelare. 

“Va tutto bene” pensò, sperando che quel messaggio arrivasse anche a lui. 

Le immagini si fecero via via più confuse quando, percorrendo la sua memoria all’indietro, Draco giunse finalmente quel giorno. 

Hermione stava percorrendo a grandi ma lente falcate il corridoio che conduceva al suo ufficio. Non si era soffermata su nessuna delle persone che aveva incontrato. La prima persona su cui il suo sguardo si era posato per più di una frazione di secondo era stato di Dean. 

E poi aveva incontrato Cameron. Questo lo ricordava, e il ricordo divenne ancora più familiare mentre osservava adesso quella scena.

L’aveva fatta entrare nel suo ufficio

Adesso ricordava il motivo. Aveva bisogno di tempo per esplorare i suoi ricordi mentre lei era via. Era successo qualcosa, ed Hermione voleva scoprire di che si trattasse. 

Rimase ad osservare sé stessa, attraverso quel ricordo, mentre porgeva la pergamena a Cameron affinchè la leggesse. Voleva una distrazione, e poi… 

L’immagine divenne confusa e sfumata. Una luce bianca invase il suo ufficio, accendandola

Sentì Draco spingere, sforzarsi, la sua magia che si contorceva contro quella massa aggrovigliata, come se stesse lentamente sciogliendo un nodo, centimetro dopo centimetro.

 Il ricordo tornò indietro. 

C’era di nuovo lei, seduta davanti a Cameron, e adesso vide quell’espressione sulla sua stessa faccia. La riconobbe questa volta. Aveva aggrottato le sopracciglia, le labbra tese. Si stava concentrando, pronta ad invadere i pensieri della donna. Prese un respiro profondo, e poi…

Ci fu di nuovo quella luce intensa. Le pareti della stanza, del ricordo stesso, tremarono. Hermione si sentì vacillare, e potè sentire la presenza di Draco al suo fianco, la sua mano che stringeva la propria.

 “Vuoi fermarti?”

"No" pensò con tutta la forza che riuscì a trovare. 

E così la scena si ripetè davanti ai loro occhi, ancora e ancora. Dopo ogni tentativo, Draco riusciva a rivelare qualcosa in più, prima che quell’esplosione di magia li raggiungesse. Hermione scoprì lentamente i primi pensieri che aveva scovato nella mente di Cameron, finchè non furono riportati indietro dalla magia impressa da chi aveva tentato di alterarle i ricordi.

 E poi ricominciarono da capo, spostandosi ogni volta un po’ di più. 

Dopo diversi tentativi, si ritrovò davanti il volto di un uomo anziano in uno scuro completo legante. L'immagine era sbiadita, i suoni attutiti. Non era un suo ricordo, ma uno che lei aveva osservato e spiato dalla mente della donna. 

Ed eccola lì, Cameron. Tremava, quasi impaurita sotto gli occhi di quell’uomo. Dove si trovavano, Hermione non avrebbe saputo dirlo con certezza, eppure sembrava essere al ministero. 

Potè sentire tutta la concentrazione, tutta la forza della magia di Draco per cercare di liberare quell’ultimo nodo, quell’ultimo pezzo del puzzle, per impedire che venissero di nuovo rispediti indietro. Lei si era soffermata qui, su questo ricordo in particolare, dunque doveva essere importante. Qualunque cosa contenesse era importante, lo sapeva. 

“Posso provare che lei è-”

Draco sospirò, la sorpresa per ciò che Cameron non aveva finito di dire rimbombò nel ponte tra le loro menti. 

L’immagine tremò e vibrò, ma entrambi si sforzarono fino all’ultimo briciolo della loro magia per ancorarsi ad essa.

“Non spiegarlo a me, spiegalo a lei”. 

Lei. Adesso Hermione quasi ricordava. C’era una lei, e Cameron ne era terrorizzata. Ma non ricordava chi fosse, non ricordava di averlo mai scoperto. Ancora una volta l’immagine tremò e vibrò, con più forza di prima. I colori divennero sempre più sbiaditi. 

“Hmm-hmm”  fu l’ultimo, ovattato, suono che sentì prima che la luce bianca li avvolgesse di nuovo, sbattendoli fuori dal ricordo. 

Hermione aprì gli occhi, il respiro pesante. Draco davanti a lei respirava altrettanto velocemente, il petto che si alzava e abbassava in rapidi movimenti. Gocce di sudore gli avvolgevano la fronte, ciocche dei suoi capelli biondi attaccate contro di essa. 

Era pallido. Forse si era sforzato troppo. C’era un mix di terrore e qualcos’altro nel suo sguardo quando guardò verso di lei. Deglutì, prendendo un respiro profondo. “So chi è lei”. 

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Capitolo 25
*** 25. Veritá ***


Dolores Umbridge. 

Hermone si sentì una stupida. Come aveva potuto non riconoscere quel verso così fastidioso? C’era stato qualcosa di familiare in esso, che le aveva fatto accapponare la pelle. Eppure era stata così presa da tutti gli altri suoi problemi…

Se la persona che c’era dietro a tutto quello era davvero Dolores Umbridge… aveva senso, in effetti. Ogni cosa aveva senso e prendeva forma, adesso. Cercò di ricordarsi cosa ne fosse effettivamente stato di lei dopo la guerra. Non ne aveva saputo nulla. La donna aveva mantenuto un basso profilo, a tal punto che la società magica si era dimenticata di lei. 

“Non è detto che sia così” riprese Draco, camminando nervosamente avanti e indietro. “Potrei sbagliarmi, ma-”

“Ma ha senso” finì per lui.

 Draco annuì. 

“Ma questo cambia qualcosa?”

“Cosa vuoi dire?”

Hermione deglutì. “Temo… non lo so. Mi sembra che ogni mia mossa sia inutile. Che qualsiasi cosa faccia, finisca per vincere lei”.

Draco si avvicinò. “Non è così. Non pensarlo neanche per un secondo. Lei si nasconde, non può neanche farsi vedere apertamente. Dobbiamo solo scovarla e dimostrare il suo legame con ciò che ti è successo”. 

Hermione strinse le sue mani, mordendosi l’interno della guancia mentre rifletteva. “Sono tutti sue pedine” iniziò. “Dai fratelli Prichett, a chiunque si trovi ai piani alti del ministero. Lei li dirige tutti da dietro le quinte” 

Draco annuì, incoraggiandola a continuare. 

“Perciò dobbiamo far crollare la piramide che ha costruito intorno a sè, un gradino dopo l’altro”


***


Pansy aveva notato che nessuno la guardava più in modo strano quando attraversava i corridoi degli uffici del ministero al fianco di David. 

Probabilmente pensavano fosse una sua cliente, e Bellini era diventato famoso per la sua tendenza ad accettare solo nobili cause. Perciò il semplice fatto che la gente pensasse che aveva accettato il suo caso, a quanto pareva, era abbastanza per redimerla agli occhi della società per degli sbagli che lei non aveva neanche direttamente commesso, ma semplicemente subito da parte della sua famiglia. 

Persino Potter non andò oltre una fugace occhiata curiosa nella sua direzione mentre tirava fuori per loro una serie di documenti. Gli aveva persino concesso di lavorare indisturbati nel suo ufficio, che comunque lui utilizzava raramente. 

"Non c’è alcuna denuncia ufficiale a carico di Hermione per questo presunto incidente” sospirò il ragazzo che è sopravvissuto. “Non so se troverete qualcosa di interessante in quei documenti”. 

“Darò solo un’occhiata veloce” continuò l'avvocato. “Non essendoci nulla di ufficiale, sarei curioso di vedere il referto medico del San Mungo. Vorrei anche capire cosa sia successo ai genitori di Hermione. Strano ciò che quella infermiera vi ha detto”. 

Harry portò una mano ai suoi capelli spettinati, poi sospirò.

 David aveva riferito a Pansy tutti i dettagli di ciò che era successo ad Hermione, o almeno quello che riteneva utile per indagare. Quando si era offerta di aiutarlo, tuttavia, non aveva ben chiaro ciò che avrebbe potuto fare. E persino adesso, comunque, continuava a non capire quale utilità avesse la sua presenza. 

“D’accordo, chiamami se ti serve qualcosa” sospirò infine l’ex grifondoro, lasciandoli da soli. 

Pansy si avvicinò alla pila di documenti. “Cosa posso fare?”

Il giovane avvocato afferrò alcuni dei file, facendo saettare vagamente lo sguardo su di essi. “Diamo solo un’occhiata. Non credo troveremo nulla di interessante, ma…” deglutì. “Mi interessa capire se effettivamente denunce ufficiali siano mai partite dal ministero, e allo stesso tempo se qualcun’altro dei dipendenti in passato abbia mai subito diffamazione in modo simile ad Hermione. Sarebbe utile avere delle basi, dei precedenti per costruire un caso ”. 

Sebbene perplessa, Pansy afferrò i documenti che le porse, alcuni risalenti anche a diversi anni fa, fino ai tempi della prima guerra magica. “E questo potrebbe aiutare Hermione?”

David si mise seduto, invitandola a fare lo stesso dal lato opposto della scrivania di Potter. “Credo di sì. Ciò che scrivevano di lei all’inizio era già abbastanza grave, ma cadeva all’interno di quella che si potrebbe definire libertà giornalistica” arricciò le labbra alla definizione, infastidito. “Ma adesso hanno osato scrivere della sua salute mentale, citando persino un incidente su cui non ci sono né denunce ufficiali né testimoni. E’ la parola di Hermione contro quella della signora Pritchett. Credo che un caso risulterebbe vincente. Ci sono tutti gli estremi”. 

Pansy si rese conto, quando il ragazzo alzò gli occhi dal foglio che aveva davanti e li posò su di lei, che lo stava fissando con la bocca spalancata. La richiuse subito, non riuscendo tuttavia a distogliere gli occhi dai suoi. “Sei bravo nel tuo lavoro”.

Le sue labbra si incurvarono appena in un sorriso. “Così dicono”. 

Alla vista delle fossette che si formarono sulle sue guance, Pansy distolse definitivamente lo sguardo. “Bene, mettiamoci al lavoro allora”. 

Non osò guardarlo di nuovo, né fargli accidentalmente dei complimenti rischiando che le sorridesse di nuovo in quel modo. Lei non meritava quei sorrisi, soprattutto da parte sua. Nei primi minuti che trascorse su quei fascicoli che puzzavano di polvere e chiuso registrò ben poche delle parole su cui il suo sguardo continuava a saettare. 

Si concesse, solo per un secondo, di osservarlo, adesso che era totalmente immerso e concentrato su ciò che stava leggendo. La sua postura, il suo sguardo, persino la presa delle sue dita sulla carta, emanavano una dedizione ed una passione per quel lavoro che accese in lei la voglia, o meglio il bisogno, di offrire il suo contributo.

Quelle che lui combatteva, attraverso astuzia e parole, erano delle vere e proprie battaglie. Non era necessario versare sangue e sudore per essere un eroe. 

Iniziò a sfogliare i file del grande fascicolo che Potter gli aveva procurato. Erano per lo più documenti riguardanti denunce e accaduti che avevano coinvolto il San Mungo ed il Ministero negli ultimi anni. David gli aveva detto di cercare qualunque cosa riguardasse i babbani, o un certo dr. Pritchett. Tuttavia non c’era alcun accenno a storie del genere, e Pansy rabbrividiva ogni volta che leggeva titoli riguardanti crimini commessi negli anni della guerra. 

Aveva iniziato a sentire un disgustoso senso di nausea alla bocca dello stomaco quando lesse qualcosa che catturò la sua attenzione. 

L’articolo che si trovava davanti risaliva a ben diciannove anni fa, dunque nel pieno della prima guerra magica. Parlava di esperimenti condotti su pazienti che avevano subito danni cerebrali, la maggior parte combattendo in guerra. Le premesse riguardavano un recupero delle funzioni neurologiche, eppure… 

Pansy lesse la storia della donna che aveva sporto denuncia, un nome più che familiare. 

Augusta Longbottom. La nonna di Neville.

 La donna aveva denunciato le cure ricevute dal figlio e la moglie, giovanissimi, dopo che erano stati ricoverati in quel reparto. Il motivo che li aveva condotti lì era terribile, e a Pansy si accapponò la pelle solo a leggere il nome della mangiamorte che li aveva torturati fino a farli impazzire. Tuttavia si sforzò di andare avanti, per comprendere ciò che era successo dopo. 

Prestó attenzione alla data della denuncia. La guerra magica si era già conclusa e Bellatrix Lestrange era rinchiusa ad Azkaban quando Augusta Longbottom si era rivolta agli auror. 

 Non aveva intenzione di denunciare ciò che era successo loro prima di essere portati in ospedale, ma durante. Secondo lei, dopo il ricovero le loro condizioni non avevano fatto altro che peggiorare. Venivano sottoposti a continue sessioni di “cura”, e ai loro cari non era stato concesso di visitarli per giorni di fila, addirittura settimane. Come se stessero cercando di ottenere qualcosa…

Tuttavia, nel panico generale dei processi, delle indagini e delle denunce dopo la prima guerra magica non c’erano stati Auror a sufficienza affinché qualcuno si occupasse del caso.

 Nonostante tutto, la signora Longbottom era riuscita ad ottenere che i due venissero trasferiti in un altro reparto. Quella sezione del San Mungo, poi, era stata definitivamente chiusa. 

Pansy aprì un altro fascicolo, risalente a qualche anno più tardi, quando, dopo le varie ricostruzioni del dopoguerra, gli auror avevano finalmente preso in carico il caso della signora Longbottom. I referti medici di Alice e Frank sostenevano che purtroppo per loro non vi fosse ormai nulla da fare, e Pansy cercò di non pensare a quel peso che sentiva sullo stomaco mentre afferrava il fascicolo successivo. 

David doveva aver notato la sua aria turbata, e anche la sua concentrazione, perché senza dire una parola smise di leggere il documento che aveva tra le mani e si sporse verso il lato della scrivania su cui sedeva lei. 

Pansy lo ignoró, gli occhi fissi su ciò che aveva davanti. 

L'ala del San Mungo dove Alice e Frank erano ricoverati era stata definitivamente chiusa ed abbandonata anziché essere riassegnata ad un altro reparto. 

Termini che non capiva spiegavano le ragioni alla base di ciò. David colse la sua perplessità, e quando lei gli porse il documento affinché leggesse meglio, tutta una serie di emozioni, dalla paura allo sconcerto, solcarono il suo viso. 

“Credi che-” iniziò, non sapendo come finire. 

“Potremmo avere una pista” sospirò il ragazzo, esaminando il resto dei documenti che lei aveva letto. “Grazie”. 

Quell’ultima parola la scosse più in profondità di quanto avrebbe voluto ammettere. “Non ho fatto niente”. 

“Si invece” sospirò lui. “Perchè io avrei sorvolato su questo fascicolo di quasi vent’anni fa, credendo che riguardasse prettamente crimini di guerra, eppure non è così”. 

“Che cosa significa questo?” chiese, avvicinandosi ed indicando la parte finale della pagina, sforzandosi per far sì che le loro dita non si sfiorassero accidentalmente. “Questa parte qui?”

“E’ un modo formale per dire che quel posto potrebbe contenere magia oscura, o comunque instabile. Qualsiasi cosa sia stata fatta lì dentro, non è più sicuro per nessuno starci, soprattutto per i pazienti”. 

Pansy rabbrividì, e i suoi avambracci parzialmente scoperti ne diedero la prova.  David fisso la pelle d'oca sulle sue braccia e mosse la mano verso di lei, per accarezzarla come aveva fatto tante volte in passato. 

Ma alla fine le sue dita si chiusero a pugno. 

“So cosa dobbiamo fare” disse infine.

“Dobbiamo?”

Potè giurare di vedere l’ombra di un sorriso sul suo volto. “Avrò bisogno del tuo aiuto ancora per un po’”



***


“Non mi importa di recuperare il mio lavoro” disse Hermione, mentre camminava avanti e indietro nel salotto di casa di Theo, che era ormai diventata il loro quartier generale. La loro squadra era adesso troppo numerosa affinchè potessero lavorare comodamente a casa di Hermione, anche se Draco sentiva la mancanza delle serate trascorse solo lui e lei su quel piccolo divano. 

L’elfo di Theo aveva servito loro il thè, e aveva allestito un tavolo con così tanti tipi diversi di dolci e biscotti che Draco sapeva che il suo stomaco non sarebbe stato in grado di provarli tutti prima di andare in coma glicemico. Tuttavia, se non altro, Ginny Weasley parve apprezzare, e Draco non sentì poi così tanto la mancanza del Whisky incendiario mentre sorseggiava quell'infuso. 

“Come possiamo scovare dove si nasconde? Trovare le prove che ci sia sempre stata lei dietro tutto ciò?” chiese la rossa. 

Hermione prese posto sul divano accanto a lei, sgranocchiando un biscotto al cioccolato. “Dovrebbe essere agli arresti domiciliari, basterebbe anche solo dimostrare che li ha violati”. 

“Non sarebbe abbastanza” si intromise Draco, gli occhi grandi di Hermione che si incastrarono nei suoi. 

Theo si accarezzava il mento, pensando. “Dobbiamo ripercorrere tutti i loro passi senza dare nell’occhio. E poi colpire quando li abbiamo in pugno, deve essere una cosa plateale”. 

“Ma loro nel frattempo continueranno ad attaccare Hermione, almeno mediaticamente. Hanno già messo in giro voci sulla sua salute mentale”. Harry Potter, sebbene apparentemente più riposato in volto rispetto a qualche giorno fa, sembrò il più realistico tra tutti loro.

La sua compagna prese un sorso dalla sua tazza di thè, poi incrociò lo sguardo dei due serpeverde. “Potrei avere un modo per distrarre abbastanza la stampa, mentre indagate”. 



***


Ginny aveva parlato con Blaise, il suo nuovo agente sportivo, della sua idea. E a differenza del vecchio bifolco che lo aveva preceduto, il giovane ex-serpeverde ne era sembrato entusiasta. Che il tutto si svolgesse in modo da aiutare Hermione nella sua battaglia contro il ministero era una fortunata coincidenza. Un po’ come prendere due bolidi con una mazza.

Luna camminava, quasi saltellando, al suo fianco mentre avanzavano lungo l’erba appena tagliata del campo. Blaise, dall’altro lato, doveva tenere sotto controllo le sue ampie falcate così da non seminare le due ragazze. 

Era riuscita a rubare Luna dal centro operativo stabilito a Nott Manor solo per un’ora, con tanto di minaccia da parte del padrone di casa di rientrare quanto prima per discutere dell’articolo prima di pubblicarlo. 

Data la fretta con cui aveva organizzato il tutto, era riuscita a pianificare questo incontro solo con due ex- giocatrici: una era Sabine Havillard, ex capitano delle Holiday Harpies nella stagione 90/91. L’altra invece era una Marina Pascoli, una giocatrice dei Cannons che aveva fatto parte della squadra di grifondoro nello stesso anno di Fred e George. 

La abbracciò non appena la vide. Era stato suo fratello a contattarla personalmente per quell’incontro. 

Luna e Blaise si presentarono alle due giocatrici e l’ex-corvonero tirò fuori il suo taccuino. 

Blaise rimase silenzioso per l’intera durata dell’intervista, tuttavia Ginny sapeva che doveva esserci un motivo particolare se aveva deciso di partecipare, dal momento che la sua presenza non era strettamente necessaria. Affari, probabilmente. Non se ne lamentò dal momento che era il miglior manager che avesse mai avuto e non pretendeva alcuna cifra dal suo attuale contratto. 

Ricchi purosangue. Quando si era offerto di lavorare per lei senza alcun compenso, si era giustificato dicendo che il suo era un ‘investimento’. Contrariamente a quanto suo fratello e persino Harry pensassero, Ginny non era così stupida da non riconoscere una buona occasione quando si presentava, né così testarda o orgogliosa da lasciarsela sfuggire per vecchi litigi scolastici. 

“Perciò non ti è stato rinnovato il contratto?” chiese Luna, che aveva messo da parte piuma e taccuino per concentrarsi esclusivamente su Sabine e su ciò che aveva da dire. 

Ginny si strinse nelle spalle mentre un brivido corse lungo la sua schiena. 

Sabine deglutì. “No. Quando sono rimasta incinta sono stata licenziata, ed il mio agente non ha provato a controbattere, ma ha dato ragione alla squadra. So che sono ormai passati quasi dieci anni, ma…”

Marina, seduta al suo fianco, aveva un espressione glaciale quando parlò. “La situazione non è affatto migliorata. Non ti rinnovano il contratto, e perciò quando arriva il momento di ricominciare a giocare…”

“Non te lo permettono” finì l’ex capitano. 

“Chi erano i vostri rispettivi agenti?”

Le due donne nominarono diverse persone, alle quali avevano affidato la loro carriera nel corso degli anni. Tutti vecchi uomini bianchi, notò Ginny. 

Blaise si avvicinò al suo orecchio per sussurarle: “non permetteremo che accada, Weasley”. 

Le sue parole la rassicurarono. 

“Sono felice che finalmente qualcuno abbia posto attenzione verso questo problema” gli occhi di Sabine brillavano di commozione e gratitudine. “Per la mia carriera è ormai tardi, ma forse per tante altre giocatrici le cose possono ancora cambiare”. 

Ginny le sorrise per incoraggiarla, portandosi istintivamente una mano all’addome. 

Blaise, per la prima volta dall’iniziò dell’incontro, parlò. “Faremo in modo che non succeda più. Solleveremo l’opinione pubblica e tutti gli avvocati della Gran Bretagna, se necessario”.

“Grazie” parlò l’ex cercatrice dei Cannon. “A tutti e tre, per ciò che state facendo”. 




 ***


Pansy continuava a pensare che la sua presenza non fosse poi così d’aiuto nell'indagine, tuttavia David insisteva che se non fosse stato per lei avrebbe impiegato il doppio del tempo a reperire informazioni utili tra le tante scartoffie che Potter aveva lasciato loro. 

E così lei era rimasta al suo fianco. Se fosse per la presenza magnetica del giovane avvocato, o per l’interesse che nutriva per quella storia contorta, non avrebbe saputo dirlo con certezza. Probabilmente si trattava di un mix di entrambe le cose. 

I due si erano smaterializzati agli estremi di un vicolo poco trafficato dietro il San Mungo, ed il ragazzo portava una piccola sacca con sé. 

Prima che potessero dirigersi verso l’ingresso dell'ospedale, David la fermò. “Devo andare solo io, adesso”. Al suo sguardo confuso, si spiegò meglio. “Parlerò con la ragazza alla reception, chiedendo i report degli ultimi ricoveri, ma se non collaborerà dovremo procedere con il piano B. Per questo mi servi qui”. 

“E quale sarebbe questo piano B?”

Il giovane indicò la sacca nelle sue mani, al che Pansy la aprì e sbirciò all’interno, nascondendo un briciolo di sorpresa per l’incantesimo estensivo irriconoscibile.

 “Non dovrebbe essere illegale?” 

“Sono un avvocato, non un poliziotto”, fu la sua unica risposta. 

Si era avvicinato, si rese conto Pansy, mentre osservava il contenuto della piccola borsa. Un cambio di vestiti?

“Te le spiegherò se sarà necessario”.

Sollevò appena la testa. Era così vicino che dovette alzare lo sguardo per guardarlo negli occhi. Poi deglutì, e fece un passo indietro. 

“Aspettami qui” le ordinó. 

E così fece. 



Il piano A era fallito. E con grande sorpresa della serpeverde, il piano B prevedeva fingersi una coppia che aveva bisogno di aiuto. Un blando incantesimo deformante, un po’ di terra e qualche finto livido sul viso, e il giovane avvocato, che aveva scambiato il suo completo elegante per un outfit molto più casual, non venne riconosciuto neanche dall’infermiera all’ingresso con cui aveva parlato pochi minuti prima. 

Una squadra di guaritori lo accolse, trascinandolo lungo un affollato corridoio. 

L'infermiera alla reception rivolse la sua attenzione verso Pansy. 

“Uno schiantesimo” spiegò, come David l’aveva istruita, non mancando di aggiungere un’espressione preoccupata alla sua performance, colorandola di dettagli per il suo stesso divertimento.

Si era già assicurata, pochi momenti prima di entrare con David aggrappato alla sua spalla, che il trucco sotto i suoi occhi fosse sbavato al punto giusto. 

“La sua bacchetta si è spezzata. Gli avevo detto che avrebbe dovuto sostituirla” lasciò che la sua voce desse vita ai migliori acuti di cui fosse capace. “Ma lui non mi ha ascoltata, non mi ascolta mai”. Tirò su con il naso. 

L’infermiera era corsa dietro al bancone. “Si calmi, la prego. Suo marito starà bene”. 

Pansy fece appena finta di calmarsi. “Era ridotto male, il suo volto” singhiozzò. “Il suo naso, oh per Merlino, tutto quel sangue”.

“Si occuperanno di lui, ma nel frattempo ho bisogno di vedere i vostri documenti”. 

“Co-cosa?” singhiozzò, poi scosse la testa, fissando i suoi stessi vestiti. 

“Per registrarvi” spiegò la donna, la sua pazienza che si esauriva ad ogni secondo che passava. 

“S-si, certo" annuì tirando ancora su con il naso e guardandosi intorno con aria smarrita. “E’ solo che non li ho più con me. Mentre venivamo qui, e-”

Prese un respiro, poi un’altro, finchè non sembrò che l’aria facesse fatica a farsi strada nelle sue vie aeree e stesse andando in iperventilazione. “Ok, aspetti. Non dobbiamo farlo adesso, si sieda”. 

La donna la accompagnò su una di quelle rigide e scomode sedie in sala d’attesa, insieme ad un mucchio di persone ben più stravolte di quanto lei fingeva di essere. Le portarono persino un bicchiere d’acqua. “Si riprenda, e quando si sentirà meglio venga da me per permetterci di registrarvi”. 

Annuì senza aggiungere altro, e rimase immobile a sorseggiare quel bicchiere d’acqua con aria sconvolta finchè la donna non fu fuori dal suo campo visivo. Poi, lentamente, nel caos che regnava nel pronto soccorso del San Mungo, si alzò e fece saettare lo sguardo verso il lungo corridoio lungo il quale David era stato portato.

 Non era stata convinta dal suo piano quando glielo aveva esposto fuori, e ne era sempre meno convinta adesso, mentre, un piede dopo l’altro, si trascinava per quel corridoio frenetico. 

Sbirció all'interno di ogni stanza che superava, sperando di trovarlo all'interno di una di quelle più vicine. 

Alla terza porta che oltrepassó, lo trovò lì, steso sul letto con un guaritore davanti a lui. 

“Signorina, non può stare qui”. 

Pansy piegò le labbra verso l’uomo, e ignorandolo camminò fino letto. “Mio marito” pianse, stringendogli una mano con fare teatrale. Dio, questo piano era ridicolo. “Starà bene?”  

L’uomo sospirò, ma distolse lo sguardo da loro due. Le effusioni amorose in pubblico mettevano la gente a disagio, David lo sapeva. Ecco perché aveva preteso che fingessero di essere una coppia appena sposata.

“Starà bene, probabilmente si tratta solo di una commozione cerebrale. Non dovrete passare la notte qui”.

“G-grazie” annuì, sebbene dal modo in cui David si irrigidì al suo fianco, capì che passare la notte lì era proprio parte del loro piano. 

Avrebbero dovuto inventarsi qualcos'altro.

Il dottore lasciò la stanza, come a lasciar loro un po ' di privacy. Tuttavia, la porta che dava sul corridoio rimase aperta. 

David non lasciò andare la sua mano, mantenendo la recita della coppietta sconvolta. 

  Fece cenno a Pansy di avvicinarsi, al punto che le sue parole furono poco più di un respiro nel suo orecchio. “La borsa” disse, fingendo un colpo di tosse. “C’è una piccola scatola di pasticche vomitose”. 

Pansy cercò i suoi occhi, e sebbene sapesse che non sarebbe stato saggio esprimere la sua opinione ad alta voce, cercò di farglielo comprendere con lo sguardo. 

Lui si limitò semplicemente ad alzare le spalle, come a dire ‘se hai un’idea migliore’. 

Fece come gli aveva indicato. 



Un'ora dopo Pansy era di nuovo seduta nella sala d’attesa, mentre una squadra di infermieri e guaritori si prendeva cura del suo povero finto marito. 

Pur di far funzionare il loro piano, David aveva ingerito una quantità sovrumana di quelle pasticche. Pansy non vedeva così tanto vomito da quando i gemelli Weasley avevano diffuso le pasticche tra i ragazzi del quinto anno per fargli saltare gli esami. 

La sala d’attesa si svuotò lentamente man mano che il sole calava, e Pansy fu abbastanza attenta a far su e giù tra la stanza in cui giaceva il suo marito malato ed il bagno, finchè l’infermiera che avrebbe dovuto registrarli non si dimenticò di lei e andò a casa per la fine del turno.

 La notte calò nell’ospedale.

C’era apparentemente un’ala dell’ospedale ‘segreta’, dove era probabile che Hermione fosse stata trattenuta, ma come potevano trovarla? Da dove avrebbe dovuto cominciare a cercare?

Attese in silenzio ancora per qualche ora mentre il via vai frenetico si calmava.  David fingeva di dormire così bene che Pansy iniziò quasi a pensare si fosse addormentato davvero. 

"Pss" la chiamó finalmente, dopo ore di quella farsa. 

Pansy scattò per raggiungerlo, ma lui le fece cenno di rimanere sulla poltrona accanto al letto, fingendo di essersi appisolata. 

“Come stai?” fu l’unica cosa che venne in mente alla serpeverde di chiedere. 

David sbirciò con la coda dell’occhio che nessuno passasse fuori dalla porta della loro stanza, poi mise a sedere. “Sto bene, George Weasley ha migliorato la formula. Devo solo reidratarmi”

Mandó giú due bicchieri d'acqua uno dopo l'altro. 

“Mi domando quante volte tu abbia fatto questo”. 

Il ragazzo si alzò dal letto e lei lo seguí. “Ti stupiresti”. 

Pansy indietreggiò istintivamente quando alzò un braccio per avvolgerlo intorno alle sue spalle. 

David strinse le labbra. “Devo sembrare un marito malato che si aggrappa a sua moglie” disse, “se mai dovessimo incontrare qualcuno”. 

La serpeverde si avvicinò di nuovo, lasciando che appoggiasse il braccio sulla sua spalla, e avvolgendo il proprio intorno al suo addome. L’odore della sua acqua di colonia, così vicino, invase le sue narici, nonostante le ore passate a vomitare. 

“E se ci chiedessero dove stiamo andando?”

Raggiunsero il corridoio, dove pochi infermieri si occupavano dei pazienti ancora svegli o appena arrivati. 

“Devo prendere un po’ d’aria, per la nausea. Lascia parlare me”. 

“Me la cavo anche io con le parole” borbottò la ragazza.

“L’ho sempre saputo questo”. 

Iniziarono a camminare verso le scale di emergenza, dalle quali avrebbero poi dovuto scendere e scendere, fino a raggiungere la fantomatica ' ala chiusa' del San Mungo. Questa teoria era folle, e le probabilità che avessero ragione erano sempre di meno. Pansy si sentì quasi stupida ad avere acconsentito a questo piano.

“Non è un lavoro che dovrebbe svolgere un auror?” chiese, dando voce ai pensieri che le passavano per la mente. “Non siamo qualificati, e sono sicura che tutto questo sia anche illegale”. 

“Ti stupiresti di quante volte la legge venga aggirata. Almeno io lo faccio a fin di bene”. 

“Granger è davvero fortunata, suppongo”. 

Il suo respiro, così vicino alle orecchie di Pansy, si fece più pesante. “Lei è mia amica, ma lo faccio anche perché condivido ciò per cui lei combatte. Ogni singola cosa”. 

“E’ per questo che hai scelto questo lavoro, di fare l’avvocato?”

“Vorrei aiutare chi ne ha bisogno. Con Hermione ci siamo riusciti, sebbene solo qualche volta”. Avevano raggiunto un punto deserto del corridoio, eppure nessuno dei due si mosse per separarsi, per rompere quel contatto. 

“Mi dispiace per lei” disse infine. “Per quello che le stanno facendo”. 

“La pagheranno” sussurrò David quando raggiunsero la porta che li avrebbe condotti alle scale di emergenza, che sperava sarebbero state deserte. 

“Si” aggiunse Pansy. “Spero proprio di si”. 


***


Nonostante fosse ormai notte fonda, nessuno dei suoi amici aveva fatto cenno di volersene andare, neanche Harry e Ginny. E seduti sui comodi divani del Nott Manor, Hermione non sapeva neanche definire il momento preciso in cui avevano smesso di parlare di politica, giornali, e della sua condizione, e avevano iniziato a raccontare le loro avventure tra le pareti di Hogwarts.

Sapeva solo che i suoi addominali facevano male per quanto aveva riso, e non riusciva a fermare le sue risate abbastanza a lungo da mettere a fuoco il libro di incantesimi che Theo le  stava mostrando, aperto su una pagina che secondo lui sarebbe stata in grado di replicare l’incantesimo della mappa del malandrino. 

Quando si rese conto che da Hermione non avrebbe ottenuto nulla, Theo si rivolse ad Harry. “Ti prego, devo vederla”. 

“La prossima volta mi ricorderò di portarla” sorrise il ragazzo. 

In quell’istante, le fiamme del caminetto si accesero. 

La sorpresa sul volto di Pansy Parkinson non era neanche paragonabile a quella sul volto dei suoi amici. 

La serpeverde uscì dal caminetto, ed Hermione non poté far a meno di notare il fatto che avesse i capelli spettinati e i vestiti stropicciati. Non l’aveva mai vista così… umana.  

La ragazza fece saettare gli occhi su di loro. Aveva il fiato pesante, come se avesse corso fino a qui. “Bene, direi che una cosa positiva che siate tutti qui. Ci farà risparmiare tempo”. Poi guardò verso di Theo, facendo un altro passo lontano dal caminetto. “Non sono da sola”. 

In quello stesso istante, le fiamme verdi illuminarono di nuovo la stanza. 

E se Pansy era  sembrata in disordine, con i capelli spettinati e gli abiti stropicciati, David… sembrava avesse combattuto contro un orso. 

E perso. 

Hermione guardò verso Draco, rivolgendogli un mezzo sorriso che lui ricambiò. 

L’avvocato, ancora prima di salutare chiunque di loro, prese una tazza e si versò da bere, mandando giù il thè in un solo sorso. 

“Billy” chiamò Theo. Il piccolo elfo andò e tornò con dell’acqua, e David continuò a bere, pallido in viso. 

“Direi che quella formula andrebbe rivista ancora” fece la serpeverde, sotto gli occhi confusi di tutti i presenti. 

Lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo. “Parla tu, per favore”. 

Quando si rivolse di nuovo a loro, Pansy sembrò farsi piccola sotto i loro sguardi, ed Hermione si sentì ancora più confusa. Non ricordava neanche che David e Pansy si conoscessero, e lui non le aveva mai parlato di lei. 

“Siamo stati al San Mungo”. 

Hermione trattenne il respiro, ed ebbe l’impressione che anche Draco al suo fianco avesse smesso di respirare. Theo ed Harry impallidirono e Ginny parve sul punto di vomitare, di nuovo. 

 Pansy si rivolse ad Harry. “Nei file che ci hai dato c’erano delle denunce passate, risalenti a diciannove anni fa, riguardo degli esperimenti condotti su pazienti psichiatrici”. Cercò gli occhi di David, che ancora pallido in volto le fece un cenno del capo per incoraggiarla a continuare. “Venivano condotti con la magia oscura in un'ala del San Mungo che poi è stata chiusa”.

Harry annuì. “E credete che centri con Hermione?”

“Non lo crediamo” sospirò Pansy. “Ne siamo certi. Siamo stati lì. Non è abbandonata, tutt’altro. C’è ancora gente, e-”

Potter si alzò in piedi. “Voi siete stati lì?”

“Nessuno ci ha visti” rispose David prima  che Harry desse di matto, come sembrava sul punto di fare. “Volevo esserne certo prima di far perdere tempo a tutti voi. Ma l’idea in realtà è stata di Pansy”. 

Hermione guardò verso la serpeverde, che tuttavia mantenne lo sguardo su pavimento. Potè persino giurare di vedere le sue guance, per una rara volta struccate, arrossire.

“Dovete andare subito” disse David. “Voi auror, con un mandato. Se avessi avuto un distintivo ci sarei andato io stesso. C'è qualcuno là sotto, potete prenderli con le mani nel sacco”. 

Harry strinse le dita intorno alla sua bacchetta, che aveva tolto dalla tasca dei pantaloni. “Non posso farlo senza una denuncia ufficiale prima, ed Hermione non li ha mai denunciati ufficialmente per quello che le hanno fatto”.

Hermione sentì un peso abbatterle lo stomaco. 

Era la verità. Non aveva mai ufficialmente denunciato ciò che le era successo, per quanto terribile fosse stato. Forse perchè era arrivata ormai a perdere completamente la fiducia nel sistema. Eppure, adesso che si presentava l' occasione… 

 Ce l’avevano quasi fatta, grazie a ciò che David e Pansy avevano fatto per lei. 

“Lo so, ci ho pensato io”. 

Tutti alzarono lo sguardo verso l’avvocato.

“Hermione, sapevo che eri sconvolta, e quando mi è venuto in mente questo piano…" deglutí. "Sono il tuo avvocato, nessuno all’ufficio ha fatto domande quando ho presentato la denuncia a nome tuo. Non credo l’abbiano neanche letta” guardò verso Harry. “Ma il fatto che sia stata presentata vi autorizza legalmente a fare irruzione. A chiunque abbia un distintivo da auror”. 

La determinazione illuminò gli occhi verdi di Harry.  “Andiamo”. 

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Capitolo 26
*** 26. Cheers ***


Hermione attese al fianco di Draco mentre gli auror facevano il loro lavoro. Draco le aveva ripetuto continuamente che lei non avrebbe dovuto fare nulla, e che era giusto lasciarsi aiutare, lasciare che fossero gli altri ad occuparsene. E, soprattutto, che non era da sola, e lei gliene era grata. Perchè adesso, finalmente, iniziava a capirlo.

Era stato come riemergere dopo essere stati sott'acqua troppo a lungo, o rivedere il sole dopo tanto tempo al buio. Ci aveva messo un po' ad adattarsi alla luce che l'aveva assalita, all'aria che le riempiva i polmoni. Ma finalmente ci era riuscita. 

Non era da sola. E doveva accettare che non avrebbe mai potuto farcela, da sola, ma solo lasciandosi aiutare. 

E così strinse la mano di Draco, concentrandosi sulla sensazione della sua pelle soffice e delle sue lunghe dita mentre osservava da lontano, uno dopo l’altro, gli auror uscire dal ministero. 

Riconobbe alcuni volti: giovani guaritori o infermieri che erano rimasti a guardare mentre le ordinavano di friggere ulteriormente il cervello dei suoi genitori. Gli auror li trascinarono all’esterno e poi si smaterializzarono. 

Harry le aveva chiesto se avrebbe voluto assistere agli interrogatori, ed era rimasta sorpresa da sè stessa quando aveva risposto di no. Quella risposta era emersa con naturalezza da qualcosa di profondo dentro di lei.

C’erano alcune battaglie che non doveva combattere per forza.

Rimase a guardare trattenendo il respiro finché  finalmente Harry non lasciò l’edificio, seguito da un dottore ammanettato. Pritchett. Anche da lontano, Hermione non ebbe alcun problema a riconoscerlo. 

David camminava poco dietro di loro, ed Hermione notò che stava spiegando qualcosa ad un gruppo di auror che trasportavano delle buste bianche, probabilmente contenenti le prove raccolte. 

Continuò a trattenere il respiro, ben consapevole che mancasse qualcuno all’appello. Non aveva visto nessuno degli auror uscire scortando l’infermiera che le era stata più vicina, quella che aveva studiato ogni suo singolo movimento, che le aveva tenuto i capelli quando vomitava e sistemato il cuscino nel letto tutte le sere. 

Hermione non mancò anche di notare, suo rammarico, che c’era anche un’altra persona che mancava all’appello.

 O forse la stessa di prima. 

Cameron. 



***


Poco più tardi, Hermione, Draco, Theo e persino Ginny, erano in attesa al Nott Manor che Harry e David rientrassero.

“Sei persone” sospirò Potter, senza neanche dare il tempo alle fiamme del caminetto di estinguersi. “Sei persone sono state arrestate”. 

David si accasciò sulla poltrona libera più vicino al caminetto, allentando il nodo alla sua cravatta. “Quella donna non era tra loro” sospirò, strofinandosi gli occhi con una mano. “Ma è comunque nella lista dei sospetti complici”.

"Indagheremo e verrà interrogata” continuò Potter. "Finché non emergeranno delle prove schiaccianti o qualcosa contro di lei”. 

Hermione si limitò ad annuire. Era una cosa positiva, continuava a ripetersi, il fatto che avessero preso Pritchett. 

Eppure sentiva che Cameron, ancora una volta, aveva trovato il modo di fregarla, e che si sarebbe ancora accanita contro di lei con ancora più rabbia dopo di questo.  

Se davvero collaborava con Dolores Umbridge… Il solo pensiero la fece rabbrividire. Draco al suo fianco lo notò, perchè avvolse un braccio intorno a lei, avvicinandola al calore del suo corpo. 

Le troveremo, Granger. Tutte e due

Voleva crederci, lo voleva davvero tanto. 

I giorni successivi a quell’arresto furono caratterizzati, per la grifona, da un costante su e giù tra il suo appartamento e casa di Theodore Nott. Era stata intervistata più di una volta, non solo da Luna Lovegood, ma anche da altri piccoli giornali locali, molti dei quali famosi all’infuori di Londra. Theo le aveva assicurato di aver condotto delle ricerche su ciascuno di essi e che si sarebbero potuti fidare. Perciò lo aveva fatto, si era fidata di lui, aveva lasciato andare la sua ansia di avere perennemente il controllo di ogni cosa e aveva accettato di delegare, di fidarsi

Draco era stato al suo fianco ogni singolo istante, e la stretta della sua mano si faceva sempre un po’ più stretta nei momenti più duri, soprattutto quando Harry e David tornavano per riportarle le evoluzioni della vicenda. 

Pritchett sarebbe stato portato ad Azkaban, le avevano comunicato solo quella mattina, ed Hermione si era sentita come se un macigno fosse stato sollevato dal suo petto. 

Cameron, invece, non aveva risposto al primo appello degli auror affinchè si presentasse agli uffici per farsi interrogare. 

“Ne può ricevere altri due ancora” disse Harry. “Ma se non risponderà dopo il terzo, andremo noi a prenderla”. 

Deglutì. “Avete trovato delle prove contro di lei?”

Lo sguardo di Harry si indurì, ma fu l’avvocato a rispondere. “Faremo valere la tua testimonianza”. 

Hermione era sveglia abbastanza da riuscire a cogliere la risposta non data dietro quelle parole.

 No

Draco le strinse la mano, la sua voce calda e rassicurante come sempre. 

Non ancora. 


***


Cercare di incastrare quella donna si stava rivelando più difficile di quanto David avesse previsto. Per il fratello era stato fin troppo facile: era stato ingenuo e sbadato, lasciandosi dietro più prove di quanto ne sarebbero servite per arrestarlo.

 L’interrogatorio era durato meno di quanto gli auror si sarebbero aspettati, e dopo la sua confessione erano stati tutti ben felici di rientrare a casa in tempo per l’ora di cena. 

Eppure, per quanto avessero provato ad estorcergli informazioni, non aveva fatto trapelare nulla riguardo la sorella. E a parte Potter, che dopo un po’ aveva ceduto, nessuno aveva insistito oltre. Le accuse verso Cameron non avevano alcun fondamento, legalmente, perciò erano stati tutti ben contenti di raccogliere la sua confessione e condannarlo. Non c’era bisogno di sapere altro. 

Quel reparto del San Mungo, che avrebbe già dovuto essere sigillato, era stato chiuso di nuovo, e degli specialisti di incantesimi già in viaggio da tutta Europa si sarebbero assicurati che non venisse più riaperto. 

Continuava a ripetersi che ciò che aveva ottenuto era ottimo e tutti continuavano a dirgli lo stesso. Lui sapeva bene che aveva Pansy da ringraziare questa vittoria, per la quale tuttavia non riusciva ancora a gioire. 

Era incompleta. 

Afferrò il suo calice di vino prendendone un altro sorso. II cameriere in fondo alla sala continuava a fissarlo.

 David aveva già mandato via tre volte, dicendo che stava aspettando una persona. Tuttavia adesso anche lui, come il cameriere, iniziava a pensare che lei non sarebbe arrivata. 

Aveva creduto che tutte le cose successe negli ultimi giorni fossero un segnale positivo. Sapeva che Pansy, in qualche parte nel profondo, provava ancora qualcosa per lui. Che quei sentimenti erano riemersi nel momento in cui si erano rivisti, dopo oltre un anno…

Ne era certo perchè lui aveva sentito la stessa cosa. 

 Infilò la mano in tasca ed estrasse il suo portafoglio per pagare la bottiglia che aveva ordinato e andarsene. Non aveva senso aspettare ancora. 

Si alzò e afferrò la sua giacca. 

“Vai da qualche parte?”

Prima di voltarsi verso la persona che aveva ormai perso le speranze di vedere, prese un profondo respiro. 

“Pensavo ad un altro appuntamento”. 

Pansy strinse le labbra, come faceva sempre quando non aveva immediatamente la risposta pronta, e lui si prese un momento per assorbire ogni centimetro di lei, da quel vestito nero e corto, che le lasciava le spalle scoperte e scendeva delicatamente lungo i suoi fianchi, al suo rossetto rosso ed al trucco impeccabile in ogni centimetro del suo viso, che faceva emergere i suoi occhi scuri in un modo capace di togliergli il fiato e che probabilmente era anche il motivo del suo ritardo. 

Rimise la giacca contro il bordo della sedia, poi fece il giro del tavolo e la raggiunse. Trattennero entrambi il respiro quando spostò la sua sedia in modo da farla accomodare. 

Quando si sedette di fronte a lei poté vedere l’ombra di un sorriso sulle sue labbra rosse. 

“Pensavi che non sarei venuta?” gli domandò con un sopracciglio alzato. 

“Dal momento che sembri fare tutto ciò che è in tuo potere per evitarmi, nutrivo davvero poche speranze che accettassi l’invito”. 

“Eppure eri qui ad aspettare”. 

“Eppure ero qui ad aspettare, si” replicò, non staccando gli occhi dai suoi. 

Pansy deglutì, mentre il cameriere si avvicinava per porgergli un menù, lasciando cadere lo sguardo in maniera non troppo discreta sulla scollatura della ragazza. 

David finse qualche colpo di tosse.

Pansy aveva gli occhi fissi sulla carta elegante quando parlò, eppure David ebbe l’impressione che non stesse affatto leggendo. “Non sono mai stata in un ristorante babbano”. 

“Era il preferito di mia madre”. 

La ragazza richiuse il menù, e solo il leggero movimento delle sue gambe che percepì da sotto il tavolo tradì il suo nervosismo. 

“Mi dispiace, per tutto” disse, quasi mangiandosi le parole per la velocità con cui lasciarono la sua bocca. “Non te l’ho mai detto. Non ne ho avuto il coraggio. Mi sentivo così in colpa, e mio padre-”

Non le diede il tempo di finire. “Non ti ho mai ritenuta responsabile”. 

Pansy rigirò il vino che aveva nel bicchiere, senza tuttavia avvicinarvi le labbra. “Avresti dovuto”. 

Lui mantenne lo sguardo fisso nei suoi occhi, entrambi i palmi appoggiati sul tavolo. “Non avrei dovuto affatto. E’ stata solo colpa di tuo padre. E adesso è morto”. 

“Già”. 

“Mi dispiace, comunque” aggiunse David, sebbene non fosse certo di pensarlo veramente. Quello stronzo se l’era meritato. 

Quando era stato per la prima volta nel grande e cupo maniero della famiglia Parkinson, in veste di avvocato per una transazione tra famiglie, l’uomo che lo aveva ingaggiato non aveva avuto idea delle sue origini. David, d’altro canto, non sapeva che la transazione che doveva supervisionare era in realtà un matrimonio combinato tra la figlia di Parkinson, appena maggiorenne, ed un uomo con il doppio dei suoi anni ed un patrimonio altrettanto spaventoso. 

“Non ti dispiace affatto” disse la ragazza, lo sguardo fisso nel vuoto. “E neanche a me”. 

Pansy non aveva mai voluto sposare quell’uomo, e nell’istante in cui David aveva visto la sua espressione disgustata, in cui aveva letto la tristezza nei suoi occhi nonostante l’espressione fiera del suo volto… Sapeva che avrebbe dovuto fare tutto ciò che era in suo potere per impedire che quel matrimonio accadesse. 

Innamorarsi di lei, tuttavia, era stato solo un effetto collaterale del suo piano. 

E anche lei lo amava, o almeno lo aveva amato. La guerra era appena scoppiata quando avevano deciso di fuggire insieme, e ce l’avevano quasi fatta…

Dall’espressione pensierosa sul volto della ragazza, David capì che lo stesso tipo di pensieri la stava attraversando. 

Un mix di tristezza e senso di colpa le incupì lo sguardo. Dopo aver scoperto ciò che stavano per fare, il padre di Pansy lo aveva seguito fino al quartiere babbano dove viveva con sua madre, la sua unica famiglia, e l’aveva uccisa. Per pura crudeltà e desiderio di vendetta.

Ma lui non aveva mai, per un solo secondo, ritenuto lei responsabile. 

Quel bastardo lo era, e adesso era morto. Punto. 

L’ombra del passato iniziava a farsi pesante sulle loro spalle a man a mano che quel silenzio cresceva tra di loro, perciò cercò di cambiare argomento. 

“E’ stato arrestato il dottore, Pritchett" disse, “e altre cinque persone. Non abbiamo trovato alcuna prova sulla sorella”. 

Pansy accarezzò la tovaglia elegante con le sue unghie rosse. Il cameriere si avvicinò al loro tavolo e prese le ordinazioni, allontanandosi un istante dopo. Questa volta i suoi occhi non osarono soffermarsi sulla scollatura della serpeverde. 

“E’ orribile” sospirò infine, i corti capelli neri perfettamente lisci che ondeggiavano lungo il suo collo. 

David si sforzò di non pensare a tutte le volte in cui le sue dita vi si erano avvolte e prese un altro sorso di vino. “Lei è decisamente più sveglia del fratello. Non ha lasciato nessuna traccia dietro di sè, neanche nel suo appartamento o dove lavora”. 

Pansy si morse le labbra. “Hermione si fida che tu riveli a me queste informazioni?”

La guardò, per un istante sorpreso. “Questa storia riguarda anche Draco, riguarda tutti noi. E comunque Hermione ti ringrazia, sa che è solo grazie a te se almeno siamo riusciti ad arrestare il dottore”. 

La ragazza arricciò le labbra. “Ricordi il giorno in cui è uscita quella foto sui giornali?”

“Come dimenticarlo”. 

"Draco ed Hermione non hanno mai notato qualcuno che li seguiva?”

Ci rifletté, mentre il cameriere serviva loro la prima portata. “Draco credeva di aver sentito qualcosa, ma non c’era nessuno dietro di loro in realtà”. 

“E’ un po’ familiare questo pattern d’azione, non trovi?”

“No, non ti seguo” sospirò. “Devi essere più chiara”. 

Pansy afferrò la forchetta e assaggiò il risotto che aveva ordinato. I suoi occhi si sgranarono al sapore e David tratteneva l’istinto di sorridere. 

“La Skeeter faceva esattamente così, almeno fino a qualche anno fa. Poi fu scoperto che i suoi metodi di ottenere informazioni erano piuttosto illeciti e che era in realtà un animagus non registrato”. 

David per poco non si strozzò, lasciandosi andare un boccone di traverso. “Come ho fatto a non pensarci”. 

Pansy fece spallucce. “Potrebbe essere una coincidenza, non credo sia stata la Skeeter”. 

“No, non è stata lei. La legge prevede che non possa accedere alla sua forma di animagus per almeno dieci anni dopo un’infrazione del genere, ma quella donna forse…”

“Potrebbe essere un animagus. Uno piuttosto piccolo ed in grado di passare inosservato”. 

Annuì, guardandola negli occhi. “Chiederò a Potter di controllare i registri, se non è dichiarata, avremo un motivo per trascinarla dentro. Grazie”.

“Non ho fatto niente”. 

“Si invece” le disse, sollevando il calice. 

Attese che lei facesse lo stesso, unendo i loro bicchieri in un brindisi. La guardò negli occhi quando aggiunse: “hai ottime intuizioni, e lavoriamo bene insieme. Hai mai pensato ad una carriera come avvocato?”


***


“Ufficialmente Dolores Umbridge è agli arresti domiciliari dall’inizio della guerra, e non ha lasciato casa sua da allora” affermò Potter, camminando avanti e indietro davanti al caminetto. 

Nott aveva dovuto aggiungere molte più sedie nel suo salotto, stravolgendo un arredamento rimasto immutato probabilmente per secoli, eppure non ne sembrava affatto dispiaciuto. Draco gliene era grato. 

“É probabile che sia la verità" continuò Hermione, i denti che stringevano il suo labbro inferiore mentre pensava. 

Draco si sforzò di non lasciarsi distrarre troppo da quella vista. 

“Si è resa inattaccabile conducendo le operazioni direttamente da casa sua. Lei comanda qualcuno al ministero, che a sua volta comanda Cameron, che a sua volta dava ordini a suo fratello. In questo modo, anche se ne prendiamo uno, lei rimane inattaccabile, nascosta dietro le quinte”. 

“Dev’esserci un modo per trovarla, però, per risalire a lei”. David fece una smorfia. 

Draco si concentrò su Pansy. La serpeverde si era seduta in un angolo della stanza, vicino alla grande finestra socchiusa mentre fumava le sue sigarette babbane, apparentemente disinteressata alla conversazione. Tuttavia, ciò che lei e l’avvocato avevano fatto al San Mungo era abbastanza da capire che fosse tutt’altro che disinteressata. Perché si ostinava ancora a fingere Draco non avrebbe saputo dirlo con certezza. 

Potter si fermò, appoggiandosi contro il caminetto. “Intanto concentriamoci su come scoprire se quella Cameron è un animagus. Se non altro avremo qualcosa contro di lei”. 

Theo lo fissò. “Bisognerebbe seguirla”. 

“Ma non ci sono modi per farlo legalmente?” 

“Non senza una denuncia ufficiale” intervenì David. “Cosa che non ci conviene fare, se non vogliamo che stia ancora più sull’attenti. Ci ha già fregati facendo sparire ogni sua traccia dal San Mungo. Non possiamo sprecare questo vantaggio che abbiamo”. 

Theo si alzò in piedi e raggiunse Potter accanto al caminetto. “L’avvocato ha ragione, abbiamo bisogno di agire in modo discreto e soprattutto inosservato”. 

Pose un'enfasi particolare sull’ultima parola, e Draco notò le labbra del ragazzo che è sopravvissuto piegarsi appena, prima che si scambiasse uno sguardo complice con il suo amico. 

“Ce ne occupiamo noi, Nott?”

“Affare fatto, Potter”. 


***



“E’ solo che… faccio fatica a crederci, non mi sembra vero”. 

Gli occhi di Hermione erano lucidi mentre leggeva la notizia dell’ennesimo sciopero al ministero per lei, questa volta in un dipartimento per il quale non aveva mai neanche lavorato.

Draco l’abbracciò alle spalle, affondando il mento contro la sua spalla. “La gente comune, maghi e streghe come te, credono nel tuo lavoro ed in quello che fai”. 

“Già” sospirò Hermione. 

Draco cercò di non lasciarsi distrarre dal dolce profumo del suo shampoo e dalla morbidezza dei suoi capelli. “Non sembri molto contenta”.

“No, non è questo” Hermione strinse ancora il giornale, guardando fuori dalla finestra. “E’ solo che vorrei fosse servito a qualcosa. O che tutto questo servisse a qualcosa”. 

“Forse se ne stanno rendendo conto solo adesso”. 

“Spero sia così”. 

Draco lasciò scivolare lentamente le mani lungo la curva dei suoi fianchi, portandola a voltarsi così da poterla guardare negli occhi. “Non è stato inutile, Hermione. Tutto il tuo lavoro, e tutta questa sofferenza, non sono stati vani. Faremo il possibile affinchè sia così”. 

Hermione affondò il volto contro il suo petto. “Grazie”. 

Draco continuò ad accarezzarle i capelli, facendo scorrere le dita in quella morbida massa di ricci marroni. Aveva paura a porgerle quella domanda, ma voleva che lei ne fosse sicura.

“Per quanto riguarda i tuoi genitori…” iniziò, le parole poco più che un sussurro. 

“Staranno bene. Saranno felici insieme, laggiù. Era sempre stato un loro sogno nel cassetto in fondo”. 

La strinse più forte. “C’è qualcosa che devo dirti”. 

La grifona allentò leggermente l’abbraccio per guardarlo di nuovo negli occhi. 

Draco deglutì, rivolgendole un sorrisetto. “Hai presente una certa camera blindata piena d’oro, la cui chiave si trova attualmente nel cassetto del tuo comodino?”

Hermione strabuzzò le palpebre. “Credo di si”. 

“C'è un progetto che vorrei realizzare con quel denaro. Potrebbe interessarti”. 

Gli angoli della bocca della grifona si piegarono appena, ma le sue sopracciglia alzate tradivano, oltre al suo interesse e curiosità, anche un velo di preoccupazione. “Che cosa mi stai proponendo, Draco Malfoy?”

Il biondo si separò definitivamente dall’abbraccio e raggiunse il divano, su cui giaceva la sua giacca. Dalla tasca interna, tirò fuori un piccolo pezzo di pergamena. 

Lo porse ad Hermione, trattenendo il respiro mentre lo srotolava ed i suoi occhi saettavano sulla pagina. Aveva parlato con Theo dei diversi dettagli, in questi giorni, valutando i vari aspetti di questa idea e come potrebbe funzionare, oltre che la fattibilità. Secondo il suo amico era più che buona, ma avrebbero comunque avuto bisogno dell’aiuto e dell’approvazione dell’attuale preside di Hogwarts, sempre se Hermione fosse stata d’accordo in principio. 

Dopo qualche minuto, Hermione riportò finalmente lo sguardo su di lui, gli occhi che brillavano. “Questa è stata una tua idea?”. 

Annuì. “Theo mi ha aiutato con alcuni dettagli, ovviamente se pensi che qualcosa vada cambiato-”

“Sembra tutto perfetto” affermò, quasi con le lacrime agli occhi. 

“Sapevo che tra i tuoi tanti progetti al ministero, questo per i nati babbani era finito in fondo alla lista. Per questo motivo voglio mandarlo avanti io”.

Hermione sembrò per un momento combattuta. “Ma tutto questo denaro-". 

“Basterà per finanziare almeno i primi dieci anni del progetto. Ma se avrà successo credo che potremmo trovare degli investitori persino. Daremo il via ad una nuova tradizione per la società magica. Ogni bambino nato babbano avrà diversi mesi, se non anni, per conoscere il nostro mondo prima di trovarsi trascinato al suo interno all’improvviso. Potrebbe essere utile, soprattutto per le loro famiglie”. 

“Oh” Hermione si asciugò rapidamente una lacrima che le solcò la guancia. “Ai miei avrebbe sicuramente fatto piacere. Quando ho ricevuto la mia lettera…”

Draco la afferrò per una mano, accompagnandola sul divano e sedendosi accanto a lei. “Ti va di raccontarmi tutta la storia?”

Hermione lasciò la pergamena sul tavolino da caffè. Con una mano gli accarezzò il volto, finchè le sue dita non sfiorarono l’orlo delle sue labbra. 

Draco sospirò, ed Hermione avvicinò il viso al suo mentre le mani scendevano verso la sua cintura. 

“Magari un’altra volta, Draco”. 


***



Si erano spostati dal divano al tavolo della cucina, e da lì alla camera da letto. Hermione non aveva idea di quanto tempo fosse passato né di che ore fossero, ma dedusse che doveva essere notte fonda visto il silenzio che proveniva dall’esterno. L’unico suono tutt’intorno era quello dei loro rispettivi respiri affannati. 

Draco allungò una mano verso di lei, spostandole una ciocca di capelli dietro le orecchie. “Stanca, Hermione?” sussurrò al suo orecchio, fissandola con aria di sfida, “potrei prendere il tuo posto”. 

Lo guardò negli occhi, le pupille completamente dilatate nell’oscurità della stanza, il corpo ricoperto di sudore. Si avvicinò per sfiorargli le labbra, prendendo il suo labbro inferiore tra i denti. 

Un verso profondo e gutturale fuoriuscì dalla sua gola, ed Hermione lo sentì riverberare lungo tutti i suoi nervi. Quando si separò dalle sue labbra, afferrò le mani di Draco, attualmente strette intorno ai suoi fianchi, e le portò contro il materasso. 

“Sto bene dove sto, grazie”. 

Nonostante sentisse i muscoli delle gambe appesantiti, Hermione non voleva affatto cambiare posizione. Non aveva mai osato immaginare che avere Draco Malfoy sotto di lei, il respiro pesante, le labbra che imprecavano e la imploravano, potesse essere così…

Continuò a muovere i fianchi, sentendo di nuovo quella piacevole pressione crescere dentro di lei. Draco strinse la presa contro le sue dita, la testa all’indietro contro il cuscino, gli occhi fissi su di lei. 

“Mi stai uccidendo" ansimò, mentre Hermione aumentava velocità. “Dio…”

Hermione chiuse gli occhi, concentrandosi solo su ciò che sentiva, piegandosi su di lui in modo da ottenere la frizione che desiderava. 

Toc toc

Non registrò quel suono, ed il pensiero che qualcuno potesse star bussando alla sua porta non la attraversò nemmeno. Dio, era così vicina. Nello sguardo di Draco lesse la stessa emozione, lo stesso disinteresse per qualunque cosa che non stesse succedendo lì, in quella stanza. 

Draco la guardò dritto negli occhi, sempre quella tipica aria di sfida, ed Hermione riprese  a muoversi lungo di lui, più veloce ancora… 

Draco liberò una delle sue mani, e la portò dove ormai sapeva più che bene che le sarebbe piaciuto. 

Quando ansimò, Draco fece lo stesso, con un senso di soddisfazione. “Usami come preferisci, Granger”. 

Quelle parole, unite al movimento delle sue dita e alla pressione del suo cazzo dentro di lei, con quell’angolazione perfetta, segnarono la fine di Hermione. 

Chiuse gli occhi mentre l’orgasmo la travolgeva, e fianchi di Draco sotto di lei ripresero a muoversi freneticamente. Era così vicino anche lui, e… 

Toc toc

“Cazzo” ansimò il serpeverde, rallentando, mentre Hermione ancora si stringeva su di lui.

La grifona scese da sopra di lui, abbandonandosi sul materasso, e Draco fece appena in tempo ad alzarsi e afferrare un paio di pantaloni. “Spero che sia qualcosa di veramente importante” affermò, ed Hermione colse l’urgenza nel suo sguardo mentre usciva dalla camera da letto per andare ad aprire la porta. 

Non si alzò subito, perchè sentiva che le sue gambe non sarebbero state in grado di reggerla, e non moriva dalla voglia di scoprire che ore fossero e chi fosse venuto a bussare alla sua porta proprio adesso. 

Visite notturne ed improvvise iniziavano a diventare sempre più frequenti, ed Hermione doveva ammettere che non aveva mai sentito la mancanza della sua privacy, avendo vissuto da sola per mesi, prima di adesso. Prima che lei e Draco… 

Sentì la voce di Theo dal salotto. “Questo posto puzza di sesso, dio”. 

Hermione si rimise in piedi, sentendosi arrossire. Il senso di vergogna aumentò ulteriormente quando sentì anche la voce di Harry provenire dall’altra stanza e si ricordò dei loro vestiti sparsi in giro. 

Indossò una camicia da notte e la sua vestaglia e li raggiunse. Harry teneva imbarazzato lo sguardo verso il pavimento, ma Theo sembrava invece più che divertito dalla situazione. 

“Arriva al punto” lo intimò Draco, notando il suo sorrisetto divertito. “Non vi sareste precipitati qui se non fosse stato qualcosa di importante”. 

“Fortuna che non abbiamo usato il caminetto” mormorò Harry tra sè e sè, poi sospirò. “Abbiamo seguito Cameron Prichett” .

“In che senso l’avete seguita?” chiese Hermione. 

Il ragazzo che è sopravvissuto iniziò a spiegare. “Ci siamo nascosti sotto il mantello dell’invisibilità oltre la linea di smaterializzazione del ministero, e Nott ha avuto un’idea”. 

Sia Draco che Hermione guardarono contemporaneamente verso il serpeverde. “E’ una cosa che fanno i babbani” precisò alzando entrambe le mani, “non ci sono leggi che lo impediscono nella società magica”. 

Hermione sentì le ginocchia deboli, ma avvertì anche un piccolo senso di soddisfazione mentre osservava gli sguardi compiaciuti dell’improbabile duo. “Cosa avete fatto?”

“Abbiamo usato un dispositivo babbano di geolocalizzazione, nascosto nella sua borsa” finì Theo. 

“E cosa avete scoperto?”, la voce di Draco adesso era tesa ed impaziente. 

“E’ andata a casa di Dolores Umbridge, dove sta scontando gli arresti domiciliari”. 

“Possiamo incastrarla in qualche modo?" Hermione iniziò a tormentarsi l’interno della guancia con i denti. 

Potter parlò. “Legalmente no, perchè potrebbe ricevere visite, ma ne parlerò domani con David per sicurezza” poi i suoi occhi verdi vagarono verso Theo. 

“Spara” lo incitò Draco, notando lo sguardo malizioso sul volto del suo amico. 

Theo allargò le spalle, raddrizzando la sua postura. “Potremmo far scrivere un articolo sui giornali. L’opinione pubblica è in fermento per ciò che ti è successo, il ministero è totalmente rallentato dai vari scioperi e chiunque odia la Umbridge, persino più di qualsiasi mangiamorte. Dopo un articolo del genere Cameron perderebbe totalmente di credibilità, e probabilmente anche il suo lavoro”.

“Facciamolo allora” disse Hermione. “Parlerò io con Luna domani mattina”. 

Draco appoggiò una mano contro la sua schiena. 

Theo ed Harry si scambiarono un altro sguardo complice. “Torna dalla tua ragazza” disse il serpeverde, “ci penserò io”. 

“Pensare a cosa?” si fece avanti Draco. 

“Non puoi farlo da solo, Nott” continuò il ragazzo che è sopravvissuto, ignorando completamente sia Draco che Hermione. 

“Ho molto tempo a disposizione, in realtà”. 

“Già” Potter lo squadrò dalla testa ai piedi. “Hai mai pensato di trovarti un lavoro? saresti un ottimo detectiv-” 

“Ma di cosa state parlando?”

Se nessuno sembrava far caso a Draco, d’altro canto la voce di Hermione li fece sobbalzare entrambi. Il biondo sembrò divertito dal fatto che sia Harry che Theo sembrarono farsi piccoli sotto gli occhi della grifona.

“Nott ha avuto un’idea, una pista da seguire”. 

Theo proseguì quello che Harry aveva iniziato. “Adesso che sappiamo che Cameron si reca a visitarla, potremmo appostarci fuori da casa sua, scoprire chi altri riceve e quali effettivamente sono i suoi burattini all’interno del ministero”.

“E’ una buona idea” borbottò sottovoce Hermione in segno di approvazione, lo sguardo pensieroso. “Cameron non è mai stata la sua prima scelta”. 

Gli occhi dei due si illuminarono. “Useremo contro di loro la stessa arma che hanno usato contro di te. Giornalismo sleale e tutto il resto”. 

“Va bene” sospirò Hermione.  Il suo cuore batteva rapidamente, e non sapeva se fosse per i residui del suo ultimo orgasmo, per l’imbarazzo dei suoi vestiti e quelli di Draco sparsi sul pavimento o per la scarica di adrenalina che le ultime notizie le avevano provocato. Probabilmente un mix di tutte e tre le cose. 

“Ok, adesso è meglio che andiamo”. Harry sembrava aver seguito la stessa direzione dei suoi pensieri, ed i suoi occhi vagavano tra lei, Draco ed il pavimento, come se non sapesse esattamente dove guardare. 

Theo si avviò insieme a lui verso la porta, un vago sorrisetto sul suo volto. “Scusate l’interruzione, riprendete pure dove vi abbiamo interrotto”. 

Quando la porta si richiuse alle loro spalle, Hermione era certa che le proprie guance fossero in fiamme. 

Di sicuro non aiutò la voce suadente di Draco che accarezzava la sua mente. 

Dove eravamo rimasti, Hermione?

Avrei voluto postare il capitolo prima, ma le ultime settimane sono state piene! Vi abbraccio forte e vi auguro una buona pasqua ❤️

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Capitolo 27
*** 27. The end ***


Fecero passare qualche giorno, alternandosi nel nascondersi sotto il mantello dell’invisibilità di fronte all’oscena e sfarzosa villa dentro la quale Dolores Umbridge scontava gli arresti domiciliari, nella speranza che presto tuttavia sarebbe stata spedita ad Azkaban. 

Dopo solo pochi giorni avevano accumulato diverse fotografie che ritraevano alcuni dei membri del consiglio entrare e uscire da casa della Umbridge. Non erano abbastanza prove per spedirli tutti quanti tra le braccia dei dissennatori, ma sarebbero state sufficienti per una pubblica umiliazione che non avrebbero potuto ignorare. 

Quando 'Il Cavillo' finalmente pubblicò l'articolo incriminante, Hermione si sentì leggera ed eccitata come non le capitava da mesi. 

Nonostante non avesse idea di ciò che ne sarebbe stato del suo futuro, del lavoro che avrebbe voluto intraprendere, della strada che l’avrebbe aspettata, era finalmente felice.

Forse per la prima volta in vita sua, aveva semplicemente voglia di godersi il momento e vedere cosa sarebbe successo, senza dover per forza programmare ogni cosa.

Osservava l'entrata affollata del ministero il giorno dopo l'uscita dell'articolo. Giornalisti provenienti da tutta la Gran Bretagna si affollavano fuori l’ingresso principale. I piccoli scioperi e le proteste che si erano susseguite da un dipartimento all’altro negli ultimi giorni si erano trasformate in un fenomeno di dimensioni ben più grandi. Una folla di manifestanti, la maggior parte impiegati che Hermione riconobbe, adesso protestava fuori dall'ingresso. 

La cosa che era riuscita ad animare gli animi e ad unire così tanto la società magica era l'odio per un nemico comune. Draco, al suo fianco, parve pensarla come lei, e le sorrise con aria divertita.

La prima offerta per riavere il suo vecchio posto di lavoro era giunta per posta a casa di Hermione dopo la prima settimana di proteste. 

Lei e Draco si erano fatti una grassa risata e avevano gettato la lettera nel caminetto, mentre rivedevano i dettagli riguardo al progetto del biondo per i nati babbani ad Hogwarts. 

“Con il supporto di Minerva Mcgranitt potremmo davvero riuscire entro quest’anno” ansimò la grifona osservando i numeri che erano arrivati da Hogwarts riguardo le lettere che venivano spedite ai nati babbani. 

“Ah, ricordami ancora della sua visita a casa tua”. 

“E’ stato orribile” Hermione alzò gli occhi al cielo. “Ai miei per poco non venne un infarto, e chiamarono persino la polizia. Il mondo babbano ha bisogno di questo”. 

Draco ricambiò il suo sorriso. “Non solo quello babbano”. 

L'espressione di Hermione era pensierosa mentre osservava la seconda lettera arrivata dal ministero, in cui insieme al suo vecchio lavoro le proponevano un aumento di stipendio. 

La gettò nel caminetto.  “Pensavo di prendere un anno sabbatico , di fermarmi un po'” disse, le parole pronunciate rapidamente una dopo l'altra. 

Draco alzò gli occhi da quei fogli pieni di numeri che gli stavano facendo venire il mal di testa e li concentrò su di lei. Sollevò un sopracciglio. “Credi di esserne fisicamente capace?”

Hermione lo colpì sulla spalla con un malloppo di scartoffie. “Non ho intenzione di non fare nulla. Vorrei concentrarmi su questo progetto” proseguì, indicando ciò a cui stavano lavorando, “e poi magari trovare degli investitori”. 

“Io sono un tuo investitore”. 

Hermione gli rivolse uno sguardo che lo mise presto a tacere. “Lo so questo” sospirò. “Ma questa idea… con un po’ di aiuto potrei applicarla non solo ai nati babbani. Potremmo aiutare tante altre categorie, fare delle campagne per sollevare l’opinione pubblica e costringerla a porre attenzione a certi problemi”. 

“Direi che sollevare l’opinione pubblica ci riesce sicuramente bene”. 

Hermione sorrise. “Ho capito che il cambiamento al ministero non può partire se prima non c’è una spinta dall’esterno. Vorrei essere io quella spinta”. 

“Permettimi di aiutarti a spingere, allora, Hermione Granger”. 



Passò un altra settimana ancora quando Hermione dovette recarsi a processo per testimoniare contro Pritchett ed il resto dei falsi guaritori ed infermieri che l’avevano trattenuta al San Mungo. 

Temeva che il processo avrebbe fatto emergere dubbi e domande sulla sua particolare condizione, ma David era stato del parere che nè il giudice nè alcuno dei presenti in giuria avrebbe accennato al motivo vero per cui l’avevano trattenuta.

 Si sarebbero concentrati solo sull'aspetto politico della storia. 

Il processo era stato aperto al pubblico, e più gente di quanto la grande aula del ministero fosse capace di ospitare si era effettivamente presentata quel giorno.  

Ovviamente, era presente anche Cameron. I suoi occhi piccoli e scuri saettavano con disprezzo tra Hermione, che ricambiò il suo sguardo con aria di sfida, e il fratello seduto al banco degli imputati, che aveva vuotato il sacco nella speranza di tenersi lontano da Azkaban. 

“Non preoccuparti” le sussurrò David all’orecchio. “Dopo questa confessione, verrà aperta un’indagine su di lei, pagherà per quello che ti ha fatto”. 

Le urla dell’uomo riempirono l’aula, immergendola nel silenzio mentre veniva consegnato ai dissennatori e scortato nella prigione nella quale avrebbe trascorso i successivi cinque anni. 

“Non dovrei dirlo” continuò poi David. “Ma ho presentato richiesta di indagine contro la Umbridge per interferenza con il Ministero, e vista la sua precaria condizione agli arresti domiciliari credo ci siano buone probabilità che anche la sua sentenza venga rivalutata”. 

Hermione sentì un ulteriore peso sollevarsi dal suo petto. Ogni cosa stava tornando al suo posto, e la giustizia avrebbe fatto finalmente il suo corso. 





Sei anni dopo 


Mentre cercava di far entrare ancora un altro maglione nella sua valigia già abbondantemente strapiena, ci volle tutta la buona volontà che Hermione potesse trovare dentro di sè per convincerla che Draco non avesse ragione. 

Dall’altro lato della stanza, seduto sopra un’altra valigia altrettanto strapiena, Draco sbuffò. “Ricordami perchè abbiamo deciso di non usare l’incantesimo estensivo irriconoscibile, Granger, perchè sto facendo davvero fatica a tenerlo a mente”.

“Ah, sono di nuovo Granger adesso?”

Quelle iridi azzurre la fulminarono con sguardo provocatorio, le labbra piegate in un sorrisetto. “Sei Granger ogni volta che mi ricordo di quella volta che siamo stati costretti a passare l’intera notte in aereoporto”. 

Alzò gli occhi al cielo, rinunciando definitivamente a quell’ultimo maglione e gettandolo sul letto con poca delicatezza. “Sono passati tre anni, Malfoy”. 

Gli occhi di Draco si illuminarono. 

Malfoy, mmhh?

Hermione si guardò un’ultima volta allo specchio, passandosi le mani sui ricci spettinati, poi fissò l’orologio. 

“Si, Granger. Siamo in ritardo, in caso te lo stessi chiedendo”. 

Ma sei uno schianto con quel vestito

Hermione si concesse un secondo in più davanti allo specchio per ammirare il vestito verde smeraldo che Draco le aveva regalato. Era stata molto scettica sull’indossarlo in questa occasione in particolare, ma per Merlino se le stava bene. 

Si prese poi un altro secondo ancora per osservare lui, la cravatta scura e il completo elegante che fasciava perfettamente ogni centimetro della sua figura. 

Draco la seguì nel salotto e poi davanti al caminetto. 

“Non scordarti il regalo” disse Hermione mentre afferrava il sacchetto di metropolvere. 

“Come se noteranno mai che manca” alzò gli occhi al cielo. Hermione lo punzecchiò con il gomito mentre le fiamme li avvolgevano. 



Il Manor della famiglia Parkinson era il luogo più elegante in cui Hermione avesse mai messo piede. I vari invitati alla festa di fidanzamento erano già accorsi numerosi, e l’ampio salone pullulava di gente che Hermione non aveva mai visto. 

Sapeva che David e l’ex serpeverde erano decisamente dei tipi mondani, eppure non avrebbe mai immaginato la reale estensione delle loro amicizie. In fondo, sebbene fosse stata inizialmente sorpresa, Hermione era stata infine costretta ad ammettere che i due erano perfetti l’uno per l’altra. 

Draco le prese la mano mentre si facevano strada tra la folla. Se Hermione aveva pensato di essere vestita in modo troppo elegante, mentre vagava tra gli invitati iniziava quasi a sentirsi troppo casual. 

Rilassati, Hermione. Sei la persona più attraente in tutta la stanza

“Esageri sempre” mormorò sottovoce affinchè solo lui sentisse. 

Non esagero affatto, ma se non mi credi torniamo a casa e…

La sua mano scivolò impercettibilmente verso il basso sulla sua schiena scoperta.

Ti offrirò una dimostrazione 

Hermione deglutì, lasciando andare un verso di sollievo quando scorse la lunga chioma rossa di Ginny in lontananza. Trascinò Draco con sè, cercando di ignorare la sensazione che le sue parole le provocavano ogni volta che comunicava così nella sua mente. 

“Oh, grazie a dio” sospirò, abbracciando la sua amica. 

Ginny indossava un lungo abito azzurro e portava i capelli sciolti lungo le spalle muscolose. 

"Congratulazioni, Weasley" mormorò Draco, aggiungendo un cenno del capo. 

La rossa sollevò il bicchiere di champagne in cenno di ringraziamento. 

Anche se Hermione non amava il quidditch, doveva ammettere che la partita finale del campionato era stata da brividi, e quando Ginny aveva segnato il gol finale che aveva portato le Holidays Harpies alla vittoria persino Draco aveva lasciato andare la sua gelida facciata di indifferenza e aveva esultato come Hermione non gli aveva mai visto fare. 

Harry li raggiunse un secondo più tardi, dopo aver congedato un anziano uomo che sembrava non voler smettere di congratularsi per una delle sue ultime missioni. Avvolse con aria fiera un braccio intorno alla vita di Ginny. “Sarà una lunga serata” borbottò. 

La rossa prese un altro sorso dal suo bicchiere. “Non mi dispiace ricevere complimenti”. 

“Certo che no” replicò Harry, un grande sorriso stampato sulle labbra, poi rivolse la sua attenzione ad Hermione e Draco. “Pronti per partire?”

Hermione non potè far a meno di ripensare al caos che regnava nel suo appartamento. “Pronti”. 

Sei sicura, Granger?

Diede una spallata a Draco, mentre afferrava con due eleganti bicchieri da un cameriere di passaggio. Tra solo poche ore sarebbero stati su un volo per l'Australia, per la loro visita annuale ai suoi genitori. 

Era una tradizione che andava avanti da cinque anni ormai, e che era iniziata quasi per caso. L’idea era stata di Draco, e i signori Wilkins erano ormai abituati ai due annuali visitatori da Londra.

“Ma non dovevate occuparvi di una nuova campagna proprio questa settimana?” domandò Harry, incuriosito. 

La mano di Hermione si strinse intorno al bicchiere, e Draco le accarezzò la schiena con movimenti lenti, ricordandole della loro conversazione di qualche giorno fa. 

“Abbiamo delegato” rispose infine, vedendo Draco piegare appena le labbra con aria divertita. “Se ne occuperà Dean, da solo questa volta”. 

“Davvero da solo” finì il biondo per lei. 

Ginny sorrise. “Bene Herm, perché anche se ti sei  messa in tiro rimane evidente che ti serve una vacanza”. 

Hermione si finse offesa, ma in realtà moriva dalla voglia di abbandonarsi al sole e all’acqua salata che li aspettavano tra sole poche ore.  Il resort che i suoi genitori avevano aperto era incredibile… 

Sua madre le aveva sempre parlato di un suo sogno nel cassetto sin da quando era bambina, ovvero quello di studiare biologia marina. Alla fine, tuttavia, la sua famiglia l’aveva fatta tornare con i piedi per terra e costretta  a scegliere un lavoro più pratico come il dentista. 

Se non altro, Hermione aveva cercato di realizzare in parte questo suo desiderio. 

La prima volta che aveva fatto loro visita, aveva sentito la ferita nel suo petto iniziare a rimarginarsi quando aveva visto la luce negli occhi di sua madre, adesso Monica Wilkins, che guidava i turisti nelle escursioni sottomarine lungo la barriera corallina. 

Non vedeva davvero l’ora di partire. 

Theodore Nott li raggiunse, con aria un po’ meno curata del solito. Sebbene il suo solito, doveva ammettere Hermione, di recente stava diventando sempre più trasandato. 

“Stai lavorando troppo, amico” sospirò Draco. Il tono della sua voce suggeriva ad Hermione che avessero affrontato quella conversazione  già più di una volta ormai. 

Theo sorrise. “Beh, però ho battuto il record”. 

“Quale record?”

Theo guardò verso Harry, che a sua volta teneva lo sguardo fisso verso il pavimento in un modo innaturalmente rigido. 

Draco scosse la testa. “Sai cosa? Non credo di volerlo sapere”. 

Theo gli mise una mano sulla spalla. “Scusa se non siamo tutti così faticosamente impegnati ad aggraziarci vecchie signore per finanziare la nostra associazione. Senza offesa, Granger” aggiunse poi. 

Hermione sorrise. “Nessun problema”. 

“A proposito, qual è adesso il vostro ultimo progetto?”

Hermione aveva appena aperto la bocca per parlare quando Ginny la bloccò, prendendola a braccetto. “Ah-ah, basta parlare di lavoro. Siamo qui per divertirci”. 

Iniziò a trascinarla verso il centro della grande sala, sotto lo sguardo sconcertato di Draco. 

“Sarà tutta tua per due intere settimane, Malfoy, queste due ore sono mie” disse alle sue spalle mentre si allontanavano. Hermione rise. 

Ginny la trascinò dal capo opposto della sala, e poi in un angolo dove avevano allestito un tavolo colmo di dolci di ogni tipo. Hermione si avvicinò per afferrarne uno, ma Ginny le prese il polso di scatto e la trascinò ancora più lontano. 

“Ginny ma cosa…”

“Devo parlarti. Voglio che tu sia la prima a saperlo” disse. “A parte Harry, ovviamente. E George. Ma subito dopo ci sei tu”. 

Hermione era confusa, e adesso anche affamata. La sua mente continuava a ripensare a quel pasticcino ricoperto di cioccolato su cui aveva quasi posato le dita solo un secondo fa. 

“Allora?” le chiese Ginny. 

Strabuzzò le palpebre. “Allora cosa?”

“Non hai sentito?”     

Ginny, vista la sua confusione, si portò un dito alla tempia, sbattendolo più volte. 

“Non ho intenzione di leggerti nel pensiero” 

 La rossa sospirò, poi si guardò intorno con aria sospettosa e infine parlò sottovoce. “Sono incinta”.

Hermione spalancò la bocca, certa che le sopracciglia le fossero risalite fino alla fronte. Poi piegò le labbra in un sorriso e si avvicinò a Ginny, che le fece cenno con una mano di rimanere in silenzio. 

Richiuse la bocca, un mix di emozioni che si agitavano sotto la sua pelle. Sorpresa, felicità e anche un po' di confusione. 

“E’ una bellissima notizia, Gin” disse. 

Gli occhi della sua amica brillavano. “Lo so, ed ho bisogno di te. Vorrei fare una sorpresa a mia madre, e sento davvero che questo bambino sarà una femmina, ma…”

Hermione chiuse gli occhi, poi fissò la sua amica con aria sconcertata. “Adesso?”

Non ebbe bisogno di una risposta verbale, lo sguardo sul volto di Ginny era inequivocabile. 

Hermione non era certa che avrebbe funzionato. 

Con la precedente gravidanza aveva scoperto in modo totalmente casuale di essere capace di avvertire i pensieri del bambino fin dentro l'utero. Ma era successo in una fase abbastanza avanzata. 

“Non sono neanche certa che funzionerà, Gin. Di quante settimane sei?”

"Quattordici"

Hermione strabuzzò le palpebre, facendo saettare lo sguardo sul ventre quasi completamente piatto della sua amica. 

“Tecnicamente tredici e mezzo” continuò poi la rossa. “Ma sono in forma post-campionato”. 

Hermione prese un respiro profondo, e mentre si guardava intorno nella sala per assicurarsi che nessuno stesse prestando loro attenzione, si accorse del bicchiere di champagne nella mani della rossa. 

“Gi-”

“E’ succo di mela” la bloccò subito la sua amica. “Non sono così irresponsabile”. 

Hermione rilassò le spalle. “D’accordo” disse infine, perchè sapeva che se Ginny voleva una cosa, allora l’avrebbe ottenuta in un modo o nell'altro. Non aveva senso provare a dissuaderla. 

Chiuse gli occhi, abbassando le sue barriere e lasciando che solo i pensieri di Ginny potessero passarvi attraverso. Poi, lentamente, girò intorno ad essi, scendendo in profondità, e si concentrò su quel piccolo suono indistinto che sentiva. 

Era come se ci fosse una piccola voce che la chiamava, come se avesse colto la sua intrusione. 

A differenza di come era successo con James, che era ormai abbastanza cresciuto da fare sì che i suoi pensieri quasi urlassero per essere ascoltati, questo era a malapena un sussurro. 

Si avvicinò, come se stesse nuotando sott’acqua, spingendosi sempre più in profondità. E più scendeva, più quel sussurro diventava come un fischio nelle sue orecchie. 

Doveva solo sentirlo, solo scoprire se…

Riaprì gli occhi, Ginny la fissava esitante. 

“Avevi ragione” si limitò a dire, prima di ritrovarsi stretta tra le braccia muscolose della sua amica, che la stava quasi stritolando. 

Ricambiò comunque la stretta. 

Quando, dopo diversi secondi, il loro abbraccio si sciolse, entrambe ebbero piena visuale sui nuovi, e forse ultimi, arrivati alla festa. 

Ron era vestito un elegante abito blu scuro ed al suo braccio vi era… Hermione dovette sbattere le palpebre più volte. 

“Cho Chang?” chiese a Ginny. 

La rossa annuì. “Con Millicent ha chiuso qualche settimana fa”. 

Hermione rise. Ron, a quanto pare, aveva fatto decollare la sua reputazione da sciupafemmine, ed era ormai solito farsi vedere ad eventi pubblici con diverse accompagnatrici. 

Ovviamente i giornali ci scrivevano storie su storie, e sebbene all’inizio sia i suoi amici che la sua famiglia se ne preoccupavano, Ron ne era invece divertito. 

Il rosso rivolse un cenno del capo verso di loro, con uno sguardo che indicava che fosse pienamente consapevole del fatto che stessero spettegolando sulla sua nuova accompagnatrice. 

Lentamente, Ginny ed Hermione tornano dagli altri. La conversazione che avevano intrapreso venne interrotta quando la rossa afferrò Harry per un braccio con fin troppo entusiasmo e sussurrò qualcosa al suo orecchio. 

Draco rivolse ad Hermione uno sguardo interrogativo, a cui lei rispose scuotendo la testa. 

E’ forse un segreto? Credo che mi divertirò ad estorcerlo più tardi allora…

Iniziò a sentire le sue guance tingersi di rosso. 

Ultimamente Draco la provocava sempre più spesso, e le cose che faceva dopo… Doveva davvero smetterla di pensarci adesso. 

Non pensarci ora, Hermione. Lo farò io per te… 

Le ore che seguirono, prima di ritornare finalmente a casa, furono la più dolce delle torture. 



***



 Hermione odiava gli aeroporti: le file interminabili ai controlli, la sua valigia che non andava mai bene, Draco che in un modo o nell’altro finiva per portare con sé qualcosa che non avrebbe dovuto e faceva suonare quell’orribile macchinario di controllo. 

Eppure, viaggiare come i babbani era il modo più sicuro di farlo. Il ministero della magia australiano aveva regole molto precise riguardo gli spostamenti intercontinentali, e i controlli che avevano imposto sui nuovi arrivati avevano fatto sospettare ad Hermione che non sarebbe stato sicuro per una legilimens sottocopertura sottoporvisi. 

E, dopotutto, viaggiare in aereo se non altro offriva loro qualcosa da raccontare ogni volta che raggiungevano il resort e l’uomo alla reception, quasi sempre suo padre Wendell, chiedeva loro ‘Allora, com'è andato il viaggio?’

Il primo anno, un bambino aveva vomitato sulle gambe di Draco. Da allora avevano deciso di prenotare costosi biglietti in business class per evitare la folla. Il secondo anno c’erano state delle turbolenze così forti che era stata Hermione a vomitare sul povero assistente di volo. Draco non aveva smesso di prenderla in giro fino all’anno successivo, quando aveva avuto la brillante idea di portare con sé come souvenir dall’australia un tappeto incantato che li aveva trattenuti per ore ai controlli, tanto che alla fine avevano perso il volo e passato la notte in aeroporto. 

L’anno dopo ancora avevano dimenticato a casa i loro passaporti. Niente che una rapida smaterializzazione non avesse potuto risolvere, se solo non avessero rischiato di rompere lo statuto di segretezza ed essere arrestati. Fortuna che ben due dei loro migliori amici erano nella polizia.

E adesso invece stavano per perdere il loro volo perché non erano riusciti a togliersi le mani di dosso dopo esser rientrati dalla festa di fidanzamento. 

Stranamente, questa volta il fato sembrava essere dalla loro parte. Hermione tirò un sospiro di sollievo non appena prese posto accanto a Draco sull'aereo. Pochi minuti dopo il decollo si addormentò profondamente sulla sua spalla. 

Una volta raggiunto il resort si sistemarono nella loro solita stanza e dormirono per altre dieci ore per riprendersi dal jet leg prima che la loro vacanza avesse ufficialmente inizio. 

Wendell e Monica trascorrevano del tempo con loro di tanto in tanto, essendo un periodo poco affollato. La stagione turistica doveva ancora iniziare e sia lei che Draco sembravano apprezzare la tranquillità. Il sole era caldo sulla loro pelle ma senza bruciare troppo quando l'estate australiana era appena alle porte.

Le mattine successive al loro arrivo Hermione, come suo solito, si dedicava alle immersioni con Monica per ammirare la barriera corallina. L’acqua era fredda, ma una pesante tuta e un piccolo incantesimo riscaldante erano sufficienti a farle desiderare di rimanere sott’acqua il più a lungo possibile. Sua madre, d’altro canto, sembrava non sentire né il freddo né la stanchezza. 

La sera, dopo una giornata passata tra immersioni e rilassanti letture sulla spiaggia, Draco ed Hermione cenavano sempre all’interno del resort o in piccoli ristoranti vicini. 

Draco, ormai lo sapeva, amava la cucina babbana, e aveva anche un palato abbastanza raffinato. 

Avevano bevuto vino e mangiato aragosta quella sera in particolare. Viaggi in prima classe e cene di lusso stavano diventando sempre più frequenti ultimamente, ed Hermione iniziava seriamente ad interrogarsi sulla quantità di denaro che Draco aveva effettivamente ereditato, chiedendosi anche per quanto tempo avrebbero potuto andare avanti così. 

Finito di mangiare, passeggiarono scalzi sulla spiaggia davanti al resort. La luna piena illuminava il mare, rendendo invisibili quasi tutte le stelle. La sabbia era umida e fresca sotto i suoi piedi ed il profumo della salsedine le riempiva i polmoni, spazzando via qualsiasi preoccupazione, ansia o stress che avesse accumulato nelle ultime settimane. 

“Sai, lo so cosa stavi pensando”

Hermione guardò verso Draco, le sopracciglia alzate. 

“Sono stato alla gringotts poco prima di partire. Volevo dare un occhiata alla mia camera blindata”. 

“Qualcosa non va?” Hermione si interrogò sul suo apparentemente infinito patrimonio. Forse alla fine un limite c'era, dopotutto. O forse, semplicemente, i suoi genitori avevano visto che uso stava facendo del loro denaro, sperperandolo nel mondo babbano e per cause che loro non avrebbero mai approvato, e avevano deciso di tagliargli i fondi. 

“Non è niente di quello che pensi, Hermione. Riesco a leggere la preoccupazione nella tua espressione”. 

Hermione cercò di rilassare i muscoli del viso, affondando ancora di più le dita dei piedi nella sabbia mentre rallentavano fino a fermarsi. 

“Ok, ti ascolto”.

Draco prese un respiro profondo, come faceva sempre quando era nervoso per qualcosa e cercava di calmare la sua voce prima che lo tradisse.

“Sono andato alla mia camera blindata. Da quando mia madre mi ha lasciato la chiave, credevo di essere l’unico ad avervi accesso, ma adesso sono sicuro che non è così”. 

“Oh mio dio Draco, qualcuno è entrato nella tua camera blindata?”

Draco abbassò lo sguardo, stringendo le labbra. 

Sto sbagliando tutto. 

Hermione era sempre più confusa. 

“Voglio dire che ho trovato un oggetto, nella mia camera blindata, che è appartenuto alla mia famiglia da generazioni. Credevo di avervi rinunciato dopo la guerra, dopo essermene andato, eppure… credo sia opera di mia madre”.

Fece una lunga pausa, ed Hermione vide la sua mano allungarsi verso la tasca dei suoi pantaloni. 

Tirò fuori una piccola scatolina di velluto e deglutì. Hermione colse un leggero tremore nelle due dita.

“Credo ci sia un motivo se è finito nelle mie mani” disse, mentre apriva lentamente la piccola scatola.

Hermione si portò le mani alla bocca. 

Dovrei ingnocchiarmi adesso imprecò mentalmente Draco mentre si abbassava davanti a lei. 

Hermione non vi fece caso. Continuava a fissare il piccolo e delicato smeraldo davanti a lei, che rifletteva la luce della luna sopra le loro teste. Non aveva parole.

 Era forse l’anello più bello che avesse mai visto, e ne aveva visti molti ultimamente, raccogliendo finanziatori tra le ricche famiglie magiche di tutta l’europa per i loro progetti per i nati babbani e le creature magiche. 

“E’ tuo, Hermione”. 

Era senza parole, eppure sentiva che doveva dire qualcosa. Aprì la bocca, ma non fuoriuscì niente di coerente. 

 “Draco-”

“Come lo sono io, da diverso tempo ormai”. Deglutì di nuovo. 

Hermione fece lo stesso. Come lui, anche lei aveva la bocca asciutta. Si guardarono negli occhi, in silenzio ancora per qualche secondo, l’unico suono quello delle onde che s'infrangevano sulla battigia. 

Vuoi sposarmi, Hermione?

Tra tanti ritardi e momenti di blocco, in cui credevo che non sarei mai riuscita a finire questa storia, é successo. Grazie davvero a chiunque sia arrivato fino a qui. I vostri commenti e i vostri messaggi mi hanno spinta a continuare nei momenti in cui ero più demoralizzata. Vi abbraccio forte ❤️

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