Boruto - La Morsa del Destino (3): Guerra tra Famiglie

di Saigo il SenzaVolto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Destati ***
Capitolo 2: *** Cuori Rassegnati ***
Capitolo 3: *** Tutto Ciò che è Rimasto ***
Capitolo 4: *** Incontri Segreti ***
Capitolo 5: *** Maschera e Dovere ***
Capitolo 6: *** Svolta e Preoccupazione ***
Capitolo 7: *** L'Inizio del Summit (1) ***
Capitolo 8: *** L'Inizio del Summit (2) ***
Capitolo 9: *** Dichiarazione di Guerra ***
Capitolo 10: *** Quinta Guerra Mondiale ***
Capitolo 11: *** Silenzio Momentaneo ***
Capitolo 12: *** Conflitto d'Interessi ***
Capitolo 13: *** Roccia Frantumata ***
Capitolo 14: *** Cosa Rende Mostruoso un Uomo ***
Capitolo 15: *** Impero ***
Capitolo 16: *** Luce e Buio ***
Capitolo 17: *** Mai Più ***
Capitolo 18: *** Una Missione Pericolosa ***
Capitolo 19: *** Paura e Rimorso ***
Capitolo 20: *** La Cosa Giusta da Fare ***
Capitolo 21: *** Macchinazioni Nocive ***
Capitolo 22: *** L'Ora di Agire ***
Capitolo 23: *** Mozzare la Testa alla Serpe ***
Capitolo 24: *** Che il Conflitto Abbia Inizio ***
Capitolo 25: *** Azione e Reazione ***
Capitolo 26: *** Ricambiare il Favore ***
Capitolo 27: *** Un Fuoco che Arde Minaccioso ***
Capitolo 28: *** Una Tregua Stressante ***
Capitolo 29: *** Intermezzo di Izuku ***
Capitolo 30: *** Vendetta (1) ***
Capitolo 31: *** Vendetta (2) ***
Capitolo 32: *** Odore di Morte ***
Capitolo 33: *** Per un Soffio ***
Capitolo 34: *** Complicazioni Inattese ***
Capitolo 35: *** La Calma Prima della Tempesta ***
Capitolo 36: *** Attacco a Sorpresa ***
Capitolo 37: *** Operazione Kara ***
Capitolo 38: *** La Strada per l'Inferno (1) ***



Capitolo 1
*** Destati ***


BORUTO - LA MORSA DEL DESTINO:

GUERRA TRA FAMIGLIE



DESTATI


 

 

DESTATI
(Kingdom Hearts)

 
Destati!
Tendi la mano!
 
È giunta l'ora,
Destati.
Le porte verranno schiuse.
Destati, Destati, Destati.
 
Su rimembra, tu trepida!
Su sveglia! Ehi ricorda!
 
Destati! Destati!
Forza, tendi la mano!
Destati! Destati!
È giunta l'ora!
 
E ancora una volta
Apriranno le porte!
 
Su rimembra tu trepida!
Su sveglia! Ehi ricorda!
 
Eh? Come? Non lo vuoi!?
Tuttavia t'appartiene!
Ciò che hai perduto
Diventerà uno solo!
 
 


.

.

.

SEI
DAVVERO
TU
???
COLUI
CHE
È
STATO
SCELTO
???


.

.

.
 


Tempo Sconosciuto
Luogo Sconosciuto

Un abisso oscuro.

Cadde in un vuoto profondo per quelle che sembrarono ore in questo sogno.

Ma era davvero un sogno?

Non lo sapeva, era tutto così reale.

Così, finì per aprire gli occhi. Guardandosi attorno nell’infinita oscurità che lo circondava, si sentì leggermente nervoso, poiché non aveva idea di cosa fosse successo o di dove si trovasse. E questo lo spaventava più di quanto gli piacesse ammettere. Per cui, fece l’unica cosa che poteva fare per sfuggire al terrore e al buio.

Richiuse gli occhi.

E sprofondò nell’oscuro abisso del sonno ancora una volta.
 


La tua vita è andata in frantumi… eppure ancora rifiuti la morte.

La Luce ti evita… ma l’Oscurità accetta ogni cosa.

Abbraccia la forma che ti è stata data… indossala come un’armatura.

Non rifiutare ancora una volta il tuo vero io… rigetta la maschera dietro cui ti sei nascosto.

Comprendi la crudeltà dei Figli della Luce…  coloro che gettano gli altri nella loro Ombra.

Scegli da solo… il vero te.

Desideri forse… affogare nella disperazione?

Sei tu colui… colui che può comandare le ombre.
 


Il ragazzo riaprì gli occhi. Stava cadendo in un vuoto senza fine. Non c’era nemmeno un filo di vento attorno a lui, eppure la sua chioma di capelli biondi gli ondeggiava senza sosta sopra le palpebre pesantemente socchiuse, segno della sua sonnolenza. I suoi abiti fluttuavano all’aria, un misero paio di pantaloni neri, dei sandali scuri e malmessi, ed una logora maglietta bianca con un enorme buco sul petto. Tuttavia, nemmeno un rivolo di sangue usciva fuori dalla ferita sopra al punto dove si trovava il suo cuore.

Ancora, lui cadde. Cadde, cadde e cadde per quelle che sembrarono ore in questo sogno. Ma era davvero un sogno? Non lo sapeva, era tutto così reale. Così, finì per riaprire gli occhi ancora una volta, la sua espressione vacua e spenta. Vide e percepì il suo corpo atterrare lentamente sopra una piattaforma circolare di cristallo, altamente colorata e luminosa. Guardandosi attorno nell’infinita oscurità che lo circondava, si sentì leggermente nervoso, poiché non aveva idea di cosa fosse successo o di dove si trovasse. E questo lo spaventava più di quanto gli piacesse ammettere.

“Che cosa è successo?” quelle parole gli uscirono da sole dalle labbra, come un soffio. Si strinse il petto, nel punto vuoto dove, un tempo, si trovava il suo cuore, sentendo all’improvviso un forte dolore. “Io… la battaglia col drago… lui…” le sue mani gli afferrarono la testa, scuotendola furiosamente mentre i suoi occhi lampeggiavano di rabbia e dolore. “L’abbiamo sconfitto. Lui… è morto. Ho fatto tutto quello che potevo… E adesso dove… dove sono finito?” Il vuoto nel suo petto pulsò di dolore, facendogli sfuggire un gemito. Faceva male, anche senza cuore. Perché faceva così dannatamente male?

Il ragazzo gridò, ruggendo la sua ira ai cieli. Mentre urlava, il suo petto iniziò a fargli più male, facendolo crollare in ginocchio. La rabbia, il dolore, la disperazione e la confusione che stava provando in quel momento erano indescrivibili, e rendevano la sua sofferenza e il suo corpo ancora più pesanti. Stringendo le mani in pugni, colpì il terreno con una forza sufficiente da fargli credere che si sarebbe rotto. Rimase sorpreso quando percepì invece un dolore lancinante al petto. Dopo aver stretto rapidamente la mano per eliminare l’intorpidimento, fissò la piattaforma su cui era atterrato.

Era una vetrata che rappresentava la sua immagine. L’immagine del suo corpo addormentato, appoggiato sulla sagoma di una mezzaluna nera e bianca. La piattaforma era per lo più di un colore blu acceso simile alle squame di un drago che ricordava di aver visto in passato, e innumerevoli kunai e shuriken decoravano il cerchio che la circondava. Ma, soprattutto, mentre osservava il volto addormentato della sua immagine, notò che attorno alla vetrata del suo corpo c’erano sei immagini di altri volti. Altre persone. Persone che, qualcosa dentro di lui – non il cuore, dato che sentiva di non avercelo più – gli stava dicendo che aveva conosciuto. Erano volti familiari. Ma c’era qualcosa che non andava. Due delle immagini erano in frantumi, spezzate. Riusciva a vedere gli altri, ma quei due erano irriconoscibili.

Scosse la testa, incapace di capire. “Cos’è questo posto?” sussurrò.

Fu in quel momento che la sentì. Una voce così melodiosa, giovanile e pura che la sua mente sentì due emozioni che non avrebbe mai pensato di poter provare contemporaneamente: paura e gioia. “Non preoccuparti,” la voce parlava serenamente, echeggiando attorno a lui come se fosse vicina, mentre il suo proprietario non si vedeva da nessuna parte. “In questo Reame, nessuno ti farà del male. Ma temo che tu sia troppo ferito per poter andare avanti. Perciò dimmi, e non temere, che cos’è che desideri?”

Il giovane si guardò attorno freneticamente. Aprendo leggermente la bocca per parlare, si ritrovò confuso quando la richiuse istintivamente e guardò di nuovo la piattaforma, osservando che sotto la sagoma della luna sopra cui dormiva il suo corpo era raffigurato un piccolo castello. “Io… Io non lo so. Pensavo che abbattere il drago e ritornare dalla mia famiglia fosse l’unica cosa che volevo… ma ora non ne sono più così sicuro.” Si accigliò, chiudendo gli occhi per un momento. “Chi… Chi sei? E dov’è che mi trovo? Io sono… sono morto, non è vero? Sei un’anima venuta a condurmi negli inferi?”

“No,” fu la sua semplice risposta. “Il mio unico desiderio è vedere perché non sei ancora caduto a fondo nell’Oscurità che risiede dentro di te. Sei stato tradito dai tuoi familiari, lasciato a morire da tutti, abbandonato dai tuoi genitori, sfruttato dal Destino, e infine sei rimasto… da solo. Eppure, com’è che ancora continui ad andare avanti?”

“Ti ho fatto io una domanda per primo,” ribatté saccentemente lui, stringendosi il petto mentre lo sentì fargli di nuovo male. “C-Cos’è questo posto, e chi sei tu? E… che cos’è questo dolore? Non ho mai provato niente di simile prima d’ora…”

“È il Potere. Un Potere che hai cercato di utilizzare in passato e che hai temuto di abbracciare completamente a causa di coloro che controllano la tua vita, coloro che ti hanno gettato nell’ombra, che non vogliono permetterti di continuare a vivere.” Il ragazzo rabbrividì, sentendo la voce farsi sempre più vicina. Era come se fosse proprio dietro di lui, a sussurrargli nell’orecchio. “Questo Potere può essere tuo… il Potere che io ti concederò per combattere e difenderti da coloro che vorrebbero ferirti ed ucciderti… se tu deciderai di scegliere me.”

Assottigliando gli occhi verso il vuoto oscuro intorno a lui, il giovane parlò. “Qual è il trucco?”

La voce ridacchiò, generando una sensazione surreale e piacevole nel suo petto. “Se sceglierai me, l’unica cosa che ti chiederò è proteggere i miei figli e diventare il loro Guardiano. Il loro Campione. Ma questo solo se… oh no, cielo, sto affrettando le cose.” La voce emise una piccola risatina soffocata. “Perdonami, è che sono troppo contenta di averti qui, quindi perdonami se ogni tanto sarò troppo diretta. Ma la verità è che non vedo l’ora di vedere cosa puoi fare. Dopotutto, fino ad oggi non ti sei mai arreso, e il tuo cuore continua a battere con una strana Luce attorno all’Oscurità che lo avvolge.”

Il biondo si sedette a gambe incrociate sulla piattaforma, incrociando le braccia. “Non sto capendo niente di quello che dici,” disse, serio e freddo. “Piantala di blaterare questioni su queste fantomatiche ‘Luci’ e ‘Oscurità’, e dimmi per cosa sono qui e cosa mi rende così dannatamente speciale.”

“Quel tuo cuore è ciò che ti rende speciale,” rispose lei. “Esso è il potere che detieni per combattere con tutte le tue forze anche se stai soffrendo. Il tuo dolore è ciò che mi ha attirato, l’odio che nascondi nel profondo è ciò che mi ha chiamato, e… il fatto che tu desideri altro Potere è ciò che mi ha convinta. Ma tu non vuoi solo ottenere il Potere, no. Al contrario, vuoi conquistarlo, renderlo tuo, guadagnarlo. E se a questo aggiungi la tua determinazione, il tuo carisma, la tua lealtà, io… io sento tutto il mio essere… cominciare a fremere per l’eccitazione. Com’è che ci riesci? Come fai a rendermi così… così…”

“Stai iniziando a spaventarmi…” disse nervosamente lui, impallidendo.

“Non posso farci niente, sei perfetto. E il fatto che nel tuo ultimo istante di vita, anche quando sei stato costretto a sacrificarti per sconfiggere il mostro, hai continuato ad aggrapparti all’unico barlume di Luce che ti era rimasto… è stata la prova finale di cui avevo bisogno,” dichiarò la voce, trepidante. “Tu… sei come me. Getti nella tua ombra coloro che prendono la Luce e la tengono per loro stessi, nonostante sei stato scelto per unirti all’Oscurità. Sei veramente il Campione più strano che io abbia mai visto, Boruto Uzumaki.”

Il ragazzo, Boruto Uzumaki, si distese di schiena sulla vetrata, fissando l’oscurità e il vuoto sopra di lui, uno sguardo distante nei suoi occhi eterocromi. “Non sono così speciale come credi,” mormorò lentamente, sentendo il dolore al petto crescere leggermente. “Non sono riuscito a sopravvivere alla battaglia, e avevo promesso ai miei amici, alla mia famiglia, che non li avrei mai lasciati da soli. Non sono riuscito a mantenere fede alla mia promessa.” Strinse un pugno con forza e rassegnazione. “Ho dovuto sacrificarmi per difendere Naruto, Sarada, e tutti gli altri. Ho dovuto lasciarmi Mikasa, Sora, e la mia vera famiglia alle spalle per la loro salvezza. Perciò dimmi, perché sono stato scelto se non ho potuto neanche mantenere fede alla mia unica ragione di vita? A cosa serve un ‘Campione’ se non può nemmeno restare fedele alle sue parole?”

Il giovane guerriero sentì una sensazione strana avvolgergli il petto, come una carezza invisibile. “Perché tutti possiamo riprovare una seconda volta,” rispose lei. La voce fece scomparire il dolore nel suo petto, la dolce melodia delle sue parole che leniva il suo cuore, come se si stesse ricostruendo piano piano. È per questo che ti ho portato qui, piccolo. Dopotutto, voglio vederti diventare più forte. Voglio concederti una seconda possibilità. Posso aiutarti a tornare nel tuo mondo, se lo desideri.”

Boruto si mise a sedere di scatto. “Davvero?” esclamò, scioccato. Il suo volto s’illuminò di speranza. “Puoi riportarmi indietro?”

La voce ridacchiò, un suono soave e melodico. “Se ti ho salvato dalle grinfie della morte, perché non dovrei essere in grado di riportarti indietro?” dichiarò, divertita. “Ma prima, ci sono alcune cose che dobbiamo chiarire. Dimmi, piccolo, che cos’è che desideri?”

Il giovane chiuse gli occhi e provò a pensarci. “Io… Io non lo so,” rispose. “Voglio diventare più forte, voglio riunirmi ai miei amici, e continuare a portare avanti la mia Rivoluzione, certo… ma anche se ti dicessi tutto questo, comunque non mi sentirei veramente sincero. Perché? Cosa mi sta succedendo?”

“Non sei sincero con te stesso. C’è qualcun altro dentro di te, il tuo vero io… Perché non chiedi a lui che cos’è che vuole?”

Dopo che la voce ebbe detto quelle parole, il dolore nel suo petto aumentò fino a quando non sembrò scoppiare. Qualcosa… Qualcosa dentro di lui esplose letteralmente fuori dal suo corpo. E dopo due secondi di agonia, proprio lì, dinanzi a Boruto, era comparso… un secondo Boruto. Il biondo lo osservò con gli occhi e la bocca sgranati, imitato dal suo alter ego. “Heh, non so cosa sia tutto questo, ma devo ammettere che mi sento meglio!” esclamò la copia, sorridendo come un bimbo ed osservandosi il corpo.

Boruto assottigliò lo sguardo. “Chi sei tu?” domandò, rimettendosi rapidamente in piedi.

“Non mi riconosci?” ridacchiò l’altro biondo, scuotendo la testa. “Ci siamo già incontrati anni fa, sotto le Cascate della Verità. Hai la memoria corta?”

Il Nukenin serrò i denti, una miriade di ricordi che presero ad investirlo rapidamente alla menzione di quell’evento. “La mia Luce,” sibilò fastidiosamente. “L’altra parte della mia anima. Come diavolo è possibile?”

Il secondo Boruto sorrise. “Riflettici, se io sono la nostra Luce, che cosa sei tu?” gli chiese lentamente.

Boruto esitò, assottigliando gli occhi. “Dovrei essere la nostra Oscurità?”

“Bingo!” esclamò quello, alzando un pollice all’insù e annuendo come un idiota. “Risposta corretta! Finalmente, per di più! Era ora, insomma. Per essere quello più intelligente dei due, certo che sai essere molto lento a dedurre la realtà dei fatti, mio caro me stesso.”

Il guerriero serrò i denti con rabbia. “Mi rifiuto di crederlo!” ruggì, alzando lo sguardo verso il buio che li circondava, rivolgendosi alla voce. “Io non sono un essere dell’Oscurità! E questo idiota che mi assomiglia non può di certo essere parte di me!”

“Ehi, così ti offendi da solo, sai?”

“Non puoi negare quello che sei,” disse la voce, lenta e pacata. “Che ti piaccia o meno, la consapevolezza di sé è qualcosa che non si ottiene sempre con gioia. Non a tutti piace scoprire ciò che si è veramente.”

Boruto ringhiò come un animale. “Io sono sempre stato consapevole di ciò che sono! È per questo che sono riuscito ad attivare il Potere del Risveglio su Eldia, ricordi?” ribatté a gran voce.

“No, non è andata così,” la voce del suo alter ego lo fece trasalire. Lo stava osservando seriamente, con il suo stesso sguardo accigliato e solenne. “Sei riuscito ad attivare i manufatti solamente perché ti sei ricordato quello che eri. Quello che sei sempre stato prima di giungere ad Eldia. Sono stati i nostri amici a fartelo ricordare, ma adesso non è più così. Non sei più la stessa persona che eri una volta. Tu – o dovrei dire Noi – siamo cambiati dopo essere giunti sul mondo di Mikasa. E in fondo al tuo cuore, lo sai anche tu.”

Il Nukenin ridusse gli occhi a due fessure.

La sua Luce lo guardò con un sorriso sommesso. “Che cos’è che desideriamo, fratello?” gli chiese, come se stesse rivolgendo a sé stesso una domanda di cui conosceva già la risposta. “Cos’è che abbiamo scoperto di volere durante la nostra ultima battaglia?”

Boruto esitò, incerto su cosa pensare. Poi, di colpo, i suoi occhi si sgranarono. Scosse la testa. “No!” sibilò.

La sua Luce annuì. “Sì, invece.”

“Ho detto di no!” ruggì feralmente Boruto. “Mi rifiuto anche solo di concepirlo! Non puoi seriamente pensare una cosa del genere!”

“Io non ho pensato proprio niente,” ribatté l’altro. “Sei stato tu ad arrivarci da solo.”

Il guerriero contrasse la sua espressione in un ringhio più animalesco che umano, stizzito, iniziando a serrare i pugni con forza. Sentiva il dolore nel suo petto ricominciare a dolere con prepotenza. “Mi rifiuto di credere a quello che stai insinuando. Se sei veramente parte della mia anima, allora dovresti saperlo anche tu. Non c’ è perdono nel mio cuore per quei due mostri che ci hanno generato. E mai ce ne sarà. Non posso perdonarli, né ora né mai.”

“Ne sei davvero certo?” domandò la Luce, sorridendo con ironia e sapienza.

“Mi prendi in giro, idiota? Hai forse dimenticato quello che abbiamo passato a causa loro? Quei bastardi ci hanno trattato come mostri, e adesso pretendono di volerci bene? Non farmi ridere!” dichiarò solennemente, come un capitano inflessibile dinanzi ad un suo sottoposto.

La sua Luce scosse la testa. “Ma anche tu hai dovuto ammettere che Naruto e Hinata non sono malvagi,” lo contraddisse seriamente, facendolo irrigidire. “Ammettilo. Abbiamo visto entrambi che quei due non sono cattivi. Non lo sono mai stati. Hanno sempre cercato di avvicinarsi a noi durante la nostra missione, e non si sono mai arresi fino alla fine. Loro due ci vogliono bene, fratello. Così come ci vogliono bene i nostri genitori.” Il Nukenin fece per parlare, ma l’altro lo incalzò immediatamente. “E lo sai anche tu, in fondo al tuo cuore, anche se non riesci ad ammetterlo. Tu, io… noi due siamo una cosa sola… ed entrambi desideriamo la stessa cosa. Desideriamo ritornare ad amarli.”

“No!” sputò velenosamente Boruto, incapace di accettarlo.

La Luce snudò a sua volta le labbra in un ringhio. “Smettila di essere così testardo!” urlò furiosamente. “Ammettilo una buona volta! Anche noi vogliamo bene a quei due! Anche noi li amiamo! È per questo che hai deciso di rivelare la tua storia a Naruto dopo il vostro scontro! È per questo che non sei riuscito ad allontanare Hinata quella notte in cui hai parlato con lei! Perché hai scoperto di volergli ancora bene! Persino l’Eremita delle Sei Vie è riuscito a capirlo prima di te! Noi due li amiamo, esattamente come ci amano anche loro.”

“E guarda dove ci ha portato il loro amore!” gridò ferocemente di rimando il biondo. “Smettila di vivere nel mondo dei sogni! Quei due ci hanno rovinato la vita! Ci hanno ucciso! È a causa loro che abbiamo continuato a soffrire per tutta la nostra esistenza! Mi rifiuto di pensare che qualcosa dentro di me voglia dare loro una seconda possibilità!” Il suo sguardo e la sua espressione si fecero gelidi e taglienti come una lama. “Anche se questo qualcosa è una parte della mia stessa anima,” dichiarò freddamente.

Lo sguardo del suo gemello si fece esitante e confuso, ricolmo di stupore. “Preferiresti rinnegare una parte della tua anima pur di non ammettere la realtà?” sussurrò la Luce, scioccata. “Preferiresti rinnegare me?”

“Vogliamo scommettere?” confermò quello, ghignando e snudando i denti. “Io non sono te, fratello. Forse lo sarei stato un tempo, se le cose fossero andate diversamente, ma così non è stato. Mi spiace deluderti.”

La sua Luce, per tutta risposta, sorrise misteriosamente. “Lo vedremo,” disse infine. “Anche se al momento sei tu quello in controllo dei due, un giorno le cose potrebbero cambiare. E allora… allora finalmente capirai ciò che risiede veramente nel tuo cuore, ed inizierai a smettere di lamentarti della tua vita.”

Boruto lo guardò con disprezzo. “Non mi sono mai lamentato della mia vita. Anzi… a differenza tua, dopo essere stato abbandonato, io ho deciso di farmene una ragione ed andare avanti. Ho provato a seguire una nuova strada. Non mi stupisce che sia io quello attualmente in controllo. Tra i due, io sono decisamente più forte di te.”

La Luce sorrise, anche se la sua espressione tradì un velo di tristezza all’udire quelle parole. Sembrava deluso. Essere insultati da sé stesso non doveva essere piacevole, in fondo. “Lo vedremo,” si limitò a ripetere, prima di dissolversi nel nulla in mille sfere luccicanti simili a lucciole che presero a fluttuare all’aria. Poi, in meno di un battito di ciglia, esse scomparvero tutte come se non fossero mai state lì.

Boruto osservò il punto in cui si era trovato il suo gemello per altri due secondi, prima di alzare lo sguardo e riprendere a rivolgersi alla voce di prima. “Adesso che cosa hai intenzione di fare, misteriosa signora?” domandò ad alta voce, guardandosi a destra e sinistra. “Questo incontro non è andato come speravi, presumo?”

Passarono due secondi di silenzio. “No, di certo,” ammise lei, come se fosse pensierosa. “Ancora una volta, devo ammettere che sei riuscito a stupirmi, piccolo Campione. Ma la mia decisione ormai è presa. Ti aiuterò a tornare nel tuo mondo, anche se al momento ti ritrovi incapace di accettare quello che sei realmente.”

“Quindi mi concederai il Potere di cui accennavi prima?” domandò, inarcando un sopracciglio.

Il Potere è già dentro di te, ma è ancora incompleto,” disse lei. “C’è qualcos’altro che risiede ancora nella tua Oscurità.”

Il biondo esitò, incerto su cosa pensare di tutta quella faccenda. Come poteva esserci qualcos’altro dentro di lui, oltre che alla sua fantomatica Luce? Non ci stava capendo nulla di tutto quel discorso. Immerso nei suoi pensieri, mentre si guardava intorno, notò immediatamente che la piattaforma su cui poggiava i piedi si stava crepando improvvisamente, sgretolandosi e rompendosi sempre di più. L’oscurità attorno a lui si stava facendo più densa. “Uh… ti spiacerebbe darmi una mano?” esalò nervosamente.

Ma le sue parole non fecero nulla per impedire che la piattaforma si spezzasse dopo un solo istante. Boruto cadde nel vuoto e nel buio, urlando per il terrore, mentre la voce nelle sue orecchie lo cullava dolcemente.

“Non temere, al momento questo non è altro che un brutto sogno…”
 


.

.

.

COSÌ TANTO DA FARE…
COSÌ POCO TEMPO.


.

.

FAI CON CALMA,
NON AVERE PAURA.


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NON TEMERE,
VIENI AVANTI.


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.
 


Boruto riaprì gli occhi, senza realmente sapere quand’era stato che li aveva chiusi. Si ritrovò in mezzo ad una strana isola circondata dal mare, osservandosi attorno con circospezione. Grandi cespugli lo fiancheggiavano da ogni lato, splendidi fiori adornavano il prato su cui poggiava i piedi, ed enormi alberi da frutto offrivano riparo ed ombra da un sole caldo e accecante come un faro. Vedendo ciò, il biondo sorrise. Mentre si trovava in quel luogo surreale, qualcosa nella sua mente lo stava facendo sentire a proprio agio. Lo stava facendo sentire in pace.

Fu quando si rialzò dall’erba su cui era disteso che notò il resto del suo corpo. I suoi vestiti erano cambiati, mutandosi in una lunga cappa oscura e un grosso mantello nero che gli celava tutto il corpo. Sotto, indossava una maglia nera e dei pantaloni scuri come la notte, mentre sulla sua fronte, il suo vecchio coprifronte sfregiato era apparso misteriosamente dal nulla, legato saldamente. I suoi occhi si sgranarono. Lui conosceva questi abiti. Era la divisa dell’Organizzazione Kara.

“Che cosa è successo ai miei abiti?” esclamò, scioccato, osservando il proprio abbigliamento con un misto di affetto e nostalgia.

La voce gli rispose subito“I vestiti che indossavi nell’ultima battaglia erano troppo rovinati, per cui ho preso quelli che indossavi solitamente nel tuo mondo. Non vorrei che il nostro Campione possa camminare vestito di stracci, in fondo. Ma per adesso… dovresti voltarti. Ci sono alcune cose che dobbiamo scoprire insieme.”

Il ragazzo fece come gli era stato detto e trovò alcune figure familiari mentre si muoveva in avanti, camminando verso la spiaggia. Edifici e capanne di legno, principalmente, ma la vista di un gigantesco drago etereo lo fece trasalire, lasciandolo a bocca aperta. Lui aveva già visto quel drago. Era la forma della sua Volontà di Fuoco. Il Potere che aveva usato per sconfiggere Vrangr. “C-Che cosa diavolo significa?” esalò, senza fiato, osservando l’immenso rettile azzurro che torreggiava sopra di lui, intento a fissarlo con occhi elettrici e fosforescenti. “Non dirmi che sai parlare anche tu?”

Ancora una volta, gli fu risposto in un modo che non si aspettava. “Che cosa temi di più?” domandò il drago, la sua voce elettrica e sottile.

“C-Cosa?” chiese Boruto, confuso, mentre si guardava intorno in cerca di risposte.

“Che cosa temi di più?” ripeté il drago etereo, impassibile. Prima che potesse rispondere, una seconda figura apparve dinanzi al Nukenin all’improvviso. Un uomo alto, con una lunga chioma di capelli biondi, una cappa bianca con fiamme rosse ricamate sui bordi, ed un cappello da Hokage in testa. “Che cosa temi di più?” domandò Minato Namikaze.

“Capisco…” disse il giovane, osservandosi attorno mentre comprendeva sempre più che quella era solo una specie di illusione incredibilmente dettagliata. “Credo che sia sentirmi debole. Essere incapace di fare quello che voglio, e di non poter difendere le persone a cui tengo davvero. Ho paura di essere… impotente.”

L’apparizione successiva fu un altro volto familiare. Una donna dai capelli rossi come il sangue, occhi grigi come il metallo ed uno sguardo serio e determinato. “Qual è la cosa più importante per te?” domandò Kushina Uzumaki.

Mettendosi una mano sotto al mento e massaggiandoselo con l’indice e il pollice, il Nukenin si prese un secondo per pensare. “Difendere e restare assieme alla mia famiglia,” rispose, accigliandosi al solo pensiero di non poter essere in grado di riunirsi con i volti delle persone che amava di più. I suoi inseparabili compagni di vita.

“Cosa vuoi dalla vita?” chiese il suo drago etereo, incombendo su di lui.

“Non ne sono più sicuro, a questo punto,” borbottò ironicamente lui.

Le tre figure dinanzi a lui scomparvero all’improvviso. “Temi di non essere in grado di cambiare il tuo Destino, desideri restare sempre unito con le persone che ami, e il tuo futuro è ancora incerto…” riprese a parlare la stessa voce di prima, solenne e melodica come una musica. Quelle parole echeggiarono sommessamente per tutta l’isola. “Il Potere che hai ottenuto ti permetterà di ritagliare il tuo percorso, modellandolo con le tue scelte. È nato dalla forma del tuo cuore, assumendo le sembianze di drago, e sarà l’unico mezzo con cui sarai in grado di combattere contro coloro che incombono sul tuo cammino.”

Boruto alzò lo sguardo verso il cielo, gli occhi sgranati. “V-Vuoi dire che il Potere che mi hai concesso è lo stesso degli artefatti? Ho ottenuto il Potere del Risveglio?” domandò, sconvolto.

La voce rise. “Dopo esserti sacrificato per uccidere il drago, il Potere del Risveglio è scomparso assieme a te. Gli artefatti sono andati distrutti, ma la loro energia si è fusa con la tua anima. Per cui, in un certo senso, adesso sei tu il nuovo Portatore del Potere,” spiegò, suonando sempre più divertita mano a mano che l’espressione del biondo si riempiva di stupore.

“Questo… non me l’aspettavo,” ammise il guerriero, sospirando pesantemente. Si passò una mano nei capelli dorati. “Ma ti ringrazio per avermi aiutato ad ottenerlo,” disse semplicemente, senza emozione.

“Non ringraziarmi ancora. Piuttosto, guarda alla tua destra,” ridacchiò lei, le sue parole simili a musica.

Boruto voltò la testa verso destra, inarcando un sopracciglio, ma i suoi occhi notarono immediatamente l’oggetto conficcato nel terreno sabbioso a pochi metri da lui. Un sorriso pieno di emozione gli contornò le labbra appena lo riconobbe. “La mia spada!” esclamò, correndo verso di essa e rimuovendola dal terreno. La osservò con attenzione mentre la librava in aria, ricordando con affetto il giorno in cui il suo maestro gliela aveva regalata, molti anni prima. Era ironico pensare che era stato proprio con quella stessa arma che aveva ucciso il drago, alla fine. “Pensavo fosse andata distrutta,” disse con sollievo.

Se la legò saldamente dietro la schiena, celandola sotto la sua cappa oscura.

È un’arma creata per darti la forza di coloro che credono in te,” spiegò lentamente la voce. “Ma ricorda, devi usarli con saggezza, sia la spada che il tuo Potere. Ci sono molti che meriterebbero di essere uccisi da essi, ma sono curiosa di vedere cosa ne farai. La tua mano era ferma durante lo scontro con il Divoratore di Mondi. Sapevi che non c’era modo di aggirarlo. E per questo, sei riuscito a sconfiggerlo. Eppure, qualcosa di più profondo della tua natura ti impedisce di soccombere all’Oscurità come è successo a quella creatura.”

Il ragazzo si guardò attorno coi suoi occhi eterocromi. “Che cosa stai dicendo?” domandò, incapace di comprendere.

La voce sembrò sussurrargli nelle orecchie, facendolo rabbrividire. “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, piccolo mio,” disse lentamente. Un soffio di vento caldo vibrò nell’aria, facendo ondeggiare il mantello e i capelli del biondo. “E dove si annida il potere, crescendo sempre di più… spesso accadono brutte cose. Non dimenticarlo mai.”

Lui annuì, esitante, cercando di assimilare quei suggerimenti al meglio. “È una buona cosa che un mostro come Orochimaru non sia mai entrato in possesso di un Potere simile,” ammise alla fine, iniziando a comprendere ciò che la voce stava cercando di fargli capire. Boruto era già molto potente di per sé. Lo era sempre stato, sin da prima di giungere a Eldia, e adesso aveva ottenuto una nuova arma devastante nel suo arsenale. Troppo potere avrebbe potuto dargli alla testa, com’era successo con Orochimaru. O con Madara. O persino con Obito. Doveva essere cauto.

“Quel cercatore di potere corrotto non è nulla in confronto a ciò che tu puoi diventare,” gli disse lei, sorprendendolo per come suonasse stranamente più fredda e insensibile del solito. “Lui ha corrotto così tante vite, ha creato innumerevoli bambini che vivono nell’Oscurità, e ha osato persino provare a rovinarti la vita. Eppure, non è lui quello che ti ha ferito di più…”

Poi, prima che il giovane potesse aprire bocca, tutto ciò che lo circondava scomparve nel nulla, e la sua visione piombò nel buio più totale.

Boruto trattenne il respiro.
 


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PIÙ TI AVVICINI ALLA LUCE
PIÙ GRANDE DIVENTA LA TUA OMBRA.

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Il ragazzo rimase a bocca aperta. In meno di un battito di ciglia, il paesaggio attorno a lui era cambiato ancora una volta in maniera incomprensibile. Si trovava letteralmente all’interno di alcune gigantesche nuvole dorate, talmente grosse e dense da riuscire a riempire tutto lo spazio che lo circondava, per chilometri e chilometri, fino ad oltre l’orizzonte. Era come trovarsi in cielo, sospeso in mezzo alle nubi. Uno spettacolo mozzafiato. Boruto osservò il paesaggio con uno sguardo allibito, meravigliandosi della bellezza del luogo in cui si trovava. Eppure, senza riuscire a comprenderlo, qualcosa dentro alla sua testa gli stava facendo avere una sensazione di déjà-vu. Si sentiva come se, in qualche strano e irrazionale modo, lui fosse già stato in quel posto. Anche se non riusciva a ricordarselo.

Sentì il suono di passi che risuonava dietro di lui. “Chi è là?” domandò, voltandosi di scatto. Si trovò faccia a faccia con… una figura indescrivibile. Una donna, senza ombra di dubbio, con una lunga chioma di capelli dorati e luminosi come il sole. Indossava una splendente veste bianca, ed un sorriso ricolmo di dolcezza e affetto le incurvava le labbra, anche se i suoi occhi erano celati alla vista dai suoi capelli. Attorno a lei, un’indescrivibile aura di pace e benevolenza pura sembrava irradiarsi dalla sua stessa presenza, talmente pesante da essere percepibile anche ad occhio nudo. Stava camminando lentamente verso di lui, le mani unite assieme ed il suo sorriso raggiante come l’alba.

“C-Chi sei tu?” domandò il ragazzo, completamente sconvolto.

La misteriosa figura sorrise dolcemente. “Immaginavo che non mi avresti riconosciuta,” disse con una voce soave e piacevole. “Eri così piccolo quando venni a farti visita l’ultima volta. Non mi stupisce che non riesci a ricordarti di me, Boruto.” Il guerriero sgranò gli occhi. “Permettimi di presentarmi allora, piccolo mio,” disse subito dopo la misteriosa figura, accarezzandogli il volto con una mano“Il mio nome è Hikari, e sono la guardiana della tua anima.”

“Tu sei…” il Nukenin sentì le parole morirgli in gola. “…sei la voce che mi ha aiutato per tutto questo tempo. Sei stata tu.” Il suo volto era congelato dalla confusione e dallo stupore mentre la osservava con gli occhi sgranati, sentendo il proprio cuore sciogliersi al contatto della sua guancia con la mano della donna.

Lei annuì, il suo sorriso sempre più largo. “Finalmente ci rincontriamo, Boruto. Anche se immagino che questa mia forma possa farti sentire a disagio,” sussurrò. “Perciò, lascia che ti mostri il mio vero aspetto.”

Prima che l’altro potesse aprire bocca, in meno di un battito di ciglia, la figura dinanzi a lui venne improvvisamente rivestita da un’aura accecante di luce, per poi essere completamente trasfigurata subito dopo. E poi, quando la luce si dissolse, la donna che Boruto si ritrovò davanti era estremamente diversa dalla prima. Era diventata più alta, mentre i suoi lunghi capelli dorati erano diventati corti e spigolosi, di un colore azzurro acquoso come il mare. Il suo volto invece era rimasto praticamente invariato, se non per dei profondi e bellissimi occhi blu molto simili ai suoi, ricolmi di affetto e gioia. Indossava uno strano abito nero e bianco con delle fasce azzurre che le pendevano dai fianchi, assieme a delle calze nere e delle scarpe a punta argentate. “Questa è la mia forma originale. Mi dispiace di non aver potuto mostrarmi a te in questa forma durante il nostro primo incontro, anni fa.”

Boruto rimase di sasso. “V-Vuoi dire che ci siamo già incontrati in passato?” esalò lui, incredulo. “Non credo che avrei potuto dimenticarmi un incontro simile.”

Hikari rise, un suono allegro e soave che gli fece sobbalzare il cuore istintivamente. Era… bellissimo. Non c’era altro modo per descriverlo. “Oh, eri solo un bambino l’ultima volta che ci siamo visti,” spiegò dolcemente lei. “E poi, al tempo riuscii a comunicare con te solamente tramite un sogno. Adesso le cose sono diverse. Grazie al mio intervento, sei finalmente giunto al mio cospetto, questa volta per davvero.”

Il giovane Uzumaki si osservò attorno, facendo un passo indietro. “Cosa mi hai fatto?” domandò, i suoi occhi che guizzavano in tutte le direzioni per guardare con meraviglia lo spazio incontaminato di nuvole che li circondava.

“Oh cielo, questo non sarà semplice da spiegare,” iniziò a dire lei, richiudendo ancora una volta la distanza che li separava. “Vedi, nell’ultima battaglia che hai affrontato, tu non sei sopravvissuto. Non temere, però, perché come hai già visto, non sei morto. Tuttavia, tecnicamente lo sei stato… per diverso tempo, in realtà. Il tuo corpo era stato distrutto, ma non il tuo spirito. Ho dovuto lavorare per molto tempo per riuscire a rimetterli insieme. Riunire i pezzi frammentati del tuo cuore è stata la parte più difficile, sai.”

Boruto sbiancò, divenendo pallido come se fosse afflitto da febbre. “Q-Quindi, la piattaforma dove ci trovavamo prima…”

“Esatto. Quello era il tuo cuore,” spiegò lei, afferrandogli le mani con le sue e facendolo arrossire. “A proposito… come ti senti adesso? Il tuo corpo prova ancora dolore?”

All’udire quella domanda, il ninja traditore si diede un’occhiata generale ed emise un respiro che non sapeva di aver trattenuto. “Hai fatto un ottimo lavoro,” fletté le spalle, toccandosi il petto nel punto sopra il cuore. “In effetti, non mi sono mai sentito così bene prima d’ora. Non sento più alcun dolore al petto, e la ferita che avevo sul cuore è sparita.”

La donna ridacchiò. “Mi fa piacere sentirlo. Ho fatto del mio meglio per curare il tuo corpo devastato dalla battaglia e ripristinarlo nelle condizioni di prima, ma non saresti sopravvissuto nel Reame dei viventi in quelle condizioni in cui eri ridotto. Per questo ti ho portato qui.”

Boruto si guardò attorno, osservando lo spazio che lo circondava con attenzione. “Qui… dove? Dove siamo precisamente?” domandò.

“In questo momento, io e te ci troviamo in una dimensione particolare. Una dimensione a cui solo le anime dei defunti possono accedere normalmente. Il Mondo Finale,” rispose.

“Il Mondo Finale?” ripeté quello, confuso oltre ogni misura.

Hikari annuì. “Consideralo una specie di Limbo,” disse con un sorriso rassicurante. È il mondo che sta al confine con la Terra dei Defunti, il luogo dove vanno le anime di coloro che perdono la vita nella dimensione reale. Oltre questo Limbo, c’è solo la morte.” Se prima il giovane era confuso, quella dichiarazione lo atterrì non poco. Vedendo il suo terrore, la donna dai capelli azzurri gli accarezzò la guancia. “Ma non temere, non correrai nessun pericolo se resterai accanto a me. Come ti ho già detto, ti ho strappato alle grinfie della morte diverso tempo fa. Non sei ancora veramente morto.”

Boruto si riscosse dallo sconvolgimento. Com’era possibile una cosa del genere? Come poteva aver fatto quella donna a riportarlo indietro se era morto durante la battaglia? Una cosa del genere non era possibile, e lui lo sapeva. Cosa stava succedendo? Perché lo aveva riportato indietro? Come aveva fatto? E soprattutto…

…chi era veramente questa Hikari?

“Hikari… Hikari significa Luce,” sussurrò Boruto, ragionando furiosamente con la mente. Fissò la donna coi suoi occhi eterocromi aggrottati per il sospetto. “Tu sei… un Dio? Sei la Divinità della Luce?” domandò, cauto e incerto.

La donna ridacchiò, portandosi una mano davanti la bocca. “Immaginavo che lo avresti pensato,” disse. Un tempo sono stata molte cose e ho avuto diversi nomi. Sono stata una semplice donna. Sono stata una combattente. Sono stata una maestra. Sono stata una maga. Ma adesso, adesso la gente crede che io sia una forza della natura, oppure una divinità. Ma io non sono né l’una né l’altra. Sono solo un’entità divisa in due ed ormai priva di potere, il cui unico scopo è guidare i suoi figli lungo la strada della Luce. Sono la loro Guardiana. Però… credo che tu possa considerarmi una specie di Dea, se la cosa ti è più semplice.”

Boruto la osservò senza battere ciglio, stravolto dallo stupore, la sua mente che tentava invano di concepire e assimilare quella realizzazione così sconvolgente e soverchiante. Scosse la testa all’improvviso, sospirando con esasperazione. “Ok, ok, sto impazzendo, ho capito. Lo sapevo che dovevo dare retta a Mikasa quando mi diceva che sarei finito per uscire pazzo per via degli allenamenti…” sussurrò, passandosi una mano sul volto.

“È la verità, piccolo mio, non sei impazzito. Anche se ammetto che potrebbe essere una notizia sconvolgente per un giovane essere umano,” lo corresse lei.

Il Nukenin la osservò con attenzione. “Ma se tutto questo è vero… allora perché?” domandò, incapace di capire. “Perché mi hai riportato indietro? Perché mi stai aiutando a… a rimettermi tutto d’un pezzo? Io dovrei essere morto, in fondo. Perché lo stai facendo?”

Per tutta risposta, la donna lo avvolse inaspettatamente tra le sue braccia, stringendolo in un abbraccio improvviso. Il biondo sentì il suo cuore esplodere per l’emozione e le sue guance farsi paonazze per l’imbarazzo. “Non te l’ho detto? Tu sei il Campione più strano che io ho mai visto fino ad ora,” rispose lei, sussurrandogli nell’orecchio senza mai mollarlo dalla sua presa“Non voglio veder finire la tua storia così precocemente. C’è così tanto che puoi ancora ottenere e generare nel tuo mondo. Io voglio solo darti la possibilità di farlo.”

Boruto scivolò lentamente via dall’abbraccio, ancora paonazzo. La sua espressione imbarazzata fece ridacchiare Hikari con divertimento. “S-Solo perché sono un Campione?” chiese ancora, incerto. “Ma non ha senso. Tu stessa e quella mia… copia, diciamo, avete detto che io sono un essere dell’Oscurità. Se tu sei veramente la Guardiana della Luce… allora perché fare questo? Perché aiutare me?”

Il sorriso di Hikari si fece più sottile, più tirato“Hai ragione,” ammise lentamente, distogliendo lo sguardo dal suo volto. “Per quanto mi dolga ammetterlo… tu non sei uno dei miei seguaci. Non sei un Campione della Luce. Tu… Tu sei stato scelto dal buio. Sei il Campione dell’Oscurità.”

Il Nukenin trasalì fisicamente. “Ma che cosa significa essere un Campione?” domandò.

La Guardiana si sedette sopra le nuvole, voltando la testa verso un punto imprecisato del cielo. “Un Campione è colui che possiede dentro di sé un’anima antica,” spiegò lentamente, la sua voce melodica come una musica soave. “L’anima più forte che esiste nel suo mondo, in realtà. Devi sapere, piccolo, che ogni singolo mondo che esiste nell’universo possiede al suo interno due Campioni. Uno scelto dalla Luce, ed uno scelto dall’Oscurità. Questi due Campioni vengono scelti di generazione in generazione, ma talvolta le cose possono variare, e sono loro due a reggere l’equilibrio e la salvaguardia di ogni singolo mondo. Senza di uno, l’altro non può esistere. È una legge universale, che esiste sin dall’alba dei tempi. E se uno dei due Campioni muore… col tempo un altro lo sostituirà a sua volta, e così via. Fino alla fine dell’universo.”

Boruto abbassò lo sguardo, osservandosi la mano destra ed il suo Marchio impresso su di essa. “Quindi… io sarei uno dei due Campioni della Terra?” chiese, ancora incredulo.

Hikari annuì. “Esatto. Il Campione dell’Oscurità.”

Il biondo rimase in silenzio per diversi secondi, gli occhi sgranati e vacui, incapace di parlare. “C-Chi è stato il precedente Campione prima di me?” riuscì a chiedere alla fine.

Hikari abbassò la testa verso terra, le sue labbra diventate una linea sottile. “Il precedente Campione dell’Oscurità nel tuo mondo… si chiamava Madara Uchiha,” rivelò seriamente. “Lui era il tuo predecessore.”

Boruto trattenne il fiato. Madara Uchiha? Il vero Madara Uchiha? L’uomo più malvagio, crudele, infamato, e pericoloso che aveva mai messo piede nel loro mondo? L’uomo che l’intera storia degli Shinobi ricordava ancora con terrore e disprezzo, come se fosse stato un incubo per tutti coloro che lo avevano visto? Uno dei due cofondatori della Foglia? L’artefice della Quarta Guerra Mondiale? Era lui il suo predecessore?

Non riusciva a crederci.

“A-Allora,” la voce del ragazzo divenne terrorizzata e piena di dolore a quel punto. “Il mio Destino è quello di finire come lui? V-Verrò ricordato per sempre come una calamità per tutto il genere umano? Sarò costretto a diventare un mostro solo perché sono il suo successore?”

Con suo sommo stupore, prima che potesse battere ciglio, Hikari lo abbracciò di nuovo. Boruto trattenne il fiato, sconvolto, mentre il suo cuore si scioglieva ancora una volta mentre veniva abbracciato dalla donna. Sentì la sua mente diventare improvvisamente leggera, come se tutto il timore, tutto l’orrore, e tutto lo sconvolgimento che aveva provato prima fossero improvvisamente spazzati via dalla sua presenza. “No, piccolo mio, no,” lo rassicurò dolcemente Hikari, passandogli una mano sulla schiena per tentare di confortarlo. “Non è così che sei destinato a finire. Solo tu puoi scegliere quello che farai, e come lo farai. Nessun altro può farlo, a parte te. Ciò che genererai nel mondo puoi deciderlo solo tu.”

Boruto sentì un’ondata di sollievo inondarlo come un fiume in piena.

“Tuttavia,” la voce della donna riprese a parlare subito dopo. “Un Campione non passa mai inosservato nel suo mondo. La sua stessa presenza, di solito, genera sempre degli avvenimenti unici. Dei cambiamenti che nessuno può evitare. Così come sta succedendo con te, sin da quando hai deciso di lottare per portare la Guerra nel tuo mondo.”

L’Uzumaki sgranò gli occhi.

Hikari sciolse l’abbraccio, dandogli un bacio sulla fronte e facendolo arrossire prepotentemente. “La tua presenza sta cambiando la Terra, piccolo mio. Ma l’esito di questo cambiamento… solo il tempo e le tue azioni potranno rivelartelo.”

Passarono due secondi di silenzio. Poi, lentamente, Boruto annuì con la testa, accettando le informazioni in silenzio. “C-Capisco,” esalò lentamente. “Ma se io sono il Campione dell’Oscurità… allora chi è quello della Luce? Chi è il tuo Campione?”

L’espressione della donna divenne insondabile. Il suo sorriso, seppur luminoso, divenne strano. “Credo che tu conosca già la riposta a questa domanda. Il mio Campione sulla Terra è una persona che, proprio come te, ha cambiato il mondo con la sua esistenza. Una persona che tu conosci molto bene.”

Boruto esitò, inarcando un sopracciglio per la confusione. Poi, appena la sua mente prese a ragionare con più lucidità, i suoi occhi si sgranarono a dismisura e il ragazzo percepì – poteva quasi giurarlo – che il suo cuore smise di battere per diversi secondi. Perché la realizzazione che lo folgorò in quel momento gli tolse letteralmente tutto il fiato dai polmoni. Il Campione della Luce era sempre stata una persona che lui aveva conosciuto sin da sempre. Una persona che lui, ancora oggi, sapeva di non poter sconfiggere in nessun modo.

Non poteva essere.

Hikari annuì. “Esattamente, mio piccolo Boruto. Il Campione della Luce… è tuo padre.”

Il giovane abbassò lo sguardo. “Lui…” esalò, serrando i pugni con una ferocia smisurata. “Avrei dovuto immaginarmelo.” La donna luminosa lo guardò con un misto di compassione e affetto, senza proferire parola. Boruto fece un respiro profondo, cercando di calmare la sua crescente rabbia nei confronti dell’uomo che un tempo aveva chiamato padre, prima di rivolgersi nuovamente alla Dea. “Hai detto che sono il Campione dell’Oscurità. Ma se tu sei la divinità della Luce, e non sei stata tu a scegliermi, allora… chi mi ha scelto come Campione?” le chiese seriamente.

Lei sospirò. Per la prima volta da quando l’aveva vista, Boruto poté giurare che la sua espressione divenne quasi… triste. Sembrò appassire, persino. “Tu appartieni all’Oscurità, e l’Oscurità non è governata da nessuno, se non da sé stessa. Tuttavia, colei che ti ha scelto e che ti ha reso un Campione… è mia sorella.

Boruto assottigliò gli occhi. “Tua sorella?”

“L’altra parte della mia anima,” rettificò la Guardiana, sospirando. “Devi sapere che io e lei, un tempo, eravamo una cosa sola. Una sola persona, una sola entità. Ma un giorno, a causa di una guerra scoppiata migliaia e migliaia di anni fa, finimmo per essere divise, diventando due entità separate e a sé stanti. Da allora, io e lei regniamo sopra le due Forze che reggono l’universo: la Luce e il Buio, guidando i nostri seguaci e proteggendoli come se fossero i nostri figli. Eppure, pur avendo lo stesso compito, io e lei non siamo più in buoni rapporti.”

“Perché no? Avete litigato?” domandò ironicamente Boruto, inarcando un sopracciglio.

Il sorriso di Hikari era pieno di rammarico quando lo guardò. “Oh, no. Io amo ancora con tutto il cuore mia sorella, ma lei è… cambiata, nel corso degli anni. È diventata più fredda, più crudele, più oscura. Essendo diventata un’entità di pura Oscurità, non ha potuto farci niente. E per questo motivo lei mi detesta, per quanto questa cosa mi faccia soffrire sin dall’alba dei tempi. E detesta anche tutti coloro che nella loro vita decidono di perseguire il bene, la generosità, e il calore. In sostanza, mia sorella odia la Luce, e tutti i suoi seguaci,” spiegò con tristezza.

Boruto assimilò le informazioni in silenzio, senza proferire parola. Una Guardiana della Luce, ed una dell’Oscurità. Due entità divise e costituzionalmente opposte. “Questo suo odio nei miei confronti ha portato alla nascita della discrepanza tra Luce e Ombra,” continuò a spiegare la donna, lentamente“I seguaci dell’Oscurità rigettano a loro volta la Luce, e con essa anche tutti i suoi seguaci. Per cui, spesso i miei figli e i suoi figli finiscono per combattersi a vicenda, inevitabilmente. Sempre, ovunque, e comunque; senza eccezione.”

Il Nukenin sgranò gli occhi appena realizzò le implicazioni di quell’affermazione. Fece istintivamente un passo indietro, allontanandosi da Hikari. “Dunque io e te siamo nemici,” dedusse seriamente, fissandola coi suoi occhi aggrottati. Appena realizzò quella cosa, inconsciamente, la sua mano si mosse per afferrare istintivamente l’elsa della sua spada. “Ma allora… perché mi stai aiutando? Stai forse tramando qualcosa?”

Hikari scosse la testa, per nulla turbata dalla sua diffidenza. “Niente affatto, piccolo mio. A differenza di mia sorella, io non odio l’Oscurità, né tantomeno coloro che decidono di perseguirla al posto della mia Luce. Ogni creatura nell’universo ha il diritto di essere libera e di scegliere la strada che più le aggrada, sia essa la Luce oppure l’Oscurità. Nemmeno io posso impedirlo, per cui l’ho accettato sin da subito.” Poi però il suo sguardo si fece rattristato, il suo sorriso ridotto ad una linea sottile. “Tu invece cosa ne pensi?” domandò a sua volta lei, la sua voce melodica contornata da una strana nota di – Boruto faticò a crederci – timore. “Adesso che sai la verità, adesso che sai di appartenere all’Oscurità, che cosa dice il tuo cuore? Mi… Mi odi anche tu, Boruto?”

Lui esitò, senza abbassare la guardia, osservando coi suoi occhi eterocromi l’intera figura della Guardiana dinanzi a sé, notando come il suo bellissimo viso ed i suoi occhi azzurri brillavano di apprensione. La sua mente tentò di ragionare, scandagliando ogni pensiero, ogni emozione, ogni sensazione, mentre la sua mano continuava a restare posata sull’elsa della sua spada legata dietro la schiena. Passarono diversi secondi di silenzio assoluto. Poi, lentamente, il guerriero si rilassò.

“Io non ti odio,” rispose, sospirando sommessamente e rilasciando la sua arma. “Ma… non posso dire di fidarmi completamente di te.”

In meno di un batter d’occhio, il ragazzo si ritrovò avvolto in un terzo abbraccio. Il sorriso che spuntò sulle labbra di Hikari era raggiante come il sole di mezzogiorno. “Avevo ragione su di te, piccolo mio. Sei davvero speciale. Ed è per questo che ho deciso di aiutarti,” esclamò lei.

Boruto rimase confuso. “Come sarebbe?”

“Tu sei speciale, Boruto. Pur essendo stato scelto dal Buio, pur essendo fatto costituzionalmente da Oscurità… tu continui ad aggrapparti alla Luce.” spiegò gioiosamente la donna, accarezzandogli il volto. “Nonostante tutto quello che hai passato, nonostante tutto il dolore che hai sperimentato e l’odio che risiede nel tuo cuore… tu hai scelto me. Ed è per questo che non posso abbandonarti al tuo Destino.”

Il ragazzo era estremamente perplesso. “Non-Non capisco a cosa ti riferisci…” fu tutto ciò che riuscì a dire.

Hikari lo guardò con amore, come una mamma guarda il proprio bambino dopo una marachella“Quando sei stato abbandonato dai tuoi genitori, tu stavi per cedere completamente all’odio e alla follia,” spiegò lentamente lei, il suo tono di voce ricolmo di una distinta nota di orgoglio. “Eppure, dopo tutto ciò che hai passato, tu hai comunque scelto di unirti alle persone che ti hanno mostrato la bellezza della vita. Nel momento in cui avevi deciso di abbandonare la tua esistenza maledetta, hai scelto di seguire l’unico barlume di Luce che ti era stato offerto in mezzo a quella terribile Oscurità. Hai scelto di seguire Mikasa, quella notte, per vedere se ci fosse ancora qualcosa per cui valesse la pena vivere, per cui valesse la pena combattere. Quella notte, piccolo mio, tu hai scelto la Luce invece che arrenderti all’Oscurità. Hai scelto me.”

Gli occhi del giovane erano sgranati a dismisura, la sua mente travolta da innumerevoli ricordi, pensieri, ed incertezze. Le memorie di quel giorno, quel fatidico e maledetto giorno che per tutti questi anni aveva continuato a tormentarlo incessantemente, gli ritornarono in testa tutte in una volta.

“Pur essendo un Campione dell’Oscurità, tu continui a seguire la Luce che ti è rimasta,” continuò Hikari, sempre più piena di emozione. “Nessun Campione ha mai fatto una cosa simile prima di te. Tu… Tu sei unico, Boruto Uzumaki. E il tuo essere così speciale mi… mi manda in estasi. Non mi era mai successa prima una cosa del genere.”

Boruto sentì una sensazione di timore azzannargli la bocca dello stomaco. “Ma questa cosa non spiega nulla,” ribatté seriamente, allontanandosi freneticamente da lei. “A-Anche se in passato io decisi di seguire l’unico barlume di speranza che Mikasa mi stava offrendo… questo non mi ha mai fatto dimenticare ciò che ho subìto. Io non ho mai perdonato l’Hokage e sua moglie, e non ho mai smesso di odiarli fino ad oggi. Per non parlare di tutto ciò che ho causato nel mio mondo.”

Hikari lo osservò in silenzio.

Boruto aveva ridotto gli occhi a due fessure, il suo Jougan che brillava di luce azzurra e fosforescente. “Io ho portato la guerra nel mio mondo,” dichiarò lentamente, la sua voce gelida e priva di emozione. “Ho distrutto ogni tipo di ‘pace’ che l’Hokage – il tuo stesso Campione – aveva generato. Ho ucciso innumerevoli persone, ho devastato Villaggi, ho manipolato la vita delle persone. Io sono un mostro, e l’ho sempre saputo.”

Ancora, la donna non disse niente.

“E la cosa che sembri aver dimenticato è che non me ne sono mai pentito,” disse solennemente il ragazzo, la sua espressione ferale. “E non me ne pentirò mai, perché sono ancora convinto che tutto ciò che faccio sia per portare nel mio mondo la vera Pace. Ogni morte, ogni dolore, ogni sofferenza e devastazione che ho causato e che causerò in futuro… è tutto in nome di questo. Della vera, unica e sola Pace.” La sua voce non mostrò mai una sola tinta di esitazione durante tutto quel discorso. “Per cui… dentro di me, forse ho sempre saputo di essere una persona cattiva. Un… Un seguace dell’Oscurità, come dici tu. Ma non me ne pento nemmeno adesso, e tu lo sai. E nonostante questo... tu mi stai dicendo che vuoi aiutarmi solo perché una volta ho scelto il bene? Solo perché quando ero a fondo della disperazione io ho scelto te?!”

Hikari sorrise, il suo volto amorevole e affettuoso come prima. “Esatto,” rispose semplicemente.

Boruto ghignò malvagiamente. “Non ci credo,” ribatté. “Dov’è il trucco? A cosa stai mirando, misteriosa Dea della Luce?”

“Stai dimenticando un semplice particolare, piccolo mio,” lo interruppe Hikari, ridacchiando con divertimento. “Anche se tutto quello che hai detto e fatto è vero, tu non hai mai abbandonato la tua Luce.”

Il ghigno scomparve improvvisamente dal suo volto. Boruto rimase a bocca aperta.

“Non hai mai abbandonato coloro che consideri la tua famiglia. Non hai mai voltato le spalle a coloro che ti hanno mostrato che la vita è degna e meritevole di essere vissuta. Questa lealtà nei confronti della Luce è ammirevole, pur nonostante le azioni discutibili che hai compiuto a causa e in difesa di essa. E per me… questo basta e avanza, Boruto,” dichiarò la donna, senza la minima esitazione. “Come ti ho già detto, io non odio l’Oscurità.”

L’Uzumaki non riusciva a credere a quelle parole, completamente allibito oltre ogni misura.

“E poi, il fatto che tu non riesca a perdonare i tuoi genitori non dipende interamente da te,” disse improvvisamente Hikari, sconvolgendolo ancora di più.

Boruto trasalì. “Che cosa?!”

La Guardiana della Luce sospirò. “Mia sorella ha caricato su di te un fardello pesantissimo,” gli spiegò, posando le mani sulle sue spalle“Ha settato il tuo Destino per renderlo arduo e crudele. Ha reso la tua esistenza piena di incertezze, dolore, e rabbia. È lei la causa per cui tu sei incapace di perdonare i tuoi genitori, e di accettare ciò che sei realmente.”

Boruto sentì il suo cuore riempirsi di feroce furia. “COME SAREBBE?!” urlò furiosamente.

“L’Oscurità nel tuo cuore è la più grande che io abbia mai visto in un mortale, eppure tu continui a rifiutare di lasciarle prendere il sopravvento,” continuò lei. “Ti sei mai chiesto perché possiedi quell’occhio, Boruto? Perché proprio tu, tra tutte le infinite razze che esistono nell’universo, sei l’unico che è riuscito a risvegliare il Jougan?”

Il biondo s’irrigidì all’udire quella domanda inaspettata, la sua mano che si mosse inconsciamente per coprirsi l’occhio destro sgranato. La sua mente era ricolma di sconvolgimento e confusione. “C-Cosa sta dicendo?!” pensò.

“Riflettici, piccolo mio. Prova a ripensare al tuo passato, a tutto ciò che ti è successo nel corso della vita. Perché possiedi il Jougan? Perché il tuo corpo si è rifiutato di assimilare l’Energia Naturale dopo che hai ricevuto il Sigillo Maledetto? Perché continui a rifiutare il vero te che risiede nel tuo cuore?”

Hikari strinse la presa che aveva sulle sue spalle, aprendo le labbra per parlare ancora. Ma non fece in tempo. Poiché, in quel preciso ed esatto momento, qualcosa accadde intorno a loro. L’aria tremolò e si distorse completamente, e all’improvviso e senza nessun avvertimento, un’oscura e vorticosa massa di energia nera avvampò alla vita in mezzo al cielo, sibilando nel vuoto e generando un ronzio sinistro e inquietante. Boruto e Hikari trasalirono e si voltarono di scatto, il primo con gli occhi sgranati e pieni di terrore, e la seconda con un’espressione contrita e triste in volto.

E da lì, in mezzo a quella massa ripugnante d’Oscurità e malvagità, una figura emerse lentamente dal vortice nero.

Hikari si raddrizzò solennemente. “Sapevo che saresti venuta,” disse, rammaricata. “Era da tempo che non ci vedevamo.”

La donna dai capelli bianchi così simile a lei le rivolse un ringhio ricolmo di furia e disprezzo.

Hikari sospirò. “Ben tornata, Yami.”
 


DESTATI!
È GIUNTA L’ORA!



 
DESTATI!
TENDI LA TUA MANO!

 
DESTATI!
LE PORTE VERRANNO SCHIUSE!
 
EH? COME? NON LO VUOI?
TUTTAVIA T’APPARTIENE!
CIÒ CHE HAI PERDUTO
DIVENTERÀ UNO SOLO!

 




 
“Allontanati da lui, maledetta feccia!” urlò ferocemente la donna appena arrivata, la sua espressione un cipiglio ferale, contorto e rabbioso. All’udire la sua voce, profonda e carica di odio e brama di morte, Boruto ebbe un brivido involontario, sgranando gli occhi. Accanto a lui, Hikari sembrò invece ritrarsi in sé stessa, come se quelle parole l’avessero ferita nel profondo.

“Sorella mia, non gli ho fatto niente…” sussurrò la Guardiana della Luce.

Un’ondata oscura e malevola venne prepotentemente emessa dal corpo di Yami, talmente malefica e oscura da far accapponare la pelle. Boruto trasalì e fece un passo indietro appena la vide schizzare ferocemente verso di loro, terrorizzato e incerto sul da farsi, mentre la Guardiana mosse con disinvoltura una mano, dissolvendo all’istante l’ondata come se non fosse mai esistita. Le due sorelle si osservarono a vicenda per diversi secondi senza proferire parola, due occhi ricolmi di rabbia e odio contro due occhi pieni di amore e tristezza. E mentre loro due si fissavano a vicenda, Boruto ne approfittò per studiare con attenzione la nuova arrivata. Il suo aspetto era quasi identico a quello di Hikari, su questo non aveva dubbi. Stessa faccia, stesso corpo, e stessi lineamenti. I dettagli, tuttavia, erano estremamente diversi. A differenza della sorella infatti, Yami aveva i capelli bianchi, quasi tendenti al grigio, e due paia di occhi gialli fosforescenti ricolmi di odio e malvagità. Indossava inoltre un abito nero e oscuro, con dei guanti striati di rosso sulle dita delle mani, e delle scarpe nere ai piedi. Era come se fossero entrambe la stessa persona, solo… diversa. Due lati opposti della stessa moneta.

Boruto fece un passo indietro, terrorizzato a morte. Col suo Jougan, poteva chiaramente percepire l’aura di energia che entrambe le figure stavano emettendo in quel momento. Ed era… indescrivibile. La loro energia era immensa. Incalcolabile. Indescrivibilmente più grande di qualsiasi altra energia che lui avesse percepito prima d’ora invita sua. Più grande di quella del Settimo Hokage, più grande di quella di Sasuke Uchiha… e persino più grande di quella di Vrangr. Era una cosa sconcertante. Il suo occhio gli stava urlando freneticamente di mettersi al riparo. Non aveva mai visto prima d’ora una simile quantità di chakra racchiusa in un singolo corpo umano. E ce n’erano ben due!

“I-In che razza di situazione sono andato a finire?” fu tutto ciò che riuscì a pensare mentre le osservava, sconvolto.

Fino a quando, la Guardiana dell’Oscurità emise un ringhio basso e animalesco. “Stai giocando sporco, parassita!” ruggì, facendo un passo in avanti e rivolgendosi alla sorella. “Io non ho mai interferito negli affari dei tuoi luridi seguaci! Non avevi nessun diritto di toccare il MIO Campione!”

Hikari assunse un’espressione afflitta. “Yami, non potevo lasciarlo da solo quando stava per morire. Ho solo cercato di-”

“Non l’avrei lasciato morire neanch’io, se è per questo!” la incalzò furiosamente l’altra, snudando i denti. “Ma tu me lo hai rubato per prima, p*****a!!”

Nonostante la situazione tesa, Boruto si sentì leggermente a disagio mente osservava le due Guardiane litigare tra loro. “Ehm, Hikari? Questa dovrebbe essere tua sorella?” domandò allora con esitazione, incerto.

Lei annuì, senza voltarsi a guardarlo. “Si, piccolo. Lei è la tua vera Guardiana, Yami.”

“ALLONTANATI DA LUI!” ruggì a gran voce la donna oscura, visibilmente infuriata oltre ogni descrizione. “NON TE LO RIPETERÒ UNA TERZA VOLTA!”

L’espressione afflitta di Hikari si mutò in uno sguardo determinato e deciso. “Non lo farò, sorella. Non quando il tuo odio e la tua inutile brama di farmi la guerra lo stanno facendo soffrire ingiustamente. Nemmeno io posso restarmene in disparte nel vedere uno dei miei figli che viene trattato così,” ribatté lei, la sua voce per la prima volta carica di una forte autorità e decisione. Sembrava essere diventata una vera Guardiana adesso.

Il volto di Yami divenne ancora più feroce e rabbioso di prima. “Lui è MIO!” ringhiò come un animale, imbestialita. “È uno dei MIEI figli, non dei tuoi! Non hai il diritto di interferire con lui!”

“Potrà anche appartenere all’Oscurità, ma ha scelto me una volta,” ribatté la Guardiana della Luce con voce inflessibile. “Non gli volterò le spalle una seconda volta, nemmeno per te.”

“Lui appartiene a ME, feccia! Non ti permetterò di continuare a riempirgli la testa con le tue futili menzogne! Le tue parole possono suonare dolci e amorevoli, ma in realtà sei solo un mostro che vuole tenersi ogni creatura per sé! Non me lo porterai via così facilmente!”

“Ha già fatto la sua scelta anni fa, e non mi ha mai tradita fino ad ora. Che ti piaccia o no, non ha mai voltato le spalle alla Luce.”

“Lui è il mio Campione dell’Oscurità! Sarà colui che DISTRUGGERÀ la tua patetica e disgustosa Luce una volta per tutte! Non ti permetterò di forzarlo a scegliere te!”

“Questo figlio ha il diritto di scegliere da sé il percorso che dovrà intraprendere. Non forzerò mai nessuno a scegliere me, ma ha il diritto di sapere la verità. Ha il diritto di conoscere ciò che tu gli hai-”

“LA PIANTATE GENTILMENTE DI PARLARE TRA DI VOI COME SE IO NON CI FOSSI?!” urlò a gran voce Boruto, esasperato e furioso dall’essere stato ignorato fino a quel punto. Le due Guardiane si voltarono di scatto verso di lui, stupite dalla sua improvvisa esplosione. Boruto le osservò entrambe con uno sguardo gelido e accigliato, i due occhi aggrottati per l’irritazione, la sua precedente paura completamente dimenticata. “Non ho idea di quello che state dicendo, e nemmeno m’interessa. Ma non ho intenzione di restarmene buono e in disparte mentre voi vi insultate come due bambine che fanno i capricci. Perciò, vi consiglio di piantarla.”

Yami ghignò feralmente, facendo un passo verso di lui. “Una tale forza d’animo,” sussurrò maliziosamente, sorridendo con delizia come se fosse in estasi. “Non mi aspettavo niente di meno dal mio Campione.”

Boruto la guardò con freddezza, i suoi occhi pieni di gelida furia. “Io non appartengo a nessuno, Guardiana del Buio,” dichiarò sfrontatamente. “E non ho intenzione di partecipare al vostro gioco di possesso. Stai indietro, se non vuoi pagarne le conseguenze.”

Sorridendo ironicamente, la donna continuò ad avanzare verso di lui. Il suo corpo s’irrigidì mentre la vedeva farsi sempre più vicina. “Non hai nulla da temere, mio piccolo Raiju.”

“Come mi hai chiamato?” ribatté il Nukenin, sempre più nervoso e confuso, mentre faceva un passo indietro e sguainava lentamente la sua spada. La Guardiana dell’Oscurità lo ignorò, i suoi occhi dorati che lo perforavano col loro sguardo, mentre un sorriso dentato e deliziato contornava le sue labbra in un’espressione quasi maniacale. Inconsciamente, le sue gambe cominciarono a tremolare per l’impulso di allontanarsi da lì a gambe levate. Era la prima volta che gli succedeva. Yami lo raggiunse in meno di un battito di ciglia, quasi teletrasportandosi davanti a lui, e gli accarezzò dolcemente una guancia. Il biondo trattenne il fiato con forza.

“Ma per ora, sembra che tu debba ancora crescere,” disse. Quindi, schioccò le dita e tutto il mondo attorno a loro mutò forma all’improvviso.

Con gli occhi sgranati, il ragazzo saltò lontano da lei, osservando il paesaggio. “Dove siamo?” esclamò mentalmente. Erano stati portati tutti e due in un mondo oscuro. Un ambiente buio e tetro fatto di oscurità, con rocce che avevano sfumature di grigio, nero e azzurro tutt’insieme. Non c’era cielo, solo un vuoto infinito. E davanti a lui, la Guardiana d’Ombra era riapparsa ancora una volta e stava allungando una mano per poggiarla sul suo petto, proprio sopra il cuore. Di Hikari, invece, non c’era più traccia.

Deglutendo per il nervosismo, Boruto si sentì tentato di urlare a squarciagola per il terrore, finché non si ricordò di essere uno dei guerrieri più potenti del suo mondo, oltre che un infamato assassino e criminale. “Non temere, mio Campione. Io sono la tua Guardiana, nonché colei che spera semplicemente di mettere ordine in tutte le cose e porre fine alla follia portata da coloro che combattono per il possesso della Luce.” Mentre parlava, il petto – abbastanza abbondante – della donna rivelò una specie di emblema che raffigurava un cuore in frantumi. “Ho usato questo emblema per trovarti dopo che mi eri stato rubato, e sono qui per porre fine alla tua sofferenza una volta per tutte.”

“Cosa stai dicendo? Mollami!” ruggì il biondo, oltraggiato, allontanando la mano di Yami con uno strattone delle braccia. “Non pensare di potermi ingannare con le belle parole. Io non appartengo all’Oscurità.”

Ridacchiando con il naso, la Guardiana gli si avvicinò di nuovo. “Se non desideri essere controllato dall’Oscurità, tutto ciò che devi fare è reclamarla per te.” Si chinò vicino al suo volto, incurante della spada del ragazzo puntata alla sua gola. “È l’unico modo che hai per riuscire a proteggere i tuoi amici, e la tua famiglia.”

Boruto trasalì fisicamente alla menzione dei suoi amici. “Non provare a fare del male alle persone che amo!” ringhiò pericolosamente, avvicinando ancora di più la punta della spada al collo della Guardiana.

“L’amore non è altro che una forma di avidità. Ci fa desiderare di possedere l’affetto degli altri. Noi esseri viventi siamo ciechi, sai. Ci dimentichiamo troppo spesso di quanto sia crudele il modo in cui esso ci distrugge,” si mise una mano sul petto, proprio sull’emblema del suo cuore spezzato. “Anch’io ho amato, un tempo. E come puoi vedere, esso mi ha lasciata solo come un’ombra di ciò che ero. Un’entità divisa in due, perennemente in lotta con sé stessa.”

Incurante, Boruto fece un provocatorio passo indietro. “Mi spiace, ma non m’interessa,” disse, lottando per non mostrare quanto fosse nervoso realmente. “L’unica cosa che voglio è tornare a casa. Ho degli amici che hanno bisogno di me. La tua fantomatica Oscurità non m’importa.”

Yami scoppiò a ridere, sardonica e ironica. “Eh? Come? Non vuoi l’Oscurità? domandò con divertimento, fissandolo come se fosse un bambino che fa i capricci. “Tuttavia essa ti appartiene. E tu appartieni a lei. L’Oscurità è ciò che sei, mio caro Campione. Io ti ho scelto, e niente può cambiare questo fatto. Non puoi sfuggire a ciò che sei, neanche se lo desideri veramente.”

Gli occhi di Boruto si aggrottarono. “Hikari mi ha detto che sei tu la causa della mia Oscurità. Ha detto che è a causa tua che non riesco a liberarmi della mia sofferenza,” sibilò, furioso. “Che cosa mi hai fatto?”

“Dimentica le menzogne di quella sgualdrina,” lo incalzò lei con incuranza, avvicinandosi col volto al biondo. “Dimentica l’insulsa speranza che la sua falsa bontà ti ha indotto a credere. La Luce è solo una menzogna, Boruto. Non è altro che un tesoro privo di valore. I viventi si affannano per ottenerla, i seguaci di quella donna si stremano per difenderla… e questo che cosa ha generato? Nient’altro che guerre e sofferenze. Dopotutto, tuo padre ha fatto lo stesso con te, o sbaglio?”

Il guerriero sgranò gli occhi.

“Lui ti ha abbandonato perché voleva farti comprendere l’importanza del suo lavoro. Ti ha lasciato da solo perché voleva aprirti gli occhi. Il suo intento era positivo, in teoria… ma questo cosa ha generato in te? Rispondimi. Cosa ti ha fatto comprendere con le sue azioni?” domandò Yami.

Boruto fissò il suo volto con apprensione, la sua mente completamente stravolta, i suoi occhi sgranati. “C-Che lui non poteva accettarmi per quello che ero…” esalò.

“Esatto,” sussurrò la Guardiana, allungando le mani ed abbracciandolo. Nonostante la paura che provava, Boruto non poté resistere. Il suo corpo si afflosciò, incapace di reagire alla sensazione di calore e piacere che il contatto col corpo di Yami gli stava procurando. La sua spada gli cadde di mano. “Vedi com’è subdola la falsità della Luce? Ti allieta con dolci promesse… anche se non è mai in grado di mantenerle. Ma a noi non servono le sue promesse. Noi sappiamo qual è la realtà delle cose, mio piccolo Campione. Non ci serve la Luce per poter essere felici… tutto ciò che ci serve è l’Oscurità.”

“N-No, ti sbagli,” sussurrò lui, scuotendo la testa e divincolandosi dalla stretta della donna. “Ciò che mi ha salvato sono stati Mikasa, Sora e Urahara! Loro sono ciò che mi ha portato ad essere quello che sono oggi! Non sei stata tu, né tantomeno questa Oscurità di cui parli! Io combatto per ciò che ritengo giusto, c’è ancora del buono in me! Non sono crudele come te!”

Yami sorrise. “Oscurità non significa ‘male’, mio piccolo Campione,” lo corresse ironicamente lei“Certo, essa si nutre delle emozioni negative, ma di per sé non è malvagia,” spiegò, saccente. Boruto rimase a bocca aperta. “Ma se sei davvero così convinto, allora dimmi: da dove pensi che provenga l’odio, Boruto? Dalla Luce, o dall’Oscurità?”

Il guerriero ridusse gli occhi a due fessure. “Dall’Oscurità, immagino.”

“Sbagliato,” Yami scoppiò a ridere. “Vedi? È così semplice confondere la realtà con la falsità! L’odio nasce dall’amore, Boruto! L’odio esiste grazie ad esso! Si odia qualcosa o qualcuno solo perché si teme che esso possa fare del male e portarci via quello che abbiamo di più caro! Quello che amiamo davvero! Non si può odiare qualcosa senza motivo! Se tutti pensano che l’amore appartenga alla Luce e l’associano ad essa… allora dovrebbero anche ricordarsi che l’odio nasce grazie ad esso. L’odio è un sentimento della Luce, non dell’Oscurità!” dichiarò con foga.

Boruto esitò, completamente a corto di parole. C’era un fondo di verità nel discorso che stava facendo quella donna. Eppure, qualcosa dentro di lui si rifiutava di accettarlo. “Che cosa vuoi da me?” domandò alla fine, cercando di mantenere la calma.

“Io VOGLIO te,” rispose lei, avvicinandosi a lui e leccandosi le labbra in modo quasi sensuale. Boruto deglutì nervosamente. “Io ti desidero, mio piccolo Campione. Tu appartieni a me, appartieni all’Oscurità, ed essa ti brama, ti desidera, ti vuole per sé. Eppure, tu continui a sfuggirmi ogni volta. Ogni volta che penso che finirai finalmente per abbracciare il Buio, anche quando ti riduci a compiere il più crudele dei mali… riesci sempre a sfuggirgli in qualche modo. Non ti lasci mai andare ad esso, al suo abbraccio, al suo richiamo che ti brama con ogni fibra del suo essere.”

La mano sinistra di Yami lo afferrò per un braccio, mentre la destra si mosse per massaggiargli il petto. Boruto divenne rigido come la pietra, incapace di muoversi, le sue guance che avvampavano di calore. Smettila di fuggire da me, Boruto. Accetta l’Oscurità che ti ha scelto, rendila tua, domala. Diventa il Campione che io so che sei in grado di essere… e sbarazzati della patetica Luce a cui continui ingenuamente ad aggrapparti. Se lo farai, otterrai un potere ben più grande di quello che la mia ripugnante sorella ti ha concesso. Un Potere abbastanza grande da poterti permettere di uccidere una buona volta quel mostro che hai chiamato padre. Dopotutto, sai... lui e i suoi Shinobi hanno trovato i tuoi amici,” sussurrò.

Passarono due secondi di silenzio glaciale.

Poi, Boruto registrò appieno quella frase.

Il giovane Uzumaki trattenne pesantemente il fiato. “C-C-Che cosa?” esalò lentamente, gli occhi sgranati, il volto pallido, le braccia tremanti.

Lo sguardo di Yami era ferale. “Tuo padre ha trovato il vostro nascondiglio sulla Luna,” ripeté ancora una volta la Guardiana del Buio. “Ma questo è successo più di un anno e mezzo fa, ormai. Le cose sono precipitate piuttosto rapidamente dopo quel momento. Sei stato dichiarato morto sin da allora.”

Il Nukenin non riusciva a credere alle sue orecchie. Non poteva crederci per davvero. Sentì la sua testa riempirsi di sussurri oscuri e velenosi. “C-Cosa ne è stato dei miei amici?” domandò freneticamente, afferrando Yami per il colletto e scuotendola con forza, minaccioso e solenne. “Che cosa è successo a Mikasa? A Sora? E a tutti gli altri? DIMMELO!”

“Non se la passano bene,” rispose lei, incurante del suo sguardo terrorizzato. “Dopotutto, essere condannati a morte non è un’idea molto allettante, non trovi? E la loro prigionia non è stata neanche molto piacevole, immagino.”

Boruto sentì il mondo ruotare vertiginosamente attorno a lui, scosso da un profondo senso di terrore e orrore. La sua mente venne azzannata da una paura e una furia primordiali e indescrivibili, talmente immensi da riuscire a togliergli il fiato dai polmoni e da fargli arrestare il battito cardiaco. Il solo pensiero di veder morire i suoi amici bastò a fargli sorgere una nausea terribile allo stomaco.

Yami sorrise maliziosamente. “Scommetto che questo mia sorella non te l’aveva detto… non è vero?”

Il Nukenin abbassò lentamente gli occhi sgranati e terrorizzati verso il suolo. Serrò i pugni con così tanta forza da sentire il sangue colargli dai palmi delle mani, assieme al tremore incessante delle sue braccia. Le sue labbra si snudarono in un ringhio animalesco e bestiale, ricolmo di ferocia e oltraggio.

Ma non sapeva che quando parli del diavolo… spuntano sempre le corna.

“Basta così, Yami.” Hikari era apparsa all’improvviso dal nulla, illuminando con la sua sola presenza quel mondo oscuro e privo di luce. Stava fissando sua sorella con uno sguardo misto tra il dispiaciuto e il deluso. “Lascialo stare.”

La donna oscura allargò il suo sorriso. “Perché non lo chiedi anche a lei?” chiese a bassa voce, rivolgendosi al suo Campione.

Boruto alzò lentamente lo sguardo verso la Guardiana dai capelli azzurri, i suoi occhi vacui e spenti. Hikari lo osservò con dolore. “È vero?” domandò, la sua voce bassa e priva di emozione. “Tu lo sapevi?”

La Guardiana della Luce abbassò lo sguardo a terra, visibilmente rattristata. Passarono diversi secondi prima che riuscisse a rispondergli sinceramente. “Sì,” ammise lentamente, chiudendo gli occhi. “Sì, lo sapevo.”

Lo sguardo di Boruto si riempì istantaneamente di collera. “E non me lo hai detto?!” ruggì, solenne e furioso. Afferrò la sua spada da terra come un guerriero pronto ad attaccare. “Mi hai preso in giro fino ad ora!”

“No! Non è vero, piccolo! Io… Io volevo solo aiutarti ad arrivarci gradualmente! Non volevo tenertelo nascosto, credimi!” esalò lei, i suoi occhi pieni di dolore e tristezza, portandosi una mano sul cuore ed estendendone un’altra verso di lui. “Oh, se solo avessimo avuto più tempo…”

Ma Yami scoppiò a ridere follemente, il suono delle sue risate che echeggiò nell’oscurità che li circondava come un rimbombo acuto e sinistro. “Lo vedi infine, Boruto? La Luce sa solamente illudere le persone, ed i suoi figli!” esultò a gran voce. “Ed è per questo che merita di essere eliminata!”

Veloce come una saetta, Yami scattò all’azione. Con un solo balzo in avanti, raggiunse la sua sorella con un ghigno stampato in faccia, le sue mani puntate in avanti e brillanti di energia oscura. Nel tempo che passò tra un battito di cuore e un altro, un’immensa colonna di fuoco nero schizzò fuori dal terreno sotto i piedi di Hikari, talmente grossa e potente da far tremare con prepotenza la roccia e il suolo per chilometri e chilometri.

Ma Hikari non si era lasciata colpire. Appena la colonna di fiamme nere si dissolse, la Guardiana apparve, avvolta da una sfera di energia luminosa e bianca come la neve, le sue braccia estese verso il basso e la sua espressione un misto di tristezza e solennità. La sua gemella oscura ringhiò per la rabbia e la frustrazione, schizzando all’aria verso di lei e sferrando un portentoso pugno verso la barriera che la difendeva. L’energia si dissolse e si frantumò come vetro, e Hikari fu costretta a saltare lontano da lì per non finire investita dalla carica della sorella, atterrando leggiadramente sopra un macigno di roccia distante cento metri da lei.

Yami ghignò, la sua espressione un miscuglio di ferocia e brama di sangue, puntando le mani in avanti e generando col semplice pensiero una sfera di energia oscura, vorticosa e ribollente. Dall’altra parte, Hikari fece lo stesso con le sue mani, generando una sfera bianca e luccicante di energia luminosa. Le due sfere schizzarono in avanti con una rapidità inaudita, talmente veloci da essere invisibili ad occhio nudo, scontrandosi con prepotenza nel mezzo del buio vuoto di quel mondo. La loro collisione fece tremare l’aria e tutto ciò che circondava le donne, distruggendo ogni cosa nel raggio di venti metri: roccia, pietra, spazio e tempo. In alto, il confine dimensionale di quel mondo sembrò vibrare improvvisamente, esplodendo inaspettatamente e frantumandosi in mille pezzi come se non fosse mai esistito. L’aria stessa si squarciò, rivelando un nuovo mondo al di là di questo, pieno di rocce che fluttuavano in aria, sospese nel nulla, in mezzo ad un cielo rosato.

Hikari si voltò e fuggì, rintanandosi nella dimensione appena apparsa attraverso gli squarci inter-dimensionali, ma Yami non si sarebbe lasciata sfuggire la sua acerrima nemica così facilmente. La ricorse con uno scatto indescrivibile, arrestando la sua fuga non appena le riapparve davanti sopra una roccia altissima simile ad una colonna di pietra. “Te ne vai di già, feccia?”

La Guardiana della Luce la guardò con tristezza. Ti prego, sorella, basta così. Mettiamo fine a questa inutile discrepanza. Non voglio combatterti.”

“Oh, peccato… Io invece lo voglio eccome!” ruggì l’altra, ridendo follemente e puntando ancora una volta le mani in avanti. Un’ennesime colonna di fuoco nero venne generata dalle sue braccia, simile ad un raggio portentoso, diretto con prepotenza e senza esitazione verso il bersaglio. Dalla parte opposta, Hikari la imitò nel movimento, evocando un raggio di luce bianca talmente accecante da essere fastidioso per gli occhi. I due attacchi schizzarono l’uno contro l’altro, richiudendo la distanza che li separava ogni secondo di più.

Poi però, prima che potessero collidere e scontrarsi a vicenda, accadde qualcosa.

Un’improvvisa esplosione di vento ed elettricità guizzò nel mezzo dei due attacchi, centrandoli in pieno e facendoli detonare prima che potessero fare contatto. I due raggi esplosero in un boato di fiamme ed energia, detonando come una portentosa bomba atomica dalla portata distruttiva devastante. Per chilometri e chilometri, tutto ciò che si trovava nel mezzo della loro traiettoria venne distrutto completamente. Le immense montagne di roccia che fluttuavano in quel mondo si creparono e si frantumarono, spezzandosi in mille pezzi che presero ad andare alla deriva nell’aria come missili privi di obiettivo. L’aria vibrò e tremò, ricca di energia e chakra, scuotendosi come se fosse tangibile. E dopo diversi secondi di tensione, tutto tacque e il silenzio tornò a regnare sovrano.

Hikari e Yami sgranarono gli occhi, confuse, e si voltarono verso la loro destra. Boruto apparve dinanzi a loro, in mezzo ad entrambe, solenne e freddo come il ghiaccio. La sua spada in mano, la sua cappa che fluttuava nel vento, il suo Marchio che gli brillava di luce sul volto, e i suoi piedi poggiati sopra un grosso frammento di pietra che fluttuava lentamente nel vuoto. “Adesso basta!” urlò, la sua voce pericolosamente solenne e minacciosa. Le fissava entrambe con uno sguardo ardente di rabbia e gelida crudeltà.

“Piccolo, che cosa fai? Vattene via da qui! Non voglio ferire anche te!” esclamò Hikari, sconvolta.

“Per una volta sono d’accordo con lei, mio Campione,” concordò Yami. “Credimi, questo è uno scontro a cui non vuoi partecipare.”

Il Nukenin le ignorò entrambe. “Mi sono stufato delle vostre menzogne,” ringhiò come un animale. “Non ho più intenzione di restare qui a guardarvi. Rispeditemi immediatamente nel mio mondo, prima che perda la pazienza.”

La Guardiana dell’Oscurità gli rivolse un sorriso deliziato“Non ancora, mio piccolo tesoro. Abbiamo ancora molto da discutere, insieme. Una volta che avrò finito con questa lurida pu-”

“Taci, vecchia pazza,” la incalzò freddamente lui, del tutto incurante delle sue parole e intenzioni. Puntò la sua spada verso Yami, e poi la spostò verso Hikari. “Le vostre parole non m’interessano. Non ho più nessuna intenzione di restare qui e seguire i vostri piani.”

La Guardiana della Luce esitò, guardandolo con apprensione. “Piccolo mio, cosa vuoi fare?” domandò.

“Rispeditemi indietro,” ordinò ancora una volta lui. “Non voglio più restare in questo posto nemmeno un secondo di più. Devo andare a salvare i miei amici, e non ho più tempo da perdere.”

L’espressione di Yami si mutò in un ghigno soddisfatto. “Finalmente stai iniziando a suonare come un vero Campione Oscuro!” esclamò con emozione. “Questo vuol dire che ti unirai finalmente alla tua Oscurità?”

Boruto la fulminò con uno sguardo tagliente come una lama. Il suo Jougan pulsò minacciosamente. “Credo che tu non abbia capito. Non ho la minima intenzione di prendere posizione nella vostra stupida guerra senza senso. Luce… Oscurità… non me ne frega assolutamente niente di questa storia. Io non sono un Campione dell’Oscurità, e non sono neanche un seguace della Luce. Io non sono… niente.”

Hikari e Yami lo osservarono in silenzio, stupite e scioccate dalla sua dichiarazione così sfrontata.

Il biondo le osservò entrambe con odio. “Della vostra battaglia non può fregarmene di meno,” continuò a dire senza esitazione e interesse. “Io non seguirò nessuna di voi due. Mi rifiuto di unirmi al tuo patetico Buio, Yami; e non ho neanche intenzione di abbracciare la tua stupida Luce, Hikari.” Il suo volto divenne una maschera di odio e ferocia a quel punto. “Seguirò da me il mio sentiero, e non permetterò a nessuno di decidere quello che devo essere. Sono IO l’artefice del mio Destino. Sono IO quello che decide cosa fare o meno.”

Yami ringhiò sommessamente. “Non puoi rinnegare ciò che sei. L’Oscurità ti ha già scelto, e la Luce non può accoglierti ormai,” sibilò.

“Allora combatterò l’Oscurità, ed annienterò ogni Luce che oserà opporsi a me,” ribatté il guerriero, sprezzante. Sembrava così serio, così deciso e potente da non apparire minimamente come il misero ragazzo che era. “Adesso riportatemi nel mio mondo, prima che perda la pazienza. Non ho più interesse a seguire i vostri discorsi inutili e privi di senso.”

Con suo sommo stupore, Hikari sorrise dolcemente. Se questo è il sentiero che hai deciso, allora vai pure, piccolo mio,” sussurrò lentamente.

“TU STANNE FUORI! LUI È MIO, E MIO SOLTANTO!!!” urlò rabbiosamente l’altra donna.

“No, Yami. Lui ha il diritto di scegliere da solo la strada che deve percorrere. Che essa sia la mia, la tua… o nessuna delle due.”

La Guardiana oscura ringhiò come un animale. “La strada di mezzo lo porterà comunque da me! Non c’è altro che Oscurità nel mezzo del nulla! La via di mezzo porta al Tramonto!”

“Ma la strada di mezzo conduce anche all’Alba, se fatta al contrario. Solo lui potrà scegliere come percorrerla,” dichiarò solennemente l’altra. Detto ciò, Hikari si rivolse a Boruto“Adesso vai, piccolo mio, e ritorna nel tuo mondo natale. E sappi… che mi dispiace. Mi sarebbe piaciuto molto poterti parlare ancora.”

Boruto si accigliò mentre la guardava con rabbia. “E come faccio?” domandò seriamente.

“Usa il potere racchiuso nel tuo Jougan. Esso ti permetterà di raggiungere il tuo mondo. È sempre stato racchiuso dentro di te sin dall’inizio, ma solamente adesso sei diventato in grado di attivarlo. Fai attenzione.”

Il Nukenin sgranò gli occhi. “Ma certo,” esclamò mentalmente. Poi si riscosse dallo stupore, facendo un cenno col capo verso la Guardiana, e con un solo salto balzò lontano da lì, verso una roccia alla sua sinistra. Infuse una grossa quantità di energia nel suo occhio destro, chiudendolo un paio di secondi prima di riaprirlo con uno scatto repentino del collo. E fu allora, con sua enorme soddisfazione, che accadde ciò che si era immaginato.

Con un guizzo elettrico e scattante, un vorticoso vortice di energia nera si aprì nel nulla in mezzo all’aria. Un portale inter-dimensionale, simile a quelli che Sasuke Uchiha era in grado di evocare col suo Rinnegan. La sua via di fuga per tornare a casa. Il biondo si portò rapidamente dinanzi ad esso.

“Ricordati sempre quello che ha visto oggi, mio Campione,” la voce di Yami echeggiò con solennità e potenza alle sue spalle. Boruto l’ascoltò senza nemmeno voltarsi a guardarla. “Più ti avvicini alla Luce, più grande diventa la tua Ombra. Non puoi sfuggirmi, che ti piaccia o meno. Perché la maledizione che ti è stata impressa in passato continua a darti la caccia ancora oggi. E ricordati sempre la cosa più importante…”

Il Nukenin rabbrividì, serrando i denti, ignorando quell’avvertimento e balzando dentro al vortice di energia senza la minima esitazione. Eppure, per qualche strano motivo, le parole della Guardiana continuarono ad echeggiargli nelle orecchie senza sosta, anche quando il portale alle sue spalle si richiuse con un sibilo minaccioso e raccapricciante.

“Un giorno non molto lontano... quel tuo occhio azzurro ti porterà via tutto.”
 











 

Note dell’autore!!!

Salve a tutti gente! Ecco a voi, finalmente, l’inizio della terza ed ultima parte della serie Boruto – La Morsa del Destino’. Ecco a voi la sezione conclusiva: ‘Guerra tra Famiglie. È con enorme gioia e trepidazione che posso finalmente portarvi questo primo capitolo dopo tutto questo tempo di attesa. C’è voluto del tempo, ma ci siamo. Spero che possiate aver apprezzato anche solo un pochino questo primo capitolo e prologo.

Innanzitutto ci tengo a dirvi che mi dispiace di avervi fatto attendere un mese prima di pubblicare il capitolo, ma non è dipeso da me. Come saprete anche voi, tempo fa il sito Tinypic ha chiuso perennemente, per cui tutte le immagini che avevo caricato nel corso delle due storie precedenti sono andate perdute, e ci ho messo un bel po' di tempo e fatica a ritrovarle e caricarle nuovamente nei vari capitoli. Adesso ho risolto, ma è stata dura e mi è costato del tempo. Inoltre, sto per avvicinarmi alla fine degli esami, quindi lo studio sta diventando sempre più intenso per me, in vista di un’eventuale laurea il prima possibile.

Parlando del prologo in sé, invece… adesso abbiamo finalmente conosciuto la Guardiana tanto citata nel passato e siamo riusciti a scoprire come ha fatto il nostro Boruto a sopravvivere alla Battaglia di Eldia. Come vi avevo promesso, le risposte stanno cominciando ad arrivare. Questo capitolo è pieno di riferimenti al passato e a eventi che abbiamo già letto, ma molte cose verranno spiegate nel dettaglio solo successivamente. Le vostre domande avranno sempre una risposta per tempo.

La figura di Hikari, così come quella di Yami, è ispirata ad Aqua, un personaggio della serie Kingdom Hearts. Hikari significa ‘Luce’ in giapponese, mentre Yami vuol dire ‘Buio’. La loro presenza era già stata citata nelle due storie precedenti, se ben vi ricordate, per cui adesso era giunta l’ora di conoscerle. Non sarà l’ultima volta che le vedremo. Ci sono ancora molte cose da narrare, ma io non posso fare spoiler. Dopotutto, oltre agli Otsutsuki e Kawaki, adesso sono entrate in gioco anche loro. Avremo modo di capire cosa vogliono e il perché delle loro azioni.

Per chi si fosse fatto dei dubbi: non ho intenzione di rendere questa serie una specie di Crossover alla Kingdom Hearts dove i protagonisti visitano vari mondi e i personaggi originali vengono messi in secondo piano. La vicenda tratterà come sempre il mondo di Naruto e l’avventura di Boruto nella ricerca della Pace, com’è sempre stato in passato. I personaggi esterni a Naruto come Hikari, Zeref, e tutti gli altri che già conosciamo avranno ovviamente approfondimenti, ma le loro storie verranno solo spiegate. Questa – ricordiamocelo – è la narrazione della vita di Boruto, e di lui soltanto. Il resto potrà essere narrato una volta che la serie sarà conclusa, forse.

Detto ciò, vi invito, come sempre, a farmi sapere cosa ne pensate. I vostri commenti e i vostri pareri sono ciò che mi spinge a scrivere e a continuare a portare avanti questo piccolo progetto. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate della storia e della sua evoluzione, e sono aperto ad ogni tipo di critica, positiva o negativa, purché sia costruttiva. Quindi, se vi va, fatemi sapere tutto quello che volete. Grazie a tutti in anticipo, e a presto!!!

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Capitolo 2
*** Cuori Rassegnati ***


CUORI RASSEGNATI





01 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Night Horizon Pub
23:30


2 anni e 3 mesi dopo gli eventi de ‘La Battaglia di Eldia



Nemmeno l’alcool sembrava avere più sapore ormai.

Di questo, Sarada Uchiha era certa.

I suoi occhi vacui e spenti fissavano il tutto e il niente, il loro sguardo puntato principalmente sul boccale di birra mezzo pieno e mezzo vuoto posato sul tavolino davanti a cui sedeva, intenti ad osservare il movimento del liquido nel bicchiere ad ogni oscillazione causata dalle sue mani. Attorno a lei, le sue orecchie udivano distrattamente il vociare sommesso e costante che aleggiava nel locale, assieme al rumore ritmico della musica della radio e delle risate degli altri clienti. Luci bianche, sommesse e soffuse, illuminavano l’ambiente chiuso e umido in cui si trovava, gettando il Pub in una specie di perenne foschia semi-oscura. Nonostante l’epoca di crisi in cui si trovavano, il locale era pieno zeppo. Il ‘Night Horizon’ era uno dei Pub più famosi del Villaggio, dopotutto. Lo frequentava gente di ogni tipo, da decenni. Eppure, se doveva essere sincera, in quel momento quei pensieri alla giovane non interessavano minimamente.

Si sforzò di mandare giù un altro sorso di birra. Ancora una volta, come in tutti i suoi precedenti tentativi, non sentì nessun sapore. E non era la qualità della birra ciò che lasciava a desiderare.

Era la sua stessa voglia di vivere.

Ripensare a ciò le fece spuntare sulle labbra un amaro sorriso privo di calore. In effetti, ultimamente il vero problema era sempre e solo lei, non è vero? Sin da quando era tornata era sempre stato così, dopotutto. Le parole che aveva udito così tante volte durante tutti questi anni continuavano a tornarle nella mente ancora adesso. Sarada, stai bene? oppure: Sarada, come stai? o anche: Sarada, sei sicura di potercela fare?

Lei le odiava.

Da quando era tornata sulla Terra, ogni singola persona che conosceva si preoccupava della sua salute. E non di quella fisica. Di quella mentale. Ormai tutti sapevano quello che era successo – quei pochi che sapevano la verità, ovviamente – e questo era doppiamente frustrante, perché a causa di ciò lei non poteva nemmeno biasimarli. Non troppo, almeno. Sapeva che erano preoccupati per lei, non poteva arrabbiarsi con loro. E poi, anche se non voleva ammetterlo, c’era una piccola parte di lei nella sua testa che, in fondo in fondo, sapeva che le loro preoccupazioni erano più che fondate e, quindi, completamente giustificabili.

Sopravvivere ad uno scontro epocale contro un drago distruttore di mondi ed uscirne come unica e sola vincitrice era un’impresa senza precedenti, dopotutto.

Il sorriso privo di emozione di Sarada si assottigliò a quel ricordo ormai distante. Le sue dita serrarono inconsciamente la presa sul bicchiere di birra. Quando aveva raccontato ciò che era successo su Eldia all’Hokage, a suo padre e a sua madre; era scoppiato il finimondo. I suoi genitori erano rimasti stravolti e scioccati oltre ogni descrizione, e avevano passato settimane intere a tempestarla di domande e ad accertarsi che fosse tornata sana e salva senza complicazioni. Suo padre, soprattutto, non aveva preso per niente bene il fatto che sua figlia fosse finita in un altro mondo a sua insaputa. Non che Sarada non potesse comprenderlo. Suo padre era l’unico tra di loro che aveva avuto modo di viaggiare tra i vari mondi. Sapeva i rischi che aveva corso, conosceva i pericoli e i nemici che si annidano oltre la Terra. Per questo l’aveva tenuta sotto costante sorveglianza per diversi mesi dopo che era tornata, accertandosi che stesse bene e che potesse riprendere a vivere una vita normale. Lei lo sapeva, lo comprendeva, e per questo lo aveva lasciato fare. Dopotutto, nessuno a parte lei poteva ricordarsi ciò che era successo durante quei due mesi. I suoi genitori, e anche Naruto e Hinata, non avevano nessun ricordo degli avvenimenti che avevano vissuto assieme durante quella particolare avventura. Quindi, tutto sommato, sua madre e suo padre l’avevano presa piuttosto bene, alla fine.

Ma lo stesso non poteva dirsi per l’Hokage e la sua famiglia.

Quel semplice pensiero bastò ad inondare Sarada con una miriade di emozioni contrastanti e prepotenti. Rimorso, rancore, tristezza e… e dolore, soprattutto. Ancora dopo tutto questo tempo, ripensare a quei due la faceva stare male. Il Settimo e sua moglie non avevano per niente preso bene la morte di Boruto. Quando lei si era ritrovata costretta a raccontare la verità di ciò che era accaduto, non era riuscita a trattenere le proprie lacrime nemmeno durante il racconto. Ma ciò che le aveva davvero spezzato il cuore era stato vedere l’espressione devastata e affranta di Naruto e Hinata. Sentire il loro pianto straziante e disperato. Ascoltare le loro suppliche impotenti e agonizzanti. E non essere in grado di fare nulla per consolarli. Forse era stata questa la cosa che più di tutte l’aveva distrutta emotivamente all’epoca, oltre che la perdita del suo amico. Perché lei avrà anche perso la persona di cui era innamorata…

… ma Naruto e Hinata avevano perso un figlio.

Certo, Boruto era stato un traditore e un Nukenin. Era stato uno dei criminali più pericolosi – se non IL più pericoloso – che avevano messo piede sulla Terra. Era stato il leader della Rivoluzione che aveva causato così tanti problemi nel loro mondo, rischiando di far piombare la loro gente e gli Shinobi in un’ennesima guerra sanguinosa… ma era stato pur sempre loro figlio. Il loro figlio primogenito. E Sarada sapeva, come tutti del resto, che il Settimo e sua moglie lo avevano sempre amato con tutto il cuore, nonostante il mostro che era diventato. Per questo, appena avevano saputo la realtà dei fatti, nessuno dei due aveva potuto fare a meno di disperarsi. A niente erano servite le consolazioni dei suoi genitori, la vicinanza dei loro amici, e le parole di sostegno che tutti avevano rivolto loro. La morte di un figlio è qualcosa che non si dimentica in alcun modo, e che nessun genitore dovrebbe mai sperimentare. Erano i figli a dover piangere la scomparsa dei genitori, diceva un detto, non il contrario.

Eppure, loro due non erano i soli ad aver sofferto immensamente a causa della morte del Nukenin più famoso del pianeta.

Dopotutto, anche sua sorella non l’aveva presa bene.

Pensare a Himawari era doppiamente straziante per Sarada. La giovane Uzumaki – ormai diventata una splendida e meravigliosa diciassettenne – aveva reagito diversamente alla notizia della morte di suo fratello. Non aveva versato nessuna lacrima, né tantomeno si era disperata come i suoi genitori; ma si era invece chiusa ulteriormente in sé stessa, affogando tutto il suo tempo e il suo dolore negli addestramenti, nelle missioni, e nell’incessante ricerca della perfezione. Ma Sarada non era stupida. Conosceva fin troppo bene la sua amica per non riuscire a notare lo struggimento che la stava divorando dentro, anche se doveva dare credito ad Himawari. Quella ragazza era abile a tenerlo nascosto. Eppure, qualcosa dentro di lei era convinta che non fosse solo per la morte di Boruto che la sua amica si era chiusa in sé stessa.

Dopotutto, Himawari si era distanziata da lei e da tutti i suoi amici ben prima della loro missione su Eldia. Già da allora Sarada aveva notato il suo cambiamento, ma ancora oggi, nessuno sapeva dire che cosa le fosse successo. Solo, la notizia della morte di Boruto sembrava essere stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Adesso, la principessina degli Hyuuga era diventata ancora più distante con tutti, sempre più determinata a passare le sue giornate negli addestramenti, e sempre con un’espressione spenta e devastata sul suo bellissimo volto. E non c’era niente che lei o qualcun altro potessero fare per farla stare meglio. Coi suoi genitori piombati in uno stato di depressione perenne a causa della perdita del loro primogenito, Himawari aveva ben poche ragioni per sorridere al giorno d’oggi.

Il sorriso le scomparve completamente dal volto a quel punto. Inconsciamente, Sarada ammiccò le palpebre, sentendo una sensazione umida e bagnata cominciare a colarle sulle guance. Togliendosi gli occhiali e toccandosi la faccia con una mano, non rimase per niente stupita dal fatto che le lacrime che stava improvvisamente versando dagli occhi fossero rosse come il fuoco. Anche se erano ormai passati poco più di due anni dalla scomparsa di Boruto, la sua mancanza e il dolore della sua perdita erano ancora brucianti per lei.

“Non si dimentica tanto facilmente la persona che si ama,” le aveva detto suo padre un anno prima.

Sarada si passò una mano nei lunghi capelli corvini, tirando su col naso e cercando di essere ottimista. Suppose che era vero, in fondo. Anche se adesso che Boruto era scomparso i suoi occhi avevano smesso di farle male come in passato, il dolore nel suo cuore sarebbe rimasto per sempre. Anche se la maledizione del suo clan era stata infranta con la sua morte, Sarada non avrebbe mai dimenticato quel volto. Quell’espressione seria e confidente, quegli occhi azzurri come l’oceano più profondo, e quel carattere così freddo, serio e complesso che avevano caratterizzato la persona che più di tutte aveva amato nella sua vita. Ma ora… ora finalmente poteva andare avanti. Suo padre glielo aveva detto innumerevoli volte nel corso degli ultimi anni. Poteva trovare una nuova luce nella sua vita, senza più essere costretta ad inseguire un criminale e un reietto contro la sua volontà.

Ma Sarada non era certa di volerlo fare.

Delle parole dolci e sommesse le risuonarono nella mente a quel punto. Echi sottili di un ricordo distante che non avrebbe mai più potuto dimenticare.

“Mi dispiace, Sarada. Ti auguro di trovare la tua felicità un giorno. Te lo auguro con tutto il cuore.”

Inconsciamente, la mano della corvina si mosse per avvolgere le dita attorno alla collana di metallo che le pendeva dal collo, stingendosela con affetto. Era la stessa collana che Boruto le aveva ceduto prima di sacrificarsi per la sua salvezza e per quella di tutti gli altri. La stessa collana che aveva portato con sé durante tutta la sua vita, e che alla fine, prima di morire, aveva scelto di cederle come un ultimo ricordo, un ultimo saluto senza parole.

Lei sapeva di doversi lasciare il passato alle spalle. Lo sapeva bene. Lo aveva promesso a sé stessa, a Naruto, e a tutti gli altri. Boruto si era sacrificato anche per questo, in fondo. Per permetterle di andare avanti con la sua vita, per darle la possibilità di dimenticarlo dopo una vita passata interamente ad inseguirlo, senza sosta. Ma non era certa di poterlo fare. Di volerlo fare, anzi. Sarada sapeva che il suo vecchio amico non era mai stato crudele come il mondo lo aveva dipinto. Aveva sempre saputo che, nonostante le atrocità che aveva commesso, il suo vecchio amico era solo una vittima. Per cui, dimenticarlo non era giusto nella sua opinione. Boruto aveva sofferto per tutta la sua vita, aveva lottato incessantemente fino al suo ultimo respiro per riuscire a trovare un proprio posto nel mondo. Dimenticarlo completamente… era davvero la cosa giusta da fare?

Come avrebbe potuto farlo senza provare rimorso?

Dissolse quei pensieri scuotendo la testa. Fu un ronzio sommesso nell’aria che catturò la sua attenzione mentre continuava a restare seduta e in silenzio nel locale, fissando il suo bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto con uno sguardo spento. Sebbene il Pub fosse pieno di gente, non c’era molto rumore quella sera, per cui fu facile per le sue orecchie riuscire a catturare le note di una certa canzone mentre iniziavano a suonare attraverso la radio del Pub. Una canzone che, da quasi due anni a questa parte, era diventata un tormentone clamoroso in tutto il mondo.

L’Uchiha sentì il suo umore incupirsi sin dalle prime note.

SOLITA NOTTE DA LUPI A KONOHA,
NEL LOCALE STAN SENTENDO NOTIZIE DELL’ULTIMA ORA.
LOSCHI INDIVIDUI AL BANCONE DEL BAR
PIENI DI WHISKEY E MARGARIDAS.


TUTTO D’UN TRATTO LA PORTA FA SLAM!
UN NINJA ENTRA DI CORSA CON UNA NOVITÀ.
DRITTA SICURA, SI MORMORA CHE
LA RIVOLUZIONE ABBIA FATTO CRAAASH!


HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE QUELLI DELLA NEBBIA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

La diciannovenne chiuse gli occhi con pesantezza, cercando di ignorare il dolore che rischiò di inondarle il cuore ancora una volta. Quella canzone era uscita poco dopo l’estate di due anni prima, quando la notizia della morte di Boruto era diventata ufficialmente di dominio pubblico. Ovviamente però, solamente pochissime persone sapevano la realtà dei fatti, di come fosse successo veramente – principalmente lei e i suoi genitori, l’Hokage e la sua famiglia, e qualcuno dei suoi amici più stretti – per cui, il mistero che era sorto attorno all’improvvisa dipartita e scomparsa del Nukenin più famoso del mondo aveva fatto scalpore sin da subito. C’erano numerose teorie che giravano tra la gente delle varie Nazioni, alcune più serie e altre completamente inventate.

E vedere come il mondo facesse ironia sopra la sua morte era una cosa inaccettabile per Sarada. Anche se non poteva rivelare a nessuno la realtà, Boruto era morto sacrificando sé stesso per il bene del pianeta. Per salvare le persone del suo mondo. La ragazza non poteva accettare che ci fossero alcuni che volessero sminuire e fare ironia su questo.

Anche se, in fondo al suo cuore, Sarada sapeva che era inevitabile. Boruto era stato il leader della Rivoluzione. Era stato il leader di una delle Organizzazioni terroristiche più infamate di sempre. Era colui che aveva sovvertito le regole e i sistemi del loro mondo. La sua scomparsa improvvisa aveva suscitato reazioni contrastanti in ogni angolo del pianeta. Gli Shinobi e coloro ancora legati all’Unione l’avevano vista come una vittoria per mano dell’Hokage o di qualche altro Shinobi – su cui vi erano diversi nomi – mentre i Ribelli e i seguaci della Rivoluzione… non l’avevano presa così bene.

Sarada serrò le dita sulla collana con più forza mentre la canzone proseguiva.

DENTRO AI VILLAGGI È PARTITO SUBITO IL VIA,
E L’HOKAGE DICE: ALLORA COSÌ SIA.
QUEL CHE È SUCCESSO NESSUNO LO SA,
LA RIVOLUZIONE NON VINCERÀ.


MA NELLE STRADE C’È IL PANICO ORMAI,
NESSUNO ESCE DI CASA, NESSUNO VUOLE GUAI.
E DAGLI APPELLI, ALLA CALMA IN TV,
ADESSO CHI CI CREDE PIÙ.


HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE QUELLI DELLA SABBIA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

Era stato un caos. Dopo la scomparsa di Boruto, le varie Nazioni e la Rivoluzione avevano continuato a combattere una guerra dall’ombra senza sosta, ancora fino ad oggi. E non erano mancati nemmeno i casi di scontri diretti e alla luce del sole. Innumerevoli erano stati gli scontri e gli spargimenti di sangue tra Shinobi e Ribelli – o come preferivano chiamarsi loro, Guerrieri – in tutti gli angoli del globo. Il numero delle vittime ad oggi era… incalcolabile.

Attentati terroristici… assalti ai villaggi… sabotaggi… proteste e scioperi…

Per Sarada, i ricordi di questi ultimi due anni erano pieni di avvenimenti del genere. Era stato inevitabile. Boruto aveva letteralmente sovvertito il sistema. Aveva messo in discussione gli ideali alla base del concetto di Ninja, e per questo era riuscito a creare qualcosa di nuovo con coloro che lo avevano seguito. I Ribelli non lo vedevano solo come un leader, ma anche come un simbolo; un simbolo che infondeva speranza e che spronava a combattere tutti coloro che erano insoddisfatti dal mondo Ninja. Per questo, per quanto la Foglia e le altre Nazioni stessero combattendo sempre e costantemente contro ogni focolare di ribellione, la Rivoluzione continuava a resistere anche senza di lui. C’era stato chi, come lei e molti altri della Foglia, aveva creduto che con la scomparsa del figlio traditore dell’Hokage, i Ribelli avrebbero subìto una clamorosa sconfitta. Ma si erano sbagliati.

La gente aveva paura. La sicurezza non era più una garanzia per nessuno, nemmeno per coloro che abitavano nei Villaggi più importanti. Nessuno poteva sapere quando sarebbe successo qualcosa, e i conflitti non si decidevano a diminuire.

Sembrava di essere tornati ai tempi precedenti alla Terza Guerra Mondiale.

La Terra della Pioggia, quella del Suono, quella del Vapore, quella dell’Erba, quella del Ghiaccio e persino le isole della Terra dell’Acqua abitate dai mercenari si erano apertamente schierate a favore della Rivoluzione, ingaggiando una campagna di protesta e diffamazione contro la Foglia, la Sabbia e le altre Nazioni. Solo il Paese della Terra era rimasto completamente neutrale fino ad oggi, con la Tsuchikage che non si decideva a prendere una decisione definitiva. Non che Sarada non potesse comprenderla, nonostante il disprezzo che provava nei confronti di quella donna. Kurotsuchi aveva subìto una pesante sconfitta durante la sua guerra contro la Sabbia, per cui non poteva permettersi di fare mosse azzardate.

Ma ancora, anche senza Boruto, le proteste e le ribellioni non erano terminate affatto.

FUORI DAI VILLAGGI SI VEDONO SCENE
DI RIBELLI ORMAI REIETTI, PIENI DI STRESS.
SENZA I KARA, ORMAI SONO GIÙ,
SI SGRETOLERANNO SEMPRE PIÙ.


LE FACCE DI KONOHA SONO MITI PER NOI,
SHINOBI TROPPO BELLI SONO GLI UNICI EROI.
INVECE LUI, SÌ, LUI ERA UNA STAR,
MA TANTO NON RITORNERÀ.


HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE QUELLI DELLA ROCCIA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

Sarada serrò i denti con frustrazione. Sentire quella parte della canzone fu un altro duro colpo per lei. Dopotutto, dopo essere ritornata sulla Terra, aveva ricevuto una notizia che, all’epoca, l’aveva sconvolta non poco. L’avvenimento che, più di tutti gli altri, aveva sconvolto e frantumato l’equilibrio precario in cui si trovava precedentemente il loro mondo.

L’Organizzazione Kara era stata sconfitta.

Era stata sua madre a riferirle i dettagli. Poco prima che lei tornasse da Eldia, l’Hokage e Sasuke erano riusciti a scovare il covo segreto dell’Organizzazione criminale fondata da Boruto, assaltandolo e facendo piazza pulita di tutti coloro che avevano osato mettersi tra loro. Era stata una vittoria schiacciante, una di quelle che il mondo non avrebbe mai più potuto dimenticare. Nessuno sarebbe riuscito a tenere testa ai due uomini più potenti della Terra riuniti assieme e incazzati a morte.

A quanto pareva, Boruto e gli altri si erano nascosti per anni sulla Luna, riuscendo a restare invisibili per anni. Ma, una volta scovati e rimasti senza leader, i Kara non erano riusciti a resistere all’assalto combinato di suo padre e del Settimo Hokage, ed erano stati prepotentemente sconfitti in una battaglia nel loro stesso covo. E quando tutto ebbe fine, la notizia che ne seguì fece il giro del mondo in pochissime ore. Mikasa, Sora, Mitsuki, e tutti gli altri membri dell’Organizzazione Kara avevano perso contro i due Eroi della Quarta Guerra Mondiale in uno scontro frontale avvenuto sulla Luna.

Naruto Uzumaki e Sasuke Uchiha avevano messo fine ai Kara una volta per tutte.

E sin da allora, gli amici di Boruto erano stati catturati e detenuti in una prigione di massima sicurezza all’interno della Foglia… torturati giorno e notte per ottenere informazioni... e richiusi lontano da tutto e tutti fino ad oggi.

Uno ad uno.

Per due anni consecutivi.

Sarada si rese solo vagamente conto del fatto che il bicchiere che reggeva in mano era stato improvvisamente ridotto in frantumi.

Scuotendo la mano per asciugarsela dal liquido, la corvina non poté fare a meno di pensare con una nota di tristezza a quei ragazzi che non avevano fatto altro che seguire Boruto per tutta la loro vita, sentendo il proprio cuore farsi pesante a quel pensiero. Anni e anni di lotte, fughe, nascondimenti e atrocità… per poi finire sconfitti come niente in una sola battaglia. Senza Boruto, nessuno di loro era riuscito a tenere testa alla potenza combinata di suo padre e dell’Hokage.

“Chissà cosa avrebbe pensato Boruto se l’avesse saputo prima di morire…”

Quella era una bella domanda, pensò l’Uchiha. Sarada aveva avuto modo di sperimentare sulla sua pelle quanto il suo amato biondino fosse ferocemente attaccato ai suoi amici. Li amava talmente tanto da arrivare persino a considerarli come la sua vera famiglia, completamente incurante delle persone che si era lasciato alle spalle pur di restare con loro. Erano coloro per cui aveva combattuto, per cui si era sacrificato fino alla morte, per cui aveva lottato durante tutta la sua vita, e non c’era modo di negarlo. Tutti coloro che avevano conosciuto Boruto lo sapevano.

Forse… Forse era solamente per questo motivo che l’Hokage aveva deciso di non ucciderli.

Ma le cose non sarebbero andate bene per loro nemmeno adesso. Anche se sconfitti, le Nazioni alleate con la Foglia non erano disposte a perdonare i Kara, per nessun motivo. Nemmeno le proteste del Settimo Hokage erano servite ad agevolare la loro situazione. Le azioni che avevano compiuto negli anni passati erano state troppo crudeli, troppo spietate per poter essere condonate: la distruzione della Nuvola, l’assalto alla Nebbia, l’uccisione di diversi Kage… erano solo alcune delle cose che Boruto e i suoi compagni avevano fatto durante il loro operato. E adesso che il Nukenin più pericoloso del mondo era morto, gli altri erano diventati il nuovo capro espiatorio. E quando si era discusso sul destino di quelle persone, durante un Summit Mondiale avvenuto l’anno precedente, tutte le Nazioni contrarie alla Rivoluzione erano state d’accordo su un’unica decisione unanime:

Condannare tutti i Kara a morte.

E giustiziarli pubblicamente.

Non era stata una decisione accolta bene da tutti. I Paesi affiliati con la Rivoluzione avevano protestato, ma senza la possibilità di fare concretamente nulla. E come se non bastasse, il Vortice, un Paese solitamente neutrale, si era a sua volta dichiarato contrario a quella decisione, minacciando a sua volta di unirsi ai Ribelli se non fosse stata annullato l’ordine. Dopotutto, uno dei membri dei Kara era la figlia dell’attuale Uzukage, oltre che una vecchia amica di Boruto Uzumaki.

Ma le proteste dell’Hokage e dell’Uzukage erano state inutili dinanzi alla rabbia e all’astio delle Nazioni contrarie alla Rivoluzione. Non ci sarebbe stata pietà per dei criminali. Non di nuovo. E per questo, alla fine, la decisione era stata presa lo stesso. I Kara sarebbero stati giustiziati pubblicamente senza nessun condono, durante un secondo Summit Mondiale che avrebbe avuto luogo nella Terra dei Fiumi durante la fine di Settembre dell’anno successivo.

Ovvero quest’anno.

Sarada sentì una prepotente sensazione d’angoscia iniziare a sommergerle la mente.

HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE È STATO SASUKE UCHIHA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

Mentre ascoltava il ritornello, però, un piccolo sorriso pieno di tristezza le incurvò nuovamente le labbra. Forse Boruto aveva avuto un po' di ragione, pensò. Forse la strada che aveva intrapreso non era così oscura e imperdonabile come aveva pensato negli anni passati. Se così tanta gente continuava a credere in lui e nella sua Rivoluzione persino dopo la sua morte… allora, forse, c’era stato del bene nelle sue intenzioni.

Un’ennesima prova del fatto che la persona che aveva amato non era un mero mostro come lo dipingeva il mondo.

Senza indugiare ancora oltre in quei pensieri penosi, la giovane si alzò lentamente dal tavolo, posò una manciata di Ryo sul bancone, e si diresse fuori dal locale senza mai voltarsi indietro. Una bella dormita sarebbe stata la cosa più saggia da fare, decise. Dopotutto, l’indomani doveva prepararsi per un appuntamento.

Un appuntamento che non poteva più permettersi di saltare ormai.
 


L’uomo incappucciato giocherellò col suo bicchiere vuoto ancora per diversi secondi, senza muoversi o destare sospetti. La sua testa restò perennemente abbassata verso il bancone, mentre il suo occhio sinistro puntava invece a destra, studiando di soppiatto la figura della ragazza dai capelli corvini che stava uscendo dalla porta del locale. Poi, una volta che la sua sagoma scomparve completamente oltre la porta, il suo sguardo tornò a posarsi in avanti, senza davvero osservare niente. Nel locale continuò a regnare la calma esattamente come prima, con l’aria che tremolava leggermente per il vociare dei clienti e per la musica che risuonava sommessamente in tutto quell’ambiente scuro.

HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE È STATO SASUKE UCHIHA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

Le sue labbra si snudarono leggermente in un sorriso dentato privo di emozione.

“M-Mi ha chiamato, signore?” la voce del giovane barista lo fece ridestare dai suoi pensieri, portandolo a fissare il volto sorridente che gli si era piazzato davanti dalla parte opposta del bancone. Era un misero ragazzino di appena dieci anni, con dei capelli spettinati di colore verde ed un abito malmesso, visibilmente teso e nervoso mentre gli parlava. Non sembrava un vero barista a prima vista. Probabilmente faceva questo lavoro solo per pagarsi da vivere.

L’uomo incappucciato sorrise. “Sì. Portami del Sakè, ragazzo,” chiese, spostando in avanti il suo bicchiere vuoto.

Il ragazzino non esitò ad eseguire l’ordine del cliente, muovendosi nervosamente mentre afferrava con apprensione numerose bottiglie diverse prima di trovare quella giusta. Gli restituì il bicchiere con il suo perenne sorriso tirato. L’uomo lo osservò da sotto il suo cappuccio nero. “È da tanto che fai questo lavoro?” gli chiese, sorseggiando lentamente il liquore.

Il volto del giovane assunse un’espressione incerta. “A-A dire il vero no, signore. Ho iniziato una settimana fa. N-Non vorrei sembrare scortese, ma questo lavoro non fa per me. Lo faccio solo perché mi servono soldi,” ammise, quasi vergognoso.

L’altro rimase in silenzio per diversi secondi, facendo ondeggiare il bicchiere con una mano. “E cosa vorresti fare, invece?”

“Ah… Ahahaha! Ad essere sincero non lo so ancora, signore,” confessò con imbarazzo, grattandosi il collo con una mano.

Per qualche strano motivo, l’uomo sorrise sotto al suo cappuccio. “Come ti chiami, ragazzo?”

Quello ammiccò, confuso dalla domanda, prima di sorridere con imbarazzo. “I-Izuku. Izuku Midoriya,” rispose lentamente, raddrizzandosi con la schiena. “S-Se posso permettermi, lei invece chi è, signore?”

L’occhio dell’uomo guizzò verso destra per una frazione di secondo, osservando la porta del locale. Poi, come se niente fosse, tornò a fissare davanti a sé, bevendo in un sorso solo tutto il vino di riso e posando delicatamente il bicchiere sul bancone.

Il suo sorriso si fece più ampio e misterioso.

“Mi chiamo Saigo.”
 


02 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
09:57

Sarada percorse le strade della Foglia con una vaga sensazione di confusione. Era passata una settimana da quando era riuscita a completare i moduli per diventare Capitano degli ANBU, e stava lavorando duramente per riuscire ad ottenere la carica quanto prima. Dopotutto, era una cosa che non poteva evitare ormai. Le sue abilità erano cresciute molto nel corso di questi anni, ed erano in molti nella sua squadra ad averle consigliato di candidarsi per la posizione di Capitano. Eppure, lei aveva esitato fino ad ora. Aveva avuto paura. Aveva avuto paura perché consegnare quei moduli significava vedere l’Hokage, di persona. Significava che lei sarebbe dovuta stare in piedi difronte a lui, con una scrivania che li separava, e che avrebbe dovuto guardarlo negli occhi e vedere la totale disperazione di un padre che aveva perso un figlio.

Sarada non pensava di poterlo fare. Era da mesi che si rifiutava di vedere il Settimo per quel preciso motivo. Non voleva pensare che il suo idolo, il suo eroe, fosse così debole. Così umano. Avrebbe tanto voluto entrare nell’ufficio, vedere il bastione di forza e determinazione che era sempre stato, e andarsene sapendo che la sua casa era al sicuro e che tutto andava bene nel mondo.

Ma quello era un desiderio irrealizzabile.

La corvina si rese conto di essere stata ferma e in piedi dinanzi alla Torre per troppo tempo. La gente la stava guardando con occhiate strane. Ammiccò. I suoi occhi erano stranamente asciutti. Immaginò che fosse meglio che versare altre lacrime di sangue. Una cosa del genere l’avrebbe resa strana sotto più di qualche aspetto. Ancora oggi, i segreti dello Sharingan Ipnotico non erano un’informazione pubblica, ma molti sapevano che non portavano mai a niente di buono. Il clan Uchiha, che le piacesse o meno, non aveva mai avuto una bella reputazione.

Non che a lei fregasse qualcosa di quello che pensava la gente. Non dopo aver visto il modo in cui gli abitanti del Villaggio e coloro che sostenevano l’Unione facevano ironia sulla morte di lui. Certo, lui aveva infranto ogni singola legge esistente, lui aveva seminato il caos nel perseguimento dei suoi obiettivi, ma lui aveva avuto anche un cuore buono. Sarada lo sapeva. Himawari lo sapeva. Chiunque l’aveva conosciuto lo sapeva. Boruto aveva cercato di aiutare, a modo suo, il mondo a raggiungere la pace. C’era sempre stato del bene in lui. Era una parte di lui che lei amava, e che avrebbe sempre amato.

Sarada batté le palpebre e si ritrovò in piedi dinanzi alla reception. La segretaria la stava fissando, pallida, con la bocca spalancata mentre la sua mascella si muoveva su e giù. Sarada si accigliò, allungò una mano e si asciugò le guance. Le sue dita tornarono macchiate di sangue. Merda. Chiuse gli occhi, costrinse il suo Sharingan a dissolversi e fece il miglior sorriso che riuscì a generare. “Ho un appuntamento con l’Hokage tra pochi minuti,” disse, la sua voce dolce che sembrò calmare la segretaria.

La donna annuì, un po' tremante, e le indicò alcune sedie. “Siediti. Ci vorrà solo un minuto.”

L’Uchiha si sedette. Un minuto fu apparentemente più lungo di quel che si aspettava. Guardò l’orologio. Dopo un quarto d’ora, iniziò ad agitarsi. Notò che la segretaria le stava lanciando delle occhiate strane. Pensò di parlarle e chiarire qualsiasi cosa avesse per la testa, ma decise di non farlo. Era la segretaria dell’Hokage. Non avrebbe chiacchierato se avesse saputo cosa era meglio per la sua carriera, per non parlare della sua salute.

In quanto ANBU e futuro Capitano, Sarada lo sapeva bene. Le persone che tradivano la fiducia di un Kage di solito finivano per scomparire, e nessuno faceva domande su dove fossero finite o perché fossero improvvisamente scomparse. Gli ANBU esistevano anche per questo: per eliminare i problemi. Non che Sarada pensasse che l’Hokage fosse così duro, così spietato. Era una persona buona e altruista, a differenza di lui, che era stato freddo, crudele e calcolatore. Tuttavia, chi poteva dirlo davvero? Lei stessa aveva sempre saputo che c’era del buono nel figlio reietto del Settimo.

La porta sbatté mentre si apriva per permettere l’ingresso ad un’altra persona. Sarada s’irrigidì mentre Himawari entrava nell’ufficio. Era più alta, più bella, coi capelli lunghi e sciolti simili a quelli di sua madre. I loro occhi si incontrarono, e quell’inespressa e condivisa devastazione passò tra di loro. Sarada sorrise debolmente. Era più un sorriso di cortesia che uno pieno di emozione. Himawari ricambiò il gesto a stento. Le sue labbra si piegarono verso l’alto in un modo vago e tirato che sembrava quasi essere la pallida imitazione di un sorriso.

Sarada sentì il suo sorriso appassire e svanire. Giusto. Poteva comprenderlo. Lei aveva perso un amico, ma Himawari aveva perso suo fratello. E anche se lui l’aveva abbandonata quando aveva sette anni, quando erano più piccoli loro due erano stati molto vicini. Più vicini rispetto ai fratelli normali. Era stato lui a prendere le redini di casa quando suo padre era diventato Hokage. Era stato lui a giocare con lei, a tenerle compagnia, a proteggerla; arrivando persino a saltare la scuola solamente per restare a casa con la sorella quando lei aveva bisogno di lui.

Sarada era stata gelosa di lei, in realtà, quando era più giovane. Avrebbe voluto quel tipo di attenzione su di sé. L’Uchiha ricordava ancora di averlo seguito – non stalkerato, definitivamente non stalkerato – per le strade mentre tornavano a casa dopo le prime lezioni di scuola. Lui portava sempre in volto un’espressione divisa tra la rabbia e la tristezza, ma ogni volta che arrivava a casa si forzava a spingere quelle emozioni dentro di sé solo per mostrare un sorriso a sua sorella.

Himawari la stava abbracciando. Sarada si rese conto che a un certo punto aveva cominciato – per l’ennesima volta – a piangere. Abbassò lo sguardo e notò che la sua camicia era macchiata di rosso. Era una cosa buona che le piaceva vestirsi con abiti di quello stesso colore. Nascondevano bene le macchie di sangue. Sarada ricambiò l’abbraccio senza esitazione.

La segretaria tossì. Stava dinanzi a loro, visibilmente imbarazzata. “L’Hokage si è liberato,” le disse. I suoi occhi guizzarono tra lei e Himawari. “Tu potrai andare dopo di lei, Himawari,” aggiunse con un sorriso.

“Non c’è problema,” disse Sarada. “Può venire con me.”

Nessuno discusse con quella decisione. Sarada salì le scale a passo lento fino al secondo piano. Himawai la seguì. Le ombre nell’atrio che conduceva all’ufficio dell’Hokage erano familiari per lei. Gli ANBU sorvegliavano questo posto ad ogni ora del giorno e della notte. Senza farsi notare, fece un cenno di saluto alle due maschere nascoste nel buio. Arrivò davanti alla porta, ma essa si aprì prima che potesse bussare. Shikadai e suo padre uscirono senza fiatare. Sarada fece loro un inchino. Era bello rivedere Shikadai. Lui e Inojin erano stati messi di pattuglia sul confine da settimane. Si chiese se adesso fossero finalmente tornati.

Non perse altro tempo. Sarada entrò nell’ufficio, Himawari alle sue spalle, e… cazzo. Era peggio di quanto ricordava. L’Hokage appariva come se fosse mortalmente malato, o come se fosse stato pestato pesantemente. O entrambe le cose. I suoi occhi erano rossi con borse scure sotto di essi. I capelli dorati che condivideva con lui erano pallidi e privi del solito colore vibrante che le piaceva così tanto.

Fece male. Fece male vedere la prova che il suo eroe non era così intoccabile come sperava. Ancora adesso, dopo due anni, il dolore era insopportabile per lui. Sarada esitò. Quindi avanzò prima che la pausa diventasse imbarazzante. Himawari la seguì come un cucciolo smarrito, e l’Uchiha si costrinse a non voltarsi per vedere quanto padre e figlia fossero simili nel loro dolore.

La cosa migliore che poteva fare era spostare l’attenzione su di lei. Posò il foglio sulla scrivania e rimase sull’attenti. L’Hokage la guardò, poi fissò il foglio, e poi guardò di nuovo lei – una cosa un po' stupida – prima di afferrare il modulo ed iniziare a leggerlo. Sarada sentì la tensione invaderle la mente. Voleva diventare Capitano degli ANBU e unirsi ad una sessione di addestramento a cui partecipavano solo l’élite di assassini più spietati. Il tutto per dimenticare il dolore che ancora adesso la flagellava. Non era certo una cosa che sarebbe stata accettata facilmente.

Sarada vide il momento esatto in cui l’Hokage comprese la sua richiesta. Era nei suoi occhi. L’orrore. Lei sospirò. “La prego, Hokage-sama. È quello che desidero.”

Il modo in cui la sua mascella si mosse su e giù le diceva che voleva rifiutare, ma non sapeva come. Lo vide combattere con sé stesso per diversi minuti, pieno di tensione. Poi, le sue spalle crollarono verso il basso, sconfitte. Il Settimo allungò una mano per prendere uno stampo e lo premette sul documento prima che potesse cambiare idea.

Era fatta.

“Grazie,” sussurrò la corvina. Si girò per andarsene, dato che era evidente che Himawari volesse parlare a Naruto come suo padre, ma Sarada esitò quando vide gli occhi azzurri di lui che la fissavano in maniera supplichevole. Solo che erano gli occhi azzurri di lei, e non veramente quelli di lui.

Decise di non andarsene. Sarebbe rimasta e avrebbe offerto quel piccolo supporto emotivo che poteva. Himawari fece un passo in avanti, estrasse un singolo foglio di carta dalla tasca e lo passò a suo padre. L’Hokage lo aprì lentamente, e Sarada riuscì a capire dalle pieghe sulla carta che era stato aperto e richiuso diverse volte prima di allora. Era quasi logoro.

Qualunque cosa fosse scritta sul foglio sembrò colpire il Settimo Hokage come un martello in mezzo agli occhi. “V-Vuoi… Vuoi lasciare il Corpo dei Ninja?” esalò Naruto, incredulo, e… che cosa cazzo? Sarada non poteva crederci. Himawari non poteva smettere. Lei era, beh, aveva talento. Non quanto lui – perché nessuno era davvero talentuoso come lo era stato lui – ma aveva un futuro brillante davanti a sé. Era potente, abile, e intelligente. Era un’Eremita. Avrebbe potuto diventare il prossimo Hokage, se lo desiderava. Himawari poteva chiedere qualsiasi posizione nel Villaggio e guadagnarsela.

“No,” rispose l’Uzumaki, un po' esitante. “Ho solo… bisogno di una pausa. Di un po' di tempo da sola. Per riflettere sulle cose. Per trovare…”

Per trovare qualcosa per cui vale la pena vivere, finì per lei Sarada. Adesso aveva capito. Tutta la vita di Himawari era ruotata attorno al desiderio di riportare a casa suo fratello, dopotutto.

L’Hokage annuì, ancora scosso, prima di timbrare il foglio e posizionarlo sopra al suo. Entrambi i documenti finirono in cima ad una pila imponente di scartoffie. E quando Naruto alzò gli occhi, quello sguardo di totale sconfitta e rimorso era tornato, ed era così forte che Sarada non poté sopportarlo oltre. Doveva fare qualcosa.

Le parole le uscirono da sole dalle labbra.

“Deve farsene una ragione,” disse lentamente.

Il Settimo Hokage non la guardò nemmeno.

I denti di Sarada si serrarono con forza. “Sono passati due anni ormai,” insistette disperatamente.

Le spalle dell’uomo sembrarono scosse un tremito. “Due anni, tre mesi e due giorni, ad essere precisi,” sussurrò piano, la sua voce roca e spezzata. Fissava il vuoto con occhi spenti e rammaricati.

All’udire il tono affranto del suo idolo, nemmeno Sarada riuscì a trattenere un gemito. Alle sue spalle, sentì Himawari cominciare a serrare i pugni impotentemente. “Hokage-sama, io-”

“Starò bene,” la incalzò lui, offrendole un sorriso tirato. Non c’era allegria nel suo volto, solo una pesante rassegnazione. “Non preoccuparti per me. Io… Io starò bene. Certe cose richiedono molto tempo, Sarada.”

In quel momento, dopo più di due anni che non l’aveva fatto, l’Uchiha desiderò ardentemente che suo padre potesse essere qui assieme a lei. Solo lui avrebbe potuto aiutare Naruto a superare il dolore che lo stava affliggendo. Ma, ancora una volta, suo padre non c’era. Non era più sulla Terra. Era partito di nuovo, circa sei mesi prima, per proteggere il mondo dagli Otsutsuki. Senza più nessuna Organizzazione Kara a minacciare le Nazioni, era stata l’unica cosa che gli era rimasta da fare, dopotutto. Sarada pregò disperatamente che potesse tornare al più presto.

Le sue labbra emisero un sospiro sconfitto. “Almeno… ci sono novità sulla questione dei suoi amici?” domandò più seriamente. “Che ne sarà di Mikasa e degli altri?”

Il volto del Settimo si fece pesante. “Non c’è stato niente da fare, purtroppo,” rispose senza mezzi termini, visibilmente contrariato. Sembrò appassire ancor più di prima. “Ho provato a mandare dei messaggi ai Kage, ma nessuno mi ha risposto. Saranno giustiziati pubblicamente durante il Summit a fine mese.”

Il suo cuore ebbe un fremito.

“Posso… Posso almeno andare a fare loro una visita?” chiese sommessamente.

Il sorriso che l’Hokage le rivolse era pieno di rammarico. “Ormai sei un Capitano degli ANBU, Sarada. Nessuno ti impedirà di farlo.”

Sarada uscì dall’ufficio senza aggiungere altro.
 


03 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza dell’Hokage
12:45

Shikadai sospirò, passandosi una mano nei capelli, e tentò di farsi coraggio scuotendo la testa. Costrinse il suo braccio a sollevarsi e le sue nocche a bussare contro la porta di casa della famiglia Uzumaki. Per la tensione che provava, ebbe quasi bisogno di una Tecnica d’Ombra per costringere il suo corpo ad obbedire ai comandi della sua mente.

Dopo qualche istante d’attesa, Hinata-sama aprì la porta. I suoi occhi erano rossi e la pelle sotto di essi di un colore viola-nero chiazzato scuro. Il Nara si pentì immediatamente della sua scelta appena la vide in quello stato. Era palese che la donna stesse passando le sue giornate a piangere ancora adesso. La sua depressione non era migliorata, vista l’immensa emotività che caratterizzava la moglie dell’Hokage. “M-Mi dispiace immensamente disturbarla, Hinata-sama,” Shikadai riuscì a soffocare. “Himawari è in casa? P-Posso parlarle?”

Hinata non disse nulla, limitandosi semplicemente ad annuire, prima di chiudere la porta e affrettarsi ad andare a prendere – dedusse il giovane – sua figlia. Quando la porta si aprì di nuovo, Himawari lo stava osservando con uno sguardo assonnato, ammiccando confusamente gli occhi. Il suo volto era livido per gli allenamenti e aveva i capelli selvaggi e spettinati, ma sembrava stare… bene.

“Ehi, Himawari,” la salutò il Nara. “Posso parlare con te per un po'? Magari andando a pranzo assieme?”

La principessina trasalì, ammiccando furiosamente, prima di lanciare uno sguardo al pigiama che stava ancora indossando. Le sue guance si colorarono leggermente di rosso. “Sì, certo,” rispose. “Dammi solo un minuto.”

Gli sbatté la porta in faccia e Shikadai sentì il rumore di passi che battevano sul pavimento di legno duro. Quando la ragazza tornò, si era cambiata con la divisa standard da Jonin della Foglia. La giacca era di circa due taglie più grande per lei, ed era ovviamente stata misurata per uomini, non per donne. “La maggior parte delle mie cose è al Monte Myoboku,” disse Himawari, scusandosi.

Shikadai si strinse nelle spalle. Non gli importava davvero di cosa indossasse. La portò nello stesso ristorante in cui erano sempre soliti andare sin dai tempi dell’Accademia. Shikadai era abbastanza sicuro che il padre di Chocho ne fosse il proprietario. O, almeno, che appartenesse al clan Akimichi.

“Allora,” disse Himawari, sorseggiando il suo tè. “Di cosa volevi parlare?”

Shikadai fissò la sua tazza intoccata e sospirò, facendosi coraggio. “D’accordo, ma ti avviso che sarà piuttosto imbarazzante. Quindi… cerca di avere pazienza con me,” iniziò a dire. Himawari lo osservò con un sopracciglio incurvato. “Voglio parlare di quello che ti sta succedendo. E anche… di tuo fratello.”

L’effetto fu immediato. “Oh,” esalò la giovane. La sua espressione divenne istantaneamente fredda e acida.

Shikadai sospirò. “Ascolta, io… so che è stato difficile per te. È stato difficile per tutti, ma soprattutto per te,” disse. Si fermò un attimo per prendere fiato. “Qualunque cosa fosse diventato, Boruto era nostro amico una volta. Ed era pur sempre tuo fratello.”

“È stato molto tempo fa, Shikadai,” dichiarò Himawari, piatta. “Sei lunghi anni fa.”

“Giusto,” concordò lui. “Ascoltami e basta, okay?  Non prenderla nel modo sbagliato. Siamo dei Ninja. Ciò significa che siamo tutti un po' pazzi. Gli svantaggi della carriera, ecco. Siamo tutti un po' malati, sai? Alcuni di noi più di altri. Il potere… ci fa delle cose. Ci corrompe. A volte penso che la natura del chakra sia essere sempre in conflitto con gli altri.”

Himawari lo fissò in silenzio.

“Ha senso, no? Abbiamo vissuto nell’era migliore e più pacifica che ci sia mai stata, e le persone sono ancora infelici. La gente cerca ancora di andare in guerra. Semplicemente… non finisce mai. Questa è la nostra storia, il nostro futuro: guerra. Un po' triste, vero?” chiese Shikadai.

Non ottenne nessuna risposta. Il giovane si schiarì la gola. “Quello che sto cercando di dire è… non so dove abbia sbagliato Boruto, e non so nemmeno come o quando; ma so che quando era in vita è caduto vittima di questa malattia che tutti abbiamo dentro di noi,” spiegò lentamente.

“C’è un senso in tutta questa conversazione? O stai solo cercando di farmi sentire una merda?” sputò improvvisamente lei, acida.

Shikadai sussultò. “L-Lo so che negli ultimi tempi tu ti eri riavvicinata a tuo fratello. E so anche quanto questa cosa ti abbia fatto soffrire dopo la sua… scomparsa, diciamo. Solo… io credo che, forse, ci fosse ancora del buono in lui. Che ci fosse una possibilità di riscattarsi, anche se ha tentato di fare cose orribili… come minacciare di morte i miei amici. Ma sono certo-”

“Tu non sai niente!” sibilò improvvisamente Himawari, furiosa. Si alzò di scatto e fece per andarsene.

Agendo in fretta, Shikadai contorse le dita nel Sigillo del Ratto. La sua ombra si scatenò, raggiungendo la figura di lei e costringendola a sedersi di nuovo. “Fantastico,” sospirò sommessamente. “Adesso sei davvero incazzata.”

“Lasciami andare!” ringhiò l’Uzumaki.

“Lo farò,” ribatté quello. “Non appena mi lascerai finire.”

Himawari lo fulminò con un’occhiata feroce, ma rimase in silenzio.

“Senti, io… tuo fratello è stato importante anche per me, ok? Forse non tanto importante quanto lo era per te, ma era il mio migliore amico quando ero piccolo. Non riesco letteralmente a ricordare un solo momento in cui non siamo stati amici. Mio padre era sempre a lavoro, e tuo padre era sempre a lavoro. Era inevitabile che legassimo. Abbiamo persino dato assieme dei nomi ai nostri fottuti personaggi in quello stupido gioco online a cui giocavamo sempre. Riesci a crederci? Lui era ‘Shadow Weaver’ ed io “Lawbringer’,” ammise, ridacchiando amaramente.

Shikadai fece un respiro profondo attraverso il naso. “Quello che sto cercando di dire è… che mi sento in colpa. Mi sento come se avessi fallito con lui. Avrei dovuto vedere la sua ‘caduta’, immagino, prima che fosse troppo tardi. Avrei dovuto capire che era malato più di tutti noi. E adesso, so per certo che anche tu stai provando lo stesso, e ti stai torturando per questo. Perché non sei riuscita a salvarlo prima che morisse. Non è così, Himawari?” chiese sommessamente.

Himawari lo fulminò con lo sguardo. Piccole lacrime luccicanti iniziarono a sgorgare dalle sue pupille.

“Io penso,” continuò il Nara. “Che in fondo, tu lo amavi più di tutti e volevi che si riscattasse. E per quanto lo volevi, purtroppo non c’è stato modo di farlo. E adesso che non c’è più… ti stai buttando così ferocemente negli addestramenti per ignorare il dolore della sua perdita.”

Shikadai fece una pausa, lasciò che il suo messaggio fosse recepito a fondo, e poi liberò la sua amica dalla Tecnica d’Ombra. Si aspettava che lei si alzasse e se ne andasse immediatamente. Ma non lo fece. Himawari rimase seduta lì, in silenzio, e fissò a lungo il suo tè. Una cameriera consegnò loro un vassoio di carne e verdure fritte, ma Shikadai non aveva molta fame a quel punto.

“…non è solo per quello,” sussurrò improvvisamente lei, dopo diversi secondi di silenzio.

Gli occhi del Nara si assottigliarono. “E allora cos’altro c’è?” domandò.

L’Uzumaki non alzò mai la testa verso di lui. “Ho ricevuto una profezia dall’Anziano Saggio dei Rospi, due anni fa,” ammise lentamente. “È da allora che mi sento così… male. La m-morte di mio fratello ha solo, come dire, peggiorato le cose.”

“Che cosa diceva questa profezia?” Shikadai non aveva intenzione di andarsene da lì senza avere le risposte che cercava. Era evidente per lui che la ragazza era estremamente incerta su quella questione. “Non temere, non lo dirò a nessuno. Lo prometto,” aggiunse subito dopo, notando la sua esitazione.

Himawari non rispose subito alla domanda. Passarono diversi secondi di silenzio teso tra loro due. Poi però, facendo un grosso respiro, la ragazza prese coraggio e rivelò al suo amico il suo segreto. Il segreto che, durante questi due anni, non aveva mai avuto il coraggio di rivelare a nessun altro.

Gli recitò la profezia per filo e per segno.

“Piccola Himawari… tu diventerai un Ninja di talento, un guerriero impareggiabile, celebrato in questa vita e ricordato per molto tempo dopo la tua morte. Camminerai tra le stelle, e sarai un balsamo per i tuoi alleati e una rovina per i tuoi nemici. Ma il tuo è un futuro di grande amore… e di grande tragedia. Sempre percorrerai il sentiero errante, lungo e buio, tortuoso e cupo. Hai già fatto delle scelte, e molte altre volte a venire scegliere dovrai. E alla fine di questo percorso, tu dovrai prendere la scelta più grande di tutte. Sia che tu scelga di divenire lo Scudo, sia che tu scelga di divenire la Spada; innumerevoli vite moriranno in tuo nome. Il sangue dei morti risorgerà per riempire gli oceani, e tu sarai maledetta da coloro che sceglierai di salvare o eliminare. Ma sappi questo: per tutta la tua vita, tu non conoscerai mai la pace. Sempre sarai condannata ad una vita irrequieta, e sebbene molti troveranno rifugio all’ombra della tua grandezza… tu non troverai mai un tuo ombroso riposo.”

Shikadai impallidì visibilmente. “Q-Questo… Questo è impossibile,” sussurrò, sconvolto.

Himawari scosse la testa. “Non è la prima volta che accade,” ribatté seriamente, monotona. “Il mio Destino è stato segnato. Non c’è niente che posso farci.”

“Cazzate!” Shikadai batté furiosamente le mani sul tavolo, fissandola con uno sguardo ardente di decisione. La giovane trasalì, non poco scioccata, e lo osservò con gli occhi sgranati. Anche gli altri clienti nel locale gli lanciarono un’occhiata confusa. “Hai ricevuto una profezia deplorevole, e con ciò? Hanno detto che dovrai vivere nella miseria, e allora? Chi se ne frega di quello che dice un vecchio rospo rugoso! Io non credo nel destino, e sono certo che nemmeno tuo fratello ci credeva, quando era in vita! Se qualcuno pensa che sarai costretta a vivere nel dolore fino alla morte… allora ciò che devi fare è dimostrare loro che si sbagliano!”

“C-Che stai dicendo?” soffocò Himawari, incredula.

Il Nara le afferrò una mano con la sua, fissandola negli occhi. “Quello che dice la profezia non è importante,” dichiarò. “Ma io non voglio vederti soffrire in questo modo. Non posso restarmene zitto e muto mentre tu passi le tue giornate nell’agonia, soffocando il tuo tempo nelle missioni e negli allenamenti per cercare di ignorare la sofferenza che hai dentro. Devi risollevarti, Himawari. Devi reagire. Ignora la profezia, ignora quello che pensano i rospi… e ricomincia a vivere. Solo tu puoi decidere quello che ne sarà del tuo futuro. Tu sola, e nessun altro. Sono certo che anche tuo fratello vorrebbe questo per te.”

La ragazza non disse nulla, ancora troppo sconvolta per riuscire a trovare le parole.

Lo sguardo di Shikadai era fermo e puntato su di lei. “Sono stato chiaro?”

Passarono dieci secondi di silenzio. Himawari abbassò lo sguardo. “…Perché ti interessa così tanto di come sto?” chiese infine lei, con una voce piccola e piena di speranza.

Shikadai fece roteare gli occhi, le sue guance paonazze. “Penso che tu lo sappia già. Voi donne siete così fastidiose,” rispose sommessamente, prendendo un boccone di maiale fritto.

“Per tua informazione,” la voce di Himawari lo riscosse dall’imbarazzo. Stava sorridendo sotto i baffi, afferrando per sé diverse strisce di carne. “È stata la peggior confessione che abbia mai sentito.”

“Sì, sì,” sbruffò lui.

Il resto del pranzo passò nel silenzio.

“Se questo è un appuntamento, allora paghi tu,” disse Himawari dopo un po' di tempo.

Shikadai sorrise. “Va bene,” concordò.

“…Sai,” commentò di nuovo lei, prendendo un’altra striscia di carne. “Mio fratello probabilmente ti avrebbe ucciso se lo avesse saputo. Anche se non lo voleva ammettere, da piccolo era un po' iperprotettivo nei miei confronti.”

Il suo sorriso vacillò.
 
 
 







 

Note dell’autore!!!

Salve gente! Eccovi il secondo capitolo, pero possa essere stato di vostro gradimento, almeno un po'.

Mi rendo conto che questa parte è stata priva di eventi particolari, ma questa quiete è necessaria al momento. Ci serve per vedere lo stato in cui si trovano i personaggi dopo tutti questi anni dalla fine della storia precedente, così come anche la situazione caotica in cui è precipitato il mondo. Oggi ne abbiamo avuto solo un assaggio, ma alcune cose sono già state rivelate:

- I Kara sono stati sconfitti (cosa estremamente prevedibile, visto l’incommensurabile potere di Naruto e Sasuke) e adesso sono in prigione. Verranno giustiziati a breve;

- Il mondo è sostanzialmente diviso in due fazioni: i Ribelli e le Nazioni contrarie alla Rivoluzione. Questa discrepanza ha generato innumerevoli problemi nel corso degli anni, anche dopo la morte apparente di Boruto;

- Un nuovo Summit mondiale sta per avere luogo a fine mese. Un Summit dove verranno prese delle decisioni importanti per il futuro del pianeta. Ovviamente lo vedremo in futuro;

- Shikadai ha iniziato a provare interesse per Himawari. Devo ammettere che l’intenzione di mettere quei due assieme mi è venuta in testa diverso tempo fa, e ho intenzione di perseguire questo intento. Servirà ad approfondire la storia di entrambi sotto diversi aspetti;

Cosa succederà adesso? Non posso rivelarvelo, ma lo vedrete presto. Ci sono ancora molte domande rimaste in sospeso, alcune delle quali avranno risposta già dal prossimo capitolo. Quindi, vi invito a pazientare. Io ce la metterò tutta per pubblicare quanto prima. (E sì, perdonatemi per aver copiato la canzone degli 883, ma era una cosa che volevo assolutamente inserire XD).

Siccome è passato un bel pò di tempo, sotto vostra richiesta vi allego le età di tutti i personaggi principali a questo puto della storia, assieme alle immagini di Sarada e Himawari dopo due anni.

Boruto: quasi 19 anni;
Mikasa: 19 anni;
Sora: 19 anni;
Gray: 20 anni;
Juvia: 20 anni;
Shirou: 21 anni;
Kairi: 19 anni;

Mitsuki: 19 anni;
Kumo: 23 anni;
Lucy: 21 anni;
Shizuma: 23 anni;

Sarada: 19 anni;
Himawari: 17 anni;
Shikadai: 19 anni;


Urahara: 38 anni;
Toneri: 35 anni;
Zeref: più di 1000 anni;

Naruto: 38 anni;
Hinata: 38 anni;
Sasuke: 38 anni;
Sakura: 38 anni.


SARADA UCHIHA



HIMAWARI UZUMAKI


Vi invito a leggere e commentare. Fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie mille a tutti in anticipo, e a presto!

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Capitolo 3
*** Tutto Ciò che è Rimasto ***


TUTTO CIÒ CHE È RIMASTO






I NEED A HERO
(Bonnie Tyler)

 
Where have all the good men gone?
And where are all the gods?
Where's the streetwise Hercules
To fight the rising odds?
Isn't there a white knight upon a fiery steed?
Late at night I toss and I turn,
And I dream of what I need.
 
I need a hero!
I'm holding out for a hero 'til the end of the night!
He's gotta be strong, and he's gotta be fast,
And he's gotta be fresh from the fight!

I need a hero!
I'm holding out for a hero 'til the morning light!
He's gotta be sure, and it's gotta be soon,
And he's gotta be larger than life!
Larger than life!
 
Somewhere after midnight
In my wildest fantasy,
Somewhere just beyond my reach
There's someone reaching back for me.
Racing on the thunder and rising with the heat,
It's gonna take a superman to sweep me off my feet.
 
I need a hero!
I'm holding out for a hero 'til the end of the night!
He's gotta be strong, and he's gotta be fast,
And he's gotta be fresh from the fight!

I need a hero!
I'm holding out for a hero 'til the morning light!
He's gotta be sure, and it's gotta be soon,
And he's gotta be larger than life!

I need a hero!
I'm holding out for a hero 'til the end of the night!
 
Up where the mountains meet the heavens above,
Out where the lightning splits the sea,
I could swear there is someone, somewhere
Watching me.

Through the wind, and the chill, and the rain,
And the storm, and the flood,
I can feel his approach like a fire in my blood.
 
I need a hero!
I'm holding out for a hero 'til the end of the night!
He's gotta be strong, and he's gotta be fast,
And he's gotta be fresh from the fight!

I need a hero!
I'm holding out for a hero 'til the morning light!
He's gotta be sure, and it's gotta be soon,
And he's gotta be larger than life!

I need a hero!
I'm holding out for a hero 'til the end of the night!
 
Dove sono andati tutti gli uomini buoni?
E dove sono finiti gli dei?
Dov’è l’Ercole della strada
Per combattere i crescenti pericoli?
Non c’è nessun cavaliere bianco sopra un fiero destriero?
Tardi nella notte mi agito e mi giro,
E sogno ciò di cui ho bisogno.
 
Ho bisogno di un eroe!
Cercherò un eroe fino alla fine della notte!
Deve essere forte, e deve essere veloce,
E deve essere fresco per la battaglia!

Ho bisogno di un eroe!
Cercherò un eroe fino alla luce del mattino!
Deve essere sicuro, e deve essere rapido,
E deve essere più grande della vita!
Più grande della vita!
 
Da qualche parte dopo la mezzanotte
Nella mia fantasia più selvaggia,
Da qualche parte oltre la mia portata
C’è qualcuno che sta cercando di raggiungermi.
Cavalcando il tuono e accelerando col calore,
Servirà un superuomo per sollevarmi da terra.
 
Ho bisogno di un eroe!
Cercherò un eroe fino alla fine della notte!
Deve essere forte, e deve essere veloce,
E deve essere fresco per la battaglia!

Ho bisogno di un eroe!
Cercherò un eroe fino alla luce del mattino!
Deve essere sicuro, e deve essere rapido,
E deve essere più grande della vita!

Ho bisogno di un eroe!
Cercherò un eroe fino alla fine della notte!
 
In alto dove le montagne incontrano il paradiso,
Fuori dove il fulmine divide il mare,
Posso giurare che c’è qualcuno, da qualche parte
Che mi sta guardando.

Attraverso il vento, il freddo, e la pioggia,
E la tempesta, e l’alluvione,
Posso sentire il suo avvicinarsi come un fuoco nelle vene.
 
Ho bisogno di un eroe!
Cercherò un eroe fino alla fine della notte!
Deve essere forte, e deve essere veloce,
E deve essere fresco per la battaglia!

Ho bisogno di un eroe!
Cercherò un eroe fino alla luce del mattino!
Deve essere sicuro, e deve essere rapido,
E deve essere più grande della vita!

Ho bisogno di un eroe!
Cercherò un eroe fino alla fine della notte!
 
 

03 Settembre, 0021 AIT
Luna, Astro Celeste
Macerie del Castello di Toneri
22:30

Era tutto distrutto.

Lo spettacolo che si ritrovava dinanzi era apocalittico. Sparito era il possente castello di marmo e pietra luccicante che la sua memoria ricordava, assieme anche alle sue immense sale colorate, alle sue vetrate gigantesche e alle possenti torri bianche che, un tempo, si stagliavano alte e possenti nel cielo oscuro che avvolgeva quella dimensione. Non c’erano più le bianche scalinate che conducevano all’ingresso, e nemmeno la gigantesca porta di ferro e metallo che fungeva da ingresso. Tutto ciò che restava di quella gloria passata erano solo immensi cumuli di macerie e pietra fumante, assieme a schegge di vetro, frammenti di marmo e una vaga e irriconoscibile massa di pareti spaccate e annerite che davano solo vagamente l’idea di un edificio. Il resto… erano solo macerie. Non c’era più niente. Il castello era stato distrutto. Completamente, spietatamente, irrimediabilmente distrutto.

Tutto ciò per cui aveva lottato in passato… ogni cosa che aveva sudato sangue per costruire… il luogo in cui aveva trovato rifugio…. erano stati completamente distrutti.

Non riusciva a credere ai suoi occhi.

Il suo cuore si fece pesante mentre faceva un passo in avanti. Non riuscì a trattenerlo. Il suo occhio sinistro tremolò, acquoso, mentre i suoi passi lo conducevano lentamente in mezzo a quelle macerie e ai resti della fortezza che un tempo aveva chiamato casa. Non c’era un solo rumore nell’aria, ed ogni passo che faceva echeggiava come un tuono in mezzo a quella calca di pietra, frammenti e cenere. E mentre osservava con uno sguardo afflitto il relitto fumante che per tanti anni lo aveva ospitato e protetto dal mondo, per la prima volta dopo anni di silenzio e nascondimento, Boruto Uzumaki comprese una cosa.

Il suo sogno era stato distrutto.

“Un giorno non molto distante… quel tuo occhio azzurro ti porterà via tutto.”

Il suo Jougan pulsò, sebbene la palpebra fosse chiusa. Boruto serrò i denti, ingoiando un singhiozzo, avanzando solenne in mezzo ai resti e alle macerie, e osservandosi disperatamente attorno alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse essere rimasta intatta in quell’oceano di distruzione. Ma per quanto cercasse, per quanto continuasse ad attraversare quelle rovine, setacciando le poche mura e sale rimaste, non trovò niente. Ogni cosa era stata distrutta. La sala da pranzo, l’ingresso, le camere, il laboratorio sotterraneo… spariti. Non c’erano più. Erano stati completamente sradicati dall’esistenza. Suo padre e il suo vecchio maestro non avevano avuto pietà. Avevano distrutto ogni cosa, gettando sale e cenere sopra tutto ciò che lui e i suoi amici avevano lottato duramente per costruire. L’Astro Celeste non esisteva più.

Era finita.

“E sii consapevole di questo: sii consapevole del fatto che una volta che qualcuno ha sconfitto un Dio, egli cessa di essere una persona ordinaria. E che il Destino morde con forza e continua a percorrere sempre il suo cammino...”

La sua mente angosciata venne pervasa dal puro, semplice ed implacabile panico.

Non voleva crederci. Non poteva crederci. Non riusciva ad accettare una cosa del genere. Era impossibile, inaccettabile, intollerabile. Non poteva finire così. Non doveva finire così. Tutto ciò che aveva creato, tutto ciò per cui aveva lottato non poteva essere andato distrutto completamente. Si rifiutava di crederlo. Doveva essere rimasto qualcosa. Ne era certo. Non si sarebbe arreso fino a quando non l’avrebbe trovato.

L’Occhio della Tempesta.

Il vortice oscuro generato dal suo occhio lo rivelò dinanzi alla sua vista, e il suo cuore ebbe un sussulto di sollievo ed euforia non appena si ritrovò, finalmente dopo ben due anni di assenza, in quella dimensione che lui stesso aveva progettato. Per un istante, Boruto non riuscì a credere a ciò che stava vedendo. A differenza dell’Astro, questo mondo era rimasto intoccato e illeso. Lo stesso cielo rosato, la stessa barriera violacea che brillava nel cielo, le stesse immense distese di erba verde, lo stesso castello di pietra bianca… era tutto lì. Immacolato e puro, esattamente come l’aveva lasciato. Non era stato ancora toccato.

Il sollievo lo inondò come un fiume in piena. Si precipitò di corsa nel castello, correndo all’impazzata in tutte le stanze della fortezza che aveva progettato in passato con l’aiuto di Mitsuki e Kumo, ancora scettico e incredulo. Le osservò, le setacciò una da una, frenetico e incredulo. Ma non ci mise molto a comprendere la realtà dei fatti. Il castello era integro. Le sale erano le stesse di sempre. Il suo laboratorio e le sue ricerche erano ancora lì, intatti. Le attrezzature e gli abiti erano rimasti al loro posto. Alcune marionette, ormai prive di energia e scopo a causa dell’assenza di Kumo, restavano buttate a terra nei corridoi e nelle sale. E cosa più importante…

…il Sigillo che ancorava alla realtà questa dimensione e che imprigionava i Demoni codati era ancora attivo.

Boruto crollò pesantemente sul suo letto, affondando la faccia nelle mani. Sembrava che suo padre e Sasuke Uchiha non fossero riusciti a trovare questa dimensione nascosta oltre la Luna. Il che era una bene, nella sua opinione. Ma lui non era certo così stupido da non riuscire a comprendere le implicazioni di ciò. Se l’Occhio della Tempesta era rimasto nascosto fino ad oggi, allora una cosa era certa: i suoi amici non avevano rivelato la sua esistenza nemmeno durante questi anni di prigionia. Avevano mantenuto il segreto fino ad oggi. E questo significava una cosa. Una cosa che, al suo solo pensiero, Boruto sentì il suo cuore cominciare a dolergli nel petto.

I suoi amici sarebbero stati torturati.

Una lacrima disperata gli colò sulla guancia. Non poteva lasciare che le cose continuassero così. Per nessuna ragione al mondo. Mikasa, Sora, Urahara… erano la sua famiglia. Erano le persone che contavano più di ogni altra cosa per lui. Il solo pensiero che potessero aver sofferto anche solo la metà di quello che aveva sofferto lui durante la Battaglia di Eldia era straziante. Non era così che dovevano finire le cose. Non era per questo che si era sacrificato contro il drago.

La sconfitta dei Kara e della Rivoluzione non era accettabile.

Ma Boruto non avrebbe lasciato che il suo obiettivo andasse ulteriormente in frantumi. Nemmeno per sogno. Adesso che aveva visitato la Terra sapeva quello che era successo. Aveva passato gli ultimi due giorni a raccogliere ed assimilare informazioni. La Rivoluzione e i Ribelli continuavano ad esistere. Erano deboli, erano senza potere, ma non erano ancora stati distrutti. I fuochi di protesta e ribellione continuavano ad ardere, con o senza di lui e dell’Organizzazione Kara. Ciò che aveva generato non era andato perso del tutto.

C’era ancora speranza.

Un’ondata di energia oscura e feroce inondò quella dimensione. Boruto si rimise in piedi solennemente, il suo volto una maschera di rabbia e ferocia mentre osservava la realtà con il suo occhio sinistro aggrottato e ardente di furia. Ora… Ora sì che era incazzato. Suo padre l’avrebbe pagata cara per ciò che aveva fatto. Oh, eccome se l’avrebbe pagata cara. I Kara potevano anche essere stati sconfitti in sua assenza, ma i resti dell’Unione non avevano tenuto conto di un particolare, di un’eventualità importante: lui era ancora in vita. Non era morto come tutti credevano nel mondo. Era vivo. Vivo, e incazzato come una bestia. La Foglia e suo padre avevano toccato e distrutto ciò che era suo. E non c’era nessuno al mondo che poteva toccare ciò che apparteneva a Boruto Uzumaki e continuare a vivere senza pagarne le conseguenze. NESSUNO.

E lui gliel’avrebbe fatta pagare. A Naruto, alla Foglia, e a tutti coloro che avevano osato sbeffeggiare e deridere i suoi amici dopo la loro sconfitta. Li avrebbe fatti pentire amaramente di essersi messi contro di loro. Avrebbe inflitto loro una punizione solenne, esemplare. Una di quelle che non si limitava ad ucciderli. No. Peggio, molto, molto peggio. Li avrebbe spezzati, terrorizzati, e distrutti da ogni punto di vista. Avrebbe spezzato la loro insulsa felicità, instillato l’orrore nei loro cuori, e infranto ogni speranza di luce e salvezza nei loro confronti prima di compiere la sua mossa. Questa… Questa era una promessa. E Boruto Uzumaki non si rimangiava mai le sue promesse.

Sapeva quello che doveva fare.

Boruto aprì un cassetto nascosto sul mobile accanto al suo letto. Sapeva di essere in svantaggio. I mezzi che la Rivoluzione e i Kara possedevano prima della sua scomparsa erano andati perduti, dopotutto. Gli anelli, le ricerche, i loro uomini… quasi tutto ciò che lui e i suoi amici avevano ottenuto dopo anni e anni di fatica e costanza era andato in frantumi. Ma non era finita. Poteva ricominciare. Poteva ricostruire tutto daccapo. Fintanto che lui fosse rimasto determinato, allora la Rivoluzione e l’Organizzazione Kara non sarebbero mai stati sconfitti. Né ora, né mai. E lui, lui avrebbe dimostrato ancora una volta al mondo intero quanto fosse sbagliato osare mettersi contro il Nukenin più potente del mondo.

Boruto snudò i denti in un sorriso maniacale.

Estrasse dal cassetto un piccolo anello di metallo, osservandolo con un miscuglio di nostalgia e affetto. Era un semplice anello di metallo argentato, con un topazio giallo e luccicante incastonato su di esso, sopra cui era stata incisa la scritta ‘Sud’. Era uno dei dieci anelli dell’Akatsuki, uno dei dieci testamenti del passato. Un ricordo sommesso di un’epoca di conflitti e guerre terminata da tempo. Un anello che, per tutto questo tempo, aveva tenuto nascosto sin da quando l’aveva prelevato dall’Isola Tartaruga, diversi anni prima.

L’anello di Kisame Hoshigaki.

Il guerriero se lo infilò sull’anulare sinistro. Zero e gli altri tre anelli dell’Akatsuki che aveva trovato in passato erano caduti in mano dei nemici ormai. Lui lo sapeva, ne era certo. Doveva essere così. Questo era l’unico anello rimasto. Ma sarebbe andato bene lo stesso. Ormai non aveva più bisogno di teletrasportarsi grazie al suo Jougan, e Sud gli avrebbe permesso di tenere sotto controllo il Sigillo che imprigionava i Bijuu grazie al suo potere. O, almeno, lo avrebbe fatto fino a quando non fosse riuscito a recuperare gli anelli che avevano perduto. Era un inizio. Il secondo inizio della sua avventura, della sua guerra contro gli Shinobi.

E questa volta, Boruto giurò a sé stesso che non avrebbe permesso alla sua causa e ai suoi amici di venire sconfitti come due anni fa.

Il suo sorriso divenne ferale mentre prendeva carta e penna.

“È ora di agire.”
 


04 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Massima Struttura di Contenimento
10:00

Sarada esitò, osservando l’immensa porta dell’edificio di mattoni e pietra con una crescente sensazione d’ansia. Anche se non era la prima volta che osservava quella struttura, nemmeno adesso poteva negare di sentire un’immensa soggezione nel trovarsi dinanzi ai suoi cancelli. La Massima Struttura di Contenimento era la prigione definitiva della Foglia. La più oscura, più infamata, e più sicura zona di contenimento per carcerati che esisteva sulla faccia della Terra. Era stata costruita ai confini del Villaggio da poco meno di due anni, progettata dagli stessi Shinobi della Terra dell’Erba che un tempo avevano partecipato alla guardia del Castello Hozuki. Ora che quella fortezza non esisteva più – grazie all’intervento di Boruto – questo edificio era diventato la nuova prigione più infamata del pianeta. Era la più sorvegliata, la più pericolosa e la più inespugnabile struttura di contenimento che esistesse al mondo.

E da un anno e mezzo a questa parte, era anche il luogo dove i membri dell’Organizzazione Kara erano tenuti in custodia lontano dal mondo.

La ragazza deglutì il suo nervosismo. Sapeva bene quello che avveniva all’interno di quella struttura. In quanto ANBU, aveva avuto modo di entrarci e vedere coi suoi stessi occhi i metodi cruenti che le guardie usavano nei confronti dei detenuti. Non che potesse biasimare la Foglia per i trattamenti che riservavano qui dentro. Questa prigione conteneva i peggiori criminali che esistevano al giorno d’oggi. Essere incauti avrebbe potuto compromettere la sicurezza, visto che l’edificio era stato costruito a poche miglia dalle mura di Konoha. Non avevano avuto altra scelta che posizionarlo lì, visto che tutte le varie Nazioni avevano chiuso i confini ormai. Con o senza i Kara, ormai la pace non esisteva più. Il mondo era in perenne lotta, e il malcontento aumentava di mese in mese.

Sarada scosse la testa, scacciando quei pensieri oscuri e penosi dalla sua testa. Non era venuta qui per questo. In quanto neo Capitano degli ANBU, aveva il diritto e il dovere di accertarsi delle condizioni dei detenuti. Soprattutto di quelli che erano considerati i criminali più importanti del pianeta. I vecchi seguaci, nonché amici, del biondino che aveva tanto amato per tutta la sua vita.

Nessuno osò mettersi contro di lei non appena avanzò all’interno della struttura. Le gerarchie Shinobi erano rigide, e severamente rispettate. Gli ANBU – i Capitani soprattutto – godevano di un’autorità illimitata nella Foglia, seconda solo a quella dei Consiglieri dell’Hokage e a quella di suo padre. Ma Sarada sapeva che Sasuke era un’eccezione alla regola. Per cui, nessuno le disse niente quando avanzò con decisione verso l’ascensore. L’edificio era buio e di forma sferica, e composto principalmente a livelli che si estendevano sottoterra come una torre, generando una struttura simmetrica a piani. Più il livello era basso, più pericolosi erano i detenuti. I prigionieri erano divisi a settori, dopotutto. Mano a mano che si scendeva a fondo nella prigione, i detenuti diminuivano sempre più. Ma lei non si fermò ai piani intermedi.

Dopotutto, l’Uchiha sapeva che il suo obiettivo si trovava nel livello più basso.

I corridoi della struttura erano innumerevoli e s’intrecciavano diverse volte tra di loro, ed erano anche oscuri e spogli, illuminati solo da una serie di piccole luci bianche poste sul soffitto. Erano soffuse e opache, e servivano a poco o nulla. Dopotutto, in caso di una tentata evasione, il loro scopo era quello di confondere gli evasivi e di farli perdere nel labirinto di corridoi che componeva la prigione. Solo le guardie e la Divisione di Tortura conoscevano ogni segreto di questa struttura, e lo avrebbero tenuto per sé fino alla fine dei loro giorni.

Fu quando arrivò dinanzi alla porta bianca che dava l’accesso alla prigione più a fondo della Struttura che Sarada iniziò a pentirsi di essere giunta in quel luogo. Temeva ciò che avrebbe potuto vedere una volta superata quella soglia. Era da due anni che non vedeva quelle persone, dopotutto. La loro ultima apparizione pubblica era stata una diretta in Tv avvenuta a fine Luglio di due anni prima, durante una seduta di tribunale che era stata allestita dalle varie Nazioni per condannarli. Già all’epoca i seguaci di Boruto erano stati sentenziati a morte, ma solo le suppliche dell’Hokage erano state ciò che aveva convinto i giudici a temporeggiare fino ad ora. Ma non più. A fine mese sarebbero stati giustiziati pubblicamente, senza nessuna possibilità di condono.

Sarada non avrebbe potuto vivere serenamente con sé stessa senza andare a fare loro una visita prima di allora.

Ancora, la sua mente temeva ciò che avrebbe potuto vedere. Come li avrebbe ritrovati? Cosa avrebbe dovuto dire loro? I Kara erano stati estremamente fedeli nei confronti di Boruto, e per questo il mondo li odiava. La Rivoluzione li sosteneva ancora adesso, ma coloro che odiavano il figlio dell’Hokage avevano puntato il loro odio su di essi, adesso che lui non c’era più. Erano dei reietti, sotto ogni punto di vista. Dei criminali e assassini le cui azioni erano imperdonabili. La loro unica àncora di unione era stata Boruto, e Boruto soltanto. E Sarada – in quanto unica persona vivente che aveva assistito alla sua morte – avrebbe potuto ricevere molto astio e disprezzo da parte loro.

Eppure, questa cosa non la fermò dall’aprire la porta ed avanzare a passo lento nella prigione dei criminali più famosi del pianeta.

La prima cosa che notò era la sala. Enorme e circolare, di almeno cinquanta metri di dimensioni totali. Le pareti oscure formavano un cerchio, un cerchio su cui si protraevano per tutta la sua estensione una serie di dieci celle delimitate da barriere arancioni e luccicanti. Il centro della sala era illuminato da un lampadario piccolo e dalla luce soffusa, sotto cui si trovava un congegno di metallo che serviva, Sarada lo sapeva bene, a disattivare la barriera delle celle.

Le celle, a loro volta, erano tutte e dieci simili tra loro. Disposte a egual distanza tra di loro lungo le pareti circolari della prigione, erano di circa dieci metri per dieci, in modo tale che i detenuti non potessero vedere le celle poste affianco alla loro, ma solo quelle opposte al cerchio. Erano tutte bianche e completamente illuminate – una cosa che creava un contrasto visibile con l’oscurità perenne della struttura – e delimitate tutte da una barriera di chakra arancione. Sarada la riconobbe immediatamente. Era la stessa barriera che aveva rinchiuso Boruto durante la sua breve prigionia nel Villaggio, quella ideata da Orochimaru dei Sannin. Nessuno dei prigionieri poteva usare chakra all’interno di essa, in nessuna occasione o circostanza e per nessun motivo. Era un vero e proprio isolamento totale dal resto del mondo. Ogni cella, tuttavia, aveva una propria guardia posta dinanzi ad essa, a costante sorveglianza di ogni singolo prigioniero, in modo tale da poterli tenere costantemente sotto controllo uno ad uno.

La ragazza represse un brivido. Era una cosa inquietante. Non c’era privacy, non c’era pietà. Solo una ferrea e totale crudeltà e mancanza di umanità. Non che non potesse giustificarla. Boruto Uzumaki era riuscito a fuggire da sotto al naso della Foglia e dell’Hokage proprio per colpa di questi fattori. Konoha non avrebbe commesso lo stesso errore una seconda volta. Non con i suoi amici e collaboratori.

E fu proprio vedere quelle persone la cosa più devastante per lei. Fu proprio vedere i loro volti, i loro corpi, e i loro sguardi che si posavano su di lei non appena la sentirono entrare nella sala.

Sconfitta.

Quella maledetta espressione che per tutto questo tempo aveva infestato il volto del Settimo Hokage… era la stessa espressione che anche quelle dieci persone portavano in volto. Per non parlare poi delle loro condizioni fisiche. Erano tutti sporchi, magri, e visibilmente malnutriti; con dei segni inconfondibili di ferite e contusioni sulle braccia, sulle gambe e anche sulla faccia. Due anni di prigionia e torture incessanti facevano quest’effetto. Sarada aveva visto molti prigionieri ridotti a pezzi nella sua carriera da ANBU, ma vedere quelle dieci persone in quelle condizioni pietose… le fece un effetto che non aveva mai provato prima. Non seppe spiegare il perché, ma era così. Forse era perché alcune di quelle persone erano state sue amiche in passato, come Mitsuki, Mikasa e Sora; o forse perché, in fondo, quelli erano gli amici di Boruto. Le persone a cui il suo vecchio amico aveva voluto più bene di tutte.

E Sarada era certa che se Boruto fosse stato vivo e li avesse visti in quelle condizioni… non ne sarebbe stato contento. Aveva ucciso innumerevoli persone per molto meno.

Le guardie dinanzi ad ogni cella s’irrigidirono appena la videro posizionarsi al centro della sala, rivolgendo lo sguardo verso i prigionieri. “Avete una visita. Alzatevi,” ordinarono severamente, ciascuno al proprio detenuto.

Alcuni lo fecero, alzandosi dal fondo delle proprie celle e posizionandosi dinanzi alla barriera. Sarada aveva memorizzato da anni tutti i loro nomi, così come ogni singolo Shinobi contrario alla Rivoluzione. Gray Fullbuster e Juvia Lockser, il Signore del Gelo e l’ex assassina della Nebbia. Shirou Emiya e Kairi Uzumaki, lo spietato Samurai e il sensore prodigio dei Kara. E ancora Mitsuki e Kumo, il suo vecchio compagno di Team e il marionettista conosciuto come il Ragno della Sabbia. Infine, anche Urahara Kisuke e Toneri, il maestro di spada di Boruto e lo strano Otsutsuki che li aveva nascosti per anni sulla Luna. Eccoli lì, uno per uno, i membri dell’Organizzazione Kara; il gruppo di criminali più famoso e infamato del mondo. Tutti loro, coi corpi magri, pallidi e sfiancati dalla prigionia, furono coloro che obbedirono al richiamo e si posizionarono davanti alla barriera.

Gli altri due detenuti, invece, non lo fecero.

Le loro guardie corpulente si offesero per il rifiuto di alzarsi. Entrarono nella barriera senza pensarci due volte, iniziando a sbraitare ordini. Sarada assistette alla scena in silenzio, impotente. Una guardia diede un calcio in pieno naso al prigioniero dai capelli castani e spigolosi. Quello ringhiò come un animale, ma continuò a resistere. L’altra guardia, invece, tirò la ragazza per i capelli, forzandola a mettersi in piedi. Lei sibilò per il dolore e gli sputò in faccia. Per quel gesto, si guadagnò uno schiaffo – era più un pugno a palmo aperto, in realtà, come la zampata di un orso – in piena faccia.

La ragazza cadde contro la parete della barriera e lottò per rimanere in piedi. La guardia di prima le afferrò i capelli, di nuovo, e le palpò il seno con un ghigno feroce.

Sarada si accigliò mentre osservava quella scena, ma sapeva di non poter fare nulla per fermare la guardia. Non ne aveva l’autorità in quella prigione. Ma, per amor suo, fu grata del fatto che Boruto non fosse più lì per assistere a quell’evento. Sarada era stata più che gelosa di Mikasa Ackerman, la seconda in comando dei Kara, per essere in qualche modo riuscita ad attirare l’affezione e l’amore di Boruto per sé. L’aveva amata con tutto il cuore, e lei lo sapeva. Se il suo vecchio amico avesse avuto modo di vedere come la stavano trattando adesso… non voleva neanche pensarci.

Il prigioniero moro si era alzato in piedi per urlare contro la guardia di Mikasa. Quella scena, almeno, lo aveva risvegliato dalla sua depressione. Sora Hikari era l’unico compagno di Team rimasto a Mikasa, nonché migliore amico di Boruto e il suo compagno inseparabile. La guardia gli diede un calcio sulla schiena, costringendolo a rimanere in silenzio, ma non gli impedì di fulminare con lo sguardo ogni cosa su cui posava gli occhi.

Mikasa, alla fine, cedette alla violenza. Il suo corpo era pervaso da Sigilli scuri, Sigilli che servivano ad impedirle di accumulare chakra per non permetterle di trasformarsi in Titano. Adesso che sapevano del Potere di Ymir, l’Hokage e la Foglia non si sarebbero lasciati cogliere impreparati. Senza la possibilità di combattere, si rimise in piedi davanti alla barriera, osservando con uno sguardo spento e privo di emozione la sua guardia. E fu in quel momento, in quel momento in cui riuscì ad osservarla per bene, che Sarada comprese veramente quanto a fondo nella depressione fosse finita quella giovane donna. Era diventata pallida, più pallida di quanto non fosse mai stata; e magra, più magra di tutti gli altri detenuti. Il suo corpo non portava ferite come quelli degli altri, eppure sembrava ugualmente in condizioni peggiori rispetto agli altri. Era come se fosse mortalmente malata, o come se fosse afflitta da qualcosa. O entrambe le cose. I suoi occhi neri come la notte erano spenti, vacui, senza il più piccolo barlume di emozione, e fissavano ogni cosa dinanzi a lei senza veramente fissarla. Era… Era lo stesso sguardo che Sarada aveva visto diverse volte in faccia all’Hokage e sua moglie. Lo sguardo di chi ha perso la cosa più importante che aveva. Lo sguardo di chi ha perso la propria volontà di sopravvivere.

Lo sguardo di rassegnazione che odiava così tanto.

L’Uchiha sentì i suoi denti serrarsi con forza.

Quando le guardie si calmarono ed uscirono dalle celle, finalmente i prigionieri iniziarono a prendere parola. “Bene bene. Guarda un po' chi si è finalmente degnata di venire a trovarci,” sghignazzò Gray, ironico e crudele. La stava fissando con uno sguardo feroce, molto più animalesco che umano.

Sarada non rispose al suo tono provocatorio. Il prossimo a parlare fu lo strano Otsutsuki dai capelli bianchi. “Sarada Uchiha, l’eroina sopravvissuta alla Battaglia di Eldia,” dichiarò, come se avesse pronunciato una constatazione senza interesse. Il suo tono di voce era basso e melodico, anche se palesemente tirato. Forse a causa del fatto che in prigione non si parla molto, dedusse la giovane. “A cosa dobbiamo il piacere?”

Lei sospirò, facendosi coraggio. Non mancò di notare gli sguardi ostili che la maggior parte dei giovani detenuti le stavano lanciando. Gli unici che non sembravano intenzionati a saltarle addosso per sgozzarla erano l’Otsutsuki pallido, Mikasa, e l’uomo alto e slanciato che, a quanto aveva capito, aveva addestrato il suo vecchio amico nel Kenjutsu (Arte della Spada). “Una mera visita di controllo,” si decise a spiegare. “Sono qui per riferirvi la decisione che è stata presa in merito a ciascuno di voi. Anche se, visto ormai come stanno le cose, immagino che l’abbiate intuita anche voi a questo punto.”

Juvia scoppiò a ridere senza emozione, sarcastica. “Finalmente si sono decisi, dopo tutto questo tempo.”

Il samurai dai capelli rossicci chiuse gli occhi, come se non gliene fregasse di meno. “Ci giustizieranno,” dichiarò semplicemente, come se fosse scontato.

Sarada deglutì nervosamente. Annuì con la testa. “La vostra esecuzione non potrà più essere annullata. L’Hokage e l’Uzukage hanno fatto di tutto per convincere le altre Nazioni, ma i Daimyo sono stati intransigenti. Mi… Mi dispiace,” esalò sinceramente.

La ragazza dai capelli rossi come il sangue, Kairi, si rattristò visibilmente alla menzione di sua madre, senza dire nulla. Sarada la compatì in silenzio. Era molto probabile che madre e figlia non si sarebbero mai più riviste prima dell’esecuzione. Ai criminali di guerra non era concesso ricevere visite da persone straniere, nemmeno ai Kage. L’unica eccezione era stata con Boruto, dato che la Foglia non aveva denunciato la sua cattura.

“E perché mai dovrebbe dispiacerti?” domandò sarcasticamente Gray, snudando i denti. “Noi siamo i Kara. Siamo dei criminali. Siamo i cattivi. Voi Shinobi ci avete dato la caccia per anni. Cosa dovrebbe dispiacerti della nostra morte?”

“Mi dispiace perché tutti voi, proprio come me, siete stati suoi amici,” rispose l’Uchiha, semplicemente. Non c’era bisogno di dire a chi si riferisse.

L’effetto fu immediato dopo che ebbe pronunciato quelle parole. I suoi occhi allenati lo notarono fin troppo bene. Il modo in cui i loro corpi si fecero rigidi, i loro occhi che si sgranavano leggermente, e le espressioni di confusione e stupore erano dei segnali chiarissimi per un’ANBU come lei. Soltanto una persona rimase intoccata dalla dichiarazione. La giovane ragazza magra dai capelli neri rimase impietrita nella sua solita espressione spenta, senza reagire in nessun modo. In realtà, non la stava nemmeno fissando in quel momento. Stava guardando a terra, come se della sua presenza non gliene importasse nulla.

Il suono secco di un pugno che si fracassava sulla barriera echeggiò per tutta la sala. Sarada dovette ammettere di essere rimasta molto sorpresa quando vide l’espressione imbestialita di Sora e sentì il suo sguardo feroce puntato su di lei. La sua guardia lo stava trattenendo anche mentre la fulminava con gli occhi. “Se hai intenzione di farci soffrire ulteriormente con le tue parole, allora vattene,” sibilò pericolosamente il moro. Svanita era ogni singola traccia di allegria e spensieratezza da quel volto gioviale, rimpiazzate solo dalla furia e dal rammarico. “Non ci serve la tua compassione.”

Sarada esitò per diversi secondi. “Mi dispiace,” disse, chiudendo lentamente gli occhi. “Non volevo offendervi.”

Passarono diversi secondi di silenzio. Poi, una voce parlò all’improvviso. “Sei curiosa. Per quale motivo sei venuta a trovarci? Veramente?”

Lo sguardo accigliato della corvina si posò sul volto dell’uomo che aveva parlato. Se ricordava bene, doveva chiamarsi Urahara. Sarada aspettò un paio di secondi prima di rispondere. “Ad essere sincera… non lo so neanch’io,” ammise, lenta e solenne. “È solo che non avrei potuto continuare a vivere serenamente con me stessa se non lo avessi fatto. Manca meno di un mese alla vostra esecuzione. Volevo… Volevo vedervi un’ultima volta prima di allora. Parlare con voi, insomma.”

Non riuscì a distinguerlo per bene, ma fu tentata di pensare che le labbra di quel tipo avessero accennato un sorriso. “A qual proposito?” chiese ancora lui.

Sarada lo guardò per un po' di tempo, prima di rivolgere lo sguardo a tutti gli altri prigionieri. “Vi prego di non arrabbiarvi, ma voi… voi lo conoscevate molto meglio di me,” iniziò a dire lentamente. Anche stavolta, di nuovo, li vide irrigidirsi tutti quanti alla menzione di lui. “Avete passato anni assieme, lo avete accompagnato in tutte le sue gesta, e insieme a lui avete compiuto azioni… che nessun altro prima di voi è riuscito a compiere,” Non era quello che voleva dire realmente, ma decise di trattenersi. “Per questo volevo, insomma, condividere con voi questo momento. A-Anche se eravamo nemici, io tenevo molto a lui. Ancora adesso tengo molto a lui. Per questo so perfettamente come vi sentite.”

“Tu non sai un bel niente, Uchiha! Ti consiglio di spari-”

“Calmati, Juvia,” la incalzò Toneri, pacato. “Lasciala continuare.”

Sarada serrò un pugno, rivolgendo all’essere pallido un impercettibile cenno di ringraziamento. Poi riprese a parlare. “Volevo chiedervi una cosa, se me lo permettete,” confessò alla fine.

Kairi la guardava con uno sguardo misto tra l’annoiato e il depresso. “Che cosa?”

“Ne è valsa la pena?” domandò la corvina, in tutta serietà. Un silenzio di tomba era tornato a regnare in quella prigione oscura. “Tutte le vostre avventure assieme a lui, tutte le vostre missioni, i vostri sogni, le vostre battaglie… ne è valsa la pena, secondo voi?”

Notò fin troppo bene l’aura di pesantezza che calò tra tutti i presenti. Ognuno di loro – tranne Mikasa, che restava impassibile a guardare il terreno – sembrò appassire sin nel profondo dopo quella domanda. Il silenzio si protrasse solo per cinque secondi, però.

Fu Sora a fornirle la risposta che cercava. “Conosci molto bene la risposta a questa domanda,” sussurrò, fissando a terra. Teneva una mano posata sulla barriera mentre si stringeva l’altra sul cuore. “Non hai bisogno di sentirla da parte nostra.”

“Non ci pentiremo mai di averlo seguito, Sarada,” confermò anche Mitsuki, rivolgendole un sorriso.

Sarada si voltò ad osservare il suo vecchio compagno di Team con uno sguardo afflitto. Tra tutti, sembrava essere quello meno afflitto dagli effetti della prigione. Quei suoi occhi gialli e inquietanti erano gli stessi di sempre, così come il suo sorriso indecifrabile e il suo volto allegro. “Davvero, Mitsuki?” gli chiese ancora lei. “Non ti sei mai pentito di aver scelto di seguire lui piuttosto che restare con noi? Non hai mai rimpianto di aver abbandonato il nostro Team, la nostra casa, e tutto il resto?”

L’albino le rivolse un sorriso tirato. Ma Sarada notò, con una punta di rammarico, che era pur sempre sincero. “Non mi sono mai pentito della mia scelta,” rispose. “Lui era un amico. Un grande amico. Ciò per cui abbiamo lottato assieme a lui non era un semplice sogno. Era una speranza. La speranza di un mondo nuovo e privo di guerre. E ancora adesso… la gente continua ad aggrapparsi a quella speranza.”

“È questa la prova che dimostra che il nostro ideale non è sbagliato,” aggiunse Shirou, sedendosi a terra. Attorno a lei, Sarada vide che anche tutti gli altri annuirono senza esitazione.

La giovane sentì una punta di tristezza perforale il cuore. Se doveva essere sincera, Sora aveva ragione. Lei aveva sempre saputo questa cosa. Sin da prima che Boruto morisse, in realtà. Aveva sempre saputo che il suo sogno, i suoi ideali, non erano per niente privi di merito come la pensavano molti. Boruto aveva sempre avuto a cuore la Pace. Ma i suoi metodi cruenti e spietati erano ciò che non aveva mai potuto, e che non avrebbe mai potuto, accettare. Il fine non poteva giustificare i mezzi, nella sua opinione.

“Ma lui non è più qui,” disse di nuovo lei, serrando i pugni. “Io… Io l’ho visto. Io c’ero quando è successo. L’ho visto morire coi miei stessi occhi.”

Lo sguardo di Urahara si assottigliò pericolosamente. “Se stai tentando di ingannarci dicendo che si è pentito in punto di morte, allora-”

“Non lo ha mai fatto,” lo incalzò Sarada, fissandoli uno ad uno con determinazione. “Non si è mai pentito di ciò che ha fatto. È sempre rimasto saldo nelle sue convinzioni, nonostante io abbia tentato diverse volte a fargli cambiare idea. Ma mai, nemmeno una volta, lui mi ha dato retta.” Poi, il suo sguardo crollò sul pavimento. “Così come non ha mai smesso di pensare a voi.”

Eccola lì. Nei volti di tutti quanti. Un’ombra inconfondibile di dolore. Sarada la notò chiaramente, ma non riuscì a fermarsi. Avevano il diritto di sapere.

“Non ha mai smesso di volervi bene,” continuò. “Non ha mai smesso di pensare a voi, alla sua famiglia, come era solito chiamarvi ogni volta. Ha sempre messo la vostra salvezza e il vostro interesse davanti al suo interesse, alla sua salvezza; ed io… io l’ho visto piangere per la paura ed il pensiero di non poter essere in grado di tornare da voi. L’ho visto versare lacrime di disperazione per voi.”

Sarada maledisse inconsciamente la sua voce quando si spezzò mentre parlava. Vide i volti di tutti i presenti farsi pesanti e pieni di dolore, anche quello di Mikasa, mentre continuava il suo discorso.

Le sue parole stavano facendo effetto nei loro cuori spezzati.

“Voi… eravate tutto per lui, e per questo meritate di sapere queste cose. Per questo io… mi sentivo in dovere di dirvi tutto quello che ho visto di lui durante quei due mesi,” concluse il Capitano degli ANBU, cercando di riprendere un minimo di contegno. Fissò gli occhi neri di Mikasa che, per la prima volta sin da quando era arrivata, si erano finalmente posati su di lei.

I suoi pugni si serrarono con prepotenza.

Sarada si mosse.

Avanzò, dirigendosi dinanzi alla cella della giovane. Attorno a lei, Sora, Gray, e alcuni dei prigionieri iniziarono ad urlare, a battere i pugni sulle barriere, e a gridarle ferocemente di stare lontana da Mikasa. Ma l’Uchiha li ignorò, come se non ci fossero. Avanzò, imperterrita, i suoi occhi che diventavano mano a mano sempre più rosso fuoco mentre fissavano quelli neri e spenti della donna rinchiusa dietro la barriera. Avanzò, incurante di tutto e tutti. Una guardia si mosse per fermarla, ma un solo sguardo di quegli occhi fiammeggianti bastarono a farla desistere all’istante.

Continuò ad avanzare senza sosta.

Fino a quando, infine, si costrinse a fermarsi proprio davanti alla sua barriera. Mikasa era lì, dinanzi a lei, a pochi centimetri dalla sua faccia, con una singola barriera di energia come unica cosa che le separava. L’Uchiha guardò la detenuta, e la detenuta guardò l’Uchiha. Due occhi rossi, stanchi e oppressi, contro due occhi neri, vuoti e privi di emozione. Il silenzio, attorno a loro, calò improvvisamente all’istante.

“Lui ti amava,” dichiarò solennemente Sarada, odiando lo stesso suono che quelle parole avevano quando le uscirono fuori dalle labbra. Qualcosa di caldo e bagnato le stava colando dalle guance, ma lei lo ignorò. “Ti amava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Eri tu ciò che lo spingeva a combattere più di tutti.”

Mikasa non si mosse, ma un barlume di emozione brillò improvvisamente in quelle bellissime orbite nere. Quegli occhi, quegli occhi sempre così impassibili e spenti, sembrarono tremolare dopo quella dichiarazione, sempre più acquosi. Una lucentezza mai vista prima iniziò a palesarsi su quelle pupille scure come la notte.

“I-Io gliel’ho detto, sai?” continuò a dirle Sarada, la sua voce sempre più bassa e spezzata. “Prima della battaglia finale. Gli ho confessato i miei sentimenti. Gli ho detto… gli ho detto che l’amavo.”

SLAM!

La crepa dinanzi al suo volto era di dimensioni pazzesche. Se non ci fosse stata la barriera a separarle, Sarada era certa che sarebbe morta, con il suo cranio spappolato. Mikasa la stava fissando con rabbia, il suo volto mutato in una smorfia di rabbia e disperazione mischiate assieme, i suoi occhi che avevano iniziato a versare lacrime a loro volta. La fissava, senza proferire parola, i denti snudati in un ringhio sommesso, disperato, affranto; la sua mano ancora posata con forza contro quella barriera luccicante che sembrava creparsi sempre più di secondo in secondo. Si fissarono, in silenzio, senza parlare, per quella che sembrò ad entrambe un’eternità, ma che in realtà furono solo pochi secondi.

E ancora, Sarada sapeva di non aver finito.

“Gli ho detto ciò che provavo, ma lui mi ha rifiutata,” aggiunse, sempre più incurante del silenzio di tomba e della guardia che le stava tenendo un braccio per tentare di allontanarla da lì. “Ha scelto te. Ha sempre e solo pensato a te, per tutto quel tempo. E io ti ho odiata per questo, ti ho maledetta… perché avrei voluto essere al tuo posto. Avrei voluto essere amata come amava te. Avrei voluto… essere al tuo posto.”

Mikasa emise una specie di suono simile ad un gemito, fulminandola con quegli occhi ricolmi di lacrime.

Sarada serrò i pugni. “Però… lui ha scelto te,” disse alla fine, dopo un attimo di silenzio. “Non potevo forzarlo a cambiare. Eri tu quella che amava, e lo saresti sempre stata indipendentemente da ciò che sarebbe successo. Ed io sono certa… che quando lui si è sacrificato per salvarci… lo ha fatto anche per te.”

La nera non disse nulla.

La corvina abbassò lo sguardo. “Lui ti ha amato fino alla fine. E anche se non ha potuto dirtelo quando è scomparso… avevi il diritto di saperlo.”

Il silenzio fu la sua unica risposta.

Sarada versò una lacrima di sangue, posando gli occhi sul volto di Mikasa. “Boruto ti amava, Mikasa. Ti amava più di ogni altra cosa. E ti ha amato fino alla fine. Volevo solo che tu lo sapessi.”

“…”

L’Uchiha si asciugò le lacrime con una mano. “Mi dispiace,” aggiunse alla fine.

Il silenzio divenne insopportabile. Mikasa non disse nulla, abbassando la testa fino a quando i suoi capelli le oscurarono completamente il volto. La sua mano, tremante, crollò nuovamente in basso. Eppure, anche se non poteva vederla, Sarada sapeva che stava piangendo. In meno di due secondi, piccole gocce luccicanti presero a colare a terra dinanzi ai suoi piedi. Aveva consegnato il suo messaggio. Era fatta. Adesso, adesso poteva vivere in pace con sé stessa. Aveva compiuto la sua missione.

Era finita.

“…vattene,” sussurrò la giovane, senza alzare lo sguardo.

Sarada comprese senza bisogno di altre parole. Con un cenno del capo, il neo Capitano degli ANBU si voltò e diede le spalle alla cella, avanzando a passo spedito fino al centro della sala, e poi ancora oltre, fino alla porta d’uscita della prigione. Fermandosi un istante per attendere che essa si aprisse da sola, la giovane Uchiha esitò solo un attimo prima di rafforzare la sua decisione. Le sue mani erano serrate e tese lungo i suoi fianchi. “Mi dispiace,” disse lentamente.

Poi alzò i tacchi ed uscì dalla prigione, senza mai voltarsi indietro.
 


08 Settembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Fortezza Abbandonata a 10 Km dal Confine
15:07

“Che cosa significa tutto questo?”

Annie non riusciva a credere ai propri occhi. In realtà, se doveva essere sincera, c’erano molte cose a cui non riusciva più a credere ormai. Ideali come la speranza, l’amicizia, e la fratellanza erano solo parole prive di senso per lei, ad esempio. Non avevano più nessun significato dopo tutto ciò che aveva vissuto nella sua vita. Sia quando era ancora un membro degli ANBU della Foglia, sia quando si era unita alla Rivoluzione per mezzo di un certo biondino che aveva avuto modo di addestrare da giovane. Ma era da anni – da due anni, ad essere precisi – che non si sentiva così confusa e spiazzata. Da quando tutti i Kara e i suoi ultimi due allievi rimasti non erano stati catturati dall’Hokage, esattamente.

Ne aveva viste di cose nella sua vita. Assassini, complotti, e macchinazioni segrete. Aveva visto il lato oscuro e più nascosto dei Villaggi Ninja, così come l’ardua e difficoltosa vita da ricercato dopo la sua fuga da Konoha. Aveva visto la Rivoluzione al suo apice, così come la sua fine sempre più vicina. Questi ultimi due anni erano stati dettati dal caos, dopotutto. Una volta che i Kara erano stati sconfitti e che Boruto era stato ufficialmente dichiarato morto, le cose erano precipitate piuttosto rapidamente in tutto il mondo. I conflitti e le tensioni tra i vari Paesi erano al loro apice dopo decenni di pace. La Rivoluzione e i suoi seguaci si erano divisi, spezzati, sparpagliandosi per il mondo senza una vera e propria guida. Così com’era successo a lei, in fondo.

Ma questo… questo era qualcosa che aveva lasciato senza fiato anche una persona apatica come lei.

“Che cosa significa tutto questo?” ripeté, stavolta con più enfasi.

Tutti quanti la udirono adesso, voltandosi per guardarla. Erano diverse paia di sguardi quelli che si posarono su di lei. Non che non fosse comprensibile. La sala del castello in cui si trovava era vuota, con un semplice tavolo rettangolare posto in fondo ad essa. Ma era contemporaneamente piena zeppa di alcune delle persone che mai, nemmeno una volta nella sua vita, avrebbe pensato di vedere unite assieme come in quel momento.

Erano tutti quanti lì, alcuni dei Kage più famosi del mondo: Haruko la Salamandra, l’Amekage del Villaggio della Pioggia. Kuneo Adiba, il Yukage della Terra del Vapore. Kaya Uzumaki, l’Uzukage della Terra del Vortice. Uto Kirigaya, l’attuale Otokage provvisorio della Terra del Suono. E persino Zeil Fumi, il Kusokage della Terra dell’Erba.

E poi ancora c’erano delle persone che lei conosceva: Akiro Akamatsu, il corrente leader del gruppo di mercenari della Terra dell’Acqua conosciuto come la Marea Rossa. Galatea e Jigen, i leader provvisori della Rivoluzione qui nella Terra del Ghiaccio. E persino Shizuma Hoshigaki e Lucy Heartphilia, le ultime vestigie rimaste dell’infamata Organizzazione terroristica che il suo allievo più brillante aveva fondato anni prima.

In sostanza, tutti i principali sostenitori della Rivoluzione erano messi assieme in un’unica stanza.

Era uno spettacolo mozzafiato. Che cosa ci facevano tutte quelle persone lì, riunite assieme come in un Summit? Che cosa stava succedendo?

E soprattutto, perché sembravano essere tutti quanti confusi quanto lei?

“Che cosa significa?” domandò per la terza volta, assottigliando lo sguardo.

L’ombra del riconoscimento illuminò il volto di una delle persone presenti. “Annie Leonhardt!” esclamò Lucy appena la vide, a gran voce. “Anche lei è qui? Non mi dica che ha ricevuto a sua volta la lettera!”

L’ex ANBU della Foglia assottigliò immediatamente gli occhi. A sua volta? “Che intendi dire? Anche voi avete ricevuto questa lettera?” domandò, tirando fuori dalla tasca un rotolo di carta sigillato con il timbro ufficiale del clan Uzumaki.

Tutti i presenti annuirono, mostrandole a loro volta un secondo rotolo identico al suo. E poi un terzo. E un quarto. E un quinto. Tutti quanti i presenti avevano ricevuto la sua stessa identica convocazione, esattamente come lei. Annie non poteva crederci. Non riusciva a crederci. Non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere. Che cosa stava succedendo?

“Qualcuno può spiegarmi cosa diavolo significa tutto questo?” esclamò a gran voce Shizuma Hoshigaki, visibilmente frustrato da quella situazione. Sembrava che non avesse perso la sua tempera nemmeno dopo tutti questi anni. Era un miracolo che non fosse stato catturato, anche se questo – Annie era pronta a scommetterci – probabilmente era opera di Lucy. “Chi diavolo è stato a mandarci questa convocazione? Perché ci hanno fatto riunire tutti assieme qui, in questo luogo?”

“La risposta mi pare ovvia,” dichiarò improvvisamente il Kusokage dell’Erba, un uomo sulla cinquantina e dallo sguardo accigliato. Tutti i presenti lo osservarono con enfasi. “Ogni rotolo possiede il marchio del clan Uzumaki impresso su di esso. Questa dev’essere opera sua, Uzukage.”

Gli occhi azzurri di Annie guizzarono a destra per fissare la donna dai lunghi capelli rossi. Kaya scosse la testa. “Temo di essere confusa quanto voi. Io non ho mai mandato nessuna convocazione, a nessuno dei presenti. Ho ricevuto a mia volta questo invito ufficiale, ma non so come sia possibile,” dichiarò senza mezzi termini.

L’incredulità generale era indescrivibile. “Cioè, mi state dicendo che nessuno di noi ha mandato quest’invito?” domandò solennemente Haruko la Salamandra, inferocita. “Che razza di scherzo è questo? Ho corso innumerevoli rischi per giungere qui in incognito!”

“Anche io ho dovuto lasciare la mia Nazione in segreto,” dichiarò l’Otokage, visibilmente contrariato.

L’anziano Jigen si fece strada in mezzo a loro. “Suvvia, non c’è bisogno di litigare,” disse, cercando di mettere a tacere ogni possibile conflitto prima che potessero esplodere. “Se tutti noi siamo stati chiamati in questo castello, allora dev’esserci un motivo. Una cosa del genere non può essere casuale. Dev’esserci lo zampino di qualcuno di estremamente abile.”

“Sono d’accordo,” ammise Annie, imperiosa. “Nessuno avrebbe mai potuto inviare contemporaneamente tutti questi inviti a ciascuno di noi. Non senza essere scoperto prima. Ma se nessuno di noi ha idea di quello che sta succedendo, allora la spiegazione più logica è che dietro tutto questo ci sia la mano di qualcosa che va oltre la nostra comprensione. Dopotutto, non è un caso che ognuno di noi che si trova qui è letteralmente tutto ciò che rimane della Rivoluzione.”

I presenti si scambiarono delle occhiate perplesse. Poi, uno ad uno, fecero un cenno col capo. Nella sala risuonarono diversi mormorii di assenso.

“Ma questo non risponde al quesito più importante,” disse improvvisamente Galatea, le sue braccia incrociate ed il suo volto una maschera di sospetto. “Chi è stato a spedire questi inviti?”

Il silenzio fu la sua unica risposta.

Fino a quando, però, una voce parlò all’improvviso.



Credo di essere stato io.”



Annie sgranò gli occhi e voltò la testa di scatto verso il punto da dove proveniva la voce. Alle sue spalle, esterrefatti tanto quanto lei, i Kage e tutti gli altri presenti fecero lo stesso con delle espressioni sconvolte. La maestra si maledisse mentalmente per la sua incuranza. Come diavolo aveva fatto a non percepire nessuna presenza nascosta? Era una cosa impossibile. I suoi sensi allenati avrebbero dovuto allertarla che c’era qualcosa che non andava, eppure non aveva percepito nessuna anomalia. E, a giudicare dalle espressioni scioccate e atterrite di tutti i presenti, anche gli altri non sembravano essersene accorti.

Era una cosa spaventosa.

L’intruso stava seduto lì, al vertice del lungo tavolo di legno in fondo alla sala. Casualmente, quasi. Una gamba penzolava da un lato, e l’altra era piegata sotto di essa. Entrambe le braccia sbucavano fuori da un pesante mantello nero come la notte, e stavano poggiate entrambe sul tavolo, con le mani rivestite da guanti neri e unite assieme dinanzi alla faccia. Una faccia interamente coperta da un cappuccio oscuro che celava alla vista le sue fattezze. E appena Annie posò lo sguardo sulla sua figura, tutto il fiato che aveva nei polmoni le uscì fuori con prepotenza. Perché lei, anche se non riusciva a crederci, conosceva benissimo quegli abiti. Così come li conoscevano anche Lucy e Shizuma. O Kaya e Haruko. Tutti i presenti sapevano perfettamente cosa fosse quella cappa oscura.

La divisa dell’Organizzazione Kara non era una di quelle che si dimenticano facilmente.

“Benvenuti, signore e signori,” parlò nuovamente l’uomo incappucciato. “Sono lieto di vedere che avete accolto il mio invito. È per me un enorme piacere vedervi tutti quanti qui riuniti.”

“Chi sei tu?” domandò Shizuma, sguainando dal nulla un grosso spadone.

Chi?” ripeté quello, ironico. “’Chi’ è solamente la forma conseguente alla funzione, ma ciò che sono, come potete constatare tutti, è un uomo incappucciato.”

Il Yukage assottigliò gli occhi. “Questo possiamo vederlo.”

“Ma certo. Non metto in dubbio le vostre capacità di osservazione. Sto semplicemente sottolineando il paradosso costituito dal chiedere a un uomo incappucciato chi egli sia.”

I presenti si scambiarono un’occhiata tesa tra loro.

“Che cosa vuoi? Perché ci hai convocati qui?” domandò allora Kaya, tesa e pronta nel caso fosse scoppiato uno scontro. Inconsciamente, mentre parlava si portò più vicina ad Annie.

L’uomo ridacchiò sotto al suo cappuccio. “Ah, questa è una domanda interessante. Ma prima di iniziare a parlarne, vi prego, sedete. Mi sentirei a disagio nel vedervi tutti in piedi e rigidi come delle statue.” Vedendo la loro evidente esitazione, l’uomo sospirò. “Vi assicuro che non ho intenzione di farvi del male. Sono qui solo per parlare, lo giuro.”

Annie si fece avanti a nome d tutti. “Dicci il tuo nome, e forse acconsentiremo,” ribatté senza emozione.

Anche se nascosto sotto al cappuccio, il sorriso della figura era percepibile per tutti. “Temo di non potervi rivelare il mio nome in questa circostanza. Non ancora, almeno. Ma se proprio insistete… permettetemi dunque in luogo del più consueto nomignolo di accennare al carattere di questa dramatis persona…” disse misteriosamente, alzandosi lentamente in piedi dalla sedia e allargando le braccia.

Annie lo osservò con gli occhi aggrottati, con la tensione alle stelle.

L’uomo incappucciato allargò le braccia all’improvviso. “Ebbene Sì!” esclamò con foga, facendoli trasalire tutti ed iniziando a recitare a gran voce. “Sebbene a prima Svista Sembri un Semplice Shinobi Stralunato, chiamato dai Sussurri del fato a Sostenere le veci Sia dello Stolto, Sia del Serio; State attenti: perché Stupiti Scoprirete, Sentirete e Subirete Scenari Scomposti e Sconvolgenti. Questo Saggio non è un Semplice Sciocco Senza Speranza, ma Solo il Semplice Struggimento della Serenità, or Sempre presente, or Sparita Sovente. Io Sono il Santo Sensibile al Sorriso, garante dei Sogni, e Saltuariamente Sopito. E Sono qui per Sfibrare Speranza Sopra ai Sofferenti, a cui Snervanti e Subdoli Saliscendi Si Susseguono Scolpendo Segni Sprezzanti; Spiazzandoli con uno Smarrimento Sconcertante e Spietato. E Sospirando con Sorpresa Si Sveleranno Solchi, Scolpiranno Segni e Segneranno Sentieri per i ribelli che Silenziosi e Sparpagliati Si Scoprono Smarriti e Senza Sole.”

A quel punto, la mano destra dell’uomo guizzò all’improvviso, veloce come una saetta. Sguainò dal nulla una lunga katana da dietro la schiena e menò due rapidissimi fendenti orizzontali sul tavolo, incidendo sopra il legno una grossa X profonda e inconfondibile. Annie, Lucy, Shizuma e gli altri lo osservarono con gli occhi sgranati, sconvolti e increduli dalle sue parole e azioni. La ex maestra sentì le sue braccia iniziare a tremare per la tensione.

L’uomo rivolse la testa di sbieco verso di loro, fissandoli da sotto l’oscurità del suo cappuccio. “La Sola Strada che Sappiamo Seguire è la Salvazione… Salvezza… e Sarà un Solenne giuramento mai Spezzato, poiché il Suo Stupore e la Sua Sincerità Splenderanno un giorno Sopra coloro che Sono Stanchi e Sofferenti,” dichiarò, la sua voce bassa e oscura come non mai.

Poi, notando che tutti i presenti nella sala lo stavano guardando come se fosse un deviato mentale – le loro espressioni atterrite erano sconvolte e piene di terrore – la misteriosa figura cominciò a ridere nervosamente. “Eh… Eheheh. Se devo essere Sincero questo Scioglilingua Stralunante Sta virando verso la Stranezza, per cui permettetemi solo di aggiungere che è un grande piacere per me conoscervi e che potete chiamarmi… Saigo,” si presentò, facendo loro un grosso inchino teatrale.

Nessuno osò dire niente per diversi secondi ricolmi di tensione.

Poi, poco a poco, qualcuno prese coraggio. “T-Tu sei forse… un pazzo?” domandò Haruko la Salamandra.

Saigo alzò leggermente la testa, senza risollevarsi dall’inchino. “Sono certo che in molti lo penseranno,” ammise, raddrizzandosi dopo tre secondi. “Ma bando alle ciance, siamo qui per parlare d’affari,” dichiarò, facendo loro un cenno con una mano verso le sedie poste attorno al tavolo.

Annie lo osservò per diversi secondi, esitante, prima di iniziare ad incamminarsi lentamente verso una sedia e prendervi posto. Vedendo il suo esempio, uno ad uno, anche tutti gli altri Kage e giovani fecero lo stesso.

“Bene!” esultò leggermente il tizio misterioso, rimettendosi a sedere per ultimo. “Direi di iniziare, se siete d’accordo.”

“Un momento,” lo interruppe Akiro, il rappresentante della Marea Rossa. “Prima di iniziare, direi che è d’obbligo da parte tua rivelarci per che cosa ci hai fatto riunire assieme. Non trovi anche tu, Saigo?”

L’uomo si batté un pugno sulla mano, come se si fosse appena ricordato di quella stessa cosa. “Giusto! Che sbadato che sono, perdonatemi. Ma allora, che ne dite di tirare ad indovinare?” domandò a sua volta, diventato improvvisamente serio. Tutti lo guardarono con apprensione. Il suo repentino cambio d’atteggiamento era snervante. “Per quale motivo pensate che io abbia fatto riunire tutti voi in questo modo, sentiamo? Sono curioso di sapere cosa ne pensate.”

“Per la Rivoluzione,” fu la risposta immediata di Lucy, intenta a fissarlo con uno sguardo annoiato. Aveva la testa poggiata casualmente su una mano. “Quegli abiti che indossi, sono una copia perfetta degli abiti che l’Organizzazione Kara sfoggiava in pubblico due anni fa. Se li stai indossando dinanzi a noi, i maggiori esponenti rimasti dei Ribelli, allora possiamo solo dedurre che tu sia un seguace della Rivoluzione.”

Saigo le puntò un dito contro, annuendo come un bambino. “Bingo!” esclamò, applaudendola con enfasi. “La signorina bionda ha fatto centro! Io sono, sì, un sostenitore della Rivoluzione. Lo sono da anni, sapete. E devo dire che mi piange il cuore nel vedere il misero stato in cui è ridotta la vostra fazione. Cavolo, che fine ha fatto la Rivoluzione che ricordavo? Quella capace di far tremare tutte le Nazioni con le sue gesta? Quella che aveva messo a tacere persino le Cinque Grandi Nazioni? Al confronto delle gesta che i Kara hanno compiuto in passato, le rappresaglie di oggi sono davvero patetiche. Non hanno valore, non hanno scopo, se non quello di diminuire ulteriormente le vostre forze.”

I presenti lo osservarono con degli sguardi accigliati, ma Shizuma sembrò infuriarsi più di tutti dopo quelle parole. “Credi che sia così semplice?” urlò ferocemente, battendo un pugno sul tavolo. “I Ribelli sono divisi da più di un anno ormai! Non abbiamo più una guida, non abbiamo più i fondi, e i soldati da soli non possono sperare di vincere una guerra di logoramento!”

Il Kusokage annuì. “Senza contare la mancanza di fiducia che la gente ha sviluppato nei nostri confronti,” aggiunse lentamente. “Io e la mia Nazione ci siamo aggiunti solo recentemente, ma la Rivoluzione aveva generato speranza nei cuori di molti. Dopo la morte di Boruto Uzumaki e la cattura dei Kara, quelle aspettative che si erano create sono andate in frantumi.”

“Sono molti quelli che hanno perso la speranza,” confermò Haruko, con gli occhi chiusi.

Saigo si portò una mano sotto al mento, riflettendo ad alta voce. “Mmmh,” sussurrò, fingendosi pensieroso. “Se ho capito bene, il problema di fondo è che la vostra fazione è rimasta senza leader. Senza una figura che possa dettare legge e spianare un sentiero da seguire. Mi sbaglio?”

I Kage si scambiarono un’occhiata silenziosa. Tra di essi, Annie non mancò di notare che alcuni stavano diventando sempre più nervosi.

“Ci sono stati diversi tentativi per nominare una nuova guida,” spiegò lentamente Jigen, sospirando. “Ma nessuno sembra essere in grado di portare avanti la nostra causa.”

“Perché no?” domandò allora il tizio incappucciato, fingendosi curioso.

Annie gli scoccò un’occhiata fredda. “Nel caso non l’avessi notato, la maggior parte dei presenti sono Kage. E un Kage non può governare una Nazione intera e la Rivoluzione contemporaneamente. Sarebbe una mossa controproducente per la sicurezza del Paese e per i Ribelli in generale.”

“Ma non siete tutti Kage qui, o sbaglio?” la incalzò innocentemente Saigo, giocherellando distrattamente con le dita. “Lei stessa, ad esempio, non è altro che un’ex Shinobi, a quanto ne so. Ma allora, perché non ha preso le redini della situazione adesso che siete senza leader?”

Con suo leggero stupore, Annie sembrò appassire dopo quella domanda. E subito dopo, il tizio in cappuccio notò che tutti i presenti, Shizuma compreso, sembrarono farsi molto depressi appena dopo di lei. Puntarono tutti gli occhi verso il basso, serrando i pugni e i denti con impotenza.

“Non è così semplice,” iniziò a dire Kaya Uzumaki, sconfortata. “La Rivoluzione… è un’eredità che ci è stata lasciata da Boruto. Era lui l’artefice di tutto. Era un leader potente, saggio, ed estremamente abile. È stato solamente grazie alla sua abilità che la causa dei ribelli è riuscita ad acquisire così tanta popolarità e consenso. Ma adesso che lui non c’è più… nessuno potrebbe prendere il suo posto.”

“Non abbiamo nessuno abile quanto lui,” ammise Haruko la Salamandra dopo di lei. “E senza i Kara, non abbiamo speranza di riuscire a risollevare la situazione. Siamo troppo deboli.”

Saigo assimilò quelle informazioni in silenzio per diversi secondi, rimuginando tra sé sul da farsi. Poi, infine, raggiunse la sua conclusione. “Allora nominate me,” disse semplicemente, annuendo e compiacendosi da solo, come se fosse un genio che aveva appena risolto un problema altrimenti insolvibile.

Annie lo guardò con incredulità. “Che cosa hai detto?” domandò.

“Nominate me come leader,” ripeté quello con allegria, incrociando le braccia dietro la testa e inclinandosi all’indietro con la sedia. “Così dovreste riuscire a mettere fine ai vostri disaccordi sulla linea da seguire. Sarò io a dettare le prossime mosse, e sarò sempre io a decidere cosa fare o evitare. Dopotutto, se ciò che serve alla Rivoluzione è un leader capace, allora io sono l’unico che potrebbe farlo.”

“CHE COSA CAZZO STAI DICENDO?” ruggì Shizuma a gran voce, alzandosi prepotentemente dalla sedia e fissandolo con un ringhio. “Pensi di poter venire qui e prenderci tutti in giro in questo modo? Chi ti credi di essere, pezzente?”

“Per una volta sono d’accordo coi lui. Non puoi sbucare fuori all’improvviso dal nulla e decidere di prendere le redini della Rivoluzione,” concordò Lucy, fissandolo torvo.

L’Otokage fece un cenno col capo. “Boruto Uzumaki era l’unico capace di guidare la nostra fazione,” dichiarò, solenne. “Anche se non ho mai avuto il piacere di incontrarlo di persona, è stato l’unico capace di ispirarmi e convincermi a prendere una posizione a favore della Rivoluzione durante il suo operato. La sua eredità non può essere lasciata al primo che passa.”

“Senza contare poi che noi non sappiamo nemmeno chi sei, Saigo,” dichiarò solennemente Kaya, l’Uzukage. “Boruto era una persona di cui sapevamo di poterci fidare. Sapevamo quali erano i suoi obiettivi, e in cosa era riposta la sua lealtà. Non cederemo la sua Rivoluzione a te solamente perché sei in qualche modo riuscito a riunirci assieme dopo tutto questo tempo. È Boruto il vero simbolo della nostra causa, e lui soltanto potrebbe aiutarci in questo momento.”

All’oscuro di tutti i presenti attorno al tavolo, Saigo sorrise sotto al suo cappuccio. “E guardate a cosa ha portato questa sua eredità,” disse improvvisamente, scioccandoli tutti con il suo tono di voce incurante. “Una massa di guerrieri incerti ed incapaci di lottare senza di lui. Sono certo che se fosse stato qui, sarebbe rimasto molto deluso da quello che avrebbe visto.”

Lo sguardo di Lucy si fece pieno di rabbia. “Cosa puoi saperne tu? Non lo conoscevi nemmeno!”

“Invece lo conoscevo eccome,” ribatté il misterioso personaggio, serio. “E ad oggi posso dire senza ombra di dubbio che ciò che ha fatto e ciò che ha costruito in questi ultimi anni… è stato completamente inutile.”

Ebbe solo il tempo di finire quella frase prima che succedesse l’impensabile.

Saigo non si mosse di un millimetro nemmeno quando sentì la punta gelida di un kunai toccarlo in maniera poco piacevole alla base del collo, proprio dietro la sua testa. Attorno a lui, i Kage e tutti i giovani osservavano la scena con gli occhi sgranati e pieni di oltraggio; mentre alle sue spalle, il suo aguzzino premette con più forza il kunai contro la sua figura.

“Chi ti credi di essere per poterti permettere di insultare quel ragazzo in mia presenza?” sibilò velenosamente Annie. La sua voce era gelida e piena di odio, un netto contrasto rispetto alla fredda e distaccata aura che emanava di solito. “Tu non sai niente su di lui e sulla Rivoluzione. Ma non ti permetterò di parlare male di ciò che lui ha costruito, ciò per cui ha versato sangue e lacrime fino alla fine. Un altro commento del genere e ti assicuro che non vedrai mai più l’alba di un nuovo giorno. Sono stata chiara?”

Il misterioso personaggio non si mosse, ma le sue spalle tremolarono inconsciamente, come se si stesse trattenendo dal fare qualcosa.

Poi, accadde di nuovo qualcosa.

I loro occhi non lo videro nemmeno. Un momento prima, Saigo era seduto e immobile sopra la sedia a vertice del tavolo; e quello dopo… era sparito nel nulla. Era come svanito senza preavviso. Tutti i presenti, Annie compresa, rimasero completamente a bocca aperta dinanzi a quello spettacolo. Poi però, prima che uno di loro potesse aprire la bocca per parlare, l’ex maestra del Team 3 sentì la punta di un kunai premerle leggermente contro il collo.

I suoi occhi si sgranarono a dismisura.

Si voltò, tremante, osservando con incredulità e sgomento la figura incappucciata apparsa così misteriosamente alle sue spalle, ancora scossa e incapace di comprendere cosa fosse successo. La punta del pugnale le impedì di compiere mosse azzardate. Assieme a lei, tutti gli altri erano rimasti impietriti da quella visione, troppo sconvolti per riuscire a muoversi.

“Quelli che sembrano non aver compreso siete voi,” sibilò minacciosamente Saigo, la sua voce oscura e pericolosamente bassa. La sua precedente allegria e spensieratezza era scomparsa, rimpiazzata da una voce solenne, e carica di una certezza e determinazione sconfinata. “È proprio a causa di questo che la vostra fazione sta perdendo.”

Nessuno osò fiatare mentre il tizio incappucciato parlava.

“Boruto Uzumaki era il simbolo della Rivoluzione, ma cosa è successo dopo la sua morte?” domandò gelidamente quello. “Lasciate che ve lo dica io: è andato tutto a pezzi. E sapete il perché? Perché ogni cosa si aggirava attorno a lui. Perché ogni singola e insulsa persona che seguiva la sua causa non seguiva i suoi ideali, ma seguiva semplicemente lui. E questo, come la storia ci ha appena dimostrato, non basta per riuscire a sconfiggere la Foglia e le Nazioni contrarie alla Rivoluzione.”

Saigo allontanò il kunai dal corpo della donna, rilasciandola lentamente dalla sua presa. Annie si voltò di scatto verso di lui, la sua faccia una maschera d’incredulità e confusione, così come quelle di tutti. Il tizio incappucciato fronteggiò i loro sguardi con la sua figura imponente. “Se volete davvero riuscire a vincere di nuovo contro i nostri nemici comuni, allora io sono la vostra unica speranza. Vi sto offrendo la possibilità di riscattarvi. La possibilità concreta di riuscire, ancora una volta, a fare ciò che siete nati per fare: portare la Pace in questo mondo dilaniato dalla Guerra.”

Annie lo guardò con terrore. “Tu… Tu chi diavolo sei?” esalò, senza fiato.

L’uomo sotto il cappuccio oscuro rise. “Io non sono nessuno, e non voglio essere nessuno,” dichiarò solennemente. “Boruto Uzumaki era il simbolo ed il volto della Rivoluzione… ed essa ha fallito per questo. Ma io… io non sono nessuno. Io non sarò un simbolo per i Ribelli, e non sarò un volto per la Rivoluzione. Perché, come potete vedere…” la sua mano indicò lentamente il suo cappuccio nero. “… io un volto non ce l’ho.”

Tutti quanti rimasero spiazzati da quella dichiarazione.

Saigo riprese a ridere di nuovo, la sua voce oscura e crudele come non mai che fece accapponare la pelle a tutti. “Un uomo privo di faccia, che guiderà di nuovo la Rivoluzione alla sua precedente gloria. Un uomo senza volto, chiamato a risollevare per sempre una giusta causa andata perduta per colpa del fallimento di Boruto Uzumaki. Ecco quello che sono, miei cari signori e signore. Ecco quello che sono chiamato ad essere. Sono la maschera rotta e frantumata di ciò che il vostro precedente leader si è lasciato alle spalle. Io sono tutto ciò che è rimasto della vostra causa e dei vostri ideali. Io… sono Saigo. Saigo il SenzaVolto!” dichiarò a gran voce con un gesto teatrale.

Nessuno osò proferire parola per diversi secondi dopo quella dichiarazione.

“…come facciamo a poterci fidare di te?” domandò alla fine Annie, la testa bassa ed i suoi occhi ancora pieni di timore. Dopotutto, non potevano semplicemente fidarsi di uno sconosciuto per un’impresa del genere.

L’uomo la guardò da sotto al suo cappuccio, sorridendo a sua insaputa. “Non deve temere, Annie Leonhardt,” la rassicurò con certezza, sollevando le mani verso l’alto. “Perché il mio obiettivo è lo stesso del vostro: la Pace. La vera, unica, e sola Pace. Ed è per essa che lotterò, che lotteremo. Insieme. Ed insieme, proprio come hanno tentato i Kara in passato, noi porremo fine all’egemonia della Foglia e dei Kage, uniremo sotto un’unica Nazione tutto il pianeta, e metteremo la parola fine alle guerre che hanno dilaniato il mondo per tutti questi secoli. Questa, miei cari spettatori, è la mia promessa a voi, ora e per sempre. La mia promessa al mondo come Saigo il SenzaVolto!”

Annie, Lucy, Kaya e tutti gli altri presenti rimasero a bocca aperta, completamente senza fiato, mentre ascoltavano quel discorso solenne e pronunciato con quel tono così certo, così determinato da riuscire a fare breccia persino nei loro cuori infranti e spezzati da anni.

Non potevano crederci.

Era diverso. Era impossibile. Era… indescrivibile. Non riuscivano a capire, non riuscivano a comprendere il perché, ma c’era qualcosa di strano in quel misterioso personaggio. Qualcosa che ardeva dentro di lui, dentro al suo tono, dentro alle sue parole. Qualcosa così colmo di certezza e determinazione da riuscire ad essere percepibile anche per loro, senza neppure sapere chi fosse e senza averlo mai visto prima. Era… diverso. Diverso da qualsiasi altra cosa che avessero mai sperimentato prima. Eppure, allo stesso tempo, non lo era. Era una sensazione familiare. Una sensazione che, il loro cuore se lo sentiva, avevano già provato in passato osservando un’altra figura ergersi dinanzi a loro in quel modo. Una figura che, che ne fossero consapevoli o meno, sembrava quasi essere tornata a mostrarsi dinanzi ai loro occhi.

Quell’uomo aveva riacceso in loro la fiamma della speranza. Aveva rimesso nei loro cuori la voglia di combattere che avevano perduto sin dalla morte di Boruto.

Aveva ridato loro una causa da perseguire.

Proprio come aveva fatto il loro precedente leader.

E stavolta, senza sapere il perché, nessuno dei presenti sembrò esitare o essere in disaccordo quando Haruko fece la fatidica domanda.

“Allora cosa hai intenzione di fare?”

Saigo sembrò illuminarsi dopo quelle parole – anche se era difficile dirlo, visto che il suo volto era perennemente coperto – ma il modo in cui prese a saltellare all’aria mostrava quanto fosse soddisfatto in realtà. “Non temete,” disse alla fine, ricomponendosi dopo diversi secondi di esultanza sfrenata. “Ho già un piano in mente. Per prima cosa, credo che sia di vitale importanza riuscire a liberare i Kara prima che possano essere giustiziati a fine mese.” I suoi occhi nascosti dal cappuccio guizzarono verso l’Uzukage. “Dopotutto, non vorrei che la dolce e tenera figlia dell’Uzukage possa rimetterci le penne, arrivati a questo punto.”

Il volto di Kaya si riempì di speranza. “D-Dici sul serio? Hai intenzione di salvare mia figlia?” sussurrò, quasi sul punto di scoppiare in lacrime.

L’uomo annuì. “Lei, e tutti gli altri. Non possiamo lasciarli morire senza provare a combattere, non trovate?”

Tutti i presenti annuirono con enfasi, lanciando all’aria delle urla di assenso e carica tutt’insieme.

“Sembri tenere davvero molto alla loro salvezza,” disse lentamente Annie, fissandolo con un sorriso. Il primo, vero sorriso che gli aveva rivolto sin da quando era apparso dinanzi a tutti.

Saigo il SenzaVolto ridacchiò nervosamente. “Sono il nuovo leader della Rivoluzione! Certo che m’interessano! Molto più di quanto pensate,” rispose senza esitazione. Poi, subito dopo, la sua testa si girò verso sinistra, ignorando le esclamazioni di gioia dei Kage e dei giovani e posando lo sguardo sul panorama che si estendeva oltre una finestra che dava verso le montagne innevate.

Il suo sguardo si perse oltre l’orizzonte.

“Molto più di quanto pensate…”
 
 








 

Note dell’autore!!!

Ok, ok, so già cosa state per dire. La citazione al discorso e alla presentazione di V per Vendetta è un po' esagerata, lo ammetto. Ma era una cosa che avevo programmato da anni di inserire nella storia. Così come l’appena rivelato ruolo del nome Saigo il SenzaVolto nella vicenda. Immagino che non ve lo sareste aspettato, ma io ho sempre avuto in mente questa cosa, sin dall’inizio della Battaglia di Eldia. È per questo che ho dato il nome di Villaggio di Saigo alla cittadina salvata da Boruto. Non è autocitazionismo o pura e semplice megalomania, ve lo assicuro. E poi, chi lo sa, quel nome potrebbe anche essere un’idea o un collegamento per qualche storia futura…

Comunque ci tengo a spiegare il motivo per cui ho deciso di far fare a Boruto la ‘doppia persona’ tra sé stesso e Saigo: è un’idea che mi è venuta riflettendo sul personaggio di Obito. Anche lui, se vi ricordate, si è creato una seconda personalità prima di rivelare al mondo la sua identità come Madara Uchiha. Quell’identità fittizia era proprio la maschera Tobi. E Boruto, essendo quasi il seguace spirituale del male di Obito e Madara nel mondo di Naruto, non poteva essere da meno. Ovviamente, però, ha i suoi motivi per preferire di non rivelare pubblicamente ai suoi alleati la sua vera identità. Il motivo, come sempre, verrà rivelato relativamente presto. E poi, mi fa ridere che due dei più spietati criminali della storia abbiano deciso di crearsi una maschera sotto cui fingere di essere allegri e giocherelloni. E per quanto riguarda il nome Saigo… perché creare una maschera fittizia per Boruto quando avevo già un personaggio letteralmente senza volto? Era come pescare due piccioni con una fava.

Ma, oltre a tutto questo, in quest’ultimo capitolo abbiamo finalmente rivisto molti volti familiari scomparsi da tempo: i Kara, depressi e sconfitti nella loro prigione, e i resti senza potere di una Rivoluzione sempre più in rovina. Ovviamente questo è solo l’inizio, come sempre. Con l’avanzare della vicenda, avremo sempre più modo di scoprire cosa c’è dietro.

In questo capitolo abbiamo visto poco o nulla di ciò che è successo nel mondo nel corso di questi due anni di assenza. Ma già dal prossimo rimedieremo. Ho intenzione di mettere in scena dei personaggi che ci aiuteranno a farlo dalla prossima puntata. Alcuni saranno vecchi volti già visti, ma altri saranno completamente nuovi. Non vorrei rendere l’evoluzione della storia troppo prevedibile, dopotutto.

Vi allego l'immagine di Saigo, così per darvi un'idea di come appare nella storia. Non è decisamente l'eroe che ci aspettavamo, vero?


SAIGO IL SENZAVOLTO



Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie mille a tutti in anticipo. A presto!
 

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Capitolo 4
*** Incontri Segreti ***


INCONTRI SEGRETI




 

10 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
11:00

Per lui, questa era solamente un’altra mattina come tutte le altre nel Villaggio della Foglia. Il sole splendeva alto nel cielo, illuminando coi suoi raggi le vie affollatissime della città, brulicanti di passanti, civili, e Shinobi. Il vociare fragoroso nelle strade era lo stesso di sempre per le sue orecchie, così come l’incessante susseguirsi delle notizie del telegiornale sui maxischermi posti sui giganteschi edifici della Via Centrale. Ormai era stufo di sentire sempre la solita roba. Tensioni politiche di qui… problemi diplomatici di là… ribellioni nelle varie Nazioni… era sempre così, da anni ormai. Sembrava che il mondo fosse semplicemente incapace di trovare una sorta di equilibrio.

Ma lui era solo un bambino. Cosa poteva saperne davvero?

E ancora, quella mattina così simile a tutte le altre, era allo stesso tempo diversa dal solito. Lui lo sapeva. Dopotutto, non capitava spesso ad un povero orfanello senza famiglia come lui di ricevere una notizia simile. Era per questo che stamattina era scappato di casa con così tanta fretta, lasciando gli altri da soli e rassegnandosi a passeggiare per le strade del Villaggio con quell’espressione afflitta in volto.

Ma bisogna partire dal principio, non è vero? Tanto per cominciare allora, il suo nome era Izuku Midoriya, conosciuto dagli amici come Deku. Un semplice orfano senza famiglia e senza particolari doti. Per tutti questi anni, sin da quando riusciva a ricordare, aveva sempre vissuto da solo, in compagnia solamente di altre due persone. Due orfani come lui, ad essere precisi. Uno di essi era un ragazzino dai capelli a caschetto viola, quasi tendenti al grigio, e gli occhi azzurri. Il suo nome era Trunks, ed era il miglior amico che si potesse desiderare. Deku e Trunks erano praticamente fratelli, e andavano sempre d’accordo… anche se spesso il carattere burlone di quest’ultimo lo spingeva sempre a fargli dispetti e scherzi di cattivo gusto.

L’altra persona con cui erano cresciuti assieme era Ochaco Uraraka, una bambina dai lunghi capelli bruni a caschetto, con due occhioni rotondi e castani. Era la più spavalda e responsabile dei tre, nonché quella che si prendeva cura di tutto in casa. Faceva le pulizie, sistemava i loro – pochi – abiti, e si assicurava che tutto fosse in ordine e che lui e Trunks stessero bene. Insomma, era una persona meravigliosa, secondo Deku.

Ed era proprio per questo che quello che era successo stamattina era inaccettabile.

Deku emise un sospiro triste e rassegnato mentre i suoi passi lo conducevano sempre più lontano dal distretto centrale della Foglia. Loro tre erano orfani, non avevano nessuno che badasse alla loro crescita o che si prendesse cura di loro. Avevano abbandonato l’orfanotrofio da diversi anni, ed erano decisi a riuscire a vivere assieme a qualunque costo. Un paio di anni prima avevano trovato un appartamento abbandonato ai confini del Villaggio e vi avevano preso dimora tutti insieme per aiutarsi a vicenda. Ma non erano stupidi. Sapevano che per riuscire ad andare avanti e vivere una vita decente avevano bisogno di soldi.

Era per questo motivo che lui si trovava costretto a fare il barista in un Pub per adulti, anche se aveva solo dieci anni. Era per questo motivo che Trunks era costretto a fare consegne a domicilio per un ristorante scadente. Era per questo che solo Uraraka restava a casa, ad occuparsi delle faccende domestiche. E anche se quei lavori erano estenuanti per dei semplici bambini… loro tre erano felici. Erano ciò che permetteva loro di vivere insieme e da soli, dopotutto, senza doversi preoccupare d’altro. E per circa un annetto o giù di lì, questa routine fatta di lavori incessanti aveva funzionato. Aveva permesso loro di restare assieme e di guadagnarsi il necessario per vivere.

Ma proprio quella mattina, lui e Trunks avevano ricevuto una notizia sconvolgente.

Uraraka aveva ricevuto una proposta di lavoro da parte un mercante estero. Apparentemente, un ex Signore Feudale della Terra dei Fiumi era giunto a Konoha nei giorni passati, alla ricerca di persone da assoldare a basso prezzo per un lavoro molto importante: servire come camerieri ad una riunione nazionale che si sarebbe tenuta a fine mese nella Terra dei Fiumi. E, quasi per puro caso, i suoi occhi avevano puntato sulla loro amica.

Deku non era stupido. Sapeva che doveva esserci un motivo per cui un ex Signore Feudale avesse deciso di assoldare una bambina di dieci anni per un lavoro così importante. I bambini orfani erano come degli schiavi, dopotutto. Lavoravano a basso prezzo, e non avevano garanzie legali adesso che l’Unione era sciolta. Con la crisi in cui era sprofondato il mondo, nessuna delle varie Nazioni, nemmeno la grande e potente Konoha, poteva aiutare economicamente dei poveri orfani senza nome o famiglia. Il Villaggio aveva già diverse difficoltà finanziarie per come stavano le cose di per sé. Nessuno avrebbe preso le loro difese. Ma non era questo il vero problema della questione.

Il vero problema era che, se Uraraka avesse deciso di accettare la proposta, sarebbe dovuta partire. Avrebbe dovuto lasciare il Villaggio, e recarsi nella Terra dei Fiumi per seguire quell’uomo. Era una cosa inaccettabile. Questa cosa li avrebbe inevitabilmente divisi. E Deku non voleva che la sua amica andasse via da casa, così come non lo voleva Trunks. Loro tre… era strano dirlo, ma erano come una famiglia. Non potevano essere divisi in questo modo. Non potevano. Non era… giusto.

Loro tre da soli erano inseparabili.

E poi, che cosa ne sarebbe stato di lei? Sarebbe davvero riuscita a tornare a casa? E se poi quell’uomo avesse rifiutato di lasciarla tornare a Konoha? Se fosse stata costretta a lavorare per sempre come la sua schiava? Non poteva accettare una proposta simile. Era troppo rischioso.

Ma il Signore Feudale aveva bisogno di operai, e Uraraka aveva intenzione di accettare il lavoro in ogni caso. “Abbiamo bisogno di soldi,” aveva detto lei. “Non riusciremo ad andare avanti di questo passo.” E, se doveva essere sincero, Deku sapeva che aveva ragione. Avevano pochi soldi, e ormai faticavano a sopravvivere col basso salario che lui e Trunks ricevevano dai loro lavori in nero. Di questo passo, le parole della loro amica si sarebbero rivelate vere. Non avrebbero potuto continuare a vivere insieme senza guadagnare di più.

E per questo Uraraka si stava volutamente sacrificando per tutti loro.

Deku non riusciva ad accettarlo. Non poteva accettarlo. Uraraka… era sua amica. Faceva parte della sua famiglia. Non poteva vederla andare via. Doveva esserci un altro modo, un’altra soluzione. Lui e Trunks si stavano scervellando per riuscire a trovare un modo. Ma, per quanto ragionassero, non avevano trovato nulla. Erano solo dei miseri bambini senza potere. Come avrebbero potuto seguire la loro amica nella Terra dei Fiumi? Non c’era semplicemente modo.

“Di questo passo, Uraraka se ne andrà per sempre…” pensò amaramente il bambino, ingoiando le proprie lacrime.

Fu mentre era immerso in quei pensieri che Deku si rese finalmente conto di essere giunto a destinazione. Il punto panoramico del Villaggio della Foglia era uno dei luoghi più belli di tutta Konoha, nella sua opinione. Dalla cima di quella collina, si riusciva a vedere tutta l’estensione del Villaggio: i quartieri principali, i distretti dei clan, la Torre dell’Hokage, le foreste dei campi d’addestramento, e anche la parete di roccia dove erano scolpiti i volti delle leggende. I volti degli Hokage che avevano regnato sulla Foglia nel corso della sua esistenza. Era possibile vedere ogni cosa da lì. Al bambino piaceva osservare la città da quel punto, soprattutto quando aveva bisogno di restare da solo. Era un posto silenzioso e tranquillo, e solo pochissime persone lo frequentavano assiduamente. Era sempre vuoto, solitamente.

Tranne adesso.

Deku lo notò solo dopo un paio di secondi, trasalendo col corpo. Una figura stava seduta sopra il muretto di una piccola fontana che dava sul paesaggio, silenziosa e immobile. Un uomo – decisamente un uomo, in base alla statura e alle proporzioni del corpo – rivestito da un lungo mantello grigio come la polvere, e coperto da un cappuccio bruno che gli nascondeva la testa. Stava osservando il Villaggio, badando agli affari propri. Ma non era solo il suo aspetto quello che lo incuriosì di lui. Deku aveva già visto quell’uomo. Era la stessa persona che aveva servito nel Pub durante una notte di diversi giorni prima. Come si chiamava? Ce l’aveva sulla punta della lingua. Era… Era…

“Ehi!” la voce dell’uomo lo fece trasalire. La figura incappucciata si era voltata verso di lui, agitando un braccio in segno di saluto. “Sei il giovane barista dell’altra sera! Che piacere rivederti!”

Il bambino sorrise con imbarazzo. “S-Signor Saigo, che sorpresa incontrarla qui,” lo salutò a sua volta.

Quello gli fece cenno con una mano di avvicinarsi. “Vieni, siediti pure accanto a me. Stavo iniziando ad annoiarmi qui da solo.”

Deku si sentì in imbarazzo, ma sorrise lo stesso sedendosi accanto a lui. Non sapeva perché, ma quell’uomo misterioso gli infondeva fiducia. Gli infondeva sicurezza. C’era qualcosa dentro di lui che lo spingeva a fidarsi della sua presenza. E poi, il suo carattere allegro e spensierato compensava il suo aspetto tetro. Non sembrava essere una cattiva persona, nella sua opinione. Mentre si sedeva alla sua destra sulla fontana, Saigo gli porse una lattina di Cola, lasciandolo confuso. “Ti devo ancora un favore per avermi servito quell’ottimo Sakè quella sera,” gli spiegò allegramente, sorridendo sotto al suo cappuccio.

Il ragazzino accettò l’offerta, paonazzo. “Oh no, non si preoccupi! Sono io a doverla ringraziare, semmai. Mi ha anche lasciato una grossa mancia senza che ce ne fosse stato bisogno…” sussurrò lentamente.

I due calarono in un piacevole silenzio per diversi secondi, ascoltando il suono del vento che soffiava leggermente nell’aria ed il canto degli uccelli che risuonava nel cielo. Un raggio di sole filtrò tra le fronde dell’albero che li oscurava con la sua ombra.

“Viene qui spesso?” domandò ad un certo punto Deku, per rompere il ghiaccio.

L’uomo incappucciato continuò a fissare il Villaggio ed il panorama. “Diciamo di no,” ammise, la sua voce bassa e pacata. “Non è la prima volta che vengo qui, ma questa potrebbe anche essere la prima, vera volta in cui mi sono soffermato ad osservare questo paesaggio. Questo Villaggio… non è un posto che ho visto spesso. Erano anni che non ci tornavo.”

Deku lo osservò con confusione e interesse. “Lei è un viaggiatore?”

“…in un certo senso,” rispose semplicemente quello. Poi Saigo si voltò di sbieco verso di lui, osservandolo per diversi secondi. “Hai dei segni di lacrime sulle guance,” notò seriamente, facendolo irrigidire. “C’è qualcosa che ti turba?”

Il bambino dai capelli verdi esitò per diverso tempo dopo quella domanda, prima di raccogliere tutto il suo coraggio e raccontare a quell’uomo quello che stava vivendo. Gli raccontò tutto, per filo e per segno, senza tralasciare niente. La sua situazione con Trunks e Uraraka, quello che avevano passato, quello che sarebbe successo, e anche la sua frustrazione nei confronti dell’idea di doversi separare dalla sua amica. Raccontò ogni cosa, senza nemmeno sapere il perché, rivelando ad un estraneo tutto ciò che si sentiva nel cuore senza comprenderne appieno il motivo.

“Di questo passo, noi tre saremo costretti a separarci,” concluse alla fine con tristezza, appena ebbe finito di spiegare ogni cosa. “E difficilmente riusciremo a tornare assieme. Uraraka… ha intenzione di accettare il lavoro.” Piccole lacrime rischiarono di formarsi nuovamente nei suoi occhi.

Saigo rimase in silenzio per diverso tempo dopo che l’altro ebbe finito di spiegare. “Capisco,” esalò alla fine, tornando a fissare l’orizzonte. Il suo tono di voce era basso e sommesso. “Questo è un bene.”

Deku sgranò gli occhi, voltandosi verso di lui. “Uh?”

“Tu sei un bravo ragazzo, Izuku,” rettificò l’uomo, senza voltarsi a guardarlo. “Sono contento che non sarai tu a dover finire per fare un lavoro simile.”

Il bambino fissò impotentemente la lattina di Cola nelle sue mani, la sua espressione afflitta. “Però… io… io non voglio che lei accetti quel lavoro.”

Saigo lo guardò di sbieco. “E per quale ragione?” domandò subito dopo, vedendo la sua esitazione. “Questa tua amica… per caso provi interesse per lei?”

Vedere il modo in cui il volto del ragazzino divenne rosso come un peperone bastò a rispondere alla sua domanda. Deku deglutì nervosamente prima di rispondere. “Uraraka… è sempre stata al mio fianco,” iniziò a dire. “Si è sempre presa cura di noi, per anni. E per tutto questo tempo, io e Trunks abbiamo fatto di tutto per guadagnare abbastanza soldi e permetterci di vivere insieme come una vera famiglia.”

L’uomo lo ascoltò in silenzio, senza proferire parola.

Ma il volto del bambino appassì visibilmente a quel punto. “Ma adesso… lei sarà costretta ad andarsene per il nostro bene. E io non posso fare nulla per impedirlo. Sono solo un orfano. E dato che sono senza forze… di questo passo finirò per non ottenere nulla. La nostra famiglia verrà divisa per sempre.”

Il silenzio calò di nuovo tra i due.

Saigo lo osservò per diversi secondi, immobile, senza fare nulla. Poi, dopo diverso tempo, con una lentezza quasi teatrale, tornò a posare lo sguardo verso il paesaggio che dava sul Villaggio della Foglia, ignorando la brezza di vento che gli mosse il cappuccio ed il mantello e che gli fece venire un brivido lungo la schiena. “Sai, Izuku, da quando sono venuto qui, ogni giorno mi chiedo… com’è possibile che le cose siano finite per diventare così come sono ora?” rivelò improvvisamente. Il ragazzino lo osservò con tutta l’attenzione del mondo, mentre lui continuava a fissare il Villaggio con uno sguardo nascosto dal cappuccio. “Un mondo dilaniato dai conflitti, Nazioni che combattono altre Nazioni, Ribelli che lottano per la propria libertà… il mondo è sprofondato nel caos. Ormai la pace di cui godevamo fino a otto anni fa non esiste più. Di chi è la colpa, secondo te?”

Quello non rispose, incapace di rispondere. Una piccola risata amara sfuggì dalle labbra di Saigo a quel punto. “Se si fosse saputo a cosa avrebbe portato tutto questo, credo che il responsabile di tutta questa situazione non avrebbe mai fatto ciò che ha fatto,” continuò. “Tuttavia… ognuno di noi, ogni singolo essere umano, ha qualcosa che grava sulle sue spalle. Che lo spinge verso la battaglia, verso il conflitto. Verso l’Inferno.”

Deku lo ascoltò con gli occhi sgranati.

“Spesso, questo qualcosa non è voluto. Siamo costretti dalle altre persone, dalle circostanze, dal Destino… e non abbiamo altra scelta che accettare di combattere per ciò in cui crediamo, immergendoci da soli in questo Inferno di lotte e conflitti.”

A quel punto, il suo cappuccio si voltò leggermente verso il bambino. “Ma detto questo… l’Inferno visto da coloro che si fanno volontariamente carico di questo peso, appare diverso,” rivelò il misterioso personaggio, la sua voce decisa e comprensiva. La sua mano destra si mosse per arruffare i capelli del giovane. “Possono vedere ciò che si trova al di là dell’Inferno. Potrebbe esserci speranza, sai? Così come potrebbe esserci ancora altro Inferno. Ma questo non è dato saperlo a chi si arrende e si rassegna.”

La sua mano accarezzò dolcemente la testa del bambino. Deku lo guardò col cuore in gola, i suoi occhi sgranati a dismisura che brillavano per l’emozione.

“Solo chi continua ad avanzare e a combattere potrà scoprire… cosa si trova al di là dell’Inferno,” dichiarò lentamente Saigo, fissando il Villaggio con un’espressione insondabile.

Deku posò lo sguardo sulle sue mani. “Ma allora… cosa dovrei fare?” domandò, incerto e spaventato. Come poteva saperlo, in fondo? Era solo un bambino. Non aveva le risposte che gli servivano.

La mano dell’uomo smise di arruffargli i capelli. “Devi combattere, Izuku,” rispose semplicemente, la sua voce mortalmente seria. “Combatti, e ribellati al sistema. Se vuoi proteggere Uraraka e Trunks… se vuoi salvare la tua famiglia… allora dovrai imparare a combattere contro coloro che faranno di tutto per dividervi. Questa è l’unica cosa che puoi fare per restare assieme a loro.”

Il piccolo alzò lo sguardo su di lui, scioccato, fissandolo con incredulità. “E come dovrei fare?” esclamò con timore, incapace di comprendere. “Io… Io sono solo un orfano!”

Saigo lo guardò con un sorriso invisibile. “Ti aiuterò io,” lo rassicurò subito, arruffandogli di nuovo la chioma spettinata. “Hai detto che non puoi accettare di restare separato da loro due, non è vero? Allora lascia che ci pensi io. Si dà il caso che il buon vecchio Saigo conosca un modo per permettere alla tua amica di accettare quel lavoro, senza essere costretta a separarsi da voi.”

Deku trattenne il fiato, completamente sconvolto da quella rivelazione. “D-Davvero?” esalò, senza voce. “L-Lei farebbe davvero una cosa del genere per me? Ma… perché?”

Quella domanda suonò nel vento per un tempo indefinito, senza risposta. L’uomo incappucciato guardò il bambino seduto accanto a lui per diversi secondi, incerto su come rispondere, prima di sospirare e posargli una mano sulla spalla. “Tu mi ricordi… una persona che conosco,” rispose alla fine. “Ma non preoccuparti del motivo. Ho preso la mia decisione, ormai. Ti aiuterò a restare assieme alla tua famiglia, fintanto che continuerai a rimanere fedele a questo ideale.”

Le lacrime di gioia che caddero dopo quelle parole furono troppe per poter essere contate.

E quando Deku ritornò a casa quella mattina, fu col più grande sorriso che avesse mai avuto prima stampato in faccia.
 


10 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
11:34

Sarada Uchiha era confusa, quella mattina. Sapeva di essere ormai diventata un Capitano degli ANBU, ma era piuttosto certa di aver richiesto delle ferie fino alla prossima settimana. Ferie che le erano state concesse, a quanto ne sapeva. Voleva passare del tempo con sua madre, dato che era da un bel po' di tempo che i suoi doveri da ANBU le impedivano di vederla quasi sempre. Perciò, per quale motivo quella mattina si era ritrovata Natsuki Nara – conosciuta anche come l’agente Orso – dinanzi alla porta di casa sua, vestita in tuta ufficiale e col volto mascherato?

“Cosa succede?” domandò, seria e concisa. Se ci fossero stati problemi, doveva rendersi fredda e pronta ad agire in qualsiasi momento. Erano le regole base.

La sua amica rimase sull’attenti. “Il Quinto Kazekage è venuto a fare una visita all’Hokage in segreto,” riferì doverosamente. Lei e Sarada erano amiche che si conoscevano da anni, ma era in servizio al momento. Doveva portare rispetto ad un Capitano. “La sua presenza è richiesta immediatamente alla Torre.”

I suoi precedenti pensieri furono dimenticati. Sarada non perse tempo, scattando immediatamente a cambiarsi e a rendersi presentabile. In meno di tre minuti, era già uscita di casa e diretta alla massima velocità verso il suo obiettivo, vestita con gli abiti da ANBU. Una volta entrata nell’edificio, la segretaria la lasciò passare senza nemmeno parlarle. Ormai non aveva più bisogno di prenotare appuntamenti per raggiungere l’ufficio del Settimo. Era un Capitano adesso, un Uchiha Capitano, il primo sin dai tempi di Itachi Uchiha. Nessuno si sarebbe messa contro di lei, neanche volendolo. Raggiunse il corridoio che conduceva all’ufficio dell’Hokage, osservando con una punta d’orgoglio gli ANBU nascosti nell’ombra che le rivolgevano un saluto formale e rispettoso al suo passaggio. Bussò alla porta, attese due secondi, e poi entrò senza fiatare.

Era proprio lui. Il Quinto Kazekage in persona, Gaara della Sabbia. I suoi occhi non riuscivano a crederci. Era alto, e decisamente più magro di quel che ricordava dalle foto. Inoltre, il pallore innaturale che aveva in volto non sembrava per niente consono ad una persona proveniente dalla calda e perennemente soleggiata Terra del Vento. Anche se, suppose, il suo aspetto doveva essere causato dalle sue condizioni fisiche. Il Kazekage era finito in coma, diversi anni fa, e si era miracolosamente svegliato solamente un anno prima. Era stata una notizia che aveva fatto il giro del mondo in pochissime ore. Adesso che stava meglio, aveva ripreso ad assumere il Cappello da Kage, più che deciso a non abbandonare il suo dovere nonostante le sue condizioni fisiche precarie.

Gli occhi di Sarada guizzarono immediatamente oltre la sua figura. Ovviamente, l’uomo non era solo. Suo fratello Kankuro era con lui, affiancato dal suo figlio adottivo, Shinki della Sabbia Ferrifera. Erano la sua scorta personale. Stavano discutendo con il Settimo, il quale era in piedi intento a stringere la mano del Kazekage, il suo volto contornato da un sorriso sincero che sembrava aver momentaneamente dissolto l’aura di tristezza e depressione che lo affliggeva da anni. C’era anche Shikamaru, alle sue spalle, assieme a sua moglie Temari. Appena la videro entrare, tutti i presenti si voltarono verso di lei.

“Ah, eccoti qui,” la voce del Settimo si fece calda appena i suoi occhi azzurri e stanchi si posarono su di lei. “Mi dispiace di averti fatto richiamare dalle ferie, Sarada.”

“Sciocchezze, Hokage-sama,” la ragazza si limitò a dissolvere le scuse senza pensarci due volte.

Gaara le si portò dinanzi, osservandola con un misto di serietà e divertimento. “Sarada Uchiha,” disse, fissandola con un sorriso. La sua voce era bassa e roca, esattamente come la ricordava. “Devo ammetterlo, somigli sempre più a tuo padre ogni giorno che passa. È un piacere poter finalmente fare la tua conoscenza.” Le porse una mano in segno di rispetto e saluto.

La giovane sentì le sue guance colorarsi leggermente. “Il piacere è tutto mio, Kazekage-dono,” disse a sua volta, stringendogli la mano con la sua senza esitazione e con non poco imbarazzo. “È un onore per me poterla incontrare finalmente dal vivo.”

Naruto si portò accanto a loro. “Andiamo sul tetto. Discuteremo noi tre da soli una volta giunti lì.”

Sarada ammiccò, prima di rimanere completamente a bocca aperta. Dovette trattenere con forza l’impulso di urlare. Il Settimo Hokage e il Quinto Kazekeage avrebbero discusso da soli… con lei? Proprio con lei? Non riusciva a crederci. Era un onore indescrivibile! Se non fosse stato per tutti gli anni di addestramento intensivo a cui si era sottoposta da giovane, le sue gambe avrebbero quasi rischiato di cedere per l’emozione. La ragazza si limitò ad annuire stupidamente, seguendo i due Kage mentre la guidavano fuori dall’ufficio, dirigendosi verso le scale che portavano al tetto dell’immensa Torre.

Una volta giunti lì, l’Hokage e il Kazekage presero ad osservare il paesaggio per diversi secondi, dandole le spalle. Sarada rimase sempre sull’attenti, i suoi nervi alle stelle. Non aveva idea del motivo per cui due degli uomini più famosi e potenti del pianeta avessero deciso di convocarla e parlare in privato con lei, ma era un’occasione che non si sarebbe lasciata sfuggire per nessun motivo al mondo. Dopotutto, il suo sogno era diventare Hokage. Se avesse fatto bella figura dinanzi a loro, sarebbe stato un buon inizio.

“Ormai sei un Capitano degli ANBU,” disse improvvisamente il Quinto Kazekage, sorridendo appena con le labbra. “Immagino che avrai capito il perché sei stata chiamata qui.”

Sarada rimase seria. “No. Non ne ho minimamente idea. In verità, non so nemmeno perché lei sia venuto qui nonostante i rischi che questa scelta avrà ovviamente comportato, Kazekage-sama.”

Gaara rise. “Sei davvero prudente, come dicono tutti,” le concesse. “Solo tu, le persone che hai visto prima, e qualche ANBU di fiducia conoscono la mia attuale posizione. Sono venuto a fare visita a Naruto dopo moltissimo tempo che non ci vedevamo. Per discutere di ciò che sta per avvenire.”

La sua testa non ebbe nemmeno bisogno di elaborare quell’informazione. Comprese immediatamente a cosa si stava riferendo quell’uomo. “Il Summit mondiale a fine mese,” dedusse l’Uchiha. “La ragione dietro alla sua inaspettata visita ha forse qualcosa a che fare con questo?”

Il Kage della Sabbia poggiò le braccia sulla ringhiera al bordo del tetto, osservando il Villaggio con uno sguardo serio. I segni neri attorno ai suoi occhi si assottigliarono. “Uno dei motivi per cui sono qui… è perché volevo incontrare te,” disse, scioccandola non poco. “La valorosa Sarada Uchiha, l’eroina riuscita a sopravvivere alla Battaglia di Eldia. Naruto mi ha raccontato quello che è successo, sai. Di come tu e gli altri prescelti siate riusciti ad affrontare e sconfiggere un drago, una creatura che credevamo esistesse solo nelle leggende.”

Sarada rimase in silenzio.

“Dev’essere stato magnifico,” continuò quello. “Sei diventata una persona audace, forte, carismatica, e potente. Incarni alla perfezione lo spirito della Foglia. Non trovi anche tu, Naruto?”

Il Settimo annuì, fissandola con orgoglio. “Già.”

“Non sono stata solo io. Anche tutti gli altri che erano presenti assieme a me mi hanno aiutata a raggiungere la vittoria,” si difese la ragazza, impassibile. “E poi, non sono stata io ad uccidere quel mostro. Il merito della vittoria non è mio.”

Un’ombra di dolore sembrò passare negli occhi di Naruto alla menzione di suo figlio, e Sarada si pentì immediatamente di aver parlato in quel modo. Ma l’Hokage comprese il suo rimorso e le fece un sorriso sincero, scuotendo la testa per accertarla che stava bene. Lei strinse i pugni con forza.

Gaara la guardò di sbieco per diverso tempo, prima di voltarsi completamente verso di lei. “Dimmi una cosa, Sarada. Cosa ne pensi della situazione in cui ci troviamo?” Il neo Capitano degli ANBU lo osservò in silenzio. Il Kazekage mosse una mano per indicare l’orizzonte. “La Foglia e la Sabbia sono ancora alleate, ma il resto del mondo sta sprofondando nella guerra. Il Paese della Roccia sta fremendo, mandando sempre più uomini contro di noi per sabotarci. La Terra delle Cascate ha chiuso i suoi confini, rifiutando di sostenere le Nazioni che richiedono aiuti umanitari. E la Terra della Pioggia sta a sua volta complottando qualcosa contro di noi. I messaggi che abbiamo spedito ai Kage per invitarli al Summit non hanno ancora ricevuto risposta.”

“E come se non bastasse, i fuochi della Rivoluzione continuano a causare danni,” aggiunse il Settimo Hokage. “Gruppi sempre più sostanziosi di ribelli e mercenari stanno assaltando i confini della Terra dell’Acqua. Ci sono proteste all’ordine del giorno nella Terra del Suono, dell’Erba e del Vapore. Ormai manca poco prima dello scoppio di un nuovo conflitto.”

Sarada si prese diversi secondi di tempo per riflettere. “Con tutto il dovuto rispetto, la guerra dei Ribelli esiste solo negli articoli di giornale,” ribatté lei, seria e decisa. “È vero che la Rivoluzione non si fermerà e continuerà a fare danni e a fomentare proteste e scontri, ma di questo passo sono convinta che finirà per distruggersi con le sue stesse mani. Non ci sono ancora stati scontri significativi. Tuttavia…”

“Tuttavia?” la esortò il Kazekage.

“…la pace che tutti voi avevate costruito è andata distrutta. Questo è un dato di fatto. Per cui, se devo essere davvero sincera, non credo che nel futuro che ci attende riusciremo a fare qualcosa per ripristinarla senza mettere fine alla Rivoluzione. Ormai… Ormai è troppo tardi,” confessò lei, mettendo a nudo quello che pensava davvero.

Naruto e Gaara si scambiarono un’occhiata tra loro. “Sei davvero intelligente, Sarada,” si complimentò il Kazekage, sorridendole con approvazione. “La tua posizione è corretta. Noi siamo ciò che rimane dell’Unione, ma il mondo ha intrapreso la via del militarismo e della guerra di sua spontanea volontà. Cercando di espiare le nostre colpe, noi abbiamo donato alle varie Nazioni libertà e potere, e questa cosa ci si è ritorta contro.”

“Siamo rimasti per troppo tempo a guardare mentre la popolazione fuori dalle Cinque Grandi Nazioni diventava sempre più malcontenta, lasciando alla Rivoluzione il tempo di agire a proprio piacimento,” confermò l’Hokage, guardando il Villaggio con rammarico.

Gaara annuì. “E cosa ne è risultato? Che il mondo e metà della popolazione mondiale sono sprofondati nelle tenebre. E anche se i Kara e la Rivoluzione ne sono stati la causa principale, siamo sempre noi che dobbiamo assumerci la responsabilità di tutto ciò.”

Il Kazekage sospirò, prima di riprendere a parlare. “L’autorità degli Shinobi non è più al passo coi tempi. Nei vari Paesi ci sono movimenti turbolenti. Solo la Terra del Ferro continua a restare neutrale, come ha sempre fatto, ma il resto del mondo… ormai si sta preparando ad una guerra.”

Naruto le si portò accanto, mettendole una mano sulla spalla. “Noi abbiamo intenzione di rivelare tutto al mondo intero durante il prossimo Summit,” le spiegò seriamente. “Vogliamo raccontare ogni cosa, ciò che è successo in passato, durante la Quarta Guerra Mondiale, e delle conseguenze che essa ha avuto nel mondo. Racconteremo davanti a milioni di persone e ai rappresentanti di tutte le Nazioni la verità: i nostri sbagli, i nostri segreti, e anche… anche ciò che mio figlio ha deciso di fare quando ha dato vita al movimento Ribelle e ai Kara. Ma oltre a ciò… noi vogliamo anche raccontare la verità sugli Otsutsuki e su ciò che hai vissuto ad Eldia, durante quei due mesi. È l’unica opzione che ci rimane se vogliamo provare a rendere unito il nostro mondo.”

Sarada li osservò entrambi con attenzione per diversi secondi appena ebbero finito di parlare. “Perché mi state dicendo tutto questo?” domandò alla fine, incerta su cosa pensare.

Gaara si affiancò a Naruto, portandosi a sua volta davanti a lei. “Il Summit che stiamo per organizzare sarà l’evento pacifico più importante che il nostro mondo abbia mai visto. Non abbiamo mentito quando abbiamo detto di voler rivelare al mondo ogni cosa, ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci permetta di farlo in sicurezza. Sarà lo scenario in cui dichiareremo guerra alla Rivoluzione e ai Guerrieri, Sarada. A causa di ciò, potrebbero esserci molti seguaci della Rivoluzione intenzionati a sabotare questo evento. Abbiamo bisogno di qualcuno che sovrintenda la sicurezza generale del Summit, dei civili, dei Daimyo e dei Kage.”

Gli occhi dell’Uchiha si sgranarono a dismisura.

Il Quinto Kazekage le porse una seconda volta la sua mano. “Sarada Uchiha, accetterai di sovrintendere la sicurezza del Summit mondiale più importante della storia?”
 


10 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
12:09

“C-Che significa che voi due verrete assieme a me nella Terra dei Fiumi?” esclamò Uraraka, completamente scioccata oltre ogni descrizione. Osservava il volto determinato e sorridente di Deku con uno sguardo allibito, imitata a sua volta da Trunks, che però sembrava essere più abile di lei a nascondere il suo stupore. I suoi occhi perennemente aggrottati erano solo un po' più spalancati del normale, ma per il resto sembrava serio come sempre.

Il suo amico dalla chioma verde e gli occhi rotondi sorrise con confidenza. “Non sei l’unica ad aver ricevuto una nuova offerta di lavoro in quel Paese,” dichiarò saccentemente Izuku Midoriya, gonfiandosi il petto con orgoglio. “Stamane ho incontrato un signore estremamente gentile che avevo conosciuto al Pub dove lavoro. Gli ho raccontato della nostra situazione, e ha deciso di aiutarci. Ha bisogno di un paio di persone che lavorino come operai nella costruzione di un palco per il Summit che avrà luogo a fine mese. E ha detto che io e Trunks facciamo proprio al caso suo!”

La ragazza dai capelli castani e il ragazzo dai capelli viola si osservarono a vicenda per diversi secondi. “Sei sicuro che possiamo fidarci di quest’uomo?” domandò Trunks, poco convinto. “Hai almeno idea di chi sia? Qual è il suo nome?”

Deku scosse la testa, senza mai smettere di sorridere. “Mi ha detto di non potermi rivelare il suo nome, ma so che possiamo fidarci di lui. E poi, guardate,” tirò fuori dalla tasca una mazzetta di banconote grossa quanto un mattone, puntandola in faccia ai suoi amici. “Mi ha dato tutti questi soldi come semplice acconto per aver accettato il lavoro! Quel tipo è ricco sfondato!”

Uraraka e Trunks rimasero a bocca aperta, afferrando il denaro con gli occhi sgranati a dismisura. “Non posso crederci!” urlò il secondo, incredulo come non mai. “Sono tantissimi!”

“S-Sembra quasi un sogno,” sussurrò anche Uraraka, ancora scossa.

“Non lo è,” ribadì euforicamente Deku, allungando le braccia e stringendo a sé dal collo i suoi amici. “Preparatevi, ragazzi. Sono certo che dopo questo mese, la nostra vita cambierà alla grande!”

Non aveva idea di quanto fosse andato vicino alla realtà.
 


10 Settembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione
20:00

“Si può sapere che cosa hai in mente?” domandò Galatea, senza nemmeno sforzarsi di nascondere la sua irritazione. Lo stava fissando come se fosse un clown che non fa ridere.

L’uomo incappucciato dissolse le sue preoccupazioni con un movimento incurante della mano. “Tranquilla, Galatea-chan. Ho tutto sotto controllo, credimi. Non hai altro a cui pensare piuttosto che assillarmi con le tue urla?” ribatté a sua volta, mentre si dondolava in equilibrio su una sedia coi piedi poggiati sopra il tavolo dove stavano facendo la riunione.

La donna dai capelli cerulei serrò un pugno con così tanta forza che le sue ossa sembrarono spezzarsi. “Avevi detto che avresti liberato i Kara, ma fino ad oggi non hai combinato niente! Quando hai intenzione di darti una mossa e fare qualcosa?” sbraitò a gran voce, furiosa oltre ogni dire. Alle sue spalle, Jigen e Annie dovettero coprirsi le orecchie con le mani per quanta forza aveva messo nel suo tono. Annie borbottò sommessamente qualcosa sui suoi poveri timpani innocenti.

Saigo si staccò lentamente dal muro contro cui si era appiattito dopo l’urlo disumano che l’aveva investito come un uragano. “Però, che polmoni,” esalò nervosamente, ancora scosso. “Devi fidarti di me, Galatea-chan. Ho detto che li avrei salvati, ma non ho detto quando l’avrei fatto. E poi, il mio ingegnoso piano geniale sta per avere inizio. Ogni pezzo sta per mettersi in posizione, ma ci vuole tempo. La fine del mese non è ancora arrivata.”

Annie assottigliò i suoi occhi glaciali. “La fine del mese? Hai forse intenzione di liberarli durante il Summit nella Terra dei Fiumi?” domandò, mortalmente seria.

Il misterioso personaggio annuì sotto al suo cappuccio oscuro. “Ancora una volta le vostre abilità di osservazione si comportano bene,” disse sarcasticamente, scrollando le spalle con disinvoltura.

La donna bionda represse l’istinto primordiale di balzargli addosso e farlo a pezzi che la pervase per un istante. “Ma sarebbe un’impresa impossibile!” sibilò a denti stretti, contrariata. “Al Summit parteciperanno tutte le più importanti cariche del mondo. I Kage, i Daimyo, i Consiglieri... per non parlare poi dell’innumerevole quantità di civili che vi presiederanno. Sarà sorvegliato dalla mattina alla sera da centinaia, se non migliaia, di ANBU e Ninja delle varie Nazioni.”

Saigo ridacchiò leggermente, completamente incurante. “Come vi ho già detto, ho un piano,” si limitò a dire. “L’unica cosa che voi dovrete fare è aspettare nell’ombra e colpire quando darò l’ordine. E i Kage che supportano la nostra causa e che presiederanno al Summit sanno già quello che devono fare. Ho detto loro esattamente ciò che succederà, quindi siamo sul sicuro già da adesso.”

Galatea non era convinta. “Il tuo piano ha forse a che fare con quei tre mocciosi che hai assoldato nella Foglia?” domandò seriamente. “La cosa non mi convince. E poi, dove hai preso tutti quei soldi? Potevi investirli nelle nostre risorse piuttosto che regalarli a dei bambini qualunque.”

Saigo ridacchiò, grattandosi il collo. Non poteva certo dire loro che aveva preso quel denaro dall’Occhio della Tempesta. Avrebbe fatto saltare la sua maschera. “Come siete crudeli! Erano dei poveri orfani! È stato solo un gesto amorevole nei loro confronti!” protestò in maniera comica.

“Ma sono solo dei bambini! Hai davvero intenzione di affidare tutto nelle loro mani?” esclamò Jigen, incredulo.

“Oh sì,” dichiarò l’uomo incappucciato, la sua voce divenuta improvvisamente bassa e oscura. Tutti e tre i presenti lo fissarono con gli occhi sgranati mentre diventava di colpo serio e solenne. “Ma fidatevi del mio piano. Ogni cosa andrà esattamente come l’ho programmata. E sapete perché?”

Il sorriso ferale nel suo volto nascosto era percepibile nell’aria stessa. “Perché quei tre ragazzini saranno la cenere da cui rinascerà un nuovo mondo.
 









 

Note dell’autore!!!

Salve a tutti, gente! Ecco a voi il nuovo capitolo! Spero che vi sia piaciuto, anche se è volutamente più breve del solito. Era una cosa necessaria. Volevo mostrare due incontri importanti che avranno delle conseguenze decisive per il futuro: l’incontro tra Saigo e Izuku e quello tra Sarada e Gaara. Un incontro casuale e privo di senso tra due personaggi apparentemente senza importanza… ed un incontro ufficiale e segreto tra due personaggi decisivi che hanno scritto la storia.

Parlando di Gaara, ho deciso di rimetterlo in gioco dopo la sua assenza per via del coma che lo aveva colpito durante la prima parte della storia. Spero possiate aver apprezzato la sua ricomparsa. Gaara è un personaggio importante, e non mi sarei sentito in pace con me stesso se non lo avessi fatto partecipare agli eventi che accadranno in futuro.

Vi allego le immagini di Trunks e Uraraka.


OCHACO URARAKA 


TRUNKS


Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie mille a tutti in anticipo. A presto!

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Capitolo 5
*** Maschera e Dovere ***


MASCHERA E DOVERE





16 Settembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione
23:15

Boruto sospirò, spogliandosi delle sue vesti dell’Organizzazione. Doveva ammetterlo: era stanco. Si era completamente dimenticato quanto fosse difficile e stressante gestire ed organizzare il più grande movimento terroristico del pianeta. Questi due anni di assenza si facevano sentire. Era come se si fosse preso una lunga vacanza involontaria – vacanza per modo di dire, visto che ritrovarsi in un mondo sconosciuto e pieno di pericoli, combattere contro un drago sputafuoco, sacrificarsi per il bene di persone che aveva evitato per tutta la sua vita, e finire nel bel mezzo di una stupida lite cosmica tra due sorelle pazze era stato tutt’altro che rilassante – ma non poteva negare che stare lontano dalla strategia e dalle questioni organizzative lo aveva reso più fiacco di prima.

E questo non andava bene. Boruto doveva essere previdente, doveva essere sagace. Doveva essere perfetto. Era il minimo, l’obiettivo che doveva necessariamente raggiungere se voleva avere una chance per riuscire a sconfiggere ancora una volta i suoi nemici. Nemici che, a differenza di come li aveva lasciati l’ultima volta, adesso erano in notevole vantaggio rispetto a lui.

Nemici potenti come l’Hokage, Sasuke Uchiha, e tutte le Nazioni alleate.

Il giovane guerriero sentì la propria determinazione ardere come un fuoco dentro di lui. Posando la sua cappa oscura sopra un letto, tirò fuori da un sigillo di contenimento posto sul suo braccio un’altra serie di vestiti, indossandoli rapidamente. Erano essenzialmente simili: un lungo mantello grigio al posto della sua solita cappa nera ed un cappuccio brunastro. Una casacca da viaggiatore comune, tipicamente indossata dagli abitanti della Terra del Vento per attraversare il deserto. Era calda, ma allo stesso tempo abbastanza leggera da non farlo sudare. Ed era stato il suo nuovo travestimento per diverso tempo ormai.

Dopotutto, il posto che stava visitando assiduamente non gli permetteva di indossare gli abiti dell’Organizzazione.

Le sue mani si mossero per formulare una serie di Sigilli. Ratto, Drago, Bue, Cane, Drago. Con un sibilo quasi impercettibile dell’aria, uno strano Marchio nero apparve sul suo petto, nascosto dai suoi abiti spessi. Era un Sigillo del clan Hyuuga, uno di quello basilari. Serviva ad impedire che la sua faccia potesse essere vista da sotto al cappuccio. Boruto aveva iniziato ad essere piuttosto familiare con quel Marchio sul suo corpo da quando aveva preso l’identità di Saigo il SenzaVolto. Dopotutto, era un’abilità che gli permetteva di mostrarsi indisturbato tra la gente, e nessuno avrebbe potuto scorgere la sua faccia grazie ad esso. Nemmeno il Byakugan o lo Sharingan. Dopotutto, quel Sigillo veniva comunemente usato nel distretto del clan Hyuuga per questioni di privacy. Era difficile poter andare in bagno con la consapevolezza che ogni singola persona lì dentro poteva vedere oltre i muri e le pareti. Il Sigillo era stato creato proprio per questo.

Saigo sospirò di nuovo, preparandosi per il suo ennesimo viaggio. La destinazione che aveva in mente era un luogo lontano – la Terra del Gelo era distante da quasi tutte le Nazioni principali – ma grazie alla nuova abilità del suo Jougan, era diventato capace di percorrere distanze infinite in un batter d’occhio. Gli bastava evocare un vortice oscuro ed attraversarlo per giungere a destinazione in pochi secondi.

Quanto sarebbe stata utile un’abilità simile quando era più giovane.

Doveva ‘ringraziare’ Hikari per questa sua nuova scoperta. Boruto represse un brivido al pensiero di quella donna e di sua sorella. Cavolo, il solo ricordo di ciò che aveva visto durante quell’esperienza gli faceva accapponare la pelle ancora adesso. Non aveva mai visto una tale quantità di energia nel corpo di una singola persona. Era mostruoso. Impensabile. Sbagliato. Se c’era un’entità che potesse andare vicino alla definizione di Dio… allora Hikari e Yami erano delle candidate perfette.

Eppure, ciò che quella donna ossessionata dalla Luce gli aveva fatto… lo aveva cambiato. Boruto lo sapeva, se lo sentiva dentro. Non riusciva ad ignorarlo. Gli aveva cambiato qualcosa dentro, dopo che l’aveva salvato dalla morte. Non sapeva come avesse fatto, né tantomeno cosa gli avesse fatto… ma lo aveva cambiato profondamente.

Dopotutto, la sua stessa segnatura di chakra e oscurità era cambiata rispetto al passato.

Boruto l’aveva notato subito, grazie al suo Jougan. Ma anche senza di esso, lo avrebbe scoperto ugualmente. Nessun Ninja che si rispetti sarebbe stato incapace di notare un’alterazione nel suo circuito di energia vitale. E Boruto era un maestro nel controllo del chakra, per questo ne era così sicuro. La sua energia non era più la stessa. Era rimasta invariata nella quantità, ma la sua qualità era molto diversa. Era ancora fredda, agitata, e scattante come in passato; ma allo stesso tempo… non lo era. Era più calda, più pacata, più sommessa. Era difficile comprenderlo e descriverlo. Era solamente… diversa.

Forse era proprio per questo motivo che il Settimo Hokage non sembrava essere più in grado di percepirlo sulla Terra, dedusse. Boruto non era stupido. Sapeva che aveva corso un rischio enorme visitando il Villaggio della Foglia nelle settimane precedenti, ma era stata la prova di cui aveva bisogno. Adesso ne era certo. Suo padre non era più in grado di percepire la sua negatività. Il motivo? Semplicemente perché essa era cambiata. Non era più la stessa di prima. Per questo Naruto non lo aveva assaltato nell’istante in cui aveva rimesso piede sul pianeta. Per questo Annie-sensei, Kaya, e tutti gli altri che lo conoscevano non erano stati in grado di riconoscerlo. Perché la sua stessa composizione era cambiata rispetto al passato.

E questo gli forniva un vantaggio importante.

Per il piano che aveva in mente, lui doveva restare in incognito il più a lungo possibile. Boruto Uzumaki era morto. E se lui voleva riuscire ad attuare ciò che aveva progettato, doveva continuare a restare morto. La sua nuova identità come Saigo gli avrebbe fornito l’occasione perfetta per non destare sospetti e poter contemporaneamente agire indisturbato. E per questo, doveva essere prudente. Non poteva essere incauto. Doveva prevedere, doveva proteggersi. Doveva essere perfetto. Solo così avrebbe potuto risollevare la situazione. Solo così avrebbe potuto recuperare ciò che aveva perso. E solo così avrebbe potuto… salvare i suoi amici dalla forca.

Il suo volto nascosto dal cappuccio si fece solenne e determinato. “Si va in scena.”

“Dove stai andando?”

Saigo trasalì, voltandosi di scatto verso la porta della stanza con un sussulto di sorpresa. Annie Leonhardt lo stava fissando con un’espressione accigliata, le sue braccia incrociate davanti al petto, visibilmente irritata. Sembrava un gatto in procinto di balzare addosso ad un topo fastidioso.

“A-Annie-chan,” esclamò lui con voce acuta, grattandosi nervosamente il collo e ridacchiando come un’idiota. “A cosa devo il piacere?”

La donna lo fissò con freddezza, osservando i suoi abiti. “Stai per andartene di nuovo, non è vero?” lo incalzò nuovamente lei, senza muoversi di un millimetro. Non ci aveva messo molto a dedurre quello che aveva in mente.

L’uomo incappucciato esitò, irrigidendosi come una statua. Alzò pateticamente un braccio per protestare. Poi però si arrese, abbassando le spalle e sospirando. “Sì,” rispose semplicemente.

La maestra si massaggiò le tempie in un moto di esasperazione. “Si può sapere perché passi tutto il tempo a viaggiare?” domandò, la sua frustrazione evidente. “Ti abbiamo affidato il comando della Rivoluzione, ti abbiamo dato la nostra fiducia… e tu ti rifiuti di stare con noi. Con le persone che dovrebbero essere tue alleate. Passi tutto il tempo in giro per il mondo, infiltrandoti in territorio nemico senza un apparente motivo, e mettendo a rischio la tua incolumità. Che cosa diavolo ti passa per la testa? Hai idea del casino che si genererebbe se finissi scoperto?”

“S-Suvvia, Annie-chan,” tentò di calmarla lui, palesemente nervoso. “Non si arrabbi. Quello-Quello che faccio… è necessario per la nostra causa!”

“Spiegami.”

Saigo ammiccò. “Eh?”

“Spiegami come sia necessario per la nostra causa il fatto che tu ti esponga in territorio ostile, interagendo con persone che dovrebbero essere tuoi nemici, e mettendo te stesso e il nostro obiettivo in pericolo,” domandò gelidamente lei, la sua voce ed il suo sguardo privi di emozione. “Sei il nuovo leader. La tua sicurezza dovrebbe essere una priorità assoluta in questo momento di crisi per la Rivoluzione.”

“S-Sono capacissimo di difendermi da solo!” tentò di giustificarsi lui. “E-E poi, osservare i nemici da vicino è un vantaggio che non possiamo permetterci di evitare.”

“Non lo metto in dubbio. Ma se ti succedesse qualcosa, tutti noi ne risentiremmo pesantemente,” ribatté prontamente Annie. Poi sospirò, cercando di calmare la sua frustrazione. Si portò a davanti a lui con passo lento, il suo volto indecifrabile. “Dimmi la verità, Saigo. Perché ti rifiuti di restare qui assieme a noi? Perché… Perché ci stai evitando in questo modo?”

Sotto al suo mantello, l’uomo misterioso serrò i pugni con forza.

Voleva dirglielo. Voleva dirglielo talmente tanto che le sue guance gli dolevano letteralmente per lo sforzo di restare ferme. Ma non poteva. Non doveva. Non poteva rivelarle la verità. Non poteva dirle come stavano le cose. Non ancora. Non poteva esporsi, mettendo a rischio quello che stava facendo, il suo piano, il suo obiettivo. Lo stava facendo anche per lei, in fondo. Per lei, per la sua famiglia in prigione, e per tutti gli altri che lo seguivano. Doveva essere forte. Doveva stringere i denti e sopportare.

Non poteva dirle che il motivo per cui li stava evitando… era perché la loro mancanza era troppo dolorosa per lui.

Non poteva rivelarle che il motivo per cui stava lontano da loro era perché ogni secondo, ogni singolo e sacrosanto secondo, una parte di lui gli moriva dentro mentre era costretto ad interagire con loro fingendo di essere uno sconosciuto. Che era dolorosamente straziante per il suo cuore parlare con loro, scherzare con loro, discutere con loro, mentre le circostanze lo forzavano ad indossare una maschera. A nascondere il suo volto, la sua identità. Era come… come una tortura. Era come essere di nuovo con loro, senza realmente esserci.

Non poteva dirglielo.

“Non vi sto evitando,” disse alla fine. La sua voce era diventata bassa, priva di emozione, e carica di una solennità e un’autorità che persino la fredda e sprezzante Annie percepì con timore, facendola indietreggiare inconsciamente da lui. “Ciò che faccio… è per la nostra causa. Si limiti ad accettarlo.”

Detto ciò, senza aggiungere altro, l’uomo incappucciato iniziò ad incamminarsi fuori dalla stanza, superando la sua figura e preparandosi a partire.

La donna abbassò lo sguardo a terra, serrando i pugni con impotenza.

“Posso almeno sapere dove sei diretto questa volta?” domandò a denti stretti.

Saigo il SenzaVolto non si fermò mentre rispose.

“La Terra dei Fiumi.”
 


17 Settembre, 0021 AIT
Terra dei Fiumi, Villaggio di Questo
Fortezza
10:43

Deku posò sopra il cumulo davanti a lui l’ennesima trave di legno che solamente quella mattina aveva dovuto spostare per due ore intere, asciugandosi il sudore dalla fronte con una mano. Aveva avuto modo di imparare diverse cose sulla geografia di questo mondo sin da quando era giunto nella Terra dei Fiumi. Apparentemente, il Villaggio in cui lui e i suoi due amici si trovavano adesso sarebbe stata la sede in cui avrebbe avuto luogo il Summit mondiale più importante di tutti. Il Villaggio di Questo – secondo quanto gli avevano raccontato gli altri operai – era tutto ciò che rimaneva di un antico Paese che un tempo si diceva avesse confinato con la Terra dei Fiumi, e che era stato inglobato da essa dopo una lunga e sanguinosa battaglia. Un tempo questa Nazione si chiamava Paese di Questo, ed era confinante con un altro Paese ormai scomparso a sua volta: il Paese di Quello.

Per quanto confusionario suonasse, Deku era riuscito a capire le nozioni principali. Apparentemente, quelle due Nazioni erano state sempre in guerra per decenni, ma nel corso degli anni avevano fatto pace e si erano unite assieme, integrandosi con la Terra dei Fiumi e divenendo una Nazione unica. Il Villaggio di Questo era l’unica testimonianza rimasta di questa storia antica, e per questo era diventato negli ultimi tempi una delle attrazioni turistiche più importanti del pianeta. Inoltre, vista la sua posizione priva di scopo e la sua attuale neutralità, era stato scelto come il luogo ideale per tenere l’evento mondiale che stava per avere luogo a fine mese, e per ospitare la riunione ufficiale di tutte le cariche più importanti del mondo.

Il Villaggio era… antico. Lo si riusciva a comprendere anche con una sola occhiata. Era strutturato come una fortezza dei secoli passati, e si stagliava come un monumento di tempi ormai superati da tempo. Lunghe cinta di mura grigie circondavano tutta la sua estensione, e al suo interno la cittadina era divisa letteralmente in due. Nella zona periferica sorgeva il villaggio comune, fatto da case di mattoni e pietra; mentre al centro sorgeva una specie di bastione fortificato, che un tempo era la sede dell’autorità del Villaggio. Era una specie di castello di marmo nero, con un gigantesco cortile aperto e innumerevoli torri a punta che si stagliavano nel cielo. E proprio in quel punto, nell’immenso cortile aperto dinanzi all’ingresso del bastione, si sarebbe svolto il Summit Mondiale che tutto il mondo stava attendendo con ansia.

Ed era sempre lì che Deku si trovava adesso, sudato e stanco dopo ore e ore di lavoro ininterrotto. E sebbene fosse stato più che mai deciso a venire qui di sua spontanea volontà, il piccolo ragazzino stava iniziando a comprendere la dura realtà del mestiere che facevano gli operai. Il signor Saigo era stato di parola. Grazie a lui, Deku e Trunks erano stato assoldati per aiutare gli operai nella costruzione del palco del Summit, ed erano riusciti a trovare un passaggio gratuito per la Terra dei Fiumi. Questo aveva permesso loro di seguire gli spostamenti di Uraraka e del Signore Feudale da cui aveva accettato il lavoro. Ma per quanto questo fosse positivo, le ore in cui erano costretti a lavorare si rivelavano decisamente sfiancanti per i due bambini.

“Ehi! Smettila di battere la fiacca!” la voce irritata di Trunks lo riportò al presente. Deku gli scoccò un’occhiata esausta. Era sudato e spossato quanto lui, ma stava sorridendo con sarcasmo. Uraraka lo seguiva a ruota, le mani dietro la schiena e la sua faccia contorta in un ghigno malizioso. Lei non lavorava come operaio come loro due – dato che era una bambina – ma avrebbe iniziato a fare la cameriera solamente una volta iniziato l’evento.

“Non sto battendo la fiacca. Ho finito il mio turno, e adesso stavo riprendendo fiato,” si difese il ragazzino, sospirando. Appena gli altri due lo raggiunsero, i suoi occhi si spostarono per la prima volta ad osservare con meraviglia l’opera in costruzione a cui gli operai stavano lavorando da più di due settimane ormai.

Il cortile del castello stava cominciando ad assumere l’aspetto che immaginavano fosse il risultato finale. Un gigantesco palco di legno di castagno stava venendo costruito dinanzi all’ingresso della fortezza, dando le spalle ad un grande palazzo di pietra che – a quanto avevano capito – era stata la residenza privata dei Signori Feudali di un tempo. Era un palco grande almeno trenta metri, sollevato rispetto al livello del terreno, e coperto da una specie di portico di legno chiaro su cui stavano montando le luci per l’illuminazione. Lo spettacolo del Summit si sarebbe svolto di sera, dopotutto.

Davanti al palco, invece, un’infinita serie di panche di legno, sedie colorate, e seggi simili a troni stavano venendo allestiti e posizionati con cura, formando file ordinate e simmetriche. Attorno al palco, anche il resto del cortile era stato coperto da un immenso bancale di legno di forma semicircolare, pieno di posti a sedere. La struttura aveva la forma di un anfiteatro, al cui centro si stagliava l’immenso palco di prima. Deku suppose che i bancali più esterni dovevano essere i posti a sedere per coloro che avrebbero assistito all’evento. Anche se, ovviamente, ogni posto era diverso dall’altro. Solo le persone più importanti si sarebbero sedute ai posti in prima fila, quelli esattamente davanti al palco. I Kage, i Consiglieri, i Daimyo, e forse qualche Shinobi più importante rispetto agli altri. I posti esterni erano invece per la gente comune e i visitatori. I tre giovani si sarebbero seduti lì a loro volta. Avevano avuto il diritto a dei posti riservati, visto che erano operai.

Deku, Trunks e Uraraka osservarono l’immenso anfiteatro in costruzione con degli sguardi stupiti. Era quasi tutto pronto, e mancava davvero poco alla fine dei lavori. Un paio di giorni al massimo, e tutto sarebbe stato in ordine e pronto per ospitare l’evento più importante che il loro mondo avesse mai visto.

“Wow,” esalò Uraraka. “Pare che useranno davvero questo cortile per fare la dichiarazione di guerra. Sembra un teatro.”

Accanto a lei, Trunks annuì con un’espressione seria. “A questa cosiddetta festa si riuniranno le figure più autorevoli di ogni Nazione. Hanno intenzione di fare qualcosa di grosso, per poi dichiarare finalmente guerra ai Ribelli e a tutti i seguaci della Rivoluzione. Questo è il piano della Foglia e dei resti dell’Unione.”

“Davvero?” chiese Deku.

La bambina lo guardò con un sopracciglio incurvato. “Hai dei dubbi?”

Il giovane dai capelli verdi osservò il palco in costruzione. “A questo evento parteciperanno anche gli esponenti della Rivoluzione e i Kage affiliati ad essa. Le stesse persone che la Foglia sta combattendo da anni. Che senso avrebbe dichiarare guerra a tutti loro, proprio davanti ai loro stessi occhi?” domandò, confuso.

“Questo Summit è l’ultima speranza che le Nazioni hanno per riuscire a trovare un accordo pacifico,” gli spiegò Trunks, incrociando le braccia con serietà. “L’ostilità che i Ribelli provano nei confronti delle Nazioni più potenti è nulla, se paragonata a ciò che una guerra scatenerebbe. Vogliono provare a convincere tutti ad abbandonare le ostilità e trovare un accordo prima di essere costretti a dichiarare guerra. Il solo fatto di essere stati invitati a questo evento, per la Rivoluzione, è una tragedia.”

Uraraka annuì. “Non è un caso, se ci pensate, che i fondatori saranno giustiziati davanti agli occhi di tutti, proprio su quel palco.”

Deku la guardò di sbieco. “Intendi l’Organizzazione Kara?”

“Proprio loro,” confermò lei, puntando un dito verso il palco al centro del cortile. “Saranno decapitati pubblicamente. È una mossa che la Foglia e le Nazioni alleate vogliono sfruttare per convincere il mondo a non sfidarli come hanno fatto loro. È questo l’obiettivo di questo Summit.”

Il ragazzino non disse nulla per diverso tempo. Lui era ancora giovane, così come i suoi amici, quindi non poteva comprendere appieno ciò che stava dietro a tutto quell’evento che stava per avere luogo in quel posto. Ma sapeva bene chi fossero i Kara, e cosa avessero fatto. Era giovane, non stupido. Giustiziare pubblicamente i criminali più infamati del pianeta, davanti agli occhi di migliaia di persone e in diretta Tv, era una mossa politica importante. Avrebbe dimostrato la supremazia e la determinazione della Foglia e delle Nazioni alleate. Avrebbe distrutto il morale dei seguaci di quel gruppo di terroristi, e gettato un’ulteriore ombra di sconfitta nei confronti della Rivoluzione.

Era questo il prezzo che erano disposti a pagare pur di raggiungere la pace? Avrebbero davvero preferito sacrificare delle vite umane pur di convincere tutti a non iniziare una guerra? Non era un controsenso?

Per qualche strano motivo, Deku non riusciva ad immedesimarsi con quel ragionamento.

“Proprio a ragione di questo, nemmeno noi possiamo restarcene con le mani in mano,” dichiarò improvvisamente Uraraka.

I due ragazzini la fissarono con confusione.

Lei li guardò negli occhi. “Pensateci. Credo che sia stato scelto questo posto proprio per far sì che i popoli di tutto il mondo possano capire appieno la gravità della situazione in cui stiamo precipitando. E anche noi dobbiamo fare la nostra parte.”

“E come?” chiese Izuku.

La mano della ragazzina guizzò in avanti e gli afferrò le guance, sconvolgendolo, forzandogli un sorriso sulle labbra con le dita. “Sorridendo!” rispose lei. “La gente che serviremo dovrà essere accolta al meglio delle nostre possibilità. Dobbiamo fare bella figura se vogliamo trovare un lavoro decente. Nessuno si sentirà a proprio agio se ci vedranno con quell’espressione confusa che hai in faccia. Per cui, sorridi.”

Poi si voltò verso l’altro bambino. “Anche tu, Trunks. Posso capire che tu sia diffidente, ma devi assumere un aspetto più amichevole. Smettila di fare quella faccia così seria.”

“Ma questa è la mia faccia…”

Deku si massaggiò le guance doloranti. “Tu invece in cosa dovresti migliorarti?” domandò, stizzito.

“Ah? Io sono perfetta così. Sono carina, e visto che sono anche intelligente, riuscirò ad ammaliare tutti quei pezzi grossi e a farmi un nome. È un piano geniale,” dichiarò lei, sorridendo maliziosamente.

I due ragazzini la guardarono con esasperazione. “Credo che sia tu quella che dovrebbe trattenersi più di tutti…” sussurrò Trunks.

“Oh cavolo!” esclamò improvvisamente Deku, trasalendo con tutto il corpo. Uraraka e Trunks gli scoccarono un’occhiata confusa. “Mi sono ricordato che devo fare una cosa!” Detto ciò, il ragazzino non perse tempo ed iniziò a correre alla massima velocità lontano dai suoi amici, dirigendosi verso l’uscita del cortile.

“EHI! Dove stai andando?” lo richiamò Uraraka, allibita.

Quello le rivolse un saluto con una mano. “Non preoccupatevi per me! C’è una persona che devo vedere!” gridò loro di rimando. Il sorriso sul suo volto era raggiante e pieno di trepidazione. “Ci vediamo tra un’ora!”

Poi, il bambino sparì in mezzo alla calca di gente che brulicava lungo le strade del Villaggio, lasciandoli da soli, confusi e stupiti. “Ma che gli è preso?” sussurrò lei, incredula. “Non è da lui sparire così all’improvviso.”

“Starà bene,” la rassicurò il ragazzo dai capelli viola. “Piuttosto, guarda un po' chi c’è lì.”

Uraraka si voltò col busto, puntando lo sguardo verso la direzione in cui stava indicando il suo amico. Due persone stavano parlando a qualche centinaio di metri da dove si trovavano loro due, proprio dinanzi al palco in costruzione. I suoi occhi si sgranarono a dismisura. Lei conosceva quell’uomo. Non c’era nessuno in tutto il pianeta che non sapesse chi era quel tipo.

“Il Kazekage?” esclamò, scioccata. “Che ci fa qui?”

Trunks assottigliò gli occhi. “In effetti è una cosa insolita. Ma chissà chi è quell’altra persona con cui sta parlando…”

I due ragazzini potevano solo sperare di scoprirlo.
 


“I lavori con il palco procedono bene?”

Gaara alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo, seduto sulla prima fila del teatro. “Sì,” rispose. “Devo dire che sono rimasto sorpreso dalle mie capacità di regista. Parlo dell’ampliamento della struttura. Abbiamo allargato e allestito questo cortile per fare in modo che possa ospitare all’incirca settecentocinquanta persone. Questo senza tenere conto dei Kage e delle autorità più importanti, ovvio.”

La ragazza posò lo sguardo sul palco, osservando gli operai che lavoravano ininterrottamente. Alcuni di loro erano miseri ragazzini. Non potevano avere più che una decina d’anni. “La manodopera infantile dovrebbe essere un reato,” disse seriamente, la sua voce bassa che faceva trapelare appieno il disappunto che provava dentro.

Il Kazekage sospirò, annuendo con la testa. “Sono d’accordo con te, ma non possiamo farci nulla a questo punto,” ammise, rammaricato. “Con i trattati dell’Unione dissolti, legalmente non hanno più diritti. Siamo tornati all’epoca precedente alla Terza Guerra Mondiale per colpa della Rivoluzione. E se hanno accettato di loro spontanea volontà questo incarico, non possiamo cacciarli senza un motivo. Gli operai sono sempre di meno, e la maggior parte degli investimenti e dei volontari vanno allo sforzo bellico. Abbiamo bisogno di quanta più forza lavoro possibile.”

L’altra non disse nulla, limitandosi a stringere i denti.

Gaara la guardò con un piccolo sorriso. “Devo farti i miei complimenti, Sarada,” riprese a dire dopo un attimo di silenzio. “Adesso tutto il piano della sicurezza è affidato a te. Le guardie e coloro che presiederanno alla sicurezza sono nelle tue mani. Ogni Shinobi risponderà ai tuoi comandi.”

La ragazza, Sarada, rimase impassibile. “No. Gli Shinobi risponderanno ai loro Kage. L’esercito appartiene alle Nazioni,” ribatté lentamente.

“Ma io l’ho affidato a te,” la incalzò quello, divertito. “È passata una settimana da quando ci siamo stretti la mano. So che è un compito che non hai accettato volentieri.”

“Chi non segue gli ordini di un suo superiore non è degno di considerarsi uno Shinobi,” si difese lei.

Gaara non smise mai di fissarla, il suo sorriso più accentuato. “Anche se io non sono né un tuo superiore, né il tuo Kage.”

Sarada continuò ad osservare il palco senza mai posare gli occhi sul Kazekage. “Ma al momento, lei e l’Hokage siete le persone più importanti che sostengono le Nazioni alleate,” spiegò solennemente. “Per cui, l’esercito, gli Shinobi, e anche la Sabbia e la Foglia, appartengono a voi.”

Il sorriso di Gaara scomparve. I suoi occhi impassibili si posarono a loro volta sul palco in costruzione. Il suo volto era una maschera di serietà e solennità quando parlò. “Non è a noi che appartengono, ma al popolo. Alla gente comune, ai Ninja, e anche… anche ai Ribelli.”

Sarada lo guardò di sbieco.

“Io ho solo ripreso in mano le redini della situazione,” continuò a spiegare il Kage, fissandosi le mani. “Quando mi sono svegliato, il mondo era piombato nel caos. Adesso capisco perché Naruto non è riuscito a gestire la situazione da solo negli anni passati. Questa responsabilità… è un fardello troppo pesante. È opprimente.”

Le sue mani iniziarono a tremare a quel punto. L’Uchiha lo osservò in silenzio.

“Ma anche se volessi lasciar perdere, i tempi non me lo permettono più,” sospirò quello, stringendo le dita per placare il tremore dei suoi arti. “Io... non mi resta molto da vivere, sai? Non l’ho mai detto a nessuno, neanche a Naruto, ma è così. Io dovrei essere morto. Sono sfuggito alla morte per troppo tempo. E anche se grazie all’anziana Chiyo e ai medici sono riuscito a prolungare la mia vita fino ad oggi… alle volte vorrei semplicemente sparire e lasciarmi tutto alle spalle. Non sono stato un buon Kage, e ne sono consapevole. Durante il mio mandato, la Sabbia è stata attaccata, Shukaku è stato catturato, e il mondo è sprofondato nel terrore. La responsabilità del Cappello è troppo pesante, soprattutto in un’epoca di confusione e terrore come quella che stiamo vivendo.”

“…”

“Il mondo è sull’orlo della Guerra,” continuò a dire l’uomo dai capelli rossi. “Questo Summit è la nostra ultima speranza per tentare di evitarla. Il Suono, l’Erba, e la Pioggia si stanno militarizzando sempre più. La Roccia ha già tentato di invadere il mio Paese in passato, e la Nebbia è costantemente flagellata dagli assalti dei mercenari e dei pirati. Persino il Vortice sembra aver iniziato ad intraprendere una politica poco corretta. Come se non bastasse poi, le rivolte nelle Nazioni stanno diventando insostenibili. La Rivoluzione sta riacquisendo potere, in qualche modo misterioso, e sembra che ci sia qualcuno dietro a questa cosa. Io e Naruto siamo troppo pochi per poter fronteggiare tutto questo da soli. Saremo potenti, ma il mondo è troppo vasto anche per noi.”

“Perché mi sta dicendo queste cose, Kazekage-dono?” chiese a quel punto Sarada.

Gaara la guardò con un sorriso indecifrabile. “Tu mi ricordi molte cose, Sarada. Mi ricordi Naruto quando aveva qualche anno meno di te. Mi ricordi me stesso appena sono diventato Kazekage. E mi ricordi… quello che avrei voluto essere da giovane. Una persona che segue il proprio ideale, fino alla fine. Sei forte, Capitano, molto più forte di quanto tu creda. E per questo posso ammettere che mi stai… simpatica,” le spiegò semplicemente. “E un giorno, sono certo che sarai la persona più qualificata per prendere il posto di Naruto come Hokage. Sto solo cercando di istruirti, finché i tempi me lo permettono.”

“…la ringrazio.”

Il Quinto Kazekage sospirò. “Ci sono novità sulla sicurezza?”

Sarada s’impettì inconsciamente. “L’edificio alle spalle del palco era ridotto male.” riferì doverosamente. “Abbiamo dovuto fare dei lavori di restauro a diverse colonne e alcune stanze. Alcune di esse erano state danneggiate da qualcosa. O qualcuno. Grazie al quale adesso sappiamo che… dei topi si erano già intrufolati nei nostri ranghi.”

Lo sguardo di Gaara si fece glaciale.
 


17 Settembre, 0021 AIT
Terra dei Fiumi, Villaggio di Questo
Corso Principale
11:36

“Ce l’hai fatta, Izuku.”

“La prego, mi chiami semplicemente Deku,” disse con imbarazzo il ragazzino, grattandosi il collo. Fissò la persona accanto a cui stava seduto su quella panchina con un sorriso a trentadue denti. “E poi, devo ringraziare lei se sono riuscito ad arrivare fino a questo punto.”

L’uomo incappucciato fissò le strade del Villaggio che brulicavano di persone, ignorando le occhiate strane che la gente gli stava lanciando. Se lo aspettava, in fondo. Non si vedeva spesso in giro un uomo completamente avvolto da un mantello grigiastro e coperto da un pesante cappuccio bruno. Anche se il suo aspetto era cambiato, il suo camuffamento lo rendeva parecchio singolare, facendolo spuntare fuori in mezzo alla calca di persone. Era inevitabile. “Non ringraziarmi. Ho promesso che ti avrei aiutato, e così ho fatto. Quello che deve ringraziarti sono io,” disse semplicemente.

“Uh? Di cosa parla?” chiese l’altro, completamente confuso.

Il sorriso dell’uomo era percepibile nell’aria. “Incontrare te mi ha salvato,” spiegò il misterioso personaggio. “Mi hai fatto ricordare una cosa che tendo spesso a dimenticare: ovvero che la famiglia è il valore più importante di tutte. Per questo ho deciso di aiutare te e i tuoi amici.”

Midoriya ammiccò con confusione. “Non so bene a cosa si riferisce… ma non c’è bisogno di ringraziarmi. Sono io ad essere in debito con lei.”

Quello lo osservò in silenzio.

“Il suo discorso mi ha davvero ispirato, lo sa?” disse ancora il giovane ragazzino, fissando il cielo coi suoi occhioni rotondi. “Lei mi ha fatto capire che è inutile piangersi addosso. Se c’è qualcosa che non va, allora l’unica cosa che possiamo fare è combattere. Combattere e andare avanti, per superare gli ostacoli con le nostre forze. Solo coloro che continuano ad andare avanti possono riuscire a vedere cosa c’è al di là dell’Inferno,” Deku lo guardò con un sorriso pieno di emozione. “Non è forse così?”

Saigo annuì, compiaciuto. “Stai imparando…”

L’uomo e il bambino rimasero in silenzio per diversi secondi dopo quelle parole, ascoltando ed osservando la vita dei passanti. Il rumore dei mercanti che urlavano al vento i loro prodotti, il ridacchiare dei bambini che correvano per la strada, e le chiacchiere dei cittadini che passeggiavano tranquillamente per i fatti loro. “Che cosa farà adesso?” chiese ad un certo punto Deku.

L’uomo sembrò alzare lo sguardo al cielo. “Continuerò a pagarti per il tuo lavoro finché durerà. Ma una volta che avrai finito, io dovrò lasciarti.”

Quello si rattristò visibilmente all’udire quelle parole. “Oh…”

“Ho delle faccende che devo risolvere, Deku. Faccende rimaste in sospeso per diverso tempo,” spiegò ancora, fissando il cielo. “Non posso continuare a sfuggirle per sempre. Devo affrontarle, prima o poi, proprio come te. Anche io… devo andare avanti.”

“C-Capisco,” sussurrò Deku.

Saigo gli accarezzò la testa, arruffandogli i capelli. “Non posso restare qui seduto in eterno. Una volta che il Summit sarà finito, dovrò tornare a casa,” spiegò lentamente, cercando di farlo capire.

Il bambino annuì, visibilmente triste.

“Vai adesso. I tuoi amici ti stanno aspettando, non farli attendere troppo” lo esortò con gentilezza.

Il ragazzino esitò un paio di secondi, incerto su cosa fare. Poi però annuì di nuovo, si alzò dalla panchina, e gli rivolse un sorriso triste. “Allora… a presto,” sussurrò lentamente, accennandogli un inchino rispettoso e prendendo ad andarsene da lì a passo spedito per raggiungere i suoi amici. Saigo lo osservò mentre si allontanava con uno sguardo indecifrabile, sospirando con pesantezza e preparandosi mentalmente per la tempesta che stava per aleggiare.

Adesso doveva accingersi a superare una nuova sfida.

“Mi scusi, posso sedermi accanto a lei?”

Il suo occhio nascosto dal cappuccio guizzò verso sinistra, posando lo sguardo sulla figura che aveva parlato. La stessa figura che aveva passato gli ultimi tre minuti a spiarlo di soppiatto. Era una donna – una bellissima donna, a dir la verità – che non poteva avere più di quarant’anni. Lunghi capelli bluastri, occhi bianchi come la neve in pieno inverno, ed una pelle pallida come la luna nella notte più buia. Lo stava fissando con un sorriso cordiale, anche se la sua espressione tradiva un velo di tristezza. Le borse scure sotto ai suoi occhi erano ancora evidenti.

L’uomo annuì sotto al suo cappuccio. “Ma certo, si accomodi,” rispose, la sua voce alta e allegra. Mosse una mano ad indicare il posto libero sulla panchina accanto a lui. “Non potrei mai dire di no ad una bella signora come lei.”

Con suo stupore, la donna ridacchiò, nascondendosi le labbra dietro ad una mano. “Com’è galante,” gli disse sommessamente, sedendosi al suo fianco. “Ma se posso chiederglielo, cosa le fa credere che io sia sposata?” L’aveva chiamata signora, dopotutto, non signorina.

Saigo trattenne il fiato in un gesto comicamente prolungato. “V-Vuol forse dirmi che una splendida donna come lei non è sposata?” esclamò, incredulo, le sue braccia sollevate teatralmente verso l’alto. Si afferrò la testa con le mani. “Cielo, in che razza di mondo siamo finiti? Dove sono finiti gli uomini di un tempo? Il genere maschile è forse caduto talmente in basso da non essere più in grado di comprendere la bellezza?”

La donna rise di gusto nel vedere la sua comicità, le sue guance colorate leggermente di rosso. “No, no, ha fatto centro. Sono sposata e ho una figlia,” ammise con dolcezza, prendendo fiato tra le risatine persistenti. “Lei è davvero divertente, lo sa? Era da molto tempo che non ridevo in questo modo.”

Il misterioso personaggio si portò le mani ai fianchi. “Sono lieto di essere riuscito in quest’impresa, allora,” la ringraziò, accennandole un inchino col busto. “Dopotutto, quegli occhi tristi non si addicono al suo incantevole viso.”

La donna esitò visibilmente all’udire ciò, posando lo sguardo a terra. Le sue labbra si assottigliarono in un sorriso tirato. “È stato… un periodo difficile,” si limitò a dire, cercando di suonare meno depressa di quanto non si sentisse in realtà. Poi si riscosse leggermente, offrendogli un sorriso dolce e sincero. “Il mio nome è Hinata Hyuuga. È un vero piacere conoscerla. Nessuno era mai riuscito a farmi sorridere così come lei.”

“Far sorridere una donna è il dovere di ogni gentiluomo. Ho forse osato troppo per i suoi gusti?”

“Affatto. Mi ha resa felice,” lo rassicurò lei.

“Oh, che sollievo!” esalò il tizio incappucciato, sospirando visibilmente. “Perché io oso fare tutto ciò che può essere degno di un uomo. Chi osa di più non lo è,” dichiarò solennemente, ridacchiando tra sé e sé.

La donna, Hinata, lo osservò con divertimento. “Lei come si chiama, se posso chiederlo?”

L’uomo sorrise sotto al suo cappuccio. “La prego, si senta libera di chiedermi quello che vuole, Hinata-san,” la corresse senza esitazione. “E per quanto riguarda il mio nome… sarebbe per me un grande onore se mi degnasse del piacere di chiamarmi: Saigo.”

“Saigo, eh?” ripeté la donna, fissando il Villaggio con un sorriso. “È un nome strano. Che cosa significa?”

Quello prese ad osservare a sua volta le strade affollate di abitanti. “Significa ‘ultimo’. E devo dire che riflette la mia persona piuttosto bene, sa? Un umile viaggiatore solitario, senza un posto che può chiamare casa, il cui unico scopo è aiutare a risollevare coloro che vivono nella tristezza. L’ultimo degli ultimi. È questo quello che sono,” spiegò lentamente, la sua voce serena.

Hinata lo guardò di sbieco. “Lei è un viaggiatore? È per questo che è vestito in questo modo?” gli chiese eventualmente. “Non riesco nemmeno a vedere il suo volto sotto a questa cappa. Per quale motivo sta celando il suo viso?”

“Ho avuto un incidente in cui sono stato sfigurato,” rispose seriamente lui, nascondendo le braccia sotto al mantello. La donna sgranò gli occhi con tristezza all’udire quella spiegazione. L’uomo lo notò fin troppo bene. “Non si preoccupi, è successo molti anni fa. Ma se posso permettermi, vorrei farle io una domanda adesso, Hinata-san.” Vedendo che la donna fece un cenno con la testa, si arrischiò a continuare. “Per quale motivo è venuta a parlare con me? Dubito fortemente che una splendida signora come lei abbia bisogno di compagnia. Ma allora, cosa l’ha spinta ad approcciarsi a questa umile e indegna persona?”

Gli occhi pallidi di lei lo osservarono per diversi secondi con un’intensità snervante, senza proferire parola. Poi, dopo un lasso di tempo indeterminato, la donna riprese a fissare l’orizzonte. “Quel bambino di prima,” iniziò a dire. “È stato lei ad assumerlo per lavorare al cantiere, non è vero?”

Saigo non rispose subito al quesito, prendendosi diversi secondi di silenzio prima di rispondere con un’altra domanda. “Perché me lo chiede?”

Il sorriso di Hinata si fece più malinconico. “I bambini sono una delle poche cose che mi fanno sorridere ormai. Ho visto che parlate spesso, lei e quel bambino. Vi ho visti discutere assieme su questa panchina anche ieri pomeriggio. Sono venuta qui in viaggio con mio marito e mia figlia, deve sapere, e vi ho notato per puro caso mentre passavo per strada. Ma il sorriso che quel piccolo portava in volto mentre parlava con lei… l’ho notato subito,” spiegò.

L’uomo misterioso rimase in ascolto.

“Dev’essere un orfano, non è così?” continuò a dire lei, mostrando una grande intuizione con le sue parole. “Mi si spezza sempre il cuore quando vedo dei poveri bambini senza genitori. Mi ricordano sempre quanto la vita possa essere ingiusta, e di quanto io sia stata fortunata ad avere una famiglia. Mio marito era un orfano da giovane, quindi so cosa si prova ad essere soli a quell’età.”

“…perché mi sta dicendo tutto questo?” domandò Saigo.

La Hyuuga gli rivolse un sorriso sincero. “Volevo ringraziarla per averlo fatto sorridere in quel modo,” spiegò semplicemente. “Come le ho già detto, ho notato subito il sorriso di quel piccolo. Lei è una persona buona, ne sono convinta. Rendere felice un bambino non è una cosa scontata da fare,” poi, la sua espressione si fece afflitta e depressa a quel punto. “Io stessa non sono riuscita a rendere felice mio figlio.”

L’uomo la osservò con attenzione per un po', esitante. “Anche lei è una brava persona,” la corresse alla fine, dopo un attimo di incertezza. “Lo si vede dai suoi occhi.”

La donna rimase confusa da quella dichiarazione. “I miei occhi?” ripeté.

“Lei è una Hyuuga,” spiegò senza mezzi termini lui, allegro ma deciso. “Per questo i suoi occhi non hanno pupille. E sa, devo confessarle una cosa: gli occhi di quel clan mi hanno sempre fatto paura. Sono così freddi, così strani, così… bianchi… è impossibile capire cosa passi per la testa ad uno Hyuuga guardando quegli occhi senza pupille. Ma lei…” la sua testa si inclinò di lato, il suo sorriso percepibile nell’aria. “… lei ha degli occhi che brillano di emozioni. È facile leggerle dentro. Per questo riesco a capire che è una brava persona. Nessun essere umano malvagio potrebbe avere degli occhi luminosi come lei.”

Hinata rimase interdetta da quella spiegazione, completamente sconvolta. Sentì le sue guance avvampare di calore per l’imbarazzo. “L-La ringrazio,” fu tutto ciò che riuscì a dire. “Lei è davvero gentile, Saigo-san”. Poi, la donna posò lo sguardo sulle sue mani. “Ma se me lo permette, c’è un’altra cosa che vorrei chiederle.”

“Parli pure.”

“Non faccia più lavorare quel bambino,” disse improvvisamente lei, divenuta di colpo seria. Lo stava fissando con una determinazione sconvolgente. “So che è irrispettoso chiederle una cosa simile, ma i bambini non dovrebbero lavorare. Nemmeno per pagarsi da vivere. Se hanno bisogno di soldi, sono certa che si potranno trovare delle soluzioni alternative. I bambini… hanno il diritto ad avere un’infanzia. Ad avere… una famiglia.”

I due rimasero in silenzio per diversi secondi, osservandosi a vicenda senza proferire parola. Poi, alla fine, Hinata fu la prima a cedere.

“Mi dica una cosa, Saigo-san. Lei… Lei ha una famiglia?” chiese lentamente la donna.

Quello posò lo sguardo verso l’orizzonte, lento e solenne. Passarono cinque secondi di silenzio. “Sì,” rispose. “Sì, ce l’ho.”

“Allora dovrebbe ritornare dalla sua famiglia quanto prima,” gli disse lei, fissando a terra. “Presto scoppierà una Guerra. Lo sanno tutti ormai. Dovrebbe riunirsi con le persone che ama prima che la situazione peggiori. Altrimenti… potrebbe essere troppo tardi. Troppo tardi per potersene pentire,” ammise, la sua voce pesante e colma di rammarico.

Udendo quelle parole, Saigo abbassò la testa, posando di nuovo lo sguardo su di lei. “Pentire, eh?” ripeté. Hinata lo guardò di sbieco. “Sembra che lei abbia dei rimorsi sulla sua famiglia…”

Gli occhi pallidi della donna crollarono verso il basso dopo quella frase. “Non passa giorno in cui io non sia assalita dal rimorso,” gli confessò, sorprendendolo non poco con quella dichiarazione. “Lei dice che sono una brava persona, ma dentro di me so bene di non esserlo davvero. Dopotutto, sa, io ho istigato alla morte mio figlio. L’ho spinto a fuggire di casa, ad abbandonare la sua famiglia. L’ho tradito, e gli ho tolto la felicità che, in qualità di madre, avevo l’obbligo e il dovere di fornirgli. E per quanto io me ne sia pentita per tutta la mia vita… il rimorso non mi ha ridato ciò che avevo perduto. Non ho mai potuto riavere mio figlio.”

Saigo sentì i suoi pugni serrarsi con forza.

“Non ho mai avuto la possibilità di riabbracciarlo come si abbraccia un figlio,” continuò imperterrita lei, versando una lacrima dagli occhi. Stava sorridendo, ma era un sorriso privo di emozione. “Non ho mai potuto scusarmi con lui come si deve. E soprattutto… non ho mai potuto dirgli che l’amavo, e mostrargli tutto l’amore che volevo donargli sin dal momento in cui l’ho tenuto tra le braccia per la prima volta. E questo, mi creda, è il più grande rimpianto che mi porto dietro da anni.”

L’uomo incappucciato non disse niente. Non parlò, non proferì parola, perché non ce n’era bisogno. Rimase fermo, immobile, intento solamente ad osservare quella donna devastata e perseguitata dal dolore, guardandola da sotto al suo cappuccio oscuro; mentre la sua mente veniva investita da pensieri, emozioni, e sentimenti che – se doveva essere sincero con sé stesso – lo sorpresero non poco. Rimase immobile come una statua, limitandosi solo ad alzare lo sguardo verso il cielo, posando gli occhi su quell’infinita distesa azzurra di niente e nuvole. E mentre restava in silenzio, quasi per magia, delle parole lontane sembrarono echeggiargli dentro alla testa. Parole non sue. Parole che nient’altro erano che echi distanti di un ricordo lontano che aveva vissuto molto tempo prima. Parole che aveva sentito pronunciare da una ragazza disperata sopra ad un muretto nel cuore più oscuro della notte.

So di non meritare altro che il tuo odio! Sono diventata una madre orribile! Non ho fatto altro che causarti dolore nel futuro, ignorando completamente i tuoi sentimenti! Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto!

Tu mi odi, vero?

Il suo corpo si mosse da solo.

Hinata rimase interdetta quando sentì una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla. E rimase ancora più scioccata quando vide e sentì quell’uomo incappucciato stringerla leggermente con la sua presa, intento a fissarla da sotto a quel cappuccio con uno sguardo che, nemmeno coi suoi occhi attivati, lei avrebbe mai potuto notare.

“Non sia troppo dura con sé stessa,” la voce di Saigo era allegra e confidente, come se sotto a quel cappuccio stesse sorridendo come un bambino. “Lei mi ha dimostrato di essersi pentita. E se suo figlio fosse qui… sono certo che l’avrebbe compreso anche lui. Sono certo che vorrebbe vederla felice, anche se non eravate in buoni rapporti. Per cui… sorrida, Hinata-san. Sorrida anche per lui. Sono certo che suo figlio l’apprezzerebbe, anche se per lei potrebbe essere difficile.”

La Hyuuga lo guardò con uno sguardo sconvolto. “D-Davvero?” domandò, con una piccola vocina piena di speranza. “Crede davvero che questo lo avrebbe reso felice?”

Saigo le asciugò una lacrima dal viso con un dito, lasciandola parecchio imbarazzata e confusa. “Mi creda, Hinata-san, ne sono più che sicuro.”

La donna ammiccò, incapace di parlare, prima di incurvare le labbra in un timido sorriso. Si asciugò le restanti lacrime con una mano, distanziandosi appena dall’uomo misterioso per l’imbarazzo. “G-Grazie,” disse, cercando di calmarsi. Il suo volto era diventato estremamente rosso. “Davvero. Lei è un vero gentiluomo, Saigo-san.”

“Gliel’ho detto! Far sorridere una donna è il dovere di ogni uomo!” dichiarò solennemente quello, allargando le spalle e puntando un braccio al cielo.

Ah, davvero?

Saigo ebbe a malapena il tempo di voltarsi. I suoi sensi allenati gli urlarono letteralmente di mettersi al riparo, ma non ebbe modo di farlo. Dopotutto, quello che gli stava succedendo in quel momento non si vedeva certo tutti i giorni.

Qualcosa… Qualcosa gli aveva afferrato il braccio destro. Qualcosa di caldo e ustionante, ma allo stesso tempo freddo, pesante, e opprimente. Sentiva le sue ossa gemere e piegarsi dolorosamente sotto la presa micidiale che gli stava soffocando l’arto, assieme ad un terrore viscerale che gli faceva tremare l’anima e urlare i sensi. Il suo occhio sgranato osservò con orrore e crescente timore la figura apparsa improvvisamente dinanzi a lui, rivestita da una cappa di chakra dorato e fiammeggiante, intenta ad osservarlo dall’alto in basso, mentre gli reggeva con una mano il braccio. E dinanzi a quello sguardo freddo, furioso e intimidatorio; dinanzi a quegli occhi rossi, bestiali e dalle pupille sottili… Saigo il SenzaVolto sentì, per la prima volta dopo anni, la primordiale e viscerale sensazione di terrore che doveva provare un coniglio quando si trovava dinanzi alle zanne di una volpe.

Perché Naruto Uzumaki, il Settimo Hokage di Konoha, era apparso finalmente dinanzi a lui e lo aveva afferrato per un braccio con una presa dolorosamente micidiale. Ma la cosa peggiore?

Era incazzato come una bestia.

L’imprecazione che urlò nella sua testa era troppo difficile da poterla descrivere a parole.

“Ehm… Eheheheeheheh,” ridacchiò nervosamente, squittendo per il dolore al braccio e rimpicciolendosi dinanzi a quella figura possente che torreggiava sopra di lui. “S-S-Salve?”

Che cosa stavi facendo a mia moglie?” domandò ferocemente l’Hokage, la sua voce bassa, demoniaca e furiosa oltre ogni descrizione. Quelle pupille sottili lo stavano fulminando col loro sguardo animalesco, fissandolo fin dentro l’anima. “Che COSA le hai fatto?

Saigo sentì una lacrima di dolore sfuggirgli dall’occhio. “Ni-Niente!” squittì subito, contorcendosi per il dolore. “Lo giuro!”

Non prendermi-

“Naruto-kun!”

Hinata era balzata in piedi all’istante, afferrando immediatamente con una mano l’uomo fiammeggiante dal colletto sulla nuca prima che potesse continuare. Quest’ultimo sembrò subire pesantemente il gesto ricevuto, visto il modo in cui la sua presa sul braccio di Saigo venne interrotta immediatamente, e come tutta la cappa di chakra dorato che lo avvolgeva si dissolse nel nulla. Il biondo osservò il volto furioso di sua moglie con uno sguardo allibito. “Hi-Hinata! Perché mi hai-”

“Cosa ti è saltato in mente, Naruto-kun?” lo incalzò severamente lei, zittendolo all’istante. Il Settimo sembrò ritrarsi come un bambino durante un rimprovero. “Ti sembra questo il modo di comparire all’improvviso? E si può sapere perché hai fatto del male al povero Saigo-san?”

“Ma… Ma… lui era… e tu stavi... io pensavo…”

“Saigo-san ed io stavamo semplicemente parlando,” spiegò seriamente la donna, fissandolo con uno sguardo accigliato e severo. I suoi occhi si erano attivati, le vene sulle sue tempie divenute visibilmente più sporgenti. Tutti i passanti si erano fermati per osservare quella scena in mezzo alla strada. “Non mi stava facendo niente, prima che tu gli saltassi addosso.”

“M-Ma… Tu stavi piangendo!” esclamò Naruto, incredulo. I suoi occhi azzurri erano sgranati e tesi.

Hinata incrociò solennemente le braccia davanti al petto. Saigo notò che l’Hokage sembrò irrigidirsi pesantemente dopo quel gesto, come se stesse improvvisamente osservando una bestia pericolosa. “Stavamo solo parlando,” ripeté gelidamente lei, severa come non l’aveva mai vista e sentita prima d’ora. “Non dovevi fargli del male.”

“Hi-Hinata, io…”

“Oh, insomma!” esclamò una seconda voce in quello stesso momento. Hinata, Naruto, e tutti i presenti si voltarono per osservare la figura di una ragazza che stava correndo verso di loro, visibilmente imbarazzata. “Te l’avevo detto di aspettare, papà. Perché sei dovuto scattare così velocemente?” domandò Himawari, la sua faccia paonazza per gli innumerevoli sguardi e occhiate che la sua famiglia stava ricevendo per via di quella scenata che l’Hokage aveva causato.

Saigo, sotto al suo cappuccio, rimase a bocca aperta.

Hinata guardò sua figlia con uno sguardo inquisitorio. “Hima, ti spiacerebbe spiegarmi cosa sta succedendo?” domandò in tutta serietà.

La giovane Uzumaki ridacchiò nervosamente, passandosi una mano sul collo. “Beh, ecco… io e papà stavamo passeggiando per la strada, quando ti abbiamo vista da lontano mentre parlavi con quest’uomo. Stavamo per venire a salutarti, ma ad un certo punto lui è scattato alla rincorsa all’improvviso, urlando qualcosa sul fatto che stavi piangendo…” spiegò, nervosa e tesa.

Hinata assimilò le informazioni per un paio di secondi, prima di sospirare pesantemente e posare nuovamente lo sguardo su suo marito – il quale era fermo e impietrito accanto a lei con un’espressione terrorizzata e da ebete stampata in faccia. “Naruto-kun, non è successo niente. Io e questo gentile signore stavamo solo facendo due chiacchiere, ma non è per colpa sua che stavo piangendo. Mi sono lasciata andare ai ricordi ed è semplicemente successo. Lui non c’entra,” spiegò lentamente, mantenendo la stessa serietà di prima.

Il Settimo ammiccò confusamente. Poi sospirò dopo quella spiegazione, visibilmente rilassato. “C-Capisco…”

“Tuttavia,” riprese a dire subito dopo la donna, fissandolo con uno sguardo severo che prometteva dolore. Naruto sbiancò e divenne pallido come una statua a quel punto, tremando per il terrore. “Questo non giustifica la tua impulsività. Non c’era bisogno di balzargli addosso in quel modo. Potevi fargli seriamente del male!”

“M-Mi dispiace, Hinata!” balbettò freneticamente quello, tremando come un filo d’erba scosso dal vento.

La donna sospirò e si passò una mano sulla faccia, prima di voltarsi e correre al fianco dell’uomo incappucciato che, fino a quel preciso momento, era rimasto seduto e imbambolato a terra con la bocca aperta. “Mi dispiace immensamente per quello che è successo, Saigo-san. Le azioni di mio marito sono ingiustificabili. Le chiedo scusa,” disse vergognosamente con imbarazzo, accennando un inchino ed afferrando il Settimo per un braccio, fissandolo con disappunto. “Anche tu, Naruto-kun. Chiedi scusa per quello che hai fatto,” ordinò, forzandolo a piegare il busto.

“M-Mi dispiace enormemente per quello che ho fatto!” esalò tutto d’un fiato quello, obbedendo all’ordine senza fiatare, come se fosse spaventato a morte dall’idea di contrariare ulteriormente sua moglie. Himawari si portò accanto ai suoi genitori e si passò una mano sulla faccia, cercando pateticamente di nascondere il proprio imbarazzo.

Hinata porse una mano al misterioso personaggio, aiutandolo a rimettersi in piedi. “Non… Non le ha fatto troppo male… vero?” domandò, lanciando un’altra occhiata gelida a suo marito dopo aver pronunciato quell’ultima parola. Naruto si ritrasse come un bambino mortificato.

Tuttavia, da parte sua, Saigo non rispose. Nascosta sotto al suo cappuccio, la sua faccia era un miscuglio d’incredulità e confusione. La sua bocca aperta, e il suo occhio sinistro sgranato a dismisura. Non poteva crederci. Non riusciva a crederci. Era vero? Era proprio vero? Non era un sogno quello che stava vedendo? Davvero? Stava realmente succedendo?

L’uomo incappucciato scoppiò a ridere.

Hinata, Naruto, Himawari, e tutti quelli che stavano osservando la scena lo guardarono con confusione.

Ma lui continuò a fregarsene, piegandosi in due per le risate. Davvero? Davvero? Ma siete seri? Era realmente così che stava succedendo? Questa... era questa la riunione di famiglia che aveva atteso fino a quel momento? Questa? Questa pagliacciata? Non ci credeva. Anni e anni di odio e disprezzo nei loro confronti, innumerevoli avventure mortali per riuscire ad evitarli, battaglie epiche e scontri all’ultimo sangue contro quelle tre persone… avevano portato a questo? DAVVERO? Cazzo, non poteva essere vero. Era impossibile. Era... Era troppo divertente per essere vero. Che cazzo! Non poteva crederlo seriamente. Cazzo, se la sua vita fosse stata un libro o un film, allora l’autore doveva aver deciso di mandare tutto a puttane per riuscire ad ideare un incontro del genere. Di sicuro! Non voleva crederci. Era impossibile.

Era tutto così divertente.

Saigo il SenzaVolto continuò a ridere.

Himawari lo osservò con un sopracciglio incurvato. “Ehm… sicuri che stia davvero bene?” chiese, indicandolo con incertezza.

L’uomo incappucciato fece dei respiri profondi per riuscire e riprendere fiato. “N-Non si preoccupi (ahaha), Hinata-san,” esalò, ancora scosso da fitte di risatine persistenti. “È colpa mia (ahahah). Non… Non credevo di (ahaha) avere a che fare (ahahah) con la moglie del (ahah) Settimo Hokage. Bwahahahahaha!”

“S-Saigo-san?”

Quello si costrinse a darsi una calmata, poggiando le mani sui fianchi e scuotendo la testa. “Uuuuh, che cavolo,” esalò alla fine, trattenendo un singhiozzo. “Questa non me l’aspettavo, ve lo concedo.”

Naruto, Hinata e Himawari si scambiarono un’occhiata confusa e incerta.

“È colpa mia,” ripeté il tizio incappucciato, piegandosi col busto. “I-Il Settimo deve aver pensato che io e lei stavamo… la stessa donna che mi ha…” si portò una mano sulla faccia, cercando inutilmente di trattenersi, prima di scoppiare a ridere di nuovo, incapace di controllarsi. “AHAHAHA! Oddio! Non ce la faccio! AHAHAH! È troppo divertente!”

“F-Forse lo hai colpito troppo duramente, Naruto-kun,” suggerì Hinata.

“Devi avergli fritto il cervello,” concordò Himawari.

“M-Mi dispiace…” sussurrò quello, perso e confuso quanto loro.

Il personaggio conosciuto come Saigo continuò a ridere per una buona decina di secondi, le sue risate allegre, gioviali e sincere che riecheggiarono nell’aria con costanza. Ma appena passarono quei secondi, di colpo e all’improvviso, l’uomo misterioso smise di ridere di colpo, raddrizzandosi con il busto ed assumendo una posa solenne e imperiosa. Tutti quanti lo osservarono con confusione, stupiti dal suo cambiamento repentino. Quest’ultimo sospirò, la sua precedente ilarità completamente scomparsa. Fissò le tre figure dinanzi a lui con uno sguardo solenne sotto al suo cappuccio.

“Ora sto meglio, davvero,” disse alla fine, la sua voce tornata bassa e seria come prima.

Hinata gli prese una mano tra le sue. “M-Mi dispiace enormemente per quello che è successo. Se vuole posso-”

“È stato solo un equivoco, non si preoccupi,” la rassicurò quello, senza pensarci due volte. “Suo marito deve aver pensato che io stessi tentando di farle qualcosa, ma ora è tutto risolto. E poi, la sua reazione è completamente comprensibile, non posso biasimarlo. Dopotutto…” la mano di Saigo si mosse per accarezzarle una guancia difronte a tutti, fissandola per diversi secondi con intensità e fermezza. “…lei è una donna veramente stupenda.”

Il volto di Hinata assunse un’inconfondibile colorazione rossa dopo quel suo gesto così spavaldo e provocatorio, visibilmente imbarazzata. Alle spalle della donna, invece, Himawari trattenne il fiato e sgranò gli occhi in maniera comica, portandosi una mano sulle labbra similmente a come fecero anche tutti coloro che stavano assistendo alla scena.

Tutti… tranne Naruto.

“Ohi,” sussurrò il biondo, il suo sopracciglio che si contorceva ritmicamente. Il suo tono di voce era basso e minacciosamente freddo. “Che cosa credi di fare?”

Saigo si allontanò di colpo da Hinata, sollevando le braccia in maniera teatrale e ridacchiando come un pagliaccio. “Ahahah! Va bene, va bene, Hokage-sama! Stavo solo scherzando!” si giustificò immediatamente, scrollando le spalle e ondeggiando sulle gambe con tutto il corpo. “Dopotutto, l’espressione sul suo volto era troppo divertente. Non sono riuscito a trattenermi. Mi perdoni.”

Naruto si accigliò pericolosamente e fece un passo in avanti, ma una sola occhiata da parte di sua moglie bastò a farlo desistere immediatamente dall’agire in maniera ostile contro quell’uomo. Vedendo la sua espressione severa, l’Hokage si limitò a mettere un broncio infantile sulle labbra, incrociando le braccia e voltandosi dall’altra parte. “Chi si crede di essere questo tipo per fare certe cose con la mia Hinata?” brontolò mentalmente.

Hinata sospirò, cercando di calmare il suo tumulto interiore. “Credo che sia ora di andare adesso,” disse alla fine, realizzando ogni secondo di più che era meglio allontanare la sua famiglia da quel tipo prima che potesse succedere qualcosa. O che fosse morta dall’imbarazzo. Sfoggiò un sorriso sincero verso l’uomo coperto dal cappuccio. “È stato un vero piacere conoscerla, Saigo-san. Parlare con lei… mi ha fatto stare meglio. La ringrazio davvero.”

“Dovere, Hinata-san, dovere,” si limitò a dissolvere i ringraziamenti quello, compiendo un profondo inchino teatrale dinanzi a lei e facendo scoppiare a ridere tutti i presenti con le sue gesta buffe e comiche. “Il piacere è tutto mio,” disse a sua volta, la sua voce solenne come se stesse recitando.

Hinata chiuse gli occhi e ridacchiò di nuovo, incapace di resistere all’aura di allegria e spensieratezza che quell’uomo misterioso portava perennemente con sé. Era una sensazione… familiare. Nostalgica, quasi. Come se qualcosa dentro di lei le dicesse che quel tipo era una persona familiare. Una persona che conosceva. “Spero che possa restare in città almeno fino al Summit,” continuò a dire lei, calmando le ultime risatine e riaprendo gli occhi. “Mi farebbe davvero piacere rivederla allo-”

La sua frase rimase incompiuta.

Perché, appena aveva riaperto gli occhi, l’uomo che fino a pochi istanti fa si trovava dinanzi a lei, era scomparso. Non si trovava più da nessuna parte. Saigo… era letteralmente sparito nel nulla, come se non fosse mai stato lì; lasciando lei – e tutti gli altri presenti – nella confusione e nello stupore più totali.

Himawari ammiccò. “Dov’è finito?”

Quella domanda riecheggiò nell’aria per diversi secondi, restando però senza nessuna risposta.

. . .

Ma Hinata non sapeva che, proprio in quello stesso e preciso momento, l’uomo incappucciato che stava cercando si trovava solamente a qualche decina di metri di distanza, intento ad osservare lei e gli altri due membri della sua famiglia dalla cima del tetto di una casa, nascosto completamente alla loro vista e ai loro sensi.

“Mi vedrà eccome, Hinata-san,” sussurrò Saigo a bassa voce. “Mi vedrà eccome.”
 










 

Note dell’autore!!!

Alcuni di voi mi hanno chiesto se ci sarebbero state delle conseguenze strane per Boruto adesso che si è nascosto sotto una nuova identità. Ebbene, avete avuto la vostra risposta. In questo capitolo abbiamo visto che non se la passa molto bene, e che soffre il fatto di essere costretto ad interagire con i suoi amici fingendosi un uomo che, sostanzialmente, non è. Questa cosa lo porta inconsciamente ad evitare tutti coloro che hanno un rapporto con lui.

Oltre a ciò, spero che possiate aver apprezzato l’incontro inaspettato tra Boruto e la sua famiglia di sangue. Dato che il biondino si è nascosto dietro un’identità fasulla, questo gli ha permesso di comportarsi in maniera inaspettata con sua madre, e anche con Naruto. Tuttavia, che cosa voglia dire il comportamento che ha attuato con loro lo lascio alla vostra completa discrezione e opinione. Io ho lasciato delle frecciatine, ma non posso fare spoiler su un’eventuale evoluzione delle cose. Se il suo modo di fare vi è sembrato esagerato, inaspettato, o anche completamente opposto e incoerente con quello che pensavate o vi aspettavate di lui… è un’opinione che rispetto. Ma ogni cosa ha i suoi motivi, anche se essi non sempre vengono rivelati. Qui, in questa scena, preferisco che ognuno di voi si faccia le proprie opinioni piuttosto che dirvi la mia. Siete liberi di pensare quello che vi pare, insomma.

Oh, e per la croncaca... il Paese di Questo e il Paese di Quello esistono veramente nel mondo di Naruto. Sono il luogo dove è ambientato un film di Shippuden, quindi sappiate che non ho scelto questi nomi per pigrizia o per mancanza di immaginazione.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo! A presto!

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Capitolo 6
*** Svolta e Preoccupazione ***


SVOLTA E PREOCCUPAZIONE





20 Settembre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Zona Periferica oltre le Mura.
23:00

La strada era oscura e silenziosa, priva di ogni forma di vita. Piccoli lampioni grigi illuminavano sommessamente il vicoletto malfamato, mentre il suono dei grilli notturni riecheggiava nell’aria, costante, come un sottofondo perenne e onnipresente. Le case erano buie, silenziose, segno inequivocabile che tutti gli abitanti della cittadina – tutti quelli rimasti in quel distretto fatiscente, ovvio – fossero già andati a dormire. Non si vedeva più nessuno per le strade ormai.

Nessuno, tranne due persone.

“La prego, la supplico, solo un po' di latte!”

“Ve l’ho detto: niente soldi, niente latte.”

“Ma mio figlio sta morendo di fame!” lo supplicò disperatamente la donna, muovendo in avanti le braccia che reggevano un piccolo fagottino avvolto in fasce. “Abbiate pietà di un bambino.”

Il mercante barbuto sospirò, chiudendo la porta del negozio. “Sentite, mi dispiace, ma non posso fare altrimenti. Con la crisi che stiamo vivendo, il prezzo dei prodotti è salito alle stelle. Non posso chiudere un occhio, neanche volendolo. Finirei sul lastrico in un batter d’occhio.”

“Ma di questo passo morirà!” urlò freneticamente lei, il viso solcato dalle lacrime. Il neonato nelle sue braccia scoppiò a piangere. “La prego! La ripagherò appena avrò un po' di denaro, lo giuro! Abbiate pietà!”

Quello si accigliò furiosamente, spazientito. “Sparite dalla mia vista, pezzenti!” urlò di rimando, schiaffeggiando la donna e allontanandola da sé. Alzò un braccio per percuoterla una seconda volta, mentre lei stringeva a sé il neonato per difenderlo.  “Un'altra parola e giuro che-”

Non ebbe modo di finire la frase. Il suo braccio sollevato venne improvvisamente afferrato da una presa potente e micidiale che lo fece trasalire, mentre i suoi occhi osservavano con orrore e sgomento la figura apparsa improvvisamente alle sue spalle. La sua sola vista bastò, incredibilmente, ad infondergli un profondo senso di terrore viscerale nella mente. Le sue gambe iniziarono a tremare.

“Se ci tiene alla sua vita le consiglio di darle quel latte,” ordinò l’uomo incappucciato, badando bene a tenere costantemente la punta della sua spada puntata contro la gola del mercante. Alle sue spalle, la donna buttata a terra lo osservava con stupore, reggendo sempre a sé il bambino in lacrime. “Soltanto un verme non proverebbe pietà dinanzi ad un bambino. E i vermi non meritano di vivere.”

Quel tono di voce freddo, crudele e glaciale gli fece venire un brivido di terrore lungo la spina dorsale. “M-Mi ascolti, la prego!” balbettò freneticamente. “No-Non avevo intenzione-”

“Il latte. Adesso.”

L’uomo scattò ad eseguire l’ordine senza fiatare, aprendo rapidamente la porta del negozio e precipitandosi dentro come una saetta di terrore e spavento. In meno di cinque secondi era già uscito, portando in mano due taniche di latte da due litri ciascuna. “E-Ecco, v-vi ho accontentati! Adesso lasciatemi andare!” esalò, in preda alla paura. Non aveva nemmeno finito di parlare quando il suo corpo iniziò a correre freneticamente lontano da lì, scomparendo nel vicolo oscuro e confondendosi nel buio della notte. Le sue urla di panico echeggiarono per diversi secondi nell’aria, senza ricevere risposta.

Il tizio incappucciato si voltò verso la donna, offrendole gentilmente una mano per risollevarla da terra. “Si sente bene?” domandò.

“L-La ringrazio,” la giovane madre accettò il suo aiuto e si rimise in piedi, cullando dolcemente il bambino per tentare di calmarlo. “N-Non so davvero come esprimere la mia gratitudine. Se v-vuole…”

“Non c’è bisogno che mi ringrazi,” la incalzò subito lui, afferrando con le mani le due taniche di latte. “Piuttosto, mi faccia strada. Porterò io per lei queste due taniche fino a casa sua.”

La donna esitò, ancora scioccata, prima di annuire sommessamente e sfoggiare un timido sorriso sulle labbra. Il bambino tra le sue braccia iniziò a calmarsi a poco a poco. Mentre camminavano, i suoi occhi guizzarono per osservare con gratitudine l’uomo misterioso che l’aveva salvata. Nonostante fosse vestito in maniera intimidatoria, la stava aiutando ancora adesso senza proferire parola. “Non… Non c’era bisogno che si prendesse questo disturbo per me. Avrei potuto portare il latte anche da sola. Il fatto che lei mi abbia aiutata prima basta e avanza.”

“Sciocchezze,” ribatté lui, impassibile. “Non avrei mai permesso che una madre potesse portare contemporaneamente quattro litri di latte in mano con un bambino in braccio.”

La donna abbassò lo sguardo, il suo sorriso sempre presente. “Lei è molto gentile,” sussurrò.

Quello non rispose. I due camminarono lungo i vicoli bui della cittadina, senza più proferire parola per diverso tempo. Il Villaggio era spoglio e deserto a quell’ora di notte, e nemmeno l’ombra di un essere vivente si vedeva in nessuna direzione. Non che ci fosse da stupirsi, in realtà. La zona periferica del Villaggio di Questo – quella al di là delle mura principali – era povera, e godeva di una fama poco piacevole. La maggior parte degli abitanti erano povera gente e uomini e donne di malaffare. Gli Shinobi evitavano questa zona proprio per questo motivo. In lontananza, un cane ululò al cielo con rabbia.

Arrivarono dinanzi ad una casa di legno isolata rispetto alle altre, completamente malmessa e rovinata. Bastava una sola occhiata per comprendere che fosse un edificio abbandonato da anni. Era smunto, con parecchi buchi ed infiltrazioni sulle pareti, ed era costruito al confine della cittadina. Decisamente un posto poco piacevole dove vivere. Erbe infestanti avevano completamente invaso il giardinetto dinanzi all’edificio.

“E-Ecco, io abito qui,” ammise lei, la sua voce bassa e sommessa. Sembrava quasi vergognosa, come se non riuscisse ad esprimere quello che voleva veramente.

L’uomo incappucciato fissò la donna, poi la casa fatiscente, poi di nuovo la donna. “Capisco,” esalò, senza emozione. “Allora le lascio questi davanti alla porta.”

“A-Aspetti!” lo richiamò freneticamente lei, vedendo che stava per accingersi ad andarsene dopo aver compiuto il suo dovere. Il tizio voltò il suo cappuccio oscuro verso di lei, in attesa. “P-Posso almeno o-offrirle una tazza di latte caldo?” si offrì timidamente, visibilmente imbarazzata. “Non ho molto, ma posso anche…”

“Non deve sforzarsi per ripagarmi,” la richiamò lentamente lui, serio. “Gliel’ho detto, lei non mi deve nulla.”

“I-Insisto!” esclamò la giovane, con talmente tanta enfasi che per poco non fece piangere il fagotto tra le sue braccia. “La prego. Non potrei restare in pace senza offrirle almeno qualcosa.”

Quello rimase in silenzio per diverso tempo dopo le sue parole, immobile. Sembrava esitante, quasi. La stava osservando da sotto al suo cappuccio con uno sguardo indecifrabile. Alla fine, le sue spalle nascoste dal mantello si abbassarono leggermente. “Se proprio insiste,” le concesse lentamente.

Il sorriso sulle labbra della donna era raggiante come il sole. Non si fece scrupoli a farlo entrare in casa e a farlo sedere dinanzi alle fiamme di un piccolo caminetto di mattoni, visibilmente antico e malmesso. L’uomo la osservò in silenzio mentre metteva a scaldare sul fuoco una ciotola di latte, dandone un po' al bambino e mettendolo poi a dormire sopra una culla di legno inciso. Quando ebbe finito, la giovane madre prese una sedia e si sedette anche lei accanto a lui, vicino al fuoco. Gli porse la ciotola con un sorriso sincero. “È tutto quello che posso offrirle, ma la prego di accettarlo,” disse sommessamente.

L’uomo accettò la ciotola, esitante, fissandola per diversi secondi senza berne il contenuto. “Perché sta facendo questo?” le chiese dopo un attimo di incertezza.

La donna gli sorrise, lanciando un’occhiata al bambino che dormiva vicino a loro. “Lei ha salvato mio figlio,” spiegò semplicemente. “Non mangiava da quasi un giorno intero, e ha pianto per ore per la fame. Senza questo latte… non avrei saputo cosa fare. Lei mi ha aiutata, e una madre non potrebbe mai dimenticare un gesto del genere.”

Il misterioso personaggio rimase in silenzio, senza bere il latte. Posò lo sguardo sopra la piccola figura addormentata a pochi metri da loro. “Come si chiama?” domandò ad un certo punto.

La madre guardò il fagotto con amore. “Mizu. Si chiama Mizu,” rispose, la sua voce bassa e sommessa. Sembrava nostalgica.

“È il nome del padre?” chiese l’altro, notando quell’emozione nel suo tono.

Lei scosse la testa. “Lui non ha un padre,” spiegò lentamente. “Quando sono arrivata in questo Villaggio, ho dovuto lottare per sopravvivere. Ho dovuto… ho dovuto v-vendere il mio corpo per racimolare un po' di soldi. Io… Io ero una prostituta. Quindi, ecco… un giorno è semplicemente successo.”

Il tizio incappucciato la guardò di nuovo, incerto su come reagire. “E per quale motivo è venuta in questo Villaggio?” chiese ancora, cercando di non essere troppo indiscreto.

Il volto della donna appassì visibilmente. “Io provengo dalla Terra del Suono. Abitavo lì con la mia famiglia, fino a pochi anni fa. Ma un giorno, una protesta sollevata dalla Rivoluzione invase il nostro villaggio, e fece piazza pulita di ogni cosa. Venne distrutto tutto: case, negozi, campi… e molte persone furono uccise. Tra di esse, anche i miei familiari. I Ribelli non ebbero pietà per nessuno,” raccontò lentamente, abbassando lo sguardo.

L’uomo non si mosse di un millimetro. Eppure, la donna era pronta a giurare di aver visto le sue braccia tremare impercettibilmente. Suppose di esserselo immaginato. Riprese a raccontare dopo un paio di secondi. “Da allora, sono stata costretta a prostituirmi per sopravvivere,” ammise sommessamente, le sue labbra tirate in un sorriso privo di vita. Non provava vergogna ad ammettere di essere sporca, vista la sua situazione disperata. “La Rivoluzione vuole unire tutte le Nazioni per generare pace, ma a me ha solo rovinato la vita. Mi ha tolto ogni cosa. E non sono l’unica ad aver sofferto per colpa loro. Sono moltissime le persone che conosco e che vivono nella mia stessa situazione per colpa delle proteste e degli scontri fomentati dai ribelli. Ancora oggi… moltissime persone muoiono a causa della Rivoluzione.”

Ancora, quello non disse nulla, lasciandola parlare senza interruzione.

La donna alzò improvvisamente lo sguardo dal pavimento, rivolgendogli un sorriso stanco. “Ma non voglio deprimerla con questi discorsi tristi,” esclamò, cercando di cambiare discorso. “Lei invece-”

Non ebbe modo di finire la frase.

La donna rimase sconvolta. L’uomo dinanzi a lei si era alzato improvvisamente dalla sedia, con un movimento talmente rapido da essere invisibile ai suoi occhi, e si era allontanato da lei come un animale impaurito, scuotendo la testa e indietreggiando verso la finestra. Le sue braccia erano rigide, le spalle tremanti, e il suo corpo una massa di nervi e tensione. Sembrava che la stesse fissando da sotto al suo cappuccio con… con… timore, quasi. Con spavento. O era qualcos’altro? Non poteva dirlo, senza vedere il suo volto. La ciotola che teneva in mano stava visibilmente tremando.

“S-Si sente bene?” domandò, preoccupata, alzandosi a sua volta dalla sedia e facendo un passo verso di lui.

Quello esitò per diversi secondi, fissando la ciotola nelle sue mani tremanti. Poi fissò ancora lei, poi il bambino, e infine di nuovo la ciotola. Annuì dopo diverso tempo. “S-Sì,” rispose lentamente, cercando di calmarsi. La sua voce era tornata bassa, ma sembrava decisamente scossa. “Sto bene, non si preoccupi. Mi… dispiace di averla spaventata.”

“Ma si figuri. Posso fare qualcosa per farla stare meglio?”

Quello esitò per un paio di secondi. Poi annuì, sempre esitante, volgendo la testa verso il bambino addormentato nella culla. “In effetti… c’è una cosa,” ammise.

La donna lo ascoltò con attenzione, portandosi dinanzi a lui e afferrandogli una mano. “La prego, non si faccia problemi! Mi dica tutto! Se c’è anche solo un modo in cui potrei ripagarla per ciò che ha fatto per me e il mio bambino, giuro che non esiterò a farlo!” dichiarò senza esitazione.

Con sua somma confusione, quelle parole sembrarono ferirlo ancora di più. L’uomo incappucciato abbassò la testa, quasi con vergogna, allontanando gentilmente la sua mano. “A-Allora… dia questo latte a suo figlio,” disse lui dopo un paio di secondi, posando la ciotola su un tavolino. “Non… Non lo sprechi su di me. Lo tenga per lui, la prego.”

Lei ammiccò, confusa. “Ma… c’è n’è in abbondanza ormai.”

“Non importa, io non lo merito,” ribatté lui, deciso. Si ritrasse ancora di più da lei, tirando fuori dal suo mantello un sacchetto. “E… ecco… la prego, accetti questi. So che non è molto, ma è tutto quello che ho al momento.”

La donna lo osservò, incapace di comprendere, mentre poggiava sul tavolo il sacchetto, riconoscendo distintamente il rumore metallico delle monete e quello secco della carta che risuonava dentro di esso. Realizzò all’istante cosa conteneva quel pezzo di stoffa. Erano soldi. Tantissimi soldi. Il sacchetto era gonfio e grosso quanto il pugno di un uomo corpulento.

La giovane madre trattenne il fiato. “L-La supplico, non lo faccia!” esclamò, la sua voce talmente alta e sincera da rischiare quasi di far svegliare il pargolo in fondo alla stanza. Si mosse in avanti e afferrò di nuovo le mani dell’uomo tra le sue. “Non posso accettare altro da parte sua! Sarebbe ingiusto! Si tenga i soldi, mi ha già dato il latte! Lei ha fatto così tanto per me…”

Ma quello non volle saperne. Strattonò bruscamente le mani dalla sua presa, scuotendo la testa ed allontanandosi ancora di più. “N-No! Stavolta… Stavolta sono io ad insistere!” ribatté con decisione, la sua voce ferma e, allo stesso tempo, esitante. “La prego. Prenda quei soldi… prenda quel latte… e li usi per suo figlio. La prego. Non… Non le chiedo altro.”

“M-Ma perché?” esalò lei, completamente sconvolta.

L’uomo incappucciato serrò i pugni con impotenza, fissando il pavimento. “È… il minimo che posso fare… per scusarmi,” rispose.

“Scusarsi?”

Non ebbe modo di scoprire a cosa si stava riferendo. Il tizio misterioso non perse altro tempo, riscuotendosi all’improvviso dalla tensione e dirigendosi ad ampi passi verso l’uscita, senza aggiungere altro. La donna lo seguì con stupore, osservando il suo mantello che si agitava freneticamente ad ogni passo che faceva. L’uomo aprì rapidamente la porta, pronto ad uscire, ma per qualche motivo si fermò all’improvviso, restando sulla soglia per diverso tempo.

Finché, dopo quella che parve un’eternità, voltò leggermente il suo cappuccio verso di lei, e parlò ancora una volta. “La prego… anche se le mie parole non potranno mai ridarle ciò che ha perso, voglio che lei sappia… che mi dispiace,” disse con emozione.

La donna lo guardò, incapace di capire.

Le spalle dell’uomo incappucciato tremolarono sommessamente. “Mi perdoni,” sussurrò.

Poi scattò a correre, silenzioso come un’ombra, e la donna lo osservò con la bocca aperta mentre si allontanava, guardandolo fino a quando la sua intera figura non si confuse completamente con l’oscurità della notte, svanendo nelle strade senza vita di quel villaggio silenzioso.
 


21 Settembre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Ufficio Reclutamento
09:00

Shikadai aveva una teoria: tutto ciò che poteva andare storto, sarebbe andato storto. Sempre. Era come un sesto senso, come una capacità di premonizione che lui e suo padre condividevano entrambi, spesso con non poco rammarico. E di certo il fatto che improvvisamente il numero degli Shinobi e degli ANBU posti di pattuglia nel Villaggio di Questo per sovrintendere e organizzare la costruzione del Summit che avrebbe avuto luogo a poco meno di dieci giorni fosse aumentato a dismisura… non lo aiutava per niente a sentirsi più tranquillo. Era ironico. Qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto stare attento, ma non sapeva cosa.

Dopotutto, cosa sarebbe potuto mai andare storto? Il Summit sarebbe iniziato il trenta Settembre, e si sarebbe concluso il primo Ottobre. Due giorni, due semplici giorni. Ad esso avrebbero partecipato tutte le più alte cariche delle varie Nazioni; assieme ai funzionari principali dei Paesi più importanti, e ad una grandissima massa di civili. Tutti perennemente e costantemente sorvegliati da un numero esorbitante di ANBU e Ninja per garantire la sicurezza dell’evento. Ventiquattr’ore su ventiquattro. E oltre a questo, sarebbero stati presenti anche l’Hokage, il Kazekage, la vecchia Mizukage e alcuni tra gli uomini e le donne più potenti del mondo.

Insomma, la sicurezza era garantita.

Eppure, quel maledetto dubbio nella sua testa non accennava a diminuire.

Tutto ciò che poteva andare storto, sarebbe andato storto.

Ma allora la domanda era: cosa, in nome di tutto ciò che era sacro, sarebbe potuto precipitare? Insomma, era ovvio che la minaccia fosse rappresentata, in un modo o nell’altro, dalla Rivoluzione. Erano solo i Ribelli quelli che vedevano negativamente questo Summit. Ma anche loro sarebbero stati presenti – pacificamente presenti, si ricordò il Nara – dato che i Kage avevano deciso di invitare tutti i leader mondiali, indistintamente. E Shikadai era certo che nessun seguace della Rivoluzione sarebbe mai potuto essere talmente stupido da fare una mossa azzardata durante quell’evento. Non quando il Settimo Hokage e gli altri Kage erano presenti e a pochi passi da loro. Era come chiedere esplicitamente di morire. O di essere sbattuti in prigione, almeno. Non era logicamente possibile. Non c’erano fattori che avrebbero potuto portare vantaggio a quella fazione con una mossa del genere. Era un gesto suicida.

Per cui, se fosse successo qualcosa, sarebbe successo prima del Summit. Su questo, il Nara era pronto a scommetterci.

Eppure, finora non era successo niente. Nessun tentativo di sabotaggio, nessuna infiltrazione segreta, nessuna spia nei ranghi delle varie Nazioni… niente di niente. Tutte le mosse che la Rivoluzione e i Guerrieri avevano tentato nel corso di questi due anni non si erano minimamente manifestate, per ora. E questa cosa lo preoccupava. Era un sollievo, certo, che non fosse successo niente… eppure continuava a preoccuparlo.

Perché? La risposta era semplice. Suo padre glielo aveva insegnato sin da piccolo. Era come quando si giocava a scacchi. Ovvero: se non ti senti per niente in pericolo, è solamente perché non sei riuscito a comprendere la strategia del nemico. Non c’era motivo di preoccuparsi se la minaccia che incombeva su di te era al di là della tua intuizione. E questo ragionamento portava solamente a due ipotesi:

Uno: la Rivoluzione e i Guerrieri si stavano lentamente arrendendo.

Due: la Rivoluzione e i Guerrieri avevano ideato un piano che tutti loro non erano ancora riusciti a comprendere.

Era ovvio che la seconda ipotesi fosse la più concreta nella sua mente. E Shikadai ricordava ancora con timore e orrore quanto fosse abile un certo biondino con cui era stato amico da piccolo ad ideare mosse al di là delle aspettative di tutti. Mosse che, nessuno ormai poteva negarlo, lo avevano portato ad assumere il manto di Nukenin più pericoloso mai esistito. Boruto Uzumaki, da solo, era riuscito a mettere in ginocchio le Cinque Grandi Nazioni, dopotutto. Da solo. In meno di un anno e mezzo.

Solo un mostro sarebbe stato capace di compiere tanto.

Certo, in molti ci aveva provato prima di lui. Orochimaru, Kabuto, l’Akatsuki delle leggende… ma nessuno c’era riuscito come lui. Persino l’Organizzazione Alba ci aveva impiegato anni per catturare quasi tutti i Demoni codati e per costringere il mondo a considerarla una minaccia. E Madara Uchiha, secondo quanto diceva la storia, era stato sconfitto in due giorni durante la Guerra. Non era durato abbastanza per poter essere ricordato come una vera minaccia per l’umanità, nonostante fosse andato pericolosamente vicino a schiavizzarla tutta.

Ma Boruto… Boruto era stato l’unico che era riuscito a soggiogare il mondo intero con le sue sole azioni. Aveva instillato il terrore nei cuori degli Shinobi. Aveva sconfitto Shukaku – e, presumibilmente, catturato anche gli altri tre Bijuu scomparsi da due anni; ma ancora oggi non c’erano certezze, né prove di questa teoria – aveva distrutto un intero Villaggio Ninja, abbattuto una Nazione, assassinato diversi Kage, sovvertito il sistema del mondo e – cosa ancora più importante e senza precedenti – aveva messo in discussione il concetto stesso di Ninja.

E ci era riuscito solamente grazie alla sua volontà ferrea di combattere per ciò che riteneva giusto. E, ovviamente, anche grazie ai suoi amici. L’Organizzazione Kara era stata così leale e fedele ai suoi comandi da riuscire a scatenare nel mondo una crisi senza precedenti con le sue azioni. Era per questo, e per molti altri motivi ancora, che al giorno d’oggi, il figlio reietto del Settimo Hokage si era guadagnato il titolo e la fama del più grande Nukenin di tutti i tempi. Nessun uomo prima di lui era riuscito a spaccare a metà il mondo, dopotutto. Aveva generato una guerra che andava avanti ancora adesso. Una guerra tra Shinobi, coloro che restavano fedeli ai valori e alla tradizione del passato, e Guerrieri, coloro che credevano in Boruto e nella sua visione di un mondo nuovo e unito tramite la conquista.

Per cui… diciamo che Shikadai si sentiva piuttosto giustificato per essere così nervoso.

Ma tutti sapevano che Boruto era morto. Tutti sapevano che l’Organizzazione Kara era stata sconfitta. E mancava poco ormai al giorno in cui anche quelle dieci persone avrebbero seguito il loro leader nell’altra vita. Di questo, Shikadai ne era certo. E per quanto gli dispiacesse che dovessero morire – Mikasa e Sora erano pur sempre stati suoi compagni di Accademia – sapeva che era una cosa necessaria. Il mondo non avrebbe mai raggiunto un vero equilibrio ed una vera decisione se quelle persone fossero rimaste in vita.

I Kara non costituivano più una minaccia. Era assolutamente impossibile che sarebbero riusciti a farla franca. Nessuno poteva salvarli, nessuno poteva liberarli. Non quando la Foglia e l’Hokage erano costantemente con gli occhi puntati su di loro. Per cui, nemmeno loro avrebbero potuto sconvolgere la situazione. Non più, ormai.

E mentre osservava gli avvenimenti recenti, Shikadai aveva raggiunto una conclusione: la storia andava sempre avanti. Forse… Forse l’inquietudine che si sentiva dentro era dettata dal fatto che il giorno in cui il mondo avrebbe finalmente voltato pagina stava per arrivare a breve. Forse si sentiva insicuro proprio perché stavano per iniziare una nuova fase nel mondo. Era inevitabile. Il mondo, dopo questo Summit, non sarebbe mai più stato lo stesso di prima. Indipendentemente dal fatto che si fosse tornati ad un’epoca di pace… o che ci fosse stata la Guerra. E questa cosa lo spaventava, così come spaventava più o meno tutti. Ogni essere umano teme ciò che può esserci al di là dell’orizzonte, ciò che costituisce qualcosa che non si può prevedere.

L’uomo, in quanto tale, teme il cambiamento.

Per cui… sì, decise. La sua angoscia era dettata dal fatto che il futuro che aveva all’orizzonte fosse completamente impossibile da prevedere. Doveva essere così. Ne era certo.

Eppure, il dubbio restava a tormentarlo.

Tutto ciò che poteva andare storto, sarebbe andato storto.

Il Nara si accigliò.

“Ehi, mi stai ascoltando?” domandò Himawari, apparendogli davanti alla vista con un’espressione imbronciata. Incombeva sopra di lui come una leonessa irritata, le mani poggiate sopra il banchetto dinanzi a cui stava seduto da ore.

“No,” ammise lui, senza nemmeno provare ad inventarsi una scusa. “Scusami, stavo riflettendo. Puoi ripetere?”

L’Uzumaki lo guardò torvo, per nulla compiaciuta dalla sua risposta. “Insomma, Shikadai! Possibile che tu ti perda sempre nel tuo mondo? Stiamo facendo un lavoro importante qui!” protestò a gran voce. “Davvero, se non fossi un genio come tuo padre, allora la tua pigrizia ti avrebbe sicuramente portato a perdere la carica che hai adesso.”

Il Nara ridacchiò nervosamente, incapace di ribattere. Da quando avevano iniziato a frequentarsi, il giovane Nara aveva avuto modo di conoscere sempre meglio alcuni aspetti di Himawari che fino a mesi prima aveva solamente intravisto in lei. Aspetti belli come la sua bontà, la sua lealtà, il suo carisma, e la sua feroce determinazione a voler sempre migliorare; e anche quelli un po' più particolari come… come la sua tempera. Cielo, la sua tempera. I geni Uzumaki non mentivano, e Shikadai lo stava scoprendo sempre più concretamente sulla sua pelle. Himawari aveva ereditato il carattere forte e dominante tipico del suo clan, senza ombra di dubbio. Non esitava a fargli ramanzine e rimproveri se qualcosa non le andava bene, e non aveva peli sulla lingua. Cavolo, una schiettezza simile era… strana da vedere in una ragazza. Anche se, doveva ammetterlo, la cosa non lo stupiva più di tanto. Il Settimo era molto simile a lei da qual punto di vista, e Shikadai ricordava ancora con una punta di nostalgia il fatto che persino il freddo e serio Boruto Uzumaki avesse avuto una tempera non da poco.

Non si scherzava col clan Uzumaki, questo era certo.

Shikadai sospirò, annuendo mentre la sua ragazza gli faceva un’ennesima ramanzina. “Allora, cosa dobbiamo fare?”

Quella s’acquietò dopo diversi secondi, imbronciata. “Dobbiamo scortare questo nuovo arrivato,” rispose, puntando con un dito ad una persona che stava in piedi alle sue spalle, immobile e silenziosa come una statua. “È appena arrivato qui nel Villaggio sotto circostanze… delicate. Gli è stato ordinato di unirsi alla Divisione della Sicurezza, per cui dobbiamo portarlo quanto prima da Sarada. Me l’ha ordinato mio padre in persona.”

Shikadai annuì, assimilando le informazioni. Faceva ancora fatica a credere che Sarada fosse diventata davvero la responsabile della sicurezza del Summit. Ma se qualcuno voleva entrare nei ranghi di quelli che avrebbero mantenuto l’ordine durante la festa, aveva senso che dovesse prima parlare con lei. I suoi occhi sottili si posarono per la prima volta sulla persona che stava dietro ad Himawari, osservandola con circospezione. E quando notò gli occhi del suddetto nuovo arrivato, il Nara non riuscì ad evitare di trattenere un brivido che rischiò di fargli accapponare la pelle con prepotenza.

Quegli occhi rossi erano…

Shikadai deglutì.
 


21 Settembre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Sala Principale della Fortezza
12:12

 
“I lavori sono quasi terminati ormai. E manca poco prima che anche gli ultimi aggiustamenti che hai richiesto vengano sistemati,” riferì il biondo, leggendo ad alta voce il foglio che reggeva in mano.

Il Kazekage annuì, senza alzare lo sguardo dal documento che stava firmando. Era la ventesima volta che lo rileggeva, e ancora non si sentiva tranquillo. Nonostante alla fine tutti i rappresentanti delle varie Nazioni avessero risposto al loro invito in maniera positiva, quella sensazione di timore che gli attanagliava lo stomaco non accennava a diminuire nemmeno adesso. Quando ebbe finito di compilare il foglio, un sospiro esausto gli sfuggì dalle labbra, posandolo sopra un’immensa pila di altri documenti posti sopra la scrivania. Alzò lo sguardo per fissare il suo amico, notando fin troppo bene il disappunto con cui lo stava osservando. Era nei suoi occhi. Non era mai stato capace di trattenere dentro le proprie emozioni.

“Non dovresti sforzarti così tanto,” disse lentamente Naruto, il suo volto preoccupato.

Gaara sorrise debolmente. “Non posso evitarlo,” ribatté. “Tutti gli occhi del mondo sono puntati su di noi e su questo luogo, adesso. Dobbiamo assicurarci che ogni cosa vada al meglio. Nessuno ci prenderà sul serio altrimenti.”

L’Hokage si portò accanto a lui, posando per un secondo lo sguardo fuori dalla gigantesca finestra che illuminava la stanza principale della fortezza e che, al momento, era diventata il loro studio privato. Tornò a fissare il suo amico dopo un attimo di esitazione. “Posso occuparmi io delle questioni burocratiche,” insistette, deciso. “Le tue condizioni fisiche lasciano ancora a desiderare. Non dovresti sforzarti troppo.”

“Sto bene, Naruto, davvero. Non preoccuparti.”

“No, non è vero,” lo incalzò il biondo, sospirando. “Gaara, lo so che questo è importante per te… so quanto ci tieni a riuscire a sistemare la situazione, ma sfinirsi in questo modo non è salutare. Devi pensare anche a te stesso. Fidati di me, io ho diviso irrimediabilmente la mia famiglia a causa della mia ossessione per il lavoro.”

Le parole fecero effetto. Gaara esitò visibilmente dopo quell’ultima dichiarazione, incerto su come rispondere. Poi sospirò a sua volta, abbassando lo sguardo su un altro documento ed accingendosi a compilarlo. “Non ho scelta, Naruto. La posta in gioco… è troppo alta. Questo Summit è l’ultima occasione che abbiamo per riuscire ad unire assieme il mondo ed evitare lo scoppio ufficiale di una Guerra. Non posso mettere a rischio la sua riuscita solo per la mia salvaguardia personale.”

“Ma se ti ho detto che posso-”

“Tu hai già altro a cui pensare,” lo incalzò di nuovo quello, serio. “E mi stai già aiutando più di quanto dovresti. Senza il tuo intervento e i tuoi sforzi per convincerla, l’Uzukage non avrebbe mai accettato l’invito adesso che sua figlia verrà ufficialmente giustiziata, e avremmo perso il favore del Vortice e del tuo clan. Così come non posso ignorare il contributo economico e militare che la Foglia sta dando per garantire la sicurezza dell’evento. Stai già facendo abbastanza, non voglio caricarti ulteriormente.”

Naruto rimase in silenzio, abbozzando un broncio infantile. Sinceramente, lui e Gaara erano molto simili in quella situazione. Quando si trattava di lavoro e responsabilità, diventavano talmente testardi da non dare retta a nessuno. Non che non potessero comprendersi, certo. Con la situazione in cui si trovavano adesso, sapevano entrambi di non poter battere la fiacca. Non potevano prendere niente per scontato se volevano riuscire ad unire di nuovo il mondo. Dovevano tenere gli occhi aperti, e lavorare per garantire la risuscita del loro progetto. Anche se il prezzo di ciò era il loro tempo, le loro energie, e anche la loro salute.

La pace era ciò per cui avevano versato sangue e lacrime sin da quando erano ragazzi. Non avrebbero permesso che essa venisse completamente distrutta arrivati a questo punto cruciale delle cose.

Il Kazekage finì la stesura del foglio. “Come procedono le cose nella Foglia?” domandò ad un certo punto.

Il Settimo sorrise. “Konohamaru se la sta cavando bene come Hokage provvisorio. Baderà lui a tutto mentre noi resteremo qui durante il Summit. Immagino che Kankuro stia facendo lo stesso nella Sabbia.”

“Certamente,” confermò Gaara. “Ho piena fiducia nelle sue abilità. Da quando mi sono risvegliato, ho notato che è diventato estremamente abile a fare le veci in mio nome. Sta crescendo.”

Naruto ridacchiò all’udire quelle parole, divertito. Era davvero raro sentire Gaara che faceva dei complimenti ai suoi familiari. Poi però, il suo sorriso divenne più tirato. Fissò il suo amico con uno sguardo accigliato. “Sei… Sei sicuro di volerlo fare, Gaara?” domandò, solenne, senza aggiungere altro. Non aveva bisogno di aggiungere altro. Dopotutto, sapevano bene entrambi a cosa si stava riferendo con quella domanda.

L’altro smise immediatamente di scrivere, restando in silenzio per diverso tempo. Poi, con un leggero tremito delle spalle, si riscosse. “Sì,” rispose alla fine, la voce roca e pesante. “Sì, ne sono certo.”

Naruto lo fissò con attenzione. “Perché proprio tu?” chiese ancora. “Posso farlo io, se vuoi. Non devi necessariamente caricarti anche questo sulle spalle.”

Gaara sorrise, amaro e sardonico. “Devo essere io. È l’unica cosa che mi è rimasta da fare.”

“Questo non è vero,” ribatté l’Hokage.

Il Kazekage lo guardò con serietà. “Naruto, ti prego,” disse, le sue parole talmente decise e emotive da sembrare quasi come se lo stesse supplicando. I suoi occhi erano assottigliati, brillanti di emozione. “Non togliermi questa responsabilità. Io… devo essere io a farlo. Per tutti questi anni, non sono stato in grado di fare nulla a causa del coma. Non ho potuto fare niente per impedire che la mia Nazione, il mondo, e anche i miei stessi alleati finissero nel caos. So che tu ci hai provato, ma eri da solo, e per questo hai dovuto sacrificarti più di tutti. Hai già fatto abbastanza. Adesso è il mio turno. Voglio… Voglio mettermi in gioco anch’io.”

Naruto annuì, rassegnato, sapendo che non c’era niente che potesse dire o fare per riuscire a fargli cambiare idea. Era sempre così con Gaara. Quando si metteva in testa una cosa, sapeva essere persino più determinato di lui, a volte. Era uno dei tratti per cui lo rispettava di più, in fondo. Ma adesso, adesso questa sua determinazione non era ammirevole. Era… preoccupante. Dopotutto, c’era in gioco la sua stessa incolumità.

“Potrebbe succederti qualcosa,” lo ammonì il Settimo, serio.

Quell’altro non lo guardò neanche. “Succederà nel mezzo del mio discorso, se è vero che ci stanno alle costole,” dichiarò semplicemente, come se fosse scontato.

Naruto esitò un paio di secondi. Poi annuì di nuovo. “Non possiamo affermarlo con certezza, ma è molto probabile.”

“Se le cose stanno così, allora fate in modo che i civili si siedano nei posti speciali, in fondo,” disse l’altro, la sua voce bassa. “Tutti in un’unica sezione, se possibile,” aggiunse subito dopo.

“Sarà sufficiente?” domandò Naruto, preoccupato.

Gaara lo fissò negli occhi, teso quanto lui. “Non possiamo evitarlo. Negli ultimi tempi eravamo così presi dal tentare di intuire le mosse della Rivoluzione che non ci siamo resi conto di quanto accadeva qui, sotto ai nostri stessi occhi. E quando l’abbiamo capito…” il suo sguardò si posò verso la finestra, il suo volto solenne. “Il nemico aveva già attraversato la distanza che ci separava e ci stava alla gola. Non sarebbe una sorpresa se questa gola finisse per essere tagliata, a questo punto.”

Naruto fece per parlare, ma Gaara lo anticipò. “Tuttavia, ora faremmo meglio ad occuparci delle tracce lasciate da coloro che sostengono la Rivoluzione. Ad oggi non abbiamo ancora informazioni su di essi, ma lo sappiamo entrambi, Naruto. I Kage che sostengono i Ribelli potrebbero iniziare una rivolta durante il Summit, e come sai le nostre Nazioni Alleate hanno svariati nemici. Persino all’interno del nostro esercito.”

Il Settimo rimase immobile, impettito. “E per far uscire allo scoperto i traditori, il tuo piano consiste nel far scattare la scintilla per primi?” domandò, serrando i pugni con incredulità. “È troppo rischioso, Gaara! Potrebbe succedere di tutto durante la festa! Non abbiamo modo di prevedere-”

“Se accetteremo di sottoporci al piano del nemico, massimizzeremo il risultato,” lo interruppe il Kazekage. “Naruto, è la nostra unica possibilità. Se hai un piano migliore ti ascolto.”

Quello esitò di colpo, visibilmente perso, abbassando lo sguardo con impotenza. Passarono diversi secondi di silenzio. “Però… anche se è il nemico che stiamo cercando di attirare, la nostra esca è troppo grande. Tu sei troppo importante,” disse lentamente.

“Io non così così importante,” ribatté semplicemente quello, un sorriso amaro che gli contornava le labbra. “Naruto, accetta la realtà. Sono debole, malato. Non ho più la forza di un tempo. Sono sfuggito alla morte per troppo tempo, ed è ora che io accetti di venire a patti con questa cosa.”

Naruto lo fissò con incredulità. “Ma… Ma… Oltre a te, potrebbero morire moltissime persone!” esclamò freneticamente, emotivo.

“Ed è proprio per questo che devo essere io a fare da esca,” spiegò seriamente Gaara, solenne. Non si scompose nemmeno un po' durante quella dichiarazione. “Tu dovrai occuparti della salvaguardia dei civili e degli Shinobi. Non può farlo nessun altro. Senza Sasuke, solo tu potresti riuscire a fronteggiare contemporaneamente dei terroristi e degli eventuali Kage traditori nel bel mezzo di un Summit. Grazie a Kurama, sei la nostra unica possibilità. Conto su di te per proteggere gli innocenti.”

Il Settimo Hokage esitò, incapace di venire a termini con quella realtà. Poi però, dopo un lasso di tempo indeterminato, si rilassò, prendendo un profondo respiro e cercando di calmarsi. Si sedette dinanzi alla scrivania, fissando il suo amico di lunga data con uno sguardo afflitto. I suoi occhi brillavano di emozioni contrastanti: determinazione, tristezza, rabbia e rassegnazione. Ma non si fece scrupoli a dire quello che pensava davvero. Non sarebbe stato Naruto Uzumaki altrimenti. “Prima di tutto… voglio essere sincero con te, Gaara,” iniziò a dire, lento e solenne. “Questa… Questa non è una guerra. Ora come ora, ci è ignota la reale identità dei nostri nemici, così come i loro obiettivi o eventuali… piani d’assalto. E attorno al luogo scelto per attuare questo piano si radunerà una folla di proporzioni incalcolabili. E come sappiamo bene entrambi… la priorità di un Kage è proteggere coloro che dipendono da lui.”

Gaara lo osservò con impassibilità.

“Amico… se dovesse davvero succedere quello che pensiamo… temo che non riuscirò a proteggerti durante il Summit,” dichiarò seriamente Naruto, il suo sguardo direttamente puntato negli occhi dell’altro. “Se il nemico dovesse veramente attaccare durante il Summit, tu potresti morire, Gaara.”

Ancora, il Kazekage non disse niente.

Naruto serrò i pugni con impotenza. “Sei davvero deciso a farlo?” chiese ancora una volta.

Gaara sorrise debolmente. “Naturalmente… sono preparato a questa eventualità,” rispose, fissandosi le mani. “Se non ci mettessi la faccia, il mondo volgerà lo sguardo altrove. Se io, te, e le varie Nazioni vogliamo davvero rischiare tutto per porre fine alla morte che incombe nel nostro mondo… allora dobbiamo farlo. Gli ufficiali, i giornalisti, e anche i vari Kage e Daimyo non si riuniranno insieme altrimenti.” Il Kazekage alzò di nuovo lo sguardo, fissando il suo amico negli occhi. “Se provassi a fuggire, il mondo non si alleerebbe con noi.”

Naruto deglutì pesantemente.

Il Quinto Kazekage lo guardò in faccia. “Non abbiamo altra scelta, Naruto.”

Il Settimo Hokage s’impettì solennemente. “Così sia, Gaara.”
 


21 Settembre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Fortezza
12:15

Sarada era stressata.

Non che ci fosse da stupirsi, però. Se lo aspettava. Era inevitabile, visto che nelle ultime settimane non aveva fatto altro che lavorare ininterrottamente come uno schiavo. Era stata una cosa che non aveva potuto evitare, neanche volendolo. Garantire e organizzare la sicurezza del Summit mondiale più importante della storia non era un compito semplice. Era una responsabilità immensa. Una sola svista, un singolo errore, una sola previsione inaccurata… e tutto si sarebbe potuto compromettere irrimediabilmente. Era per questo che ogni cosa andava supervisionata, controllata, ragionata e ideata nel minimo dettaglio. Ne andava della salvaguardia dell’evento e delle persone che vi avrebbero partecipato.

Inoltre, era una responsabilità personale. Sarada ambiva a diventare Hokage, il suo obiettivo era farsi un nome nel mondo. E questa era l’occasione perfetta per farsi conoscere e rispettare delle più alte autorità del mondo. Se avesse lavorato con impegno, se avesse garantito la sicurezza di questo evento mondiale senza nessun intoppo, la sua reputazione ne avrebbe giovato inevitabilmente. Per questo non poteva permettersi di essere negligente nel suo lavoro. Non quando l’Hokage e il Kazekage si fidavano e contavano su di lei. Non poteva deluderli. Avrebbe dimostrato loro, e anche a tutto il mondo, che era in grado di farcela. Avrebbe riscattato il suo nome, ad ogni costo.

Ma la determinazione da sola non bastava a rendere il lavoro più facile. Dire che si sentisse esausta era riduttivo. Era letteralmente stremata. Nemmeno il fatto che le avessero assegnato un ufficio personale dove riflettere e controllare i documenti bastava a risollevarla del tutto. Era da interminabili giorni che non faceva altro che lavorare. E i suoi compiti erano innumerevoli: controllare il lavoro degli operai, raccogliere ed assegnare postazioni agli Shinobi che avrebbero fatto la guardia, supervisionare la direzione degli ANBU presenti per la difesa dei Kage, e innumerevoli altri ancora. Doveva persino assegnare una squadra di ricerca all’ingresso della fortezza, il che si stava rivelando un dovere decisamente stressante. Ogni singolo oggetto, ogni singola pietanza, ogni singolo attrezzo che entrava o usciva dalla fortezza del Villaggio andava controllato, dopotutto, per assicurarsi che non fosse manomesso, avvelenato o usato per scopi nocivi. Così come anche il personale. Spettava a lei, soprattutto, il compito di assicurarsi che nessuno dei ninja presenti fosse una spia o che facesse il doppio gioco.

E la quantità di Shinobi presenti era ormai incalcolabile. Erano innumerevoli i ninja che, di giorno in giorno, giungevano sempre più nella fortezza in preparazione dell’evento. Da ogni parte del mondo, da ogni Nazione, e per i più svariati motivi. Alcuni volevano entrare nella Divisione della Sicurezza, altri erano guardie assegnate ai Kage, altri erano ANBU o ricercatori, e altri ancora venivano per fare controlli in nome di qualche autorità o Daimyo prima del Summit. Era un constante via vai di gente che rendeva le giornate stressanti e piene di sospetto. E Sarada doveva controllarle una per una, per via del suo ruolo di supervisore.

Per cui, quella mattina, non si stupì nemmeno un po' quando vide entrare nel suo piccolo ufficio Shikadai e Himawari, i suoi vecchi amici di lunga data, seguiti da una terza persona che stava alle loro spalle con la testa bassa. Ma i suoi occhi allentati notarono fin troppo bene l’incertezza e l’esitazione nei volti dei suoi amici. Si scambiavano ripetutamente occhiate nervose, come se non sapessero esprimere a parole quello che pensavano.

L’Uchiha si impettì, raddrizzandosi dietro la sua piccola scrivania provvisoria. “Che cosa succede?” domandò, in tutta serietà.

Himawari e Shikadai si guardarono, incerti, incapaci di parlare. Ma per loro fortuna non ce ne fu bisogno. La persona alle loro spalle si fece avanti non appena aprirono le labbra, portandosi dinanzi a lei e fissandola con uno sguardo freddo e solenne. Sarada ricambiò il gesto, alzandosi dalla sedia ed osservandola seriamente senza esitazione. Tuttavia, nonostante le innumerevoli esperienze e le cose incredibili che aveva visto nella sua breve vita, nemmeno lei poté evitare di rimanere sconvolta e a bocca aperta non appena posò lo sguardo su quel volto pallido, bianco e privo di emozione.

“Perdoni la mia irruenza, Capitano,” disse improvvisamente il ragazzo misterioso, fissandola con un paio di occhi rossi identici ai suoi. “Ma mi permetta di spiegare la situazione. Sono stato mandato qui nel Villaggio per ordine di mio padre, un uomo che sostiene e appoggia la causa della Foglia, con l’ordine di unirmi alla sua Divisione per garantire la sicurezza e la salvaguardia del Summit. Perciò, con il suo permesso, sono pronto e disponibile ad eseguire ogni suo odine.”

La ragazza si ricompose a fatica dopo quella presentazione così strana. “Tu... Tu sei...” disse allora lentamente, incapace di credere ai suoi occhi.

Lo Sharingan fiammeggiante del giovane sembrò quasi luccicare a quelle parole. Il ragazzo dai capelli bianchi sorrise misteriosamente. “Ci siamo già incontrati diversi anni fa. Il mio nome… è Shin Uchiha.”
 









 

 Note dell’autore!!!

Salve gente, eccovi finalmente il nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto, anche se è un semplice capitolo di transizione.

Innanzitutto vi chiedo scusa per l’assenza e per non essere riuscito ad aggiornare prima la storia, ma è stato un periodaccio fatto di esami e impegni vari che mi hanno tenuto lontano da casa. Ho dovuto viaggiare molto in queste settimane, e per questo non ho avuto il tempo di scrivere e fermarmi fino ad adesso. Ovviamente, anche nonostante gli impegni, io ce la metterò sempre tutta per completare la storia. La vicenda andrà avanti, senza ombra di dubbio, come ho sempre detto. Vi chiedo solo di avere pazienza quando capiteranno occasioni simili che mi terranno lontano per un po'. Perdonatemi, e sappiate che ce la metterò tutta per far conciliare le cose. Ve lo assicuro.

Passando alla storia, in questo capitolo abbiamo intravisto diverse cose. Su alcune non posso fare spoiler, ma ci tengo a sottolineare l’incontro tra Boruto e la donna col bambino. Sembra un incontro buttato a caso e senza scopo, ma non è così. Grazie ad esso, il nostro Nukenin ha iniziato a vedere l’altra faccia della moneta, la faccia nascosta della Rivoluzione. Ciò per cui Bolt ha lottato per tutta la sua vita è la pace, ma solo adesso sta iniziando a capire che non sempre le sue azioni e la sua eredità hanno avuto risvolti positivi o pacifici. Questo cosa significa? A cosa porterà questa scoperta? Si sta iniziando a pentire? Io non posso dirlo, ma a breve lo scoprirete. Il prossimo capitolo sarà l’ultimo introduttivo prima del Summit. Lì, ve lo assicuro, riceverete le vostre risposte. State tranquilli, ho intenzione di fare le cose in grande.

Inoltre, ho deciso di rimettere in scena Shin Uchiha – uno dei cloni dell’originale Shin, badate bene – perché ho in mente qualcosa per lui. Sappiate però che non approfondirò molto il suo personaggio e la sua storia, visto e considerato che sono già stati narrati ampiamente nel manga e nell’anime di Boruto. La sua presenza servirà ad introdurre finalmente nella storia un personaggio che è rimasto nascosto fino ad ora: Kabuto.

Vi allego sotto la sua immagine.

SHIN UCHIHA

 

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. I vostri pareri e suggerimenti sono ciò che mi spinge a continuare a scrivere, quindi mi farebbe moltissimo piacere sapere cosa ne pensate. Grazie a tutti in anticipo, e a presto!

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Capitolo 7
*** L'Inizio del Summit (1) ***


L’INIZIO DEL SUMMIT (1)






 

25 Settembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione
10:00

Annie Leonhardt vedeva rosso.

Dire che fosse arrabbiata era riduttivo. Dire che fosse incazzata era più che riduttivo. E persino dire che fosse imbestialita era decisamente riduttivo. Non c’erano parole per descrivere quello che stava provando in quel momento. Il senso di rabbia e frustrazione che le opprimeva la mente era… incontenibile. Non c’erano possibilità di descriverlo appieno. E la cosa era palese. Non a caso tutti i servitori e i guerrieri rimasti nel castello la stavano evitando sin da quando si era alzata quella mattina. L’opprimente aura di furia e frustrazione che emanava con la sua sola presenza bastava a spaventare la maggior parte delle persone comuni. L’ex ANBU sembrava ad un passo dall’esplodere e fare fuori qualcuno. E nessuno dei presenti era suicida.

Persino l’indomito e sprezzante Shizuma si era saggiamente tenuto a distanza quando l’aveva vista marciare furiosamente lungo i corridoi. La sua espressione terrorizzata era stata una visione comica. Si era persino rifugiato dietro le spalle di Galatea per sicurezza, con enorme irritazione da parte di quest’ultima. Ma nonostante questo, nessuno fece nulla per fermarla o per chiederle cosa fosse successo, lasciandola indisturbata e libera di continuare a marciare per la sua strada, verso il suo obiettivo.

E questo le permise di raggiungere la porta della sala senza intoppi.

“Dov’è?!” urlò ferocemente Annie, spalancando la porta con un calcio e spaventando a morte coloro che si trovavano all’interno della sala. “Dov’è quell’idiota mascherato?!”

Gli unici due presenti la guardarono come se fosse un mostro. Jigen sembrava pericolosamente prossimo ad avere un infarto, con una mano che si reggeva il petto, il volto pallido ed il respiro affannoso e preoccupato mentre si appiattiva contro un muro. Lucy invece era balzata all’aria come un gatto spaventato, atterrando comicamente sulla sedia del tavolo da riunione. Fissava la donna con uno sguardo allibito e incredulo.

“A-Annie-sensei! Cosa le succede?” domandò, sconvolta oltre ogni dire. Davvero, quella era la prima volta che vedeva quella donna così infuriata. O così emotiva, anche. Annie non era famosa per essere una delle persone più aperte e propense a mostrare i propri sentimenti, dopotutto. Vederla in quello stato era scioccante e… curioso, in un certo senso.

La bionda setacciò i volti dei presenti con fare omicida, i suoi occhi che lampeggiavano di collera. “Ditemi dive si trova quell’idiota,” sibilò pericolosamente ancora una volta, serrando i pugni e i denti. Jigen e Lucy si scambiarono un’occhiata nervosa. Annie la notò fin troppo bene, il che fece aumentare a dismisura la sua furia. La sua espressione divenne omicida. “Lo ucciderò,” dichiarò lentamente.

“C-Che cosa è successo?” chiese di nuovo Lucy, completamente persa. Notò di soppiatto che Galatea a Shizuma erano apparsi alle spalle di Annie, visibilmente nervosi e indecisi se intervenire.

“Ditemi che non è partito ancora una volta,” ringhiò la giovane maestra, la sua voce bassa e minacciosa come non mai. Davvero, se avesse avuto conferma dei suoi timori con quello che avrebbe sentito adesso… non voleva nemmeno pensarci. Sarebbe stata la fine.

Jigen ridacchiò nervosamente. “A-Aahaha… t-temo di sì, invece,” esalò con timore. “S-Saigo ha detto che aveva delle faccende da sbrigare ieri sera, e questa mattina non siamo riusciti a trovarlo. Deve essere partito prima dell’alba…” spiegò lentamente.

I suoi timori si rivelarono fondati.

“Quell’inutile e fastidioso clown mascherato!” sbraitò a gran voce Annie, imprecando volgarmente come non aveva mai fatto prima in vita sua. I quattro presenti divennero ancor più pallidi nel vedere il suo stato di furia animalesca. Era incredibile il modo in cui quel tipo incappucciato fosse in grado di farla imbestialire. “Che cosa diavolo gli passa per quella testa?! Il Summit inizia tra cinque giorni! Cinque giorni! E invece di restare qui e formulare una strategia assieme a noi che cosa fa? SE NE VA LIBERAMENTE A SPASSO SENZA ALCUNA PREOCCUPAZIONE! QUEL TIPO MI DÀ SUI NERIVI!”

“S-Suvvia, Annie. Saigo ci ha già detto quello che dovremo fare durante il Summit, ricordi?” balbettò Galatea, tentando di calmarla. “Forse ha già in mente un piano…”

“Un piano che non ha intenzione di rivelare a nessuno!” ribatté bruscamente lei, incredula nella sua rabbia. “Come diavolo possiamo fidarci di lui se continua a ragionare in questo modo?!”

Shizuma tossì con nervosismo. “Beh… sembra abbastanza forte da riuscire a puntarti una spada al collo…” disse distrattamente, rammentando quanto fosse veloce e pericoloso quell’uomo.

L’occhiata gelida che Annie gli rivolse subito dopo bastò a zittirlo immediatamente. Quello sguardo che prometteva dolore era inquietante tanto quanto quello di una belva feroce e zannuta. Vedendo il panico e il nervosismo generale che aleggiava in tutti gli altri, la giovane maestra tentò di calmarsi facendo un grosso respiro. “Almeno vi ha detto dove si sarebbe diretto?” chiese alla fine, abbassando con sconfitta le spalle e passandosi una mano sul volto. La sua espressione tornò glaciale come sempre in un batter d’occhio.

Lucy posò lo sguardo verso la finestra prima di rispondere. “La Terra del Vapore.”
 


25 Settembre, 0021 AIT
Terra del Vapore
Villaggio di Kaito
10:30

“Ecco qua, mia cara signora. Tutto è stato sistemato.”

L’anziana donna gobbuta batté assieme le mani e gli rivolse un sorriso raggiante. O meglio, quello che un tempo doveva essere stato un sorriso. Le erano rimasti solo quattro denti, e in base alla smorfia che stava facendo in quel momento sembrava come se fosse in procinto di starnutire. Ma era l’intenzione che contava. “Ti ringrazio, giovanotto. Non avrei davvero saputo cosa fare senza il tuo aiuto. Mi hai fatto un favore immenso,” gracchiò con enfasi, il suo volto illuminato dalla gioia.

Il tizio misterioso sospirò e fissò orgogliosamente da sotto al suo cappuccio l’immensa pila di legname che aveva accatastato ininterrottamente per tutta la durata delle ultime tre ore e un quarto. Era stato un lavoraccio, ma ce l’aveva fatta. Quasi quattro tonnellate e mezzo di legname proveniente dalla foresta vicina al villaggio. Davvero, era rimasto piacevolmente stupito dalla quantità di legna che era riuscito a tagliare e trasportare qui in queste tre ore da solo. Certo, alcuni falegnami e contadini lo avevano aiutato, ma aveva fatto lui la maggior parte del lavoro. La Terra del Vapore era famosa per essere una grande esportatrice di legno, visto che la maggior parte della sua estensione era ricoperta da foreste secolari i cui alberi crescevano più rapidamente rispetto a quelli delle altre Nazioni grazie all’influenza delle acque termali. Se non avesse avuto il chakra dalla sua parte, sarebbe svenuto per la fatica dopo mezz’ora.

“Adesso il nostro villaggio avrà abbastanza legna per l’inverno,” continuò a dire lei, annuendo compiaciuta. “Ti siamo debitori.”

L’uomo incappucciato ridacchiò, grattandosi il cappuccio. “Sciocchezze, ho solo fatto un favore,” ribatté senza pensarci due volte. Fissò il piccolo capannone che fungeva da magazzino per tutto il villaggio con un sorriso. “Passavo da queste parti, e non sarei stato in pace con me stesso se non vi avessi aiutato dopo avervi visto faticare così duramente.”

L’anziana gli diede una giocosa pacca sulla gamba. Era talmente bassa e minuta da non riuscire a raggiungergli la schiena. “Senza di te ci avremmo messo settimane,” ammise, sollevata. “È da quando gli Shinobi hanno abbandonato questa Nazione che siamo costretti a lavorare più duramente di prima.”

L’altro fissò il capannone con uno sguardo insondabile, immobile. “È per via della Rivoluzione, non è vero?”

Quella annuì con fare grave, incrociando le braccia dietro la schiena gobbuta. “La Terra del Vapore si è unita alla Rivoluzione più due anni fa ormai,” confermò lentamente. “E da allora i Ribelli hanno scacciato tutti i Ninja da queste zone. Senza di loro, l’economia e i lavori che un tempo aiutavano a sostenerci sono diventati più ardui. E come se non bastasse, il Villaggio del Vapore ci sta tassando sempre di più per fornire sostegno alla Rivoluzione. Il nostro villaggio non è mai stato molto ricco, e di questo passo… tutti noi potremmo morire di fame.”

L’uomo incappucciato posò lentamente lo sguardo su di lei, senza dire nulla. Inconsciamente, i suoi pugni si serrarono impercettibilmente. “Vi… Vi siete pentiti di esservi uniti alla Rivoluzione?” domandò dopo un po' di tempo, la sua voce apparentemente priva di interesse.

La donna anziana ridacchiò, fissandolo con un sorriso saccente, come se stesse osservando un misero giovane che non conosce ancora niente del mondo. “Noi non ci siamo uniti ad un bel niente, ragazzo mio. È la politica del Villaggio del Vapore che sceglie queste cose. I poveri, i reietti, la gente comune come noi… non ha voce in capitolo. Non contiamo nulla per il mondo. Perciò, che fossimo rimasti con l’Unione o con altri… le cose non sarebbero cambiate molto,” gracchiò amaramente, rassegnata.

“Ma… non è proprio per questo che è nata la Rivoluzione?” domandò lentamente quello, fissandola con attenzione. “Per poter cambiare le cose.”

Lei lo guardò con comprensione, scuotendo lentamente la testa. “Ragazzo mio… tu sei ancora giovane, ma io ne ho viste di cose nella mia vita. Avevo vent’anni quando è scoppiata la Terza Guerra Mondiale, e ho sempre vissuto qui in questa terra, per novantatré lunghi anni. E per tutto questo tempo, le cose non sono mai cambiate davvero per quelli come noi. Certo, con l’Unione stavamo piuttosto bene, ma anche allora c’erano problemi. E adesso che anche quella è distrutta, a noi non rimane niente, come al solito,” disse lentamente. Si mise a sedere con fatica sopra un piccolo sgabello, reggendosi la schiena.

“E la Rivoluzione?” insistette lui, senza muoversi di un millimetro.

“E la Rivoluzione… ci ha promesso un cambiamento,” disse lei, incurante. “E guarda dove siamo adesso. Assalti ai Villaggi, assassini all’ordine del giorno, complotti politici… Ci hanno promesso un futuro luminoso, un futuro con un mondo unito e pacifico. Ma guardando alle azioni passate dei Ribelli e a dove siamo adesso… l’unico futuro che riesco a vedere è un futuro cupo e oscuro. Come lo è sempre stato, d’altronde.”

Il tizio misterioso rimase in silenzio dopo quelle parole, posando lo sguardo verso il cielo per diverso tempo.

L’anziana lo guardò con affetto. “Tu sostieni la Rivoluzione, non è vero?” chiese improvvisamente, conoscendo già la risposta.

“Io… non lo so, in realtà,” ammise lentamente. “Un tempo credevo di saperlo, ma adesso… adesso non so più cosa sia giusto o cosa sia sbagliato.”

Quella annuì, compiaciuta. “Vuol dire che stai crescendo,” gli spiegò, lasciandolo sorpreso. “Stai aprendo gli occhi.”

Lui ammiccò sotto al suo cappuccio, confuso. “In che senso?” chiese.

La vecchia donna sospirò, sorridendo appena con le labbra rugose. I suoi occhi sottili brillavano sommessamente. “Non esiste una cosa giusta e una cosa sbagliata, ragazzo mio,” gli disse seriamente. “È così che funziona il mondo. Ogni fazione, del presente o del passato, agisce in nome di qualcosa che ritiene giusto. Ma spesso ci si dimentica che anche gli altri fanno la stessa cosa, e sono convinti a loro volta di fare del bene. Per cui, chi può dire davvero cosa sia giusto e cosa sia sbagliato? Coloro che si innalzano al di sopra degli altri e decidono a nome di tutti cosa sia giusto… spesso sono le persone più mostruose che esistono.”

L’uomo incappucciato tornò a fissare l’orizzonte in silenzio, perso nei suoi pensieri. “Lei crede che il leader della Rivoluzione abbia sbagliato, dunque?” chiese eventualmente, la sua voce bassa come un soffio.

L’anziana tuttavia lo udì forte e chiaro. Fissò a sua volta il cielo, il suo volto indecifrabile. “Boruto Uzumaki ha fatto molte cose orribili nella sua vita. Le sue azioni e i suoi obiettivi… non posso certo dire di condividerli. Ma sono convinta che anche lui abbia avuto i suoi motivi e i suoi ideali, quando era in vita. E qualsiasi cosa avesse deciso di perseguire, essa lo ha comunque portato a diventare un mostro. Un mostro che ha cambiato il mondo, lo ammetto… ma pur sempre un mostro. Questo, ragazzo mio, è quello che penso,” rispose lentamente lei, la sua voce gracchiante e roca tinta da una nota di saggezza infinita. “Ma io sono solo una vecchia rimbambita. Non dare troppa retta ai miei pensieri,” disse alla fine, ridacchiando sommessamente e scuotendo la testa da sola.

Eppure, dopo aver udito quelle parole dalle labbra dell’anziana, l’uomo misterioso non disse altro per diverso tempo.
 

25 Settembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione
12:45

Quando la porta della sala si riaprì con un tonfo sordo, tutti i presenti fissarono il nuovo arrivato con evidente esasperazione. Non che quest’ultimo non potesse comprenderli, però. Capiva appieno la loro frustrazione. Avevano molte domande, e sapeva bene che il suo attuale comportamento non giovava certo alla loro fiducia.

“Finalmente ti sei degnato di tornare, vedo.”

Saigo venne pervaso per un attimo dall’istinto di ribattere a tono, ma lo trattenne immediatamente. Non era dell’umore adatto in quel momento. Si limitò a non rispondere al saluto ironico, ignorando Annie come se non ci fosse, e mettendosi a sedere su una sedia a capo del tavolo dove tutti gli altri lo stavano attendendo. “Come procede la preparazione?” domandò seriamente, senza preamboli.

Era palese che l’ex ANBU non avesse affatto gradito di essere stata ignorata in quel modo, ma Lucy intervenne prima che potesse aprire bocca. “Siamo già tutti pronti, e abbiamo avvisato anche i vari Kage che ci sostengono. Quando il Summit inizierà, ci faremo trovare pronti come ci hai chiesto,” riferì doverosamente, sorridendo con imbarazzo per rallegrare l’aria di tensione che aleggiava nella sala.

La figura misteriosa annuì, compiaciuta. “Bene. Molto bene. Ma badate bene a non attirare troppe attenzioni. Il Summit sarà costantemente sorvegliato da una quantità incalcolabile di guardie e Ninja di ogni tipo. Limitatevi a fare ciò che vi ho detto, e vi assicuro che tutto andrà secondo i piani. Libereremo i Kara senza ostacoli, ne sono certo.”

Galatea sospirò. “Ne sei davvero sicuro?” domandò con esitazione. “Stiamo facendo un grosso azzardo, sai.”

“È la Rivoluzione che si trova in un momento d’azzardo, Galatea,” ribatté solennemente Saigo, decisamente più serio del solito. “Questa è l’unica opzione che ci rimane ormai.”

I presenti si scambiarono un’occhiata perplessa dopo quelle parole, stupiti. Non si aspettavano un’uscita simile da parte sua. Di solito quel tipo era sempre allegro e ottimista. “Che ti succede? Oggi sei meno irritante del solito. Hai finalmente deciso di smettere di sparare le tue solite e fastidiose battute?” domandò ironicamente Annie, accennando per la prima volta un sorriso divertito. Questo era il suo modo di vendicarsi per la frustrazione che le aveva causato in queste settimane. In fondo alla sala, Shizuma fece fatica a trattenere il suo ghigno divertito dinanzi a quella scena.

Quello sorrise appena sotto al suo cappuccio. “Certo che no, Annie-chan. Semplicemente pensavo che le avrebbe fatto piacere essere trattata seriamente come mi ha sempre intimato di fare. Ma evidentemente si è affezionata al mio carattere. Lo sapevo che in fondo mi vuole bene, eh?” disse con ironia, tornando a suonare sarcastico come sempre.

La donna si passò una mano sugli occhi, la sua faccia rossa per l’imbarazzo e l’irritazione, il suo precedente divertimento completamente sparito. “Mi rimangio tutto. Torna ad essere serio, per carità,” sussurrò con frustrazione.

“Troppo tardi. Comunque sia, sappiate che a partire da domani non tornerò più qui da voi. Ho delle faccende improrogabili da portare a termine, e non posso evitarle. Ne va della riuscita del mio piano. Per cui, appena partirò dopo questo incontro, sarete da soli. Ci rivedremo soltanto una volta che saremo nel bel mezzo del caos. Avete domande?”

Il silenzio fu la sua unica risposta.

“Molto bene. Allora, con permesso.”

Detto ciò, senza aggiungere altro, Saigo il SenzaVolto si alzò solennemente dalla sedia e prese ad andarsene da lì in fretta e furia. Era già arrivato dinanzi alla porta quando all’improvviso si fermò di botto, restando fermo e immobile dinanzi ad essa per diversi secondi, senza dire o fare niente. Shizuma, Galatea, Jigen, Annie e Lucy lo guardarono con confusione, incerti su cosa pensare.

“Che ti succede?” domandò l’Hoshigaki.

Saigo non si voltò verso di loro. Tuttavia, senza che se ne accorgessero, le sue mani si serrarono in pugni tremanti sotto alla sua cappa oscura. “Voglio farvi una domanda,” dichiarò subito dopo, diretto e conciso. Nonostante avesse cercato di trattenerla, la sua voce suonò più pesante e bassa del solito mentre parlava. “Voi… Voi pensate che il vostro precedente leader sia stato un mostro?”

Quella domanda sorprese non poco tutti quanti. Da dove gli era uscita questa? Annie lo guardò con gli occhi assottigliati, cercando di capire a cosa stesse mirando quell’uomo strano. Passarono diversi secondi in cui nessuno disse niente, secondi di silenzio assoluto e pesante. “Boruto era tante cose,” iniziò allora a dire seriamente la giovane maestra, mettendosi in piedi e fissando il paesaggio fuori dalla finestra. “Ma non era di certo un mostro. E per me, lui resterà sempre un leader migliore di quanto tu potrai mai essere.”

“S-Suvvia Annie, non sia così cattiva con lui,” la esortò nervosamente Lucy, posando poi lo sguardo verso l’uomo incappucciato. “Però… ha ragione. Per noi, lui era un amico. Una persona degna di essere seguita. Sono certa che tutti coloro che lo hanno conosciuto pensavano la stessa cosa quando erano con lui. Non è vero, ragazzi?”

Galatea annuì, incrociando le braccia. “Kashin Koji era un mostro, Boruto no,” dichiarò, piatta, come se quella cosa da sola bastasse a rispondere alla domanda.

Jigen sorrise con amarezza. “Era la persona in cui abbiamo riposto tutte le nostre speranze,” spiegò sommessamente. “Se fosse stato solamente un mostro, nessuno di noi avrebbe mai fatto una cosa simile.”

“Già, anche se in fondo era un mostro nella lotta,” aggiunse Shizuma, sghignazzando al solo ricordo di quel biondino. “Era la persona più potente che avessi mai visto, nessuno era forte quanto lui. Per questo potevo… rispettarlo. Però bisogna ammettere che era anche un buon leader, in fondo.”

Annie e gli altri discesero in un silenzio contemplativo dopo quelle dichiarazioni, visibilmente depressi. Pensare al quel biondino faceva sempre questo effetto su di loro. Saigo rimase in silenzio per diverso tempo dopo aver udito le loro risposte, la sua espressione insondabile e le sue spalle rigide e ferme come la pietra.

“Capisco,” fu tutto ciò che riuscì a dire dopo un po' di silenzio imbarazzante, incurante – o incapace – di aggiungere altro a quella discussione.

E poi, subito dopo, l’uomo incappucciato uscì dalla sala senza mai voltarsi indietro.
 


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27 Settembre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Strada Principale
08:45

Fu il rumore di un vociare sommesso e costante a risvegliarla dal sonno. Dapprima lo ignorò, cercando di restare ancorata al piacevole abbraccio del letto che le inebriava la mente e il corpo, ma col passare dei secondi si rese sempre più conto di non esserne in grado. Quello strano rumore si stava facendo sempre più forte, sempre più fragoroso, di secondo in secondo. E anche senza aprire gli occhi, le sue orecchie le stavano facendo capire che proveniva dall’esterno, e che quindi non c’era modo di fermarlo.

La bambina si sollevò controvoglia dal materasso, massaggiandosi gli occhi stanchi e non abituati alla luce. Il rumore stava diventando sempre più forte a quel punto. “Che sta succedendo?” esalò lentamente, scostando il lembo della tenda sulla finestra alla sua destra. Ammiccò, la sua vista che cercava di abituarsi sempre più alla luce del sole che filtrava dal vetro, mentre osservava curiosamente ciò che avveniva all’esterno. E appena fu abbastanza in grado di scorgere meglio ciò che avveniva alla luce del sole, la sua mente sbiancò completamente per lo stupore.

I suoi occhi si sgranarono a dismisura.

Non perse altro tempo. Si alzò di scatto dal letto, si lavò in fretta e in furia e, vestendosi rapidamente, scattò alla massima velocità fuori dal piccolo appartamento privato che le era stato riservato sin da quando aveva preso dimora in questo Villaggio, precipitandosi fuori di casa e uscendo per strada. Lo spettacolo che la accolse era lo stesso che aveva intravisto prima, lasciandola confusa e interdetta come non mai. La sua mente rifiutò per diversi secondi di comprendere ciò che stava vedendo.

“Che significa tutto questo?”

Le strade del Villaggio erano in festa. Letteralmente in festa. Affollavano di gente di ogni tipo: dai civili agli Shinobi, dai mercanti ai viandanti, e persino alcuni bambini si vedevano correre giocosamente qua e là in mezzo a quella calca incalcolabile di persone. Lunghe e coloratissime illuminazioni al neon erano state montate sopra i lampioni delle strade, assieme ad addobbi variopinti che si agitavano al vento e che pendevano sopra le teste di tutti. Ai bordi delle strade, poi, erano state allestite anche numerose bancarelle e stand che vendevano merci di ogni tipo, dai dolci, agli snack e agli oggetti d’antiquariato, dove la gente si soffermava numerosa a fare acquisti, creando file interminabili di clienti ad ogni singola bancarella. Attrazioni di ogni tipo erano state montate e allestite lungo le vie, piene di luci colorate e dalle forme più svariate, mentre nell’aria risuonavano gioiose le grida dei giocolieri, dei musicisti e degli innumerevoli altri artisti di strada che offrivano intrattenimento ai passanti con le loro gesta più disparate, creando un vociare di sottofondo costante e fragoroso come non mai.

E dinanzi a quella scena, la piccola Uraraka non poté fare a meno che rimanere sconvolta e a bocca aperta. Che cosa stava succedendo? Da dove erano spuntate tutte quelle attrazioni e quelle bancarelle? Non c’era stato niente di tutto questo fino alla sera prima. Erano state allestite durante la notte? Lei non riusciva proprio a capire. “Ma che cosa…”

“Uraraka!” esclamò all’improvviso una voce alle sue spalle. “Finalmente ti sei svegliata!”

La bambina si voltò, stralunata, trovandosi faccia a faccia coi volti trepidanti dei suoi due amici di sempre. Deku e Trunks sembravano stupiti quanto lei mentre la raggiungevano di corsa, e reggevano nelle mani dei coni gelato dai colori vivaci e invitanti. “Ragazzi! Cosa sta succedendo?” esalò lei, incapace di capire.

“È una festa popolare!” dichiarò con estasi Trunks, visibilmente eccitato come non mai. “Un sacco di persone sono giunte qui nel Villaggio dalle varie Nazioni in attesa del Summit, e hanno montato tutte queste bancarelle durante la notte! Stanno vendendo un sacco di roba mai vista prima!”

Uraraka rimase a bocca aperta. “Che cosa!?” esclamò.

Deku le spinse letteralmente in bocca uno dei gelati che reggeva in mano, zittendola all’istante. “Assaggia!” disse, ancora scosso quanto lei.

La bambina rimase interdetta, ma si riscosse non appena sentì il sapore dolce e gradevole del gelato. I suoi occhi si sgranarono a dismisura mentre fissava con incredulità la bontà divina che reggeva in mano, incapace di realizzare tutto ciò che stava privando. Non aveva mai mangiato qualcosa di così buono prima d’ora. “Q-QUINDI QUESTA È UNA FESTA?” fu tutto ciò che riuscì a dire, allibita.

Trunks e Deku l’afferrarono per un braccio, tirandosela appresso. “Coraggio, andiamo!” esclamò il bambino dai capelli verdi. “Ci sono altre cose da provare!”

I tre giovani non persero tempo. Correndo freneticamente in mezzo alla calca di persone, si misero a visitare in fretta e in furia tutte le bancarelle in cui si imbattevano di volta in volta, acquistando e assaggiando tutto ciò che potevano senza farsi nemmeno un minimo scrupolo. Non che ci fosse da stupirsi, in realtà. Era la prima volta che vedevano una festa simile e che potevano assaggiare così tante cose. Erano pur sempre degli orfani – orfani poveri, per di più – quindi non avevano mai avuto l’occasione di mangiare molte delle cose che erano state messe in esposizione in quell’occasione particolare. Dolci come le mele caramellate, i panini alla cannella e anche cibarie come gli hamburger… erano pietanze sconosciute per loro. E questa era la prima occasione che avevano per poterle assaggiare a basso prezzo. Non se la sarebbero lasciata sfuggire per niente al mondo.

Tuttavia, fu quando giunsero dinanzi alla quinta bancarella – uno stand di focacce – che si resero conto di aver quasi finito i soldi.

“E adesso? Cosa facciamo?” domandò freneticamente Uraraka, accostandosi vicino agli altri due ed osservando i loro portafogli vuoti.

“Io ho ancora fame!” esclamò Deku.

“Ma ci rimangono solo venti Ryo a testa,” sussurrò Trunks, sconfitto. “Di questo passo li finiremo tutti! E non ci pagheranno più adesso che i lavori per il palco sono finiti!”

Il venditore dietro lo stand li guardò con impazienza. “Ragazzi, se dovete ordinare fatelo adesso o mai più. E se non avete i soldi fareste meglio a togliervi di mezzo. Ci sono altri clienti che devo servire,” disse severamente, incrociando le braccia con fermezza.

I tre bambini si lanciarono un’occhiata triste e delusa, abbassando le spalle e rassegnandosi a cedere alla realtà dei fatti, quando all’improvviso una voce inaspettata parlò alle loro spalle con decisione.

“Pagherò io per loro.”

Uraraka, Deku e Trunks si voltarono di scatto. Una donna dalla pelle bianca come la neve i capelli violacei era apparsa misteriosamente alle loro spalle, con un sorriso cordiale e determinato in faccia. Stava fissando il mercante con sicurezza, i suoi occhi pallidi che brillavano di determinazione. “Dia loro tutto ciò che le chiederanno. Ci penserò io a pagare,” aggiunse ancora una volta, senza mai smettere di sorridere.

Il mercante sembrò, incredibilmente, impallidire appena posò lo sguardo su di lei. “A-Agli ordini!” esclamò, imbarazzato. Sembrava quasi come se conoscesse quella persona.

Deku invece fissò quella donna che non aveva mai visto prima con incredulità. “Ma… Ma ne è sicura?” domandò, incerto. “Non deve prendersi questo disturbo per noi. Possiamo cavarcela da soli, davvero.”

Lei rivolse loro un sorriso amorevole, talmente dolce e rassicurante da far sciogliere a tutti e tre il cuore. “Sciocchezze. Non fatevi problemi, e chiedete tutto quello che desiderate,” ribatté, esortandoli con dolcezza a prendere ciò che gradivano.

Non se lo fecero ripetere. Ordinarono in un batter d’occhio le focacce, divorandole con una voracità disumana in meno di dieci secondi. Ma non si fermarono certo lì. Dopo aver mangiato infatti, la donna si offrì di accompagnarli per acquistare loro tutto ciò che volevano anche dagli altri stand, fornendo ai tre bambini un’occasione d’oro per le loro menti… e i loro stomaci. E dalle altre bancarelle i tre presero rispettivamente delle paste salate, alcuni tranci di pizza, diversi panini ripieni di panna e zucchero, un rotolo di zucchero filato, delle ciambelle ricoperte di zucchero, e infine anche della frutta ricoperta di cioccolato. E mangiarono tutto, letteralmente tutto, senza esitare o farsi domande, incapaci di fermarsi adesso che avevano la possibilità di provare tutte quelle leccornie che tanto avevano desiderato e che mai prima d’ora avevano potuto permettersi. E la donna li lasciò fare, pagando ogni cosa per loro, limitandosi solo ad osservarli con un sorriso pieno di emozioni strane ed indecifrabili.

Fino a quando, le conseguenze delle loro azioni iniziarono a farsi sentire.

“Uuuuh… Che maleeee…” gemette sommessamente Uraraka, reggendosi la pancia con le mani mentre la donna e Deku l’aiutavano a mettersi seduta sopra una panchina più isolata dalla calca di gente che imperversava per le strade in festa.

Trunks scosse la testa. “Sei stata troppo ingorda,” l’ammonì con ironia. “Te l’avevo detto che dovevi fermarti prima.”

“Ma se ho mangiato quanto voi!” protestò lei, indignata. “E poi, ne è valsa la pena. Non mi sarei persa un’occasione del genere per niente al mondo.”

“Già,” concordò Deku, fissando con un sorriso imbarazzato la donna che li stava accompagnando ancora adesso. “Ed è tutto merito suo, Hinata-san. Non sappiamo davvero come ringraziarla. Quello che ha fatto per noi…” non riuscì a terminare la frase.

Ma quest’ultima scosse la testa con decisione. “Non fatevi questi problemi,” li rassicurò dolcemente, accarezzando la testa di Uraraka. “Siete dei bambini. Ogni tanto meritate anche voi di sbizzarrirvi in questo modo. Sono contenta di avervi potuto aiutare. Anche se in effetti dovreste contenervi di più in futuro,” aggiunse poi, fissando la bambina con un sorriso. “Esagerare può avere delle conseguenze pesanti. Ci vuole una giusta misura in tutte le cose.”

Lei annuì, ancora dolorante. “S-Sì, l’abbiamo capito…” sussurrò vergognosamente.

Hinata ridacchiò. “Questa è la cosa importante.”

Deku la osservò con riconoscenza, posando poi lo sguardo verso il resto delle bancarelle e delle attrazioni che continuavano a richiamare gente lungo le strade. “Però… sarebbe bello se ci fosse una festa del genere ogni giorno,” disse lentamente all’improvviso.

La Hyuuga puntò a sua volta gli occhi pallidi verso la festa. “Sì, lo penso anch’io.”

Nonostante la sua pancia dolorante, Uraraka sorrise a sua volta, puntando lo sguardo al cielo azzurro. “Sapete, ultimamente stanno succedendo diverse cose, non è vero?” chiese loro.

Gli altri tre la guardarono con confusione. “Già… è così,” ammise Trunks.

La bambina non smise mai di sorridere. “Qualcosa mi dice… che presto le cose stanno per cambiare.”

Hinata la osservò di sbieco per diversi secondi, abbozzando un sorriso indecifrabile. “Sai una cosa, piccola? Hai ragione,” disse subito dopo, puntando immediatamente lo sguardo verso due figure indistinte che vide camminare in mezzo alla folla per la strada, una dai capelli corvini e una dai capelli bianchi come la neve. Il suo sorriso le scomparve dalle labbra.

“…hai proprio ragione.”
 


27 Settembre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Strada Principale
10:30

Sarada non disse alcuna parola quella mattina, assorta nei suoi pensieri, continuando a camminare per le vie affollate del Villaggio, mentre la voce della persona che la stava accompagnando le risuonava di tanto in tanto distrattamente nelle orecchie. Non aveva lasciato spazio al divertimento nemmeno in quell’occasione di festa. Dopotutto, il Summit sarebbe cominciato in pochissimi giorni, e per questo la corvina si era concentrata sul lavoro. La maggior parte dei Kage e dei Daimyo delle varie Nazioni era ormai giunta qui nel Villaggio, ovviamente in gran segreto, ma era stata comunque seguita da orde incalcolabili di civili e Ninja di ogni tipo. Era per questo che era stata allestita questa festa popolare. Ed era sempre per questo che lei doveva stare all’erta. Avrebbero potuto esserci spie in ogni angolo della strada, ed era suo compito e dovere assicurarsi della sicurezza.

Soprattutto visti gli eventi che avrebbero avuto luogo a breve. Tra tre giorni il Summit sarebbe ufficialmente iniziato con una festa nella Fortezza del Villaggio. Una cena ristretta e privata, a cui avrebbero partecipato solamente i Kage, i Daimyo e le più alte cariche e nobiltà del mondo. Oltre che ai servitori e agli addetti alla sicurezza come lei, ovvio. Tutte le persone più importanti del mondo riunite finalmente assieme in una stanza. Rappresentanti delle Nazioni Alleate e della Rivoluzione, indistintamente, per la prima volta uniti assieme sotto lo stesso tetto per parlare pacificamente. Era naturale che avrebbero potuto esserci complicazioni, ma lei era qui per questo: per fare in modo che tutto potesse andare liscio. Ed era anche un’occasione importante per fare bella figura e conoscere persone di ceto elevato. La sicurezza sarebbe stata garantita dalla presenza costante di centinaia di ANBU e Shinobi per tutta la durata dell’evento, e anche oltre.

E Sarada avrebbe fatto in modo che niente potesse andare storto durante quell’evento. Lo aveva giurato a sé stessa e all’Hokage.

Eppure, di tanto in tanto, la sua mente si distraeva da quei pensieri mentre i suoi occhi guizzavano ad osservare il ragazzo che la stava accompagnando. Davvero, era rimasta stupita dal fatto che quella persona fosse improvvisamente ricomparsa nella sua vita ancora una volta. Non si sarebbe mai aspettata di rivedere Shin Uchiha, uno dei cloni creati da quell’uomo malvagio e folle che il Settimo e suo padre avevano combattuto quando lei era ancora una ragazzina. Per tutti questi anni, lei aveva creduto che Shin e tutti i suoi fratelli fossero rimasti nascosti nell’orfanotrofio segreto di Kabuto, dove li avevano lasciati dopo la morte del loro creatore, e che lì sarebbero rimasti fino alla fine.

Eppure, a quanto sembrava, uno di loro era stato mandato qui per aiutarla sotto ordine di Kabuto.

Pensare a Kabuto Yakushi creava sentimenti contrastanti in Sarada. A quanto ne sapeva, quell’uomo era stato un Nukenin e un criminale di prima categoria ai tempi in cui suo padre era giovane. Un pazzo scatenato e ossessionato dalla figura di Orochimaru, talmente tanto da averlo persino servito fedelmente per anni. Eppure, secondo quanto le aveva riferito l’Hokage quando era andata a chiedergli spiegazioni, Kabuto si era pentito dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale, ed era rimasto nascosto e al sicuro in un orfanotrofio segreto nei confini della Foglia, senza più curarsi del mondo.

Un cambiamento radicale, senza ombra di dubbio.

Eppure, Sarada non sapeva sinceramente cosa pensare di tutta quella faccenda. Shin Uchiha non era una persona di cui si sapeva molto, ma il fatto che possedesse anche lui lo Sharingan Ipnotico lo rendeva… speciale, nella sua opinione. Era una cosa che li accomunava, in fondo. Anche se era un clone, era l’unico a parte lei e suo padre che possedesse il Dojutsu (Arte Oculare) maledetto del suo clan. Era simile a lei, sostanzialmente.

“Capitano, qualcosa la turba?” domandò lui, notando che lo stava osservando di sbieco.

Lei scosse la testa. “No, non è niente,” lo rassicurò subito. “Piuttosto, come stanno i tuoi fratelli?”

Quello fissò la festa con occhi annoiati. “Stanno bene. Padre Kabuto si prende molta cura di tutti noi. E finché resteremo nascosti nella sua casa, nessuno verrà a farci del male.”

Sarada annuì, posando lo sguardo verso le bancarelle e le attrazioni che adornavano le strade. Un profondo senso di responsabilità le pervase la mente mentre osservava i sorrisi e l’allegria che aleggiava nei volti dei passanti. Era così che sarebbero dovute andare le cose. Era questo ciò che lei perseguiva: la Pace. Non la crisi e i conflitti che la Rivoluzione stava ancora fomentando. “Dobbiamo fare in modo che questo Summit proceda per il meglio,” disse allora ad alta voce, tornando seria e determinata come sempre. “Non possiamo abbassare la guardia nemmeno per un istante. Conto su di te in questo, Shin.”

Shin annuì, solenne e determinato quanto lei. “Non la deluderò,” promise fedelmente.

Sarada non riuscì a trattenere un piccolo sorriso dalle labbra. Tuttavia, il suo sorriso scomparve quando vide due figure iniziare ad avvicinarsi verso di lei, mutando la sua faccia nella solita espressione seria e accigliata che portava mentre era in servizio. Accanto a lei, Shin rimase solenne come al solito.

Shikadai e Himawari si unirono a loro con passo tranquillo. Stavano mangiando delle piccole crepes farcite di salse. “Pensavo che non saresti venuta oggi,” affermò con stupore il Nara, rivolgendosi alla corvina.

“Come mai?” chiese lei, seria.

“Beh, tra di noi sei quella che ha preso più seriamente il tuo lavoro,” ammise senza mezzi termini quello. Stava sorridendo con ironia, quasi come se la stesse provocando per gioco. “Da quando sei diventata Capitano degli ANBU, nonché responsabile della sicurezza, hai sempre rifiutato di uscire e divertirti con noi. Ci stavamo preoccupando.”

L’Uchiha sospirò con esasperazione, ma sorrise a sua volta. In effetti doveva ammettere che il suo amico aveva ragione. Il lavoro le stava dando alla testa, ma non poteva evitarlo. Voleva dare il meglio di sé, e fare una bella impressione. Il suo sogno era diventare Hokage, dopotutto. “In realtà sono qui per lavoro,” ammise, grattandosi un braccio. “Io e Shin stavamo facendo un giro di ricognizione, tutto qui.”

“Vi spiace se ci uniamo a voi?” chiese allegramente Himawari. Scoccò un’occhiata saccente al suo neo fidanzato. “Dopotutto, un certo qualcuno qui farebbe meglio a prendere esempio da voi due su come si lavora seriamente.”

Sarada non riuscì a trattenere una risatina appena vide l’espressione imbarazzata di Shikadai. “Certo, nessun problema,” li rassicurò senza esitazione. Poi, mentre passeggiavano allegramente tutti e quattro per le strade parlando del più e del meno, si rivolse alla giovane Uzumaki. “Hima, posso chiederti una cosa?”

La ragazza annuì. “Cosa c’è?”

“Voglio solo sapere… che cosa hai intenzione di fare?” chiese seriamente la corvina, fissandola con attenzione. “Insomma, so che hai temporaneamente lasciato il Corpo dei Ninja, per cui non sei attualmente in servizio, però… hai deciso cosa farai dopo?”

Quella scosse la testa, abbassando lo sguardo. “Ad essere sincera, non ancora,” ammise con lentezza. “È ancora… troppo presto per me. Forse ho solo bisogno di tempo.”

Sarada preferì non aggiungere altro. Sapeva bene che la sua amica stava passando ancora un periodo difficile. Con la scomparsa di suo fratello e la situazione complessa che viveva in famiglia, non c’era da stupirsi che avesse deciso di prendersi una pausa per riflettere, per prendere una decisione sulla sua vita. E queste cose richiedevano tempo. Non era facile, soprattutto alla sua età, e Sarada lo sapeva bene. Da quando era tornata da Eldia, lo aveva vissuto lei stessa sulla sua pelle. E ce ne aveva messo di tempo prima di riuscire a riprendere a lavorare.

Per cui, se Himawari aveva bisogno di altro tempo, chi era lei per poterla giudicare?

“Non preoccuparti,” la rassicurò, mettendole una mano sulla spalla. “Prenditi tutto il tempo che ti serve. E se ti senti sola e hai bisogno di parlare con qualcuno, sappi che io ci sono sempre.”

Himawari le rivolse un sorriso pieno di riconoscimento. I suoi occhioni azzurri brillavano di emozione. “Grazie, Sarada, davvero. Anche se ultimamente, grazie ad un certo qualcuno, la solitudine ormai è una cosa che non sto più sperimentando da tempo,” aggiunse, fissando un’altra occhiata divertita verso la sua destra. “Non è vero?”

Il volto del Nara divenne paonazzo come un pomodoro. “Hima!”

L’Uchiha scoppiò a ridere, seguita a ruota anche dagli altri due, incapace di trattenere le risate dopo quella scena così imbarazzante. Tuttavia, appena si fu ripresa dal divertimento, la sua espressione tornò seria e sospettosa all’istante. Perché, nonostante tutto quello che era successo, fu solo dopo diversi secondi che i suoi occhi si resero conto di una cosa.

Il nuovo arrivato nel loro gruppo non aveva riso assieme a loro, senza mai nemmeno accennare un sorriso per tutto quel tempo.

Sarada si accigliò.
 


29 Settembre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Strada Principale
21:13

“E così le cose procedono bene?”

Deku annuì, grattandosi leggermente il naso con un sorriso sincero sulle labbra. “Già. Adesso che i lavori per il Summit sono terminati, io e Trunks possiamo riposarci, mentre domani Uraraka inizierà a fare la cameriera per la cena dei nobili che si terrà nella Fortezza. E con i soldi che racimolerà una volta che avrà finito… potremo andare avanti per un bel po’.” spiegò allegramente, dondolandosi sulla panchina mentre osservava la folla che passeggiava nelle strade. Anche se ormai era scesa la notte, la festa popolare continuava ad andare avanti senza interruzioni da giorni.

Dopotutto, adesso che il Summit era quasi iniziato, la gente si sarebbe fermata nel Villaggio di Questo fino alla sua fine. Era qui, in questo luogo, che la storia sarebbe stata scritta. Era un evento mediatico che aveva attirato centinaia di turisti e curiosi, oltre che innumerevoli giornalisti e la televisione. Gli occhi del mondo erano puntati lì, in fondo.

Saigo annuì, la sua faccia nascosta dall’oscurità del suo cappuccio da viandante. “Capisco. Sono lieto di vedere che le cose stanno migliorando per voi. E a proposito di questo,” tirò fuori dalla sua cappa una valigetta di piccole dimensioni, posandola sulla panchina accanto al bambino. Quello la osservò con evidente confusione. “Questa è la ricompensa che vi spetta per aver lavorato per conto mio. Prendila.”

Deku sgranò gli occhi non appena aprì la valigetta e ne osservò il contenuto, sgomento. “M-Ma sono tantissimi!” esclamò, incredulo. La spinse vergognosamente indietro. “Non posso accettare una paga del genere!”

“Insisto. Te la sei meritata. E poi, non hai forse detto che volevi restare sempre assieme ai tuoi amici? Questi soldi vi permetteranno di vivere autonomamente per un po' di tempo,” ribatté semplicemente l’altro, arruffandogli con orgoglio i capelli spettinati.

Il bambino abbassò la testa, sorridendo pateticamente e ammiccando lacrime dagli occhi. “N-Non so davvero come ringraziarla, signor Saigo,” balbettò con emozione, accennando un inchino. “Davvero, lei ha fatto troppo per me e per i miei amici. Le sarò per sempre debitore.”

Saigo ridacchiò, scuotendo leggermente la testa. Poi però, la sua figura si fece solenne e silenziosa come non mai, tornando nei suoi pensieri e fissando il cielo oscuro.

Il giovane notò subito il suo cambio d’umore. Anche se non mostrava mai il suo volto, quell’uomo sembrava decisamente diverso dal solito. “Cosa le succede? Oggi sembra più triste del solito. Le è successo qualcosa, se posso chiederlo?” domandò lentamente, preoccupato.

Quello fissò il cielo stellato per un po' di tempo. “È stato un periodo difficile,” si limitò a dire alla fine, misterioso, la sua voce che suonava seria e bassa, in netto contrasto con l’aria allegra che era solito mostrare in passato. “E in realtà… c’è un ultimo favore che vorrei chiederti, Deku.”

Il giovane si raddrizzò all’istante. “Di che si tratta, signor Saigo?” esalò immediatamente, fissandolo con tutta l’attenzione del mondo.

L’uomo misterioso puntò lo sguardo sul suo volto innocente. “È un favore che posso chiedere soltanto a te, ragazzo mio,” ammise, tirando le mani fuori dalla sua cappa e fissandosele con tristezza. “Un favore che potrebbe sembrarti strano, ma che è l’unico mezzo che possiedo per poter comunicare con la mia famiglia, all’interno della Fortezza.”

“La sua famiglia?” ripeté Deku, inclinando la testa con confusione.

Saigo annuì. “Io e la mia famiglia siamo in rapporti… complicati,” spiegò lentamente, la sua voce bassa e velata da una sottile nota di emozione che il piccolo bambino non riuscì a distinguere per bene. “Non ci vediamo da anni. Ma non posso semplicemente entrare nella Fortezza e presentarmi davanti a loro come se niente fosse. Ogni oggetto e ogni persona che entrano in quel posto devono essere controllati ed esaminati. Per questo ho bisogno del tuo aiuto per raggiungerli. Io… Io voglio solo che la mia famiglia sappia che sono qui, e che sto bene.”

Il giovane rimase in silenzio per diversi secondi dopo quelle sue parole, incerto su cosa pensare. Poi però scosse la testa, si batté una mano sul petto e sfoggiò un sorriso a trentadue denti. “Non si preoccupi! Se le cose stanno così, allora le prometto che l’aiuterò in qualsiasi modo! Lei ha fatto così tanto per me, e nessuna famiglia dovrebbe restare separata a lungo! Perciò, se posso aiutarla, mi dica solo cosa vuole che faccia e io lo farò!” giurò con determinazione e serietà, senza la minima esitazione nel suo volto.

L’uomo senza volto rimase in silenzio per diverso tempo. Poi, senza che l’altro potesse vederlo, sorrise con gratitudine sotto al suo cappuccio. “Grazie mille, Deku,” disse sinceramente. Posò una mano sulla sua testa, arruffandogli la chioma e facendolo ridacchiare di gioia.

“Sembra che alla fine, tra noi due, il vero debitore sia sempre e solo io.”
 









 

Note dell’autore!!!

Salve a tutti, gente! Ecco a voi il nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto.

Questo sarà l'ultimo capitolo introduttivo e, passatemi il termine, tranquillo prima degli eventi principali. Già dal prossimo, avremo modo di cambiare le carte in tavola. Volevo mostrare un temporaneo momento di pace per Boruto e gli altri per sviluppare meglio i personaggi e i loro pensieri. E anche per mostrare una piccola evoluzione nel nostro Nukenin. Dopotutto, adesso sta finalmente cominciando a realizzare coi suoi stessi occhi le conseguenze delle sue azioni. Conseguenze che non sempre hanno avuto esiti positivi per le persone che aveva giurato di aiutare. Per questo sta iniziando ad avere dei dubbi sul suo operato.

Inoltre, adesso il Summit mondiale che tanto abbiamo atteso ha raggiunto il suo inizio ufficiale. Siamo arrivati ad un punto cruciale della vicenda. Nel prossimo capitolo vedremo finalmente come si svolgerà l’evento (sarà un Summit diverso da tutti quelli precedenti, visto che i tempi sono cambiati, quindi non posso farvi spoiler su cosa ho in mente per esso. Sappiate però che non si svolgerà come quello che fu interrotto da Sasuke), assieme a ciò che Sarada, Boruto, e anche molti altri vivranno durante quelle fatidiche e importantissime ore. Così come, a breve, rientreranno in scena anche i Kara. Non mi sono affatto dimenticato di loro, ma ho preferito non mostrarli dato che sono sempre in prigione. Non avrebbero molto da raccontare, diciamo.

Il piano di Boruto verrà sommariamente rivelato già nel prossimo capitolo, quindi non dovrete attendere molto. Spero di riuscire a pubblicarlo il prima possibile, io ce la metterò tutta. Ve lo assicuro.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. I vostri commenti sono ciò che mi dà la carica per continuare a portare avanti la vicenda, quindi gradirei moltissimo sapere cosa ne pensate. Grazie mille a tutti in anticipo, e a presto!

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Capitolo 8
*** L'Inizio del Summit (2) ***


L’INIZIO DEL SUMMIT (2)





 

30 Settembre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Fortezza
20:00

CENA D'APERTURA DEL SUMMIT MONDIALE

Uraraka era rimasta a bocca aperta.

Faceva ancora fatica a credere ai suoi occhi. Sebbene fosse pienamente consapevole del fatto che quello che stava accadendo dinanzi a lei in quel momento fosse reale e concreto, la vista di tutta quella ricchezza e di tutta quella preponderante bellezza era uno spettacolo completamente nuovo per lei.

L’immensa sala d’ingresso del castello era stata allestita appositamente per l’evento, rendendola sfarzosa ed elegante con tappeti di tessuto pregiato, di un colore rosso acceso come quello delle tende, assieme a dei drappi ricamati bianchi che allestivano e rendevano visivamente più piacevole l’atmosfera dell’ambiente. Una decina di eleganti tavoli rotondi rivestiti da lunghe tovaglie bianche in seta erano stati distribuiti per tutta la sala, pieni di pietanze colorate e appetitose di ogni forma e dimensione, provenienti tutte da ogni Nazione esistente del pianeta. Vicino alla scalinata che portava ai piani superiori, poi, un enorme banchetto pieno di bicchieri di cristallo e bottiglie di ogni tipo era stato allestito, già pronto e preparato fin nei minimi dettagli. Il tutto infine era illuminato dalla forte e costante luce irradiata dall’enorme lampadario circolare di cristallo che pendeva dal soffitto, talmente grande e possente da riuscire ad irradiare con la sua luce ogni angolo dell’ingresso della Fortezza. Era uno spettacolo mozzafiato. Mai prima d’ora, in tutta la sua vita, Uraraka aveva visto una scena del genere.

Ma non era tanto la vista di quell’elegantissima sala ciò che la stava stupendo veramente. Dopotutto, Uraraka lo sapeva, quel castello era antico e sfarzoso. Si era aspettata che fosse elegante. No, la cosa che più la mise in soggezione in quel momento fu vedere, coi suoi stessi occhi, gli invitati alla cena.

Ecco, quella era una vista che non si vedeva ogni giorno.

Erano tutti lì. Kage, Daimyo, funzionari, nobili, consiglieri e gente di alto rango. Tutti uomini e donne famosi, potenti, e soprattutto ricchi. Estremamente ricchi. Volti che lei, una mera bambina di dieci anni senza esperienza, aveva a malapena visto qualche volta in televisione. Persone importanti, di arte e cultura, di potere e di scienza, tutti vestiti elegantemente con abiti sfarzosi e pomposi dai colori più disparati e dalle forme più bizzarre, proprio come si addiceva all’etichetta di una cena di gala. Stavano tutti lì, riuniti nell’immensa sala; intenti a discutere tra di loro, a parlare, a ridere e scherzare. Il tutto mentre mangiavano e bevevano liberamente tra i tavoli, afferrando bicchieri e sollevando piatti e pietanze di ogni tipo. Il loro vociare riempiva tutta la stanza con costanza, fatto di risate, brindisi amichevoli e saluti formali. In sostanza: era una vera e propria festa per gli occhi.

“Già, decisamente uno spettacolo che non si vede spesso,” ammise mentalmente la piccola cameriera, osservando quelle facce così importanti con gli occhi sgranati. “Alcune di queste persone le ho viste in televisione o sui giornali. E quello è il Settimo Hokage in carne ed ossa!”

Era talmente stupita da essere rimasta ferma e immobile per un lasso di tempo indefinito. Mentre era persa nel suo stupore, una cameriera più grande le diede una pacca sulla spalla, facendola trasalire per lo spavento. Uraraka osservò il volto della donna con imbarazzo. “S-Sì?” esclamò, ancora scossa.

Quella le sorrise, abbastanza nervosa a sua volta. “Cerca di non restare imbambolata,” le sussurrò nell’orecchio, indicandole con un dito i tavoli presso cui quegli ospiti di elevato rango si soffermavano sempre più. “Sai quello che devi fare. Siamo state istruite per diventare ottime cameriere. Ecco, guarda. Si cominciano già a vedere dei bicchieri vuoti.”

La bambina si riscosse, ingoiando il suo timore e annuendo con la testa. Lo stupore le aveva fatto momentaneamente dimenticare per quale motivo si trovava lì. E lei aveva un lavoro da svolgere.

Dandosi uno schiaffetto sulle guance, Uraraka non perse altro tempo, afferrando con entrambe le mani dei grossi vassoi di metallo luccicante pieni di bicchieri di vino, e iniziando rapidamente a fare un giro in mezzo agli invitati. Ecco, era quello il suo ruolo: fare da cameriera. Il signore feudale che aveva assoldato lei e tutte le altre cameriere presenti era stato intransigente con loro, ripetendo più e più volte quanto dovessero essere precise e affidabili. Ogni bicchiere vuoto doveva essere prontamente sostituito, ogni piatto sporco raccolto e messo da parte, e gli invitati dovevano essere perennemente serviti. Non erano ammessi errori o momenti di riposo. Ogni secondo sprecato e ogni sbaglio commesso sarebbe stato scalato dal compenso finale.

Un’eventualità che lei non aveva nessuna intenzione di sperimentare.

“Darò il meglio di me stessa,” giurò mentalmente, rafforzando la sua decisione. “Deku, Trunks… non posso deluderli. Devo farlo per loro, ad ogni costo.”

E quella era una promessa.
 


Sarada sapeva che quello non era il suo posto.

Doveva essere sincera con sé stessa: ritrovarsi nella stessa identica sala in cui erano riunite le più alte cariche del pianeta faceva uno strano effetto. Dire che fosse emozionata era scontato, oltre che riduttivo. Stava letteralmente sudando freddo per la tensione. Starsene in mezzo a tutte quelle persone così importanti, vestite con gli abiti più eleganti e sfarzosi che i suoi occhi avessero mai visto, la faceva stranamente sentire… fuori posto, quasi. Lei non avrebbe dovuto essere lì, e ne era consapevole. Non ancora, almeno. Ma era a questo che ambiva da una vita, era questo il suo obiettivo. Doveva arrivare a quel livello. Per riuscire a farsi un nome, per diventare Hokage, e per poter finalmente portare e garantire una pace duratura in tutto il mondo e a tutti i popoli. Era un’eredità che Boruto stesso le aveva lasciato, nella sua opinione.

E Sarada fu grata del fatto di non essere stata costretta a doversi vestire formalmente come tutte quelle persone. La sua veste ufficiale da ANBU della Foglia non le era mai apparsa così rassicurante prima d’ora. Lei era presente solamente per fare la guardia, esattamente come la ventina di ANBU disposti per tutta la sala per motivi di sicurezza. Il loro compito era vigilare, sorvegliare, e garantire che non ci fossero movimenti sospetti tra gli invitati. Dopotutto, non tutte le persone presenti andavano d’amore e d’accordo. Alcuni Kage e Signori feudali erano in aperto contrasto tra di loro. Se fosse successo qualcosa, intervenire per ristabilire l’ordine era compito suo e delle altre guardie.

I suoi occhi nascosti dalla maschera ANBU guizzavano attentamente in ogni direzione per osservare i volti di ogni singolo invitato mentre se ne restava sull’attenti, addossata ad una parete con le braccia incrociate dietro la schiena. Con tutti i suoi anni di esperienza e tutte le conoscenze che aveva accumulato nella sua vita, la ragazza non si stupì affatto quando realizzò di conoscere la maggior parte degli invitati. Solo di nome o di vista, ovviamente. Molti dei volti che stava osservando li aveva visti solo nei notiziari, dopotutto, ma non per questo fece fatica a riconoscerli.

Sarada li scandagliò uno per uno con la mente, facendosi mentalmente nota di tutti coloro che erano sostenitori della causa dell’Unione:

Shibuki, il Terzo Takikage della Terra delle Cascate. Un uomo alto sulla quarantina, con lunghi e fluenti capelli castani ed un paio di occhi sottili dallo sguardo severo. La sua storia era strana, e non apparteneva a nessun clan, per quanto lei ne sapesse. Ma la cosa più importante era che quell’uomo era uno dei maggiori sostenitori delle Nazioni Alleate.

Sumaru Tei, il Quarto Hoshikage della Terra degli Orsi. Era un giovane bassino e dai capelli corti, ma Sarada lo trovava interessante. Governava il Villaggio della Stella, così nominato per via di un meteorite che, secoli e secoli prima, era atterrato nei pressi del Villaggio. Anche lui sosteneva l’idea di pace dell’Hokage e del Kazekage.

Mifune, il Samurai Generale della Terra del Ferro. Era un anziano dalla lunga barba bianca e dagli occhi severi. A quanto ne sapeva, quell’uomo era stato sin da sempre il mediatore di tutti i precedenti incontri politici tra i Kage. Questo, ovviamente, prima che l’Unione venisse dissolta. Il suo Paese era sempre stato neutrale, ma era risaputo da tutti al giorno d’oggi che i samurai appoggiassero la causa del Settimo.

Mei Terumi, il Quinto Mizukage della Terra dell’Acqua. Un’elegante donna in carne con dei lunghi capelli rossicci e dei profondi occhi verde smeraldo. Vederla per la prima volta dal vivo rese decisamente di malumore la giovane Uchiha. Questo perché, sin da quando il Sesto Mizukage era stato assassinato dall’Organizzazione Kara, Mei aveva ripreso la carica che aveva affidato a Chojuro. Ma ancora adesso, la Nebbia e la sua gente vivevano nella crisi a causa dei mercenari e del crescente consenso della loro popolazione nei confronti della Rivoluzione. Era un ricordo costante della situazione precaria in cui si trovava il mondo.

In una situazione di attuale neutralità, invece, si trovava Kurotsuchi, il Quarto Tsuchikage del Paese della Terra. Vedere quella donna era estremamente irritante per Sarada, così come per la maggior parte dei presenti. Kurotsuchi aveva intrapreso una sanguinosa guerra contro la Sabbia in passato, e se non fosse stato per l’intervento dell’Hokage, oggi quella Nazione sarebbe potuta essere distrutta come era avvenuto con la Nuvola. Ma dopo la sua sconfitta, la Tsuchikage sembrava aver assunto una posizione neutrale nel conflitto, per non mettere ulteriormente a rischio il suo Paese. Ma questa cosa non l’aveva salvata certo dal disprezzo generale che si era accollata con le sue azioni.

Ma oltre a questi, ovviamente, c’erano anche i Kage che si erano dichiarati – in un modo o nell’altro – favorevoli alla Rivoluzione:

Kaya Uzumaki, il Terzo Uzukage della Terra del Vortice. Sarada aveva visto diverse volte quella donna dai lunghi capelli rossi, accompagnata anche da Jin Uzumaki, ma ad oggi non sapeva cosa pensare di lei. Teoricamente, il Vortice era un Paese neutrale, ma sin da quando sua figlia Kairi era stata condannata a morte per colpa delle sue azioni nei Kara, Kaya aveva palesemente minacciato di unirsi alla Rivoluzione se quella scelta non fosse stata revocata. Le sue minacce non erano state ascoltate, tuttavia, e ad oggi non era chiaro quali fossero le reali intenzioni della donna.

Uto Kirigaya, il Secondo Otokage della Terra del Suono. Era un uomo alto e muscoloso, con una strana cicatrice sulla faccia. Era diventato il leader del Suono da poco tempo, visto che prima di lui l’unico altro Kage in quella Nazione era stato Orochimaru, molti anni prima. Il Suono aveva finalmente raggiunto una situazione di stabilità sotto al suo comando, ma Uto aveva sempre dichiarato di sostenere gli ideali ribelli, ricordandosi delle gesta solidali che Boruto aveva compiuto liberando il suo Paese dagli esperimenti del Sannin.

Haruko la Salamandra, il Terzo Amekage della Terra della Pioggia. Quella era una donna con cui Sarada sperava di non dover mai avere a che fare. Era stata il primo Kage ad unirsi alla causa della Rivoluzione, nonché la stessa donna che aveva assoldato il Nukenin più famoso del mondo per combattere nella guerra di conquista del suo Paese. Sarada non l’aveva ancora perdonata per quello. Era una persona forte e autoritaria, sprezzante di tutto e tutti, e in molti la temevano per la sua parentela con il famoso e infamato Hanzo, il precedente Amekage della Pioggia.

Kuneo Adiba, il Quinto Yukage della Terra del Vapore. Era un uomo basso, grassoccio e tarchiato. Si era unito di punto in bianco alla Rivoluzione due anni prima, e ancora adesso non si conosceva una motivazione ufficiale. Secondo una sua testimonianza, lo aveva fatto perché temeva il crescente ritorno al militarismo della Foglia e della Roccia, ma il vero motivo ad oggi rimaneva un mistero. Alcuni ritenevano che lo avesse fatto per profitto, altri che fosse stato costretto dall’Organizzazione Kara. Ma in ogni caso, quell’uomo era rimasto fedele una volta entrato nei Ribelli.

Zeil Fumi, il Kusokage della Terra dell’Erba. Poco o nulla si sapeva su di lui, se non che fosse l’ultima aggiunta ai ranghi dei Ribelli. Si era unito alla Rivoluzione da poco meno di un anno, ed era anche l’attuale governatore dei territori che, fino a due anni prima, appartenevano alla Terra del Fulmine. Con la distruzione della Nuvola, adesso tutta quella Nazione apparteneva a lui, assieme anche alla Terra dell’Erba. Questa cosa aveva aumentato enormemente la sua influenza in pochissimo tempo.

Ma oltre a tutti questi, c’erano anche altre persone di rilievo presenti nella sala. Oltre all’incalcolabile numero di nobili, Signori feudali e governatori di cui Sarada non sapeva nulla, tutti e quattro i Daimyo erano lì a loro volta – in teoria dovevano essercene cinque, ma da quando il Fulmine era diventato parte dell’Erba il Daimyo di quella Nazione era stato assassinato e mai più sostituito – e stavano discutendo assieme tra di loro su diverse questioni. Di essi, Sarada conosceva soltanto Ikkyū Madoka, l’attuale Daimyo del Fuoco. Era un uomo alto e dalla barba e i capelli grigiastri, nonché uno degli imprenditori più ricchi del Paese. Gli altri, sebbene fossero importanti, avevano un ruolo meno incisivo nella politica del mondo.

Sarada distolse la mente da quei pensieri e posò gli occhi sulle due figure che più di tutte rispettava tra i presenti. Il Settimo Hokage e il Quinto Kazekage se ne stavano quasi sempre assieme mentre parlavano e salutavano diversi ospiti, vestiti coi loro abiti ufficiali, e seguiti a ruota dalle loro scorte. Gaara aveva portato con sé Shinki, il suo figlio adottivo, assieme anche a Temari – una cosa che stupì non poco l’Uchiha, visto che si era aspettata di vedere Kankuro al suo posto – mentre Naruto-sama era invece affiancato dall’inseparabile consigliere Shikamaru e da sua moglie.

Ma questi ultimi non erano i soli ad essere giunti dalla Foglia. Anche Kakashi Hatake, il Sesto Hokage, era incredibilmente presente quella sera. Vederlo lì presente in mezzo a tutti quei volti familiari, vestito con un abito elegante e col volto perennemente nascosto dalla sua maschera, la stupì non poco. Durante questi ultimi due anni, il Sesto si era fatto vedere solo raramente in pubblico, preferendo passare i giorni della sua pensione in segreto. E Sarada non aveva più saputo nulla su di lui sin da quando era tornata da Eldia. Tuttavia, sembrava che quell’uomo particolare avesse deciso di mostrarsi di nuovo in quest’occasione importante. La cosa la rassicurò, stranamente. Lo osservò con un sorriso velato mentre parlava e discuteva con Naruto e Hinata, ridendo ad alta voce.

Sarada trattenne un sorriso triste alla visione di marito e moglie senza la figlia. Sapeva bene che Shikadai non sarebbe potuto entrare, ma aveva sperato che Himawari potesse essere ammessa in quanto Principessa del clan Hyuuga. La sua presenza forse l’avrebbe aiutata ad essere meno nervosa in mezzo a quella calca di pezzi grossi. Ma, a quanto pareva, la giovane Uzumaki aveva rifiutato l’invito. E Sarada preferiva non commentare su quella decisione.

Fu mentre era immersa in quei pensieri che i suoi sensi allenati percepirono l’arrivo imminente. La ragazza si limitò a spostare lo sguardo verso destra, per nulla stupita quando vide la sua amica, l’agente Orso, comparirle accanto dal nulla tramite uno Shunshin no Jutsu (Tecnica del Movimento Corporeo Istantaneo). “Natsuki,” la salutò formalmente, seria. “Come procede la ronda?”

L’ANBU abbassò la testa con rispetto. “I nostri uomini continuano a perlustrare ogni centimetro del castello,” riferì doverosamente la Nara. “Non abbiamo trovato traccia di alcun movimento sospetto. La Fortezza è pulita.”

Sarada rimase impassibile, spostando nuovamente lo sguardo verso la sala e gli invitati. “Continuate a cercare.”

Non ci fu altro da aggiungere. Orso la salutò fedelmente, prima di svanire da lì come se non fosse mai arrivata. La ragazza sospirò di sollievo, ma ebbe solo due secondi per riprendere il contegno. Dopotutto, l’occhiata strana che l’Hokage e le persone accanto a lui le stavano rivolgendo di tanto in tanto non le passò per niente inosservata.

E nonostante avesse cercato di trattenerla con tutto il cuore, un piccolo senso di ansia cominciò ad insinuarsi nella mente dell’Uchiha.
 


“U-Uzukage-sama, è bello rivederla.”

Kaya chiuse gli occhi e sospirò con pesantezza. Accanto a lei, Jin le lanciò un’occhiata tesa e preoccupata, ma lei scosse impercettibilmente la testa per fermarlo prima che potesse fare qualcosa. Poteva gestirla da sola, decise. Posò lentamente sul tavolo il bicchiere di vino che stava sorseggiando fino a quel momento e rivolse al suo futuro successore uno sguardo rassicurante. Anche senza voltarsi, sapeva benissimo chi era la persona che l’aveva salutata. Avrebbe riconosciuto quella voce anche ad occhi chiusi.

Si girò lentamente, sfoggiando in volto un’espressione spenta e formale. “Hokage-sama,” disse solennemente. “A cosa devo il piacere?”

Naruto esitò visibilmente, grattandosi il collo con nervosismo. “Ecco, volevo solo ringraziarla,” ammise, sorridendo con tristezza. “Per aver accettato il mio invito. Non sa quanto questa cosa significhi per me.”

L’Uzukage rimase in silenzio per diversi secondi di tempo. “Non potevo mancare,” disse alla fine, la sua voce abbattuta. “Dopotutto, domani sarà l’ultima volta che avrò modo di vedere ciò che resta della mia famiglia. Che razza di madre sarei se avessi deciso di mancare durante l’esecuzione di mia figlia?” domandò sarcasticamente, schietta e feroce, quasi in procinto di piangere. Per quanto avesse tentato di trattenersi, non riuscì a fermare una lacrima di dolore che le colò lungo la guancia.

“Uzukage-sama, la prego, si calmi,” sussurrò subito Jin, affiancandola e posandole una mano sul braccio per tentare di consolarla.

Il Settimo Hokage appassì all’udire quella domanda disperata e al vedere il dolore della donna, serrando i pugni e abbassando lo sguardo a terra. Sentì il suo stesso dolore cominciare a riaffiorare dentro di sé, come un sussurro velenoso che non aveva mai abbandonato la sua mente durante questi ultimi due anni. “Mi… Mi dispiace, Uzukage. Ho fatto il possibile per cercare di revocare la condanna, ma…”

“Lo so, Settimo, lo so,” lo incalzò gelidamente lei, riscuotendosi dopo un paio di secondi e cercando di assumere un’espressione più decente. “Ma non posso fare a meno di pensare che se suo figlio fosse stato qui, tutto questo non sarebbe successo.”

Fece male. Quelle parole lo ferirono come un pugnale che lo trafiggeva in pieno petto. Naruto si rattristò, incapace di rispondere. Ancora dopo tutto questo tempo, il dolore che provava a causa della morte di Boruto era troppo grande per lui.

‘Cerca di non pensarci, Naruto,’ gli sussurrò Kurama tramite il loro legame mentale, sommesso.

Lo so. Grazie, vecchio mio.”

L’Uzukage alzò lo sguardo per guardarlo in faccia. “Suo figlio era un vero Uzumaki,” riprese a dire dopo un pò, lenta e rammaricata. “Aveva sempre a cuore il bene della sua famiglia e dei suoi amici. Non avrebbe mai permesso che potesse succedere loro qualcosa. Era un tratto di lui che ammiravo molto, uno di quelli che distingueva sin da sempre i membri del nostro clan.”

Naruto la guardò con rammarico.

Kaya sorrise amaramente. “E domani… tutto ciò che rimane della sua eredità e della sua famiglia andrà in frantumi. Assieme alla vita di mia figlia,” la donna versò una seconda lacrima, sfoggiando un sorriso privo di emozione. “Sembra che molto presto avrò modo di sperimentare anch’io il dolore della sua perdita, Hokage-sama.”

“Kaya, i-io…”

“Mi dica solo dove si trovano, Settimo,” lo incalzò ancora una volta lei, triste e depressa. “Se lo stanno chiedendo tutti in sala. Sono… Sono già stati portati qui?”

Quello esitò solo per un paio di secondi, scoccando un’occhiata esitante al resto della stanza. “Sì,” ammise alla fine, decidendo di rivelarle almeno questa verità. “Li abbiamo trasportati qui questa mattina, in gran segreto. Ma non posso dirle dove si trovano adesso, mi dispiace. Ho promesso che non l’avrei fatto.”

Non stava mentendo. La posizione dell’Organizzazione Kara doveva restare segreta, e su questo non si potevano fare eccezioni. Con tutti i seguaci della Rivoluzione presenti in quel luogo, se qualcuno avesse saputo dove li stavano tenendo nascosti, le cose avrebbero potuto precipitare in un batter d’occhio. La loro custodia era l’unica cosa che impediva lo scoppio di una rivolta. Alcuni avrebbero persino potuto tentare di liberarli, e questo non poteva accadere. Non di nuovo, com’era successo con Boruto. Non avrebbero più commesso gli stessi errori di un tempo. Era per questo che solamente lui e qualche altro ANBU di fiducia conoscevano la loro attuale posizione, e nessun altro. Nemmeno i Kage.

Il mondo esigeva la loro morte, e per questo dovevano essere prudenti.

Tuttavia, vedendo la devastazione negli occhi di Kaya, Naruto le mise una mano sulla spalla. “Stanno bene, glielo assicuro,” aggiunse con tristezza, cercando di essere il meno indiscreto possibile. “L’ho richiesto esplicitamente. Almeno nelle loro ultime ore di vita, avranno la pace e la privacy che meritano. Glielo assicuro.”

“Che generosità,” sputò sarcasticamente di rimando l’Uzukage, voltandosi di scatto e accingendosi ad andarsene. “Con permesso, Hokage-sama, ho una perdita a cui devo prepararmi mentalmente. Ci vedremo domani sera durante l’evento. Per l’ultima volta,” aggiunse alla fine, solenne e fredda come il ghiaccio. Poi, senza aggiungere altro, afferrò il suo bicchiere e alzò i tacchi senza mai voltarsi indietro, uscendo dalla sala ed abbandonando la cena una volta per tutte.

Jin esitò per diversi secondi, prima di accennare al biondo un apologetico inchino e seguire il suo Kage fuori dalla sala.

E Naruto li osservò mentre se ne andavano con un’espressione sconfortata, cercando inutilmente di frenare il dolore che gli feriva il cuore, assieme all’angosciante sensazione di timore che gli stava misteriosamente pervadendo la mente.
 


Uraraka cominciò a sentire il peso della stanchezza invaderle le membra. Erano passate circa un paio d’ore da quando la cena era iniziata, ed il lavoro si stava facendo sempre più pesante mano a mano che i minuti aumentavano. Era la decima volta quella sera che passava in mezzo agli invitati per portare l’ennesimo vassoio pieno di stuzzichini e bicchieri di vino. Onestamente, questi nobili erano degli ingordi. Mangiavano all’infinito, come se non fossero mai in grado di saziarsi. Se Uraraka avesse assaggiato solo un quarto di quello che aveva servito quella sera, sarebbe stata sazia per un giorno intero.

Certo, l’abbuffata della festa popolare dell’altro giorno era stata l’unica eccezione.

Tuttavia, decise di non cedere alla spossatezza. Sfoggiando il miglior sorriso che riuscì a generare, la bambina si diede una sistemata all’abito da cameriera che stava indossando e rafforzò la sua decisione, passando ancora una volta in mezzo a quella calca di Kage e gente di alto rango per servirli al meglio delle sue possibilità.

In fondo, era pur sempre un’occasione d’oro, decise dopo un paio di giri ed una serie di scambi di bicchieri. Mentre serviva da mangiare e da bere a quelle persone, aveva modo di ascoltare di soppiatto le loro discussioni. E questo sì che era interessante. Non capitava certo tutti i giorni di poter stare in mezzo ai signori feudali e ai Daimyo mentre si scambiavano pareri e opinioni. Certo, la maggior parte dei loro dialoghi erano costituiti da saluti, battute dall’ironia incomprensibile o, alla peggio, lamentele su questioni burocratiche e militari. Ma Uraraka aveva avuto modo di origliare qualche discorso interessante in mezzo a tutta quella nobiltà. Soprattutto i discorsi dei Kage.

Ecco, quelli sì che non se li sarebbe voluti perdere per niente al mondo. Erano delle scene esilaranti.

“Mio caro Shibuki,” udì esclamare un vecchio dalla lunga barba e dalle rughe prominenti. “Che piacere rivederti dopo tutto questo tempo. Sono lieto che tu abbia accolto l’invito al Summit.”

“Il piacere è tutto mio, Mifune-dono,” rispose cordialmente il Takikage. La bambina notò che stava scoccando delle occhiate torve verso un paio di persone alla sua destra. “Anche se avrei voluto salutarvi in mezzo ad orecchie meno… indiscrete.”

“Oh? Siamo piuttosto riservati, Takikage?” ridacchiò sarcasticamente un altro uomo muscoloso, sfigurato da una cicatrice sul naso. “O forse sta insinuando di ritenere la nostra presenza fastidiosa?”

Quello serrò i denti e fissò i due con uno sguardo accigliato. “Niente affatto, Otokage. Ma non posso certo dire di condividere la vostra recente politica estera. Sembra che unirvi alla Rivoluzione vi abbia fatto dimenticare ogni legge morale. Ho sentito che moltissime persone hanno patito la fame dopo che il Suono ha chiuso i suoi confini. Gli aiuti umanitari della Foglia sono stati bloccati a causa di quel vostro ordine.”

“Una conseguenza minore rispetto alla salvaguardia del mio popolo,” ribatté sarcasticamente quello.

“Un’azione del genere sarebbe stata condannata sicuramente dai Trattati Umanitari,” dichiarò gelidamente Mifune.

“L’Unione si è dissolta da anni, miei cari colleghi,” esordì a quel punto una donna elegante e altezzosa, portandosi in mezzo a quelle persone prima che la discussione potesse degenerare. Uraraka notò che la sua stessa presenza aveva fatto irrigidire molti dei presenti attorno ai tavoli. “Parlare di Trattati Umanitari è inutile. Siamo ognuno per conto proprio, e lo sappiamo tutti. Per cui, vi prego, evitiamo di perdere tempo in chiacchiere inutili sulle nostre rispettive colpe. Tutto è lecito in tempi di guerra.”

Un’altra persona entrò in scena subito dopo con una risata sarcastica e decisamente poco contenuta. Gli occhi di tutti si puntarono sull’Hoshikage della Terra degli Orsi. “E sono certo che la ‘grande’ e ‘potente’ Haruko la Salamandra abbia goduto molto di questa situazione,” dichiarò, battendo con disprezzo le mani. “Visto che è stata la prima a fomentare la guerra nel suo stesso Paese.”

“Quanti dei suoi stessi connazionali ha condannato a morte con quella sua Guerra della Pioggia, Amekage?” domandò ironicamente il Takikage.

Haruko sorrise di rimando, snudando i denti in un ghigno crudele. “Molti meno di quelli che hanno finalmente trovato la pace adesso che il mio Paese è tornato stabile dopo secoli di guerre civili,” ribatté casualmente. Scoccò un’occhiata alla donna imbronciata che se ne stava in disparte da tutti sulla sinistra della sala. “E almeno io non sono talmente sciocca da ingaggiare una guerra contro un’altra Nazione solamente per perdere e fare la figura dell’allocca.”

La diretta interessata udì forte e chiaro la battuta sarcastica del Kage. Kurotsuchi serrò i denti e ringhiò come un animale, ma decise saggiamente di non rispondere all’accusa, badando ai fatti propri come aveva fatto fino a quel momento.

Già, era decisamente uno spettacolo che non si vedeva spesso, decise Uraraka.

Era talmente intenta ad origliare quei loro discorsi che la bambina si rese conto soltanto quando fu troppo tardi di essersi avvicinata troppo ad un’altra persona. Vi si scontrò addosso senza riuscire a fermarsi, rovesciandole sopra il vestito uno dei bicchieri di vino che reggeva sul suo vassoio e macchiandole profondamente l’abito. Appena si riscosse, la piccola sentì il panico inondarle la mente come un fiume in piena.

“Oh no! C-Chiedo perdono,” balbettò pateticamente, terrorizzata e sconvolta come non mai. “D-Davvero sono mortifi-”

Le parole le morirono in gola non appena alzò lo sguardo per vedere il volto di quella persona.

Hinata Hyuuga.

“Sshh. Calmati, piccola, non è successo niente,” la rassicurò subito la donna, sorridendole con dolcezza e avvicinandola a sé con un braccio. Si guardò attorno con circospezione, cercando di coprire la bambina e contemporaneamente anche la macchia che aveva sporcato il kimono bianco che stava indossando. “Se non fai rumore non se ne accorgerà nessuno.”

“Ma… Ma… il suo bel vestito…” sussurrò nervosamente Uraraka, quasi sull’orlo del pianto. Se gli altri lo fossero venuti a sapere, la sua paga sarebbe andata a farsi benedire.

La donna fece per parlare ancora, quando all’improvviso un ANBU mascherato apparve alle loro spalle dal nulla, pronto ad intervenire. “Hinata-sama, qualcosa non va?” domandò seriamente, freddo e sospettoso come non mai.

Ma Hinata fu rapida ad intervenire. “Oh, che sbadata,” esclamò a bassa voce, afferrando velocemente uno dei bicchieri dal vassoio in mano alla bambina e sorridendo con imbarazzo. “Mi sono rovesciata il vino sul kimono, e mi stavo facendo aiutare da questa gentile cameriera,” spiegò lentamente, mentendo senza pensarci due volte.

Uraraka sgranò gli occhi e la guardò a bocca aperta.

L’ANBU sembrò rilassarsi visibilmente dopo quelle parole. “Capisco, che cosa terribile,” disse alla fine, facendo un cenno con la mano verso la donna. “La prego, mi segua.”

Hinata annuì con falso imbarazzo, prima di rivolgere ancora una volta lo sguardo verso la giovane e sorridere con affetto.

La piccola rimase imbambolata. “P-Perché?” fu tutto ciò che riuscì a dire a bassa voce.

La Hyuuga le fece l’occhiolino, dandole una leggera carezza sopra la testa. “Chi lo sa…” sussurrò, divertita, prima di voltarsi per seguire la guardia lontano dalla stanza.

La bambina la osservò, imbambolata, per tutto il tempo, mentre Hinata veniva scortata rapidamente fuori dalla sala per permetterle di cambiarsi lontano da occhi indiscreti. E anche quando si riprese dallo stupore e ritornò a svolgere il suo lavoro come prima, Uraraka non poté fare a meno di domandarsi per tutto il resto della serata come mai quella donna fosse lì quella sera, e perché avesse deciso di mentire per coprire il suo errore.

Quella era una cosa che avrebbe dovuto capire al più presto.
 


La serata stava procedendo senza intoppi, con suo sommo stupore.

Sarada sentì il sollievo cominciare a farsi più forte dentro di lei mano a mano che i minuti passavano. Nonostante qualche battibecco tra i vari Kage o qualche frecciatina di pessimo gusto da parte di nobili palesemente contrari alla presenza di altri, le cose si stavano svolgendo più o meno tranquillamente. Il che era un miracolo, davvero, visto che molte delle persone che si trovavano in quella stanza si odiavano tra di loro. E nonostante ci fosse evidente ostilità tra i Kage e i nobili fedeli alla Rivoluzione e quelli favorevoli all’Unione, le cose non stavano degenerando come aveva temuto. Era una cosa inaspettata, nella sua opinione. Si era aspettata di vedere tavoli volare all’aria, assieme ad insulti e urla di sdegno. Ma, fino a quel momento, niente di tutto questo era ancora successo.

Suppose che era una cosa positiva.

Tuttavia, quando il suo sguardo intravide una certa figura iniziare ad approcciarsi a lei, il timore di prima tornò a farsi spazio nel suo cuore.

La corvina non fu in grado di muoversi quando Naruto le si avvicinò con un’espressione incerta in volto, le sue labbra contornate da un sorriso sincero. “Sarada, vieni con me. Voglio presentarti alcune persone,” sussurrò a bassa voce, portandosi accanto alla ragazza ed esortandola ad unirsi a lui. La prese per un braccio senza pensarci due volte, trascinandosela dietro senza mai smettere di sorridere.

L’Uchiha tentò pateticamente di resistere, la sua faccia completamente rossa per l’imbarazzo. “Ho-Hokage-sama, la prego! Sono in servizio!” balbettò con vergogna. “Non posso unirmi ai nobili!”

“Sciocchezze,” la rassicurò semplicemente quello, incurante delle formalità. “Ehi, eccola qui!”

La giovane venne accolta dalla visione di alcuni volti familiari che poco giovarono al suo crescente imbarazzo. Il Kazekage era lì ad aspettarla, assieme anche al Sesto Hokage, Shinki, Shikamaru e Temari. E oltre a loro quattro, si trovavano lì anche due figure che la giovane conosceva molto, molto bene: Mei Terumi e la sua scorta, Kagura Karatachi.

“Sarada,” la salutò allegramente Kakashi, sorridendo sotto alla sua maschera. “Cielo, quanto sei cresciuta. Sei più alta di Sakura adesso.”

“R-Rokudaime,” ricambiò il saluto lei, abbassando leggermente la testa in segno di rispetto. “È bello rivederla dopo tutto questo tempo. Spero si stia godendo la sua pensione.”

Quello ridacchiò con imbarazzo, muovendo casualmente una mano. “Oh, eccome. Ho viaggiato in lungo e in largo negli ultimi tempi. Ma non potevo certo mancare durante un evento del genere. E poi, sapevo che era l’occasione perfetta per rivedere dei volti familiari. Ti ho pensata molto in questi due anni, sai?”

La ragazza sorrise con riconoscimento dopo quelle parole, sinceramente colpita. Fece per parlare a sua volta, quando però un’altra persona decise di intervenire nella discussione.

“Finalmente ci conosciamo, Sarada Uchiha,” disse senza preamboli la Mizukage, portandosi davanti a lei e squadrandola dalla testa ai piedi. La ragazza sentì le sue guance avvampare mentre osservava quella donna sorriderle in maniera provocante. Fu sinceramente grata del fatto che stava ancora indossando la sua maschera da ANBU. “Ho sentito così tante cose su di te da parte del Settimo e di Kagura. Perdonami se ho convinto Naruto a portarti qui all’improvviso. Volevo davvero fare la tua conoscenza.”

Davvero, la giovane Uchiha non poteva sentirsi più imbarazzata di così. Questa cosa non sarebbe dovuta succedere. “S-Si figuri, Mizukage-sama. È un onore fare la sua conoscenza,” riuscì a soffocare dopo un paio di secondi di incertezza, rimuovendosi temporaneamente la maschera e facendo un rispettoso inchino.

Quella allargò il suo sorriso. “Il piacere è tutto mio. Mi spiace solo che tuo padre non possa essere qui oggi, avrei gradito fare quattro chiacchiere con lui. Sasuke è un uomo davvero… affascinante,” sussurrò, la sua voce che celava un certo tono strano che Sarada non riuscì a decifrare appieno. Aveva sentito molte voci in passato sul fatto che Mei Terumi fosse una ‘acchiappatrice di uomini’ piuttosto rinomata; e per una volta fu grata del fatto che suo padre non fosse presente in quel momento. Così come anche sua madre. Mentre il primo era sempre costretto a viaggiare per i mondi per difendere la Terra, la seconda non aveva potuto lasciare l’ospedale di Konoha, visto il crescente numero di feriti e persone che necessitavano di cure a causa delle ribellioni e degli scontri di rappresaglia ai confini delle Nazioni.

Certo, queste motivazioni non le impedivano però di sentire la loro mancanza, nonostante tutto.

“Suvvia, non deprimerla in questo modo, Mizukage” disse pacatamente Gaara. Anche coi suoi occhi chiusi, quell’uomo non aveva mancato di notare il suo impercettibile cambio di umore alla menzione di suo padre. “Sappiamo bene entrambi quanto sia importante la missione di Sasuke. E Sarada resta comunque una risorsa eccellente in sua assenza.”

“Certo, certo,” si scusò subito quella, assumendo un’espressione apologetica. “Non volevo rattristarti, Sarada. Kagura mi ha raccontato molto su di te. Dicono che tu sia una dei prodigi più in gamba della tua generazione, nonché uno degli Shinobi più abili della Foglia. Sono rimasta molto colpita, sai.”

Sarada abbassò lo sguardo, abbozzando un sorriso. “L-La ringrazio, ma non credo di essere così speciale, davvero.”

Temari la guardò con approvazione. “Modesta come sua madre, eh,” sussurrò, sorridendole appieno. “A proposito di questo, dov’è tua figlia, Naruto? Pensavo che sarebbe venuta anche lei. Non dirmi che è ancora con Shikadai…”

Il Settimo ridacchiò nel vedere l’espressione contrariata della donna. “Suvvia, sono ragazzi, lasciamoli fare. Una cena di gala sarebbe noiosa per loro. Meritano di divertirsi ogni tanto. Specialmente coi tempi in cui viviamo,” disse, cercando di essere ottimista.

“Beh, è seccante ammetterlo, ma Naruto ha ragione,” concordò Shikamaru, grattandosi con disinvoltura il collo. Scoccò un’occhiata saccente alla giovane Uchiha, facendole l’occhiolino. “I ragazzi dovrebbero godersi la vita finché possono. I vent’anni sono un treno che passa una volta sola.”

“Parole sante,” disse Gaara, battendo una piccola pacca sulla spalla del figlio.

“A meno che non si mascheri bene l’età come faccio io,” aggiunse allegramente Mei, sorridendo casualmente e facendo imbarazzare non poco la sua scorta con quella sparata decisamente contestabile.

Gli adulti scoppiarono a ridere tra di loro subito dopo. Allo stesso tempo invece, Sarada, Shinki e Kagura sospirarono mentalmente, scuotendo le teste per l’esasperazione.

“Gli adulti e il loro sarcasmo…”
 


Fu verso la fine della serata che Uraraka iniziò a sentirsi veramente esausta. La mezzanotte era quasi alle porte, e ancora la maggior parte degli invitati non accennava minimamente ad andarsene. Sinceramente, la bambina non aveva idea di come facessero quelle persone a continuare a starsene ferme e parlare per tutto quel tempo senza annoiarsi. Immaginava che fosse una cosa comune per gli adulti, ma non poteva certo dirlo con certezza.

Tuttavia, nelle ultime ore aveva notato una persona che aveva colto la sua attenzione da un po' di tempo.

Era lo stesso uomo che aveva visto una volta durante i lavori di costruzione del palco fuori dalla Fortezza. Capelli rossicci, occhi sottili e segnati di nero, con un portamento fiero e altezzoso. A quanto aveva udito, doveva essere il famoso Gaara della Sabbia, il Kazekage della Terra del Vento. Era l’unica persona che lei potesse dire di conoscere abbastanza (a parte il Settimo Hokage, dato che non c’era nessuno al mondo che non sapesse chi fosse quell’uomo). Stava continuamente facendo il giro degli invitati, scambiando saluti e presentazioni a non finire, e sfoggiando un sorriso che, senza che lei riuscisse a capirne il motivo, era pronta a scommettere che fosse falso.

Quel pensiero la fece accigliare.

Fu la voce di uno dei nobili presenti a riscuoterla da quei pensieri strani. Mentre posava su un tavolo una serie di piatti sporchi per sostituirli, i suoi occhi guizzarono ad osservare un uomo alto e con un cappello grigio che si era portato in mezzo a tutti i presenti nella sala.

“Signore e signori,” disse l’uomo a gran voce, reggendo in mano un bicchiere quasi vuoto. “Vorrei ringraziarvi per aver fatto così tanta strada per arrivare qui, oggi, nella Terra dei Fiumi. In qualità di Daimyo del Paese del Fuoco, e attuale governatore di questo Paese dal territorio neutrale, vi do ufficialmente il benvenuto.”

Tutti i presenti lo osservarono con attenzione mentre parlava. “Negli ultimi due anni, tutti noi siamo stati protagonisti di un conflitto insensato e sanguinoso, alla costante ricerca di una pace che nessuno sembra intenzionato a generare. Tuttavia, sapete com’è: i nemici di ieri sono gli amici di oggi. Lo dico a tutti voi, che avete avuto modo di apprezzare il nostro buon cibo e il vino. Affoghiamo nell’alcol questo nostro passato di sangue, e innalziamoci per un nuovo brindisi!”

Il suo braccio si sollevò in alto con un gesto teatrale. “Brindiamo ad una pace duratura!” gridò a gran voce.

Il silenzio che lo accolse fu decisamente imbarazzante.

Uraraka si sarebbe sicuramente messa a ridere non appena vide le espressioni annoiate e sprezzanti della maggior parte dei presenti, ma si trattenne d’istinto quando notò che la persona che l’aveva colpita nelle ultime ore si stava portando a sua volta accanto a quell’uomo, visibilmente imbarazzato.

“Signor Madoka, le sue battute erano fin troppo sofisticate,” disse lentamente il Kazekage, mettendogli una mano sulla spalla ed esortandolo con un sorriso a lasciargli spazio. “Ma sembra che i nostri ospiti non abbiano compreso il suo linguaggio universale. Per cui, da adesso in poi lasci fare a me.”

La reazione degli invitati fu immediata questa volta. Tutti i presenti iniziarono ad applaudire senza esitazione.

“Vai, Gaara!”

“Facci un bel discorso, Kazekage!”

“Coraggio!”

Gaara sorrise con determinazione, accennando appena un inchino e sollevando una mano per placare gli applausi che la maggior parte dei presenti gli stava rivolgendo. Non che fosse rimasto stupito, certo. Questa era la sua prima apparizione ufficiale da quando si era ripreso dal coma. Era normale che fossero tutti ansiosi di sentire quello che aveva da dire. E così, una volta che gli applausi terminarono ed il silenzio tornò a regnare nella sala, il Quinto Kazekage assunse un’espressione seria e si arrischiò a parlare.

“Come sapete, domani siamo tutti invitati ad assistere allo ‘spettacolo’ del Summit,” iniziò a dire, lento e solenne. “Ovvero, il momento in cui i coloro che hanno dato inizio a tutto questo verranno pubblicamente giustiziati. Le stesse persone che hanno fondato, diffuso e propagato il movimento ribelle della Rivoluzione. Le stesse persone che hanno ucciso crudelmente innumerevoli Shinobi, sterminato e raso al suolo la Nuvola, e complottato dall’ombra per creare disordini e conflitti, portando l’inferno nel nostro mondo: i membri dell’infamata Organizzazione Kara.”

Il Kazekage posò lo sguardo sul volto dell’Hokage, in piedi alla sua destra. “I seguaci della persona che è stata l’artefice di tutto questo: il Ninja traditore della Foglia, Boruto Uzumaki.”

Ci furono diversi mormorii sommessi e frenetici dopo quelle parole. Tutti i presenti iniziarono a bisbigliare tra di loro, lanciando delle occhiate contrastanti verso il Settimo Hokage e coloro che lo affiancavano o sostenevano.

Gaara li mise a tacere subito, riprendendo a parlare immediatamente dopo. “Le Cinque Grandi Nazioni, che più sono state oppresse dalla Rivoluzione, hanno a loro volta fomentato gli scontri, incapaci di piegarsi alla volontà di questi Ribelli, e per questo la tragedia si è ripetuta, propagandosi fino ad oggi. E comprendo appieno i sentimenti di chi pensa: ‘se solo la Rivoluzione non fosse mai esistita’, e di chi prega per lo sterminio e la sconfitta dei Guerrieri.”

Prima che qualcuno potesse iniziare a protestare, Gaara alzò un dito in alto. “Io, tuttavia, per affrontare questo problema che sembra non avere fine… sono giunto ad una sola conclusione.”

Tutti quanti, Uraraka compresa, lo ascoltarono col fiato sospeso.

Il Kazekage sorrise misteriosamente. “E domani avrò il piacere di rendere pubblica questa soluzione sul palco che ospiterà il mio debutto,” dichiarò solennemente, fissando tutti i presenti – amici, sostenitori e nemici – con uno sguardo determinato e deciso. “Perciò, vi invito ad attendere domani e a partecipare numerosi allo spettacolo. Lì, ve lo assicuro, vi rivelerò tutto quello che penso; assieme alla mia soluzione per porre fine ai conflitti che, ancora oggi, ci dividono e minacciano di distruggere per sempre ogni possibile soluzione di pace nel nostro mondo.”

E poi, sollevando lentamente il suo calice, Gaara fissò uno ad uno tutti gli invitati. “Brindiamo tutti assieme… PER UN FUTORO PIÙ GLORIOSO!”

E incredibilmente, indistintamente e senza esitazione, tutti i presenti sollevarono a loro volta i bicchieri in alto e gridarono a gran voce.

“PER UN FUTORO PIÙ GLORIOSO!”

Uraraka sorrise con trepidazione.

Non vedeva l’ora che l’indomani fosse arrivato.
 


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01 Ottobre, 0021 AIT
Terra dei Fumi
Prigione sotterranea Segreta
03:06

Erano le tre del mattino. Esattamente il cuore più profondo e oscuro della notte. Nemmeno un suono si sentiva in quell’ammasso di buio e silenzio totale.

Eppure, il tempo non faceva alcuna differenza nell’oscurità opprimente della prigione sotterranea in cui quelle dieci persone si trovavano da diverse ore.

Sora fece guizzare lo sguardo di lato, i suoi occhi ormai abituati da tempo al buio che lo circondava, osservando con uno sguardo spento i volti tesi e privi di emozione dei suoi amici. Ormai… Ormai non poteva più negarlo. Doveva accettare la realtà. Era giunta la fine. Queste sarebbero state le loro ultime ore di vita, e lo sapevano tutti. L’avevano già capito sin da quando erano stati improvvisamente trasportati in gran segreto fuori dalla loro prigione di Konoha e trasferiti qui, nella Terra dei Fiumi. Nessuno aveva riferito loro niente, ma Sora e gli altri non erano stupidi. Lo avevano dedotto immediatamente. Era stato nello sguardo solenne e severo che il direttore del Dipartimento di Tortura, Ibiki Morino, aveva rivolto loro durante tutto il tragitto in quel maledetto carro di contenimento. Li avevano trasferiti solamente per condurli alla morte. Alla loro esecuzione pubblica.

Sora era pronto a scommetterci.

Eppure, mentre posava gli occhi sui suoi amici, non poté fare a meno di provare un profondo senso di terrore all’idea di ciò che avrebbero dovuto affrontare. Questa sarebbe stata la loro ultima avventura. I loro ultimi momenti assieme, prima di essere pubblicamente scannati come dei maiali. E anche gli altri erano spaventati a loro volta. Sora lo sapeva, riusciva a vederlo, anche se tutti cercavano di nasconderlo a modo loro. Era nel modo in cui gli occhi di Gray erano diventati spenti e privi di vita, nel modo in cui Kairi si stringeva furiosamente le mani assieme accanto a lui, con un’espressione prossima al pianto, e persino nella linea sottile e accigliata che erano diventate le labbra di Mitsuki. Tutti loro, in un modo o nell’altro, avevano paura della fine che incombeva sulle loro teste.

E Sora non era un’eccezione.

Aveva paura. Doveva ammetterlo. Aveva davvero paura. Non quanta pensava che ne avrebbe avuto, realizzò con una lievissima punta di stupore, ma aveva comunque paura. Negarlo non aveva senso. L’idea di perdere la vita e dover finalmente affrontare il balzo finale oltre il baratro della morte… lo spaventava non poco. Era un pensiero angosciante. Uno di quelli che ti tormentava sempre, ad ogni ora del giorno e della notte, senza lasciarti tregua. Non ti faceva dormire quando avevi sonno, e non ti abbandonava nemmeno quando provavi a liberartene. Era sempre lì, nascosto e impercettibile, ma comunque presente nei meandri più oscuri della mente. E il moro aveva imparato con rassegnazione ad accettarlo oramai.

Ma la cosa che lo spaventava più di tutte era vedere la sua stessa paura negli occhi dei suoi amici. Davvero, era rimasto sorpreso quando aveva scoperto che lui e gli altri nove avrebbero condiviso la loro ultima notte rinchiusi assieme nella stessa cella. Ibiki aveva concesso di lasciarli nella stessa prigione per garantire loro di scambiarsi gli ultimi saluti, permettendogli di stare assieme un’ultima volta. Era per questo che al momento lui e tutti glia altri se ne stavano racchiusi assieme nella stessa barriera, ammassati in un minuscolo spazio di poco meno di sette metri, seduti con le schiene poggiate alle pareti e con gli occhi puntati al pavimento. Ed essere in grado di vedere la sua stessa paura nei volti dei suoi compagni… non era una sensazione piacevole. Lui e tutti gli altri lo avevano capito.

Dopotutto la prova di ciò era che, anche se sapevano quello che li attendeva, nessuno aveva ancora trovato il coraggio di parlare.

Fu soltanto mentre continuava a crogiolarsi nel rammarico e nel suo dolore che sentì la testa di Kairi posarsi improvvisamente sulla sua spalla. La rossa si era portava vicina a lui, affondando la faccia su di lui ed iniziando a piangere sommessamente sopra la sua veste. Sora sentì il suo cuore spezzarsi in mille pezzi a quella visione, grondando di un dolore lancinante e opprimente. Non riuscì a fare niente, se non sollevare un braccio per tentare inutilmente di consolarla. Perché, onestamente, cosa avrebbe potuto dirle? Nemmeno lui, con tutta la sua positività e l’ottimismo che l’avevano sempre caratterizzato, riusciva a trovare le parole giuste in quella situazione. Non c’erano parole giuste da dire. Perché la realtà delle cose, che lui lo volesse ammettere o meno, che gli piacesse o meno… era una sola.

Non c’era più speranza per loro.

Tutto ciò che riuscì a fare fu stringersela con forza a sé, posando il mento sui suoi capelli, tentando inutilmente di frenare a sua volta le lacrime che gli stavano grondando dagli occhi.

“Non piangere, Kairi,” disse allora Juvia dopo un paio di secondi. La sua voce bassa e rammaricata lo riscosse lentamente dal dolore, facendogli voltare il capo verso di lei. “Siamo… Siamo tutti qui. Non avere paura.”

“Lasciala stare, Juvia,” sussurrò dopo un po' Shirou, senza alzare lo sguardo da terra. Il suo tono era vacuo, privo di emozione. “Lasciala sfogare.”

Sora ingoiò il magone che per poco, veramente poco, non rischiò di sfuggirgli dalle labbra. Le prese le mani tra le sue. “Andrà tutto bene, Kairi,” esalò sommessamente, il suo tono di voce triste e pieno di amarezza. “Siamo insieme, fino alla fine.”

La rossa non rispose. Continuò a piangere per diversi secondi, la sua faccia completamente affondata sul suo petto, versando lacrime a non finire. “Io… I-Io non voglio m-morire,” singhiozzò disperatamente.

Il moro sentì il suo cuore esplodere di dolore all’udire quella supplica disperata.

“Non possiamo più evitarlo ormai,” la voce spenta di Gray lo incalzò prima che potesse parlare. “Accetta la realtà.”

Urahara gli rivolse un’occhiataccia. “Gray…”

Il Signore del Gelo non si scompose. “Cosa? È la verità,” ribatté amaramente, la sua espressione dura. “Stiamo per essere giustiziati. Non abbiamo possibilità di salvezza ormai. I nostri corpi sono ricoperti da Sigilli per impedirci di usare chakra e ribellarci. Ci hanno pestato a sangue per due anni consecutivi. Siamo impotenti. Spezzati. Rotti. Divisi,” esalò, stressando devastatamene quell’ultima parola. “Non possiamo fare altro che rassegnarci.”

Sora sentì le sue mani serrarsi inconsciamente in pugni per la rabbia, ma sapeva che quello che Gray aveva detto era vero. Non poteva negarlo. Nessuno di loro poteva fare qualcosa in quella situazione. Se ci fosse stata anche solo una sola possibilità, un solo spiraglio di speranza, sarebbero riusciti a fuggire dalla prigione da molto tempo. Ma così non era stato. E quella realtà opprimente e devastante continuava a restare vera e ineluttabile. Erano impotenti. Erano senza speranza. Erano… spacciati.

“Almeno… sarà una fine esemplare,” tossì lentamente Kumo. La sua voce gracchiante era spossata e roca per il disuso. “Quello che abbiamo fatto rimarrà per sempre nella storia.”

Una magrissima consolazione, nella loro opinione. Sora serrò i denti con impotenza.

Il silenzio ridiscese ancora una volta tra tutti i presenti, rotto solamente dal pianto sommesso di Kairi.

“Non è questo quello che m’interessa,” esordì dopo un po’ Mitsuki, fissandosi le mani con uno sguardo spento. I suoi occhi gialli brillavano sommessamente nell’oscurità della prigione sotterranea. “La cosa importante… è che tra poco riusciremo finalmente a ritornare da lui. Non è così, Mikasa?”

Sora spostò lo sguardo sulla persona alla sua destra. La sua amica era rimasta perennemente in silenzio, così come aveva fatto per tutti questi mesi, con la testa affondata nelle ginocchia ed uno sguardo spento e privo di emozione in volto. Non rispose nemmeno alla domanda dell’albino, come se non l’avesse sentita. O come se non gliene importasse. Ma Sora sapeva quanto fosse sbagliata quell’ultima idea. Il dolore della perdita del loro amico era stato enorme per tutti, ma Mikasa… Mikasa aveva sofferto in maniera indescrivibile. Non potevano biasimarla.

Fu il suono leggero della risata delicata e melodiosa di Toneri a riscuotere tutti da quell’aria di pesantezza. Gli occhi azzurri di Sora si posarono sull’Otsutsuki seduto più in disparte nell’angolo della prigione. “La morte non è altro che un nuovo inizio, diceva un antico detto,” esalò, sfoggiando un sorriso stanco. “Chi lo sa… Mitsuki potrebbe avere ragione. Forse avremo modo di riunirci ancora una volta a lui, quando tutto questo sarà finito.”

Quel pensiero lo fece sorridere a malapena. Sora abbassò lo sguardo a terra, stringendosi vicino a sé Kairi. In effetti… quella consapevolezza, quella speranza era forse, forse, l’unica cosa positiva in mezzo a quella realtà oscura e devastante. Perdere la vita… non lasciava spazio alla razionalità. Non c’erano certezze. Non c’erano garanzie. Nessuno sapeva cosa ci fosse al di là della morte. Eppure… se quella minuscola speranza bastava a farli stare un pochino meglio… era degna di essere considerata. Si poteva sempre sperare, no?

Urahara, con generale stupore di tutti, ridacchiò a sua volta dopo un po' di secondi. “Già… sarebbe bello. Mi manca molto quel ragazzo,” ammise lentamente, più a sé stesso che agli altri. Alzò lo sguardo per fissarli uno ad uno. “Ehi, che cosa vorreste fare una volta che lo vedremo di nuovo?”

Sora abbozzò un sorriso. “Questa è una domanda interessante,” sussurrò, riflettendoci su.

“Scontato,” rispose invece Shirou. “Un Samurai segue sempre il suo maestro, in questa vita o nell’altra. Continuerò a servirlo come ho sempre fatto,” dichiarò, come se fosse una cosa banale e scontata.

Gray sfoggiò un leggero ghigno. “Heh! Non prima di dargli un bel cazzotto in faccia, però,” aggiunse con sarcasmo. “Quell’idiota ci ha lasciati da soli senza nemmeno salutare. Un affronto del genere dev’essere punito.”

“Concordo,” mormorò Juvia, abbozzando quasi un sorriso triste. Si portò inconsciamente più vicina a Gray, stringendosi a lui in quegli ultimi momenti d'intimità che gli erano rimasti. Il Signore del Gelo la abbracciò con un'espressione afflitta.

Il silenzio ridiscese ancora una volta tra di loro, solenne e implacabile come un velo oscuro. Sora sentì i singhiozzi della sua ragazza farsi più leggere e regolari. I suoi occhi si socchiusero con amarezza. “Sarebbe davvero bello poterlo rivedere,” disse ancora una volta, rompendo il silenzio. Posò lo sguardo sulla rossa tra le sue braccia, accarezzandole ritmicamente la testa. “Non trovi anche tu, Kairi?”

Quella esitò un paio di secondi. Poi annuì, senza mai togliere la faccia dal suo petto. “S-Sì,” ammise, tirando su col naso. “Sarebbe bello. Ma ho comunque paura.”

“Lo so, ma noi saremo con te,” sussurrò dolcemente lui, sentendo quei ricordi dolorosi tornagli ancora una volta per la mente. Ripensare ai giorni andati e ai tempi passati assieme a lui… era contemporaneamente bellissimo e straziante. Ma stavolta era diverso. Dopotutto, stavano per raggiungerlo a loro volta. Mancava poco. “E poi, persino adesso, quello che lui ci ha detto in passato si è comunque rivelato vero.”

Urahara, Toneri, e tutti gli altri lo osservarono con curiosità. Kairi alzò lo sguardo per fissarlo con due occhioni pieni di lacrime e confusione.

Sora sorrise con amarezza e solennità miste assieme. “Abbiamo perso, ma lo abbiamo fatto insieme, proprio come lui ci aveva detto,” sussurrò, scoccando un’occhiata alla ragazza accanto a lui. Mikasa lo stava guardando di sbieco, i suoi occhi che brillavano di una minuscola emozione che bastò a fargli capire che lo stava ascoltando a sua volta. Il moro le prese una mano tra le sue. “E qualsiasi cosa accadrà, qualsiasi esecuzione ci attenderà tra poco… l’affronteremo comunque insieme. Come abbiamo sempre fatto.”

E, incredibilmente, tutti quanti annuirono ancora una volta dopo quelle parole, fissandosi a vicenda con degli sguardi ricolmi di emozioni troppo intense per poter essere descritte a parole.

Sora strinse la mano di Mikasa tra le sue. “Insieme,” ripeté lentamente, sorridendo con tristezza.

Gli occhi della nera brillarono ancora una volta. “Insieme,” sussurrò a sua volta.
 


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01 Ottobre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Cortile della Fortezza
19:30

SPETTACOLO DEL SUMMIT MONDIALE

30 minuti prima dell’inizio

L’indomani arrivò decisamente in fretta per lei.

Uraraka osservò, con gli occhi sgranati e la bocca aperta, la miriade di centinaia di persone che erano venute ad osservare lo spettacolo, sentendo esplodere nel suo cuore un’emozione indescrivibile. Non riusciva a credere ai suoi occhi, davvero. Se quello che aveva visto ieri sera lavorando come cameriera alla cena privata dei Kage l’aveva stupita, allora questa scena che stava osservando adesso le aveva sostanzialmente tolto il fiato. Era… Era… indescrivibile. Mai prima d’ora aveva visto qualcosa del genere nella sua breve vita.

Tutto il cortile della Fortezza era pieno di persone. Letteralmente pieno. Non si riusciva a vedere nemmeno uno spazio libero in mezzo a quella caotica aggroviglia di corpi. Decine di centinaia di persone avevano letteralmente occupato ogni angolo del cortile, tutte ferventi e trepidanti nell’attesa che lo spettacolo iniziasse a breve. I posti a sedere dinanzi al palco erano completamente affollati e traboccanti, così come quelli più lontani rispetto alle prime file. Ed erano tutti pieni fino all’orlo, esattamente come anche quelli più esterni. I bancali che erano stati allestiti più esternamente, tra cui era presente anche lei, erano strapieni a loro volta, ricolmi di centinaia di persone venute qui per lo stesso motivo: assistere allo spettacolo più importante del mondo.

Accanto a lei, Uraraka sentì Trunks fischiare per lo stupore. “Però, quanta gente!” esalò, guardandosi attorno, a corto di parole.

La bambina annuì senza rispondere, la sua bocca aperta in un mezzo sorriso pieno di emozione. Ma davvero, ciò che stava osservando era una vista mozzafiato. Il gigantesco palco di legno di castagno che aveva visto costruire nelle ultime settimane era stato finalmente ultimato. E – santo cielo – che razza di lavoro avevano fatto. Era immenso, di almeno trenta metri di dimensioni totali, e coperto dall’alto con un elegante portico di legno chiaro illuminato da decine e decine di luci rifrangenti e luccicanti. Era stato posizionato esattamente dinanzi all’immenso castello, dando le spalle all’ingresso principale. Accanto ad esso, sulla sua destra, un grosso maxischermo era stato montato da poco, per permettere anche agli spettatori più distanti di vedere lo spettacolo al meglio.

Osservò con attenzione la disposizione delle file. Dinanzi al palco si trovavano decine e decine di telecamere che riprendevano ogni cosa, disposte ad appena cinque metri di distanza dalle prime file. I posti più vicini al palco, quelli in prima fila, erano occupati da alcune delle persone che lei aveva già visto ieri sera. I Daimyo, i Kage e qualche altro nobile vestito elegantemente. Tra di essi, Uraraka riuscì a malapena a distinguere in mezzo a tutte quelle persone la capigliatura dorata del Settimo Hokage, e quella cosa la lasciò confusa. Si era aspettata che sarebbe stato lui a dare inizio allo spettacolo, ma evidentemente il Kazekage doveva aver preso il suo posto, visto quello che aveva dichiarato la sera precedente. E più ci si allontanava dal palco con lo sguardo, più il numero di persone e della folla continuava ad aumentare. Ce n’erano di tutti i tipi. Shinobi provenienti le varie Nazioni, civili di ogni tipo, giornalisti con fotocamere e riprese in mano, reporter che parlavano davanti a telecamere, mercanti e venditori di stuzzichini… era una vera festa per gli occhi. Lei non aveva mai visto prima d’ora talmente tante persone riunite assieme in quel modo.

Eppure, nonostante tutta quella scena e lo stupore che provava, c’era qualcosa che continuava a turbarla da un po' di tempo. “Oh, insomma! Si può sapere dove si è cacciato?” borbottò allora all’improvviso, incrociando le braccia.

Trunks scoccò un’occhiata generale alla calca di persone che li affiancavano, seduti a loro volta sui posti dei bancali esterni. “Rilassati,” la richiamò. Il vociare nell’aria era talmente forte da costringerlo a gridare per farsi sentire dalla sua amica. “Deku ci raggiungerà presto. Ha detto che doveva salutare una persona, no? Lascialo fare.”

“Ma tra tutti i momenti proprio adesso?” ribatté quella, esasperata. “Ci era stato detto di prendere posto per tempo.”

“Lo spettacolo non è ancora iniziato,” la rassicurò quello, mettendosi comodo ed incrociando le braccia con un sorriso trepidante. “Sono certo che ci raggiungerà prima che si alzi il sipario.”

Uraraka mise un broncio infantile, ma preferì non commentare oltre. Trunks doveva aver ragione, ammise a sé stessa. Non c’era niente di male nel voler salutare qualcuno. Deku sarebbe sicuramente arrivato prima dell’inizio dello spettacolo, si convinse mentalmente.

Ma allora, perché stava provando uno strano senso d’inquietudine?
 


25 minuti prima dell’inizio

“Gli uomini sono tutti in posizione, Capitano,” riferì doverosamente Shin, fissando la persona dinanzi a sé con uno sguardo serio e determinato. “Trecentoventi disposti lungo gli ingressi principali, cinquantasette nel quartiere strumentale, dieci all’interno della sala comandi e trentadue nascosti in mezzo alla folla, come ha espressamente richiesto.”

Sarada annuì, scoccando un’occhiata oltre le spalle del ragazzo dai capelli bianchi. Una ventina di ANBU mascherati e Ninja dalle vesti di Jonin delle varie Nazioni erano disposti in fila e sull’attenti. Shikadai era retto e in piedi a sua volta in mezzo a loro, intento ad osservare la loro interazione con un cipiglio strano. Appena notò che anche lei lo stava guardando, le fece un impercettibile cenno con la testa. L’Uchiha focalizzò nuovamente la sua attenzione sull’albino. “Molto bene,” disse solennemente. “Voglio che la metà di voi si piazzi in mezzo alla folla nei settori principali e fungano da vedetta in mezzo ai civili. Gli altri si posizioneranno nei settori di uscita T7 e D9, come punti di guardia alle uscite. Qualsiasi cosa entri o esca da questo cortile deve essere fermata e controllata, e non m’interessa se ci saranno proteste. Sono stata chiara?”

“Sì, signora!” risposero all’unisono tutti quanti.

La corvina annuì, soddisfatta. Non avrebbe ammesso errori da parte loro. Una donna bassa e dai capelli verdastri – un ufficiale della Terra dell’Acqua – si fece avanti alla sua destra. “Capitano, invece cosa deve fare il mio squadrone Atlante? Abbiamo ancora settanta uomini liberi e a disposizione, in attesa di comandi.”

“Una decina di essi vadano di guardia nell’ingresso posteriore del palco. Tutti gli altri, posizionatevi sui tetti attorno alla fortezza. Lì troverete diversi ANBU della Sabbia che vi spiegheranno cosa fare,” rispose lei. “Controllate dall’alto ogni vicolo, ogni persona e ogni anfratto, e se doveste notare qualcosa di sospetto, qualsiasi cosa, contattatemi immediatamente tramite la radio che ho fornito loro. La sala controllo è sempre in ascolto, e le telecamere sono attive in qualsiasi momento.”

La donna abbassò la testa, accettando gli ordini senza fiatare. Ma Sarada non aveva ancora finito. “Inoltre, voglio che alcuni di voi perlustrino i confini di uscita a turno, e in gruppi da due. Il responsabile di questa divisione è Shikadai Nara. Qualsiasi cosa vi dirà di fare, obbedite ai suoi comandi come se fossero i miei.”

Quest’ultimo sbiancò visibilmente non appena registrò i comandi della ragazza, ma non fece in tempo a dire niente prima che gli Shinobi gridassero in coro il loro saluto. “Agli ordini, Capitano!” Una manciata di ninja dall’aria decisa e determinata si posizionarono alle sue spalle.

Il Nara sospirò mentalmente. “Che seccatura.”

Dopo quelle parole, tutti gli Shinobi scattarono immediatamente in azione, pronti a disporsi secondo gli ordini che avevano ricevuto. “Shin,” Sarada lo richiamò prima che quest’ultimo potesse andarsene a sua volta. Il ragazzo si voltò verso di lei, completamente in ascolto. La ragazza lo fissò in tutta serietà. “Tu prendi posizione nelle prime file, vicino al palco. Controlla che i Kage non facciano mosse azzardate, soprattutto quelli alleati con la Rivoluzione. Coi tuoi occhi, sei la persona più adatta a questo compito.”

L’albino si batté un pugno sul petto. “Sarà fatto, Capitano,” rispose subito, svanendo immediatamente dopo tramite uno Shunshin no Jutsu (Tecnica del Movimento Corporeo Istantaneo).

Sarada rimase da sola, osservando coi suoi occhi rosso fuoco l’immensa folla di persone e Shinobi riuniti nel cortile, ed ascoltando distrattamente il loro fragoroso vociare che risuonava nell’aria. Uscì dalla tenda delle riunioni e prese a sua volta posizione senza perdere tempo, posizionandosi lungo il perimetro occidentale del palco, vicino alle mura della Fortezza. Gli ANBU che erano di guardia lì per controllare coloro che andavano nei bagni le fecero un rispettoso saluto appena la videro passare. Ricambiò il gesto con un cenno del capo.

I suoi occhi scandagliarono le prime file vicine al palco con una morbosità ossessiva. Era lì che stavano tutti i Kage, i Daimyo e le persone più importanti a livello politico. E la ragazza sapeva che, nascosta da qualche parte, Himawari si trovava lì a sua volta. Anche se non era ufficialmente in servizio, la sua amica aveva promesso di tenere gli occhi aperti per lei durante il Summit. Era pur sempre un’Eremita, oltre che una delle Kunoichi più forti del Villaggio. La sua presenza era un pensiero confortante.

E l’Uchiha sapeva di poter contare su di lei in quell’occasione tesa.
 


20 minuti prima dell’inizio

“Sesto Hokage, possiamo sederci qui accanto a lei?”

Kakashi alzò pigramente lo sguardo, osservando la donna elegante che indicava il posto in prima fila accanto al suo, affiancato da un’altra donna dal portamento fiero. Lo stavano fissando con dei sorrisi formali. “Assolutamente,” concordò immediatamente l’uomo con la maschera. Fece un gesto con la mano verso i sedili di pelle posti alla sua destra. “Sarebbe decisamente scortese da parte mia rifiutare di sedermi accanto a delle splendide persone come voi.”

“Oh, com’è galante,” ribatté sarcasticamente Haruko la Salamandra, posizionandosi affianco a lui con un ghigno divertito. “Il Settimo è stato davvero gentile a riservarci dei posti in prima fila accanto a lei. È un onore,” disse, mentendo allegramente senza problemi. Dopotutto, sapevano benissimo tutti e tre che il motivo per cui era stata scelta quella particolare disposizione di posti era affinché l’ex Hokage potesse tenerle d’occhio durante lo spettacolo. “Non trovi anche tu, Kaya?”

La donna dai capelli rossi annuì mentre si sedeva a sua volta accanto a lei, stoica. “Assolutamente.”

L’Amekage si sporse in avanti subito dopo, superando la figura del Sesto e fissando l’altra persona seduta alla sua sinistra con un’espressione divertita. “Buonasera anche a lei, Tsuchikage-sama. Spero che non se la sia presa per la mia battuta di ieri sera. Non volevo certo offenderla,” disse con un sorriso ironico, rivolgendole un ghigno dentato palesemente sarcastico.

Kurotsuchi si fece rigida come una pietra, ma voltò lentamente la testa e rivolse a sua volta un sorriso falso alla donna della Pioggia. “Certamente, non mi sono offesa affatto. Dopotutto, non è da me dare credito alle provocazioni inutili,” ribatté lentamente, palesemente stizzita e fredda.

“Oh-oh! Sta forse insinuando qualcosa?”

“Non saprei… lei cosa ne pensa?”

Una sorta di aura oscura e pesante cominciò a calare tra quelle due mentre si scannavano con gli occhi. Il Sesto Hokage sospirò sommessamente e si passò una mano sulla fronte, odiando di già il fatto di essersi ritrovato letteralmente in mezzo a due bombe a mano pronte ad esplodere da un momento all’altro. Cavolo, quanto gli mancavano le terme dove aveva passato la sua pensione. Poi però i suoi occhi guizzarono di lato, osservando per diversi secondi con un’espressione indecifrabile una delle nuove arrivate. “Se me lo permette, vorrei darle le mie più sincere condoglianze, Uzukage-sama,” disse allora con sincerità, rivolgendosi al leader del clan Uzumaki. “Sono certo che quello che succederà oggi non sarà un bello spettacolo per lei. Ma voglio che lei sappia che capisco appieno il suo dolore. Anch’io ho perso la mia famiglia quando ero giovane.”

“La ringrazio, Sesto,” si limitò a rispondere freddamente quella, senza nemmeno voltarsi.

“Una reazione prevedibile,” dedusse Kakashi, sospirando mentalmente. Beh, non che ci fosse da stupirsi. Lo spettacolo che avrebbe avuto inizio a breve sarebbe stato straziante per quella donna. Stava letteralmente per assistere all’esecuzione pubblica di sua figlia e dei suoi amici. Decisamente una scena poco piacevole. Qualsiasi persona si sarebbe sentita male nella sua posizione. Tuttavia, c’era qualcosa che non lo convinceva appieno. Gli occhi di quella donna erano pieni di timore e preoccupazione, certo, ma brillavano anche di qualcos’altro. Un’emozione che il veterano Ninja Copia della Foglia aveva visto diverse volte negli occhi dei suoi nemici: rabbia e freddezza.

Il vecchio Hokage si accigliò leggermente.

“In ogni caso, quello che succederà oggi sarà la fine di un’era,” dichiarò solennemente Haruko, poggiando un braccio sul bracciale della sedia e reggendosi il mento con un sorriso strano. Osservava il palco illuminato dalle luci con un’espressione mista tra l’annoiato e il saccente. “La fine della nostra Rivoluzione.”

Kakashi la guardò di sbieco, il suo sguardo annoiato. “La fine… o un nuovo inizio,” sussurrò di rimando, accarezzandosi inconsciamente la cicatrice.

L’Amekage ghignò, snudando i denti. “Eheheh. Immagino che soltanto il tempo ce lo dirà,” si limitò a sghignazzare.

Il Sesto assottigliò lo sguardo.
 


17 minuti prima dell’inizio

Himawari sospirò, cercando di ignorare l’uomo grassoccio e dall’odore poco piacevole che stava seduto accanto a lei alla sua sinistra. Aveva un respiro affannoso e pesante, piuttosto difficile da ignorare. Sospirò di nuovo, sentendo la sua irritazione aumentare di secondo in secondo, ma decise di darsi una calmata. Non poteva abbassare la guardia. Lei e sua madre erano sedute assieme nella zona più vicina al palco, anche se un po' più indietro rispetto ai posti d’onore dei Kage e dei nobili. Da lì, riusciva anche a intravedere il Kusokage dell’Erba e la Mizukage dell’Acqua mentre bisticciavano tra di loro un paio di file oltre la loro. Ma assieme a loro due, anche sua zia Hanabi era presente a sua volta, sorridente e raggiante di allegria come sempre. Dopotutto, in quanto nuovo leader del clan Hyuuga, non poteva mancare a quell’evento.

“Manca poco, non è vero?” esclamò la sorella minore di Hinata, visibilmente eccitata. “Non sei curiosa, Hima? Finalmente vedremo cosa ha organizzato tuo padre per questo Summit mondiale! Non ha voluto rivelarci nulla per tutto questo tempo, dopotutto.”

La giovane Uzumaki annuì. “Immagino che sarà uno spettacolo unico,” ammise, prima di assottigliare lo sguardo e reprimere un pensiero oscuro. “Anche se ciò che tutti si aspettano veramente di vedere sarà l’esecuzione dei Kara. Scommetto che più della metà dei presenti sono venuti solo per quello.”

Il sorriso scomparve dal volto di Hanabi. La donna osservò un gruppo di giornalisti alla destra delle file mentre riprendeva il palco vuoto con una telecamera grossa quanto uno zaino da campeggio. “Sarà un evento mediatico dall’impatto immenso,” concordò, assottigliando gli occhi. “Ci saranno almeno un centinaio di giornalisti presenti. E lo spettacolo verrà trasmesso in diretta su tutti i canali della Televisione, così come l’esecuzione. Era inevitabile che accadesse, non potevamo aspettarci di meno.”

Himawari preferì non commentare. Sapeva che le parole di sua zia fossero veritiere, ma le faceva un effetto strano pensare che tutta quella gente fosse interessata solo a vedere la morte di alcuni criminali. Certo, quei criminali erano stati i Nukenin più pericolosi e spietati degli ultimi venti anni, ed avevano commesso una serie di crimini lunga quanto un grattacielo… ma era comunque sbagliato, nella sua opinione. E poi, lei stessa non sapeva ancora come doveva sentirsi a riguardo di tutta questa faccenda. I Kara… erano gli amici di Boruto. Erano state le persone per cui suo fratello aveva rischiato la vita, aveva lottato, e aveva abbandonato lei e i suoi genitori. Erano stati probabilmente la cosa più importante che avesse mai avuto. E a causa di ciò, Himawari non traeva nessuna gioia nel sapere che adesso sarebbero stati giustiziati una volta per tutte.

Non era insensibile, dopotutto.

“Hinata, che stai facendo?”

La giovane si riscosse da quei pensieri all’udire la domanda di Hanabi, volgendo distrattamente lo sguardo verso sua madre. E appena videro quello che stava facendo, i suoi occhi si sgranarono per lo stupore. “Mamma! Sei impazzita?!” sibilò a denti stretti, afferrandola subito per un braccio e forzandola a rimettersi seduta. La guardò direttamente in quei suoi occhi privi di pupille. Si portò accanto a lei col viso. “Non puoi usare il Byakugan con così tanta leggerezza in mezzo a tutte queste persone! È una cosa estremamente sgarbata! Me lo hai insegnato tu, ricordi?” le bisbigliò freneticamente, imbarazzata e confusa.

Sua madre sospirò sommessamente, disattivando i suoi occhi; ma si rimise in piedi ancora una volta per osservarsi attorno con attenzione. Himawari e Hanabi si scambiarono un’occhiata confusa mentre lei scandagliava i volti della folla alla ricerca di qualcosa. O qualcuno. “Si può sapere che stai cercando di fare?” chiese ancora una volta sua sorella.

Hinata si rimise a sedere dopo dieci secondi, visibilmente delusa. “Stavo… cercando una persona,” ammise alla fine.

“Chi?” domandò Himawari. “Non dirmi che si tratta di quel tipo strambo con cui hai parlato una settimana fa?”

Il sorriso contemporaneamente imbarazzato e speranzoso che comparve sul viso della Hyuuga bastò a farle capire che aveva fatto centro. La ragazzina rimase a bocca aperta. “M-Mamma, che intenzioni hai?” le chiese immediatamente, incapace di comprendere. “Pensavo che dopo quella scenata dell’altro giorno con papà avessi deciso di dimenticarlo. Perché sei così ossessionata da quel tizio?”

Sua madre si fissò le mani con un sorriso. “Non riesco a spiegarmelo nemmeno io, Hima,” rispose semplicemente. “È solo che… quando ho parlato con quell’uomo, mi sono sentita bene. Davvero bene. Come non mi succedeva più sin da quando… da quando…”

Non ebbe bisogno di continuare la frase. Tutte e due sapevano benissimo a cosa si stesse riferendo. “E quindi?” pressò Hanabi, confusa.

Il viso di Hinata era speranzoso come non mai. “Non so cosa sia successo, ma quando ero con lui sentivo una sensazione di pace. Una sensazione… nostalgica, quasi. Era come se qualcosa dentro di me fosse sicura che Saigo-san fosse una persona che mi era sempre stata vicina, di cui potevo fidarmi,” fu tutto ciò che riuscì a dire. “Per questo mi avrebbe fatto piacere rivederlo. Tutto qui.”

Himawari e Hanabi rimasero completamente a bocca aperta.

Hinata ridacchiò, scuotendo leggermente la testa con imbarazzo. “Ma questi sono pensieri inutili ormai, non è vero?” disse, cercando di suonare meno delusa di quanto si sentisse in realtà. “Beh, adesso non importa. Dopotutto, lo spettacolo sta per cominciare.”

Nessuna delle due riuscì a parlare dopo quella scena.
 


12 minuti prima dell’inizio

“Come procedono le cose?” domandò la giovane, ascoltando con attenzione le parole che uscivano dalla piccola radiolina collegata al suo orecchio destro.

“Niente da segnalare, al momento,” rispose la voce sincronizzata di un ANBU, seria e concisa. “Nessun movimento sospetto nelle zone periferiche o centrali. E il gruppo di ronda Liberio ci ha appena riferito lo stato verde anche per loro. Riprenderanno a fare un altro giro di pattuglia all’istante.”

Sarada annuì, anche se era pienamente consapevole del fatto che non potevano vederla in quel momento. “Continuate a stare all’erta. Non ammetterò leggerezze per tutta la durata dell’evento. Fino a quando non sarà tutto finito, voglio la massima efficienza da parte di ogni gruppo,” ordinò seriamente, inflessibile.

“Sarà fatto, Capitano.”

La giovane Uchiha sospirò mentalmente, spegnendo la radio con un dito. Occuparsi della supervisione di tutti i gruppi della Sicurezza si stava rivelando decisamente stressante. E anche se sapeva che ultimamente era diventata troppo autoritaria e inflessibile coi suoi subordinati, era contemporaneamente consapevole del fatto che non poteva fare altrimenti. Questo Summit era l’evento di pace più importante che il mondo avesse mai visto prima d’ora. Una sola distrazione, una minima leggerezza… e tutto poteva andare in fumo come niente. Se i controlli fossero stati insufficienti, se la sicurezza fosse stata inefficace, le minacce avrebbero potuto causare danni incommensurabili. Un solo Ribelle travestito da civile avrebbe potuto nascondersi in mezzo alla folla con una bomba legata al corpo, ad esempio. E questo era solo uno degli infiniti scenari possibili.

Era per questo che Sarada non poteva permettere a sé stessa e a coloro che erano stati posti sotto al suo comando di agire con leggerezza.

“M-Mi scusi, posso parlarle un secondo?” fece improvvisamente una piccola vocina alle sue spalle.

Sarada ammiccò, confusa, prima di voltarsi lentamente per vedere chi avesse parlato. E quando lo fece, rimase stupita nel vedere che si trattava di un piccolo bambino minuto, con dei folti e spettinati capelli verdi ed un viso innocente e infantile che mostrava una palese trepidazione tipica dei bambini. Non poteva avere più di dieci o undici anni, nella sua opinione.

La giovane Uchiha gli rivolse un sorriso. “Ehi, piccolo,” disse affettuosamente, inginocchiandosi per arrivare al suo livello. “Che cosa ci fai qui? Questa è una zona riservata solo al personale autorizzato. Non dovresti essere qui.”

Il bambino la osservò con un sorriso eccitato, ansimando leggermente per la corsa che aveva fatto per cercarla. “Stavo cercando lei,” rispose con allegria ed un misto di emozione. “Lei… Lei è il Capitano Uchiha, non è vero?”

Sarada divenne istantaneamente seria all’udire quella dichiarazione, assottigliando gli occhi. “Come fai a sapere questa cosa?” domandò seriamente.

Nonostante il suo evidente cambio di umore, il piccolo non si scompose minimamente, continuando a sorriderle con innocenza e un pizzico di mistero che brillava nei suoi occhioni rotondi. “Ha un minuto? C’è una cosa che vorrei mostrarle,” si limitò a dire, puntando con un dito verso destra. Sarada seguì con lo sguardo il punto che stava indicando il bambino. La parete esterna della Fortezza alle spalle del gigantesco palco. I suoi occhi si assottigliarono.

La ragazza esitò un paio di secondi prima di sorridere velatamente. “Perché no?” gli concesse, decidendo di assecondarlo per vedere cosa stava succedendo. Posò lo sguardo su un piccolo orologio tascabile che portava legato al polso. “Abbiamo ancora tempo prima che si alzi il sipario.”

Il sorriso che spuntò sul volto del bambino era raggiante come il sole. “Grandioso!” esclamò con gioia, saltellando all’aria ed allontanandosi da lei ad ampi passi. “Allora mi segua! Ci vorrà solo un minuto!” Detto ciò, il bambino prese a farle strada senza perdere altro tempo, avanzando a passo spedito verso l’ingresso del castello alle spalle del palco.

Sarada lo seguì con un cipiglio aggrottato.
 


10 minuti prima dell’inizio

Gaara esalò un respiro tremante, passandosi una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore freddo che aveva cominciato ad investirlo da qualche minuto, imprecando mentalmente. Il suo corpo venne squassato da un colpo di tosse che per poco non lo costrinse a piegarsi in due, togliendogli il fiato. Sarebbe probabilmente caduto a terra in ginocchio se un paio di braccia forti e decise non lo avessero afferrato e sorretto.

“Tieni, amico,” la voce di Naruto era bassa e rammaricata mentre gli porgeva un bicchiere d’acqua. “Ti farà stare meglio.”

Quello accettò il bicchiere senza protestare, bevendone avidamente il contenuto in un sorso solo, grato della sensazione piacevole che il liquido fresco generava nella sua gola riarsa e scossa dalla tosse. “G-Grazie, Naruto.” esalò affannosamente, abbozzando un sorriso.

Il suo amico gli fece solo un cenno col capo, ma Gaara notò appieno lo sguardo preoccupato che gli stava rivolgendo. Tuttavia scelse di non proferire parola, limitandosi ad aiutarlo a sedersi sopra una sedia, discendendo poi entrambi in silenzio contemplativo e teso. All’esterno della piccola struttura in cui si trovavano – una piccola cabina posta dietro al palco che fungeva da spogliatoio per permettere agli attori di prepararsi – il vociare e gli schiamazzi della folla si sentivano forte e chiaro.

“Ti… Ti senti bene?” chiese l’Hokage dopo un po' di silenzio.

Gaara annuì, pallido. “Non preoccuparti. Il mio corpo è debole, ma ci sono abituato ormai. Anche se ammetto che quest’ultima scossa prima dello spettacolo mi ha colto di sorpresa,” ammise con voce roca.

“Sei certo di voler andare là fuori?” continuò il biondo, teso. “Sai che se me lo dicessi ti sostituirei volentieri.”

“Ne abbiamo già parlato, Naruto. Devo essere io a farlo. Tu hai un altro compito da svolgere. E poi, te l’ho detto, ci sono abituato. Non mi lascerò sopraffare per così poco,” lo rassicurò il Kazekage, sincero e determinato.

Naruto fece per parlare, quando in quello stesso momento un’altra persone entrò nella cabina. “Gaara,” disse Shikamaru, il suo tono e la sua espressione più gravi del solito. “È quasi giunto il momento.”

Quello fece un cenno col capo, sentendo il sudore freddo colargli dalle tempie. “…già,” sussurrò, fissando il suo riflesso in uno specchio.

L’Hokage e il suo consigliere si scambiarono un’occhiata nervosa e incerta. Tuttavia fu un’altra voce familiare a riscuoterli dalla tensione. “Sei davvero certo di volerlo fare?”

Il Kazekage e gli altri due si voltarono di sbieco. Gaara si rallegrò appena vide la nuova arrivata, alzandosi lentamente dalla sedia. “Che sorpresa. Sei venuta per fare il tifo per me, Temari?” domandò con un sorriso teso.

Sua sorella gli rivolse di rimando un sorriso preoccupato, affiancata da Shinki che l’aveva scortata fino a lì. “Sono solo venuta per vederti prima dello spettacolo,” ammise con sincerità, prendendogli una mano e stringendogliela tra le sue. I suoi occhi verdi lo squadrarono dalla testa ai piedi. “Hai un aspetto terribile.”

Gaara ridacchiò. “Già, sono impresentabile, vero?” esalò vergognosamente, asciugandosi la fronte con un fazzoletto. “È solo che mi sento troppo agitato. Quest’impresa che abbiamo iniziato… è troppo importante. Ne va della salvezza del nostro mondo.”

Temari lo guardò con un misto di affetto e orgoglio, accarezzandogli la mano con le sue dita. “…sei sempre stato il più coraggioso tra noi tre, fratello,” sussurrò orgogliosamente. “L’ho sempre saputo.” Gaara la guardò con un sorriso. Assieme a lui, anche Naruto e Shikamaru sentirono le loro labbra incurvarsi all’insù dinanzi a quella scena.

La donna dai capelli color sabbia gli diede un piccolo bacio sulla guancia. “Sono certa che riuscirai a sistemare ogni cosa una volta salito su quel palco,” disse sinceramente. “Perciò vai, e mostra al mondo intero quello che sei, Gaara.”

Il Quinto Kazekage sentì la sua determinazione aumentare a dismisura. "Grazie mille, Temari.”
 


10 minuti prima dell’inizio

“Eccoci, siamo quasi arrivati!” esclamò allegramente il bambino, puntando in avanti.

Sarada esitò, senza però smettere di seguirlo. C’era qualcosa che puzzava in tutta quella faccenda, ed era decisa a scoprire di cosa si trattava. Quel bambino… chi era? Perché la stava conducendo all’interno del castello? Perché proprio ora? Doveva vederci chiaro, e per farlo non aveva altra scelta che seguirlo. Il suo sospetto aumentò a dismisura non appena si rese conto che la stava conducendo all’interno di una scalinata sotterranea posta appena sotto l’ingresso principale della Fortezza. Una scalinata che conduceva ai sotterranei del castello. I suoi occhi si assottigliarono pericolosamente.

“Aspetta,” lo fermò immediatamente lei, smettendo di camminare appena prima di scendere il primo gradino. Il piccolo arrestò a sua volta la sua discesa e la guardò con confusione. “Dove mi stai portando? Che cos’è che vuoi mostrarmi?” domandò allora, seria e sospettosa.

Ma, con suo sommo stupore, il bambino le rivolse un sorriso talmente allegro e sincero da lasciarla allibita. “Non si preoccupi. Una volta arrivati, capirà anche lei,” fu tutto ciò che disse, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.

Sarada esitò, completamente confusa. Era evidente che quel bambino non avesse intenzioni malvagie. Era troppo innocente, e suoi sensi allenati da ANBU non percepivano nessuna falsità nel suo tono o nel suo volto. Qualsiasi cosa volesse farle vedere, era convinto che le sarebbe piaciuta.

Alla fine, dopo diversi secondi, l’Uchiha sorrise e si arrese alla sua innocenza. “Come vuoi,” gli concesse dolcemente.

Il bambino sorrise e continuò a farle strada. Lei lo seguì senza fare domande mentre continuavano a scendere le scale che si addentravano nei sottofondi del castello, discendendo in un silenzio piuttosto imbarazzante. Poi, dopo meno di un minuto di discesa, arrivarono dinanzi ad una piccola porta di legno, visibilmente vecchia e piena di ragnatele e segni di ruggine nelle parti metalliche. “Eccoci, siamo arrivati,” esclamò lui, aprendola con entrambe le mani ed esortandola ad entrare con un ghigno trepidante stampato in faccia.

E poi, non appena la ragazza varcò la soglia della porta, i suoi occhi si posarono immediatamente sopra la figura incappucciata che li stava attendendo, seduta sopra una sedia al centro della stanza illuminata solo dalla luce tenue e soffusa di una lampada ad olio.

I suoi occhi si sgranarono a dismisura.

Quella cappa nera e grigia… era la divisa dell’Organizzazione Kara.

Sarada trattenne il fiato.

“Ehi,” la salutò sommessamente l’uomo incappucciato, la sua voce bassa, profonda e – la giovane era pronta a giurarlo – dolorosamente familiare. “Sono passati due anni… ti trovo in forma.”

L’Uchiha lo fissò con sospetto, i suoi occhi pieni di timore e sconvolgimento. “T-Tu chi sei?” domandò.

L’uomo non rispose. Invece si mosse a malapena, portandosi semplicemente una mano sul volto e sfilandosi lentamente il cappuccio dalla testa.

E non appena i suoi occhi videro quei capelli dorati, quell’occhio azzurro e profondo come il mare, quei due segni distintivi sulle sue guance, quel coprifronte sfregiato, e infine quella terribile cicatrice sulla sua palpebra sinistra… Sarada Uchiha sentì tutto il fiato che aveva in corpo uscirle prepotentemente fuori dai polmoni, assieme ad una opprimente sensazione di terrore ed incredulità che le pervase completamente la testa e la rese incapace di ragionare. Accanto a lei, il bambino dai capelli verdi che l’aveva condotta lì sembrò rimanere stupito quasi quanto lei.

“N-N-No… Non può essere…”

La sua mente sbiancò completamente.

“T-Tu sei…”

Boruto Uzumaki la guardò con uno sguardo privo di emozione. “Sono lieto che tu sia riuscita a tornare a casa sana e salva… Sarada.”
 






 

I’M ALIVE
(Sia)

 
I was born in a thunderstorm,
I grew up overnight,
I played alone,
I’m playing on my own,
I survived.

I wanted everything I never had,
Like the love that comes with light.
I wore envy and I hated that,
But I survived.
 
I had a one-way ticket to a place
 Where all the demons go,
Where the wind don't change
And nothing in the ground can ever grow.
No hope, just lies,
And you're taught to cry into your pillow,
But I survived.
 
I'm still breathing, I'm still breathing,
I'm still breathing, I'm still breathing.
I'm alive! I'm alive!
I'm alive! I'm alive!
 
I found solace in the strangest place
Way in the back of my mind.
I saw my life in a stranger's face,
And it was mine.
 
I had a one-way ticket to a place
Where all the demons go,
Where the wind don't change
And nothing in the ground can ever grow.
No hope, just lies,
And you're taught to cry into your pillow,
But I survived.
 
I'm still breathing, I'm still breathing,
I'm still breathing, I'm still breathing.
I'm alive! I'm alive!
I'm alive! I'm alive!
 
You took it all, but I'm still breathing.

I have made every single mistake
That you could ever possibly make.
I took, and I took, and I took what you gave,
But you never noticed that I was in pain.
I knew what I wanted; I went in and got it,
Did all the things that you said that I wouldn't.
I told you that I would never be forgotten
And all in spite of you.
 
And I'm still breathing, I'm still breathing,
I'm still breathing, I'm still breathing.
I'm alive! (You took it all, but I'm still breathing)
I'm alive! (You took it all, but I'm still breathing)

I'm alive!
Sono nato in una tempesta,
Sono cresciuto di notte,
Giocavo da solo,
Sto giocando per conto mio,
Sono sopravvissuto.

Volevo tutto ciò che non ho mai avuto,
Come l’amore che arriva con la luce.
Indossavo l’invidia e lo detestavo,
Ma sono sopravvissuto.
 
Avevo un biglietto di sola andata per il luogo
Dove vanno tutti i demoni,
Dove il vento non cambia
E nulla potrà mai crescere nel terreno.
Nessuna speranza, solo bugie,
E t’insegnano a piangere nel tuo cuscino,
Ma sono sopravvissuto.
 
Sto ancora respirando, sto ancora respirando,
Sto ancora respirando, sto ancora respirando.
Sono vivo! Sono vivo!
Sono vivo! Sono vivo!
 
Trovai conforto nel luogo più strano
Nei meandri della mia mente.
Vidi la mia vita nel volto di un estraneo,
Ed era il mio.
 
Avevo un biglietto di sola andata per il luogo
Dove vanno tutti i demoni,
Dove il vento non cambia
E nulla potrà mai crescere nel terreno.
Nessuna speranza, solo bugie,
E t’insegnano a piangere nel tuo cuscino,
Ma sono sopravvissuto.
 
Sto ancora respirando, sto ancora respirando,
Sto ancora respirando, sto ancora respirando.
Sono vivo! Sono vivo!
Sono vivo! Sono vivo!
 
Mi hai preso tutto, ma sto ancora respirando.

Ho fatto ogni singolo sbaglio
Che si potrebbe mai fare.
Ho preso, e preso, e preso ciò che mi davi,
Ma tu non hai mai notato che stavo soffrendo.
Sapevo cosa volevo, sono andato e l’ho preso,
Ho fatto tutte le cose che dicevi non avrei mai fatto.
Ti dissi che non sarei mai stato dimenticato
E tutto nonostante te.
 
E sto ancora respirando, sto ancora respirando,
Sto ancora respirando, sto ancora respirando.
Sono vivo! (Mi hai preso tutto, ma sto ancora respirando)
Sono vivo! (Mi hai preso tutto, ma sto ancora respirando)

Sono vivo!








 

Note dell’autore!!!

Salve gente, ecco a voi il nuovo capitolo. Spero possa essere stato di vostro gradimento.

È stato decisamente difficile per me raccontare i punti di vista di tutti i personaggi in un solo capitolo, ma volevo comunque farlo. Dopotutto, sono avvenimenti che avvengono tutti durante lo stesso evento e lo steso sprazzo di tempo, e volevo dare l’impressione che fosse così anche con la scrittura. Spero di essere riuscito a descriverli in maniera decente, fatemelo sapere, vi prego. Abbiamo visto i punti di vista di molti personaggi diversi: Naruto, Sarada, Gaara, i Kara… e anche quello di alcuni miseri bambini che sembrano buttati quasi a caso in mezzo a tutta quella situazione. Il futuro si sta facendo davvero strano, non trovate?

Siamo quasi giunti all’apice della situazione. Il Summit è iniziato, e abbiamo infine visto come si sta svolgendo a grandi linee. Ve l’avevo detto che sarebbe stato diverso da quello precedente. Non volevo creare un banale e noiosissimo incontro di soli Kage e politici attorno ad un tavolo. I tempi sono cambiati, e siamo in una situazione di guerra, per cui la cena è stata pensata per riappacificare e unire assieme persone che dovrebbero odiarsi. È questa la logica che sta dietro a tutto. E per quanto riguarda lo ‘spettacolo’… vedrete tutto nel prossimo capitolo. Non faccio spoiler, ma avete già ricevuto degli assaggi su quello che succederà, diversi capitoli fa.

Vi anticipo che il piano di Boruto sta per essere rivelato. Non lo farà nel modo che vi aspettate, ve lo assicuro, ma vedrete tutto. Adesso si è finalmente rivelato a Sarada, ma non posso dirvi che cosa ha in mente e perché sta agendo in quel determinato modo. Lo lascio alla vostra speculazione, quindi sentitevi liberi di pensare e immaginarvi quello che volete.

Inoltre, spero davvero di poter ricevere le vostre opinioni al riguardo di tutto questo. Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate della vicenda, e sto davvero apprezzando enormemente i consigli che molti di voi mi stanno dando. Perciò, se avete qualcosa che vorreste dirmi, qualche parere da voler condividere, e anche qualche lamentela da farmi, sentitevi liberissimi. Io apprezzo ogni cosa e sono aperto ad ogni tipo di discussione.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo il prima possibile. Ce la metterò tutta, promesso. Grazie mille in anticipo a tutti, e a presto!
 

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Capitolo 9
*** Dichiarazione di Guerra ***


 

DICHIARAZIONE DI GUERRA




01 Ottobre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Sotterraneo della Fortezza
19:51

“Non può essere vero…”

Quello fu l’unico pensiero coerente che la sua mente agitata riuscì a formulare in quel groviglio di emozioni.

Sarada non riuscì a muoversi, sconvolta e scioccata oltre ogni descrizione possibile, coi suoi occhi sgranati all’inverosimile mentre osservavano con incredulità, sgomento e timore un altro occhio che la guardava a sua volta. Un occhio azzurro, come il cielo più limpido d’estate, e contemporaneamente freddo, glaciale e spento come il metallo. La sua mente era una tempesta agitata e confusa di emozioni. Shock, terrore, incredulità, e molto altro ancora. Non riusciva a muoversi, non riusciva a parlare, restandosene semplicemente ferma, lì, impalata ad osservare con un’espressione sconvolta e terrorizzata quel volto gelido e privo di emozione puntato su di lei, immobile e solenne come una statua. Quel volto che, da due anni a questa parte, la sua mente aveva disperatamente desiderato e temuto di rivedere ancora una volta.

E in quel momento, in quel preciso e terribile momento, il mondo che la circondava scomparve all’improvviso come se non esistesse.

Il suo cuore pulsò dolorosamente di una serie di emozioni indescrivibili a parole.

Il bambino accanto a lei osservò la scena con evidente confusione. “Ehm… c-che sta succedendo?” domandò innocentemente.

Il silenzio fu la sua unica risposta.

Deku posò lo sguardo sul volto fermo e impassibile dell’uomo. Un volto che mai prima d’ora aveva visto coi suoi occhi dal vivo, ma che conosceva nonostante tutto. Lo aveva visto. Lo aveva visto così tante volte alla televisione, sui giornali, e persino in alcuni poster e immagini per le strade del Villaggio. Lui… Lui conosceva quel volto. Anche se non l’aveva mai incontrato prima d’ora.

“S-Signor Saigo,” esalò allora, incerto e confuso come non mai. Osservava quel volto freddo e privo di emozione con una crescente sensazione di timore. “Mi… Mi aveva detto che voi due eravate vecchi amici… che sarebbe rimasta sorpresa di rivederla… g-giusto, signor Saigo?”

L’uomo non rispose. Lentamente, spostò lo sguardo dal volto della ragazza e lo guardò. E nell’istante in cui quell’occhio azzurro freddo e solenne si posò su di lui, il piccolo bambino sentì un brivido gelido di terrore percorrergli tutta la spina dorsale. Il giovane uomo dai capelli dorati non palesò nessuna emozione nel suo volto sfigurato da quell’orribile cicatrice. “Sì,” disse alla fine, la sua voce bassa e monotona come se fosse priva di interesse. “Grazie Deku, per averci fatti incontrare.” Posò nuovamente il suo occhio sulla figura impietrita dell’ANBU davanti alla porta. “Abbiamo così tante cose da dirci… che non so proprio da dove cominciare.”

Sarada continuò a restare ferma e immobile, la sua faccia una maschera d’incredulità e terrore. “N-Non può essere…” sussurrò con orrore, terrorizzata e incapace di muoversi. Il bambino le lanciò un’occhiata esitante.

L’uomo non si mosse, limitandosi a fare un gesto con la mano verso una sedia posta dinanzi a quella su cui stava seduto lui, esattamente al centro della stanza. “Siediti, Sarada,” la esortò a bassa voce. La giovane ANBU lo guardò come se fosse un fantasma. “Questo è un bel posticino dove parlare. Possiamo sentire lo spettacolo anche da qui.”

Gli occhi sgranati della corvina si mossero ad osservare la parete alla sua destra, appena oltre la figura di Boruto. Lì, posta a circa due metri di altezza, si trovava una piccola finestrella aperta che dava sull’esterno, sbucando sul cortile. Era sbarrata, e talmente piccola da essere impossibile da usare come via di fuga, ma il vociare e i suoni provenienti dal cortile si sentivano forte e chiaro.

Quell’uomo dinanzi a lei continuava a fissarla con uno sguardo privo di emozione. “Il palazzo sopra di noi è abbastanza grosso. È dietro al palco, ma molti civili e Shinobi si sono posizionati lì per assistere allo spettacolo…” Sarada sentì un brivido di terrore appena udì la frase successiva. “Molte persone si stanno affacciando dalla finestra in attesa che si alzi il sipario.”

La giovane Uchiha trattenne il fiato non appena comprese ciò che stava implicando. I suoi occhi si sgranarono a dismisura per l’orrore.

Quello continuava a fissarla, puntando un dito verso l’alto. “Proprio qui, sopra le nostre teste.”

La ragazza sentì ogni viscera dentro di lei agitarsi per il terrore.

Accanto a lei, il piccolo bambino trasalì come se fosse stato colpito. “S-Signor Saigo!” esclamò. “Lei è ferito!”

Con occhi tremanti, Sarada posò lo sguardo sulla mano destra del biondo, notando soltanto adesso il modo in cui un piccolo rivolo di sangue colava costantemente fuori da un profondo taglio sul suo palmo. Il Nukenin non si scompose minimamente, limitandosi a posare la mano sulla gamba per nascondere di nuovo la ferita. “È… solo un graffio,” sussurrò, incurante.

Poi, con un’espressione solenne e fredda, tornò a fissare il Capitano degli ANBU. “Sarada, siediti.” ordinò gelidamente, la sua voce fredda e tagliente come il ghiaccio.

Sarada sentì il sudore colarle copiosamente da una tempia. Come un automa, il suo corpo si mosse da solo, portandosi vicino alla sedia libera e prendendo posto con una lentezza inesorabile. Poi, una volta seduta, posò gli occhi sgranati a terra e rimase a fissare il pavimento, incapace di alzare lo sguardo. Il silenzio più totale discese tra loro due per diversi secondi.

Il bambino dai capelli verdi presente sentì la tensione cominciare a farsi più palpabile nell’aria. “A-Allora… io ritorno di sopra,” disse lentamente, accingendosi ad andarsene.

“No, Deku,” lo richiamò immediatamente il biondo, senza nemmeno voltarsi a guardarlo. “Rimani. Devi sentire anche tu.”

“…C-Cosa?”

“Ragazzo, fai come ti ha detto,” disse anche la corvina, pallida e tremante, i suoi occhi spalancati puntati sempre e solo sul pavimento.

Il piccolo Deku esitò, completamente incerto su cosa fare. Finché, alla fine, la tensione ebbe la meglio sul suo corpo e le sue spalle si costrinsero a reprimere un tremito.

“… ok…”
 


“C’è davvero un sacco di gente,” commentò allegramente Jigen, osservandosi attorno con un sorriso indecifrabile.

Accanto a lui, seduta sulla parte sinistra dei bancali più esterni in cui si trovavano entrambi da poco più di una decina di minuti, Galatea puntò lo sguardo verso sinistra. Un’innumerevole calca di Shinobi e civili di ogni tipo stava continuando ad affluire all’interno del cortile, lenta e inesorabile, superando i controlli agli ingressi e riempiendo ogni singolo spazio libero presente. E in mezzo ad essi, la donna riconobbe all’istante la presenza di Shinobi e ANBU travestiti da gente comune. I suoi sensi – era pur sempre una sensitiva abbastanza decente – riuscirono a captarli immediatamente. I civili non avevano quella particolare segnatura di energia sopita nei loro corpi.

“Sembra che la sicurezza sia più estrema che mai,” disse alla fine a bassa voce, scoccando occhiate in ogni direzione. “Riesco a percepire almeno due centinaia di Shinobi in giro per tutto il cortile. Altri trenta si trovano sui tetti degli edifici attorno al cortile. E di sicuro ce ne saranno altri nascosti in ogni angolo, capaci di celarsi ai sensi.”

L’anziano ridacchiò con divertimento, giocherellando con un bastone. “Era prevedibile. Piuttosto, sai se gli altri sono già in posizione? Dove sono Shizuma, Annie e Lu-”

Una sola occhiataccia di Galatea bastò a zittirlo all’istante. La donna dai capelli cerulei lo fissò torvo, cercando di non dare nell’occhio in mezzo a quella folla di persone in cui erano schiacciati come sottilette. “Non pronunciare quei nomi qui,” gli sussurrò, scandendo ogni lettera con le labbra per farsi comprendere nonostante il fragoroso vociare che risuonava nell’aria. “Qualcuno potrebbe sempre essere in ascolto.”

“G-Già, hai ragione, scusami,” esalò quello, sospirando e scuotendo la testa. Volse la testa per fissare l’immenso palco di legno illuminato costantemente dalle luci al neon. Il sipario era ancora chiuso, ed era da venti minuti che stavano aspettando. “Eppure, mi stupisce che tra tutti, soltanto noi due siamo quelli che possono entrare qui senza destare sospetti.”

“Invece è scontato,” ribatté quella, incrociando le braccia, impassibile. “Ti ricordo che, differenza degli altri, noi due non siamo ricercati, e la Terra del Ghiaccio non ha nessun padrone. Nessuno sospetterebbe di noi in ogni caso.”

Jigen sospirò di nuovo. Suppose che fosse vero, in effetti. Loro due avevano sempre fatto parte della Rivoluzione sin da quando Kashin Koji ne era ancora il leader; ma non erano mai apparsi pubblicamente, né avevano mai accollato su di loro gli sguardi degli Shinobi. Nessuno sapeva chi fossero veramente, e visto che ormai la popolazione della Terra del Ghiaccio era sparsa per tutto il mondo, era improbabile che qualcuno potesse puntare gli occhi su di loro senza alcun motivo. A differenza di Annie, Shizuma e Lucy, invece. Quei tre erano ricercati nelle Nazioni Alleate – soprattutto la fuggitiva della Foglia – e per questo non avevano potuto entrare nel cortile per assistere allo spettacolo, nemmeno sotto camuffamento. Non potevano correre rischi. Saigo aveva semplicemente detto loro di attendere all’esterno, e di entrare solamente una volta che il segnale fosse scattato definitivamente.

Non che Jigen sapesse quale fosse il segnale, però. E ad essere sincero, era certo che nemmeno gli altri lo sapessero. Quel tipo non aveva rivelato in nessun modo quello che aveva intenzione di fare, nemmeno ai Kage presenti che sostenevano la loro causa. Per cui, l’unica cosa che potevano fare era attendere. Attendere la sua mossa, senza sapere quale fosse.

Non era per niente un pensiero tranquillizzante.

La voce di Galatea lo riscosse dai suoi pensieri. “Comunque, non riesco ancora a credere che faranno la loro dichiarazione di guerra in questo sudicio Villaggio,” sussurrò con astio. “La Terra dei Fiumi è sotto la giurisdizione della Foglia, ma era comunque un territorio neutrale fino a qualche mese fa. Immagino che farci riunire tutti assieme qui fosse un pretesto per non far scannare i Kage tra di loro.”

Jigen inarcò un sopracciglio. “Dichiarazione di guerra?” ripeté.

La cerulea assottigliò lo sguardo. “Non dirmi che non l’avevi capito?” ribatté con sarcasmo, puntando un dito verso il maxischermo accanto al palco. “L’età sta iniziando a farti perdere la ragione, vecchio. Per quale altro motivo avrebbero deciso di giustiziare i Kara dinanzi ad un pubblico così numeroso e in piena diretta Tv? Vogliono sfidare il mondo, istigando la gente a schierarsi dalla parte delle Nazioni Alleate. È una dichiarazione di guerra bella e buona, anche se piuttosto sottile.”

“In effetti, adesso che mi ci fai pensare è vero,” ammise il monaco.

“La Foglia e i suoi seguaci stanno diventando sempre più disperati. Basta guardare alle persone che sono state convocate per capirlo,” continuò imperterrita quella. Jigen puntò lo sguardo verso i posti in prima fila nel cortile, quelli esattamente davanti al palco. “Non solo hanno convinto la Tsuchikage e gli altri Kage nemici a venire, ma ci sono pure i nobili a comando di tutte le truppe di terra e di mare. I pilastri dell’esercito di tutto il mondo, riuniti in un unico distretto.”

L’anziano annuì. “Inoltre sono venuti anche ambasciatori di Paesi esteri, i samurai e le famiglie nobili legate alla Rivoluzione,” aggiunse subito dopo con sospetto. “E poi ci sono tutti i giornalisti di maggior rilievo.”

Galatea trattenne un sorriso ironico. “Qualsiasi cosa hanno in mente di fare, la faranno in grande,” dichiarò con una punta di divertimento.

Jigen invece sorrise ampiamente. “Staremo a vedere. Lo spettacolo sta per iniziare.”
 


“Woooow! È come se fossimo al centro del mondo!” esclamò entusiasticamente Uraraka, saltellando sul suo posto per l’eccitamento mentre osservava le luci vicine al palco farsi sempre più intense e luminose. Assieme al fragoroso ruggito d’enfasi che la folla stava iniziando ad emettere, era il segnale inequivocabile che lo spettacolo stava per avere inizio. Mancava davvero poco ormai prima che l’evento che tutti stavano aspettando con ansia cominciasse.

Trunks annuì, sorridendo appena con le labbra. “È davvero impressionante il potere della Foglia,” commentò. “Sono riusciti a far riunire assieme gli esponenti più importanti del mondo. Stiamo assistendo ad un evento senza precedenti nella storia.”

La bambina si accigliò furiosamente. “E ancora non c’è traccia di Deku,” aggiunse, le sue sopracciglia aggrottate per la tensione e l’irritazione. “Dove diavolo si è cacciato?”

Persino l’altro ragazzino sembrò iniziare a preoccuparsi a quel punto. “In effetti è strano. Avrebbe dovuto essere di ritorno oramai. È passata quasi una mezzora.”

Uraraka lo guardò con apprensione. “Pensi… Pensi che possa essergli successo qualcosa?” domandò, incerta.

“Con tutta la sicurezza e le guardie che occupano la zona? Impossibile,” ribatté quello, incrociando le braccia e muovendo la testa per osservare l’interminabile massa di persone che li circondavano. “È molto più plausibile che si sia perso. Sappiamo entrambi quanto sia distratto quella testa quadra. Probabilmente si è scordato dove ci troviamo e ha preso posto da qualche altra parte.”

“M-Ma-”

Non ebbe tempo di finire la frase. In quel preciso momento, la folla attorno a loro esplose letteralmente in un boato fragoroso di urla e grida di incitamento e enfasi. Uraraka e Trunks si voltarono di scatto, osservando con gli occhi sgranati le luci del palco iniziare a puntare verso destra. Lì, lo spettacolo che accolse i loro occhi era qualcosa di contemporaneamente strano e raccapricciante. Dieci persone erano comparse all’improvviso sulla parte esterna del palco, tutte quante in piedi, ferme e immobili come delle statue. Erano visibilmente sporche, sudicie e dalle condizioni poco rassicuranti; con evidenti macchie di sangue, contusioni in ogni parte del viso e persino segni di frustate e altre torture indescrivibili sui loro corpi. Indossavano tutti la stessa veste bianca logora e decisamente poco elegante, ormai macchiata irrimediabilmente da chiazze rosse e nere di sangue e sporcizia. Inoltre, le pesanti manette di metallo che ricoprivano le loro mani e i loro avambracci erano decisamente poco rassicuranti, e li tenevano tutti uniti assieme tramite delle catene pesanti e sbrilluccicanti di chakra.

Uraraka trattenne pesantemente il fiato. “Q-Quelli sono…”

“Già,” sussurrò Trunks a bassa voce, i suoi occhi assottigliati con freddezza e tensione. “L’Organizzazione Kara.”

L’enormità della folla che circondava il palco cominciò ad avere reazioni contrastanti a quella visione raccapricciante. Alcuni trattennero il fiato ed iniziarono a vociferare tra di loro con enfasi, altri si alzarono dai loro posti a sedere e protestarono a gran voce, mentre altri ancora lanciarono al cielo grida, pianti e persino urla di malsana euforia. Vedendo tutta quella massa caotica reagire così pesantemente alla vista di quelle persone sporche e visibilmente mutilate e afflitte, i due bambini sentirono le loro menti iniziare a riempirsi di emozioni contrastanti. Tuttavia, prima che la situazione potesse degenerare, le guardie mascherate poste alle spalle di ognuno dei prigionieri sollevarono le mani ed intimarono a tutti di tacere con delle urla forti e possenti che rimbombarono nell’aria. La folla, con sommo sgomento dei due, si acquietò quasi all’istante.

Quando il silenzio prese a regnare, le guardie intimarono ai prigionieri di inginocchiarsi sopra al palco. Quelli, senza nemmeno provare a ribellarsi, ubbidirono tutti a testa bassa. Vennero legati al terreno per le gambe tramite delle manette poste sul legno, e poi ulteriormente ancorati a terra tramite le catene che li tenevano ammanettati. Nonostante le urla di sdegno e dolore di molti dei presenti, nessuno dei dieci prigionieri alzò mai lo sguardo per fissare la folla che li stava osservando con orrore e sgomento. Quando furono tutti legati e immobilizzati a dovere, le guardie presero posizione e si piazzarono dietro ognuno di essi per monitorarli in ogni istante.

Poi, in quel momento, il suono acuto e ritmico delle trombe risuonò nell’aria, mentre i lembi rossi del sipario del palco iniziarono lentamente ad aprirsi, incitando tutta la folla a battere le mani ed emettere un grosso grido di enfasi ed euforia che echeggiò nell’aria come un tuono solenne e inevitabile. Il clamore delle urla e delle mani che applaudivano risuonò per diversi minuti senza fermarsi mai.

Trunks serrò i denti con apprensione. “È iniziato,” sussurrò.

Uraraka fissò quei dieci prigionieri incatenati al palco con uno sguardo pieno di preoccupazione. “Deku, dove sei?”
 


“Tutto questo è un oltraggio!” sibilò furiosamente la donna dai capelli rossi ad alta voce. I suoi occhi avevano iniziato già da adesso a versare lacrime, mentre fissavano ininterrottamente una delle persone che era incatenata sopra il lato destro del palco, visibilmente malmessa e ferita come tutte le altre.

“La prego, Uzukage, si calmi,” disse Kakashi con un tono di voce comprensivo. “Sapeva quello a cui andava incontro quando ha accettato l’invito.”

Kaya si voltò di scatto verso di lui, i suoi occhi rossi iniettati di sangue e pieni di rabbia e oltraggio. “Ma perché mostrarli in quello stato davanti a tutti?” ringhiò, imbestialita e furiosa oltre ogni dire. “Questa… Questa è una vergogna! Li state volutamente umiliando davanti a tutti!” Accanto e dietro di lei, anche altri Kage e nobili iniziarono a protestare sommessamente, decisamente contrariati da quella visione.

Il Sesto fece per parlare, ma qualcuno lo batté sul tempo.

“Kaya, calmati.”

La donna fece guizzare gli occhi verso la persona alla sua sinistra, sconvolta e incredula. Haruko non la guardò nemmeno, limitandosi ad afferrarle dolcemente una mano mentre continuava a guardare il Kazekage che saliva sopra al palco. “Calmati. Osserva quello che succede,” sussurrò a bassa voce. Poi, vedendo che l’Uzumaki la stava guardando con uno sguardo devastato e pieno di dolore, le rivolse un piccolo sorriso impercettibile. “Fidati di me,” bisbigliò.

L’Uzukage esitò un paio di secondi, incerta e spaventata, prima di serrare con impotenza i denti e ritornare in silenzio, fissando con rabbia quella scena dinanzi ai suoi occhi.

Kakashi aggrottò le sopracciglia.
 


“S-Sembra che stia per cominciare…” sussurrò lentamente Izuku, ascoltando il rumore delle grida e degli applausi provenienti dall’esterno.

Ancora, nessuno dei due giovani disse niente, rimanendo seduti in un silenzio teso e pieno di timore per quella che si protrasse come un’eternità. Sarada fissava a terra, pallida e tremante, incapace di alzare gli occhi nonostante sentisse lo sguardo privo di emozione che l’altro le stava rivolgendo con estrema chiarezza, puntato fisso su di lei, come se tentasse di scrutarle l’anima.

Un rivolo freddo di sudore le colò dal mento.

Non seppe dire quanto tempo passò prima che riuscisse a raccogliere abbastanza coraggio per parlare. Fece un profondo e tremante respiro dal naso, aprendo e chiudendo la bocca diverse volte prima di ritrovare il fiato. “Boruto,” esalò infine, la sua voce bassa, roca e piena di terrore. “C-Come sei arrivato fino a qui?”

Il bambino osservò la loro interazione con uno sguardo nervoso, incapace di comprendere quello che stava succedendo.

Il Nukenin la fissò per un paio di secondi prima di rispondere, inarcando appena un sopracciglio. “È questa la prima cosa che mi vuoi chiedere?” ribatté lentamente.

Sarada sentì il sudore farsi sempre più copioso mano a mano che il suo corpo continuava a tremare. “…c-che… cosa sei… venuto a fare?” domandò, i suoi occhi sgranati che fissavano il tutto e il niente.

“La stessa cosa che l’Hokage e tuo padre hanno fatto due anni fa,” rispose semplicemente quello.

L’Uchiha trattenne pesantemente il fiato all’udire ciò, la sua espressione ricolma di orrore, spavento e angoscia. Lentamente, si portò le mani tremanti sulla faccia, il suo viso sempre più pallido mentre il sudore non accennava a diminuire. Il suo corpo iniziò a piegarsi verso il basso. “N-N-No… tu non… i-io… p-perché…” sussurrò, completamente presa dal panico.

“Perché, mi chiedi? Non lo capisci?” la incalzò lentamente lui, monotono. Il biondo si sporse in avanti sulla sedia subito dopo, inclinandosi con la schiena verso la ragazza e fissandola con uno sguardo solenne e infestato mentre lei non aveva nemmeno il coraggio di alzare gli occhi per guardarlo. “Sarada, non ho avuto altra scelta.”

Gli occhi sgranati della corvina iniziarono a riempirsi di lacrime.

Il suono fragoroso e possente di applausi e grida di enfasi inondò l’aria in quel momento. Dalla piccola finestra che dava sul cortile, sottili lampi di luci bianche e gialle provenienti dall’esterno sembrarono filtrare nella stanza.

Il corpo di Sarada non la smetteva di scuotersi per il terrore. “B-Boruto… ti p-prego… io…”

“Aspetta,” la fermò immediatamente lui, sollevando la mano ferita. “Si è alzato il sipario.”

Deku osservò con timore crescente i due giovani mentre la folla fuori dalla stanza ruggiva la sua euforia per l’inizio dello spettacolo più importante del mondo.

“Ascoltiamo.”
 


01 Ottobre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Summit Mondiale di tutte le Nazioni
Ore 20:00


INIZIO DELLO SPETTACOLO


Gaara risollevò lentamente il busto dopo l’inchino, fissando coi suoi occhi sottili l’innumerevole folla di persone che si trovava dinanzi a lui, tutte intente ad applaudire e gridare con foga la loro eccitazione. Vide uomini, donne, e bambini comuni, giunti da ogni dove. Vide Shinobi, di ogni grado e gerarchia, provenienti da tutte la Nazioni del mondo. Vide nobili, signori feudali e Daimyo, tutti vestiti elegantemente e coi loro occhi incollati morbosamente su di lui. E soprattutto, vide anche i Kage. Volti severi, volti freddi, e anche volti ostili. Tutti intenti ad osservarlo con attenzione, i loro sguardi pieni di emozioni contrastanti che andavano dalla semplice curiosità alla più totale indifferenza. E poi, infine, vide i volti che più contavano per lui. Volti di amici, familiari, e di tutte quelle persone che credevano in lui e lo sostenevano: Naruto, rigido e preoccupato come non mai; Kakashi, serio e solenne come sempre; Shikamaru, teso e nervoso mentre fumava una sigaretta; e anche Temari, determinata e sorridente, piena di incitamento e solidarietà dentro a quei suoi occhi verdi sottili e pieni di certezza.

Il Quinto Kazekage sentì la sua determinazione ardere come un fuoco possente. Non poteva più esitare.

Era finalmente giunto il momento.

“Benvenuti, signore e signori,” iniziò a dire a gran voce, fissando le innumerevoli telecamere che lo stavano riprendendo e rivolgendosi a tutti – presenti e collegati – con un’espressione solenne e decisa. Il silenzio nell’aria era assoluto, e la sua voce rimbombava con forza ad ogni parola che usciva dalle sue labbra. “Innanzitutto, permettetemi di ringraziarvi per essere venuti fino a qui per assistere allo spettacolo. Davvero, sono sorpreso di vedere così tante persone riunite assieme per la prima volta. Vi assicuro, questa cosa riempie il mio cuore con un’emozione che non è descrivibile a parole.”

Ci furono diversi secondi di applausi che si protrassero nell’aria con costanza.

Il Kazekage si fece solenne. “Lasciate che vi racconti una storia,” disse allora con serietà. “Circa duemila anni fa, nel nostro mondo non esistevano i Ninja. Non esisteva neanche il chakra, a voler essere precisi. La popolazione che riempiva la Terra era divisa in tribù, tutte diverse e nettamente separate tra di loro, che vivevano sommariamente in armonia tra di loro e con la natura che li circondava. Erano tempi fatti di silenzi, misteri e credenze che, al giorno d’oggi, sono quasi completamente andate perdute. Se non fosse per qualche testimonianza archeologica rimasta, ad oggi, nessuno di noi avrebbe modo di conoscere lo stato dell’umanità in quei tempi remoti e perduti.”

A quel punto, la parete del palco alle spalle del Kazekage s’illuminò, e dei piccoli riflettori iniziarono a proiettare su di essa delle ombre in movimento di diverse forme e dimensioni.

“Tuttavia, circa mille anni fa, accadde qualcosa. Una misteriosa entità proveniente dallo spazio giunse sulla Terra, schiantandosi sul nostro pianeta tramite un meteorite che, secondo alcuni studiosi e ricercatori, sarebbe atterrato nella Terra degli Orsi. Più precisamente, nei pressi del luogo dove oggi sorge il Villaggio della Stella. Questa entità, una donna misteriosa e dall’aspetto incantevole, si chiamava Kaguya Otsutsuki, e faceva parte di una razza aliena che ancora oggi i nostri mezzi e le nostre conoscenze non riescono a comprendere e spiegare con esattezza.”

Le ombre sul palco assunsero la forma di una donna dai capelli lunghissimi e con due piccole corna sulla fronte. Tra la folla immensa di spettatori, alcuni iniziarono a guardarsi tra di loro e a sussurrare con confusione.

Gaara si portò le mani dietro la schiena, camminando sotto la luce dei riflettori mentre l’ombra della donna alle sue spalle fluttuava come se fosse in volo. “Questa entità misteriosa, Kaguya, era giunta sulla Terra con un solo obiettivo: piantare i semi di un Albero Divino e raccoglierne i frutti,” raccontò ad alta voce. “Secondo quanto siamo riusciti a comprendere, gli Otsutsuki sono una razza di individui che visita diversi pianeti per sottometterli e conquistarli. Piantando un particolare seme in ogni pianeta, essi sono in grado di far crescere e coltivare un albero che assorbe l’energia di ogni mondo. Per l’appunto: un Albero Divino. E ogni Albero, una volta che ha assorbito abbastanza energia dal nucleo dei pianeti, produce tra i suoi rami un Frutto. Un Frutto dai poteri incommensurabili, capace di contenere una quantità inimmaginabile di energia.”

“Il compito di Kaguya era questo: piantare l’Albero Divino sulla Terra, e poi consegnare il Frutto alla sua specie. Tuttavia, secondo quanto abbiamo appreso circa vent’anni fa… le cose non andarono proprio come dovevano andare.”

Il silenzio era diventato totale a quel punto.

“Kaguya tradì la sua stessa razza, prendendo dimora sulla Terra e cibandosi del Frutto dell’Albero Divino. E una volta che ebbe mangiato quel Frutto, essa ottenne un potere al di là di ogni comprensione. Questo potere… è ciò che tutti noi oggi conosciamo come chakra,” disse solennemente il Kazekage. Mano a mano che parlava, l’ombra alle sue spalle si fece sempre più grande e opprimente.

Gaara fissò con attenzione tutti i presenti, i suoi occhi assottigliati e pieni di fermezza. “Durante il suo soggiorno sulla Terra, ad un certo punto della sua vita Kaguya ebbe due figli: Hamura Otsutsuki, il figlio secondogenito; e Hagoromo Otsutsuki, il primogenito,” le ombre presero la forma di due figure umanoidi provviste di corna e lunghi bastoni nelle mani.  “Quest’ultimo, secondo quanto narrano le leggende, fu colui che venne ricordato nei tempi a venire come l’Eremita delle Sei Vie della Trasmigrazione. Affiancata dai suoi figli, e con il potere del chakra a sua completa disposizione, Kaguya Otsutsuki dominò il mondo per decenni.”

La folla trattenne visibilmente il fiato dopo quella dichiarazione.

“Kaguya crebbe i suoi figli nel lusso, insegnando loro a disprezzare e schiavizzare gli umani come se fossero una razza inferiore, e condividendo con loro il chakra che aveva ricevuto dal Frutto dell’Albero Divino,” spiegò ancora quello. “Tuttavia, avendo ricevuto il chakra per via ereditaria, Hagoromo e Hamura non vennero sopraffatti dal suo potere, e impararono a guardare la realtà in maniera diversa. Per loro, gli umani non erano una razza inferiore, ma bensì degli eguali; delle persone con emozioni e sogni, capaci di evolversi, apprendere e portare miglioramenti in tutto il mondo. Per questo decisero entrambi di andare contro agli insegnamenti della madre, e di schierarsi a favore della razza umana.”

A quel punto, il Quinto Kazekage posò lo sguardo sul volto in prima fila del Settimo Hokage, facendo un impercettibile cenno col capo. Naruto ricambiò il gesto senza esitazione, incitandolo a continuare, determinato quanto lui.

Gaara riprese a raccontare mentre le ombre sul palco mutarono ancora una volta, formando lo scenario di una caotica battaglia. “Hagoromo e Hamura combatterono per anni contro Kaguya, senza mai riuscire a sconfiggerla. Questo perché, proprio mentre erano vicini alla vittoria, la donna aliena evocò in sua difesa i resti di ciò che un tempo era stato l’Albero Divino che aveva piantato lei stessa. Quei resti privi di scopo, reagendo alla risonanza del chakra del Frutto dentro al suo corpo, assunsero la forma di una bestia immensa dalle dieci code; che venne alla luce con un solo scopo: proteggere Kaguya e distruggere la vita sulla Terra. Questa bestia immensa e ripugnante, la cui energia era generata dal nucleo stesso del pianeta, è ciò che ad oggi tutti noi chiamiamo Juubi, il Demone Decacoda,” disse solennemente.

L’ombra sul palco assunse la forma di una mostruosa bestia con dieci code che si agitavano all’impazzata. Tutti gli spettatori trattennero il fiato con orrore e spavento.

“Tuttavia, proprio quando ogni speranza sembrava ormai persa… Hagoromo e Hamura riuscirono miracolosamente a sconfiggere Kaguya, e misero per sempre fine alla sua era di supremazia e dominio sul nostro mondo,” spiegò ancora a tutti il Kazekage. “Con la sua sconfitta, il Juubi venne sigillato assieme a Kaguya lontano dal pianeta, dentro ad una massa immensa di roccia che fluttuò nello spazio e che, col tempo, divenne ciò che tutti noi oggi osserviamo ogni notte quando alziamo lo sguardo in cielo. La Luna.”

Ci furono mormorii sommessi di stupore e confusione.

“Ottenuta la vittoria, Hamura si trasferì sulla Luna, deciso a proteggere e custodire il sigillo di Kaguya per impedire che potesse liberarsi, mentre Hagoromo rimase sulla Terra,” raccontò Gaara con un sorriso. “Eppure, nonostante la minaccia fosse stata sconfitta, il potere immenso del Juubi non poteva essere contenuto solamente da un sigillo. Nonostante il suo corpo fosse stato sigillato, la sua energia era ancora libera. Per questo motivo, l’Eremita delle Sei vie divise il chakra del Demone in nove parti, dando a ciascuna di essa una propria forma e una caratteristica particolare, e sigillò questi nove ammassi di chakra dentro al suo stesso corpo. Con questo, l’umanità tornò finalmente in pace, e Hagormo viaggiò in lungo e in largo per il mondo, insegnando agli umani ad utilizzare il chakra e spargendo i suoi insegnamenti in tutti gli angoli del globo. Grazie a lui e ai suoi insegnamenti, gli esseri umani divennero per sempre in grado di utilizzare e manipolare il chakra. Esattamente come facciamo noi ancora oggi.”

L’ombra del Juubi si divise in nove ombre più piccole, ciascuna diversa dalle altre.

“E quando l’Eremita morì, i nove ammassi di chakra che aveva sigillato nel suo corpo vennero sparpagliati per la Terra, ed assunsero una propria forma unica e particolare. E le creature che nacquero da questo fenomeno… sono le stesse creature che ancora oggi incutono timore e terrore in molti di noi. I nove Bijuu (Cercoteri), i Demoni Codati. Essi… sono ciò che resta ancora oggi dell’infinita energia del Demone Decacoda originale creato da Kaguya Otsutsuki.”

Le ombre scomparirono del tutto a quel punto. La folla prese a vociferare sempre più.

Gaara sorrise con solennità. “Immagino che vi starete chiedendo perché vi ho raccontato tutto questo,” disse lentamente. “Ebbene, la nostra storia non finisce qui. Perché, una volta diventata capace di utilizzare il chakra, come voi tutti potete immaginare, l’umanità si evolse. E lo fece in maniera… distorta. L’Eremita delle Sei Vie aveva insegnato agli uomini la pace, ma essi fecero tutt’altro. I due figli dell’Eremita, Indra e Ashura, utilizzarono il chakra per portare nel mondo il suo esatto contrario: la Guerra.”

“Proprio così. Per secoli interi gli umani si fecero la guerra utilizzando il potere del chakra, uccidendosi a vicenda e causando milioni e milioni di morti. Alla fine, l’umanità finì per dividersi in diversi clan che erano costantemente in lotta tra di loro, ognuno intenzionato a sottomettere ed avere la supremazia su tutti gli altri. Tra di essi, col passare dei secoli, due clan divennero sempre più potenti rispetto agli altri, ed ottennero una fama che si protrae ancora oggi: il clan Uchiha, composto dai discendenti di Indra, e il clan Senju, formato dai discendenti di Ashura.”

Alle spalle dell’uomo, le ombre si formarono di nuovo, assumendo la forma di uomini e donne che si combattevano a vicenda in uno sfondo rosso sangue.

“La guerra tra questi due clan andò avanti per tanto tempo, e causò innumerevoli morti. Dalla morte di Indra e Ashura fino ad oggi, non possiamo sapere con certezza quante vite siano state strappate a causa di questa continua lotta tra fratelli. Stando allo studio più recente, i numeri si avvicinano quasi al doppio della popolazione mondiale attuale. Per cui, sin dalla comparsa del chakra su questo mondo, l’umanità non ha fatto altro che combattersi da sola, generando morti e stragi continue per innumerevoli secoli.”

Gaara fissò le facce sbigottite degli spettatori con uno sguardo solenne. “Questo massacro rappresenta la vera storia dell’umanità, e il percorso intrapreso dai vari clan con la loro terribile guerra.”

A quel punto, due immagini nitide e chiare vennero proiettate sulla parete del palco. Le immagini di due uomini che si stringevano la mano con dei sorrisi decisi e degli sguardi solenni. La folla trattenne il fiato.

“È in questa circostanza che comparvero i due uomini che iniziarono ad accendere una fiaccola di speranza,” spiegò lentamente Gaara, indicando con una mano le figure alle sue spalle. “Proprio loro, i celebri Madara Uchiha e Hashirama Senju della Foglia. Gli uomini più potenti che la storia ricorda ancora oggi.”

Il racconto continuò subito dopo. “Stanchi e oppressi dai secoli di lotta che avevano diviso i due clan, questi due uomini decisero di porre fine alle loro discordie e alle morti che avevano causato, e infine si allearono tra di loro, unendosi assieme e formando il primo Villaggio Shinobi del mondo: il Villaggio della Foglia. E anche gli altri clan fecero lo stesso subito dopo, prendendo esempio da questi due ed unendosi assieme, dando così origine ai Cinque Villaggi Shinobi e al concetto di Ninja che noi tutti conosciamo. Rispettivamente, in ordine cronologico di comparsa, i Villaggi nati dopo la Foglia furono questi: la Nuvola, la Roccia, la Nebbia e la Sabbia.”

La folla esplose in fragorose urla e applausi di assenso, generando un boato clamoroso di enfasi e tripudio.

Il Quinto Kazekage deglutì. Alle sue spalle, l’immagine cambiò ancora una volta, mostrando adesso lo scontro tra Madara e Hashirama. “Tuttavia, le cose non andarono esattamente meglio dopo la nascita dei Villaggi,” continuò a dire. “A causa della gelosia che provava nei confronti del suo rivale, Madara Uchiha tradì il Villaggio, e sfidò Hashirama in uno scontro mortale che ebbe luogo presso la Valla della Fine. Lì, come la storia ci ha ormai insegnato, Madara venne sconfitto e morì, ucciso dal suo vecchio amico e rivale, che una volta tornato vincitore divenne ufficialmente il Primo Hokage della Foglia. E nonostante tutti i tentativi di trattare una pace tra i diversi Villaggi… alla fine l’umanità tornò ancora una volta alle sue vecchie abitudini: la Guerra.”

Gli applausi cessarono all’istante.

“I cinque Villaggi continuarono a farsi la guerra tra di loro, seppur in maniera più controllata. E non una, non due, ma ben tre Guerre Mondiali hanno squassato il mondo con la loro ferocia durante gli ultimi centocinquant’anni, causando la morte – secondo quanto dicono le stime – di quasi otto milioni e mezzo di persone in meno di un secolo e mezzo. E immagino che tutti voi sappiate cosa significa questo…”

Galatea, Jigen, Uraraka, Trunks, Himawari, e tutto il resto della folla che stava ascoltando quel discorso tra le file dei presenti trattenne il fiato.

“…che l’oscuro passato della storia del genere umano… è ancora presente e forte persino oggi!” dichiarò solennemente l’uomo a gran voce.
 


“…che l’oscuro passato della storia del genere umano… è ancora presente e forte persino oggi!”


“C’è qualche anomalia?” domandò pigramente Shikadai, fissando dal tetto di un edificio poco distante dalla Fortezza lo spettacolo che si stava svolgendo sotto di loro.

Un ANBU inginocchiato accanto a lui mosse le dita sopra uno strano apparecchio metallico posato a terra, il suo orecchio destro poggiato vicino ad una piccola cuffietta che reggeva in mano. Era un dispositivo radio. “Non ci è stato ancora riferito nulla, per il momento.”

Il Nara non spostò mai lo sguardo dal palco e dalle dieci persone che continuavano a restare incatenate alla destra di esso. I suoi occhi si assottigliarono. “Continuate a stare all’erta,” disse seriamente. “Voglio essere informato su ogni singola cosa. Anche i minimi dettagli.”

“Sissignore.”
 



“…che l’oscuro passato della storia del genere umano… è ancora presente e forte persino oggi!”

Boruto fissò il volto pallido e terrorizzato della ragazza davanti a sé con attenzione. “Hai sentito, Sarada?” mormorò a quel punto. “È per questo… che la nostra società continua ad essere in conflitto. Non è vero?”

La ragazza alzò lo sguardo da terra per posarlo su di lui, togliendosi la faccia dalle mani, tremante.

Il Nukenin continuò a fissarla col suo occhio freddo, il suo volto stranamente più triste del solito. “Voialtri… state raccontando a tutti la verità perché volete salvare il mondo, non è così?” chiese ancora con un tono di voce comprensivo.

L’Uchiha non riuscì a proferire parola, confusa e scioccata. “U-Uh?”

“Una popolazione che non conosce nulla, spinta alla guerra da circostanze di cui non sa nulla,” continuò a dire lui, sempre più triste e rammaricato. “Io, te, i nostri amici, il mondo intero… non sapevamo nulla.”

La corvina lo guardò con gli occhi sgranati e pieni di confusione.

Il bambino alla loro destra studiava la loro interazione con timore e incertezza. “C-Che sta succedendo?” sussurrò mentalmente, mentre osservava il volto pallido e terrorizzato della giovane. “Perché il Capitano Uchiha è così spaventato? Chi è veramente il signor Saigo? Non… Non erano vecchi amici?”

I suoi occhi guizzarono di lato, osservando il volto impassibile e gelido del ragazzo misterioso. Quel volto… lui conosceva quel volto. Ne era certo. Lo aveva già visto prima da qualche parte. Non riusciva a ricordare dove, ma ne era sicuro. Aveva già visto quel volto prima d’ora, su questo non c’erano dubbi. Qualcosa, qualcosa dentro di lui glielo stava letteralmente urlando nella testa.

I suoi occhi si sgranarono lentamente. “N-Non sarà mica… Che sia davvero…”

“Ma veniamo ora all’argomento principale di quest’oggi,” fece improvvisamente la voce del Kazekage, riscuotendolo da quei pensieri. “La storia che vi ho raccontato fino ad ora è vera, ed è ritenuta quasi da tutti gli storici moderni come l’unica certezza storica che abbiamo…”
 



Gaara fissò la folla con serietà. “…ma i fatti sono leggermente diversi,” aggiunse con determinazione. “Ed è per questo che oggi, per la prima volta nella storia del nostro popolo, i fatti che sono realmente accaduti quasi più di vent’anni fa verranno finalmente rivelati una volta per tutte.”

Tutti i presenti rimasero confusi all’udire ciò.

Il Kazekage assunse un’espressione solenne. “Lasciate che vi racconti quello che successe davvero 150 anni fa, durante la battaglia tra Hashirama Senju e Madara Uchiha,” disse lentamente, catturando l’attenzione di tutti. “La storia ci ha tramandato che, dopo il loro scontro alla Valle della Fine, Madara perse la vita. Ma in realtà, le cose non andarono esattamente così. Madara non perì affatto durante lo scontro, ma riuscì a sopravvivere, e passò il resto della sua vita in segreto, nascosto dagli occhi del mondo.”

Lo stupore e l’incredulità generali erano palpabili nell’aria. La folla stava vociferando tra sé con enfasi e sconvolgimento.

Gaara alzò una mano e mise a tacere tutti. “Grazie all’intervento di Zetsu, un’entità nata dalla coscienza residua di Kaguya Otsutsuki rimasta nel mondo, Madara riuscì a rimanere nascosto e ad ottenere le cellule del Primo Hokage, impiantandole nel suo stesso corpo. Così facendo, riuscì a compiere ciò che nessun uomo aveva sperato di ottenere prima di lui. Infatti, unendo assieme le cellule Uchiha, discendenti da Indra, e quelle Senju, discendenti da Ashura, Madara riuscì a ricreare sostanzialmente il chakra di Hagoromo nel suo stesso corpo, e per questo i suoi occhi subirono un cambiamento radicale. In sostanza, quando era ormai vecchio e prossimo alla morte, quell’uomo ottenne gli stessi occhi dell’Eremita delle Sei vie: il Rinnegan.

L’immagine di due occhi viola concentrici apparve dietro di lui. Gaara sospirò vedendo lo stupore generale. “Grazie a quegli occhi, Madara riuscì ad evocare ancora una volta sulla Terra il corpo privo di anima del Decacoda, e usò la sua energia residua per sfuggire alla morte. Così facendo, riuscì a sopravvivere per altri ottant’anni,” spiegò ancora con serietà e decisione, chiudendo momentaneamente gli occhi. Dietro di lui, le ombre di prima iniziarono ad assumere una forma confusa, simile a quella di un vecchio seduto sopra un trono.

“Ma durante tutto quel tempo, la sua mente venne corrotta a sua insaputa da Zetsu, che a sua volta stava macchinando alle sue spalle. Egli lo convinse ad attuare il suo piano: unire assieme i nove Cercoteri per risvegliare il Juubi e sigillarlo dentro al suo corpo. Così facendo, Madara sperava di ottenere il potere necessario per imprigionare l’intero pianeta in un’illusione – lo Tsukyomi Infinito – per portare la pace nel mondo. Questo, come voi tutti sapete, è stato l’obiettivo che Madara aveva sempre avuto in mente.”

I suoi occhi si riaprirono con lentezza, per niente stupiti quando notarono la tensione della folla. “Eppure,” continuò a dire ancora. “Madara era stato ingannato da Zetsu. Come vi ho già detto, Zetsu altro non era che un’entità derivata da Kaguya. E il suo solo ed unico obiettivo era riuscire a riportarla in vita ancora una volta. E per fare ciò, fece in modo che un piccolo ragazzino, Obito Uchiha, entrasse in contatto con Madara.”

Il Kage non mancò di notare lo sguardo afflitto e pesante che apparve sul volto del Sesto Hokage alla menzione di quel nome, ma andò avanti comunque. “Servendosi di Obito, Zetsu fece in modo che anche lui decidesse di seguire il suo piano, illudendolo con menzogne e fingendosi suo alleato. Così facendo, una volta che Madara morì, Obito assunse il suo nome e fondò un’organizzazione criminale il cui obiettivo era riunire assieme i Demoni codati e risvegliare il Decacoda. E fu così che nacque l’Organizzazione terroristica che io, e molti altri dei presenti, abbiamo combattuto quando eravamo giovani: l’Akatsuki.”

L’immagine di una nuvola rossa in uno sfondo nero come la notte apparve alle sue spalle.

Gaara allargò le braccia. “Una volta riuniti abbastanza membri, l’Akatsuki riuscì a catturare con successo ben sette dei nove Cercoteri, ma non riuscì a prendere l’Hachibi (Ottacoda) e il Kyuubi (Enneacoda). Questo, come la storia ci ha mostrato, ha portato allo scoppio della Quarta Guerra Mondiale avvenuta ormai ventuno anni fa,” dichiarò a gran voce, fissando le telecamere, la folla, e i suoi compagni Kage e nobili.

Con un sorriso, il Kazekage volse lo sguardo verso l’immagine del Settimo Hokage che apparve alle sue spalle. “E come sappiamo tutti, il Settimo Hokage, detentore del Kyuubi sin da quando era bambino, riuscì a sconfiggere Madara, Obito e l’Akatsuki grazie all’esercito unito delle varie Nazioni durante la Guerra. Questa realtà, anche se incompleta, è vera e innegabile. Ma c’è dell’altro che non vi è mai stato raccontato. Una verità che solamente io, l’Hokage, e qualche altro Kage di fiducia conoscevamo e che vi abbiamo tenuto segreta fino ad oggi,” ammise lentamente.

Il vociare cessò immediatamente dopo quelle parole. In mezzo alla folla. Himawari, Hanabi, Uraraka, e quasi tutti i presenti sgranarono gli occhi con stupore e incredulità.

L’espressione di Gaara era diventata solenne e seria. “Durante l’apice della Guerra, proprio quando meno ce l’aspettavamo, Madara Uchiha riuscì a tornare in vita,” riprese a raccontare, indicando con un dito le ombre alle sue spalle che iniziavano ad assumere di nuovo la forma di una donna dai capelli lunghi. “E una volta che riuscì ad intrappolare l’umanità nello Tsukyomi Infinito, accadde qualcosa. Zetsu, che fino a quel momento era stato leale a Madara, lo tradì e s’impossessò del suo corpo, riuscendo effettivamente a portare a termine il suo piano. Kaguya Otsutsuki, la stessa entità che più di mille anni fa aveva tentato di schiavizzare il mondo, era stata riportata in vita.”

Il suono pesante e epico delle trombe risuonò nell’aria in quel momento con forza. Tutti i presenti, nessuno escluso, trattennero il fiato.

“In quel terribile frangente, solo quattro persone erano rimaste immuni dall’illusione che ci aveva intrappolati tutti,” continuò a dire il Quinto Kazekage. “E quelle persone sono coloro a cui dobbiamo la vita. Coloro che ci hanno salvato e hanno permesso all’umanità di continuare a sopravvivere: Naruto Uzumaki, Kakashi Hatake, Sakura Haruno e Sasuke Uchiha,” dichiarò solennemente con enfasi.

In mezzo a allo stupore generale, tutti rimasero allibiti quando le immagini di quelle quattro persone apparvero alle spalle del Kage.

Gaara continuò. “Rimasti da soli, loro quattro affrontarono Kaguya Otsutsuki per tentare di liberare il mondo dallo Tsukyomi Infito. E grazie all’intervento inaspettato di Obito Uchiha, quasi per miracolo, ci riuscirono alla grande. Kaguya venne sconfitta di nuovo, e sigillata in una dimensione lontana da qui assieme anche a Zetsu. E fu così, grazie a quelle quattro persone che noi tutti conosciamo, che l’umanità riuscì a liberarsi dall’illusione e a tornare in pace dopo la Guerra.”

Il silenzio era diventato glaciale e teso come non mai.

Il Kazekage sorrise. “Loro quattro, da soli, hanno salvato il mondo,” disse lentamente. “Ma non finì certo qui. Dopo la fine della Guerra, come sappiamo tutti, l’Alleanza delle Nazioni Unite venne ufficialmente fondata, e tutti e cinque i Villaggi principali decisero di unirsi assieme per garantire pace e prosperità al mondo intero. E questo portò alla nascita dell’Unione. L’Unione, grazie agli sforzi e ai sacrifici del Settimo Hokage e di tutti coloro che erano stufi di combattere, riuscì a mettere fine ai conflitti e a garantire la pace nel mondo per quasi un ventennio. E questa, signori e signore, è la realtà che sta dietro alla sua fondazione. La realtà che è rimasta nascosta fino ad oggi. In altre parole, ciò che ha permesso a tutti noi e anche alle ultime generazioni di vivere in pace… sono state quelle quattro persone.”

“In sostanza…” dichiarò infine il Kage. “Ciò che ha salvato il mondo e ha generato la Pace di cui tutti noi abbiamo goduto fino a poco tempo fa… è stato il sacrificio e il buon cuore del Settimo Hokage e dei suoi amici.”

Passarono due secondi di silenzio.

Poi, proprio come si era aspettato, la folla esplose in un vociare fragoroso e assordante come non mai.

Subito dopo quelle parole infatti, le persone iniziarono a urlare e a parlare freneticamente tra di loro, incredule e scioccate, sconvolte oltre ogni dire da quella rivelazione così importante che avevano appena sentito. Tutti, letteralmente tutti, coloro che non erano mai stati a conoscenza di quella verità presero ad agitarsi e a farsi domande tra di loro, colti dal dubbio e dall’incertezza.

 Il sorriso di Gaara si allargò non appena vide l’espressione imbarazzata e confusa di Naruto, assieme allo sguardo nervoso che gli stava rivolgendo mentre i Kage che gli stavano vicino lo assaltavano di domande. “Questo non era nei piani!” gli stava dicendo freneticamente con le labbra.

Gaara dovette reprimere una risata, prima di assumere ancora una volta un’espressione seria e rafforzare di nuovo la sua decisione. Non poteva esitare adesso. Il suo compito non era ancora terminato.

Dopotutto, la parte difficile veniva ora.
 



“C-Che cosa significa?” esclamò a gran voce Himawari, sconvolta. Si voltò di scatto verso sua madre con un’espressione scioccata in volto, ignorando le urla di stupore che sua zia stava gridando all’aria, stupita quanto lei. “T-Tu lo sapevi? È così che sono andate le cose?”

Hinata annuì, lenta e solenne. “Naruto-kun mi raccontò la verità subito dopo esserci sposati,” disse con un sorriso pieno d’orgoglio. “Ma mi ha fatto promettere di non dire mai niente al riguardo né a te né a tuo fratello quando eravate molto piccoli.”

La giovane Uzumaki rimase a bocca aperta. Insomma, sapeva che suo padre era stato uno degli eroi che aveva sconfitto Madara… ma scoprire che avesse addirittura salvato il mondo sconfiggendo una creatura extraterrestre?! Questa era una cosa che non si sarebbe mai aspettata di scoprire. “M-Ma… perché?” domandò, incapace di comprendere.

Sua madre abbassò lo sguardo a quel punto, diventando improvvisamente nervosa. “Per proteggervi da quello che accadrà adesso…” sussurrò lentamente.

Himawari non riuscì a comprendere.
 



“Questa cosa è ridicola!” ruggì a gran voce l’Amekage, fissando il Sesto Hokage con uno sguardo feroce. “Che significa questa sceneggiata, Sesto?”

“Già!” fece anche la voce incredula dell’Otokage alle sue spalle. “Se fosse vero, allora la storia secondo cui il mondo è stato minacciato soltanto da Madara Uchiha sarebbe solo una parte del piano di Konoha!”

“A che gioco state giocando voi della Foglia?” ruggì il Kusokage.

Kakashi rimase impassibile durante le loro domande, limitandosi a fissarli tutti con uno sguardo annoiato. “Che ci crediate o meno, questa è la verità,” si decise a rispondere alla fine, accennando un sorriso sotto alla sua maschera. “E alcuni di voi ne erano già a conoscenza, anche se non ci avevano mai creduto,” aggiunse subito dopo, scoccando un’occhiata saccente alla Tsuchikage che se ne restava immobile con le braccia incrociate.

Lo sguardo di Haruko si assottigliò pericolosamente. “E perché lo siamo venuti a sapere solo ora?” domandò solennemente, imbestialita.

“Infatti,” concordò l’Uzukage, visibilmente contrariata. “Perché la Foglia e la Sabbia hanno voluto rivelare pubblicamente queste informazioni soltanto adesso?”

Il Sesto Hokage si limitò a sorridere, puntando un dito verso il palco.
 



“So quello che state pensando…”

La voce del Kazekage risuonò ancora una volta con foga e solennità nell’aria, mettendo immediatamente a tacere tutte le dispute e le discussioni che stavano avvenendo in mezzo alla folla incalcolabile di persone. Il cortile ritornò muto e silenzioso come una tomba dopo le sue parole, in attesa di spiegazioni, come un bambino incredulo che ascolta una storia troppo incredibile per essere vera.

“Vi starete chiedendo per quale motivo questa parte di verità non sia mai stata rivelata fino ad oggi,” disse lentamente Gaara, abbassando la testa e sospirando sommessamente. I suoi occhi guizzarono per fissare quelle dieci persone incatenate che, con suo sommo stupore, non sembravano per nulla stupite da quella rivelazione. “E la realtà… è che avevamo paura,” ammise lentamente, tornando a guardare la folla. “Non volevamo mettere in agitazione il mondo. Non dopo essere finalmente riusciti ad unirlo e a portare una Pace concreta. Io, l’Hokage, e tutti coloro che sapevamo la verità… non volevamo far piombare il mondo nel timore. Questo perché, adesso che sapete anche voi la realtà, le conseguenze che scaturiscono da questa storia potete comprenderle anche da soli.”

A poco a poco, dopo quelle parole, gli occhi della folla cominciarono a sgranarsi.

“Gli Otsutsuki stanno tornando,” dichiarò solennemente Gaara, teso e serio come non mai, rivolgendosi a tutti, presenti e non. “Lo abbiamo sempre saputo, noi che conoscevamo la verità. Lo abbiamo sempre temuto e sospettato, ed è per questo che negli ultimi anni abbiamo mandato Sasuke Uchiha in ricognizione fuori dal nostro pianeta. Perché, adesso che sappiamo di non essere soli nell’universo, i pericoli che incombono su di noi sono aumentati a dismisura. Ancora adesso, Sasuke si trova là fuori, nella continua missione e nel titanico sforzo e tentativo di trattenere gli Otsutsuki lontani da qui. Eppure, nonostante tutto, abbiamo fallito.”

La folla trattenne il fiato.

“Alcuni di voi lo sapranno già, ma se ben vi ricordate, sette anni fa… due Otsutsuki provenienti da un altro mondo hanno attaccato la Foglia durante gli Esami di Selezione Chuunin,” raccontò solennemente, la sua voce seria e concisa come non mai. “È da allora che abbiamo avuto la conferma dei nostri timori. Gli Otsutsuki… stanno per ritornare. Hanno preso di mira la Terra, e sono più che intenzionati a portare a termine il compito che Kaguya doveva svolgere mille anni fa. Loro torneranno… e hanno intenzione di distruggere la razza umana.”

Il silenzio era glaciale, talmente pesante da poter essere quasi tangibile.

Gaara rivolse alla folla e ai Kage un sorriso pieno di nervosismo e timore. “Capite adesso il perché non abbiamo voluto rivelare al mondo la verità?” domandò con un tono di voce roco e sincero. “Non volevamo causare il panico nella popolazione. Perché, siamo sinceri… al nostro attuale livello, la Terra e i suoi abitanti non sarebbero mai in grado di sopravvivere ad un’invasione da parte degli Otsutsuki. I cinque Kage da soli non sono quasi bastati per sconfiggere Momoshiki e Kinshiki, e se là fuori ci sono altri nemici come loro, nemici potenti quanto o più di Kaguya… l’umanità potrebbe estinguersi per sempre. È per questo che non volevamo dirvelo. Per non farvi cadere nel panico. E anche perché… avevamo paura di farlo.”

Gaara chiuse pesantemente gli occhi, restando in silenzio per diversi secondi pieni di tensione e solennità. Nessuno osò fiatare per tutto quel tempo, restando in un silenzio che sapeva di orrore e sgomento.

“Tuttavia… adesso le cose sono cambiate,” dichiarò solennemente Gaara, all’improvviso.

Gli occhi di tutti si sgranarono.

“Adesso non abbiamo altra scelta che unirci assieme per poter sopravvivere,” continuò a dire il Kazekage. “Forse se vi avessimo detto tutto questo sin dall’inizio, le cose sarebbero andate diversamente. Ma prima di arrivare a questo… voglio raccontarvi un’altra storia. La storia… di colui che ha rovinato tutto. Colui che ha frantumato la pace e la stabilità di questo mondo, dividendolo ulteriormente e mettendolo ancora una volta a rischio contro la minaccia extraterrestre che incombe su di noi.”

I volti di tutti, presenti e collegati, erano incollati sul volto teso e solenne del Kage.

Gaara si fece serio e solenne come non mai. “Come voi tutti sapete, negli ultimi anni c’è stata un’insurrezione all’interno della società Shinobi. Un’insurrezione pesante e violenta, a causa della quale l’ideologia pacifista del Settimo Hokage e dell’Unione è venuta meno. Una persona, un ragazzo, ha rubato le redini della situazione dalle mani dell’Unione, e il mondo è stato nuovamente messo in una situazione di pericolo.”

Mano a mano che parlava, ad ogni parola che susseguiva alle precedenti, i volti di tutti s’illuminavano sempre più di realizzazione e sgomento.

“Questo ragazzo… si è ribellato contro il mondo pacifico tanto voluto dal Settimo Hokage, e con le sue azioni ha spaccato e diviso irrimediabilmente la nostra società in due, dividendoci ulteriormente quando invece avremmo dovuto essere più uniti che mai.”

E fu lì, in quel momento, che il tempo parve fermarsi e rallentare per tutti i presenti, mentre le parole del Kazekage presero ad echeggiare con potenza per tutta l’aria, simili al rombo ineluttabile di un tuono esplosivo in mezzo ad una tempesta di fulmini.

“Un ragazzo che ha egoisticamente distrutto tutto ciò che era stato faticosamente costruito col sacrificio di innumerevoli persone…”

In mezzo alla folla, Galatea, Jigen, Haruko, e tutti i Ribelli che stavano assistendo alla scena trattennero il fiato.

“Un criminale della peggior specie, che ha rinnegato ogni valore per cui il nostro popolo ha lottato e sacrificato tutto per secoli…”

Nel caos delle file affollate e piene di gente, Hinata, Himawari e Hanabi sentirono le lacrime cominciare a colare sulle loro guance.

“Un reietto e un folle, che ha preferito mettere al primo posto il suo egoistico ideale piuttosto che la salvezza del mondo e il bene comune…”

Lontano, seduti in cima ai bancali, Uraraka e Trunks rimasero a bocca aperta.

“Un’anima corrotta dal dolore e dal senso di vendetta che ha quasi causato la rovina di tutti noi…”

In prima fila, Naruto, Kakashi e tutti coloro che lo avevano conosciuto chiusero con tristezza e dolore gli occhi.

“Un traditore del mondo e della Pace, e il suo nome…”

E infine, dentro ad uno stanzino chiuso e nascosto sotto terra, un piccolo bambino dai capelli verdi fissò con gli occhi sgranati e pieni di orrore il volto dinanzi a lui. Un volto sfigurato e impassibile che fissava la persona dinanzi a sé, e il mondo in generale, con uno sguardo privo di emozione.

“…è Boruto Uzumaki.”
 

L’uomo che si oppone al Destino



 



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Tempo Sconosciuto
Luogo Sconosciuto


“Ti prego, sorella, finiamola qui.”

Yami ansimò, asciugandosi lentamente il sudore dalla fronte, ed osservando con uno sguardo furioso e accigliato il volto dell’altra Guardiana, così simile al suo, e allo stesso tempo così estremamente diverso. Il fumo delle macerie e delle fiamme continuava a circondarle. “Non ti perdonerò mai per ciò che hai fatto,” sibilò a denti stretti, raddrizzandosi in mezzo a tutta quella devastazione che il loro scontro senza tempo aveva causato. “Non avresti dovuto ficcare il naso nei miei affari!”

Hikari assunse un’espressione afflitta. “Yami… non avevo scelta. Non potevo permettere che quel piccolo continuasse a soffrire.”

“Tu non sai niente!” ruggì ferocemente lei. “Non avresti dovuto toccarlo! Non avresti dovuto concedergli quel Potere!”

“E invece avrei dovuto lasciarlo a te?” ribatté allora l’altra con voce decisa, il suo volto mutato in una smorfia solenne e inflessibile. “A te, che per tutta la sua vita lo ha tenuto nelle tenebre e nel dolore? Che lo hai lasciato morire per colpa di un drago?”

“STAVO CERCANDO DI SALVARLO!!!!” urlò ferocemente di rimando quella, imbestialita e frustrata.

Quella dichiarazione sconvolse non poco la Guardiana della Luce. Hikari esitò, sgranando leggermente gli occhi. “Che cosa?”

La Guardiana del Buio la fissò coi denti serrati in un ringhio impotente e pieno di risentimento. “Stavo cercando di salvarlo,” ripeté ancora una volta con decisione. “Non sono stata io a maledirlo con quel Destino opprimente! Una volta finita la Battaglia… avevo intenzione di prenderlo e liberarlo per sempre! Ma tu me lo ha rubato prima che potessi raggiungerlo!”

Hikari sentì le sue sopracciglia aggrottarsi per il dubbio. “C-Che stai dicendo?” esalò, incerta. “Tu… Sei stata tu a sceglierlo come Campione.”

Yami serrò i pugni con così tanta forza da farle tremare le braccia. “…sì,” ammise dopo un po', abbassando appena lo sguardo. “Io l’ho reso un Campione Oscuro… ma l’anima che alberga dentro di lui non è stata toccata da me. Non l’ho scelta io.”

Passarono due secondi di silenzio.

Poi, Hikari trattenne il fiato. “Non può essere…” esalò, sconvolta.

Yami scoppiò a ridere senza allegria. Il suo volto era solenne e furioso. “Lo stai iniziando a comprendere, eh? Ce n’hai messo di tempo, feccia.”

“N-Non ci credo… Tu… Tu avevi detto che lui appartiene all’Oscurità!” protestò a gran voce l’altra, il suo volto pallido e spaventato, scioccata come non mai mentre cominciava sempre più a comprendere la realtà delle cose. “Credevo che fossi stata tu a dargli il Jougan e a farlo soffrire fino ad ora!”

La Guardiana del Buio sorrise, snudando i denti. Il suo era un sorriso privo di emozione. “Credevi davvero che possedessi un potere simile?” ribatté subito, sarcastica. “Sai bene quanto me che il Jougan è un occhio che trascende i poteri divini. Solo coloro che possiedono quell’anima possono risvegliarlo.”

“Ma… Ma allora perché?” domandò ancora Hikari, sempre più agitata. “Perché hai accolto quel figlio nell’Oscurità? Perché lo hai reso un Campione, facendogli credere che la sua Guardiana fossi tu?”

“Per nasconderlo e fare in modo che quella donna non riuscisse a trovarlo,” rispose ferocemente quella, incrociando le braccia con solennità e inflessibile determinazione. “Ma la realtà, mia odiosa e ripugnante sorella, è che lui non è mai appartenuto a me. Né in passato, né adesso.”

Hikari trattenne il fiato. La sua voce divenne piena di rimorso e terrore. “Oh cielo… che cosa ho fatto…”

Yami emise un sorriso nervoso. “Esatto, sorella. Boruto Uzumaki… lui appartiene a…”
 



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“…e il suo nome… è Boruto Uzumaki.”

Il ragazzo dai capelli dorati chiuse l’occhio sinistro e fece un sorriso privo di emozione.

Deku lo guardò con gli occhi sgranati, la sua mente pervasa dall’orrore e dallo spavento mentre realizzava la realtà che stava vedendo e ascoltando, impallidendo sempre di più mano a mano che passavano i secondi. Il suo corpo cominciò a tremare da solo. “L-L-Lei mi ha ingannato,” sussurrò allora a bassa voce, tremante e sconvolto per l’orrore.

Il guerriero spostò lentamente il suo sguardo gelido su di lui.

“L-Le sue parole mi hanno dato coraggio, e io… i-io la rispettavo…” continuò a balbettare quello con sconvolgimento, il suo volto una maschera d’orrore, pericolosamente vicino alle lacrime. “Per t-tutto questo tempo… lei mi ha mentito…”

Boruto abbassò l’occhio a terra, freddo e impassibile. “Scusami… Deku,” sussurrò a bassa voce, il suo volto visibilmente stanco. “Mi sono servito del tuo aiuto.”

Il bambino iniziò a tremare con più forza, la sua faccia segnata dalle lacrime, posando lentamente la schiena addosso alla parete alle sue spalle per tentare di reggersi in piedi. “P-Perché?” fu tutto ciò che riuscì a dire, singhiozzando.

Il Nukenin assunse un’espressione afflitta. “Era l’unico modo… per riuscire a salvare la mia famiglia.”

Dinanzi a lui, Sarada trasalì e fissò quell’interazione con uno sguardo sconvolto e scioccato. “La… tua famiglia…”
 



Gaara fissò la folla di spettatori con la sua espressione solenne e decisa. “Come voi tutti sapete, è stato a causa del tradimento di Boruto Uzumaki nei confronti della Foglia che la situazione è cominciata a degenerare,” spiegò a tutti a gran voce, riprendendo ancora una volta il discorso. “Sin da quando quel ragazzino, lo stesso figlio di una persona che ammiro e che ho l’onore di considerare un amico, ha deciso di rinnegare gli ideali Shinobi… le cose sono andate a pezzi.”

Gli spettatori presenti ricominciarono a vociferare.

Gaara scoccò un’occhiata a quelle dieci persone alla sua sinistra, incatenate lungo il bordo esterno del palco. Lo stavano fissando con delle espressioni contrastanti, miste tra la rabbia, l’oltraggio e la rassegnazione, incapaci di ribellarsi. “Quel ragazzino ribelle… ha volutamente deciso di combattere l’Unione e gli Eserciti Alleati,” continuò a dire, focalizzandosi di nuovo sul suo dovere. “Rinnegando i valori Ninja, Boruto Uzumaki decise sin da subito di opporsi al sistema pacifico e liberale dell’Unione, andando contro a tutte le Cinque Grandi Nazioni e generando uno scisma che – per quanto sia incredibile – nessuno prima di lui era riuscito a creare nel nostro mondo. Si mise in cammino per seminare nel mondo i suoi ideali di guerra e ribellione, viaggiando in lungo e in largo per le Nazioni, seminando discordie, conflitti, ed uccidendo innumerevoli Ninja. La Terra dell’Acqua, la Terra della Pioggia… sono solo alcuni dei Paesi che hanno subito perdite pesanti a causa dell’operato del figlio reietto dell’Hokage.”

Il Kazekage sospirò. “Ma non finisce qui, lo sappiamo,” ammise con amarezza, lento e rammaricato. “Le azioni di Boruto, non sarebbero mai state possibili se fosse stato da solo. Nemmeno lui, per quanto fosse considerato da tutti un genio, per quanto il mondo lo rispettasse e lo temesse come un prodigio… non sarebbe mai stato in grado di fare ciò che ha fatto da solo. Ed è qui che sono entrati in gioco loro,” esclamò con serietà, puntando un dito verso i prigionieri incatenati alla sua sinistra. “I suoi compagni e seguaci… i membri della cosiddetta Organizzazione Kara.”

La gente prese a urlare e gridare in maniera contrastante a quel punto. Ci furono fischi di sdegno, urla di rabbia, imprecazioni di timore e terrore… tutte quante mischiate assieme. Udendo la reazione inferocita della folla, quelle dieci persone non poterono fare altro che abbassare pateticamente la testa verso il basso, nascondendosi invano alle loro proteste.

Gaara sollevò le mani e i presenti si placarono. “Seguendo la guida di Boruto, queste dieci persone fondarono l’Organizzazione criminale che tutti noi conosciamo, e presero a cuore un solo obiettivo: distruggere l’Unione e portare la Guerra nel nostro mondo. Assunsero il comando del movimento ribelle noto come la Rivoluzione, e tramite esso operarono nel mondo per portare avanti i loro piani. Loro, con le azioni che hanno compiuto, hanno irrimediabilmente spezzato e distrutto il fragile equilibrio di Pace che l’Unione era faticosamente riuscita a costruire dopo interminabili anni di instabilità e pericoli. E lo hanno fatto senza mai pentirsene, con una crudeltà sfrenata, arrivando persino a commettere azioni troppo spietate e indicibili per poter essere narrate nel dettaglio,” disse solennemente, fissandoli con impassibilità. Il suo tono di voce non era né arrabbiato né accusatorio, ma bensì calmo, pacato; come se non stesse facendo altro che constatare i fatti per quello che erano.

E, per quanto fosse duro ammetterlo, tutti sapevano che era davvero così che erano andate le cose.

“Boruto e queste dieci persone ci avevano promesso la Pace,” dichiarò lentamente il Kage, senza mai togliere loro gli occhi di dosso. “Ma le loro azioni… hanno solo generato morte e distruzione. Provate a ricordare. Provate a ripensare a tutto ciò che queste persone hanno compiuto nel corso degli ultimi cinque anni.” I riflettori sibilarono a quel punto, iniziando a trasmettere sullo sfondo del palco alle sue spalle una serie di immagini prese dai telegiornali e da riprese di diversi anni prima.

“Lo sterminio di una trentina di ANBU di Konoha…” sussurrò Gaara, facendo un elenco, osservando con amarezza e solennità le immagini che si susseguivano una dopo l’altra. “Il furto di una corazzata nel Paese dell’Acqua… la cattura del Demone Tasso nel mio Paese… lo sterminio totale della Nuvola e dei suoi abitanti… e persino un assalto alla Nebbia mirato all’assassinio del Sesto Mizukage,” disse, freddo e impassibile come il ghiaccio. “Questi… sono tutti eventi orchestrati e portati avanti con successo da queste persone, sotto la guida e il comando di Boruto. E sono solamente alcuni dei complotti che hanno portato avanti.”

La folla trattenne il fiato con orrore e sgomento dinanzi a quelle immagini, fissando quelle dieci persone con degli sguardi ricolmi di terrore, spavento e incredulità. Sebbene in molti fossero già a conoscenza di queste cose, c’era una grande parte della folla che non ne sapeva ancora niente.

“Inoltre, recentemente abbiamo scoperto anche un’eventuale intervento della Rivoluzione nell’organizzazione e nello svolgimento della guerra che ha coinvolto la mia Nazione e la Roccia,” aggiunse ancora senza battere ciglio. “In sostanza, Boruto e i suoi seguaci Kara sono stati i veri responsabili e gli artefici nascosti della maggior parte degli eventi disastrosi che sono accaduti negli ultimi anni. Hanno persino rinnegato il concetto di Shinobi, un valore che esiste da più di un secolo e mezzo e per cui innumerevoli vite si sono sacrificate in passato… opponendolo al loro modello ideale: i Guerrieri.”

Gaara si mise le mani dietro la schiena, facendo un passo verso la folla. “In sostanza, l’Organizzazione Kara e Boruto hanno attuato una Rivoluzione su scala terroristica mirata allo stravolgimento totale del pianeta,” dichiarò senza mezzi termini.

Il silenzio e la tensione erano pesanti come non mai.

“Ed è per questo che stasera, quando tutto questo sarà finito, queste dieci persone verranno decapitate in diretta mondiale, proprio qui, dinanzi agli occhi del mondo intero. Lo stesso mondo che hanno provato a conquistare e distruggere,” giurò gelidamente con un’espressione inflessibile.

Il Kazekage si portò dinanzi ai prigionieri a quel punto, fissando il volto spento e privo di emozione di una di essi. Mikasa non alzò nemmeno lo sguardo su di lui, limitandosi a fissare a terra con disinteresse, del tutto incurante della sua presenza o del mondo che la circondava.

Gaara della Sabbia sospirò. “Eppure… nemmeno loro sono completamente da biasimare,” disse alla fine con un tono basso e roco.

La folla rimase sconvolta e senza fiato.

Il Quinto Kazekage si voltò verso il pubblico, dando le spalle ai Kara. “Il loro obiettivo… non abbiamo modo di dire se fosse veramente raggiungere la Pace. Eppure, non posso negare che la loro tenacia, la loro spietata determinazione… forse avesse un minimo di merito. Dopotutto, nessun essere umano avrebbe mai potuto compiere così tante stragi solamente in nome di un ideale astratto. Qualunque fosse il vero obiettivo che queste persone volevano raggiungere… ci credevano davvero,” disse a tutti, serio e lento.

Ma non aveva ancora finito. “E sebbene la colpa di tutti questi crimini ricada giustamente su queste persone… non è neanche possibile negare il fatto che il vero responsabile di tutto questo sia Boruto Uzumaki.”

La folla prese a bisbigliare tra sé e sé ancora una volta.

Gaara scoccò un’occhiata esitante verso Naruto, notando con fin troppa chiarezza il dolore e il rammarico che trasudava fuori dal suo volto durante tutto quel discorso. I suoi occhi brillarono di emozione. “Guardami, Naruto,” sussurrò mentalmente, deciso, fissando il suo amico e parlandogli con gli occhi. “Lo farò anche per te. So che ti farà soffrire parecchio sentire queste cose… ma sappiamo entrambi che non abbiamo scelta.”

Il suo sguardo determinato si puntò sopra la miriade incalcolabile di spettatori in attesa. “Questa sarà la dimostrazione della risolutezza di un uomo… che si assume la responsabilità del tuo sacrificio.”

“Boruto Uzumaki… è stato un mostro,” dichiarò ancora una volta con solennità, scioccando la folla e tutto il mondo che lo stava osservando in quel momento. “Un mostro che, indipendentemente dal fatto che lo volesse o meno, ha generato il caos nel nostro mondo. E credetemi, vi prego… non provo nessuna gioia nel descrivere in questo modo il figlio di una persona a cui tengo come un fratello. Ma per quanto sia duro ammetterlo, questa è la realtà dei fatti. Quel ragazzo ribelle, quel Nukenin traditore… ha compiuto l’impossibile con il suo operato. Ha irrimediabilmente diviso a metà la società Shinobi. Un’impresa ben più grave persino delle azioni dell’Akatsuki e di Madara.”

Il silenzio tornò a regnare sovrano per tutto il cortile.

“Signore e signori,” riprese a dire Gaara con forza. “So che molti di voi appoggiano la causa dei Ribelli e della Rivoluzione… ma noi abbiamo voluto aspettare quest’occasione per rivelare pubblicamente queste cose… proprio perché sapevamo che il mondo sarebbe finito in una situazione di pericolo. Con o senza Boruto, la Rivoluzione continua a causare stragi e proteste in tutto il mondo, continuando a mantenere divisa la nostra società senza permetterci di unirci assieme ancora una volta. E posso dire con certezza che… oltre a me, tutti coloro che vivono in questo mondo sono coinvolti in questo problema,” disse con assoluta serietà.

Il suo sguardo guizzò in mezzo ai volti degli spettatori, posandosi sulla faccia decisa e preoccupata di sua sorella che lo fissava con timore e ansia.

La sua determinazione aumentò.

“Come vi ho spiegato poco fa, gli Otsutsuki stanno per ritornare sulla Terra,” riprese a dire ancora una volta. “Sasuke Uchiha sta tentando di tenerli lontani il più a lungo possibile, ma lui è da solo. Presto o tardi, il giorno in cui saremo costretti a combatterli arriverà lo stesso, che ci piaccia o no. E a causa della Rivoluzione e degli ideali che quel Ninja traditore ha sparso per il mondo, la nostra società si rifiuta categoricamente di unirsi assieme per prepararsi ad affrontare questa minaccia. In sostanza, a causa delle azioni di Boruto, ci troviamo in una situazione di terribile svantaggio contro la minaccia che incombe sul nostro mondo.”

Gaara fissò al mondo con un’espressione decisa e piena di solennità. “In altre parole, anche se ormai è morto da anni, Boruto Uzumaki continua ancora oggi a condannare il mondo verso la sua distruzione!”
 



“Shikadai!”

Il Nara smise di osservare lo spettacolo e si voltò di scatto, restando piuttosto sorpreso quando vide Shin Uchiha correre verso di lui con un’espressione tesa e preoccupata in volto, seguito da altri due ANBU della Foglia mascherati e ansimanti. “Che cosa succede?” domandò in tutta serietà.

L’albino lo fissò con attenzione. “Dove si trova il Capitano Uchiha?” chiese a sua volta con evidente preoccupazione.

Shikadai rimase interdetto. “C-Cosa?”

“Il Capitano è scomparso,” spiegò solennemente Shin a quel punto, teso. “È da cinque minuti che stiamo provando a contattarla, senza successo. È scomparsa, e la sua radio sembra essere fuori servizio. Non riusciamo a ricevere sue notizie.”

Gli occhi del giovane si sgranarono a dismisura all’udire ciò. Passarono cinque secondi di silenzio totale. “Cazzo!” imprecò allora a denti stretti, colto dal panico. “Presto, mobilita le riserve e andate a cercarla! Setacciate ogni angolo del cortile e della Fortezza!” ordinò in fretta e in furia. Poi si rivolse al gruppo di Shinobi alla sua destra. “Squadra Liberio, voi cercate nel Villaggio. Appena trovate qualcosa, qualsiasi cosa, contattateci immediatamente.”

“Sissignore!” ruggirono tutti quanti allo stesso tempo, scattando in azione all’stante.

Il giovane Nara tornò a posare gli occhi verso il palco, stringendo nervosamente i denti. “Dannazione,” imprecò mentalmente. “Non dirmi che…”
 



La mente di Uraraka era sommersa dall’incredulità mentre continuava ad ascoltare il discorso del Kazekage.

“Nel corso degli ultimi anni, abbiamo appreso sempre più informazioni sugli Otsutsuki grazie a Sasuke Uchiha e ai suoi rapporti durante le spedizioni lontano dalla Terra. Ma ancora adesso… non abbiamo modo di conoscere la loro reale potenza. Né siamo in possesso di una tecnologia o di mezzi che siano in grado di fermare l’avanzata degli Otsutsuki.”

“Non… Non ci posso credere,” fu tutto ciò che riuscì a dire la bambina, incredula.

Trunks annuì, imbambolato, ascoltando le parole del Kage con gli occhi sgranati e la faccia stravolta. Accanto a loro, anche il resto della folla era sconvolta allo stesso modo. “Di questo passo… saremo tutti condannati,” esalò con terrore.

I due giovani sentirono i loro cuori grondare di terrore e paura.
 



“Di questo passo, una volta che la loro invasione avrà inizio, non ci sarà nulla che potremo fare.”

“N-Non può essere vero…” sussurrò Himawari, scuotendo freneticamente la testa. “Ditemi che non è vero…”

Accanto a lei, Hanabi fissava il palco con gli occhi e la bocca sgranati, incredula e scioccata quanto lei.

“E allora noi umani… non potremo fare altro che fuggire inutilmente dinanzi a quegli esseri intenzionati ad eliminarci completamente, incapaci di reagire ed accettando un Destino che segnerà per sempre la nostra fine.”

Hinata guardò sua figlia con uno sguardo pieno di dolore e preoccupazione. “Hima…”
 



“Ben presto le persone, i Villaggi, le civiltà… e anche la fauna e flora del nostro ecosistema… saranno schiacciate e distrutte per sempre a causa degli Otsutsuki.”

“O-Ohi… che cazzo significa…?” esalò lentamente Haruko, sconvolta e tremante.

L’Uzukage sentì il suo corpo fremere allo stesso modo per il terrore. “N-No…”

Kakashi fissò al mondo con uno sguardo pesante e solenne.

“E tutto questo… per colpa di Boruto e dei suoi ideali che continuano a tenerci divisi!”
 



Deku e Sarada ascoltarono quelle parole con orrore e sgomento.

“…allora sarebbe ormai troppo tardi per noi. Ma la speranza non è ancora svanita. Possiamo ancora agire per impedire che quest’eventualità si concretizzi.”

“È-È vero,” esclamò mentalmente il piccolo bambino, terrorizzato. “Di questo passo… rischieremo l’estinzione. Dobbiamo fare qualco-”

“È proprio così.”

Deku trasalì, voltando lentamente la testa per fissare la persona che aveva parlato. Assieme a lui, anche la giovane Uchiha alzò lo sguardo da terra per osservare il suo vecchio amico, confusa e timorosa.

Boruto guardò dinanzi a sé con un’espressione spenta e vacua, il suo occhio sinistro privo di emozione. “È proprio come ha detto il Kazekage,” ripeté lentamente. “Io sono il ‘cattivo’. E ciò che ho fatto in passato e le conseguenze delle mie azioni, potrebbero distruggere il mondo.”

Sarada lo osservò in silenzio, incapace di riscuotersi dall’angoscia e dal timore che l’avevano pervasa del tutto alla sola visione e presenza del Nukenin. Era come se fosse tornata ai tempi precedenti a Eldia, più di due anni prima, quando era ancora troppo spaventata e terrorizzata per riuscire a impedire al suo vecchio amico di fare ciò che voleva. Quando era letteralmente incapace di combatterlo e di ribellarsi alla sua rabbia. Era come… essere tornata la giovane inutile e timorosa di un tempo.

I suoi occhi iniziarono a versare lacrime disperate.

La voce di Boruto la riscosse da quei pensieri. “Però… anche voi siete stati i ‘cattivi’ dal mio punto di vista,” ammise lentamente, sorprendendoli entrambi con quella dichiarazione. Il guerriero posò lo sguardo sul volto di Sarada, fissandola con tristezza. “Quel giorno… quando l’Hokage ordinò severamente l’arresto di Mikasa, e tutto il mio mondo e ciò che era importante per me venne frantumato dinanzi ai miei stessi occhi. O quando vidi per la prima volta l’inefficienza dell’Unione, e la sua incapacità di aiutare coloro che vivevano nella fame e nella criminalità. O quando vidi che nel mondo la guerra era inevitabile, e che la pace che tutti agognavamo era solo una stupida bugia…”

Il biondo scosse la testa di lato, visibilmente triste e pieno di dolore. “Perché tutte quelle persone che non avevano fatto niente di male dovevano soffrire? Perché l’Unione non riusciva a prevenire quelle battaglie sanguinose? Perché… così tante persone dovevano morire… mentre l’Unione restava in pace?”

Il suo occhio guizzò in avanti, triste e incerto. “Perché, Sarada?” le chiese con tristezza. “Perché la vostra Unione non ha impedito tutto questo?”

Sarada abbassò lo sguardo, osservando il modo in cui il sangue continuava a gocciolare dalla mano ferita del guerriero. “P-Perché… non è possibile riuscire a salvare tutti,” rispose alla fine, con voce bassa e pesante. “Ci abbiamo provato. E per questo che abbiamo indetto questo Summit Mondiale.”

“E cosa vi ha spinto a farlo?” domandò di nuovo lui.

Lei deglutì. “…la disperazione. Non potevamo fare altro che raccontare a tutti la verità, ormai. Era l’unica cosa che ci restava da fare per riuscire a… portare a termine la nostra missione.”

“E la missione è…?” la esortò ancora il biondo.

Sarada esitò, le sue mani tremanti, prima di abbassare di nuovo lo sguardo. “Salvare il mondo,” rispose.

Boruto la guardò con attenzione dopo quelle parole, restando in silenzio per diversi secondi. “Capisco,” esalò alla fine, spostando momentaneamente il suo occhio verso il pavimento. “Se era per salvare il mondo… allora…” alzò di nuovo lo sguardo, fissando la sua vecchia amica con un’espressione comprensiva e triste allo stesso tempo. “…non avevate altra scelta, vero?”

Deku osservò la loro interazione in silenzio, sudando copiosamente per la tensione.

La giovane Uchiha non alzò mai la testa, tenendo gli occhi chiusi con un misto timore e vergogna. Il suo corpo tremava incontrollabilmente per la paura. “Q-Quando eravamo su Eldia… quella volta, tu hai detto che avresti u-ucciso i tuoi genitori… hai giurato che non ti saresti fermato fino a quando loro due e tutto il resto dei loro Shinobi non fossero scomparsi,” esalò con dolore e tristezza. Solo a quel punto riuscì a trovare la forza per guardare il suo amico, la sua faccia piena di terrore e dolore. “È per questo che sei venuto qui?” chiese con angoscia.

Boruto esitò dopo quelle parole, visibilmente colto alla sprovvista. Girò leggermente la testa di lato. “Aaah… ho detto una cosa simile?” domandò sommessamente, grattandosi una guancia con evidente imbarazzo. “Dimenticala, ti prego.”

 Sarada e Deku sgranarono gli occhi. “…eh?”

Quello fissò il neo Capitano con uno sguardo afflitto. “Certamente, in passato vedevo voi e tutti coloro che mi ostacolavano come nemici,” ammise a bassa voce. “Poi però sono tornato sulla Terra, e mi sono nascosto tra di voi. Ho vissuto sotto lo stesso tetto del nemico. Ho condiviso i miei pasti col nemico. Ho parlato col nemico…”

Il suo occhio si fece pieno di emozione mentre la fissava con tristezza. “Proprio come uno di voi… Sarada.”

La ragazza trattenne il fiato.

“Ovviamente ci sono stati tizi irritanti. Ma ce ne sono stati altri più gentili,” disse ancora lui. Voltò la testa di lato, fissando con emozione il piccolo bambino tremante accasciato alla parete. Deku deglutì appena lo vide fissarlo in quel modo, incerto su cosa pensare.

Boruto gli rivolse un piccolo sorriso rammaricato. “Shinobi, Guerrieri, civili… siamo tutti gli stessi,” disse lentamente.

Izuku lo guardò con stupore. “Uh?”

Il Nukenin riprese a parlare. “A voi però… non è mai stato mostrato l’inferno che imperversava fuori dai Villaggi. Vi era sempre stato detto che il mondo era in pace e che tutto andava bene, senza rendervi partecipi del dolore di coloro che non avevano avuto la vostra stessa fortuna. Vivevate nell’ignoranza, senza sapere ciò che accadeva fuori dalle vostre stabili e impenetrabili mura,” disse lentamente, pieno di tristezza e pentimento.

Posò il suo occhio sul volto sbigottito di Sarada, fissandola con uno sguardo pieno di emozione. “Non eravate altro che bambini ignoranti, guidati da adulti ignoranti,” le disse comprensivamente, il suo volto pieno di emozione. “Cosa potevano fare dei ragazzini come voi contro la storia, le circostanze, e il dolore del mondo?”

Lei non disse niente, incapace di parlare.

Boruto le sorrise debolmente. “Io e te… siamo uguali,” disse con un’espressione piena di comprensione. “Non è così, Sarada?”

La ragazza rimase ancora ferma e imbambolata, abbassando solamente lo sguardo a poco a poco.

“Penso che il me attuale… possa riuscire a capirlo, finalmente,” disse ancora quello.

A quel punto però, qualcosa dentro di lei scattò.

I suoi occhi iniziarono a lacrimare.

I suoi pugni si serrarono con forza.

Sarada digrignò i denti.

“Ti sbagli!” ruggì all’improvviso lei, scattando in avanti in un impeto di rabbia e frustrazione. “Ti sbagli, Boruto!” La sedia alle sue spalle si rovesciò, mentre lei si buttava a terra e batteva impotentemente un pugno contro il pavimento, piangendo per il dolore e la frustrazione che provava nel suo cuore. Accanto a lei, Deku la guardò mentre piangeva con gli occhi e la bocca spalancati, confuso oltre ogni dire, mentre Boruto continuava a fissarla in silenzio, senza dire nulla.

La ragazza iniziò a piangere, le lacrime che colavano copiosamente dai suoi occhi, bagnando il pavimento. “Io… Io ho sempre saputo che tu non eri cattivo!” singhiozzò disperatamente, la sua voce devastata e rotta da un pianto frenetico. “Sin dall’inizio! Ho-Ho sempre saputo che avevi ragione, in fondo! Che non eri il mostro che tutti pensavano che tu fossi! Tu… eri solo una vittima! Una vittima che cercava solo di fare la cosa giusta! Io lo SAPEVO!” urlò in completa disperazione, affranta.

Boruto la guardò in silenzio, il suo volto indecifrabile.

Sarada serrò impotentemente le mani in pugni. “Ma i tuoi metodi… le cose orribili che eri disposto a compiere pur di raggiungere la tua pace… non riuscivo ad accettarle,” continuò ad ammettere lei, senza mai smettere di piangere. “Non riesco ancora ad accettarle! Ciò che hai fatto alla Nuvola… alla Nebbia… non poteva davvero portare alla pace. I-Io… volevo supportarti… sapevo che stavi cercando di aiutare… ma non in questo modo! La strada che avevi intrapreso… non potevo seguirla! Ma la realtà… la realtà…”

“… LA REALTÀ È CHE IO AVREI VOLUTO SEGUIRTI!” singhiozzò alla fine con dolore, piena di rimorso e rammarico. “Avrei voluto raggiungerti! Per salvarti! Per liberarti per sempre da quel terribile dolore che ti aveva cambiato e deformato! M-Ma… non ci sono mai riuscita. Non sono riuscita a raggiungerti… ed è colpa mia se alla fine sei finito per ridurti così! S-Se solo avessi tentato di più… forse… forse oggi le cose sarebbero andate diversamente…”

L’occhio sinistro di Boruto si sgranò leggermente per lo stupore all’udire ciò, brillando di emozione.

“Non è stata colpa dei tuoi genitori, o della Foglia, o delle circostanze!” gridò disperatamente lei, sollevandosi da terra col busto per fissarlo con un’espressione devastata e rotta dai singhiozzi. “È stata colpa mia! È a causa mia se ti sei smarrito in questo modo! Avrei dovuto salvarti! Perché ti amavo! Perché sapevo che eri soltanto una vittima!” gridò con forza, disperata e affranta come non mai.

E poi, crollando ancora una volta a terra, la ragazza cominciò a singhiozzare più di prima. “E ora… ora che tu sei di nuovo qui… sono disgustata da me stessa,” gemette sommessamente. “T-Ti prego, Boruto, ti supplico… non farlo…”

Ma quello non rispose, continuando ad osservarla con uno sguardo afflitto e devastato mentre piangeva, il suo occhio che brillava di emozioni profonde, troppo profonde per poter essere descritte. La osservava, in silenzio, la sua faccia sempre più triste, sempre più illuminata dalla realizzazione e dalla comprensione di come erano andate le cose. E così rimase, per un tempo indefinito, fermo e immobile, intento ad osservarla con tristezza e uno sguardo devastato e infestato dal dolore.

Fino a quando, di colpo e all’improvviso, le parole del Quinto Kazekage ricominciarono a risuonare di nuovo nell’aria.

“Tuttavia… che ci piaccia o meno… la realtà resta sempre e comunque una sola: il fatto stesso che i Guerrieri esistono è all’origine dei pericoli che questo mondo si trova ad affrontare.”
 



Gaara si fermò, solenne e rigido, fissando la folla con uno sguardo triste e pieno di emozione. “Io… se avessi potuto scegliere… avrei preferito non essere mai nato,” ammise a bassa voce davanti a tutti, i suoi occhi che avevano iniziato a versare lacrime all’improvviso. “Ho maledetto la mia stessa esistenza sin da quando ero piccolo… Ho desiderato la morte per così tanto tempo… E più di ogni altro, io… desidero che i Guerrieri e gli Otsutsuki possano essere sterminati.”

Passarono diversi secondi di silenzio assoluto. I Kage, i nobili, i Ninja… nessuno osò più fiatare a quel punto.

La folla, per la prima, vera volta da quando era iniziato lo spettacolo, era diventata muta come non mai.

“E ciononostante,” continuò Gaara poco dopo, piangendo apertamente mentre fissava il cielo con gli occhi sgranati. “Io… Io non voglio morire…”



“… perché sono comunque nato in questo mondo.”

Boruto sgranò lentamente il suo occhio.
 



La folla aveva iniziato a commuoversi a quel punto. Tutti – uomini, donne, bambini, anziani – iniziarono a sentire le proprie lacrime cominciare a formarsi nei loro occhi a propria volta. Tutti, ma proprio tutti, cominciarono a provare qualcosa dentro ai loro cuori all’udire quelle parole che li toccavano nel profondo.

Gaara sollevò lentamente la braccia, sempre più emotivo. “Vi prego… anche se le nostre Nazioni e le nostre culture sono diverse… i nostri sentimenti sono gli stessi!” esclamò disperatamente. “Voi che come me non volete morire… vi supplico… fatemi dono della vostra forza!”

Reagirono.

Dapprima in pochi. Poi in decine. E infine a centinaia.

Tutti presero a piangere e a commuoversi sinceramente dinanzi a quella dichiarazione così sincera.

Si alzarono dai posti a sedere. Esultarono. Gridarono. Batterono le mani.

Incitarono a gran voce verso il Kazekage.

Tutti.

Naruto. Shikamaru. Kakashi. Mei. Temari.

Himawari. Hinata. Hanabi.

Uraraka. Trunks.

Kage. Nobili. Daimyo.

Shinobi.

Guerrieri.

Civili.

Uomini. Donne. Bambini.

Esultarono a gran voce e applaudirono con le mani verso di lui.

“Vi prego!” continuò a gridare il Kazekage a gran voce. “Per la salvezza della nostra specie… voglio che tutti voi viviate uniti in futuro! Uniti contro coloro che vogliono tenerci divisi!”
 



“UNITI CONTRO I MOSTRI DELLA RIVOLUZIONE!” gridò a quel punto la voce del Kage, piangendo ed emozionandosi dinanzi al pubblico di tutto il mondo. “VOGLIO CHE ANDIATE IN GUERRA CONTRO DI LORO!!!”

Boruto sentì il suo cuore farsi più pesante e il suo occhio sinistro iniziare a lacrimare.
 



“Vai Gaara!!”

“Bravo così!!”

“Viva l’Unione! Viva Il Kazekage!!”

“VIVA L’UNIONE!!!”

“GUERRA ALLA RIVOLUZIONE!!!!”

La folla esplose in applausi e grida di enfasi. Talmente forti, talmente sinceri, e talmente emotivi da riecheggiare nell’aria come il rombo possente di un tuono.
 



E in quel momento, in quel preciso ed esatto momento, mentre ascoltava le urla e gli applausi gioiosi della gente all’esterno… finalmente, accadde. Per la prima volta, dopo tutti questi anni, dopo tutto ciò che aveva passato, dopo le sue innumerevoli avventure ed esperienze… accadde infine senza più esitazione.

Proprio lui, il Nukenin più famoso del mondo, il leader della Rivoluzione, il fondatore dell’Organizzazione Kara, il Guerriero che si era ribellato al suo Destino… finalmente lo capì.

Boruto Uzumaki aveva compreso.

Il suo occhio si chiuse con pesantezza e dolore.



Adesso… adesso lo aveva capito.

“Alzati, Sarada,” disse dunque alla fine, sollevandosi lentamente dalla sedia e fissandola con tristezza e comprensione tutt’assieme. "Io... ho capito, adesso."

La ragazza sollevò lentamente lo sguardo, incerta e incredula. Lo vide, sgranando gli occhi, col suo volto solenne e comprensivo, mentre tendeva una mano verso di lei. La stessa mano ferita e sanguinante che aveva nascosto fino ad ora, era adesso rivolta verso di lei, pronta ad accoglierla e risollevarla da terra ancora una volta.

“B-Boruto…”

Sarada Uchiha la afferrò dopo un attimo di esitazione.

“Sono consapevole,” la voce di Gaara continuava a risuonare nella stanza dall’esterno. “Che ci vorrà ancora del tempo prima che gli eserciti del mondo possano stringersi la mano!”

“Però tutti noi possiamo andare incontro al nostro nemico comune come fratelli!”

“Proprio come immaginavo,” sussurrò il guerriero, aiutandola a rimettersi in piedi e tenendo le loro mani unite assieme. “Io e te siamo uguali.”

“U-Uh?”

Accanto a loro, il piccolo Deku li osservò con confusione.

“Se tutti noi uniremo le nostre forze, non ci sarà ostacolo che non riusciremo a valicare!!!”

Boruto rimase in silenzio, il suo occhio pieno di emozioni confuse e insondabili. “Io però… forse sono sempre stato così sin da quando sono nato,” disse a bassa voce, con tristezza.

La corvina e il bambino lo osservarono senza comprendere, incerti ed esitanti.

E la voce continuava a gridare sopra le urla della folla.

“Io, Gaara della Sabbia, in quanto emissario delle Nazioni Alleate…”

“Adesso… so che cosa devo fare,” disse solennemente Boruto, senza incontrare lo sguardo della ragazza.

“… continuerò a desiderare la Pace nel mondo!”

Deku e Sarada lo osservarono con gli occhi sgranati e pieni di lacrime.

“Farò una dichiarazione, qui ed ora!!!”

Boruto la guardò con un sorriso triste e un’espressione solenne. “Io continuerò sempre ad avanzare…” sussurrò.

Un guizzo elettrico schizzò fuori dalla mano del biondo.

“…fino a quando i miei nemici non saranno annientati!

E nonostante i loro occhi si sgranarono per l’orrore, furono entrambi incapaci di impedire l’esplosione elettrica che scoppiò subito dopo, accecando ogni cosa col suo bagliore giallo e investendo ogni suono col suo boato assordante come un fulmine.
 



ətˈæk 0N tάɪtn
(Attack on Titan)

Die Erde dröhnt und wird rot,
Die Leute erinnern sich an diese Tragödie.

Ist das der Zerstörer, oder der Schöpfer?

Mit der Glut des Hasses Schwenken wir die
Schwerter!

Ist das unser Schicksal, oder unser Wille?

Wir werden kämpfen, bis diese heiße
Wind unsere Flügel nimmt!

Was finden wir jenseits dieses Horizontes?
 
Was finden wir jenseits dieses Horizontes?
La Terra ruggisce e diventa rossa,
La gente ricorda questa Tragedia.
 
È questo il Distruttore, oppure è il Creatore?
 
Con le fiamme ardenti dell’odio brandiamo
le nostre spade!
 
È questo il nostro Fato, oppure è la nostra Volontà?
 
Continueremo a combattere, finché le nostre ali,
verranno distrutte dal vento cocente!
 
Che cosa troveremo oltre quest’Orizzonte?
 
Che cosa troveremo oltre quest’Orizzonte?

 



“PER LE FORZE NEMICHE DELLA RIVOLUZIONE!” urlò a squarciagola il Kazekage dinanzi al mondo intero. “QUESTA È UNA DICHIARAZIONE DI GUE-”
 

BOOOOOOOOOOMMM!


Nessuno ebbe modo di fare niente.

La parete della Fortezza alle spalle del Palco esplose letteralmente in aria.

Tutti quanti urlarono e trattennero il fiato.

Poi, veloce come una saetta, una mostruosa creatura gigante sbucò fuori dalle macerie senza nessun preavviso.

E Gaara, stordito, confuso e scioccato, ebbe solo il tempo di alzare la testa verso l’alto prima di vedere una possente zampa artigliata precipitargli ferocemente addosso alla massima velocità.

E poi, con un rumore possente e assordante, il palco del Summit esplose letteralmente in mille pezzi.

Naruto, Himawari, Uraraka, i Kara, e tutti gli altri spettatori presenti riuscirono solo a sgranare gli occhi per l’orrore…

…mentre il possente drago etereo lanciava all’aria il corpo diviso in due del Kazekage, ruggendo con ferocia ai sette cieli un urlo raccapricciante di ira e rabbia indescrivibile.


RRRRRRRRRRAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAWWWWWWWRRRRRRRRRRRR!!!!













 


Note dell’autore!!!

Salve gente! Ecco a voi il nuovo capitolo. Spero che vi sia piaciuto. Inizialmente questo capitolo avrebbe dovuto essere diviso i due, ma ho deciso di unirli assieme per farne uno unico. Mi sembrava la cosa più giusta e rispettosa da fare per lo svolgimento degli eventi.

Che dire, questo è sicuramente uno dei punti focali e più importanti di tutta la vicenda che ho ideato. Ciò che è successo adesso… è una cosa da cui non si può più tornare indietro. La dichiarazione di guerra è stata fatta. I Ninja hanno intenzione di eliminare per sempre i Guerrieri e la Rivoluzione. Qualsiasi tentativo di riconciliazione tra le due fazioni è andato a farsi benedire a causa delle azioni dei Kara e di Bolt. E adesso?

Adesso Guerra.

Gaara e Naruto hanno, per la prima volta in assoluto nella storia, rivelato la verità del mondo Shinobi dinanzi a tutti i popoli. Il Kazekage ha raccontato tutto, rivelando anche la minaccia degli Otsutsuki che incombe su di loro. E sebbene questa cosa avrà delle conseguenze – ci sarà il panico mondiale, è palesemente deducibile – lo hanno fatto in un ultimo e disperato tentativo di unire ancora una volta il mondo che a causa di Boruto e della Rivoluzione è stato irrimediabilmente diviso. Ma non posso fare spoiler su ciò che accadrà nel dettaglio.

Per chi se lo stesse chiedendo… sì. Gaara è appena stato ucciso. L’attacco a sorpresa lo ha colto alla sprovvista – lui così come Naruto e tutti gli altri – e per questo non è riuscito a difendersi. Boruto lo ha ucciso. E con la sua morte, Boruto e i Kara sono stati responsabili della morte di ben 4 Kage fino ad ora. E per quanto questa cosa mi faccia soffrire, dato che Gaara è uno dei miei personaggi preferiti, ho preferito fargli avere una fine epica piuttosto che farlo morire a causa della malattia. Gaara, in questa storia, non sarebbe dovuto sopravvivere. Lui era morto già da ragazzo, e i morti non appartengono al mondo dei vivi. Non ritornano, e se lo fanno ci sono delle conseguenze per loro che non possono evitare. Anche per Boruto sarà così, e lo vedremo in futuro.

Comunque sia, per il momento non voglio dare spiegazioni sul comportamento di Boruto in questo capitolo. Sono perfettamente consapevole che con Sarada e Deku si è comportato in maniera inaspettata, e ha persino dichiarato cose che per tutta la sua vita non ha mai voluto ammettere. Ma adesso lo ha fatto. Ha capito. Ha finalmente capito qualcosa. Qualcosa che ha scoperto grazie anche a ciò che ha scoperto nei capitoli precedenti sulle conseguenze della Rivoluzione. Come vedete, niente è stato per caso.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate della svolta degli eventi, e i vostri pareri sono ciò che mi spinge a continuare a scrivrere.

Grazie mille a tutti. A presto!
 

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Capitolo 10
*** Quinta Guerra Mondiale ***


QUINTA GUERRA MONDIALE


 

 


 
AWAKE AND ALIVE
(Skillet)
 
I'm at war with the world and they
Try to pull me into the dark.
I struggle to find my faith,
As I'm slippin' from your arms.
 
It's getting harder to stay awake,
And my strength is fading fast,
You breathe into me at last.
 
I'm awake! I'm alive!
Now I know what I believe inside!
Now it's my time!
I'll do what I want 'cause this is my life!
Here, right here!
Right now, right now!
Stand my ground and never back down!
I know what I believe inside!
I'm awake and I'm alive!
 
I'm at war with the world cause I
Ain't never gonna sell my soul.
I've already made up my mind,
No matter what I can't be bought or sold.
 
When my faith is getting weak,
And I feel like giving in,
You breathe into me again.
 
I'm awake! I'm alive!
Now I know what I believe inside!
Now it's my time!
I'll do what I want 'cause this is my life!
Here, right here!
Right now, right now!
Stand my ground and never back down!
I know what I believe inside!
I'm awake and I'm alive!
 
(Waking up! Waking up!)

In the dark
I can feel you in my sleep.
In your arms I feel you breathe into me.
Forever hold this heart that I will give to you.
Forever I will live for you.
 
I'm awake! I'm alive!
Now I know what I believe inside!
Now it's my time!
I'll do what I want 'cause this is my life!
Here, right here!
Right now, right now!
Stand my ground and never back down!
I know what I believe inside!
I'm awake and I'm alive!
 
(Waking up! Waking up!)

 
Sono in guerra con il mondo e loro
Cercano di spingermi nel buio.
Io lotto per trovare la mia fede,
Mentre sto scivolando dalle tue braccia.
 
Sta diventando più difficile restare svegli,
E la mia forza si sta affievolendo velocemente,
Tu soffi infine la vita in me.
 
Sono sveglio! Sono vivo!
Ora so in che cosa credo dentro di me!
Ora è il mio momento!
Farò quel che voglio perché questa è la mia vita!
Qui, proprio qui!
Ora, proprio ora!
Starò saldo sulle mie basi e non cederò mai!
So in che cosa credo dentro di me!
Sono sveglio e sono vivo!
 
Sono in guerra con il mondo perché
Io non venderò mai la mia anima .
Ho già preso la mia decisione,
Non m’importa niente, io non verrò comprato o venduto.
 
Quando la mia fede si sta indebolendo,
E mi sento sul punto di arrendermi,
Di nuovo tu soffi la vita dentro di me.
 
Sono sveglio! Sono vivo!
Ora so in che cosa credo dentro di me!
Ora è il mio momento!
Farò quel che voglio perché questa è la mia vita!
Qui, proprio qui!
Ora, proprio ora!
Starò saldo sulle mie basi e non cederò mai!
So in che cosa credo dentro di me!
Sono sveglio e sono vivo!
 
(Svegliati! Svegliati!)

Nel buio
Riesco a sentirti nel mio sonno.
Nelle tue braccia sento il tuo respiro dentro di me.
Trattieni per sempre questo cuore che io ti darò.
io vivrò per te per sempre.
 
Sono sveglio! Sono vivo!
Ora so in che cosa credo dentro di me!
Ora è il mio momento!
Farò quel che voglio perché questa è la mia vita!
Qui, proprio qui!
Ora, proprio ora!
Starò saldo sulle mie basi e non cederò mai!
So in che cosa credo dentro di me!
Sono sveglio e sono vivo!
 
(Svegliati! Svegliati!)

 
 
 


Tempo Sconosciuto
Luogo Sconosciuto

“Non può essere…” esalò Hikari, sconvolta.

Yami scoppiò a ridere senza allegria. Il suo volto era solenne e furioso. “Lo stai iniziando a comprendere, eh? Ce n’hai messo di tempo, feccia.”

“N-Non ci credo… Tu… Tu avevi detto che lui appartiene all’Oscurità!” protestò a gran voce l’altra, il suo volto pallido e spaventato, scioccata come non mai mentre cominciava sempre più a comprendere la realtà delle cose. “Credevo che fossi stata tu a dargli il Jougan e a farlo soffrire fino ad ora!”

La Guardiana del Buio sorrise, snudando i denti. Il suo era un sorriso privo di emozione. “Credevi davvero che possedessi un potere simile?” ribatté subito, sarcastica. “Sai bene quanto me che il Jougan è un occhio che trascende i poteri divini. Solo coloro che possiedono quell’anima possono risvegliarlo.”

“Ma… Ma allora perché?” domandò ancora Hikari, sempre più agitata. “Perché hai accolto quel figlio nell’Oscurità? Perché lo hai reso un Campione, facendogli credere che la sua Guardiana fossi tu?”

“Per nasconderlo e fare in modo che quella donna non riuscisse a trovarlo,” rispose ferocemente l’altra, incrociando le braccia con solennità e inflessibile determinazione. “Ma la realtà, mia odiosa e ripugnante sorella, è che lui non è mai appartenuto a me. Né in passato, né adesso.”

Hikari trattenne il fiato. La sua voce divenne piena di rimorso e terrore. “Oh cielo… che cosa ho fatto…”

Yami emise un sorriso nervoso. “Esatto, sorella. Boruto Uzumaki… lui appartiene…”

“…alla Morte.” 
 


.

.

.
 


ASSALTO AL SUMMIT MONDIALE

PRIMA FASE

 
01 Ottobre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Cortile della Fortezza
21:30

Caos.

Non esisteva altro modo per descrivere l’orrore che si stava svolgendo in quel momento.

E dentro di sé, in qualche modo misterioso, Uraraka lo sapeva. Sapeva, con una terribile e sconcertante chiarezza cristallina, che non sarebbe mai più stata in grado di dimenticare quella scena che i suoi occhi stavano osservando.

Il corpo del Kazekage… un mero ammasso di budella spappolate e sanguinolenti… schizzava ora all’aria dinanzi agli occhi del mondo…

…solamente per poi essere inghiottito intero dalle possenti fauci della bestia azzurra.

I suoi occhi si sgranarono.

Il drago deglutì, lentamente, ingoiando la carcassa, le sue fauci macchiate grottescamente di sangue e interiora. Attorno a lui, le macerie della Fortezza da cui era sbucato stavano crollando a terra, investendo il palco e tutti i presenti con un crollo di detriti ininterrotto. Urla, imprecazioni e rantoli di panico echeggiarono nell’aria. Poi, improvvisamente, il rettile abbassò lo sguardo, puntando la testa verso l’incalcolabile folla di presenti. E Uraraka vide un paio di occhi azzurri – occhi elettrici, scattanti e crudeli come il fulmine – guizzare ferocemente per osservare tutta la calca di persone, pieni di un’indescrivibile ferocia e malizia. La folla, ancora sconvolta e scioccata come non mai, rimase incapace di muoversi per lo stupore.

Passò solo un secondo di silenzio assoluto.

Poi, infine, con un raccapricciante e possente ruggito simile al tuono, il drago si mosse.

RRRRWWWWAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARRRRR!!!!

L’aria vibrò. La pietra si spaccò. La terra tremò. Il mondo gridò.

Uraraka iniziò ad urlare.

I suoi occhi si serrarono per il terrore, mentre si tappava le orecchie con entrambe le mani. Ma anche così, il fragoroso boato delle esplosioni e dei crolli lo udì forte e chiaro. Così come sentì il tremore incessante della terra, le urla fragorose dei civili, il terrore della folla, e l’imponente boato delle grida di terrore che inondò immediatamente l’aria. Urla di orrore. Ruggiti di paura. Imprecazioni d’incredulità. Un’assordante e indescrivibile miscuglio di frastuoni raccapriccianti che assordò ogni cosa, rimbombandole nella testa per un tempo infinito. Ma lei rimase ferma, accovacciata per terra in mezzo agli spalti, con gli occhi chiusi e le orecchie tappate… e le labbra aperte in un silenzioso grido di terrore e disperazione.

Non seppe dire con certezza quanto tempo passò in quelle condizioni. Il suono assordante delle urla e dei boati raccapriccianti attorno a lei non accennava a diminuire. Eppure, quasi per miracolo, fu solo quando sentì una mano afferrarla con forza per il braccio che la sua mente si riscosse improvvisamente.

E in mezzo a quel frastuono rimbombante, le sembrava di udire una voce in lontananza.

I suoi occhi si aprirono di nuovo.

…la morte li accolse. C’era solo morte attorno a lei. Macerie, detriti, polvere e fumo si ergevano dinanzi alla sua vista. Le panchine, gli spalti, i bancali delle prima file, e tutto ciò che riempiva il cortile del castello fino a poco fa… era stato distrutto. Devastato. Rovinato. Ricoperto da un ammasso interminabile di frammenti di roccia e pietra, da una folla incalcolabile di persone terrorizzate e in fuga per la loro vita... e da innumerevoli cadaveri schiacciati e ridotti a brandelli.

La bambina emise un grido di terrore. “No… Noooo!”

“URARAKA!”

Si voltò di scatto. Trunks era accanto a lei, pallido e tremante, e le stava reggendo freneticamente un braccio mentre la osservava con un’espressione di spavento e incredulità. “DOBBIAMO ANDARE VIA DA QUI!” stava urlando a gran voce.

Ma Uraraka non lo sentì. Il suo sguardo e la sua attenzione erano catturati da ciò che si trovava immediatamente alla sua destra. La bambina lo osservò con gli occhi sbarrati. Un grosso e possente macigno di roccia – un pezzo della parete esplosa dietro al palco – era precipitato accanto a lei, sfondando gli spalti su cui stava seduta. E sotto a quella maceria fumante, due paia di gambe spuntavano fuori in mezzo una copiosa pozza di sangue. Il masso aveva colpito una giovane coppia seduta accanto a lei, sfracellandoli come formiche. Era letteralmente piovuto loro addosso. Li aveva uccisi. Li aveva sfracellati. A soli due metri dal punto in cui si trovava lei.

Quel masso… l’aveva quasi uccisa.

La sua pelle sbiancò.

“AAAAAHHHHH!”

“URARAKA!” Trunks la strattonò con più forza, visibilmente scosso e traumatizzato a sua volta. “ANDIAMO!”

Quasi per miracolo, la bambina smise di urlare e obbedì, rimettendosi faticosamente in piedi. E fece appena in tempo a voltarsi… quando vide un immenso muro in movimento avanzare verso di loro. Un muro… fatto interamente di persone. Volti spaventati. Volti terrorizzati. Volti pieni di panico e orrore in maniera indicibile. Un’incalcolabile massa di civili e persone terrorizzate che stavano correndo all’impazzata. Per fuggire. Per mettersi in salvo. Per scappare dal centro del caos che era esploso improvvisamente. E appena li vide, i suoi occhi già di per sé sgranati le uscirono adesso fuori dalle orbite.

Quella folla terrorizzata di persone… stava correndo verso l’unica via di uscita rimasta nel cortile.

Stava correndo verso di loro.

E di questo passo… a giudicare da quanto stavano correndo… a giudicare da quanto fossero estremamente terrorizzati… li avrebbe indubbiamente calpestati vivi pur di riuscire a scappare.

Il terreno sotto ai suoi piedi prese a tremare prepotentemente.

E la bambina sentì le sue gambe cedere di colpo per la paura.

Non riuscì a muoversi, ma per fortuna non ne ebbe bisogno. Trunks la strattonò di peso col suo corpo e si gettò assieme a lei dietro al macigno crollato sugli spalti, mettendo lei e sé stesso al riparo dalla calca impenetrabile di civili in fuga diretta nella loro direzione. La abbracciò forte, stringendola a sé, appena prima che un’incalcolabile folla di persone prese a investire ogni cosa attorno a loro, scattando a correre disperatamente verso l’uscita. Uomini, donne, civili e Shinobi. Tutti quanti correvano, scappavano, urlavano per il terrore, sbucando dei lati e dalla cima del masso, strattonandosi e spingendosi, pestandosi per superarsi, e addirittura buttando a terra alcuni di loro pur di continuare a correre all’impazzata verso la salvezza.

Tutt’intorno a loro due.

Uraraka e Trunks si rannicchiarono per l’orrore.

“Ah… Aaahhh…”

E in mezzo alle urla e al vociare fragoroso dei fuggitivi, in mezzo al boato del suolo che tremava come se ci fosse un terremoto, in mezzo al fragore delle esplosioni e dei crolli… il terribile ringhio raccapricciante della bestia continuava a riecheggiare nell’aria. Un ringhio gutturale, basso e roco. Un ringhio feroce e crudele, di quelli che le sue orecchie non avevano mai sentito prima d’ora.

E in mezzo a tutto quello, il suo cuore cedette all’improvviso.

Quel ringhio famelico e ferale fu l’ultima cosa che Uraraka sentì prima che qualcosa la colpisse prepotentemente sulla nuca, facendole perdere i sensi all’improvviso.
 


Hinata aveva visto molte cose nella sua vita.

Ma questa… questa era una scena che mai prima d’ora si era immaginata di vedere. Nemmeno nei suoi più profondi incubi.

Vento, fulmini e acqua riuniti assieme. Uniti in una sola e raccapricciante creatura.

Una Tempesta.

Una Tempesta che aveva preso vita.

Le urla di panico e orrore di sua figlia e sua sorella non bastarono a riscuoterla dal terrore viscerale che la investì alla visione di quel possente e mostruoso rettile dinanzi a lei. Lo osservò, con gli occhi e la bocca sgranati, incapace di muoversi e reagire lucidamente, mentre esso si lanciava ferocemente in avanti, verso le prime file di bancali, con le fauci aperte, i denti snudati e la gola scossa da un ruggito raccapricciante e feroce. La terra venne squassata e tremò sotto ai colpi delle sue zampe, e l’aria stessa venne guastata da un odore elettrico e freddo e pungente. Lei lo vide, con un senso di spavento e orrore incommensurabili, mentre si scagliava come una belva inferocita addosso a coloro che stavano seduti nelle prime file, distruggendo completamente il palco con il suo corpo e facendo esplodere ogni cosa al suo passaggio. La roccia si spaccò, cadaveri schizzarono all’aria, e il cemento si crepò. Là, dove suo marito e tutti i principali Kage, Daimyo e nobili del mondo erano riuniti assieme.

L’aria dentro ai suoi polmoni scomparve e il mondo rallentò.

Naruto era balzato all’azione un istante dopo. Con un urlo rabbioso e pieno di dolore, aveva evocato una possente barriera di chakra fiammeggiante addosso a sé stesso e tutti coloro che si trovavano al suo fianco. La barriera, colpita dalla furia dell’assalto del rettile, resistette all’attacco con un boato immenso che squassò cielo e terra come un’esplosione invisibile. Il rettile ruggì, adirato, graffiando e azzannando ferocemente l’ammasso di chakra fiammeggiante che gli impediva di raggiungere le sue vittime, invano. Eppure, quella visione e la consapevolezza che suo marito e gli altri stavano bene non bastò minimamente a rassicurare la Hyuuga. Nemmeno un istante dopo, infatti, accadde qualcosa.

La bestia eterea reagì, spostando la sua attenzione verso il resto delle file. Con una sola contrazione del suo lungo e sinuoso corpo, frustò prepotentemente il centro della folla, flagellando e colpendo con una furia indicibile tutto ciò che si trovava in quel punto. Persone, bancali, terra, cemento… tutto esplose letteralmente all’aria con un boato, mentre la terra tremava e si scuoteva come se ci fosse un terremoto. La roccia si frantumò. Il cemento si piegò. Il sangue schizzò. E vedendo l’incalcolabile numero di persone che schizzarono all’aria o che rimasero spappolate in meno di un batter d’occhio, Hinata trattenne il fiato e comprese la realtà delle cose. Le prime file erano state un diversivo. Il vero obiettivo della bestia era uccidere tutti i presenti.

Dal primo all’ultimo.

I civili attorno a lei urlarono e presero a darsela a gambe all’impazzata. Hinata invece si riscosse, afferrando sua figlia e balzando lontano da lì con un possente salto verso destra. Accanto a lei, Hanabi e qualche altro Shinobi nascosto nella calca fecero lo stesso. E fecero appena in tempo, anche. Due secondi dopo infatti, il rettile esalò dalle fauci un possente mare infernale di fiamme azzurre che investì ogni cosa nel centro del cortile, esattamente nel punto in cui si trovavano loro fino ad un istante prima, bruciando e polverizzando un numero incalcolabile di persone in meno di un battito di ciglia. Uomini, donne, Shinobi e civili s’infiammarono e presero fuoco, spegnendosi indistintamente. Vicino a ciò che restava del palco, il maxischermo che mandava in onda ogni cosa crollò a terra con un tonfo.

Hinata sentì l’orrore dentro al suo cuore crescere a dismisura. Atterrò pesantemente dinanzi ai resti in frantumi del palco, scioccata e incredula, imitata da sua figlia e sua sorella. In meno di un batter d’occhio, suo marito, Shikamaru, Temari, la Mizukage e molti altri dei nobili erano apparsi a loro volta accanto a lei.

“Che cosa cazzo è quello?!” urlò freneticamente il Takikage, sconvolto oltre ogni dire. Reggeva tra le braccia il corpo tremante del Daimyo della Roccia.

“È… È un mostro infernale!” gridò a squarciagola l’Hoshikage, terrorizzato a morte. Tremava come una foglia e aveva in volto un’espressione di shock e orrore puro, mentre osservava quel mostruoso rettile blu intento a sferrare zampate e colpi di coda addosso a tutto ciò che si trovava dinanzi. Orde incalcolabili di ANBU e Ninja di ogni tipo stavano attaccando quel drago da ogni lato, assaltandolo con kunai esplosivi, soffi di fuoco e fiamme, e Jutsu di ogni tipo, ma invano. Ogni attacco non lo scalfiva nemmeno, e innumerevoli vite finivano inevitabilmente polverizzate come niente dai suoi attacchi bestiali. La belva eterea azzannava, schiacciava, sferzava e sputava fiammate a raffica addosso a chiunque le si piazzasse davanti. Le sue ali, simili a quelle di un pipistrello, generavano immensi turbini di vento ad ogni loro battito, mandando all’aria ogni Shinobi e dissolvendo ogni attacco. Stava letteralmente sfondando e distruggendo qualsiasi persona o cosa che incontrava dinanzi a sé. Il suo ruggito raccapricciante echeggiò nell’aria come un rombo di tuono.

“S-Siamo fottuti!” gemette freneticamente Ikkyū Madoka, il Daimyo del Paese del Fuoco. “È un drago! Un vero drago! È la nostra fine!”

“Da dove è sbucato? Com’è comparso così all’improvviso?” ansimò il Sesto Hokage, il suo volto mascherato per una volta sconvolto e incredulo come non mai.

Nessuno ebbe il tempo di rispondere. La possente testa zannuta del drago guizzò verso di loro, il suo movimento veloce come quello di un vero rettile, ignorando le esplosioni e gli attacchi che squassavano inutilmente il suo corpo serpentino. Hinata trasalì e sentì un brivido percorrerle la schiena non appena vide quegli occhi sottili ed elettrici puntarsi su di loro, feroci e pieni di ira bestiale. Ringhiando sommessamente, la creatura snudò i denti e aprì le fauci, riversando loro addosso un fiume liquido di fuoco azzurro e ustionante.

Hinata gridò di terrore. Naruto s’infuriò come non mai. “KURAMAAA!” urlò, squassando l’aria.

La gigantesca testa del Kyuubi guizzò inaspettatamente alla vita dal terreno sotto ai loro piedi con un ruggito ferale. Hinata osservò, sconvolta, mentre essa prendeva ad avvolgere dentro di sé lei e tutti gli altri, coprendoli col suo chakra giallo e luminoso. La fiammata azzurra investì la testa della Volpe come un fiume in piena, senza però riuscire a ferire le persone al suo interno. La donna strinse i denti e si coprì il volto con le braccia, sentendo la sua pelle iniziare ad ustionarsi per il calore delle fiamme che li avvolgevano. Accanto a lei, Hinata sentì Himawari urlare per lo stupore.

“D-Dev’essere una Tecnica di qualche tipo!” sibilò Shikamaru a denti stretti, la sua voce a malapena udibile in mezzo al boato fragoroso del fuoco. Era inginocchiato e intento a proteggere col proprio corpo sua moglie, schermandola dalle fiamme attorno a loro.

“I Kara!” urlò improvvisamente Himawari. “Dove sono i Kara?!”

Hinata trattenne il fiato, attivando istantaneamente i suoi occhi ed ignorando i lampi accecanti delle fiamme che le ferivano la vista. Fece guizzare lo sguardo a destra, imitata da tutti, verso i resti più esterni del palco, sentendo il suo cuore pulsare freneticamente per la paura e il terrore.

Quello che vide… non le piacque per niente.

I dieci Kara erano ancora lì, incatenati accanto alle macerie più esterne del palco, ma le guardie alle loro spalle no. Erano riverse a terra, giacenti in una pozza di sangue. E al loro posto, due persone – una donna cerulea e un vecchio vestito da monaco – stavano freneticamente tentando di liberarli colpendo con kunai e katane le catene che li legavano. Inoltre, cinque dei Kage presenti – che erano stati miracolosamente risparmiati dall’attacco del mostro – si stavano dirigendo ad ampi balzi verso i prigionieri legati per terra, avvicinandosi sempre più.

Hinata sgranò gli occhi. Erano i Kage alleati con la Rivoluzione. “Stanno tentando di liberarli!” esclamò con orrore.

“Dannazione!” Mei Terumi imprecò, unendo le mani in un sigillo e facendo un grosso respiro. Esalò un possente muro d’acqua cristallina che andò a scontrarsi con le fiamme del mostro, dissolvendole in una nebbia fumogena bianca, liberandoli dal calore e permettendo a tutti di muoversi ancora una volta.

Naruto fu il primo a reagire. “Dobbiamo fermarli!” Unì assieme le mani, preparandosi ad attaccare, ma non fece in tempo. Il possente drago etereo apparve dinanzi a lui come una saetta, serpeggiando nell’aria, fissandolo con una furia immensa mentre sibilava minacciosamente. L’Hokage ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi e trasalire prima di essere investito da un colpo di coda che lo centrò in pieno, talmente veloce da essere simile ad un colpo di frusta. Hinata e Himawari osservarono, sconvolte, mentre il Settimo veniva prepotentemente scagliato addosso ad una delle pareti laterali della Fortezza, sfondandola completamente con un boato e scomparendo in un ammasso di detriti. Attorno a loro, la testa eterea del Kyuubi si dissolse come fumo non appena perse la presenza del suo artefice.

“Cazzo!” imprecò Shikamaru, unendo le mani nel Sigillo del Ratto. “Kagemane non Jutsu!” (Tecnica del Controllo dell’Ombra). L’oscura ombra del Nara guizzò alla vita con un sibilo sinistro, serpeggiando in avanti e scattando verso quella che il corpo in volo del drago proiettava sul terreno. Non appena la raggiunse, assumendone il controllo, la possente bestia zannuta s’impietrì di botto, riscoprendosi incapace di muoversi. Hinata si riscosse di colpo, illuminata da un’idea. “Himawari! Kakashi!”

Entrambi erano già partiti alla carica ancora prima che lei parlasse. Con un possente salto, Hinata li vide caricare in alto le braccia in maniera simmetrica, ognuno intento a infondere la propria energia in una Tecnica micidiale e potente mentre scattavano addosso al mostro immobilizzato. Alle sue spalle, invece, Temari aveva tirato fuori dal nulla un grosso ventaglio da battaglia e si era messa a difesa dei Daimyo e dei Kage ancora terrorizzati, accingendosi ad evocare una barriera di vento.

Shikamaru strinse i denti, lottando disperatamente per mantenere attiva la tecnica. “Svelti!”

Kakashi puntò la sua mano in avanti. “RAITON: Shiden!” (Fulmine Viola)

Himawari caricò in alto la sfera rotante. “KATON: Rasengoen!” (Rasengan Esplosivo)

Le due Tecniche non centrarono mai il bersaglio. Un attimo prima che potessero investirlo, il drago si riscosse all’improvviso con un ruggito ferale e una contrazione furiosa del corpo, liberandosi prepotentemente dal Controllo dell’Ombra di Shikamaru. Poi, schiudendo le fauci con un rombo di tuono, sputò addosso ai due assalitori un rapidissimo raggio di energia luminosa grosso quanto una casa, difendendosi dagli attacchi. Hinata vide, con un’immensa sensazione di orrore, il momento esatto in cui sua figlia e il Sesto Hokage vennero inevitabilmente investiti dal raggio, incapaci di evitarlo a causa della sua velocità inaudita. Crollarono pesantemente all’indietro, usando le loro Tecniche per difendersi, ma schiantandosi comunque contro il suolo con un tonfo pesante. Si risollevarono poco dopo, visibilmente feriti e sconvolti.

Hinata represse l’opprimente angoscia che le pervadeva la testa. “Cosa diavolo è quel mostro?” esalò lentamente Kurotsuchi alla sua destra, incredula quanto lei.

Il drago ringhiò, battendo le zampe anteriori sul terreno e sferzando l’aria con la coda. Con un solo colpo delle sue enormi ali, evocò un potentissimo muro d’aria compressa che si andò a schiantare contro tutti loro, investendoli prepotentemente. Hinata, Shikamaru, i Kage e tutti gli altri vennero sbalzati all’aria, incapaci di resistere all’ondata di pressione e vento che li investì, più potente e concentrata di qualsiasi altra tempesta che avessero mai visto. Alcuni degli ANBU che si erano mossi per difenderli vennero travolti e uccisi. Lei e gli altri riuscirono invece ad atterrare dopo diverse decine di metri, illesi e terrorizzati, lottando per rimettersi in posizione e prepararsi ad una nuova raffica di attacchi.

Ma in quel momento, il suo Byakugan notò qualcosa.

Hinata trattenne prepotentemente il fiato non appena si accorse per la prima volta di un fattore sconcertante. Dentro al corpo etereo del drago, immerso nella sua consistenza liquida… si trovava una persona. Una persona… che lei aveva già visto. Ne era certa, anche se in mezzo a quella situazione caotica e sconvolgente non riusciva a ricordarsi dove. Ma non c’era modo di mentire dinanzi agli occhi degli Hyuuga. Quella statura alta, quelle forme sinuose e flessibili, quelle massicce proporzioni… era un uomo. Un giovane uomo, a dirla tutta. E anche se non riusciva a vederne il volto sotto a quel cappuccio oscuro dell’Organizzazione che stava indossando, qualcosa dentro di lei sapeva che lo aveva già incontrato. Era una certezza ferrea. Una sensazione ineluttabile. Lei lo aveva già visto da qualche parte. Conosceva quella persona.

Il suo cervello ci mise due secondi prima di realizzare la realtà delle cose.

E allora, la donna trattenne il fiato. “S-Saigo-san…” esalò senza voce, incredula e sconvolta.

Il drago ruggì, emettendo un suono raccapricciante, mentre sputava una fiammata azzurra addosso ad una trentina di ANBU mascherati che lo avevano accerchiato in quel momento, annientandoli all’istante come formiche travolte da un fiume. Allo stesso tempo, usò la sua coda per frustrare un grosso palazzo accanto a sé, facendolo crollare addosso ad un’altra orda di Shinobi delle varie Nazioni e civili indifesi prima che potessero ripararsi o fuggire. Poi, mentre faceva guizzare in avanti la testa per azzannare un Comandante della Sicurezza del Summit, Hinata notò un’altra cosa. Una cosa… che per la terza volta in quella singola serata le fece accapponare la pelle e raggelare il sangue nelle vene.

“Oh mio Dio…” esclamò freneticamente un Daimyo alle loro spalle.

Kakashi assottigliò gli occhi. Himawari serrò i pugni con così tanta forza da farli tremare. Hanabi deglutì pesantemente. Mei sbiancò come un morto.

“Abbiamo fallito…” sussurrò il Sesto Hokage.

Il loro peggiore incubo si era infine realizzato.

I traditori avevano liberato l’Organizzazione Kara.

Le orecchie della Hyuuga sentirono distintamente la feroce imprecazione che Shikamaru e Kurotsuchi sputarono al cielo accanto a lei. Tutti quanti osservarono, con un senso di incredulità e frustrazione indescrivibile a parole, mentre quelle dieci persone sporche e vestite di stracci si portavano lentamente alle spalle del rettile, affiancate dal monaco e dalla cerulea di prima. E, assieme a loro, presero posizione alla loro destra anche tutti coloro che avevano sempre sperato di poterli salvare. Coloro che, fino ad ora, erano sempre rimasti neutrali o nascosti nell’ombra: l’Amekage, l’Otokage, il Yukage, il Kusokage e anche l’Uzukage. Ma non erano soli. Altre tre persone apparvero alla loro sinistra subito dopo. Una sorridente ragazza dai capelli biondi, un minaccioso spadaccino dai denti aguzzi… e una persona che ogni singolo Shinobi della Foglia conosceva fin troppo bene: Annie Leonhardt. Erano tutti lì, riuniti infine ancora una vota dopo due lunghi anni di silenzio, separazione e sconfitta.

Gli ultimi sostenitori viventi della Rivoluzione.

Erano tornati assieme.

Il drago ruggì al cielo un urlo raccapricciante di vittoria, battendo pesantemente le zampe al suolo e facendolo tremare.

Hinata trattenne le lacrime di disperazione che minacciarono di sfuggirle dagli occhi. Per quanto fosse frustrante, per quanto facesse fatica ad ammetterlo, per quanto non riuscisse a capire come fosse potuto succedere… quello che stava osservando in quel momento era impossibile da negare. Era successo. Era veramente successo. Avevano fallito. Tutto quello che avevano fatto, tutto questo Summit, tutte le loro speranze… ogni cosa stava per essere distrutta ancora una volta. Il Summit era stato assaltato. Gaara era stato ucciso. I Kara erano stati liberati. E non c’era più niente che lei o gli altri potessero fare. Non con quel possente e mostruoso rettile che incombeva sulle loro teste. Non dinanzi al potere smisurato che stava mostrando di possedere.

La sua mente scossa venne pervasa da innumerevoli domande. Com’era possibile? Che cos’era quel drago? Era forse correlato al drago che Sarada aveva raccontato di aver visto e sconfitto su Eldia? E cosa centrava Saigo con tutto quello? Perché li stava attaccando? Perché era immerso nel corpo del mostro?

Non c’era modo di saperlo.

Ma prima che i suoi dubbi e le sue incertezze potessero affogarla del tutto, i suoi sensi sentirono esplodere qualcosa alla loro destra.

E Hinata venne di nuovo investita dal sollievo non appena vide suo marito sbucare fuori dalle macerie su cui era stato sbattuto, il suo corpo avvolto da una cappa fiammeggiante. Restava fermo e inflessibile, senza nessun danno, con nove code di fuoco e chakra che sbucavano fuori dal suo mantello, sferzando l’aria come fruste minacciose. Stava avanzando a passo lento verso di loro, furioso e imbestialito come non mai, pronto a combattere e a lottare per la Pace. Con determinazione. Come sempre. Come aveva sempre fatto. E quando suo marito la raggiunse e si mise al suo fianco, mentre lei lo fissava con le lacrime agli occhi ed un piccolo sorriso sulle labbra, la donna prese per mano l’uomo che amava e rafforzò la sua decisione.

La speranza non era finita.
 


“C-Che cosa sta succedendo?”

Quella fu l’unica cosa che Sora riuscì a sussurrare mentre Galatea e Jigen spingevano lui e tutti gli altri verso l’immenso e mostruoso rettile etereo che aveva distrutto ogni cosa nel Summit. La sua mente era ancora scossa, ancora incredula e incapace di assimilare ciò che stava succedendo. E a giudicare dagli sguardi dei suoi amici, anche Mikasa, Gray e tutti gli altri erano sconvolti quanto lui. I volti pallidi e magri erano allibiti e incapaci di capire. E nei loro occhi, la realizzazione che vedeva brillare nei loro sguardi era la stessa che stava provando dentro di sé. Erano liberi. Erano davvero liberi. Erano stati liberati dai loro amici. Galatea, Jigen, Annie, Lucy, Shizuma, i Kage… erano tutti qui. Erano riusciti a liberarli. Non riusciva a crederci. La sua mente si rifiutava di accettarlo, ancora troppo scossa dall’opprimente speranza che gli stava nascendo dentro. Una speranza che aveva troppo timore di inseguire a causa di tutto quel tempo che aveva speso in prigione, sotto tortura.

Stava davvero succedendo quello che i suoi occhi vedevano?

Kairi era in lacrime, intenta ad abbracciare sua madre mentre urlava al cielo il suo dolore e il suo sollievo. L’Uzukage la stringeva a sé, a sua volta in lacrime, il suo volto un miscuglio indescrivibile di stupore e gioia. E accanto a loro, Lucy e Shizuma stavano scuotendo Gray, Kumo e Mikasa con le braccia, come se stessero cercando di risvegliarli dall’incredulità che sembrava averli paralizzati di colpo. Shirou e Juvia fissavano Galatea e Jigen con occhi sbarrati, e persino Toneri e Mitsuki sembravano più scossi del solito. Tutti sembravano troppo increduli per riuscire a riscuotersi completamente dallo sconvolgimento.

Non che lui non potesse comprenderli. Lo stava provando sulla sua pelle in quel momento, dopotutto. Erano stati in prigione per due anni, avevano subito innumerevoli torture, erano rimasti da soli, e nelle ultime ore il Kazekage e il mondo intero li avevano derisi e rinnegati. E adesso, dopo tutto questo… stavano davvero per essere salvati in questo modo? Non era possibile. Era una trappola. Un inganno della mente. Non poteva essere vero.

Era… Era troppo bello per essere vero.

“Riprenditi, Sora.” La voce del suo maestro lo riscosse all’improvviso, facendolo trasalire fisicamente. Il moro voltò lentamente la testa verso Urahara, dimenticandosi di tutto il resto, notando fin troppo bene quanto fosse tornato più raggiante e allegro del solito. Era da anni che non lo vedeva in quel modo. Stava letteralmente saltellando come un bimbo. “Siamo stati salvati! Sembra che la fortuna non ci abbia ancora abbandonato!”

Sora ammiccò, aprendo e chiudendo le labbra diverse volte, incapace di parlare. Guardò Mikasa, e lei guardò lui. E per la prima volta nel suo volto spento brillò un’emozione inconfondibile: stupore. Ma in quel momento, Annie-sensei apparve accanto a loro e mise le mani sulle spalle dei suoi studenti. “Sembra che siate tutti interi,” disse, fissandoli entrambi con un sorriso. Si stava rivolgendo a tutti con quelle parole.

Il moro trattenne le lacrime. “S-Sensei,” esalò, quasi sul punto di piangere. “C-Che cosa… Come…?”

“Il merito è suo,” lo incalzò la donna, puntando un dito verso l’immensa figura serpentina del drago alle loro spalle, intento a tenere lontano gli avversari con fiammate, ruggiti e zampate frenetiche che squassavano il cielo e la terra. Ma in realtà stava puntando verso la figura incappucciata nascosta dentro al suo corpo. “Quel tipo… è stato lui a riunirci assieme ancora una volta e ad organizzare tutto questo. È il nuovo leader della Rivoluzione.”

“C-Che cosa?” sussurrò Juvia, allibita.

Mitsuki ammiccò. “Ma tu pensa,” disse, soffocando una risata incredula.

“Ma… chi diavolo è quello?” domandò Gray, pallido e tremante, in netto contrasto con il suo solito atteggiamento.

I Kara non si sentirono affatto più tranquilli quando videro il volto di Annie e degli altri Kage oscurarsi. “N-Non ne abbiamo idea,” ammise lentamente Haruko la Salmandra, cercando di calmarli. “Quel tipo, Saigo… non sapevamo che fosse in grado di usare una Tecnica simile. Non sappiamo nemmeno che faccia abbia, in realtà.”

Sora rimase a bocca aperta, così come tutti, e anche Mikasa sembrò riscuotersi mentre fissava quell’uomo misterioso. Ma, detto fatto, dopo due secondi la loro sorpresa aumentò a dismisura. Con un singolo balzo in alto, infatti, il tizio incappucciato uscì letteralmente fuori dal corpo etereo del drago come se fosse fatto d’acqua, atterrando con leggerezza in mezzo ai suoi alleati e ai Kara. Anche senza la sua presenza, il rettile alle sue spalle continuò a seminare morte e distruzione come prima, tenendo lontani i loro nemici senza sosta. Il moro e gli altri lo osservarono con circospezione mentre avanzava a passo lento verso di loro.

“Sembra che stiate bene,” disse quello, senza preamboli. “Bene. Il piano sta avendo successo.”

“T-TU!” esclamò Annie, il suo volto che sembrava un comico miscuglio di stupore, frustrazione ed incredulità. Sora, Urahara e gli altri rimasero scioccati quando la videro reagire così. “C-Che cosa hai – Che cos’è – Perché? Perché non ci hai detto che il piano consisteva in questo?” domandò, muovendo le braccia ad indicare l’enorme drago etereo.

Il tizio misterioso inclinò la testa di lato. “Vi avevo detto di attendere il mio segnale. Quello,” ribatté semplicemente, puntando un dito alle sue spalle. “Era il segnale. Se fosse stato qualcosa di meno grosso sarebbe passato inosservato.”

“Hai… Hai ucciso il Kazekage,” esalò Lucy, scioccata.

“E innumerevoli civili,” s’intromise anche Galatea, solenne e imperiosa. “Tu… Era questo quello che avevi in mente?”

Saigo non rispose alla domanda, restando in silenzio mentre tutti lo fissavano con apprensione. Poi però, prima che qualcuno potesse aggiungere altro, tutti quanti percepirono un’immensa esplosione di chakra alle loro spalle, nel punto in cui si trovavano ancora i nemici che il drago stava tenendo lontani. Sora, Mikasa e gli altri trasalirono fisicamente, riconoscendo all’istante il proprietario di quell’energia. Non c’era uno solo di loro che avesse dimenticato quel particolare timbro di chakra oscuro e demoniaco, nemmeno dopo tutti questi anni. Era il Settimo Hokage. Ed era incazzato come una bestia.

La cosa non prometteva niente di buono.

“E… E adesso?” domandò Toneri, impassibile. Incrociava solennemente le braccia, inarcando un sopracciglio con evidente disappunto. “Non ditemi che dovremo affrontarlo di nuovo.”

Saigo diede loro le spalle, avanzando senza esitazione verso il nemico. “A lui ci penso io,” disse.
 


Quando Shikadai riemerse dalle macerie che lo avevano travolto, la prima cosa che vide fu il volto di sua madre. Poi, apparve anche quello di suo padre. Poi, quello di Kakashi, e quello di Hinata, e quello del Settimo; e poi ancora altri. C’erano volti che non conosceva per bene. E poi, infine, apparve anche il resto del mondo. Un mondo buio, fumante e pieno di fiamme e macerie. Un mondo che sapeva di timore, orrore, e pianto. Un mondo che sapeva di morte. Il paesaggio era stato mutato. I palazzi e la Fortezza erano frantumati e rovinati, il cortile ricoperto da crateri, buchi e macerie. Cadaveri, innumerevoli cadaveri, giacevano in pozze di sangue in ogni direzione, e non si vedeva più nemmeno l’ombra di un singolo civile in mezzo a quella devastazione. Solo Shinobi che urlavano, lottavano e piangevano davanti alle fiamme e alla morte.

Era uno spettacolo diverso da quello che si aspettava di trovare.

“M-Mamma,” soffocò con voce rauca, tossendo per la polvere che gli era entrata nei polmoni, mettendosi lentamente a sedere mentre una mano lo aiutava a reggergli delicatamente la schiena. “Che sta succedendo?” Si rese solo vagamente conto del fatto che le sue gambe si rifiutavano di muoversi, anche se sembravano illese.

“Non muoverti,” gli ordinò severamente una voce. Il giovane Nara riconobbe all’istante il tono preoccupato di Himawari, intenta a infondergli del chakra naturale nel corpo. Stava alle sue spalle, cercando di curarlo. “Ti è crollato addosso il muro di un palazzo. È un miracolo che tu sia ancora vivo.” Nonostante avesse cercato di trattenerlo, un piccolo singhiozzo di sollievo sembrò sfuggire dalle labbra della sua ragazza.

Shikadai emise un rantolo, riprendendosi dai colpi di tosse che lo squassavano. Vide sua madre che lo accarezzava con dolore ed evidente preoccupazione mentre lo stringeva a sé, sussurrandogli qualcosa di dolce e confuso nelle orecchie.

Già, era decisamente uno spettacolo strano. Sua madre era una donna dura, severa; e non si lasciava mai andare a dimostrazioni d’affetto simili. “C-Che cosa è successo?” chiese appena ebbe ripreso fiato.

La sua domanda non ottenne risposta. Shikadai ammiccò, confuso dal silenzio generale, ma notò fin troppo bene le evidenti scie di lacrime che solcavano il volto contratto di sua madre mentre lo abbracciava. Il giovane sgranò gli occhi per lo stupore, incapace di comprendere che cosa fosse successo.

Fu suo padre a rispondergli. “Siamo stati attaccati,” spiegò, senza addolcire le parole. Puntò un dito verso la loro sinistra. “E quel… coso… ha distrutto il palco, il Summit e ogni cosa che si trovava nel cortile. E ha… ha anche ucciso tuo zio Gaara.”

Shikadai voltò la testa, inorridito e tremante, osservando con orrore e timore l’immensa figura serpentina di un drago etereo, grosso quanto due case messe assieme, e minaccioso come la più orrenda delle creature. Stava attaccando e annientando un’immensa orda di ANBU con soffi di fuoco azzurro che incendiavano ogni cosa, mentre alle sue spalle si trovavano una decina di persone riunite assieme: i Kage alleati con la Rivoluzione, e i Kara. Quella visione per poco non lo fece strozzare con la sua stessa saliva.

Nessuno ebbe il tempo di aggiungere altro. Il Settimo Hokage apparve, furioso e infiammato di chakra, mentre reggeva per mano sua moglie ed avanzava a passo deciso verso il drago. Dalla parte opposta, Shikadai vide un tizio incappucciato vestito con gli abiti dell’Organizzazione andargli incontro senza esitazione.

E mentre li osservava avvicinarsi tra di loro, il mondo sembrò rallentare.

Si fermarono l’uno dinanzi all’altro, divisi da circa cento metri di macerie di legno, cemento e roccia frantumata. Qua e là, i resti di cadaveri spappolati e spasimanti macchiavano il paesaggio devastato e regnato dal silenzio. Un silenzio rotto solamente dalle urla dei feriti e dal ringhio sommesso della bestia che incombeva alta nel cielo. Naruto si fece avanti, superando sua moglie, e guardò il nemico. Si fissarono a vicenda, l’un l’altro, un volto fiammeggiante e ardente di furia e dolore contro un volto nascosto e insondabile persino dal Byakugan. Passarono solo cinque secondi di silenzio, mentre tutti quanti i presenti assistevano alla scena col cuore in gola.

Fino a quando, alla fine, il Settimo Hokage lasciò la mano di sua moglie e serrò i pugni con forza.

“Tu… Tu sei quello dell’altro giorno,” disse lentamente, la sua voce bassa ma allo stesso tempo solenne e piena di risentimento. “Tu sei Saigo.”

Quello annuì. “Quello non è il mio vero nome… però sì, sono io,” ammise.

Shikadai notò che Hinata sembrò trattenere il fiato con orrore appena udì quella conferma. Naruto snudò i denti in un ringhio, il suo volto una maschera di dolore e rabbia. “Perché hai fatto una cosa del genere? Perché hai distrutto il Summit?” domandò a gran voce.

“Perché non avevo altra scelta,” rispose prontamente l’altro.

Naruto sembrò divenire ancora più oltraggiato e incredulo dopo quella risposta immediata e schietta. Accanto a lui, Shikadai sentì sua madre tremare come una foglia per la rabbia che le scorreva nelle vene. “Tu…” sussurrò Temari, rimettendosi in piedi e facendo un furioso passo in avanti. La roccia si crepò sotto al suo stivale. “Tu hai ucciso mio fratello!” ruggì a gran voce, piangendo per il dolore e la rabbia.

L’uomo voltò il suo cappuccio verso di lei. “Il Kazekage aveva un buon cuore,” disse lentamente, la sua voce bassa che però tuonava nel cortile come se fosse onnipresente. “Ma esattamente come voi… era solo un fallito. Anche se devo ammettere che ha fatto un bel lavoro nello… screditare la Rivoluzione e la sua causa con quel discorso.”

“Osi deridere Gaara dinanzi a me, vigliacco?” ringhiò pericolosamente Naruto, sempre più oltraggiato.

“Oserò questo, e molto altro ancora, Settimo Hokage,” ribatté Saigo, incurante. “Mi avete messo alle strette, e per questo dovrò ricorrere a misure drastiche, se riesce ad intendermi.”

Kakashi si portò accanto al suo allievo. “Chi sei? Che cos’è che vuoi?” domandò solennemente, la sua espressione accigliata e gelida.

Saigo ridacchiò, oscuro e sardonico. “Che cosa voglio? Beh, questa è una bella domanda, Sesto. Direi… che la vostra morte è una risposta abbastanza soddisfacente. Per il momento, almeno,” rispose, rivelandosi finalmente più malvagio e contorto di quanto non suonasse prima.

“S-Saigo-san… p-perché?” chiese Hinata a quel punto, devastata. Stava letteralmente versando lacrime dagli occhi mentre parlava. “Lei… Lei era una persona buona! Mi ha consolata quando ne avevo più bisogno… Ma allora, perché? Cos’è cambiato?”

L’uomo incappucciato rivolse lo sguardo su di lei, esitando per diversi secondi. Poi fece un sospiro. “Hinata-san,” sussurrò, scuotendo lentamente la testa. Che fosse per tristezza, disappunto o altro, nessuno poteva dirlo. “Che lei mi creda o meno, non volevo arrivare a questo. Ma nel mondo reale, purtroppo, dobbiamo fare scelte difficili. E io… io sono pronto adesso. È per questo che ho agito. Perché sono in missione.”

Shikadai sentì un brivido gelido attraversargli le membra doloranti. Attorno a lui, tutti i presenti osservavano quell’uomo con una serie di emozioni terrorizzate.

“Quale missione?” domandò Shikamaru.

Saigo il SenzaVolto li guardò con determinazione. “Pace nel nostro mondo.”

Bastarono solo quelle parole.

Con un possente urlo di rabbia e ferocia, Naruto scattò in azione, balzando in avanti con una velocità inaudita e caricando indietro un braccio per sferrare un pugno in faccia al nemico. Saigo e gli altri presenti non ebbero nemmeno il tempo di ammiccare. Un secondo prima il Kage era ancora fermo accanto a sua moglie, e quello dopo era letteralmente volato dinanzi all’uomo incappucciato, pronto a colpire e distruggerlo con un colpo solo.

Tuttavia, nel momento in cui il pugno del Settimo stava per centrare il bersaglio, accadde qualcosa.

Con un sibilo sommesso e inaspettato, un grosso e rotante vortice di energia oscura apparve dal nulla nell’aria, esattamente tra Saigo e Naruto, sconvolgendo a dismisura tutti i presenti. Poi, approfittando dello slancio che il Settimo aveva sfruttato per attaccare, il vorticoso ammasso di energia nera si allargò a dismisura, divenendo grosso e largo quanto un essere umano.

Shikadai vide il Settimo Hokage sgranare gli occhi per lo stupore.

Prima di essere completamente inghiottito dall’ammasso oscuro e vorticoso di chakra.
 


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01 Ottobre, 0021 AIT
Luna, Astro Celeste
22:10

Naruto rimase allibito e stralunato. Non fu nemmeno in grado di realizzare appieno quello che era successo fino a quando non sentì il suo corpo crollare di peso su un terreno freddo e gelido, facendolo trasalire per il dolore. Si riscosse furiosamente, rimettendosi con fatica in piedi, ed osservandosi attorno con gli occhi sgranati e spaventati.

Un paesaggio spoglio e roccioso lo circondava da ogni lato. Un terreno bianco e pieno di polvere e crateri si posava sotto ai suoi piedi. E sopra la sua testa, per quanto lontano l’occhio riuscisse a vedere, un immenso cielo oscuro si stagliava all’orizzonte, illuminato solo dal tenue bagliore di innumerevoli e piccolissime luci sottili simili a lucciole.

E in mezzo a quell’ammasso di oscurità e luci, un grosso pianeta verde e blu si ergeva dinanzi ai suoi occhi con maestosità.

Il Settimo Hokage trattenne il fiato con orrore.

‘Ohi, Naruto… questa è…’ esalò lentamente Kurama.

“No… Non può essere!”

La gelida e raccapricciante realizzazione delle cose gli tranciò la mente come un dardo folgorante.

Si voltò di scatto, ma non fece in tempo. L’unica cosa che vide fu un tremore dell’aria e una macchia oscura e vorticosa che si agitava prima di svanire nel nulla come se non fosse mai esistita.

Naruto sentì il suo cuore martellargli nel petto per l’orrore. “No! NO!”

Era caduto in trappola.

L’urlo di frustrazione che lanciò al cielo echeggiò nel silenzio dello spazio come un rombo assordante.
 


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01 Ottobre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Cortile della Fortezza
22:10

Nessuno riuscì a credere a quello che era successo.

Shikadai osservò, col cuore che gli martellava nel petto, mentre il vortice di energia nera inghiottiva in un colpo solo dapprima il braccio, e poi l’intera figura dell’Hokage prima ancora che esso potesse reagire o allontanarsi. Attorno a lui, i suoi occhi notarono che suo padre, sua madre, Hinata, Himawari e persino i Kara e tutti gli altri che sostenevano la Rivoluzione, stavano a loro volta osservando la scena con gli occhi sgranati e le bocche aperte. E così rimasero, impotenti, incapaci di reagire, mentre il Settimo scompariva completamente dentro a quel vortice oscuro, svanendo alla vista di tutti in meno di un battito di ciglia.

E poi, una volta inghiottito il suo obiettivo, come se non fosse mai stato lì, il vortice oscuro si rimpicciolì e si dissolse nel nulla come se non fosse mai esistito. E con esso, ogni speranza di rivedere Naruto scomparve a sua volta nei cuori di tutti i presenti.

Tutto questo in meno di due secondi.

Shikadai sentì la sua mente riempirsi di orrore e sgomento in maniera esagerata. Assieme a lui, anche i Kage e tutti – letteralmente tutti – i presenti sembrarono essere rimasti sconvolti come non mai. “Cazzo!” imprecò a gran voce uno dei nobili attorno a lui. Doveva essere Mifune, in base agli abiti da Samurai che indossava. “Che cosa è appena successo?”

“Un Ninjutsu spazio-temporale,” dedusse Kakashi a bassa voce, assottigliando gli occhi con timore. “Quel tipo sa usare Tecniche collegate alle dimensioni esterne!”

Mei Terumi sbiancò appena comprese cosa significavano quelle parole. “M-Ma allora… l’Hokage è finito in un’altra dimensione?!” esalò con voce tremante.

Hinata, Himawari e Hanabi s’impietrirono come statue, e Shikadai lo notò fin troppo bene. Sentì un rivolo di sudore colargli lungo il mento per il nervosismo. Quella… Quella non era affatto una buona notizia. Se l’Hokage era davvero finito in un’altra dimensione, allora non avrebbe potuto fare ritorno da loro. E senza di lui… come avrebbero fatto tutti loro a combattere contro quel Saigo? Shikadai era ferito, e anche se si era appena risvegliato, la devastazione che lo circondava gli aveva ben fatto comprendere quanto fosse pericoloso quell’uomo. Avrebbero davvero potuto sconfiggerlo senza il Settimo ed il potere del Kyuubi dalla loro parte?

Una parte di lui era certa di non volerlo scoprire.

“C-Che cosa gli hai fatto?” urlò Hinata, stravolta dal panico.

Incurante del loro terrore, Saigo sospirò e incrociò le braccia con disappunto. “Beh, questo è stato deludente,” ammise a bassa voce. “Immagino che gli attacchi a sorpresa siano davvero l’unico punto debole dell’Hokage. Comunque sia, buono a sapersi.” Tornò allora a focalizzare lo sguardo sugli altri presenti.

Adesso tocca a voi.

Shikadai sentì ogni singola fibra del suo corpo iniziare a tremare per la rabbia, ma Himawari lo trattenne prima che potesse fare qualcosa di azzardato. Poi, un urlo di furia e agonia echeggiò nell’aria come un tuono. Tutti sollevarono la testa per osservare una figura che stava piovendo del cielo come una saetta, precipitando ad una velocità immensa verso il tizio incappucciato al centro del cortile distrutto.

Shinki puntò una mano in basso, sabbia nera e ferrifera che si agitava furiosamente attorno al suo corpo e tra le sue dita. “MUORI!” urlò a gran voce.

“Shinki! No!” il giovane Nara sentì esclamare impotentemente suo padre.

L’uomo incappucciato non si mosse nemmeno di un millimetro. Non alzò neanche la testa. Semplicemente sollevò una mano in alto, e una scarica elettrica di dimensioni immense guizzò alla vita dal suo palmo aperto, investendo in pieno il corpo in caduta di Shinki prima ancora che potesse reagire. Il figlio adottivo di Gaara emise un urlo sanguinolento di dolore, contorcendosi e spasimando per il dolore mentre la sabbia ferrifera tentava inutilmente di difenderlo dalla corrente che gli pervadeva il corpo. Ma il ferro era un conduttore di sua natura, e il risultato era scarso.

Poi, appena stava per crollare pesantemente a terra, Saigo afferrò per la gola il corpo in caduta del giovane, sollevandolo e soffocandolo con una presa micidiale.

Shikadai vide il suo amico spasimare impotentemente sotto alla sua presa. I suoi occhi si sgranarono per l’orrore. “Shinki!” urlò Temari, sconvolta.

L’angoscia si fece prepotentemente largo nei cuori di tutti come una marea immensa. Nessuno fu in grado di agire in quella situazione critica. Se si fossero mossi, quell’uomo avrebbe potuto spezzare il collo di Shinki. Shikadai sentì le lacrime colargli dagli occhi mentre osservava impotentemente il giovane spasimante, mentre Saigo lo investiva con una seconda scarica elettrica per impedirgli di ribellarsi. La sabbia ferrifera che avvolgeva il ragazzo come un mantello crollò a terra dopo essere stata colpita, perdendo ogni effetto di attacco e difesa.

“Un tentativo ammirevole, ma inutile,” disse gelidamente Saigo, osservando pigramente il volto di Shinki mentre si contorceva e spasimava pateticamente sotto alla sua presa.

“Non farlo! Ti prego!” urlò Temari, allungando una mano con disperazione e facendo un solo passo in avanti.

Per tutta risposta, Saigo sollevò l’altra mano e fece schioccare le dita. Shikadai, Hinata e gli altri presenti s’impietrirono, ma l’unica cosa che sentirono fu un sibilo meccanico alla loro destra. Voltandosi, videro che il grosso maxischermo che era crollato dal palco stava riprendendo a funzionare, mostrando in diretta la scena in cui si trovavano tutti i presenti. Videro sullo schermo spaccato ogni cosa: Saigo, il drago, i Kara e la Rivoluzione, e anche loro stessi mentre una telecamera nascosta li riprendeva da qualche parte, rimasta miracolosamente illesa. Ogni cosa che stava accadendo tra di loro veniva ripresa e mandata in onda in qualche modo, senza tralasciare niente. Le loro menti vennero pervase dal dubbio.

“Che cosa ha intenzione di fare?” esclamò mentalmente Shikadai.

“Cosa? Voi avete deriso la Rivoluzione davanti a tutto il mondo, e io non posso fare lo stesso?” domandò ironicamente l’uomo incappucciato, come se gli avesse letto nel pensiero. Udendo ciò, Shikamaru e Kakashi impallidirono. Poi si rivolse a gran voce a tutte le persone che potevano essere ancora collegate, prendendo a parlare mentre continuava a reggere il collo di Shinki. “Buonasera, signore e signori. Vi chiedo scusa per la brusca interruzione di prima, ma come vedete ho avuto delle cose da sistemare.”

Shikadai sentì la sua mente sbiancare del tutto. Accanto a lui, il Sesto Hokage fece un passo in avanti. “Che cosa hai intenzione di fare?” domandò con rabbia.

Saigo lo ignorò. “Prima di iniziare devo però farvi un avvertimento,” continuò a dire alle persone collegate, solenne e serio. “Quello che vedrete stasera non sarà uno spettacolo piacevole. Ma immagino che tutti voi siate preparati. In fondo, siete qui perché volevate vedere un’esecuzione, non è vero?”

Quelle parole fecero raggelare il sangue a tutti.

Shikadai trasalì e aprì la bocca, incapace di parlare. Accanto a lui, Kakashi, Temari, Shimakaru e Hinata ebbero solo il tempo di puntare in avanti le mani prima che accadesse l’inevitabile.

Uno schiocco secco risuonò nell’aria con forza. Con una semplice contrazione delle dita, il corpo spasimante di Shinki si arrestò di colpo, e le sue braccia e gambe iniziarono a penzolare come pesi morti.

Temari crollò in ginocchio, versando fiumi di lacrime. “NOOOOO!” gridò, piangendo e piegandosi per il dolore. Suo marito l’afferrò subito tra le braccia, cercando inutilmente di calmarla mentre fissava quell’uomo con uno sguardo talmente rabbioso da far accapponare la pelle. Piccole lacrime luccicanti stavano nascendo nei suoi occhi.

Saigo fissò il mondo con furia. “Eccovi accontentati,” disse gelidamente, gettando per terra il cadavere privo di vita senza il minimo contegno. Posò lo sguardo sulle persone dinanzi a lui.

“SEI UN MOSTRO!” urlò a squarciagola Hanabi, le sue mani serrate in pugni che tremavano per la rabbia. “LA PAGHERAI PER QUELLO CHE HAI FATTO!”

Per tutta risposta, il gigantesco drago alle spalle dell’uomo ringhiò ferocemente, zittendoli all’istante. La sola vista delle sue zanne e dei suoi occhi fosforescenti e bestiali li fece ammutolire, e Shikadai non poté fare altro che digrignare furiosamente i denti mentre piangeva in silenzio. Non sentì nemmeno la mano della sua ragazza che gli stringeva freneticamente una spalla per farlo stare fermo.

“Suppongo che abbiate ragione,” ammise Saigo, la sua voce fredda e crudele. “Un mostro… è così che mi avete definito prima. Dunque, vi mostrerò quello che un mostro è capace di fare.”

Hinata emise un rantolo di disperazione, ma Kakashi le afferrò una spalla prima che potesse parlare. Il Sesto Hokage decise di prendere in mano le redini della situazione e si portò davanti a tutti. “Chiunque tu sia, non puoi pensare di riuscire a farla franca dopo tutto questo,” disse con fermezza. Il suo volto mascherato ardeva di gelida e fredda severità. “Sarai anche riuscito a liberare quei criminali, ma il mondo vi darà la caccia per sempre. Anche ammesso che riusciste a fuggire vivi da qui, la vostra causa è persa. Avete fallito. La Rivoluzione non ha futuro.”

Saigo abbassò la testa, sospirando. “È vero,” ammise a bassa voce, sorprendendo tutti con quella dichiarazione. I Kara e tutti quelli che si trovavano alle sue spalle lo fissarono con delle espressioni scioccate e confuse. “Abbiamo fallito. Ma non è ancora la fine per noi. A differenza vostra, possiamo ancora rimediare.”

“Piantala di sputare sentenze a caso,” disse all’improvviso Mei Terumi. La Mizukage si affiancò a Kakashi, mettendo le mani sui fianchi e sorridendo con feroce certezza. “Sei solo un folle e un terrorista che non ha il coraggio di mostrare la sua faccia. Nessuno darebbe retta ad uno come te.”

“Infatti. Mostraci chi sei, codardo, e forse ti conceremo una fine meno indegna di quella che meriti,” sputò saccentemente Kurotsuchi, la Tsuchikage.

Quello ridacchiò di gusto dopo quelle parole, un suono oscuro e crudele che sembrava stranamente sadico alle orecchie di Shikadai. “Immagino che abbiate un minimo di ragione. Tutto quello che dirò non avrà mai realmente senso senza che io riveli chi sono realmente, vero? Va bene allora, vi accontenterò. Ma sappiate… che qualcuno di voi potrebbe rimpiangere amaramente questa scelta,” disse solennemente.

Shikadai assottigliò gli occhi. Che cosa stava dicendo quel tipo? Che volevano dire le sue parole?

Ma non c’era tempo per riflettere. Il suo cuore iniziò a fremere per l’ansia mentre osservava quell’uomo muovere una mano verso il suo cappuccio. Così come quello di Hinata, e quello di Himawari, Kakashi e di tutti i presenti. Persino i Kara, i loro seguaci e i Kage affiliati con la Rivoluzione sembravano osservarlo con un’attenzione più intensa del solito. E il giovane Nara sapeva, con una certezza dovuta alla sua esperienza, che anche tutto il mondo che stava assistendo in diretta alla scena stava trattenendo il fiato con timore. Perché, anche se nessuno voleva ammetterlo, quell’uomo era appena diventato il criminale più importante del pianeta a causa delle sue azioni. Quello che aveva fatto, distruggendo il Summit mondiale e liberando i Kara in soli venti minuti, era stato un affronto nei confronti del mondo intero. Un affronto che la storia non avrebbe mai più dimenticato, visto che era in diretta mondiale.

E ora, ora tutti lo avrebbero finalmente visto in faccia.

Eppure, dopo appena due secondi, Shikadai comprese una cosa. Una verità. Una realtà orrenda, crudele e implacabile che probabilmente lo avrebbe perseguitato per il resto della sua vita.

Le parole di quell’uomo si sarebbero rivelate vere.

Perché non appena quel cappuccio venne tolto… le cose degenerarono immediatamente.

Non appena i suoi occhi e gli occhi del mondo ebbero modo di vedere quei capelli dorati… non appena il suo sguardo vide e riconobbe quel coprifronte sfregiato, a sua volta accompagnato da quegli occhi freddi ed eterocromi che adornavano quel familiare volto serio e sfigurato… il più grande e opprimente terrore viscerale di sempre pervase il cuore del giovane ragazzo. Più grande della rabbia che sentiva. Più immenso del dolore che provava per la morte di suo zio e Shinki. E più sconvolgente di qualsiasi altra emozione che avesse mai provato prima di quel giorno. Era opprimente, agonizzante, totale. Non si poteva sfuggire alla crudele realtà delle cose.

Eppure, Shikadai pregò ardentemente che quello che stava vedendo non fosse vero.

Non poteva essere vero.

Non voleva crederci.

“No…” la voce di Himawari la udì, stavolta, con sconcertante chiarezza. Così come udì il dolore, la devastazione e l’orrore immenso che grondavano nel suo tono. Così come vide e percepì senza guardare lo sconvolgimento del Sesto Hokage, il dolore di Hinata-sama, e il terrore dei Kage e degli altri presenti non appena quel viso venne rivelato.

Shikadai sgranò gli occhi.

I presenti rimasero impietriti.

Ed il mondo… il mondo trattenne il fiato.

Perché… per quanto sembrasse assurdo e impensabile, era successo l’impossibile. Il più grande terrore nei loro cuori si era avverato. Lui… Lui era tornato. Dopo tutto questo tempo di assenza, dopo essere stato considerato morto per due lunghi e difficilissimi anni… lui era ritornato.

Boruto Uzumaki era vivo.

Ed era incazzato come una bestia.
 



Boruto osservò i volti sbigottiti dei suoi nemici con uno sguardo indecifrabile. I suoi occhi eterocromi brillavano di ardente furia e ferocia, e per quanto sembrasse impossibile, persino il suo cuore sembrava esplodere di una rabbia talmente immensa da essere incontenibile. Anche senza focalizzarsi sul suo Jougan, riusciva chiaramente a percepire lo sbalordimento e lo shock dei suoi amici alle sue spalle, e se ne compiacque mentalmente. Aveva fatto bene a tenere celata la sua identità fino ad ora. Il piano era riuscito grazie a questo. Se si fosse rivelato prima, le voci avrebbero iniziato a girare. Non avrebbe mai potuto compiere ciò che aveva compiuto in quel caso.

Ma adesso, adesso il mondo lo stava vedendo di nuovo.

Era tornato.

Era vivo.

Era incazzato.

E stavolta, a differenza del passato, avrebbe fatto ciò che andava fatto.

Questa era una promessa.

“Sembrate afflitti,” disse, rompendo finalmente il silenzio di ghiaccio che aleggiava nell’aria. Vedere quei volti pallidi e sgomenti per l’orrore e lo stupore non aveva prezzo. “Non sono mica un fantasma.”

“N-Non può essere,” esalò Kakashi, senza fiato. Quel volto solitamente serio e indifferente era adesso guastato dal terrore. Le sue braccia stavano letteralmente tremando. “T-Tu… Tu non… dovresti essere-”

“-morto?” lo incalzò il biondo, inarcando lentamente un sopracciglio. Un sospiro stanco gli sfuggì dalle labbra. “Davvero, sparisco per due anni e guarda che succede: il mondo si è già scordato quello che è successo. Non ve l’avevo forse detto? Vi siete dimenticati le mie parole? Io non morirò mai. Non posso morire. Non fino a quando tutti voi sarete stati annientati. Che cavolo però, credevo di essere stato piuttosto chiaro durante il mio ultimo scontro con il Settimo Hokage,” disse, fingendosi deluso.

Quelli lo osservarono con delle espressioni talmente sbigottite e sconvolte da farlo quasi ridere. Non si vedeva spesso il famoso Kakashi Hatake così terrorizzato. E persino l’arrogante e intrepida Kurotsuchi aveva cominciato a sudare freddo, facendo un passo indietro. Ma sua madre e sua sorella, soprattutto, sembravano dei pesci sbattuti fuori dall’acqua. Il modo in cui boccheggiavano freneticamente era patetico. Il Nukenin dovette persino resistere all’impulso di voltarsi per vedere quanto quelle espressioni non fossero simili a quelle dei suoi amici e alleati. Il suo Jougan percepì chiaramente l’immensa ondata di sollievo e gioia emanata da Mikasa, così come lo stupore generale di Sora, Urahara e tutti gli altri dietro di lui. Anche senza voltarsi, sapeva che i suoi amici stavano piangendo. Ma non c’era tempo per le riunioni di famiglia. Non era ancora il momento.

Vedendo che nessuno si decideva a parlare, sospirò di nuovo. “Immagino di dovervi delle spiegazioni,” disse lentamente, rivolgendosi anche a tutti coloro che lo stavano ascoltando e vedendo in diretta. “Ma non sono qui per questo. Oggi, signore e signori, sono tornato da voi perché il mondo sta crollando a pezzi. Ed è ora che qualcuno faccia qualcosa.”

Hinata iniziò a tremare per l’emozione, i suoi occhi che grondavano di lacrime. “B-B-Bo…ru…to…” singhiozzò, ancora scioccata e incredula di essersi ritrovata davanti agli occhi il suo figlio primogenito. Un figlio che aveva creduto morto per anni. “T-Tu… Tu sei…”

“Esatto, Hinata-sama,” confermò lui, annuendo lentamente. “Io sono vivo. E ho distrutto il vostro Summit, schiacciato i vostri Shinobi, e frantumato la fragile stabilità globale che i vostri sforzi erano stati in grado di costruire. Ho fatto tutto questo… in un colpo solo.”

Poi alzò lo sguardo per fissare il cielo oscuro, il suo sguardo privo di emozione. “Quello che ha detto il Quinto Kazekage è tutto vero,” dichiarò senza mezzi termini. “Il mondo è in pericolo. Gli Otsutsuki stanno tornando, lo abbiamo sempre saputo. E da poco ci siamo resi conto che innumerevoli altre minacce si trovano al di fuori del nostro pianeta. Posso confermarlo, visto che io stesso ho rischiato la pelle per colpa di un drago ossessionato dal potere che minacciava di distruggere la Terra.”

Tutti lo ascoltarono col cuore in gola.

“Ed io… io sono il responsabile della situazione di svantaggio in cui si trova il nostro popolo,” ammise ancora Boruto, senza esitazione. “Sono un mostro. Sono il ‘cattivo’. Un criminale e un reietto che per tutta la sua vita ha cercato di risolvere i problemi del mondo con la guerra, dividendolo ulteriormente quando sarebbe stato più vantaggioso tenerlo unito. Io, il figlio reietto dell’Hokage e il traditore di Konoha, ho portato il caos in questo mondo.”

Il Nukenin era pienamente consapevole delle emozioni contrastanti che irradiavano i suoi amici, ma si trattenne dal fare mosse azzardate.

“Ma il Kazekage si sbagliava su una cosa,” dichiarò a gran voce, fissando al mondo con rabbia. “Io non sono morto. Io non sono stato sconfitto. E, soprattutto, io sono l’unico responsabile della situazione attuale del mondo. I Kara, i miei amici, la mia famiglia… loro hanno solo eseguito i miei comandi. Hanno semplicemente fatto quello che io ordinavo loro di fare. In altre parole, IO sono colui che porta il peso della responsabilità di tutto questo. L’unico e solo colpevole. Il fatto stesso che io sia in vita lo dimostra.”

Kakashi trasalì. “Che stai cercando di fare?” domandò, fissandolo con gli occhi aggrottati.

Il Nukenin lo squadrò gelidamente. “Ve l’ho detto: sono in missione per portare la Pace nel nostro mondo.”

“La Pace? Quale Pace?! Tu hai distrutto ogni concetto di Pace con le tue azioni!” urlò ferocemente Shikamaru. Il ninja traditore spostò lo sguardo su di lui, per nulla intimorito dalla rabbia che trasudava visibilmente sul suo volto. Sembrava oltraggiato oltre ogni misura. “Hai ucciso innumerevoli vite! Hai distrutto la Nuvola e ferito la Nebbia! Hai sabotato dall’ombra ogni trattativa di pace tra le Nazioni! Hai causato la morte di migliaia di persone! E oggi… oggi, davanti agli occhi di tutto il mondo, hai ucciso Gaara e una miriade di Shinobi e civili indifesi! COME PUO’ TUTTO QUESTO ESSERE IN NOME DELLA PACE?!” gridò furiosamente, i suoi occhi iniettati di sangue.

“Sei solo un mostro senza ritegno!” sputò anche Temari, ancora in lacrime.

“Le tue parole sono prive di senso!” ruggì l’Hoshikage, affiancato dal Takikage e anche dal Generale Mifune.

Per tutta risposta, Boruto sorrise dopo quegli insulti. Un sorriso famelico e oscuro. “E voi, invece, che cosa siete riusciti ad ottenere in tutti questi anni?” ribatté con sarcasmo. Shikamaru, Kakashi, Hinata e gli altri s’irrigidirono. “Voi, paladini della giustizia e della pace, che cosa siete riusciti a fare con le vostre buone azioni? Vi siete mai chiesti perché io sia stato costretto ad agire in questo modo? Vi siete mai fermati a pensare che, forse, dietro alle mie azioni ci fosse una ragione? Una ragione per cui valeva la pena fare tutto quello che ho fatto, uccidere tutte le persone che ho ucciso, e distruggere tutto quello che ho distrutto?”

“Illuminaci, dunque,” disse Mifune.

Boruto divenne di colpo serio come la morte, facendoli rabbrividire. “La verità è che voi siete ciechi. Vi rifiutate di vedere la realtà delle cose. Vi limitate a starvene nella vostra patetica neutralità, e a dettare legge su cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ma io… io ho visto la realtà. Ho viaggiato in lungo e largo. Ho visitato i posti più squallidi e quelli più belli del pianeta. Ho visto, coi miei stessi occhi, la sofferenza, la guerra, e il sacrificio che molte persone devono ancora oggi sopportare per riuscire a sopravvivere. E cosa ha fatto la vostra Unione per queste persone? Cosa avete fatto voi per aiutare coloro che vivono nell’ingiustizia, nella fame e nella povertà? Lasciate che ve lo dica io: non avete fatto niente! Vi siete solo limitati a creare un’oasi di pace nei vostri Villaggi, abbandonando il resto del mondo al suo destino. E così facendo, lo avete condannato con le vostre stesse mani,” spiegò solennemente.

“Ma-Ma… Boruto… tu hai ucciso migliaia di vite!” esclamò Hinata, inorridita.

Quello s’impettì. “E voi? Voi non avete forse ucciso altrettante vite racchiudendo la ricchezza nei vostri limitati Villaggi?” ribatté prontamente. “Che ne è stato dei villaggi più poveri che sono stati costretti a patire la fame per colpa dello squilibrio economico che voi avete causato? E dei Paesi instabili come la Pioggia che venivano flagellati dalle guerre civili senza che ricevessero aiuto? O dei mercenari costretti a rubare perché la Nebbia si rifiutava di accettarli? O degli esperimenti ripugnanti che infestavano il Suono e che l’Unione non si decideva ad eliminare? O persino dei vostri stessi concittadini che morivano a orde per colpa di un Demone che eravate incapaci di controllare?”

“Queste… Queste sono cose che stavamo cercando di risolvere!” spiegò freneticamente Mei Terumi. “Abbiamo tentato-”

“Cosa? Cosa avete tentato di fare?” ruggì furiosamente il guerriero, emettendo un’ondata di energia talmente potente da far crepare il suolo. I presenti rischiarono quasi di crollare a terra a causa della sua forza. “Ammettete la realtà: voi siete colpevoli tanto quanto me. E sì, lo ammetto, anche se alla fine sono stato io a risolvere questi problemi, spesso sono stato costretto ad attuare metodi crudeli e spietati per riuscirci. Ma sapete una cosa? Sapete qual è la verità?”

Il silenzio era glaciale.

Boruto li fissò uno ad uno, il suo Jougan che pulsava di rabbia e determinazione. “La verità è che non c’è speranza,” dichiarò solennemente. “Non c’è speranza in questo mondo. Fino a quando ci saranno coloro che vivono nella pace, ci saranno anche coloro che soffrono. Fino a quando ci saranno vincitori, ci saranno anche perdenti. Questa… Questa è la realtà! La realtà crudele che Madara Uchiha, e Obito, e l’Akatsuki delle leggende hanno tentato di combattere in passato! E sebbene la loro soluzione fosse malsana e distorta, loro sono stati gli unici che hanno genuinamente tentato di ribellarsi a questa dittatura crudele impostaci dal Destino e dalla Natura! Persino loro sono stati migliori di voi!”

Il silenzio divenne intollerabile. Hanabi deglutì. “Boruto, questo… questo dovrebbe forse giustificare le loro azioni?” domandò, incerta e incapace di accettare quella spiegazione.

Il Nukenin scosse la testa. “No, non si può giustificare le loro azioni,” ammise, serrando i pugni. Il suo volto assunse un’espressione afflitta mentre posava lo sguardo sul terreno. “E… nemmeno le mie.”

Hinata, Himawari e Shikadai sgranarono gli occhi.

Boruto continuò a fissare per terra. “Quello che io e quegli altri prima di me abbiamo fatto… credo che sia impossibile da perdonare,” disse con amarezza, più a sé stesso che agli altri. “Ne sono sempre stato consapevole, in fondo. Io… Io credo che Yami avesse ragione. Forse sono semplicemente fatto così. Forse sono davvero un mostro come voi tutti credete.”

Tutti i presenti erano allibiti. Tutti rimasero sconcertati dopo quella dichiarazione. Alle sue spalle, il biondo sentì i suoi amici trattenere il fiato ed iniziare ad agitarsi. “Boruto… che stai dicendo?” disse a quel punto Annie Leonhardt, sconvolta oltre ogni misura mentre faceva un passo verso di lui. Non sapeva se essere più sconvolta dal fatto che fosse ancora vivo o che stesse dicendo quelle cose. “Tu… Tu stai avendo dei rimpianti?”

Quello non rispose, senza nemmeno voltarsi verso di lei.

Il nemico approfittò di quel momento di silenzio. “Quindi,” esalò Kakashi a bassa voce, sospettoso. “Stai ammettendo di essere nel torto. Hai intenzione di arrenderti?”

Stavolta, Boruto sorrise. Solo che, a differenza di quello precedente, con sommo stupore di tutti i presenti, il sorriso che mostrava adesso era triste e rassegnato. “No,” disse ancora una volta, scuotendo lentamente la testa. “No, non posso arrendermi. Non posso perché, a differenza di quegli altri, a differenza di Madara, Obito e tutti coloro che ci hanno provato… io sono ancora vivo. Sono ancora in grado di combattere. E posso ancora rimediare al fallimento che mi opprime.”

Boruto si voltò a quel punto. I suoi amici lo stavano guardando con gli occhi sgranati, le loro espressioni ancora basite e scioccate oltre ogni misura. Tutti. Mikasa, con gli occhi pieni di lacrime e le mani sulle labbra. Sora, completamente stravolto come un bambino. Urahara, stupito e solenne come una statua. E tutti gli altri, pure. Toneri, Gray, Juvia, Shirou, Kairi, Kumo, Mitsuki… tutti. Lo stavano fissando come se fosse la prima volta che lo vedevano. Come se fosse diverso. Come se la persona che stavano osservando fosse un fantasma.

E forse, dovette ammettere a sé stesso, lo era davvero.

“Io ho fallito,” ammise davanti a tutti Boruto, sentendo una lacrima colargli dalla guancia sinistra. Fissò la sua maestra e tutti i suoi amici, la sua famiglia, con uno sguardo pieno di dolore ed emozione. “Non posso negarlo, Annie-sensei. Io… per tutta la mia vita, ho sempre pensato di essere diverso dagli altri. Che il concetto di Shinobi fosse una maledizione che mi impedisse di proteggere la mia famiglia e seguire ciò che volevo davvero. Ho sempre creduto che i Guerrieri fossero diversi dai Ninja. Ma adesso… sin da quando sono tornato… ho visto la realtà delle cose. Non c’è differenza tra Shinobi e Guerrieri. Non c’è differenza tra di loro e tra di noi. Noi… siamo tutti gli stessi. Il Destino che ci opprime è lo stesso. Noi siamo uguali.”

Nessuno osò fiatare. Il biondo si portò davanti alla donna, offrendole un sorriso triste. “Però… io non voglio fermarmi,” disse ancora una volta con determinazione. “Non voglio arrendermi a questo Destino. Voglio riuscire a portare la Pace, la vera Pace, nel nostro mondo. E quello che faccio… lo faccio per questo.”

Annie lo guardò a bocca aperta.

Boruto si voltò di nuovo, verso il nemico e verso il mondo, fissando il cielo con determinazione e solennità. “Per questo voglio che voi vi uniate a me!” disse a gran voce, aprendo le braccia. “La Rivoluzione ha fallito, è vero, ma non è ancora finita! Ho visto coi miei stessi occhi la sofferenza e la rassegnazione di molti di voi! Ho visto il vostro dolore, la vostra lotta per sopravvivere, il vostro malcontento! Ho visto chiaramente che, a differenza di quanto pensavo, non sono riuscito a portare la pace, la gioia e la sicurezza che promettevo a molti di coloro che ho giurato di proteggere! Ma vi prego, vi supplico, di credermi quando vi dico questo… Io voglio rimediare! Sono disposto a tutto pur di riuscirci! È questa l’unica differenza tra me e i Ninja!”

Mikasa e Sora trattennero il fiato all’udire ciò. Boruto continuò a parlare. “Gli Shinobi… si rifiutano di accettare questa realtà. Vogliono continuare a lasciar marcire il mondo, chiusi e accecati dalla loro stolta certezza che l’imposizione non sia la strada! Che la burocrazia e l’accordo siano l’unico mezzo per unire il mondo! Ma anche loro hanno fallito! Ancora prima di me, il mondo stava marcendo per colpa loro! Ciò che loro ci offrono… non porterà alla Pace, ma alla morte! Una morte lenta e indolore, ma pur sempre una morte! Io invece… io voglio lottare per la vita! Per la speranza! E vivere e sperare comporta sacrifici e sofferenze!”

Shikamaru digrignò i denti. “Non riuscirai-”

“Dopotutto, guardateli!” disse solennemente Boruto, puntando un dito verso di loro. “Loro parlano di pace e unione, ma non sono riusciti a fermarmi neanche una volta. L’unico uomo a parte me che ha provato a combattere la realtà per unire davvero il mondo… è stato il Settimo Hokage! Ma anche lui ha fallito, e la storia lo ha dimostrato. Nonostante tutto quello che ha fatto, nonostante le sue buone intenzioni, il mondo non si è unito come voleva. Persino oggi, davanti agli occhi dei suoi alleati, non è riuscito a fermarmi. Il fatto stesso che non sia più qui, adesso, dimostra la sua incapacità e la sua stoltezza. Sarà potente, sarà carismatico e determinato… ma affidare a lui e ai suoi alleati il nostro futuro non è ragionevole.”

Hinata trattenne il fiato, trasalendo come se fosse stata colpita.

Boruto la guardò, serio e impassibile. “Voi siete bravi e giusti solamente a parole,” affermò con convinzione. “Ma esse saranno la vostra sconfitta. Le parole non perderanno mai il loro potere, perché esse sono il mezzo per giungere al significato; e per coloro che vorranno ascoltare, all’affermazione della verità. E la verità, come ci ha già spiegato chiaramente il Kazekage con quel suo discorso sulla storia… è che c’è qualcosa di terribilmente marcio nel vostro mondo Shinobi.”

“Che stai dicendo?” esclamò Himawari.

“Crudeltà e ingiustizia, intolleranza e oppressione. Che siano state o meno le conseguenze che il chakra ci ha donato, sin da quando esistono gli Shinobi, queste sono state le uniche costanti nel nostro mondo,” spiegò lentamente lui. “Costanti che hanno sempre portato allo scontro e alla guerra. Di chi è la colpa? Chi è il responsabile di tutto ciò? Non lo sapremo mai, ma il Settimo Hokage ha provato a mettere fine a questo ciclo d’odio… fallendo miseramente.”

Boruto ridacchiò davanti a tutti, amaro e sarcastico. “E io… io non sono meno colpevole di lui.” disse a sua volta. “Ho fallito, lo ammetto, ma sono disposto a rimediare. Io voglio creare la Pace. La vera Pace. Per tutti, reietti e oppressi, stanchi e rassegnati. Per tutti coloro che l’Unione, gli Shinobi e il sistema Ninja precedente non sono riusciti a proteggere. Per coloro che io stesso e la mia Rivoluzione abbiamo deluso e oppresso. Voglio unire il mondo sotto un’unica Nazione priva di conflitti. E per farlo… c’è solamente una strada. Una sola, unica via per riuscire a mettere fine a questa infinita maledizione che ci opprime da secoli: una Guerra. Un’ultima Guerra.”

Tutti quanti trasalirono pesantemente all’udire quelle parole, sconvolti oltre ogni dire.

“N-Non puoi dire sul serio!” urlò uno dei Daimyo a gran voce.

“Non è vero!” gridò anche Shikadai.

Ma il giovane guerriero sorrise, famelico e ferale. “Unione, collaborazione, bontà… tutte queste cose hanno fallito. Lo avete visto. Lo abbiamo visto. Non saremmo dove siamo adesso se così non fosse. L’unico mezzo per distruggere il male è la Guerra. Solo quando qualcuno avrà vinto, solo quando saremo in grado di sconfiggere ogni nemico che si oppone a noi, allora i conflitti termineranno per sempre. Per questo serve un’ultima Guerra. Una Guerra per spazzare via ogni residuo di corruzione e fallimento nella nostra società marcia. Una Guerra per creare una realtà nuova e pura. La Quinta Guerra Mondiale,” esclamò ferocemente Boruto.

“TU SEI PAZZO!” ruggì Temari.

Quello scrollò le spalle. “Ma se siete stati voi a dichiarare guerra alla Rivoluzione,” ribatté, saccente. La donna si cucì le labbra, stizzita. “E così sarà. È per questo che ho agito prima. Ho volutamente atteso il momento in cui voi – coloro che dovrebbero essere i portatori ideali di Pace – avreste dichiarato guerra a noi – reietti e oppressi incapaci di uniformarci alle vostre idee fallaci – per dimostrarvi questo! Stasera, signore e signori, io ho ucciso davanti a tutti voi il Quinto Kazekage per ricordare a questo mondo quello che ha da tempo dimenticato! Per ricordare a tutti voi che la Pace, l'ordine e la speranza sono più che semplici parole; sono prospettive! Quindi, se non avete visto niente, se i crimini e i fallimenti compiuti dagli Shinobi vi rimangono ignoti, vi consiglio lasciar passare inosservato questo giorno.”

Hinata, Kakashi, Himawari e tutti gli altri rimasero allibiti quando lo videro divenire ancora più serio e solenne che mai.

Boruto fissò al mondo con determinazione mentre continuava a parlare. “Ma se vedete ciò che vedo io, se la pensate come la penso io, e se siete alla ricerca di una Pace vera come lo sono io, vi chiedo di mettervi al mio fianco. Ed io ve lo assicuro, darò vita ad una nuova speranza! Farò di tutto pur di riuscire a portare la Pace ad ogni persona del mondo! Non importa cosa dovrò fare! Non importa quali azioni crudeli dovrò compiere! Non mi darò pace fino a quando in questo mondo ci sarà una singola persona che soffre! Voglio riuscire a creare una Pace per tutti! Per i Guerrieri, e per gli Shinobi che si uniranno alla nostra causa! Per i bambini e per gli adulti! Per i reietti e i rinnegati! Per tutti coloro che ancora oggi si sentono senza potere, senza scopo, senza speranze! Mi appello a voi! Uniamoci assieme! Affrontiamo questa guerra contro gli Shinobi uniti come fratelli! E una volta che ci saremo uniti in questo modo, nessuno sarà più in grado di fermarci; né gli Otsutsuki, né nessun altro. È questo il mio obiettivo: portare una Pace duratura, e lo giuro qui e ora, dinanzi al mondo!”

Boruto sollevò le braccia al cielo, il volto contorto in un ghigno ferale. “LA QUINTA GUERRA MONDIALE… INIZIA OGGI!” gridò dinanzi a tutto il mondo.

“NON PUOI FARLO!” ruggì severamente il Sesto Hokage. Boruto posò nuovamente lo sguardo su di lui, tornando freddo e privo di emozione. Kakashi lo sfidò con gli occhi, severo e deciso. “Boruto, non so cosa ti sia successo, non so come hai fatto a ritornare dopo tutto questo tempo… ma non ti permetteremo di farlo. Ciò che vuoi fare, la strada che hai intrapreso… non porterà il mondo alla Pace, ma alla sua distruzione!”

Hinata annuì, frenetica. “Ti prego, Boruto!” esclamò anche lei, la sua voce quasi rotta dal pianto. “Se c’è un briciolo di compassione nel tuo cuore, se la persona che conosco e che ho cresciuto vive ancora dentro di te… non farlo! Torna a casa! Torna da noi!”

“Non è ancora troppo tardi per rimediare!” disse anche sua sorella, portandosi accanto alla madre.

Boruto esitò, scioccandoli non poco, mentre le osservava entrambe con uno sguardo afflitto. Abbassò lo sguardo a terra, gli occhi oscurati dai capelli, celando la sua espressione alla vista degli altri. Era come se stesse lottando con sé stesso, incapace di decidere cosa fare. Le sue braccia iniziarono addirittura a tremare. I Kara e coloro che lo supportavano sembrarono i più sconvolti da quella scena.

Passarono diversi secondi di silenzio teso come non mai.

Finché, infine, Kakashi fece un passo in avanti, imitato da Shikamaru e i Kage che lo sostenevano. “Arrenditi, Boruto,” disse severamente. “Non hai speranza ormai. La Rivoluzione è finita da tempo. Hai perso.”

Eppure, con suo sommo stupore, accadde qualcosa.

Boruto risollevò la testa, sorridendo con tristezza. “E qui, Sesto Hokage, è dove lei si sbaglia,” ribatté lui con voce seria. Il Marchio di Ishvara stava lentamente risalendo lungo la sua faccia, mentre il drago etereo alle sue spalle gli si stava avvicinando ancora una volta, fissando i presenti con un ringhio ferale. “Anche se non posso vincere sempre… io non perdo mai.”

Nessuno ebbe modo di vedere l’attacco successivo.

Con un suono secco e raccapricciante, otto grosse spade di energia azzurra schizzarono improvvisamente fuori dal terreno sotto ai piedi dei Kage, tranciando l’aria con un sibilo acuto e centrando in pieno il loro bersaglio. Le vittime, troppo sconvolte e distratte per riuscire ad accorgersi in tempo della minaccia, vennero trafitte al cuore all’istante, impalate senza riuscire a fare nulla. Boruto osservò, con un senso di solennità crescente, mentre Kakashi e tutti gli altri si voltavano per osservare con gli occhi sgranati la vita spegnersi negli occhi dei poveri malcapitati. Delle persone che, nonostante la loro immensa fama e potenza, erano cadute dinanzi a lui come miseri insetti. Esattamente come tutti i suoi nemici prima di loro.

Shibuki, il Terzo Takikage della Terra delle Cascate.

Mifune, il Samurai Generale della Terra del Ferro.

Sumaru Tei, il Quarto Hoshikage della Terra degli Orsi.

I quattro Daimyo delle Nazioni Principali.

Tutti loro, erano morti. Erano morti all’istante, trafitti al cuore dalle spade che aveva evocato tramite un misero Sigillo nascosto sotto ai loro piedi.

Il suo sorriso si allargò sinistramente.
 


ASSALTO AL SUMMIT MONDIALE

SECONDA FASE


01 Ottobre, 0021 AIT
Villaggio di Questo, Terra dei Fiumi
Cortile della Fortezza
22:35

Nonostante l’orrore che provava, il senso di dejà vu che gli ottenebrava i sensi era ancora più forte.

Kakashi faceva ancora fatica ad accettare la realtà di ciò che stava succedendo dinanzi ai suoi occhi. Boruto Uzumaki, il figlio traditore del suo ex allievo, doveva essere morto. Era stato morto per tutto questo tempo. Ma adesso, per un qualche scherzo misterioso del Destino, se lo era ritrovato davanti ancora una volta. Vivo. Solenne. E incazzato. Non era una buona cosa. Non andava per niente bene. E senza contare quel gigantesco rettile mostruoso che era in qualche modo riuscito a controllare, i suoi innumerevoli anni di esperienza gli permettevano chiaramente di vedere quanto fosse potente quel ragazzo. La loro situazione, adesso che lo stavano affrontando, era decisamente peggiorata.

Il Sesto aveva visto per ben due volte nella sua vita uno scontro con il figlio reietto di Naruto. Una volta nella Terra del Vento, e poi ancora dopo la distruzione della Nuvola. Aveva sperato di non ritrovarsi mai più in una situazione simile. Purtroppo però, il Destino era sempre stato un sovrano crudele e aveva avuto altri piani. Per lui, per i suoi compagni, e per tutti quelli che lo stavano affiancando in quel momento. Una volta che i Kage alle loro spalle erano stati brutalmente uccisi… era scoppiato il caos. Puro e semplice. Esplosioni e incendi presero a guizzare alla vita attorno a tutto il cortile, distruggendo ogni cosa e impedendo loro di fuggire.  Shikadai e Himawari erano, tra tutti, quelli più sconvolti. Non avevano mai visto una vera battaglia prima d’ora. Per gli altri, invece, questo era un ricordo dei tempi passati. Un ricordo dell’ultima Guerra. Un ricordo del dolore del passato. Kakashi certamente non avrebbe mai potuto dimenticare tutto quello.

La Quinta Guerra Mondiale era iniziata.

Il drago ruggì ed un’esplosione elettrica scosse le mura sulla destra del cortile. Kakashi agì all’istante. Con una rotazione del corpo, afferrò Hinata, che si trovava alle sue spalle, e saltò lontano da lì, mettendosi al riparo da un inaspettato lampo di fulmine azzurro che piovve direttamente dal cielo sopra le loro teste. Mentre volava nel vuoto, vide il terreno a dieci metri più in basso tremare con forza. Fece guizzare freneticamente gli occhi. Gli altri si erano messi a loro volta al riparo, nascondendosi dietro a delle macerie fumanti e distanziandosi dal Nukenin e dal suo mostruoso rettile volante.

Kakashi atterrò in mezzo a loro con un’imprecazione mentale, reggendo Hinata tra le braccia. Mentre si nascondevano dietro alle macerie, il drago esalò addosso a loro una fiammata immensa, costringendo tutti a riunirsi dietro un pezzo di cemento esploso dalla fortezza.

“Cazzo!” Shikamaru gli si avvicinò con un’espressione accigliata, riparando sé stesso e suo figlio dalle fiamme. “Dobbiamo riuscire a fermarlo!”

“Non sarà facile,” disse severamente l’ex Hokage. “È troppo potente. Ha già fatto fuori più della metà di noi. E il resto della Sicurezza è stato coinvolto nelle esplosioni. Siamo da soli.”

Il silenzio teso e frenetico che calò tra tutti era rotto solo dal pianto disperato di Hinata e dal ruggito del mostro. Kakashi la guardò con dolore. “S-Sarada!” esclamò improvvisamente Shikadai, ricordandosi di ciò che era avvenuto prima dell’uccisione di suo zio. Tutti spostarono lo sguardo su di lui. Stava osservando tutti i presenti con un’espressione frenetica e sconvolta. “Dov’è Sarada?”

Lo sguardo dei presenti s’incupì. Fu Shikamaru a rispondere. “Non lo sappiamo, ma possiamo solo dedurre che Boruto le abbia fatto qualcosa. Quel pazzo… ha letteralmente distrutto tutte le guardie e la Divisione di Sicurezza con la sua entrata in scena di prima.”

Kakashi imprecò mentalmente. Poté solo pregare che la figlia di Sasuke fosse ancora sana e salva. Se Boruto le avesse fatto qualcosa… non voleva neanche pensarci.

“Allora che facciamo?” ruggì Temari, ancora adirata oltre ogni descrizione. “Dovremmo fuggire e lasciargli portare via i Kara?”

Himawari fece un timido passo in avanti. “Posso combatterlo con la mia Modalità Eremitica,” si offrì con voce decisa. “Nel mentre, voi dovreste scappare. Posso creare un diversivo e fare da esca.”

“HIMA! NO!” esclamò Hinata, inorridita. “Ti prego, non combatterlo! Non farlo!”

La ragazza guardò sua madre con un’espressione combattuta. Sembrava devastata. Shikadai la guardava a sua volta con orrore al solo pensiero di vederla combattere quel mostro di suo fratello.

Kakashi li mise a tacere con una singola occhiata. “Per quanto sia duro ammetterlo, fuggire è l’unica opzione che ci è rimasta. Boruto è troppo forte per noi. Qualunque cosa sia quel drago che sta controllando… senza Naruto e il Kyuubi non abbiamo speranza. E a giudicare dalle sue azioni, non ha per niente perso smalto dopo questi due anni,” ammise seriamente, il suo sguardo calcolatore.

“La sua arguzia è esemplare, Sesto Hokage.” fece una voce priva di emozione sopra le loro teste.

Tutti quanti sgranarono gli occhi e si allontanarono di scatto da lì. Boruto era apparso misteriosamente sopra il pezzo di cemento dietro cui si erano nascosti, solenne e imperioso. Li fissava dall’alto in basso con le braccia incrociate, quasi come se fosse annoiato. Kakashi deglutì ed evocò un kunai nella mano, cercando di mantenere la calma nonostante il battito frenetico del suo cuore. Accanto a lui, Mei e Kurotsuchi stavano furiosamente cercando di formulare Sigilli con le mani. “Io non lo farei, se fossi in voi,” le ammonì gelidamente il Nukenin, pigro. Non si mosse di un millimetro. “Non potete nulla contro di me.”

Per tutta risposta, Mei gli sputò addosso un getto d’acido corrosivo che crebbe fino a divenire un’ondata. Boruto si limitò a puntare in avanti una mano, ed il drago che serpeggiava alle sue spalle scattò in azione come una saetta di vento e fulmine. Soffiò una scarica elettrica dalle sue fauci che si andò a scontrare con l’onda di acido, solidificandola all’istante e frantumandola in mille pezzi. I pezzi di acido caddero a terra come pietra, corrodendo il cemento e forandolo.

Shikamaru fece guizzare le dita, evocando un’ombra da sotto ai suoi piedi e mirandola verso il biondo. Allo stesso tempo, Himawari e Temari gli erano balzate addosso, pronte a colpirlo e debilitarlo in qualche modo. Ma ancora una volta, il ninja traditore non si lasciò cogliere impreparato. Gli bastò evocare col pensiero un’ondata di vento e aria rotante per investire i suoi assalitori prima che potessero raggiungerlo, sbalzandoli all’aria come mosche fastidiose in preda ad una tempesta. Temari e Himawari volarono all’aria, urlando impotentemente.

“Boruto! Fermati!” lo implorò disperatamente sua madre.

Kakashi rabbrividì quando sentì la risposta del giovane. “Ormai è troppo tardi.”

Poi, in meno di un battito di ciglia, Boruto era scomparso. Subito dopo, quasi per magia, era riapparso dinanzi a Hanabi e Kurotsuchi, colpendole entrambe con pugno in piena faccia. Il Sesto Hokage e gli altri rimasti osservarono, impotenti, mentre le due donne urlavano per il dolore e schizzavano all’indietro, prive di sensi. Crollarono entrambe in mezzo alle macerie di roccia, senza più rialzarsi.

“NO!” gridò furiosamente Himawari.

Kakashi decise che ne aveva avuto abbastanza. Investendo il suo kunai di elettricità, il Sesto scattò in azione e balzò a sua volta addosso al guerriero. L’ombra di Shikamaru lo aveva raggiunto ormai, approfittando del suo spostamento repentino, immobilizzandolo del tutto. Non poteva reagire adesso che era bloccato. Kakashi fece sollevare il braccio, puntando alla spalla destra del bersaglio, i fulmini che sibilavano e cinguettavano sinistramente nella sua mano. “Chidori!” (Mille Falchi) urlò, discendendo verso Boruto.

Il figlio del suo allievo sorrise feralmente, facendolo trasalire. Con suo enorme stupore, il ragazzo mosse una mano con una rapidità inaudita e gli afferrò il braccio che puntava alla sua spalla prima che potesse colpirlo. Kakashi ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi per l’orrore prima di essere prepotentemente centrato da un pugno sullo stomaco, cortesia della mano libera dell’altro. La sua vista venne abbagliata da lampi indescrivibili di dolore. Il suo Chodori si dissolse con un sibilo, e l’anziano Kage gemette di dolore quando si piegò in due e Boruto lo afferrò per il collo con una mano, sollevandolo in aria.

“C-Come ha fatto a muoversi?!” gemette mentre lottava disperatamente per resistere alla sua presa e respirare. “Il Controllo dell’Ombra di Shikamaru doveva impedirgli di difendersi!”

L’occhio destro e sfigurato del biondo era freddo e solenne come non mai mentre lo fissava con odio. Il Marchio sul suo volto brillava di energia azzurra, dandogli un aspetto tetro. “Non avete scampo,” disse.

“Kakashi!” gridò Shikamaru, in preda al panico. Stava freneticamente lottando per cercare di immobilizzare il giovane, ma per quanto chakra infondesse nella Tecnica, quel tipo continuava a resistergli nonostante le loro ombre fossero collegate. Era una cosa che non riusciva a spiegarsi.

Boruto puntò la mano libera in avanti, e un guizzo elettrico schizzò in avanti verso il Nara. Shikamaru trasalì e imprecò, e sarebbe stato centrato in pieno se suo figlio non gli fosse balzato addosso, spostandolo appena prima di essere colpito dal getto di fulmini. Le loro ombre si staccarono con un suono sibilante. Alla loro destra, Mei sputò ancora una volta una lancia di acqua bollente ad alta velocità e pressione, che il Nukenin si limitò ad evitare inclinandosi casualmente di lato. Con una mera rotazione del polso, la Mizukage venne travolta da un muro di vento che la sbalzò all’aria, facendola gridare per la sorpresa.

Kakashi serrò i denti mentre lottava per resistere alla presa d’acciaio che gli serrava il collo. Boruto non aveva smesso per un secondo di fissarlo negli occhi. “È finita,” dichiarò senza emozione.

Il Sesto Hokage sorrise dolorosamente. “Davvero?”

Il tremore sottile dell’aria fu l’unico avvertimento che ricevette. Il corpo di Kakashi si dissolse come nulla all’improvviso, tramutandosi in un’esplosione di fulmine ed elettricità che scoppiò con un rumore raccapricciante. Boruto sgranò appena gli occhi, prima di essere completamente investito dalla scarica elettrica che lo squassò dalla testa ai piedi, incapace di evitarla. A duecento metri da lì, il vero Kakashi sbucò fuori da sotto una maceria nascosta, lanciando un kunai verso il corpo spasimante del guerriero. Il suo Clone del Fulmine aveva funzionato. “Preso,” sibilò di trionfo.

Ma anche no. La mano del giovane guizzò in avanti, ancora scossa dalla scarica di fulmini, e afferrò con precisione il kunai. Kakashi assottigliò lo sguardo, sospirando mentalmente. “Già, non poteva essere così semplice, vero?” sibilò con ironia nella sua testa.

Il Nukenin lasciò cadere il kunai, dissolvendo l’elettricità che lo pervadeva. Puntò la testa verso l’Hokage, il suo corpo fumante e ancora scosso da qualche scarica che guizzava qua e là. Lo fissava con due occhi eterocromi crudeli e pieni di risentimento e oltraggio.

“Il tuo Jougan ti permette di prevedere gli attacchi incombenti perché riesce a percepire la variazione di chakra nell’ambiente, non è vero?” disse con saccenza l’anziano, sfidandolo a sua volta con gli occhi. “Ma come ogni arma, ha la sua debolezza. Anche se riesce a percepirli, non ti permette di evitare gli attacchi ravvicinati. Vedo che hai ereditato la stessa debolezza di tuo padre. Siete entrambi incapaci di reagire agli attacchi a sorpresa.”

Boruto lo fissò con odio. “…Kakashi Hatake, il Ninja Copia,” disse lentamente, oscuro. “Lei è davvero un uomo pericoloso. La Foglia sembra avere un’abbondanza di Shinobi di alto livello. La sua sarà la terza vita che mi prenderò oggi.”

Kakashi sorrise nervosamente sotto la sua maschera. “Provaci pure, ragazzo.”

Boruto sorrise feralmente. Tuttavia, prima di poter fare qualcosa, la sua testa si voltò verso destra, notando fin troppo bene la minaccia incombente. Himawari gli piovve addosso con un urlo di guerra e rabbia, il suo braccio destro caricato all’indietro e luccicante di chakra, pronto ad essere rilasciato. Suo fratello saltò lontano da lì prima di essere investito, e la giovane si schiantò contro il terreno con un boato che generò una clamorosa esplosione di terra, roccia e detriti. Il suolo vibrò come se fosse scosso da un terremoto.

Kakashi si portò affianco ad Himawari mentre lei si risollevava dal cratere che aveva generato. “Perdoni il ritardo, Sesto,” disse con determinazione.

L’uomo ridacchiò. “Un paio di secondi prima sarebbe stato meglio,” ammise con stanchezza, ironico. Accanto a lui, anche Mei Terumi, Shikmaru e suo figlio presero posizione al suo fianco, mentre Hinata restava più in disparte a qualche decina di metri di distanza, rimasta impietrita dalla scena che aveva appena visto. A distanza di cento metri, invece, Boruto atterrò dinanzi al suo drago etereo, il quale era rimasto ancora fermo e immobile per tutto quel tempo. Adesso che li aveva liberati, lo stava usando per proteggere i suoi amici, dedusse l’ex Hokage.

Boruto si risollevò lentamente, fissandoli uno per uno con uno sguardo freddo e privo di emozione.

L’uomo mascherato sospirò. Non c’era via di fuga. Non c’era modo di scamparla. Volenti o nolenti, Boruto non aveva intenzione di lasciarli andare. Che lo volessero o meno, se volevano salvarsi, dovevano combattere e fermarlo. Avevano già perso diversi Kage, e Kurotsuchi e Hanabi erano stati messi fuori gioco. Era una situazione critica. Kakashi esalò un respiro di rassegnazione, scambiando un impercettibile cenno del capo con Shikamaru. Poi, assumendo una posa di difesa, si preparò mentalmente a resistere al prossimo assalto.
 

Mikasa, Sora e tutti gli altri osservavano la scena con gli occhi sgranati e le menti stravolte dall’incredulità.

Non riuscivano a credere a quello che stavano vedendo. Boruto… stava letteralmente tenendo testa a tuti i suoi avversari con relativa facilità. Stava resistendo, inflessibile e solenne, a qualsiasi cosa i suoi avversari gli lanciavano addosso. Stava tenendo testa al Sesto Hokage, al Mizukage, a Shikamaru Nara e la sua famiglia, e persino a sua sorella e sua madre. Era… sconvolgente. Era potentissimo. Era velocissimo. Esattamente come tutti loro lo ricordavano.

La speranza prese ad esplodere ancora una volta nei loro cuori.

“È lui,” esalò Urahara, come se si fosse improvvisamente risvegliato da uno stato di trance. “È davvero lui. È il nostro Boruto.”

I Kara rimasero a bocca aperta, ancora intenti a fare i conti con il fatto che il loro leader e amico fosse letteralmente ritornato dalla morte. “C-Com’è possibile?” sussurrò Toneri, per la prima volta sconvolto come non mai.

Sora scoccò un’occhiata allibita alla ragazza alla sua sinistra. “Kairi?”

La giovane Uzumaki deglutì, ancora avvolta tra le braccia di sua madre, sconvolta quanto lei. “N-Non ci sono dubbi, quello è il chakra di Boruto,” disse con voce tremante, incredula. “È diverso, ma è lui. Ne sono certa.”

I Kage alleati con la Rivoluzione fissavano a loro volta la scena con evidente stupore. “Per tutto questo tempo… Saigo era Boruto?!” esclamò a gran voce Shizuma, incerto se essere più furioso o felice.

“Ma… Perché? Perché non ce l’ha detto prima?” fu tutto ciò che riuscì a dire Annie.

Una voce che tossì con forza attirò l’attenzione di tutti quanti. Gli occhi spalancati dei ribelli si posarono sull’espressione ferma e inflessibile di Haruko. “Adesso non è il momento,” disse seriamente la Salamandra. “Boruto sta combattendo per noi contro degli avversari pericolosi. Dobbiamo aiutarlo a sconfiggerli se volgiamo riuscire a scappare sani e salvi.”

No!

Mikasa e gli altri trasalirono e si voltarono di scatto. Un secondo Boruto – un suo clone, dedussero immediatamente – era apparso accanto a loro dal nulla, fissandoli uno per uno con un’espressione seria e solenne. Il suo Jougan li scrutava con uno sguardo insondabile. Fece un passo in avanti, portandosi in mezzo a tutti senza la minima esitazione. “Non intromettetevi. A loro ci penso io. Voi restate fermi,” disse con fermezza, la sua voce autoritaria.

Tutti trattennero il fiato all’udire ciò. “Che stai dicendo?” esclamò Lucy. “Vorresti affrontarli da solo?”

“Posso farcela senza problemi. Avete visto che cosa ho fatto grazie a quello,” ribatté lui, facendo un cenno col capo verso il suo drago etereo ancora immobile. “Al momento li sto solo distraendo da voi. Non ho ancora iniziato a fare sul serio.”

“Allora cosa dobbiamo fare?” domandò l’Uzukage.

Boruto non rispose. Si limitò a sgranare l’occhio destro, infondendo energia nel suo sistema. Gli altri lo osservarono con confusione e sgomento per diversi secondi, fino a quando non accadde qualcosa. Dopo un misero battito di ciglia infatti, un grosso vortice di energia oscura apparve nell’aria con un sibilo – lo stesso vortice che aveva usato per intrappolare il Settimo Hokage – allargandosi sempre più di secondo in secondo. Sora lo guardò con sgomento e meraviglia. “Che cos’è questo?” chiese, stupito.

“È una lunga storia, ma il mio Jougan mi ha da poco conferito l’abilità di viaggiare tra le varie dimensioni,” spiegò velocemente Boruto. “Andate adesso. Questo portale vi condurrà in un posto sicuro. Il Settimo o uno dei nostri nemici non riusciranno a raggiungervi lì, ve lo assicuro.”

Mikasa trattenne il fiato, portandosi le mani sulle labbra. Shirou fece un passo in avanti. “E tu cosa farai?”

Il Nukenin assunse un’espressione gelida. “Non posso andarmene da qui fino a quando non avrò fatto ciò che devo. Appena ci sarò riuscito, vi raggiungerò in meno di un istante.”

L’incredulità generale era palpabile nell’aria. “Cosa?! Vorresti restare qui da solo?” esclamò furiosamente Galatea, allibita oltre ogni dire.

“Ricompari dal nulla dopo due anni e adesso vuoi lasciarci di nuovo?” domandò anche Annie, sconvolta.

Boruto sospirò. “Sentite, non c’è tempo per questo. So che avete domande, e vi prometto che vi darò tutte le risposte che volete. Ma non adesso. Non posso combattere per bene e difendervi allo stesso tempo. Se sarò da solo, vi assicuro che finirò quello che ho iniziato e poi tornerò da voi in un batter d’occhio. Ve lo prometto,” giurò con serietà.

Gli altri si scambiarono delle occhiate incerte, senza sapere cosa dire, esitando per diversi secondi.

Il biondo voltò loro le spalle, fissando il campo di battaglia dove il vero Boruto stava assaltando i suoi avversari con raffiche implacabili di vento e acqua. “Andate, sarete al sicuro in quella dimensione. Vi raggiugerò appena avrò finito,” disse con un tono di finalità assoluto.

Sora, Urahara, Annie e tutti quanti esitarono. Poi, lentamente, uno ad uno decisero di fidarsi, prendendo coraggio ed entrando finalmente dentro al vortice oscuro collegato con un’altra dimensione. Scomparvero in un batter d’occhio in mezzo a quell’ammasso nero e vorticoso di energia.

Solo Mikasa non entrò subito nel vortice. Rimase ferma per diversi secondi davanti ad esso, con la testa bassa e i pugni serrati, prima di correre verso Boruto ed afferrargli freneticamente un braccio. Il Nukenin si voltò, guardandola con stupore, e notando fin troppo bene la sua espressione combattuta e piena di emozioni contrastanti. Lei non disse nulla, incapace di esprimere a parole quello che stava provando, ma lo guardò negli occhi. Due occhi eterocromi stupiti contro due occhi neri e pieni di lacrime che brillavano. Rimasero a lungo a fissarsi in quel modo, senza proferire parola, restando solo intenti a guardarsi a vicenda, mille emozioni e pensieri che passavano nei loro sguardi.

Dopo anni, dopo due lunghissimi anni di distanza e separazione, finalmente si stavano guardando di nuovo.

Finalmente erano riuniti.

Boruto le prese dolcemente le mani tra le sue. “Tornerò da voi, Mikasa,” giurò solennemente, senza un accenno di esitazione. “Te lo prometto. Non ti lascerò da sola ancora una volta.”

La nera non rispose. Solo, le sue labbra abbozzarono un piccolo sorriso.

Era il primo sorriso che faceva dopo tantissimo tempo.

I due giovani si scambiarono un cenno del capo.

E poi, il vortice oscuro che Boruto aveva evocato si dissolse nel nulla subito dopo.
 


Appena percepì il chakra dei suoi amici abbandonare questo pianeta, Boruto esalò un respiro che non sapeva di aver trattenuto fino ad ora, per tutto questo tempo. Il suo piano, ancora una volta, si era rivelato un successo. Era effettivamente riuscito a salvare i suoi amici e la sua famiglia prima che fosse troppo tardi. Era riuscito a liberarli, a riunirli assieme, e a ridare loro la speranza.

Dinanzi agli occhi di tutto il mondo, per di più.

Era un successo totale.

Il giovane Uzumaki scoccò un’occhiata sul maxischermo frantumato che continuava ancora a riprendere lo scontro. Non che ci fosse da stupirsi troppo, decise in realtà dopo un attimo di riflessione. Boruto sapeva di essere potente. Disumanamente potente. Lo era sempre stato sin da prima di giungere ad Eldia. Era stato proprio lì che lo aveva realizzato, in fondo. Nessuno era riuscito ad eguagliarlo quando lui e gli altri erano in missione su quel mondo, nemmeno il Quarto Hokage. E da quando Hikari gli aveva concesso il Potere del Risveglio, Boruto era diventato ancora più pericoloso. Non c’era nessuno che potesse fermarlo ormai, se non suo padre e il padre di Sarada.

Ma questa era una costante a cui era abituato.

Una costante che era effettivamente riuscito ad aggirare.

Boruto fissò i suoi avversari con solennità mentre il suo drago etereo tornava alla vita e lo immergeva dentro al suo corpo, difendendolo dagli attacchi nemici. Adesso che era riuscito ad intrappolare temporaneamente il Settimo Hokage sulla Luna, quelle persone dinanzi a lui non avevano nessuna speranza contro di lui. Non avevano scampo. Era l’occasione perfetta. Quasi tutti i suoi nemici più pericolosi erano lì, riuniti assieme dinanzi a lui, e non c’era nessuno che potesse difenderli o impedirgli di ucciderli. Erano intrappolati lì, alla sua mercé. E a giudicare dalle loro espressioni atterrite e piene di panico, quelle persone lo stavano realizzando a loro volta.

Con un comando mentale, il biondo ordinò al suo drago – la rappresentazione fisica della sua anima, la sua Volontà di Fuoco – di attaccare. Il rettile, come un essere senziente, ruggì in assenso con un grido raccapricciante che squassò cielo e terra. Batté le ali, generando un violento turbine di vento, e volò in avanti con un ringhio ferale. Boruto vide il Sesto Hokage e i suoi alleati sgranare gli occhi ed allontanarsi freneticamente dal cortile, saltando all’impazzata lontano dalla sua traiettoria. Il drago menò una zampata sul suolo, frantumando ogni cosa col suo tocco bestiale, e sollevando un’esplosione di terra e detriti. I suoi nemici, quelle piccole formiche senza potere, vennero sbalzati nel vuoto e crollarono pesantemente a terra a causa dell’onda d’urto generata dal boato dell’attacco. Si rimisero in piedi subito dopo, le loro espressioni sgomente e imprecanti.

Boruto sentì il suo Jougan pulsare. Il drago voltò la testa come un rettile, ma non fece nulla. I getti d’acqua e fango acido che la Mizukage della Terra dell’Acqua gli stava sputando addosso non li sentì nemmeno, come se non facessero effetto sul suo corpo etereo e liquido. Con una contrazione della coda, mandò una frustata micidiale verso la donna, talmente rapida e potente da rischiare di tranciarla a metà. E ci sarebbe probabilmente riuscito, se solo il Sesto Hokage non avesse evocato dal terreno un muro di roccia in sua difesa, schermandola mentre continuava ad attaccare.

Un ringhio di frustrazione gli sfuggì dalle labbra. Boruto uscì dal corpo del drago e prese a dare la caccia ai suoi bersagli. Nonostante fosse immune ai loro attacchi, il Nukenin sapeva che doveva darsi una mossa e farla finita al più presto. Il suo drago era capace di sopportare quasi tutti gli assalti nemici, ma non era perfetto. Come ogni Potere, c’erano delle debolezze. Non poteva tenerlo attivato per troppo tempo, e si stancava come un vero essere vivente. La fatica, l’esaustione, il dolore… erano tutte delle minacce che potevano rivelarsi fatali per lui.

Inoltre, la quantità di energia che stava consumando per tenerlo in vita era decisamente preoccupante. Se lui non avesse avuto di sua natura delle grosse riserve di chakra, sarebbe stato un problema serio.

Boruto scosse la testa e senza nemmeno aprire gli occhi tirò fuori la sua katana. La lama della spada cozzò contro il kunai del Sesto Hokage che era saltato all’assalto contro di lui, generando delle scintille metalliche. Boruto lo allontanò con un calcio in faccia che lo fece crollare a terra con un gemito di dolore. Poi, fidandosi solamente del suo istinto e della pulsione del suo occhio destro, si piegò di lato col busto in maniera disumana ed evitò completamente il grosso ventaglio da guerra che la madre di Shikadai gli aveva lanciato contro. L’arma tranciò l’aria a pochi centimetri dal suo corpo, sibilando e conficcandosi nel terreno con un tonfo. Sospirò mentalmente. Davvero, se volevano riuscire a salvarsi, dovevano impegnarsi molto più di così.

L’urlo guerresco di sua sorella gli risuonò nelle orecchie come un rombo di tuono. Boruto aggrottò le sopracciglia e si voltò di scatto, afferrando il pugno di Himawari con una mano, bloccandolo senza fatica. Col Marchio di Ishvara che gli potenziava i riflessi e la forza, la Modalità Eremitica non era una minaccia per lui. Fissò gli occhi da rospo di sua sorella con uno sguardo impassibile. “Smettila, fratello!” gli ruggì in faccia lei. “Stai facendo una follia!”

Per tutta risposta, lui le diede una gomitata sullo stomaco e la lanciò lontano. Himawari cadde tra le braccia di sua madre, digrignando i senti per il dolore. “Veramente patetico,” sospirò lui, fissando i loro volti pieni di dolore, disperazione e tristezza. “Davvero, mi dispiace. So che avete buone intenzioni… ma non avete riflettuto abbastanza.”

Shikamaru gli saltò addosso, un ammasso di ombre dimenanti che sbucava fuori dalla sua schiena, pronto ad intrappolarlo. Il Nukenin lo allontanò con un semplice affondo della spada, calciando anche Shikadai che nel frattempo aveva cercato di colpirlo alle spalle con un kunai. “Volete proteggere il mondo, ma non volete che cambi,” disse ancora lui, fissandoli con freddezza. “Come può salvarsi l’umanità se non le viene permesso di evolvere?”

“Evolvere? Ciò che tu vuoi fare porterà alla distruzione dell’umanità, non alla sua evoluzione!” ribatté di rimando Shikamaru.

Boruto scosse la testa con disappunto. “Voi Shinobi continuerete a rifiutare il cambiamento finché sarete in vita. Vi rifiutate di accettare la realtà, e per questo dovete morire. E una volta che nel mondo ci saranno solo vincitori, i conflitti cesseranno. Creerò una società nuova, priva di discriminazioni e differenze; una società capace di unirsi e fronteggiare qualsiasi ostacolo. E allora, il mondo sarà salvo e protetto da qualsiasi minaccia esterna e interna,” dichiarò lui, parlando a gran voce. “Ma voi... la vostra stessa esistenza è un ostacolo a questa realtà. Se non deciderete di arrendervi, non esiterò ad eliminarvi.”

Kakashi tossì, asciugandosi il sudore che gli colava dal volto. “Boruto… tu sei caduto troppo a fondo nell’oscurità. Il tuo giudizio è ottenebrato dall’odio.”

Quello sorrise. Un sorriso amaro e strano che nessuno riuscì a decifrare. “L’odio nasce dall’amore, Hokage. L’odio esiste grazie ad esso. Il vostro errore… è considerare l’amore come l’unica via di salvezza. Ma l’unico modo per mettere fine al male è il male. Perciò, questa ultima Guerra è inevitabile. E non importa quanto crudele dovrò diventare, non m’interessa quali azioni disumane dovrò accollarmi sulla coscienza… se questo è il prezzo che dovrò pagare per portare finalmente il mondo alla Pace… LO FARÒ!” giurò solennemente.

“Ma perché?” urlò disperatamente Hinata. “Perché tu?”

“Io sono il responsabile di tutto questo… e per questo sono l’unico che ha il dovere di farlo,” rispose lui senza mezzi termini, il suo sguardo oscuro e infestato che fissava la donna con fredda determinazione.

“Tu… Tu sei solo un PAZZO ASSASSINO!” gridò Temari, scattando alla carica col suo ventaglio sollevato, pronto a colpire.

Boruto soffocò un sorriso triste. Tuttavia, quello che fece dopo accadde in un solo secondo. Un istante prima era fermo e distante da tutti, e quello dopo si era letteralmente teletrasportato alle spalle della donna inferocita, colpendola con un colpo secco alla nuca e togliendole i sensi in un batter d’occhio. Nessuno aveva avuto il tempo di fare niente. Temari emise un gemito sommesso, prima di ruotare gli occhi e crollare pesantemente a terra, svenuta. Kakashi, Hinata e Himawari trattennero il fiato.

“Mamma!” urlò Shikadai con orrore.

“NON TI AZZARDARE A TOCCARLA, MOSTRO!” ruggì anche Shikamaru, i suoi occhi sgranati, pieni di panico e iniettati di sangue.

Ma quello non li ascoltò. Con un movimento lento e solenne del braccio, sollevò in alto la sua spada, afferrò l’elsa con entrambe le mani e la puntò contro la schiena della donna. Fissò coi suoi occhi glaciali la folla di nemici che lo osservavano con orrore e panico allo stato puro, il suo cuore che si preparava ancora una volta a compiere ciò che aveva deciso. Ora… era inevitabile. Non si sarebbe mai più potuto tornare indietro.

La sua spada ebbe un fremito, preparandosi a calare sul bersaglio e versare il sangue della sua vittima.

Poi, però, accadde qualcosa.

Boruto trasalì, sentendo il suo Jougan pulsare. Il suo corpo reagì d’istinto, ruotando il busto ad una velocità disumana e bloccando appena in tempo col piatto della sua lama l’affondo verticale che la spada nemica aveva mirato al suo collo. Il Nukenin assottigliò lo sguardo, la sua mente pervasa dal fastidio e dalla rabbia mentre osservava la maschera da ANBU del suo nuovo assalitore. Una maschera che lui conosceva. Una maschera che aveva già visto in passato, e che non aveva mai dimenticato nonostante l’avesse vista solamente una volta.

Con uno scatto di forza del braccio, il ninja traditore allontanò da sé l’ANBU che l’aveva attaccato, mentre Shikadai aveva sfruttato quell’attimo di distrazione per riuscire a scattare verso di lui ed afferrare il corpo di sua madre. Quando lo vide allontanarsi, Boruto fissò il volto dell’ANBU con uno sguardo feroce e minaccioso. “Natsuki Nara, Agente Orso,” sputò velenosamente il biondo, serrando la sua spada con frustrazione. “Mi ricordo di te. È dai tempi della mia prigionia nella Foglia che non ci vedevamo. Non sono ancora riuscito a mantenere la promessa che ti avevo fatto.”

L’agente Orso assunse una posa di difesa. “Non la passerai liscia, mostro,” disse con rabbia.

Quello inarcò un sopracciglio. “Credi davvero che un misero ANBU come te possa avere speranza? Ho già ucciso diversi Kage in un colpo solo. Sarai anche l’unica della Divisione Sicurezza che è riuscita a sopravvivere finora, ma non hai scampo adesso,” dichiarò solennemente Boruto.

La ragazza sorrise sotto alla sua maschera. “Non sono l’unica,” ribatté a sua volta.

E in quel momento, la terra e l’aria tremarono.

Boruto sgranò gli occhi, trasalendo fisicamente quando percepì una vera e propria esplosione di chakra alle sue spalle. Si voltò di scatto, la sua espressione scioccata, quando vide un gigantesco essere scheletrico spuntare fuori dalle macerie, nel punto esattamente sotto il palco. I suoi occhi lo osservarono con stupore mentre quell’essere si ergeva all’aria, componendosi e ingrandendosi sempre più. Era immenso, alto almeno quindici metri e dalle sembianze umanoidi, con un corpo fatto di energia luminosa, quasi tendente al bianco, che feriva gli occhi con la sua luce. Un essere che, nei suoi anni passati e durante le sue precedenti avventure, aveva già avuto modo di vedere diverse volte. E per questo, riconobbe all’istante di cosa si trattava.

Era un Susanoo.

Un Susanoo completo.

Il Nukenin imprecò mentalmente.

Tuttavia non perse tempo. Con un singolo comando mentale, il suo drago etereo smise di volare nel cielo e si precipitò al suo fianco, inglobandolo nel suo corpo, similmente a come faceva il Kyuubi con suo padre. Boruto si librò in volo, immerso nell’energia liquida della sua Volontà di Fuoco, ed osservò il grosso umanoide etereo iniziare a rivestirsi di chakra che assunse la forma di abiti bianchi, simili a delle tuniche. Con un ruggito, il Susanoo posò lo sguardo su di lui, i suoi occhi bianchi e luminosi come fari nella notte.

Boruto lo studiò con gli occhi assottigliati, dimenticandosi momentaneamente di tutti gli altri avversari che stavano in basso. Aveva momentaneamente creduto che quel Susanoo fosse opera di Sarada, ma così non era. Lo notò subito. Il corpo della ragazza era ancora immerso sotto a diversi metri di detriti nella Fortezza distrutta. Riusciva a percepirne l’energia, debole ma integra. No… quel Susanoo era di qualcun altro. Un altro nemico. Un secondo Uchiha. E non poteva essere Sasuke. Boruto lo sapeva, dato che aveva visto il suo Susanoo ed era completamente diverso. E poi, se Sasuke Uchiha fosse veramente tornato in quel momento, lui sarebbe stato fottuto. Ma allora, chi diavolo era quella persona immersa nella testa dell’essere etereo?

Pelle bianca e pallida. Capelli grigi e privi di colore. Sguardo freddo e rabbioso. Occhi rossi e fiammeggianti.

Boruto assottigliò lo sguardo appena comprese di chi si trattava. Lo aveva visto durante le sue ronde sotto i panni di Saigo il SenzaVolto. Era Shin Uchiha. Uno degli esperimenti di Orochimaru nascosti da Kabuto in qualche luogo sperduto della Terra del Fuoco. Un ennesimo ricordo del fatto che le minacce per lui e il suo obiettivo non si limitassero soltanto al Settimo Hokage e Sasuke Uchiha. Adesso anche quell’inutile Uchiha di seconda categoria si stava opponendo al suo volere.

Boruto snudò i denti in un ringhio.

Il Susanoo bianco di Shin caricò contro di lui immediatamente dopo. Il drago reagì a sua volta, mosso dagli ordini della sua mente. Nuotando nell’aria come un serpente inferocito, il rettile si fiondò addosso all’essere umanoide con un ruggito raccapricciante, azzannandolo in pieno collo. Il gigante di chakra, colpito alla sprovvista dall’attacco, crollò di peso all’indietro, sfondando e abbattendo una delle pareti intatte della Fortezza. Un’esplosione di pietra e detriti scoppiò nell’aria, facendo tremare ogni cosa. In basso, nel mezzo del cortile, Kakashi, Hinata e gli altri dovettero lottare per restare in piedi in mezzo a quelle scosse terribili.

Il drago non diede tregua. Continuò ad azzannare il suo bersaglio divincolante, trattenendolo col peso del suo corpo e sferzandolo di graffi e zampate dalla potenza micidiale. Il Susanoo emise un grido metallico di dolore e agonia, lottando violentemente per liberarsi. E ci stava riuscendo, con somma frustrazione di Boruto. La sua Volontà di Fuoco si stava affannando sempre di più dopo tutto quel tempo passato a devastare e attaccare il Summit, e adesso era vicina al limite. Non sarebbe riuscito a mantenerlo ancora a lungo.

Se voleva vincere, doveva fare in fretta.

Il Susanoo nemico fece improvvisamente scattare un possente braccio in avanti, sferrando un pugno micidiale sulla testa del drago. Il rettile sibilò di dolore, scuotendo la testa, e l’essere umanoide ne approfittò per scrollarselo di dosso con un calcio. Boruto serrò i pugni e i denti, mentre il suo drago si allontanava in volo dal Susanoo, osservandolo con un ringhio stanco mentre esso si rimetteva lentamente in piedi, reggendosi alle mura del castello in rovina.

Poi, con una rotazione del polso, il nemico fece qualcosa. Il Nukenin osservò, meravigliato, mentre una gigantesca arma dalla forma allungata guizzava alla vita nelle mani dell’essere etereo evocato da Shin. Era la sua arma finale. Sembrava una lancia, simile a quella che il Sasanoo di Sarada era a sua volta in grado di utilizzare, ma non lo era. Era un martello. Un gigantesco martello bianco con un’impugnatura enorme, lunga quasi il doppio dell’altezza del suo utilizzatore. Il Susanoo lo afferrò con due mani, caricando le braccia e sollevandolo lentamente.

Boruto si riscosse, preparandosi all’attacco. Ma il nemico fu più veloce. Con uno scatto rapidissimo delle braccia, il martello avversario piovve dall’alto verso di lui, discendendo ad una velocità mostruosa verso il drago, pronto a colpirlo. Il biondo imprecò ed ordinò al drago di allontanarsi per sfuggire al suo raggio, ma fu troppo lento. Il martello colpì il bersaglio su una delle sue ali, facendolo ruggire di dolore. Il rettile si agitò e si contorse, come un vero animale ferito, e crollò a terra sulle zampe. La sua ala sinistra era stata lacerata del tutto, rendendolo incapace di volare.

L’imprecazione che il Nukenin sibilò fu volgare e pesante. Fissò l’ala lacerata con un cipiglio. Sapeva che avrebbe potuto infondere altra energia nel drago per riparare il danno e curare la ferita, ma non c’era tempo. Il martello del Susanoo era già tornato in alto, prendendo la mira con una velocità che Boruto non si aspettava minimamente. Il biondo ebbe solo il tempo di ammiccare e aprire la bocca prima che il gigantesco martello crollasse di nuovo verso il basso, incombendo su di lui con una rapidità spaventosa che lo sorprese non poco.

E questa volta, con un tonfo raccapricciante, il martello centrò in pieno la testa del drago.

La testa del rettile esplose letteralmente in uno scoppio di energia e chakra, dissolvendosi come acqua e schizzando la sua energia liquida in tutte le direzioni. Il suo corpo si contorse e si agitò freneticamente per diversi secondi, scosso dalle convulsioni, prima di arrestarsi di botto e cadere pesantemente a terra. Poi, dopo due secondi, esso si dissolse nel nulla come se non fosse mai esistito, e Boruto atterrò al suolo con un leggero tonfo, la sua testa abbassata e gli occhi oscurati dai capelli. Rimase fermo e impietrito, senza fare nulla.

Attorno a lui, i suoi nemici esultarono con gioia dinanzi a quell’inaspettata svolta degli eventi.

“Vai così, Shin!” fece la voce di Shikadai.

“Bel lavoro!” gridò anche Kakashi.

Boruto serrò i pugni con forza.

Il possente Susanoo bianco fece due passi in avanti, facendo tremare la terra. Si fermò a cinquanta metri dal biondo, incombendo su di lui come un boia pronto a giustiziare un criminale. Dall’alto della sua stazza, immerso nella testa dell’essere etereo, la voce di Shin echeggiò nell’aria come un tuono. “Boruto Uzumaki, usurpatore della pace,” disse solennemente, le sue parole che riecheggiavano ovunque e comunque, amplificate dall’energia del Susanoo.

Il Nukenin alzò lo sguardo su di lui, fissandolo con due occhi freddi, crudeli e privi di emozione.

Con un movimento lento e solenne, il Susanoo sollevò ancora una volta il martello in alto, prendendo la mira per colpirlo in pieno. “In questi tuoi ultimi istanti di vita… hai qualcosa da dire?” domandò a gran voce, freddo e crudele come non mai.

Hinata e Himawari trattennero il fiato con orrore. Shikamaru e Mei deglutirono. Kakashi assottigliò gli occhi. Shikadai e Natsuki impallidirono.

Boruto lo guardò con indifferenza. “Fallo… Mikasa.”

E poi, ancora una volta, la situazione venne ribaltata.

Dalla cima del tetto della Fortezza, Mikasa Ackerman scattò come una saetta addosso al Susanoo, cogliendolo di sorpresa alle spalle. Si schiantò con prepotenza contro la sua nuca, spaccando del tutto le sue difese eteree ed entrandogli nel corpo come un missile rabbioso e inarrestabile. Shin ebbe appena il tempo di voltarsi con orrore, i suoi occhi rossi sgranati a dismisura, prima di essere violentemente centrato da un pugno dalla potenza disumana in piena faccia. Kakashi, Mei, Hinata e tutti gli altri che stavano assistendo alla scena sgranarono gli occhi con sgomento ed una viscerale sensazione di terrore che ottenebrò loro la mente.

Il sangue piovve ovunque. Shin urlò di dolore, schizzando fuori dal corpo del suo Susanoo e cadendo pateticamente a terra in un misero ammasso di sangue e contusioni. Crollò al suolo con un tonfo, proprio dinanzi alla figura immobile e impassibile di Boruto, con Mikasa sopra di lui, intenta a tenerlo immobile per terra con un piede nudo poggiato sulla sua schiena. Nonostante fosse vestita ancora da prigioniera, la forza e l’aura minacciosa che possedeva un tempo non erano affatto scomparse. Alle loro spalle, il Susanoo emise un grido metallico e crollò in ginocchio, diventando di nuovo un mero ammasso di ossa prima di dissolversi come fumo dinanzi agli sguardi allibiti di tutti.

Boruto fissò il corpo sanguinante di Shin con disappunto. La sua faccia era stata orribilmente sfigurata dal pugno di prima. “Beh, è finita in fretta,” disse semplicemente.

Mikasa affondò violentemente il piede sulla schiena dell’Uchiha, sfondandogliela del tutto. Sangue e viscere schizzarono dappertutto, macchiando le gambe e gli abiti stracciati di Mikasa. Shin emise un solo rantolo soffocato prima di zittirsi completamente, morto. In lontananza, Himawari e Shikadai sentirono la bile risalire loro in gola.

“Adesso siamo pari,” disse la nera, fissando Boruto con uno sguardo solenne.

Il Nukenin annuì, sfoggiando un piccolo sorriso. Poi si voltò verso gli altri, tornando freddo e solenne come prima. “Chi è il prossimo?” domandò a tutti.

Il silenzio e gli sguardi rabbiosi ed increduli degli altri furono l’unica risposta che ricevette.

Kakashi trattenne con un braccio Hinata per impedirle di fare mosse azzardate, fissando quei due giovani criminali con gli occhi assottigliati pieni di panico e serietà. La sua mente stava scandagliando idee e strategie, cercando furiosamente di comprendere come fosse potuto succedere tutto quello. Mikasa non avrebbe potuto, a tutti gli effetti, usare il chakra. Non con tutti i Sigilli di contenimento che gli erano stati impressi addosso. Eppure, ora che la guardava meglio, i Sigilli erano scomparsi dal suo corpo. Com’era possibile? Non avrebbe mai potuto rimuoverli da sola. Che cosa le aveva fatto Boruto? Quando era riuscito a liberarla dai Sigilli durante la battaglia?

I suoi occhi si sgranarono di colpo. Come una freccia, la sua mente venne travolta da un’illuminazione. “Q-Quando si sono presi per mano prima!” realizzò con orrore, sudando copiosamente. “Il clone di Boruto le ha rimosso i Sigilli appena è entrato in contatto con lei!”

Era impossibile. Era sconvolgente. Una cosa del genere era mostruosa. Quanto doveva essere abile nel Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) quel ragazzo per riuscire a fare una cosa del genere?

Il Sesto vide il momento esatto in cui Shikamaru e suo figlio raggiunsero la sua stessa conclusione. I loro occhi si riempirono di sgomento oltre ogni misura. Ma mentre tutti restavano in silenzio, Boruto sospirò. “Molto bene. Se non vi decidete voi, allora sceglierò io,” disse all’improvviso, scrollando le spalle.

Tutti quanti trasalirono e si prepararono a difendersi.

Eppure, ancora una volta, Boruto Uzumaki dimostrò di essere più imprevedibile di quanto loro potessero immaginare.

Puntando solamente una mano in avanti, il Nukenin sussurrò due semplici parole.

FUUTON: Gyaku.” (Arte del Vento: Risucchio)

E poi, l’impossibile divenne possibile ancora una volta.

Kakashi non ebbe il tempo di capire cosa stesse succedendo. Trasalendo fisicamente, sentì tutto il suo corpo irrigidirsi mentre veniva prepotentemente risucchiato in avanti da una forza invisibile e ineluttabile. Non riuscì a fare niente. Con un gemito di sorpresa, il Sesto Hokage sgranò gli occhi quando il suo corpo si mosse da solo, venendo improvvisamente attratto verso la mano di Boruto e volando nell’aria come un peso morto. Gli altri accanto a lui lo osservarono con sconvolgimento, troppo stupiti per riuscire a muoversi. “Rokudaime!” urlò Shikadai, riuscendo solo a fare un passo verso di lui.

Ma non ebbe modo di fare altro. Il corpo di Kakashi schizzò all’aria da solo, arrivando come un magnete attratto dalla forza di un altro magnete dinanzi alla mano del guerriero. Poi, con una casualità quasi disarmante, Boruto lo afferrò nuovamente per la gola, strozzandolo con la stessa presa d’acciaio con cui aveva soffocato Shinki prima di lui.

“Qu-Questa è un’abilità simile a quella di Pain!” esclamò mentalmente l’anziano Kage, sconvolto e dolorante, la sua mente che veniva prepotentemente pervasa dai ricordi di una battaglia lontana contro un uomo dai capelli arancioni e gli occhi viola. “C-Com’è possi-”

Boruto fulminò l’uomo sfigurato col suo sguardo tagliente come una lama. “Niente giochetti stavolta,” sussurrò crudelmente.

“Boruto! NO!” gridò Himawari.

Ma le sue urla furono inutili. Una scarica elettrica devastante investì il corpo strangolato dell’Hokage prima ancora che potesse reagire. Kakashi urlò di dolore, scosso da interminabili tremiti, ma tutto ciò che gli uscì dalle labbra fu solo un rantolo strozzato. Muovendo freneticamente le mani per tentare di liberarsi, iniziò a prendere a pugni il braccio che lo reggeva per la gola, ma esso non si mosse. Era come una presa d’acciaio, inflessibile e gelida.

La scarica che lo stava fulminando aumentò improvvisamente d’intensità. Kakashi si contorse orribilmente, incapace di urlare, mentre sentiva il suo corpo fumare ed iniziare ad ustionarsi. I suoi capelli argentati si rizzarono pericolosamente. La sua maschera iniziò a sciogliersi sul naso a causa del calore insopportabile.

Il ragazzo continuava a fissarlo con rabbia e fredda solennità. “Glielo avevo detto: oggi mi prenderò la sua vita,” dichiarò senza esitazione, aumentando la stretta sul suo collo. Il corpo spasimante del Sesto Hokage iniziò a cedere, le sue energie che si dissolvevano sempre più di secondo in secondo.

“FERMATI! NON FARLO!” urlò a squarciagola Shikamaru.

“BORUTO! TI PREGO, SMETTILA!” singhiozzò disperatamente sua madre, le lacrime che scorrevano come fiumi lungo il suo volto. L’agente Orso la stava trattenendo con fatica, stringendola a sé per impedirle di correre verso suo figlio.

Himawari urlò, oltraggiata e disperata, facendo un solo passo in avanti. Ma si arrestò di colpo non appena vide Mikasa posizionarsi dinanzi a Boruto, schermandolo dagli altri. Un piccolo taglio era presente sulla sua mano destra.  “Niente mosse azzardate,” ordinò gelidamente, la sua voce roca e bassa per il disuso, eppure allo stesso tempo solenne e potente come un tuono. “Provate ad usare le vostre Tecniche d’Ombra o qualche altro trucchetto… e vi assicuro che ve ne pentirete amaramente. Mi trasformerò all’istante, e nessuno di voi avrebbe scampo in quel caso.”

La giovane Uzumaki sentì le lacrime iniziare a colarle dagli occhi per la rabbia. “No… No… No…” sussurrò freneticamente, devastata.

Mei Terumi serrò impotentemente i pugni con rabbia. “M-Maledetti…” sibilò a denti stretti.

Le loro suppliche non vennero ascoltate. Non poterono fare altro che osservare, impotenti, mentre Boruto continuava a fulminare e strangolare Kakashi dinanzi a loro e al mondo intero, incapaci di muoversi o di fare qualcosa per salvarlo. I rantoli soffocati e le urla sommesse del Sesto risuonarono nell’aria per diversi secondi strazianti, ogni gemito che emetteva era come un colpo di pugnale per i loro cuori disperati.

Poi, miracolosamente, la scarica elettrica si dissolse. Kakashi si arrestò, immobile, il suo corpo ancora scosso da contrazioni involontarie dovute al fulmine che scorreva forzatamente nel suo sistema. Boruto lo guardò con impassibilità mentre il Kage lottava anche solo per respirare. “Incredibile, sono stupito che sia riuscito a sopravvivere,” ammise, monotono. “Un voltaggio simile avrebbe fulminato qualsiasi Jonin. Persino Sasuke Uchiha non è riuscito a resistere ad una scarica di questa tensione quando ci siamo scontrati su Eldia. Immagino che lei sia un’eccezione. La sua resistenza al Fulmine è davvero eccezionale.”

Kakashi emise un rantolo simile ad un sibilo spezzato.

Boruto sospirò, sollevando il braccio sinistro e infondendolo di energia. Fulmini azzurri e scattanti gli rivestono completamente la mano, cinguettando famelicamente. Il Raikiri (Taglio del Fulmine) ruggì alla vita tra le sue dita come una bestia famelica. “In questo caso dovrò usare la sua stessa Tecnica per finirla,” dichiarò con divertimento. “Esattamente come lei ha fatto con me nella Terra del Vento, se lo ricorda? La consideri la sua punizione per quella volta.”

Hinata emise un grido rotto dal pianto. “Boruto, ascoltami!” disse, urlando tra i singhiozzi. “Ti prego, ti supplico! Se hai ancora un po' di umanità dentro di te… se c’è ancora un minimo di bene nel tuo cuore… non farlo, ti prego! Tu… Tu mi hai aiutata quando ci siamo rivisti! Mi hai aiutata a guarire dal dolore! Io so che c’è del buono in te! Perciò… ti prego, non seguire questa strada! Torna da me! Torna a casa!”

“Ascoltala, fratello!” gridò anche sua sorella, serrando i pugni. “Non farlo!”

E dopo quelle parole, con loro sommo stupore e sconvolgimento… Boruto esitò. La sua mano, rivestita dai fulmini cinguettanti e distruttivi del Raikiri, si fermò esattamente davanti al petto ansimante di Kakashi, appena un secondo prima di trafiggergli il cuore. E lì, per la prima volta nella loro vita, per la prima volta in diretta mondiale, per la prima volta nella storia del mondo… accadde dinanzi agli occhi di tutti una cosa che solo raramente qualcuno ebbe modo di vedere. Una cosa che lasciò spiazzati e confusi tutti coloro che stavano assistendo alla scena.

Boruto Uzumaki si mise a piangere.

Una piccola e silenziosa lacrima colò giù dal suo occhio sinistro.

Mikasa lo guardò con stupore. Kakashi aprì a fatica gli occhi, posando lentamente una mano sul braccio che gli serrava la gola. “B-Bo…ru…to…” esalò, fissandolo con tristezza e dolore.

Il Nukenin singhiozzò in silenzio, abbassando la testa e serrando i denti con un’espressione infestata. Poi, dopo diversi secondi carichi di tensione, prendendo coraggio, alzò la testa e lo guardò con uno sguardo triste e infestato dal dolore.

“…mi dispiace.”

E poi, senza più esitare, il suo Raikiri trafisse l’uomo mascherato dritto nel cuore.

Il sangue, rosso e denso come il fuoco più caldo dell’inferno, schizzò dappertutto e macchiò ogni cosa.

E in quel momento, in quel preciso ed esatto momento, il mondo parve arrestarsi e rallentare.

Mei Terumi trattenne il fiato. Hinata e Himawari piansero. Shikamaru e Shikadai urlarono.

E nel pianeta che stava osservando quella scena esplose il caos.

“NOOOOOOO!”

Kakashi socchiuse gli occhi, sputando un rivolo di sangue dalle labbra. La sua mente si svuotò, sussurrando inconsciamente una preghiera silenziosa ad Obito e Rin, prima di oscurarsi per sempre. E poi, alla fine, con un ultimo tremito del corpo, la sua mano crollò a ciondoloni verso il basso e spirò definitivamente.

Kakashi Hatake, il Ninja Copia e il Sesto Hokage di Konoha… era morto.

Il secondo Kage ucciso in diretta davanti agli occhi di tutto il mondo.

Boruto serrò i denti con dolore, il suo volto e i suoi abiti intrisi grottescamente di sangue. Chiuse gli occhi con pesantezza, trattenendo un singhiozzo affranto e ritraendo la mano dalle membra ancora calde dell’uomo. Un uomo che per anni era stato temuto e rispettato. Un uomo che era stato allievo di suo nonno e maestro di suo padre. Un uomo che aveva salvato il mondo durante l’ultima Guerra Mondiale. Un uomo che il mondo non avrebbe mai potuto dimenticare.

E con la sua morte, quel giorno, si sanciva finalmente la scomparsa di uno degli ultimi testimoni di un periodo decisivo nella storia del loro mondo.

Era morta una leggenda.

Il giovane Uzumaki lasciò cadere a terra il corpo, ansimando pesantemente. Sollevò la testa per guardare con dolore e solennità le persone in lacrime davanti a lui, mentre il Marchio di Ishvara si disattivava lentamente, ritraendosi sul suo braccio. “Questa… è la mia determinazione,” dichiarò il Nukenin a bassa voce, fissandoli uno ad uno coi suoi occhi freddi e pieni di lacrime. Shikamaru e tutti gli altri lo osservarono con delle espressioni devastate e infrante.

Poi, senza che qualcuno dicesse niente, un ennesimo vortice oscuro apparve ancora una volta alle spalle del giovane.

Mikasa lo prese dolcemente per mano. “Vieni, Boruto,” disse sommessamente, esortandolo a seguirla. “Andiamo via.”

Boruto non disse niente. Semplicemente annuì, voltandosi senza degnare di uno sguardo le persone che aveva lasciato alle sue spalle. E così, senza aggiungere altro, il ragazzo in lacrime e la sua amica insanguinata attraversarono il vortice in un silenzio assoluto. E subito dopo, loro due ed il portale oscuro scomparvero ancora una volta dalla faccia del pianeta.

E quella notte, quella fatidica e indimenticabile notte, il mondo e il suo futuro divennero più oscuri che mai per tutto il genere umano.










 

Note dell’autore!!!

Salve gente, ecco a voi il nuovo capitolo. Spero che vi sia piaciuto, o almeno che possa avervi suscitato qualche emozione. Il mio intento è quello, come sempre.

Innanzitutto vi chiedo immensamente scusa per l’attesa che avete dovuto sorbire prima dell’uscita di questo capitolo, ma è stato un ennesimo periodo difficile fatto di impegni e studio. Inoltre, scrivere e revisionare questo capitolo è stato estremamente arduo per me. Non solo perché in esso sono successi innumerevoli colpi di scena, eventi, e situazioni difficili da descrivere; ma anche e soprattutto perché è lungo. È il capitolo più lungo che io abbia mai scritto. E, nella mia idea originale, tutto quello che avete letto doveva essere diviso in due capitoli separati. Però, visto che tutta questa serie di eventi accade nella stessa serata e in un unico e breve arco di tempo, ho deciso di unirli assieme per darvi qualcosa di sostanzioso e per rimediare all’attesa che vi ho fatto sorbire (sono ben 42 pagine di Word, il capitolo più lungo che abbia mai scritto fino ad ora). E poi, visto che sono eventi che accadono assieme, credo che fosse meglio così. Comunque sia, vi chiedo perdono per avervi fatto aspettare così tanto. Davvero, non ho scusanti.

Detto questo… che altro dire? È successo il putiferio. Abbiamo visto innumerevoli cose, e ricevuto colpi di scena a non finire. Io avevo sempre avuto in mente di fare le cose in grande a questo punto della vicenda. Spero solo di esserci riuscito in un modo che vi piaccia. Se avete qualcosa da dire su questo capitolo – di positivo o negativo che sia – vi prego, fatemelo sapere. È stato un azzardo, ma io volevo che ogni evento delle due storie precedenti, alla fine, portasse a tutto quello che avete appena letto.

Boruto ormai ha, di fatto, sorpassato ogni limite. In senso letterale. Non si riesce più a capire come ragiona, che cosa vuole davvero, e perché sia ossessionato in questo modo dal voler raggiungere la Pace tramite la Guerra. La sua evoluzione sta diventando sempre più oscura, complessa e distorta. Tuttavia, per quanto distorto possa sembrare, lui crede davvero in quello che dice. È convito che la sua strada sia l’unica che possa portare alla salvezza il mondo. Ovviamente, come sempre, riceveremo spiegazioni e dettagli in futuro. Ma voglio che voi sappiate che descriverlo qui, in questo capitolo particolare, mi ha pesato un po'. Sta diventando un personaggio estremamente irritante per me. Fatemi sapere voi che ne pensate, però.

Comunque sia, in meno di due ore è successo il finimondo. I Kara sono liberi. Gaara e Kakashi sono morti. Il Summit e i suoi ospiti sono stati trucidati (tra cui anche diversi Daimyo e Kage minori contrari alla Rivoluzione). E tutto questo è successo in diretta mondiale. Boruto ha accettato la dichiarazione di guerra, per cui adesso è ufficialmente esploso il caos.

La Quinta Guerra Mondiale è davvero iniziata.

In questo capitolo abbiamo visto quanto sia effettivamente potente il nostro antieroe, forse per la prima volta in maniera spaventosamente concreta e crudele. Nessuno riesce più a fermarlo. Solo Naruto e Sasuke potrebbero ucciderlo ormai. E adesso, Boruto è persino entrato in possesso di un’abilità che gli permette di viaggiare tra le dimensioni. Un’abilità che ha usato per sopraffare suo padre prima che potesse combatterlo. Astuto e sagace come sempre, vero? E sì, in questo capitolo abbiamo visto delle nuove abilità che non ha mai sfoggiato prima d’ora. Avremo altri dettagli al riguardo nelle prossime puntate.

Come vi ho già detto, sto avendo un periodo difficile e pieno di impegni. Per questo, non so quando sarò in grado di pubblicare il prossimo capitolo. Vi chiedo, già da adesso, in anticipo, di avere pazienza. La storia continuerà, come ha sempre fatto e sempre farà, ma spesso potrebbe volerci tempo. Purtroppo non sempre dipende da me. Io ce la metterò comunque tutta, ve lo assicuro.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Fatemi sapere cosa ne pensate della storia fino a ora. Grazie mille a tutti in anticipo. A presto!
 

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Capitolo 11
*** Silenzio Momentaneo ***


SILENZIO MOMENTANEO





01 Ottobre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
23:30

Pianto.

Tutto ciò che risuonava nella silenziosa aria di quella dimensione artificiale era solo ed unicamente questo: il pianto. Un pianto fragoroso, emotivo, spezzato. Un suono incessante di singhiozzi e rantoli devastati, increduli. Talmente pieni di emozioni da essere quasi indescrivibili a parole. Un sommesso e, allo stesso tempo, fragoroso pianto incessante, proveniente dal cuore di quelle persone. Quelle undici persone che, dopo due indicibili anni di separazione e dolore, erano riuscite finalmente a riunirsi assieme ancora una volta.

Boruto, Mikasa, Sora, Kairi, Gray, Juvia e Shirou piangevano, buttati tutti insieme a terra, avvolti goffamente in un improvvisato abbraccio che tentava pateticamente di unirli assieme, i loro volti segnati dalle lacrime e pieni di emozioni troppo difficili da descrivere a parole. A loro volta, in mezzo a quel groviglio ammassato di membra, anche Kumo, Mitsuki e Urahara si erano uniti a loro volta, piangendo e sorridendo allo stesso tempo, come dei bambini troppo contenti per riuscire a contenersi. Il suono caotico dei loro pianti gioiosi ed emotivi era quasi assordante, e stava palesemente affliggendo ciò che li circondava. Anche gli altri presenti, infatti, stavano piangendo. Toneri, Annie, Galatea, e Jigen, ad esempio, stavano più in disparte da loro, fissandoli con occhi acquosi e dei sorrisi sommessi sulle labbra. Anche Lucy e Shizuma sorridevano, la prima con palesi scie di lacrime e il secondo con un’espressione trattenuta, ma palesemente più dolce del solito. Anche loro stavano piangendo interiormente. E persino Kaya e Jin Uzumaki, assieme ad Haruko e gli altri tre Kage alleati coi Ribelli osservavano quella riunione con emozione.

La Rivoluzione si era unita di nuovo assieme. I Kara erano tornati.

Erano di nuovo al completo.

Era uno spettacolo indescrivibile.

Nessuno seppe dire quanto durò quel pianto. Poteva essere durato un paio di minuti, oppure diverse ore, ma a nessuno importò. Continuarono a piangere e ad abbracciarsi, incuranti di tutto e tutti, unicamente interessati a stringersi tra di loro, a riunirsi sempre più a fondo, e ad esternare con le lacrime quelle emozioni troppo dense che provavano nel cuore. Rimasero lì, singhiozzando, crogiolandosi in quell’abbraccio e in quel calore, per un tempo indefinito, accarezzandosi, baciandosi, e sussurrando parole dolci tra di loro. E quando ebbero finito di piangere, ancora, rimasero uniti assieme, senza mollarsi mai, senza sciogliere quel groviglio di membra a cui sembravano voler restare attaccati per sempre. Dopotutto, lo sapevano tutti, questa… questa era la prima volta che accadeva una cosa del genere. Era successo. L’impensabile era diventato realtà. Il Miracolo era avvenuto.

La loro famiglia si era riunita assieme ancora una volta.

E questo era tutto ciò che contava.

Ad un certo punto, Boruto parve riscuotersi. Si rialzò, lentamente, sciogliendo l’abbraccio e asciugandosi pateticamente le lacrime dagli occhi. Mikasa continuava a restare avvinghiata a lui, le sue braccia avvolte con una presa di ferro attorno al suo busto, piangendo e baciandogli ripetutamente il volto sfigurato. Poi, quando ebbe finito, lo guardò con occhi acquosi e tremolanti; pieni di un’emozione immensa che non si era più vista in lei da anni. “S-Sei tornato,” fu tutto ciò che disse.

Il biondo la guardò, piangendo a sua volta, e fece un tremante cenno col capo. “Non potevo abbandonare la mia ragazza. Non quando mi deve ancora un appuntamento,” sussurrò con emozione, accarezzandole una guancia con un sorriso.

Lei rise, e quel suono fu come musica per le sue orecchie. Poi Boruto spostò lo sguardo sul giovane accanto a sé, e il suo occhio riprese a tremolare. “Fratello mio…” disse, allungando un braccio e stringendogli una spalla. “È… È bello rivederti.”

Sora annuì, ghignando come un bambino. “Anche per me, fratello.”

Boruto allargò il suo sorriso, facendo un grosso respiro. Poi prese coraggio, e si costrinse a guardare il resto dei presenti con uno sguardo afflitto. Li fissò, uno ad uno, il suo occhio sinistro che trasudava di emozioni. Affetto, rimpianto, rammarico, e molto altro ancora. Emozioni troppo complesse per poterle descrivere con precisione. “Ragazzi,” esalò, quasi come un soffio, la sua gola che si stringeva inconsciamente per l’emozione. Serrò impotentemente un pugno per tentare di calmarsi, ma non ci riuscì per niente. “È… ecco, io… mi dispiace… non-”

“Lo sappiamo, ragazzo mio,” lo incalzò Urahara vedendo la sua difficoltà ad esprimere ciò che provava, fissandolo con un sorriso. “Lo sappiamo.”

Il Nukenin gli rivolse uno sguardo pieno di riconoscenza, prima di tornare ad affliggersi. “Le cose non sarebbero dovute andare così,” sussurrò impotentemente. “Io… Io non volevo lasciarvi, ma non ho avuto altra scelta. Vrangr, i-il drago… era troppo potente. Ci ha quasi uccisi tutti… dovevo fermarlo… e-e a causa di ciò voi siete rimasti da soli. Avete rischiato di morire… io… io non volevo…” abbassò nuovamente lo sguardo a quel punto, scuotendo la testa con dolore e rammarico. La sua espressione divenne contrita e piena di rimpianto. “M-Mi dispiace.”

Passarono due secondi di silenzio. Boruto rimase fermo con la testa bassa, sentendo gli sguardi di tutti puntarsi su di lui, ma non si mosse. Dopotutto lo sapeva. Sapeva di meritarsi il loro risentimento. Era a causa sua se le cose erano precipitate in quel modo. Era colpa sua se la Rivoluzione era stata sconfitta. Ed era sempre colpa sua se suo padre e il padre di Sarada erano riusciti a catturare i Kara.

Per colpa sua e della sua assenza… la sua famiglia e i suoi amici avevano rischiato di morire.

Aveva messo a rischio tutto ciò a cui aveva tenuto nella sua vita.

E l’unico responsabile di tutto questo era lui.

“Io… non posso nemmeno immaginare quello che dovete aver provato,” riprese a dire ad un certo punto, la sua voce rotta da un singhiozzo che gli sfuggì da solo. “Mi avete creduto morto, siete stati catturati, divisi, e torturati… il vostro mondo è crollato a causa mia… e io non ho parole per descrivere quanto vorrei poter tornare indietro e impedire che tutto questo potesse succedere. D-Davvero… io non-”

“Boruto,” la voce di Juvia lo fece trasalire. Alzò la testa di scatto, osservandola con stupore mentre la cerulea gli accarezzava una guancia, sorridendo con tranquillità. “Lo sappiamo. Va tutto bene.”

“Ormai… è tutto finito,” sussurrò Shirou, sedendosi a terra.

Gray annuì, grattandosi il collo e sospirando pesantemente. “Hai fatto quel che dovevi, boss. Noi… non possiamo prendercela con te,” disse.

Il Nukenin ammiccò, completamente allibito. “M-Ma… è colpa mia se voi avete-”

“Boruto.” lo richiamò Toneri, stavolta con più forza rispetto agli altri. Il guerriero si voltò verso di lui, fissando con il suo occhio sgranato il sorriso dell’Otsutsuki. “Adesso basta. È tutto finito. Sappiamo quello che hai dovuto fare su Eldia. Sappiamo del tuo sacrificio. Nessuno di noi ti ha mai incolpato per ciò che è stato. E ora… quello che conta non è ciò che è stato, ma ciò che sarà.”

Boruto guardò i suoi amici con un’espressione sconvolta come non mai. Non riusciva a crederci. Erano davvero disposti a perdonarlo in questo modo? Davvero non lo ritenevano responsabile per tutto ciò che era successo? Tutti quegli anni di torture, di prigionia, di smarrimento totale… non contavano davvero niente per loro? Ne era comunque valsa la pena? Non riusciva a concepirlo.

Kairi gli prese gentilmente una mano, mettendosi accanto a Mikasa che continuava a fissarlo con un’espressione quasi sognante. “E poi… indipendentemente da tutto… tu sei tornato,” spiegò lei, dolce e soave. Mentre parlava, per un attimo, per un solo attimo, sembrava che tutti i segni delle sofferenze che aveva patito in quegli ultimi tempi fossero scomparsi. “Sei tornato da noi, e ci hai salvati. Ti dobbiamo la vita, Boruto. Questo credo che basti a cancellare qualsiasi colpa che potresti sentirti addosso, non trovi anche tu?”

Quello la guardò con incertezza, incapace di accettarlo. “M-Ma questo non toglie-”

Non ebbe modo di finire la frase. Mikasa gli afferrò con forza la testa mentre parlava, forzandolo a voltarsi per fissarla negli occhi con un’espressione stralunata e infestata da dolore. La nera sorrise, i suoi profondi occhi neri che brillavano di lacrime ed emozione, posando la fronte sulla sua e ricambiando il suo sguardo infestato con uno pieno di amore. “Noi non ti abbiamo mai incolpato,” disse con dolcezza e, allo stesso tempo, determinazione. “Mai, nemmeno una volta, abbiamo pensato che la tua scomparsa fosse una colpa da affibbiarti. Certo, abbiamo sofferto mentre non c’eri. La tua morte ci ha fatto soffrire. Molto più di quanto mi piacerebbe ammettere… ma adesso non conta più. Tu sei qui. Sei di nuovo con noi. E per me… questo basta. Basta e avanza per giustificare e rendere piene di senso quelle interminabili ore di solitudine, dolore e smarrimento. Perché la cosa importante… è che tu sei di nuovo qui con me,” disse infine con un tono di finalità assoluta.

E poi, ancora una volta, ci fu silenzio.

Boruto rimase fermo e immobile, come una statua, incapace di togliere lo sguardo da quegli occhi che lo fissavano, lo fissavano. Con forza. Con affetto. Con desiderio e gioia. Due occhi che aveva sempre amato. Che aveva sempre ammirato. Due occhi che per un tempo immemorabile aveva disperatamente pregato di poter rivedere ancora una volta. Era sempre stato così, e i ricordi gli balenarono nella mente come un’ondata insopprimibile. Ricordava ancora con bruciante dolore e struggimento quanto avesse sentito la mancanza di quegli occhi negli ultimi tempi. Tutte quelle notti insonni passate su Eldia, tutti quei viaggi e quei pericoli che aveva vissuto, tutti quei pensieri costanti sulla sua famiglia, e tutti quei momenti in cui aveva desiderato di poterli rivedere ancora una volta… erano sempre dentro di lui, ancora adesso.

Ma adesso… adesso li stava vedendo. Adesso Mikasa era lì. Sora e Urahara erano lì. E gli altri, tutti gli altri, erano lì. Non era più da solo su Eldia. Era con loro. Erano di nuovo assieme. Li aveva trovati. Li aveva salvati. E loro… loro non lo odiavano. Non lo avevano incolpato. Non l’avevano dimenticato. Loro, proprio come lui, avevano sempre sentito la sua mancanza.

E adesso che erano di nuovo assieme, questo bastava.

Tutto ciò che aveva vissuto su Eldia… i pericoli, le avventure, la mancanza dei suoi amici, il suo sacrificio… adesso aveva finalmente trovato un senso. Adesso le sue azioni avevano finalmente dato un frutto tangibile.

La sua famiglia era tornata da lui.

Non riuscì a resistere.

Iniziò dapprima come una risata sommessa. Poi, di secondo in secondo, le risate divennero singhiozzi. E infine, dopo un minuto intero, Boruto crollò in ginocchio, scoppiando a piangere ancora una volta. Pianse, pianse e pianse, come un bambino, mentre Mikasa lo cullava a sé, stringendolo tra le braccia come una mamma che consola suo figlio dopo un’esperienza traumatica. Pianse, con più forza e vigore di prima, senza trattenersi, senza più resistere al magone che gli attanagliava il cuore e le viscere. E così rimase, per diverso tempo, con Mikasa lo stringeva a sé, mentre uno ad uno anche tutti gli altri si univano di nuovo a lui, abbracciandolo ancora una volta.

La sua famiglia era lì. Erano tornati assieme. Tutti, senza eccezione.

Boruto affondò la faccia nella spalla di Mikasa, stringendola come se non volesse più mollarla. “D-Dio, quanto mi siete mancati…” esalò con dolore, tirando su col naso.

Sora lo guardò con un sorriso comprensivo. “Noi ti abbiamo creduto morto… ma sembra che anche tu abbia sofferto molto durante la missione, non è vero?” chiese sommessamente.

L’Uzumaki non rispose, limitandosi a restare immerso nelle braccia della sua ragazza e dei suoi amici.

Fino a quando, ancora una volta, non si decise a rialzarsi e riprendere un minimo di contegno.

Urahara lo guardò con incertezza. “Boruto… cosa è successo?” domandò alla fine, mettendogli le mani sulle spalle. “Come… Come hai fatto a sopravvivere? Come hai fatto a tornare indietro?”

Il Nukenin esitò, fissando il pavimento. Sentiva su di sé gli sguardi di tutti i presenti, anche senza vederli. Era ovvio che volessero sapere cosa gli era successo in questi anni di assenza. Ma la sua mente era insondabile, travolta dai ricordi incessanti di ciò che era successo, che aveva vissuto sulla sua stessa pelle. Uno ad uno, come un fiume in piena, i ricordi presero ad assalirgli la testa senza tregua, investendolo con una sensazione solenne e implacabile che gli fece raggelare il sangue.

L’incontro con i suoi familiari di sangue e con i parenti di Sarada… i loro innumerevoli viaggi alla ricerca dei manufatti… l’incontro con Eren e l’Eremita… le rivelazioni sul suo Jougan e sull’intuizione… il terrificante scontro col drago… l’addio a Sarada e i suoi compagni… il suo sacrificio… la comparsa di Hikari e Yami…

Ogni cosa. Vide ogni cosa. Vide e percepì tutto, ancora una volta, come se la sua mente stesse rivivendo quegli avvenimenti senza il suo corpo. Tutto ciò che era successo prima, ora non sembrava più solo un eco distante del passato. Sembrava concreto. Reale. Tangibile. Un ricordo presente. Un ricordo minaccioso e terribile che gli infestava il cuore. Un ricordo che, subito e all’improvviso, lo fece arrestare di colpo.

E quasi per magia, le parole che Momoshiki e Yami gli avevano rivolto in due diverse occasioni tornarono ancora una volta ad echeggiargli nella mente.

“Un giorno non molto lontano… quel tuo occhio azzurro ti porterà via tutto.”

E in quel momento, in quel terribile e solenne momento, senza che se ne rendesse conto, Boruto Uzumaki prese una delle decisioni più dure della sua vita.

Una decisione che, se avesse potuto prevedere il futuro, avrebbe certamente rimpianto per sempre.

“Quello che è successo… non ha importanza,” rispose.

Tutti quanti rimasero profondamente sconvolti all’udire ciò.

Urahara ammiccò, fissandolo con sgomento. “C-Come sarebbe?” esalò, confuso oltre ogni spiegazione.

Boruto lo guardò, tornando serio e freddo come al solito. “Mikasa ha ragione, sensei, il passato non conta più. Io… Io voglio concentrarmi sul futuro ora. Ripensare a ciò che è stato non mi ridarà ciò che ho perso. Ho quasi rischiato di perdere anche voi a causa della mia esitazione… e perciò… voglio agire prima che una cosa del genere possa succedere di nuovo. Basta pensare al passato. Pensiamo piuttosto al nostro futuro,” spiegò lentamente, assottigliando pericolosamente il suo occhio sinistro.

Nessuno fiatò dopo quella spiegazione. Nessuno osò proferire parola o contestare la sua decisione. Solo il silenzio tornò a regnare sovrano, mentre Mikasa, Sora e tutti gli altri fissavano con esitazione il volto tornato solenne e freddo del loro amico. Un volto che, a differenza delle altre volte in cui erano abituati a vederlo, adesso… apparve diverso. Diverso in maniera terribile. Anche se, per via delle circostanze in cui si trovavano, nessuno dei presenti osò dare voce a quel pensiero.

Perché, per la prima volta in tutta la loro vita, il volto freddo e solenne di Boruto dinanzi ai loro occhi apparve più crudele e spietato che mai.

“E che cosa faremo adesso?” domandò allora Annie, spezzando il silenzio che era calato. “Cosa vuoi che facciamo, Boruto?”

Il Nukenin si voltò verso di lei. “Quello che farò sarà ciò che ho detto poco fa dinanzi ai Kage,” ribatté semplicemente. “Agirò per portare una Pace duratura in tutto il mondo. Gli Otsutsuki sono un problema secondario. Per poterci preparare ad affrontarli, dobbiamo prima unire il mondo sotto un’unica Nazione. E per farlo, come ho già detto, dovrò assumermi le mie responsabilità una volta per tutte.”

Mikasa, Sora, Annie e i Kage presenti trattennero il fiato.

Boruto fissò i presenti con uno sguardo crudele e malsano. “Io distruggerò ogni persona o cosa che si opporrà alla Pace nel mondo,” dichiarò gelidamente, aprendo il suo Jougan. “Anche se, per farlo, dovrò diventare l’uomo più crudele sulla faccia della Terra.”

Haruko la Salamandra represse, con suo sommo stupore, un brivido di terrore dopo quella dichiarazione. Lanciò un’occhiata silenziosa all’Uzukage, al Kusokage, all’Otokage e al Yukage presenti accanto a lei, facendo un cenno impercettibile con la testa. Quelli ricambiarono il gesto senza farsi notare.

L’Amekage tornò a fissare il loro leader. “E noi? Che cosa dobbiamo fare noi?” chiese ancora una volta, cercando di essere più specifica.

La risposta dell’altro lasciò spiazzati tutti quanti.

“Nulla.”

I presenti sgranarono a dismisura gli occhi per lo sconvolgimento. “Cosa?”

Boruto li osservò con solennità. “Tutti voi, non dovrete fare nulla,” ripeté una seconda volta, senza esitare. “Sarò io ad occuparmi di tutto. Non c’è più bisogno che mi aiutiate come in passato. Se volete contribuire, allora vi chiedo solamente di restare fuori dai guai e di non coinvolgervi troppo. Quello che succederà adesso, non sarà piacevole.”

Kaya era allibita. “C-Che stai dicendo, Boruto?” chiese con stupore, incapace di esprimere lo stravolgimento che provava dentro. “Vorresti fare tutto da solo? Senza il nostro aiuto?”

Quello la guardò, sospirando e facendo un rassegnato cenno con la testa. “Esatto,” rispose subito.

“Sei impazzito? Non puoi fare una cosa del genere!” esclamò Shizuma.

“Finirai per lasciarci le penne!” disse anche Zeil Fumi, il Kusokage della Terra dell’Erba. Assieme a lui, anche molti altri presero a protestare dinanzi alla sua noncuranza su quella questione.

Boruto si limitò a sorridere, zittendoli con uno sguardo. “Avete visto tutti voi di cosa sono diventato capace. Poco fa, dinanzi agli occhi di tutto il mondo, io ho ucciso Gaara della Sabbia. Ho ucciso Kakashi Hatake della Foglia. Ho ucciso tutti i Kage che si opponevano a noi. E, in tutto questo, sono persino riuscito a sfuggire all’ira del Settimo Hokage,” spiegò lentamente. La sua voce non sembrava arrogante o sprezzante come al solito, ma bensì fredda e solenne. Imperiosa e inflessibile. Come se le sue parole non fossero una constatazione, ma una minaccia a tutti gli effetti. “Credete davvero che una persona come me potesse prendere una decisione del genere senza potersi assumere le sue inevitabili conseguenze?”

Annie guardò il suo allievo con incertezza. “Ma… Ma… noi abbiamo iniziato questa Rivoluzione tutti assieme!” protestò a sua volta.

Kairi annuì. “Annie ha ragione, Boruto. Come puoi pensare una cosa del genere?”

“Ci hai salvato solamente per dirci che adesso non ti serviamo più?” ruggì Gray, divenendo improvvisamente furioso.

“Credo che abbiate frainteso,” li calmò immediatamente Boruto, sollevando pigramente una mano. “Non sto affatto dicendo che siete inutili. Tutt’altro. Ma quello che ho deciso… lo sto facendo anche per voi.”

Tutti i presenti esitarono visibilmente all’udire ciò. L’emozione che era presente nel volto di Boruto era visibile per tutti, in fondo. Mikasa si avvicinò a lui, fissandolo con attenzione. “Spiegati, Boruto,” lo esortò con serietà.

Il Nukenin sospirò, facendo un grosso respiro prima di riprendere a parlare. “A causa della mia assenza… tutti voi avete rischiato di morire,” disse senza preamboli, fissando uno per uno i suoi amici e i Kara. “Per colpa della mia debolezza e della mia mancata previsione delle cose, voi siete stati messi in pericolo. Avete rischiato la pelle. Una cosa del genere… non deve mai più accadere,” sibilò a denti stretti, serrando furiosamente i pugni. “Per questo adesso agirò da solo. Non posso più permettere che i nostri nemici mettano in pericolo la vostra incolumità. Nel corso delle mie… esperienze passate, diciamo… ho ottenuto un Potere che va al di là di quello che potete immaginare. Grazie ad esso, sono diventato ancora più potente. Le uniche persone che potrebbero fermarmi ormai sono l’Hokage e Sasuke Uchiha. Il resto del mondo, per me, non è più un pericolo.”

Gli altri rimasero letteralmente a bocca aperta dopo quella sua dichiarazione. Erano sconvolti da ciò che stava dicendo. Ma soprattutto, erano sconvolti dal come lo stava dicendo. Sembrava così certo, così sicuro di star banalmente costatando un fatto che, ai suoi occhi, era quasi ovvio e scontato. Ma per loro non lo era, affatto. Certo, non potevano negare che fosse diventato potente. Avevano visto coi loro stessi occhi il modo in cui Boruto era effettivamente riuscito a sconfiggere ed eliminare Kakashi, Gaara e tutti i Ninja presenti al Summit. Aveva letteralmente raso al suolo tutti. Era diventato estremamente potente, e non potevano negarlo. Ma addirittura arrivare ad affermare di essere inarrestabile? Impareggiato? Intoccabile se non dall’Hokage e Sasuke Uchiha? Poteva davvero essere così? Possibile che il loro Boruto fosse diventato talmente potente e pericoloso?

Sora sembrò esitare. “N-Ne sei davvero-”

“Le mie parole non sono dettate dall’arroganza,” li incalzò il biondo. “Fidatevi. Ho combattuto contro un drago che era infinitamente più potente di me. So benissimo cosa si prova nel ritrovarsi dinanzi ad un avversario al di là della propria portata. Eppure, proprio come ho fatto su Eldia, nemmeno adesso voglio arrendermi.”

Lucy lo guardò con timore. “Boruto… cos’è cambiato in te?” domandò in tutta serietà.

“La Rivoluzione ha fallito,” rispose il biondo, sospirando. “Ecco cos’è cambiato. Non possiamo negarlo, visto che sin da quando me ne sono andato, ogni cosa è andata a rotoli. Per cui, fino a quando essa non riacquisirà ancora una volta il potere che aveva prima, io dovrò agire da solo. È l’unica opzione che abbiamo per sopravvivere. E poi…” esitò, interrompendosi di colpo.

Gli altri notarono immediatamente la sua esitazione. “E poi?” lo esortò Toneri, assottigliando gli occhi.

“…non voglio più mettervi in pericolo,” ammise a bassa voce Boruto, abbassando gli occhi a terra. Tutti gli altri addolcirono lo sguardo. “Q-Quando ho scoperto che stavate per essere giustiziati… ho avuto paura. La più grande paura che ho provato in tutta la mia vita. Io… Io non voglio perdervi. Non voglio che vi succeda qualcosa. Non più. Non riuscirei ad accettarlo. Io… se vi succedesse qualcosa, non riuscirei a sopravvivere,” ammise senza mezzi termini, serrando con impotenza i pugni. Li stava stringendo con così tanta forza da fargli tremare le braccia.

Mikasa gli si portò accanto, afferrandogli le mani tremanti tra le sue. “Ma… Boruto… una famiglia agisce insieme,” disse con tristezza e decisione tutt’assieme. “Non ricordi? Nel bene e nel male, nelle difficoltà e nella gioia, una famiglia resta sempre unita. È per questo che in passato siamo riusciti a compiere tutto ciò che abbiamo fatto.”

“Vorresti davvero dividerci in questo modo? Dopo tutto quello che abbiamo fatto insieme?” chiese anche Urahara, allibito.

Con loro sommo stupore, Boruto sorrise. Ma nessuno di loro provò sollievo dopo quel gesto. Perché il sorriso che aveva in volto adesso… non era il suo solito sorriso confidente. Era un sorriso triste. Spezzato. Infestato dal dubbio e dall’incertezza. Un sorriso di quelli che, in un modo o nell’altro, si sono già rassegnati a qualcosa.

“Quando ero sul tuo mondo, io ero da solo,” disse lentamente il guerriero. Fissava Mikasa negli occhi con uno sguardo esitante. “Certo, Sarada, Naruto e gli altri erano sempre con me; ma io mi sentivo comunque solo. Anche quando c’era tuo fratello. Per due mesi ho vissuto, lottato e agito senza qualcuno che mi riconducesse sulla retta via. E a causa di ciò mi sono perso innumerevoli volte, sono diventato irascibile e scontroso, e ho persino compiuto errori grossolani che non avevo mai commesso prima.”

Tutti lo ascoltarono col cuore in gola mentre rivelava una parte di ciò che aveva vissuto durante la sua assenza.

“Poi però, ho ricevuto la vostra lettera,” riprese a dire, senza mai smettere di fissare la nera. “La tua lettera, Mikasa. È stato grazie ad essa che sono riuscito ad andare avanti, e ad accettare di fare ciò che dovevo. E persino dopo, quando stavo per morire nello scontro, voi mi avete salvato ancora una volta. Per cui, sono pienamente consapevole di quanto voi siate la mia unica fonte di salvezza. La mia sola ed unica àncora di speranza in questo mondo crudele e oscuro…”

Boruto strinse le mani di Mikasa a sé, sollevandole e baciandole dolcemente le nocche. “…ma quello che succederà adesso… io devo farlo da solo. Non ho scelta. E poi, pur volendolo, voi non siete ancora nelle condizioni di unirvi a me.”

Mikasa abbassò lo sguardo all’udire ciò.

“Non sto dicendo che siete deboli o inferiori a me,” chiarificò immediatamente lui, fissando anche gli altri con dolore e rammarico. “Ma siete stati prigionieri per due anni! V-Vi hanno torturato! Vi hanno malnutrito! Io… Non posso farvi combattere in queste condizioni. Voglio che la vostra priorità, almeno per adesso, sia quella di rimettervi in forma. Tutti. Non vi permetterò di piombare in battaglia così, ridotti in queste condizioni.”

Sora si grattò inconsciamente un braccio, abbassando lo sguardo. “N-Non possiamo darti torto su questo,” ammise con tristezza.

“Abbiamo preso smalto,” dichiarò senza esitazione Shirou, senza mai alzarsi da terra. “Tutti,” aggiunse subito dopo, fissandoli uno per uno. E non stavano mentendo. I Kara… erano decisamente messi male rispetto al passato. Più magri, più fiacchi, e spezzati fin nel profondo. Non avrebbero certo potuto combattere in quelle condizioni. E anche Annie, Galatea, Lucy e Shizuma dovevano ammettere di essere decisamente arrugginiti dopo due anni interi di inattività.

Boruto annuì, rivolgendosi di nuovo a tutti. “Per questo voglio che vi riprendiate. Che vi alleniate. E che stiate bene,” dichiarò con emozione, sollevando il mento di Mikasa per fissarla negli occhi. “E allora, solo allora, vi permetterò di agire ancora una volta assieme a me. Non prima. Se dovessi chiudere un occhio su questo e vi succedesse qualcosa… io non ce la farei ad accettarlo. Mi capisci, Mika?”

Quella esitò, incapace di incontrare i suoi occhi eterocromi. Poi, alla fine, annuì a testa bassa. “S-Sì, lo capisco.”

Il giovane guerriero sospirò con sollievo, abbozzando un sorriso. “L’Occhio della Tempesta è l’unica dimensione sicura che ci è rimasta,” spiegò allora con serietà. “L’Astro Celeste… purtroppo è andato perduto. E con esso, anche le risorse che possedevamo laggiù. Ma questa dimensione è sicura, e me ne sono accertato personalmente una volta tornato. Per questo voglio che restiate qui fintanto che le vostre forze non saranno tornate. Il castello è abbastanza ampio per ospitare tutti, ed è pieno di stanze per allenamenti, sale da ricerca e zone dove potrete riposare. Ma non voglio forzare le cose. Non so quanto tempo potrebbe volerci prima che torniate al massimo delle vostre abilità. Sarete liberi di allenarvi tra di voi come e quanto vi aggrada, e farò in modo che Annie-sensei si accerti della vostra salute e della vostra ripresa,” disse loro, rivolgendosi ai Kara.

Shizuma aggrottò le sopracciglia. “Ma come faremo ad andarcene da questa dimensione?” domandò con il solito sospetto tipico del suo carattere.

“I nostri anelli sono stati distrutti quando l’Hokage ci ha condotto a Konoha,” disse anche Sora. “Senza di essi, non saremo più in grado di teletrasportarci dentro o fuori da qui. Solo i quattro anelli dell’Akatsuki che avevamo recuperato sono rimasti, ma sono ancora nella Foglia.”

Boruto serrò inconsciamente i denti. In effetti questa cosa era frustrante. Era stato un vero peccato aver perso Zero, Bianco, Blu e Rosso per colpa dell’uomo che un tempo aveva chiamato padre. Non c’erano dubbi sul fatto che l’Hokage avesse preso quegli anelli, nascondendoli nella Foglia. Senza di essi, la cattura dei Bijuu (Demoni codati) rimasti sarebbe stata molto più ardua. Ma non era ancora finita. “Avevo nascosto in questa dimensione uno dei dieci anelli, prima di finire su Eldia,” disse Boruto, alzando la mano per rivelare Sud, l’anello di Kisame, sul suo anulare sinistro. “Grazie ad esso, potremmo essere in grado di ricostruire altri anelli simili, uno per ciascuno di voi. Kumo, Mitsuki, pensate di poterci riuscire?”

I due si scambiarono una lunga occhiata, comunicando con lo sguardo. “È possibile. Ma per farlo dovrai darcelo per un po' di tempo,” dichiarò Mitsuki.

“Servirà anche un laboratorio,” gracchiò Kumo, la sua voce roca per il disuso. “Questa dimensione ne è provvista? Quando l’abbiamo progettata assieme a te non c’era.”

Boruto fece un rapido cenno col capo, offrendo al Ragno della Sabbia il suo anello. “I sotterranei del Castello sono stati appena adibiti per questo, anche se finora nessuno li ha mai toccati. Dovreste trovare tutto ciò di cui avete bisogno laggiù. Poi, col dovuto tempo, lo amplieremo per attuare anche le ricerche e i progetti che abbiamo lasciato in sospeso sulla Luna. Conto anche su di te per questo, Toneri.”

L’Otsutsuki pallido sfoggiò un sorrisetto saccente. “Sarà fatto,” si limitò a dire.

“E noi?” s’intromise con prepotenza Haruko. “Noi Kage cosa dovremmo fare? Non possiamo certo restare qui.”

Il Nukenin la guardò con solennità. “Certo che no,” rispose senza problemi. “Grazie alle nuove abilità del mio Jougan, appena sarete pronti vi ricondurrò nei vostri Paesi in un batter d’occhio. Come potete immaginare, adesso le cose sulla Terra si complicheranno notevolmente. Con la recente morte degli esponenti più importanti delle Nazioni Alleate, il caos si sarà già propagato ovunque ormai. Il vostro compito sarà quello di mantenere la calma nelle vostre Nazioni, ed incitare la popolazione ad unirsi alla nostra causa. Al resto, almeno per il momento, ci penserò io. Siete tutti d’accordo?”

Uto, l’Otokage del Suono, sospirò. “Sai bene che lo siamo. Non ci saremmo uniti alla Rivoluzione se così non fosse,” ribatté sarcasticamente.

Kaya annuì, portandosi vicino a sua figlia e mettendole una mano sulla spalla. “Siamo tutti sulla stessa barca, anche se saremo distanti.” disse, guardando Kairi con un sorriso speranzoso. La rossa ricambiò a sua volta il gesto con un’espressione luminosa.

Boruto le osservò con compassione, scoccando anche un’occhiata furba a Jin. “Non temete, farò in modo che possiate venire qui ogni volta che vorrete. Grazie al mio occhio, da adesso sarò in grado di raggiungervi in qualsiasi momento, e in qualsiasi luogo vi troviate,” giurò, cercando di tranquillizzarle. Sapeva che madre e figlia avevano il diritto di restare assieme, soprattutto adesso che si erano finalmente riunite. Non voleva rovinare quel momento proprio ora.

I presenti si scambiarono cenni e mormorii di assenso dopo le parole rassicuranti del loro leader.

“C’è una cosa che non mi convince, però,” disse improvvisamente il Yukage. Tutti si voltarono verso di lui, fissandolo con attenzione. Zeil Fumi guardò Boruto con un cipiglio. “Sapevamo che avevi in mente qualcosa di grosso, ma perché hai voluto distruggere completamente tutto il Summit, Boruto? Perché uccidere tutti quegli innocenti? E soprattutto, perché non ci hai detto subito chi eri, invece di ingannarci con quell’identità fasulla che ti si creato?” domandò solennemente, col tono serio.

“Anche a me farebbe piacere saperlo,” aggiunse Annie, mostrandosi giunto un pochino irritata al ricordo di come il suo ex allievo l’aveva trattata sotto ai panni di Saigo.

Il biondo li guardò con un sorriso. Un inquietante sorriso indecifrabile. “Perché non avevo scelta, sensei. Se qualcuno di voi avesse scoperto chi ero prima di oggi, le voci si sarebbero inevitabilmente sparse. Dovevo essere estremamente prudente. E poi, fingere di essere uno sconosciuto è stato un incentivo per spingervi a lavorare di nuovo assieme anche senza di me, non trovate?”

Annie sentì le sue guance avvampare di calore per l’imbarazzo, limitandosi a mettere uno strano broncio simile ad un cipiglio.

Poi, Boruto spostò la sua attenzione sul Yukage. “E per quanto riguarda le mie azioni, credo che lei possa arrivarci anche da solo a questo punto, Yukage,” disse con assoluta serietà. “Rifletteteci: il Kazekage aveva screditato tutti noi. La Rivoluzione ha perso credito e fiducia. La nostra fazione è stata completamente distrutta, e quelli che ancora ci sostengono in segreto sono impotenti contro l’opinione pubblica. In una situazione simile, era inevitabile che la Rivoluzione si estinguesse per sempre. Dopo il nostro fallimento… era quasi scontato, in un certo senso. Lo sapevano i nostri nemici, e lo sapevate anche voi.”

Tutti i presenti esitarono, abbassando impotentemente la testa.

Boruto sorrise, la sua espressione un miscuglio di emozioni sempre più difficili da decifrare. “Per questo ho dovuto distruggere il Summit e uccidere tutti. Nello stato in cui ci troviamo, il mondo non ci prenderà mai sul serio. Ma adesso, adesso hanno visto di cosa sono capace. Hanno visto quanto sono determinato e quello che sono in grado di causare col mio potere. La gente comune, i criminali e i reietti, le persone povere e senza speranza… hanno visto che non è ancora finita. Hanno visto che non siamo morti, e che c’è ancora speranza. Hanno visto che sono disposto a tutto pur di dare credito alla nostra causa. E questo, amici miei, è quello che importa. Quello che è successo oggi darà loro la speranza che avevano perso. Darà loro un nuovo motivo per combattere, per unirsi a noi, per scommettere in noi,” dichiarò solennemente, fissandoli uno per uno con uno sguardo emotivo. E, nei recessi della loro mente, Mikasa, Annie, Urahara e tutti gli altri dovettero ammettere che il suo ragionamento aveva una certa logica. Aveva credito, da questo punto di vista.

Poi, di colpo, il giovane sospirò, tornando a essere serio e conciso come prima. “Se non avessi rischiato tanto, il mondo non mi avrebbe mai preso sul serio,” concluse alla fine, la sua espressione incerta. “Per questo… ho dovuto fare ciò che ho fatto. Anche se ne ho sofferto in prima persona.”

Il Yukage esitò vedendo il palese dolore e il rammarico che Boruto stava provando, prima di esalare un lungo e sommesso respiro. “Capisco,” disse dopo un po' di silenzio. “Allora… forse non c’era davvero altra scelta.”

Boruto annuì, lento e solenne. “Non abbiamo più la libertà di scegliere, Yukage. E sarà così fino a quando la Guerra non sarà vinta,” riprese a dire subito dopo. “Ormai non possiamo più permetterci di esitare. Adesso che la Quinta Guerra Mondiale è ufficialmente iniziata, non potremo più agire con leggerezza come abbiamo fatto prima. Come ho già detto durante il Summit… da oggi in poi, per riuscire a portare avanti la nostra causa, io stesso dovrò ricorrere a misure drastiche.”

Udendo ciò, Mikasa e Sora sgranarono gli occhi. Accanto a loro, anche Urahara, Toneri, e tutti gli altri presenti sentirono le loro bocche spalancarsi e i loro cuori riempirsi di timore e sconforto.

Boruto fece un sorriso triste e infestato, i suoi occhi eterocromi che brillavano di rassegnazione.

“Anche se, per farlo, dovrò diventare un mostro,” aggiunse alla fine.
 


02 Ottobre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Ospedale
12:30

Quando i sensi iniziarono a tornare sotto al suo controllo, la prima cosa che notò era quell’odore particolare.

Sarada conosceva fin troppo bene quell’odore. Era il tanfo acuto e pungente dell’antisettico, quello che si usava solitamente negli ospedali. Quindi, la sua mente assonnata non ci mise molto a dedurre dove si trovava in quel momento, nonostante la nebbia della fatica che ancora le ottenebrava la testa. Con un gemito sommesso, la corvina si costrinse a riaprire gli occhi, ammiccando diverse volte per adattare la vista alla luce che inondava la stanza. Era bianca e intensa, e per poco non la fece lacrimare.

“Si sta svegliando,” fece una voce alla sua sinistra.

“Fatemi passare!”

Inconsciamente, le sue labbra si incurvarono in un sorriso appena udirono la voce acuta di sua madre. Le bastò voltare leggermente la testa per essere ricompensata dalla vista di Sakura che incombeva su di lei, il suo volto pieno di preoccupazione materna e i suoi occhi verdi luccicanti di lacrime. Sarada le rivolse un lieve sorriso per rassicurarla, senza parole, e il volto della donna sembrò illuminarsi. Cavolo, quanto aveva sentito la sua mancanza. Sakura tirò su col naso e sorrise a sua volta. “Ehi,” le disse dolcemente, allungando una mano per accarezzarle una guancia. “Come ti senti?”

Sarada ammiccò. Quella era una bella domanda. Era difficile descrivere come si sentiva in quel momento. Il suo corpo era affaticato, ma non provava dolore. Il vero dolore era quello che stava provando dentro. Il dolore che le stava straziando il cuore. “Sto bene, sono solo stanca,” gracchiò alla fine, la sua voce roca e la sua bocca secca. Sentì la lingua screpolata mentre parlava.

Sua madre sembrò comprendere subito di cosa avesse bisogno. Fece un cenno con la mano verso le sue spalle, e dopo un paio di secondi Himawari apparve dietro di lei, reggendo in mano un bicchiere di plastica. Sarada la guardò, stupita dalla sua presenza, notando fin troppo bene le borse scure che erano presenti sotto ai suoi occhi arrossati. Sembrava quasi come se la ragazza avesse pianto fino a pochi minuti fa. I suoi occhi azzurri erano tinti da vene rosse lungo i bordi. Sakura le prese il bicchiere dalla mano le glielo porse vicino alle labbra, aiutandola a bere.

Chiuse gli occhi con pesantezza. Sarada sospirò di sollievo mentre il liquido fresco le scorreva lungo la gola e le alleviava il disagio. Dopo che ebbe bevuto, la ragazza si sentì immediatamente meglio. “Grazie,” disse, rivolgendosi a sua madre.

Sakura sorrise debolmente, alzandosi dal bordo del letto. Appena si fu spostata, Sarada non mancò di notare la presenza di altre persone nella stanza, tutte radunate attorno al suo letto d’ospedale. Alcune di loro, doveva ammetterlo, se le aspettava. Ma le altre la stupirono non poco.

Himawari l’aveva già vista, ma non si aspettava di trovare lì anche Hinata-sama e Naruto-sama assieme a lei. Inoltre, Shikamaru, Temari e Shikadai erano presenti a loro volta, tutti e tre con un’espressione pesante e oscura nei loro volti.

La giovane Uchiha ammiccò confusamente. Si mise lentamente a sedere sul suo letto. “Che cosa è successo?” domandò, facendo infine la fatidica domanda.

Sua madre e gli altri abbassarono lo sguardo, visibilmente esitanti. Naruto, più di tutti, sembrò appassire all’udire la sua domanda. Tuttavia, anche se la pesantezza e il rammarico erano quasi tangibili in tutta la stanza, Shikamaru sospirò e prese coraggio, iniziando a raccontarle nel dettaglio quello che era successo.

“Boruto è tornato,” disse gelidamente dopo che ebbe raccontato tutto, senza mezzi termini. “E ha attaccato e raso al suolo ogni cosa che si trovava al Summit Mondiale. Ha ucciso migliaia di persone, e ferito innumerevoli altre. Tra i morti… ci sono quasi tutti i Kage che erano alleati con noi. E tra essi… anche Gaara e Kakashi.”

Sarada sentì il suo cuore arrestarsi prepotentemente all’udire quella dichiarazione. L’aria che aveva nei polmoni le uscì fuori di colpo.

Sua madre si sedette accanto a lei, prendendole dolcemente una mano tra le sue. “Quasi tutti quelli che erano presenti sono morti,” sussurrò con amarezza, fissandola con due occhi pieni di lacrime. “T-Tesoro, tu sei una dei pochi superstiti.”

“Ti abbiamo trovata sepolta sotto ai resti della Fortezza. Per fortuna, una trave portante ti ha protetta dal crollo dell’edificio, lasciandoti per lo più illesa, ma hai comunque rischiato molto. Saresti potuta morire asfissiata. Gli altri della Sicurezza e la maggior parte dei presenti… non sono stati così fortunati,” spiegò Shikamaru, portandosi vicino alla finestra alla destra della stanza.

Le mani della giovane iniziarono a tremare inconsciamente. Sarada abbassò la testa, fissandosi le gambe con gli occhi sgranati e privi di emozione. “Q-Quindi lo ha fatto davvero,” esalò a bassa voce, sorprendendo tutti i presenti. “Ha davvero… r-raso al suolo ogni cosa…”

Sua madre e Naruto si scambiarono un’occhiata silenziosa udendola parlare in quel modo. Shikamaru si voltò di nuovo verso di lei. “Sapevi già che Boruto era vivo,” dedusse immediatamente, assottigliando gli occhi. Data la sua reazione, non poteva che essere così. “Puoi spiegarci come facevi a saperlo?”

Sarada deglutì, sentendo la sua gola seccarsi una seconda volta. Sakura le porse di nuovo un bicchiere d’acqua, aiutandola a bere come aveva fatto prima. Quando ebbe finito, esalando un respiro tremante, la corvina prese coraggio e iniziò a raccontare a tutti i presenti com’erano andati i fatti prima che perdesse i sensi.

Raccontò tutto. Il suo incontro con Deku, la rivelazione di Boruto, la loro discussione durante il Summit, le sue parole, il suo atteggiamento inaspettato, e infine ciò che aveva detto alla fine, decidendo di opporsi ancora una volta al mondo. Raccontò ogni cosa, per filo e per segno, senza tralasciare niente, fidandosi dei suoi ricordi e ignorando l’opprimente magone disperato che stava lentamente rischiando di uscire fuori mano a mano che parlava. Poi, una volta che ebbe detto tutto ciò che ricordava, il suo respiro si fece più irregolare, rabbrividendo mentre prendeva avidi bocconi d’aria. La stanza piombò nel silenzio più assoluto non appena ebbe finito di raccontare.

Vedendo la sua situazione, Sakura le mise immediatamente le mani sul petto, infondendole di energia calmante. Le sue dita brillarono di luce verde, e il chakra l’aiutò a placare le sue viscere in agitazione. “I-Io… non potevo fermarlo,” esalò ancora una volta lei, cercando di calmarsi. “S-Se lo avessi fatto, se avessi dato l’allarme, avrebbe fatto esplodere la Fortezza. L-Lui… Lui era-”

“Tranquilla, Sarada, lo sappiamo,” la rassicurò lentamente il Settimo Hokage, la sua testa bassa. “Non è stata colpa tua, lo sappiamo.”

La corvina si voltò lentamente verso di lui, fissando il suo volto pallido e pieno di dolore. “P-Perché? Perché non l’ha fermato, Hokage-sama?” domandò disperatamente, il suo magone sempre più prossimo ad esplodere.

Naruto sembrò appassire ancora di più. Hinata si portò accanto a lui e lo abbracciò con dolore, trattenendo a stento le sue stesse lacrime “…mi ha teso una trappola,” spiegò lui con rammarico. “Ha usato un Ninjutsu Spazio-Temporale per intrappolarmi sulla Luna. Se non fosse stato per un passaggio segreto tra le dimensioni che io e Sasuke conoscevamo, probabilmente in questo momento sarei ancora lassù, intrappolato e incapace di tornare sulla Terra.”

Sarada trattenne il fiato.

“Boruto ci ha letteralmente annientati,” dichiarò anche Shikadai subito dopo, a testa bassa. “Ha previsto ogni nostra mossa ed è riuscito ad anticiparci sotto ogni punto di vista. Ha liberato i Kara. Ha distrutto il Summit. Ha ucciso mio zio, Shinki e il Sesto Hokage senza nessun ritegno… ed è più intenzionato che mai a portare avanti la sua Rivoluzione. Vuole… Vuole unire tutto il mondo sotto al suo comando, con la forza.”

“E lo ha fatto in diretta mondiale,” aggiunse con freddezza Temari, il suo volto furioso. Non avrebbe mai potuto perdonare quel criminale per aver ucciso suo fratello e suo nipote. “Sai cosa significa questo, Sarada?”

La corvina serrò i pugni con forza, senza rispondere.

“…il mondo è piombato nel caos,” disse lentamente Shikamaru, fissando l’esterno dalla finestra. “Le Nazioni senza Kage si stanno sgretolando dall’interno. La Tsuchikage e la Mizukage sono tornate nei loro Paesi per riprendere le redini della situazione, ma la popolazione si sta ribellando sempre più. I Ribelli stanno rifomentando ancora una volta gli scontri. Coloro che sostengono la Rivoluzione stanno riacquisendo sempre più consenso e potere. Ciò che avevamo sperato, una seconda possibilità di unire il mondo, ormai sembra irrealizzabile.”

Naruto annuì, lento e solenne. “La Quinta Guerra Mondiale… è iniziata,” esalò, col cuore in gola.

Sarada non disse nulla, senza nemmeno alzare la testa. La sua mente era bianca, vuota, incapace di ragionare. L’opprimente sensazione di angoscia che le stringeva il cuore stava aumentando sempre più. Il suo respiro era pesante, la sua vista confusa. Non riuscì nemmeno a sentire la mano di Sakura che le stringeva dolcemente una spalla per tentare di confortarla. Non voleva crederci. Non riusciva a crederci. Non poteva essere vero. Tutto questo… era solo un sogno. Un brutto sogno. Un incubo da cui si sarebbe risvegliata presto. Oh, quanto avrebbe desiderato che fosse solo un incubo.

Ma questa era la realtà. E la realtà, con suo sommo dolore, era sempre crudele e spietata.

Boruto era tornato. Era tornato. Era in qualche modo riuscito a sopravvivere alla Battaglia di Eldia, e adesso era di nuovo qui. Furioso, imbestialito, e desideroso di vendetta. Talmente tanto da aver annientato quasi tutti i Kage, ucciso migliaia di persone in un colpo solo, e sfidato il mondo intero con una nuova Guerra. Mai, ma proprio mai, lei si sarebbe aspettata che una cosa del genere potesse succedere davvero. Era stato imprevedibile. Impensabile. Un’eventualità a cui nessuno era preparato, a cui nessuno aveva pensato. Per questo non erano stati in grado di fermarlo. Perché nessuno aveva mai pensato che Boruto potesse essere ancora vivo dopo tutto questo tempo. E lui, Boruto, lo sapeva. Lo sapeva, e aveva usato questa cosa a sua vantaggio. Si era tenuto nascosto proprio per questo. Per coglierli impreparati. Per cogliergli alla sprovvista. Per colpirli mortalmente quando meno se lo aspettavano.

Il suo vecchio amico… si stava rivelando lo stesso astuto calcolatore di un tempo.

E adesso, in quella terribile situazione, Sarada desiderò ardentemente che suo padre potesse essere qui. Più di quanto avesse mai sperato prima di quel giorno.

Ma Sasuke Uchiha non c'era. E nessuno poteva dire quando sarebbe tornato.

“S-Sarada,” la voce emotiva e piena di dolore di Hinata bastò a riscuotere la ragazza dal suo muto sconvolgimento. Sarada alzò lo sguardo su di lei, incrociando quegli occhi pallidi e privi di pupille pieni di lacrime. “Avevi detto… che Boruto era morto. Che si era sacrificato per salvare Eldia e il nostro mondo. Pensi… Pensi di poter capire come ha fatto a sopravvivere?” chiese debolmente la Hyuuga, incapace di dire altro.

Gli occhi di tutti erano puntati intensamente su di lei. La ragazza non si stupì. Era normale, era scontato. Tra tutti, soltanto lei sapeva com’erano andate le cose su Eldia. Naruto e Hinata, così come anche sua madre e suo padre, non avevano più ricordi di quegli eventi. Solo lei poteva, a rigore di logica, rispondere a quella domanda.

L’Uchiha esitò, prima di scuotere la testa. “L’ho visto scomparire coi miei stessi occhi,” esalò, affranta. “Ma non ho idea di come abbia fatto a tornare. Non… Non ho avuto modo di capirlo. E lui non me l’ha detto quando gliel’ho chiesto, durante il Summit.”

Shikamaru sospirò, grattandosi la testa. “Come sia sopravvissuto non è importante. Ciò che conta è trovare una soluzione. Dobbiamo contrastarlo. Di questo passo, la Rivoluzione tornerà al suo vecchio potere. Il mondo si sta dividendo ancora una volta,” disse con evidente frustrazione, tirando fuori una sigaretta. Poi si ricordò che era vietato fumare in ospedale, e la mise da parte con un’imprecazione.

Temari annuì. “Dobbiamo fermarlo, a tutti i costi,” concordò senza battere ciglio. Scoccò un’occhiata solenne all’uomo alla sua destra. “Spero che tu ne sia consapevole, Naruto.”

Le spalle del Settimo crollarono verso il basso, visibilmente sconfortato da quella situazione. Sarada lo guardò con dolore e compassione. Poteva capire appieno come si sentiva il suo idolo. Naruto e Hinata avevano sofferto moltissimo a causa della morte del loro figlio primogenito. E adesso che era tornato… si era rivelato ancora più crudele e distorto di prima. Era diventato qualcosa – qualcosa, non qualcuno – che nessuno sembrava più riuscire a comprendere. E questo… questo la spaventava. Sarada non voleva ammetterlo, ma sapeva che era vero. Aveva paura. Aveva paura di ciò che il suo vecchio amico era diventato. Aveva paura di ciò che voleva fare, di ciò che era disposto a compiere pur di vincere. Anche se non riusciva a realizzarlo appieno.

Gli occhi di Sarada iniziarono a lacrimare da soli. Non riusciva a comprendere. Perché Boruto aveva deciso di intraprendere questa strada? Perché aveva deciso di uccidere così tante persone? Perché? Perché? Lei non poteva capirlo. Non riusciva a capirlo. Era… era come se dopo essersi sacrificato, il suo Boruto fosse cambiato in peggio. Era quasi come se tutta la loro avventura su Eldia, i loro momenti passati assieme, il loro riavvicinamento, le loro parole… non contassero più niente. Come se non fossero mai successi. E questo la spaventava.

Perché, che lo volesse ammettere o meno, adesso non aveva più idea di cosa fosse diventato il suo amico.

“Io e te… siamo uguali.”

Eppure, dentro al suo cuore, qualcosa le diceva che non era proprio così. Che c’era ancora speranza. Boruto era cambiato, non poteva negarlo, ma non era ancora caduto troppo a fondo nell’oscurità. Non era diventato un semplice mostro. Non era impazzito come le sue azioni facevano credere. Lei lo sapeva. Lo sapeva perché lo aveva visto, come sempre, d’altronde. Lo aveva visto già in passato, e lo aveva visto di nuovo adesso. Boruto stava soffrendo. Stava soffrendo atrocemente, dietro quella maschera che si era costruito. Aveva pianto. Aveva pianto dinanzi a lei. Aveva ammesso di essersi sbagliato, di non essere diverso da tutti loro.

Ma allora, perché?

“Io e te… siamo uguali.”

“Penso che il me attuale… possa riuscire a capirlo, finalmente.”

Sarada si riscosse di colpo. “Non è troppo tardi,” disse.

Naruto, Hinata, e tutti gli altri si voltarono verso di lei, guardandola con attenzione e confusione mischiate assieme. Himawari le rivolse uno sguardo inquisitorio. “Che cosa vuoi dire?” domandò, incapace di comprendere.

L’Uchiha sentì i suoi lineamenti indurirsi e farsi rigidi. “Non è ancora troppo tardi,” ripeté, stavolta con più enfasi. “So che può sembrare strano da parte mia, ma so per certo che Boruto non è un mostro come voi tutti pensate. Lui… c’è ancora del buono in lui.”

Sakura la guardò con rammarico, stringendole una mano tra le sue. “Sarada, tesoro. Boruto ha ucciso migliaia di persone. L’ho visto in diretta, in televisione. Ha ucciso il mio maestro,” disse, e non riuscì a trattenere una nota di risentimento e – lo notarono tutti – odio nei confronti del figlio di Naruto. Quest’ultimo abbassò vergognosamente la testa e scoppiò in lacrime dopo quelle parole, incapace di reagire o parlare.

Sarada deglutì il nodo che le stringeva la gola. “L-Lo so,” ammise, rammaricata. “Ma quando eravamo su Eldia… io ho visto la sua sofferenza. Ho visto quanto il suo cuore fosse straziato dall’odio e dall’amore che prova nei confronti dei suoi genitori.” Hinata e Naruto si rizzarono inconsciamente a quelle parole. Sarada si rivolse direttamente a loro a quel punto. “Che se ne renda conto o meno, Boruto ha ancora del bene in lui. In fondo al suo cuore, lui vorrebbe tornare ad amarvi. Ma non ci riesce, perché ha paura di farlo. Perché ha paura… di essere rifiutato ancora una volta dagli altri.”

L’Hokage e sua moglie si fissarono a vicenda, una miriade di emozioni contrastanti che danzavano nei loro occhi acquosi. Piccole lacrime di dolore iniziarono a colare lungo le loro guance. Accanto a loro, più in disparte, Himawari serrò prepotentemente i pugni.

“Questo non spiega la sua folle brama omicida,” ribatté Shikamaru, cercando di non essere indiscreto. “Avrà anche un po' di umanità dentro di lui, ma le sue azioni sono comunque imperdonabili. Ha ucciso Gaara e Kakashi. Ha ucciso Shinki. E ha persino tentato di uccidere mia moglie. Mi perdonerai se trovo difficile credere ad una supposizione del genere.”

Sarada annuì, senza però cedere. “Non è una supposizione, io so che c’è del buono in lui,” disse con assoluta convinzione. “Prima del suo assalto, mentre parlava con me… io l’ho visto combattere con sé stesso. Era combattuto. Dentro di lui, il suo cuore sapeva di non voler fare ciò che doveva fare.”

“Ma l’ha comunque fatto,” disse Shikadai.

“Sì, lo ha fatto,” concesse Sarada. “E niente e nessuno può giustificarlo per questo. Però, la prova che c’è del bene in lui possiamo vederla tutti. Ed essa è nella sua Volontà di Fuoco.”

Tutti i presenti rimasero confusi all’udire quella dichiarazione. “La sua cosa?” chiese Naruto, ammiccando come un idiota.

La corvina sorrise debolmente. “La sua Volontà di Fuoco. O meglio, il drago che ha usato per distruggere il Summit,” rettificò immediatamente. Vedendo le espressioni allibite degli altri, Sarada sospirò e si decise a spiegare quanto sapeva. “Boruto ha appreso quell’abilità mentre eravamo su Eldia. È grazie ad essa che è riuscito a sopraffare il drago che stavamo combattendo. Ma per utilizzarla, l’Eremita delle Sei vie ci ha spiegato chiaramente che era necessaria una condizione: essere consapevoli di sé. Essere pienamente coscienti di ciò che si è dentro. Il drago che ha usato in battaglia… è la manifestazione fisica e tangibile della sua anima. Grazie ad essa, ha ottenuto un potere che va al di là della nostra comprensione. Ormai, nessun Ninja potrebbe fermarlo. Solo lei, Hokage-sama, potrebbe tenergli testa. E forse anche mio padre.”

“E cosa c’entra questo con il fatto che c’è del buono in lui?” domandò Himawari, non capendo dove voleva andare a parare con quel discorso.

Sarada fece un cenno col capo. “Boruto è riuscito a distruggere il Summit e ad uccidere tutte quelle persone solo perché sa di perseguire il bene,” disse seriamente. “Ne è convinto, più che mai. Se fosse stato solamente crudele e malvagio, o anche se fosse semplicemente impazzito, non sarebbe stato possibile per lui attivare il Potere che ha ottenuto. Di questo ne sono certa, dato che ce l’ha detto l’Eremita.”

Naruto, Hinata, Himawari e tutti gli altri sgranarono gli occhi.

Sarada si fissò le mani, serrando i pugni con decisione. “Boruto sta cercando di portare la Pace,” dichiarò a bassa voce. “In un modo distorto e malsano, ma ci sta provando davvero. È convinto che la sua soluzione sia l’unica che possa unire il mondo e portarlo ad una pace duratura. E dentro di me, anche se faccio fatica ad ammetterlo, devo dire che la sua idea mi pare abbia un minimo di merito. Dico questo perché, che ci piaccia o meno, le sue azioni hanno comunque cambiato drasticamente il nostro pianeta.”

Naruto sgranò gli occhi all’udire ciò, il suo volto che s’illuminava sempre più mano a mano che ascoltava quelle parole. “La gente crede in lui,” realizzò a sua volta con stupore. “Se fosse solo un pazzo, non avrebbe mai ottenuto il consenso di molti. Non avrebbe mai ottenuto la fiducia dei suoi amici.”

La corvina annuì. “Esatto.”

Il Settimo e sua moglie si scambiarono un’occhiata sollevata. Tuttavia, non tutti erano convinti da quel ragionamento. “Sia come sia, non possiamo certo lasciare che continui ad agire indisturbato,” dichiarò immediatamente Shikamaru, serio e severo. Tutti si voltarono verso di lui, osservando quei suoi occhi sottili e pieni di fredda severità. “Che abbia buone intenzioni o meno, i suoi metodi non sono accettabili. Ben intenzionato o no, Boruto deve pagare per ciò che ha fatto. E deve pagare anche per tutte le vite che si è preso, in un modo o nell’altro.”

Le parole del Nara fecero il loro effetto. Sarada e tutti gli altri si fecero di nuovo seri e solenni.

Shikamaru guardò l’Hokage con serietà. “Non è forse così, Naruto?”

Il Settimo esitò, abbassando lo sguardo per diversi secondi. Poi però chiuse gli occhi con pesantezza, sospirando amaramente mentre tutti lo osservavano. “Sì,” ammise alla fine, pieno di rammarico. “Io… Nemmeno io posso giustificare quello che ha fatto. Ma se c’è davvero del bene dentro di lui, allora è nostro dovere fermarlo e fare in modo che risponda alla giustizia. Soprattutto adesso, con la minaccia degli Otsutsuki che incombe su di noi. Boruto… deve essere fermato. Ad ogni costo.”

Sarada, Himawari, Hinata, Sakura, Temari e Shikadai annuirono, i loro volti decisi e determinati come non mai.

Non avevano scelta. Ne andava del bene del loro mondo. Dovevano farlo. Per Gaara. Per Kakashi. Per tutti coloro che Boruto aveva ucciso, oggi come ieri. Per tutte quelle persone che non avevano avuto modo di ribellarsi al suo sistema. Nel loro nome, e in nome della Pace per il pianeta, la Foglia e tutti loro avevano il dovere di fermarlo una volta per tutte.

Boruto Uzumaki doveva essere fermato.

Shikadai guardò suo padre con decisione. “Dobbiamo combatterlo,” dichiarò.

Tutti i presenti, più o meno decisi, annuirono solennemente. La decisione era presa.

Non si poteva più tornare indietro.

“Un momento!” esclamò all’improvviso Sarada, riscuotendosi di colpo come se si fosse ricordata di una cosa importantissima. Il suo corpo stava letteralmente vibrando.

Sakura le si portò accanto in un batter d’occhio, il suo volto pieno di preoccupazione. “Cosa c’è, Sarada? Che ti succede? Ti senti bene?” domandò freneticamente, tesa e nervosa per la salute di sua figlia.

L’Uchiha fece guizzare i suoi occhi verso Shikamaru. “I-Il bambino!” esclamò, completamente impanicata. “Il bambino che era assieme a me nel sotterraneo della Fortezza! Cosa gli è successo? È riuscito a sopravvivere anche lui? Sta bene?”

Shikamaru esitò, scambiando un’occhiata incerta con suo figlio. Poi posò di nuovo gli occhi su di lei, guardandola con serietà. “Mi dispiace dirtelo, ma quando ti abbiamo tirata fuori dalle macerie non abbiamo trovato nessun altro,” iniziò a dire, mortalmente serio come non mai. “Sotto le macerie della fortezza abbiamo trovato diversi cadaveri. Ma non c’era nemmeno l’ombra di un bambino. Nel punto in cui ti trovavi tu, non c’era nessuno.”

E appena udì quella frase, all’improvviso, senza che ne riuscisse a capire il perché, il mondo attorno alla ragazza si arrestò di colpo come per magia. Ed una terribile sensazione di angoscia prese ad attanagliarle il cuore senza motivo.

Sarada sgranò gli occhi e trattenne pesantemente il fiato con orrore.

“Sarada, quando ti abbiamo trovata, non c’era nessun bambino assieme a te.”
 


02 Ottobre, 0021 AIT
Terra dell’Erba
Villaggio di Krest
15:00

Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu un soffitto di legno ammuffito.

Deku ammiccò, gemendo sommessamente mentre si stiracchiava. Doveva essere un sogno, dedusse con la sua mente assonnata, perché in tutta la sua vita non aveva mai dormito sotto ad un tetto di legno. Eppure, nonostante l’abbraccio del sonno fosse così piacevole, il suo corpo si risollevò con cautela dal letto, mettendosi a sedere e stropicciandosi un occhio per il sonno. Per qualche motivo infatti, la sua mente non aveva sonno. Era pronto a giurare che ci fosse qualcosa che non andava, ma non sapeva cosa. Trattenendo uno sbadiglio, lasciò che la sua vista si abituasse alla luce prima di lanciare uno sguardo attorno a sé, osservando pigramente tutto ciò che lo circondava.

E poi, appena riprese a ragionare lucidamente, il bambino si bloccò.

Si trovava all’interno di quella che doveva essere una stanza sconosciuta. Le pareti e il soffitto erano di legno intagliato, probabilmente abete, mentre la camera era pressoché vuota, allestita poveramente con pochissime cose. Un armadio di quercia, un piccolo tavolino spoglio ed una poltroncina soffice accanto ad esso. Due soffici lettini erano messi in fila alla sua sinistra, illuminati dalla tenue luce di una piccola lampada accanto ad essi. Il suo letto invece si trovava sulla parete di destra, vicino ad una finestrella da cui filtrava un sottile raggio di luce, ma la finestra era troppo alta per riuscire a vedere cosa ci fosse all’esterno.

Sembrava un posticino tranquillo. Ma la cosa strana? Il piccolo bambino non aveva idea di dove si trovasse.

I suoi occhi guizzarono verso i letti accanto al suo, e non fecero fatica a riconoscerne gli occupanti. Uraraka e Trunks erano appisolati sotto le coperte, i loro volti posati entrambi in un’espressione di calma e pace mentre dormivano beatamente. Vedendoli in quello stato, Deku sentì un enorme senso di sollievo inondargli il cuore, lasciando che un sorriso gli incurvasse le labbra. Era stato così in pensiero per loro. Non li aveva più visti sin da quando… da quando…

…da quando aveva aiutato il signor Saigo.

Il sorriso scomparve dal suo volto. Deku aggrottò le sopracciglia, sollevandosi silenziosamente dal letto. Si guardò attorno con circospezione. Inconsciamente, iniziò a ragionare tra sé. Non aveva idea di dove fosse, e non sapeva come fosse finito lì. I suoi amici erano con lui, con suo enorme sollievo, e sembravano stare bene. Ma come avevano fatto a finire lì? Dove si trovavano? L’ultima cosa che ricordava era la discussione tra il Capitano Uchiha e Saigo. O meglio, Boruto Uzumaki. Possibile che fosse-

“Ben svegliato.”

Deku trasalì e si voltò di scatto, mettendosi quasi ad urlare. Una donna era misteriosamente apparsa alla sua destra, accanto al letto, intenta a fissarlo con un sorriso cordiale. Il bambino la osservò con gli occhi sgranati, ancora spaventato dall’essersela trovata accanto così all’improvviso.

“Mi dispiace, non volevo spaventarti,” si scusò immediatamente lei, il suo tono di voce basso per non svegliare gli altri due. “Ma vedendo che eri sveglio, ho pensato che fosse meglio salutarti.”

“Chi-Chi è lei?” domandò Deku, incerto.

Lei sorrise di nuovo. “Mi chiamo Kira. Sono il capo di questo piccolo villaggio.”

“Villaggio? Quale villaggio? Dove mi trovo?” chiese il piccolo, incredulo.

La donna ridacchiò vedendo la sua confusione. “Non temere, sei al sicuro. Ti trovi nella Terra dell’Erba, nel Villaggio di Krest. Siamo un villaggio pacifico, per cui non corri nessun rischio. Nessuno farà del male a te o ai tuoi amici qui, te lo assicuro,” spiegò lentamente, senza mai smettere di sorridere.

Deku la ascoltò con attenzione, incapace di comprendere appieno quello che stava succedendo. “L-La Terra dell’Erba? Com’è possibile? Come sono finito qui?” domandò, completamente perso.

“È stato un uomo incappucciato a portarvi qui, ieri mattina,” lo rassicurò la donna. “Era molto gentile. Ci ha raccomandato di prenderci cura di voi, prima di svanire in una nuvola di fumo. Credo che fosse uno Shinobi, ma non ci ha voluto dire il suo nome.”

“Uno Shinobi… incappucciato?” esalò il piccolo bambino, deglutendo.

La donna, Kira, annuì con un cenno del capo. Poi allungò una mano verso di lui, porgendogli una piccola lettera ripiegata. “Prima di andarsene, ci ha detto di consegnarti questa,” lo informò semplicemente.

Deku inarcò un sopracciglio, afferrando con esitazione la lettera dalla mano della donna. La aprì lentamente, con una cura estrema, mentre i suoi occhi leggevano attentamente le parole scritte su quel pezzo di carta. E mano a mano che ne registravano il contenuto, i suoi occhi si sgranavano sempre più per lo stupore e lo shock.

“N-Non può essere…”

Kira gli rivolse un sorriso trepidante mentre leggeva. “Sembra che da oggi sarete membri della nostra famiglia,” esclamò gioiosamente. “Benvenuto, Deku.”
 
 
 




 
 

Note dell’autore!!!

Salve a tutti gente, ecco a voi il nuovo capitolo. Spero che vi sia piaciuto almeno un po'.

Sono consapevole che si tratta di un capitolo di transizione, privo di eventi decisivi, ma era necessario. Volevo dare un momento di tregua alla vicenda dopo tutto il caos delle puntate precedenti. Ci voleva un momento di pace per i nostri protagonisti, dopotutto. Ma non temete, già dal prossimo le cose si faranno più movimentate. Abbiamo finalmente visto la riunione dei Kara, e anche le primissime conseguenze dell’assalto di Boruto al Summit. Adesso, Naruto e tutti gli altri non se ne staranno certo con le mani in mano. E cosa avrà in mente di fare Boruto? Il futuro si prospetta pieno di incertezze… ma solo il tempo ci darà le risposte. Ci sono però delle cose che ci terrei a dirvi:

1 – Siccome in molti me lo avete chiesto, vi anticipo già da adesso che l’assenza di Sasuke è assolutamente intenzionale. Il nostro Uchiha sarà assente da questa parte di storia per un bel po' di tempo, e non so dirvi quando lo rivedremo di nuovo. Ovviamente, ci sono dei motivi ben precisi per cui non è ancora tornato sulla Terra, e li scopriremo col tempo. Ma non temete, ho orchestrato tutto. Ho in mente un ritorno in scena piuttosto… particolare.

2 – Come avete visto, Deku non è morto. E nemmeno Uraraka e Trunks. Come sono finiti nella Terra dell’Erba? Lo scopriremo tra un bel po' di tempo. Da ora in poi, per un po' non li rivedremo più. La loro presenza e il loro scopo nella vicenda verranno rivelati in un futuro ancora abbastanza indefinito.

3 – Per chi se lo stesse chiedendo, Naruto non è stato intrappolato per sempre. Come avete visto, è riuscito a tornare sano e salvo dalla Luna. Come mai, vi chiederete? Ebbene, Naruto è riuscito a tornare sul suo pianeta perché esiste un collegamento diretto tra la Luna e la Terra. È un passaggio segreto nascosto che conoscono in pochi, ma esiste davvero nel mondo di Naruto. Se non mi credete, è stato mostrato nel film di Naruto: The Last. Non ho descritto la scena del ritorno del Settimo perché era superflua a livello della trama.

Detto ciò, vi chiedo scusa per la lunga attesa che avete dovuto sorbire prima di questo capitolo, ma in questo periodo sono estremamente impegnato. E come se non bastasse, una mia parente sta male e devo starle vicino. Per cui, sto cercando di scrivere nel tempo libero delle vacanze natalizie. Vi chiedo di essere pazienti. Ci tenevo però a darvi questo capitolo prima di Natale, per cui… eccoci qui.

Io vi confermo per l’ennesima volta che cercherò, come sempre, di pubblicare il prima possibile. Spero di riuscire a pubblicare un altro capitolo prima del nuovo anno. Forse anche due, ma non posso promettere niente. Ci proverò. Nel frattempo, faccio a tutti voi i miei più sinceri auguri di buon Natale, e vi auguro di passare al meglio questi giorni di festa.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie in anticipo a tutti coloro che mi faranno sapere cosa ne pensano della storia. Godetevi le feste e buone cose! Ci vediamo presto!

BUON NATALE A TUTTI!

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Capitolo 12
*** Conflitto d'Interessi ***


CONFLITTO D’INTERESSI





05 Ottobre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
07:15

Boruto rimase seduto, fissando i documenti sopra la scrivania della sua camera da letto con uno sguardo distante. Alle sue spalle, sotto le coperte del letto, il respiro sommesso e costante di Mikasa gli risuonava dolcemente nelle orecchie, segno inequivocabile che stava ancora dormendo. Ma la sua mente, in quel momento, non ci fece caso. Aveva altro a cui pensare, e c’erano altre questioni sui cui doveva rivolgere la sua attenzione.

Il mondo stava reagendo.

Nonostante non fosse più uscito dall’Occhio della Tempesta sin da quando si era rivelato pubblicamente, Boruto lo sapeva. Poteva vederlo chiaramente, senza alcuna ombra di dubbio. Gli Shinobi, i Ribelli, la popolazione mondiale, stavano reagendo con prepotenza sulla Terra. Il caos, puro, semplice ed assoluto, aveva inondato ogni cosa. Sin da quando si era nuovamente rivelato al mondo, sin da quando aveva devastato il Summit e ucciso gli esponenti più importanti della nobiltà delle Nazioni Alleate, la gente aveva iniziato a reagire.

Le reazioni, tuttavia, erano discordanti. Una parte della popolazione, lui lo sapeva, si era fomentata. Tutti coloro che ancora credevano in lui, i reietti e i criminali senza diritti, avevano ricominciato ad unirsi alla sua causa. Avevano fomentato proteste, scioperi, e altre manifestazioni in diversi Paesi: la Terra dell’Acqua, quella del Vapore, quella del Suono, e persino il Vortice, grazie all’intervento dell’Uzukage. Uomini e donne stavano facendo a gara per unirsi ai ranghi del loro nuovo esercito. E non solo lì. Più passavano i giorni, più aumentavano le ore, e sempre più le notizie di scontri e rappresaglie rivoluzionarie si udivano in televisione. I focolari di protesta erano cominciati anche nella Terra degli Orsi e nella Terra del Vento. Le Nazioni nemiche rimaste senza Kage facevano fatica ad eleggere un nuovo leader in tutta quella confusione, e questo causava altre proteste e pareri discordanti. Coloro che si ergevano a sostenere la sua causa aumentavano di minuto in minuto.

Ma ancora, non era abbastanza.

Se una parte della popolazione si stava schierando dalla sua parte, coloro che restavano fedeli alla Foglia e alla sua politica pacifista continuavano ad opporsi al sistema. Non che Boruto ne fosse rimasto sorpreso, certo. Il potere e l’influenza che suo padre, il Settimo Hokage, aveva nel mondo, erano immensi. Gli Shinobi, quelli veramente attaccati alla loro tradizione, facevano tutti affidamento su di lui e sui Kage alleati con Konoha. Era una cosa inevitabile, com’era sempre stata. E coloro che sostenevano la Rivoluzione, i nuovi Guerrieri, lo sapevano bene a loro volta.

Ma la Rivoluzione era morta. Boruto non poteva negarlo. Coloro che lo sostenevano, la gente che aveva ripreso a credere in lui, si stavano solamente aggrappando al ricordo del passato. Ai vecchi tempi di gloria, quando la Rivoluzione aveva spaccato il mondo. Ma ora, la situazione in cui si trovavano era decisamente svantaggiosa. Non possedevano più le risorse di un tempo. Non avevano più un esercito. Gli uomini che avevano servito in azione come Ribelli, adesso erano ancora divisi. Non erano più uniti. E non lo sarebbero mai stati fino a quando non si fosse presa una decisione definitiva.

E Boruto sapeva di doverla prendere presto. Non poteva più esitare. Il mondo, i Ribelli, la sua gente…  credevano in lui. Era riuscito a ridare speranza a molti. Era riuscito a risollevare, seppur di poco, la situazione di sconfitta in cui erano piombati coloro che come lui rifiutavano il sistema Ninja. Ma non bastava ancora. Non era ancora finita.

Il lavoro non era terminato. Anzi, la parte difficile veniva proprio ora. E il giovane Uzumaki, nonostante avesse passato gli ultimi giorni sempre in compagnia della sua famiglia – visto che non si vedevano da anni – aveva sempre avuto in mente questo pensiero. Anche quando passava le sue giornate con Mikasa e Sora, anche quando si accertava delle condizioni di salute di Urahara e dei suoi amici, non aveva mai smesso di pensare a ciò che doveva fare. Perché, dentro al suo cuore, ne era perfettamente consapevole. Doveva fare qualcosa. Doveva agire. C’erano moltissime cose di cui occuparsi, e non poteva permettersi il lusso di perdere tempo.

Ma se c’era una cosa su cui era imbattibile, essa era la strategia. Il campo del pensiero e della formulazione era il suo forte. Boruto aveva già pensato a tutto. Sapeva fin troppo bene quello che doveva fare. Era questa la sua vera abilità: prevedere in anticipo ciò che sarebbe successo dopo, ed agire di conseguenza. La strategia militare si fondava essenzialmente su questo infinito complottare, in fondo. Ed era stato solo grazie a questa continua costante che lui, già in passato, era riuscito a mettere in ginocchio il mondo.

Ora, doveva semplicemente rifarlo un’altra volta.

E per iniziare, Boruto sapeva benissimo dove mettere le mani in pasta. Mentre i Kage alleati con lui si preoccupavano di unire assieme i loro uomini e le loro forze in suo nome, lui avrebbe pensato a… fare un po' di pulizia.

E che pulizia sarebbe stata! Già il solo pensiero di ciò che avrebbe dovuto fare bastava a riempirgli il cuore di trepidazione e ansia contemporaneamente. I suoi pugni, a quel pensiero, si serrarono inconsciamente. Sapeva di non poter evitarlo. Coloro che rappresentavano una minaccia per lui e i suoi seguaci erano ancora molti. Doveva fare qualcosa. I nemici che lo ostacolavano – o quelli che avrebbero potuto farlo – erano decisamente troppi. Troppi, e troppo pericolosi per essere lasciati in vita. La sua guerra non sarebbe mai stata vinta fino a quando tutti non avessero raggiunto un’unità. Avrebbe risparmiato i civili che lo disprezzavano. Le persone che non potevano ostacolarlo concretamente. Gli uomini e le donne innocenti e privi di potere, d’accordo, ma gli altri? I Ninja contrari alla Guerra? I Kage e gli Shinobi alleati con suo padre? Dovevano essere eliminati. Per il bene del mondo e per la Pace. Non c’era altra soluzione.

E il suo primo obiettivo era già stato segnato.

Mentre era assorto in quei pensieri, Boruto trasalì appena sentì il tocco leggero e tiepido delle dita che gli sfioravano una spalla. Inconsciamente, le sue labbra si incurvarono in un sorriso. “Ti sei svegliato presto,” sussurrò Mikasa dietro di lui, la sua voce assonnata mentre lo massaggiava dolcemente.

Il biondo spostò lo sguardo dal documento. “Ho delle cose per la testa,” spiegò. “Non riuscivo a dormire.”

“Almeno in questo non sei cambiato,” ribatté ironicamente lei.

Udendo quella frecciatina, Boruto non poté fare a meno di rattristarsi un po’. Si voltò leggermente con la sedia, guardando la sua ragazza con un’espressione afflitta. “Mi trovi davvero così diverso?” domandò.

Mikasa gli sorrise, i suoi occhi neri che brillavano di un’emozione incerta. “Tu sei diverso, Boruto,” rispose semplicemente. “È solo che… ultimamente sto facendo fatica a comprenderti. Quello che hai fatto al Summit, ciò che hai intenzione di fare da adesso in poi… non l’hai mai fatto prima d’ora.”

Il Nukenin represse una risata amara. Abbassò la testa, annuendo un paio di volte. “Suppongo di non potermi difendere su questo,” ammise, distanziandosi appena da lei. Posò il suo occhio sinistro verso destra, fissando il tutto e il niente.

Mikasa gli afferrò dolcemente il mento, forzandolo a guardarla di nuovo. “Ma questo non cambia quello che provo per te,” disse seriamente. “E nemmeno quello che pensano gli altri sul tuo conto. Tu sarai sempre il nostro Boruto, indipendentemente da tutto. Lo sai, vero?”

“…lo spero,” ribatté lui, incerto. Non mancò di notare l’esitazione della nera mentre si sedeva accanto a lui. La guardò negli occhi, fisso. “Mikasa, quello che ho detto prima… ciò che dovrò fare… non stavo mentendo. Io-Io dovrò essere spietato. Dovrò essere crudele. Forse l’essere più crudele che abbia mai messo piede sul nostro pianeta,” disse con tristezza. “Quello che dovrò compiere per portare la Pace in questo mondo spezzato… non sarà piacevole.”

Abbassò di nuovo la testa a quel punto, unendo le mani assieme. “Non posso biasimarvi se deciderete di non seguirmi più come prima,” sussurrò, il suo volto pieno di dolore e rassegnazione.

Passarono due secondi di silenzio. Poi, con sua enorme sorpresa, Mikasa gli prese le mani tra le sue. Boruto la guardò con meraviglia mentre lei sorrideva. Era una cosa rara. La sua amica non sorrideva mai in pubblico. Ma, a quanto pareva, quando erano da soli aveva iniziato a farlo sempre più spesso.

“Sai bene quanto me che non ti lasceremo mai,” dichiarò con fermezza. I suoi occhi sembravano letteralmente ardere di decisione mentre parlava. “Noi ci fidiamo di te. Io mi fido di te. So che quello che hai in mente è per il bene superiore, e per questo non voglio abbandonarti. Qualsiasi cosa succederà, qualsiasi mostruosità dovrai rassegnarti a compiere... noi saremo con te, sempre.”

Un profondo senso di gratitudine e affetto inondò il cuore del biondo all’udire ciò. Il suo occhio sinistro tremolò, acquoso. “Grazie, Mika,” sussurrò.

La ragazza si sporse in avanti, baciandolo dolcemente. Il Nukenin ricambiò il gesto, sciogliendosi del tutto in quella sensazione di calore e completezza che provava nello stare con lei. Una sensazione che non aveva provato per molto tempo, e che gli era mancata moltissimo. Così, in quel momento, si dimenticò di tutto e si lasciò cullare da lei, restando decisamente sorpreso quando le sue mani lo trascinarono in avanti, spingendolo ad alzarsi dalla sedia e a sdraiarsi sul letto. Mikasa si portò sopra di lui, fissandolo con uno sguardo provocatorio.

Il giovane ragazzo deglutì nervosamente. “D-Di nuovo?” esalò, sempre più paonazzo. “È la sesta volta!”

“Abbiamo due anni da recuperare. Direi che abbiamo appena iniziato,” ribatté lei mentre gli si avvicinava sensualmente col volto, completamente decisa a prendersi ciò che voleva. Boruto non poté dirle di no.

Il suo obiettivo poteva attendere.
 


05 Ottobre, 0021 AIT
Foresta a Nord della Terra del Suono e delle Cascate
Cimitero delle Montagne
19:00

Boruto inspirò profondamente. L’aria di montagna era frizzante, pulita e fresca. Rimase quasi senza fiato dopo quel gesto, visto che l’aria era più sottile lì. Era davvero il luogo perfetto dove nascondere una base operativa segreta, anche per un gruppo di criminali famoso come l’Akatsuki. Troppo lontano per permettere a qualcuno di imbattersi in esso per puro caso, e nonostante questo, abbastanza vicino alle Nazioni principali per poterle tenere d’occhio. Era un nascondiglio ideale.

Boruto non pensava che sarebbe mai stato in grado di trovare quel covo senza l’aiuto delle coordinate di Kumo. Era stata una sua marionetta umana, più di due anni prima, a trovarlo per caso durante una spedizione nella Terra del Suono. Saltò giù dal fianco della montagna, balzando da un masso all’altro, mentre si faceva strada nella valle sottostante. Lì, poteva vedere un vero e proprio mare di alberi secolari. La foresta era così fitta che non era possibile vedere un percorso identificabile. Solo piccoli sentieri di cervi e tunnel attraverso il sottobosco. Era uno spettacolo bellissimo, in un certo senso. Una terra incontaminata da mani umane. Una terra dove regnava la natura. Gli fece riaffiorare alla mente i paesaggi spogli in cui si era imbattuto su Eldia.

Ma ciò che attirò veramente la sua attenzione furono le imponenti ossa monolitiche di una creatura molto più grande di qualsiasi altra che vivesse ancora oggi. La vastità dello scheletro evocava un unico, terrificante pensiero: i Bijuu (Demoni Codati). Boruto si chiese pigramente se quelle ossa fossero i resti di un Demone morto da tempo, ucciso in un’era precedente alla storia registrata. Non aveva modo di scoprirlo.

Camminò lungo il centro della cassa toracica dei resti. Avrebbe impiegato diversi minuti ad aggirare ogni costola. Si elevavano persino sopra agli alberi per centinaia di piedi. Boruto si chiese dove fosse la colonna vertebrale. Dedusse che doveva trovarsi sepolta nel terreno in basso, molto probabilmente. Rimase meravigliato anche dal teschio. Era titanico. Poteva facilmente evocare una decina di Cloni d’Ombra, ciascuno in piedi sulle spalle degli altri, e non avrebbe ancora colmato il divario che c’era tra la parte superiore e quella inferiore dell’occhio. Forse nemmeno un Akimichi adulto avrebbe potuto raggiungere quelle dimensioni.

Rabbrividì e continuò a camminare. Alla fine della spina dorsale della creatura, dove sarebbe stata la base del cranio, Boruto s’imbatté nelle grosse e spalancate fauci di una grotta. Suppose che era così che stavano le cose, in fondo. Quel luogo non si chiamava Cimitero delle Montagne per niente. Boruto vi scivolò dentro e trovò immediatamente un problema.

La grotta era crollata. Qualcuno, o qualcosa, aveva distrutto grandi sezioni del tunnel, bloccando i sotterranei e le caverne che si snodavano sotto la montagna. Boruto sospirò. Iniziò il laborioso processo di spostamento delle rocce e dei massi – un processo attento, per non disturbare qualsiasi cosa si potesse trovare lì – e avanzando sempre più in profondità nella base sotterranea.

Fu un lavoro noioso e sfiancante. Peggio ancora, lasciava la sua mente libera di vagare mentre il corpo si affaticava. Questo lo riportava a pensieri oscuri ed emozioni a cui non era del tutto preparato. Come oggi, ad esempio. Era stato bello, indescrivibilmente bello, essere riuscito a tornare assieme a Mikasa e alla sua famiglia. Aveva passato gli ultimi giorni in compagnia dei suoi amici nell’Occhio della Tempesta, e questo gli aveva fatto togliere un peso che non sapeva di aver sempre portato con sé sin dai tempi di Eldia. Cavolo, quanto gli erano mancati.

Alle volte, persino adesso, faticava a credere di essere davvero riuscito a salvarli e a riportarli in salvo. Temeva quasi che fosse solo un sogno. Un sogno da cui si sarebbe potuto risvegliare in qualunque momento, trovandosi ancora una volta da solo, in balìa delle minacce e delle avversità del mondo senza l’aiuto di nessuno. Era solo la costante presenza e le rassicurazioni di Urahara che lo aiutavano ad accettare la realtà. Che lo volesse ammettere o meno, stava diventando paranoico. L’assenza dei suoi amici lo aveva segnato, nel profondo.

Boruto grugnì mentre sollevava un masso e apriva un sentiero nella grande caverna. Un bel progresso. Sembrava quasi come se, un tempo, qualcuno avesse abitato in quel luogo. Uno spesso strato di polvere rivestiva i tavoli, le sedie e i divani distrutti. Il Nukenin vide una manciata di scaffali che erano stati schiacciati dalla frana di rocce quando la grotta era crollata.

Ma, soprattutto, ogni cosa era stata orribilmente bruciata. Il legno era carbonizzato. Qualunque libro o pergamena fosse conservato negli scaffali era ormai ridotto solamente in cenere. Un peccato, davvero. Questo era il terzo nascondiglio dell’Alba che aveva scoperto nel corso delle sue avventure. Sarebbe sicuramente stato pieno di tesori e di conoscenze, a giudicare da quelli che aveva visitato in passato.

Ma così non era. Boruto perlustrò la stanza. Non era rimasto niente. Era stato distrutto tutto. Si accigliò e prese a calci i resti anneriti di una sedia. Essa si frantumò e sfumò in una nuvola di fumo e cenere. Boruto sospirò, ricordandosi del motivo per cui era giunto qui. Il suo obiettivo era uno, e secondo le parole di Kumo era rimasto ancora intoccato in una stanza più in basso. Diede un’occhiata in giro. C’erano altre gallerie, con caverne più piccole mano a mano che si scendeva nella montagna. Boruto si diresse verso il tunnel crollato e si rassegnò mentalmente ad altre ore di noioso e faticoso spostamento di roccia. Anche con l’ausilio delle sue Tecniche, ci avrebbe messo un bel po'.

Il lavoro durò per un tempo indefinito, procedendo lentamente e con cautela. All’esterno, ormai, era calata la notte. Boruto usò una torcia per farsi luce in quel mare d’oscurità. Fino a quando, dopo tanta fatica, vide qualcosa.

Il suo Jougan ammirò con attenzione il Sigillo dinanzi a lui. Era bello nelle sue formule arcaiche e nel suo design a spirale. Un Sigillo decisamente vecchio, scritto in uno stile che non veniva più usato nella Terra del Fuoco da quello che doveva essere un secolo ormai, se non di più. Boruto avrebbe avuto problemi a decifrarlo, ma non si sarebbe arreso di certo. Era un’esperienza divertente, nella sua opinione, oltre che una sfida per accrescere la sua abilità. Era normale che la gente parlasse e scrivesse in maniera diversa, un secolo fa. Lui era un Maestro nel campo dei Sigilli, ma questa scrittura particolare aveva sfumature tutte sue. La matrice era sconosciuta.

Tuttavia, ne comprese abbastanza rapidamente lo scopo. Era abbastanza sicuro che il Sigillo fosse progettato per rendere la pietra che lo circondava e quella collegata ad esso quasi indistruttibile. O era così, o – a seconda di come le linee degli ultimi due caratteri si arrotondavano improvvisamente – era stato progettato per piegare lo spazio e teletrasportare i trasgressori all’interno della pietra. Una morte rapida e dolorosa. Una che Boruto non era per niente intenzionato a sperimentare. Quindi, tirando fuori un calamaio e un pennello, iniziò a scrivere matrici e simboli per annullare sistematicamente e chirurgicamente lo strato di tenuta, per poi aggirare la matrice di comando con una nuova. Era come smontare ed elaborare i pezzi di un puzzle. Uno con significati nascosti, ridondanze, trappole e convenzioni di denominazione non ortodosse per rendere disarmante una lezione d’inutilità e dolore.

Boruto lo trovò divertente.

Ci volle un’ora, se non di più, per annullare il Sigillo. Boruto sorrise mentre un soddisfacente lampo di chakra blu indicava la sua dissipazione. Si udì un suono, come il rombo di tuono, mentre una porta di pietra alla sua destra scivolò in avanti e si aprì di colpo. Boruto non l’aveva vista, né notata prima. Il Sigillo doveva averla tenuta nascosta, persino al suo Jougan. Il biondo la attraversò rapidamente e discese nelle profondità della montagna. Il suo istinto gli diceva che, diversamente da sopra, questa parte del covo non era stata toccata dalla distruzione.

Raggiunse il capolinea in due minuti. Era una stanza inquietante. La sua sola vista gli fece venire un brivido gelido lungo la schiena. Era piccola, sì, ma progettata come una sala operatoria. Una fila di tavoli di metallo al centro della stanza. Due di essi, persino, avevano dei corpi distesi sopra. Uno di quei corpi era la vera ragione per cui era giunto in quel covo remoto. Accanto ad esso invece, sull’altro tavolo, un secondo corpo era coperto da un abito stropicciato dell’Akatsuki, per coprirne i resti scheletrici. Sopra di esso era posato un solo anello di metallo argenteo. Un gioiello viola, forse un’ametista, con la scritta ‘Gioiello’ lo adornava.

Boruto sorrise di trionfo mentre intascava l’anello. Era appartenuto a Sasori della Sabbia e, successivamente, a Tobi. O meglio, a Obito Uchiha. Si prese il tempo di guardare in giro per la stanza per scoprire quali tesori conteneva. A sinistra si trovava un muro pieno di quelle che sembravano essere casseforti, ma che erano in realtà degli obitori vuoti. A destra, file su file di cilindri di vetro in frantumi e screpolati riempiti con un liquido verde e viscoso. Alcuni globuli organici di tessuto marcio galleggiavano sulla superficie, e riempivano la stanza con l’odore pungente della decomposizione.

Privata dell’anello, la stanza era spoglia e spartana. Boruto aveva sperato in più pergamene, più Tecniche, più segreti, più informazioni che non erano adatte per essere scritte nei libri di storia. Ma non era stato così fortunato. Sospirò e tornò verso i due tavoli che lo interessavano. Mentre lo faceva, esaminò pigramente i due corpi. Uno era uno scheletro che era stato posato e intoccato da anni. L’altro? L’altro era il vero obiettivo per cui era giunto qui.

Un uomo alto e abbastanza in avanti con gli anni. Gli mancava il braccio destro, a parte un moncone nodoso sulla spalla. L’arto che mancava sembrava strano. La pelle che lo circondava era di un bianco pallido, rugoso e poroso. Piccoli germogli verdi – piante – stavano crescendo da esso fino al petto dell’uomo, dove la pelle tornava di un colore rosa pallido.

Ma Boruto osservò soprattutto la sua faccia. Il viso gli sussurrava qualcosa. L’invecchiamento presentava rughe e linee esagerate. Una cicatrice incrociata sul mento. Capelli scuri e lineamenti severi come pochi. Quell’uomo… era stata una delle marionette umane che Kumo aveva usato nelle loro precedenti avventure.

Danzo Shimura.

Boruto ricordava ancora con sconcertante chiarezza il volto dell’uomo nei libri di storia all’Accademia. Danzo Shimura: studente del Secondo Hokage, leader della defunta divisione Root degli ANBU, e candidato per la posizione di Sesto Hokage. Era stato una lezione per le giovani generazioni, aveva detto Shino Aburame durante le sue lezioni. La dimostrazione che il fine non giustifica i mezzi.

Boruto dovette reprime una risata a quel pensiero. Se solo Shino-sensei potesse vederlo ora. Ma, comunque, questo poneva una domanda. Danzo era morto prima che la Quarta Guerra Mondiale fosse iniziata, e Kumo aveva detto di averne trovato il corpo in questo covo. Ma come c’era finito qui? L’Akatsuki era stata responsabile della sua morte? Interessante. Una nota a piè di pagina – una delle tante – che non veniva scritta nei libri di storia.

Ma ciò che era davvero interessante era il fatto che, anche dopo tutti questi decenni, il corpo non si era decomposto. Le cellule del Primo Hokage erano davvero uniche. Lui e Mitsuki le avevano studiate a lungo durante la progettazione del Sigillo per ancorare alla realtà la dimensione artificiale dell’Occhio della Tempesta. Erano la matrice che sigillava – ancora adesso – i Demoni codati che avevano catturato lontano da tutto e tutti.

Boruto sorrise e sigillò il cadavere nel sigillo di contenimento lungo il suo avambraccio. Lo avrebbe restituito a Kumo, come promesso. Ma come aveva fatto il suo amico a rimetterlo qui prima di essere catturato? L’ingresso era sigillato dalla porta e dal crollo. Non avrebbe potuto superarli, nemmeno usando una marionetta qualsiasi. Doveva chiederglielo.

Il suo occhio guizzò verso un angolo della stanza. Una seconda porta si trovava nella parete. La attraversò, giungendo in una seconda stanza. Era nuda e rozza, somigliante a tutti gli altri ambienti in cui si era imbattuto prima. Qui, però, la pietra sembrava avere una trama diversa. Come se fosse stata sciolta e poi lasciata a raffreddare. Tutto il resto era stato carbonizzato e annerito oltre ogni riconoscimento. Qualunque cosa fosse successa qui, era stata la causa del crollo del covo e della caverna.

Per puro caso, mentre faceva un passo in avanti, Boruto sentì qualcosa sotto al suo stivale. Guardò in basso ai suoi piedi, e poi ancora oltre. Lì, sepolto nella roccia che un tempo si era fusa, c’era un altro anello dell’Akatsuki. Boruto inspirò profondamente mentre si inginocchiava ed esaminava la pietra. L’anello non sembrava essere stato danneggiato, nonostante fosse immerso nella roccia liquida. Sollevò una mano e scatenò un getto d’elettricità attorno a sé.

Rakurai,” (Scia Scattante di Fulmini) sussurrò.

Questo era uno dei vantaggi che la sua Scia di Fulmini gli permetteva di compiere rispetto alla Corazza di Fulmine: modellare la pietra senza tagliarla. Boruto premette le dita sulla roccia e incanalò più chakra nella Tecnica. La pietra iniziò a brillare di un piacevole colore rosso-arancio mentre il calore faceva il suo effetto. La cappa elettrica lo protesse dal caldo. Poi, lentamente e attentamente, Boruto estrasse l’anello dalla roccia fusa.

Lo soppesò, dissolvendo con un comando mentale la cappa che lo avvolgeva. Era fresco al tatto. Una fascia d’argento con una gemma verde incastonata nella parte superiore. Uno smeraldo, forse. Incisa nel gioiello c’era la scritta ‘Cinghiale’.

Boruto emise un sospiro di sollievo. Non si era aspettato di poter trovare l’anello di Zetsu in questa stessa base. Questo covo doveva essere stato importante per lui e Obito. Adesso aveva trovato altri due dei dieci anelli. Ne restavano altri tre da trovare, senza contare i quattro che la Foglia gli aveva rubato durante la sua assenza. Il guerriero giurò che li avrebbe recuperati, in un modo o nell’altro. Ma, per adesso, questi due che aveva recuperato assieme a quello di Kisame sarebbero bastati a sigillare i Cercoteri rimasti. Era un inizio migliore di quanto avesse potuto sperare.

Raggiungere la superficie fu molto più facile. La seconda stanza era collegata con un passaggio segreto che sbucava direttamente nella foresta alla base della montagna. Un ingresso nascosto. Doveva essere grazie a questo passaggio che Kumo aveva trovato quel covo in passato, dedusse il biondo. Boruto sospirò. Se lo avesse saputo prima, si sarebbe risparmiato quelle interminabili ore di lavoro per spostare i massi. Ma ormai era fatta.

Boruto respirò profondamente mentre evocava un vortice oscuro per tornare a casa. Ma prima di partire, i suoi occhi guizzarono verso Ovest, osservando la foresta e la sua estensione in silenzio. La sua espressione si fece più dura e gelida che mai mentre fissava l’orizzonte della notte. Laggiù, oltre la coltre di alberi e foreste, sotto ad un cielo stellato e oscuro, si ergeva il luogo che un tempo aveva chiamato casa: la Terra del Fuoco.

Gli occhi del Nukenin si assottigliarono minacciosamente.

Era lì che si trovava il suo prossimo obiettivo.
 


08 Ottobre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
12:00

Naruto sentiva già l’emicrania imminente.

Sospirò, passandosi furiosamente le mani nei capelli dorati mentre leggeva la pila di documenti posta dinanzi a lui, sopra la scrivania. La situazione era drammatica, e non poteva negarlo. Per quanto fosse frustrante, nemmeno il suo tipico ottimismo di sempre bastava a consolarlo in quel momento. Non quando tutto ciò per cui aveva lavorato e versato sudore e sangue per anni si stava frantumando dinanzi ai suoi stessi occhi. Doveva essere una reazione naturale, dedusse. Una frustrazione immensa e indescrivibile, accompagnata da un profondo senso di rammarico.

Le Nazioni del mondo di stavano militarizzando ancora una volta.

Il Settimo non ne era rimasto per niente sorpreso. Era passata più di una settimana dal Summit. Dopo ciò che era successo, il panico si era espanso nel pianeta come una piaga. Boruto, suo figlio, aveva colpito al cuore del mondo, sia metaforicamente che letteralmente. Le sue azioni, il suo messaggio, risuonavano con la gente. La popolazione – buona parte di essa, almeno – si era fomentata come mai prima d’ora. “Il Ritorno dalla Morte dell’Eroe”, diceva uno slogan rivoluzionario. I Ribelli stavano acquisendo sempre più potere, nella Foglia e in tutti gli altri Paesi. Le persone vedevano suo figlio come un simbolo di speranza, di cambiamento; come l’unica possibilità di portare un cambiamento radicale al sistema marcio e fallimentare a cui i popoli della Terra erano abituati. Sembrava persino che avessero già perdonato le azioni riprovevoli che Boruto aveva commesso. Questo, Naruto non se l’era aspettato.

Ma il vero problema non era la gente comune. Loro, l’Hokage lo sapeva bene, non rappresentavano una minaccia concreta. L’opinione pubblica, in tempo di Guerra, era essenzialmente irrilevante. Il vero problema erano le altre Nazioni. Ed era lì, proprio lì, che sorgeva la questione decisiva. Il problema che da stamattina si stava furiosamente scervellando per tentare di risolvere e aggirare.

Era da anni che i confini tra i vari Paesi erano stati ufficialmente chiusi. Questa non era una sorpresa per nessuno. Ma adesso, adesso tutte le Nazioni stavano assemblando un proprio esercito. Si stavano preparando per affrontare le imminenti battaglie, radunando le loro forze e stringendo alleanze poco gradite. Sembrava di essere tornati ai tempi di Hiruzen Sarutobi, il Terzo Hokage, quando tutto il mondo era ancora in conflitto e il concetto di pace era solo un sogno irrealizzabile.

Le Terre del Suono, della Pioggia, del Vapore e dell’Erba erano le più preoccupanti. Stavano ammassando un esercito alleato, di dimensioni immense, per prepararsi alla guerra. Erano i baluardi della Rivoluzione, per cui era logico e scontato che si sarebbero unite insieme. I Ribelli… erano essenzialmente loro. Tutte le persone che desideravano unirsi alla causa malsana di suo figlio si stavano trasferendo in massa in quelle Nazioni. Era una mossa che Shikamaru – Naruto ringraziò i cieli per la sua presenza – aveva previsto con largo anticipo. Ma adesso anche il Vortice stava creando problemi. Non possedeva un esercito vero e proprio, vista la dimensione esigua di quella Nazione rintanata in un’isola, ma si stava distanziando sempre più da loro, dalla Foglia. Naruto sospettava che patteggiasse addirittura per il nemico, visto che in precedenza loro avevano deciso di uccidere pubblicamente la figlia dell’Uzukage.

Ancora, le altre Nazioni non erano da meno. I problemi erano ovunque ormai. La Terra degli Orsi era rimasta senza Kage, così come quella delle Cascate. Il Vento, dopo la morte di Gaara – il biondo dovette trattenere una lacrima a quel ricordo – stava soffrendo immensamente. La Sabbia era sull’orlo di una guerra civile, e Kankuro stava facendo fatica a gestire la situazione in sua vece. Persino la neutrale Terra del Ferro, coi suoi samurai disciplinati, stava iniziando ad agitarsi. Con la morte di Mifune e dei Kage, la popolazione si sentiva in pericolo. Si stavano agitando. A peggiorare ulteriormente le cose, poi, tutti i Daimyo erano morti. E senza di essi, erano sorti due problemi. Il primo: i Signori Feudali e i nobili erano senza guida, liberi di patteggiare per chi ritenessero più opportuno. Il secondo: i Villaggi restavano senza fondi. Naruto aveva mandato diversi ambasciatori presso la nobiltà che lo sosteneva per cercare di mantenere la calma e risolvere la situazione, ma i risultati erano scarsi.

E poi, come se tutto questo non fosse abbastanza, il Paese della Terra si stava agitando a sua volta. Naruto lo sapeva, così come tutti, d'altronde, e non poteva negarlo. Kurotsuchi… era sempre stata una mina vagante. Non era chiaro quello che avrebbe potuto fare quella donna. Dopo la sua sconfitta nella Terra del Vento era tornata neutrale, ma adesso? Chi le avrebbe potuto impedire di unirsi di nuovo a Boruto e incitare un nuovo conflitto?

“Naruto,” la voce di Shikamaru lo riscosse da quei pensieri oscuri. Il biondo sobbalzò. “Ti stai distraendo.”

Naruto ammiccò, prima di chiudere con pesantezza gli occhi e sospirare. Affondò la schiena sulla sedia. “Non ce la faccio più,” disse, scoccando un’occhiata distrutta al suo consigliere. “Ho la testa in fiamme.”

Il Nara lo studiò per un paio di secondi, prima di sospirare a sua volta. “Non posso darti torto. La situazione è critica, e le cose stanno precipitando in un batter d’occhio. Dobbiamo formulare una strategia per contrastare questo caos,” esalò lentamente, posando i fogli che stava firmando e compilando. Tirò fuori dalla tasca una sigaretta e l’accese senza pensarci due volte.

Il Settimo Hokage posò la testa sulla scrivania, visibilmente abbattuto. “Proprio quando eravamo ad un passo dal risolvere tutto,” sibilò con frustrazione.

“Sai bene chi ringraziare per averci messo i bastoni tra le ruote,” ribatté Shikamaru, aprendo la finestra e soffiando una nuvola di fumo.

Naruto s’irrigidì e represse un gemito. Ripensare a suo figlio e al suo inaspettato ritorno gli faceva sempre uno strano effetto. Una parte di lui… non poteva negare che fosse rimasta entusiasta e traboccante di gioia alla consapevolezza che fosse vivo, a differenza di quanto aveva creduto per due anni. Non poteva evitarlo. Era pur sempre suo figlio, e Naruto lo amava con tutto il cuore. Ma ciò che era diventato? La strada che aveva deciso di intraprendere? Il Settimo sapeva di non poter restare con le mani in mano. Doveva fermarlo. Per il bene del mondo, delle varie Nazioni, e persino per il suo stesso bene. Boruto era un membro della sua famiglia, e lui non si sarebbe arreso fino a quando non l’avrebbe riportato sulla retta via.

Per quanto crudele e spietato fosse diventato, Boruto era sempre Boruto. Era suo figlio. Naruto non avrebbe commesso gli stessi errori del passato. Non l’avrebbe abbandonato come aveva fatto prima, nemmeno se fosse diventato un mostro. Non di nuovo. Non più.

Era una promessa.

E Naruto Uzumaki non si rimangiava MAI le sue promesse.

“Dobbiamo fermarlo,” dichiarò. Si risollevò immediatamente dalla scrivania, i suoi occhi che ardevano di determinazione mentre fissavano il suo consigliere. “Dobbiamo impedirgli di continuare a fomentare questa Guerra.”

Shikamaru si voltò verso di lui. “E come?”

Naruto esitò, riflettendo per diversi secondi. “Io… se riuscissimo a catturarlo, questa Guerra avrebbe fine,” disse, speranzoso. “Boruto, lui è l’artefice di tutto. Senza di lui, la Rivoluzione non avrà seguito. Possiamo tentare di scovarlo e fermarlo una volta per tutte.”

Il Nara scosse la testa. “Naruto, sai bene quanto me che non è possibile. Non così facilmente, almeno. Tuo figlio ci è già sfuggito una volta. E come se non bastasse, non abbiamo idea di dove si sia nascosto,” spiegò lentamente. “Sappiamo che è in grado di viaggiare tra le varie dimensioni, come Sasuke. Questo lo rende, a tutti gli effetti, impossibile da raggiungere. Non c’è nessuno sulla Terra, a parte Sasuke, che sia in grado di usare Ninjutsu Spazio-Temporali. Trovarlo sarebbe impossibile senza il Rinnegan.”

L’altro abbassò le spalle, sconfortato. “E allora cosa facciamo?” domandò.

Shikamaru fece un ultimo tiro dalla sigaretta, buttandola via. “Non abbiamo scelta che affrontarlo,” rispose, esalando una nuvola di fumo. “Fino a quando Sasuke non sarà tornato, noi dobbiamo combatterlo. Solo così potremmo avere una possibilità di catturarlo e fermare la Guerra. E poi, anche se riuscissimo per ipotesi ad imprigionarlo come in passato, i problemi non sarebbero di certo risolti. Siamo in guerra, Naruto. Le altre Nazioni ci sono nemiche adesso.”

“E con ciò? Io da solo sono più che capace di andare in ogni Paese e fermare qualsiasi minaccia. Ho Kurama dalla mia parte,” ribatté con confidenza, gonfiando il petto. Nella sua testa, la risata oscura e trepidante della Volpe servì solo a confermare la sua decisione. “Niente e nessuno potrebbe fermarci.”

‘Ben detto, moccioso.’ ringhiò il Demone.

Ma Shikamaru li placò subito entrambi. “Non puoi farlo, per quanto sia frustrante,” disse con rassegnazione. Naruto lo guardò, confuso. “I Paesi stanno formando un esercito. Se tu andassi da loro, la Foglia sarebbe vulnerabile e senza difese. E poi, sin da quando le varie Nazioni hanno chiuso i confini, le cose si sono fatte molto più complicate. Entrare in territorio nemico senza autorizzazione sarebbe una dichiarazione di guerra a tutti gli effetti. Gli eserciti Ribelli, o ancora peggio, quelli di un’altra Nazione ci starebbero al collo in un batter d’occhio. E la Foglia da sola non riuscirebbe a resistere contro tutti questi avversari. Tu sei potente, lo so bene, ma un uomo da solo non può ribaltare le redini di una guerra mondiale in questo modo,” spiegò con sapienza, senza mezzi termini. “A meno che non riuscissimo ad unire tutti i nostri nemici in un punto solo, come fecero Madara e Obito in passato, le probabilità di vittoria sarebbero scarse.”

Naruto esitò, prima di sospirare con rassegnazione. “Ma… Ma…”

“E poi, ti stai dimenticando del fattore più importante: tuo figlio,” continuò a dire quello, fissandolo con assoluta serietà. Il biondo sgranò gli occhi. “Credi che non abbia previsto un’eventualità simile? Non voglio gonfiare le storie sul suo conto, ma sono pronto a scommettere che con la tua assenza, ne approfitterebbe subito per colpirci ancora una volta. È pericoloso, Naruto.”

Il Settimo abbassò la testa, serrando i pugni. Emise un respiro tremante dal naso. “Io… hai ragione,” ammise alla fine. “Non posso agire d’impulso.”

Il Nara annuì, compiaciuto. “Stai imparando, finalmente.”

Naruto trattenne un broncio irritato. Tuttavia, non ebbe modo di aggiungere niente. In quel preciso istante infatti, la porta dell’ufficio si spalancò di colpo, costringendolo a voltarsi. Sai era entrato in fretta e furia, la sua pelle più pallida del solito e la sua espressione mortalmente seria. “Abbiamo un problema, Hokage-sama,” disse senza mezzi termini.

“Sai! Che succede?” esclamò Naruto, temendo già la risposta.

Il Comandante degli ANBU lo guardò con assoluta serietà. “Ricordi il clone che Kabuto ci ha mandato nel Villaggio per raccogliere il corpo di Shin, due giorni fa?”

Quello ammiccò. “Sì… che cosa è successo?” chiese, non capendo dove voleva arrivare.

Gli occhi di Sai sia assottigliarono per la tensione. “Il clone è scomparso.”
 


08 Ottobre, 0021 AIT
Terra del Fuoco
Orfanotrofio Segreto di Kabuto
12:00

Boruto attraversò con assoluta tranquillità le foreste che circondavano la Nazione che un tempo era stata casa sua. La Terra del Fuoco, con tutta la situazione caotica in cui si trovava il mondo e la sua gente, era diventata piuttosto semplice da attraversare senza essere visto. La sua vegetazione rigogliosa lo rendeva un posto difficile dove scovare i criminali. Ovviamente questa cosa cambiava mano a mano che ci si avvicinava al Villaggio della Foglia, ma non era quello il suo obiettivo oggi.

Mentre camminava, il chakra gli pulsava nelle vene. Si sentiva stranamente… insensibile. Sì, quella era la parola giusta. Insensibile. Una fredda e solenne insensibilità che silenziava ciò che lui sapeva doveva essere, razionalmente e logicamente, una sensazione dolorosa. Dopotutto, stava letteralmente camminando sulla sua terra natia, accingendosi a compiere un’altra strage. Stava tradendo, ancora una volta, la sua vecchia casa e i suoi amici di un tempo nel modo più devastante possibile. Eppure, dopo tutto quello che aveva fatto, non sentiva stranamente più nulla.

Annie camminava al suo fianco con rigida disciplina e prontezza militare, tenendo sempre d’occhio il bosco. Aveva preteso di accompagnarlo nella sua missione, per tenerlo lontano dai guai in vece dei suoi compagni ancora convalescenti. E Boruto sapeva che la sua maestra non sarebbe stata d’accordo con quello che stava per fare. Lasciare in vita i loro avversari era sempre una mossa tatticamente svantaggiosa, ma Boruto sarebbe stato irremovibile su questo. Il suo obiettivo, almeno per adesso, era uno solo. Gli altri che lo circondavano erano irrilevanti, e non li avrebbe toccati. Poteva essere un mostro, ma non avrebbe ucciso a sangue freddo dei miseri bambini. Erano – sono, anzi – innocui nel grande schema delle cose. Le uniche persone che avrebbe ucciso erano quelle che non aveva altra scelta che eliminare, com’era successo al Summit. O quelle troppo pericolose per poter essere lasciate in vita.

In quest’ultima categoria si trovava l’uomo, se così si poteva ancora definirlo, a cui si stava avvicinando ora. Scovare il suo nascondiglio segreto era stato facile, dopo gli eventi del Summit. Per essere un’entità riuscita a tenersi nascosta a tutti per decenni, dopo quell’evento si era rivelata abbastanza palesemente. La sua copertura era saltata con la morte di Shin Uchiha.

“Continua a muoverti,” disse Boruto, la sua voce gelida. Diede un colpetto con lo stivale al bambino che stava tenendo prigioniero davanti a lui. Il bambino annuì e si asciugò furiosamente gli occhi mentre le lacrime gli rigavano le guance, guidandoli verso l’orfanotrofio. Non poteva avere più di sette o otto anni, con la pelle e i capelli bianchi come la neve. Uno dei tanti cloni del clan di Shin Uchiha.

Raggiunsero il loro obiettivo dopo dieci minuti. L’orfanotrofio era costruito lontano dal Villaggio, nascosto in mezzo ad una foresta fittissima di abeti e pini secolari, lontano da qualsiasi distretto militare o civile. Questo era un bene. Non c’era nessuno che poteva salvarli, nessuno che potesse giungere in loro aiuto. Ma, di nuovo, con la creatura che si trovava lì dentro, quei bambini avevano davvero bisogno della protezione di semplici Shinobi? L’edificio era vecchio, in legno; costruito nello stile di una casa dall’età avanzata. Il tetto era scandito da brillanti lastre di piastrelle blu.

Boruto salì i gradini che conducevano all’ingresso e attraversò audacemente la porta scorrevole. Annie, dietro di lui, trascinò con sé il bambino singhiozzante. Il suo nemico gli apparve difronte all’improvviso, nella sala principale: Kabuto Yakushi. Una creatura la cui stessa esistenza era un’offesa per i suoi occhi. Boruto lo squadrò gelidamente. Era alto, magro e scarno, con la pelle pallida e coriacea guastata da crepe e squame. I suoi occhi, di un giallo bestiale e fessurati come quelli di un rettile, lo fissavano con uno sguardo omicida dietro alle lenti dei suoi occhiali.

Lo sguardo del serpente guizzò tra lui e il bambino che teneva in ostaggio. “Sei un uomo morto,” sibilò Kabuto a denti stretti. Boruto vide una lingua serpentina guizzare fuori dalle sue labbra. Era quasi un’inquietante parodia di Orochimaru. Un’imitazione primordiale e rozza, e per questo ancor più terrificante.

“Non credo proprio,” affermò il Nukenin, appoggiando una mano sulla spalla del bambino.

“Lascialo andare!” ordinò Kabuto.

Boruto sorrise sinistramente verso l’uomo. “Certo che lo farò,” ribatté semplicemente. “Non ho intenzione di fare del male a nessuno dei tuoi orfani, fintanto che collaborerai.”

Kabuto trasalì fisicamente e sibilò a denti stretti. In un certo senso, Boruto lo compatì. “Che cosa vuoi?” chiese.

“…sei un uomo diverso rispetto a quello che i libri di storia dicono su di te,” disse Boruto. “Sei potente, astuto, e ben informato. Ti propongo uno scambio: tu mi insegnerai come utilizzare una certa Tecnica ed io, in cambio, lascerò che i tuoi bambini vivano e vadano liberi. Lo giuro sul mio onore.”

“No,” rispose Kabuto, senza la minima esitazione. “Qualsiasi Jutsu possa volere un folle come te, finirebbe di certo per condannare più vite di quante ne vorresti salvare.”

Boruto esalò un respiro rassegnato. Aveva sperato di non dover arrivare a questo, ma sapeva che sarebbe successo. Kabuto era un nemico che non poteva ignorare. Non se la vera Pace doveva regnare. Per il futuro del mondo, e per la sua stabilità, quell’uomo doveva morire. Era un conflitto d’interessi che non poteva permettersi di perdere. E, quasi a malincuore, il biondo dovette ammettere che non era per niente disposto a combatterlo di persona. Kabuto era potente. Estremamente potente. Era un’Eremita, nonché un ex allievo e servo di Orochimaru. Conosceva innumerevoli Tecniche ed era competente su molte cose. Su questo, Boruto poteva rispettarlo. Era per questo motivo che aveva dovuto abbassarsi a tanto per sconfiggerlo.

Si inginocchiò lentamente e appoggiò entrambe le mani sulle spalle del bambino. Lentamente, tirò su la camicia di Shin, abbastanza da esporre il suo ventre. Lì, impresso in una vischiosa oscurità d’inchiostro, c’era un Sigillo Maledetto. Kabuto fece un passo in avanti, sibilando, e Boruto fece guizzare la testa verso di lui in risposta. “Controlla gli altri,” gli suggerì.

Kabuto si voltò, tenendo d’occhio lui e Annie, mentre i bambini nascosti dietro una porta si rannicchiarono dietro di lui con dei gemiti di terrore. Erano quasi tutti identici tra loro, con le fattezze simili anche se di diverso sesso. I cloni erano davvero particolari, dedusse Boruto. Osservò quell’uomo mentre controllava un bambino e una bambina, trovando un Sigillo identico su entrambi i loro stomaci. “Che cosa hai fatto?” esclamò.

“Un semplice Sigillo che si diffonde al tatto, come una malattia, se vuoi. Se coopererai, né tu né loro dovrete scoprire che effetto ha sul corpo umano,” rispose lui, ignorando il serpente infuriato che sbucò dietro la tunica di Kabuto. Quest’ultimo fece un passo in avanti, minaccioso. “Ah, non lo farei se fossi in te,” commentò immediatamente, forzandolo a fermarsi. “Funziona come un interruttore. Se mi attacchi, li attiverò. E se muoio, si attiveranno comunque.”

Kabuto respirava affannosamente e ribolliva di rabbia. Boruto sentì il cuore martellargli in gola. Questa era una scommessa pesante. Una che non poteva permettersi di perdere. Se Kabuto avesse deciso di abbandonare i bambini, come imponeva la logica, lui sarebbe stato costretto ad attivare i Sigilli ed affrontarlo. Non voleva arrivare a tanto. Kabuto era un uomo pericoloso, e uccidere dei bambini non era un’idea che lo allettava molto.

“Che cosa vuoi?” sputò Kabuto.

Boruto sorrise nonostante il rivolo di sudore che gli colava lungo la schiena. “…Edo Tensei (Tecnica della Resurrezione Impura),” rispose. Kabuto indietreggiò visibilmente. “La conosci, non è così?”

“No. Assolutamente no,” ruggì il serpente. “Mi rifiuto.”

“Un vero peccato,” canticchiò sarcasticamente Boruto. Si risollevò e fece un sigillo con la mano destra, inarcando un sopracciglio. Il bambino davanti a lui piagnucolò per il terrore, tremando con tutto il corpo.

Kabuto s’irrigidì del tutto, serrando i pugni con evidente frustrazione. “…nemmeno se li minacci,” disse, la sua voce tremante. “Quella Tecnica sparirà con me e Orochimaru-sama.”

Boruto riuscì a capire dalla fermezza nella sua voce e nei suoi occhi che Kabuto non avrebbe ceduto su quella questione. Un vero peccato. “Come vuoi,” disse allora, scrollando le spalle. “Allora muori. Ucciditi e i bambini vivranno. Se non vuoi darmi quella Tecnica, l’unico modo per salvare la loro vita sarà consegnarmi la tua.”

Non aveva altra scelta. Questo era il problema che sorgeva con i Ninja dalle alte capacità rigenerative come Orochimaru e Kabuto. Anche se li uccidevi, trovavano un modo per tornare in vita. Niente poteva fermarli se non il totale annientamento cellulare. Lasciare che si uccidesse da solo era l’unico modo per eliminarlo per sempre.

“Stai mentendo,” sibilò quello. “Se io muoio, non ci sarà nessuno che li proteggerà. Li ucciderai, come hai fatto con il loro fratello maggiore al Summit.”

“Non ho motivo per uccidere dei bambini, Kabuto,” ribatté subito Boruto, solenne e imperioso. “L’unica ragione per cui sono qui, sei tu.”

“Perché?” chiese lui.

“Perché stai ostacolando la vera Pace,” rispose.

“La pace! Hai infranto ogni speranza di pace per cui tutti coloro che hanno combattuto nella Quarta Guerra Mondiale si sono sacrificati! L’Hokage non permetterà la rinascita della tua Organizzazione! Sarai braccato come un animale, spietatamente, da ogni Paese della Terra! I Ninja della Foglia perlustreranno ogni roccia e ogni fessura del mondo per trovarti fino al giorno della loro morte, se proprio devono!” sibilò Kabuto.

Boruto sorrise. “Per poter creare, devi prima distruggere. Il vecchio mondo e i suoi pericoli devono far posto a quello nuovo e alla sua sicurezza. Le persone come te si opporranno a questo progresso,” ribatté, incurante.

Il silenzio regnò sovrano dopo quelle parole per un tempo interminabile. Kabuto esitò, guardando i suoi bambini, ed essi guardarono lui. Boruto lo lasciò fare, dandogli il tempo necessario per prendere la sua decisione. Mentalmente, si preparò a reagire nel caso decidesse di attaccarlo alla sprovvista. Fece un impercettibile cenno con la testa anche ad Annie per farla tenere pronta. Lei annuì silenziosamente.

Kabuto alzò la testa e lo folgorò con uno sguardo penetrante che, se fosse stato in grado di ferirlo, lo avrebbe indubbiamente ucciso. Boruto era certo che quell’uomo ne sarebbe stato capace. “Bene,” disse alla fine. Sembrava stanco. Sconfitto, quasi. “Se questa è l’espiazione che mi spetta per i peccati che ho commesso nella mia vita, allora la sopporterò. Giurami che non farai del male ai bambini una volta che me ne sarò andato.”

Boruto annuì. “Lo giuro.” I bambini non avevano niente da offrirgli oltre che il loro valore emotivo per Kabuto. Non li avrebbe toccati.

Kabuto sospirò, unendo assieme le mani. L’Uzumaki s’irrigidì quando vide la pelle pallida e coriacea del serpente iniziare a creparsi. Subito dopo, sporgenze ossee spuntarono dal capo di Kabuto e uno strano pigmento viola gli colorò gli occhi. Una coda, o un arto incredibilmente simile ad essa, spuntò fuori dalla parte bassa della schiena e lacerò le vesti nere e bianche che indossava. Boruto lo osservò col suo Jougan che pulsava. Grazie ad esso, riuscì a vedere chiaramente che quella trasformazione era dovuta all’Energia Naturale. Il chakra stava pulsando nell’aria, attorno a lui.

Il suo cuore ebbe un fremito di paura quando vide la pelle di Kabuto passare dal bianco pallido al grigio pietroso. Le crepe e le squame sul suo corpo divennero ancora più pronunciate mentre la cute iniziava a mutare… a indurirsi. Il suo occhio destro riuscì a vedere il mutamento nel dettaglio, facendolo rabbrividire. Sentì le crepe aumentare e lo scricchiolio della carne che si mutava in pietra. Dapprima iniziò lentamente, poi però divenne più veloce. Si diffuse prima sugli arti, strisciando a poco a poco anche sul petto. La testa, infine, fu l’ultima ad essere colpita. Quegli occhi socchiusi lo fissavano con un odio visibile che era stato perennemente congelato nel tempo mentre Kabuto si spegneva per sempre, diventando una statua a tutti gli effetti.

E poi, dopo tutto questo, il silenzio tornò a regnare sovrano.

Quasi non ci credeva. Passò un lungo minuto prima che Boruto riuscisse a convincersi di aver vinto. Riscuotendosi di colpo, sollevò un braccio e scagliò un Rasengan Invisibile verso la statua. Appena venne colpita, essa si frantumò in mille pezzi e non lasciò nemmeno una traccia dell’ex criminale di guerra. Boruto sospirò e lasciò andare il bambino che aveva preso come ostaggio. “Sei al sicuro,” gli disse, toccandogli il Sigillo sulla pancia. “Non voglio farti del male. KAI! (Rilascio)”

Dopo quel comando, i Sigilli che aveva accuratamente preparato sui piccoli orfani – era stata una tortura. Quei bambini non avevano idea di quanto fosse complessa l’arte dei Sigilli – svanirono nel nulla come se non fossero mai esistiti. Il bambino, Shin, inciampò in avanti con un singhiozzo silenzioso. Lui e il resto degli orfani si precipitarono al centro della sala subito dopo, dove la polvere della statua che un tempo era stata loro padre si stava ancora depositando. Soddisfatto, Boruto si girò e se ne andò senza perdere altro tempo. Annie si mosse per fiancheggiarlo.

“Sei un mostro!” ringhiò una voce alle sue spalle.

Boruto scosse la testa, si voltò, e vide un paio di occhi rossi come il sangue. Ebbe un solo istante – un terrificante e lunghissimo istante – per riconoscere l’emblema dello Sharingan Ipnotico. Poi, il suo occhio destro pulsò all’impazzata, costringendolo a reagire. Con un sibilo udibile, una lama di acciaio spettrale apparve dinanzi a lui all’improvviso, pronta ad impalarlo nel cuore. Boruto imprecò mentalmente, avvolgendosi istantaneamente in una cappa di fulmini, e scartò di lato prima che potesse colpirlo. La lama tranciò il pavimento come se fosse burro sottile, tagliandolo di netto.

Si ridestò con solennità, mentre il bambino di prima gli saltava addosso con un ruggito rabbioso. Con la sua Scia di Fulmini attiva, lo vide muoversi in maniera pateticamente lenta. Puntando un braccio in avanti, centrò il petto del ragazzo con un’ondata d’aria compressa. Il suo corpo schizzò nel vuoto in quel modo unico tipico dei cadaveri, implodendo come un pallone.

Annie si avvicinò subito a lui non appena dissolse l’elettricità attorno al suo corpo. “Stai bene?” domandò freneticamente, sconvolta.

Boruto annuì con un sospiro, calmandosi dopo quell’inaspettata svolta degli eventi. Lanciò un’occhiata di lato. Il resto dei bambini era fuggito dalla sala, uscendo dall’orfanotrofio e correndo attraverso i boschi. Li lasciò fare. Era per il meglio. Aveva promesso di non toccarli, e non aveva per niente intenzione di combattere una schiera di Uchiha capaci di usare quegli occhi inquietanti. Lasciarli andare era la scelta migliore. Si voltò di nuovo verso la sua maestra. “Grazie per la premura,” disse sinceramente.

Annie arrossì appena, abbassando lo sguardo. Boruto si mosse per esaminare i resti del bambino di prima. La forza che aveva usato nella Tecnica gli aveva schiacciato il busto. Di lui non restava altro che un paio di gambe e una testa disincarnata con mezza colonna vertebrale attaccata come una coda. Il suo Sharingan Ipnotico lo fissava senza espressione, spento e gelido. Il guerriero si inginocchiò e sigillò la testa all’interno di un rotolo di pergamena avvolto in un nastro nero.

“Che spreco,” sospirò amaramente, mentre Annie lo guardava in silenzio. Poi evocò col Jougan un vortice di energia oscura. “Andiamo. Abbiamo finito qui.”

Scomparvero entrambi senza lasciare traccia.
 


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Orfanotrofio Segreto di Kabuto
12:45

Mezz’ora dopo.

Himawari fissò il cumulo di polvere e detriti con uno sguardo furioso e accigliato. Sentiva i suoi pugni tremare mentre si serravano impotentemente in una presa d’acciaio. Digrignò i denti, cercando di trattenere le proprie emozioni e imprecando selvaggiamente nella sua testa. Quella fu l’unica cosa che riuscì a fare in quel momento. Non c’era altro da fare. Era finita. Era arrivata troppo tardi. Ancora una volta, lo scempio era avvenuto prima che potesse fermarlo.

“Riesci a percepire quello che è successo?”

La voce seria del suo ragazzo servì solo a farla infuriare di più. Annuì, tremando per la furia che le scorreva nelle vene, senza alzare la testa per incontrare gli occhi di Shikadai che la osservavano con attenzione. Deglutendo e facendo un grosso respiro per calmarsi, aprì le labbra per parlare. “Boruto,” disse, i suoi occhi arancioni che continuavano a guardare la polvere ai suoi piedi. “La sua traccia è debole, ma riesco ancora a sentirla. È stato qui, senza ombra di dubbio.”

Shikadai si passò una mano nei capelli, borbottando qualcosa su quella situazione seccante. “Lo ha ucciso?” domandò.

Himawari scosse la testa, le sue spalle che tremolavano per la rabbia. “No. L’energia che circonda i resti è unicamente quella di Kabuto. Mio fratello non l’ha toccato. Deve… Deve averlo costretto a suicidarsi in qualche modo,” sibilò a malincuore.

“Ed ecco perché ha preso in ostaggio il clone,” esalò il Nara, distrutto. “Aveva puntato a questo sin dall’inizio. Se solo fossimo stati più rapidi…”

Ma la giovane non lo ascoltò, tornando nei suoi pensieri mentre disattivava la Modalità Eremitica dei Rospi. Boruto… l’aveva rifatto. Aveva ucciso ancora una volta. Aveva ucciso, indirettamente o meno, Kabuto. Un uomo che come lui era stato un criminale, ma che a differenza sua era riuscito a riscattarsi, a trovare un nuovo scopo nella vita. Un uomo che aveva ritrovato un senso per la sua esistenza nel custodire e proteggere gli orfani, proprio com’era stato custodito e protetto lui stesso quando era bambino. E Boruto l’aveva ucciso. Crudelmente, spietatamente, infimamente. Del tutto incurante di abbassarsi ad utilizzare quei bambini come ostaggi, come merce di scambio. Lo aveva eliminato senza battere ciglio.

Non c’era modo di difendere le sue azioni.

Himawari sentiva un magone terribile cominciare a risalirle dal petto, ma lo tenne a bada con uno sforzo immenso. Non era il momento di piangere. Aveva già pianto troppo negli ultimi giorni, non voleva rifarlo ancora. Non più. Anche se la devastazione che stava provando dentro era indescrivibile a parole.

Suo fratello era cambiato. Era cambiato, una volta tornato dalla morte. Cambiato radicalmente, e lei non riusciva più a riconoscerlo. Sparito era il ragazzo allegro e confidente che ricordava, rimpiazzato solo da un guerriero freddo e crudele, capace di compiere il più meschino dei mali pur di raggiungere i suoi obiettivi. E quello che aveva appena fatto, ancora una volta, dimostrava che stava facendo sul serio. Che era diventato più pericoloso che mai. Prima il Summit, e adesso questo… lei non riusciva a spiegarselo.

Boruto era malato. Era malato, profondamente, e Himawari non sapeva cosa fare per aiutarlo. Si era avventurato nell’oscurità più profonda della pazzia, e adesso sembrava impossibile tirarlo fuori. Né lei, né sua madre, né tantomeno suo padre sapevano cosa fare a quel punto per riuscire a riportarlo a casa, a riportarlo sulla retta via.

Ma una cosa lei la sapeva: dovevano fermarlo. Dovevano fermarlo a tutti i costi, ora più che mai. E nonostante non volesse ammetterlo, Himawari non poteva prendere in giro sé stessa. Aveva paura. Aveva paura del mostro che suo fratello era diventato. Aveva paura di ciò che quel mostro era disposto a fare. Era persino riuscito a fare una strage qui, nella Terra del Fuoco, nel luogo più vicino alla Foglia. Chi avrebbe potuto prevedere dove avrebbe colpito la prossima volta? Sarebbero davvero riusciti a impedirgli di compiere un altro omicidio? Lei non lo sapeva. Ma sapeva anche che doveva essere fermato. In qualche modo, dovevano impedirgli di raggiungere il suo obiettivo.

Anche se ciò significava dover mettere da parte i suoi sentimenti. Anche se ciò significava dover dimenticare i suoi preziosi ricordi con lui.

Anche se ciò significava… doverlo combattere.

Per riuscire a fermare il mostro che non avrebbe mai pensato suo fratello potesse diventare.

Le braccia di Shikadai che l’avvolgevano improvvisamente in un abbraccio bastarono a farla sciogliere del tutto. Himawari singhiozzò, lasciando sfuggire il magone che aveva dentro. La frustrazione che stava provando era indescrivibile, ma il suo ragazzo non disse niente per tentare di confortarla. Semplicemente la strinse a sé, facendole compagnia in quel momento di dolore e rimpianto. “Lo fermeremo un giorno, Himawari. Te lo prometto,” le sussurrò dopo un paio di minuti. “Troveremo un modo per fermalo, prima o poi.”

L’Uzumaki annuì, desiderosa più che mai di riuscire a credere a quelle parole. Dovevano fermarlo. Dovevano mettere fine alla strage che Boruto aveva intenzione di compiere. E lei stessa, più di chiunque altro, aveva il dovere di mettersi in prima fila e combatterlo. Non poteva evitarlo, e ad essere sincera nemmeno lo voleva. Erano fratello e sorella. Aveva il diritto di affrontarlo, forse più di chiunque altro.

E Himawari l’avrebbe fatto. Lo avrebbe affrontato, prima o poi. Lo giurò, a sé stessa e al mondo intero. Lei lo avrebbe fermato. Prima o poi, un giorno, sarebbe riuscita a mettere fine alla sua causa e alla distruzione che Boruto stava perseguendo.

Anche se, per farlo, sarebbe stata costretta ad ucciderlo.
 


08 Ottobre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
16:50

Lo spadaccino sospirò, riaprendo la pergamena e cercando di ignorare il fracasso che Gray e Sora stavano facendo in mezzo al salone principale della Fortezza. Seriamente, sembravano due bambini. Possibile che dovessero litigare persino sulle razioni di cibo? Non voleva crederci. Ma non ebbe modo di dire niente, poiché la porta d’ingresso si aprì in quel preciso momento. Boruto e Annie entrarono a passo spedito, sospirando entrambi con pesantezza. “Com’è andata?” domandò Urahara, spostando pigramente lo sguardo dal rotolo che stava leggendo.

“Bene, tutto sommato,” rispose il suo biondo preferito. “Kabuto è morto, e non abbiamo nemmeno dovuto affrontarlo. L’esca ha avuto successo.”

“Ma non ha voluto rivelare il segreto della Tecnica della Resurrezione Impura,” aggiunse Annie, sedendosi al tavolo sulla destra.

Urahara vide il suo allievo sospirare a quella menzione. Mikasa e Shirou gli si erano già portati affianco. “E adesso?” domandò Juvia, incrociando le braccia e appoggiandosi al muro.

Il Nukenin non rispose. Invece, evocò un rotolo di pergamena con una contrazione delle dita, lanciandolo verso Mitsuki. L’albino lo afferrò con curiosità, inarcando un sopracciglio. “Esaminatelo,” ordinò Boruto. “Quegli occhi potrebbero tornarci utili. Assieme al corpo di Danzo che ho riportato a Kumo, adesso abbiamo un altro paio di Sharingan a nostra disposizione. Potremmo creare una nuova marionetta umana con essi.”

Mitsuki annuì, fissando il rotolo e dirigendosi verso il laboratorio sotterraneo dove Kumo lo stava già aspettando.

Boruto posò la sua attenzione sugli altri. “Il vostro allenamento procede bene?” chiese.

Sora fece un cenno col capo. “Procede a rilento, ma stiamo facendo progressi. Potrebbe volerci molto tempo prima di riuscire a tornare alle nostre condizioni precedenti, ma non ci arrenderemo,” rispose, sfoggiando un sorriso confidente. Accanto a lui, Gray ghignò in assenso.

“Presto potremo tornare a combattere al tuo fianco,” promise anche Shirou, lucidando la lama di una spada e favorendolo con un cenno del capo.

Il biondo sorrise. “Non vedo l’ora.”

Juvia fece un colpo di tosse palesemente tirato. Tutti si voltarono verso di lei. “Non mi hai risposto,” ribadì, visibilmente stizzita dall’essere stata ignorata. “Che cosa farai adesso?”

La sua domanda ricevette il silenzio come risposta. Poi, dopo un paio di secondi, Boruto sospirò. “Con la morte di Kabuto, ci siamo tolti di mezzo uno dei più pericolosi nemici che potevano ostacolarci nel nostro percorso. Ma non è finita. Ci sono altri obiettivi da eliminare,” spiegò lentamente.

La cerulea lo guardò con un’espressione trepidante e tesa allo stesso tempo. “Hai intenzione di andare da Orochimaru?” domandò. Udendo quella domanda, tutti i presenti s’irrigidirono per la tensione. L’idea di dover vedere il loro leader affrontare da solo un mostro come Orochimaru non li allettava per niente. Nelle condizioni in cui si trovavano, non potevano di certo dargli man forte contro quel Sannin.

Ma quello scosse la testa. “No, non andrò da lui,” li rassicurò subito. “Orochimaru è troppo pericoloso, persino per me. E a differenza di Kabuto, non c’è modo per costringerlo a suicidarsi. No, il mio prossimo obiettivo non sarà lui, almeno fino a quando non vi sarete rimessi in forze. Non sono così pazzo da volerlo affrontare da solo.”

Urahara assottigliò gli occhi. “E allora cosa vuoi fare?”

Lo sguardo di Boruto si fece immediatamente freddo. “Non temete, so già cosa fare,” disse minacciosamente, crudele. Tutti quanti repressero un brivido quando lo videro diventare così spietato, sgranando gli occhi mentre lui s’incupiva come non mai.

“Dopotutto, anche se è passato un po' di tempo, c’è un certo tradimento che dev’essere punito.”







 

Note dell’autore!!!

Salve a tutti, sono tornato come vi avevo promesso. Un capitolo diverso dal solito questo che avete appena letto, ma ci tenevo a renderlo tale. Non sempre sarò in grado di scrivere molto, e dopo la mole immensa degli altri capitoli precedenti, ci voleva qualcosa di più calmo per bilanciare l’avanzamento della storia. Anche se in realtà sono successe diverse cose in questo capitolo.

Per coloro che si aspettavano uno scontro con Kabuto, credo che rimarrete delusi. Ma vorrei spiegarvi una cosa al riguardo: non sempre le cose possono andare come vogliamo, e non sempre ciò che ci aspettiamo sull’evoluzione degli eventi combacerà con quello che pensiamo (il bello della realtà è questo, ci sorprende sempre). Boruto è potente, e lo sappiamo tutti, ma la sua vera forza sta nell’astuzia. Nella mente e nella strategia. Non è riuscito a sopravvivere fino ad ora solo perché è forte, ma perché è scaltro. Sapeva benissimo che Kabuto era un nemico che doveva abbattere, e ne ha approfittato per metterlo alle strette senza doverlo affrontare. Non sempre le sue battaglie saranno scontri con calci e pugni. Una Guerra non funziona solo così. Come spiega un detto anglosassone… it’s best to fight smarter, not harder.

Il covo segreto che Boruto ha visitato in questo capitolo è quello dove si era nascosto Madara Uchiha e, successivamente, Obito. Si trova davvero nel Cimitero delle Montagne.

KABUTO YAKUSHI


Vi invito a leggere e commentare. Grazie a tutti coloro che mi faranno sapere cosa ne pensano sulla vicenda. A presto!

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Capitolo 13
*** Roccia Frantumata ***


ROCCIA FRANTUMATA







INDESTRUCTIBLE
(Disturbed)
 
Another mission,
The powers have called me away.
Another time
To carry the colors again.
My motivation,
An oath I've sworn to defend,
To win the honor of coming back home again.
No explanation
Will matter after we begin.
Unlock the dark destroyer that's buried in me.
My true vocation,
And now my unfortunate friend,
You will discover a war you're unable to win.
 
I'll have you know that I've become…
 
Indestructible!
Determination that is incorruptible!
From the other side a terror to behold!
Annihilation will be unavoidable!
Every broken enemy will know
That their opponent had to be invincible!
Take a last look around while you're alive!
I'm an indestructible master of war!
 
Another reason,
Another cause for me to fight.
Another fuse uncovered now, for me to light.
My dedication
To all that I've sworn to protect.
I carry out my orders with not a regret.
A declaration
Embedded deep under my skin.
A permanent reminder of how we began.
No hesitation
When I am commanding the strike.
You need to know
That you're in for the fight of your life.
 
You will be shown how I've become…
 
Indestructible!
Determination that is incorruptible!
From the other side a terror to behold!
Annihilation will be unavoidable!
Every broken enemy will know
That their opponent had to be invincible!
Take a last look around while you're alive!
I'm an indestructible master of war!
 
I'm Indestructible!
Determination that is incorruptible!
From the other side a terror to behold!
Annihilation will be unavoidable!
Every broken enemy will know
That their opponent had to be invincible!
Take a last look around while you're alive!
I'm an indestructible master of war!
Un'altra missione,
I potenti mi hanno chiamato lontano.
Un altro momento
Per portare di nuovo i colori.
La mia motivazione,
Un giuramento che ho promesso di difendere,
Per vincere l’onore di tornare di nuovo a casa.
Nessuna spiegazione
Avrà importanza quando avremo iniziato.
Libererò l’oscuro distruttore che ho sepolto dentro.
La mia vera vocazione,
E adesso, mio sfortunato amico,
Scoprirai una guerra che non potrai vincere.
 
Ti farò sapere che sono diventato…
 
Indistruttibile!
Una determinazione che è incorruttibile!
Per i nemici un terrore da osservare!
Lo sterminio sarà inevitabile!
Ogni nemico sconfitto saprà
Che il loro avversario doveva essere invincibile!
Dai un’ultima occhiata in giro mentre sei vivo!
Io sono un indistruttibile maestro di guerra!
 
Un'altra ragione,
Un'altra causa per me per combattere.
Un’altra miccia scoperta per me, da accendere.
La mia dedizione
Verso tutto ciò che ho giurato di proteggere.
Porto a termine i miei ordini senza rimpianti.
Una dichiarazione
Cucita a fondo sotto la mia pelle.
Un ricordo permanente di come tutto è iniziato.
Nessuna esitazione
Quando mi viene ordinato di colpire.
Devi sapere
Che sei finito nella battaglia della tua vita.
 
Ti mostrerò che sono diventato…
 
Indistruttibile!
Una determinazione che è incorruttibile!
Per i nemici un terrore da osservare!
Lo sterminio sarà inevitabile!
Ogni nemico sconfitto saprà
Che il loro avversario doveva essere invincibile!
Dai un’ultima occhiata in giro mentre sei vivo!
Io sono un indistruttibile maestro di guerra!
 
Sono indistruttibile!
Una determinazione che è incorruttibile!
Per i nemici un terrore da osservare!
Lo sterminio sarà inevitabile!
Ogni nemico sconfitto saprà
Che il loro avversario doveva essere invincibile!
Dai un’ultima occhiata in giro mentre sei vivo!
Io sono un indistruttibile maestro di guerra!
 
 


31 Ottobre, 0021 AIT
Paese della Terra, Villaggio della Roccia
Cancelli
 17:30

Kureo sbadigliò, cercando di restare sveglio. Cavolo, quanto detestava fare le ronde di pattuglia ai cancelli. Erano noiose, interminabili, e prive di scopo. Oramai, coi tempi bui in cui vivevano, nessuno veniva più nel Villaggio della Roccia. E nessuno usciva, neanche. Perduti erano i tempi in cui la gente entrava e usciva liberamente dai cancelli, quando i turisti di ogni tipo venivano a visitare e ammirare il Villaggio Shinobi più potente del mondo. Oh, quanto gli mancavano quei tempi di pace e tranquillità.

Il vecchio Jonin si stiracchiò sulla sedia, fissando pigramente le mura. La sua casa, il Villaggio della Roccia, non aveva veramente bisogno di mura, ma ne era provvisto comunque. Le imponenti catene montuose che lo circondavano fungevano da roccaforte naturale per tutta quella valle, rendendo difficile per chiunque l’ingresso. Ma sin da quando il Paese era stato devastato durante la Quarta Guerra Mondiale, il nuovo Villaggio era diventato più accessibile. Sparite erano le abitazioni rocciose e imponenti della vecchia città, sostituite da edifici in mattoni e cemento, alti come grattacieli, e interamente progettati per dimostrare la supremazia della Roccia. Solo i distretti più esterni, quelli più vicini alle mura, erano rimasti simili al passato, con case di terra, pietra e ferro. Kureo le preferiva ancora oggi. Gli ricordavano la sua giovinezza.

Ancora, l’avvallamento che circondava il Villaggio era profondo, e c’era solo questo ingresso che permetteva di entrare. Sinceramente, fare ronde di guardia era piuttosto inutile. Le strade ormai non venivano più usate, e la rete di collegamenti che era stata recentemente costruita dall’Unione era stata abbandonata del tutto. La Tsuchikage l’aveva smantellata quasi subito dopo la caduta della Nuvola. Quindi, non c’era più motivo per controllare questo posto. Non coi tempi di guerra in cui il mondo era sprofondato.

Eppure, lui era costretto a fare la guardia. A proteggere una strada e un ingresso che nessuno usava più da anni. Kureo rimpianse la sua sfortuna, ma non si lamentò più di tanto. Sempre meglio che finire in prima linea negli scontri, dopotutto.

Fece per sistemarsi comodamente in previsione di riposare, quando all’improvviso dovette ridestarsi. I suoi occhi notarono qualcosa.

Una figura indistinta si stava avvicinando ai cancelli.

Kureo si alzò dalla sedia, la sua sonnolenza sparita e rimpiazzata dalla tensione. Nessuno era più giunto nel Villaggio da anni, nemmeno eventuali messaggeri. La cosa era sospetta. I suoi occhi si assottigliarono mentre osservavano quella figura avanzare sempre di più verso di lui, a passo lento e deciso. Era difficile capire chi fosse, ma aveva qualcosa di strano. Un giovane Shinobi – indubbiamente maschio – incappucciato e rivestito fino alle gambe da un mantello scuro come la notte. La sua sola visione bastò a fargli rizzare i peli sulla nuca.

“Alt!” esclamò. “L’ingresso è vietato!”

Quello lo ignorò, avanzando senza esitazione verso i cancelli. Kureo ringhiò sommessamente, afferrando un kunai e scattando verso l’uomo con fare minaccioso. “Ti ho detto di fermarti!”

Ciò che accadde dopo non lo registrò nemmeno. Tutto ciò che sentì fu un lancinante dolore al petto, più intenso di quanto immaginasse. Poi, rosso. Tanto, tantissimo rosso, denso e caldo come il fuoco. Kuneo crollò a terra, incapace di muoversi o parlare, i suoi occhi spenti che fissavano il tutto e il niente, mentre osservava confusamente gli stivali dell’uomo superarlo e avanzare verso l’ingresso.

L’ultima cosa che vide prima che i suoi sensi si ottenebrassero fu un’esplosione immensa che devastò i cancelli come se fossero fatti di carta.

Poi, il buio lo accolse.
 


31 Ottobre, 0021 AIT
Paese della Terra, Villaggio della Roccia
Palazzo della Tsuchikage
17:30

Kurotsuchi batté furiosamente i piedi mentre camminava in tondo per l’ufficio, suo padre e Akatsuchi che la seguivano con gli sguardi. Era passato diverso tempo da quando aveva iniziato a comportarsi in quella maniera strana, e sapeva che erano entrambi preoccupati. Non poteva biasimarli. Anzi, poteva comprenderli appieno. E ancora, la parte più razionale e logica della sua mente non poteva fare a meno di farla restare all’erta. Era da settimane che l’ansia le attanagliava le viscere come in quel momento, e lei non poteva fare niente per evitarlo.

La consapevolezza di ciò era contemporaneamente frustrante e oltraggiosa. Lei, Kurotsuchi, la donna più potente del mondo – il Quarto Tsuchikage della Roccia – era diventata nervosa. Ansiata. Tutto per colpa di quel biondino. Quel maledetto Nukenin che il mondo aveva dichiarato morto per due anni e che adesso, incredibilmente, era resuscitato dall’oblio. E Kurotsuchi sapeva che la sua seconda venuta non avrebbe portato a niente di buono. Né per lei, né per il mondo. Lo sapeva, con una sconcertante chiarezza cristallina che le toglieva il fiato e non la faceva dormire la notte.

Boruto Uzumaki, per quanto odiasse ammetterlo, era proprio il degno erede di suo padre. Come il Settimo Hokage infatti, era pericoloso. Estremamente pericoloso. Talmente tanto da essere riuscito a puntare l’ago della bilancia a suo favore con la sua sola comparsa sul pianeta. Per non contare poi di ciò che aveva combinato al Summit. Aveva intrappolato l’Hokage, ucciso migliaia di persone, trucidato Kakashi e i Kage che lo ostacolavano... e aveva sconfitto anche lei. Lei. La grande e impareggiabile Tsuchikage, sconfitta da un moccioso di vent’anni. Era un affronto, un’onta impareggiabile. Il suo orgoglio di Kunoichi e Kage si rifiutava di accettarlo.

Eppure, nemmeno lei poteva negare ciò che i suoi occhi avevano visto. Quel ragazzo era diventato potente. Mostruosamente potente. Non sapeva come avesse fatto, ma era così. Aveva sopraffatto in un colpo solo suo padre e tutti i Kage, lei stessa compresa, senza battere ciglio o fare il minimo sforzo. Era diventato una minaccia pari o addirittura superiore a Madara Uchiha, e in quanto tale non poteva essere ignorata. Soprattutto adesso che aveva riunito a sé l’Organizzazione Kara. Dovevano fare qualcosa.

“Forse dovresti provare a contattarlo,” le suggerì Kitsuchi.

La donna guardò suo padre con un cipiglio irritato. “E come dovrei farlo, sentiamo? Nessuno sa dove si siano rintanati quei criminali. L’Organizzazione Kara ha sempre preso dimora in qualche dimensione strana.”

“Dimostriamoci favorevoli alla sua causa, allora,” rispose quello, senza battere ciglio. Non mancò di notare l’esitazione sul volto di sua figlia e la tensione irradiata da Akatsuchi. “Uniamoci ai Ribelli. Così facendo lui uscirà sicuramente allo scoperto.”

La Tsuchikage smise di camminare in tondo, serrando i pugni. “…non è così semplice,” ribatté a denti stretti. Onestamente, suo padre era un buon consigliere, ma ultimamente faticava a leggere il quadro completo della situazione. L’età doveva aver avuto qualcosa a che fare con questo. “Anche se ci unissimo a loro, la nostra vittoria non è certa. La Foglia e i suoi alleati continuerebbero comunque a minacciarci.”

Akatsuchi deglutì, senza proferire parola. Sapeva bene che la politica non era il suo campo, ma nemmeno lui invidiava la posizione in cui si trovava Kurotsuchi. La Roccia era tornata ad essere, ufficialmente, neutrale, e adesso questa sua posizione stava diventando sempre più problematica per tutti. Da una parte c’era Boruto con la sua Rivoluzione e il suo potere, e dall’altra l’Hokage con i suoi alleati e il potere della Volpe a Nove code. E sapevano tutti che prima o poi avrebbero dovuto scegliere quale fazione appoggiare. Non potevano evitarlo. Il mondo e la Quinta Guerra Mondiale non gliel’avrebbero permesso.

“Dobbiamo comunque prendere una posizione,” continuò suo padre. “Non possiamo evitare questa Guerra. Possiamo solo scegliere da che parte stare. O ci alleiamo coi Ribelli, oppure con la Foglia.”

La Tsuchikage represse uno sbruffo di disprezzo. “La Foglia… non possiamo. Li abbiamo già screditati in passato. Non si fiderebbero mai di noi dopo lo scontro nella Terra del Vento,” esalò lentamente, sedendosi dietro la sua immensa scrivania.

“Allora uniamoci alla Rivoluzione,” ribadì quello.

“Non è così semplice!” esclamò furiosamente lei, battendo un pugno al centro della scrivania. Il legno si crepò pericolosamente. “Padre, so che stai cercando di aiutarmi, ma in questo momento non ci stai riuscendo affatto!”

“Nemmeno la tua indecisione ti aiuterà a risolvere la situazione,” dichiarò Kitsuchi, secco. “Restartene con le mani in mano non servirà a niente. Meglio agire prima che possa succedere qualcosa di spiacevole.”

“…non è così semplice,” ripeté Kurotsuchi, i denti serrati in un ringhio frustrato. Davvero, perché nessuno riusciva a capire in che posizione difficile si trovavano? “Se ci unissimo alle Nazioni Alleate, la Foglia ci penalizzerebbe in qualche modo per quello che abbiamo fatto alla Sabbia. E i Ribelli… non mi fido di loro. Non mi fido del loro leader,” sputò, acida.

“Perché?” chiese Akatsuchi.

La donna gli scoccò un’occhiata che lo fece raggelare. “Boruto Uzumaki è pericoloso. Avete visto anche voi che cosa ha fatto. Chi ci garantirà che non farà del male anche a noi? Come potremo fidarci di un ragazzo che fa a pezzi chiunque provi ad andare contro ai suoi piani? Unirci a lui… sarebbe una sottomissione. Aveva promesso che saremmo stati suoi eguali durante la nostra alleanza… e guarda adesso in che situazione ci troviamo. Lui vuole solo usare il nostro potere, e nessuno può prendersi gioco della Roccia. Non quando ci sono io come Kage.”

Suo padre e la sua scorta si scambiarono un’occhiata esitante. Non potevano negare che ci fosse del vero nelle parole della donna. Kitsuchi le si portò vicino. “Allora che cosa proponi?” domandò.

La Tsuchikage esitò, aprendo le labbra per parlare, ma non fece in tempo. Un’immensa esplosione rimbombò nell’aria in quel momento, violenta e possente come un tuono, facendo scuotere con prepotenza il terreno. L’edificio e le sue pareti tremolarono come se fossero percosse da un terremoto.

Kurotsuchi sgranò gli occhi e si voltò verso la finestra che dava sul Villaggio, ignorando il tremore del vetro che rischiò quasi di frantumarsi. Un’immensa colonna di fumo nero era comparsa nella parte orientale più esterna del Villaggio, stagliandosi verso il cielo come un vulcano in eruzione. Alla sua base, il suono di urla ed esplosioni raccapriccianti risuonava anche a quella distanza.  “C-Cosa succede?” urlò a gran voce.

“Tsuchikage-sama!” Una guardia vestita di rosso e grigio entrò immediatamente nella stanza, palesemente sconvolta. “Siamo sotto attacco!”

Tutti e tre i presenti trattennero il fiato per l’orrore all’udire ciò. Non poteva essere. “D-Da parte di chi?” domandò Kurotsuchi.

La guardia tremò visibilmente. “Lui.”
 


INVASIONE AL VILLAGGIO DELLA ROCCIA

31 Ottobre, 0021 AIT
Città Vecchia

Ore 17:45

Hirako sentì una gelida goccia di sudore colargli dal viso. L’intera squadra di ricognizione rimase nascosta dietro il vicolo, le loro dita strettamente attaccate ai manici delle loro armi. Anche così, nessuno riusciva a placare il tremore delle loro braccia, nemmeno lui. La tensione e il panico nell’aria erano quasi tangibili, accompagnate dalle raccapriccianti urla di dolore dei malcapitati e dal suono acuto dell’acciaio che trancia e cozza contro il metallo.

Scoccò un’occhiata frenetica di lato, senza staccare la schiena dalla parete dietro cui era nascosto. Guren e la sua squadra di ANBU erano di stanza sul fianco sinistro della strada, mentre il Comandante Hisana e gli altri stavano coprendo il fianco destro. Sulla strada, al centro della Città Vecchia, una quantità incalcolabile di civili e altri suoi compagni stavano correndo all’impazzata, cercando inutilmente di sfuggire alla morte incombente. Innumerevoli cadaveri erano già ammassati lungo i bordi delle vie, carbonizzati o ridotti a brandelli. Il pianto delle donne e dei bambini era assordante come il tuono.

Hirako imprecò. All’improvviso, avvertì con i suoi sensi una mostruosa segnatura di chakra all’inizio della strada. In contemporanea, altre urla di terrore e panico riecheggiarono nell’aria, silenziate subito dopo dal sibilo implacabile del vento. Le sue ginocchia si fecero deboli non appena si rese conto della natura di quel chakra. Era oscuro, crudele, freddo. Adesso che si stava avvicinando riusciva a percepirlo meglio.

“S-Sta arrivando,” sussurrò piano, la voce tremante. I suoi compagni annuirono dall’altra parte della strada, spaventati quanto lui.

Una seconda esplosione squassò l’aria. Ci furono altre urla agghiaccianti, seguite da una folata di vento caldo che investì la strada come un fiume in piena, sbalzando i fuggitivi e i cadaveri buttati a terra senza distinzione. Il palazzo di pietra e ferro su cui poggiava si crepò visibilmente. I suoi occhi si sgranarono per il terrore quando vide il cadavere di una giovane Chuunin crollargli davanti, la sua faccia insanguinata contorta in una smorfia di sgomento. In alto, sopra la sua testa, altri cadaveri stavano volando all’aria come uccelli che migrano.

La visione dei suoi compagni morti lo riempì di rabbia. Rafforzò la sua decisione, ma questo fece poco e niente per placare il terrore che lo assaliva. Hirako sapeva di doversi calmare, ma non ci riusciva, per quanto si sforzasse. Niente, in tutta la sua breve carriera da Jonin, l’aveva preparato ad affrontare una situazione simile. Mai avrebbe pensato di vivere abbastanza a lungo da riuscire a vedere il Villaggio della Roccia, la sua casa, attaccato dal nemico. Aveva solo diciotto anni, ma in quel momento si sentì come se ne avesse dieci. Il tremore del suo corpo non si decideva a placarsi.

Ancora, il Comandante Hisana e il suo squadrone sbucarono fuori dal vicolo con dei ruggiti di rabbia e furia, caricando frontalmente con le armi sguainate. Hirako si riscosse e li vide correre lungo la strada, svanendo oltre il bordo dell’edificio. Solo Ueda rimase nel suo raggio visivo, le mani che s’intrecciavano in Sigilli prima di sbatterle pesantemente contro il suolo.

La terra sotto i suoi piedi tremò, e il suono della roccia che s’innalza dal terreno squassò l’aria col suo crepitio. Il giovane prese coraggio, uscendo dal nascondiglio e caricando a sua volta contro la minaccia che incombeva. I suoi compagni, vedendolo, presero coraggio e caricarono a loro volta con ampi balzi, gettando raffiche di kunai esplosivi sopra la sua testa. Hirako non ebbe nemmeno modo di vedere cosa colpirono prima che le esplosioni iniziassero. Semplicemente esplosero, investendo e accecando ogni cosa.

Quando il boato e la luce cessarono, i suoi occhi videro la morte in faccia. Hirako crollò a terra sul sedere non appena vide quella figura incappucciata di nero immobile dinanzi a lui, avvolta da lampi elettrici che guizzavano sul suo mantello come serpenti sibilanti e incazzati. Reggeva in mano una spada lunga e affilata, correntemente conficcata nel cranio di un ANBU mascherato. Era immobile, e apparentemente illeso dalla raffica che lo aveva investito fino ad ora.

Il cappuccio oscuro dell’uomo si voltò lentamente, posandosi sopra di lui. Il giovane trasalì, tremando come una foglia, e se la diede a gambe senza pensarci due volte. Vedendolo scappare, un trio di giovani Jonin come lui tentarono di fermarlo, ma fecero una brutta fine. Ebbe appena il tempo di superarli quando intravide un guizzo elettrico investirli completamente dal terreno, friggendogli il cervello. Ad uno di essi il cranio implose dall’interno come un palloncino gonfio d’aria.

Hirako urlò quando uno schizzo di sangue e materia grigia lo macchiò in faccia. Ingoiando il disgusto imminente, si gettò freneticamente dietro ad una scalinata di roccia che fungeva da collegamento per un edificio rotondo. Si appiattì contro la parete, smettendo di respirare mentre il cuore gli martellava nel petto. I battiti stavano aumentando vertiginosamente, così come il sudore.

E ancora, la strage non si fermava.

“GUAAHHHHH!”

Le urla della squadra di ricognizione e degli ANBU gli trafissero le orecchie come un rombo di tuono. Nell’aria, il guizzo sibilante del vento e del fulmine stava diventando assordante. Sui tetti, riusciva a vedere intere orde di Shinobi in posizione, troppo terrorizzati per riuscire ad attaccare. I suoi occhi guizzarono verso il basso. Il terreno ciottoloso della strada era diventato completamente rosso. L’odore del sangue stava impregnando l’aria col suo tanfo acuto.

Non riuscì a resistere oltre. Hirako si piegò di alto e vomitò. Allo stesso tempo, intravide un gruppo di ANBU sputare dalla cima di un tetto una fiammata di fuoco sopra la strada. Si asciugò le labbra mentre il calore investiva la via come un forno appena aperto, facendolo sbalzare contro la parete. Si riscosse appena in tempo per evitare un getto d’acqua scrosciante che sommerse interamente tutta la strada, saltando sopra la cima di una casa. Gli edifici colpiti dall’ondata crollarono su sé stessi con un boato, generando un fragoroso terremoto. Due secondi dopo, era come se non fossero mai esistiti.

Atterrò sopra una tubatura di ferro, guardando in basso. L’acqua si diradò abbastanza rapidamente. L’uomo stava avanzando a passo lento, camminando sopra il terreno bagnato e i corpi delle sue vittime. Con un movimento continuo del braccio, la sua spada bloccava facilmente ogni raffica di kunai e shuriken che gli stavano lanciando addosso. Sembrava letteralmente incurante di tutto, come se ogni persona o cosa che tentava di fermarlo fosse solamente una mosca fastidiosa. Al suo passaggio, i feriti accasciati al suolo stramazzavano a bocca aperta, investiti da un’invisibile raffica di vento tagliente.

Hirako sposò lo sguardo tremante sulla destra. Il Comandante Hisana era sbucato sull’edificio alla sua destra, visibilmente spossato e ferito, assieme ad un gruppo di dieci Jonin. Sangue cremisi colava dalla sua gamba sinistra mentre univa assieme le mani.

Un bagliore accecante prese vita dal basso. Il giovane trasalì quando vide i bordi della strada brillare di luce, trattenendo il fiato per lo sgomento. Poi, le etichette esplosive detonarono con una potenza micidiale che squassò cielo e terra. L’aria vibrò per quelle che parvero ore, e le case e i negozi attorno alla via esplosero in una raffica di detriti e roccia fusa. Poi, una colonna di fumo nero come la pece iniziò a risalire verso l’alto, mentre l’aria tornava a rimbombare delle urla dei civili e dell’allarme elettrico che risuonava in tutto il Villaggio. Abbassando lo sguardo, i suoi occhi notarono che non c’era più traccia dell’uomo incappucciato in mezzo alla strada. L’esplosione doveva averlo fatto a pezzi.

Una briciola di sollievo nacque nel suo cuore. Ma quella briciola appassì immediatamente come un fiore investito dalle fiamme.

“GAAAAAAHHHHH!”

“VIA DA QUI!”

“È LA FINE!”

“AIUTATECI!”

Urla terrificanti iniziarono a diffondersi per tutto il Villaggio. Il giovane si voltò e rimase completamente stravolto quando vide una marea di Shinobi venire abbattuta come niente dallo stesso uomo di prima, nel bel mezzo di una strada secondaria sulla destra. Orde intere di Ninja vennero trucidati come niente… i loro corpi tranciati dalla spada… le loro teste zampillanti sul terreno… le loro membra percosse dal fulmine… le loro facce immortalate nell’istante prima della morte.

Questa… Questa era una Guerra, realizzò Hirako con orrore. Una vera Guerra. E ora il giovane comprese perché la gente odiava tanto la guerra. Era follia, pura e semplice follia, dappertutto. Le sue orecchie si riempivano di grida, rantoli, e urla inorridite. La sua vista era piena di cadaveri e morti. I suoi sensi venivano oppressi dal terrore e dal panico. Questa era la Guerra. Non c’era tempo per parlare, non c’era tempo per riflettere. Era solo morte, follia e urla incessanti; sempre.

Era orribile.

L’uomo incappucciato di nero si fece un taglio sulla mano sinistra, e se quello che Hirako aveva visto prima era stato orribile… allora quello che vide adesso fu disumano.

Dal cielo, sereno e terso come non mai, un fulmine di dimensioni immense piovve giù all’improvviso. Poi, con un rombo di tuono, un possente rettile etereo ruggì alla vita in mezzo al nulla, mostruoso e feroce come una bestia affamata. Con una sola contrazione della coda e delle zampe, tutti gli edifici che lo circondavano esplosero e crollarono su sé stessi come se fossero d’argilla, investendo e tranciando centinaia di persone in un colpo solo. Shinobi, civili… non ci furono distinzioni. Solo morte e panico.

Fu così rapido che non ebbero nemmeno il tempo di reagire. Fontane di sangue iniziarono a sgorgare ovunque, e brandelli di carne e budella volarono nell’aria, combinati con le urla e i rantoli dei morenti e dei feriti.

“C-C-Cos’è questo…!?” pensò Hirako in preda all’orrore. Perché attualmente, davanti a lui, c’erano i corpi distesi e sbudellati di circa trecento persone. Trecento Shinobi della Roccia, uomini valorosi e potenti, ridotti a meri ammassi di carne, sangue e ossa in frantumi. Fiumi cremisi macchiavano il terreno e gli edifici, mentre l’aria era ferita dalle urla e dai ruggiti agghiaccianti.

La voce omicida del Comandante risuonò per tutto il campo, e nell’istante successivo una seconda ondata di Shinobi balzò dritta verso il rettile imbestialito. Mentre li osservava, troppo terrorizzato per riuscire a muoversi, Hiraku sentì qualcosa dentro di lui spezzarsi quando vide i volti dei suoi compagni. In quel momento, quasi per magia, si riscosse per un secondo. Si ricordò, in un secondo di lucidità, che erano brave persone; erano i suoi compagni. Doveva proteggerli. Doveva fare qualcosa per impedire che morissero.

“Hirako! Prendi il fianco destro!” urlò il Comandante, e quasi come un automa il suo corpo si mosse da solo. Balzò alla carica quasi d’istinto, dimentico del terrore e della morte che aveva visto in faccia, saltando tra i tetti e dirigendosi ad ampi balzi verso l’obiettivo da eliminare. Mano a mano che avanzava, le sue mani iniziarono a raccogliere manciate di kunai esplosivi.

FUOCO!

Ma la cosa successiva che Hiraku registrò non furono le esplosioni. Furono i sibili crudeli e raccapriccianti del drago azzurro dinanzi a lui. Con un guizzo impercettibile delle sue ali, un’ondata di fulmine investì i suoi compagni sulla sinistra, centrandoli come birilli travolti dalla marea. Uno venne colpito negli occhi, uno nel collo, uno sulla testa, uno sul petto, uno sul cuore, uno nell’inguine, uno sulla bocca… e così via.

Perse il conto di quante persone vide morire in un solo istante, ma la sua mente registrò ogni cosa come un orribile ricordo che avrebbe rivisto ogni giorno da quel momento in poi. Ad ogni suo respiro, ad ogni battito del suo cuore, una persona davanti a lui moriva. Sopra la sua testa, i cadaveri volavano molto più velocemente dei kunai che stava lanciando. Era un massacro. Un puro, semplice e raccapricciante massacro di uomini e donne.

Il drago ruggì, e corpi su corpi continuarono a cadere, fino a quando i kunai del giovane si esaurirono. Hirako si arrestò, stravolto e impalato, restando confuso quando guardò in avanti e vide cinquanta corpi distesi a terra a pochi metri dai suoi piedi. Cinquanta uomini che erano stati uccisi in un batter d’occhio senza che lui lo realizzasse. Erano morti, semplicemente. Spariti. Andati via per sempre.

“Cambia lato! Cambia posizione!” urlò il Comandante dietro di lui.

Hirako si riscosse con un urlo disumano, balzando ancora una volta lontano da quella strage interminabile. Un edificio sulla destra crollò, creando una frana di pietra e metallo. Accanto a lui invece, senza che se ne accorgesse, altri cento ANBU coi volti coperti da lembi iniziarono a caricare, gli sguardi sui loro volti omicidi e gli occhi iniettati di sangue.

UCCIDETELO!

Hirako vide la loro possibilità. L’uomo incappucciato era lì, davanti a loro, fermo e immobile in mezzo ad un cerchio di cadaveri anneriti. Il drago era sparito, in alto nel cielo, come se si fosse stufato della battaglia. Lui e i suoi compagni lo caricarono, un possente boato di grida inferocite che risuonarono nell’aria, sguainando le armi e sfogando la ferocia che ribolliva dentro di loro.

L’assalto fu un ennesimo fiasco. Si udì un fragoroso boato metallico mentre la spada del nemico tranciava e affettava facilmente ogni assalitore. Hirako lo vide, ma non riuscì a comprendere. Non era concepibile. Non era umanamente comprensibile. L’uomo si muoveva, bloccava e attaccava con una velocità impareggiata. Era impossibile, letteralmente, seguire i suoi movimenti ad occhio nudo. Parava, scartava, evitava con una rapidità inaudita, mai vista prima d’ora in un essere umano come lui. Chiunque lo circondava finiva all’altro mondo, con la testa recisa o il petto lacerato irrimediabilmente.

Ancora, il giovane continuò a caricare. Sapeva di non potersi arrendere. Assieme a lui, anche gli altri continuarono ad attaccare, implacabili nel loro assalto. Anche se continuavano a morire, anche se era inutile, anche se era senza senso… continuavano a farlo. Continuavano a morire, a sacrificarsi, a tentare di fermare quel mostro dinanzi a loro pur di difendere la loro casa. E lo avrebbero fatto all’infinito, fino all’ultimo uomo, fintanto che ci fosse stato uno solo di loro ancora in vita.

Questa era la Volontà della Pietra.

Eppure, ancora una volta, tutto questo cessò non appena una voce oscura echeggiò nel campo di battaglia.

SUITON: Suidan no Jutsu.” (Proiettili Acquatici)

Hirako non ebbe il tempo di ammiccare. Non ebbe il tempo di capire ciò che stava succedendo. Un momento prima era a dieci passi dall’assalitore, pronto a colpirlo, e quello immediatamente dopo un dolore lancinante lo aveva pervaso sulla gamba e sul petto, accecandogli la vista e opprimendogli i sensi. Emise un urlo acuto e sanguinolento, stramazzando a terra in mezzo ad un mare di cadaveri, la presa sul suo kunai esplosivo completamente perduta. Lì rimase, ferito e impotente, del tutto immobile e dolorante mentre una sensazione di caldo e bagnato gli riempiva il petto, incapace di capire cosa fosse.

Il silenzio era tornato a regnare sovrano. Confuso, il giovane aprì debolmente le palpebre, rimettendosi faticosamente in ginocchio. Attorno a lui, solo morte, edifici fumanti e cadaveri insanguinati si vedevano in ogni direzione, per quanto lontano l’occhio riuscisse a scrutare. Hirako trattenne il fiato, ed un dolore inaspettato lo pervase di nuovo al petto. Abbassando lo sguardo, la sua mano si mosse per toccare il punto in cui sentiva dolore, meravigliandosi quando sentì un senso di vuoto nella parte sinistra sotto la spalla. Il suo petto e la sua gamba sinistra erano stati forati da un proiettile.

E ancora, l’artefice della sua sventura era sempre là. Fermo, solenne, imperioso; circondato da cadaveri. Rivestito interamente dal suo mantello oscuro, come un angelo della morte sceso sulla Terra dai cieli più bui. Lo fissava, con uno sguardo invisibile, senza muoversi, senza proferire parola, con la sua spada insanguinata serrata nella mano e pronta a versare altro sangue in suo nome.

Hirako lo fissò, incapace di distogliere lo sguardo.

Come sotto un accordo comune, l’uomo si mosse. Lento e solenne andò in avanti, avanzando verso di lui, incurante di tutto il resto. Il suo mantello, nero come la notte e intoccato dal sangue che aveva versato, ondeggiava costantemente ad ogni passo che faceva. Hirako lo osservò, i suoi occhi spenti, fino a quando non se lo ritrovò dinanzi. Una volta raggiunto, esso non parlò. Solo, si limitò a guardarlo a sua volta, in silenzio, comunicando qualcosa di segreto, di misterioso. Qualcosa che il giovane non avrebbe mai, neppur volendolo, potuto capire sotto a quel cappuccio oscuro.

E in quel momento, come per miracolo, Hirako sentì qualcosa atterrare dietro di lui. Una donna, solenne e imperiosa come poche, fissando lui e l’uomo dinanzi a sé con un cipiglio furibondo.

“Tsu-Tsuchikage…sama…” esalò il giovane Jonin con un soffio.

Poi, il suo petto venne lacerato e il buio più oscuro di sempre divorò ogni cosa.
 


Villaggio della Roccia
Città Vecchia

Ore 17:55

Kurotsuchi osservò, oltraggiata, mentre quella figura oscura e incappucciata strappava il cuore dal petto di un suo giovane Jonin, reggendolo in mano mentre era ancora pulsante. Un primordiale senso di terrore e furia la pervase a quella visione. Una sensazione di opprimente angoscia e frustrazione che la rendeva dolorosamente consapevole della posizione in cui si trovava in quel momento. Il suo Villaggio, la sua casa, i suoi uomini… tutto ciò a cui teneva e aveva giurato di proteggere… era stato calpestato. Era stato ferito da quel tipo. Da solo, senza l’aiuto di nessuno. E la strage che aveva fatto in questi soli quindici minuti era già da adesso indescrivibile.

Questa cosa da sola bastava a farle capire quanto fosse diventato potente quel criminale.

La donna trasalì mentre la figura gettava a terra il cuore pulsante e si avvicinava ad ampi passi verso di lei. Alle sue spalle, Kurotsuchi sentì suo padre, Akatsuchi e tutta la moltitudine di Shinobi che aveva circondato quel distretto iniziare a tremare visibilmente per il terrore. Nessuno di essi si mosse per darle man forte in quella situazione. Codardi.

Un rivolo di sudore freddo le colò dal mento mentre il tizio dinanzi ai suoi occhi si fermava a pochi passi da lei, rimuovendosi il cappuccio, ma si trattenne. Lei non avrebbe tremato. Non si sarebbe sottomessa come un misero Shinobi qualunque.

“Quarto Tsuchikage,” la salutò lui, privo di emozione.

“Boruto Uzumaki,” ricambiò lei, squadrandolo con odio.

Quello ricambiò il suo sguardo con quell’occhio freddo e gelido di sempre. “Sembra turbata,” commentò.

“Ma no, sono solo un po' pressata. Ho un gran numero di cose da seguire… tra cui la tua imminente esecuzione per ciò che hai fatto!” dichiarò furiosamente, snudando i denti in un ringhio feroce e colmo di rabbia. Alle sue spalle, tutti i suoi Shinobi si fecero più minacciosi che mai, sguainando le loro armi e preparandosi ad attaccare.

Quello non sembrò per niente intimorito dall’esercito che lo minacciava attorno a lui. “Le mie scuse!” esalò ironicamente il Nukenin. “Ma lei ha anche un gran numero di cose da spiegare… traditrice,” sibilò, visibilmente minaccioso.

La donna trasalì, cercando di mantenere la fronte alta mentre impallidiva a vista d’occhio. Non poteva mostrarsi debole davanti ai suoi stessi Ninja. “Ho condotto la guerra contro la Sabbia come d’accordo,” si difese solennemente. “Ho investito migliaia di vite per la tua causa, ed è così che mi ripaghi? Invadendo e distruggendo la mia casa? Questo è un affronto bello e buono, moccioso! La nostra alleanza aveva del potenziale-”

“Del potenziale nel creare problemi, questo è certo,” la incalzò Boruto, atono. Si fece avanti senza esitazione, arrivandole faccia a faccia e minacciandola dall’alto in basso. La donna imprecò mentalmente quando si rese conto di dover sollevare la testa per fissarlo negli occhi. Era diventato più alto di lei ormai. “La Rivoluzione è distrutta, l’Organizzazione Kara è stata interamente catturata, e lei se ne restava in disparte a non fare niente mentre i suoi alleati venivano sconfitti e sopraffatti. Mi dica se questo non è considerabile come atto di tradimento, Tsuchikage.”

Kurotsuchi sentì il cuore iniziare a martellarle furiosamente nel petto. “Siete stati voi a suggerirmi di mantenere un profilo basso,” ribatté, cercando di non mostrare quanto fosse nervosa dentro.

Il Nukenin non disse nulla per diversi secondi, limitandosi ad aprire il suo Jougan e a fissarla in cagnesco. La donna e tutti coloro che la seguivano impallidirono visibilmente appena posarono lo sguardo su quell’occhio minaccioso. Sembrava conferirgli un’aura disumana, come un essere di un altro mondo.

“Non sono giunto qui per vederla scodinzolare, Quarto Tsuchikage. Quello che lei ha fatto abbandonando la Rivoluzione nel suo momento di debolezza è, a tutti gli effetti, un atto di tradimento. Sono venuto per pareggiare i conti,” dichiarò gelidamente, assottigliando pericolosamente gli occhi.

Il corpo del guerriero iniziò ad emanare un’aura di energia oscura e maliziosa che fece accapponare la pelle a tutti. La Tsuchikage trasalì, le sue mani che sudavano copiosamente per la tensione. Attorno a loro due, tutti i presenti non poterono evitare di tremare per il terrore non appena discese il silenzio. Che lo volessero ammettere o meno, avevano paura. Boruto Uzumaki era diventato un mostro, ed era estremamente potente. Talmente tanto da essere riuscito ad eliminare quasi tutti i Kage durante il Summit a inizio mese. Qualsiasi Ninja sano di mente avrebbe avuto paura di lui.

E Kurotsuchi non era un’eccezione. “Aspetta, possiamo parlarne,” disse diplomaticamente, cercando di mantenere la calma. Per quanto odiasse ammetterlo, non aveva altra scelta che scendere a compromessi. Quel moccioso era più che capace di fare una strage. “N-Ne stavo discutendo prima coi miei consiglieri. La Roccia è interessata ad allearsi con la Rivoluzione.”

Boruto la guardò torvo. “Non ho alcuna intenzione di allearmi con dei traditori. La Roccia ha avuto la sua occasione, ma ha dimostrato di non essere leale coi suoi alleati. Perciò, le trattative sono chiuse,” dichiarò solennemente, la sua voce priva di emozione.

La donna imprecò profumatamente. Nonostante avesse cercato di evitarlo, non riuscì ad impedire che il panico si palesasse nella sua espressione. Assieme a lei, Akatsuchi, suo padre ed il resto degli Shinobi della Roccia iniziarono a farsi più tesi che mai, impugnando le loro armi e preparandosi ad uno scontro. Il silenzio che calò in mezzo al Villaggio era più teso che mai.

Ma Kurotsuchi si riscosse subito. Lei era la Tsuchikage. Era il leader della Roccia. Era a capo del Villaggio più potente del mondo. Non si sarebbe lasciata intimidire da quel ragazzo, non più. Se voleva affrontarla, allora che lo facesse pure. Gli avrebbe fatto rimpiangere quella scelta. Gli avrebbe dimostrato quanto fosse potente la Volontà della Pietra. Lei, Kurotsuchi, avrebbe realizzato ciò che nemmeno il Settimo Hokage era ancora riuscito a compiere: avrebbe ucciso Boruto Uzumaki.

E allora, solo allora, il mondo avrebbe capito chi era il più forte.

“Nessuno insulta la Roccia e la sua gente in mia presenza,” ringhiò ferocemente, facendo un passo in avanti. Fronteggiò il biondo con aria di sfida, infondendo chakra nel suo sistema per prepararsi al conflitto imminente. La roccia sotto ai suoi piedi iniziò a creparsi. “Hai ferito e calpestato i miei Shinobi. Se c’è qualcuno che deve pagare per qualcosa, quello sei tu!”

Boruto rimase del tutto impassibile. “La avverto: non ho alcuna pietà nei confronti di quelli che un tempo erano compagni. L’Organizzazione non perdona i traditori. Lei lo sa, non è vero?” Scoccò un’occhiata gelida a tutti coloro che lo avevano accerchiato, trattenendo un ghigno mentre li vedeva tremare nella loro determinazione. “Non risparmierò nessuno, e non ci andrò piano con lei solo perché è una donna. Spero che mi perdonerà per questo, Tsuchikage.”

Kurotsuchi ringhiò, tremando per la rabbia. La stava prendendo in giro davanti a tutti. “Provaci pure, assassino!”

Per tutta risposta, Boruto ghignò feralmente.

Poi, il caos esplose ancora una volta.
 


INVASIONE AL VILLAGGIO DELLA ROCCIA

31 Ottobre, 0021 AIT
Città Vecchia

Ore 18:09

Kurotsuchi ebbe solo il tempo di ammiccare. Un boato assordante si udì esplodere nel cielo, e appena sollevò la testa i suoi occhi intravidero una mostruosa bestia ruggire addosso a lei e ai suoi uomini con un urlo disumano. Con un gemito di sorpresa, la Tsuchikage sgranò gli occhi mentre sentì tutto il suo corpo venire prepotentemente pervaso da una raffica elettrica che le squassò le membra e la carne, impedendole di muoversi. Lampi accecanti di dolore le assalirono la vista come mai le era successo prima.

D-DOTON: Kōka no Jutsu!” (Arte della Terra: Tecnica del Rafforzamento Corporeo) sibilò.

Le urla di dolore e agonia dei suoi compagni le rimbombarono nelle orecchie non appena il suo corpo prese ad indurirsi, permettendole di resistere al fulmine. Kurotsuchi sgranò gli occhi, guardandosi attorno mentre osservava la moltitudine di uomini e donne che la circondavano crollare esanimi a terra, i loro corpi anneriti e fumanti. Ben pochi, se non pochissimi, erano rimasti ancora in piedi. Suo padre e Akastuchi, assieme a qualche altra dozzina di uomini. Gli altri erano stati tutti fulminati come insetti.

Una rabbia feroce e indescrivibile inondò ogni fibra del suo essere nel vedere tutta quella devastazione. Questa era la sua gente, la sua casa. Quel maledetto criminale stava devastando tutto ciò per cui lei aveva faticosamente lavorato nella sua vita. Non gliel’avrebbe permesso. I suoi occhi, sgranati e selvaggi, si posarono sul corpo immobile del suo avversario. Boruto la osservò con uno sguardo provocatorio, le sue labbra snudante in un sorriso crudele e minaccioso mentre il suo mantello oscuro si agitava al vento.

Quella visione bastò a mandarla su tutte le furie. Con un urlo rabbioso, la donna si librò in volo e gli scattò addosso con un pugno serrato. Gli inviò una raffica di raggi di Polvere ed energia rapidi come frecce. Il Nukenin si rivestì di una cappa elettrica in un millisecondo, evitandoli abilmente. La Tecnica della Polvere dissolse in atomi il terreno sotto i suoi piedi, forandolo per centinaia di metri. Poi scattò in avanti a sua volta, volando per incontrarla. I loro pugni si scontrarono con un boato che fece tremare cielo e terra, mentre si fissavano a vicenda con odio.

Poi, tra un battito di ciglia e un altro, era sparito. Kurotsuchi trattenne il fiato, ma non ebbe il tempo di voltarsi prima che un dolore lancinante le accecasse i sensi. La sua testa si piegò di lato mentre crollava verso il basso, precipitando rovinosamente addosso alla base di un edificio del Villaggio. Il palazzo crollò su sé stesso, inondandola di detriti. Prima che potesse rendersene conto, una ventina di metri di macerie l’avevano già sommersa con il loro peso opprimente.

Imprecando, la Tsuchikage sollevò una mano in alto. “JINTON: Genkai Hakuri no Jutsu!” (Arte della Polvere: Distacco della Terra).

L’immenso ammasso di detriti che la sommergeva venne dissolto come se non fosse mai esistito. Mentre si risollevava dalle macerie, la donna fece guizzare freneticamente gli occhi in tutte le direzioni. Quel moccioso stava combattendo in mezzo al piazzale, falciando senza fatica con la sua spada intere orde di uomini che tentavano invano di assalirlo. Oltre gli edifici sulla destra, invece, lo stesso drago etereo di prima stava mietendo morte e distruzione nel settore più moderno. Interi palazzi e grattacieli stavano collassando sotto ai suoi colpi di zampe e coda, generando un terremoto assordante. Immensi polveroni di roccia disintegrata stavano offuscando l’aria.

“Dannazione!” Kurotsuchi scattò nuovamente alla carica, prendendo la mira sul bersaglio. Boruto sembrò percepirla in anticipo, sfilando la sua spada dal petto di uno Shinobi e piazzandosela davanti per bloccare la sua carica. La donna lo centrò sul piatto della lama, i suoi pugni che brillavano di chakra talmente denso da essere più duro e tagliente della pietra. Ancora, il biondo resistette, balzando lontano da lei con uno scatto disumano. Era talmente veloce che i suoi occhi non riuscirono a vederlo per bene.

Eccolo là! Kurotsuchi arrestò il suo volo, puntando le braccia e sparando dalle mani un secondo raggio di Polvere. L’attacco schizzò in avanti, attraversando l’aria più velocemente di quanto l’occhio potesse elaborare, ma non centrò il bersaglio. Boruto scomparve in una scia bluastra di fulmini, e il raggio colpì la base di una colonna monumentale alle sue spalle, riducendola in particelle invisibili. Il monumento si piegò, crollando rovinosamente addosso ad una manciata di uomini e donne che cercavano di mettersi in salvo. Tra di essi c’erano anche dei civili. Il cuore di Kurotsuchi ebbe un fremito di orrore.

Schiumando per la rabbia, perlustrò ogni strada dall’alto. Mai avrebbe pensato di vedere il suo Villaggio diventare un vero e proprio campo di battaglia. Fiamme, morte e distruzione si stavano espandendo a vista d’occhio. Nemmeno i settori più esterni, quelli vicini alle mura, stavano venendo risparmiati dalla furia del drago. Si mosse per andare a fermarlo, quando un improvviso rumore di urla e gemiti di terrore alle sue spalle, all’interno di una piccola casa rotonda, catturò la sua attenzione. Ebbe solo un attimo di realizzazione prima di comprendere come stavano le cose. Boruto aveva intenzione di usarla per uccidere la sua stessa gente. Lei non ci sarebbe cascata così facilmente. Non più, almeno.

Un’immensa esplosione alle sue spalle la fece trasalire a mezz’aria. La Tsuchikage osservò, sconvolta e oltraggiata, mentre il drago etereo del figlio reietto dell’Hokage iniziava ad inondare di fiamme azzurre ogni strada e ogni vicolo su cui volava. Interi quartieri e distretti vennero inondati dalle fiamme, talmente feroci e insaziabili da sembrare un maremoto di fuoco. I suoi sensi allenati percepirono con chiarezza le innumerevoli segnature di chakra che si spensero a causa di quella distruzione. Gli edifici colpiti esplosero dall’interno.

Kurotsuchi ruggì al cielo la sua ira, volando come un missile verso l’immenso rettile che stava distruggendo la sua casa. Ma non lo raggiunse. Proprio in quel momento, una saetta di fulmini e rabbia le si schiantò addosso con una potenza micidiale, deviando la sua traiettoria e costringendola ad atterrare. La donna urlò di dolore, crollando nel bel mezzo della Via Principale con un’esplosione di energia e polvere. Il cemento sotto di lei si crepò per l’impatto, ed il suo corpo venne immobilizzato sul terreno nonostante stesse cercando di risollevarsi.

Boruto Uzumaki la tenne inchiodata al suolo con un piede sul petto, solenne e imperioso. “Dove sta andando, Tsuchikage?” chiese sarcasticamente, il suo volto senza espressione.

Lei ringhiò come un animale. “Yōton: Kaisekifū no Jutsu!” (Arte della Lava: Sigillo di Roccia) urlò, soffiando dalle labbra un getto di fuoco e melma fangosa senza nemmeno unire le mani in Sigilli. Boruto assottigliò gli occhi, allontanandosi da lei prima che l’attacco potesse colpirlo. Il getto di lava fusa, a contatto col terreno, fuse il cemento in un’ondata di calore e vapore.

Sibilando per il dolore, il Kage si rimise in piedi. Fissò con uno sguardo selvaggio il nemico a qualche centinaia di metri da lei, la sua mente che ribolliva d’odio e brama di vendetta. Osservò, con una crescente sensazione di orrore, mentre una figura compariva alle spalle del Nukenin, sbucando dal terreno sotto ai suoi piedi. Era Akatsuchi, la sua scorta.

DOTON: Gōremu!” (Golem di Roccia) ruggì Akatsuchi.

La Tsuchikage sgranò gli occhi con orrore. “No! Non farlo!”

Dalle labbra dell’uomo, un grosso golem di roccia sbocciò alla vita con un sussulto. Emettendo un ruggito simile alle pietre che sfregano l’un l’altra, il bestione roccioso caricò addosso al suo bersaglio senza esitazione, avvolgendolo con le braccia e immobilizzandolo nella sua presa micidiale. Il terreno sotto i suoi piedi si frantumò per il peso.

Ma anche stavolta, quel mostro non si lasciò cogliere impreparato. Sussurrando qualcosa di intellegibile, il criminale numero uno al mondo venne interamente circondato da un vortice fragoroso di energia e vento. Con un crepitio raccapricciante, il vento tranciò il golem come se fosse fatto di burro, ed il suo corpo esplose in mille frammenti sparsi di roccia. Boruto rimase fermo senza battere ciglio, voltando leggermente la testa mentre Akatsuchi gli caricava addosso con un urlo, le sue possenti braccia pronte a farlo a pezzi. Afferrò senza problemi il pugno incombente, evitando nello stesso tempo un calcio con un’inclinazione casuale del busto.

Kurotsuchi vide il momento esatto in cui il viso dell’omone sbiancò per il terrore. Akatsuki sibilò di dolore mentre un pugno devastante lo centrò in piena faccia, piegandosi successivamente in due quando una gomitata lo centrò all’inguine. Il Nukenin lo sollevò di peso mentre era ancora accecato dal dolore, reggendolo sopra la sua testa con entrambe le braccia. La Tsuchikage sgranò gli occhi. “NO!”

Ma quello non le diede ascolto. Con un ghigno di trionfo, caricò le braccia ancora più in alto prima di sbattere prepotentemente il corpo immenso di Akatsuchi contro il terreno come se fosse più leggero di una piuma. Kurotsuchi urlò per l’orrore e la furia mentre lo vide impalare in pieno petto il suo amico di lunga data con una roccia appuntita che si trovava sul terreno. L’omone emise un grido gorgogliante e soffocato mentre la pietra puntuta gli tranciava lo sterno, proprio sul cuore, prima di ruotare gli occhi ed esalare un respiro tremante. Sangue cremisi e denso prese a zampillargli dalla ferita, riversandosi a fiumi sul terreno.

La Tsuchikage vide rosso, ignorando le lacrime che per poco non rischiarono di uscirle dagli occhi. Il ninja traditore la guardò con un’espressione oscura e infestata. “Perché quella faccia? Le sto solo ricambiando il favore per ciò che ha fatto,” disse semplicemente, fingendosi confuso. “Mentre i Kara venivano messi in prigione, lei non ha provato a schierarsi a loro favore. Quando la Rivoluzione si è sciolta, lei non ha provato a fare qualcosa per rimediare, a differenza di tutti gli altri Kage. Si è limitata a condannarci al nostro destino, ripudiando la nostra alleanza e rintanandosi dentro a queste squallide mura, pensando di essere intoccabile.”

Il Jougan di Boruto la fulminò col suo sguardo crudele e malsano. “E questo… questo è un tradimento imperdonabile!” dichiarò.

La rabbia le esplose nel petto come un vulcano. Con un ruggito furibondo, la Tsuchikage fece un salto portentoso e volò addosso al biondo con una velocità inaudita, preparandosi a ridurlo in brandelli. Boruto accolse la sua carica senza esitazione, afferrando il braccio della donna puntato contro di lui e ruotando col corpo. Kurotsuchi boccheggiò mentre la scagliava addosso ad un edificio sulla destra, facendola schiantare contro una parete di ferro e acciaio che si piegò all’indietro per la forza dell’impatto. Il Kage emise un gemito di dolore, crollando in ginocchio e sputando sangue.

Il ruggito possente e raccapricciante del drago la fece riscuotere dal dolore. Kurotsuchi si rimise faticosamente in piedi quando vide quel mostruoso rettile di prima serpeggiare nell’aria, sopra le loro teste. Stava riversando altri fiumi di fiamme addosso ai grattacieli, facendoli esplodere in rapida successione. Immense macerie e detriti di cemento e vetro cominciarono a piovere dal cielo come meteore incandescenti, devastando e dando fuoco a case e persone indistintamente.

Boruto rimase fermo in mezzo a quella distruzione, imponente. “La fine della Roccia inizia ora.” dichiarò.

Kurotsuchi gridò, frustrata, e si gettò di nuovo contro di lui. Era più forte di lei, lo sapeva, ma non si sarebbe arresa. Quel criminale aveva devastato la sua casa e ucciso i suoi amici. Non gli avrebbe permesso di vivere. Non dopo quello che aveva fatto. Anche se era immensamente più potente, anche se alla fine avesse perso la vita, lei gliel’avrebbe fatta pagare cara. A qualunque costo.

Un improvviso getto d’acqua bollente per poco non la travolse. Il cuore della donna prese a martellarle nel petto, ma rafforzò la sua decisione. Lanciò in avanti un altro raggio di Polvere e Boruto lo evitò con uno scatto disumano, ma lei continuò comunque ad attaccare, anche quando la pecora nera della Foglia le si lanciò a sua volta contro con la spada sguainata. Kurotsuchi imprecò e afferrò la lama con le mani prima che potesse tagliarla a metà, rafforzando le dita con una Tecnica della Terra.

“Non ha più scampo, traditrice,” disse gelidamente quello, forzandola alla sottomissione con la sola pressione della sua spada. La donna crollò in ginocchio mentre tentava di resistergli, il terreno sotto di lei che si crepava sempre più. “Non può usare la Tecnica dello Scambio dei Corpi che le ho insegnato per difendersi. Non senza dei corpi con cui scambiarsi. Oppure ha realmente intenzione di uccidere i suoi stessi subordinati per sfuggirmi?”

Kurotsuchi snudò i denti per la rabbia e l’oltraggio, fissandolo con gli occhi iniettati di sangue. Per quanto detestasse ammetterlo, quel maledetto pazzo aveva ragione. Non poteva usare quella Tecnica a discapito della sua gente. Non avrebbe mai potuto, in quanto Kage. In guerra, dove c’erano innumerevoli quantità di nemici a sua disposizione, era stato possibile. Ma adesso? Nel bel mezzo del Villaggio? Non poteva farlo. La salvaguardia della sua gente era la priorità assoluta.

I suoi occhi rabbiosi fissarono il biondo con un odio immenso. “Non deridere la Tsuchikage, moccioso!” ruggì ferocemente.

Con uno scatto repentino delle braccia, la donna riuscì a deviare la spada di lato, sferrando un portentoso pugno verso il volto del biondo. Boruto sgranò gli occhi, riscuotendosi immediatamente ed evitando a malapena il colpo con un’oscillazione istintiva del collo. Poi, il mondo di Kurotsuchi venne completamente abbagliato da lampi di luce quando la sua guancia sinistra subì un colpo di palmo duro come l’acciaio più inflessibile. Tentennando per il dolore, il Nukenin la centrò in pieno petto con un calcio invisibile, scagliandola lontano da sé.

Digrignando i denti mentre volava, le sue mani si unirono assieme in un Sigillo. “Yōton: Sekkaigyō no Jutsu!” (Arte della Lava: Calce Solidificante).

Le sue labbra sputarono una serie di proiettili di calce corrosiva, talmente calda e ustionante da annebbiare l’aria attorno ad essa. Il Nukenin li evitò scartando di lato, rivolgendole di rimando un sorriso ferale che snudava i denti mentre attivava la sua caratteristica Scia di Fulmini. La donna pensò che stesse per attaccare, ma il biondo aveva altri piani. Con un salto portentoso, si librò nel cielo e scattò verso la zona centrale del Villaggio, più simile ad una forza della natura che a un uomo. Kurotsuchi imprecò, scattando all’inseguimento mentre volava lungo le vie devastate della città.

Boruto correva ad una velocità indescrivibile, travolgendo intere orde di Shinobi che schizzavano all’aria come birilli sanguinolenti centrati da una palla da bowling. Kurotsuchi tentò invano di fermarlo mentre scappava lanciandogli una raffica di raggi di Polvere, ma come tutte le altre volte il ninja traditore riusciva sempre a prevederli, evitandoli con relativa facilità e continuando la sua strage. La Tsuchikage trattenne l’istinto di urlare al cielo. Non aveva idea di come avesse fatto a diventare così veloce, ma quel maledetto moccioso la stava facendo infuriare sempre più. Le sembrava di combattere contro un demone impazzito piuttosto che contro un misero ragazzo. Se la sua memoria non la ingannava, era pronta a giurare che fosse diventato persino più veloce dell’Hokage.

Poi, raggiunse il suo obiettivo. Boruto arrestò improvvisamente la sua corsa, fermandosi dinanzi al palazzo più alto del Villaggio, e voltandosi per fronteggiarla ancora una volta. Kurotsuchi rimase in volo, prendendo la mira con le mani verso il basso per centrarlo una buona volta. “JINTON: Genka-

RWAAAAAAARRR!!!

Un ruggito agghiacciante e portentoso la fece trasalire di colpo. La Tsuchikage sollevò la testa di scatto, spalancando a dismisura gli occhi e la bocca prima di essere prepotentemente investita da un ammasso di energia liquida che le piovve letteralmente addosso dal cielo, talmente possente e opprimente da farle gemere le ossa e i muscoli. Con un urlo acuto di dolore, venne fatta schiantare pateticamente al suolo, sputando sangue e saliva mentre cercava invano di resistere alla zampa che la teneva inchiodata sul terreno. Sentì le ossa delle sue gambe piegarsi pericolosamente, facendola strillare d’agonia.

Poi, con un terribile schiocco raccapricciante, le sue ossa si ruppero per il peso che le schiacciava.

Il dolore fu agghiacciante. Talmente tanto da riuscire a toglierle il fiato e sbiancarle completamente la mente. Kurotsuchi urlò a squarciagola, dimenandosi e versando sangue e lacrime. Poi, veloce com’era arrivata, la pressione sulle sue gambe sparì, e la donna emise un gemito simile ad un singhiozzo quando percepì qualcosa che le alzava un braccio, risollevandola dal terreno. Aprì faticosamente gli occhi, scoprendo con orrore che Boruto l’aveva sollevata di peso per un braccio, reggendola con una sola mano senza il minimo sforzo. Con l’altra le stava lentamente afferrando l’altro braccio, e a giudicare da come le stava stringendo il polso-

Un secondo schiocco secco riecheggiò nell’aria subito dopo.

Kurotsuchi gridò, inarcandosi freneticamente con la schiena mentre dimenava il braccio ferito. La sua vista annebbiata dalle lacrime riuscì solamente ad intravedere l’espressione gelida e crudele di Boruto mentre continuava a tenera sollevata, intento a fissarla con odio e rabbia.

“Nessuna pietà per i traditori,” sibilò ferocemente.

Poi, con una potenza e una rapidità inaudita, il Nukenin la sbatté prepotentemente al suolo come una frusta, prima di ruotare con tutto il corpo e lanciarla ancora una volta all’aria.

L’ultima cosa che la Tsuchikage percepì fu un dolore immenso per tutto il corpo, e la sua schiena che si collegava malamente a qualcosa di duro e freddo come la pietra.

Poi, il buio avvolse momentaneamente ogni cosa.
 


INVASIONE AL VILLAGGIO DELLA ROCCIA

31 Ottobre, 0021 AIT
Distretto Principale

Ore 19:00

Boruto osservò con un’espressione gelida e crudele il corpo della Tsuchikage mentre sfondava il suo stesso palazzo, abbattendolo completamente come se fosse una palla da demolizione. Ma non si fermò lì. La donna continuò a librarsi in aria come un missile senza scopo, sfondando altri due edifici in rapida successione e schiantandosi infine contro il fianco di una collina lontana, ai margini di una foresta vicino alle mura. Lì, un grosso nuvolone di povere e detriti s’innalzò nel punto in cui si era schiantata, sollevandosi verso il cielo.

Il guerriero deglutì, osservando con nervosismo i tre palazzi che crollavano in mille pezzi, l’uno dopo l’altro. Lanciò un’occhiata sul suo braccio rivestito dai simboli azzurri del Marchio di Ishvara. Forse – dovette ammettere con una punta di imbarazzo – aveva immesso giusto un pochino di forza in eccesso in quest’ultimo lancio. L’energia del Marchio era devastante, ma non si era reso conto di averne incanalata così tanta. Oh beh, almeno aveva avuto effetto. Sperava solo che quella donna non fosse morta così presto. Sarebbe stato un peccato, altrimenti.

“Kurotsuchi!”

Il suo Jougan guizzò verso destra, notando fin troppo bene la presenza di un uomo sulla sessantina, visibilmente sconvolto come non mai. A giudicare dai lineamenti severi e da quell’espressione quasi identica, doveva essere il padre della Tsuchikage. Stava fissando il punto in cui aveva lanciato la donna con un’espressione piena di panico e preoccupazione. Tipico di un genitore, dedusse il Nukenin.

Non mostrò pietà nemmeno per lui. Si limitò a puntare un dito verso il bersaglio mentre era distratto e a sparargli un proiettile d’acqua col pensiero. Il colpo centrò l’uomo con una rapidità inaudita, facendogli esplodere la testa come un palloncino bucato. Crollò in una pozza d’acqua e sangue senza emettere un singolo rumore.

Poi, tornò a focalizzarsi su ciò che andava fatto. Lasciando libera la sua Volontà di Fuoco di continuare a mietere morte e distruzione per la città, il biondo si diresse ad ampi balzi verso il suo obiettivo, incurante di tutto il resto. Il suo bersaglio si era schiantato sul fianco di una collina rocciosa, in quello che doveva essere un campo d’addestramento periferico del Villaggio, lontano da tutti gli edifici. Ci mise un bel quarto d’ora a raggiungerlo a piedi.

Quando arrivò, non trovò un bello spettacolo. Kurotsuchi era ancora viva, sì, ma in condizioni pietose. Era buttata in mezzo ad una radura spoglia, ai piedi di una parete rocciosa, ansimante e giacente in una pozza di sangue, con le gambe spezzate in una posa grottescamente riprovevole. Si teneva pateticamente sollevata da terra con il braccio destro, mentre il sinistro era poggiato al suolo con il polso penzolante. Grondava di sangue e sudore, ansimando come un’animale morente.

Boruto le si avvicinò in silenzio, camminando lentamente fino ad arrivare dinanzi a lei. “Ancora viva, traditrice?” chiese lentamente, la sua voce vacua.

La Tsuchikage fece guizzare con fatica la testa verso di lui, fissandolo con due occhi insanguinati e pieni di dolore e rabbia. “Tu,” ansimò, serrando un pugno. “M-Maledetto.”

“Che spettacolo patetico,” commentò ancora lui, atono e incurante. “Per niente degno di un Kage. Credo che sia inutile darle del lei a questo punto… non trovi anche tu?”

“L-La pagherai… per quello che hai f-fatto…” esalò l’altra, fissandolo in cagnesco.

“Non credo proprio,” ribatté il ninja traditore, incrociando le braccia sotto al mantello e fissandola con solennità. “Se c’è qualcuno che ha condannato te e la tua gente a questo destino, ti conviene guardarti allo specchio, Tsuchikage. Il tradimento viene sempre punito in un modo o nell’altro.”

“Non… avevo scelta…”

“Abbiamo sempre una scelta,” ribatté Boruto, imperioso. “È questo che tu e il Settimo Hokage non riuscite a capire. Siete entrambi degli ingenui. Pensate che l’unica soluzione sia solamente la Pace, oppure solamente la Guerra. Le due scelte sono solo degli opposti per voi, opposti che non possono conciliare. Ma ordine e caos sono la stessa cosa, e sono entrambe facce della stessa medaglia. Io e i miei seguaci abbiamo scelto di perseguirli per portare finalmente una Pace duratura in questo mondo, ma il tuo tradimento nel nostro momento di maggiore debolezza ha dimostrato che non ti sei mai fidata del nostro obiettivo. Pensavo che l’avessi capito, ma mi sbagliavo. Quello che hai fatto… non ti rende diversa dall’Hokage.”

“L’Hokage?” ripeté Kurotsuchi, sarcastica. Emise una piccola risata oscura dopo quelle parole, ansimando e tossendo sangue dalle labbra. “N-Non riuscirai mai a sconfiggere tuo padre, moccioso. Perirai nell’impresa, sprecando la tua vita per niente,” ansimò.

Boruto fece un passo verso di lei. “Tra tutte le vite di cui dovresti preoccuparti, Kurotsuchi, la mia non fa parte di queste,” disse gelidamente.

“T-Tu… sei solo un pazzo megalomane,” sputò con odio la donna morente. I suoi occhi selvaggi lo fissavano rabbiosamente, iniettati di sangue. “Vuoi solo conquistare il mondo, sottomettendo ogni cosa. Non…Non permetterò che la mia Nazione s’inginocchi dinanzi a te.”

“Non volevo far inginocchiare nessuno, invece. Se foste rimasti al mio fianco vi avrei trattato da eguali. Da compagni, come ho fatto con tutti gli altri. Ma non posso perdonare il tradimento. Ti darò la morte, Tsuchikage; una morte orribile e raccapricciante, e poi, per colpa di ciò che hai fatto… la tua Nazione sarà mia,” dichiarò con solennità, fissandola dall’alto in basso con uno sguardo indifferente.

Kurotsuchi lo sfidò con gli occhi. “La mia morte… non ti darà il controllo del mio Paese,” sibilò.

Boruto sorrise feralmente. “Ed è qui, proprio qui, che sbagli.”

Il Nukenin non perse tempo. Portandosi sopra il corpo della Tsuchikage, la afferrò con prepotenza per la testa ed iniziò a tirare violentemente, schiacciandole la schiena con un piede. Kurotsuchi trasalì e digrignò i denti per il dolore, furiosa e spaventata, cercando pateticamente di divincolarsi colpendolo col suo unico braccio sano. Boruto ringhiò, sferrandole un pugno sulla nuca per farla stare ferma, prima di afferrarla ancora una volta e tirarle la testa con tutta la forza che aveva nelle braccia.

La donna gridò. Un grido sanguinolento, agonizzante e roco, cercando disperatamente di divincolarsi dalla presa di ferro che quel boia disumano aveva sulla sua testa.

E ancora, incurante di tutto, Boruto tirò. Tirò, tirò e tirò, senza fermarsi mai.

Ignorando i gemiti, ignorando le urla, e ignorando le grida disumane che riecheggiarono nell’aria per chilometri e chilometri.

Fino a quando, con un ultimo strattone delle braccia ed un ultimo grido orripilante, la testa della Tsuchikage si staccò grottescamente dal suo corpo.

Boruto ruggì, emettendo un oscuro grido di rabbia e ferocia, mentre sangue, viscere e budella gli macchiavano orribilmente il corpo e la faccia, schizzando dappertutto. Poi, sollevando lentamente la mano, fissò con disgusto e rabbia la testa recisa e gocciolante della donna, congelata nel suo ultimo grido di dolore; con la bocca aperta e sbavante e gli occhi ruotati all’interno del cranio. In alto, lassù nel cielo crepuscolare, il sole ormai tramontante venne oscurato da una grossa nube oscura, gettando tutto il Paese della Terra nel buio e nell’oscurità della notte.

Boruto Uzumaki aveva colpito ancora.

Con un cipiglio inferocito, il giovane criminale stipò la testa sanguinante nel sigillo di contenimento sul suo avambraccio. Poi, con una scrollata del suo mantello, si voltò e se ne andò lì senza voltarsi indietro, lasciando il cadavere senza testa in pasto agli avvoltoi.

E mentre avanzava verso il suo prossimo obiettivo, Boruto rimase ignaro del fatto che, ad ogni passo che faceva, un’impronta di sangue veniva lasciata lungo la sua scia. Ma lui non se ne curò, completamente ignaro della pista di sangue che si era lasciato alle sue spalle.

Ignaro… o incurante.
 

.

.

.
 


31 Ottobre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza Uchiha
20:30

Sarada sorrise, esalando un sospiro soddisfatto appena ebbe finito di mangiare. Davvero, non poteva negare in nessun modo che sua madre fosse migliorata nella cucina durante questi ultimi anni. Non che prima non fosse stata una brava cuoca, certo, ma ultimamente i suoi piatti stavano diventando sempre più gustosi. Era come se dentro ci stesse mettendo più amore e dedizione di prima, sin da quando lei era tornata da Eldia. Sarada apprezzava moltissimo questa premura nei suoi confronti. Sakura stava passando anche meno ore in ospedale pur di restare con lei quanto più a lungo possibile.

Sua madre la guardò con divertimento. “Ti è piaciuto?” domandò.

La ragazza annuì con enfasi. “Molto. Sei diventata una cuoca eccezionale, mamma.”

“Ahaha. Forse un giorno potremmo cucinare assieme, se ti va. Così ti insegno un paio di trucchetti,” le suggerì, sorridendo e facendole l’occhiolino.

Quella sorrise con emozione. Era da moltissimo tempo che non cucinava assieme a sua madre. Gli ultimi ricordi che aveva di quei momenti risalivano a quattro anni prima, ormai. Sembrava passata un’eternità da allora. “Mi piacerebbe tanto,” ammise lentamente, sorridendo a sua volta.

Madre e figlia si scambiarono un’occhiata dolce, quando all’improvviso la sigla del telegiornale prese a risuonare all’improvviso dalla televisione che stavano ascoltando in sottofondo. Si voltarono entrambe a fissare lo schermo, confuse. Non era ancora l’orario del notiziario serale.

“Buonasera, gentili telespettatori. Ci scusiamo per la brusca interruzione dei programmi, ma abbiamo delle terribili nuove da comunicarvi,” fece la voce della giornalista, mortalmente seria. Le due donne la ascoltarono con attenzione. “Proprio pochi minuti fa, è stata confermata da parte di alcune truppe di ricognizione della Sabbia una sconvolgente notizia a livello internazionale: il Villaggio della Roccia è stato invaso e assaltato.”

Sarada sentì tutto il fiato che aveva nei polmoni abbandonarla completamente. L’immagine sullo schermo cambiò, mostrando la diretta di un ammasso di macerie e detriti fumanti nel bel mezzo di ciò che si poteva descrivere solo con un termine: distruzione.

“Queste sono riprese registrate pochi minuti fa direttamente nel Villaggio della Roccia,” spiegò la giornalista. Una seconda immagine apparve a quel punto, mostrando la faccia di un ragazzo biondo e dal volto sfigurato che tutti conoscevano fin troppo bene. “Secondo i primi resoconti generali, il famoso criminale ricercato dalla Foglia, nonché leader dei Ribelli – Boruto Uzumaki – ha attaccato e raso al suolo l’intero Villaggio questo pomeriggio, distruggendo ogni cosa e facendo una strage senza precedenti. Una di quelle che non si vedevano sin dai tempi della caduta della Nuvola.”

“È con mio enorme dispiacere e immenso rammarico che vi comunico che il Villaggio e la sua gente… non esistono più. Boruto Uzumaki ha distrutto ogni cosa.”

No…

La ragazza non voleva crederci.

“Il bilancio delle vittime è, al momento, ancora variabile. Secondo le prime stime, esso supera addirittura l’inquietante cifra di diecimila e trecento persone tra Shinobi e civili indistintamente. Tra le vittime, ancora una volta, è stata confermata la morte del Quarto Tsuchikage. Attualmente, con la distruzione della Roccia, l’intero Paese della Terra si schiera a favore della Rivoluzione e degli ideali Ribelli. Con la sua aggiunta, la fazione contraria alle Nazioni Alleate ha raggiunto la sconcertante cifra di ben sei Paesi favorevoli al suo operato. E da oggi, ufficialmente, anche la Terra del Ghiaccio si dichiara favorevole alla Rivoluzione dopo gli eventi che stanno accadendo nel panorama geopolitico del pianeta.”

Sarada trattenne il fiato, sentendo il suo corpo iniziare a tremare.

La giornalista in televisione appassì visibilmente. “Ad un mese dalla distruzione del Summit, sembra che il ricercato numero uno al mondo non si sia arreso con la sua opera di conquista. Con la morte della Roccia, Boruto Uzumaki è ufficialmente diventato il criminale col più alto numero di uccisioni sulle spalle nella storia del nostro pianeta. Per chiunque dovesse entrare in contatto con lui, si raccomanda la più estrema delle discrezioni. È impossibile prevedere quali potrebbero essere le sue mosse.”

Le lacrime iniziarono a scorrerle da sole lungo le guance. Sarada non si rese nemmeno conto di quando sua madre le si portò accanto e l’abbracciò, restando con lo sguardo fisso e puntato sullo schermo.

“Concludiamo questa trasmissione straordinaria con un’ultima immagine,” disse la donna, pallida e sconvolta. “Ma prima di mostrarvela, è lecito fare un avvertimento: ciò che state per vedere potrebbe urtare pesantemente la vostra sensibilità. Per coloro che non sono Shinobi, o che non sopportano immagini cruente, vi preghiamo di distogliere lo sguardo. Detto questo, vi mostriamo adesso l’immagine scattata dalle macerie del Villaggio della Roccia. Dopodiché, la linea ritorna alla regolare trasmissione…”

“…per quanto sia possibile, vi auguriamo una piacevole serata.”

Il silenzio tornò a regnare per tutto il pianeta.

E quella notte, ancora una volta – per l’ennesima volta nella sua breve vita – Sarada Uchiha sentì tutto il mondo crollarle addosso. Sentì tutte le convinzioni, tutte le speranze, e tutte le certezze che aveva precedentemente avuto… frantumarsi completamente dinanzi ai suoi occhi. Perché, ancora una volta, era successo l’impensabile. Perché, per l’ennesima volta, il suo vecchio amico e compagno aveva compiuto una strage senza eguali. E nemmeno le parole tristi e devastate che sua madre le stava disperatamente sussurrando per confortarla bastavano a mendare il dolore nel suo cuore.

E poi, quando l’immagine cambiò, il suo dolore si mutò in sgomento. E lo sgomento divenne orrore. E l’orrore divenne panico. Le braccia di sua madre, senza che se ne rese conto, la strinsero a sé con più forza di prima. Perché, su quello schermo della televisione, l’immagine che venne mostrata in diretta mondiale era davvero sconcertante.

L’immagine della testa di Kurotsuchi, insanguinata e contusa, con l’espressione orrendamente congelata in un urlo silenzioso, conficcata senza pietà sopra un palo di legno nel bel mezzo del Villaggio distrutto.

Sarada Uchiha versò lacrime di sangue dagli occhi.

Boruto Uzumaki aveva colpito ancora.

E da allora fino alla fine dei tempi, quel giorno sarebbe stato ricordato dal mondo come ‘la Purga della Roccia’.








 

Note dell’autore!!!

Salve gente, sono tornato. Inizio subito facendovi i migliori auguri di un felice anno nuovo, a tutti.

Passando alle cose un po' più serie, ecco a voi il nuovo capitolo. Spero possa esservi piaciuto.

Non credo che ci sia molto da aggiungere questa volta. Il capitolo è abbastanza esaustivo di per sé, quindi preferisco non dire niente. Badate bene, però: nella mia storia Boruto è il cattivo. Anche se non è banalmente cattivo (nel senso letterale del termine). Immagino che lo avrete compreso ormai, ma ci tengo a sottolineare il concetto. La sua evoluzione spietata e crudele ha, come sempre, dei motivi che verranno rivelati a tempo debito. Ma non è un semplice antagonista come quelli che siamo abituati a vedere. Vorrei che questa cosa fosse chiara.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo. A presto!

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Capitolo 14
*** Cosa Rende Mostruoso un Uomo ***


COSA RENDE MOSTRUOSO UN UOMO



 
DEMONS
(Imagine Dragons)
 
When the days are cold
And the cards all fold,
And the saints we see
Are all made of gold;
When your dreams all fail,
And the ones we hail
Are the worst of all,
And the blood's run stale;
 
I want to hide the truth,
I want to shelter you,
But with the beast inside
There's nowhere we can hide.
No matter what we breed
We still are made of greed,
This is my kingdom come.
This is my kingdom come.
 
When you feel my heat,
Look into my eyes,
It's where my demons hide!
It's where my demons hide!
Don't get too close!
It's dark inside!
It's where my demons hide!
It's where my demons hide!
 
When the curtain's call
Is the last of all,
When the lights fade out
All the sinners crawl.
So they dug your grave,
And the masquerade
Will come calling out
At the mess you made.
 
Don't want to let you down,
But I am hell bound.
Though this is all for you,
Don't want to hide the truth.
No matter what we breed
We still are made of greed.
This is my kingdom come.
This is my kingdom come.
 
When you feel my heat,
Look into my eyes,
It's where my demons hide!
It's where my demons hide!
Don't get too close!
It's dark inside!
It's where my demons hide!
It's where my demons hide!
 
They say it's what you make,
I say it's up to fate.
It's woven in my soul,
I need to let you go.
Your eyes, they shine so bright,
I want to save their light,
I can't escape this now
Unless you show me how!
 
When you feel my heat,
Look into my eyes,
It's where my demons hide!
It's where my demons hide!
Don't get too close!
It's dark inside!
It's where my demons hide!
It's where my demons hide!
Quando i giorni sono freddi
E le carte sono ripiegate,
E i santi che vediamo
Sono fatti tutti d’oro;
Quando tutti i tuoi sogni falliscono,
E coloro che salutiamo
Sono i peggiori di tutti,
E il sangue non scorre più;
 
Voglio nascondere la verità,
Voglio proteggerti,
Ma con la bestia dentro di me
Non c’è luogo dove nascondersi.
Non importa quale sia la nostra razza
Siamo sempre fatti d’avidità,
Questo è il mio regno che viene.
Questo è il mio regno che viene.
 
Quando senti il mio calore,
Guarda dentro ai miei occhi,
È dove i miei demoni si celano!
È dove i miei demoni si celano!
Non avvicinarti troppo!
È buio dentro di me!
È dove i miei demoni si celano!
È dove i miei demoni si celano!
 
Quando il calo del sipario
È l’ultima cosa,
Quando le luci si spengono
Tutti i peccatori strisciano.
Quindi scavano la tua tomba,
E la mascherata
Verrà a chiamarti
Per tutto il disastro che hai causato.
 
Non voglio deluderti,
Ma sono legato all’inferno.
Anche se tutto questo è per te,
Non voglio nasconderti la verità.
Non importa quale sia la nostra razza
Siamo sempre fatti d’avidità,
Questo è il mio regno che viene.
Questo è il mio regno che viene.
 
Quando senti il mio calore,
Guarda dentro ai miei occhi,
È dove i miei demoni si celano!
È dove i miei demoni si celano!
Non avvicinarti troppo!
È buio dentro di me!
È dove i miei demoni si celano!
È dove i miei demoni si celano!
 
Dicono che si è ciò che si fa,
Io dico che decide il destino.
È intrecciato nella mia anima,
Io devo lasciarti andare.
I tuoi occhi brillano così tanto,
Voglio salvare la loro luce,
Ora non posso sfuggire da questo
A meno che non mi mostri come fare!
 
Quando senti il mio calore,
Guarda dentro ai miei occhi,
È dove i miei demoni si celano!
È dove i miei demoni si celano!
Non avvicinarti troppo!
È buio dentro di me!
È dove i miei demoni si celano!
È dove i miei demoni si celano!
 
 


02 Novembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
08:00

Boruto respirò affannosamente, crollando pesantemente in ginocchio. Anche con gli occhi chiusi, riusciva sempre a percepire il sudore che gli colava dalle tempie e il tremore incessante delle sue braccia. Suppose che era normale. Dopotutto, era da dieci ore che si stava allenando ininterrottamente per cercare di perfezionare quella Tecnica. Non aveva nemmeno dormito questa notte, restando fuori dal castello, in mezzo ai prati immensi e al crepuscolo infinito dell’Occhio della Tempesta, cercando di manipolare alla perfezione il suo chakra.

Era vicino, poteva sentirlo. Mancava poco, veramente poco, prima che la Tecnica che aveva ideato potesse finalmente essere completa. I passaggi erano sempre gli stessi: rotazione, potere, contenimento. La stessa sequenza del Rasengan Elettrico, solo... più potente. Più precisa, più flessibile. E i risolutati, secondo i suoi studi, sarebbero dovuti essere estremamente più potenti. Il suo Rasengan Elettrico era devastante come pochi, ma questo… questo avrebbe potuto essere paragonabile ad una Bijuudama (Sfera dei Bijuu). Sempre se fosse riuscito a controllarlo a dovere, certo.

Il Nukenin si buttò a sedere sul prato, riprendendo fiato e fissandosi la mano destra. I sigilli azzurri del Marchio di Ishvara erano sempre lì, ma la loro energia si era esaurita dopo tutte queste ore di allenamento. Ormai sarebbe stato inutile continuare a tentare senza di esso. Senza il Marchio, la Tecnica non avrebbe potuto funzionare. Boruto aveva di per sé delle grosse riserve di chakra, lo sapeva bene, ma per poter emulare una potenza simile c’era bisogno di un Potere immenso. Da solo, non aveva modo di riuscirci in alcuna maniera, nemmeno dopo l’intervento di Hikari.

“Vedo che non hai perso il vizio di allenarti a discapito del sonno,” ridacchiò una voce alle sue spalle.

Le sue labbra si incurvarono inconsciamente in un sorriso. Non avrebbe mai potuto scordare quella voce. “Le abitudini sono difficili da dimenticare, sensei.”

Urahara si mise a sedere accanto a lui, fissando il cielo violaceo di quella dimensione senza parlare. Per un po' di tempo, quei due rimasero così, in silenzio, senza proferire parola. Si crogiolarono nella loro presenza, restando muti ad osservare il paesaggio meraviglioso di quel mondo ed ascoltando il cinguettio degli uccelli. Poi, ancora una volta, il silenzio venne interrotto. “Come ti senti?” domandò lo spadaccino.

Boruto non rispose subito. Il suo occhio sinistro rimase glaciale. Sapeva bene a cosa si riferiva il suo maestro. Dopotutto, la distruzione di uno dei Cinque Villaggi Ninja non era un’esperienza che si dimenticava facilmente. “Bene,” rispose, pacato. “Non è la prima volta che ho fatto una cosa simile, dopotutto. Per quanto sia strano, credo che mi ci stia abituando.”

L’uomo col cappello lo fissò di sbieco per diversi secondi. “…stai mentendo.”

Il Nukenin sorrise di nuovo, privo di emozione. “Sono così facile da leggere, eh?”

“Sì, almeno per me,” rispose quello. “Ragazzo, ti ho cresciuto da quando avevi sette anni. Ti conosco meglio di molti. E anche se ultimamente sto facendo fatica a comprendere le tue ragioni, riesco sempre a vedere il piccolo ragazzino di un tempo dentro di te.”

Boruto soffocò una risata amara, serrando inconsciamente i pugni. “Credo che quel ragazzino non esista più, ormai,” ammise con rammarico, fissando l’orizzonte con uno sguardo spento. “Fino a poco fa credevo di essere rimasto sempre lo stesso, ma adesso non più. Da quando sono tornato sulla Terra, da quando il mondo è cambiato… sono cambiato anch’io.”

Urahara lo fissò, senza rispondergli per un po' di tempo. Spostò lo sguardo a sua volta verso l’orizzonte, ascoltando il canto degli uccelli che si affievoliva sempre di più mentre lottava per trovare le parole giuste. Ma non c’erano parole per descrivere quello che voleva sapere, quello che voleva chiedergli. La distruzione del Summit, la strage incalcolabile di Shinobi e civili, la Purga della Roccia… Boruto era stato l’artefice di tutto questo. Era stato l’unico e solo responsabile per la morte di tutte quelle persone. Non esisteva – letteralmente – nessun altro essere umano con un numero così alto di vittime sulla coscienza. E la consapevolezza che il suo allievo preferito fosse il responsabile di tutto ciò gli lasciava un sapore amaro in bocca.

Il suo Boruto stava spaccando il mondo, e Urahara lo sapeva. Lo sapeva perché poteva vederlo. Dopo la distruzione della Roccia, la Rivoluzione stava riacquisendo potere come non mai. I ranghi del loro esercito di Ribelli stavano aumentando a dismisura. E questo perché, sulla Terra, la gente aveva paura di Boruto. La maggior parte di quelli che si univano alla sua causa lo facevano per questo. Perché avevano paura di lui. Perché se fossero usciti dalle righe, se fossero andati contro la sua opera di conquista, loro sarebbero stati i prossimi a perdere la vita. Solo la Foglia, la Nebbia e la Sabbia rimanevano contrarie al suo operato, assieme alla Terra del Ferro e a qualche altra Nazione minore come quella delle Cascate e degli Orsi. Ma di questo passo… nessuno avrebbe potuto prevedere come sarebbero finite le cose. Ciò che sarebbe accaduto era un mistero, persino per lui.

E Urahara non aveva mai pensato che il suo allievo avrebbe mai potuto causare tutto questo. “Perché hai deciso di intraprendere questa strada, ragazzo?” gli chiese alla fine, lottando per trovare le parole. “Solo… perché?”

Quello continuò a fissare l’orizzonte. “…perché non riesco a vedere un futuro, sensei,” rispose semplicemente. “Nemmeno col mio Jougan riesco a prevedere ciò che accadrà. Ma riesco a percepirlo, a provarlo, a sentirlo dentro di me. Se le cose restassero così, se la Rivoluzione si sciogliesse… non ci sarà futuro per il nostro pianeta.”

L’uomo col cappello si voltò per fissarlo. “Come puoi dirlo?”

“Io… non riesco a spiegarmelo, in realtà,” ammise a bassa voce. “È solo… una sensazione. Come quando Momoshiki e Kinshiki stavano per giungere sulla Terra. O come quando stavo per essere condotto su Eldia. Ma stavolta riesco a sentirlo con certezza. Se non otterremo la Pace… noi Guerrieri, gli Shinobi, tutti quanti indistintamente, non avremo più futuro.”

“E perché arrivare a queste misure drastiche?” premette ancora Urahara. “Perché uccidere civili innocenti, innumerevoli Kage e un intero Villaggio che aveva intenzione di allearsi con noi? Tu sei potente, Boruto. Abbastanza potente da poter convincere l’Hokage e le altre Nazioni ad unirsi assieme pacificamente. Se lo volessi, potresti mettere fine a tutto questo con una semplice dichiarazione di pace. Potresti unire il mondo come hai sempre desiderato. Ma non l’hai fatto, e non vuoi nemmeno farlo. Perché?” i suoi occhi si abbassarono a quel punto, come se fossero spaventati dall’incontrare quello sguardo freddo e glaciale del giovane. “Io… non riesco più a leggerti dentro, ragazzo mio.”

Il Nukenin non parlò dopo quelle parole. Non rispose alla domanda. Invece, senza proferire parola, si rimise lentamente in piedi e diede una scrollata al suo mantello. Poi si voltò, dandogli le spalle e accingendosi ad andarsene. Ma non prima di parlare ancora una volta. “Non basta essere potenti, sensei,” disse solennemente, la sua voce tagliante come una lama. “Me l’hai insegnato tu. Una battaglia può essere vinta dal guerriero più forte, ma la guerra… la guerra è vinta solo da coloro che sono disposti a sacrificare tutto.”

Detto ciò, senza aggiungere altro, il biondo se ne andò, lasciando l’uomo da solo in mezzo ai prati e alla vegetazione. E Urahara rimase lì, fermo e immobile, fissando il cielo con un’espressione insondabile ed una forte sensazione d’angoscia che gli inondava prepotentemente il cuore.

“Spero che tu sappia quello che fai, ragazzo,” disse a bassa voce, più a sé stesso che a Boruto. “Lo spero davvero.”
 


02 Novembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
15:30

Naruto si sforzò immensamente per non piangere. Anche se li stava osservando solo da uno schermo, vedere i volti dei suoi colleghi in quelle condizioni gli fece stringere dolorosamente il cuore. E non poteva biasimarli, nonostante tutto. Non nelle condizioni in cui si trovavano. In un frangente simile, finire nella disperazione era la reazione più scontata. Non c’era altro da fare in quel momento. Nient’altro se non disperarsi e tremare.

Ed era questo quello che stavano facendo. Lui, Kankuro e Mei Terumi. Erano rimasti loro tre. Solamente loro tre. Tutti gli altri – Kakashi, Gaara, Kurotsuchi, Tsunade, Darui, Chojuro e molti altri ancora – erano morti. Erano stati uccisi, in un modo o nell’altro, da Boruto e i suoi seguaci. E adesso, gli unici baluardi rimasti del mondo Shinobi e della sua secolare tradizione erano loro tre. Solamente loro tre.

Era una situazione drammatica.

“Che cosa facciamo?” esalò disperatamente Kankuro, scuotendo sommessamente la testa. La connessione del suo schermo tremolò per qualche istante, facendolo vibrare. Nonostante ciò, era visibilmente più pallido del normale, e le occhiaie sotto ai suoi occhi erano diventate evidentissime.

Naruto deglutì, ingoiando il magone che rischiava di risalire mentre cercava disperatamente di dire qualcosa. “I-Io…”

“Non c’è niente che possiamo fare, Kankuro,” esordì Mei, massaggiandosi le tempie con frustrazione. “Ormai… le cose stanno per precipitare.”

L’Hokage trasalì, sgranando gli occhi. “No. No! Non è finita! Non possiamo permettere che finisca così!” esclamò veementemente, battendo un pugno sulla sedia.

Il fratello di Gaara lo guardò, i suoi occhi rossi e cerchiati da borse scure che mostravano solo panico e terrore. “Naruto, cosa vuoi che ti dica? I nostri alleati sono senza potere. Dei Kage che condividono la nostra idea di Pace siamo rimasti solo noi tre. E tra di noi, soltanto tu puoi restare tranquillo sulla salvaguardia del proprio Villaggio. Col tuo potere, nessuno avrebbe scampo contro di te. Ma io e la mia gente? Siamo in pericolo, Naruto! Boruto potrebbe piombare qui in qualsiasi momento e fare un’altra strage, esattamente come ha fatto con la Roccia!” esclamò, devastato.

“Ha ragione, Naruto,” gli fece eco la Mizukage. “La Nebbia e la Sabbia sono in pericolo.”

“Verro io da voi!” esordì freneticamente il biondo. “Vi proteggerò! Non permetterò a Boruto di distruggere anche le vostre case! Non posso permetterglielo!”

“E in questo caso sarebbe la Foglia ad essere in pericolo,” lo ammonì Mei, seria e concisa. “Saremmo al punto di partenza. E come se non bastasse, in questo momento la Rivoluzione sta assemblando il suo esercito contro di noi, preparandosi a combatterci. Il cappio si sta stringendo attorno a noi, Hokage. Siamo rimasti da soli.”

Naruto imprecò profumatamente nella testa. Per quanto odiasse ammetterlo, sapeva che avevano ragione. La situazione in cui erano finiti dopo la tragica fine del Summit era, da ogni punto di vista, devastante. Coi Kage morti, gli eserciti che un tempo erano stati loro alleati non potevano più rispondere loro. Non così facilmente, almeno. E da quando la Roccia e Kurotsuchi erano stati eliminati, tutto il Paese della Terra si era unito alla Rivoluzione, ingigantendo i loro ranghi a discapito delle Nazioni Alleate – che, va ricordato, da Cinque adesso erano solo Tre. Stavano perdendo questa Guerra, ancora prima di dover scendere in campo e lottare col nemico.

Non potevano continuare così. “…c’è solo una cosa che possiamo fare,” esordì infine Naruto, atono. Mei e Kankuro lo guardarono con nervosismo mentre il suo volto si faceva mortalmente serio e determinato. “Se non possiamo permettere che il nemico continui ad attaccarci, allora lo attaccheremo noi. Dobbiamo passare all’offensiva.”

Il Kazekage sgranò gli occhi. “Vuoi scendere in battaglia?” domandò.

Il Settimo annuì. “Attacchiamo una delle Nazioni alleate coi Ribelli. Sottomettiamola. Imprigioniamo il loro Kage e i loro Shinobi. Non abbiamo altra scelta,” spiegò, odiando il suono stesso delle parole che stava pronunciando con le sue labbra. Per quanto sapesse di non avere scelta, Naruto odiava dover combattere. Gli Otsutsuki? I criminali? Poteva farlo. Ma combattere contro altre persone? Questo non gli piaceva affatto. L’esperienza della Guerra della Sabbia era ancora un orribile ricordo per lui.

‘Oh-Oh! Adesso sì che stai cominciando a ragionare, Naruto. ringhiò la Volpe nella sua testa, trepidante.

“Non ti ci mettere anche tu!”

“L’idea mi piace,” disse la Mizukage dopo un paio di secondi di riflessione. “Gli restituiamo il favore, pagandoli con la loro stessa moneta. Ma come? Non possiamo certo lasciare i nostri Villaggi e marciare in massa contro di loro. Sarebbe un suicidio.”

Naruto sorrise con confidenza. “Io posso mandare i miei cloni,” si offrì senza esitazione.

“Non basteranno. Ricordi cosa è successo con Mikasa quando Boruto è stato liberato, non è vero?” lo richiamò Kankuro, serio come non mai.

Il biondo annuì. “E tuttavia, possiamo organizzarci assieme e formare una strategia per invadere il territorio nemico,” ribatté prontamente. “Come hai detto tu, Mei, marciare in massa contro di loro sarebbe un suicidio. Attaccherebbero i nostri Villaggi mentre siamo via e avrebbero già vinto. Perciò, se dobbiamo farlo, lo faremo in segreto. Dovrà essere rapido, e invisibile, e soprattutto efficace.”

Gli occhi della Mizukage si assottigliarono. “Hai intenzione di formare una squadra di precisione da infiltrare in territorio nemico,” dedusse con un sorriso, mettendo tutti i pezzi al loro posto. Nell’altro schermo, anche Kankuro s’illuminò non appena realizzò il piano. “Chi hai in mente?”

Naruto sorrise con confidenza. “Il meglio che la Foglia ha da offrire: il trio Ino-Shika-Cho,” rispose quello. “E anche altri, se necessario. Il piano della Rivoluzione è quello di farci sentire isolati. Vogliono fare esattamente quello che noi abbiamo già fatto con loro: separarci. È per questo che stanno vincendo ancora una volta. Ma la realtà è che non siamo soli. Abbiamo ancora degli alleati dalla nostra parte: Bee e Dodai dalla Terra del Fulmine, Inari dal Paese delle Onde, i samurai dalla Terra del Ferro… e persino Orochimaru, Suigetsu e Karin potrebbero darci una mano, in casi estremi. Senza contare poi tutte le nostre nuove generazioni. Sono loro la nostra speranza.”

“Dì la verità, è stato Shikamaru a ideare questa strategia, non è vero?” domandò sarcasticamente Kankuro.

Naruto ridacchiò, grattandosi il collo per l’imbarazzo. “Ne ho già discusso con lui, in effetti. È d’accordo con l’idea di mettersi in viaggio per infiltrarsi nella Terra del Ghiaccio. Secondo alcune fonti che abbiamo ricevuto, è lì che la Rivoluzione sta assemblando il suo esercito. Partirà tra un paio di giorni assieme a Ino e Choji, e cercherà di sabotare il nemico dall’interno.”

“Perché non mandare anche Sarada Uchiha?” domandò improvvisamente Mei. “Dovrebbe essere la più adatta a contrastare i piani di tuo figlio.”

Il Settimo Hokage appassì visibilmente all’udire ciò. Quello era un argomento che non gli piaceva affrontare. Sapeva che le parole della Mizukage avessero del merito – Sarada era quella che più di tutti sapeva come agiva e ragionava suo figlio – ma lui non voleva coinvolgere i giovani nella Guerra che era scoppiata. Non così, almeno. Sarebbe stato inevitabile prima o poi, e lo sapeva, ma adesso non era il momento. Boruto, che gli piacesse o meno, era diventato troppo potente, e non avrebbe messo a rischio la vita di Sarada, o quella di Himawari e degli altri giovani per combatterlo. Se c’era qualcuno che doveva scovarlo e affrontarlo, quello era lui.

“No,” rispose alla fine. “Non credo sia una buona idea. Shikamaru e gli altri sono adulti, e hanno molta più esperienza di lei. E visto quanto sia tesa la situazione, preferisco stare sul sicuro. Ho già in mente un’altra mansione per lei e la generazione più giovane.”

Kankuro e Mei Terumi si scambiarono un’occhiata attraverso i loro schermi. Poi annuirono tutti assieme, rafforzando la loro decisione. “Come facciamo?”

Naruto sorrise, iniziando a spiegare anche loro il piano che avevano ideato. E mentre lo faceva, un piccolo barlume di speranza prese a nascere ancora una volta dentro al suo cuore. Perché adesso, per la prima volta, lui e la sua gente avrebbero iniziato a reagire alla minaccia della Rivoluzione. E lo avrebbero fatto insieme, proprio come in passato.

E Naruto non avrebbe permesso a suo figlio di rubargli tutto ciò per cui aveva versato lacrime e sangue nella sua vita.
 


03 Novembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
09:46

“Per favore, Boruto! Davvero! Te lo stiamo chiedendo tutti!”

Il ninja traditore sospirò, facendo roteare l’occhio sinistro mentre avanzava imperterrito lungo i corridoi del castello per dirigersi verso il suo prossimo obiettivo. Era da mezz’ora che la discussione stava andando avanti in questo modo, e se conosceva bene i suoi amici, era pronto a scommettere che sarebbe continuata ancora a lungo. Lo stavano seguendo persino adesso, e non accennavano a desistere. Sospirò di nuovo. “No,” ripeté, per quella che doveva essere la decima volta. “Non vi permetterò di farlo. Non siete ancora pronti.”

Il tono di finalità che aveva usato non sembrò colpire affatto quelle sei persone alle sue spalle. “Eddai Boruto! Siamo pronti! Hai visto anche tu quanto ci siamo ripresi in quest’ultimo mese!” esclamò Sora, visibilmente frustrato.

“Sono settimane che non facciamo altro che allenarci! Non ne posso più!” aggiunse anche Gray, ringhiando come un animale infastidito.

Il guerriero non si lasciò convincere. “I vostri corpi non si sono ancora ripre-”

“Si sono ripresi eccome!” lo interruppe a gran voce Juvia, piazzandosi davanti a lui e bloccandogli la strada, forzandolo a fermarsi. Per rafforzare il concetto, gli lanciò addosso un piccolo getto d’acqua bollente con una sola contrazione delle dita. Il Nukenin si limitò a dissolverlo con una barriera invisibile d’aria compressa, senza battere ciglio. “Urahara e Toneri ci hanno aiutato a recuperare le forze che avevamo perso, e le nostre ferite ormai sono sparite grazie ad Annie, Galatea e Lucy. Siamo pronti, biondino, che ti piaccia o meno. E non ti permetteremo di lasciarci indietro ancora una volta.”

L’occhio sinistro del biondo si assottigliò pericolosamente, ma perse la sua determinazione non appena vide tutti gli altri iniziare ad affiancare la cerulea, portandosi davanti a lui e formando un muro che gli impediva di passare. Il suo volto impassibile ebbe una contrazione. “Lo sto facendo per proteggervi,” disse.

“Non abbiamo bisogno della tua protezione,” protestò Gray, ghignando ferocemente. “Siamo pronti, per cui verremo con te.”

“Boruto, per favore,” disse anche Shirou, cercando di farlo ragionare. “Non possiamo restare qui per sempre. Facci combattere.”

Quello si accigliò, abbassando lo sguardo, ma la mano di Mikasa lo forzò a guardarli ancora una volta.

“Noi veniamo con te,” dichiarò solennemente lei, con un tono di finalità assoluta. “Mitsuki e Kumo hanno creato dei nuovi anelli per noi, per cui saremo in grado di tornare qui sani e salvi in qualsiasi circostanza. Non c’è più bisogno di restare nascosti.”

Boruto esitò, fissando il volto solenne e determinato di Mikasa con il suo occhio azzurro pieno di incertezza e timore. Accanto a lei, Sora e tutti gli altri non erano da meno, e lo stavano guardando con degli sguardi pieni di certezza e speranza tutt’assieme. Quella visione bastò a riempirgli il cuore di spavento. Era incredibile. Lui, il criminale più forte e spietato del pianeta, continuava a restare impotente dinanzi ai volti delle persone che amava. Piuttosto ironico, in un certo senso. “R-Ragazzi, vi prego… non voglio farvi correre rischi,” ammise con lentezza, esitante. “Siete stati torturati per due anni… se dovesse succedervi qualcosa…”

“Non ci succederà niente,” lo rassicurò immediatamente Sora, sorridendo come un bambino. “Perché tu sarai con noi. Hai promesso di proteggerci, ricordi?”

Kairi annuì con enfasi. “Andrà tutto bene, vedrai.”

Quello non era ancora convinto. Mikasa sospirò vedendo la sua incertezza, afferrandogli una mano con le sue e stringendogliela con affetto. “Non devi fare tutto da solo,” iniziò a dire, guardandolo negli occhi con un piccolo sorriso. “Lasciaci aiutare. Abbiamo sempre fatto le cose assieme, e così continueremo a fare. Non devi accollarti tutto il peso della responsabilità da solo.”

Boruto non ebbe il coraggio di sollevare la testa per fissarla. “Ma quello che dovrò fare… non voglio coinvolgervi,” ammise alla fine.

Tutti si scambiarono un’occhiata silenziosa all’udire ciò. Sapevano benissimo a cosa si stava rivolgendo il loro amico. Le azioni che aveva compiuto nell’ultimo periodo non erano passate inosservate, nemmeno a loro. “Sai bene che nessuno di noi ti ha giudicato per ciò che hai fatto alla Roccia,” disse allora Sora, serio e conciso. “E non ti giudicheremo nemmeno in futuro. Qualsiasi mostruosità sarai costretto a compiere, noi ti aiuteremo ad affrontarla. Vogliamo aiutarti a sostenerne il peso.”

Shirou annuì. “Non devi farlo da solo, Boruto. Lasciaci aiutare.”

“Noi crediamo in te,” disse ancora Juvia, cercando di essere più pacata. “Ma allora… Perché tu non riesci a credere in noi?”

Il Nukenin aprì la bocca per parlare, ma si arrestò non appena sentì il cuore rischiare di risalirgli in gola. Si limitò a restare in silenzio, serrando impotentemente i pugni mentre i suoi amici lo fissavano con preoccupazione. Perché lui voleva crederci. Voleva credere in loro, con tutto il cuore. Talmente tanto da farlo stare male. Ma sapeva, con una sconcertante chiarezza raccapricciante, che non poteva negare la realtà. Lui… stava diventando un mostro. Lui era già un mostro. E in quanto tale, ciò che avrebbe dovuto compiere da quel giorno in poi sarebbe stato inevitabilmente mostruoso. Non voleva coinvolgerli. Non voleva forzarli a compiere ciò che andava fatto. La Roccia era stata soltanto l’inizio. Ciò che li attendeva adesso… sarebbe stato ancora più oscuro.

Poteva accettare il loro odio. Poteva accettare il loro timore. Ma non poteva accettare di vederli diventare ciò che era diventato lui.

Questo era inammissibile.

“So cosa stai pensando.”

La voce di Mikasa lo fece trasalire. Boruto risollevò la testa, fissandola in silenzio mentre lei lo guardava con affetto. “Pensi che noi abbiamo paura di te. Pensi di essere diventato un mostro, non è vero?”

Boruto si fece solenne. “Sì, è così,” dichiarò allora senza mezzi termini, spiazzandoli con la semplicità con cui aveva ammesso la realtà delle cose. “Negarlo non ha senso. Non posso fingere di essere buono, e ciò che dovrò fare da oggi in poi sarà la prova di ciò che sono diventato. Io… sono un mostro.”

“Non per me!” ribatté lei, decisa quanto lui. “E te lo dimostrerò. Verremo con te nella tua prossima missione, e ti farò vedere che saremo in grado di sostenere il peso delle tue azioni.”

Il biondo rimase in silenzio per diversi secondi. Poi, con un’espressione indecifrabile nel suo occhio, le sue labbra si incurvarono in un sorriso. “Molto bene.”
 


05 Novembre, 0021 AIT
Terra delle Pianure
12:00


Battaglia per la Cattura di Kokuō, il Demone Cavallo Pentacoda

Boruto fece un respiro lungo e profondo. Una solenne sensazione di chiarezza sgorgò dentro di lui, come il freddo gelido in una mattina d’inverno. Il suo Marchio di Ishvara stava cominciando a risalirgli lungo il braccio, arrivando fino al volto. Osservò i suoi simboli blu con un cipiglio mentre sibilavano e s’illuminavano sempre più. Non poteva abusarne troppo, e lo sapeva. Lo sapeva perché – proprio come il Potere del Risveglio – un uso eccessivo del Marchio avrebbe potuto cambiarlo permanentemente come persona. Zeref, in passato, lo aveva avvertito: il potere, qualsiasi tipo di potere, aveva sempre un effetto dannifico sulle persone. Boruto era diventato un mostro, certo, ma non voleva impazzire a causa di esso. Non era mica Orochimaru.

Ma comunque, l’aumento della velocità, della forza e dei riflessi che gli conferiva era un bonus non da poco. Uno strumento eccellente per aumentare i suoi attributi intellettuali e fisici.

“Io inseguirò il Gobi (Pentacoda)” disse Boruto ai suoi amici attraverso il loro collegamento nella rete astrale. “Una volta trovato il Demone, mi accerterò che non possa scappare. Poi vi chiamerò sul campo di battaglia.”

“D’accordo,” risposero Mikasa e Sora.

“Agli ordini,” fecero eco Shirou e Kairi.

“E datti una mossa!” strillarono Gray e Juvia, le loro voci unite come una sola. La brama di sangue e lotta trasudava visibilmente attraverso la comunicazione mentale degli anelli.

Boruto annuì tra sé, aprendo gli occhi ed effettuando un comando mentale alla bestia dentro cui era immerso. La sua Volontà del Fuoco ruggì, ubbidendo all’ordine e risalendo verso il cielo con un possente battito d’ali. Volare, aveva scoperto Boruto, era una delle esperienze più libere e divertenti che avesse mai provato. Non c’era niente di paragonabile ad esso. Spinse la sua Volontà alla massima velocità, spingendosi oltre i suoi limiti, e guardando il mondo dall’alto. Le infinite dune di sabbia della Terra del Vento si stagliavano lontano nell’orizzonte a Nord, ma lui si diresse a Sud-Ovest. Era lì che si trovava il suo obiettivo. Mano a mano che avanzava, le dune cedettero il posto ad una bassa vegetazione verde, ma col tempo anch’essa sbiadì fino a quando non rimase nulla se non qualche erbaccia morta. La terra desolata e il suolo roccioso si protesero fino all’orizzonte e oltre. L’aria pulsava di calore mentre il sole implacabile soffocava la vita dal terreno.

La Terra delle Pianure. Una Nazione vuota, spoglia e priva di abitanti, fatta solo da terreno roccioso e privo d’acqua. E, da qualche parte in questo spietato Paese desolato, si trovava il nascondiglio del suo obiettivo: il Gobi (Pentacoda). Con il corpo di uno stallone bianco e la testa di un delfino, era il più veloce dei Demoni codati. Boruto poteva vedere l’attrativa che questa Nazione aveva sul Bijuu. Non era altro che un’infinita distesa di terra piatta, eterna e perenne. Il luogo ideale per una creatura la cui forza maggiore era la velocità. Una velocità capace di seminare chiunque lo perseguitasse.

Ma il Gobi aveva commesso un grave errore. Non era più lui l’essere più veloce che camminava sulla Terra. Quell’onore apparteneva adesso a Boruto, il più grande criminale che fosse mai esistito nel pianeta. Il Nukenin volò nell’aria e scandagliò il cielo, perlustrando la terra senza tralasciare nemmeno una pietra. Non doveva essere troppo difficile. Stava comunque cercando un immenso cavallo dalle cinque code. Non c’era posto dove nascondersi per una bestia simile, e il terreno avrebbe sicuramente lasciato dei segni del suo passaggio.

E se questo non avesse funzionato… Boruto aveva intravisto diversi ingressi che portavano a numerosi tunnel sotterranei lungo tutta la Nazione. Erano tunnel dove, in epoche passate, la gente della Terra delle Pianure costruiva le proprie case. Ma adesso non era rimasto niente di tutto questo. Il Paese non aveva un governo centrale, né villaggi ninja, e quei pochi abitanti rimasti erano miseri contadini che lavoravano la roccia e la miglioravano per renderla fertile. Non erano Shinobi. Avrebbe persino potuto usarli per scovare il Gobi, in casi estremi.

Ma a quanto pareva, non ce ne sarebbe stato bisogno. Boruto si tenne vicino alla costa, mantenendo il drago in volo sopra l’oceano, sperando che l’istinto acquatico del Bijuu fosse attratto dall’acqua. E quando il giovane iniziò a trovare segni di zoccoli titanici dalle dimensioni di intere case sulla sabbia, capì di essere sulla strada giusta.

“Ho trovato le sue tracce,” disse mentalmente, informando la sua squadra.

“Finalmente!” scattò Gray. “Mi stavo annoiando a morte!”

Boruto seguì la scia del Bijuu verso Est, fino a quando le tracce svanirono mentre proseguivano verso l’oceano. “Il Gobi è sott’acqua,” dedusse immediatamente. Si fermò sull’oceano, la sua Volontà di Fuoco che sibilava e iniziava a canalizzare energia. La sua consistenza liquida divenne una vera e proprio ammasso d’acqua, e Boruto sgusciò rapidamente fuori dal suo corpo. Si tuffò nell’oceano senza esitazione, facendo un respiro profondo, e l’acqua si separò davanti a lui mentre si lanciava in avanti con grandi colpi delle braccia. Non era abbastanza veloce come Mikasa o Sora sott’acqua, ma era comunque abbastanza rapido.

L’acqua era calda e chiara. I suoi occhi potevano vedere per centinaia di piedi in qualsiasi direzione, con pesci dai colori vivaci e coralli visibili sul fondo del mare. Tuttavia, il Gobi non era nelle vicinanze. Boruto osservò la vita acquatica. I pesci sembravano calmi, indisturbati, il che era strano, considerando che un Demone codato aveva recentemente attraversato la loro casa. Boruto scalciò le gambe e nuotò in avanti. Attivò il suo Jougan, e il suo occhio elettrico e fosforescente trovò facilmente le tracce residue di chakra del mostro. Il Demone, a quanto pareva, aveva vagato per il fondale del mare, evitando le barriere coralline, serpeggiando verso Sud.

Il Nukenin emerse per respirare, ansimando, prima di immergersi di nuovo e nuotare velocemente verso Sud, seguendo il litorale. Ripeté la stessa azione, ora dopo ora, l’acqua che diventava sempre più calda mano a mano che le ore passavano. Fino a quando, alla fine, il paesaggio sottomarino non cominciò a divenire scuro come quello della terraferma. In lontananza, Boruto poteva vedere una piccola isola lussureggiante, protetta da una massa d’aria scintillante che appassiva sotto il sole cocente. Non era mai stato così a Sud prima d’ora. E, cavolo, Boruto dubitava che qualcuno prima di lui ci fosse mai stato. Quella che stava vedendo era una terra inesplorata. Lui sapeva che c’erano diverse Terre ‘oscure’ nel suo mondo. Paesi inesplorati e mai raggiunti oltre l’oceano. Nessuno era mai stato lì. O – piuttosto – nessuno c’era mai andato ed era tornato per raccontarlo. La sua gente non aveva mai avuto un tempo di pace abbastanza duraturo e stabile per giustificare l’invio di uomini e risorse verso l’esplorazione. Boruto promise a sé stesso che le cose sarebbero cambiate una volta che avesse unito il mondo.

Alla fine, il guerriero trovò la sua preda. Il Gobi stava facendo una pigra passeggiata attraverso una grande barriera corallina, ogni falcata delle sue quattro zampe che superava i cento piedi con un solo passo. Boruto vide il Demone attraverso il suo Jougan molto prima che esso riuscisse a notarlo. Eppure, la creatura lo percepì lo stesso. Il cavallo-delfino si bloccò, voltandosi, i suoi occhi bestiali cerchiati con una montatura rossa che si fissarono verso di lui anche ad un miglio di distanza. Si voltò completamente per affrontarlo, aprì le fauci, ed espirò ferocemente.

Diversi pensieri presero a lampeggiare nella mente di Boruto mentre l’acqua intorno a lui iniziava a riscaldarsi in maniera esponenziale. Il Gobi era un Bijuu di terra, ma anche acquatico = usava il Rilascio dell’Acqua. Il Rilascio dell’Acqua unito a quello del Fuoco = Rilascio del Vapore. Il Rilascio del Vapore = acqua che si surriscaldava. Deduzione = esplosione di vapore su scala titanica.

Boruto nuotò verso l’alto, mentre l’acqua attorno a lui diventava così calda che cominciò a cuocergli la pelle quando arrivò sulla superficie. Un istante dopo, il suo drago lo acciuffò al volo e lo allontanò dall’oceano, librandosi nell’aria. In lontananza, una grossa colonna d’acqua esplose in una nuvola apocalittica di vapore. L’acqua sembrò impennarsi per colmare l’improvvisa lacuna, sollevando grandi onde che s’innalzavano sopra il paesaggio e si andavano a schiantare verso l’interno. Il Gobi si trovava a cavalcioni nel mare separato, vapore e acqua che si alzavano attorno a lui, i suoi occhi bestiali assottigliati che si fissavano su di lui con odio e sfida.

Boruto poteva rispettarlo. Era coraggioso, onorevole, ma non molto intelligente. Il ninja traditore allineò sé stesso verso il percorso che doveva seguire, avvolgendosi con la sua Scia Scattante di Fulmini, e si lanciò contro il Demone codato con un fragoroso rombo di tuono, schizzando all’aria come un missile. Lo colpì al centro del cranio, incastonandosi tra le quattro corna fluenti che adornavano la sua testa come una corona.

Il Gobi indietreggiò sulle zampe posteriori, emettendo un suono acuto di dolore che fece rimbombare le orecchie di Boruto. Un grido lacerato tra un urlo e una porta cigolante. Era orribile, innaturale, e fece innescare qualcosa di primordiale nel cervello del giovane. Un senso di perversione, di sbagliato. In quel momento, Boruto comprese ancora una volta che era impossibile che i Demoni codati fossero creature della natura. Tuonò di lato, fermandosi a mezz’aria, prima di lanciarsi sulle costole esposte del mostro e spingere una lancia di chakra in avanti.

Sangue blu scuro schizzò dallo squarcio che gli aveva inflitto, grande quanto il busto di un uomo corpulento. Si spostò in avanti, la pelle spessa del Demone che gli impediva di penetrarne ulteriormente la carne, e il sangue blu iniziò rapidamente ad evaporare. Fasci di chakra bianco-blu esalarono verso il cielo prima di svanire del tutto. La reazione del Gobi fu immediata. Ruggì di dolore, emettendo lo stesso rumore sordo, prima di agitarsi follemente nel tentativo di mettere una certa distanza tra sé e il suo assalitore.

Ma Boruto portò una mano in avanti e lo spinse con un’ondata di energia. Il mostro si lasciò cadere su un fianco, scalciando con le gambe e incagliandosi. Poi, era tornato in piedi in un istante, emettendo un ruggito ed iniziando a correre con uno sprint disumano verso il terreno desolato della Terra delle Pianure. Boruto gli diede la caccia, volando nel cielo col suo drago, senza perderlo di vista. Per quanto fosse veloce il Gobi, il Nukenin era ancora più veloce. Il drago si avvicinò alla preda e azzannò il fianco del Bijuu, suscitando un altro grido di dolore, prima che esso ruotasse su di lui con le fauci aperte, chakra blu e viola che iniziava a coagulargli tra i denti.

Boruto tuonò di lato, concentrandosi immediatamente sui talloni delle zampe posteriori della bestia. Schizzando in avanti con la sua Scia di Fulmini, li tagliò di netto con la spada, tranciando attraverso la pelle sottile i tendini più esposti. Il sangue blu macchiò la sabbia di un colore scuro mentre il Demone urlava e crollava pesantemente con un boato fragoroso. Fuoco liquido iniziò a sbocciare attorno a lui nel punto dove stava formando la Bijuudama (Sfera dei Bijuu), riducendo la sabbia e il terreno a scorie fuse. Proprio come la sua prima battaglia contro l’Ichibi (Monocoda), pensò Boruto. Un Mare di Vetro, come lo avevano chiamato.

Ma con la stessa rapidità con cui era caduto, il Gobi si stava risollevando. Le sue ferite stavano già da adesso guarendo dinanzi agli occhi di Boruto, e il suo Jougan notò ogni cosa con fredda solennità. Ricrescita delle ossa, tendini che si ricollegavano, muscoli che si cucivano assieme. Tutto questo avvolto da un bagliore bianco-blu. Il Gobi ruggì e scatenò un’ondata di vapore che cancellò la luce del sole. Boruto si scagliò in avanti, tranciando il velo di nebbia, mentre il Demone correva via dal campo di battaglia. Il Nukenin lo seguì, non permettendo alla sua preda di sfuggirgli. Lo superò con una velocità impareggiata e gli tagliò la strada, schiantandosi contro il cranio del mostro una seconda volta.

Il Gobi scosse furiosamente la testa, gli occhi rabbiosi e spaventati. Poi si voltò rapidamente e fuggì di nuovo, come un puledro appena nato e spaventato. La vaga associazione di ‘rispetto’ che la sua mente aveva precedentemente creato sul Demone si dissolse come fumo. Boruto atterrò sul terreno, la sua Scia di Fulmini che si dissolveva nel nulla mentre cedeva il posto all’energia del Marchio di Ishvara.

Era ora di sfoggiare la sua creazione personale.

La distanza tra lui e il Gobi aumentava sempre più mano a mano che il Marchio brillava di luce sul suo corpo. Boruto affondò i piedi sul terreno, assumendo una posa da lancio con le mani sollevate. I passaggi della Tecnica – rotazione, potere, contenimento – gli erano ormai diventati familiari come il respiro dopo quasi un decennio di pratica ininterrotta. La manipolazione del Rasengan Elettrico, molto più raffinata e precisa rispetto al passato, aveva diverse forme. Tra cui, quest’ultima che aveva personalmente creato da poco. Unendo assieme le mani brillanti di energia, il chakra tra le sue dita assunse la sua forma finale più stabile: due coni rotanti, sottili e allungati, di chakra bianco-blu grossi quanto una casa. Gli archi azzurri del fulmine e dell’elettricità vennero divorati e sommersi dal vorticoso chakra rotante fino a quando la base della Tecnica non divenne immensa come un edificio di tre piani, avvolta da un fascio indescrivibile di fulmini cinguettanti.

Boruto prese la mira, il Gobi ben centrato nel raggio visivo del suo Jougan, mirando verso le zampe del mostro. “Non muoverti, schifosa bestia,” disse, più a sé stesso che al Demone. “Non vorrei ucciderti per sbaglio.”

Il Nukenin fece due passi in avanti. Poi, con un’espressione famelica ed un ruggito disumano, scagliò in avanti la Tecnica. “RAITON: Raijin no yari!” (Lancia del Dio del Fulmine)

La lancia lasciò la punta delle sue dita, e archi di fulmini e frammenti di chakra vennero strappati dalla sua mano mentre l’arma si separava dal suo creatore. La Lancia del Dio del Tuono divorò e consumò tutto; stracciando tutto ciò che si trovava dinanzi e spazzandolo via dall’esistenza. Sulla sua scia, anche l’aria tremolò come un tornado. Boruto trattenne il respiro mentre il mondo diventava solenne e silenzioso, con tutta la creazione in attesa di vedere cosa fosse successo. Poi, un momento dopo, il tuono esplose, emettendo un suono così assordante che sembrò che la realtà stessa fosse stata frantumata come vetro. Un vento concussivo, solido come qualsiasi pietra, sbatté contro di lui e lo respinse come un insetto. Il Marchio di Ishvara si dissolse, e il suo chakra si abbassò pericolosamente, quasi dimezzandosi dopo l’improvvisa perdita.

Boruto strisciò sulle mani e sulle ginocchia, tossendo e sentendo qualcosa di caldo e umido schizzargli contro l’avambraccio. Sbatté le palpebre, restando sorpreso quando sentì che lacrime calde gli stavano colando da sole lungo le guance, senza alcun motivo. Con una mano tremante, allungò le dita verso le palpebre e le toccò gentilmente, prima di allontanare la mano e fissarle. Le sue dita tornarono macchiate di un profondo colore cremisi. Boruto si alzò, sconvolto, versando lacrime di sangue dagli occhi e tossendo pesantemente.

Non si era aspettato che questa Tecnica avesse degli effetti collaterali così pesanti.

Quando si fu calmato, si raddrizzò sulle gambe e posò lo sguardo in avanti. Un profondo squarcio aveva ferito il terreno, creando una scia immensa che si protraeva in avanti per centinaia e centinaia di metri. Con un respiro deciso, iniziò la sua marcia in avanti, seguendo lo squarcio a passo lento.

Trovò facilmente il corpo del Gobi. Una delle sue code, assieme ad una parte del sedere e alle zampe anteriori, erano stati completamente recisi all’altezza della coscia. Dove fossero gli arti smembrati, Boruto non lo sapeva. Il Demone codato lottò debolmente, sibilando con difficoltà a cercando inutilmente di strisciare lontano da lui.

Boruto fece un respiro profondo, stabilizzandosi ed invocando le Catene d’Amianto del suo clan. Poi alzò lo sguardo verso il cielo. “Venite,” disse.
 


Mikasa non combatté la sensazione di spinta che sentiva mentre gli anelli la teletrasportavano sulla Terra. Era una sensazione strana, ma che le era comunque mancata in questi anni. Decisamente meglio della prigione, dopotutto. I suoi pugni erano serrati, il sangue le scorreva forte nelle vene, e un desiderio di lotta le ardeva prepotentemente nel petto. Sebbene non fosse affatto bramosa di combattere come lo erano Gray e Juvia, era pur sempre desiderosa di mettersi alla prova contro la forza di un altro Demone codato. E dopo tutto questo tempo di prigionia, era più che decisa ad accogliere la sfida.

Ma ciò che la nera vide non appena mise nuovamente piede sulla Terra non era affatto ciò che aveva immaginato. Assieme a lei, anche Sora, Shirou e Kairi rimasero a bocca aperta. Persino Gray e Juvia, quasi persi nella loro brama di combattere, furono messi a tacere da quello spettacolo.

Boruto incombeva solenne sopra al cadavere fumante del più grande cavallo che lei avesse mai visto. La sua metà sinistra era orribilmente mutilata, con le zampe posteriori mancanti, e le costole erano esposte e carbonizzate come se fossero state scorticate. Il suo biondino aveva evocato le Catene del clan Uzumaki per soggiogare il Demone, le sue punte perforanti che lo trafiggevano in diversi punti e ferivano il suo corpo già in rovina.

Era uno spettacolo sconcertante.

Mikasa sapeva che Boruto era forte. Era scontato, visto tutto ciò che aveva passato nella sua vita. Ma che fosse abbastanza forte da riuscire addirittura a portare un Demone codato – chakra mostruoso a cui era stata data forma – sull’orlo della morte? Era… Era qualcosa di indescrivibile, d’inaudito. Lei e Sora erano riusciti a sconfiggere da soli il Sanbi (Tricoda) in passato, e sebbene non fossero mai stati veramente in pericolo, era stato tutt’altro che una battaglia facile. Ma Boruto… Boruto la stava facendo sembrare facile. Era sconcertante, in un certo senso. Possibile che fosse diventato talmente potente?

Ora, forse per la prima volta in assoluto, la ragazza sentì il divario tra la sua abilità e quella di Boruto. Ora, Mikasa aveva capito. I suoi occhi si spostarono dal Gobi a Boruto, sgranandosi a dismisura quando videro il sangue scorrere liberamente dagli occhi, dalle orecchie e dal naso del biondo. Si precipitò in avanti, le mani che brillavano di chakra verde cristallino. “Sora! Sigillatelo!” esclamò a gran voce.

“Fanculo!” imprecò Gray. “Ci siamo persi lo scontro! Mi prendete in giro?!”

Mentre il Signore del Gelo imprecava, Sora e Kairi balzarono in avanti, afferrando gli anelli dell’Akatsuki e iniziando rapidamente a sigillare il Bijuu.

Mikasa passò freneticamente le mani sul viso di Boruto, afferrandogli le guance e iniziando a fermare l’emorragia per riparare il danno che poteva. Il biondo non la guardò nemmeno, restando immobile con uno sguardo infestato e un sorriso privo di emozione. “Lo vedi? Come può uno come me non essere un mostro?” le chiese, fissandosi dolorosamente le mani.

Lei non rispose.
 


In tutta la sua vita, Kokuō non aveva mai sperimentato un’agonia così intensa come quella che stava provando in quel momento. Poteva sentire l’ombra della morte indugiare nella sua mente, in attesa che esalasse l’ultimo respiro, così da poter duellare ancora una volta per il destino del suo potere. Eppure, lentamente, il Pentacoda provò una cupa soddisfazione al pensiero che la morte non sarebbe venuta per lui quel giorno. Poteva già sentire il suo chakra scorrere dentro di lui mentre quegli strani anelli del passato lo stavano sigillando sempre più di secondo in secondo.

Ancora, prima di svanire completamente, il Gobi rivolse lo sguardo verso il suo rapinatore. Il figlio dell’uomo che suo Padre aveva predetto avrebbe unito lui e i suoi fratelli ancora una volta. Così simile a lui nell’aspetto, e allo stesso tempo così radicalmente diverso. Gli stessi capelli, le stesse guance sfregiate, ma gli occhi… gli occhi erano diversi. Erano occhi freddi, oscuri e crudeli come la morte stessa. Non c’era colore lì. Non erano come quelli di Naruto. Erano diversi come il cielo e la terra.

La sua mente sbiancò. Il dolore era agonizzante. Kokuō gemette pietosamente mentre le Catene lo trafiggevano. Era la seconda volta che veniva incatenato nella sua lunga, lunga vita. E queste Catene erano sinistre, ma non echeggiavano di follia e pazzia come quelle che Madara aveva evocato dal cadavere del Juubi (Decacoda). No, queste Catene emanavano una cattiveria diversa. Una malizia che riecheggiava negli occhi eterocromi del loro padrone. Un desiderio di possesso, di dominio su tutto ciò che osava sfidarlo.

Un desiderio di conquista infinito.

Kokuō espirò, lungo e affannoso. Chiuse gli occhi, la sua mente che sprofondava sempre più in profondità, fino a raggiungere lo spazio mentale condiviso da tutti i suoi fratelli. ‘Naruto…’ esalò, col più debole residuo di chakra che aveva, trasportando i suoi ricordi della battaglia prima che ogni cosa attorno a lui venisse inghiottita dall’oscurità.
 


05 Novembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza dell’Hokage
19:30

Naruto bloccò un altro colpo di palmo di sua figlia con sorriso, mettendo da parte l’orgoglio che provava ogni volta che sentiva la forza dietro ai suoi colpi. Il sorriso non gli scomparve nemmeno quando Himawari tentò di colpirlo con una spazzata alle gambe, talmente rapida da sorprenderlo non poco. Impiegò la stessa tattica dell’ultima volta, avvitandosi col corpo e colpendola alle spalle con un calcio che la fece crollare a terra con un gemito di sorpresa. Nonostante fosse visibilmente frustrata, non si arrese neanche stavolta, rimettendosi ancora in piedi come sempre e assaltandolo con un’ennesima raffica.

Non poteva negare che sua figlia stesse diventando forte. Davvero forte. Non che ci fosse da stupirsi, in realtà. Naruto era ingenuo, non stupido. Con tutti gli addestramenti che lui e Hinata le avevano fornito sin da quando aveva dieci anni, non era una sorpresa vedere che il suo piccolo fiorellino stesse crescendo con una rapidità inaudita. Proprio come suo fratello, anche lei era diventata un prodigo a modo suo. Tra lei e Sarada, la generazione futura non aveva perduto la speranza di poter effettivamente contrastare la Rivoluzione.

Naruto scoccò un’occhiata raggiante a sua moglie, intenta a fissarli in disparte mentre stava seduta vicino alla porta di vetro della casa. Hinata lo vide e gli rivolse a sua volta un sorriso che bastò ad illuminargli la giornata. Nonostante la situazione di crisi e dolore che stavano vivendo a causa delle azioni del loro primogenito, passare del tempo assieme a Himawari faceva loro questo effetto. Li faceva stare meglio.

Eppure, la perdita di suo figlio – di nuovo – gli pesava davvero sulle spalle. Naruto non desiderava altro che un modo per tornare indietro nel tempo. Sapeva di essere stato stupido e ingenuo con lui. Se solo non si fosse lasciato cogliere impreparato durante il Summit, forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse Kakashi-sensei sarebbe ancora vivo, così come Kurotsuchi e gli altri Kage. Invece, aveva ignorato la ragione e seguito il suo istinto – la Palla di Pelo continuava sempre a deriderlo per questo – ed aveva caricato follemente contro Boruto, finendo dritto in trappola. Naruto era certo che Sasuke gli avrebbe dato volentieri un cazzotto in faccia per la sua stupidità. Boruto avrebbe potuto ucciderlo, se l’avesse mandato in un altro luogo più inospitale della Luna. Ma fortunatamente, sembrava che suo figlio non fosse disposto ad ucciderlo. Voleva solo allontanarlo senza rischiare di combatterlo – una mossa astuta, aveva commentato freddamente Shikamaru – per permettergli di uccidere tutti gli altri.

Ma da quel giorno in poi, le cose sarebbero state diverse. Naruto non sarebbe più cascato nei tranelli di suo figlio. Lo avrebbe scovato, in qualsiasi modo necessario, e gli avrebbe impedito di continuare a commettere la strage di sangue di cui si era irrimediabilmente macchiato. E poi, ancora una volta, lo avrebbe riportato a casa, unendo finalmente la sua famiglia.

Questo era il piano.

‘Naruto…’

“Kurama?” chiese il biondo, aggrottando la fronte e cercando di non distrarsi mentre bloccava un altro colpo di palmo diretto al suo sterno. “Sono un po' impegnato al momento, Palla di Pelo.”

‘Non sono stato io, Naruto,’ borbottò il Kyuubi.

Naruto si bloccò, facendo trasalire sua figlia, e si ritirò in sé. Seguì Kurama sempre più a fondo nella sua coscienza, giungendo in un batter d’occhio nella dimensione mentale condivisa da tutti i Cercoteri. Raggiunse quel mondo bianco in fretta e furia, oramai spoglio e sfregiato da anni per colpa della cattura di così tanti dei suoi amici, e lo trovò vuoto se non per un filo di chakra rosso che aleggiava nell’aria. Naruto sollevò il braccio, le dita che guizzavano attraverso il chakra, e sentì dei ricordi non suoi lampeggiargli di colpo nella mente come un fiume che lo travolgeva con la sua corrente.

I suoi occhi si sgranarono a dismisura.

Naruto e Kurama urlarono come una cosa sola. “Kokuō!”







 

Note dell’autore!!!

Salve gente! Ecco a voi il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto. È un po’ più breve del solito, ma non per questo meno importante degli altri. Vorrei provare a rendere alcuni capitoli più brevi per diversi motivi:

1 – per lo sviluppo omogeneo della trama;

2 – sono più facili da scrivere, revisionare e, quindi, pubblicare. Ma ci saranno anche quelli lunghi, non temete.

Boruto colpisce ancora. Kokuō è stato sigillato, e il nostro biondino è riuscito a sconfiggerlo da solo e senza alcuno sforzo. Questa cosa dimostra, ancora una volta, quanto sia diventato potente. E quanto grave sia la situazione in cui è sprofondato il mondo degli Shinobi.

Alcuni di voi mi hanno scritto che hanno trovato il comportamento di Boruto un po' esagerato e ridondante in questi ultimi capitoli. La cosa è intenzionale, e sono contento che l’abbiate notato. Lo scopo degli ultimi capitoli era quello di mostrare quanto mostruosamente forte sia diventato il nostro antieroe. Per questo lo abbiamo visto fare queste stragi continue, senza nessuno che riuscisse a contrastarlo. Ma non sarà sempre così. Come abbiamo visto, Naruto e Shikamaru hanno in mente qualcosa, e non ho per niente intenzione di far vincere sempre e solo il nostro Nukenin negli eventi futuri. La Guerra inizierà a breve, e vi assicuro che sarà meno facile per lui di quanto credete.

Il prossimo capitolo mostrerà un evento che molti di voi potrebbero apprezzare dopo tutta questa serie di uccisioni e stragi. Un evento che avevo intenzione di scrivere sin dalla prima storia. Non vi faccio spoiler però.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo, e a presto!

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Capitolo 15
*** Impero ***


IMPERO




06 Novembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
08:00

Boruto trascinò i piedi mentre marciava attraverso le sale del castello dell’Occhio della Tempesta. Non aveva dormito molto la notte precedente, reduce ancora dallo scontro col Gobi e degli effetti collaterali della Lancia del Dio del Fulmine che aveva usato per sconfiggerlo. Ne aveva avuto la conferma: quella Tecnica non era ancora completa. Non poteva ancora considerarsi una vittoria. Ma c’era vicino, talmente tanto da poter quasi assaggiare il sapore dolce del successo. Tuttavia, i suoi doveri da leader dei Kara e della Rivoluzione richiedevano la sua attenzione altrove adesso, per cui… la mancanza di sonno era assicurata.

Se c’era un piccolo granello di luce nel suo mondo altrimenti oscuro, esso era che aveva finalmente trovato un uso adeguato al suo ufficio nel castello. Mitsuki e Kumo avevano richiesto un incontro con lui, nel senso più ufficiale della parola: volevano presentargli un nuovo progetto e chiedere dei finanziamenti per esso. E considerando l’efficiente lavoro che i suoi due scienziati di fiducia avevano fatto negli anni passati, e che gli investimenti sulla ricerca rappresentavano quasi la metà del bilancio fiscale della sua Organizzazione, Boruto poteva solo immaginare che cosa avrebbero potuto creare quei due con la loro scienza.

Si sistemò nella sua comoda poltrona di pelle dietro la scrivania, sospirando, e lasciando che la sua testa ciondolasse mentre chiudeva l’occhio sinistro. Gli eventi passati si erano rivelati un successo clamoroso per i suoi obiettivi. Con la cattura del quinto Bijuu nella Terra delle Pianure, avevano ottenuto altro chakra per la dimensione artificiale e ulteriori risorse da poter spendere nell’esercito, e il mondo si stava discrepando ancora di più adesso che lo erano venuti a sapere. Ma questo non significava certo che poteva rilassarsi.

Dopotutto, stava per dare vita a ciò che aveva sempre ambito di costruire.

Le cose stavano iniziando a muoversi rapidamente per i suoi piani, e ciò significava che anche lui, l’artefice di tutto questo, doveva muoversi ancor più velocemente. C’erano ancora troppe minacce per potersi rilassare. L’Hokage e Sasuke Uchiha, ad esempio, avrebbero potuto ucciderlo con facilità. Doveva escogitare qualcosa per contrastarli.

L’orologio ticchettò in avanti – erano adesso le otto in punto – e un battito leggero sulla porta attirò la sua attenzione. “Entrate,” disse.

Mitsuki e Kumo varcarono la porta ed entrarono nell’ufficio, alti e solenni, con gli occhi lampeggianti di trepidazione. Avevano tra le braccia una serie di pergamene, libri rilegati in pelle e tomi polverosi pieni di carte. “Buongiorno, Boruto,” lo salutarono tutti e due, inchinandosi leggermente.

“Niente inchini,” mormorò lui, scuotendo una mano per dismettere le formalità. “Cosa posso fare per voi?”

Mitsuki sorrise radioso. “Oggi siamo venuti da te con una proposta molto intrigante,” iniziò a dire, porgendo le sue pergamene al marionettista. “Ma credo che sia meglio partire dal principio. Prima di finire catturati dall’Hokage, io e Kumo stavamo effettuando sotto tuo ordine una ricerca per trovare un modo per stabilizzare il Sigillo che àncora alla realtà l’Occhio della Tempesta. Quello dove sono sigillati i Demoni, per essere precisi. Tuttavia, non abbiamo scoperto niente di utile… almeno fino a poco fa. Una volta tornati, grazie alle marionette di Kumo, ci siamo imbattuti in numerosi testi che fanno riferimento a determinati esperimenti di altri scienziati nel corso degli anni. Principalmente, questi testi fanno riferimento a tre oggetti: la Scatola del Paradiso creata dal Villaggio dell’Erba, la cosiddetta Tecnica dell’Evocazione Finale creata dalla Nuvola, e il misterioso Demone Senza Coda sigillato nell’ormai estinta Terra del Cielo.”

Boruto si sporse in avanti, inarcando un sopracciglio. Era solo vagamente consapevole di quei nomi e delle leggende che li avvolgevano. Gli unici ricordi che aveva al riguardo erano quelli delle connotazioni delle sue lezioni di storia ai tempi dell’Accademia.

Kumo sorrise e prese parola mentre dispiegava una pergamena. “Ci sono stati numerosi tentativi, nel corso dei secoli, di creare la vita. Più specificatamente, di creare un’arma vivente. Ma ben pochi ci sono riusciti, e quelli che abbiamo elencato prima sono solo quelli più famosi e conosciuti. E abbiamo appena scoperto che quello che noi tre abbiamo creato con il Sigillo dell’Occhio della Tempesta è, sostanzialmente, la stessa cosa che fecero questi esperimenti in passato; semplicemente in scala ridotta,” il Ragno della Sabbia indicò quella che sembrava essere una specie di elenco in una lingua morta. “Dipingere gli elementi fisici in una realtà ristretta per crearne una nuova. È il principio che hai inventato tu per creare questo mondo, ed è lo stesso principio che usava la Tecnica dell’Evocazione Finale per evocare il Demone senza Coda.”

Boruto annuì mentre Kumo si fermava per fargli assimilare le informazioni. “Continua,” gli disse.

“Saremmo interessati, quindi, a perfezionare la ricerca per sviluppare e ricreare una o più creature simili a quelle descritte da questi esperimenti. Un nuovo Demone codato, potremmo definirlo, anche se non fa parte dei nove Cercoteri che esistono oggi,” annunciò Kumo.

Boruto fece una pausa, sconvolto. Poi chiuse l’occhio, facendo un respiro lungo e profondo. Fissò Mitsuki e Kumo con uno sguardo inquisitore, per niente compiaciuto dalla direzione che stava prendendo la discussione. Creare artificialmente un Demone non era una cosa da niente, e poteva essere decisamente pericoloso. I due si fecero più pallidi del normale sotto al suo sguardo gelido. “E quale sarebbe lo scopo di queste creature che vorreste ricreare?” domandò.

Mitsuki si schiarì la gola e fece un passo in avanti, deciso. “So che può sembrare assurdo, ma il progetto potrebbe avere diversi impieghi. Immagina di poter avere un esercito di creature simili al tuo servizio, pronte a scendere in campo per combattere contro le forze nemiche. Questo progetto, credo, potrebbe essere il prossimo passo nell’evoluzione della storia militare. La creazione di Demoni codati artificiali da essere sigillati in Jinchuriiki (Forze Portanti) scelti per combattere. Bestie codate minori che permetterebbero a chiunque di esercitare poteri ben al di là di qualsiasi essere umano,” spiegò in tutta serietà.

Boruto si bloccò, soppesando le opzioni. Da una parte, questo progetto poteva fornirgli una nuova arma da usare contro la Foglia. Poteva conferire un grande potere ai suoi seguaci, se la ricerca avesse dato frutti. Dall’altra, però, era estremamente rischioso. Stavano sperimentando sulla vita. E questa cosa non gli piaceva affatto, soprattutto se la direzione che avrebbe preso il progetto era quella che stava deducendo adesso.

“E come fareste a creare questi Demoni artificiali?” chiese solennemente.

Mitsuki aprì un’altra serie di testi pieni di diagrammi e ricerche. “È nostra convinzione che i Demoni codati siano semplicemente entità create attraverso la coalescenza di grandi quantità di chakra. Dato il loro potere, non è irragionevole suggerire che la potenza cumulativa dei Cercoteri sarebbe uguale a quella di qualsiasi uomo, donna o bambino sulla Terra. Ovviamente sarebbe quasi impossibile creare un’entità di tale forza senza capire come è fatta in primo luogo, ma credo che la teoria originale sia vera: una quantità sufficiente di chakra, raccolta in un unico posto, potrebbe essere usata per dare vita alla vita,” spiegò, cercando di essere chiaro.

Il Nukenin intrecciò le mani e s’inoltrò nei suoi pensieri. I suoi occhi superarono Mitsuki e Kumo, fissandosi nell’abisso della mente. Il concetto dei Bijuu artificiali andava contro tutto ciò che lui voleva. I Demoni codati erano una minaccia per la stabilità e la Pace nel mondo. Dovevano essere affrontati se volevano davvero dare una speranza di unificazione per il pianeta. Tuttavia, l’idea era allettante. Uno strumento temporaneo, molto più debole dei Bijuu esistenti, che poteva essere usato contro i suoi nemici e poi eliminato una volta che la Guerra fosse finita. Era simile alla sua Volontà di Fuoco, in effetti. Avrebbe potuto persino accelerare lo sviluppo di un’eventuale contromisura da usare contro suo padre ed il Kyuubi (Enneacoda). E questo, per quanto fosse amaro ammetterlo, era una possibilità preziosa.

“E dove, esattamente, raccogliereste il chakra necessario per il progetto?” premette ancora lui. Storicamente, Boruto lo sapeva, la raccolta di tali quantità di energia per creare bestie disumane avveniva a costo di innumerevoli vite umane. Migliaia e migliaia di innocenti sacrificati per niente. Boruto non avrebbe sacrificato le persone che aveva scelto di difendere solo per ottenere una misera imitazione dei Bijuu.

“Questa è la vera questione,” gracchiò Kumo. “Non ci sono testimonianze intatte su quale metodo sia stato utilizzato in passato per raccogliere il chakra necessario per la creazione del Demone senza Coda della Terra del Cielo. Tuttavia, si dice che quest’ultimo si nutrisse delle emozioni più oscure dell’umanità – un approccio che ritengo sia falso. Certamente potremmo sacrificare la vita di molti per generare l’energia sufficiente, ma una mossa del genere attirerebbe inutilmente l’attenzione del mondo su di noi e li unirebbe contro la nostra causa. Inoltre, sia tu che noi due non approveremmo mai una crudeltà del genere. Questo è chiaro.”

Boruto si limitò a grugnire un’affermazione. Uccidere vite innocenti per la ricerca sarebbe stato disumano. Mostro poteva anche esserlo, ma folle e spietato no. Non era mica Orochimaru.

“Inoltre,” aggiunse Mitsuki. “Sarebbe impossibile raccogliere così tante persone per compiere un tale sacrificio. Ci vorrebbero campi di sterminio estesi per un’intera Nazione, o oltre. No, non se ne parla. La via più efficace sarebbe creare un Sigillo Maledetto capace di estrarre il chakra dei Demoni che abbiamo già catturato senza destabilizzare la dimensione artificiale. I Bijuu hanno chakra infinto, che si ricompone col tempo. Una cosa simile sarebbe una fonte rinnovabile di energia illimitata. Una di quelle che potrebbe rifornire la nostra ricerca per anni – decenni, persino – a venire.”

Mitsuki e Kumo si posarono con orgoglio mentre Boruto ragionava. Ora la cosa aveva più senso. Estrarre chakra dai Demoni per creare altri Demoni, senza sacrificare nessuno. “Avremmo comunque bisogno di cavie su cui sigillare il chakra,” disse, la sua voce combattuta.

L’albino annuì, teso. “Sì, è necessario avere delle persone che fungano da esperimenti viventi. Questo è l’unico prezzo da pagare per un progetto simile,” confermò amaramente.

“Le mie marionette umane non funzionerebbero,” aggiunse Kumo, gracchiando. “La loro struttura fisica è deteriorata rispetto ad un essere umano vivente. Non reggerebbero mai una quantità simile di energia, nemmeno con le cellule del Primo Hokage.”

Boruto rimase in silenzio per diversi secondi, incerto. Poi sospirò pesantemente. “Molto bene,” disse alla fine. Mitsuki e Kumo s’illuminarono visibilmente. “Avete il mio permesso. Ma non permetterò che danneggiate le persone che si sono unite a noi. Inoltre, voglio mettere bene in chiaro una cosa: una volta finita la Guerra, questi Demoni dovranno sparire. Non ho intenzione di lasciare libere per il pianeta delle bestie artificiali capaci di distruggere la Pace per cui stiamo lottando. Mi sono spiegato?”

“Assolutamente,” risposero entrambi.

Il Nukenin annuì. “Bene, dunque. Inviatemi i requisiti di bilancio del progetto, e quando li avrò studiati vedrò personalmente di donarvi le risorse necessarie.”

“Grazie, Boruto. Non te ne pentirai,” esclamò Mitsuki, trepidante.

I due scienziati si voltarono per andarsene, raccogliendo in fretta e furia le loro cose, ma Boruto li richiamò mentre raggiungevano la porta. “Un momento,” disse. I due si voltarono, fissando lo sguardo severo e fermo del biondo che li squadrava con solennità. “Mi aspetto risultati. Prove funzionanti della vostra teoria e del progresso necessario per lo sviluppo del progetto. Sono stato chiaro?”

Kumo e Mitsuki annuirono seriamente. “Sarà fatto,” dissero in coro, prima di avviarsi nelle viscere del castello per tornare al loro laboratorio.
 


06 Novembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
08:30

Naruto si sedette stancamente nel suo ufficio, posizionandosi davanti ad una massa di fili e schermi ed ignorando gli sguardi preoccupati dei presenti dinanzi a lui. Konohamaru, Sarada e Shikadai, assieme poi a Sai, Sakura e Shizune lo stavano fissando con attenzione, visibilmente perplessi dall’aria cupa che aleggiava attorno a lui. Non poteva biasimarli. Gli eventi recenti avevano gettato un peso tangibile sulle sue spalle. Tra gli altri, solo Shikamaru, Himawari e Hinata sapevano quello che era successo, e anche loro sembravano decisamente più afflitti del solito. Se ne stavano in disparte con sguardi cupi.

Uno ad uno, gli schermi davanti all’Hokage si accesero con un sibilo, mettendo in collegamento diretto anche la Mizukage e il neo Kazekage, assieme anche a Killer Bee.

Bee e Gyuki, tra l’altro, avevano già ricevuto la notizia. Nella parte posteriore della sua mente, Naruto riuscì a percepire Saiken e Chomei che si accingevano ad ascoltarlo a loro volta. La rabbia che stavano provando era immensa, e ribolliva furiosamente nella sua testa, minacciando di riversarsi nel legame che condividevano con lui e Kurama. Tutti i Demoni codati, dal primo all’ultimo, stavano letteralmente schiumando dalla rabbia in quel momento. E il biondo non poteva negare di essere infuriato a sua volta. Quello che era successo il giorno precedente, dopotutto, era stato tutt’altro che piacevole.

“Abbiamo un problema,” iniziò a dire Naruto, senza preamboli. “Uno dei più gravi sin dalla fine della Quarta Guerra Mondiale. Ho appena ricevuto la conferma dei nostri sospetti: l’Organizzazione Kara ha, effettivamente, dato la caccia ai Bijuu nel corso di tutti questi anni ed è riuscita a catturarli. Ne ho le prove.  Kokuō – il Gobi (Pentacoda) – mi ha mandato i suoi ultimi ricordi prima che fosse catturato.”

La tensione nell’aria era visibile ad occhio nudo. “Merda!” imprecò a gran voce Konohamaru. Assieme a lui, tutti gli altri impallidirono visibilmente.

“Penso sia sicuro poter affermare che se Boruto e i Kara sono riusciti a sigillare Kokuō, allora sono anche i responsabili della scomparsa degli altri. Ciò significa che al momento possiedono cinque dei nove Cercoteri,” disse ancora il Settimo. “Boruto mi disse una volta che aveva catturato Shukaku perché si stava rivelando una minaccia per il popolo della Terra del Vento. Non avrebbe avuto motivo di catturare gli altri senza averne trovato uno scopo. Ma viste le circostanze e la cattura del Gobi, non penso proprio che si fermerà dopo aver messo le mani su ben cinque Bijuu. E questo significa che anche Saiken, Chomei, Bee e Gyuki sono in pericolo.”

Sakura assottigliò gli occhi. “Anche tu sei in pericolo, Naruto,” disse acutamente.

Il biondo si accigliò. “Kurama ed io siamo più che capaci di difenderci da soli,” rispose severamente.

‘Ben detto, moccioso!’ ringhiò la Volpe.

“Dovremmo iniziare a preparare un contrattacco,” disse timidamente Shikadai, come se non fosse sicuro di poter parlare. “Possiamo spostare i Bijuu rimasti? Portarli in qualche zona difendibile? O dare loro delle guardie, in ogni caso.”

Naruto rivolse la sua attenzione verso la sua coscienza. “Saiken? Chomei?” chiese loro.

‘Non ho intenzione di nascondermi come un codardo,’ ribollì furiosamente Saiken, il Rokubi (Esacoda). ‘…ma accetterò di prendere con me delle guardie, se la cosa basterà a metterti a tuo agio, Naruto.’

‘Anch’io,’ gli fece eco Chomei, il Nanabi (Ettacoda). ‘Anche se la mia sicurezza è garantita dal fatto che posso volare. Quindi, gli umani che manderai come scorta dovranno essere pochi e senza paura dell’altezza.’

Naruto emise un sospiro di sollievo. “Saiken e Chomei accetteranno le guardie, ma non si nasconderanno e non abbiamo un posto dove poterli celare concretamente,” riferì.

“Potremmo ospitarne uno nella Nebbia,” si offrì Mei Terumi. “Ma non credo che sarebbe di alcun aiuto. Boruto è in grado di teletrasportarsi in qualsiasi angolo del pianeta. Ci raggiungerebbe comunque.”

“Che dire di Bee?” chiese Konohamaru.

“Gyuki ed io staremo bene,” li rassicurò Killer Bee attraverso lo schermo. “Ho detto al vecchio Dodai cosa è successo. Ho già delle guardie che mi controllano giorno e notte.”

Naruto annuì. “Comunque sia, dobbiamo comunque fare qualcosa per ribaltare la situazione,” insistette, sembrando più determinato che mai. “Siamo troppo sparsi, specialmente dopo la distruzione del Summit. Stiamo combattendo una guerra su tre fronti: ad Ovest con la Terra della Pioggia e gli altri Paesi alleati con la Rivoluzione, ad Est coi mercenari dell’Acqua sostenitori di Boruto, e dall’ombra con i Kara e i Demoni codati.”

Himawari, Shikadai e gli altri annuirono. Erano ben consapevoli di quanto fosse grave la loro situazione.

“E cosa suggerite di fare?” chiese Sai.

Shikamaru si mosse in avanti, fece un respiro profondo e prese parola al posto dell’Hokage. “Ne abbiamo già discusso coi Kage, ma penso che sarebbe meglio per lo sforzo bellico iniziare un contrattacco alle forze ostili dei Ribelli. Io e la mia vecchia squadra abbiamo intenzione di partire per la Terra del Ghiaccio tra qualche settimana, per infiltrarci in territorio nemico e sabotare i loro piani dall’interno. Abbiamo intenzione di eliminare – o catturare, semmai ce ne fosse la possibilità – uno dei loro esponenti più importanti. Oltre che scoprire qualcosa sui loro piani, ovvio,” spiegò senza mezzi termini.

Gli occhi di tutti si sgranarono. “C-Che cosa?” soffocò Sarada.

Il Nara la guardò dritto negli occhi. “Abbiamo ricevuto notizie certe al riguardo. La Terra del Ghiaccio è il Paese dove è nata la Rivoluzione. La sua nuova capitale sembra essere il centro di maggiore rilievo per i Ribelli. Secondo alcuni informatori, è lì che Boruto e i Kara stanno assemblando il loro esercito per prepararsi a combattere sul fronte. Prima che si arrivi a tanto, dobbiamo provare a fermarli,” dichiarò solennemente.

L’Uchiha deglutì. “A-Allora… voglio unirmi anch’io!” disse, impettendosi.

Naruto scosse la testa. “No, Sarada. Shikamaru andrà assieme a Ino e Choji, ma tu sei necessaria qui. Non possiamo rischiare di perdere anche te. Le abilità del tuo Sharingan Ipnotico sono uno degli strumenti più preziosi che abbiamo in questa Guerra,” le spiegò lentamente. “Fino a quando tuo padre non farà ritorno, possiamo fare affidamento solo su di te.”

Sarada fece per protestare, ma sua madre la fermò. “Aspetta,” disse Sakura, la sua voce decisa e tinta da un distinto tono di comando. “Naruto, che cosa hai intenzione di fare con lei?”

Naruto guardò la sua amica con un sorriso. “Affideremo alle giovani generazioni il compito di fare la guardia ai Bijuu,” rispose semplicemente. “Chomei e Saiken sono abbastanza forti di per sé. Mandare degli adulti da loro sarebbe uno spreco di risorse.”

Sakura assottigliò lo sguardo. “Io vado con lei,” disse gelidamente.

Il Settimo Hokage si bloccò.

“Shizune ed io abbiamo fatto tutto il possibile per aiutare i feriti fino ad oggi, ma per me le cose stanno diventando sempre più chiare. È inutile restarmene chiusa in ospedale quando il numero dei feriti continuerà sempre e solo ad aumentare per colpa della Guerra. Per questo, io andrò assieme a Sarada a proteggere uno dei Cercoteri, per impedire a quel folle di tuo figlio di catturarne altri. Non permetterò a Boruto di fare del male a Sarada. I medici possono continuare a gestire i feriti anche senza di me,” insistette la rosa.

Naruto sospirò e fece crollare le spalle. Non poteva negarglielo. Sakura era una delle sue più care amiche, e Sarada era sua figlia. Sapeva che non c’era niente che potesse dire o fare per farla desistere. “Va bene,” acconsentì dopo un secondo. Respirando profondamente, continuò a parlare. “Sakura e Sarada si uniranno ai Demoni codati. Sai, voglio che tu vada a tua volta nella Terra del Ghiaccio dopo che Shikamaru e la sua squadra saranno arrivati. Li aiuterai a completare qualsiasi missione abbiano prefissato, per poi riportarli nella Foglia il più presto possibile. Per quanto riguarda voi due, invece,” disse, rivolgendosi a Shikadai e Konohamaru. “Voglio che organizziate le squadre di guardia per difendere Saiken e Chomei dalle grinfie dei Kara. Avrete pieni poteri decisionali su tutti coloro che deciderete di arruolare per questo compito. Sono stato chiaro?”

“Sì, Hokage-sama,” risposero in coro tutti i presenti. Poi, uno ad uno, tutti quanti presero ad uscire dall’ufficio.

E mentre i volti dei suoi amici svanivano, Naruto sentì tutto il peso del Destino crollargli sulle spalle. Si erano messi in moto eventi che non potevano più essere evitati. La Guerra stava arrivando, sia dall’esterno che dall’interno, e Naruto non poté fare a meno di sentire che tutto ciò per cui lui e Sasuke avevano combattuto e creduto in passato stava finalmente per giungere alla fine.

Si chiese dove fosse Sasuke, ora più che mai.
 


12 Novembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione


Città Capitale di Rikubetsu
09:30

“Sei veramente sicuro di volerlo fare?” domandò con nervosismo Lucy, visibilmente contrariata.

Boruto fece un cenno col capo, continuando ad avanzare lungo i corridoi della fortezza a passo deciso. Accanto a lui, Shizuma, Galatea e Jigen lo seguivano a ruota, affiancati anche da Annie e dalla bella Lucy che continuava a fissarlo con tensione. Coloro che lo incrociavano lungo la strada, servitori e soldati indistintamente, si facevano da parte senza perdere tempo, permettendogli di passare ed accennando un inchino di rispetto e timore. E ora che ci faceva caso, il biondo dovette ammettere che gli piaceva essere guardato con reverenza. Lo faceva sentire stranamente compiaciuto. Voleva dire che tutti quanti sapevano finalmente quanto fosse diventato potente, e pericoloso. Soprattutto pericoloso.

Onestamente, era rimasto colpito da quanto fosse riuscita ad evolversi questa città. La Capitale era diventata il centro economico e politico più importante della Terra del Ghiaccio, con una popolazione attuale che poteva tranquillamente fare concorrenza a qualsiasi altro Villaggio Shinobi ormai. Fino a tre anni prima, niente di tutto questo esisteva ancora. All’epoca, questa città era una fortezza spoglia e vuota, abitata solo dai mercenari e da coloro che Kashin Koji aveva costretto ad unirsi alla sua causa. Da qualche mese, invece, l’ex città-fortezza di Kyo si era trasformata completamente, diventando l’attuale Capitale di Rikubestu. La Capitale della Rivoluzione. Gente proveniente da ogni parte del pianeta era giunta qui con l’intento di unirsi ai Ribelli, o anche semplicemente per trasferirsi in una Nazione che condivideva i loro ideali. La Terra del Ghiaccio era stato un Paese povero e disabitato fino a poco tempo fa, ma adesso stava iniziando a prosperare ancora una volta.

Tutto questo grazie a lui e alla rinascita della Rivoluzione.

“Sono ancora convinta che non sia una buona idea,” sussurrò Lucy a bassa voce.

Boruto sospirò, fissandola di sbieco. “Ve l’ho detto, non abbiamo scelta. Non possiamo sapere cosa ci attende una volta che la Guerra sarà ufficialmente scoppiata. Dobbiamo prepararci ad ogni evenienza e ideare mosse per permetterci di essere preparati,” disse, la sua voce priva di emozione.

“Ma l’addestramento dell’esercito sta procedendo bene,” s’intromise Annie. “E i soldati stanno aumentando di giorno in giorno. Sto personalmente supervisionando i loro allenamenti assieme a Shizuma e Lucy. Non abbiamo bisogno di altre contromisure.”

“Semplici soldati non basteranno a vincere la Guerra più importante del nostro mondo, sensei,” la richiamò pacatamente lui, continuando ad avanzare.

“E invece le tue ‘cavie’ sì?” ribatté Shizuma Hoshigaki, snudando i denti.

L’occhiata gelida che il Nukenin gli rivolse dopo quella battuta bastò a farlo rabbrividire, zittendolo all’istante. “Non sono cavie. Si sono offerti liberamente. Saranno consapevoli sin dall’inizio di quello che dovranno fare. E se rifiuteranno, saranno liberi di andarsene a loro piacimento,” spiegò con irritazione Boruto, scuotendo la testa. Nemmeno a lui piaceva molto quell’idea, ma al momento era l’unica opzione che avevano.

“Ma… è comunque una follia,” ribadì Annie, massaggiandosi le tempie. “Vuoi davvero usare degli esseri umani come esperimenti viventi, Boruto? Sai bene quanto me che una cosa del genere va contro qualsiasi legge umana e della natura.”

Quello annuì. “Proprio per questo solo chi si è arruolato volontariamente sarà ammesso al progetto. Non ho intenzione di sperimentare liberamente sulle persone a discapito della loro vita. Io non sono Orochimaru. Ma se tra i nostri ranghi c’è davvero qualcuno disposto a prestare la propria vita per il bene della scienza… voglio accontentarlo.”

Galatea sospirò, sconfitta. “Certo che Mitsuki e Kumo potevano risparmiarsi quest’idea malsana. Non credo che porterà a niente di buono,” esalò con disappunto.

Boruto sorrise, avanzando verso il portone d’ingresso della sala delle riunioni con uno sguardo solenne. “Solo il tempo potrà dircelo.” Poi, senza perdere tempo, fece cenno alle guardie di aprire la porta. Una volta dentro, lo sguardo del ninja traditore si posò immediatamente sui volti delle persone al suo interno.

Erano tutti lì.

Mikasa, Sora e i membri dell’Organizzazione Kara.

Urahara e Toneri.

Kumo e Mitsuki.

E poi, ancora, tutti e cinque i Kage alleati con la Rivoluzione.

Uto Kirigaya, il Secondo Otokage della Terra del Suono.

Haruko la Salamandra, il Terzo Amekage della Terra della Pioggia.

Kuneo Adiba, il Quinto Yukage della Terra del Vapore.

Zeil Fumi, il Kusokage della Terra dell’Erba.

E infine Kaya Uzumaki, il Terzo Uzukage della Terra del Vortice, assieme alla sua scorta Jin Uzumaki.

Tutti i maggiori esponenti della Rivoluzione e dei suoi ideali riuniti lì, per la seconda volta, sotto allo stesso tetto e nella stessa stanza. E stavolta, a differenza della prima, erano presenti con tanto di guardie, consiglieri e criminali internazionali di fama discutibile sparsi attorno a tutta la sala. La nuova e oscura speranza per il mondo riunita assieme per la prima volta.

Appena lo videro entrare, tutti i Kage e i presenti attorno al tavolo si alzarono in piedi, restando in silenzio e rivolgendo su di lui lo sguardo mentre si avvicinava con passo solenne e determinato al suo posto riservato.

Boruto Uzumaki si mise a sedere per primo, imitato poi da tutti gli altri. “Ben ritrovati, signore e signori,” disse solennemente, guardandoli uno per uno. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso ferale. “Iniziamo.”
 


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Tempo Sconosciuto
Luogo Sconosciuto

L’anziano essere trasalì, come se fosse stato colpito. Aprì di scatto gli occhi, rabbrividendo, cercando di ignorare la strana sensazione di angoscia che gli pervadeva l’animo. Questa cosa… era strana. Non si era più sentito così da anni. Da quando aveva avuto la sua prima visione, per voler essere precisi. Voltandosi leggermente con la testa, i suoi occhi trovarono immediatamente la fonte dell’anomalia che stava percependo.

L’universo era immobile.

Il silenzio fu ciò che lo accolse. Le stelle e la loro luce erano imperscrutabili come sempre, ma c’era qualcosa di diverso in tutto quello. Era nel calore che irradiava l’aria priva di ossigeno, nella sensazione fredda che gli ottenebrava i sensi, e persino nella strana irrequietudine che il suo cuore stava provando all’improvviso. Tutto questo non era normale, e lui lo sapeva.

Stava per succedere qualcosa.

Ancora una volta, le sue deduzioni si rivelarono essere fondate. L’anziano essere non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi non appena percepì l’incombente aura di chakra che guizzò alla vita alle sue spalle. Non sapeva chi fosse, ma sapeva che era innocua. Nonostante la potenza che emanava, non aveva un solo briciolo di ostilità dentro di essa. Sembrava più tesa che altro, in realtà.

“Ti ho trovato, finalmente,” esalò la voce della nuova arrivata, vibrante e stanca, come se fosse sollevata.

L’anziano si voltò appena. “Mi stavi cercando?”

La donna che si ritrovò davanti era bella come la stella più luminosa del cielo. Alta, slanciata e dai capelli cerulei, con un sorriso che scioglieva il cuore e la mente. La vide annuire, sorridendogli con un misto di ansietà e trepidazione tutt’assieme. “So che non ci conosciamo, ma ho bisogno del tuo aiuto,” gli disse senza preamboli. “Ho commesso un errore, un errore che potrebbe avere conseguenze terribili per l’universo e la sua stabilità. E per quanto detesti ammetterlo, non possiedo più le forze e i mezzi per riuscire a rimediare da sola. Per questo ho bisogno di te.”

Lui si bloccò dopo quella spiegazione. “Cosa può fare un vecchio come me per un’entità divina come te?” domandò di rimando. “Riesco a percepire la tua potenza coi miei occhi. Io non sono al tuo livello.”

Gli occhi azzurri della donna sembravano supplicarlo con lo sguardo. “Eppure, tu sei l’unica persona che può farlo,” sussurrò, unendo le mani assieme.

L’anziano rimase in silenzio per diversi secondi. Poi, con lentezza, sorrise debolmente. “Capisco. Sei stata tu a salvarlo, non è vero?” Vedendo il silenzio dell’altra, non ci mise molto a giungere alla sua conclusione. Il suo sorriso si fece più sottile. “Cosa vorresti che faccia?” chiese allora con semplicità.

La donna dinanzi a lui gli rivolse un’espressione insondabile. “Devi aiutarmi a fermarlo.”
 


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13 Novembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
11:00

Naruto guardò attentamente il filmato sulla televisione, Shikamaru sempre presente al suo fianco.

“Al diavolo la Foglia!” gridò rabbiosamente un uomo alla telecamera, con il pugno alzato.

“Bugie! Sono tutte bugie!” gridò un altro.

“Boruto Uzumaki è un leader benevolo!” urlò appassionatamente una donna. “Non lasciatevi influenzare dalle menzogne di quei cani Ninja!”

Una miriade di altri insulti e urla seguirono per diversi minuti. Naruto sentì il suo cuore farsi pesante come la pietra mentre ascoltava la rabbia della gente. “Beh,” esalò, accasciandosi sulla sedia. “Non è andata come speravamo.”

“Per niente,” annuì Shikamaru, grave.

Il filmato proseguì nella stessa maniera, con giornalisti e cameramen visibilmente spaventati che sfidavano i pericoli derivati dall’essersi avventurati nella Terra del Ghiaccio per ottenere interviste con le persone che vivevano lì. Era passato poco più di un mese da quando Boruto aveva devastato il Summit mondiale e rispedito il mondo nel caos. Con le sue azioni, il Settimo aveva sperato che la gente potesse finalmente realizzare quanto fosse distorto e malsano l’obiettivo di suo figlio. Invece, sembrava che le persone fossero diventate più unite che mai nel difenderlo. La cosa non aveva senso.

Le interviste terminarono e la linea tornò alla conduttrice, pallida come la morte ma seduta in sicurezza dietro la sua scrivania nella capitale della Terra del Fuoco. “Come potete vedere, nel corso di questi ultimi giorni c’è stato un grande tumulto nella Terra del Ghiaccio. Tutti i tentativi delle Nazioni Alleate di spingere la gente ad unirsi alla loro causa sono andati in fumo. L’editore di questo filmato è rimasto anonimo, ma coloro che lo hanno trasmesso hanno cercato di dipingere l’ormai defunta Unione Shinobi in una luce positiva, denunciando l’ormai nota Terra del Gelo che sembra essere diventata la Nazione principale della Rivoluzione e dei Ribelli.”

“Che fottuta seccatura,” brontolò Shikamaru, accendendosi una sigaretta.

“L’Organizzazione Kara ha risposto alle proteste inviando al nostro studio un messaggio da trasmettere in diretta. Tuttavia, ci hanno rigidamente ordinato di attendere fino alle dodici di questa mattina prima di rilasciare il filmato. Data la gravità delle parti coinvolte, Canale Quattro si dedica a mantenere queste istruzioni anche contro le raccomandazioni delle Nazioni Alleate e del pubblico in generale. Vi chiediamo perdono, ma non abbiamo scelta.”

La telecamera fece allora una panoramica fuori dallo studio, dove un’immensa folla di persone si era radunata. Civili, Ninja e gente di ogni tipo, con i volti ansiati e le espressioni solenni. Alcuni urlavano allo studio di trasmettere immediatamente il messaggio, mentre altri protestavano apertamente per il fatto che lo studio si fosse piegato al volere dei terroristi.

“Cosa pensi che abbia intenzione di dire?” chiese Naruto.

Shikamaru si strinse nelle spalle. “Non lo so,” rispose. “Ma non sarà niente di buono per noi, questo è certo.”

Il Settimo annuì pigramente, guardando i minuti che passavano mentre le lancette dell’orologio si avvicinavano sempre più alle dodici. Shikamaru camminava avanti e indietro per la tensione, e Naruto faceva rimbalzare la gamba su e giù, con grande fastidio di Kurama. In quella situazione, non potevano fare a meno di sentirsi in ansia. Alla fine, una campana suonò in lontananza nella Foglia, indicando il passare dell’ora. Il Kage e il suo consigliere si riposizionarono davanti al televisore e attesero, assieme al mondo intero, con il fiato sospeso.

“E ora,” disse la conduttrice, aggiustandosi nervosamente le vesti. “Il messaggio che stavate tutti aspettando.”

Lo schermo si oscurò per un momento e Naruto trattene il fiato. Si sporse in avanti un secondo dopo, quando il video si schiarì, i suoi occhi concentrati unicamente su suo figlio. Il cuore dell’Hokage gli risalì in gola appena vide le vesti che Boruto stava indossando. Era l’abito cerimoniale color crema dei Kage, con un cappello – IL Cappello – rifinito in nero con la scritta ‘Unica Ombra’ decorata sul davanti. Il Nukenin lo indossava come una corona. Dietro di lui c’era l’Organizzazione Kara, vestita con le loro terrificanti vesti oscure, in piedi e sull’attenti.

“N-Non mi piace,” sibilò il Nara al suo fianco, la voce tremante. Naruto non ebbe bisogno di voltarsi per percepire quanto fosse diventato pallido, proprio come lui.

Boruto si sporse in avanti, rimuovendosi il cappello e posizionandolo sopra al podio davanti a lui. Poi osservò il mondo dinanzi a sé, con un sorriso predatorio sulle labbra. “Mi appello a tutti voi, gente del mondo. Uomini e donne, Shinobi e Guerreri, civili e combattenti. Io – o meglio, noi – non siamo vostri nemici,” iniziò a dire con voce alta, decisa e solenne. “Ci sono poteri in questo mondo che ritengono il contrario; poteri che vorrebbero farci essere l’uno contro l’altro. Ma vi do la mia parola quado dico questo: l’Organizzazione Kara non è vostra nemica. Io e la mia gente abbiamo preso le armi e generato la Guerra non perché volevamo distruggere il sistema, ma perché volevamo difenderci. Difendere non solo noi stessi, ma il mondo intero.”

“Questa è buona,” ribatté sarcasticamente Shikamaru.

“Siamo giunti ad un precipizio. Ci troviamo sull’orlo del cambiamento. Il mondo vacilla sull’orlo del caos e della guerra, e i nostri leader non fanno nulla per fermarlo. Piuttosto, hanno deciso di saltare a capofitto nell’abisso, determinati a distruggere noi – i loro nemici – il cui unico obiettivo è semplicemente aiutare e difendere coloro che questo sistema ha fallito e dimenticato.”

La panoramica si ritirò, seppur leggermente, rivelando una densa folla di persone dinanzi a suo figlio. Naruto vide Ninja, vide civili, e vide rivoluzionari, tutti in piedi e in silenzio mentre ascoltavano il discorso. Alzarono i pugni in alto, battendo le mani con enfasi.

“Pertanto, al fine di garantire la sicurezza e la sopravvivenza della nostra società, mi vedo costretto ad attuare un’unica soluzione. Ed è per questo che da oggi, a partire da adesso, io dichiaro la nascita di un nuovo Impero! Un Impero in cui i deboli non saranno più governati dai forti! Un Impero che non sarà più afflitto da guerre incessanti! Un Impero in cui il popolo non sarà messo in secondo piano da governi corrotti e incuranti! Oggi, dinanzi a tutti voi e al mondo… io dichiaro finalmente la nascita dell’Impero Shinobi Unito!” urlò a gran voce.

Naruto non riuscì a trovare il fiato per parlare. Accanto a lui, Shikamaru lasciò cadere la sigaretta dalle labbra. Nessuno dei due se ne accorse. La folla nello schermo iniziò a ruggire in segno di approvazione.

“Portando il nostro popolo sotto un’unica legge e la giurisdizione di un solo leader, l’era della guerra e della morte che aveva afflitto la nostra società da tempo immemorabile verrà finalmente conclusa. E per garantire ciò, vi assicuro che saranno selezionati dei governatori regionali il cui compito sarà assicurarsi che la burocrazia e il nepotismo che hanno permesso ai nostri leader precedenti di condurre guerre e ingiustizie senza controllo non si risollevino mai più!”

La folla esultò e urlò gioiosamente, fragorosa nel suo applauso.

“Il crescente e potente esercito dell’Impero garantirà lo stato di ordine, di diritto e di stabilità. Difenderemo i nostri ideali con la forza delle armi! Non mostreremo pietà, non daremo speranza a coloro che si definiscono nostri nemici! Insieme, saremo uniti contro gli attacchi di coloro che si aggrappano alle vecchie tradizioni! Per troppo tempo il vecchio sistema Shinobi ha governato e sottomesso il mondo con le loro regole fallaci! Ma adesso basta! Adesso non accadrà più! Coloro che stanno in piedi non dovrebbero mai superare in numero quelli che s’inginocchiano! Per questo, ai nemici dell’Impero, io do questo avvertimento: voi sarete distrutti!

Le urla e le grida stavano diventando così forti da riuscire a scuotere la terra. L’immagine della telecamera vibrò visibilmente.

“Ma il cammino verso la Pace è lungo e arduo,” continuò Boruto, più pacato rispetto a prima. “Non sarà facile e non possiamo farcela da soli. Se vogliamo avere successo, dobbiamo unirci assieme come un solo popolo. Unitevi al nostro esercito, come soldati o come personale di supporto. Siate voi stessi gli occhi e le orecchie dell’Impero, trasmettendo informazioni e speranza mentre le Nazioni Alleate conducono la loro guerra contro di noi. Diffondete gli ideali e i principi dell’Impero a coloro che devono ancora unirsi alla nostra causa.”

“La nostra strada è chiara: finché il mondo sarà in guerra, io guiderò l’Impero come vostro Kurokage, come un’Unica Ombra, per preannunciare una nuova era di pace, ordine e stabilità globali! Insieme, avanzeremo verso il futuro come un solo popolo! Ed io, io non vi deluderò di nuovo, ve lo assicuro! Vi condurrò alla Pace, e lo giuro sul mio nome. Noi, tutti insieme, prevarremo ancora una volta e guideremo il mondo verso una nuova era di pace che durerà per sempre! Questa… è una promessa.”

La folla iniziò un fragoroso canto che per poco minacciò di far scoppiare gli altoparlanti. “Viva il Kurokage! Viva l’Impero! Viva la Rivoluzione!”

L’immagine venne sbiadita e si oscurò di botto. Un secondo dopo, la conduttrice riapparve nel suo studio, cercando inutilmente di dare suggerimenti su come gestire ciò che era appena stato rivelato.

Nessuno dei due uomini le diede più retta a quel punto. “L’ha fatto,” esalò Shikamaru, pallido come la morte. “L’ha fatto davvero! Merda! Questo non va bene! Non va per niente bene! D-Da adesso… questa guerra non riguarda più soltanto noi ed una banda di terroristi. Siamo noi contro una Nazione nascente! S-Se le altre Nazioni riconosceranno la loro sovranità, questa sarà una vera Guerra Mondiale!”

Il Settimo non disse nulla, incapace di parlare. Niente di tutto quello che aveva vissuto nella sua vita lo aveva preparato ad affrontare una situazione del genere. La Guerra tra la Sabbia e la Roccia era stata una cosa. Una Guerra tra la Foglia e un’Impero era completamente un’altra. Non c’era più stata una Guerra Mondiale – una vera Guerra Mondiale, fatta da Nazioni contro Nazioni – sin dai tempi di suo padre.

Naruto deglutì pesantemente. “…cosa facciamo, Shikamaru?”

Per una volta, il suo consigliere non aveva una risposta.
 
 






 
 

Note dell’autore!!!

Salve gente, ecco a voi il nuovo capitolo.

Ancora una volta mi scuso per l’attesa che avete dovuto sorbire, ma questo è un periodo estremamente difficile per me, per cui non so dirvi quanto spesso riuscirò ad aggiornare la storia. Tra esami, difficoltà in famiglia e diverse altre questioni sto facendo molta fatica a scrivere. Vi chiedo di avere pazienza, ed io ce la metterò tutta per far combaciare le cose.

Il capitolo è più breve del solito per mia scelta. Come accennato nella puntata precedente, sono necessari per lo sviluppo omogeneo della trama. Servono a farvi riflettere su determinati argomenti e per mettere in risalto alcuni eventi.

Boruto, ancora una volta, ha compiuto una mossa inaspettata. Ha fondato un Impero nel mondo Shinobi, e solo il tempo potrà dirci quello che succederà adesso.Il prossimo capitolo, tuttavia, sarà estremamente importante per l'evolversi della vicenda. Non posso farvi spoiler, ma sappiate che sarà uno dei momenti che ho sempre voluto narrare sin dall'inizio della storia.

Vi invito a leggere e commentare. Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate di tutta la vicenda. Grazie mille in anticipo a tutti e a presto!

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Capitolo 16
*** Luce e Buio ***


LUCE E BUIO

 





SUPERHEROES
(The Script)
 
All the life she has seen
All the meaner side of me,
They took away the prophet's dream,
For a profit on the street.
Now she's stronger than you know,
A heart of steel starts to grow.
 
All his life he's been told
He'll be nothing when he's old,
All the kicks and all the blows,
He won't ever let it show.
'Cause he's stronger than you know,
A heart of steel starts to grow.
 
When you've been fighting for it all your life!
You've been struggling to make things right!
That's how a superhero learns to fly!
Every day, every hour, turn the pain into power!
When you've fighting for it all your life!
You've been working every day and night!
That's how a superhero learns to fly!
Every day, every hour, turn the pain into power!
 
All the hurt, all the lies,
All the tears that they cry,
When the moment is just right
You see fire in their eyes.
'Cause they're stronger than you know,
A heart of steel starts to grow.
 
When you've been fighting for it all your life!
You've been struggling to make things right!
That's how a superhero learns to fly!
Every day, every hour, turn the pain into power!
When you've fighting for it all your life!
You've been working every day and night!
That's how a superhero learns to fly!
Every day, every hour, turn the pain into power!
 
She's got lions in her heart, a fire in her soul.
He's a got a beast in his belly
That's so hard to control.
'Cause they've taken too much hits, taking blow by blow,
Now light a match, stand back, watch them explode.
 
When you've been fighting for it all your life!
You've been struggling to make things right!
That's a how a superhero learns to fly!
Every day, every hour, turn the pain into power!
When you've fighting for it all your life!
You've been working every day and night!
That's a how a superhero learns to fly!
Every day, every hour, turn the pain into power!

Every day, every hour, turn the pain into power!
 
When you've been fighting for it all your life,
You've been struggling to make things right,
That's how a superhero learns to fly.
Per tutta la sua vita lei ha visto
Tutta la parte più cattiva di me,
Portarono via il sogno del profeta,
Per un profitto sulla strada.
Ora lei è più forte di quanto tu possa immaginare,
Un cuore d’acciaio inizia a crescere.
 
Per tutta la sua vita a lui è stato detto
Che non sarebbe stato nulla da grande,
Tutti i calci e tutti i colpi,
Non lascerà mai che si vedano.
Perché lui è più forte di quanto tu possa immaginare,
Un cuore d’acciaio inizia a crescere.
 
Quando hai combattuto per tutta la tua vita!
Quando hai lottato per mettere a posto le cose!
È così che un supereroe impara a volare!
Ogni giorno, ogni ora, trasforma il dolore in potere!
Quando hai combattuto per tutta la tua vita!
Quando ci hai lavorato giorno e notte!
Ecco come un supereroe impara a volare!
Ogni giorno, ogni ora, trasforma il dolore in potere!
 
Tutto il dolore, tutte le bugie,
Tutte le lacrime che hanno pianto,
Quando il momento è giusto
Vedrai il fuoco nei loro occhi.
Perché sono più forti di quanto tu possa immaginare,
Un cuore d’acciaio inizia a crescere.
 
Quando hai combattuto per tutta la tua vita!
Quando hai lottato per mettere a posto le cose!
È così che un supereroe impara a volare!
Ogni giorno, ogni ora, trasforma il dolore in potere!
Quando hai combattuto per tutta la tua vita!
Quando ci hai lavorato giorno e notte!
Ecco come un supereroe impara a volare!
Ogni giorno, ogni ora, trasforma il dolore in potere!
 
Lei ha dei leoni nel cuore, un fuoco nella sua anima.
Lui ha una bestia nella pancia
Che è così difficile da controllare.
Perché hanno preso troppi colpi, subendo colpo su colpo,
Accendi un fiammifero, stai indietro, e guardali esplodere.
 
Quando hai combattuto per tutta la tua vita!
Quando hai lottato per mettere a posto le cose!
È così che un supereroe impara a volare!
Ogni giorno, ogni ora, trasforma il dolore in potere!
Quando hai combattuto per tutta la tua vita!
Quando ci hai lavorato giorno e notte!
Ecco come un supereroe impara a volare!
Ogni giorno, ogni ora, trasforma il dolore in potere!

Ogni giorno, ogni ora, trasforma il dolore in potere!
 
Quando hai combattuto per tutta la tua vita,
Quando hai lottato per mettere a posto le cose,
È così che un supereroe impara a volare.
 

 
MONSTER
(Starset)
 
Under the knife I surrendered,
The innocence yours to consume,
You cut it away,
And you filled me up with hate.
Into the silence you sent me,
Into the fire consumed,
You thought I'd forget,
But it's always in my head.
 
You're the pulse in my veins,
You're the war that I wage,
Can you change me? Can you change me?
You're the love that I hate!
You're the drug that I take!
Will you cage me? Will you cage me?
You're the pulse in my veins!
You're the war that I wage!
Can you change me? Can you change me?
From the monster you made me?
From the monster you made me?
 
This is the world you've created,
The product of what I've become.
My soul and my youth,
Seems it's all for you to use.
If I could take back the moment
I let you get under my skin,
Relent or resist,
Seems the monster always wins.
 
You're the pulse in my veins,
You're the war that I wage,
Can you change me? Can you change me?
You're the love that I hate!
You're the drug that I take!
Will you cage me? Will you cage me?
You're the pulse in my veins!
You're the war that I wage!
Can you change me? Can you change me?
From the monster you made me?
From the monster you made me?
 
My heart's an artifice, a decoy soul,
I lift you up and then I let you go,
I've made an art of digging shallow holes,
I'll drop the tiniest seed and watch it grow.

My heart's an artifice, a decoy soul,
Who knew the emptiness could be so cold?
I've lost the parts of me that make me whole.

I am the Darkness!
I'm a Monster!
 
You're the pulse in my veins,
You're the war that I wage,
Can you change me? Can you change me?
You're the love that I hate!
You're the drug that I take!
Will you cage me? Will you cage me?
You're the pulse in my veins!
You're the war that I wage!
Can you change me? Can you change me?
From the monster you made me?

From the monster you made me?
Sotto al coltello mi sono arreso,
La mia innocenza era vostra da consumare,
L’avete tagliata via,
E mi avete riempito d’odio.
Nel silenzio mi avete mandato,
Nel fuoco mi avete consumato,
Pensavate che avrei dimenticato,
Ma è sempre nella mia testa.
 
Siete la pulsazione nelle mie vene,
Siete la guerra che conduco,
Potete cambiarmi? Potete cambiarmi?
Siete l’amore che io odio!
Siete la droga che prendo!
Mi ingabbierete? Mi ingabbierete?
Siete la pulsazione nelle mie vene!
Siete la guerra che conduco!
Potete cambiarmi? Potete cambiarmi?
Dal mostro che mi avete reso?
Dal mostro che mi avete reso?
 
Questo è il mondo che avete creato,
Il prodotto di ciò che sono diventato.
La mia anima e la mia giovinezza,
Sembra che sia tutto a vostra disposizione.
Se potessi riprendermi il momento
Vi lascerei entrare sotto la mia pelle,
Ma sia cedendo che lottando,
Sembra che il mostro vinca sempre.
 
Siete la pulsazione nelle mie vene,
Siete la guerra che conduco,
Potete cambiarmi? Potete cambiarmi?
Siete l’amore che io odio!
Siete la droga che prendo!
Mi ingabbierete? Mi ingabbierete?
Siete la pulsazione nelle mie vene!
Siete la guerra che conduco!
Potete cambiarmi? Potete cambiarmi?
Dal mostro che mi avete reso?
Dal mostro che mi avete reso?
 
Il mio cuore è un artificio, un’anima che funge da esca,
Vi sollevo e poi vi lascio andare,
Sono abituato a scavare buche poco profonde,
Lascerò cadere il seme più piccolo e lo guarderò crescere.

Il mio cuore è un artificio, un anima che funge da esca,
Chi sapeva che il vuoto potesse essere così freddo?
Ho perso le parti di me che mi rendevano intero.

Io sono l’Oscurità!
Io sono un Mostro!
 
Siete la pulsazione nelle mie vene,
Siete la guerra che conduco,
Potete cambiarmi? Potete cambiarmi?
Siete l’amore che io odio!
Siete la droga che prendo!
Mi ingabbierete? Mi ingabbierete?
Siete la pulsazione nelle mie vene!
Siete la guerra che conduco!
Potete cambiarmi? Potete cambiarmi?
Dal mostro che mi avete reso?

Dal mostro che mi avete reso?
 


15 Novembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza dell’Hokage
06:15

Quella mattina, Naruto si svegliò con un profondo senso di timore nell’animo.

Sapeva di non poterlo evitare. Dopotutto, ciò che era successo nei giorni precedenti era stato uno colpo basso, uno estremamente pesante da subire. E per quanto lui e Shikamaru si fossero scervellati come matti per tentare di escogitare una contromisura durante questi ultimi due giorni, i loro sforzi sembravano essere sempre più inutili mano a mano che il tempo passava. Era una cosa che lo faceva infuriare in maniera indescrivibile.

Suo figlio aveva dato vita ad un Impero. Naruto non sapeva ancora cosa fare per riuscire a digerire quella realtà. Non sapeva cosa pensare. Da una parte, in una piccola parte nascosta della sua mente, quel pensiero lo riempiva d’orgoglio. Boruto era riuscito – a soli vent’anni, quasi – a creare qualcosa che nemmeno lui avrebbe mai sperato di ottenere in tutta la sua vita. E non c’era genitore al mondo che non avrebbe goduto nel vedere il successo del proprio figlio. Ma dall’altra, nella parte più razionale del suo cervello, Kurama gli aveva ricordato per l’ennesima volta le conseguenze di ciò che era accaduto. Adesso che le Nazioni alleate con la Rivoluzione si erano ufficialmente unite in un’Impero, la situazione in cui si trovava la Foglia era più pericolosa che mai.

Un Impero governato da Boruto significava diverse cose. Significava che la popolazione avrebbe avuto più timore che mai. Significava che gli eserciti indipendenti del Suono, della Pioggia, del Vapore e dell’Erba si sarebbero uniti in un unico e solo esercito comandato dal suo ‘mentalmente instabile’ figlio primogenito. Significava che la forza bellica del nemico stava crescendo sempre più di giorno in giorno. Significava che la loro fazione indebolita avrebbe dovuto fronteggiare un’armata innumerevole di nemici. E soprattutto… significava che la Quinta Guerra Mondiale sarebbe scoppiata a breve.

Non era decisamente una prospettiva allettante con cui alzarsi dal letto.

Eppure, anche quella mattina, il Settimo Hokage uscì dal calore delle coperte senza esitazione. Non poteva arrendersi, non era da lui, e lo sapeva, adesso con più chiarezza di prima. Per quanto sembrasse immensa la tempesta che aleggiava in lontananza, lui e la sua gente non avrebbero potuto arrendersi. Se volevano sopravvivere, se volevano mantenere viva la speranza, dovevano prepararsi ad affrontare a testa alta il nemico. Dovevano decidersi a combattere per quello in cui credevano. Dovevano combattere Boruto e la sua ideologia. Su questo non potevano tirarsi indietro.

Naruto scese silenziosamente le scale ed entrò in cucina, restando piuttosto sorpreso nel trovare lì anche sua moglie, seduta al tavolo e vestita con gli abiti ufficiali da Jonin della Foglia. Appena la vide, il suo cuore ebbe un fremito. Non si aspettava di vederla già in piedi a quell’ora, né tantomeno di trovarla vestita in quel modo. Non era ancora l’alba, eppure Hinata sembrava essere sveglia e decisa come non mai. “Hinata? Che ci fai in piedi a quest’ora?” domandò, sedendosi davanti a lei.

La Hyuuga gli rivolse un sorriso, quello stesso sorriso dolce e sincero che bastava a sciogliergli ogni volta il cuore. “Ti stavo aspettando,” rispose semplicemente, la sua espressione gentile.

Eppure, Naruto non mancò di notare la serietà che lampeggiava negli occhi pallidi della donna. “Cosa succede?” chiese.

Hinata era intelligente. Vide la sua incertezza e la comprese. Con un sospiro, allungò le braccia e afferrò le mani del marito tra le sue. Il biondo rimase interdetto dopo quel gesto, osservandola con uno sguardo confuso, cercando di mantenere una certa lucidità. Hinata non era solita compiere gesti simili, non con quella disinvoltura almeno, per cui era stato colto alla sprovvista. Si chiese di cosa volesse parlargli sua moglie. Riguardava Himawari? Certamente, era probabile. La Guerra e le sue implicazioni? Anche quella era un’ipotesi valida. Ma in fondo al suo cuore, lui sapeva che l’argomento che l’aveva spinta ad attenderlo quella mattina era un altro. Gli bastò osservare per un paio di secondi gli occhi della donna, quegli occhi decisi e pallidi che amava tanto, per comprenderlo all’improvviso con assoluta chiarezza. La sua espressione si fece seria all’istante.

Hinata sembrò comprendere a sua volta la sua illuminazione. “Dobbiamo fare qualcosa,” disse, senza aggiungere altro. Non ce n’era bisogno, dopotutto. Lei e suo marito si erano già compresi con lo sguardo. Usare altre parole sarebbe stato superfluo.

“…lo so,” ammise lui, senza smettere di guardarla. “Ma non è così semplice.”

“Potrebbe esserlo, invece,” ribatté lei, abbozzando nuovamente un sorriso.

Quello si ridestò di colpo. “E come?”

Il volto della donna era deciso e solenne come non mai. Naruto non l’aveva più vista in quel modo sin dai tempi in cui aveva chiesto di essere riammessa in servizio nel Corpo dei Ninja; o ancora prima, quando aveva affrontato Pain per difenderlo. “Chiamiamolo,” dichiarò Hinata con assoluta decisione. “Chiamiamolo, e aspettiamo che sia lui a venire da noi. Possiamo parlargli, spiegargli come stanno le cose. Possiamo mettere fine a tutto questo.”

Gli occhi azzurri dell’Hokage tremolarono per l’emozione. Oh, quanto voleva poter credere a quelle parole. “Non è così semplice, Hinata. Non possiamo mettere a rischio il Villaggio…”

“Non qui. Dobbiamo farlo altrove, in un posto sicuro. Un posto dove non correremo il rischio di coinvolgere qualcuno,” lo incalzò ancora lei, decisa come prima. I suoi occhi privi di pupille brillavano letteralmente di emozione, proprio come quelli del marito.

Naruto esitò per diversi secondi. Poi, le sue labbra abbozzarono un sorriso. Non dovette attendere nemmeno un istante di più per prendere la sua decisione. Sapeva che lui e sua moglie avevano già deciso in quell’istante. Se lo sentiva dentro con una chiarezza cristallina. “Pensi anche tu quello che penso io?” chiese alla fine.

Hinata annuì, sorridendo a sua volta.

“Ma… cosa diremo a Himawari?” domandò ancora lui, aggrottando le sopracciglia.

La donna abbassò lo sguardo sulle loro mani unite assieme. “…non possiamo dirglielo. È troppo rischioso. Se c’è qualcuno che deve farlo, quelli siamo io e te. Non voglio metterla in pericolo. E se venisse con noi… le cose potrebbero sfuggirci di mano,” disse, il suo tono rammaricato.

Il biondo annuì a sua volta. Sapeva che sua moglie aveva ragione. Come sempre, d’altronde. Il suo sorriso si fece più sottile. “Si arrabbierà molto appena lo verrà a sapere,” disse, ridacchiando nervosamente.

Hinata ridacchiò a sua volta. “Lo so.”

“Ci farà una bella ramanzina.”

“Lo so.”

Marito e moglie si osservarono di nuovo, parlandosi con gli occhi, le loro mani unite sempre assieme mentre sorridevano come bambini. Il silenzio nella casa sembrò farsi più profondo che mai mentre si guardavano negli occhi. Poi, uno di loro esitò. “E se non dovesse funzionare?” chiese lui.

“Funzionerà,” lo rassicurò lei, decisa. “Me lo sento nel cuore. Lui risponderà, ne sono certa.”

Naruto la guardò con meraviglia e adorazione. “Come fai ad esserne così sicura?” le chiese, incapace di comprendere.

Il sorriso di Hinata era raggiante come il sole. “L’ho visto, quando abbiamo parlato prima del Summit. C’è ancora del bene in lui. C’è del buono nel suo cuore. Se così non fosse, non mi avrebbe detto tutte quelle cose. Non mi avrebbe lasciata vivere. Dovresti saperlo anche tu, tesoro. Dopotutto, è nostro figlio,” spiegò semplicemente.

Il Settimo sorrise a sua volta, il suo cuore che si scioglieva come burro. “È vero.”

“Solo, dobbiamo essere cauti,” disse ancora lei. “Non possiamo farci notare da nessuno. Se gli altri nel Villaggio scoprissero che siamo andati via, potrebbero allarmarsi inutilmente.”

“Non se ne accorgeranno, tranquilla. Userò i miei cloni, e farò in modo che siano più resistenti del solito. Sono o non sono il Settimo Hokage?” la rassicurò lui, battendosi un pugno sul petto e ghignando con confidenza.

Hinata rise, sapendo fin troppo bene quanto fosse deciso suo marito. Una volta che aveva preso una decisione, non c’era niente che potesse farlo desistere. Era una delle cose che amava di più di lui. Si guardarono, ancora una volta, senza aggiungere altro. Poi, senza bisogno di parole, s’inclinarono l’uno verso l’altro e si baciarono nel silenzio della loro casa, immettendo in quel semplice gesto tutte le loro emozioni e i pensieri che avevano in testa. Poi, dopo un paio di secondi, le loro labbra si separarono e i loro occhi brillarono di trepidazione.

“Andiamo,” dissero insieme.
 


15 Novembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione


Città Capitale di Rikubetsu
08:00

Boruto sentiva già l’emicrania incombente.

Davvero, era diventato Kurokage da meno di due giorni e già le responsabilità che gravavano sulle sue spalle lo avevano sfiancato col loro peso. In queste ultime ore non aveva fatto altro che gestire incontri, presiedere a sedute tra Kage e dettare ordini amministrativi ai suoi alleati. Non che fosse incomprensibile, però, e lo sapeva bene. Con la nuova situazione di caos in cui aveva gettato il mondo, era normale che bisognasse faticare molto per ripristinare da zero un ‘vago’ concetto di ordine. Almeno adesso la gente che credeva in lui si era unita ufficialmente alla sua causa, creando una vera a propria Nazione nel senso letterale del termine. Era già qualcosa. Anzi, era proprio questo il fattore incitante.

La Terra del Vapore, quella dell’Erba, quella della Pioggia e quella del Suono adesso erano unite assieme come un solo Paese. Un’unica Nazione al cui vertice c’era lui. E la Terra del Vortice e il Paese della Terra continuavano a supportarlo come prima, anche se in maniera più discreta vista la loro distanza. Persino l’ex Terra del Fulmine faceva parte dei loro territori ormai. Questa era una situazione che non aveva precedenti nella storia del loro pianeta. Non c’era mai stata una Nazione talmente ampia prima d’ora. Era la nascita di un cambiamento rivoluzionario. Era la nascita di un’Impero.

Ovviamente però, Boruto sapeva che opportune divisioni erano necessarie. Anche se si erano uniti assieme sotto un’unica bandiera e ideologia, tutti quei Paesi erano ancora divisi. Erano pieni di problemi, pieni di situazioni da risolvere, e soprattutto pieni di differenze. Talmente tante da renderli impossibili da governare per un uomo solo. Era per questo che Haruko, Kaya e tutti gli altri precedenti Kage alleati con lui continuavano a governarli e a gestirli in suo nome, fungendo da suoi Governatori. Boruto era arrogante, ma non stupido. Sapeva che il mondo era troppo vasto per poter essere gestito da una sola persona. I popoli della Terra non erano ancora pronti a mettere da parte le loro differenze per unirsi assieme in maniera concreta. Bisognava avere più tempo per riuscire a dissipare l’odio che aleggiava tra gli uomini. Per questo lui aveva faticato tanto per crearsi amicizie ed alleanze nei Paesi che aveva visitato. Per affidare il suo compito di unificazione a persone di cui poteva fidarsi.

E i frutti del suo sacrificio cominciavano già a vedersi. Gli eserciti delle Nazioni del nuovo Impero si stavano unendo assieme come previsto, assumendo dimensioni immense e una potenza inaspettata. Non si vedeva un precedente simile sin dai tempi della Quarta Guerra Mondiale e dell’Esercito Alleato che aveva portato alla nascita dell’Unione. E stavolta, Boruto giurò a sé stesso che il suo Impero non avrebbe fatto la stessa fine dell’Unione. Non avrebbe commesso gli stessi errori. Il suo obiettivo era la Pace, e per portare la Pace bisognava cercare un modo per accontentare tutti. Una volta finita la Guerra, avrebbe speso le sue energie per cercare di risolvere i problemi del mondo. Era una promessa.

Ancora, sin da quando si era proclamato leader dell’Impero, la Terra del Ghiaccio era diventata la sua nuova casa. Il Castello della Capitale di Rikubetsu aveva assunto il ruolo di ‘dimora ufficiale’ del Kurokage, con la Terra del Ghiaccio come sua Nazione principale. Questo, Boruto l’aveva voluto fortemente. La Terra del Gelo era un simbolo per lui. Un Paese devastato dopo la Quarta Guerra Mondiale, il cui popolo era emigrato a causa della rovina che l’aveva travolto dopo gli scontri. E adesso, a poco a poco, lui stava ridando vita all’economia e alla sua antica gloria di un tempo dopo la sua caduta. Era un significato simbolico. Così come questa Nazione era stata distrutta dalla Guerra e risollevata grazie alla Rivoluzione, così lui avrebbe distrutto il mondo con la Guerra per poi risollevarlo grazie all’Impero e alla Pace. Inoltre, la sua prima, vera avventura dopo essere diventato un Nukenin era iniziata quando aveva incontrato gli abitanti di quel piccolo villaggio senza nome, provenienti dalla Terra del Gelo. Per cui, questo posto segnava una specie di nuovo inizio per lui. Ci si era affezionato, dopo tutto questo.

Boruto uscì dalla sua camera da letto personale e si diresse ad ampi passi verso il salone principale del Castello. Quest’ultimo era gigantesco, a differenza di quanto sembrava visto dall’esterno, ed era lastricato da innumerevoli corridoi e diverse sale che lo rendevano il luogo ideale dove tenere incontri, riunioni e discussioni politiche private. Mano a mano che avanzava, i servitori del castello lo salutavano rispettosamente e con timore. Lui li ignorò, cercando di non lasciarsi prendere dall’orgoglio.

Quando raggiunse la sala delle riunioni, trovò la stessa scena di sempre. I Kage già seduti attorno al tavolo, pronti a discutere di politica ancora una volta, tenuti d’occhio dai Kara che se ne stavano in piedi attorno alla sala per difenderli in caso di imminenti pericoli. Anche Urahara e Toneri erano lì, come sempre, per fornire consigli e pareri durante la seduta. Una volta entrato, tutti si alzarono in segno di rispetto. “Eccoti, Kurokage,” disse seriamente Uto Kirigaya, l’Otokage del Suono.

“Niente formalità,” disse il biondo con un sospiro. Anche se gli piaceva essere guardato con rispetto dalla gente, coi suoi amici e alleati voleva restare in toni amichevoli. Kurokage o meno, lui odiava la formalità e la burocrazia. Erano ciò che gli aveva tolto suo padre quando era ancora un bambino. Boruto non avrebbe commesso lo stesso errore coi suoi amici, nemmeno per sogno. “Chiamatemi come fate sempre. Non c’è bisogno di essere formali, siamo tutti amici qui.”

Le labbra dei presenti abbozzarono piccoli sorrisi. “Come vuoi, Boruto,” disse Haruko la Salamandra.

Il Nukenin si mise a sedere al suo posto d’onore, dando ufficialmente inizio alla seduta. I Kage si sedettero a loro volta, e Mikasa e Sora si posizionarono alle spalle del loro leader e amico. L’Uzumaki raccolse il primo foglio da un mucchio di documenti posti sul tavolo, leggendolo con attenzione. “Come procede la raccolta di risorse?” domandò senza preamboli.

Zeil Fumi, il Kusokage dell’Erba, tossì leggermente. “A rilento, ma ininterrottamente. Stiamo puntando la forza lavoro sulle miniere di acciaio e metallo ai confini del Pase della Terra, come ci hai ordinato, ma vista la vicinanza alla Terra del Vento, spesso siamo costretti ad abbandonare i lavori a causa dei Ninja della Sabbia,” spiegò in tutta serietà. “Avremmo bisogno di più protezione in caso di attacchi.”

“L’avrete,” lo rassicurò il Nukenin con decisione. “Manderò personalmente Lucy e Shizuma da voi per tenere i nostri uomini al sicuro dalle grinfie della Sabbia. Con Annie-sensei alle prese dell’esercito, quei due possono svolgere altri lavori in mia vece. E Galatea e Jigen possono occuparsi dell’addestramento delle reclute al loro posto.”

“A proposito di esercito, come procede l’armamento?” domandò Kuneo Adiba, il Yukage del Vapore.

Fu Juvia a rispondere, avvicinandosi al tavolo con un foglio in mano e leggendone il contenuto a tutti. “I lavori di assemblaggio di armi e armamenti procedono senza intoppi. Abbiamo stabilito diverse fabbriche e strutture di lavoro, stabilendole rispettivamente nei Paesi del Vapore, della Terra e del Fulmine. Anche il Vortice ci sta dando una mano in questo,” la cerulea scoccò un’occhiata all’Uzukage. “Non è così?”

Kaya annuì. “Sì. Vista la distanza e il mare che ci separa, la mia Nazione non può rifornirvi di uomini o soldati. Ma possiamo comunque aiutarvi con l’armamento. La nostra Arte dei Sigilli potrebbe esser molto utile per potenziare la strumentazione bellica,” rispose lentamente, facendo un cenno a Jin. L’uomo alle sue spalle le consegnò un paio di documenti senza esitare. Kaya li passò subito dopo a Boruto. “Abbiamo trascritto un piano di lavoro in base a quest’idea. Leggilo e facci sapere cosa ne pensi.”

Il biondo posò il suo occhio sinistro sul foglio, leggendolo rapidamente. “Complimenti,” esclamò, sorridendo con trepidazione. “Sembra promettente. Non mi aspettavo di meno dal clan Uzumaki.”

L’Uzukage sorrise di rimando con confidenza. “Rimarresti sorpreso da cosa siamo capaci di fare con un semplice foglio e un pennello.”

Boruto annuì, sapendolo fin troppo bene. Spostò la sua attenzione sul volto dell’Otokage che stava per prendere parola. “Abbiamo ricevuto notizia di un esercito nel Paese delle Cascate che sta marciando verso di noi dopo la caduta della Roccia. Secondo quello che mi hanno riferito i miei guerrieri, pensiamo che stiano radunando le forze per assediarci,” riferì doverosamente Uto.

“Lasciateli venire,” dichiarò Boruto, sicuro della sua posizione nel castello. La Terra del Ghiaccio era confinante con quella delle Cascate, ma senza Kage quella Nazione non aveva potere. Se avessero invaso, la sola potenza del loro esercito stazionato qui sarebbe bastata a distruggerli. Ma lui aveva altri piani. “Se attaccheranno, ci penserò personalmente ad annientarli. Non sprecherò uomini e risorse per combattere un esercito privo di potere. Da solo basto e avanzo.”

Ci furono mormorii sommessi di assenso e sollievo. L’Amekage si sporse in avanti col busto. “Le marionette umane che Kumo ci ha mandato si sono infiltrate con successo nella Terra del Ferro e in quella del Vento. Hanno riferito che la situazione è critica nel Villaggio della Sabbia. Vuoi dare inizio all’assalto?” domandò, sentendo già adesso la trepidazione nelle vene.

Quello scosse la testa. “Non ancora. Se distruggessimo adesso la Sabbia, la Foglia e la Nebbia prenderebbero misure drastiche. Potrebbero marciare assieme contro di noi, forzandoci a combatterli. E per quanto detesti ammetterlo, affrontare l’Hokage in mezzo ad un campo di battaglia potrebbe essere rischioso anche per me,” esalò, fissando la Salamandra con attenzione. “Almeno per il momento, ci conviene stare fermi.”

“E che ne è di quel progetto che accennavi due giorni fa?” chiese allora il Yukage. “Come procede il lavoro di Mitsuki e Kumo?”

Boruto scoccò un’occhiata a Mikasa e Sora prima di rispondere con tono grave. “Stanno lavorando giorno e notte nell’Occhio della Tempesta. Abbiamo già diversi volontari che hanno espresso interesse a prendere parte agli esperimenti, ma abbiamo bisogno di più tempo prima di dare ufficialmente inizio al progetto. Non metterò a rischio vite umane per la scienza senza essere certo che possa funzionare” spiegò in assoluta serietà.

Toneri inarcò un sopracciglio. “E chi sarebbero questi volontari?” domandò.

Il biondo scrollò le spalle. “Diversi giovani provenienti da tutto il mondo. Alcuni sono originari di qui, della Terra del Ghiaccio. Gli altri sono tutti ex criminali e Shinobi. Quando il progetto sarà più definito, io e i Kara ne selezioneremo alcuni.”

I presenti si scambiarono degli sguardi perplessi. Facevano ancora fatica a credere che ci fosse veramente qualcuno disposto a prestarsi come cavia vivente per degli esperimenti. Orochimaru veniva guardato con immenso disprezzo ancora oggi per ciò che aveva compiuto in passato sulla pelle di diverse persone. Tuttavia, se le cose stavano così, supposero che non ci fossero problemi. Meno burocrazia per loro, in fondo.

Urahara si fece avanti, togliendosi il cappello mentre si grattava la testa. “Boruto, dovremmo iniziare-”

In quel momento, accadde qualcosa.

Boruto trasalì fisicamente, sgranando l’occhio e irrigidendosi come una statua. Attorno a lui, tutti i presenti – Kage e Kara indistintamente – fecero lo stesso. D’istinto, la sua testa si voltò di scatto verso Sud-Est, fissando il nulla con gli occhi ma ampliando contemporaneamente i sensi della mente. La sua schiena venne percorsa da un brivido freddo non appena i suoi sensi percepirono la possente aura di energia che stava ardendo in lontananza, a chilometri e chilometri di distanza da lì. Era talmente potente e ingombrante da essere percepibile anche senza il suo Jougan.

I suoi amici e alleati si alzarono in piedi, fissando in quella direzione a loro volta, visibilmente pallidi. “Che sta succedendo?” esclamò Gray, preparandosi a qualsiasi minaccia potesse incombere su di loro.

Boruto sentì il terrore puro iniziare ad azzannargli il cuore mentre un rivolo di sudore prese a colargli dal mento. Accanto a lui, Juvia stava tremando per il terrore. “L-L-Lo sentite anche voi?” esalò, col cuore in gola.

Kairi era sbiancata del tutto, divenendo pallida come la morte. “Non può essere…”

“Merda!” imprecò Urahara, avvicinandosi inconsciamente ai suoi allievi. Assieme a lui, anche i vari Kage iniziarono ad innervosirsi. “Non ci voleva!”

Haruko assottigliò nervosamente gli occhi, ignorando il sudore freddo. “…Kairi,” disse a quel punto, mortalmente seria. “Questo chakra… è chi penso che sia?” domandò.

La ragazza dai capelli rossi annuì, tremante, puntando gli occhi verso la figura di Boruto. “È…È lui,” confermò, terrorizzata a morte. Boruto e tutti gli altri sentirono i loro cuori grondare di orrore dopo quella conferma. Dopotutto, nessuno dei presenti avrebbe mai potuto dimenticare quella particolare e raccapricciante segnatura di chakra che stavano sentendo.

Toneri chiuse gli occhi con pesantezza. “Il Settimo Hokage,” esalò.

Boruto imprecò selvaggiamente nella testa, cercando di non lasciarsi cogliere dal panico che rischiava di inondarlo come un fiume in piena. Per quanto fosse spaventato a morte da quell’idea, sapeva che non c’erano altre spiegazioni. Quello che stavano sentendo era il chakra del Kyuubi (Enneacoda) e dell’Hokage. Non c’erano dubbi su questo. La vera domanda era un’altra.

Il biondo aprì di scatto il suo Jougan, fissando lo sguardo verso la direzione da cui proveniva l’aura di energia demoniaca. La sua mente passò in rassegna ad una miriade di possibilità, ognuna più sconcertante dell’altra. Che significava tutto questo? Perché l’Hokage stava rendendo palese la sua presenza? Cosa stava succedendo? Che si stesse dirigendo qui? Che stesse per dare inizio ad un assalto? Che cosa aveva in mente quell’uomo? Erano tutte domande a cui non aveva risposta. E non saperlo lo spaventava più di quanto gli piacesse ammettere.

“C-Che vuole fare?” domandò nervosamente l’Otokage.

“Non ditemi che è diretto qui,” sibilò a denti stretti Shirou, impugnando l’elsa di uno spadone.

Boruto aspettò. E aspettò. E aspettò.

Poi, quando vide che non accadeva nulla, si arrischiò a parlare con voce bassa e oscura. “Sembra che non si stia muovendo,” osservò nervosamente.

Kairi prese fiato, deglutendo con pesantezza mentre si avvinghiava al braccio di Sora. “Il suo chakra è più vicino del solito, ma è immobile. Si trova a duecento chilometri di distanza, in direzione Sud-Est da questa posizione,” riferì immediatamente, cercando di calmarsi mentre era costretta a percepire quell’energia opprimente a causa delle sue abilità sensoriali.

Gli occhi eterocromi del Nukenin si assottigliarono appena ricevettero conferma dei suoi sospetti. Il suo Jougan gli aveva appena dato le stesse informazioni. A duecento chilometri a Sud-Est. Che diavolo significava tutto questo? Quella era la posizione in cui si trovava…

“La Valle della Fine,” dichiarò Toneri all’improvviso, incrociando solennemente le braccia. Tutti quanti si voltarono verso di lui. “L’Hokage si trova lì.”

“E che sta facendo?” domandò freneticamente Gray.

“Sta aspettando,” rispose subito l’Otsutsuki, impassibile. I suoi occhi imperscrutabili guizzarono ad osservare tutte le persone nella sala. “Non ci sta invadendo. Il suo chakra non è in movimento, e non è neanche aggressivo come al solito. Ci sta provocando. Si sta mostrando a tutti noi in segno di sfida. Ci sta sfidando. È per questo che sta restando in attesa.”

Urahara si voltò verso di lui. “In attesa di cosa?”

Gli occhi di Toneri si posarono sul volto sfigurato di un certo biondino. Boruto sentì la sua lingua seccare. “Me,” rispose il Nukenin, rauco. “Sta aspettando me. Mi sta chiamando per sfidarmi.”

Mikasa e Sora trattennero il fiato, affiancandosi al loro amico con apprensione. I Kage lo osservarono attentamente. “Che cosa hai intenzione di fare, Boruto?” chiese con cautela l’Uzukage, avvicinandosi a sua figlia per proteggerla.

Quello non rispose subito. Restò in silenzio, con la testa bassa e gli occhi eterocromi puntati sempre e solo verso la direzione del chakra. Mano a mano che passavano i secondi, i suoi pugni si serravano sempre più, facendogli tremare la braccia. Poi, con uno scatto repentino delle mani, il biondo evocò il suo mantello oscuro e la sua spada, avanzando a passo rapido verso l’uscita della sala.

“Boruto!” esclamò Mikasa, afferrandolo immediatamente per un braccio. “Che vuoi fare?”

Il guerriero la guardò di sbieco. “Andrò ad affrontarlo,” rispose senza esitare, la sua voce priva di emozione.

“Non puoi farlo!” esalò Sora, colto dal panico. “Non puoi sconfiggere l’Hokage! Nessuno di noi può! Lo hai detto tu stesso prima!”

“Se restassi qui, sarebbe lui a venire da noi ed assaltarci,” ribatté di rimando Boruto, voltando la testa verso i suoi amici. “Questo non posso permetterlo. Quell’uomo mi sta sfidando, apertamente e davanti a tutti. Se crede di potersi prendere gioco di me in questo modo… allora gli dimostrerò che si sbaglia.”

Il moro trattenne il fiato. “Ma… Ma… è una follia!” dichiarò a gran voce.

Mikasa annuì, facendosi solenne quanto lui. “Se proprio devi andare, allora noi verremo con te,” disse a sua volta, la sua espressione solenne e decisa come non mai.

“No, non lo farete,” la incalzò lui. Mikasa fece per protestare, ma Boruto prese parola di nuovo. “Non così, almeno. Avete gli anelli, per cui sarò io a darvi il segnale tramite essi. Quando lo farò, usateli per teletrasportarvi nella mia posizione. Prima di allora, restate in attesa. Se vogliamo avere la meglio, dobbiamo coglierlo di sorpresa. Sono stato chiaro?”

La nera esitò per diversi secondi, poi però abbassò la testa e fece un cenno col capo. Boruto le rivolse un sorriso grato, accarezzandole una mano con le sue. “Non temere, non mi lascerò cogliere impreparato. L’ho già affrontato in passato, e non mi farò sconfiggere così facilmente questa volta,” la rassicurò con confidenza, dandole un bacio sulla fronte. Mikasa sorrise debolmente, alzando la testa e fissandolo negli occhi con emozione.

Il Nukenin rivolse la sua attenzione sul suo anello. “Mitsuki, Kumo. In caso di complicazioni, fate in modo che arrivino in fretta da me. Conto su di voi,” disse attraverso la comunicazione astrale.

“Sarà fatto,” promisero in coro i due scienziati.

Vedendo che questa questione era risolta, il Nukenin lanciò un’occhiata ai suoi amici. Urahara lo stava fissando con serietà dinanzi a tutti gli altri. “Potrebbe essere una trappola,” disse l’uomo col cappello. “Te ne rendi conto, vero?”

“È decisamente una trappola, sensei. Ma al momento non abbiamo scelta,” ribatté lui, deciso.

Lo spadaccino lo fissò negli occhi per diverso tempo. Poi sospirò, abbassando le spalle e facendo un leggero cenno di assenso. “E va bene, vai pure. Ma se dovesse succedere qualcosa, facci sapere il prima possibile. Quell’uomo è pericoloso, ragazzo mio. Non sottovalutarlo,” esalò alla fine.

Boruto annuì con solennità. “Non temere, ne sono consapevole.” Poi, senza aggiungere altro, il giovane diede loro le spalle ed evocò col pensiero un grosso vortice oscuro di energia, varcandolo senza la minima esitazione e svanendo in quell’ammasso di oscurità senza fine.

E quando il portale di chakra scomparve nel nulla, Mikasa e gli altri rimasero in attesa coi cuori che pulsavano di preoccupazione.
 


15 Novembre, 0021 AIT
Confine tra la Terra del Fuoco e la Terra del Suono
Valle della Fine
09:00

Naruto sentiva già i ricordi investirgli la mente con prepotenza.

Mentre osservava con uno sguardo solenne ciò che restava del luogo che un tempo era stato conosciuto col nome di ‘Valle della Fine’, il Settimo Hokage non poté evitare di provare una punta di nostalgia ed emozione per i tempi passati che furono. Dopotutto, quello era stato uno dei posti più importanti della sua giovinezza. Era lì che lui ed il suo migliore amico, Sasuke, si erano scontrati a morte; non una ma ben due volte. La prima, quando erano solo ragazzini, e la seconda, subito dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale, più di ventuno anni prima ormai. Non poteva evitare di essere emotivamente legato a quel luogo.

Inoltre, questo era stato anche il punto in cui, nell’epoca remota, si erano scontrati i loro predecessori: Madara Uchiha e Hashirama Senju. Svanite erano ormai le due possenti statue di pietra che li raffiguravano ai margini della cascata, completamente distrutte dall’ultimo scontro che lui e Sasuke avevano avuto in quel punto. Ma in effetti, adesso che la osservava dopo tutto questo tempo, Naruto dovette ammettere che la Valle della Fine era molto diversa da quella che ricordava. Il potere distruttivo che avevano esercitato nella loro epica battaglia aveva lasciato una ferita profonda nel terreno, la cui cicatrice era visibile ancora adesso.

Le colline, le foreste, il paesaggio tutt’intorno… ogni cosa in quel luogo presentava ferite e tracce di un’epocale battaglia. Le colline erano smosse e devastate, la terra disgiunta e sconnessa, e la vegetazione quasi inesistente. L’immensa voragine che aveva scavato il terreno durante quello scontro era stata ormai completamente riempita dall’acqua del fiume che scorreva verso Sud, generando nel corso degli anni un immenso lago nel punto in cui, anni prima, si trovava la Valle con le sue gigantesche statue. Adesso, il ricordo di quei tempi passati era ridotto a misere macerie e rocce frantumate, sommerse da metri e metri di acqua gelida. Eppure, ancora una volta, quel posto sembrava non aver dimenticato il suo aspetto originario. Ai due bordi opposti del lago, infatti, si ergevano incredibilmente due grossi macigni di roccia, posti l’uno difronte all’altro, esattamente come in passato lo erano le statue di Madara e Hashirama. La cascata non c’era più, ovviamente, ma il fiume scorreva ancora con forza, entrando nel lago ed uscendo verso Sud, verso la Terra del Suono.

Su una di queste rocce si trovava lui adesso, fermo e vigilante in quell’attesa che sembrava durare ormai da troppo tempo. Ma non era solo. Al suo fianco infatti, con quella stessa espressione decisa e solenne che aveva avuto per tutta la mattina, Hinata attendeva a sua volta, le mani unite nervosamente assieme sopra al cuore, osservandosi attorno col suo Byakugan. Nonostante la determinazione che emanava, Naruto riusciva comunque a percepire l’ansia che attanagliava l’animo di sua moglie. Era nel modo in cui i suoi movimenti erano scattanti e improvvisi, e nell’incertezza che percepiva grazie alle abilità empatiche di Kurama. Per quanto facesse fatica ad ammetterlo, sapeva che era normale che fosse nervosa. Ciò che stavano per fare era una cosa che avrebbe fatto soffrire entrambi, ma sapevano di non avere scelta.

Se volevano mettere fine a questa Guerra, dovevano rassegnarsi a compiere il loro dovere.

I suoi sensi percepirono l’arrivo imminente con diversi secondi di anticipo. Naruto si fece immediatamente serio e determinato. “Hinata,” disse, mettendole una mano sulla spalla mentre lei si voltava a guardarlo con confusione. Gli occhi azzurri dell’Hokage fissarono il punto opposto a sé. “Arriva.”

Hinata posò a sua volta lo sguardo in avanti, notando fin troppo bene il grosso vortice di chakra oscuro che aveva iniziato a comparire dalla parte opposta del lago. Lì, con un sibilo sinistro, l’oscurità prese la forma di un portale buio e semiliquido, da cui sbucò fuori a passo lento una figura solenne e imperiosa come poche. Appena posò entrambi i piedi sulla roccia, il vortice nero alle spalle del nuovo arrivato si rimpicciolì fino a svanire su sé stesso, come se non fosse mai esistito. Poi, ancora una volta, il silenzio tornò a regnare sovrano.

‘Questo fa certamente venire alla mente diversi ricordi,’ sussurrò ironicamente la Volpe nella sua testa. ‘Non è così, Naruto?’

Il Settimo fece un sorriso triste, fissando la roccia opposta alla sua con uno sguardo combattuto. Là dove un tempo si era frapposto a lui il suo migliore amico, adesso si ergeva invece suo figlio. Alto, freddo e solenne, vestito con la sua cappa oscura e inquietante, e con il volto sfigurato e posato in quell’espressione gelida e priva di emozione che era ormai abituato a vedere in lui da anni. E ogni volta che la vedeva faceva male come la prima. Per poco, veramente poco, Naruto rischiò seriamente di versare altre lacrime dagli occhi.

Ma stavolta non accadde. Fu la mano di Hinata a trattenerlo dall’esplodere, avvinghiandosi alla sua con forza per infondergli coraggio. Abbassando lo sguardo, il Settimo Hokage sorrise quando incontrò gli occhi decisi ed emotivi di sua moglie, abbozzando assieme a lei un sorriso e rafforzando la loro decisione.

Questo non era il momento di esitare. Non era il momento di lasciarsi cogliere dal dolore. Erano qui per un motivo. Per portare a termine una missione. Per riuscire, finalmente, a sistemare le cose.

Non potevano arrendersi prima di provare.

Lo avevano promesso. Ad Himawari. A tutti i loro amici. A loro stessi.

E Naruto e Hinata non si sarebbero mai rimangiati le loro promesse. Mai. In nessuna occasione.

Perché quello, ieri come oggi, era e sarebbe sempre stato il loro Nindo.

E stavolta, ne avrebbero sopportato il peso insieme.

Padre, madre e figlio si osservarono in silenzio per quella che parve a tutti e tre un’eternità. Non ci furono parole, non ci furono scambi di battute tra loro. Solo il silenzio, ed il sibilo leggero del vento che agitava i loro abiti e capelli mentre si fronteggiavano a distanza, sfidandosi con gli occhi. Due paia di occhi determinati e pieni di emozione, contro un singolo occhio gelido, oscuro e privo di emozione. Un occhio azzurro spento e senza luce, come l’abisso più oscuro del mare. Un occhio che li squadrava dalla testa ai piedi con un’espressione disgustata e piena d’odio.

Un’espressione che ferì i loro cuori come un pugnale gelido.

Il silenzio durò per qualche altro secondo, fino a quando, infine, il loro figlio reietto decise di prendere parola per primo. “Immaginavo che non l’avrei trovato da solo, Settimo Hokage,” disse, il suo tono privo di emozione, esattamente come il suo sguardo. “I c*****ni vanno sempre in giro in coppia, dice un detto. Vedo che stavolta ha deciso di portare con sé sua moglie.”

Naruto e Hinata non dissero niente, limitandosi ad osservare il volto del loro primogenito in silenzio. Strinsero con più forza le loro mani unite assieme, facendosi forza a vicenda. “Finalmente riesco a guardarti negli occhi, figlio mio. Vedo che non sei cambiato molto rispetto all’ultima volta che eravamo faccia a faccia,” esordì alla fine Naruto, triste.

L’altro sbruffò sarcasticamente. “È vero, dimenticavo che lei non ha avuto modo di vedermi in faccia durante gli eventi del Summit,” disse tra sé con finta ironia. “Immagino di averla fatta infuriare di nuovo, Hokage-sama.”

“No, non sono arrabbiato, solo… deluso,” ammise lentamente quello, sospirando con pesantezza. “Speravo che potessi essere cambiato dopo quello che hai vissuto su Eldia, dopo il tuo sacrificio. Sarada ci ha raccontato ogni cosa. Ma sembra proprio che mi sia sbagliato, come al solito.”

Boruto fece un sorriso inquietante con le labbra. Sembrava stranamente compiaciuto da quelle parole. “Vi offrirei le mie scuse, ma temo che non sarebbero sincere. Mi dica, piuttosto… perché mi avete chiamato qui? Immagino che non sia solo per fare quattro chiacchiere, vero?”

Fu Hinata a rispondere, facendo un timido passo in avanti sulla roccia su cui si trovava con suo marito. “Vogliamo mettere fine a questa storia, Boruto,” dichiarò lentamente, le sue mani che tremavano per l’emozione. “Per questo siamo venuti qui.”

L’occhio sinistro del Nukenin si assottigliò pericolosamente. “E come, di grazia, avreste intenzione di mettere fine a tutto questo?” domandò sarcasticamente lui. “Immagino sappiate che uccidermi o catturarmi non servirebbe a nulla. La Rivoluzione e il mio nuovo Impero non cadranno di nuovo se io dovessi perire una seconda volta. Ho fatto in modo di accertarmene personalmente, visto i precedenti.”

“Lo sappiamo,” lo rassicurò Naruto, scuotendo la testa. “Ma sei tu il motore principale di questa Guerra, figliolo. Con la tua fine, io sarei capace di abbattere i tuoi alleati, gli altri Kage e i tuoi amici anche da solo. L’unico ostacolo che mi impedisce di farlo… sei tu,” dichiarò seriamente, fissandolo nell’occhio senza esitazione.

Boruto invece esitò, il suo occhio che guizzava a destra e sinistra per studiarli con fredda furia e sospetto. Poi, le sue labbra si snudarono in un ghigno malsano. “Volete uccidermi,” dedusse. “Finalmente avete deciso di eliminarmi, non è così? Direi che ce ne avete messo di tempo, eheheh!” Naruto e Hinata non dissero niente mentre lui continuava a ridere crudelmente. Vedendo il loro silenzio, il volto del Nukenin tornò a farsi glaciale come prima. “Ma permettetemi di chiedervi questo: come avreste intenzione di farlo? Molti altri prima di voi hanno tentato di uccidermi, fallendo miseramente. Persino Vrangr, un drago infinitamente più potente di quanto potreste mai immaginare, non è riuscito a sopraffarmi. Per cui, cosa avreste voi di speciale per permettervi di riuscire in ciò che tutti gli altri prima di voi hanno fallito?”

Naruto sorrise. “Ti stai sbagliando su una cosa, figliolo,” lo richiamò con calma. I suoi occhi brillavano di luce mentre lo osservavano con una serie di emozioni indescrivibili, similmente ad Hinata. “Io e tua madre non abbiamo intenzione di ucciderti.”

Il guerriero trasalì fisicamente all’udire ciò. Sembrava sinceramente basito da quella dichiarazione, Poi, dopo un secondo, scoppiò nuovamente a ridere come un folle. “Ma siete seri? Ed io che pensavo che foste finalmente riusciti a superare il vostro patetico sentimentalismo!” esalò tra le risate persistenti, scuotendo la testa con disprezzo. Tornò a fissarli freddamente dopo un istante. “Cosa vorreste fare, dunque?”

Hinata sorrise, allungando la mano libera verso di lui mentre con l’altra continuava a stringere quella di Naruto. “Riportarti a casa,” rispose semplicemente, con tutto l’amore che solo una madre sa donare a suo figlio.

Boruto esitò, scioccato oltre ogni descrizione, prima di serrare i pugni con forza. La sua espressione divenne oscura e malvagia come non mai. “Ho capito, voi siete pazzi,” sputò con disprezzo.

“No, sei tu quello che è impazzito, figliolo,” ribatté prontamente l’Hokage. “Guarda tutto ciò che hai causato. Pensa a tutte le vite che hai ucciso. Credi davvero che una pace nata dalla violenza possa essere duratura? Pensi che il tuo Impero basterà per giustificare tutto quello che hai fatto? Solo perché ti sei proclamato Kage, questo non toglie i crimini che hai commesso. Tu devi pagare, Boruto. Devi assumerti le responsabilità di ciò che hai fatto. Una volta tornato a casa, io e tua madre ti aiuteremo ad affrontarle, insieme. Che sia con la prigionia, con l’esilio, o con l’ergastolo.”

Il Nukenin sorrise amaramente. “Parole forti per una coppia di falliti,” disse, ferendoli nel profondo con quelle parole. “Ammettetelo, la verità è che non riuscite nemmeno a contemplare il mostro che avete creato. Ma cosa vi aspettavate da un figlio che avete abbandonato alla morte, gettandolo in pasto ai lupi?”

Naruto e Hinata sentirono i loro cuori contorcersi di dolore al ricordo di ciò che avevano fatto a loro figlio. Tuttavia non si diedero per vinti, cercando di restare saldi nella loro presenza. “La responsabilità delle tue azioni ricade anche su di me, sai,” disse il Settimo Hokage, cercando disperatamente di trattenere il dolore che stava provando. “Tua madre non c’entra. Sono stato io a dirle di trattarti come un estraneo. E l’ho fatto… perché per me era la cosa giusta da fare. Volevo aiutarti a superare la sofferenza che vivevi a causa del mio lavoro, cercando pateticamente di farti vedere l’importanza del Villaggio che io amo, ma ho fallito miseramente.” I suoi occhi ammiccarono lacrime quando videro il volto di suo figlio contorcersi in un ringhio feroce. “So che a causa di questo tu sei rimasto da solo, so che sei rimasto senza nessuno, e mi dispiace per questo. Vorrei poter ritornare indietro nel tempo e ricominciare ogni cosa. Credimi, lo vorrei con tutto il cuore. Vedendoti così, vedendo quello che sei diventato… non posso fare a meno di pensare che sia davvero tutta colpa mia. Ho cercato di salvare mio figlio, ed invece ho creato un mostro.”

“E anch’io sono responsabile quanto lui,” ribatté a sua volta Hinata, piangendo sommessamente mentre cercava di trattenersi per non cedere come tutte le altre volte. “Ti ho ferito più di quanto potessi immaginare, e questo mi ha resa incapace di donarti l’amore che meritavi da parte mia. E non passa giorno nella mia vita in cui non mi senta disgustata da me stessa per quello che ti ho fatto. Come ti dissi quel giorno, io non sono una brava persona. Anch’io sono un mostro.”

Passarono due secondi di silenzio. Boruto li osservò con rabbia mentre quelle due persone che un tempo aveva considerato suoi genitori continuavano a parlare. “Tutto qui?” ringhiò. “È tutto qui quello che avete da dire? Che è colpa vostra?” La furia nel suo volto divenne incontenibile a quel punto. “Mi spiace deludervi, ma questo non basterà a fermarmi. O forse speravate di cogliermi alla sprovvista per poi colpirmi alle spalle? Beh, vi do un consiglio allora: dovreste dirmi qualcosa che non so per riuscire a sorprendermi!”

“Allora perché?” domandò la Hyuuga ad alta voce, sfidandolo apertamente con gli occhi. “Perché quel giorno mi hai consolata, quando mi hai vista piangere? Perché mi hai lasciata vivere durante il Summit, a differenza di Kakashi? Perché hai fatto tutto questo, se alla fine ci detesti veramente?”

Con suo sommo stupore, Boruto sembrò restare senza parole dopo quelle domande. Era come se fosse stato messo con le spalle al muro. L’espressione stizzita nel suo volto era impareggiabile come poche. “Lei non sa niente-”

“No, sei tu quello che non capisce, Boruto,” lo incalzò nuovamente Naruto. Guardò suo figlio con un sorriso confidente, puntandogli un dito contro mentre lui lo osservava con freddezza e oltraggio. “C’è del buono in te. Io e tua madre lo sappiamo, perché lo abbiamo visto. Così come l’hanno visto Sarada, Himawari, e persino Naruto e Hinata su Eldia,” il guerriero trasalì visibilmente alla menzione di quei nomi. “E fino a quando continueremo a vederlo, noi non smetteremo mai di arrenderci con te,” dichiarò solennemente, ghignando.

Udendo quelle parole, il Nukenin fece per parlare, ma Hinata non gliene diede il tempo. “Anche se non vuoi ammetterlo, anche se non riesci a vederlo, noi riusciamo a leggere il bene racchiuso nel cuore, tesoro. Per questo ti riporteremo a casa, dove appartieni davvero, e faremo di tutto per aiutarti a superare l’odio e l’oscurità che ti hanno accecato a causa nostra. Ci riuniremo assieme ancora una volta, e ti dimostreremo tutto il nostro rammarico per quello che ti abbiamo fatto,” promise lei.

Il ragazzo rimase in silenzio, la sua espressione insondabile. Marito e moglie si scambiarono invece un’occhiata emotiva, i loro occhi che brillavano di lacrime ed emozioni.

“Questa, Boruto, è la nostra promessa per te,” dissero entrambi alla fine, sorridendogli con determinazione e affetto tutt’insieme.

E fu lì, in quel momento, che il Destino di quei tre venne segnato ancora una volta.

Perché, per la prima volta dopo innumerevoli anni, Naruto e Hinata avevano finalmente fatto la loro promessa dinanzi a loro figlio.

Una promessa che non avrebbero mai più potuto rimangiarsi.

“…capisco,” sussurrò allora il Nukenin, il suo volto oscurato dai capelli. Mentre parlava, la sua voce suonava più oscura e tagliente che mai. “Immagino che non ci sia altra scelta, dunque.”

Naruto e Hinata assottigliarono lo sguardo, irrigidendosi all’istante non appena percepirono l’aura oscura e malevola che loro figlio stava emettendo.

Boruto sollevò la testa di scatto, aprendo il Jougan e snudando i denti in un ringhio ferale. “Allora non mi resta altro da fare che uccidervi!” ruggì prepotentemente al cielo, la sua voce grottesca e feroce come il verso di un animale imbestialito. “Proprio come ho giurato di fare anni fa! E quando sarete morti, quando vi avrò finalmente strappato i cuori dalle viscere, mi libererò una volta per tutte da queste maledette catene del passato, ed io sarò libero… UNA VOLTA PER TUTTE!

Detto ciò, senza più dare loro il tempo di parlare, il Nukenin scattò all’aria come una saetta di rabbia e ferocia, schizzando verso di loro con tutta l’intenzione di ucciderli una buona volta.
 


15 Novembre, 0021 AIT
Confine tra la Terra del Fuoco e la Terra del Suono
Valle della Fine
09:00


BATTAGLIA PER IL DESTINO DELLA FAMIGLIA UZUMAKI

Il Settimo Hokage era pronto ed in attesa. Sentì distintamente accanto a lui sua moglie che tratteneva il fiato per lo sconvolgimento, ma la ignorò, almeno per questa volta. Non era il momento di esitare. Con un fulmineo comando mentale, lasciò che la furia demoniaca di Kurama gli consumasse le membra, rivestendogli il corpo con una fiammeggiante cappa di chakra dorato. Poi, con un movimento istantaneo, una zampa artigliata schizzò fuori dal suo mantello, schiantandosi contro la figura di Boruto, saettante e diretta contro di loro. Lo scontro generò un boato che squassò l’aria, facendola agitare come in una tempesta.

I suoi sensi allenati lo notarono subito. Boruto ringhiò follemente, la sua energia che trasudava letteralmente di rabbia, oscurità e brama omicida. Naruto assottigliò lo sguardo mentre lo osservava distanziarsi da loro dopo l’assalto fallimentare, atterrando velocemente sulla superficie del lago sotto di loro. Lì, con un’espressione accigliata, i simboli azzurri che gli marchiavano la mano destra presero a risalirgli lungo il braccio, leccandogli i lineamenti del volto. Grazie alle sue abilità sensoriali, il biondo percepì anche l’incommensurabile quantità di energia fredda che pervase suo figlio subito dopo. Lì rimase, altezzoso e in attesa, sfidandolo coi suoi occhi eterocromi.

RAITON: Rakurai,” (Scia Scattante di Fulmini) lo udì sussurrare da lontano.

Naruto scoccò un’occhiata a sua moglie. “Preparati, Hinata.”

La donna annuì, irrigidendo i suoi lineamenti, e si distanziò da lui con un balzo. L’Hokage invece ghignò per la trepidazione, riposando la sua attenzione su suo figlio. Similmente a lui, anche il suo primogenito si era rivestito interamente con una cappa di energia azzurra, composta da fulmini scattanti e sibilanti che ruggivano e cinguettavano la loro furia distruttiva. Naruto si preparò mentalmente, realizzando che il tempo delle parole era finito. Adesso si faceva sul serio.

Passarono due secondi di silenzio assoluto.

Poi, padre e figlio si mossero.

Si mossero con una velocità indescrivibile, talmente rapidi da sembrare miseri guizzi di luce nell’aria. Una saetta gialla e fiammeggiante contro una saetta azzurra e cinguettante. Si schiantarono a mezz’aria, l’uno contro l’altro, con un assordante rombo di energia immensa che fece tremare l’aria e l’acqua del lago contemporaneamente. Poi, esattamente come prima, si distanziarono ancora una volta, per poi caricare di nuovo contro e scontrarsi nuovamente. E poi lo fecero ancora, e ancora, e ancora; continuando a caricarsi contro senza tregua. Si schiantavano, si scontravano, si cozzavano a vicenda, talmente veloci da sembrare solo due grosse saette di energia perennemente in movimento. Ad ogni loro scontro, l’aria rombava e l’acqua sotto di loro si agitava furiosamente, esplodendo in colonne di spruzzi e vapore che raggiungevano i cinque metri di dimensioni. In lontananza, mentre si affrontavano alla velocità della luce, un rombo di tuono ruggì nel cielo terso del mattino.

Continuarono a scontrarsi ripetutamente per diversi secondi, prima di separarsi bruscamente e distanziarsi alla massima velocità. Poi, una volta atterrati sull’orlo dell’acqua in agitazione, il Settimo Hokage fissò il suo avversario con un sorriso confidente. “Fatti sotto, Boruto,” esclamò, vibrando di energia.

Per tutta risposta, il biondo ringhiò sommessamente prima di caricargli addosso ancora una volta con una velocità che non era umana. Avvolto nella sua cappa elettrica, Boruto si lanciò in avanti verso di lui con un sibilo, passando rapidamente all’attacco attraverso i colpi di palmo e schiaffi tipici dello stile di lotta degli Hyuuga, talmente veloci da essere quasi invisibili. Naruto sgranò gli occhi, facendo del suo meglio per difendersi e deviarli. Nonostante riuscisse a bloccarne molti, alcuni colpi lo centrarono comunque, tappandogli i punti d’uscita del chakra. Ma l’Hokage sapeva di non doversene preoccupare troppo. Per ogni punto che suo figlio riusciva a chiudere infatti, ci pensava Kurama a pompargli chakra nel sistema e a liberarlo di nuovo. Era all’ventesimo colpo quando Naruto decise di averne abbastanza, ruotando col corpo verso l’assalitore e colpendolo con un calcio disumanamente veloce.

Boruto sibilò di dolore, bloccandolo con le braccia e strisciando sul pelo dell’acqua mentre si allontanava da lui. Scattò di nuovo in avanti, deviando un pugno con un colpo di palmo, prima di essere prepotentemente centrato sul braccio da un secondo pugno, talmente veloce da essere invisibile. Naruto lo osservò con un cipiglio mentre Boruto veniva scaraventato di peso addosso alla roccia sul bordo opposto del lago, distruggendola con un’esplosione. Anche se lo aveva colpito, suo figlio era riuscito a bloccare il colpo col braccio. Come aveva fatto?

Poi, tra un battito di ciglia e l’altro, gli era riapparso davanti. L’Hokage ebbe solo il tempo di ammiccare prima di essere colpito al petto con un calcio che lo fece volare verso destra. In mezzo ai lampi di dolore, intravide Boruto che intrecciava dei sigilli con le mani, generando un’ondata elettrica dalle sue dita. La Tecnica ruggì alla vita con un sibilo agghiacciante, inviando degli archi luminosi d’elettricità che iniziarono a danzare sull’acqua. Naruto riuscì ad evitarli appena in tempo, evocando una zampa di chakra ed aggrappandosi ad una roccia appuntita in mezzo al lago, atterrandoci sopra con un sospiro.

Si rese conto troppo tardi dell’errore che aveva commesso. Suo figlio aveva previsto la sua mossa, comparendogli alle spalle con un braccio caricato all’indietro, completamente rivestito da fulmini azzurri. Naruto si voltò verso di lui, ma fu troppo lento. Prima di essere colpito, ebbe solo modo di sentire la voce crudele dell’altro che urlava. “Chidori!” (Mille Falchi).

Nonostante il chakra di Kurama che lo avvolgeva per tutto il corpo, il dolore si fece sentire eccome. Naruto sibilò, trasalendo in mezzo ai fulmini, mentre un calcio si collegava malamente alla sua mascella, abbagliandogli la vista. Poi, inaspettatamente, era stato scaraventato a sua volta contro la roccia al bordo del lago, frantumandola completamente.

Naruto ringhiò, liberandosi dei detriti con un’esplosione di chakra e fiamme. I suoi occhi bestiali si posarono a fissare il volto ghignante di Boruto, fermo e solenne in mezzo al lago, con le braccia incrociate e un’espressione provocante in faccia. Anche se faticava a realizzarlo, era rimasto sconvolto da quanto fosse riuscito a diventare potente suo figlio rispetto all’ultima volta che lo aveva affrontato. Era più veloce, più preciso, e i suoi colpi avevano una potenza che non si era minimamente aspettato. Ma non era solo questo, e lo sapeva. Naruto non era l’Hokage per niente. Lo aveva notato subito. Suo figlio… era quasi come se riuscisse a prevedere le sue mosse, reagendo di conseguenza. Sembrava quasi che sapesse già i movimenti che stava per fare, riuscendo di conseguenza a bloccarli o a riceverli senza subire troppi danni.

“Com’è possibile?” esalò mentalmente.

‘Non l’hai ancora capito?’ la coscienza della Volpe gli andò in soccorso immediatamente. ‘Quel moccioso… anche se noi due non ce ne ricordiamo, lo abbiamo combattuto altre volte. Lui ci ha affrontati mentre eravamo su Eldia. Ci ha sconfitti. Deve averci osservati attentamente durante i nostri scontri precedenti. Per questo è diventato così abile a gestire i nostri colpi.’

Naruto per poco non si strozzò con la sua saliva. Kurama aveva ragione. Sarada glielo aveva riferito, non appena era ritornata da Eldia. Lui e Boruto si erano affrontati anche in quel mondo, e suo figlio ne era uscito vincitore. Questa notizia era decisamente preoccupante. Perché Boruto – per quanto fosse orgoglioso di questo – non era solamente potente, ma anche astuto. Doveva essersi ormai abituato a combatterlo, visto che non era la prima volta che accadeva. Questo rendeva la situazione molto più pericolosa di quanto avesse pensato.

Ma il Nukenin non gli diede tempo di pensare oltre. Unendo le mani in diversi sigilli, l’acqua sotto ai suoi piedi iniziò a dimenarsi e agitarsi come se avesse preso vita, coagulandosi fino a formare un’immensa ondata diretta contro di lui, talmente vigorosa e possente da essere assordante. “SUITON;” urlò da lontano il giovane. “Suijinheki!” (Muro d’Acqua)

Il Settimo però non si mosse. Inalò semplicemente dal naso, per poi esalare un vero e proprio inferno di fuoco ruggente che si andò a schiantare con l’ondata, surriscaldando l’acqua in vapore con una rapidità inaudita.

I suoi occhi guizzarono verso sinistra non appena percepirono la minaccia. Boruto stava saettando sull’acqua, talmente veloce da sembrare un misero bagliore blu, diretto contro di lui. Naruto rafforzò la sua decisione e si preparò allo scontro, affrontandolo a testa alta. “Se le cose stanno così, allora dovremo impegnarci di più!” dichiarò con determinazione.

Si scontrarono con un boato assurdo, generando una depressione nel lago che fece esondare l’acqua, e scambiandosi una raffica di calci e pugni a vicenda. L’Hokage sorrise quando sentì un pugno centrare la faccia del giovane, prima di trasalire per il dolore mentre un colpo di palmo lo centrava in pieno petto, togliendogli tutta l’aria dai polmoni. Ricambiò il favore con un calcio che fece inclinare le ossa del busto a Boruto, mandandolo all’aria mentre si dimenava furiosamente. Poi, unendo le mani assieme, dalla sua cappa fiammeggiante sbucarono fuori due grosse zampe artigliate che lo afferrarono a mezz’aria, lanciandolo subito dopo verso la terraferma. Boruto urlò per la sorpresa, prima di schiantarsi contro una serie di alberi lontano da lì.

L’Hokage lo raggiunse in un battito di ciglia, veloce come una saetta di fuoco. Inclinò il collo di lato, evitando appena in tempo un affondo orizzontale di spada che per poco non gli recise la testa dalle spalle, prima di bloccare la lama del guerriero con le mani, impedendogli di attaccare oltre. Padre e figlio digrignarono i denti e si fissarono a vicenda mentre lottavano per avere la meglio sull’altro, il terreno sotto i loro piedi che si crepava sempre più a causa della pressione che stavano esercitando.

Il Jougan elettrico di Boruto pulsò con odio mentre lo osservava rabbiosamente. “Ha commesso un errore ad attirarmi qui, Settimo,” sibilò con odio. “Mi prenderò la sua vita, e poi ucciderò anche quella patetica sgualdrina di sua mog-”

Il pugno si collegò con la guancia di suo figlio talmente velocemente da essere invisibile. Boruto non si rese conto di essere stato colpito fino a quando non si ritrovò disteso per terra, fissando suo padre con un misto di sgomento e furia. “Non… osare mai più parlare di Hinata in questo modo!” ruggì furiosamente Naruto, paonazzo per la rabbia. “È tua madre! Come puoi dire una cosa simile! Non hai neanche un briciolo di rispetto?”

“E chi cazzo avrebbe dovuto insegnarmi il rispetto?” ringhiò di rimando quello, alzandosi in piedi e sferrandogli a sua volta un pugno invisibile in meno di un millisecondo. Naruto gemette ed inciampò all’indietro mentre il colpo si collegava con la sua guancia. “Al diavolo lei e sua moglie! Nessuno di voi due mi ha mai insegnato niente! Vorrei potervi uccidere con tutto me stesso, ma prima vi farò assaggiare la disperazione! Forse allora capirete una minima parte del mi-”

Venne interrotto ancora una volta da una pulsione del suo occhio destro. Boruto provò a balzare lontano da lì, ma rimase allibito quando si rese conto di non esserne in grado. Abbassando lo sguardo, si rese subito conto che un ammasso di terra e roccia lo aveva avvolto dal basso all’improvviso, avvolgendolo completamente fino alle spalle. Era stato immobilizzato da una Prigione di Terra.

“Stai attento con ciò che desideri, Boruto,” affermò la voce di Hinata alle sue spalle, per una volta decisa e determinata come non mai, in totale contrasto con la sua solita attitudine. I suoi occhi si assottigliarono con odio mentre la osservavano portarsi affianco al marito, il suo corpo rivestito completamente da un ammasso coagulante di chakra rosso e demoniaco. “Mi si spezzerebbe il cuore a doverti deludere ancora una volta.”

Naruto vide il Nukenin imprecare mentre cercava di liberarsi dalla Tecnica, divincolandosi senza però riuscirci. “Le ha dato parte del suo chakra per renderla più forte,” dedusse immediatamente Boruto, fissandoli entrambi in cagnesco. “Una mossa astuta, ve lo concedo.”

“Ti prego, smettila con questa inutile battaglia, tesoro,” replicò Hinata, facendo un passo verso di lui e allungando le mani in avanti per toccargli la faccia. “Possiamo ancora…”

“ANDATE ENTRAMBI A FANCULO!” ruggì ferocemente quello, liberandosi dalla prigione di roccia con un’ondata di energia talmente potente da far accapponare la pelle. La pietra attorno a lui si frantumò come terracotta fragile. Hinata trattenne il fiato e fece un passo indietro, mentre Naruto si posizionò accanto a lei per proteggerla. “Venite qui a farmi la predica e a giudicarmi, ma siete stati voi a condannarmi a questo Destino! Io non ho chiesto tutto questo! Era l’unica strada che mi era rimasta dopo che mi avete abbandonato!”

Boruto fece un passo in avanti, minaccioso, il suo Marchio che brillava di energia oscura e la sua spada che tremava per la forza che il braccio aveva immesso nella presa. “Io sono il mostro che voi avete creato,” dichiarò gelidamente, il suo sguardo rabbioso e privo di calore. “Ma chi è il vero colpevole? Il cane rabbioso che ha ucciso innumerevoli vite, oppure i padroni stupidi che lo hanno bastonato e tormentato fino a spezzarlo nel profondo?”

“Anche chi risiede nell’oscurità più profonda può ancora vedere un filo di luce, se lo desidera,” ribatté Naruto, fronteggiandolo con un’espressione triste e piena di rimorso mentre lo guardava dritto negli occhi. “Boruto… io e tua madre non potremo mai perdonare noi stessi per averti lasciato da solo. Non riusciremo mai ad avere pace dopo tutto quello che ti abbiamo fatto. Perciò… ti chiedo scusa. Vorrei poter ritornare indietro per impedire tutto questo, vorrei…”

Boruto scoppiò a ridere, facendoli trasalire. Una risata amara, oscura, priva di allegria. “Vorrei, vorrei, vorrei… questo è tutto ciò che riuscite a dire,” li derise, crudele. “Vorreste rimediare, ma non l’avete fatto quando potevate. Siete inutili per me, inutili proprio come il vostro sistema Shinobi che ha inquinato il mondo per tutti questi secoli. Ma la realtà è che voi non sapete niente, esattamente come tutti gli altri Ninja che si rifiutano di vedere quanto sia distorto il nostro mondo. Cosa ne sapete voi del mio dolore? Cosa ne sapete voi del dolore del mondo? Cosa ne sapete voi della sofferenza, della solitudine, dell’orrore che io, i miei amici e la mia gente abbiamo sperimentato per tutto il corso della nostra vita, eh?”

Il Settimo Hokage serrò i pugni con forza, la sua mente pervasa dai ricordi. I ricordi di tutto ciò che aveva passato da piccolo, da solo, senza nessuno. I ricordi di ciò che aveva dovuto affrontare e combattere nella sua giovinezza. I ricordi di Sasuke, di Pain, di Obito, e molto altro ancora. “Ne sappiamo più di quanto tu creda,” ribatté alla fine, deciso. “Ed è per questo che siamo qui. Perché sappiamo che non è ancora finita. Possiamo ancora ricominciare, possiamo ancora sistemare tutto questo, se ce lo concedi!”

“Noi ti vogliamo bene, Boruto. Con tutto il nostro cuore,” aggiunse anche Hinata dopo di lui. “Ma questa storia deve finire, prima che altro sangue venga versato inutilmente.”

Boruto sorrise, le sue labbra snudate in un ghigno malsano e ferale. Un ghigno che, Naruto odiava ammetterlo, era orribilmente simile a quello che Madara Uchiha portava in volto durante l’apice della loro battaglia. “Siete proprio due ingenui. Il sangue continuerà ad essere versato fino a quando il mondo non sarà completamente sazio!” dichiarò con foga, afferrando con una mano la lama della spada. “Proprio per questo la Guerra è inevitabile!”

Un rivolo di sangue colò fuori dalle sue dita.

Naruto e Hinata sgranarono gli occhi.

Poi, potente e assordante come il rombo di un tuono, un ruggito raccapricciante esplose sopra di loro.

RRRRRRRRRRRWWWWWWWWAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARRRRRRRRR!

Il Settimo Hokage trasalì fisicamente, ma non ebbe modo di reagire. Tutto ciò che vide fu una saetta di fulmini ed elettricità piovere dal cielo, prima che un lancinante dolore sbocciasse sul suo petto ed il fulmine più gelido gli penetrasse nelle ossa. Provò a resistere, provò a combattere, ma con sua somma sorpresa si scoprì incapace di farlo. L’ultima cosa che percepì prima di spegnersi momentaneamente fu il ruggito furibondo di Kurama, assieme alla voce di sua moglie che urlava disperatamente in lontananza il suo nome.

Poi, per quella che parve un’eternità, il buio lo travolse del tutto.
 


Gli attacchi a sorpresa erano il punto debole del Settimo Hokage.

Boruto lo sapeva fin troppo bene. Per questo osservò, trionfante, mentre la sua Volontà di Fuoco pioveva giù dal cielo con un rombo di tuono, investendo in pieno la figura di suo padre e facendolo sbalzare lontano da lì. Sotto di lui, la terra e la roccia si ruppero completamente, crepandosi e spaccandosi in mille pezzi con un’esplosione sorda. Attorno a loro, ancora, l’aria iniziò a pulsare di energia, mentre il ringhio ferale e sommesso della bestia cominciava ad investirgli le orecchie e i sensi.

“Naruto-kun!”

Il Nukenin sorrise, voltandosi verso la figura di sua madre, immersa nel chakra demoniaco del Kyuubi ed intenta a fissare con orrore il punto lontano in cui era volato l’Hokage. Quella sola vista lo fece ridere crudelmente. Oh, quanto godeva nel vedere quell’espressione devastata nel suo volto. Hinata sentì la sua risata, trasalendo con tutto il corpo e puntando nuovamente gli occhi su di lui. Poi sembrò riscuotersi, sollevando le braccia in maniera patetica per assumere una posa di difesa.

Boruto sentì il suo cuore ardere d’odio, sollevando a sua volta la spada. Non sarebbe servito il suo drago per questo. Mentre quest’ultimo si allontanava in alto nel cielo, il giovane scattò addosso alla donna, la sua lama sollevata e pronta ad affettare quella donna a metà. Invece, con suo sommo stupore, Hinata sgranò gli occhi pallidi del Byakugan e scartò di lato, evitandolo con successo. Incredulo e stizzito, ritentò con un secondo fendente orizzontale, ma quella si buttò a terra e rotolò nelle crepe del terreno, decisamente più veloce del solito, distanziandosi da lui. Una volta allontanatasi abbastanza, si rimise in piedi e sollevò nuovamente le braccia, facendo del suo meglio per non mostrare il tremore dei suoi arti.

Qualcosa di freddo e oscuro s’insinuò nel suo cuore nel vedere quella scena. Come osava quell’insulsa formica sfuggire alla sua punizione? Era impensabile, inaccettabile. Con un ringhio impercettibile, il biondo caricò nuovamente contro sua madre, più veloce di quanto l’occhio umano potesse vedere, puntando di nuovo la sua spada contro di lei e sorridendo feralmente, pregustandosi già la sua vendetta.

Ma, ancora una volta, la donna riuscì a stupirlo come prima. “Hakkeshō: Kaiten!” (Tecnica degli Otto Trigrammi: Rotazione del Palmo) urlò, generando con una rotazione del corpo un’immensa barriera di energia e vento, talmente potente e fitta da far ronzare e vibrare l’aria.

La spada e il braccio di Boruto vennero completamente sbalzati grazie alla barriera difensiva del clan Hyuuga, facendogli perdere l’equilibrio e allontanandolo da lì con prepotenza. Sgranando gli occhi e la bocca per la sorpresa, il Nukenin trasalì e atterrò pesantemente lontano dal nemico, osservando con incredulità mentre Hinata terminava la Tecnica e la barriera difensiva attorno a lei si dissolveva nel nulla, rivelando nuovamente alla vista la donna, ancora posizionata nella sua posa di difesa.

La sua mente si riempì di rabbia appena comprese come stavano le cose. Il suo Jougan si assottigliò pericolosamente mentre studiava quello che stava succedendo. Hinata non avrebbe mai potuto immettere così tanto potere in una Tecnica, né tantomeno muoversi con quei riflessi di prima. Non normalmente, almeno. Quindi, a rigore di logica, il chakra del Kyuubi doveva averla potenziata in qualche modo. Sì, non poteva che essere così. Quando lei e l’Hokage si erano tenuti per mano, prima dello scontro, quell’uomo doveva averle ceduto una parte del suo potere, permettendole così di fronteggiarlo.

Boruto imprecò mentalmente, ignorando la rabbia nel suo cuore. Se quel maledetto mostro dalle sembianze di donna aveva intenzione di prendersi gioco di lui, allora si sbagliava di grosso. Rimettendosi in piedi con l’ausilio della sua spada, aumentò il voltaggio della sua Scia di Fulmini e fece per caricare nuovamente contro di lei, ma non fece in tempo. Stavolta, infatti, fu Hinata a scattargli addosso.

“Ah!”

Con un urlo deciso, la principessa degli Hyuuga iniziò ad investirlo con una raffica di colpi di palmo e schiaffi ad alta velocità, cercando disperatamente di colpirlo per tappargli il chakra. Gli occhi del Nukenin si ridussero a due fessure mentre si limitava ad evitare gli attacchi, scartando di lato con una rapidità inaudita e danzando sulle gambe per evitare i colpi, stando ben attento a non bloccarli nemmeno per sbaglio. Conosceva fin troppo bene lo stile di lotta del clan Hyuuga. Anche se riuscivi a bloccarli, i loro colpi ti ferivano comunque, penetrando la pelle e intaccando il sistema di circolazione del chakra.

Vedendo che i suoi colpi non andavano a segno, Hinata ringhiò per la frustrazione e cambiò tattica. Serrando le mani in pugni, le sue dita vennero pervase da fiamme azzurre di energia, assumendo l’aspetto di due grossi leoni famelici e ruggenti di colore violaceo. Poi, con un secondo grido di battaglia, tornò alla carica una seconda volta. “Hakke: Sōjishi Hōgeki!” (Attacco Frantumante dei Due Leoni)

Boruto rimase completamente impassibile, usando i suoi riflessi aumentati dall’elettricità per evitare ancora una volta i colpi della donna. Evitò, scartò e balzò con grazia lontano dal raggio dei due leoni, muovendosi ad una velocità che tutto era tranne che umana, mentre Hinata continuava ad attaccarlo senza sosta con pugni e attacchi ruggenti. Adesso che la stava affrontando faccia a faccia, la differenza di potere tra sua madre e lui era palese come quella tra il giorno e la notte. Hinata attaccava con movimenti fluidi e languidi, i suoi colpi graziati e dalle forme precise; mentre Boruto… Boruto era spietato e chirurgico. Anche se lo stile e la forma erano essenzialmente simili, i suoi attacchi erano estremamente più veloci e precisi rispetto a quelli di Hinata, e decisamente più efficaci. Anche se era stata potenziata dal chakra dell’Hokage, Boruto restava comunque molto più forte di lei.

Suppose che era questa la differenza inevitabile tra un criminale la cui vita era fatta interamente da scontri e una donna rimasta per troppi anni chiusa in casa.

Dopo due minuti di assalti, Boruto ne ebbe abbastanza. Deciso a mettere fine a quella farsa, caricò un braccio all’indietro e prese la mira. Poi, mentre evitava uno dei due grossi leoni ruggenti con una mera inclinazione del collo, fece scattare il braccio in avanti e centrò in pieno il bersaglio, sferrando un colpo di palmo sulla guancia della donna. Hinata gemette di dolore, piegando forzatamente la testa di lato. Subito dopo, il suo corpo sbalzò all’aria e ruotò su sé stesso a causa della potenza del colpo, crollando pesantemente a terra con un tonfo. I due costrutti sulle sue mani si dissolsero all’istante, assieme alla cappa di chakra che l’avvolgeva per tutto il corpo.

Boruto la guardò dall’alto in basso, puntandole la spada sul collo. “Questa pagliacciata è giunta al termine,” dichiarò, privo di emozione.

Hinata sgranò gli occhi per l’orrore, incapace di reagire senza l’energia che le aveva permesso di tenergli testa fino a quel momento. Osservò, con un profondo senso di disperazione, mentre suo figlio alzava lentamente in alto il braccio, sollevando la spada e prendendo la mira su di lei, fissandola con disprezzo e odio. Senza che riuscisse a trattenersi, i suoi occhi iniziarono a versare lacrime. “N-No… Boruto… non farlo…” sussurrò, incredula e terrorizzata.

Quello non le diede retta, fissandola senza emozione.

E poi, rapida come una ghigliottina ineluttabile, la sua spada cominciò a crollare in basso verso di lei.

Hinata serrò con forza gli occhi pieni di lacrime, avvinghiandosi disperatamente alla gamba di suo figlio ed iniziando a piangere. Poi, aspettò. E aspettò. E aspettò.

Ma, con suo sommo stupore, non accadde nulla.

Passarono cinque secondi. Poi, timidamente, i suoi occhi si riaprirono con esitazione, sgranandosi a dismisura appena videro che la lama di suo figlio era rimasta ferma a pochi centimetri dalla sua faccia, immobile. Piccoli tremori incessanti squassavano la spada ed il braccio che la reggeva in mano, come se fosse diventata incredibilmente pesante da sollevare.

Hinata sollevò lo sguardo, trattenendo il fiato. Boruto la stava fissando, i suoi occhi pieni di lacrime, e la sua espressione contratta in una smorfia di dolore, fatica e incredulità tutt’assieme. Il tremore del suo braccio non accennava a diminuire.

La donna non riuscì a credere ai suoi occhi. “B-Boruto…”

Quello la ignorò, fissandola con uno sguardo combattuto. “P-Perché?” sibilò, la sua voce roca, infestata. La rabbia e il dolore nel suo volto erano visibili come i caratteri neri sopra un foglio bianco. “Perché? Perché non riesco a farlo? Che significa? Perché non riesco ad ucciderla? PERCHÉ?”

Il suo urlo echeggiò nella distanza per chilometri e chilometri, senza ottenere risposta.

“…tesoro?” esalò Hinata, senza smettere di avvinghiarsi alla sua gamba. Uno strano e piccolo barlume luminoso brillava nei suoi occhi privi di pupille. “T-Tu… m-mi hai risparmiata… di nuovo?”

Quello trattenne il fiato all’udire ciò, riscuotendosi come un animale ferito. Si divincolò dalla presa della donna, allontanandosi freneticamente, fissandola con un misto d’orrore e frustrazione incomprensibile. Scosse la testa, mentre le lacrime continuavano a scorrergli liberamente lungo le guance. I suoi occhi sgranati guizzarono tra la sua spada e il volto della donna. Avanti e indietro. Avanti e indietro.

Questo… Questo non aveva alcun senso.

“Hinata!”

Boruto trasalì, voltandosi di scatto mentre una saetta di chakra e fiamme si lanciava verso di lui alla massima velocità, schiantandosi contro la sua schiena prima ancora che potesse reagire. Il Nukenin emise un urlo acuto di dolore, crollando pesantemente a terra a causa dell’energia che lo aveva investito. Due secondi dopo si era già rimesso in ginocchio, fissando l’intruso e la donna con uno sguardo dolorante. Il Settimo Hokage era riapparso accanto a sua moglie, rimettendola in piedi mentre la osservava con preoccupazione. “Hinata! Ti ha fatto qualcosa? Sei ferita?” domandò freneticamente.

“N-No. No!” Boruto vide quella donna tenersi in piedi con fatica, reggendosi con le braccia a suo marito, i suoi occhi puntati sempre e solo su di lui. “L-Lui… mi ha risparmiata! Non è riuscito ad uccidermi!”

Tutto questo non aveva senso.

L’Hokage sgranò gli occhi e trattenne il fiato, voltandosi di scatto. Lo stava fissando adesso, anche lui, i suoi occhi che brillavano con lo stesso barlume di lei. Quel barlume di prima. Quel fastidiosissimo barlume di prima.

Che cosa diavolo stava succedendo?

“B-Boruto… tu..?” sussurrò il Settimo, incapace di dire altro.

Il Nukenin scosse la testa, boccheggiando come un pesce morente. La sua testa stava pulsando, la sua vista si stava annebbiando all’improvviso. Che… cos’era? Cos’era questa sensazione di bagnato? Lacrime? No… No! Non era vero. Non poteva essere vero. Non poteva. Lui… Lui non poteva aver... non era realmente… non stava mica…

Non poteva essere!

“No…” sibilò lui, afferrandosi la testa con una mano. “No. No! Nononono!” urlò, sempre più frenetico.

Hinata e Naruto fecero un passo verso di lui. “Boruto! Calmati!”

NO!” ruggì quello, emettendo un’ondata di energia oscura e minacciosa, talmente potente da riuscire a crepare e frantumare il suolo. Il Settimo e sua moglie rimasero immobili, avvinghiati l’un altro, rischiando per poco di finire sbalzati lontano da lì. “IO NON VERRÒ RIFIUTATO!” urlò Boruto a squarciagola, la sua Scia di Fulmini che iniziò ad ardere con un’intensità immensa. I suoi capelli si rizzarono, e i segni sulle sue guance s’incresparono, conferendogli un’aura più minacciosa che mai.

Marito e moglie non persero tempo. “Hinata!” esclamò l’Hokage, afferrandola per un braccio ed infondendola di energia. Il corpo della donna venne nuovamente rivestito dal chakra del Kyuubi. “Facciamolo! Insieme!” dichiarò.

Quella annuì, rafforzando la sua decisione.

Boruto li fissò coi denti snudati, i suoi occhi eterocromi che lampeggiavano di rabbia, odio e confusione mentre si asciugavano dalle lacrime. “Andate a farvi fottere, maledetti mostri!”

Poi, con una rapidità sorprendente, scattò nuovamente all’attacco contro di loro.

Naruto fece lo stesso. Una saetta di chakra dorato contro una saetta di fulmini azzurri. Si scontrarono, facendo tremare l’aria, mentre il terreno e la roccia si spaccavano orrendamente. Poi, con un crepitio udibile, si separarono bruscamente, prima di caricare di nuovo. L’Hokage si girò sulla destra, percependo la minaccia incombente, e sferrò un solido pugno nello stomaco di suo figlio mentre tentava di recidergli la testa con colpo di spada attraverso un movimento veloce oltre ogni dire. Boruto si riprese velocemente, ringhiando come un animale, e scivolando di nuovo in una raffica di affondi e fendenti. Suo padre voltò le spalle e bloccò ogni colpo che il giovane gli sferragliava con le sue zampe di chakra, impedendogli di allontanarsi.

Boruto vacillò, e prima che potesse reagire Hinata gli apparve davanti come un lampo e fece la sua mossa. Ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi con orrore prima che un colpo di palmo potenziato lo centrasse in piena faccia, duro come l’acciaio più inflessibile, facendo trasalire. Poi, l’Hokage mandò un calcio in avanti che si collegò con la spalla del giovane, veloce come la luce. Boruto sibilò, tentando di riscuotersi, ma un secondo schiaffo lo centrò sulle costole – cortesia dei riflessi aumentati di sua madre – facendolo piegare in due con un urlo silenzioso. Diversi punti di uscita del suo chakra vennero tappati bruscamente.

Poi, veloce oltre ogni dire, un’imponente coda di chakra guizzò alla vita dalla cappa dell’Hokage, colpendolo in faccia. La frustata fu talmente potente da abbagliargli la vista, facendolo schizzare via come un missile. Strusciò sul terreno con le gambe, ringhiando per la rabbia e la frustrazione, scattando ancora una volta addosso ai suoi assalitori con un ruggito più animalesco che umano, puntando alla donna.

Hinata sollevò le braccia per difendersi, ma il Settimo si frappose tra lei e suo figlio. Bloccò la carica del giovane con un’immensa zampa di chakra dorato, forzandolo a deviare di lato. Boruto scartò a destra, ghignando feralmente, ma rimase sconvolto appena vide una saetta rossa schizzargli addosso come un proiettile inarrestabile. L’Hokage aveva usato una seconda zampa per lanciargli letteralmente contro Hinata, le sue mani avvolte da chakra azzurro e coalescente.

Il Nukenin sgranò gli occhi, sollevando rapidamente le braccia prima di essere prepotentemente investito dall’assalto. Hinata gli sferrò addosso un pugno portentoso, facendolo sibilare di dolore mentre veniva costretto alla ritirata, distanziandosi a diverse decine di metri. Lì, si raddrizzò lentamente, fissandoli con odio ed evidente frustrazione.

Marito e moglie si portarono nuovamente l’uno affianco all’altro, solenni e determinati come non mai. “Non puoi sconfiggerci, Boruto,” dichiarò seriamente suo padre, sfidandolo con gli occhi. “Arrenditi.”

Quello ringhiò, le sue braccia che stavano letteralmente tremando per la furia. Il suo sguardo era ricolmo di un odio talmente immenso da essere quasi palpabile. “La pagherete,” sibilò, sollevando le mani verso il cielo. “La pagherete cara!”

Marito e moglie fecero per parlare, ma non ne ebbero il tempo. Accadde tutto in un attimo. Dal cielo, senza nessun preavviso, l’immenso drago etereo di Boruto ruggì nuovamente la sua ira, schiantandosi al suolo proprio su di lui, immergendolo nel suo corpo di chakra. Allo stesso tempo, l’energia nel sistema di Boruto prese ad agitarsi come una tempesta inarrestabile, incanalandosi con forza e prepotenza nelle sue mani. Poi, in un istante, una Tecnica particolare iniziò a coagulare tra le fauci della bestia eterea. Una Tecnica che ruotava incessantemente, crescendo, e crescendo, e crescendo; crescendo sempre più fino a quando non raggiunse le dimensioni di una piccola abitazione. Poi, con un sibilo acuto ed elettrico, Boruto prese ad infondere il suo chakra del Fulmine all’interno della sfera rotante, senza preavviso, generando un suono sibilante e scattante che riecheggiò nell’aria come un ronzio acuto. Poi, la sfera di chakra iniziò a crescere di nuovo.

Boruto fissò i suoi avversari con uno sguardo infestato e folle. “Io vi ucciderò!” ruggì ai sette venti con ferocia, la sua voce che tuonava come una tempesta inferocita. “Non verrò più rifiutato! Nemmeno da me stesso!”

Naruto emise un grido di rabbia, evocando attorno a sé la Volpe a Nove code con un comando mentale. Puntando a sua volta le mani in avanti, una seconda sfera di chakra ronzò alla vita tra le fauci di Kurama, ingrandendosi e rafforzandosi sempre più di secondo in secondo. “Hinata!” esclamò, guardando sua moglie con uno sguardo deciso. “Facciamolo!” La donna annuì, unendosi a lui e puntando a sua volta le mani verso la sfera, infondendola con l’energia che le era rimasta.

Boruto li guardò con odio, versando lacrime dagli occhi. Poi, senza perdere tempo, ruggì con tutto il fiato che aveva nei polmoni, e la sua Volontà di Fuoco scattò alla carica verso il nemico.

Suo padre e sua madre fecero lo stesso, scambiandosi un cenno col capo e iniziando ad urlare. Assieme a loro, anche il corpo etereo del Kyuubi iniziò a correre contro di lui.

E lì, in quell’istante, in quel preciso ed esatto momento, il tempo parve fermarsi per tutti e tre.

Perché, per la prima volta dopo anni, il Destino di quella famiglia era stato segnato di nuovo.

Boruto urlò, ruggendo la sua furia ed il suo odio.

Hinata e Naruto gridarono, mostrando la loro determinazione.

Il drago e la Volpe ruggirono feralmente.

RAITON: Rasenkurai!” (Rasengan Elettrico)

FUUTON: Rasenshuriken!

E poi, con una ferocia ed un boato assordanti, le due Tecniche si scontrarono selvaggiamente, squarciando l’aria e la roccia e facendo gemere la realtà stessa. Il ronzio naturale emesso dalle sfere di chakra rotante fu amplificato di cento volte quando le due Tecniche si scontrarono. Boruto attinse all’energia del Marchio, digrignò i denti, e spinse in avanti con tutta la forza che aveva. Dall’altra parte, in qualche modo misterioso, poteva sentire suo padre e sua madre fare lo stesso.

L’imprecisa forma ovale delle due Tecniche si deformò fino ad assumere la sembianza di un uovo, finché, dopo quella che parve un’eternità, il ronzio raggiunse un tono insopportabile. Poi, infine, le due sfere si annullarono a vicenda con un’esplosione di luce e pressione insopportabile.

E poi, per Boruto, Hinata e Naruto, il mondo venne sommerso da un’accecante luce bianca.
 


. . .
 
Si ritrovarono, tutti e tre, in mezzo al vuoto e al bianco, fluttuanti nell’aria.

Si fissarono, faccia a faccia, sfidandosi con lo sguardo, esattamente come avevano fatto prima dell’inizio dello scontro. Due paia di occhi emotivi e determinati contro un paio di occhi eterocromi freddi e privi di luce. Attorno a loro, solo il silenzio e il vuoto regnavano sovrani, lasciandoli immobili ed indisturbati. La Volpe ed il drago erano spariti, come se non fossero mai stati lì. Non si chiesero cosa fosse successo, né dove si trovassero. Semplicemente, quello era il loro momento; il loro ultimo momento per parlare.

E così, parlarono.

“Boruto… sei davvero caduto così a fondo nell’Oscurità, non è vero?” esalò tristemente l’Hokage, più a sé stesso che a suo figlio.

“La pianti di frignare, Settimo,” ribatté lui, incurante. “Ormai non sono più lo stesso di un tempo. Non sono più quel misero bambino ingenuo che credeva ciecamente alle sue parole. Tentare di discutere con me è inutile. Credevo che l’aveste capito.”

“Ed è così che preferisci essere?” lo incalzò seriamente Naruto. “Preferisci dunque rimanere il mostro senza cuore che sei diventato?”

L’espressione del Nukenin non tradì nessuna emozione, al contrario di prima. “La mia strada è ormai segnata, il mio sentiero è chiaro. Per riuscire ad unire il pianeta, quello che sto facendo è un sacrificio necessario. Il nostro mondo non ha bisogno di eroi come lei, Nanadaime. Gli eroi hanno già provato a salvarlo, ed hanno fallito. Il nostro mondo ha bisogno di un cattivo,” disse.

Hinata si portò le mani sopra il cuore. “E tu… sei deciso ad essere il cattivo?” domandò.

Il silenzio fu tutto ciò che ottennero in risposta. Un silenzio che valeva più di mille parole.

“…perché tu?” chiese ancora lei, ammiccando lacrime dagli occhi. “Perché devi essere proprio tu? Perché non puoi tornare ad essere quello di prima, assieme a noi, così da poter ricominciare anche con noi?” Più continuava a parlare, più la sua voce si faceva emotiva.

Boruto li guardò con indifferenza. “Non avevo altra scelta. Dopo che mi avete abbandonato, l’unica cosa che contava per me era la famiglia che mi aveva accolto. E quando realizzai che il mondo, tutto il nostro mondo, mi avrebbe impedito di vivere serenamente assieme ad essa… è lì che ho compreso quello che dovevo fare. E non riguardava solo me. Erano a centinaia – a migliaia – le persone che come me stavano soffrendo per colpa del vostro sistema corrotto. Innumerevoli innocenti costretti ad una vita di fame, di povertà, di guerra, e persino di criminalità a causa di ciò che l’Unione e voi Shinobi vi rifiutavate di accettare. Per cui, mi sono semplicemente assunto la responsabilità di portare un cambiamento radicale, affinché nessuno possa essere costretto a subire… quello che ho subito io,” rispose quello, con assoluta convinzione.

Naruto e Hinata lo guardarono con dolore. “Ma adesso possiamo trovare un’altra soluzione! Possiamo mettere fine a questa Guerra che hai causato, unendoci assieme e cercando di collaborare ancora una volta! E ciononostante vuoi ancora combattere?” insistette sua madre.

Il ninja traditore li guardò in silenzio con solennità, il suo Jougan che sembrava scrutare nella loro stessa anima. “Proprio perché siete voi io devo combattere,” disse di rimando. “Io devo eliminarvi. Se rimanessi attaccato a voi e al vostro sistema fallimentare, il nuovo mondo e la sua Pace non avrebbero futuro. Finirebbero per fallire di nuovo, esattamente come i precedenti.”

“Ma allora… perché mi hai risparmiata?” domandò Hinata, fissandolo con determinazione. In fondo al suo cuore, la donna conosceva bene la risposta. Ne era certa, senza ombra di dubbio, ma aveva bisogno di sentirsela dire da suo figlio.

Ma quello, come ogni altra volta precedente, esitò con incertezza dopo quella domanda, spostando lo sguardo altrove. Sembrava stizzito, confuso e insicuro, contrariamente al suo solito atteggiamento di sempre. Come se dietro quella domanda ci fosse un abisso ignoto oltre cui non si era ancora addentrato prima d’ora. “Quello è stato… un semplice errore da parte mia,” si limitò a dire, senza realmente rispondere.

Marito e moglie si scambiarono un’occhiata silenziosa, comunicando tra loro senza parole. “E anche se lo facessi, anche se riuscissi ad eliminarci e ad unire il pianeta come desideri, non è comunque detto che questo tuo nuovo mondo risulterà diverso da quello passato,” ribatté allora Naruto, serio come non mai.

Per tutta risposta, Boruto sorrise feralmente. “Proprio per questo io e la mia Organizzazione terremo il mondo sotto controllo, una volta finita la Guerra. Per impedire che la storia si ripeta.”

“Questa era la stessa risposta di Sasuke,” esordì solennemente l’Hokage, scuotendo la testa con disappunto. “Sei fuori di testa, figlio mio. Non solo ti rifiuti di ammettere che i crimini e le stragi che hai commesso sono infondate, ma pretendi anche di giustificarle con questi motivi assurdi. Gli Otsutsuki stanno arrivando, eppure preferisci tenerci divisi in nome di una pace che rischia di ucciderci tutti.” Naruto abbassò la testa con dolore dopo quelle parole, serrando i pugni e cercando di trattenere le lacrime e il dolore. “Forse sei davvero impazzito. Forse sei veramente caduto troppo a fondo nel buio ormai.”

Il sorriso di Boruto scomparve dal suo volto. Per un momento, per un solo e lunghissimo momento, un’ombra di incertezza ed emozione sembrò illuminargli il volto. Un’emozione confusa e sommessa. Un’emozione che raramente, e solo in pochi, avevano avuto modo di vedere in lui: rammarico. “Chi lo sa… forse tutto questo è semplicemente inevitabile. Forse noi due siamo semplicemente incapaci di comprenderci, Settimo Hokage,” abbassò a sua volta lo sguardo, scrutando il tutto e il niente con uno sguardo insondabile. “Forse Hikari e Yami avevano ragione, in fondo. Luce e Oscurità non possono fare altro che scontrarsi, ieri come oggi, fino alla fine dei tempi,” aggiunse.

I suoi genitori rimasero confusi dopo quelle parole. “Che cosa vuoi dire?” domandò Hinata.

Boruto scosse la testa, sorridendo amaramente. Per una volta, la sua espressione non mostrò né odio né dolore. Solo… tristezza. “Lei è la Luce di questo mondo, Nanadaime, così come io sono la sua Oscurità,” disse semplicemente. “Era inevitabile che le cose finissero in questo modo. È dall’inizio dei tempi che Luce e Buio non fanno altro che combattersi. Kaguya e Hagoromo, Indra e Ashura, Madara e Hashirama, lei e Sasuke… ed ora io e lei. Questo ciclo d’odio e sofferenza sembra non avere fine, ed è la maledizione sotto cui l’umanità è sempre stata costretta a soffrire.”

Naruto fissò suo figlio con dolore e rammarico, i suoi occhi che brillavano di speranza. “Eppure, io e Sasuke abbiamo messo fine a questo ciclo d’odio. Non ci siamo uccisi, e abbiamo collaborato assieme per portare la Pace. E per un po' di tempo ha funzionato, prima che tu distruggessi tutto.” La sua voce non era arrabbiata o accusatoria, ma semplicemente triste. Come quella di un uomo che ha visto tutto il duro lavoro della sua vita dissolversi come fumo davanti ai suoi occhi, incapace di fare qualcosa per evitarlo.

Il giovane scosse la testa, privo di emozione. “Quella non era Pace, era una tregua. Una tregua inutile, per di più. L’Unione era in pace, ma le altre Nazioni? La Pioggia era alle prese con la sua guerra civile, la Sabbia soffriva per colpa di un Demone impazzito, la Nebbia combatteva una guerra nascosta con dei mercenari che si rifiutava di accettare, ed innumerevoli altri problemi affliggevano il mondo… mi dica se questa era l’idea di Pace che lei e Sasuke-sensei avevate in mente, Hokage-sama,” disse sarcasticamente.

“E dunque? La tua soluzione a questo problema è scatenare una Guerra per distruggere tutto?” domandò l’adulto.

Quello s’impettì. “Distruggere, per poi ricreare. Caos e ordine sono la stessa cosa, Settimo. Fino a quando qualcuno non avrà vinto, i conflitti non cesseranno. Ma una volta che la Guerra sarà finita, una volta che tutti avranno accettato il progresso e l’evoluzione della nostra società… allora ci sarà la Pace,” dichiarò con certezza, fortemente convinto di ciò in cui credeva.

“Come puoi dirlo?” lo incalzò Hinata, incredula. “Come puoi dire una cosa del genere dopo aver ucciso così tante persone? Dopo aver ucciso Kakashi-sensei, Tsunade-sama, Gaara, e tutti gli altri? Solo… come?”

Quello non rispose, il suo volto impassibile, la sua espressione insondabile.

Tutti e due si rattristarono visibilmente. Le loro parole non lo stavano raggiungendo. “…non c’è nessuna possibilità di poterti convincere ad arrenderti?” esalò infine Naruto, col cuore in gola. “Una sola speranza di convincerti a cambiare e tornare con noi?”

Boruto sospirò con pesantezza a quella domanda. Non riusciva a credere a quanto fosse testardo quell’uomo, anche se la cosa non lo sorprendeva nemmeno un po'. “Arrivati a questo punto, credo che sia d’obbligo mettere in chiaro una cosa: io vi odio,” disse, senza curarsi di addolcire le parole. Hinata e Naruto appassirono visibilmente all’udire ciò, come investiti dal loro più grande timore di sempre. “Non ho intenzione di perdonarvi ed unirmi a voi, in nessun modo. Non dopo tutto ciò che mi avete fatto. Non dopo tutto quello che ho passato a causa vostra. Piuttosto che considerare un’ipotesi del genere… preferirei di gran lunga morire,” affermò con un tono di finalità assoluta, fissandoli dall’alto in basso con un sorriso crudele.

Marito e moglie esitarono, visibilmente spezzati nel profondo, e il Nukenin godette immensamente nel vedere le loro espressioni devastate dal dolore. Tuttavia, però, dopo appena cinque secondi, il suo sorriso scomparve immediatamente, non appena si rese conto che quei due avevano iniziato – senza alcun apparente motivo – a sorridere a loro volta.

Boruto ammiccò con confusione. “Huh?”

Naruto risollevò la testa, fissando suo figlio con uno sguardo deciso e determinato. Uno sguardo che, il Nukenin era pronto a giurarlo, non aveva più visto in lui sin da quando si erano affrontati su Eldia. “Non importa!” dichiarò allegramente l’Hokage, mettendosi una mano sul fianco e cingendo il busto di Hinata con l’altra. “Anche se tu ti rifiuti di cambiare, anche se sei caduto così a fondo nel dolore… io e tua madre ci saremo sempre per te, figlio mio. Continueremo a credere, e non smetteremo mai di provare a farti cambiare!”

Hinata annuì con un sorriso, il suo volto ricolmo di una determinazione e un affetto indescrivibili mentre lo fissava coi suoi occhi senza pupille. “Continueremo a credere in te, tesoro. Te lo abbiamo promesso, in fondo,” disse a sua volta.

Boruto rimase in silenzio, allibito oltre ogni descrizione. I suoi occhi si sgranarono a dismisura per lo stupore, e la sua mente sbiancò, completamente incapace di comprendere quelle parole, quella determinazione che quei due stavano mostrando nei suoi confronti. Era… assurdo. Era inconcepibile. Come potevano continuare a credere in lui? Come potevano pensare di riuscire a cambiarlo davvero dopo tutto ciò che aveva detto, fatto e compiuto nella sua vita? Non era possibile. Non era logicamente e umanamente concepibile. Lo stavano prendendo in giro, senza ombra di dubbio. Non c’era altra spiegazione.

Doveva essere così.

Ma il suo Jougan leggeva la verità oltre la menzogna. E anche senza di esso, Boruto sapeva, con una sconcertante chiarezza, che quei due non stavano mentendo con quelle parole. Non c’era menzogna nei loro volti, non c’era esitazione nei loro occhi. Non lo stavano prendendo in giro. Credevano davvero in quello che dicevano, ed erano convinti di poterlo raggiugere.

E questa cosa, questa sensazione, per quanto non riuscisse nemmeno a comprenderne il perché… era quasi familiare.

I suoi occhi si assottigliarono con sospetto, squadrandoli con odio e furia. “Voi… Voi credete davvero di potermi raggiungere?” sibilò, minaccioso. “Credete davvero di potermi cambiare dal mostro che mi avete reso?”

Hinata sorrise, il suo volto sereno e deciso come non lo era più stato da anni. “Ma certo, tesoro. Io e tuo padre continueremo sempre a provare, fino a quando avremo vita. E non ci sarà niente che tu possa dire o fare per riuscire a farci smettere di volerti bene,” dichiarò con amore, come se fosse la cosa più scontata del mondo.

Naruto annuì e sorrise a sua volta, senza esitare nemmeno un secondo, grattandosi semplicemente una guancia con imbarazzo. “Io, ecco… è difficile da spiegare,” ammise alla fine, ridacchiando nervosamente. L’altro rimase sempre in silenzio, limitandosi a fissarli con quello sguardo oscuro di prima, senza interromperli. “È solo che… che razza di padre sarei se non riuscissi a credere in mio figlio?” spiegò l’Hokage, guardandolo con emozione. Boruto si bloccò. “Ogni genitore dovrebbe avere fiducia nei suoi figli, nonostante le circostanze che possono sembrare difficili. So di aver fallito con te, e non ho parole per riuscire a descrivere quanto sono dispiaciuto per questo. Ma sono certo… che tu possa superare questo dolore. Che un giorno, in qualche modo, sarai in grado di vincere questa ferita che ti ha segnato. Per cui… anche se adesso continui ad odiarci, anche se adesso non è ancora il momento giusto per farlo… io continuerò a credere in te, Boruto,” promise con certezza, puntando un pugno contro di lui e ghignando come un bambino. “Io credo in te.”

Boruto ridusse gli occhi a due fessure, fulminandoli con lo sguardo.

Naruto e Hinata, da parte loro, gli rivolsero invece il sorriso più deciso di sempre. “Nonostante tutto, nonostante ogni cosa, noi due ti ameremo per sempre,” giurarono entrambi con le lacrime agli occhi.

Poi, il mondo attorno a loro sbiancò ancora una volta.

. . .
 


BOOOOOOOMMM!

L’esplosione che ne seguì fu violenta e micidiale, talmente potente da riuscire ad obliterare del tutto gli alberi, il terreno e persino buona parte della sponda occidentale del lago, facendo innalzare nel cielo un’ondata immensa d’acqua e macerie di pietra, talmente carica e alta che l’acqua e la roccia si andarono a sollevare verso il cielo come in un’eruzione vulcanica, riversandosi dovunque e cadendo dall’alto come pioggia nel raggio di trecento e passa metri. Il rumore del boato e il sibilo della pioggia si protrassero per quella che parve al mondo come un’eternità infinita.

Fino a quando, ancora una volta, il silenzio tornò a regnare di nuovo.

Boruto ammiccò, gemendo sommessamente per la fatica e il dolore, mentre riacquisiva lentamente i sensi e cercava di focalizzare la sua vista annebbiata dal buio. Sentiva il corpo dolorante, e la sua mente offuscata da lampi accecanti di agonia. Non appena i suoi occhi dissiparono il velo oscuro che li aveva coperti, il ragazzo si mise a sedere con un grugnito, levandosi di dosso con un braccio i detriti di terra e roccia che l’avevano sommerso.

Lo spettacolo che si ritrovò dinanzi era apocalittico. Un secondo, immenso cratere si era formato accanto al lago e alla foresta, generando una depressione profonda in cui l’acqua si stava riversando a fiumi senza sosta, modificando sensibilmente il paesaggio. Mettendosi in ginocchio a fatica, il biondo imprecò mentalmente quando vide che l’energia del Marchio di Ishvara si era completamente esaurita, lasciandolo stanco e ansimante. L’Hokage e sua moglie, invece, sbucarono fuori dall’acqua del lago, immersi nella cappa fiammeggiante del Kyuubi, solenni ed illesi come prima. E adesso che si osservava attorno, il biondo non ci mise molto a dedurre che anche la sua Volontà di Fuoco era stata distrutta.

Era stato completamente sopraffatto da quei due.

Il Nukenin imprecò furiosamente.

Vide, con un’immensa sensazione d’odio, quei due mostri che un tempo aveva chiamato genitori iniziare ad avvicinarsi verso di lui a passo lento, ancora immersi nel corpo etereo del Bijuu, prima di arrestarsi di colpo. E con una pulsione del suo Jougan, il biondo comprese subito il perché.

Con un guizzo dell’aria infatti, Mikasa, Sora, Gray, e tutti gli altri Kara erano improvvisamente apparsi davanti a lui dal nulla, schermandolo dai suoi avversari e frapponendosi tra lui e gli altri. Gli occhi di Naruto e Hinata, anche da lontano, si assottigliarono con timore appena li videro apparire in quel modo.

“Stupido idiota!” lo insultò severamente Gray appena lo raggiunse, fissandolo di sbieco ed osservando lo stato patetico in cui si era ridotto. “Non erano questi gli accordi! Perché non ci hai dato il segnale?”

Boruto non rispose, ansimando sommessamente. Mikasa e Sora si portarono accanto a lui, offrendogli il loro aiuto. “Sto bene,” esalò alla fine, rimettendosi in piedi da solo. “Sto bene. Non ho subito troppi danni. Ho ancora molto chakra da usare.”

I suoi amici lo guardarono in silenzio, i loro occhi che brillavano con una serie di emozioni contrastanti. Sollievo, preoccupazione, e irritazione. Irritazione per non essere stati chiamati in battaglia, e per averlo lasciato da solo fino a quel momento. Non era così che dovevano andare le cose. Si riscossero tutti assieme, puntando nuovamente gli occhi verso gli avversari che incombevano davanti a loro.

“Stavolta li affronteremo insieme,” dichiarò Shirou, sguainando la sua spada e facendo un cenno con tutti gli altri.

“No.”

I Kara si voltarono di scatto.

Boruto non li guardò neanche, i suoi occhi assottigliati puntati sempre e solo su quei due. “No, non lo faremo. Ce ne andiamo,” disse solennemente, evocando col Jougan un vortice oscuro alla sua destra. “Abbiamo finito qui.”

“M-Ma… l’Hokage-”

Il guerriero guardò Sora con uno sguardo freddo e imperioso, forzandolo ad ammutolirsi. “Ce ne andiamo,” ripeté, gelido come non mai. “Combatterli non ha senso. Non ora, non qui. Non siamo ancora pronti.”

Sora, Gray, Juvia, Kairi e Shirou esitarono per diversi secondi, i loro occhi che guizzavano tra Boruto e i suoi genitori, incerti. Poi annuirono, senza proferire parola, ed iniziarono ad incamminarsi nel vortice oscuro di energia senza degnarsi di rivolgere una sola parola ai loro nemici. Mikasa sospirò, afferrando il braccio del suo ragazzo con una mano. “Andiamo allora, Boruto,” disse a bassa voce, lanciando un’ultima occhiata ammonitrice a Naruto e Hinata. “Devi riprendere le forze.”

Quello annuì, senza rispondere davvero. Fece per avviarsi assieme a lei, prima di fermarsi ancora una volta davanti al vortice che aveva evocato. Voltandosi di sbieco, fissò per l’ultima volta alla sua destra, guardando dritto negli occhi quei due che continuavano ad osservarlo da lontano, i loro volti solenni e pieni di lacrime ed emozione, senza dire nulla.

Si fissarono, in silenzio, per diversi secondi, parlando senza parlare, comunicando solamente con gli occhi.

Fino a quando, ancora una volta, il Nukenin ne ebbe abbastanza. I suoi occhi si assottigliarono con gelida furia. “Non finisce qui,” giurò, oscuro e crudele, fissandoli con rabbia. Poi, senza aggiungere altro, si voltò con disinvoltura e seguì Mikasa all’interno del vortice oscuro, svanendo lontano da lì con un sibilo dell’aria.

E a partire da quel giorno, il Nukenin lo sapeva bene, le cose per lui e i suoi amici non sarebbero mai più state le stesse.

Perché, per la seconda volta nella sua vita, Boruto Uzumaki aveva perso una battaglia.
 


Hinata osservò, con le lacrime agli occhi, mentre suo figlio ed i suoi amici si addentravano all’interno di quell’ammasso di energia nera, svanendo nel nulla dopo nemmeno un secondo. E quando se ne furono andati rimasero da soli, lei e suo marito, intenti a fissare con rammarico e tristezza il punto in cui Boruto era scomparso, osservandolo per diversi secondi, senza parlare. Silenziosamente, il corpo etero di Kurama che li aveva avvolti fino ad ora iniziò a dissolversi nel nulla, lasciandoli liberi e ritornandosene al suo meritato riposo.

La donna e suo marito rimasero immobili per diverso tempo. “…lo abbiamo fatto,” disse alla fine lei, senza smettere di fissare il punto in cui era scomparso suo figlio.

Naruto annuì. “Già,” disse, sorridendo appena con le labbra. “Lo abbiamo fatto.”

Hinata si voltò verso di lui, i suoi occhi che luccicavano di lacrime, abbozzando un sorriso emotivo. “Lo hai visto anche tu, non è così?” chiese, conoscendo già la risposta a quella domanda. “C’è ancora speranza.”

Suo marito annuì di nuovo, ricambiando il suo sorriso. “Sì,” rispose, piangendo a sua volta. “C’è ancora speranza.”

Passarono due secondi di silenzio.

Poi, nel silenzio del mattino, marito e moglie si unirono assieme in un abbraccio.
 









 

Note dell’autore!!!

Devo dire che descrivere gli scontri di Naruto non è per niente facile, e sta diventando snervante per me. È come il One-PunchMan di questa serie. Non c’è letteralmente niente e nessuno che riesce a ferirlo per davvero. Boruto è potente, certo, ma ben lungi dal potergli tenere testa o, addirittura, sconfiggere.

Per chi se lo stesse chiedendo, sì: Naruto si è trattenuto per tutta la durata dello scontro, visto che non ha usato la Modalità Eremitica delle Sei Vie. E anche Bolt, all’inizio, non ha fatto sul serio. Questo capitolo, più che mostrare una battaglia di pugni, vuole mostrare una battaglia interiore. Uno scontro tra ideologie e determinazioni opposte. Un confronto tra – essenzialmente – Luce e Oscurità. Per questo nessuno dei due ci è andato pesante con l’altro. Hinata ovviamente non è al loro livello, quindi la considero a parte.

La dimensione bianca in cui genitori e figlio si sono parlati nel bel mezzo dello scontro è un richiamo al passato. Anche Naruto e Sasuke, durante i loro due scontri nella Valle della Fine, si sono parlati in quella dimensione mentre stavano combattendo. È una specie di mondo interiore a cui possono accedere le anime di coloro che si comprendono meglio durante una lotta, con calci e pugni, rispetto che con le parole.

Ovviamente, con l’avanzare della storia, riceveremo anche delle risposte sull’esitazione di Boruto nell’uccidere sua madre. Non è la prima volta che la vediamo (anche con Kakashi ha esitato), e non sarà certamente l’ultima. C’è un motivo dietro, ed il titolo del capitolo dovrebbe aiutarvi a comprenderlo.

Le due canzoni che ho voluto mettere in questo capitolo rispecchiano in maniera perfetta il carattere e la storia di Naruto, Hinata e Boruto. ‘Superheroes’ racconta la storia di una coppia che ha superato ogni avversità e ostacolo nel passato, facendoli diventare supereroi con il loro impegno. ‘Monster’ racconta invece la storia di una persona che ha sofferto a causa di altri, finendo per diventare un mostro senza cuore. Erano così azzeccate per questa situazione che non potevo non aggiungerle.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie mille a tutti in anticipo. A presto!

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Capitolo 17
*** Mai Più ***


MAI PIÙ




16 Novembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
11:00

“Non posso credere che l’abbiate fatto veramente!”

Marito e moglie si guardarono, condividendo un sorriso teso ed una risata nervosa mentre l’altra persona presente nell’ufficio continuava a sbraitare furiosamente contro di loro. Nonostante la loro decisione precedente, nonostante avessero sempre saputo che questa situazione sarebbe stata inevitabile, non potevano fare a meno di sentirsi leggermente in colpa. Dopotutto, loro tre erano una famiglia, e se c’era una cosa che avevano imparato durante questi ultimi anni... essa era che non bisognava mai trascurarne i membri. Eppure, dentro di loro, sapevano di averlo rifatto una seconda volta; anche se non avevano avuto scelta.

Per questo, in fondo al loro cuore, sapevano di non poter biasimare la loro figliola.

Himawari smise di tirarsi furiosamente i capelli, voltandosi per fissarli con due occhioni sgranati e lampeggianti di collera ed incredulità. “Che diavolo vi è passato per la testa? Siete usciti di senno?” continuò a rimproverarli senza ritegno, visibilmente contrariata. “Voi due, entrambi, siete letteralmente spariti per cinque ore consecutive! L’Hokage e sua moglieSPARITI! Avete abbandonato il Villaggio, e per cosa? Per andare ad affrontare Boruto, DA SOLI!!!”

Naruto si grattò nervosamente il collo. “S-Suvvia, Hima,” balbettò, cercando di farla calmare. “Non c’è bisogno di infuriarsi così.”

“Mi prendi in giro?” esclamò lei, urlandogli praticamente in faccia. Il Settimo Hokage si ritrasse per il terrore, pallido come la morte. Nel corso degli anni, sua figlia aveva sviluppato un carattere peperino degno dell’Uzumaki più originale. E onestamente, Naruto non aveva la più pallida idea di dove Himawari avesse ereditato quella tempera così focosa. Hinata non poteva essere, visto che era rimasta la stessa persona dolce e gentile di un tempo, né gli altri membri del clan Hyuuga. Che fosse un’eredità tramandatale dai geni di sua madre, Kushina? Non lo sapeva, ma il biondo non voleva credere che fosse opera sua. In fondo, nemmeno lui poteva essere stato così impulsivo quando era giovane… vero?

Hinata sospirò, la sua espressione dolce e seria allo stesso tempo. “Himawari, adesso basta,” parlò, fissandola coi suoi occhi pallidi. Sua figlia ruotò bruscamente verso di lei, ignorando la figura pallida di Naruto, ancora tremante. “So che sei arrabbiata, e non ti biasimo. Ma quello che abbiamo fatto era necessario, e non potevamo evitarlo. Io e tuo padre siamo i maggiori responsabili della situazione in cui è piombato il mondo, ed era nostro dovere tentare di fermarlo. Per noi, prima che essere un criminale, lui rimane sempre nostro figlio.”

Gli occhi rabbiosi della giovane si assottigliarono. “È anche mio fratello,” ringhiò. “Avevo il diritto di venire con voi ed affrontarlo! Perché non me lo avete detto?”

“Perché è nostra responsabilità,” rispose Naruto, cercando di riprendere il contegno di prima. “Hima, so quello che pensi, so quello che provi; ma io e tua madre non potevamo metterti in pericolo in questa circostanza. Io e lei eravamo – siamo, anzi – quelli che più di tutti dovrebbero mettere a disposizione la loro vita affinché tuo fratello venga consegnato alla giustizia.”

“Ma avete fallito,” ribatté lei, sarcastica. “Se fossi venuta con voi le cose sarebbero potute andare diversamente.”

“Vero, ma ne dubito. Tuo fratello è potente, e pericoloso. Ed è circondato da Nukenin di rango A o maggiore. So che sei forte, estremamente più forte rispetto alla maggioranza dei Ninja del Villaggio, ma non credo che questo sarebbe bastato. Non volevamo correre rischi,” ammise l’altro.

Hinata annuì. “Inoltre, non volevamo vederti combattere tuo fratello. Non credo che saremmo riusciti a sopportarlo,” aggiunse tristemente, abbassando lo sguardo.

La ragazza esitò, notando fin troppo bene la tristezza e il rammarico negli occhi dei suoi genitori. Sapeva che non l’avevano fatto con cattiveria, sapeva che stavano solo cercando di proteggerla, ma non poteva evitare di provare questa frustrazione dentro di sé. Lei era un membro della famiglia, Boruto era suo fratello, e in quanto tale lei avrebbe dovuto essere lì. Era così che funzionava, nella sua testa. Eppure, vedendo il loro dolore, non ce la fece a restare arrabbiata nei confronti di quei due. Non quando tutto ciò che avevano fatto era stato provare a mettere fine a quella situazione opprimente per tutti e tre.

“Va… bene,” ammise alla fine, stringendo i pugni a malincuore. “Ma non fatelo mai più. La prossima volta… noi lo affronteremo assieme. E se dovesse succedere di nuovo una cosa simile, allora sarò io a scappare per andare a combatterlo… da sola. Sono stata chiara?”

Naruto e Hinata sorrisero, annuendo contemporaneamente, e Himawari decise di lasciar perdere l’argomento. Che lo volessero o meno, infatti, discutere di Boruto e di tutto ciò che aveva direttamente a che fare con lui li portava sempre a pensieri tristi e oscuri. Pensieri che li conducevano inevitabilmente alla depressione. E adesso non era il momento di disperarsi o deprimersi, ma bensì di prepararsi a combattere di nuovo. Dopotutto, anche se sua madre e suo padre non erano riusciti a catturarlo, questo non significava che era finita.

Anzi, la parte più difficile veniva adesso. Avevano vinto una battaglia, ma non la Guerra. Perciò, dovevano darsi da fare.

“Hai… iniziato a prepararti per il viaggio?” fece la voce di Hinata, risvegliandola dal silenzio. La stava guardando con un misto di orgoglio e preoccupazione, i suoi occhi che brillavano di emozioni troppo difficili da descrivere, similmente a suo marito.

Himawari ammiccò, annuendo lentamente mentre li guardava entrambi. “Io e Shikadai siamo pronti a partire in qualsiasi momento, così come Sarada e sua madre. Inoltre, a quanto ho sentito, anche Sumire verrà con noi in missione per proteggere il Rokubi (Esacoda) e il Nanabi (Ettacoda). Appena Konohamaru-sensei ci darà il via, partiremo seduta stante,” rispose, rafforzando la sua decisione.

Suo padre e sua madre sospirarono, portandosi vicino a lei. Hinata le afferrò una mano tra le sue, guardandola con preoccupazione. “Ti prego, stai attenta là fuori,” disse, i suoi occhi pallidi che brillavano di apprensione. “Non sappiamo quando o come Boruto potrebbe attaccarvi. Nel caso le cose si mettessero troppo male-”

“Andrà tutto bene, mamma,” la rassicurò la giovane, sorridendo con confidenza. Lo sguardo che portava in volto era deciso e sicuro, ardente di determinazione. “Io sono forte, ho l’Arte Eremitica dalla mia parte, e in questi anni mi sono allenata con papà proprio per questo. Se dovesse attaccare davvero, Boruto non riuscirà a sconfiggermi, non più. Te lo prometto.”

Hinata esitò, ancora incerta. Tuttavia, quando sua figlia le mise una mano sulla spalla e la guardò con un sorriso, la donna non riuscì a trattenere l’ondata di certezza che prese a riempirle il cuore. Era sempre così, quando stava con Himawari. Era capace di infonderle una sicurezza che non riusciva a spiegarsi, come per magia. Eppure, questa volta, c’era qualcos’altro. Qualcosa che la faceva stranamente sentire fiduciosa a sua volta, mentre la fissava dritta negli occhi. Era in quel sorriso, in quell’espressione, e in quel portamento che aveva la giovane. Quell’aura di confidenza e sicurezza che aveva già visto in passato, innumerevoli volte, quando era giovane. Quell’aura di certezza ferrea che aveva sempre ammirato, e agognato, nel corso della sua vita.

Quell’aura di confidenza che suo marito portava sempre con sé… era la stessa che indossava sua figlia in quel momento.

E questo, questo bastò a rassicurarla più di mille parole.

Naruto ghignò, vedendo quella scena, e senza parlare avvolse le due donne della sua vita in un abbraccio silenzioso, stringendosele a sé con amore. Hinata e Himawari si avvinghiarono a loro volta a lui, unendosi assieme con degli ampi sorrisi stampati in faccia. E lì rimasero, tutti e tre, senza parlare, senza mollarsi, crogiolandosi in quel momento, in quell’abbraccio che sapeva di amore, di affetto, e di casa. Quell’abbraccio che, seppur incompleto, era ricolmo di emozioni e pensieri. Pensieri che, tutti e tre lo sapevano bene, erano rivolti alla stessa causa, allo stesso obiettivo. Alla stessa persona.

“Un giorno… un giorno saremo di nuovo completi,” mormorò sommessamente Himawari, la sua faccia affondata al petto di suo padre. “Ci sarà anche lui. E allora… allora saremo in quattro a stringerci così, ancora una volta… vero?”

Marito e moglie si guardarono, annuirono, e ammiccarono lacrime dagli occhi. “Sì… Sì, è vero,” rispose Hinata, stringendoseli ancora di più a sé.

“Uniti, completi, e con tutto il tempo del mondo da recuperare,” aggiunse Naruto, ridacchiando. Guardò quelle due con certezza e determinazione. “Ve lo prometto, Hinata, Himawari. Un giorno… saremo in quattro ancora una volta.”

Madre e figlia non dissero niente, limitandosi a sorridere. Non c’era bisogno di dire niente. Non era necessario. Perché, loro lo sapevano, i loro cuori in quel momento avevano fatto un giuramento. Un giuramento silenzioso e solenne, di quelli che non si possono più rimangiare nemmeno volendolo. E tutti e tre avrebbero fatto di tutto per riuscire a mantenerlo. Avrebbero dato ogni cosa affinché si realizzasse. Oggi, così come ieri, e come anche domani.

E questa non era una promessa. Era una certezza.

E allora, dopo anni di sofferenza, l’incompleta famiglia Uzumaki rimase aggrappata a quell’unica certezza.

Incompleta, ma più unita che mai.
 


16 Novembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
15:30

Il mondo di Boruto era diventato completamente rosso.

Nonostante fosse vagamente consapevole delle voci preoccupate dei suoi amici che continuavano a seguirlo, il biondo ignorò ogni cosa, continuando ad avanzare a passo spedito e deciso lungo i corridoi del castello. Ignorò le guardie, ignorò i volti pallidi di coloro che incrociavano il suo sguardo, ed ignorò i richiami frenetici dei Kara che tentavano inutilmente di fermarlo. Avanzò, imperterrito, senza voltarsi verso nessuno, nemmeno Mikasa e Sora, ribollendo nella sua stessa rabbia. Entrò furiosamente nella camera da letto, sbatté la porta alle sue spalle e la chiuse a chiave, restando, finalmente, da solo.

E una volta rimasto senza nessuno, non ci pensò due volte a lasciar dare sfogo alla sua rabbia.

Boruto urlò, lanciando al cielo un ruggito feroce e frustrato, sferrando un pugno sul muro alla sua destra. La parete si crepò visibilmente, tremolando come se fosse in procinto di crollare. Poi, con un sospiro furibondo, si mise rigidamente a sedere sul letto, affondando la testa nelle mani e gettando lontano da sé il suo coprifronte e la sua spada.

I suoi occhi eterocromi scandagliarono la stanza con rabbia e gelida sete di vendetta. La sua mente era oscura, agitata, furibonda. Quello che era successo ieri, che lo volesse ammettere o meno, lo aveva segnato. Lo aveva costretto a guardare in faccia un problema che aveva, fino ad ora, cercato sempre di evitare. E Boruto sapeva che fuggire dai problemi non aiutava a risolverli. Per cui, adesso che ne aveva avuto la prova, doveva rassegnarsi a fare qualcosa.

Era stato sconfitto. Era stato sconfitto da suo padre e da sua madre. Di nuovo. Per la seconda volta. Era impossibile, inconcepibile, inaccettabile. Ancora una volta, esattamente come su Eldia, era stato sopraffatto dalla volontà di quei due mostri che aveva chiamato genitori. Eppure, per quanto la consapevolezza di questo fosse infinitamente frustrante per lui, non era questa la cosa che più lo faceva infuriare. La questione che lo stava bruciando dentro non era questa. Il vero problema era un altro.

Il vero problema… era che non era riuscito ad uccidere Hinata.

Boruto sentì le sue braccia tremare per la rabbia e l’odio, serrando inconsciamente i pugni. Quello che era successo… non riusciva a spiegarselo, ma era successo. E più ci pensava, più era come se fosse nuovamente in grado di vedere quella stessa scena, adesso, in quel preciso momento, davanti ai suoi occhi. Sua madre era lì, davanti a lui, indifesa e senza possibilità di difendersi; buttata a terra e avvinghiata disperatamente alla sua gamba. Aveva la possibilità di finirla. Aveva la possibilità di eliminarla una volta per tutte. Poteva ucciderla. Eppure… lui non riusciva a colpirla. Il suo braccio non si muoveva. La sua spada non la raggiungeva. Il suo stesso corpo non gli permetteva di muoversi. Non ci era riuscito, e non ci riusciva.

Non era stato in grado di ucciderla.

Il Nukenin non sapeva cosa fare. Era ben consapevole che una cosa del genere fosse inaccettabile. Lui era Boruto Uzumaki, il Nukenin più pericoloso mai esistito nel mondo, il Kurokage dell’Impero Shinobi Unito! Non poteva permettersi di restare congelato e immobile dinanzi a un nemico. Soprattutto se quel nemico era Hinata, o peggio ancora, l’Hokage. E la cosa peggiore era che non riusciva a comprendere il perché non fosse riuscito ad uccidere sua madre. Non poteva essere per compassione. Lui li odiava, li detestava entrambi. Li odiava più di qualunque altra cosa al mondo. Non c’era esitazione, non c’era alcun dubbio su quella questione. Aveva da tempo immemore dimenticato ogni tipo di affezione e pensiero caritatevole nei confronti di quei due mostri. Ne era certo.

Ma allora… perché? Perché non era riuscito ad eliminarla? Perché il suo corpo si era rifiutato di colpirla quando ne aveva finalmente avuto l’occasione? Perché non era riuscito ad ucciderla? Perché? Perché?

E mentre sbraitava mentalmente la sua frustrazione, la risposta a quella domanda gli risuonò nella testa come un sussurro fastidioso.

L’occhio sinistro di Boruto s’iniettò di sangue. “La mia Luce,” sputò velenosamente.

Non poteva che essere così. Boruto lo sapeva, se lo sentiva dentro. La sua Luce, l’altra parte della sua anima, la metà buona del suo cuore racchiusa dentro di lui. Era stato lui ad impedirgli di uccidere Hinata. Era stato lui a fermarlo, facendolo esitare in quel fatidico momento. Lo sapeva, ne era certo, ne era assolutamente sicuro. Era lui il colpevole. E questo era inaccettabile. Doveva fare qualcosa. Non poteva permettere che una cosa del genere potesse accadere di nuovo. Non avrebbe mai, MAI, permesso a quel falso residente del suo cuore di influenzarlo. Non più, non di nuovo. Questa questione andava risolta.

E Boruto sapeva cosa fare.

Con un ringhio di frustrazione, il giovane Uzumaki chiuse gli occhi ed iniziò a meditare, inspirando profondamente e ricacciando lontano da sé tutta la rabbia e l’odio che provava. Inspirò ed espirò, inspirò ed espirò, una volta, poi due, poi tre e infine quattro. E poi ancora, e ancora, senza fermarsi mai, abbandonando i pensieri e lasciandosi cullare dal buio che lo avvolgeva. Mentre meditava, si ricordò vagamente delle sensazioni, delle emozioni, delle esperienze che aveva provato durante la sua prima discesa nel mondo interiore, quando era stato salvato da Hikari. E adesso, grazie a lei, era diventato capace di ritornarci da solo. Era diventato in grado di meditare da sé.

Sprofondò coscientemente nell’abisso, schiarendosi le idee mentre la sua testa si svuotava delle preoccupazioni mortali, restando priva di pensieri ed emozioni che lo potessero distrarre. Era come se fosse… in pace. Libero di ponderare le rivelazioni che aveva appreso da Hikari e Yami sulla Luce ed il Buio, sulla vita e la morte. Nella sua mente, infine, la vide. Una Tecnica autorigenerante, più potente di qualsiasi cosa che avesse mai visto prima. Una Tecnica di Meditazione. Poteva vederla, poteva sentirla, fuori da sé. Poteva sentire quel flusso distintivo di potere che percepiva quando attivava il Marchio di Ishvara donatogli da Zeref. Poteva sentire il guizzo della sua Scia di Fulmini quando la attivava attorno a sé. Poteva sentire e percepire ogni cosa, letteralmente tutto, come se fosse davanti a sé; solo… che non era reale. Era la sua mente, il suo subconscio, che ricreava e gli faceva rivivere tutto in terza persona, come un’esperienza fuori dal suo corpo.

E immerso nell’abisso, Boruto lasciò che la Tecnica di Meditazione si invertì, sgorgando dentro di lui invece che fuori, riversandosi nel nucleo del suo essere e riempiendolo fino all’orlo. Diresse quell’energia verso di lui, investendolo come l’acqua tiepida di un fiume, colmando le lacune nella sua forma fisica, riparandole, e migliorandole.

La sensazione che provò era strana. Sembrava persino diversa da quanto si fosse immaginato. Una sensazione distintiva toccante sulla sua spalla. Poi, quando la sentì di nuovo, Boruto si rese conto che non era una sensazione causata dalla Tecnica. Era… reale. Aprendo un occhio, il suo corpo trasalì quando si ritrovò faccia a faccia con... sé stesso.

Il Nukenin indietreggiò e sollevò le braccia, scivolando in una posizione difensiva del Pugno Gentile.

“Che cosa ci fai qui?” chiese la sua copia, la sua Luce, con le sopracciglia aggrottate.

Il guerriero lo osservò con circospezione per diversi secondi. “Non lo immagini?” ribatté alla fine, fissandolo torvo. Internamente, iniziò ad innalzare le sue difese mentali per prepararsi ad uno scontro. Era una delle Tecniche più basilari per un Ninja, creata per difendere la mente e i ricordi dalle intrusioni esterne, e gli era stata insegnata da Urahara sin dai tempi dell’Accademia.

La sua copia lo guardò come se gli fosse spuntata una seconda testa. Poi, i suoi occhi si sgranarono. “Ooooh… capisco,” esalò infine, sorridendo amaramente. “Sei qui perché hai compreso quello che ho fatto.”

I denti di Boruto si snudarono in un ringhio. “Quindi sei stato davvero tu,” sibilò, sempre più minaccioso. “Sei stato tu ad impedirmi di ucciderla!”

La Luce sorrise, sospirando sommessamente. Lo fissò, senza dire niente, limitandosi a guardarlo con divertimento. E mentre lo fissava a sua volta, Boruto realizzò una cosa. Gli occhi eterocromi del suo gemello erano così simili ai suoi, eppure così innegabilmente diversi. Non erano freddi, crudeli e oscuri come dovevano essere, ma bensì dolci, allegri, e luccicanti; come l’acqua più limpida del mare d’estate. Erano decisamente diversi da quelli che vedeva quando si guardava allo specchio, insomma. “Sì, sono stato io. Era l’unica cosa che potevo fare per impedirti di compiere uno degli errori più imperdonabili che potessi commettere,” ammise semplicemente l’altra metà della sua anima.

Il Nukenin assottigliò pericolosamente lo sguardo. “Sei tu che hai commesso un errore imperdonabile,” lo incalzò gelidamente. “Mi hai messo i bastoni tra le ruote, e adesso ne pagherai le conseguenze.”

Quello non sembrò per niente turbato dalla minaccia, continuando solamente a sorridere. “Vuoi combattermi?” domandò, scuotendo ironicamente la testa. Le sue labbra emisero una risata sincera. “Ripensaci, fidati di me. Combattermi non ha senso. Non puoi uccidermi, non puoi sbarazzarti di me, e non c’è nessuna tecnica o abilità che possiedi che io non conosco. Non puoi semplicemente eliminare te stesso, fratello.”

Boruto lo guardò trovo per diversi secondi. Poi abbassò lentamente le braccia. “Lo so, non sono stupido, a differenza tua. Ti stavo solo provocando,” ribatté sarcasticamente. Dovette reprimere un sorriso malvagio quando vide il suo gemello trasalire e fissarlo con rabbia per l’insulto. “Voglio solo mettere le cose in chiaro.”

La sua copia rimase in silenzio. Luce e Oscurità si fissarono dunque a vicenda, sfidandosi con lo sguardo. Due occhi eterocromi luminosi e pieni di calore contro due occhi eterocromi freddi e privi di luce.

“…non azzardarti a rifarlo ancora,” sibilò gelidamente il Nukenin, guardandolo con odio. “Prova di nuovo a mettermi i bastoni tra le ruote e giuro che te la farò pagare... personalmente. Sono stato chiaro?”

Quello scoppiò a ridere. “Non puoi nulla contro di me, fratello. Io sono te, e tu sei me. Senza di uno, l’altro non può esistere. Siamo due facce della stessa medaglia.”

“Non m’importa. Se mi impedirai di nuovo di ucciderli, allora ti distruggerò. Che sia con un Sigillo, con una Tecnica, o con un qualsiasi metodo mai scoperto prima d’ora… giuro che lo farò. Ti sradicherò dalla mia anima, e troverò un modo per distruggerti per sempre,” promise, con assoluta convinzione.

La sua copia sorrise con tristezza, scuotendo la testa. “Sei così accecato dall’odio e dal dolore da riuscire persino a pensare l’impensabile,” esalò amaramente. “Possibile che non tu riesca a capirlo? Ieri ti ho fermato perché volevo proteggerti. Il fatto stesso che io sia riuscito ad impedirti di uccidere nostra madre dimostra che ho ragione. Dentro al tuo cuore, che tu lo voglia ammettere o meno… la tua Luce non è morta. Tu vuoi ancora bene ai nostri genitori. Tu… desideri tornare ad amarli.”

L’altro rimase stizzito dopo quelle parole, serrando impotentemente i denti. Tuttavia non si lasciò smuovere, limitandosi a sorridere con crudeltà. “Le tue parole non m’interessano. Te lo dissi già una volta in passato, e te lo ripeto: mi rifiuto di pensare che qualcosa dentro di me voglia dare una seconda possibilità a quei due mostri che ci hanno generato. Anche se questo qualcosa è una parte della mia stessa anima,” ribatté.

“Preferisci dunque rinnegare te stesso?” domandò la Luce, in tutta serietà. “Perché io sono te, e lo sappiamo entrambi. Se rinneghi me, rinneghi te stesso.”

Boruto non rispose, fissandolo torvo per diversi secondi. Poi incrociò solennemente le braccia, spostando la sua attenzione su un altro argomento. “Allora, perché sei qui?” chiese.

“Oh, sono sempre stato qui,” la sua Luce si strinse nelle spalle. “Aspettando. Osservando. Non ti sei mai veramente liberato di me. Pensavo l’avessi capito.”

Boruto lo ignorò. “Dove siamo, allora, se siamo entrambi qui?” chiese invece, osservandosi attorno. Non c’era nulla in quel posto, solo buio. Un’immensa oscurità che li circondava da ogni lato.

La sua Luce lo guardò con gli occhi sgranati, incredulo. “La nostra anima, fratello,” rispose gravemente. “Perché sei venuto quaggiù se non sai nemmeno dove ti trovi?”

“Stavo meditando,” rispose tersamente Boruto. “Ti stavo cercando, con l’intenzione di ucciderti.”

“Quindi ti sono mancato, eh?” ridacchiò la Luce, sorridendo con sarcasmo.

Boruto serrò i pugni, ignorando l’istinto di scattare addosso a quell’idiota e strangolarlo senza pietà. Se quello che aveva detto era vero, se era veramente impossibile sbarazzarsi di lui, allora combatterlo non aveva senso. Doveva trovare un altro modo per sigillarlo lontano dalla sua coscienza. Il suo occhio sinistro si mosse ad osservare nuovamente l’oscurità. “Se questa è la mia anima, allora perché è così buio?” chiese, indicando l’abisso attorno a loro. Del resto, come faceva la sua Luce a vivere e restare lì se non c’era nessuna fonte di luce per illuminarlo?

“Non ne ho idea,” rispose quello, stringendo le spalle. “Sei tu la metà dominante della nostra anima. Ma perché la cosa ti turba? Temi che la tua anima sia diventa nera come il tuo cuore?”

Boruto ignorò zelosamente la copia e si concentrò sul ragionare per trovare una soluzione. Questa era la sua anima, la sua coscienza. Per cui, a rigore di logica, lui avrebbe potuto compiere qualsiasi cosa all’interno di essa. Allora, chiuse gli occhi e – se la sua teoria era vera – quando li avrebbe riaperti la vista che doveva accoglierlo sarebbe dovuta essere molto… diversa.

E quando finalmente riaprì gli occhi, lo era. L’abisso era stato bandito nelle profondità della sua mente, e al suo posto, una piccola casa era apparsa dinanzi a lui. La casa-negozio di Urahara, la sua dimora d’infanzia. Le strade del Villaggio che la circondavano svanivano nel nulla mentre si prolungavano verso l’eternità. Boruto annuì, soddisfatto.

“Wow! Questo è molto meglio!” esclamò la sua Luce, sprizzando una gioia quasi imbarazzante, come un bambino.

Per l’ennesima volta, Boruto lo ignorò ed entrò nella ‘casa’, osservandola con nostalgia. Non era più entrato in quell’abitazione sin da quando era fuggito da Konoha. Rimase sorpreso quando notò che uno specchio si trovava dietro al bancone del negozio. Urahara lo aveva messo lì quando lui, Mikasa e Sora erano ancora piccoli, insistendo sul fatto che tutti e tre dovevano sempre rendersi presentabili prima di uscire di casa. Fissando il suo riflesso, Boruto notò fin troppo bene l’occhio nero e rosso che caratterizzava la parte sinistra della sua faccia, mentre il Jougan restava uguale al solito.

Un rumore alle sue spalle lo fece voltare di sbieco. La sua Luce lo stava seguendo, entrando a sua volta dentro casa. “Vattene,” ordinò Boruto, gesticolando con una mano, come se ciò potesse bastare a far fuggire la sua copia.

Non funzionò.

“Ma non ho nessun altro posto dove andare,” gemette quello, mettendo un broncio infantile con le labbra ed aprendo la porta scorrevole che dava sugli alloggi principali.

Boruto sorrise sotto i baffi. Quell’idiota era caduto in trappola. Facendo un respiro profondo, il guerriero si voltò e tornò in strada. Chiuse la porta – a chiave – ed immaginò con la mente che fosse sbarrata dall’esterno. E poi, come se fosse una specie di dio, la porta divenne sbarrata per davvero grazie al comando mentale. Soddisfatto e speranzoso di essere finalmente riuscito a sigillare quell’allocco lontano dal suo cuore, Boruto ruotò col corpo ed iniziò a passeggiare lungo la strada. Non ci mise molto però ad arrivare alla fine, e quando lo fece, scoprì che la via finiva bruscamente nel nulla. I bordi della sua creazione ricadevano nel vuoto oscuro dell’abisso.

Il biondo fece una pausa, improvvisamente e irrazionalmente, e si rese conto di una cosa. Per qualche strano motivo… era spaventato dall’oscurità. E in quell’oscurità che lo circondava… trovò innumerevoli occhi luccicanti che lo stavano fissando. Occhi sottili, minacciosi, e luccicanti, come quelli di una belva nascosta tra le fronde di un cespuglio; talmente spaventosi da riuscire a riempirgli il cuore di terrore. Trattenendo il fiato per lo sgomento, Boruto si voltò e corse di nuovo verso la ‘città’, varcando la soglia della casa – e rompendo a calci le assi che la bloccavano – e trovò la sua Luce mentre se ne stava beatamente ad oziare su un divano, giocando ad uno stupido gioco portatile.

Eppure, il terrore che provava dentro non accennava a diminuire. Boruto respirò affannosamente, il suo petto che si gonfiava ad ogni rantolo, ed un sudore freddo gli inumidiva la fronte. Qualunque cosa fosse successo, qualunque cosa fossero quegli occhi che aveva visto… non poteva restare qui. Doveva andarsene. Non sapeva come, non sapeva perché, ma non era al sicuro. Il suo istinto glielo stava letteralmente urlando. C’era qualcosa che non andava nella sua anima.

La sua Luce alzò lo sguardo dal gioco portatile e lo fissò, aggrottando gli occhi per la confusione. “Che succede?” chiese, ignaro di ciò che era successo.

Boruto ansimò, lottando per riprendere fiato. “…niente,” rispose alla fine, forzandosi a calmare l’agitazione. Posò lo sguardo sul suo gemello, cercando di assumere un’espressione solenne. “Sei assolutamente sicuro che non ci sia nessun altro nella nostra anima?”

Il gemello lo guardò come se gli fossero spuntate due teste. “Di che stai parlando?”

Il Nukenin non rispose. Invece, scosse la testa, stizzito, e gli diede le spalle. “Lascia perdere,” esalò, fissando la porta con uno sguardo incerto.

“Oh, suvvia! Non puoi essere sempre così negativo! Prova ad aprirti ogni tanto!” esclamò la copia, il suo tono palesemente esasperato. Poi però, con uno scatto repentino, si alzò bruscamente dal divano con un sorriso a trentadue denti. “Ci sono! So che cosa potrebbe aiutarti a far sciogliere quel cuore di ghiaccio!”

Quello non rispose, senza nemmeno degnarsi di guardarlo. La sua Luce però non demorse, avvicinandosi al bancone con un ghigno trepidante sulle labbra. “Ricordi la canzone di quel film che cantavi sempre quando eri piccolo?” domandò, mentre una strana melodia cominciava a risuonare all’improvviso nell’aria, come per magia. In meno di un secondo, era già salito in piedi sopra al bancone, pronto e in attesa di cominciare.

Boruto si voltò di scatto, i suoi occhi assottigliati pericolosamente. “Non ci provare…”

“Troppo tardi! D’ORA IN POOOI, LASCERÒÒÒ, CHE IL CUORE MI GUIDI UN P–GUAH!”

Venne prepotentemente interrotto da una presa ferrea sul suo collo, sgranando pateticamente gli occhi e boccheggiando come un pesce, mentre Boruto lo fissava con uno sguardo gelido e ricolmo di irritazione, continuando a strangolarlo con una mano e puntandogli un kunai al mento con l’altra. “Prova solo a dire un’altra sillaba e giuro che ti taglio la lingua,” disse freddamente il biondo. “Sono stato chiaro?”

La sua Luce boccheggiò, gesticolando freneticamente con le mani mentre cercava di respirare. “V-V-Va… b-be-e-ne…” esalò, quasi strozzandosi.

Boruto lo fissò negli occhi per un paio di secondi, serrandogli la gola. Poi lo gettò bruscamente a terra, fissandolo con disprezzo mentre ansimava e tossiva come un’idiota. Infine, senza aggiungere altro, si voltò, chiuse gli occhi e dissolse con la mente la Tecnica di Meditazione, risbucando fuori dal suo inconscio e abbandonando la sua Luce in pasto all’abisso e all’Oscurità che risiedevano dentro di lui.

Quel giorno, Boruto promise a sé stesso di non meditare mai più.
 


16 Novembre, 0021 AIT
Terra del Fuoco
Montagna senza Nome
18:55

L’essere celeste sorrise, fissando dalla cima di una montagna il paesaggio che si stagliava dinanzi a lui. Osservò, con un’espressione emotiva, il mondo in cui era appena giunto con uno sguardo nostalgico, cercando di trattenere l’emozione che esondava a tratti fuori dal suo cuore. L’aria, le foreste, gli alberi, gli animali, il tramonto… era tutto esattamente come ricordava. Era rimasto essenzialmente lo stesso. Il suo pianeta natale, il pianeta che aveva abbandonato dopo tutti questi secoli, non era cambiato quasi per niente. Almeno dal punto di vista biologico. Eppure, nonostante questo, lui sapeva bene che le cose erano ben diverse da quel che ricordava.

Infatti, anche se erano passati solo ventuno anni da quando lo aveva visitato l’ultima volta, lui sapeva bene che gli abitanti di questo mondo erano, invece, cambiati in maniera radicale rispetto alla sua ultima visita. Si erano evoluti nel corso dei secoli, avevano lottato tra loro innumerevoli volte, avevano avuto alti e bassi a non finire… fino a giungere infine a questo. Un altro conflitto. Un’altra discrepanza. Un’ennesima, violenta e insensata Guerra.

La razza umana era entrata nuovamente in conflitto con sé stessa.

L’essere celeste sentì una punta di rammarico e sconfitta penetrargli l’anima a quel pensiero, come un ago incandescente. Dopotutto, lui stesso sapeva bene il perché era successo ciò che era successo. Sapeva benissimo, con una chiarezza cristallina, che cosa – o meglio, chi – fosse stato l’artefice di tutto quel trambusto sanguinario. Anche se aveva lasciato la Terra da anni, ciò che era accaduto qui e le vicende che avevano messo in moto ogni cosa le aveva scoperte sin da subito. Non aveva potuto evitarlo, visto tutti gli eventi a cui aveva assistito due anni prima.

Ed era proprio per questo che era tornato, adesso. Era proprio per questo che ora, in quel preciso momento, si trovava ancora una volta sulla Terra, dopo anni di assenza e silenzio assoluto. Per mettere fine a questa discrepanza. Per concludere, una volta per tutte, l’incessante era di guerre e conflitti che aveva maledetto la razza umana. Era questo il suo compito, la sua ultima crociata. E adesso, per quanto non volesse farlo, non aveva altra scelta che adempiere a questo compito.

E forse… forse, dentro di lui, l’anziano essere sapeva di non poterlo evitare. Era una sua responsabilità, dopotutto. Era stato lui il primo a creare la divergenza, in fondo. Era stato lui a tramandare il chakra agli esseri umani. Per cui… forse, forse era stato semplicemente inevitabile. Forse era la natura stessa del chakra a creare continuamente conflitti e divergenze tra i popoli, nonostante lui avesse passato più della metà della sua vita insegnando ad usarlo per unire le persone. Ma invece che unirle, esso le aveva divise più che mai, mettendo la razza umana in un perenne ciclo di conflitti ed odio.

Per cui, era una sua responsabilità. Era per questo che la Guardiana della Luce lo aveva scelto. Era per questo che lo aveva chiamato, esortandolo a tornare sulla Terra e porre fine a tutto questo. E l’anziano essere sapeva quello che doveva fare. Sapeva ciò che andava fatto, e lo avrebbe fatto, a qualunque costo. Perché mettere fine al conflitto del genere umano significava una cosa. Una sola, singola, e triste cosa.

Significava dover combattere l’artefice della Guerra e della discrepanza.

Significava dover combattere Boruto Uzumaki.

E lui avrebbe combattuto. Nonostante il giuramento, nonostante le promesse, nonostante il rammarico. Anche se aveva promesso di non combattere mai più, anche se aveva giurato a sé stesso di non usare il chakra per uccidere o ferire qualcuno… doveva farlo. Doveva infrangere il giuramento. Doveva combattere. Perché non c’era altra scelta, e perché era una sua responsabilità.  E soprattutto… perché ne andava della salvaguardia dell’intero universo.

Hikari era stata chiara. Se quel Campione avesse continuato a seguire quella strada di morte… le cose sarebbero degenerate molto presto. La Terra, i suoi abitanti, e persino innumerevoli altri mondi nella galassia ne avrebbero sofferto le conseguenze per secoli e secoli a venire.

Questo era inaccettabile.

Per cui, adesso toccava a lui. Per la seconda volta, dopo ben più di mille anni, avrebbe dovuto combattere. Avrebbe dovuto schierarsi in campo e lottare contro un altro avversario.

Fino alla morte, o fino alla Pace.

Per questo, a partire da oggi, lui non avrebbe più usato il suo antico nome. A partire da oggi, lui avrebbe iniziato un nuovo cammino. Un cammino di lotta, strategia, e sangue. Un cammino dettatogli dalla Guardiana, per il bene della Terra, dei suoi abitanti, e persino del Campione Oscuro. Oggi, ancora una volta, lui avrebbe rimesso le cose a posto. Avrebbe riscritto il destino del mondo con le sue azioni. Avrebbe fermato Boruto Uzmaki, e riportato la pace nel suo mondo natale. Questo era il suo compito, la sua strada, il suo obiettivo.

Questa era la sua promessa.

Perciò, da oggi, lui non sarebbe più stato l’essere di un tempo.

Da oggi… lui era Sentoki.

Ed era ora di combattere.
 
 
 







 

Note dell’autore!!!

Salve a tutti! Vi chiedo scusa col cuore per il ritardo nella pubblicazione, ma ho avuto diversi impegni che mi hanno tenuto occupato. Perdonatemi.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. So che è più breve del solito, e la cosa è intenzionale. Questo capitolo di transizione vuole mostrare un attimo di tregua dopo gli eventi caotici di quello precedente. Inoltre, già dal prossimo verremo catapultati in una narrazione piuttosto diversa, per cui volevo dare risalto all’attimo di tranquillità di questa fase. E poi, anche se è breve, in questo capitolo abbiamo intravisto delle cose che saranno di fondamentale importanza per lo sviluppo della vicenda.

Abbiamo avuto un secondo assaggio del confronto tra la parte buona di Boruto e quella negativa, così come l’introduzione di un personaggio misterioso che avrà ben presto a che fare con la Guerra sempre più imminente. Immagino che abbiate già compreso chi sia – ho lasciato diversi indizi e riferimenti passati alla sua vita – ma col tempo avremo sempre più notizie. La sua origine e ciò che vuole fare verranno rivelati molto presto. Inoltre, vi invito a fare attenzione a ciò che è successo all'interno dell'anima di Boruto durante la meditazione e il suo confronto con la Luce, perché sarà molto rilevante in futuro. Come sempre, niente di quel che leggete è lasciato al caso.

Vi invito a leggere e commentare. Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate. Leggere le vostre opinioni è ciò che mi motiva a scrivere nonostante il periodo di fatica che sto vivendo, quindi sarei felicissimo di sapere cosa ne pensate di tutto questo. Grazie a tutti in anticipo.

A presto!

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Capitolo 18
*** Una Missione Pericolosa ***


UNA MISSIONE PERICOLOSA





19 Novembre, 0021 AIT
Terra del Fuoco
Tempio del Fuoco
11:00

Shikamaru si fermò, facendo un profondo tiro dalla sigaretta. I suoi occhi sottili guizzavano in tutte le direzioni, studiando e scrutando ogni cosa che lo circondava con morbosa attenzione.

Il Tempio del Fuoco era un luogo suggestivo. E, sebbene non volesse ammetterlo a sé stesso, il Nara non poteva negare la realtà dei fatti. Quel luogo lo spaventava un bel po'. C’era qualcosa di profondamente ultraterreno in questo posto. Non riusciva a spiegare a parole il suo disagio, ma l’inquietudine che provava adesso che lo stava osservando era sempre presente nella sua mente. Se Shikamaru avesse dovuto dare una spiegazione a questa sensazione, essa era che si sentiva… osservato. Sì, quella era la descrizione più vicina al sentimento che provava. E l’aspetto imponente e sacramentale del Tempio non faceva che accentuare quell’inquietudine che stava provando.

Tuttavia, c’era un motivo se si era recato lì. Il Tempio del Fuoco era l’ultima posizione nota del culto dei monaci Shinobi, un gruppo di eremiti spirituali famosi in tutto il mondo per le loro abilità nel campo del mistico. Se dovevano avventurarsi nel territorio dell’Impero, Shikamaru sapeva che la sua migliore strategia di vittoria era chiedere aiuto ai monaci del Tempio. Nonostante non fossero combattenti, le loro abilità erano immense ed invidiabili da qualsiasi Ninja di alto rango. Senza contare poi che i monaci erano stati alcuni dei sostenitori più fedeli della Foglia da tempo immemore. Sin da quando avevano aiutato il Villaggio ad uccidere Hidan dell’Akatsuki dopo il furto nel Tempio, più precisamente.

Shikamaru scivolò dentro le immense porte del Tempio, Choji e Ino che lo seguivano a ruota. Alcune guardie e diversi ninja di cella stavano accampati fuori, osservandoli mentre avanzavano. Lo spettacolo che li accolse una volta entrati era davvero mozzafiato. Gli ornati giardini rocciosi con motivi fluenti incisi nella sabbia erano stranamente belli da osservare. Un soffio di vento si mosse nell’aria, e Shikamaru arricciò il naso all’odore pungente e terroso delle erbe rituali bruciate. Pochi istanti dopo, il ronzio profondo e basso dei canti dei monaci cominciò a riempire l’aria, risuonando in lontananza. Il loro inno gli fece strisciare un brivido lungo la schiena.

“Inquietante,” sussurrò Ino.

Shikamaru annuì. Non poteva essere più d’accordo. “Andiamo,” esalò, facendo cenno alla sua squadra di avanzare.

Non fu facile giungere alla struttura più importante del Tempio. La strada era tutta in salita, e c’erano così tanti gradini da dover salire per arrivare all’ingresso principale. Shikamaru si chiese come diavolo facessero i monaci a fare quella scalinata ogni singolo giorno. Quando raggiunse la cima, dopo ben quindici minuti, era quasi rimasto senza fiato. Maledisse la sua decisione di aver scelto un lavoro dietro la scrivania. Lo aveva reso molto più fiacco rispetto a quando era giovane. Ma, almeno, non era nelle condizioni di Choji. Il suo amico stava sudando e ansimando come in preda alle convulsioni, con le mani appoggiate sulle ginocchia. Shikamaru ridacchiò mentre l’amico si raddrizzava, osservandolo mentre si asciugava la fronte ed iniziava a divorare un sacchetto di patatine.

Il Nara spostò lo sguardo dinanzi a sé. Le gigantesche porte del Tempio del Fuoco si innalzavano sopra di lui, solenni e inquietanti come non mai. Erano aperte, ma solo per un piccolo spiraglio. Con cautela, lui e i suoi amici vi sbirciarono dentro.

“Ben trovati.”

Shikamaru indietreggiò, mettendosi quasi ad urlare per lo spavento. Il suo cuore iniziò a battere all’impazzata, mentre un piccolo monaco sorridente gli apparve davanti senza preavviso, bloccandogli la strada. “C-Come hai fa-”

“Sapevo che stavate arrivando,” lo anticipò il monaco, scrollando le spalle con divertimento. Era basso e minuto, con la testa calva e vestito di abiti bianchi come la neve. Sollevando una mano, aprì loro le porte e fece cenno di entrare.

Il Nara e i suoi amici si scambiarono un’occhiata silenziosa. “Ok, questo è inquietante,” osservò Shikamaru, cercando di calmarsi. “Siamo qui per…”

“…per via della Rivoluzione,” concluse il monaco, annuendo con la testa. “Lo so.”

Shimamaru esitò. “La Foglia sarebbe…”

“…interessata ad avere il nostro aiuto,” lo incalzò nuovamente l’altro, annuendo ancora. “Lo so.”

Il Nara sospirò con irritazione. “Che seccatura,” borbottò nella sua testa.

“Venite,” disse allegramente il monaco. “Possiamo discutere della minaccia dell’Impero nel mio ufficio.”

Shikamaru lo seguì rispettosamente, Choji ed Ino dietro di lui. L’ufficio del monaco era stranamente diverso da quello che si era aspettato. Era posto più lontano rispetto agli abitacoli degli altri monaci, circondato solo da corridoi privi di stanze. Una vecchia scrivania nodosa era posta al centro della sala. File e file di libri su diverse religioni stavano stipati in una libreria sulla destra, spessi e ammuffiti. Sulla sinistra, un piccolo braciere d’incenso ardeva e riempiva l’aria con un profumo dolce e pungente. Ma la cosa che più colpì Shikamaru era che non c’era nessuno. Durante il tragitto, non aveva visto nemmeno l’ombra di un altro monaco. La cosa era piuttosto strana.

Una volta entrati nell’ufficio, Shikamaru chiuse la porta alle sue spalle. “Hai detto che sapevi del nostro arrivo,” disse sospettosamente.

Il monaco calvo sorrise. “Sì,” ammise senza esitazione, sedendosi per terra sulle ginocchia. “Ogni monaco nel Tempio possiede un’abilità unica. Un’abilità che si può ottenere solo dopo anni di meditazione, preghiera, e scoperta di sé. È grazie a questa mia singolare abilità che ho previsto il vostro arrivo.”

Choji inclinò la testa di lato. “Che genere di abilità?” chiese curiosamente.

Quello sorrise ancora di più. “La preveggenza,” rispose.

Shikamaru e Ino si scambiarono un’occhiata. Non credevano molto nella filosofia e nel credo dei monaci, ma quel tipo sembrava strano. Non riuscivano a spiegarselo, ma c’era qualcosa di strano attorno a lui. Era come se emettesse un’aura invisibile con la sua presenza. Il Nara si schiarì la gola. “Preveggenza o meno, la Foglia ci ha mandati per stipulare un accordo. Abbiamo bisogno di quante più persone possibili per riuscire ad affrontare la Guerra che incombe. Ci serve…”

“…il nostro aiuto, lo so,” Il monaco spostò lo sguardo su di lui, i suoi occhi socchiusi con serietà. “E lo avrete.”

Shikamaru trasalì. “Come?”

“Vi aiuterò,” ripeté quello, senza mai smettere di sorridere. “Tra tutti i monaci del Tempio, io sono il più potente. Ho già parlato con gli altri, ed hanno acconsentito a lasciarmi uscire. Per cui, sono a vostra completa disposizione. Il mio intervento vi sarà indubbiamente utile.”

I tre Ninja rimasero in silenzio per diversi secondi, confusi. Non si erano aspettati di ottenere l’aiuto del Tempio così facilmente. “Beh, questo ci risparmierà molto tempo,” ammise Ino, guardando il monaco con attenzione. “Ma è comunque strano. A quanto ne so, i monaci non possono mai lasciare questo luogo.”

“Vero, ma diciamo che io sono… un’eccezione alla regola,” la rassicurò lui, ridacchiando.

Gli occhi sottili di Shikamaru si ridussero a due fessure. “Allora… chi sei tu?”

Il monaco rise, raddrizzandosi mentre se ne stava seduto sulle ginocchia. “Immagino di non essermi ancora presentato, non è vero?” ridacchiò con divertimento. “Permettetemi dunque di rimediare. Il mio nome, miei giovani amici, è Sentoki, e sono l’Abbate Supremo di questo Tempio.”

Shikamaru e Ino impallidirono all’udire quella rivelazione, sconvolti. Choji invece rimase confuso, inarcando un sopracciglio. “Abbate Supremo?” chiese, ignaro di cosa fosse quel titolo.

“La più alta autorità religiosa del Tempio,” spiegò lentamente Shikamaru, fissando l’uomo calvo con apprensione. “Non immaginavo di dover avere a che fare proprio con il leader spirituale dei monaci. Me lo aspettavo… diverso. Però devo dire che il tuo nome mi suona familiare.”

Sentoki annuì, la sua espressione un misto di divertimento e paterna compassione. “Sentoki è un nome molto comune tra i monaci. Ma come Abbate Spremo, sono libero di lasciare il Tempio a mio piacere e comando. Finora non ne ho mai avuto motivo, ma ultimamente… le mie abilità di preveggenza mi hanno mostrato molte cose. Ho compreso che, dopo tutti questi anni passati a pregare e meditare, è finalmente giunta l’ora di agire. La minaccia dell’Impero non può essere ulteriormente ignorata. Io… devo combattere.”

Ino esitò, cercando di essere meno indiscreta. “Quindi… ci aiuterai?” domandò lentamente.

Il monaco sorrise. “Sì. Sì, vi aiuterò,” la rassicurò con semplicità.

Tutti e tre gli amici esalarono un sospiro di sollievo. Non si erano aspettati che sarebbe stato così facile, ma almeno adesso avevano l’approvazione e l’aiuto dell’Abbate Supremo. Era un vantaggio che non potevano lasciarsi sfuggire. “Hai menzionato la minaccia dell’Impero. Cosa intendevi?” chiese Shikamaru con un sopracciglio incurvato.

Quello si fece nuovamente serio. “Il Tempio del Fuoco è da sempre stato alleato con la Terra del Vapore. Ma, da due anni a questa parte, i nostri accordi di alleanza sono andati in frantumi. Ci sono state diverse agitazioni in quel Paese. Di solito il Vapore è rimasto sempre neutrale, ma adesso i movimenti rivoluzionari hanno conquistato il Paese, espandendosi fino a giungere alla Terra del Fulmine, del Gelo, dell’Erba e persino qui, alla Terra del Fuoco. Ognuna delle Nazioni ribelli interpreta gli… insegnamenti,” il monaco sputò quella parola. “Di Boruto Uzumaki in modo diverso. Ma recentemente, si sono unite di nuovo insieme sin da quando ha dichiarato la formazione dell’Impero.”

Shikamaru sospirò. “Immagino che questo abbia qualcosa a che fare con i Kage alleati dei Kara,” dedusse.

“Non saprei, ma sì, sembra probabile,” concordò Sentoki.

“Forse Boruto li ha reclutati?” suggerì Ino. “Forse è per questo che il Yukage si è unito all’Impero. La Terra del Vapore non ha molti ninja. Avrebbero bisogno di quanti più alleati possibili.”

“Possibile,” ragionò il Nara. “Oltre che pericoloso. Se dietro a tutto questo c’è Boruto, significa che il Vapore è…”

“…esattamente come la Terra del Ghiaccio,” concluse Sentoki. “Un Paese interamente controllato dall’Organizzazione Kara.”

Shikamaru si accigliò. Cavolo, quanto era fastidioso essere interrotto in quel modo. Sentoki si limitò a sorridergli innocentemente.

“Ma perché?” meditò ad alta voce Ino, le dita premute sotto al mento mentre ragionava. “Posso capire la Terra del Fulmine e le altre, dato che la Rivoluzione e l’Impero hanno bisogno delle loro risorse e dei loro uomini. Sono uno strumento politico e marziale. Ma il Vapore è stato un fattore neutrale sin dalla Terza Guerra Mondiale. Non ha Shinobi, non ha influenza mondiale, e nessuno dei Kara ha legami con quel Paese. Non ha senso.”

Shikamaru ronzava nei suoi pensieri. “Potrebbe essere che l’Organizzazione Kara non abbia abbastanza forza…”

“…forza politica,” emendò Sentoki.

“…forza politica,” borbottò il Nara, correggendosi. Non aveva bisogno di ricordare che i Kara avevano abbastanza forza da poter attaccare uno dei Cinque Villaggi Shinobi e riuscire a cavarsela indenni. Era più seccato dal fatto che quel monaco continuasse a sapere cosa stava per dire. “Per riuscire a controllare una Nazione vasta come l’Impero. Il Vapore era un non-fattore, vero, ma non c’era nessuno che potesse opporsi a loro ed impedirgli di prenderne il controllo con la forza. Lo avranno reclutato per ampliare la loro influenza ed estensione territoriale.”

“Sarebbe una posizione forte, geograficamente parlando, per una base di operazioni,” dedusse Ino. “La Rivoluzione ha operato fuori dalla Terra del Ghiaccio per anni, senza essere fermata a causa della caduta dell’Unione. Forse per questo il Vapore si è unito a loro. Con l’Unione sciolta, nessuno avrebbe più prestato al Vapore il denaro o la forza lavoro che gli serviva per l’economia. La distruzione della Nuvola non ha aiutato le cose. Se il Villaggio del Vapore era sempre nei guai, non avrà esitato ad accettare l’invito di Boruto.”

Shikamaru annuì e fece un sospiro irregolare. “Il problema è che non sappiamo in che cosa stiamo camminando,” disse. “Il Vapore ha chiuso i confini con la Foglia. Il fatto che dovremo attraversarlo per giungere alla Terra del Ghiaccio potrebbe essere visto come un atto di guerra. Non possiamo essere scoperti o catturati, o rischieremmo un incidente internazionale. Ecco perché la nostra squadra da sola è stata scelta per questa missione. E allo stesso tempo, non sappiamo quale sia la forza di quel Paese adesso che l’Impero lo controlla. Potremmo essere spaventosamente soverchiati e superati di numero, senza nemmeno saperlo.”

“Ecco perché…” iniziò Ino.

“…siete venuti da me,” concluse Sentoki con un sorriso.

Sì, Shikamaru avrebbe avuto bisogno di un’altra sigaretta dopo l’incontro. Stava diventando davvero, davvero fastidioso.

“Verrò con voi e vi fornirò assistenza, ovviamente,” decise Sentoki. “L’Impero e la sua opera di conquista sono un nemico per voi quanto per noi.”

Shikamaru emise un sospiro di sollievo. Aveva piena fiducia nella sua squadra, ma nessuno di loro tre era un Ninja di rango Kage. Si diceva invece che l’Abbate Supremo del Tempio fosse un monaco Ninja più potente di quanto chiunque potesse immaginare. Con il Team 10 a supportarlo, forse quell’uomo avrebbe potuto davvero riuscire a contrastare i Kara, la Rivoluzione, e l’Impero. Non sapevano chi fosse, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che potevano fidarsi di Sentoki. Per cui, si sarebbe fidato. Non che avesse altra scelta, al momento.

“Bene,” disse allora Shikamaru. “Noi tre siamo pronti quando vuoi. Possiamo partire appena sarai pronto.”

Sentoki annuì. “Muoviamoci in fretta,” disse.
 


19 Novembre, 0021 AIT
Terra del Vapore
20 Km a Sud dal Villaggio del Vapore
19:55

Fu dopo un’intera giornata di marcia tra le aspre montagne di pietra bianca della Terra del Vapore che Shikamaru ricevette il messaggio. Un falco piombò giù dal cielo, una banda di metallo avvolta attorno alla sua zampa, con una semplice missiva: “L’Hokage scontrato con Boruto; riuscito a scamparla; Shikadai partito per missione; attesa di ordini; allerta massima in tutti i settori; prestare attenzione.”

Il Nara tenne in mano la pergamena sbrindellata, fissandola con attenzione mentre ragionava tra sé. Sembrava che fosse successo qualcosa dopo che aveva lasciato la Foglia. Aveva bisogno di maggiori informazioni. Era come giocare alla cieca ad una partita di scacchi. Non riusciva a vedere i suoi pezzi, figuriamoci quelli degli avversari. Se Naruto aveva realmente affrontato Boruto ed era riuscito a scamparla, allora lo stato di allerta era necessario. Quel folle traditore avrebbe potuto compiere l’impensabile per vendicarsi dell’affronto, e non esisteva una sola persona – a parte Naruto e Sasuke – che poteva sperare di combatterlo senza rischiare la pelle. Sarebbe potuto succedere qualcosa da un momento all’altro.

Ma il problema peggiore era che Shikamaru non sapeva cosa sarebbe potuto succedere. Era impossibile, quasi, riuscire a prevedere le mosse della Rivoluzione. Per quanto odiasse ammetterlo, dentro di lui lo sapeva. Boruto era astuto, maledettamente astuto, e per questo non sarebbe stato facile contrastare i suoi piani. Aveva sempre in mente qualcosa, attuava sempre innumerevoli stratagemmi, e riusciva persino ad orchestrare eventi lontani con un’abilità invidiabile anche dal membro più sagace del clan Nara.

In sostanza, il figlio reietto del suo amico era una minaccia mondiale dal potere distruttivo e intellettivo impareggiabile. E Shikamaru sapeva, senza alcun dubbio, che a causa della sua astuzia Boruto avrebbe tentato di ucciderlo, prima o poi. Non era evitabile. Lui era il leader del clan Nara, il maggior consigliere dell’Hokage, e il comandante Jonin a capo dell’intero Consiglio della Foglia. La sua vita era sempre e costantemente in pericolo. La sua morte sarebbe stata una vittoria strategica in qualsiasi guerra.

“Shika,” disse sommessamente Ino, appoggiandogli una mano sulla spalla. Shikamaru sollevò lo sguardo dalla pergamena. “Non c’è niente che possiamo fare al momento. Fidati del fatto che i nostri amici riusciranno a difendere il Villaggio, e pensa che si stanno fidando di noi per scoprire cosa sta succedendo nella Terra del Vapore e del Ghiaccio.”

Il Nara annuì, assorto. Non c’era niente che potevano fare per aiutare i loro amici nella Foglia. Non quando erano a settimane di distanza dal Villaggio e nel cuore del territorio nemico. Doveva concentrarsi. Solo perché fino ad ora non avevano ancora visto nessuno, non significava che non fossero in pericolo.

“La tua amica ha ragione,” disse Sentoki, appoggiandosi su un grosso masso in posizione meditativa. “Non c’è niente che tu possa fare. Quando il male sembra essere insormontabile, quando l’oscurità che ci circonda si fa sempre più fitta, l’unica cosa che possiamo fare è seguire il bene con le nostre azioni. Concentrati sulla missione, e fidati dei tuoi compagni. Riusciranno a cavarsela dalla minaccia di Boruto, ne sono certo.”

Shikamaru esitò, incapace di parlare. Desiderava poter trovare sollievo nelle credenze dei monaci Ninja, ma non ci riusciva. Aveva visto troppo nella Quarta Guerra Mondiale. Troppa morte, troppo dolore. E adesso, per colpa di Boruto, il pianeta era piombato nuovamente in quello stesso cerchio d’odio e morte. Un circolo vizioso che si era portato via innumerevoli persone. Gaara… Kakashi… Lady Tsunade… e persino suo nipote Shinki. Shikamaru non voleva perdere la sua famiglia per colpa del figlio di Naruto. Non voleva metterli a rischio senza poterli difendere. Voleva che rimanessero esattamente dov’erano, dove poteva assicurarsi che fossero al sicuro e felici.

“Coraggio,” borbottò Choji. “Andiamo. Siamo solo a un’ora o due dal Villaggio del Vapore.”

L’escursione fu silenziosa. Le notizie che avevano ricevuto pesavano ancora sulle loro menti. Shikamaru tenne d’occhio i cieli, sperando e pregando che un altro falco gli consegnasse altre informazioni per rassicurarlo che tutto andava bene. Ma allo stesso tempo, sapeva che doveva concentrarsi. Avevano una missione. Una missione che avrebbe potuto benissimo portare alla loro morte se non fossero stati attanti. Shikamaru ricordava ancora vividamente quanto fosse importate restare sotto controllo. Dopotutto, il suo maestro, Asuma, era morto per un attimo solo di distrazione. Shikamaru aveva ancora incubi al riguardo.

Alla fine, lui e il suo Team superarono le falesie di pietra bianca per cui questa Nazione era famosa in tutto il mondo, e videro il Villaggio del Vapore che si estendeva dinanzi a loro per miglia e miglia. E appena lo videro, i suoi occhi si sgranarono immensamente. Era bello come qualsiasi altro Villaggio che aveva visitato prima, ma… diverso. Non sembrava essere un Villaggio Ninja. Shikamaru non vedeva mura, né guardie, né difese; ma bensì innumerevoli case, edifici e palazzi di metallo grigiastro, dalle strutture imponenti e piene di luci. Decisamente più grosso di quanto si aspettava.

“Ino,” sussurrò con serietà. “Senti qualche barriera?”

La donna scosse la testa. “Solo alcune davvero vecchie. Non funzionano nemmeno più. I resti dell’ultima linea di difesa prima che il Vapore si sciogliesse,” replicò.

Era… strano. Era come se non fosse affatto un Villaggio Ninja. Non c’erano nemmeno pattuglie di frontiera. A Shikamaru non piaceva. Non gli piaceva affatto. Si sentiva come se stesse muovendo i suoi pezzi in una trappola ben piazzata in cui il nemico era tutt’intorno a lui, circondandolo da ogni lato.

“Non percepisco nessuna segnatura di chakra rilevante,” aggiunse anche Sentoki, gli occhi chiusi in concentrazione. “Tranne due.”

“Solo due?!” esalò Shikamaru tra sé.

“È improbabile che questa sia la vera forza del Vapore,” ipotizzò Ino.

“E dove diavolo sarebbero andati?” chiese Shikamaru. Non potevano svuotare un’intera città delle sue difese senza motivo, in meno di un mese per di più. Il Villaggio possedeva terra, materiali, forniture, denaro, cittadini e ninja da dover difendere. E sembrava persino molto più imponente di quanto non fosse rispetto al passato. Come aveva fatto un villaggio neutrale e alle prima armi a divenire così maestoso in meno di due anni? Senza difese, per di più. La cosa puzzava parecchio.

“Beh,” dichiarò Choji, masticando una patatina. “Ci sono due persone a cui potremmo chiederlo.”

Shikamaru sospirò. Guardò i suoi compagni di squadra, poi Sentoki, e comprese quello che dovevano fare. Non c’era altro modo, a meno che non avessero voluto trascorrere interi mesi ad esplorare la campagna alla ricerca di basi nascoste. E, lungo la strada, sarebbero sicuramente caduti in una trappola dei loro nemici. Non potevano rischiare una cosa del genere. Il Nara preferiva di gran lunga essere quello che dettava il dove, il quando e il come delle sue battaglie. “Va bene,” ordinò allora. “Andiamo. Entriamo nel Villaggio, catturiamo quei due e poi usciamo. Rapidi e silenziosi. Nessuno deve sapere che siamo qui. Questo significa… niente coprifronte.”

Ino e Choji annuirono, riponendo entrambi i loro coprifronte nei loro zaini e nascondendoli dentro a dei cespugli vicini. Choji si separò tristemente dall’armatura del suo clan, dato che il sigillo ben riconoscibile del clan Akimichi era mostrato con orgoglio. Quindi si pulì la faccia con della vernice per rendersi irriconoscibile. Sentoki, invece, era in realtà il membro meglio mascherato del gruppo. Le sue semplici vesti bianche erano sporche dopo il viaggio, e anche se il bianco non era un colore comune negli abiti di queste zone, non sarebbe stato sospettato di essere un Ninja.

“Se qualcuno ci farà domande, diremo che siamo turisti provenienti dalla Terra del Fulmine, intenti a dimenticare la distruzione della Nuvola,” disse Shikamaru mentre camminavano lungo la montagna, dirigendosi verso il Villaggio.

“Capito,” confermò Ino. Choji annuì e Sentoki mormorò.

Non c’erano guardie al cancello principale quando Shikamaru e la sua squadra entrarono nei confini della città. Non appena varcarono il confine, le sue mani si inumidirono di sudore e il cuore iniziò a martellargli nel petto. Sentoki si fece avanti per prendere il comando e Shikamaru si posizionò dietro per seguirlo con Ino e Choji che lo fiancheggiavano, sulla difensiva. Pensandoci adesso, il Nara si rimproverò mentalmente per non aver chiesto al monaco come facesse a percepire i nemici. Non sapeva che fosse un sensore. Anche se, tutto sommato, non c’era niente che sapeva su di lui in realtà.

Sentoki li guidò, con loro stupore, verso un bar. Era un locale elegante, per di più. Costruito in legno rosso e bellissimo con motivi ornati scolpiti al suo interno, con tegole blu piastrellate che formavano il tetto. Shikamaru entrò e ammiccò con le palpebre quando trovò l’interno più buio di quanto si fosse immaginato, scarsamente illuminato solo da qualche lanterna di carta rosso-arancio. Il posto aleggiava dell’odore caratteristico dell’alcool, assieme ad un puzzo stantio di chiuso. Era anche vuoto, a parte due signori seduti sugli sgabelli vicino al bancone ed una donna che serviva nervosamente loro da bere.

Shikamaru avrebbe etichettato quei due per Ribelli anche senza sapere che Sentoki li stava conducendo da loro. I loro capelli erano bianchi, come la neve, e privi di colore. Tipici della Terra del Gelo. Indossavano abiti neri pesanti con macchie rosso-nere che a malapena potevano essere viste a occhio nudo. Le vesti erano sfuse, casualmente, e Shikamaru vide che la loro pelle pallida era rovinata da innumerevoli cicatrici rosate. Ai loro fianchi portavano spade orribilmente grezze con bordi simili a una sega. Sulla sinistra era attaccato alle loro cosce un sacchetto di cuoio con strumenti ninja, e sulla destra c’erano diverse punte e lance di metallo pieghevoli.

Ma soprattutto, Shikamaru poteva vederlo chiaramente, avevano una fascia legata attorno alla testa. E se lui fosse stato un uomo d’azzardo, il Nara era pronto a scommettere che l’emblema sul coprifronte era quello del Vapore nascosto; tre linee diagonali.

La barista li guardò in quel momento, e Shikamaru vide chiaramente un lampo di paura aleggiare nei suoi occhi. Lei scosse la testa, facendogli un cenno sottile per incitarli ad andarsene. Ma, per loro sfortuna, era una civile. La sua definizione di sottile non rispecchiava quella di un Ninja. I due ribelli notarono quel gesto, trasalendo fisicamente. Poi si alzarono immediatamente dopo, ruotando verso di loro ed estraendo le spade dai fianchi.

“Che seccatura,” imprecò Shikamaru.

Gli occhi dei due guerrieri erano selvaggi e spalancati, con vene rossastre che ragnavano attraverso il bianco della sclera. Shikamaru poteva praticamente vedere la sete di sangue riflessa in loro. E non erano neppure stupidi, perché i due uomini si lanciarono immediatamente verso di loro con grida acute e rabbiose, cercando di ucciderli prima che potessero difendersi.

“Ino! Choji!” abbaiò Shikamaru, le mani che si unirono rapidamente assieme nel Sigillo del Ratto.

Choji si lanciò in avanti e Ino ricadde indietro. Formazione standard. L’ombra di Shikamaru sferzò alla vita e catturò uno dei due uomini con un sibilo. Allo stesso momento, Sentoki si mise tra quello catturato e il suo alleato ancora libero, impedendogli di soccorrerlo. Poi, Choji scattò addosso al nemico intrappolato e lo catturò a sua volta in un abbraccio potenziato dal chakra, talmente possente da spezzargli le ossa.

Shintenshin no Jutsu!” (Tecnica del Trasferimento Mentale) intonò Ino.

Nel momento in cui Shikamaru sentì la sua preda smettere di lottare, lasciò dissolvere la Tecnica e si girò di scatto per afferrare la sua amica prima che il suo corpo crollasse sul pavimento. Choji liberò Ino – ovvero il corpo ormai posseduto da lei – e tutti e tre si voltarono per fronteggiare l’altro nemico.

Ma non ce ne fu bisogno. Trovarono Sentoki in piedi sopra al Ribelle, chiaramente incosciente, con un piede poggiato sulla sua schiena e intento a guardarli con un piccolo sorriso.

I tre amici esalarono un sospiro. “Oh cielo,” esclamò a quel punto la barista, crollando a terra. Shikamaru e gli altri si voltarono versi di lei. “C-Che sta succedendo?”

Shikamaru le si avvicinò con le mani sollevate. “Non preoccuparti, non ti faremo del male. Vogliamo solo delle informazioni,” la rassicurò.

“Voi…Voi siete della Foglia?” chiese la donna, esitante.

Quello sospirò con pesantezza. Era difficile mentire quando un Nara e una Yamanaka avevano appena usato le Tecniche dei loro clan davanti ad una civile. “Sì,” ammise semplicemente.

Lacrime mai versate iniziarono a sgorgare dagli occhi della donna. “Dovete stare attenti,” bisbigliò, spostando lo sguardo verso il corpo del Ribelle posseduto da Ino. “Il Vapore ha occhi ovunque, anche dove non ci sono i loro Ninja. Se qualcuno dovesse vedervi…”

“Staremo attenti,” la rassicurò Shikamaru. “Puoi dirci dove sono tutti gli altri? Questi due non possono essere gli unici Ribelli qui in città.”

La donna annuì. “Hanno una base nella Valle dell’Inferno, a Sud-Est da qui,” riferì loro.

Bene, questo rendeva il suo lavoro più facile. Tutti sapevano dov’era la Valle dell’Inferno della Terra del Vapore. Il problema era che nessuno viveva lì perché i gas che sgorgavano dalle sorgenti calde di quel luogo erano letalmente tossici. “Grazie,” disse sinceramente Shikamaru. “Puoi dirci cosa è successo nel Paese di recente? Abbiamo scarse informazioni su di voi da quando avete chiuso i confini.”

La barista annuì, rimettendosi in piedi e appoggiandosi al bancone. “Sin da quando il Vapore è subentrato nella Rivoluzione, le cose sono andate benissimo per noi,” spiegò. “Avevamo più soldi nell’economia, più posti di lavoro, e tutti si sentivano al sicuro grazie alla presenza dei guerrieri e dell’Organizzazione Kara. Ma le cose sono cambiate quando i Kara sono stati catturati. I Ribelli qui… hanno iniziato ad avere paura. Sono diventati più inquieti, più pericolosi. Più crudeli. Approfittano dell’assenza dei Kara per fare ciò che vogliono, e alle volte uccidono e torturano la gente per divertimento, anche senza nessun reato. Gli altri guerrieri cercando di controllarli, ma…”

“…hanno paura,” disse gravemente Sentoki.

La donna annuì di nuovo. “Gli unici che possono controllarli sono il Yukage o il nostro Kurokage,” Shikamaru quasi si strozzò quando sentì quella donna riferirsi a Boruto in quel modo. “Ma ultimamente sono così impegnati che solo di rado hanno avuto il tempo di tenere sotto controllo i Ribelli.”

Shikamaru fece un cenno col capo, assimilando le informazioni. “Ascolta,” le disse alla fine. “Non dire a nessuno che eravamo qui. Stiamo cercando di aiutarvi, ma non possiamo farlo se saremo scoperti. Se il Vapore scopre che la Foglia ha mandato noi quattro qui, ci sarà la Guerra. E per quanto siano crudeli i Ribelli, per quanto possano rendervi dura la vita, posso garantirti che una Guerra con la Foglia sarebbe infinitamente peggiore.”

Ovviamente, ciò presupponeva che Shikamaru potesse convincere Naruto a combattere. Non pensava che avrebbero avuto altra scelta se l’Impero avesse invaso i loro confini. Ma non potevano permettersi una guerra su due fronti e non potevano premettersi di apparire deboli. Non adesso. Non con la caduta della Roccia, la formazione dell’Impero e l’incombente minaccia degli Otsutsuki in un futuro non troppo lontano. Dovevano restare uniti e compatti per sopravvivere.

La donna sorrise. “Lo farò. Grazie,” sussurrò dolcemente.

Shikamaru si voltò e fronteggiò la sua squadra. “Ino, porta con te il prigioniero. Fai finta che sia svenuto, ubriaco,” ordinò. “Nessuno metterà in dubbio questa scusa. Choji, Sentoki ed io partiremo dopo di te. Ci incontreremo dove abbiamo nascosto la nostra attrezzatura.”

Ino annuì, raccogliendo il corpo incosciente del Ribelle dopo che Sentoki rimosse il piede dalla sua schiena. Shikamaru fece una smorfia appena vide la rientranza contusa nero-viola lasciata dai sandali del monaco. A quanto pareva, i suoi sospetti erano fondati. Sentoki era molto più forte di quanto sembrasse.

Il monaco gli lanciò un piccolo sorriso mentre se ne andavano a loro volta.
 


20 Novembre, 0021 AIT
Terra del Vapore
Valle dell’Inferno
07:00

Shikamaru si portò un panno sulla bocca e sul naso mentre scrutava attraverso il vapore e il gas della Valle dell’Inferno. Nuvole stucchevoli di vapore bianco come la neve scivolavano verso il cielo da bollenti pozze d’acqua rosso sangue, oscurando la valle e nascondendo ogni traccia di civiltà. Sebbene il sole fosse ormai alto nel cielo del mattino, la quantità mostruosa di gas che riempiva quella zona rendeva impossibile il filtraggio della luce, gettando ogni cosa in una perenne foschia tossica. E sinceramente, il Nara non apprezzava molto dover esplorare questo luogo. La Valle dell’Inferno era conosciuta per aver ucciso innumerevoli persone coi suoi gas tossici.

Almeno, durante la notte precedente, Ino era riuscita ad estrapolare informazioni dai Ribelli che avevano catturato. Questo significava, per lo meno, che lui e la sua squadra non avrebbero dovuto camminare alla cieca verso un’imboscata dei nemici. Adesso che sapevano dove andare, la ricerca sarebbe stata molto più facile. E per fortuna, la sua amica era persino riuscita a sigillare i loro ricordi dell’attacco, in modo da non dover trascinare con sé quei due fino a quando non avrebbero trovato una prigione.

Certo, il pensiero di ucciderli aveva attraversato la mente di Shikamaru, ma sapeva che Naruto sarebbe rimasto deluso da lui. La Foglia lottava per la pace, sebbene ormai il mondo fosse prossimo alla guerra. E Shikamaru credeva in quella pace, credeva nel sogno di Naruto, quindi gli sarebbe rimasto fedele.

Perciò, ora doveva solo navigare attraverso quelle pozze di bollente acqua rossa e gas nocivi, trovare la base nascosta dei guerrieri in questa zona, evitare di essere visto, trovare conferma del fatto che l’Organizzazione Kara stava governando questo Paese e, infine, controllare se ci fosse una via d’accesso più indiscreta e nascosta per la Terra del Ghiaccio.

Facile, non è vero?

“Che seccatura,” brontolò, per la decima volta di fila.

“Almeno conosciamo la strada giusta da seguire,” gli ricordò Choji.

“La strada più sicura da seguire,” ribatté ancora lui. “C’è una bella differenza.”

Ecco, questa era una cosa che lo aveva sconvolto non poco. Che razza di fottuta città poteva essere costruita in un luogo dove non c’era nessun passaggio sicuro garantito? Oh, giusto… un Villaggio Ninja segreto, controllato dall’Organizzazione Kara, presidiato da psicopatici sadici. Il solo pensiero di questa realtà gli faceva venire il voltastomaco. Shikamaru non si pentiva affatto di aver intrapreso questa missione – Boruto e i Kara andavano sconfitti una buona volta, dopotutto – ma i dubbi restavano.

“Cerchiamo solo di darci una mossa,” sospirò alla fine Shikamaru. La sua squadra si scambiò un cenno del capo, e Choji trangugiò una manciata di patatine.

Col senno di poi, le informazioni che avevano ricevuto avevano perfettamente senso. I due Ribelli che avevano catturato erano soldati di basso livello. Sapevano tanto delle difese del Vapore quanto un Genin di Konoha ne sapeva di quelle della Foglia. Ovvero niente.

Quindi, quando Shikamaru iniziò a percorrere con esitazione il sentiero ‘sicuro’ attraverso il gas velenoso, non rimase quasi per nulla sorpreso quando Ino si irrigidì accanto a lui, sbiancando come un cadavere. E dopo un secondo di confusione, la sua mente comprese a sua volta quello che era successo. Avevano appena attraversato una barriera invisibile e intangibile.

Shikamaru sospirò. “Sto per pentirmi di aver intrapreso questa missione, vero?” borbottò sarcasticamente, rivolto a tutti e a nessuno.

“Sanno che siamo qui!” sibilò la bionda.

“Andiamocene prima che mandino le guardie,” sussurrò Shikamaru. Mentre avanzavano in fretta, si maledisse in silenzio. Avrebbe dovuto sapere che il Vapore sarebbe stato protetto da un qualche tipo di barriera. L’Organizzazione Kara aveva tra i suoi ranghi due dei più abili maestri del Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) al mondo. Lo sapeva.

“Sembra che sia troppo tardi,” disse improvvisamente Sentoki, parlando per la prima volta, proprio mentre stavano iniziando a risalire verso la foresta e la sicurezza delle sue fronde.

Shikamaru sospirò quando sentì il rumore di stivali che calpestavano la pietra. “Formazione E,” disse ai suoi amici. Ino annuì, muovendosi dietro di lui e posandogli le mani sulla schiena mentre chiudeva gli occhi. Choji invece s’ingrandì, incurvandosi mentre si raggomitolava in una palla, e l’ombra di Shikamaru si mosse per prenderne il controllo.

I ninja del Vapore saltarono fuori dal gas, sbucando dal nulla come nient’altro che ombre vaporose. Shikamaru riconobbe immediatamente i guerrieri di spicco: con capelli colorati e palle pallida e punteggiata di tatuaggi raffiguranti il vortice del clan Uzumaki, il simbolo di battaglia di Boruto. L’ombra di Shikamaru fece un balzo in avanti, portando con sé Choji, e il Nara usò il suo amico come una mazza improvvisata mentre aggrediva gli assalitori. Appena vennero colpiti, i guerrieri strillarono al cielo urla e imprecazioni di dolore.

Sentoki si lanciò in avanti, sorprendentemente veloce e leggiadro sulle gambe, mandando facilmente all’aria tutti gli avversari che osavano opporsi a lui con colpi di palmo fulminei. Vedendolo abbattere i nemici in quel modo, Shikamaru sapeva che il monaco poteva prendersi cura di sé stesso. Si concentrò sulla lettura delle informazioni fornitegli da Ino, muovendo col pensiero la sua ombra e usando Choji per schiacciare i loro nemici. Se c’era una cosa che il Nara poteva dire di apprezzare era questa: la stupidità dei guerrieri. Attaccavano frontalmente e senza sosta, rendendoli facili da abbattere.

Tuttavia, le cose cambiarono completamente quando i loro nemici iniziarono a formulare sigilli con le mani. Attorno a loro, le pozze d’acqua colorate di rosso, contaminate dal ferro, s’innalzarono improvvisamente in alto, come serpenti arrabbiati; e allo stesso tempo delle grandi onde di fuoco ruggente sbucarono nell’aria fuori dal vapore tossico. Shikamaru imprecò quando fu costretto a interrompere la formazione per permettere a sé stesso e Ino di schivare un colpo d’acqua simile ad una frusta, dissolvendo nel nulla la sua ombra e liberando Choji dal controllo della formazione. Il suo amico continuò a rotolare di sua spontanea volontà, per fortuna, investendo e schiacciando sempre più nemici.

“Ritiriamoci!” ordinò Shikamaru. “Allontaniamoci dall’acqua!”

Con un po' di fortuna, Shikamaru sperava che i guerrieri non fossero in grado di spostare l’acqua velenosa troppo lontano dalla sorgente. Per farlo, sarebbero stati costretti a generare ulteriormente altra acqua, molto meno numerosa e difficile da controllare, sprecando chakra. Il suo Team si affrettò ad obbedire.

Shikamaru guardò Sentoki mentre continuava a combattere contro guerrieri e ninja. Si accigliò. I suoi avversari lo stavano attaccando con una ferocia disumana e una raffica incessante. Come previsto, pensò il Nara. Ma c’era qualcosa che non andava. Sentoki li stava colpendo a sua volta, ma quelli non battevano nemmeno ciglio. Shikamaru vide uno o due uomini venire colpiti al petto con così tanta forza da riuscire a vedere i loro sterni crollare. Non si erano fermati. Non stavano nemmeno rallentando. Si rialzavano, continuando ad avanzare, continuando ad attaccare.

Un profondo senso di orrore inondò la sua mente.

“Merda!” imprecò Shikamaru. Si schiarì la gola mentre schivava un fendente di spada da un guerriero, prendendone il controllo con la sua ombra e usandolo come scudo umano mentre un Ninja del Vapore cercava di arrostirlo con una fiammata. “Questi bastardi non provano dolore!” urlò, avvertendo la sua squadra.

Probabilmente era opera di un Sigillo Maledetto, dedusse immediatamente, mentre la sua mente ragionava furiosamente. Un dono, un regalo del leader ‘benevolo’ della Rivoluzione. Shikamaru maledisse mentalmente Boruto e la sua mostruosità. Per uccidere dei nemici simili, avrebbero dovuto usare attacchi al cuore o al cervello. Stava per urlare un ordine ai suoi amici, avvertendoli di quello che aveva scoperto, quando i suoi sensi allenati notarono qualcosa. Un gruppo cospicuo di nemici era sbucato fuori da una coltre di vapore e gas velenoso.

Gli occhi di Shikamaru superarono immediatamente le guardie e si fissarono sulle figure appena comparse, trattenendo il fiato per l’orrore. Tra di esse c’era Shizuma Hoshigaki, uno dei pochissimi Kara che non erano riusciti a catturare negli anni precedenti. Gli occhi dell’uomo dai capelli neri erano sgranati e selvaggi, pieni di una gioia sadica a malapena trattenuta. Shikamaru inspirò a fatica. Poi, la sua mente riprese a ragionare logicamente quando bandì la paura dal cuore. Accanto a Shizuma c’erano un uomo e una donna. La donna era Lucy Heartphilia, l’ex criminale della Terra del Vento, anch’essa membro ricercato dei Kara. L’uomo, invece, era diverso. Era più vecchio, i suoi capelli un misto di grigio e nero, con un naso largo e sopracciglia folte. Era vestito con le vesti cerimoniali da Kage, con il simbolo del Vapore sul cappello. E Shikamaru sapeva di averlo già visto, durante il Summit mondiale. Quello… Quello era Il Yukage.

Le dita del Yukage si contrassero e Shikamaru trasalì ed indietreggiò quando una mano ferma lo afferrò per una spalla e lo tirò indietro. Un secondo dopo ammiccò stupidamente con le palpebre, fissando con confusione un punto davanti a sé del suolo, dove un ago fumante era stato incastrato nel terreno. Shikamaru alzò lo sguardo su Sentoki, sgranando gli occhi, realizzando soltanto adesso che la sua vita era appena stata salvata da quell’uomo.

“Il Yukage non è come sembra,” disse il monaco, fissando il nemico con uno sguardo perfettamente calmo. “Non è lo stesso di un tempo. Quello che un tempo era un uomo neutrale e pacato, ora agisce in nome di Boruto. Quel criminale lo ha preso con sé, investendolo con la sua oscurità. Ed esattamente come il suo leader, esso agirà nell’ombra, contento di colpire quando i nostri occhi saranno chiusi, le nostre spalle girate, e le nostre menti occupate. È specializzato in veleni e attacchi a distanza. Stai attento.”

Shikamaru imprecò profumatamente. Magnifico. La situazione era sprofondata da male in peggio. Lucy e Shizuma erano già mostruosamente forti di per sé, abbastanza da essere stati reclutati nell’Organizzazione criminale più infamata del mondo. E con il Yukage ad affiancarli? Erano fottuti.

In quel momento, le parole che Shikadai gli aveva detto diversi anni fa risuonarono nella mente di Shikamaru all’improvviso: Boruto non si sarebbe mai permesso di assoldare compagni deboli. Lo Yukage e quei due… sarebbero stati un problema. Su quello, il Nara non aveva dubbi. E con un esercito di ninja e guerrieri insensibili e sadici a loro completa disposizione?

Erano nella merda.

La Terra del Vapore era appena diventata una minaccia immensa, ed era proprio al confine con la Foglia. E lui e i suoi amici avevano avuto la sfortuna di bussare alla loro porta nel momento meno opportuno di tutti.

Shikamaru sentì le sue spalle tremolare per l’orrore.

Questa era la loro fine.

Eppure, quasi per miracolo, Sentoki si fece avanti, e Shikamaru sbatté le palpebre mentre la pelle del monaco iniziava ad irradiare una luce dorata attorno a sé. Poi, con un urlo di sorpresa, il Nara e i suoi amici si allontanarono da lui quando una gigantesca donna dalle mille braccia d’oro sbocciò alla vita alle spalle di Sentoki.

Il monaco sorrise con fiducia. “Lasciate fare a me.”
 


20 Novembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
07:30

Boruto ammiccò lentamente mentre si svegliava, gli occhi che si chiudevano di scatto mentre una luce fastidiosa assaliva la sua vista. Si stiracchiò, piacevolmente soddisfatto, con le braccia che avvolgevano l’altro occupante del letto. Boruto riaprì gli occhi, le labbra rivolte verso l’alto nell’ombra di un sorriso, quando sentì un paio di occhi neri fissarlo a sua volta. “Buongiorno,” disse sottovoce.

Mikasa gli sorrise con amore, le sue pupille che brillavano di luce. “Buongiorno,” sussurrò, stringendosi di più a lui. Passò dolcemente una mano sul suo petto. “Ti senti meglio?”

Il Nukenin esitò, abbracciandola a sé. Poi annuì una volta, e poi due. “Sì. Sì, sto meglio,” la rassicurò, dandole un bacio sulla fronte. “Grazie a te,” aggiunse.

La nera ridacchiò, un suono che gli fece letteralmente fremere il cuore di gioia. “Spero solo che non accada di nuovo. Non tutte le battaglie possono essere vinte, Boruto. Non c’è bisogno di infuriarsi tanto,” gli disse, canzonandolo con ironia.

Il biondo sorrise, trattenendo a stento il suo imbarazzo. Non poteva negare di essere stato decisamente infantile negli ultimi giorni. Da quando aveva perso la battaglia contro l’Hokage e sua moglie, era diventato estremamente irascibile a quel ricordo. Talmente tanto da aver persino rischiato di addentrarsi nella profondità della sua coscienza per minacciare di morte la sua Luce. Se non fosse stato per la presenza di Mikasa, probabilmente adesso sarebbe ancora in balìa delle emozioni, furioso oltre ogni misura.

Era vero: aveva perso una battaglia. Era stato sconfitto. Ma questo non era un motivo per deprimersi e arrabbiarsi. Boruto aveva sempre saputo di essere più debole del Settimo Hokage; adesso ne aveva semplicemente avuto l’ennesima prova. E per quanto fosse frustrante – e fidatevi, era immensamente frustrante – il guerriero sapeva che lasciarsi sopraffare dalla rabbia non avrebbe risolto niente. Se voleva superare quell’ostacolo insormontabile, allora doveva mettersi sotto e migliorare. Doveva allenarsi, doveva continuare a perfezionarsi, sia fisicamente che mentalmente. Doveva escogitare qualcosa per aggirare le avversità.

Doveva continuare a combattere.

E, come sempre, era stato solamente grazie alla presenza dei suoi amici e di Mikasa che era riuscito a ricordarsi di questa verità.

“Grazie, Mika. Davvero,” disse sinceramente, accarezzandole la testa. Le spostò una ciocca di capelli neri dal viso, fissandola con un sorriso sincero. “Non so cosa farei senza di voi.”

La sua ragazza gli fece l’occhiolino, decisamente felice di sentirlo finalmente ammettere la realtà delle cose. “Lo so, Boruto. Lo so.”

Il biondo fece per parlare ancora, ma venne improvvisamente interrotto quando una scintilla di pensiero balzò attraverso la loro rete di comunicazione astrale condivisa. “Boruto, qui parla Lucy,” la voce fanciullesca della bionda fluttuò nella mente di Boruto, chiaramente più scossa del solito. “La Terra del Vapore è sotto attacco! Potremmo avere bisogno di aiuto qui, a meno che tu non voglia sacrificare tutti gli uomini che abbiamo assoldato nell’ultimo mese.”

Boruto imprecò. “Qual è la situazione?” chiese, saltando giù dal letto e scivolando rapidamente nei suoi abiti dell’Organizzazione.

“È… È un disastro!” esclamò Lucy. “C’è un monaco tra i nemici, ed è… forte! Mostruosamente forte! Né io né Shizuma siamo riusciti a fare nulla per abbatterlo. È riuscito ad evitare ogni attacco furtivo che ho provato, e nemmeno il Yukage sembra riuscire a tenergli testa. E poi ci sono altri tre assieme a lui. L’unico che conosco è il Consigliere principale dell’Hokage, Shikamaru Nara.”

Boruto si fermò di colpo, sconvolto. Poi, lentamente, le sue labbra si snudarono in un sorriso predatorio. Sembrava che alla fine la sua minaccia nei confronti del padre di Shikadai si sarebbe avverata prima del previsto.

“Boruto?” la voce di Sora rimbombò attraverso la connessione. “Posso occuparmene io, se vuoi.”

“No, Sora,” declinò immediatamente il biondo. “Lo gestirò io. Ho bisogno di sgranchire un po' le gambe.”

Boruto lanciò a Mikasa un sorriso dentato quando la sentì ridacchiare. “Verrò con te,” si offrì la nera.

E di nuovo, per la seconda volta in dieci secondi, il Nukenin si fermò. Quelle tre parole segnarono il preciso istante in cui Boruto si ricordò della più terrificante realizzazione della sua vita: il suo cuore stava camminando fuori dal suo petto. Traduzione: Mikasa era diventata il suo punto debole. La sua attrazione per lei la rendeva il bersaglio principale dei suoi nemici. La Foglia, l’Hokage, i suoi avversari… tutti coloro che lo ostacolavano potevano arrivare a lui… attraverso lei. Potevano ferirlo, ferendo lei. Potevano colpirlo, puntando a lei. E quando si ricordò di questa cosa, Boruto comprese per la seconda volta nella sua vita di quanto fosse vulnerabile.

Il guerriero fece un sorrisetto tirato, sperando che venisse fuori più sicuro di quanto si sentisse dentro. “Nah. Posso gestire un monaco e un Nara anche da solo, grazie,” mentì senza problemi.

La luce giocosa e affettuosa negli occhi neri di Mikasa svanì e il suo sorriso cadde. Boruto studiò il suo volto. Si rese anche conto, in quel momento, che se Mikasa avesse compreso che stava mentendo per proteggerla e trattenerla dalla battaglia lei lo avrebbe fatto a pezzi. Letteralmente.

“È personale,” aggiunse. E lo era, non era una bugia.

Mikasa lo osservò con attenzione. Poi sospirò. “Va bene,” disse, chiudendo gli occhi. Ma Boruto aveva imparato abbastanza nei suoi venti anni di vita da sapere che le parole ‘va bene’ significavano cose molto diverse per un uomo rispetto che per una donna. Mikasa non era per niente contenta all’idea di lasciarlo combattere da solo. “Ma se ci saranno problemi verrò lo stesso.”

Boruto sorrise, emettendo un sospiro di sollievo. “Non posso chiedere di meglio,” disse, ed era vero. Il biondo si strinse il mantello sulle spalle e diede a Mikasa un bacio sulle labbra prima di partire. Poi, quando fu pronto per entrare in scena, non combatté la sensazione di trazione sullo stomaco quando sentì che Lucy lo stava convocando sul campo di battaglia.
 


20 Novembre, 0021 AIT
Terra del Vapore, Valle dell’Inferno
07:39


BATTAGLIA PER LA TERRA DEL VAPORE

Sentoki respinse un’altra ondata di quegli adoratori del figlio della Dea e tenne lo sguardo fisso sul Yukage mentre esso tesseva cinque sigilli con le mani, mordendosi il pollice e sbattendo il palmo della mano a terra. Scoccò un’occhiata a Shikamaru e i suoi compagni. Quei tre pargoli stavano combattendo audacemente nella loro battaglia, e Sentoki era certo che senza interferenze esterne ne sarebbero alla fine emersi vincitori.

Ma se c’era una cosa che aveva imparato nella sua lunga vita, essa era che non poteva essere troppo ottimista. Sapeva che questa battaglia non sarebbe stata così facile. La vita non lo era mai. Ecco perché in così tanti cercavano sempre di sfuggire alle regole del Cerchio. Una nuvola di fumo bianco come la neve esplose nel punto toccato dal Yukage, e da essa sbucò fuori un uomo biondo il cui volto era conosciuto da ogni uomo, donna e bambino in tutto il continente. E quando il fumo si dissolse, il suo più grande avversario si fece infine avanti dinanzi a lui, dopo tutto questo tempo in cui lo aveva creduto morto.

Colui che era stato incaricato di combattere. Colui che era il Campione dell’Oscurità di questo mondo. Colui che aveva rifiutato sia la Luce che il Buio. Colui che possedeva dentro di sé l’anima più terribile di tutte.

Il Figlio della Morte era arrivato.

Boruto Uzumaki, il Kurokage dell’Impero.

Sentoki fece un respiro profondo mentre chiudeva gli occhi, e si voltò per affrontare la nuova minaccia. Dietro di lui, uno dei pargoli che lo accompagnava stava imprecando per il timore. Sentoki sorrise con affetto. Quello dai capelli neri, Shikamaru, aveva un’anima giovane. Un’anima troppo attaccata al Cerchio. Avrebbe imparato col tempo a distaccarsene, lui lo sapeva, ma sarebbe stato doloroso.

Quando il monaco riaprì gli occhi, non fu col suo corpo, ma con il suo spirito. L’occhio della sua mente vedeva tutto, sia all’interno del Cerchio che fuori. Una visione di paradiso dorato si profilava davanti a lui, indicibile e inconoscibile nella sua bellezza e serenità. Sentoki bevve in profondità dal suo chakra, lasciando che l’energia dorata e splendente dimorasse all’interno del suo corpo mortale. Il suo spirito si protese in avanti, e Sentoki lo guidò verso il giovane figlio dell’Hokage.

E quando lo vide, ogni dubbio nella sua mente venne dissolto come fumo. Sentoki sapeva che l’Hokage possedeva dentro di sé un’anima antica, primordiale. L’anima di uno dei suoi figli, di Ashura. Un’anima più potente e ardente di qualsiasi altra che lui potesse percepire in questo mondo. Era piuttosto appropriato, quindi, che anche quella del suo figlio reietto fosse altrettanto antica. Ma, a differenza dell’Hokage, la sua anima era molto più primordiale, molto più oscura, anche se non altrettanto potente.

Il monaco sorrise con dolore. Migliaia e migliaia di vite nuotarono dinanzi a lui, e Sentoki visse e respirò ognuna di esse come se fosse stato lui a viverle in prima persona. E quando guardò nuovamente Boruto, vide alle sue spalle una massa di corpi oscuri e volti ombrosi, talmente numerosi e confusi da essere innumerevoli. Si fermavano dietro di lui, ondeggiando, urlando e piangendo, poiché Sentoki sapeva che le vite passate stavano sempre dietro alla persona, ognuna di esse che portava la sua esperienza nel Cerchio. E anche se il suo giovane avversario non riusciva a capirlo, esse lo stavano modellando ancora oggi. Echi di vite vissute, amori perduti, e sofferenze indicibili che attraversavano l’eternità da una vita all’altra.

Questo, e molto altro ancora, era Boruto Uzumaki, il Campione della Morte.

Boruto era un potente guerriero del Cerchio, e Sentoki lo sapeva. Lo comprese, ancora una volta, quando un lampo di energia oscura guizzò fuori da lui, così accecante per gli occhi della sua mente da fargli quasi venire voglia di ritrarsi e fuggire. Ma il monaco non poteva fuggire, non poteva ritrarsi. Era il suo dovere, la sua missione, e doveva portarla a termine.

Così, ardendo di determinazione, versò altro chakra dorato nel suo costrutto di energia. E l’immensa mole del Bodshattva (Buddha Gigante) che incombeva dietro di lui crebbe ancora di più.

Avrebbe avuto bisogno di tutta la forza che aveva se voleva sconfiggere il Figlio della Morte.
 


Boruto rimase a bocca aperta mentre il costrutto di chakra dietro al monaco capo del Tempio del Fuoco cresceva a dismisura, raggiungendo delle dimensioni inimmaginabili. Incombeva su di lui e sugli altri come un Dio sceso sul piano mortale, immenso come la montagna più alta, gettando su di loro la sua ombra. Persino un Bijuu (Demone Codato) impallidiva dinanzi alle sue dimensioni. Mai, in tutta la sua avventurosa vita, il Nukenin aveva visto una cosa simile. Le braccia del costrutto erano immense e innumerevoli, troppe per poter essere contate, come le costellazioni nel cielo notturno. Era… Era incredibile, indescrivibile. Sembrava un immenso Buddha dalle infinite braccia, talmente grande da riuscire a toccare i cieli con le sue dita.

E se Boruto avesse voluto indovinare, avrebbe scommesso che c’erano più di mille braccia in quel costrutto. Forse persino di più.

La realizzazione di ciò bastò a gettare la sua mente nel sospetto e nel terrore. Quell’uomo, chiunque esso fosse, non era normale. Non aveva idea di come si chiamasse, non sapeva da dove fosse venuto, ma di una cosa era sicuro: era pericoloso. Immensamente pericoloso. Quel monaco possedeva un potere che trascendeva di gran lunga le sue aspettative, e il suo Jougan glielo stava facendo comprendere sempre più mano a mano che lo studiava. Quell’uomo… era un ostacolo.

Un ostacolo da dover abbattere prima che fosse troppo tardi.

“Lucy! Shizuma! Occupatevi degli altri,” comandò Boruto. “Voglio che Shikamaru sia preso vivo. Sono stato chiaro?”

“Sì, boss!” esclamarono entrambi, brandendo le loro armi e scattando all’azione.

Boruto fece un passo in avanti, avvolgendosi nel chakra bianco-blu della sua Scia Scattante di Fulmini, mentre Shizuma e Lucy correvano verso il Team 10 per affrontarlo. Fulmine allo stato puro prese a guizzare nel suo corpo, scattando, sibilando, ruggendo. Cantando una canzone familiare e nostalgica. I suoi capelli si rizzarono, e un leggero calore esplose sulle sue guance mentre le sue cicatrici s’infiammavano, increspandosi ancora di più. Poi, aprendo il Jougan e svuotando la mente, il Nukenin fronteggiò il misterioso monaco con uno sguardo glaciale.

Passarono due secondi di silenzio.

Poi, la battaglia esplose come un cataclisma.

Boruto avanzò, più veloce di una saetta di fulmini, e si lanciò contro Sentoki.

Non gli si avvicinò nemmeno. La pulsione del suo Jougan fu l’unico avvertimento che ricevette. Migliaia di pugni, dorati e inviolabili, gli piovvero addosso in meno di un millisecondo. Per quanto grande fosse, la costruzione di quel monaco era mostruosamente veloce. Boruto sollevò le braccia in guardia e affondò i talloni nel terreno mentre il primo pugno gli si collegava contro. La pietra sotto di lui si spezzò e si frantumò, la differenza tra la loro forza visibile come quella tra un uomo e una donna. Il Nukenin fu fisicamente scaraventato attraverso interi strati di terra, radici e roccia, mentre il pugno d’oro lo schiacciava a terra senza pietà.

Boruto comandò che la sua Scia di Fulmini cambiasse intensità. Era più lento adesso, ma lo rendeva più forte e resistente. Rapido come aveva colpito, il pugno di chakra dorato si ritirò. Boruto mutò nuovamente la Scia di Fulmini, aumentando completamente la sua velocità, e sfrecciò fuori dalla tana in cui era stato intrappolato prima che altri pugni potessero piovere su di lui. Aveva appena raggiunto la cima del buco quando il palmo di un secondo pugno sì schiantò nuovamente contro di lui, investendolo con tutta la forza di un Dio.

Boruto tentò inutilmente di mettersi in guardia per bloccare l’attacco. Si schiantò contro il possente arto del costrutto, spingendo a sua volta contro la mano che lo assaliva, scavando i talloni nel terreno e ruggendo ferocemente.

Tuttavia, fallì.

Il giovane grugnì quando la sua forza lo abbandonò e il suo corpo crollò a terra. Il palmo dorato, tuttavia, non si fermò affatto. Continuò a schiacciarlo, spingendo di lato e trascinandolo assieme ad esso. Lo frantumò a terra come se fosse una carta da appiattire, trascinandolo lungo il terreno senza sosta. Boruto strinse i denti mentre sentiva le pietre frastagliate strisciare attraverso la sua armatura di fulmini e leccargli la pelle esposta.

Alla fine, il colpo raggiunse la sua massima estensione. Boruto rotolò nell’aria mentre lo slancio lo portava in avanti, impedendogli di fermarsi. Si schiantò contro una rupe in lontananza e poi continuò ancora mentre il foro attraversava la montagna. Emise un grugnito di dolore – una sensazione insolita, che ben poche volte aveva provato quando era immerso nella sua cappa elettrica – e costrinse il suo corpo a muoversi. Se fosse rimasto fermo, quel monaco lo avrebbe travolto di nuovo.

Il guerriero tuonò in avanti, lontano dalla sua prigione di pietra, e atterrò di nuovo sul campo di battaglia nello spazio di tempo tra un battito di cuore e l’altro. Si lanciò contro Sentoki, il braccio teso e il pugno piegato in un singolare colpo appuntito del Pugno Gentile.

Un ennesimo palmo d’oro lo travolse, catapultandolo via e allontanando il respiro dai suoi polmoni. Boruto atterrò a trecento metri di distanza, l’impatto che gli fece gemere le ossa, e caricò di nuovo contro il monaco. Gli si avvicinò un po' di più, questa volta, prima che il palmo di una mano immensa lo colpì sulla schiena e lo bloccò a terra. Boruto si morse la lingua, strangolando un grido di dolore, mentre un secondo pugno dorato si abbatté su di lui dopo che il primo palmo si ritirò.

Il Nukenin ringhiò, ferito e furioso, mentre il pugno si ritirava. Balzò in piedi, i suoi sensi aumentati dalla rabbia, dalla sete di vendetta e dall’elettricità urlante, e schivò l’imminente colpo di palmo che cercava di spazzarlo via grazie alla pulsione del suo occhio destro. Saltò attorno al braccio d’oro e si lanciò contro Sentoki, giungendogli a non più di un metro di distanza. Poteva vedere un fuoco ardere negli occhi neri come il carbone del monaco, calmo e determinato. L’uomo calvo sollevò entrambe le mani, stringendole assieme come in preghiera, e si preparò mentre altre due possenti mani del costrutto imitavano il loro padrone, guizzando addosso a Boruto e schiacciandolo tra loro.

I due immensi palmi si scontrarono e unirono assieme con un boato secco, con Boruto ben stretto e intrappolato tra loro, potenti come due montagne che si scontravano a vicenda. Se fosse stato qualcun altro a subire quel colpo, sarebbe stato sicuramente ridotto ad una poltiglia insanguinata. Ma lui era Boruto Uzumaki, e non si sarebbe lasciato sconfiggere da un monaco. Trattenendo i palmi che lo schiacciavano con entrambe le mani, l’Uzumaki si preparò ad attaccare di nuovo, ma quando le immense dita del costrutto si aprirono, esse calciarono via Boruto come una formica, spendendolo a terra con una forza concussiva che lo lasciò senza fiato.

Boruto vide il nero invadere la sua visione. Ammiccò con le palpebre e sollevò gli occhi per vedere le vesti bianche che si agitavano attorno a Sentoki mentre l’uomo saltava in cielo. Il monaco allungò un braccio all’indietro e spinse il palmo in avanti. Gli occhi di Boruto si sgranarono quando incrociò istintivamente le braccia in una solida guardia che riuscì a bloccare appena in tempo un altro palmo d’oro prima che lo colpisse con tutta la sua forza.

Era come se una montagna gli stesse piovendo ripetutamente addosso. Il Nukenin gemette di dolore e riuscì a sentire le ossa delle sue braccia piegarsi contro la forza del costrutto d’oro. Non poteva continuare a bloccare gli attacchi, o avrebbe finito per spezzarsi le ossa.

Quindi, non lo avrebbe fatto.

Con un comando mentale, carne e sangue divennero chakra e lampi. Poi, con uno scatto raccapricciante, tutto il suo corpo divenne letteralmente Fulmine, attivando lo stadio successivo della Scia di Fulmini. Cinguettando famelicamente, l’elettricità attorno a lui divenne più frenetica che mai, cominciando a divorare ogni cosa senza sosta. Ed infine, con un rombo di tuono, tutto il mondo attorno a lui divenne ancora più lento e immobile. Adesso, adesso era un Dio a sua volta. Era diventato il Dio del Fulmine.

E il Dio del Fulmine non aveva bisogno di bloccare.

Con una velocità indescrivibile a parole, Boruto tuonò in avanti, il dolore del suo corpo dimenticato, e colpì Sentoki come un fulmine che pioveva giù dal cielo. Tuttavia ringhiò di frustrazione – un suono simile a un rombo di tuono – mentre le sue dita eteree si fermavano a pochi millimetri dalla gola di Sentoki. Un ennesimo palmo dorato lo aveva colpito appena prima di raggiungerlo, facendogli letteralmente esplodere il suo corpo elettrico.

Boruto non voleva crederci.

Il secondo stadio della Scia di Fulmini era più veloce di qualsiasi Dojutsu (Arte Oculare) ed era in grado di sopraffare persino la percezione preternaturale e le capacità sensoriali dell’Arte Eremitica. Era il suo asso nella manica! La Tecnica con cui era riuscito a sconfiggere Darui e la Nuvola, diversi anni prima! Ma allora come faceva quell’uomo, un misero monaco senza nome che passava le sue giornate a pregare, a tenere il passo con lui?

Era impossibile, inconcepibile, inaccettabile.

Boruto riformò il suo corpo ad una certa distanza dal nemico e tuonò di nuovo in avanti.
 


Sentoki lo comprese.

Era deciso e determinato. Era compassionevole e crudele. Era orgoglioso e dispettoso. Possedeva un’intelligenza astuta, fulminea, irremovibile nel perseguimento del suo obiettivo. C’erano anche l’altruismo, e la volontà di sacrificarsi per il bene superiore. Aveva coraggio, talmente tanto da riuscire a stare da solo contro il mondo senza battere ciglio. Aveva lealtà, duramente conquistata ma corazzata più che mai. Possedeva perseveranza, per continuare a combattere contro ogni previsione anche quando un’anima minore si sarebbe arresa. La giustizia guidava la sua mano, nata da un desiderio genuino di vedere il mondo dell’uomo in pace. Ma soprattutto, forse più di ogni altra cosa, lui amava, e forse per questo era così incredibilmente debole e potente allo stesso tempo.

Tutto questo e molto altro che Boruto possedeva dentro di sé, Sentoki lo comprese.

La loro era una battaglia di anime antiche, intrappolate nell’eterna lotta del Cerchio. Lo spirito di Sentoki si unì a quello del suo avversario, e visse, e capì. Non ci poteva essere inganno, solo potere. Nessuna finta, solo inevitabili attacchi aggressivi.

E la potenza del Bodhsattva dalle mille braccia non sarebbe stata negata.

Sentoki lanciò in avanti le sue mille braccia d’oro, mentre Boruto tuonava contro di lui come un Dio del Fulmine sceso sulla Terra. Ognuna di esse colpì, guidata dalla propria comprensione del Cerchio, e ognuna di esse si scontrò a sua volta con un inflessibile Boruto. Sentoki lo comprese. Lo comprese, e lo capì. Boruto non poteva arrendersi, e non si sarebbe arreso.

Il pugno dorato incontrò i fulmini viventi, più e più volte, più velocemente di quanto un corpo mortale potesse comprendere. E ancora, e ancora, e ancora; sempre più veloce, fino a quando l’aria divenne macchiata d’oro e di blu con il loro stesso chakra. Lentamente, di secondo in secondo, l’oscuro passato dietro al suo avversario divenne sempre più chiaro mano a mano che si scontravano, e Sentoki vide e visse e comprese ogni cosa, sempre di più.

Boruto gli si stava avvicinando.

Uomini, donne e bambini, alcuni vecchi quanto il chakra stesso e altri che avrebbero potuto essere nati appena un secondo fa. Uomini abbronzati della Terra del Fulmine, donne dai capelli blu della Terra della Pioggia, anziani della Terra del Gelo, e altri, moltissimi altri, talmente tanti ancora da essere incalcolabili.

Era sempre più vicino.

Un giovane ragazzo con i capelli castani e gli occhi azzurri come il cielo.

Ancora più vicino.

Una donna pallida con fluenti capelli dorati e occhi verdi come smeraldi.

A pochi millimetri di distanza.

Un uomo con i capelli neri e gli occhi rossi come il sangue.

Lo stava per raggiungere.

E poi, infine, un dolore così immenso da togliergli il fiato.

Sentoki esitò mentre un rivolo di sangue piangeva da una sottile ferita sulla guancia del suo corpo mortale.

Chakra dorato e splendente sbocciò alla vita attorno a lui, mentre Sentoki spingeva in avanti tutte le migliaia di braccia del suo Buddha. Un arco di fulmini scivolò rabbiosamente verso di lui, come un serpente, intrecciandosi tra le sue braccia dorate – tutte quante le sue braccia – e lanciandosi avanti con un sibilo tonante.

Sentoki sollevò una mano del suo vascello mortale, incapace di difendersi dal pugno disumano che lo centrò in piena faccia, prima di percepire un dolore lancinante al suo braccio sinistro. Cadde in ginocchio, il dolore che echeggiò attraverso il suo corpo, attraverso la sua mente, e attraverso il suo spirito, sputando sangue dalle labbra mentre tutto il suo arto cadeva a terra in una pozza di sangue, completamente reciso dalla spalla. Si voltò, di scatto, per affrontare Boruto, il suo avversario che si stava coalizzando dinanzi a lui in un orribile miscuglio di fulmini a forma di uomo. Un paio di occhi, azzurri e penetranti, fissavano la sua stessa anima con uno sguardo solenne e imperioso. E dietro di lui, ce n’erano altri: occhi color ambra, blu, castani, grigi, verdi, neri e rossi; talmente tanti da essere incalcolabili.

E infine, un solo, singolo occhio elettrico e fosforescente torreggiava sopra tutti gli altri. Un occhio inquietante e solenne che lo fissava, imponente, con uno dei doni che Sentoki conosceva molto, molto bene: l’Intuizione.

La comprensione immediata di tutte le cose.

E quando comprese come stavano le cose, un orrore indicibile emerse nella mente di Sentoki.

Il portatore dell’occhio maledetto si era imbattuto nel Sentiero per la Comprensione.

Il portatore dell’occhio maledetto si era proteso, esattamente come lui, e aveva capito.

Il portatore dell’occhio maledetto aveva appreso l’Arte del Ninshū, e la stava usando nella ricerca del dominio.

Boruto Uzumaki lo aveva raggiunto.

“Io ti vedo,” sibilò il biondo, la sua voce fredda e minacciosa. “Otsutsuki.”

Sentoki trasalì, rimettendosi in piedi. Questo, lui non poteva permetterlo. I suoi insegnamenti, tutto ciò che aveva appreso nella sua vita, tutto ciò che aveva tramandato agli uomini nei secoli passati, era stato esattamente per prevenire questo. Il suo credo, la sua vita, ogni uomo, donna e bambino che erano venuti prima e dopo di lui e che credevano come lui, avevano combattuto per impedire alla Comprensione del Saggio di cadere nelle mani di coloro che l’avrebbero usata per fare del male.

Eppure, era successo.

Boruto Uzumaki possedeva l’occhio maledetto. L’occhio maledetto conferiva il dono dell’Intuizione. E adesso, per colpa sua, l’Intuizione lo aveva portato alla Comprensione.

Boruto Uzumaki era diventato il nuovo Eremita delle Sei vie.
 


Boruto lanciò un’occhiata al braccio sinistro e fumante che aveva appena reciso dal monaco. La battaglia era bella che vinta, a condizione che nessuno sfoggiasse qualche altra abilità disumana. Scoccò un’occhiata a Lucy e Shizuma. Erano entrambi immersi in un combattimento mortale con il padre di Shikadai e la sua squadra. Shizuma strillava furiosamente, cercando di colpire gli avversari con affondi variegati di spada. La madre di Inojin, invece, sembrava interamente relegata a difendere la sua squadra dagli attacchi fiammeggianti di Lucy e del Yukage, cercando di attirarli lontano dal padre di Chocho. Era un buon piano, pensò Boruto, ma non sarebbero riusciti a resistere a lungo.

Ma, di questo passo, nemmeno lui sarebbe riuscito a resistere. Sentoki – o meglio, Hagoromo, Boruto lo aveva compreso adesso – aveva dimostrato di essere un degno avversario. Lo aveva ferito, e il Nukenin stava iniziando a sentire il suo chakra scendere sotto ai livelli confortevoli per il suo corpo.

“Non so dove hai imparato a padroneggiare così bene il Ninshū, ma mi hai stupito, giovane Boruto,” disse Sentoki, la sua voce bassa e profonda con una qualità quasi sacra. Mentre parlava, il suo aspetto cominciò a mutare, mostrandosi per quello che era davvero: un anziano pallido e dagli occhi viola concentrici, vestito di bianco e con una lunga barba. “Sei il primo che è riuscito a ferirmi in questo modo.”

Il Nukenin posò di nuovo gli occhi su di lui, sorridendo con confidenza. “Non ho idea di quello che dici, vecchio. Ho semplicemente compreso ciò che stavi facendo durante la battaglia, e ti ho imitato,” disse ironicamente, mischiando la verità con la menzogna. “Deve essere stato grazie al Jougan, non è così? Mi hai detto tu stesso che esso mi conferisce il potere dell’Intuizione, ricordi?”

L’Eremita ridacchiò. “Sempre pieno di sorprese,” disse, scuotendo la testa con affettuosa incredulità. Poi si rimise lentamente in piedi, sorridendogli con tristezza mentre si reggeva il moncone con la mano per trattenere il sangue. “Avrei voluto ricontrarti sotto circostanze diverse, mio giovane amico.”

Boruto rispecchiò il suo sorriso. “Anche io… Hagoromo.”

L’Otsutsuki e l’Uzumaki si fissarono a vicenda per diversi secondi di silenzio, comunicando con gli occhi. Poi, alla fine, uno dei due si riscosse. “…non hai intenzione di arrenderti, vero?” chiese eventualmente l’anziano essere.

Il giovane scosse la testa. “No. Non posso farlo. Non posso fermarmi. Tra tutti, credo che tu sia l’unico che possa riuscire a comprendermi. Non è così?”

Hagoromo annuì lentamente, il suo sorriso che si faceva sempre più triste mano a mano che passavano i secondi. “Nemmeno io posso fermarmi, purtroppo,” ribatté.

Boruto fece un cenno col capo. “Te l’ha chiesto lei, vero?” domandò, sapendo già la risposta. “Hikari. L’ho vista assieme a te mentre stavamo combattendo. È stata lei a mandarti qui da me. Vuole che tu mi uccida.”

“Non mi ha mai chiesto di ucciderti,” lo rassicurò prontamente l’altro. “Solo di fermarti.”

“È la stessa cosa. Non mi fermerò finché avrò vita, vecchio. Lo avrai compreso anche tu, a questo punto.”

Hagoromo sorrise, il suo sguardo saccente e determinato. “Lo vedremo,” disse, mentre ritornava a celarsi sotto i panni di Sentoki. “Ma volente o nolente, oggi tu ti unirai al Cerchio, qui ed ora.”

Boruto ignorò il dramma dell’Eremita, senza dare peso alle sue parole. Aveva imparato a diffidare dei suoi pensieri sin dai tempi di Eldia, ed era una lezione che era rimasta sempre con lui. Si preparò a sferrare il colpo decisivo adesso che si era abituato al costrutto di chakra dell’anziano.

Sentoki tenne il suo braccio sano davanti a sé, la mano tesa verso il cielo come in preghiera, e chiuse gli occhi. Si avvolse in un chakra dorato circondato da pura energia bianca. Il suo costrutto dalle mille braccia si sollevò a sua volta, e le labbra delicate della donna si aprirono per rivelare un vuoto d’oscurità che sembrava divorare tutta la luce.

Gli occhi di Boruto si sgranarono.

Una piccola luce sgorgava nell’oscurità, iridescente e prismatica.

Poi, senza preavviso, la donna d’oro urlò, alta e acuta, e il mondo venne spazzato via in un mare di accecante luce bianca.

Boruto dissolse la sua Scia di Fulmini in un istante, ignorando i dolori che lo stavano assalendo di secondo in secondo, e attivò il chakra del Marchio di Ishvara per forgiare le Catene d’Amianto del suo clan. Cinque di esse lo circondarono completamente, creando una barriera di chakra luccicante color nero che nasceva tra le maglie delle catene. Qualcosa di incredibilmente potente sbatté contro la sua barriera, come una roccia che vene lanciata da una montagna. Immediatamente, il suo chakra cominciò ad appassire sotto l’assalto. La barriera divenne deformata e distorta, come se fosse schiacciata da ogni direzione, e Boruto sentì un fragoroso tonfo echeggiare nel suo cranio mentre il mondo attorno a lui veniva rovesciato e distrutto oltre ogni descrizione.

Oltre che a sollevare le braccia per proteggere gli occhi dalla luce accecante, Boruto non poté fare altro che sopportare e sperare che la sua barriera potesse resistere. I suoi respiri si fecero rapidi e stanchi mentre sempre più chakra lo abbandonava per mantenere attiva la difesa, travolta da ondate su andate di assalti da parte di Sentoki. Sembrò durare per minuti, ma il Nukenin sapeva che non c’era nessun essere vivente capace di poter evocare così tanto chakra in un singolo attacco continuo, nemmeno i Demoni codati.

Anche se, in fondo, l’Eremita delle Sei vie non era un essere come tutti gli altri.

Boruto crollò in ginocchio, sopraffatto. Avrebbe dovuto rischiare, tentando di schivare invece che bloccare, ma era stato troppo titubante e cauto. Avrebbe dovuto portare Mikasa con sé, ma era stato un codardo. Con la sua presenza e il suo aiuto, forse la battaglia sarebbe stata molto più semplice. Ma aveva avuto paura, e la sua paura gli stava costando parecchio. Gli stava costando la vita.

Eppure, come per miracolo, proprio quando il chakra del Marchio si stava avvicinando pericolosamente all’esaurimento, l’attacco finì e la luce si ritirò. Boruto non aveva quasi più forze per restare in piedi. Rimase senza fiato, e costrinse il suo Jougan ad aprirsi di nuovo.

I suoi occhi si sgranarono.

Il paesaggio dietro di lui, a parte una sottile striscia che era rimasta all’ombra della sua barriera, era stato completamente spazzato via. La foresta, le famigerate pozze della Valle dell’Inferno, e persino le radici della montagna. Tutto era andato, sparito, cancellato, come se non fosse mai esistito.

Boruto strinse i denti e si alzò in piedi, raggiungendo in profondità le sue ultime riserve di chakra. Davanti a lui, Sentoki era pallido e respirava affannosamente, il suo braccio buono che si stringeva attorno al moncone dell’arto sinistro dove era stato smembrato. Il giovane fece un passo in avanti, ed un lampo elettrico si inarcò attorno al suo braccio, radunandosi poi sul palmo della mano. “Addio, Eremita,” sussurrò lentamente.

Sentoki lo guardò, sorridendo con confidenza.

Poi, accadde qualcosa.

“Boruto! Attento!” gridò il Yukage alla sua destra.

Boruto ringhiò, infastidito, avendo percepito l’attacco grazie al suo Jougan. Con uno sforzo di volontà immenso, saltò lontano da lì e schivò uno stivale dalle dimensioni enormi, avvolto da un chakra azzurro con motivi blu scuro che precipitavano attorno ad esso. Il padre di Chocho era diventato – letteralmente – un gigante, ma era magro e aveva due… due ali, come quelle di una farfalla, che spuntavano dalla sua schiena.

Choji raccolse il corpo esausto di Sentoki tra le mani, Shikamaru e Ino che cavalcavano sulle sue spalle, e poi si lanciò in uno scatto saltellante lontano dal campo di battaglia. Boruto scattò debolmente alla rincorsa, evocando un pugno di shuriken e kunai dal Sigillo si contenimento sul suo braccio. Li scagliò verso il dorso del gigante in ritirata, cercando di colpirlo in un punto vitale.

Eppure, una grossa ombra d’inchiostro nero guizzò alla vita in quel momento, sferzando l’aria e deviando tutti i colpi prima che potessero colpire il bersaglio. E mentre i suoi avversari si allontanavano, Boruto vide un piccolo, compiaciuto sorriso sul volto di Shikamaru. Un sorriso che lui conosceva molto bene. Lo stesso che aveva visto in faccia a Shikadai durante le sue partite a scacchi quando era prigioniero della Foglia. Quel sorriso marchiato Nara estremamente irritante, che diceva al mondo intero: “Sono più furbo di te”.

E la cosa doppiamente frustrante… era che aveva ragione.

Boruto lanciò al cielo un grido rabbioso.

“Boss!” Shizuma apparve davanti a lui assieme al Yukage e Lucy, gli occhi sgranati e confusi. “N-Non siamo riusciti a trattenerli! Ci stanno scappando! Dobbiamo fare qua-”

Boruto non volle ascoltarlo. Gli sferrò una scarica elettrica col pensiero, fulminandolo e zittendolo all’istante, fissando il punto dove erano spariti i suoi avversari con uno sguardo rabbioso.
 
 







 

Note dell’autore!!!

Ciao a tutti, ecco a voi il nuovo capitolo. Spero che possa esservi piaciuto almeno un po'.

Finalmente iniziamo a vedere l’avventura del trio Ino-Shika-Cho. E come in molti avevate già compreso, Sentoki non è un OC. È semplicemente l’Eremita delle Sei vie, mandato sulla Terra da Hikari per fermare Boruto. Perché è stato incaricato di fermarlo? Per adesso è un mistero, ma ben presto il motivo verrà rivelato. In questo capitolo abbiamo ricevuto numerosi indizi al riguardo di esso e della maledizione di Boruto, ma la verità verrà completamente spiegata in futuro, ve lo garantisco. E sarà molto più semplice di quel che potreste pensare. Non ho intenzione di rendere la storia troppo confusa e intricata, fidatevi.

La questione dell'Intuizione era già stata rivelata nella Battaglia di Eldia, se ben vi ricordate. Non è una nuova scoperta, quindi spero di non avervi confuso troppo. Nel caso potete rileggere come fuziona nei capitoli di quella storia.

I monaci Ninja e il Tempio del Fuoco esistono davvero nel mondo di Naruto, così come la Tecnica del Buddha di Hagoromo. Non le ho inventate io, e sono canoniche al 100%. Come abbiamo potuto vedere, Sentoki è decisamente potente. Qui Boruto ha avuto la meglio, ma sappiate che l’Eremita si è trattenuto ed ha esitato durante la battaglia. Era più intento a cercare di scoprire qualcosa sul Nukenin che a ferirlo.

Non date troppo peso agli accenni delle vite passate di Bolt. Sono semplicemente questo: le sue incarnazioni passate. Esattamente come Naruto e Sasuke hanno avuto le loro. Non hanno quasi nulla a che fare con lui, ma ci tenevo a inserirle brevemente poiché, dato che l’anima di Boruto è antica, esse lo influenzano inconsciamente nelle sue azioni. Nella mia storia non spiegherò come funziona l’aldilà o la reincarnazione, dato che sono già spiegate nell’opera originale di Kishimoto, ma sono comunque presenti. Avremo invece maggiori dettagli sul Cerchio e il Ninshu, ve lo assicuro. Tuttavia se avete domande al riguardo di questi misteri appena svelati, ovviamente potete farmele senza nessun problema.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo. A presto!

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Capitolo 19
*** Paura e Rimorso ***


PAURA E RIMORSO





22 Novembre, 0021 AIT
Terra delle Cascate
20 Km al Confine
12:12

Shikadai si lasciò guidare da Himawari lungo i sentieri di uno degli innumerevoli boschi di questa sperduta Nazione. Fece ciondolare la testa, gli occhi chiusi con pesantezza, la sua mente che si contorceva nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni. Era da due giorni che lui e la sua squadra, comandata da Konohamaru-sensei, si erano messi in viaggio per raggiungere il nascondiglio di Saiken, il Rokubi (Esacoda) uno degli ultimi Cercoteri liberi rimasti. E anche se prima di partire avevano ricevuto delle linee guida da seguire, il loro compito si stava rivelando più arduo del previsto.

La Terra delle Cascate era un posto ostile. L’aria era calda e umida, perennemente tartassata dai venti provenienti dalla confinante Terra del Vento, e tutto il Paese era immerso in una vegetazione fitta e rigogliosa che rendeva difficile l’avanzamento. Gli alberi tropicali erano alti e dai rami sottili, troppo delicati per poterli usare come appigli, e attiravano uno sciame fastidioso di insetti ad ogni ora del giorno e della notte. Tuttavia, ciò che stavano cercando non si trovava all’interno di una foresta. La terra sotto i loro piedi, infatti, era letteralmente puntellata da crateri, buchi e gallerie nascoste per tutta l’estensione del Paese, talmente tante da essere incalcolabili, e talmente profonde da poter permettere persino ad un Demone codato di nascondervisi dentro con efficacia.

Ed erano efficaci, eccome. Era da ore che stavano cercando un ingresso, senza riuscire a trovarlo. Shikadai non riusciva a crederci. Come aveva fatto il Rokubi a nascondersi sotto terra se nemmeno loro riuscivano a trovare un ingresso per accedervi? Era inconcepibile.

“Ehi,” la voce di Himawari lo richiamò alla realtà, facendolo riscuotere. “Cerca di stare attento. Siamo quasi arrivati all’accampamento, e l’incontro sta per iniziare. Sei il secondo in comando. Tieni alta la testa.”

Il Nara sorrise con imbarazzo, grattandosi nervosamente la nuca al richiamo. Sapeva che Himawari non lo stava rimproverando, ma faceva sempre effetto sentirla essere così schietta in ogni occasione.

Era sempre così quando stava con Himawari. Ogni volta che si distraeva o s’immergeva nei suoi pensieri, ci pensava lei a risvegliarlo senza pensarci due volte. Era una cosa che ammirava molto della giovane, oltre che al suo carisma, al suo carattere e la sua bellezza. Anche se il suo temperamento era giusto un tantino esagerato, alle volte. La sua ragazza non si faceva scrupoli a dire sempre ciò che pensava, ed era estremamente schietta e diretta con tutti. Forse, Shikadai ne era certo, era esattamente per questo che si completavano così bene. Mentre lui era pigro e distratto, lei era diretta e decisa. Un po' come anche sua madre e suo padre, dedusse.

Vi fu un pesante senso di solennità mentre si avvicinavano all’accampamento nella foresta. Non era niente di che, giusto un paio di tende da notte e qualche attrezzatura da viaggio buttata qua e là, ma era stata la loro base di ricerca per gli ultimi due giorni. Una volta arrivati, gli altri membri della squadra li accolsero in silenzio, facendogli un cenno col capo. Konohamaru era seduto davanti un piccolo computer portatile, affiancato da Sakura. Alla loro sinistra stavano Sarada e Sumire. Alle loro spalle, Inojin e Chocho erano presenti a loro volta, le espressioni solenni e guardinghe. E sullo schermo del portatile, il volto dell’Hokage era collegato in diretta, intento a discutere con Konohamaru.

Al vedere i suoi due compagni di Team, Shikadai dovette reprimere un brivido. Ricordava ancora con sconcertante orrore il modo in cui Boruto li aveva quasi uccisi, quella volta, durante la sua fuga dalla Foglia. E sebbene si fossero entrambi rimessi da un pezzo, Shikadai aveva paura che una cosa del genere potesse succedere di nuovo, e non solo con loro, ma con tutti gli altri. Cosa avrebbero fatto se avessero davvero trovato il Bijuu e Boruto fosse comparso per catturarlo? Sarebbero davvero riusciti a sconfiggerlo? Avrebbero potuto avere la meglio?

Quasi come a leggergli nel pensiero, Himawari gli afferrò una mano con la sua e la strinse con forza, facendolo trasalire. Gli rivolse un sorriso determinato, facendogli un cenno del capo.

Shikadai esitò, ma non riuscì a trattenere a sua volta un sorriso. Cavolo, quanto era grato ad Himawari per la sua presenza. Solo lei riusciva ad infondergli quella scurezza quando era immerso nel timore. Si ricompose, scuotendo la testa e inspirando a pieni polmoni, cercando di calmarsi. Questa volta sarebbe stato diverso. Questa volta non avrebbe esitato.

La visione dei suoi amici insanguinati e morenti gli guizzò alla mente un’ultima volta.

Questa volta non avrebbe commesso lo stesso errore.

Sumire e Sarada fecero un cenno ad entrambi appena li videro, invitandoli ad avvicinarsi allo schermo mentre gli altri li aspettavano. Shikadai si rimproverò mentalmente per aver fatto ritardo. Non era saggio far attendere l’Hokage, nemmeno per un collegamento in diretta. Per sua fortuna però, nessuno sembrò commentare su questo fatto. E tuttavia, per sua sfortuna, avevano tutti delle espressioni cupe in faccia.

“Cosa c’è che non va?” chiese Shikadai, la sua mente che stava già andando nel panico.

Konohamaru esalò un sospiro dalle labbra. “Shikamaru e il suo Team sono arrivati nella Terra del Vapore,” gli disse senza preamboli, e Shikadai tirò un sospiro di sollievo. Era una cosa buona, no?

“Hanno incontrato Boruto e il Yukage,” dichiarò subito dopo il giovane Sarutobi.

Shikadai sentì il fiato uscirgli di colpo dai polmoni. Himawari fece scivolare le dita tra le sue, allacciandole con forza.

“Per fortuna,” li incalzò Naruto, lanciando un’occhiata di rimprovero al suo allievo. “Sono riusciti a fuggire. Si sono uniti a Sentoki, l’Abbate Supremo del Tempio del Fuoco, e quest’ultimo si è rivelato abbastanza potente da riuscire a trattenere Boruto mentre Shikamaru e gli altri affrontavano il Yukage. Non ci sono state vittime da ambo le parti, ma Sentoki ha perso il suo braccio sinistro.”

Il sollievo inondò il Nara come un fiume e Shikadai indietreggiò visibilmente, riscuotendosi. Perché l’ultima volta che si era sollevato, i suoi amici erano stati quasi uccisi. “È… tutto?” domandò, incerto.

Konohamaru annuì, imbarazzato. “Sì,” confermò. “Tuo padre e la sua squadra si sono ritirati e stanno cercando un modo per raggiungere la Terra del Ghiaccio.”

Sarada si fece avanti lentamente. “Allora, cosa hanno scoperto del Vapore?” chiese, cercando di assimilare le informazioni.

“La Terra del Vapore è probabilmente controllata dalla Rivoluzione. Tre membri dell’Organizzazione Kara l’hanno difesa, dopotutto. E Shikamaru ha scoperto che il Villaggio era ampiamente favorevole all’operato dei Kara prima dell’arrivo dei ribelli,” disse Naruto dallo schermo, allarmandoli non poco. “I ribelli sembrano essere difficili da controllare, e spesso diffondono la loro crudeltà sulla popolazione.”

“Allora cosa stiamo aspettando?” chiese Sakura, guardando il suo ex compagno di Team.

“Shikamaru e Sentoki dovrebbero collegarsi a momenti,” le rispose Konohamaru. “Stiamo aspettando il loro rapporto. Decideremo cosa fare una volta che saranno con noi.”

Shikadai, Himawari e tutti gli altri annuirono, ficcandosi le mani in tasca e dondolandosi nervosamente sulle gambe. Ci fu un silenzio teso e imbarazzante che si protrasse per diversi secondi, ma i loro pensieri vennero infine interrotti dal ronzio dell’elettricità statica. Shikadai si voltò verso lo schermo del computer, notando immediatamente il volto di suo padre e quello di un uomo calvo apparire affianco a quello dell’Hokage in un secondo riquadro sullo schermo.

“Pronto?” la voce di suo padre era interrotta dal ronzio statico. Poi, il segnale si stabilizzò meglio. “Mi sentite?”

“Ti sentiamo, Shikamaru,” disse Naruto, forte e chiaro.

Konohamaru si schiarì la gola. “Già, possiamo sentirti tutti,” aggiunse debolmente. “Qual è la situazione?”

“Una fottuta seccatura,” sospirò quello. Shikadai sorrise ironicamente. “Siamo ancora nei confini del Vapore. Boruto non è più comparso dopo la nostra ritirata, ma io e la mia squadra siamo rimasti nascosti per precauzione… fino ad oggi. Ci siamo imbattuti poche ore fa in un piccolo villaggio sul confine. Era uno degli ultimi centri abitati favorevoli alla nostra causa, ma ieri sera è stato assaltato dalle forze ribelli senza preavviso. Quasi un quarto del distretto principale è semplicemente sparito. Svanito. Come se non fosse mai esistito.”

Shikadai vide Sarada deglutire all’immagine cupa che suo padre stava dipingendo.

“Il numero delle vittime è ancora incerto,” disse ancora Shikamaru, sembrando verde – letteralmente verde – in faccia. “Stanno tirando fuori sempre più corpi dal fiume. L’acqua è ancora rossa per il sangue. Le stime indicano che i morti sono tra i cento e i duecento. I feriti sono il doppio. Fortunatamente, Ino e Choji stanno dando una mano con la squadra medica.”

Shikadai si sentì male fisicamente. Stava per vomitare. L’unica cosa che gli impediva di fuggire dal collegamento era la mano di Himawari che lo ancorava lì.

“Ma non è neanche la notizia peggiore,” continuò Shikamaru. “Abbiamo confermato che il Villaggio del Vapore era effettivamente controllato dai guerrieri. La mia squadra è stata respinta dal Yukage, Shizuma Hoshigaki e Lucy Heartphilia vicino alla periferia della città. E possiamo anche confermare che il Vapore ha ufficialmente reclutato soldati e mercenari, conferendo loro un sigillo che non gli fa provare dolore. Non so come o quando l’abbiano sviluppato, ma sembrava avere decisamente effetto. Deve esserci lo zampino del clan Uzumaki.”

“Merda,” imprecò Sakura. Naruto e Konohamaru sembravano altrettanto cupi.

“Nessuna notizia sui Demoni codati, però,” aggiunse suo padre. “Ma dato che la Terra del Gelo e quella del Vapore sono sotto il controllo della Rivoluzione, penso sia sicuro affermare che sono stati catturati da loro. Troppi poteri uniti assieme, e troppo vicini tra loro per essere solo una coincidenza.”

“Abbiamo bisogno di altre informazioni, Shikamaru,” insistette Naruto.

Shikadai sospirò quando suo padre chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli. “Ci proveremo,” disse. “Continueremo a cercare di infiltrarci nella Terra del Ghiaccio. Forse lì avremo più fortuna. Ma non posso sapere quanto successo avremo, comunque.”

Konohamaru annuì. “Facci sapere se scoprirai altro,” disse a sua volta. “Nel mentre, io e la mia squadra continueremo a cercare il Rokubi (Esacoda) e lo monitoreremo per difenderlo da eventuali attacchi. Poi ci divideremo per cercare il Nanabi (Eptacoda) e fare lo stesso.”

Il Settimo Hokage li guardò tutti con determinazione. “Teniamoci aggiornati.”

Shikadai fece un piccolo cenno alla telecamera, catturando il sorriso di suo padre, prima che il collegamento venisse interrotto.

E poi, tutto il peso delle responsabilità che portavano tornò a gravare sulle sue spalle.
 


22 Novembre, 0021 AIT
Confine della Terra del Vapore
Villaggio Distrutto di Kaido
12:30

Shikamaru sospirò, spegnendo il computer e portandosi le mani sul naso. Era ancora sfinito dalla lotta contro Boruto e il Yukage. Fisicamente, mentalmente, ed emotivamente… anche se il suo chakra si era in gran parte ripreso ormai. Ma ora, con la minaccia di doversi intrufolare nella Terra del Ghiaccio? Aveva appena aggiunto un’altra preoccupazione ad un elenco sempre più crescente di cose di cui doveva tener conto.

“Shikamaru?” disse Sentoki, attirando la sua attenzione.

Il Nara ammiccò con le palpebre, schiarendosi la vista. “Sì?”

“Vorrei parlare con te,” disse il monaco. “In privato, se posso. È un argomento di una certa importanza.”

Shikamaru fece un respiro profondo e annuì. “Certo,” gli concesse, scoccando un’occhiata ai suoi amici.

Ino e Choji annuirono subito. “Aspetteremo fuori,” disse Ino, prendendo Choji per un braccio e lanciando a Shikamaru uno sguardo rassicurante.

Mentre entrambi uscivano dalla casa distrutta che avevano usato come alloggio, Sentoki iniziò a brillare, emettendo dal corpo un’aura di chakra dorato. Pulsava e si espandeva di secondo in secondo, toccando le pareti della casa e conferendo loro una piccola luce dorata. Passarono due secondi di silenzio. “Adesso possiamo parlare liberamente senza paura di essere ascoltati,” lo informò il monaco.

Shikamaru annuì. Non sapeva che i monaci possedessero una Tecnica simile. “Di cosa vuoi parlare?” gli chiese senza preamboli.

“Boruto Uzumaki,” rispose Sentoki in tono succinto.

Quello sospirò. “Proprio lui, eh?”

“Vorrei farti alcune domande sul suo passato,” si spiegò Sentoki. “Sei un amico dell’Hokage e il principale consigliere della Foglia. E, al momento, la persona più facilmente accessibile in questa materia.”

“…giusto…” concesse Shikamaru, esitante.

Il monaco fece un respiro profondo, chiudendo gli occhi con solennità. “Boruto è mai stato religioso durante la sua infanzia?” chiese alla fine, senza preamboli.

Shikamaru si accigliò. “Beh… no, non proprio,” rispose, aggrottando le sopracciglia mentre pensava. “Per quanto ne so, Naruto e Hinata non hanno mai introdotto i loro figli ai sermoni del Tempio del Fuoco. Credono nella Volontà del Fuoco, come la maggior parte dei Ninja della Foglia. Questa è la cosa più vicina alla ‘religione’ che ho visto nella famiglia Uzumaki.”

“E che ne è di quando era un Ninja traditore? Cosa ha scoperto l’Intelligence e il Dipartimento di Tortura sul suo passato?” continuò Sentoki.

“Beh… probabilmente lo saprai già, ma Boruto e i suoi amici non hanno mai avuto a che fare col Tempio e i suoi insegnamenti prima che fondassero la loro Organizzazione.” Mentre parlava, il volto del monaco si fece sempre più pallido di secondo in secondo.

“Non mi piace…” sussurrò Sentoki.

Shikamaru si accigliò. “Cosa intendi dire?” chiese con sospetto.

Quello scosse la testa e agitò la mano. “Ti spiegherò più tardi,” si limitò a dire. “Che dire delle esperienze di pre-morte? Boruto è mai stato in una situazione del genere?”

Shikamaru rise, amaro e oscuro. Perché quello era tutto ciò che il figlio di Naruto aveva fatto nella sua vita. Infinite battaglie tra la vita e la morte con Kage o Demoni codati. “Sì, sempre,” rispose, sentendo quasi la mancanza del modo in cui Sentoki era solito incalzarlo mentre parlava. “La prima volta… credo sia stato nella Guerra Civile della Pioggia. Boruto e i suoi amici furono in parte responsabili dell’ascesa al potere dell’attuale regime. Poi hanno combattuto l’Ichibi (Moncoda) nella Terra del Vento. Orochimaru, quel viscido serpente, lo ha quasi ucciso subito dopo con un Sigillo Maledetto. E infine ha combattuto contro Naruto, riducendosi allo stremo dopo lo scontro. Lady Tsunade e Sakura l’hanno dovuto operare sotto i ferri per una settimana per rimetterlo in sesto. Quindi sì… ha avuto parecchie chance di lasciarci la pelle.”

Detto ciò, Shikamaru tacque, esalando un respiro sommesso. Nonostante tutto quello che era successo, preferì tralasciare il fatto che Boruto era stato quasi ucciso da un drago durante la Battaglia di Eldia. Quello era, a tutti gli effetti, un segreto che solo pochissime persone conoscevano, e non poteva rivelarlo in nessun caso. Nemmeno davanti ad un monaco come Sentoki.

Oh, se solo avesse saputo come stavano le cose.

Riscuotendosi dai suoi pensieri, il Nara guardò oltre e vide che il monaco era diventato innaturalmente pallido e aveva un’espressione di estrema costernazione in volto, guastandogli i lineamenti del volto. Qualcosa di pensante si insediò nel suo stomaco a quella visione. “Cosa c’è?” gli chiese immediatamente. “Perché mi stai ponendo queste domande?”

Sentoki lo guardò con attenzione. “Shikamaru, io sono il rappresentante del Tempio del Fuoco,” disse in tutta serietà, facendolo trasalire. “Come alleato della Foglia, sto chiedendo la tua massima segretezza. Quello che sto per dirti… potrai dirlo soltanto al tuo Hokage, e a nessun altro. Posso fidarmi?”

Shikamaru annuì cupamente, deglutendo in silenzio. Poteva percepire tangibilmente la minaccia e l’importanza di fondo nelle parole di quell’uomo.

Sentoki lo scrutò negli occhi con serietà, prima di sospirare ed iniziare a raccontare ciò che sapeva. “I monaci del Tempio, sin dall’inizio dei tempi, seguono la Fratellanza. Essa ha come punto focale la meditazione sulla vita e sul chakra stesso. Sostanzialmente, coloro che seguono la Fratellanza seguono gli insegnamenti dell’Eremita delle Sei vie. Tuttavia, c’è uno degli insegnamenti, una singola lezione che l’Eremita ci ha trasmesso, che abbiamo giurato di custodire in segreto con le nostre vite. Lo chiamiamo il Sentiero per la Comprensione, ed è la strada che tutti i monaci cercano di seguire. Il Ninshū, sostanzialmente, come spesso lo definite voi Shinobi,” spiegò, lento e solenne.

Il Nara rimase in silenzio. Ricordava ancora vagamente quando Naruto e Sasuke gli avevano spiegato qualcosa di simile dopo la Quarta Guerra Mondiale. Quando, apparentemente, avevano avuto modo di incontrare di persona questo Eremita delle Sei vie. Shikamaru aveva sempre creduto che non fosse reale, ma, beh… non aveva mai creduto nemmeno a Kaguya e Madara. Quindi, aveva imparato a mantenere una mente aperta dopo quegli eventi.

Il monaco fece un cenno col capo e proseguì. “Quando l’Eremita donò all’umanità il chakra, esso ci donò più della mera forza per lottare, difenderci e rendere le nostre vite più facili. Ci ha collegati. Ci ha uniti spiritualmente. Siamo tutti fratelli e sorelle nel Cerchio. È come una rete, che ci collega e ci lega tutti assieme. Grazie al chakra, siamo tutti collegati ad un livello profondo e spirituale,” disse.

Shikamaru annuì, prendendo in considerazione quelle informazioni ed archiviandole. Poi gli fece cenno di continuare.

“Il Ninshū, in pratica, è la capacità di percepire e leggere questa rete spirituale che ci collega tutti,” spiegò Sentoki. “Ci permette di capirci l’un l’altro ad un livello che non può essere descritto in questa o in nessun’altra lingua. Non c’è separazione di sé in questo livello spirituale. Quando lo raggiungi e ti connetti al Cerchio, ti connetti con le altre anime, e di conseguenza… ti capisci. Raggiungi la consapevolezza di te stesso e degli altri. I loro pensieri diventano i tuoi pensieri, e le loro emozioni diventano le tue emozioni.”

Shikamaru espirò con forza. Questo Ninshū suonava molto meno come le lezioni morali di cui aveva letto diverse volte e molto più come un’arma. Un’arma pericolosa. Soprattutto se finiva nelle mani di qualcuno come il figlio di Naruto. “E tu credi che Boruto possa usare il Ninshū?” chiese, deducendo dove stava andando a parare quel monaco.

Sentoki annuì lentamente. “In un certo senso, sì,” rispose.

“In un certo senso? Che significa?” Shikamaru si accigliò.

“Il Sentiero per la Comprensione non è così facile da raggiungere, mio giovane Shikamaru,” lo ammonì quello. “Non è qualcosa su cui ci si imbatte e ci si cimenta casualmente. Ci vogliono anni di rigoroso esercizio, dedizione e meditazione per diventare spiritualmente consapevoli di sé. Per cogliere anche la più vaga comprensione del Cerchio. Figuriamoci poi quella delle vite passate e della loro influenza.”

Shikamaru ammiccò, scegliendo di ignorare, per ora, la menzione delle vite passate. “Quindi, come ha fatto Boruto a imparare il Ninshū se non ha studiato sotto al Tempio?” chiese seriamente.

All’udire quella domanda, Sentoki apparve… imbarazzato. Vergognoso, quasi. Come se fosse stato lui il responsabile. “Non è qualcosa su cui la Fratellanza ci incoraggia a parlare,” disse con riluttanza. “Sappi solo che c’è un posto, un luogo, di cui molti parlano ma da cui pochissimi ritornano. È una terra tra questo mondo e il prossimo. Un limbo in cui non sei né vivo né morto. La maggior parte dei monaci che la vedono la descrive come un’oscurità eterna punteggiata da piccoli fuochi. Lì risiedono le anime di coloro che sono incapaci di passare alle Terre Pure, o che hanno rimpianti terreni, o che stanno attendendo i loro amati prima di passare al mondo dei defunti.”

“… ok…” concordò il Nara, esitante.

“Lo chiamano Purgatorio, o Mondo Finale,” disse semplicemente Sentoki. “Tuttavia… a volte, quando una persona è vicina alla morte, oppure è già morta e viene riportata indietro… essa non ritorna allo stesso modo. Quando succede questo, la Fratellanza dà la caccia a queste persone e le uccide.”

Shikamaru trasalì, sorpreso. “Woah, woah! Rallenta. Torniamo indietro. Cosa c’è di diverso in queste persone che tornano dal Purgatorio?” chiese.

Sentoki si rizzò. “Non succede sempre,” disse. “Molte persone ritornano dalla terra tra la vita e la morte senza complicazioni. Tuttavia, a volte… non accade. Il corpo è semplicemente il vascello mortale per l’anima immortale. Quando l’anima si separa dal corpo per viaggiare verso il Purgatorio, spesso non torna indietro allo stesso modo. Non del tutto, almeno.”

Shikamaru rabbrividì.

“L’anima ritorna nel corpo, ma è disturbata. È… allentata, si può dire. Una volta esposta al grande regno spirituale, fa fatica a riconnettersi completamente col suo vascello mortale. Questo mutamento lascia la persona in grande sintonia con il Cerchio. La rende capace di percepirlo. L’anima si espande, cercando qualcosa a cui ancorarsi, e spesso si collega con altre persone, e nel farlo…”

“… la persona apprende il Ninshū,” concluse il Nara.

Sentoki annuì. “Spesso è un processo inconscio da parte loro. Alcuni vivono la loro intera vita senza rendersene conto. Alcuni però, come succede a molti, alla fine diventano consapevoli di essere diversi. Affinano le loro capacità e le usano per servire i loro desideri terreni,” disse.

“E… la Fratellanza uccide queste persone, giusto?” chiese Shikamaru. “Perché?”

Il monaco sospirò. “Nelle mani di coloro che comprendono il suo potere e il suo potenziale, il Ninshū è uno strumento potente che può portare all’Intuizione e alla fuga dal Cerchio per raggiungere la Comprensione finale,” spiegò con diffidenza. “Ma nelle mani di qualcuno che non possiede un animo nobile, spesso viene usato per il peccato. Per la distruzione. Spesso la Fratellanza ha ucciso queste minacce per il pianeta in silenzio, senza farsi scoprire. I mali che potrebbero sommergere il mondo a causa di un abuso del Ninshū sono indicibili.”

Shikamaru rimase in silenzio mentre elaborava le nuove informazioni e rivedeva ciò che sapeva di Boruto. Sospirò, afferrando una sigaretta e accendendola con il vecchio accendino di Asuma. La familiare sensazione di bruciore ai polmoni alleviò il mal di testa pulsante che gli stava nascendo. “Va bene,” sbuffò alla fine. “Ma cosa rende questo Ninshū così potente? Capisco che la Fratellanza possa aver impedito ad alcune persone malvagie di prendere potere grazie ad esso, ma non capisco perché fosse necessario.”

L’espressione di Sentoki si fece grave. Indossava uno sguardo di pura frustrazione. “Comprendere nella sua forma più pura e basilare,” rispose. “La Comprensione di sé stessi, ma anche degli altri. Pensare ciò che pensano, sentire ciò che sentono. Questo è ciò che fa il Ninshū.”

Gli occhi di Shikamaru si sgranarono. “Stai… Stai dicendo che Boruto sa leggere le menti?” esclamò. “Tu puoi leggere le menti?”

Sentoki scosse rapidamente la testa. “No, no, niente del genere,” lo rassicurò, cercando le parole per spiegarsi. “Non è qualcosa che può essere facilmente spiegato, giovane Shikamaru. È qualcosa che semplicemente… si comprende. Immaginalo come… pensare il pensare. Sentire il sentire. Comprendere il comprendere.”

Ok, questo non aveva senso. Shikamaru sospirò. “Un po' come… una meta-conoscenza?” tentò.

Sentoki fece oscillare la tesa. “In un certo senso,” concesse. “È l’applicazione di questa meta-conoscenza, come la chiami tu, che rende il Ninshū pericoloso nelle mani sbagliate. La Fratellanza lo usa per convocare le loro vite passate e percorrere il Sentiero per la Comprensione. Ma nelle mani sbagliate… potrebbero usarlo per guadagno personale. In battaglia, ad esempio, potrebbe essere devastante. Un nemico capace di combattere come il suo avversario, e di pensare come il suo avversario. Non è che gli legge la mente, né riesce a prevedere le sue azioni…. semplicemente lo sa, perché esso è.”

Il Nara deglutì. “È così che sei riuscito a tenere testa a Boruto durante il vostro scontro?” chiese.

Sentoki annuì gravemente. “Esatto.”

Shikamaru impallidì appena realizzò questa cosa. Adesso… Adesso molte piccole cose iniziavano ad avere senso. La strana abilità strategica di Boruto nel campo della lotta e della previsione… la sua spiccata abilità nel riuscire ad eludere tutti… forse era tutto riconducibile a questo.

“Cos’altro può fare?” domandò ancora lui.

“Dipende dalle abilità del possessore e dal loro livello di sintonizzazione con il regno spirituale,” rispose Sentoki, scrollando le spalle. “Ma può fare moltissime cose. Alcune delle quali non posso rivelartele. Ho già detto più di quanto dovrei.”

Shikamaru aggrottò le sopracciglia. “Come sarebbe? Non puoi semplicemente dirmi che il nostro più grande avversario possiede un’arma simile a sua disposizione, senza però darmi altre informazioni!” scattò furiosamente. “Non posso prendere le decisioni giuste senza sapere i dettagli! Potrei mandare a morte la mia gente!”

Il monaco appassì visibilmente. “Temo che sia colpa mia,” ammise alla fine. “La maggior parte di coloro che ritornano dal Mondo Finale usano il Ninshū inconsciamente, passivamente. Ma adesso… temo che durante la nostra battaglia, io possa aver attirato l’attenzione di Boruto sulla sua consapevolezza spirituale. Di questo, me ne assumo la piena responsabilità. Avrete il mio pieno sostegno nella Guerra. Non lascerò che i vostri uomini muoiano per mano di chi brandisce il Ninshū contro di loro. Te lo prometto.”

Il Nara si fermò. Era… utile. Ma, ancora, non abbastanza. Shikamaru non poteva muovere i suoi pezzi pensando di mandarli contro un Pedone se in realtà stavano combattendo una Regina. “Ho bisogno di altro, Sentoki,” insistette. “Qualsiasi cosa, per favore.”

Il monaco sospirò. “Sono… le piccole cose di Boruto che dovresti temere,” iniziò a dire. “Il fatto che sappia cosa dire e quando dirlo per ribaltare le cose a suo favore…”

“… è così che tu riesci a fare quella fastidiosa interruzione prima che finisca le mie frasi?” chiese quello.

Sentoki sorrise maliziosamente e continuò, ignorandolo. “…La sua intuizione soprannaturale. Il suo perenne sospetto. L’iper-consapevolezza di ciò che lo circonda. Il fatto che noti piccole cose che normalmente non sarebbero degne di nota. Per me, a volte, questa comprensione arriva come una sensazione d’immobilità nell’aria o di silenzio perenne. Una sensazione strisciante sulla nuca. A volte, è semplice curiosità o fortuna. Trovare un fiore affascinante che attiri la mia attenzione, allontanandomi dal luogo di un attacco prima di un’imboscata.”

La mente di Shikamaru ragionava furiosamente mentre elaborava le possibilità. “Qualche altra cosa?”

Sentoki sembrava straordinariamente a disagio. “Temo di non poter rivelare altro, Shikamaru,” disse.

Il Nara sospirò, abbassando le spalle. “Beh… merda,” esalò alla fine.

“Eh già,” concordò il monaco.

Erano nella merda davvero.

“Hai detto che il suo uso del Ninshū era inconsapevole?” chiese ancora Shikamaru, giusto per essere sicuri.

Sentoki annuì, deciso. “Quasi certamente,” rispose.

Bene. Era già qualcosa. Il lato positivo? Boruto non aveva ancora un altro strumento nel suo arsenale da usare contro di loro.

Il lato negativo? Avrebbe potuto ottenerlo molto presto.

“Che seccatura,” imprecò Shikamaru.
 


.

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Boruto sorrise con affetto, battendo le mani in sintonia con la musica e cantando dolcemente sottovoce. Accanto a lui Himawari cantava forte e orgogliosa, seduta sul pavimento vicino all’albero di pino riccamente addobbato, brillante di luce. Suo nonno Hiashi e la zia Hanabi si sedettero dietro e li guardavano con affetto mentre suo padre e sua madre erano seduti sul divano, con le mani unite e le dita intrecciate. Sarada e sua madre stavano sul divano davanti a loro, con Sarada che sembrava non volere altro che unirsi ad Himawari per terra in modo da arrivare subito ai loro regali. La nonna Tsunade e la sua assistente si erano unite a loro volta per il Rinne Festival di quest’anno, essendo lei sia una lontana parente degli Uzumaki che l’insegnante della madre di Sarada.

Il Rinne Festival era la vacanza preferita di Boruto. Era l’unico giorno dell’anno in cui suo padre tornava a casa e trascorreva – effettivamente – del tempo con loro, senza dover occasionalmente firmare documenti o abbaiare ordini ai subordinati. L’unico giorno dell’anno in cui la sua famiglia si sentiva intera.

Himawari lanciò ai genitori un’occhiata triste e supplichevole. Aveva gli occhi sgranati e bagnati di lacrime mai versate, con le labbra increspate. Nessuno poteva resisterle. “Va bene, va bene,” disse suo padre, ridendo. Allora sua sorella cominciò allegramente a prendere i regali da sotto l’albero. Boruto sorrise mentre la sua fronte si corrugava per leggere i nomi sulle etichette.

“Questo è per te, fratellone!” dichiarò felicemente Himawari, facendo scivolare verso di lui un pacco.

Boruto lo accettò con grazia, iniziando a fare una pila ordinata vicino ai suoi piedi. Era tradizione ordinare i regali e poi aprirli uno per uno, ognuno a turno. Boruto ne ottenne quattro, una scatola circolare avvolta in carta brillante che faceva un rumore metallico quando veniva toccata, due piccoli pacchi di carta bianco-oro e una grande scatola rettangolare con involucri che sembravano carta da parati con piccoli disegni.

Aspettò il suo turno, sorridendo mentre Himawari apriva il suo primo regalo. Tirò fuori una vestaglia bianca, bella ma funzionale, con ricami dorati, da parte del nonno. Sarada ottenne una serie di bellissimi ma vecchi coltelli, ciascuno con il simbolo del clan Uchiha inciso sulla lama. Boruto sorrise mentre la vide trattenere le lacrime. Sapeva che Sarada voleva disperatamente sapere di più sul suo clan e suo padre. Era ciò che desiderava di più. Boruto poteva comprenderla appieno.

Finalmente, arrivò il suo turno. Boruto sorrise timidamente mentre gli occhi di tutti si posavano su di lui e prese la grande scatola rettangolare. Tirò il nastro, sciogliendo facilmente il nodo. Rimosse con cura la carta, staccandola dai fili. Sua madre li prese e li conservò con cura. La scatola era stranamente pesante, fatta di un materiale ruvido e fibroso. Eccitato, il piccolo ragazzino tolse il coperchio e l’aprì di colpo.

La sua eccitazione si mutò in cenere mentre Boruto fissava le due teste decapitate.

Kakashi e Gaara lo fissavano gelidamente. Lo loro pelle era di un bianco pallido, latteo, e gli occhi annebbiati dalla morte. Sangue, secco e duro, macchiava le loro labbra e il mento.

Boruto guardò a bocca aperta i due cadaveri, le labbra che tremavano e gli occhi lacrimanti.

“Ehi, marmocchio, cosa c’è che non va?” chiese Lady Tsunade. “Non ti piace il mio regalo?”

Boruto alzò lo sguardo quando la Nonna Tsunade s’inginocchiò accanto a lui. Lasciò cadere le teste decapitate e fissò con orrore quella donna spaventosa. Era rugosa oltre ogni riconoscimento, con la pelle tesa e scarna. Aveva il colore cupo del decadimento, grigio-nero e senza vita, con tagli e squarci che guastavano i suoi tratti solitamente giovanili.

E a vederla in quello stato, Boruto fece l’unica cosa che poteva fare.

Urlò.

.

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23 Novembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
03:21

Boruto si svegliò violentemente, un urlo strozzato che gli moriva in gola mentre un lampo elettrico bianco-blu guizzò fuori dal suo corpo, attraversando le pareti della stanza. Mikasa balzò giù dal letto in un attimo e atterrò in posizione difensiva sul terreno, con una manciata di aghi in mano.

“Sto bene,” ansimò Boruto, scacciando la temuta domanda che sapeva sarebbe arrivata.

Stava bene. Stava bene. Stava bene. Non si era pentito di aver ucciso Gaara e Kakashi. Non si era pentito di aver causato la morte di Tsunade. Non si era pentito. Non si era pentito. Non si era pentito. Lo sapeva, lui lo sapeva, oggi come ieri e come domani. Il pentimento non era da lui, era impossibile, inimmaginabile, inaccettabile. Non poteva essere vero.

Boruto non se ne pentiva. Non se ne pentiva. “Non me ne pento,” sussurrò il biondo. “Non me ne pento. Non me ne pento. Né ora, né mai.”

Allora, perché si sentiva così in colpa?

Questa era la vera domanda.

Mani morbide gli coprirono le guance e gli girarono la testa. I suoi occhi blu sbarrati incontrarono quelli neri e preoccupati di lei. “Cosa c’è che non va, Boruto?” chiese Mikasa.

Per un istante, prese in considerazione l’idea di mentire. Poi, la respinse quasi immediatamente. Mentire a Mikasa non era favorevole per una vita lunga e sana. L’amava, soprattutto, e non voleva ferirla mentendole. Boruto sospirò. “Ho solo… avuto diverse cose per la testa,” si decise a dire alla fine.

Lo sguardo dolce ma esigente di Mikasa lo costrinse a continuare. “C’è così tanto che devo fare,” sussurrò Boruto. “L’Impero è ancora pieno di problemi e divisioni. Devo escogitare qualcosa per riuscire ad unire tutti quanti assieme prima che la Guerra cominci effettivamente. Ho bisogno di elaborare ulteriormente il secondo stadio della Scia di Fulmini per usarlo in battaglia. E poi… e poi… devo pensare a un modo per ingannare l’Eremita onnisciente, e devo trovare un modo per nascondermi ad un Hokage quasi onnipresente. E nel mentre mi sento… mi sento stupidamente in colpa per quello che ho fatto a Kakashi e Gaara, ed io… io…”

Boruto riprese pesantemente fiato, rendendosi conto soltanto adesso del fatto che aveva rantolato senza fine fino a quel momento. “…io ti ho mentito. Avrei dovuto portarti con me quando ho combattuto l’Eremita. Sono stato… stupido, emotivo,” ammise. “Avevo paura che potesse succederti qualcosa.”

Ecco fatto. Tutti i suoi problemi terreni – beh, non tutti, ma c’era abbastanza vicino – scoperti e nudi dinanzi a lei.

Mikasa sorrise. “Va meglio?” chiese.

Boruto si fermò, ammiccando. “Stranamente… sì, abbastanza,” ammise con stupore.

La nera sorrise di nuovo. Poi, con una rapidità felina, gli diede un pugno sullo sterno, le sue nocche che gli ferivano l’osso. “Ahi!” sibilò il Nukenin, indietreggiando.

“Quello era per essere stato stupido,” lo rimproverò Mikasa. Poi, con la stessa rapidità di prima, si sporse in avanti e lo baciò. “E questo è per essere stato dolce.”

Boruto si strofinò il petto, mettendo un broncio con le labbra. “Non devi mentirmi, Boruto,” disse lei, tornando di nuovo seria. “E non cercare nemmeno di proteggermi. Posso prendermi cura di me stessa. Siamo una squadra, ricordi?”

Il guerriero annuì timidamente, le guance colorate di rosso. “Va bene, non lo farò,” promise.

“Bene,” disse lei con un cenno della testa. Boruto sorrise al modo in cui i suoi capelli spettinati seguivano il movimento del capo. “Ma sii sincero con me. Che incubo hai avuto stavolta?”

Il suo sorriso cadde e Boruto sospirò, ricadendo sul materasso. “Era peggio del solito stavolta, perché era basato su un ricordo,” iniziò a dire. “Era l’ultimo Rinne Festival prima che abbandonassi definitivamente la mia vecchia casa. La mia… famiglia di sangue, stava aprendo i regali. Ho aperto il mio e ho trovato le teste mozzate del Sesto Hokage e del Kazekage. Mi sono state regalate da Tsunade-sama. E lei era… come un cadavere ambulante.”

Il silenzio della notte fu l’unica cosa che si udì dopo quelle parole. Il Nukenin sentì la sua angoscia aumentare mentre aspettava che Mikasa dicesse qualcosa. “Eravate vicini?” chiese lei alla fine.

“Chi? Tsunade-sama, Kakashi o il Kazekage?” domandò ironicamente lui.

“Tutti,” sussurrò Mikasa.

Boruto sospirò, passandosi una mano nei capelli dorati. “Col Kazekage no, per niente. Era un amico del Settimo, ma non ho mai avuto a che fare con lui,” spiegò lentamente. “Invece Kakashi… in un certo senso. Era un amico di famiglia, e il maestro dell’Hokage. Eravamo in buoni rapporti prima che succedesse… insomma, quello. Veniva spesso a trovare l’Hokage nel suo ufficio privato, a volte anche diverse volte a settimana, anche solo per imbarazzarlo con quei libri erotici che leggeva sempre. Ma dopo essere stato inserito nel nostro Team ho perso tutti i contatti con lui, e poi l’Esame è successo. È stato, ecco… un degno avversario da abbattere. Maledettamente scaltro, anche,” disse, sorridendo amaramente al ricordo.

Mikasa gli si sedette vicino. “E Lady Tsunade?”

Boruto deglutì. “Lady Tsunade era sempre nei paraggi quando ero piccolo,” ammise. “Spesso andava a casa di Sarada per insegnare qualche Ninjustu Medico a sua madre, ma a volte veniva anche da noi, poiché lei e l’Hokage erano molto vicini. Immagino… che fosse la cosa più vicina ad una nonna che io abbia mai avuto. Senza contare Eldia, ovvio. Quindi sì, eravamo vicini.”

Il silenzio era dolorosamente pesante. Boruto sentì le lacrime cominciare a formarsi negli occhi, senza motivo. “E ti senti in colpa per questo?” chiese dolcemente Mikasa.

Boruto esitò, fissando il vuoto. Passarono due secondi di silenzio. “Sì,” ammise alla fine, con un certo senso di finalità. Come se dirlo lo avesse effettivamente reso vero.

“Ma non te ne penti?” premette ancora lei.

Il Nukenin si accigliò, fissando gli occhi eterocromi nell’oscurità della loro stanza. Questa era la vera domanda, vero? Lui non faceva mai niente senza motivo. Ogni sua azione aveva uno scopo, un obiettivo. Non tutte le scelte che aveva fatto lo avevano portato a raggiungere quell’obiettivo, ma comunque si era sforzato di realizzare qualcosa col suo impegno. Era così che agiva. Ed era semplice. Era logico. Semplice, fredda e dura logica. Uccidendo il Kazekage, la Sabbia sarebbe crollata nel panico e avrebbe perso il suo più potente difensore. Kakashi invece era una persona scaltra e vendicativa. Con l’Hokage fuori dai piedi, avrebbe potuto eliminarlo e togliersi dai piedi una minaccia immensa nei suoi confronti una volta per tutte. E con Kakashi e Gaara fuori dai giochi, adesso poteva concentrare la sua attenzione su una minaccia ancora più grande: Shikamaru Nara.

Tsunade, a sua volta, l’aveva eliminata per un motivo. Anche senza Jougan, il biondo aveva sempre saputo che quella donna era agli sgoccioli della vita. Era già vecchia per gli standard comuni dei Ninja. Il suo corpo era malconcio e lacerato da decenni di abuso delle sue Tecniche di guarigione. Le sue cellule avevano da tempo raggiunto il loro limite di divisione. Boruto sapeva che sarebbe bastato un ultimo scatto di guarigione per eliminarla. E aveva inflitto a Chocho e Inojin i loro colpi mortali sapendo che quella donna sarebbe potuta morire nel tentativo di curarli. Cosa che, naturalmente, era successa.

Quindi sì, era stata semplice e gelida logica.

Ma allora, se ne pentiva?

La Foglia avrebbe continuato a opporsi al suo sogno di un mondo unito fino a quando tutti coloro che credevano nei vecchi ideali fossero continuati ad esistere. Suo padre, ovviamente, ma anche Shikamaru, Sasuke, e altri ancora. Kakashi e Gaara erano stati due di questi campioni. Ecco perché Boruto era stato così determinato a ucciderli. E così avrebbe dovuto continuare a fare per riuscire a realizzare il suo sogno. In un modo o nell’altro, questa era la sua strada, la sua scelta, la sua unica opzione.

Boruto non poteva mentire. Né a sé stesso, come diceva la sua Luce, né tantomeno a Mikasa. “No… Non me ne pento,” sussurrò.

Mikasa lo osservò per diversi secondi, fissandolo con attenzione. Poi sorrise, accarezzandogli dolcemente una guancia. “Allora va bene così,” disse, trattenendo uno sbadiglio. “Adesso rimettiamoci a dormire. Domani abbiamo una lunga giornata.”

Boruto annuì, sorridendo con affetto, e si rimise sotto le coperte assieme a lei. E per l’ennesima volta nella stessa notte, il giovane Uzumaki fu grato della presenza di Mikasa nella sua vita.
 
 







 

Note dell’autore!!!

Salve a tutti gente, ecco a voi il nuovo capitolo. Spero vi sia piaciuto.

Abbiamo cominciato a ricevere diverse risposte sul Ninshū e su tutto ciò che è successo nello scontro del capitolo precedente. Come avete visto, per tutte le cose c’è un motivo. Il concetto e la struttura del Ninshū è uno dei miei aspetti preferiti della serie di Naruto, e rimasi abbastanza triste quando scoprii che Kishimoto non l’aveva approfondito nei suoi personaggi. Naruto e Sasuke erano i figli dell’Eremita, praticamente i precursori del concetto che è possibile ‘comunicare attraverso i pugni’, e nessuno si preoccupava di capire perché fosse possibile? Bah…

Vi avviso che potrei fare un po' di difficoltà a pubblicare il prossimo capitolo. Con questo Coronavirus in giro ho dovuto lasciare il mio appartamento perché una mia amica è stata messa in isolamento precauzionale, e adesso sono ospite da amici per non so quanto. Se la situazione peggiora – io sono molto ottimista, quindi secondo me non dovrebbe – forse non potrò pubblicare per un bel po'. Comunque state tranquilli, in situazioni del genere lasciarsi prendere dal panico peggiora solo le cose, ed io sto benissimo. Quindi state sereni ;)

Vi invito come sempre a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo e a presto!

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Capitolo 20
*** La Cosa Giusta da Fare ***


LA COSA GIUSTA DA FARE





24 Novembre, 0021 AIT
Terra delle Vapore
Confine con l’Oceano
09:30

“Ne sei sicuro, Shikamaru?”

Ino pronunciò quelle parole nervosamente, quasi con timore, mentre il suo sguardo era puntato in avanti, osservando la spiaggia che si trovava all’esterno della foresta che fungeva da loro nascondiglio. Una piccola baia, a malapena nascosta da un’insenatura rocciosa, che dava direttamente sul mare. Quel misero sputo di sabbia nascosta segnava l’unico confine tra la Terra del Vapore e quella dell’Acqua.

“È la nostra migliore possibilità, Ino,” rispose quello.

La donna sospirò. “Se mi farò ammazzare per questo, giuro che ti perseguiterò in eterno,” promise.

Il Nara si limitò a sorridere, posizionandosi accanto a lei. Choji e il monaco Sentoki osservavano a loro volta il bersaglio dalle fronde di una quercia opposta alla loro posizione. I loro occhi potevano vedere tre grandi navi ancorate al largo. Assieme ad esse, numerose altre piccole imbarcazioni di legno trasportavano l’equipaggio della nave verso la Terra del Vapore. Era un porto nascosto, a tutti gli effetti, completamente assente dalla cartina geografica. E lì, proprio sotto al punto in cui loro quattro si stavano nascondendo, c’era una considerevole manciata di Ninja del Vapore pronta e in attesa di accogliere le navi.

“Dev’essere così che il Vapore ottiene i suoi Shinobi e Guerrieri,” spiegò Shikamaru. “Acquistano compagnie mercenarie dell’Acqua e le convincono ad arruolarsi per loro. Devono aver usato questo porto nascosto per incontrarsi. Di conseguenza, questa è l’unica possibilità che abbiamo per infiltrarci nella Terra del Ghiaccio. Non ho nessunissima intenzione di percorrere di nuovo la Valle dell’Inferno.”

Ino sospirò e prese a borbottare sottovoce. Guardò mentre i primi mercenari della compagnia mercenaria – la Marea Blu, distinguibile per i drappi azzurri sulle navi – cominciavano ad uscire dalle loro imbarcazioni per assicurare la zona d sbarco. Un mercenario, in particolare, si distinse tra gli altri ai suoi occhi. Era una donna giovane, forse sui venticinque anni, con fluenti capelli neri che le ricadevano sui fianchi incorniciati da un coprifronte che mostrava il simbolo sfregiato della Nebbia. I suoi occhi, neri come il carbone e duri come l’acciaio, scrutavano il paesaggio e gli uomini del Vapore che la accolsero formalmente. Ino riconobbe il viso. Era Miyako Mizukawa, leader della Marea Blu e ricercato in tutta la Terra dell’Acqua. Inoltre era anche, apparentemente, un’esperta utilizzatrice dell’Arte del Vapore.

“Fallo adesso, Shikamaru,” sibilò Ino mentre i due gruppi di Ninja si avviavano a partire.

Shikamaru annuì, senza fiatare, e Ino vide la sua ombra sfrecciare in avanti mentre i due gruppi di uomini si mescolavano di sotto. L’ombra si aggrappò ad un uomo, uno dei mercenari della Marea Blu, e Ino si avvalse del momento in cui divenne rigido per approfittarne. Dovevano essere veloci. ‘Shintenshin no jutsu!’ (Tecnica del Trasferimento Mentale) intonò mentalmente.

Lanciò la sua mente in avanti, perforando la coscienza dell’uomo e dominandola. In meno di un battito di ciglia, ne aveva preso il controllo con successo. Si ridestò immediatamente, senza nemmeno far inciampare il corpo, e riprese a seguire i suoi ‘compagni’ verso la destinazione.

Mentre camminava, il cuore le scalciava furioso nel petto. Lanciando occhiate diffidenti e velate, Ino scoprì che nessuno si era accorto dell’anomalia. Tirando un sospiro di sollievo, cominciò rapidamente a scavare tra i ricordi dell’uomo. Aveva bisogno di nomi. Il suo, e quello dei suoi amici più cari. Per fortuna, riuscì a trovare le informazioni necessarie con relativa facilità. Successivamente, si mise a cercare i suoi manierismi e le abitudini linguistiche. Se voleva riuscire a scaparsela illesa, il suo camuffamento doveva essere perfetto.

Era Keisuke Kawaguchi, membro disilluso della compagnia di mercenari, i cui genitori erano stati ex Shinobi del Gelo. Aveva trascorso quasi un anno a lavorare per la Rivoluzione prima di diventare un Nukenin e unirsi alla Marea Blu. Per fortuna, notò la donna, era tranquillo e riservato, il più delle volte. Sperò che ciò significasse che non avrebbe dovuto parlare molto nell’immediato futuro. O per niente, preferibilmente.

Ino avanzò, lentamente e con calma, portandosi più avanti rispetto al gruppo di mercenari. Voleva essere in grado di ascoltare ciò che veniva detto. La sua mente era nervosa come non mai. Aveva un’unica possibilità. Se avesse fatto una cazzata, se la sua copertura fosse saltata… non ne avrebbe avuta un’altra.

La donna inspirò a fondo attraverso il corpo di Keisuke mentre il loro gruppo si tuffava in un bosco di abeti. Dopo due minuti, trovarono un gruppo di Ninja in attesa in mezzo agli alberi, guidati dal Yukage in persona e da Shizuma Hoshigaki. Ino sentì il sudore iniziare a formarsi sulle sue mani. I ricordi della loro ultima battaglia con quei due erano ancora freschi nella sua mente. Evitare i colpi selvaggi e folli di Shizuma e allo stesso tempo cercare di concentrarsi per scovare i burattini del Yukage era stata un’impresa ardua a dir poco.

“Benvenuti, amici,” li salutò il Yukage, con un tono caldo e profondo.

Accanto a lui, Shizuma vibrava, come un cane che stava facendo una passeggiata. Era… eccitato. Ino deglutì nervosamente, ma non fu l’unica ad innervosirsi, notò. Ciò era positivo sia per la sua copertura improvvisata, sia per la probabilità che il suo corpo posseduto potesse essere ucciso prima di poter completare la missione.

Miyako si portò avanti senza nemmeno battere ciglio. Doveva avere dei nervi di piombo data la sua apparente impassibilità. “Mi aspettavo qualcun altro,” disse semplicemente.

Il Yukage abbassò la testa. “Certo,” ridacchiò. “Il Kurokage vi sta aspettando all’interno del nostro covo. Per favore, seguitemi.”

La menzione di quel titolo – Kurokage – la fece quasi rabbrividire. Ino seguì alcuni uomini dietro Miyako mentre i mercenari avanzavano con cautela. Attraversarono fitti boschetti di salici, gorgoglianti specchi d’acqua e argini di vapore senza interruzione. Alcuni pozzi di vapore, notò, produssero un gas quasi inebriante. Il percorso era lungo e tortuoso, e Ino fece fatica a memorizzare quel poco che riusciva ad osservare. Ma quello non era un problema. Un altro Yamanaka sarebbe stato in grado di analizzare i suoi ricordi una volta tornata a casa.

Infine, quando vide il covo nascosto, Ino rimase a bocca aperta. Si era aspettata una struttura grezza, con poco più di qualche edificio e tende. Ciò a cui fu testimone invece fu una vera fortezza costruita sulla parete basale di una montagna. Si ergeva sopra di loro per centinaia di piedi, con merlature e tutto il resto, e con un rigagnolo di acqua bollente che scorreva alla base, emettendo fitte nuvole di vapore. E mano a mano che vi si avvicinava, Ino riuscì a percepire un muro invisibile di chakra, una barriera, che avrebbe impedito l’accesso a chiunque.

Non aveva idea di come avessero fatto a costruire una fortezza così estesa in così poco tempo. Era una cosa sconvolgente. Sembrava imponente quasi quanto il Villaggio del Vapore, anche se non ne era sicura.

Ma non ebbe il tempo di meravigliarsi troppo. La barriera invisibile si aprì come una tenda non appena il Yukage si avvicinò ad essa. Senza dare sospetti, Ino si assicurò di rimanere ben salda al suo fianco. Una volta entrata, non sarebbe potuta uscire da lì senza aver prima completato la missione. La fortezza non aveva porte: aveva pilastri. Due grandi pilastri di pietra bianca con intricati intagli di Sigilli che ne punteggiavano la superficie, facendoli sollevare in aria e permettendo ai suoi ospiti di entrare nel covo. Lo spazio vuoto tra i pilastri era così denso di chakra che Ino si sentì come se stesse nuotando attraverso l’acqua mentre lo attraversava. Una volta superatolo, tuttavia, nessun allarme suonò e la sua Tecnica rimase attiva come prima. La donna continuò ad avanzare.

L’interno della fortezza era spartano. Muri su muri in pietra con porte sbarrate e guardie poste. Le poche stanze aperte erano decorate e progettate in maniera uniforme. Ino vide caserme, stanze piene di letti a castello e armadietti, e persino armamenti con spade, kunai e ogni tipo di arma. C’erano anche alcune sale strane, illuminate da oscure luci sommesse e riempite di barelle e lettini. Ino rabbrividì. Quelle dovevano essere delle infermerie improvvisate.

Per tutto il tempo, Miyako e i suoi ufficiali marciarono con orgoglio, il loro mento sollevato, la schiena dritta e le spalle rigide. Ino non riuscì a comprendere come potessero essere così coraggiosi dinanzi ad un tale sfoggio di potenza. Ma, di nuovo, lei non era una combattente di prima linea. Forse, dedusse, i mercenari pensavano di poter vincere se fosse scoppiata una battaglia? Non aveva modo di dirlo.

Il Yukage li condusse nelle viscere della fortezza, nel cuore della montagna, molto al di sotto dei piani esterni. Ino poteva praticamente sentire il peso della roccia sopra di lei. C’erano una serie di porte di legno scuro, alte quasi dieci piedi, letteralmente ricoperte da simboli luccicanti di chakra e marchi di Fuuinjutsu (Sigilli). La luce dei sigilli aveva trasfigurato l’acciaio, creando una morbida luce blu-bianca appena percettibile. Le porte si aprirono attraverso dei cardini silenziosi, facendoli entrare in una sala di dimensioni moderate. Era strutturata come le antiche sale da trono, precedenti all’epoca Shinobi, con tutte pietre bianche che portano ad una pedana rialzata.

E lì, seduto su un vero trono, c’era Boruto Uzumaki, il figlio del Settimo Hokage e leader della Rivoluzione – nonché Kurokage dell’Impero e detentore del titolo di persona più ricercata al mondo. Non c’era quasi nessun Ninja che non volesse la sua testa. Spariti erano i suoi abiti dell’Organizzazione, ma indossava una veste grigia e un mantello scuro abbastanza elegante. Sembrava, letteralmente, il sovrano di un Impero.

La compagnia di mercenari fece un solo passo nella sala del trono prima che un’ondata di chakra, tangibile come un qualsiasi pugno, si schiantasse contro di loro. Gli occhi di Ino si gonfiarono per lo spavento. Aspettò che arrivasse il colpo mortale, ma non avvenne mai. Invece, Boruto si limitò a fissarli tutti dall’alto con un occhio freddo e calcolatore.

“Kurokage-sama, Signore,” si inchinarono le guardie che li avevano scortati lì. Assieme a loro, persino Shizuma e il Yukage abbassarono la testa dinanzi al biondo. Miyako e il resto dei mercenari si inchinarono rispettosamente, ma senza umiltà. Ino sussultò quando un gomito le sfiorò le costole e si tuffò rapidamente in un inchino rispettoso, prima di risollevarsi assieme agli altri.

“Miyako Mizukawa,” la voce profonda di Boruto risuonò con forza nell’aria, come se fosse a due passi da lei, e il cuore di Ino le risalì in gola non appena notò che il Nukenin era davvero comparso dinanzi a tutti loro. “Ti do il benvenuto nella Terra del Vapore.”

Nessuno l’aveva nemmeno visto muoversi. Ino aveva distolto lo sguardo da lui per una minima frazione di secondo mentre si inchinava, e lui aveva già attraversato la distanza tra il trono e i mercenari senza emettere alcuno suono. E a giudicare dalle reazioni degli altri, erano spaventati quanto lei. Il messaggio era chiaro: se li avesse voluti morti, lo sarebbero già stati.

“È un onore essere qui,” esordì Miyako, la sua voce che non tremava o si spezzava. Ino poté rispettarla immensamente per questo. Era molto coraggiosa – o molto sciocca – per riuscire a restare impassibile dinanzi a lui. Forse entrambe le cose. La Yamanaka aveva visto quello che l’Organizzazione Kara aveva fatto al Villaggio della Nebbia e a Chojuro. Quella donna doveva sapere benissimo quanto fosse potente Boruto.

“Sono lieto che siate arrivati illesi,” continuò quello. “Negli ultimi giorni abbiamo avuto dei parassiti che si aggiravano tra le nostre montagne.”

Ino deglutì a fatica.

Miyako sollevò un sopracciglio. “Né io né i miei uomini abbiamo visto alcun Ninja al di fuori dei vostri, temo,” disse.

Boruto sorrise e Ino rimase sospesa su ogni sua parola. “Suppongo che vi sia piaciuto il vostro piccolo tour nella mia nuova Terra del Vapore, vero?” chiese educatamente.

Il capo della Marea Blu annuì. “Decisamente. È un luogo utilitario, ma di certo più accomodante di una traballante flotta di navi di legno,” rispose con un timido sorriso tutto suo.

Boruto rise ironicamente, facendola rilassare con quel semplice gesto. “Credimi, lo so,” disse piano. “Certo, questa fortezza è solo una delle mie basi di operazioni in questo Paese, oltre a quella nel Villaggio del Vapore. Ma ho anche altre basi, in altre Nazioni, principalmente nella Terra del Ghiaccio. Tu e i tuoi uomini, ovviamente, potrete scegliere dove sarete stanziati, a condizione che accettiate di unirvi a me.”

Miyako abbassò immediatamente la testa. “Lo apprezzeremmo molto, Kurokage-sama,” disse, con tutto il rispetto dovuto.

“Allora,” il Nukenin batté le mani. “Suppongo, dato che siete qui, che siate interessati ad unirvi al mio Impero… mi sbaglio?”

La donna annuì di nuovo. “Credo che sia nell’interesse della Marea Blu, oltre che del mondo intero, schierarsi con lei,” rispose.

“E presumo che abbiate delle clausole per il vostro impiego,” osservò acutamente Boruto.

“Naturalmente,” ammise Miyako. “I miei uomini provengono principalmente dalla Terra dell’Acqua e del Fulmine. Vorremmo, se possibile, essere stanziati in un luogo vicino a casa per poter aiutare la nostra gente e le nostre famiglie.”

“Certo,” annuì facilmente Boruto. “Questo è comprensibile. Sono in procinto di stabilire una base più permanente di operazioni nella Terra dell’Acqua. Tu e la tua gente sareste di grande aiuto per assicurare e fortificare la sua posizione, oltre che per aiutare i civili a prepararsi al… distacco, diciamo, con la Nebbia.”

Gli occhi di Ino si sgranarono mentre archiviava quell’informazione. Avrebbero dovuto assolutamente avvisare Mei Terumi di questo.

Miyako condivise uno sguardo consapevole con i suoi subordinati più vicini. Si scambiarono un cenno del capo. “Sarebbe accettabile, grazie,” disse alla fine. “Vi è, tuttavia, la questione del pagamento.”

Boruto guizzò con la testa, un movimento rapido simile a quello di un uccello, e fece un cenno verso una delle guardie. Il Ninja del Vapore si allontanò di corsa. “Naturalmente,” disse Boruto. “Io pago tutti i miei subordinati usando un sistema di compenso ibrido, unendo del vecchio e del nuovo. Tutti coloro che mi servono, che siano in servizio attivo o meno, ricevono un’indennità pari a quelle delle missioni di rango C. E oltre a questa retribuzione garantita, quelli che prestano servizio sulle linee del fronte vengono pagati in base alle missioni e alla difficoltà dei compiti. Inoltre, se tra i tuoi uomini ci sono ricercati con taglie, possiamo fare in modo che i prezzi vengano negoziati e i loro nomi rimossi dal Libro Nero dei Ricercati. Senza contare, poi, le assicurazioni. Se qualcuno dei tuoi uomini dovesse essere ferito durante un combattimento o ucciso in azione, le loro famiglie riceveranno un risarcimento. Infine, se tra di voi ci sono persone le cui famiglie si trovano in circostanze austere, potranno liberamente scegliere di essere trasferite qui nel Vapore o nella Terra del Gelo, dove riceveranno alloggio, lavoro, istruzione e qualsiasi formazione desiderano.”

Per poco, veramente poco, le gambe di Ino rischiarono di cedere per lo sgomento. Era rimasta assolutamente allibita da quella dichiarazione. E in base alle espressioni su alcuni dei volti dei mercenari, lo erano anche loro. Non c’era da stupirsi che i Kara e la Rivoluzione riuscissero ad avere così tanto successo nell’arruolare persone se l’offerta che proponevano era così vantaggiosa. La Foglia e le Nazioni Alleate non potevano competere con un’offerta simile, figuriamoci i Paesi più piccoli. Li avrebbe rovinati finanziariamente.

Miyako, per la prima volta da quando l’aveva vista, sembrò finalmente stupirsi dopo quelle parole. “N-Non intendo essere scortese,” esalò, parlando con attenzione. “Ma… come può permettersi di assicurare tali promesse?”

Boruto sorrise. Un oscuro sorriso vincente e sicuro. Ma, a differenza degli altri suoi sorrisi, questo era più… genuino, pensò Ino. “È semplice,” spiegò. “A differenza di una Nazione o di una qualsiasi società, nell’Impero non esiste una linea di fondo. Nessun dirigente grasso per pagare stipendi eccessivamente grossi. Nessun impiegato o addetto alla burocrazia che controlla la finanza. Io, in sostanza, gestisco ogni cosa. E personalmente, non sono un uomo ricco. La ricchezza non mi interessa. La mia prima ed unica priorità sono le mie persone. La loro sicurezza, la loro salute, la loro felicità. Investo nel mio popolo, ed esso è il mio più potente alleato. Inoltre, la mia gente non è governata da quei fallimentari confini e Villaggi. Non esiste niente del genere nel mio Impero. Ho persone sotto la mia protezione in questa e in ogni altra Nazione del continente. La nostra economia è espansiva e globale. I miei Guerrieri hanno fortemente ridotto i profitti dei principali Villaggi Shinobi, e la protezione che offrono al mio popolo non è seconda a nessuno. Per questo, e per molto altro ancora, ogni persona che appoggia la mia causa e mi sostiene verrà opportunatamente compensata in denaro, beni, favori e promesse.”

Ino memorizzò ogni frase, parola per parola, per il suo rapporto.

“Quindi vedi, Miyako,” continuò a dire il Nukenin. La guardia di prima tornò di corsa nella sala del trono, rossa in faccia e senza fiato, ma con due valigette in entrambe le mani. S’inginocchiò tra Boruto e la donna, aprendo le valigette senza fiatare. Ino sentì tutti i mercenari sussultare all’unisono. “Quando mi chiedi come posso permettermi di pagare i miei uomini, la mia risposta è scontata: io domino la Nazione più forte, più produttiva e senza confini del mondo; e non risparmio nessuna spesa per costruire le fondamenta del mio Impero. Considera questi dieci milioni di Ryo come un bonus di benvenuto. Se lo desideri, potrai dividerli tra i tuoi uomini come meglio credi.”

Ino deglutì, stravolta dalla quantità. Era persino più di quanto lei era riuscita a mettere da parte lavorando per un decennio nel Dipartimento di Intelligence e Tortura.

“Allora,” Boruto allargò le braccia, ghignando come un bambino. “Abbiamo un accordo?”

Miyako fece una pausa. Poi, di colpo, s’inginocchiò a testa bassa dinanzi a lui. Gli altri mercenari della Marea Blu la rispecchiarono. Ino scattò in vita, piegandosi a sua volta. “Al suo servizio, Kurokage-sama!” fecero eco ad una voce.

Ino vide il loro più grande nemico sorridere di trionfo.
 


24 Novembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
20:50

Boruto era rimasto allibito – e questo era riduttivo. Mikasa e Sora avevano fatto dei passi da gigante durante questi ultimi allenamenti, e questa cosa era sconvolgente. Non erano passati nemmeno due mesi da quando li aveva liberati dalla prigione, e il loro recupero era sorprendente. Se non incredibile.

Mikasa era quasi tornata ad essere quella che ricordava un tempo. Più veloce, più forte, più decisa, e con una rinnovata determinazione a migliorare sempre di più. Aveva ritrovato il suo stile di combattimento raffinato e preciso di un tempo, facendo uso del suo Potere senza sforzo e con un’efficacia brutale e spaventosa nella sua semplicità. I suoi colpi erano duri, pesanti, e dolorosi esattamente come li ricordava, se non di più. Questo, ovviamente, quando riusciva a colpirlo. Non accadeva spesso, data la velocità impareggiata del Nukenin, ma quando succedeva faceva male. Decisamente male.

Sora, dall’altra parte, era diventato un mostro. Nel senso letterale del termine. La sua quantità di chakra era pari a quella di un Bijuu, quasi. Si era allenato senza pietà negli ultimi mesi, spingendosi a padroneggiare ed ampliare le sue riserve d’energia oltre il limite logico possibile. Le sue Tecniche, quando colpivano, erano devastanti e pericolose, e la sua forza fisica non invidiava nessuno. E Boruto dovette ammettere, non senza un barlume di invidia, che il suo migliore amico era più portato di lui nel Ninjutsu (Arte dei Ninja). Se il suo tempo di recupero era stato così breve, non c’era dubbio nella sua mente che in futuro Sora sarebbe potuto diventare ancor più potente di adesso.

Insieme, quei due erano dei colossi di distruzione. Inarrestabili, quasi.

A Boruto piaceva immaginarsi come uno dei Ninja più potenti del mondo. Non lo faceva per vantarsi, ovvio, ma lo era. Lo era davvero. C’erano ancora diverse persone al di sopra di lui – come l’Hokage, Sasuke Uchiha e l’appena arrivato Eremita/monaco – ma si potevano contare sulle dita di una mano. Ed era persino disposto a decretare la superiorità degli Otsutsuki rispetto a lui. Ma tutto il resto del mondo, il resto delle persone, erano tutti al di sotto del suo livello.

Ma la combinazione di Mikasa e Sora lo stava quasi spingendo al limite. Già questo, di per sé, voleva dire molto. Lo avevano quasi costretto alla difensiva un paio di volte, e il loro lavoro di squadra era impeccabile come non mai. Sora spingeva con le sue Tecniche devastanti e l’oscillazione del suo nuovo bastone da combattimento; e nel frattempo Mikasa lo tormentava con aghi, calci e pugni rapidissimi e ben piazzati. Era…difficile tenerli a bada quando lottavano assieme. Non gli davano l’occasione di respirare e pianificare con le loro raffiche. Presi singolarmente non gli avrebbero dato problemi, ma assieme… era tutta un’altra storia. Boruto era stato persino tentato di attivare la sua Scia di Fulmini per mettersi in salvo, una volta o due.

Ma non erano solo loro due ad essere migliorati. Anche gli altri stavano tornando alla loro gloria di un tempo. Gray e Juvia, con i loro poteri sul Ghiaccio e sull’Acqua, erano un’accoppiata temibile per qualsiasi Shinobi del pianeta. I loro elementi principali, chimicamente e strutturalmente simili, si favorivano a vicenda, creando Tecniche e combinazioni pericolosissime per chiunque. E Shirou e Kairi non erano da meno. La rapidità di spada del samurai – strano ma vero – non era minimamente deteriorata durante i suoi anni di prigionia, e nemmeno le doti sensoriali dell’Uzumaki. Combatterli assieme era come tentare di sfuggire da un’ondata in mezzo all’oceano. Era letteralmente impossibile riuscire a seminare Shirou con le abilità sensitive di Kairi dalla sua parte.

I suoi amici, uno per uno, stavano facendo del loro meglio per migliorarsi e ritornare alla loro forza di un tempo. E i risultati, con sommo sollievo di tutti, non tardavano ad arrivare nemmeno stavolta. La loro forza stava tornando ogni giorno di più. Persino Urahara e Toneri stavano dando i primi segni di miglioramento e recupero, anche se ci voleva più tempo per loro, vista l’età maggiore. Con l’aiuto di Annie, Galatea e Jigen, tutti loro si stavano dando da fare per tornare nel pieno delle forze. E Boruto e tutti gli altri erano più che decisi ad aiutarli a rimettersi in forze dopo la prigionia, allenandosi assieme a loro e affinando a loro volta la loro potenza.

Boruto era orgoglioso di loro. Immensamente orgoglioso. Sia come amico, felice di vedere i suoi compagni migliorare e superare sempre più ostacoli; sia come leader, lieto di vedere che i suoi alleati più potenti stavano diventando delle armi pericolosissime e temibili da usare in battaglia.

“Bel lavoro, tutti voi!” esclamò Boruto, asciugandosi la fronte dal sudore.

“Bel lavoro un corno!” urlò Gray dall’altra parte del campo di allenamento, la sua voce acuta e frustrata. “Non siamo ancora riusciti a colpirti!”

Kairi lo guardò con finta esasperazione. “Quello non accadrà mai se continui ad urlare prima di sferrare un attacco a sorpresa, Gray…” lo rimproverò con affanno. Il Nukenin trattenne una risata all’udire la battuta.

Urahara si mise a sedere per terra, imitato da Sora e Shirou. “Whoooo! Che fatica. Non sudavo così tanto da anni,” esalò l’uomo col cappello, grattandosi la barba con un sorriso soddisfatto. “Vedo che non hai perso smalto eh, Boru-kun?”

Boruto si portò più vicino, sedendosi davanti a loro con un ghigno. “Smettila di fare il sorpreso, sensei. Non sono io quello che si è fatto catturare dall’Hokage al nostro secondo incontro,” ribatté ironicamente, sollevando il mento con orgoglio appena vide il suo maestro imbronciarsi e borbottare.

Il ghigno del Nukenin scomparve quando Mikasa si portò accanto a lui con un’espressione saccente. “Quanta confidenza. Hai forse dimenticato tutte le botte che hai preso durante l’ultima battaglia?”

Boruto esitò, arrossendo pesantemente per l’imbarazzo. In effetti non poteva negare quanto fosse stato difficile combattere contro Sentoki e le sue abilità ultraterrene. Quell’Eremita si era rivelato tanto pericoloso e forte quanto la sua leggenda raccontava ancora oggi. Il guerriero si voltò con la testa, mettendo un broncio infantile dopo la frecciatina. E stavolta, furono i tutti gli altri a scoppiare a ridere nel vedere la sua reazione.

Ma il suo broncio non durò a lungo. Boruto posò nuovamente lo sguardo sui suoi amici, e il sorriso non poté evitare di tornargli ancora una volta sulle labbra nel vederli ridere assieme a lui, più luminosi e felici di prima. Questo… Questo era ciò che voleva. I suoi amici, la sua famiglia, riuniti assieme a lui ancora una volta. Uniti, e soprattutto al sicuro dalle minacce della Terra. Lontani dall’Hokage, dalla Foglia, e dalla Guerra che le sue azioni e le sue convinzioni avevano generato nel mondo. Era così che doveva essere, nella sua testa. E anche se sapeva che una cosa del genere non poteva durare – com’era sempre stato, in fondo – a volte Boruto non poteva evitare di desiderare che restasse così in eterno. C’era qualcosa di inebriante, di esaltante, nel restare semplicemente assieme alle persone che amava, aveva riscoperto.

Juvia gli diede un colpetto sul braccio, facendolo trasalire. “Sempre assorto nei tuoi pensieri, eh?” lo richiamò, facendogli un sorrisetto sarcastico. “Faccio fatica a pensare che il grande e temibile Kurokage dell’Impero sia sempre così distratto nei momenti di riposo.”

“Parole sante!” esclamò Sora, piegandosi in due mentre ridacchiava.

Boruto sorrise, cercando di nascondere il suo imbarazzo tra le risate generali. “Per quanto mi dolga ammetterlo, nessuno è perfetto. E anch’io ho i miei difetti,” ammise a bassa voce, grattandosi il collo.

“Rilassati, Boruto. Non devi sforzarti di essere sempre perfetto e impeccabile. Siamo tra di noi qui, siamo al sicuro. Nessuno può vederti o giudicarti adesso,” lo rassicurò Shirou con un piccolo sorriso.

Il biondo annuì, esalando un respiro sommesso. “Lo so, lo so. È solo…” si fermò di colpo, sospirando pesantemente, prima di far crollare le spalle verso il basso e scuotere la testa. I suoi amici lo guardarono con attenzione, aspettando pazientemente che ricominciasse a parlare.

Alla fine, Boruto si decise a riprendere la parola. “È più difficile di quanto immaginavo,” ammise lentamente, grattandosi un braccio. “Ora che l’Impero sta crescendo, sempre più responsabilità gravano sulle mie spalle. E non posso rilassarmi sapendo che i Kage e tutti i nostri alleati contano su di me. Devo essere perfetto, devo essere efficace e pianificare ogni cosa affinché tutto vada per il meglio. E… non è facile. Per niente. Ci sono così tanti nemici, così tante eventualità che devo prevedere e contrastare… per non parlare delle missioni, delle prossime azioni da intraprendere, dei bilanci da rispetta-”

“Whoa, whoa! Frena un attimo!” lo richiamò Urahara, sollevando una mano. “Nessun uomo può gestire tanto da solo. È normale che tu ti senta così destabilizzato.”

Mikasa gli mise una mano sulla spalla. “Ed è per questo che noi siamo con te,” gli ricordò seriamente. “Siamo qui per affiancarti in quest’impresa. Per non lasciarti sopportare questo peso tutto da solo.”

Boruto annuì, sorridendo appena con le labbra. “Lo so bene. E vi sono grato per questo e per la vostra fiducia nei miei confronti. Ma nonostante questo… continuo a sentirmi irrequieto.”

Toneri lo osservò con attenzione durante il suo discorso, restando per diverso tempo in silenzio. “Ti riferisci a quello che penso io?” chiese eventualmente, la sua voce tornata melodiosa e insondabile come un tempo.

Il biondo sollevò la testa per fissarlo negli occhi, leggendogli le intenzioni nello sguardo. Fece un cenno solenne col capo. “Sì,” rispose senza mezzi termini. “L’entrata in scena dell’Eremita delle Sei vie è un imprevisto che mi ha destabilizzato. E al momento non so come fare per contrastarlo. Il suo potere è immenso, e in tutta franchezza non so se sarò in grado di tenergli testa. Prima erano solo l’Hokage e Sasuke Uchiha a mettermi paura, ma adesso… non so più cosa pensare. Con un avversario del genere dalla loro parte, non posso fare a meno di sentirmi preoccupato.”

L’essere celeste incrociò le braccia con zelo, fissando il cielo violaceo dell’Occhio della Tempesta. “Hagoromo Otsutsuki sarà decisamente una spina nel fianco per i tuoi piani,” esalò melodiosamente. “Essendo colui che ha donato il chakra alla razza umana, la responsabilità del pianeta e della sua salvaguardia cade inevitabilmente sulle sue spalle. Credo che sia per questo che abbia deciso di agire, seppur in incognito, contro di noi.”

“C’è una cosa che non capisco,” disse improvvisamente Sora, attirando su di sé gli sguardi di tutti. “Quando ci hai raccontato di Eldia, avevi detto che l’Eremita era dalla tua parte. È stato lui a condurti laggiù e ad aiutarti a controllare il Potere degli artefatti. Perciò, perché adesso vuole fermarci? Quando ci ha rivelato della tua morte era… come dire… addolorato. Sinceramente addolorato. Non sembrava decisamente intenzionato a fermarti.”

“Già,” gli fece eco Gray. “Cos’è cambiato?”

Boruto abbassò lo sguardo, chiudendo l’occhio sinistro. Anche così, poteva chiaramente percepire lo stesso gli sguardi di tutti sopra di lui, solenni, tesi e desiderosi di sapere. Desiderosi di risposte. Eppure, nonostante questo, lui sapeva di non poter rispondere a quella loro domanda. Non poteva, non voleva, non doveva. Dopotutto, la realtà che si celava dietro a quella domanda era ancora oscura e misteriosa, persino per lui… e rivelarla alla sua famiglia sarebbe stato inutile. Inutile e, sostanzialmente, svantaggioso.

Dopotutto, come poteva dire loro la realtà delle cose? Cos’avrebbe dovuto dire, soprattutto? Avrebbe forse dovuto sorridere e dire loro come se niente fosse: “Vedete ragazzi, la realtà è che l’universo è governato da due Dee svampite e pazze che si fanno la guerra tra di loro sin dall’alba dei tempi, una delle quali ha, presumibilmente, ordinato all’Eremita di fermarmi perché – a quanto sembra – io sono uno dei due Campioni di questo mondo e con le mie azioni le sto intralciando i piani di conquista. Ah, e tra le altre cose, l’altro Campione di questo mondo, che sarebbe il mio acerrimo nemico e presumibilmente la persona con cui dovrò scontrarmi a morte per far prevalere il mio sogno, è il Settimo Hokage. Buffo, non trovate?”

Certo, come no.

Non poteva farlo. Non per timore o altro, ma perché non poteva coinvolgere la sua famiglia in questa faccenda surreale. Lui in primis non riusciva a crederci del tutto, e anche se fosse stato vero… questo era un suo problema. Una sua battaglia. Era una questione che riguardava lui, e lui soltanto. Non poteva coinvolgerli in questa guerra tra Luce e Oscurità. E soprattutto, non poteva permettere a Hikari o Yami di interferire con la sua famiglia e i suoi amici. Non così, non in questo modo. Bastavano già gli Otsutsuki a riempire la loro mente con timore e preoccupazione per il futuro. Se avessero saputo anche di questo… le cose sarebbero degenerate.

No, decise Boruto. Non poteva rivelare loro la verità. Non ancora, almeno. Prima, il mondo andava unificato e messo in sicurezza una volta per tutte. C’erano ancora così tanti problemi sulla Terra, così tante cose da fare. Dovevano dare priorità a questo, dovevano unificare il loro Impero. Senza una stabile base nel loro mondo, non avrebbero mai avuto alcuna speranza di riuscire a contrastare Hikari, Yami, o nemmeno gli Otsutsuki. Dovevano concentrarsi sull’interno. Allora, e solo allora, si sarebbero potuti concentrare sui problemi provenienti dall’esterno.

Questa era la cosa più giusta da fare.

“Non lo so davvero, ragazzi,” disse con un sospiro. “Ma dovremo cercare di far fronte a questa minaccia ancora una volta… insieme. Se ci divideremo, se lasceremo che il timore e l’incertezza abbiano la meglio sulle nostre basi, allora non avremo speranza di sconfiggere il male che regna sul nostro mondo. Ma se resteremo insieme, ancora una volta, allora non ci sarà niente che potrà sconfiggerci,” dichiarò, serrando sempre più i pugni con decisione. Poi, finito di parlare, alzò timidamente lo sguardo verso di loro. “Siete con me?”

Mikasa, Sora, Urahara e tutti gli altri esitarono dopo quelle parole, presi alla sprovvista da quel discorso così deciso. Non si erano aspettati quella dichiarazione da parte sua. Poi però, riscuotendosi di colpo con dei sorrisi, tutti quanti si fecero solenni e determinati più che mai. “Certo che lo siamo! Che domande sono?” esclamò Sora con un sorriso a trentadue denti. “Siamo rimasti uniti per tutto questo tempo, non ci fermeremo mica adesso!”

“Già! Noi siamo una famiglia! E la nostra famiglia è come una conchiglia,” disse anche Kairi, avvinghiandosi al braccio di Sora con gioia. “Ve lo ricordate?”

Gray sbuffò, ma le sue labbra tradirono un sorrisetto nascosto sotto i baffi. “Una conchiglia… fragile e ferita all’interno, ma con un guscio impenetrabile che la difende,” sussurrò ironicamente.

“E quel guscio… è il guscio dell’amore,” aggiunse anche Juvia, unendo la mano con quella del Signore del Gelo.

Shirou annuì a sua volta. “Per questo nessuno riuscirà a fermarci. Perché il nostro guscio è più saldo che mai.”

Ed infine, alzandosi in piedi e sfoggiando un sorriso orgoglioso, Urahara sollevò le braccia al cielo ed esordì a gran voce. “Perché noi siamo i Kara!” urlò. “E niente e nessuno riuscirà a fermare la nostra famiglia in nessuna circostanza! Dico be-whoa?!” Mentre stava ancora parlando, la sua gamba inciampò sopra un sasso, e immediatamente dopo il buffo personaggio cadde pesantemente a terra con un ruzzolone, rotolando al suolo in maniera comica e gemendo acutamente per il dolore. Subito dopo, tutti quanti scoppiarono a ridere, piegandosi in due mentre lo osservavano squittire accusando uno strano dolore al coccige. Accanto a lui, Toneri si limitò a scuotere la testa con un sospiro divertito.

Boruto rise sommessamente, ricacciando dentro la sua incertezza, ed osservò in quel momento di gioia i suoi amici con uno sguardo affettuoso. E quando sentì la mano di Mikasa unirsi di soppiatto alla sua, il suo occhio guizzò verso destra, incontrando quelli di lei. E ancora una volta nella sua breve vita, il giovane guerriero ebbe fede che, nonostante il buio e l’incertezza che lo assalivano e che sempre lo avrebbero assalito… in un modo o nell’altro, le cose sarebbero comunque andate per il meglio, fintanto che fosse rimasto assieme a loro. Assieme alla sua famiglia.

E con loro al suo fianco, avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa.

Mikasa si appoggiò a lui, e Boruto si appoggiò a Mikasa, osservando con divertimento mentre i giovani attorno a loro ridevano e prendevano in giro il buffo uomo col cappello che gridava indignato per le loro reazioni.

“Insieme,” dissero entrambi.
 


25 Novembre, 0021 AIT
Terra delle Vapore
Foresta a 2 Km al Confine
00:01

Shikamaru fece un lungo tiro dalla sua sigaretta mentre rileggeva il rapporto di Ino per la sesta volta.

Era estremamente preoccupante.

L’ampio raggio di controllo che Boruto aveva sulle persone che ‘proteggeva’ era spaventoso. Una Nazione senza confini. Una vera Nazione senza confini. Una Nazione in cui era capace di avvelenare la mente del suo popolo, dipingendo ai loro occhi il mondo dei Ninja come se fosse fatto da guerrafondai e profittatori di soldi e pace, talmente meschini da non essere più considerati nemmeno della stessa specie. Era… Era terrificante. Gli rendeva estremamente facile seminare discordia nel mondo, fornendo una nuova forza di difesa al suo Impero e guadagnandosi la fiducia e la lealtà della gente. Una forza di uomini e donne ‘senza potere’. Di civili, reietti, e povera gente, che si erano ribellati ai loro oppressori Ninja per difendere loro stessi e le proprie famiglie. Non c’era da meravigliarsi se la Foglia e le Nazioni Alleate – già in passato, sin dai tempi dell’Unione – stavano soffrendo da una crescente perdita di entrate derivante dalle missioni.

Questo… Questo spiegava tutto.

Ed era solo l’inizio. Se l’economia della sua Nazione senza confini fosse veramente divenuta globale, l’Impero avrebbe potuto fornire beni e servizi che nemmeno i Kage e i Lord più potenti potevano ottenere. Se c’era una carestia nella Terra del Vento, Boruto poteva semplicemente ordinare ai suoi uomini di trasportare l’acqua dalla Terra della Pioggia, o persino di costruire un acquedotto immenso, per risolvere il problema. Se c’era una crisi economica nel Paese della Terra, Boruto poteva semplicemente investire altro denaro per loro. Se c’era un qualsiasi problema nel mondo, Boruto avrebbe potuto trovare il modo di risolverlo e di conquistarsi il favore della gente ancora una volta. E di conseguenza… se una Nazione esterna all’Impero avesse tentato di ribellarsi a questo – magari invadendo i confini del nemico o opponendosi alla proposta risolutiva di Boruto che manteneva accese le speranze e la vita della gente – sarebbe inevitabilmente finita bruciata sul rogo della scena politica globale.

La gente della Terra del Gelo aveva bisogno di legname per costruire case? Boruto poteva importarne dalla Terra del Fuoco in segreto. Shikamaru non osava illudersi del fatto che la sua stessa gente sarebbe stata immune al fascino della vita, del futuro, offerti da Boruto. Il popolo della Terra dell’Acqua aveva bisogno di rifornimenti medici e provviste a seguito di un futuro – ma, a quanto pareva, concreto – attentato alla Nebbia? Boruto poteva procurarglieli da tutto il continente. Le persone della Terra del Fulmine avevano bisogno di cibo dopo il loro esodo? Boruto le poteva spedire a lavorare nella Terra dell’Acqua. Poteva fare, letteralmente, dei miracoli.

Era quasi spaventoso ciò che le persone potevano fare quando lavoravano assieme sotto uno stendardo comune. Boruto aveva ragione, almeno su quello.

E non si era fermato qui, quel maledetto infame. Si era preso cura della sua gente. Aveva donato loro uno scopo. Qualsiasi fazione, del passato e del futuro, poteva fornire sollievo alla gente. Cavolo, persino l’Unione e la Foglia l’avevano fatto per quanto potevano a loro tempo, senza però correre i rischi di una bancarotta o un indebitamento irreversibile del Paese. Ma Boruto… Boruto aveva dato loro un futuro. Una casa per cui lottare, una causa da difendere, un’educazione, una carriera, un lavoro.

Boruto aveva dato loro la speranza.

Questa era la cosa più pericolosa di tutte, e Shikamaru lo sapeva. La scacchiera del suo avversario, una volta avvolta nell’ombra, adesso stava diventando sempre più illuminata e chiara mentre i pezzi facevano la loro mossa. Le persone erano disposte a combattere e morire per ciò in cui credevano, per la loro casa, per il loro leader. Shikamaru lo sapeva. Il suo stesso maestro, Asuma, aveva dato la vita per la Foglia e la successiva generazione. Anche Shikamaru avrebbe dato la sua stessa vita, se fosse necessario, proprio come fece suo padre durante la Quarta Guerra Mondiale.

Perché questa era la Volontà di Fuoco.

Boruto stava preparando il suo popolo a credere in lui allo stesso modo, e questo era ciò che spaventava a morte Shikamaru. Un uomo, un ribelle, un terrorista… poteva essere abbattuto. Ma un’idea? Un simbolo? Non poteva morire. Era immortale, duraturo e, soprattutto, più cercavi di abbatterlo, più le persone si aggrappavano ad esso.

Se la Foglia avesse catturato nuovamente Boruto – o, peggio ancora, se lo avesse ucciso – l’intera popolazione mondiale sarebbe esplosa in una vera e propria Guerra Civile.

Shikamaru si passò una mano tremante tra i capelli e lasciò cadere il mozzicone di sigaretta a terra. Il gioco a cui Boruto ed il mondo avevano giocato per anni adesso, per la prima volta, aveva improvvisamente acquisito senso. La logica dietro le mosse della Rivoluzione, l’aggressività dell’Organizzazione Kara, tutta la propaganda ribelle… tutto. Ogni cosa aveva senso adesso. Boruto aveva sollevato la bacchetta e suonato magistralmente ogni cosa. Era diventato la voce della gente, che parlasse per loro o no, e il mondo ci stava fottutamente credendo.

Questa era la cosa più sconvolgente. Se Shikamaru avesse cercato di smantellare Boruto per difendere la sua casa e il suo popolo, questo avrebbe solamente aumentato la convinzione nel messaggio che il Nukenin predicava. Avrebbero dovuto tagliare la testa del serpente quando si era ribellato la prima volta. Adesso, adesso era troppo tardi. Ormai stavano combattendo una battaglia persa, e ogni mossa contro il loro nemico serviva solo a rafforzare l’idea che la Foglia stesse semplicemente cercando di rimanere al potere. Boruto era la gente, e la gente vedeva ogni attacco su di lui come un attacco contro di loro.

E questo era sempre stato il suo piano sin dall’inizio della Rivoluzione.

“Abbiamo perso,” esalò Shikamaru sottovoce.

Non aveva più importanza ormai. Se Sentoki e il resto dei monaci si fossero uniti alla Foglia per porre fine a Boruto in un modo o nell’altro, ormai non avrebbe comunque avuto importanza. Avevano perso. Si trattava semplicemente di ritardare l’inevitabile.

Un fruscio tra il fogliame attirò l’attenzione di Shikamaru fuori da quei pensieri oscuri. Istintivamente, afferrò un kunai e si rimproverò da solo per essersi distratto in territorio nemico. Poi però si rilassò, tirando un sospiro di sollievo, quando vide Sentoki uscire dalle ombre della foresta con un sorriso sottile sul viso. “Buonasera, Shikamaru,” disse il monaco, inchinandosi rispettosamente.

“Ehi,” raspò lui, la sua voce roca. “Come va il braccio?”

Sentoki si sedette accanto a lui sul prato, fissando il cielo notturno. Shikamaru lo imitò. Era davvero bello, ammise a sé stesso. La Terra del Vapore, per qualche ragione, era altrettanto impressionante durante la notte quanto lo era durante il giorno. Il cielo era punteggiato di stelle, ed una nuvola di gas nebuloso strisciava verso l’alto per l’eternità. Era un dipinto irreale, con una miriade di colori che andavano dal blu, al verde, al rosso e persino al viola.

“È strano,” rispose il monaco, canticchiando sommessamente mentre osservava il cielo. “È doloroso, certo, e sto ancora imparando a vivere la mia vita con un solo braccio. Ma è comunque un’esperienza interessante.”

Il Nara sbuffò. “Non sembri essere molto turbato per essere un vecchio che ha recentemente perso un braccio in una battaglia contro il più grande sedizionista dei nostri tempi,” sospirò.

Sentoki sorrise – sorrise – udendo ciò. “Hai ancora molto da imparare, giovane Shikamaru,” iniziò a predicare. “Ciò che è successo, è successo; e ciò che accadrà, accadrà. Questa è la via del Cerchio. Combattere e ribellarsi ad esso non cambierà ciò che è successo a me. Arrabbiarmi non mi riporterà indietro. Se ero destinato a perdere un braccio, così deve essere; ed è successo per un motivo. Ed io non vedo l’ora di scoprire quale sia questo motivo.”

Shikamaru lo derise e scosse la testa. “Vorrei essere spensierato ed ottimista come te,” ammise con stanchezza.

“Lo sospettavo,” rise il monaco. “Il tuo rimuginare qui da solo è stato come un fuoco nella notte per uno come me.”

Il Nara emise una risata cupa. “Immagino di sì, eh,” rifletté sommessamente. Guardò le stelle, e si chiese perché la gente sulla Terra pensasse sempre e solo a litigare invece di chiedersi come fosse possibile osservare qualcosa di così bello. “Posso farti una domanda, Sentoki?”

Il monaco annuì. “Qualsiasi cosa.”

“Hai detto che quello che ti è successo è stata la volontà del Cerchio,” gli ricordò Shikamaru. “Ma allora… pensi mai che, forse, il Cerchio… il Destino… o quel che diavolo è… vuole che Boruto vinca?”

Sentoki rimase in silenzio per molto tempo prima di rispondere, osservando le stelle con uno sguardo imperscrutabile. “Forse,” meditò piano. “Forse il Cerchio vuole davvero che Boruto emerga vittorioso su di noi. Forse la Fratellanza è stata inutilmente a guardia del mondo dalla minaccia del Ninshū fino ad oggi sin dagli albori del chakra. Non spetta a me conoscere la volontà del Cerchio. Ma… questo non significa che mi sforzerò di meno per difendere il mondo dall’Organizzazione Kara. Forse la lotta è inutile, ma io combatterò lo stesso. Perché… è la cosa giusta da fare.”

Shikamaru si bloccò. C’era una saggezza semplice nella risposta del monaco, quasi scontata, eppure incredibilmente potente. Una verità ineluttabile che si era dimenticato di considerare fino a quel momento. Ovvero: la determinazione a combattere e non mollare mai. Shikamaru sorrise con affetto. I ricordi che aveva di Naruto affermavano esattamente una cosa simile. E lui, lui non sarebbe stato da meno. Shikamaru avrebbe continuato a combattere, avrebbe continuato a giocare. E se alla fine avesse perso, così sia. Era tutto quello che c’era da fare. Ma avrebbe comunque lottato per fare in modo di perdere sapendo di aver fatto del suo meglio, sapendo di aver fatto tutto il possibile.

Perché era l’unica cosa giusta da fare.

E questo gli dava un po' di pace.

“Grazie,” mormorò Shikamaru.

Sentoki fece oscillare la testa con un sorriso. “Non c’è di che.”

E allora, ancora una volta, Shikamaru iniziò a pianificare le sue mosse. Stava giocando da una posizione di svantaggio. Doveva correggersi prima di iniziare una manovra aggressiva. Era l’unico modo, l’unica cosa da fare per riuscire a sopravvivere. E dentro di lui, il suo cuore sapeva che doveva attaccare il nemico nel punto che faceva più male. Doveva attaccare alla base del suo potere. Doveva attaccare al cuore.

Shikamaru doveva andare nella Terra del Ghiaccio.
 










 

Note dell’autore!!!

Ciao ragazzi! Dopo questo lungo periodo di difficoltà e pausa, sono finalmente tornato.

Innanzitutto vi chiedo scusa per la mia completa assenza durante questi ultimi mesi… ma, come potete immaginare, non è stato un periodo facile per me, così come sicuramente non lo è stato per moltissime altre persone. Per tutti, anzi. Con il virus, la quarantena e i sacrifici che tutti noi siamo stati costretti a fare, certe difficoltà sono inevitabili.

Nonostante la quarantena, non ho avuto modo di scrivere perché non ero a casa mia – non ho avuto il mio portatile con me fino a qualche giorno fa – ed ero impossibilitato a concentrarmi su troppe cose per questioni di organizzazione di diverse robe. Per cui, ho dovuto fare una scelta – mettere temporaneamente da parte la storia – e dare priorità ad altre esigenze. Ma adesso sono tornato, e la storia riprenderà il suo svolgimento come sempre. Questo ve lo garantisco.

In questo capitolo abbiamo avuto un piccolo assaggio di ciò che tutti quanti già ci aspettavamo: la Foglia sta realizzando sempre più il piano che Boruto aveva in mente sin dai tempi de ‘Il Pianto del Cuore’. E a breve, accadranno delle cose interessanti che renderanno più dinamica tutta la vicenda. Il futuro si prospetta interessante.

Vi invito a leggere e commentare. Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate della storia, e le vostre opinioni sono ciò che mi spinge a scrivere e a impegnarmi nella scrittura. Inoltre, se ci sono errori grammaticali nel capitolo, vi esorto a farmeli notare così che possa correggerli quanto prima.

Ne approfitto per dire grazie a tutti quelli che mi hanno scritto e inviato messaggi durante questo periodo, vi sono veramente grato. Ho avuto modo di leggerli solo recentemente, ma li ho apprezzati moltissimo. Vi abbraccio con tutto il cuore, e vi invito ad essere prudenti in questo periodo difficile che siamo lentamente superando. A prestissimo!

Stay safe, guys!!!!

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Capitolo 21
*** Macchinazioni Nocive ***


MACCHINAZIONI NOCIVE





25 Novembre, 0021 AIT
Montagna Abbandonata, Terra del Ghiaccio
Centro Server Nascosto
10:00

Mitsuki sfrecciò attraverso il tempo e lo spazio. Tornò alla realtà con lo scoppio di una nuvola di fumo, ed il suo corpo trovò la propria posizione in entrambi gli assi della realtà. Sbatté le palpebre, scrollandosi di dosso la sensazione, e cominciò rapidamente a camminare attraverso il piccolo edificio di metallo in cui si trovava. Era una delle loro innumerevoli strutture nascoste sparse per il mondo, utilizzate da Kumo come server per i suoi infiniti fili di chakra. Erano edifici piccoli, rotondi e nascosti, autosufficienti e ben difesi, e contenevano solo una bobina di fili di chakra alimentata attraverso una puntura nello spazio-tempo e diverse marionette da combattimento che fungevano da guardiani. Tutti i Centri Server erano uguali. Anche se uno di essi fosse stato scoperto o distrutto, avrebbe a malapena influenzato la rete totale. Altri Centri sarebbero stati costruiti, rimpiazzando i vecchi e costruendo collegamenti aggiuntivi.

Mitsuki poteva ammirare il marionettista della Sabbia per questa sua invenzione passata. Kumo era un po' antisociale e strambo – e anche un po' folle – ma come collega e scienziato era estremamente brillante. Certamente il ragazzo dai capelli bianchi come i suoi era l’unico nei Kara, a parte Boruto, con cui si poteva avere una vera conversazione intellettuale.

L’albino trovò subito quello che stava cercando all’interno del piccolo edificio: una piccola scatola d’acciaio e un rotolo di pergamena, a cui altre piccole pergamene vi si nutrivano tramite fili di chakra. Mitsuki sorrise. Questa era un’altra cosa per cui la rete del marionettista andava bene: la raccolta in massa di chakra. Il dispositivo di raccolta era piuttosto semplice. Un prototipo basato su disegni rigidi e, francamente, ormai datati della Scatola del Paradiso della Terra dell’Erba. In altri termini, era una batteria di chakra. Certamente, però, il suo funzionamento era molto più complesso di così. Il concetto di conservazione del chakra per un uso successivo era vecchio quasi quanto il Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) stesso, ma non altrettanto semplice. Questa batteria aveva ammassato chakra per anni, anche durante la loro assenza a causa della prigionia. E la cosa più impressionante? Lo aveva fatto senza che nessuno se ne rendesse conto.

Era una delle sue più grandi opere, pensò Mitsuki con orgoglio. Controllando le letture della scatola, dovette essere d’accordo con sé stesso. Questa batteria, assieme a tutte le altre sparse in giro per il mondo, assorbivano continuamente il chakra ambientale. Chakra che era, sostanzialmente, un sottoprodotto delle emozioni della gente. Più forti erano le emozioni, più chakra veniva catturato. L’amore per gli altri, la gioia, la rabbia, la paura, l’orgoglio… ogni singola emozione emetteva energia nell’aria. E quest’energia veniva raccolta, codificata, ed ammassata nella scatola.

La paura, in particolare, era decisamente proficua. I dispositivi impiantati nella Terra del Vento e dell’Acqua ne ricevevano molta. Ma, in egual misura, Mitsuki scoprì che la Terra del Ghiaccio e quella del Vapore ospitavano un’emozione egualmente grande: la speranza. Una speranza viva che ardeva nei cuori della gente come un qualsiasi fuoco. I Centri Server impiantati in quelle zone avevano una resa particolarmente elevata per questo.

Presto, molto presto, lui e Kumo avrebbero avuto abbastanza chakra per iniziare il primo di molti esperimenti che avrebbero dovuto dare alla luce un nuovo tipo di vita. Una vita mostruosa, certo, ma comunque vita. E se i loro calcoli erano corretti, la vita che avrebbero generato sarebbe stata alla pari di quella di un Demone codato. Un avversario potente quasi quanto Boruto e i Kara stessi, se non di più.

Un’ennesima arma di distruzione a loro disposizione.

Mitsuki registrò le letture, sorridendo con soddisfazione, e si ritirò nuovamente nell’Occhio della Tempesta tramite l’anello sul suo dito. Il suo laboratorio lo accolse, con file su file di vasche cilindriche che ribollivano di ingredienti per la vita multicellulare. Tutto il quadro era pronto. Adesso, l’unica cosa che serviva era il chakra. Quindi, una volta scelti i candidati, il vero lavoro poteva iniziare.

Le sue labbra si incurvarono in un sorriso. Il loro leader sarebbe stato soddisfatto.
 


26 Novembre, 0021 AIT
Confine tra la Terra del Vapore e del Ghiaccio
10:00

C’era una ragione per cui l’Unione non si era mai avventurata nella Terra del Ghiaccio dopo che era diventato evidente che quella minuscola Nazione fosse caduta sotto il controllo della Rivoluzione. Era semplice, davvero. Ovvero: non vi si poteva agire. Nel senso letterale. La Rivoluzione si nascondeva in bella vista, in mezzo alla gente, e il popolo della Terra del Gelo detestava l’Unione per aver intrapreso i combattimenti più pesanti della Quarta Guerra Mondiale nel loro Paese, distruggendo le loro campagne. Era per questo che da decenni i Ninja non riuscivano mai a trovare lavoro, né affari, né tantomeno riparo tra la gente del Ghiaccio. E non era fattibile – quasi impossibile, anzi – resistere ed accamparsi in mezzo al freddo rigido di quel Paese senza l’aiuto della popolazione locale. Era stato per questo che, alla fine, l’Unione non aveva avuto altra scelta che cedere il controllo di quella Terra alla Rivoluzione.

Shikamaru deglutì a fatica. Si trovava sulla cima di una falesia montuosa che creava il confine tra il Vapore e il Ghiaccio. Guardando dietro di lui, vide solo bellezza. Guardando in avanti invece, si ergeva un aspro deserto di montagne in rovina, campagne sfregiate e fredda tundra. La differenza tra i due Paesi era netta più che mai.

“Tutti pronti?” chiese solennemente.

La sola risposta che ricevette furono i cupi cenni col capo dei suoi compagni. “Ricordate i vostri ruoli,” ricordò loro Shikamaru. “Ino, tu sei mia moglie. Choji, tu mio cognato. E Sentoki, tu sei un lavoratore disabilitato che ha perso un braccio durante l’attacco alla Roccia. Tutto chiaro?”

“Capito,” gli fecero eco.

“E ricordate,” aggiunse seriamente il Nara. “Niente chakra.”

Si imbarcarono nel loro viaggio molto più lentamente di quanto Shikamaru avrebbe voluto. Ma non avevano scelta. Si stavano comportando come civili impotenti. Il loro ritmo non poteva essere troppo rapido, altrimenti avrebbero rivelato di essere Shinobi. La salita lungo i sentieri di montagna era ripida, ma non eccessivamente infattibile. Tuttavia, alla fine, le mani e le dita di Shikamaru rimasero comunque doloranti dopo tutto quel tempo passato a reggersi alla pietra frastagliata per mantenersi stabile. Ino era tesa, visibilmente più nervosa degli altri, ma il Nara sapeva di non poterla biasimare. Persino lui poteva sentire gli occhi attenti della Terra del Gelo che lo fissavano mentre scendevano verso valle.

E il suo sesto senso aveva ragione. Neanche un minuto dopo aver finalmente raggiunto l’altopiano tra il Paese del Vapore e quello del Ghiaccio, una pattuglia di confine apparve da una base nascosta che nessuno di loro era riuscito ad intravedere. Erano soldati, questo era chiaro, in piedi e in formazione. Indossavano pantaloni neri e alcune delle armature più decorate che Shikamaru avesse mai visto. Si rifacevano alle casacche da Jonin, ma la somiglianza finiva lì. I suoi occhi videro sottili strati a piastre intrecciate, coperte da una trama di tessuto nero. Due cinturini di cuoio fissavano l’armatura al corpo, passando sopra le spalle, e venivano legati a degli spallacci neri. Le guardie, poi, erano armate con quelli che Shikamaru sapeva fossero guanti tecnologici: tutte piastre, ingranaggi e molle di metallo lisce e intrecciate. Coprivano loro le braccia dalle dita fino al gomito. Erano delle Armi Tecnologiche. E lui sapeva che le scatole di munizioni erano legate alla vita e alla schiena, riempite fino all’orlo con minuscole pergamene sigillanti che contenevano svariate Tecniche al loro interno.

Shikamaru s’irrigidì. “S-Salve,” li salutò nervosamente. Lasciò che il timore risuonasse nel suo tono. Stavano impersonando la parte di civili che passavano in un territorio controllato da sedizionisti. Dovevano apparire spaventati.

La pattuglia li squadrò, senza fiatare. Shikamaru odiava non riuscire a vedere i loro volti. Indossavano delle strane maschere bianche senza fattezze che nascondevano la loro identità, parecchio diffuse nei territori dei Ribelli. Gli impediva di vederne le reazioni facciali, e questo significava che Shikamaru avrebbe lavorato con informazioni limitate su di loro, e non gli piaceva. Deglutì e ritentò a parlare. “Siamo rifugiati del Paese della Terra,” spiegò in tono concitato. “Le nostre case sono andate distrutte nell’attacco e il nostro sostentamento è andato in rovina. Noi… speravamo di poter iniziare una nuova vita qui.”

Questa volta, le guardie si guardarono l’un l’altro, comunicando nella lingua parlata da tutti i fidati compagni di squadra: lo sguardo. Gli occhi di Shikamaru guizzarono avanti e indietro mentre li osservava comunicare silenziosamente tra loro.

Una di loro, una donna, si fece avanti. Era una guardia diversa dalle altre, secondo Shikamaru, per via della pura deferenza che gli altri le davano. Il loro ufficiale comandante, senza dubbio, e probabilmente uno degli agenti altamente addestrati impiegati dalla Rivoluzione e l’Impero. “Mi chiamo Belfry. Dovrò farvi alcune domande prima di permettervi di passare,” intonò freddamente la donna.

Shikamaru deglutì. Quella situazione non gli piaceva affatto. “Certamente,” annuì con falsa allegria.

Belfry tirò fuori un piccolo dispositivo elettronico simile ad un rotolo di pergamena. Il Nara lo riconobbe con una sola occhiata: era un registra-dati digitale, uno dei prodotti più recenti della società Kaminarimon, sita nella Terra del Fuoco. Il che gli fece sorgere la domanda: come cazzo se l’era procurato un ribelle? Poi, la guardia mascherata iniziò a digitare rapidamente sul piccolo schermo. “Per favore, dichiarate il vostro nome, età, luogo di nascita, occupazione e formazione,” ordinò.

“Yuki Tanaka,” riferì abilmente Shikamaru. “Trentanove anni, Paese della Terra, agricoltore, nessuna istruzione formale ma conosco i numeri e le lettere.”

“E cosa coltivava, signor Tanaka?” pressò Belfry.

Il Nara si agitò impercettibilmente. “Qualsiasi cosa, davvero,” scrollò le spalle. “Non c’era molto terreno coltivabile nel nostro Paese. Solo piccole cose, verdure ed erbe radicali. Ero principalmente dedito all’allevamento.”

Su questo, almeno, Shikamaru aveva esperienza. Ricordava ancora i lunghi giorni della sua infanzia passati a studiare le cure dei cervi del suo clan dopo la stagione degli amori in cui diventavano più violenti. Suo padre aveva insistito affinché partecipasse, e adesso gli aveva salvato il culo. Gli aveva permesso di accumulare abbastanza nozioni per ingannare i soldati nemici.

Belfry annuì. “Il prossimo,” disse, indicando Ino.

“Yui Tanaka,” rispose timidamente lei, penzolando dal braccio di Shikamaru. Vide gli occhi di Belfry sfrecciare tra di loro dietro la maschera. “Trentaquattro anni, Paese della Terra. Ero una casalinga, ma gestivo anche un’attività di fiorista per la mia famiglia. Non sono mai andata a scuola, ma mio padre mi ha insegnato a gestire l’attività.”

Belfry annuì lentamente, digitando ulteriori informazioni nella sua pergamena elettronica. “Voi due siete sposati?” chiese senza alzare lo sguardo.

Il Nara si schiarì la gola. “Sì.”

“E dove si è tenuta la cerimonia?” domandò ancora lei.

Shikamaru si rizzò all’udire la domanda. Perché quello non era un quesito standard da porre a qualcuno e – francamente – non erano affari suoi. Fortunatamente, Ino rispose per entrambi prima che il suo silenzio potesse divenire sospetto. “Oh, ci siamo sposati nel Tempio della Roccia! È stata una bella cerimonia, con tanti gigli, e…”

“Il prossimo,” la zittì Belfry con un gesto della mano, indicando Choji. Shikamaru emise un sospiro di sollievo. Avrebbero potuto uccidere queste guardie come niente, ma questo non li avrebbe fatti integrare nella gerarchia della Terra del Gelo. No, dovevano essere cauti e fare le cose per bene. Bisognava entrare in quel Paese dalla porta principale per integrarsi a fondo.

“Minato Takahashi,” esordì Choji, con voce profonda. Data la sua mole imponente, dominava su tutte le guardie, e con la sua folta barba rossiccia sembrava opportunamente minaccioso. “Quarantuno anni, Terra del Fuoco. Ero un cuoco… ho imparato il mestiere da mio padre.”

“Che ne è della sua formazione, signor Takahashi?” domandò la guardia, senza emozione.

“Non c’è bisogno di formazione per muovere un coltello e mettere qualcosa sul fuoco,” brontolò Choji.

Belfry annuì distrattamente. “E tu?” chiese infine, facendo un cenno a Sentoki.

Sentoki sorrise amichevolmente. “Shinichi Yakuro,” disse con serenità. “Cinquantasei anni. Ero un emigrato, prima di divenire un carpentiere. Ma ora, beh…” fece un gesto debole verso il moncone del braccio sinistro che un certo biondino gli aveva reciso. “L’ho perso durante l’assalto al Villaggio. Non riesco davvero a costruire niente con un braccio solo.”

Belfry sollevò la testa udendo ciò. Rivolse tutta la sua attenzione sul monaco e Shikamaru deglutì nervosamente. Perché, cazzo, non era comune trovare al mondo un uomo anziano, calvo e sfregiato che non aveva più un braccio. E dato che non potevano usare nessuna Tecnica di camuffamento per paura di essere scoperti da un sensore, dovevano rischiare il tutto per tutto. Ma forse, forse, adesso la loro copertura era saltata. Dopotutto, Shikamaru sapeva che Boruto non era così inetto da non informare le sue forze sull’aspetto dei suoi nemici. Eppure, nessuna delle guardie sembrò riconoscere Sentoki. La donna continuò a scrutare il monaco per qualche altro secondo prima di tornare a digitare sul registra-dati.

“Quando sei emigrato nel Paese della Terra?” chiese Belfry.

“Oh, devono essere passati venticinque o ventisei anni ormai,” rispose Sentoki con una scrollata di spalle. “Poco prima dell’inizio della Quarta Guerra Mondiale.”

“E dove hai imparato il mestiere di carpentiere?” premette lei.

Sentoki sorrise ampiamente. “Ti dirò: ho studiato sotto il grande Tazuna,” dichiarò orgoglioso. “Ho imparato tutto ciò che potevo da quell’uomo nella Terra delle Onde prima di iniziare un apprendistato nella Roccia.”

Belfry fissò il monaco come un pezzo di carne e non ci volle molta immaginazione per Shikamaru per comprendere che si stava insospettendo. Il cuore gli iniziò a battere così forte nel petto che si rimpianse di non aver potuto portare con sé le sue solite armi.

Era così certo che la loro copertura fosse saltata che quasi si strozzò quando Belfry annuì e mise da parte la pergamena digitale. Fece segno a un’altra guardia di farsi avanti. Un uomo mascherato la raggiuse e tirò fuori una manciata di carte dal suo zaino prima di consegnarle alla donna. Belfry tirò fuori una penna ed iniziò rapidamente a scarabocchiarci sopra. “Benvenuti nella Terra del Ghiaccio,” disse senza emozione, consegnando a ciascuno di loro un singolo foglio di carta. “Questo documenti sono i vostri permessi di soggiorno. Non perdeteli, e teneteli sempre con voi. Se vi verrà chiesto di mostrarli, fatelo immediatamente. Il mancato rispetto della legge è un reato capitale.”

Shikamaru annuì. Questo posto stava iniziando a somigliare molto più ad una prigione che al paradiso che gli era stato dipinto. Tuttavia, Belfry continuò a parlare. Sembrava annoiata, come se il messaggio che riferiva fosse ormai scontato. “C’è un severo coprifuoco dalle undici di sera alle sei di mattina. Chiunque venga sorpreso di notte durante quelle ore, per qualsiasi motivo, verrà opportunamente arrestato. Al signor Tanaka e al signor Takahashi saranno concessi lavori nelle vostre precedenti professioni, se volete. Invece la signora Tanaka e il signor Yakuro riceveranno una formazione gratuita e un incaricato in un’occupazione a loro scelta. Avete tra i sessanta e i settanta giorni per trovarvi un lavoro. Se non ce la farete autonomamente, lo Stato vi assumerà a sua spese. Tutti e quattro avrete diritto ad un’istruzione gratuita nella Capitale, Rikubetsu. Se desidererete continuare la vostra formazione, potrete presentare domanda all’Accademia. Se vorrete unirvi all’esercito, parlate con le guardie in qualsiasi angolo della città,” riferì meccanicamente.

La mente di Shikamaru corse a prendere nota di tutte quelle informazioni. Leggi a cui ubbidire, luoghi da ricordare, organizzazioni da classificare. Annuì con comprensione e Belfry sembrò soddisfatta. “Continuate su questa strada per nove miglia e raggiungerete la cittadina di Wakkai. Lì sarete accolti da un’altra pattuglia e vi verrà dato alloggio per la notte. Vi aiuteranno a trasferirvi e sistemarvi appena sarete pronti.” La donna fece una pausa, riprendendo fiato. “Adesso andate,” ordinò, facendo loro cenno di incamminarsi verso l’entroterra.

Shikamaru rimase completamente in silenzio mentre camminavano. Passò un minuto, poi cinque, poi dieci. Quando fu certo che fossero lontani da qualsiasi orecchio in ascolto, espirò lentamente e con affanno. “Come diavolo abbiamo fatto a non essere scoperti?” chiese, incredulo.

“A volte, mio giovane Shikamaru,” disse Sentoki in tono sagace. “La fortuna è l’elemento più importante di tutti.”

Ino e Choji ridacchiarono leggermente mentre il Nara sospirò.

Questa si stava rivelando una missione lunga, stressante e, soprattutto, problematica.

“Che seccatura.”
 


27 Novembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
21:30

L’occhio sinistro di Boruto scrutò la pergamena del rotolo che stava leggendo mentre la sua mano accarezzava pigramente una gamba, registrando le informazioni con attenzione. Un piccolo sorriso gli incurvò le labbra. L’armamento del suo esercito stava progredendo senza intoppi, e la stabilità del suo Impero sembrava consolidarsi ogni giorno di più senza problemi. Eppure, nonostante questo, si sentiva irrequieto. Si era aspettato un’eventuale contromisura da parte della Foglia e delle Nazioni alleate, ma al momento nessuno aveva fatto niente. Nessun assalto frontale, nessuna dichiarazione pubblica, niente di niente. L’ultimo avvistamento della Foglia era stata la sua battaglia contro l’Eremita e Shikamaru nella Terra del Vapore.

Questa cosa lo preoccupava.

Boruto non era stupido. Sapeva che Shikamaru stava architettando qualcosa. Con molta probabilità, anzi, lui e il suo Team si trovavano ancora dentro ai confini dell’Impero. Non poteva saperlo con certezza, ma ne era sicuro. Toneri non poteva spiare nessun altro a parte lui con le sue abilità di Divinazione, ma Boruto era pronto a scommettere che il consigliere dell’Hokage fosse sulle sue tracce in quel preciso momento. Shikamaru era un Nara, e come tutti i membri di quel dannato clan, era scaltro. Scaltro, efficace, e maledettamente subdolo. Lo avrebbe certamente ostacolato in qualche modo, e la sua presenza era una minaccia per i suoi piani di conquista.

Una minaccia che andava eliminata quanto prima.

Eppure, non poteva farlo. Non facilmente, almeno. Adesso che l’Eremita delle Sei vie si era alleato con lui, quell’uomo era diventato molto più pericoloso di prima. Boruto posò la pergamena su un tavolo e represse un ringhio a quel pensiero. Era stato ingenuo. Avrebbe dovuto ucciderlo quando ne aveva avuto la possibilità, durante il Summit o ancora prima degli eventi di Eldia. Adesso la situazione si era complicata, e di questo passo arrivare a Shikamaru sarebbe stato quasi impossibile. La minaccia che aveva rivolto a Shikadai su suo padre, ormai due anni fa, si sarebbe rivelata inutile a questo punto.

Era inaccettabile.

Boruto sapeva che doveva agire. Shikamaru e il clan Nara erano una minaccia non trascurabile nei confronti del suo Impero. E in quanto tali, andavano eliminati al più presto.

La domanda era: come?

Le ipotesi erano molteplici. Se non poteva toccare il padre, Boruto poteva prendere di mira il figlio. Lo aveva già messo alle strette in passato; e adesso aveva un pretesto per farlo di nuovo. Ma con la presenza di Sarada, Himawari e quelli della Foglia al suo fianco… era rischioso. Meglio evitare. Prendere di mira la moglie? Impossibile. Temari viveva nella Foglia, e assaltare il Villaggio per catturarla era un suicidio. Attaccare direttamente il clan Nara? Un’altra idea plausibile, ma la presenza dell’Hokage ostacolava ogni possibile ipotesi di infiltrazione nei confini della Foglia. Quindi, la realtà delle cose cominciò a prendere forma nella sua testa.

Se voleva riuscire a colpire Shikamaru e il suo clan, doveva isolarli in qualche modo.

Boruto sospirò, scuotendo la testa e posando lo sguardo sui rotoli davanti a lui. Si costrinse a leggere ed assorbire le informazioni nella pergamena successiva. Un trattato sull’applicazione della micro-gestione del chakra nelle Tecniche elementari. Il che gli ricordò un’altra questione da affrontare. La sua nuova Tecnica, la Lancia del Dio del Fulmine, non era ancora completa. Non solo usava gran parte del suo chakra – quasi la metà intera – ma era anche così pericolosamente potente da danneggiarlo al suo uso. Mikasa si era arrabbiata moltissimo con lui dopo lo scontro col Gobi (Pentacoda). Aveva perso sangue dalle orecchie, dal naso e persino dagli occhi. Usare quel Jutsu era estremamente pericoloso. Troppa potenza e insufficiente controllo. Questa cosa lo lasciava ancora più irritato.

Il problema era esattamente questo: Boruto aveva solo idee, ma non sapeva come attuarle al meglio. I suoi obiettivi, la meta, il traguardo che voleva raggiungere … erano lì, quasi alla sua portata. Ma lui non sapeva come fare per raggiungerli, per ottenerli senza perdite. Era il controllo che gli mancava. Forse stava sbagliando qualcosa, forse era troppo concentrato sulla gestione dell’Impero per riuscire a vedere il quadro completo della situazione.

E doveva trovare una soluzione per rimediare, quanto prima. Non poteva permettersi di rimanere in una posizione di stallo. Doveva colpire Shikamaru, e allo stesso tempo trovare un modo per sconfiggere Hagoromo senza lasciarci le penne. Doveva scovare e catturare i Demoni codati rimasti, senza però farsi scoprire e fermare dai suoi nemici. Doveva ultimare la sua Tecnica più forte, senza danneggiarsi eccessivamente. Tutte queste cose, e molte altre ancora, stavano diventando un peso sempre più insopportabile per le sue povere spalle. Doveva fare qualcosa.

Fu il bussare alla porta del suo ufficio a riscuoterlo da quei pensieri. “Avanti,” sospirò, massaggiandosi le tempie.

Mikasa fece capolino con la testa dall’uscio della porta. “Boruto? Posso parlarti?” chiese dolcemente.

Il volto del Nukenin s’illuminò appena la vide. “Certo. Che cosa…” iniziò a dire, solamente per poi essere interrotto dal lamento acuto e costante di una sirena. Era l’allarme del castello. Boruto si alzò in piedi in un istante, e l’Occhio della Tempesta ronzò di chakra mentre il suo creatore proiettava i suoi sensi in lungo e in largo alla ricerca del pericolo.

Fu allora che lo trovò. C’era un grande… un grande qualcosa che stava scatenando il caos nelle viscere del castello, muovendosi dai laboratori sotterranei verso la superficie. Il suo occhio si fece gelido come il ghiaccio. “Mikasa, dì agli altri che uno degli esperimenti di Mitsuki e Kumo si è liberato,” ordinò il biondo, muovendosi in fretta. “E disattiva quel dannato allarme.”

Mikasa formulò il sigillo della Tigre con le mani, trasmettendo informazioni e ordini agli altri, e l’allarme smise immediatamente di suonare mentre Boruto attraversava le sale del suo castello. Intravide il suo obiettivo in meno di mezzo minuto. Era una creatura orribile, muscolosa e sinuosa come un serpente, con la carne color rosso sangue e chiazze ossee collegate ad essa come piastre di un’armatura. Aveva innumerevoli braccia simili a quelle di un insetto, comicamente corte per il suo lungo corpo, e si agitavano orribilmente mentre la creatura imperversava. Boruto svoltò un angolo, trovandosi faccia a faccia con la bestia, ed attivò il Jougan prima di lanciarsi contro di essa. Un’appendice carnosa sulla testa del mostro sputò fuori una lingua di carne rosa che si contorceva e sputava acido.

Boruto attivò la Scia di Fulmini e spinse la spada in avanti. La lingua del mostro, o qualunque parte del suo corpo fosse, esplose in una nebbia di sangue e carne polposa con un semplice affondo della katana. La creatura strillò, più in preda alla rabbia che al dolore, e avanzò verso di lui con un ruggito. L’appendice carnosa si spalancò di nuovo, agitandosi come la testa di un rettile, mostrando una serie di denti rovinati mentre scattava per cercare di ingioiarlo intero.

In quell’istante, l’Uzumaki comprese una cosa. C’era una ragione per cui a nessuno piaceva combattere nei corridoi. Gli spazi angusti e stretti rendevano le schivate quasi inutili. Boruto ringhiò mentre le sue braccia si facevano volontariamente strada nelle fauci del mostro. Una sopra, una sotto, impedendogli di azzannarlo. Poi, il guerriero grugnì mentre veniva sbattuto contro un muro di pietra e, con un solo pensiero, la forza pura prese a scorrergli nel corpo al posto della velocità. Boruto si rialzò, strappando in due la testa della creatura con le mani, e centrandola nel ‘cervello’ con un singolo affondo della spada. La bestia, per fortuna, smise di muoversi e crollò a terra con un sibilo.

Il suono di pesanti passi preannunciò l’arrivo di tutti gli altri, ancora vestiti con gli abiti da notte ma armati, pronti per la battaglia. “Che è successo qui?” esclamò Gray, osservando la creatura morta ai suoi piedi.

Boruto assottigliò lo sguardo. “Mitsuki e Kumo hanno molte spiegazioni da fare,” ringhiò, marciando ulteriormente nelle viscere del castello. Tutti gli altri lo seguirono senza fiatare.
 


30 Novembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione


Città Capitale di Rikubetsu
19:00

Shikamaru sospirò. Mentre lo faceva, cercò di non lasciare che le sue mani sfregassero contro i pantaloni. Erano macchiati di rosso e giallo, il tessuto completamente rigido e umido, dopo che aveva assistito alla nascita di un vitello appartenente alla razza di alcuni strani e pelosi buoi che abitavano la Terra del Gelo. Per fortuna gli avevano dato dei guanti, ringraziò Shikamaru in silenzio. Ma adesso, dopo tutta quella giornata a lavorare, l’unica cosa che voleva era una fottuta doccia.

Rikubetsu era la città più grande della Terra del Ghiaccio, la sua capitale, – nonché Capitale dell’Impero – e Shikamaru era rimasto davvero impressionato da quanto fosse sviluppata rispetto a quanto si era immaginato. Dopotutto, la Quarta Guerra Mondiale aveva davvero rovinato la Terra del Gelo; talmente tanto da superare i danni subiti da tutto il resto delle Nazioni. Negli anni immediatamente successivi al conflitto, rimetterla in sesto era stato un inferno. Naruto e Sasuke, Madara e Obito, Gai e Kakashi, i Bijuu… in un modo o nell’altro, tutti loro erano finiti per scontrarsi in questi territori, devastando il Paese, livellando le montagne e cambiando il paesaggio con le loro azioni. Ma Rikubetsu… sembrava incurante del passato di distruzione che la sua Terra aveva alle spalle. Era distesa e piatta, i suoi edifici puliti ed uniformi, ciascuno un’esatta copia degli altri. Erano moderni, con elettricità e acqua corrente, i tetti piastrellati e abbastanza resistenti da poter reggere chili e chili di neve, con le pareti spesse ed isolate dal freddo. Le strade erano lastricate e mantenute sempre pulite, così come le pareti degli edifici, a differenza di quelle della Foglia che spesso erano macchiate o decorate per via dell’intervento degli abitanti. Linee elettriche e lampioni illuminavano la città di notte fino all’alba. Le guardie erano tutte in uniforme, professionali e serie; e gli abitanti amichevoli e solidali gli uni con gli altri.

E soprattutto, Shikamaru era rimasto colpito dal tangibile sentimento di cultura, di comunità, che aleggiava in quel posto. Rikubestu, e la Terra del Ghiaccio, sembravano davvero essere un’unica, gigantesca casa. Non casa sua, ovviamente, ma era una vera casa per la sua gente.

Il che rendeva il suo obbiettivo di distruggerla molto più difficile.

Shikamaru superò un paio di uomini brizzolati e alti, con muscoli sporgenti. Dovevano essere minatori, dedusse, osservandoli di soppiatto mentre ritornava a casa dopo il turno di sera. Riuscì a sentire solo una parte della loro conversazione mentre passava, ma fu abbastanza per le sue orecchie allenate. Le persone della Terra del Ghiaccio erano molto dirette nelle loro opinioni sulla Foglia e le Nazioni Alleate. Anche della società Ninja in generale, in effetti. E dopo diversi giorni di contatto diretto con loro, Shikamaru si era reso conto che la parte più difficile della sua infiltrazione non era stato il nascondersi, ma bensì l’imparare ad accettare che la gente dell’Impero odiava davvero la Foglia e desiderava attivamente la sua distruzione.

Ma Shikamaru aveva una soluzione. LA soluzione, sperava. Se fosse riuscito a mostrare a queste persone che i Ninja non erano quello che pensavano, se fosse riuscito a mostrargli che la Foglia non era ciò che Boruto diceva loro… allora forse, forse, sarebbe stato possibile convincerli che il Kurokage e i Kara non volevano altro che il dominio del mondo e la distruzione di chiunque osasse mettersi sulla loro strada. Avrebbe potuto dimostrare che l’Impero li stava usando solo come scudo per nascondersi dietro di loro.

Shikamaru girò l’angolo della strada, passeggiando lungo il marciapiede, e vide Ino sulla veranda della loro ‘casa’, intenta a stendere il bucato. Lei lo notò e gli mandò un bacio esageratamente dolce con una mano. Il Nara sospirò, scuotendo la testa. Sperò con tutto il cuore che Sai non leggesse mai il rapporto sulla loro missione, una volta tornati a casa. Non aveva nessuna intenzione di trovarsi la spada di quel tipo tra le costole. “Ehi,” la salutò Shikamaru, agitando la mano.

“Giornata dura al lavoro?” chiese Ino, osservando i suoi pantaloni macchiati.

Shikamaru sospirò. “Sì,” rispose. Lavorare come allevatore era più faticoso di quanto avesse mai pensato. Dopo questa esperienza, il Nara nutriva un rinnovato rispetto per gli uomini e le donne che fornivano loro il cibo che mangiavano.

“Beh, almeno tu puoi fare il lavoro che hai scelto. Io sono una maledetta lavandaia!” si lamentò Ino.

Il Nara sospirò di nuovo, passandosi una mano sul viso. “Yui,” si assicurò di usare il nome della sua falsa identità. “…ne abbiamo già parlato. Queste persone non hanno bisogno di una fioraia, e tutti devono contribuire in un modo o nell’altro. È stato il primo lavoro che abbiamo trovato che non necessitava di alcun corso di formazione. Non potevamo rischiare di cercare un altro lavoro solo per assegnartene uno anche a te.”

Ino incrociò le braccia “Beh, grazie tante, caro maritino, per esserti preso cura di me,” brontolò.

Shikamaru la ignorò e scosse la testa prima di lasciare la sua amica al suo lavoro, entrando nell’edificio. Lui e Ino, assieme anche agli altri due compagni, essendo amici e familiari, condividevano una delle case di mattoni che punteggiavano la periferia di Rikubetsu. Fece un cenno col capo a Choji, che aveva trovato lavoro come cuoco per le guardie, e a Sentoki, che adesso lavorava in una piccola sartoria. Era stata l’unico posto disposto ad impiegare un uomo con un braccio solo. Sentoki aveva accettato dicendo di aver trascorso innumerevoli ore a cucirsi da solo le sue vesti da monaco. E per tutta la durata del loro soggiorno, Shikamaru li aveva costantemente tenuti aggiornati sulle notizie che sentiva su Boruto, i Kara e la Rivoluzione.

Il Nara setacciò casualmente la casa, cercando qualche microspia, insetto o qualsiasi altro tipo di intercettazione, mantenendo i suoi sensi all’erta in caso di Tecniche di osservazione esterna. Probabilmente non era necessario, dato che avevano una Yamanaka per tenere d’occhio queste cose, ma Shikamaru preferiva stare sul sicuro in ogni caso. Avrebbero potuto abbattere un solo squadrone di guardie al confine, ma un’intera città? Non era stupido. Una volta assicuratosi che né lui né i suoi compagni erano sotto sorveglianza, Shikamaru si inginocchiò e allungò la mano verso la sua ombra. Era un trucco che aveva imparato dai rotoli del clan Nara dopo che suo padre era morto. Un modo per nascondere oggetti nella propria ombra, per nasconderti alla vista degli altri, e persino per diventare completamente un’ombra. Shikamaru sorrise, tirando fuori dall’ammasso ombroso la piccola videocamera e il microfono presi in prestito dall’Intelligence prima di intraprendere la missione. Era stato necessario: se avessero potuto riprendere la gente del Ghiaccio, registrando le loro parole e azioni dal vivo, allora avrebbero potuto iniziare a sviluppare una propaganda per riportarli dalla loro parte una volta conclusa la missione.

Fu improvvisamente interrotto da un bussare alla porta. In un istante, il suo cuore prese a battere forte. Si alzò, ritirando la mano dall’ombra e lanciando occhiate diffidenti alle finestre per vedere se ci fosse qualcuno che lo avesse visto. Vide Choji e Sentoki, entrambi tesi e pronti a combattere, osservare la porta con attenzione. Shikamaru si schiarì la gola e si mosse per aprire. Ino era fuori, intenta a chiacchierare felicemente con una donna più anziana su come gli uomini fossero incapaci di tenere i loro vestiti puliti e su come fossero poco più intelligenti dei maiali.

Shikamaru deglutì, emettendo una risata nervosa mentre apriva la porta. “Salve,” disse con diffidenza.

“Ah, tu devi essere Yuki!” esultò la vecchia. “La mia cara Yui mi ha raccontato tutto di te. È così bello conoscerti!”

Shikamaru lanciò un’occhiataccia a Ino che sorrideva maliziosamente. “Ah, sì. Piacere mio, signora…?” s’interruppe.

“Yukimura! Kasumi Yukimura!” l’anziana si alzò in punta di piedi per baciargli la guancia in segno di saluto. “Io e la mia famiglia viviamo in fondo alla strada. Stasera abbiamo organizzato una festa, e stiamo invitando tutti quelli dell’isolato. Voi siete nuovi, ma volevo dirvi che ci avrebbe comunque fatto piacere avervi con noi!”

Il Nara ridacchiò nervosamente. “Ci piacerebbe molto, signora Yukimura,” iniziò a dire. “Ma…”

“Certo che verremo!” esclamò Ino ad alta voce, annegandolo. “Non è vero, Yuki?”

Shikamaru sospirò mentre i suoi occhi si rivolgevano al cielo. Quella donna sarebbe stata la sua fine. “Certamente,” esalò alla fine, sfoggiando un sorriso finto.

“Oh, che meraviglia!” esclamò gioiosamente Kasumi, fornendogli subito dopo indicazioni e istruzioni sulla via da seguire.

Poi, prima che Shikamaru potesse formulare un solo pensiero, la vecchia stava scappando a gambe levate verso la casa più vicina. Rivolse uno sguardo appassito su Ino. “Ti odio,” disse, petulante.

La bionda gli fece la linguaccia. Shikamaru sospirò. Tornò in casa, prese la videocamera e il microfono, ed infermò Choji e Sentoki su ciò che lui ed Ino avrebbero fatto quella notte. Sfoggiandogli dei sorrisi pieni di compassione, i due si limitarono ad annuire senza fare storie. Non lo invidiavano affatto. Poi Shikamaru si diresse verso le camere private, si fece una doccia e si cambiò i vestiti – finalmente – prima di farsi strada nell’isolato che la vecchia gli aveva indicato di seguire. Una volta giunto lì, c’erano già diverse famiglie che parlavano tra di loro. Alcuni lo riconobbero e lo salutarono cordialmente, mentre molti altri si presentarono subito dopo. Parlarono per diversi minuti, scambiandosi chiacchiere e convenevoli, parlando di piccole cose per mantenere sicura la loro copertura.

Fu solo quando Shikamaru entrò nella casa dove si svolgeva la festa che iniziò a sentire che qualcosa non andava. La causa? Un uomo brizzolato e gigantesco armato di spada, talmente alto da far pensare a Shikamaru che avrebbe potuto passare sotto ad una delle sue gambe senza nemmeno piegare la testa. “Uh,” soffocò il Nara appena se lo trovò dinanzi. “Salve, signore.”

Shikamaru s’inchinò. Non per rispetto, ma per rimuovere forzatamente gli occhi dal volto dell’uomo. Era orribilmente mutilato, e il suo corpo bruciato dal collo in giù. La pelle era scura e macchiata, come se fosse stata scottata e poi raffreddata successivamente.

Il vecchio spadaccino grugnì. “Raddrizzati,” borbottò. “Hanno tutti la tua stessa reazione la prima volta che mi vedono.”

Il Nara deglutì. “S-Sono desolato,” si scusò.

“Non esserlo,” scrollò le spalle quello. “Sono orgoglioso delle cicatrici. Grazie ad esse potrò essere brutto e sgradevole alla vista, ma nessuno può dirmi che ero un codardo.”

Shikamaru inarcò un sopracciglio per l’interesse. Poteva sentire che c’era una storia dietro. “Come si è procurato quelle ustioni?” si azzardò a chiedere.

Le due parole che il vecchio pronunciò furono un pugno allo stomaco per lui. “Sasuke Uchiha,” rispose. Shikamaru sgranò momentaneamente gli occhi, prima di calmarsi ed osservare di nuovo la faccia sfregiata dell’uomo. Il suo sguardo sfrecciò poi alla spada legata al suo fianco.

Quello gli lesse quasi nel pensiero. “Sì, sono un Samurai. O meglio, lo ero,” confermò l’uomo. “Uno dei pochi che ha avuto modo di vedere le Fiamme Nere di quel bastardo, sopravvivendo abbastanza a lungo per raccontarlo. Mi chiamo Hayate Yukimura.”

“Yuki Tanaka,” disse Shikamaru, allungando una mano e stringendola a quella dell’altro.

“Ah,” fece Hayate. “Sei uno dei nuovi vicini di cui mi ha parlato mia moglie.”

“Siamo noi,” ammise il Nara con un sorriso nervoso. “Allora, cosa state celebrando? Kasumi non mi ha detto nulla.”

Hayate sorrise con orgoglio. “Mio nipote, Sōsuke,” spiegò. “È una guardia, qui nella Capitale. Uno dei migliori. L’ho addestrato nell’Arte della Spada sin da quando aveva sette anni. Era già molto dotato col chakra prima di entrare al servizio dell’Impero. Ma adesso che è stato scelto dai piani alti? Sōsuke è il migliore dei Ninja e dei Samurai in un corpo solo.”

“Ah,” Shikamaru annuì. All’improvviso, in quel momento, il Nara desiderò che Ino non fosse stata così vendicativa con lui. L’ultima cosa che voleva era trovarsi vicino a quella che suonava come una delle alte sfere della Rivoluzione.

Il vecchio sfregiato sorrise. “Sì, quello è il mio ragazzo. Così buono, così dotato. Lo stesso Kurokage in persona lo ha accettato per un programma di allenamento avanzato. È per questo che festeggiamo stasera.”

Shikamaru annuì. Poi ammiccò con le palpebre, stupito. “Huh?”

“Ah! Ho avuto la tua stessa reazione la prima volta!” Hayate gli sbatté sarcasticamente una mano sulla schiena, facendolo quasi cadere a terra. “Riesci a crederci? Il mio Sōsuke al servizio del Kurokage!”

“Ehm, wow,” soffocò Shikamaru, mentre la sua mente si affrettava ad assimilare le nuove informazioni. “È fantastico. E… in che cosa consiste questo programma di allenamento?” chiese, cercando di suonare meno interessato di quel che era.

Il signor Yukimura, orgoglioso nonno quale era, probabilmente aveva detto più di quanto avrebbe dovuto. Ma non era un Ninja, quindi non lo avrebbe mai saputo. Shikamaru sorrise. “Non lo so,” disse Hayate, scrollando le spalle. “Qualcosa su una nuova arma per potenziare l’esercito. Mio nipote si è arruolato volontariamente. Ha detto che era davvero roba all’avanguardia.”

Shikamaru deglutì ed annuì. Sì, sembrava decisamente qualcosa che lui e la Foglia avrebbero dovuto sapere. Forse, alla fine, ne era valsa la pena di venire a questa festa. Se Boruto stava avviando un nuovo programma d’armi, significava che la Foglia e i suoi alleati erano in pericolo. Ci sarebbe stata una battaglia, e di questo passo Boruto sarebbe stato destinato a vincere. Shikamaru non aveva intenzione di permetterlo. L’ultimo combattimento istigato dai Kara era stata la Guerra nella Sabbia, e le cose erano state tragiche già allora.

In quel momento, numerose esclamazioni di saluto e gioia esplosero nell’aria, e Shikamaru si girò a guardare la confusione. Sōsuke Yukimura, vestito con l’armatura nera della Rivoluzione e armato di Guanto tecnologico e spada, si fece avanti in mezzo agli ospiti riuniti. Era alto, solido, e si muoveva con determinazione e concentrazione anche mentre la gente iniziava a congratularsi con lui o gli dava delle pacche sulla spalla. I suoi occhi, castani e acuti, incorniciati da capelli scuri, sfrecciavano da un ospite all’altro. Shikamaru riconobbe quello sguardo. Lo sguardo di un soldato alla ricerca di un nemico. Allontanandosi discretamente dal vecchio distratto, il Nara scivolò in una Tecnica di Trasformazione senza farsi notare.

Cibo e bevande vennero serviti dopo l’arrivo di Sōsuke. La gente era troppo povera per poter comprare del vino, e non osava pensare di usare prodotti alimentari per produrre alcol. Invece, fecero uso di una bevanda alcolica a base di un frutto fermentato di un arbusto che cresceva in alto sulle montagne di quel Paese. Shikamaru li aveva visti una volta, durante i suoi viaggi. Erano frutti resistenti, fibrosi e di colore bianco pallido, come la neve. La tariffa per il loro commercio era più liberale rispetto a quella dell’uva o del riso. E anche il cibo era decisamente diverso dalla carne a cui era abituato a mangiare nei ristoranti Akimichi in cui Choji trascinava sempre lui ed Ino.

Shikamaru attese che tutti gli ospiti avessero bevuto diversi bicchieri prima di iniziare a raccogliere informazioni e video nascosti per il suo filmato di propaganda. Soprattutto, fece del suo meglio per evitare di trovarsi nella stessa stanza, per non dire stessa distanza visiva, di Sōsuke. Era certo di poterlo sconfiggere in battaglia, ma non voleva sfidare la fortuna.

Poi, la notte divenne più buia, e Shikamaru divenne più audace. Le persone iniziarono ad andarsene, ubriache, e quelle rimaste iniziarono a bere fino al punto di perdere le loro facoltà superiori. Il Nara spense discretamente la sua macchina fotografica e la nascose nella sua ombra dopo aver simulato un inciampo dovuto all’ebrezza, avvicinandosi a Sōsuke. Gli sarebbe piaciuto registrare la conversazione anche con lui, ma quel rivoluzionario non aveva preso più di un solo bicchiere sin dall’inizio della serata. Era troppo rischioso. Una curiosità dettata dall’ubriacatura poteva accettarla, ma una registrazione no.

“Allora,” sbottò Shikamaru, fingendosi ebbro. “Sei parte della Rivoluzione, eh?”

Gli occhi di Sōsuke si concentrarono immediatamente su di lui, e il Nara dovette sforzarsi di rimanere ubriaco e languido mentre veniva valutato come una minaccia. Alla fine, a quanto pareva, Sōsuke non lo trovò diverso da un ubriaco innocuo e senza nome. “Sì, lo sono,” rispose in tono succinto.

“Deve essere interessante, scommetto,” continuò Shikamaru, prendendo un altro sorso dalla bevanda alcolica.

“Mi annoio raramente, se è questo che intendi,” annuì Sōsuke.

“E tuo padre ha detto che sei al servizio del Kurokage!” sbuffò il Nara, appoggiando una mano ferma sulla spalla del giovane. Quello si accigliò alle sue buffonate ubriache. “Dev’essere grandioso!”

Sōsuke sembrò innervosirsi per un momento prima di spostare lo sguardo. “Sì, mi è stato concesso un grande onore,” disse.

Shikamaru ridacchiò, soffiando il suo respiro alcolico nella direzione del rivoluzionario. Il suo naso si arricciò visibilmente. “Sai, mi sono sempre chiesto una cosa,” esalò, fingendosi confuso nell’ebrezza. “La Rivoluzione era sempre stata guidata da Kashin Koji, ricordi? Un vecchio pazzo. E poi, all’improvviso, è guidata da Boruto Uzumaki, il figlio dell’Hokage. Un po' strano, no?”

Sōsuke tolse abilmente la mano di Shikamaru dalla sua spalla e fece un passo indietro. “Il precedente leader della Rivoluzione era un folle. Il nostro Kurokage lo ha eliminato subito per questo, e poi nascose al mondo la sua vera identità al fine di evitare la cattura da parte di quei bastardi della Foglia,” affermò con decisione. “Nascondersi nell’ombra e restare in agguato fino al momento opportuno è stata una tattica eccellente, anche negli avvenimenti recenti. Ma indipendentemente dalle sue azioni, non cambia il fatto che ciò che il Kurokage ha fatto ha dato alla nostra gente speranza e un futuro per cui combattere.”

Dannazione. Ciò probabilmente significava che non poteva giocare in quell’angolo di disonestà per seminare discordia. Shikamaru imprecò silenziosamente. “Immagino che sia vero,” sbuffò invece, smettendo di fare domande. Il persistere sarebbe stato solo un sospetto. Ma aveva ancora una o due cose da scoprire prima di andarsene. “Comunque sia, è pazzesco! Ti allenerai sotto di lui! Devi essere forte, eh?”

“Mi considero uno dei membri più potenti della guardia cittadina, sì,” annuì Sōsuke, lanciando un’occhiata alla stanza e cercando una via di fuga dall’interrogatorio ubriaco di Shikamaru.

Il Nara non poteva permetterglielo. “Devo chiedertelo, amico,” sbottò, muovendosi per avvolgergli un braccio attorno alla spalla. Il giovane lo evitò abilmente e Shikamaru per poco non inciampò. “Cosa pensi che t’insegnerà?”

Sōsuke si allontanò, cercando di mescolarsi con gli altri ospiti per evitarlo. “Gli altri ed io siamo stati accettati per il nostro controllo del chakra, e per la nostra volontaria decisione di accettare fonti di chakra esterne,” disse di fretta. “Suppongo che impareremo a controllarle.” Detto questo, se ne andò.

Shikamaru divenne di colpo serio mentre Sōsuke fuggiva. Questa… Questa non se l’aspettava. Boruto non stava solo conducendo un nuovo programma d’armi. Stava iniziando una sperimentazione umana. Qualcosa che non si era mai aspettato da lui, visto il suo espresso odio nei confronti di Orochimaru. Beh, adesso aveva ricevuto una bella informazione. E stavolta, per la prima volta, sapere che Orochimaru aveva ragione su Boruto diede a Shikamaru un piacere perverso… perché questa cosa avrebbe fatto incazzare quel Nukenin folle in maniera esagerata.

“L’imitazione è la più grande forma di adulazione, Boruto,” borbottò Shikamaru, bevendo un altro drink.
 


01 Dicembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
07:30

Boruto osservò, impassibile, mentre i soldati che aveva selezionato per il programma della creazione di Jinchuuriki (Forze Portanti) artificiali venivano teletrasportati nell’Occhio, i loro occhi spalancati e i loro volti tesi e nervosi come non mai. Erano il meglio che la sua gente poteva offrirgli, i migliori Guerrieri tra tutti, geniali e fedeli come pochi. Tuttavia, nemmeno loro potevano competere con la dura vita e l’addestramento a cui si sottoponevano la maggior parte dei Ninja. Ma nonostante questo, avrebbero comunque servito al loro scopo.

Sedici in tutto, e Boruto sperava – per il loro bene e per quello di Mitsuki e Kumo – che almeno la metà di loro riuscisse a sopravvivere a ciò a cui stavano per sottoporsi. Si erano offerti volontari, nessuno di loro era stato costretto, ma comunque l’idea non gli piaceva per niente. Farsi sigillare nel corpo un Demone artificiale non era cosa da poco, e lo sapeva bene.

Il nuovo progetto di Mitsuki e Kumo stava dando frutti, ma i costi erano elevati. Le mostruosità create erano selvagge e furiose, più ferali e distruttive di qualsiasi altro Demone che Boruto avesse mai visto, e possedevano persino più odio e rabbia dei nove Cercoteri. Tuttavia, erano potenti, più potenti di qualsiasi Jonin o ANBU, e per questo strumenti utili al fine bellico. Se uno di quei soldati fosse riuscito a sopravvivere al trattamento, sarebbe diventato più forte di qualsiasi altro Ninja esistente. I più forti avrebbero persino potuto essere alla pari di un Kage debole, come il Kazekage o il Mizukage. Boruto non aveva grandi speranze su questo, ma l’idea era comunque allettante.

Quindi, quando tutti i soldati furono riuniti attorno a lui, il Kurokage parlò. Chakra invisibile si arrotolò dietro di lui, come un serpente, e Boruto parlò con un tono di voce potente e autorevole amplificato da una Tecnica del Vento. “Benvenuti nell’Occhio della Tempesta,” disse. “Per le prossime settimane, io vi addestrerò personalmente sulle vie del chakra. Alla fine del vostro allenamento, vi verrà conferito il dono che avete accettato di prendere su di voi. E per coloro che sapranno resistere,” – e per resistere intendeva sopravvivere – “Il potere che riceverete sarà al di là di quello che qualsiasi altro mortale potrebbe mai ottenere.”

Gli accoliti che aveva raccolto dinanzi a sé lo osservarono con occhi pieni di tensione, trepidazione ed emozione in egual misura. L’emozione che provavano nel trovarsi al suo cospetto era percepibile anche senza il Jougan. Boruto li osservò uno per uno, studiando dall’alto in basso ognuno dei suoi ‘studenti’.

L’idea di avere degli studenti era strana per lui. Certo, non erano veri studenti, né tantomeno allievi. Non come lui lo era stato con Urahara, Annie e Zeref. E nemmeno con Sasuke. E non erano neanche come Mikasa e Sora, amici che si erano spinti oltre il limite per eguagliarlo. No, queste persone erano più simili a delle spade da affilare, diciamo. Il concetto di allievo era diverso. Un allievo era un discepolo, qualcuno in cui s’intravedeva un’anima affine… e questo era un pensiero affascinante per Boruto. Aveva scalato la montagna del potere per così tanto tempo da dimenticarsi che un giorno, in qualche modo, ne avrebbe inevitabilmente raggiunto l’apice. E quando lo avrebbe fatto, la cosa più giusta da fare sarebbe stata voltare lo sguardo indietro e cercare un discepolo a cui trasmettere le sue conoscenze, le sue Tecniche, e le sue convinzioni. Ma lo avrebbe davvero potuto fare? Avrebbe davvero potuto trovare qualcuno a cui cedere tutto? Qualcuno a cui tramandare tutto ciò che aveva appreso nel corso della sua vita?

Qualcuno con cui condividere quest’affinità speciale?

Quello, tuttavia, era qualcosa che a Boruto sembrava improbabile. Un simile spirito affine sarebbe stato indicibilmente raro e prezioso da trovare. Era improbabile riuscire a trovarlo in una vita sola. Forse… Forse era per questo che il Settimo Hokage non aveva mai preso un allievo? Per quanto lui ne sapeva, l’Hokage aveva insegnato solamente a Konohamaru e Himawari. E anche nel loro caso, era stato un rapporto di familiarità e affetto a convincerlo a farlo, più che un vero rapporto tra maestro e allievo.

Forse suo padre non aveva mai trovato quello spirito affine a cui tramandare i suoi insegnamenti? Era un’ipotesi. Dopotutto, quale essere umano poteva possedere i requisiti ideali per divenire l’allievo del leggendario Settimo Hokage? Avrebbe dovuto essere qualcuno di notevole talento, potere, e compassione. L’uomo più potente del mondo, a tutti gli effetti.

Tuttavia, mentre ragionava su quelle cose, un pensiero iniziò a balenare nella mente del Nukenin. Un’idea, un’ipotesi. Una possibilità che forse, forse, un giorno avrebbe potuto mettere in pratica per davvero.

Boruto rifletté su quali attributi avrebbe cercato in un discepolo. La lealtà, soprattutto, perché non gli avrebbe affidato solo le sue conoscenze, ma anche il suo sogno di un mondo ed un popolo unificati per sempre. Qualcuno che era naturalmente sincero, determinato, e che possedeva la perseveranza necessaria per continuare ad allenarsi e combattere anche quando la maggior parte degli uomini si sarebbe spezzata nel corpo e nello spirito. Qualcuno con un’intelligenza astuta e una naturale curiosità, e che non avrebbe mai voltato le spalle alle persone a cui voleva bene. Qualcuno che potesse apprezzare e riconoscere il vero valore della fami-

Il suo corpo trasalì improvvisamente.

Boruto esitò. Mentre ragionava, delle parole iniziarono a riecheggiargli nella mente senza preavviso. Parole non sue. Parole che aveva sentito diverso tempo fa, e che il suo cuore non aveva mai smesso di ricordare neanche adesso, nonostante tutto ciò che era stato costretto compiere e fare negli ultimi mesi.

Le parole di una giovane anima affine alla sua.

“Lei mi ha fatto capire che è inutile piangersi addosso. Se c’è qualcosa che non va, allora l’unica cosa che possiamo fare è combattere. Combattere e andare avanti, per superare gli ostacoli con le nostre forze. Solo coloro che continuano ad andare avanti possono riuscire a vedere cosa c’è al di là dell’Inferno.”

Boruto sentì il suo occhio sinistro sgranarsi leggermente.

Forse, realizzò in quel momento, una persona simile c’era davvero. Forse, in qualche modo, la sua speranza poteva essere tramandata.

“Non è forse così… signor Saigo?”

Boruto Uzumaki sorrise.

Aveva trovato la persona adatta.

Un piccolo colpo di tosse lo ridestò dalla trance in cui era finito. I sedici Guerrieri dinanzi a lui lo stavano osservando con crescente nervosismo, visibilmente incerti e confusi. E allora Boruto scosse la testa, mettendo da parte quei pensieri futuri e concentrandosi invece sul presente.

Perciò, senza più esitare, il Kurokage diede loro le spalle ed iniziò ad incamminarsi a passo deciso verso le viscere del castello.

“Seguitemi,” ordinò.








 

Note dell’autore!!!

Ciao a tutti! Come promesso, ecco a voi il nuovo capitolo, stavolta senza attese troppo lunghe. Spero vi sia piaciuto.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo. A presto!

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Capitolo 22
*** L'Ora di Agire ***


L’ORA DI AGIRE





01 Dicembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione


Città Capitale di Rikubetsu
08:00

Boruto si mosse a passo deciso, il suo corpo una saetta di tensione e nervi. Avanzò lungo i corridoi della fortezza con uno sguardo accigliato, vestito col cappello ed il mantello scuro da Kage, fissando al mondo col suo occhio glaciale che prometteva dolore a chiunque osasse sfidarlo. In meno di un minuto, le sue gambe lo condussero alla destinazione. Con un rapido gesto della mano, la porta della sala riunioni si spalancò di colpo, permettendogli di passare indisturbato. Il biondo avanzò imperterrito, ignorando le guardie ai lati, ed entrò nella stanza.

La visione dei suoi alleati lo accolse immediatamente. Mikasa, Sora, Gray, e tutti i Kara erano lì, già pronti ed in posizione attorno al tavolo. Assieme a loro, l’Otokage, l’Amekage, il Yukage, il Kusokage e l’Uzukage erano presenti a loro volta, seduti ognuno ai loro posti d’onore e con le teste immerse nei loro documenti. Ed infine, posizionati in fondo alla sala, Annie, Galatea, Jigen, Lucy e Shizuma lo aspettavano a loro volta, solenni ed impassibili come sempre.

Appena lo videro, i volti di tutti si sollevarono per fissarlo. “Ben arrivato, biondino,” lo accolse ironicamente Juvia.

“Vi chiedo scusa per il ritardo,” sospirò Boruto, prendendo posto al centro del tavolo. Il suo occhio guizzò ad osservare tutti i presenti, compiacendosi nel vederli tutti lì come desiderava. Li aveva fatti chiamare per un motivo. “Immagino di avervi confusi con questa riunione improvvisa.”

“Infatti. Perché ci hai fatto chiamare?” domandò per l’appunto Zeil Fumi, il Kusokage.

“È successo qualcosa?” aggiunse anche Jigen.

Il Nukenin scosse la testa. “No, niente di rilevante,” li rassicurò quello, scuotendo la mano con sicurezza. “Tuttavia, in un certo senso, si può dire che qualcosa sta per accadere. Qualcosa che scuoterà inevitabilmente le fondamenta di questo mondo, cambiandolo per sempre.” Il suo occhio notò fin troppo bene il modo in cui tutti s’irrigidirono dopo quelle parole. Mikasa, posta alle sue spalle, si sporse inconsciamente verso di lui.

“…che cosa vuoi fare?” domandò l’Amekage, fissandolo con gli occhi aggrottati.

Boruto li guardò uno per uno, lasciando perpetrare il silenzio ancora per qualche secondo. Poi sfoggiò un’espressione solenne. “Gli ultimi eventi recenti mi hanno fatto riflettere,” iniziò allora a dire, lento e pacato. “Al momento, come tutti sapete, ci troviamo in una situazione di vantaggio rispetto alle Nazioni Alleate. Un vantaggio che, però, non durerà a lungo. La Foglia e l’Hokage stanno sicuramente tramando qualcosa per ostacolarci, e questo non possiamo permetterlo.”

Scoccò un’occhiata ai Kage a quel punto, sorridendo appena con le labbra. Quelli fecero dei cenni col capo di rimando.

“Inoltre, l’improvvisa comparsa di Hagoromo Otsutsuki nei ranghi dei nemici è stato un fattore scoraggiante,” continuò il biondo, appoggiando la testa su una mano. “Un fattore che ci costringerà ad agire in maniera diversa rispetto a quanto avevamo programmato. Dovremo accelerare i piani, insomma.”

L’Uzukage incrociò le braccia. “E che cosa suggerisci?”

Boruto sorrise. “Proprio per questo vi ho fatto chiamare. Ho intenzione di scendere in campo ancora una volta, e ho bisogno del vostro supporto. Dopotutto, l’obiettivo che ho intenzione di abbattere questa volta è uno degli esseri più pericolosi di pianeta. Non sarà una battaglia che potrò vincere facilmente.”

Gli occhi di tutti si sgranarono. “Vuoi… combattere di nuovo l’Eremita?” domandò Lucy, visibilmente contraria all’idea. Quell’ultimo scontro era stato tutt’altro che facile.

Ma quello scosse la testa. “No, non lui. Hagoromo è potente, ma credo di riuscire a gestirlo da solo. Inoltre, ci sono ancora un paio di… questioni, diciamo… che devo capire sul nostro ultimo scontro. Senza quelle informazioni, combatterlo di nuovo sarebbe inutile e svantaggioso. Non sono così stupido,” ribatté seriamente, rassicurandola con le sue parole.

Ci furono un paio di sospiri di sollievo per tutta la sala. “Immagino ti riferisca a Shikamaru, allora,” dedusse Shirou, le mani posate sull’elsa della sua spada.

Con suo stupore, Boruto scosse di nuovo il capo. “No, neanche lui. Per quanto quel maledetto Nara sia un ostacolo innegabile, non posso scendere in campo e combatterlo se c’è Hagoromo di mezzo. Non adesso, e non in questo modo. Ho già in mente qualcosa per riuscire a contrastarlo, ma abbiamo bisogno di più tempo per colpire Shikamaru.”

Gli altri si scambiarono occhiate confuse. “E allora chi?” fece Galatea.

Il Kurokage sorrise, snudando i denti. “Orochimaru dei Sannin.”

L’aria nella sala si raggelò all’istante. Tutti quanti trattennero il fiato. “N-Non dirai sul serio…” esalò l’Otokage, pallido come la morte.

Il biondo continuò a sorridere. “Invece sì,” convenne di rimando. “È ormai giunta l’ora per quel serpente di sparire. Dopo innumerevoli ricerche, le nostre marionette sono finalmente riuscite a scoprire qualcosa. Da quando l’Otokage e la Terra del Suono si sono uniti a noi, quel viscido rettile si è spostato in segreto in un covo nascosto nella Terra dei Fiumi. La sua presenza è una minaccia ineluttabile per il nostro Impero, una minaccia che causerà inevitabilmente problemi nel futuro, per cui bisogna eliminarlo.”

“E come vorresti fare?” domandò il Yukage, impassibile. “Vuoi forse coglierlo di sorpresa?”

“Credo di averlo perso da tempo, il fattore sorpresa. Quel mostro avrà intuito le mie intenzioni sin da quando ho costretto Kabuto a togliersi la vita,” rispose il Nukenin, pacato. “Proprio per questo vi ho radunati qui.”

Il volto di Boruto era pressoché imperscrutabile. Nessuno dei presenti riusciva a comprendere dove volesse arrivare.

“Deduco che sia questo il motivo per cui ci hai convocati oggi. Vuoi che ti aiutiamo ad ucciderlo,” asserì Annie, più seria del solito, optando per un approccio diretto.

Il loro leader ghignò. “Deducete bene. Ho in mente un piano per abbattere quel mostro, ma non posso riuscirci da solo. Ho bisogno di uno di voi,” dichiarò semplicemente.

Le espressioni di tutti si fecero solenni. “Sai bene che ti avremmo aiutato in ogni caso,” sospirò Annie. “Di chi hai bisogno?”

L’occhio azzurro del biondo si posò su un volto in particolare. “Di lei, Annie-sensei,” rispose, senza mai smettere di sorridere.

La donna trasalì visibilmente, restando quasi a bocca aperta. Gli occhi di tutti si posarono sull’ex ANBU, stupiti a quanto lei. “M-Me? Che vuoi dire?”

Boruto la osservò con uno sguardo pragmatico. “Quando era al servizio della Foglia, lei faceva parte dell’Intelligence e del Dipartimento di Tortura, non è vero?” disse il suo allievo, diretto. L’ex Shinobi annuì lentamente. “In questo caso, lei è la persona che fa al caso mio. Era uno degli ANBU più potenti, dopotutto. E in quanto membrò rinomato del Dipartimento di Tortura, sono certo che lei sia sicuramente a conoscenza di una certa Tecnica che potrebbe tornarci molto utile per la prossima missione,” esalò, casuale, come se fosse già a conoscenza della risposta.

Quelle parole la colsero non poco di sorpresa. Perché anche se taciturna, Annie non era affatto stupida. Sapeva benissimo a quale Tecnica si stava riferendo il suo allievo. “Come fai a saperlo?” domandò, assottigliando gli occhi.

Boruto le rivolse un sorriso innocente. “Oh, ho avuto una soffiata diversi anni fa,” ribatté, scrollando le spalle. “Come le dissi in passato, i miei contatti la tennero d’occhio sin dal momento in cui io e i miei amici fummo costretti ad uccidere Kashin Koji. Dopotutto lei era – ed è – una delle pochissime persone a cui tenevo rimaste nella Foglia. Non potevo non tenerla d’occhio. Per questo so tutto ciò che c’è da sapere su di lei, Annie-sensei, e sempre per questo vorrei chiederle una mano per la mia prossima missione,” disse, diretto come sempre.

La donna sentì un moto d’imbarazzo insorgere dentro di lei, ma in qualche modo riuscì a reprimerlo e a mostrarsi imperturbabile.

Gray tossì fragorosamente a quel punto. “Possiamo sapere di che Tecnica state parlando?” domandò con irritazione.

Gli occhi di Annie non si staccarono da quello di Boruto. “La Tecnica del Controllo della Mente,” dichiarò senza mezzi termini.

I volti di tutti si riempirono di stupore dopo quelle parole. Boruto allargò il suo sorriso. “N-Non è possibile,” esclamò Kaya, l’Uzukage. “Quella… è una Tecnica Proibita! La Foglia non avrebbe mai permesso-”

“Proprio per questo soltanto pochissimi ANBU nell’Intelligence la conoscevano,” la interruppe Boruto, mellifluo. Fece cadere le mani sul tavolo, intrecciando le dita davanti a sé. “Il Dipartimento di Tortura la utilizzava per estrapolare informazioni dai prigionieri di guerra e dai criminali. Era una misura di sicurezza estrema ideata da Danzo Shimura in tempi di guerra.” Il suo sorriso divenne ferale a quel punto. “Sembra che, alla fine, la Foglia non sia mai riuscita a dimenticare del tutto il passato oscuro che ha alle spalle. Ma al momento, soltanto un’altra persona nell’Intelligence di Konoha è a conoscenza di quella Tecnica a parte lei, sensei. E questo la rende molto speciale ai miei occhi.”

Annie trattenne un sorriso ironico. “Lo hai saputo sin da allora… adesso capisco perché Shikamaru era così ossessionato dal tenerti sotto custodia.”

Boruto ridacchiò, sardonico. “Oh, sono certo che avevano intenzione di usarla anche su di me, durante la mia prigionia nella Foglia. Se non è successo, dev’essere stato solo grazie a lei, Annie. Mi sbaglio?”

La donna annuì. “Feci in modo di ritardare il più possibile l’operazione per permetterti di fuggire prima,” ammise senza esitazione. “Ha funzionato.”

“Ed ha la mia gratitudine per questo,” esalò il Nukenin, spostando poi la sua attenzione su tutti gli altri. “Ma adesso che questa questione è risolta, abbiamo altro di cui discutere. Anche se Annie sarà l’unica di voi ad aiutarmi a sconfiggere Orochimaru – a parte ovviamente i Kara – ho in mente qualcosa anche per voialtri,” convenne con decisione, fissando i Kage e il resto della Rivoluzione.

Tutti quanti lo osservarono con decisione. “Cosa vuoi che facciamo?” chiese Haruko la Salamandra.

Il Kurokage assunse un’espressione solenne. “Dobbiamo spingere la Foglia ad agire,” dichiarò. “Non possiamo mantenere questa posizione di stallo. Secondo Mitsuki e Kumo, le nostre spie sono quasi riuscite a localizzare la posizione del Rokubi (Esacoda), ma se rimanessimo con le mani in mano, l’Hokage e tutte le Nazioni Alleate potrebbero unire le forze per difenderlo. Non possiamo permettere una cosa del genere. Ma con le forze di Konoha impegnate, invece, avremmo modo ancora una volta di colpire i nostri nemici e di dividerli. Sarà una guerra su due fronti. Per questo, mentre noi ci occuperemo del Sannin, tutti voi dovrete iniziare a mobilitare le forze belliche per un assalto. È finito il tempo in cui dovevamo colpire dall’ombra. Adesso è ora di agire dinanzi a tutti.”

Quella notizia fece sorridere diversi di loro. “Hai intenzione di dare ufficialmente inizio alla Guerra,” disse l’Otokage. Lanciò uno sguardo a Galatea. “Presumo che l’esercito è pronto per scendere in campo?”

La cerulea annuì, tirando fuori da una tasca un documento e leggendo le stime davanti a tutti. “L’armamento è quasi completato, e l’addestramento procede senza intoppi,” riferì doverosamente. I suoi occhi guizzarono verso una persona in particolare. “Anche se mancano ancora gli ordini che avevamo richiesto al Vortice.”

L’occhio impassibile di Boruto si posò a sua volta su Kaya. L’Uzukage sospirò. “Saranno pronti a breve, ve l’assicuro. Creare dei Sigilli difficili come quelli per un numero così alto di armature… richiede tempo, Boruto.”

Quello annuì con semplicità. “Lo so, non si preoccupi. Si prenda il tempo necessario. L’importante è che siano efficaci,” disse.

“E che ne è del progetto di Mitsuki e Kumo?” chiese improvvisamente Jigen, inarcando un sopracciglio. “Come sta andando la sperimentazione?”

Boruto scoccò un’occhiata silenziosa ai Kara. Quelli fecero un impercettibile cenno col capo. “Stanno facendo progressi,” rispose lentamente alla fine. “Urahara e Toneri li stanno aiutando mentre noi discutiamo. All’inizio ci sono stati dei… problemi, diciamo… ma negli ultimi giorni hanno fatto numerosi passi in avanti. I candidati si stanno preparando per ricevere il chakra in questo stesso momento. Secondo i calcoli, a breve dovrebbero essere pronti.”

Ci furono nervosi mormorii di assenso. Shizuma emise una risata isterica, snudando i denti con ferale eccitazione. “Era fottutamente ora! Finalmente si comincia a combattere!” urlò.

Lucy gli diede un pugno sul braccio, zittendolo immediatamente. Rivolse a Boruto uno sguardo serio. “Quando vuoi cominciare?”

“Tra cinque giorni. Fate in modo di preparare tutto per allora,” rispose quello.

Gli occhi di tutti si riempirono di trepidazione. Il momento era finalmente giunto. “E… dove vuoi che colpiamo?” domandò l’Amekage.

Boruto aprì il Jougan con un sorriso, fissando il mondo con determinazione. “La Terra del Vento.”
 


03 Dicembre, 0021 AIT
Terra del Fuoco
Frontiera di Confine
18:30

Shikadai guardò ansiosamente i suoi alleati riuniti dinanzi a lui. I lineamenti sui loro volti, sebbene decisi e seri più che mai, tradivano un palese nervosismo chiaramente visibile ad occhio nudo. Era inevitabile. Dopo tutti gli eventi successivi alla distruzione del Summit, la situazione in cui erano piombati era più pericolosa che mai. Tutti loro, e il mondo in generale, si trovavano in grave pericolo. Sembrava quasi come se si stessero sempre spostando da una grande battaglia alla successiva, ognuna più devastante della precedente. E ogni battaglia lasciava inevitabilmente il segno su di loro. Se non fisicamente, allora emotivamente.

Primi tra tutti, i suoi compagni di Team. Chocho e Inojin erano i più tesi del gruppo. Giustamente, per di più. Si stavano ancora riprendendo dal terribile trauma psicologico che avevano subìto dopo che Boruto li aveva quasi uccisi durante la sua fuga da Konoha, ormai due anni prima. E Shikadai non poteva fare a meno di preoccuparsi a morte per quei due. Dopotutto, i loro corpi erano guariti del tutto, ma non le loro menti. Essere crudelmente ammazzati da una persona che un tempo era stata un amico… non era qualcosa che si dimenticava facilmente. E sebbene Shikadai sentisse ancora un grande senso di colpa per la morte di Lady Tsunade, anche dopo tutto questo tempo, sapeva bene che l'ex Hokage aveva eseguito la sua ultima guarigione secondo gli alti standard che si era prefissata nella vita. Era stato solo grazie a questo che i suoi amici erano sopravvissuti ed avevano imparato a combattere di nuovo.

Sarada e Sumire, invece, erano completamente un'altra cosa. Per grazia del cielo, le due ex compagne dell’ormai defunto Team 7 avevano riaffermato la loro fedeltà reciproca per questa particolare missione, decidendo di collaborare ancora una volta come ai vecchi tempi. Era stata un’azione commuovente, dovette ammettere il Nara, oltre che ispirante. Shikadai poteva vedere una profonda intesa tra le due, specie nel modo in cui si guardavano e comunicavano; e in fondo riusciva a comprenderle appieno. Entrambe ne avevano passate di tutti i coloro durante il loro operato nel Team 7. Con la diserzione di Mitsuki in favore di Boruto e la storpiatura del loro sensei, le loro strade si erano separate bruscamente una volta dismessa la squadra. E ora che si erano ritrovate, avevano finalmente l’occasione di rimediare al passato e vendicarsi dei torti subìti per colpa di Boruto.

Ma ancora, la squadra non era finita. Konohamaru e Sakura avevano a loro volta deciso di lasciare la Foglia per continuare a sostenere la loro battaglia contro i Kara e Boruto. E stavolta, a differenza del passato, lo avrebbero fatto direttamente dalle linee del fronte, per di più. 

In particolare, Konohamaru era diventato uno degli Shinobi più potenti del Villaggio ormai – sin da quando il Settimo Hokage lo aveva addestrato dopo che Boruto gli aveva mozzato un braccio – e col suo nuovo arto prostetico e l’Arte Eremitica dei Rospi a sua disposizione… non aveva nulla da invidiare a nessuno ormai, nemmeno ad Himawari. Sakura invece era stata una benedizione indescrivibile per tutti. Con le sue rinomate Arti Mediche e le sue numerose esperienze nel campo della lotta, era un avversario temibile per chiunque, nonché una delle donne più potenti del pianeta. Shikadai era grato della presenza dei due adulti per la missione. Sarebbero stati sicuramente indispensabili alla salvaguardia dei Bijuu. Perché senza di loro, non aveva idea di come fare per fronteggiare i Kara. Boruto era già abbastanza forte di per sé da minacciare tutti loro anche da solo. La difesa suprema che la presenza di Sakura e Konohamaru aggiungeva loro lo rendeva molto più tranquillo.

Shikadai sentì la sua decisione aumentare mentre li osservava tutti e sei. Inconsciamente, le sue nocche si sfregarono contro il dorso della mano di Himawari, facendolo riscuotere da quei pensieri. Lei lo guardò, gli occhi ardenti e decisi, con uno sguardo solenne in volto. Era da tantissimo tempo che Shikadai non la vedeva così decisa. Sin da quando i rospi l'avevano convocata sul Monte Myōboku e le avevano rivelato la sua tremenda profezia, in effetti. Shikadai non era ancora riuscito a rassicurarla del tutto in merito a quella questione, ma era certo che prima o poi avrebbe fatto breccia anche dentro a quel guscio. Sapere che la sua ragazza stava soffrendo per colpa di una stupida profezia insulsa lo disturbava non poco. Lo infastidiva più di quanto gli piacesse ammettere.

La porta della base di frontiera in cui si trovavano si aprì in quel momento, facendolo voltare. Uno Shinobi di guardia vestito con la tradizionale casacca verde entrò a passo lento nello stanzino, squadrandoli uno per uno. Poi fece un cenno col capo, puntando gli occhi su Konohamaru. “È ora,” disse semplicemente, dileguandosi subito dopo.

Il Sarutobi assottigliò le labbra, lanciandogli un’occhiata decisa. Shikadai annuì impercettibilmente.

"Allora, credo che sia ora di cominciare," iniziò a dire il Nara seriamente, vedendo che tutti erano pronti. "Facciamo il punto della situazione. Dati gli eventi recenti, sappiamo con certezza che Boruto e l’Organizzazione Kara stanno catturando i Demoni codati. Abbiamo la prova concreta che sono responsabili della sigillatura dell'Ichibi (Monocoda) e del Gobi (Pentacoda). Ma a loro è attribuita anche la scomparsa del Nibi (Bicoda), del Sanbi (Tricoda) e del Yonbi (Tetracoda). Quindi, in sostanza, sappiamo che l'Organizzazione Kara sta raccogliendo i Cercoteri, ma non sappiamo il perché."

Ci furono annuiti cupi di tutti.

"Come sapete, il Settimo ha incaricato me e Konohamaru-sensei di organizzare una guardia per il Rokubi (Esacoda) e il Nanabi (Eptacoda), gli ultimi due Bijuu rimasti liberi. L’Hachibi (Ottacoda), secondo le parole degli alleati, è già nascosto e al sicuro con Killer Bee in un luogo segreto nella Terra delle Cascate. E, naturalmente, il Kyuubi (Enneacoda) è più che sicuro con il Settimo Hokage. La nostra missione, dunque, sarà quella di proteggere i rimanenti Cercoteri ed impedire loro di cadere nelle mani dei Kara," spiegò Shikadai. "Il Rokubi, Saiken, è una lumaca bipede capace di usare potenti Tecniche di rilascio dell'Acqua e di secernere un liquido e un gas caustico. Il Nanabi, Chōmei, è invece un gigantesco scarabeo volante con sei ali e una coda, capace di rilasciare potenti Tecniche del Vento e varie abilità insettoidi."

Shikadai fece una lunga pausa mentre gli altri assimilavano le informazioni. Respirò profondamente. "Il Rokubi (Esacoda) sarà quello più difficile da difendere. È debole alle Tecniche del Fulmine, che ben tre dei sette combattenti dell’Organizzazione Kara possono utilizzare. Inutile dire, poi, che tenere Boruto lontano dal Demone sia la nostra massima priorità. La buona notizia però è che gli attacchi di Fuoco di Shirou e Mikasa saranno quasi inutili difronte ad esso, così come quelli d’Acqua di Sora e Juvia," disse con serietà. Gli altri annuirono veementemente. “Col Nanabi (Eptacoda) potremo avere un po' più di libertà, invece. Può volare, il che significa che solo Boruto sarà in grado di combatterlo realmente. Inoltre, esso è in grado di creare attacchi di rilascio del Vento dalla potenza disarmante. E a quanto ci hanno rivelato i rapporti di Sarada e dell’Intelligence, uno dei punti deboli della Tecnica della Scia Scattante di Fulmini di Boruto è proprio il danno inflitto dal chakra del Vento. Quindi, se Boruto venisse colpito dal Nanabi, non ne rimarrà indenne.”

Quella notizia portò un sorriso su molte delle facce presenti.

"Comunque... la squadra che farà la guardia a Chōmei dovrà essere più piccola, e coloro che ne faranno parte non devono avere paura delle altezze. Da quanto ho capito, il Nanabi non ha bisogno di ossigeno ed è in grado di volare nella stratosfera, quindi si nasconderà lì per precauzione. Inutile dire che stargli vicino vi farà stare in mezzo al freddo e al pericolo. Se cadrete da quell’altezza… sareste spacciati." Himawari sorrise ironicamente. Molti dei suoi amici sbiancarono, incluso Konohamaru.

"Il Settimo mi ha dato le posizioni approssimative di entrambi i Bijuu," continuò Shikadai. "Useremo Sarada per monitorarli. Quando le sue abilità oculari percepiranno che i Kara stanno per fare la loro mossa, sposteremo entrambi gli squadroni di guardia per difendere il Demone che stanno attaccando. La nostra speranza, se saremo fortunati, è di riuscire ad uccidere o catturare qualche membro dell’Organizzazione durante la battaglia. So che sarà estremamente difficile, ma gli ordini sono chiari."

Shikadai fece una pausa dopo quel discorso. "Tutto chiaro?" chiese.

Inojin sollevò una mano. "Io ho una domanda… perché il Settimo non sigilla semplicemente il Rokubi e il Nanabi dentro di lui? È in costante comunicazione con loro, non è vero? Quindi sarebbe benissimo in grado di farlo. Inoltre, c’è una cosa che non capisco. Se i Kara hanno catturato ben cinque Bijuu di fila, perché il Gobi (Pentacoda) è stata l’unico a contattare l’Hokage prima di finire sigillato?"

Konohamaru prese la parola. "Il Settimo non può sigillare gli altri dentro di lui," spiegò in tutta serietà. "I Demoni codati sono riluttanti a rinunciare alla loro libertà dopo così tanto tempo, anche sotto la minaccia dei Kara. Inoltre, ci sono anche ragioni più pratiche. Secondo il Settimo, la raccolta di molti Bijuu in un singolo contenitore porterà inevitabilmente a conseguenze negative. E poi, il Kyuubi (Enneacoda) non è esattamente il più... comprensibile dei Demoni. Non vuole condividere Naruto con gli altri, ha detto il Settimo."

Himawari rise leggermente sottovoce e Sarada sorrise. "Per quanto riguarda il motivo per cui il Gobi (Pentacoda) è stato l’unico in grado di inviare un messaggio al Settimo a differenza degli altri…" riprese a dire Shikadai. "…non lo sappiamo. Potrebbe essere che i Kara abbiano commesso un errore durante la battaglia e il Gobi ne abbia approfittato. O ancora, qualcosa potrebbe essere andato storto durante il processo di sigillatura. Le ipotesi sono molteplici, ma non abbiamo nessuna prova. Semplicemente non lo sappiamo. "

Il silenzio aleggiò sovrano nella stanza.

"Allora," si azzardò a dire Sumire. "Come ci divideremo?"

Il gruppo non osò fiatare per diversi secondi carichi di tensione.

"Io andrò con il Nanabi (Eptacoda)," dichiarò alla fine Himawari.

Shikadai fece un cenno col capo. "Va bene," disse. "Chi altro vuole andare con lei?"

"Andrò bene da sola, Shikadai," lo incalzò lei. Il Nara si voltò per fissarla. "Chōmei è quello meno a rischio, come hai detto tu, e probabilmente sono l'unica che si sentirebbe a suo agio a quell’altezza. Grazie ai miei allenamenti sul monte Myōboku, sono tranquillamente in grado di sopravvivere alla caduta. Il resto di voi dovrebbe concentrarsi su Saiken. Konohamaru-sensei dovrà essere lì nel caso in cui mio fratello usi le sue Catene d’Amianto, così come Sakura, e Sarada dovrà andare a sua volta perché è l'unica tra noi che può combattere Boruto ad armi pari, avendolo visto combattere su Eldia. Tu devi restare qui per pianificare la battaglia, Sumire non può separarsi da Sarada, e Inojin e Chocho non dovrebbero sforzarsi troppo fino a quando non sarà estremamente necessario. Come vedi, sono l’unica che può farlo.”

Shikadai esitò, a corto di parole. Si rivolse a Sakura, che aveva preso le funzioni di capo ufficiale medico del loro gruppo. La donna comprese la domanda semplicemente guardandolo. "I loro corpi sono sulla buona strada per il recupero," spiegò lentamente, fissando Inojin e Chocho. "Ma sono ancora titubante nel lasciarli lavorare sul campo. Sottoporli a qualcosa di faticoso come un ambiente gelido e a basso contenuto di ossigeno non è sicuramente ciò che li aiuterà a guarire."

Shikadai si accigliò fragorosamente. Lasciar andare Himawari da sola era una cosa che non voleva fare. Sapeva che poteva prendersi cura di sé stessa, ma neanche lei era invincibile. Boruto da solo era abbastanza potente da poterla uccidere. E se avesse portato i suoi alleati? In qualunque caso, l’ago della bilancia avrebbe facilmente puntato a favore del nemico.

"Starò bene, Shikadai," disse risolutamente Himawari, fissandolo negli occhi. "Te lo prometto."

"Se necessario," aggiunse ancora Sakura. "Possiamo mandare da lei delle persone di cui possiamo fidarci. Rock Lee sarà felice di aiutarci, ne sono sicura. Anche il Capitano Yamato, se riuscissimo a richiamarlo. E che ne è di Mirai?"

"Mirai è in missione," rispose Konohamaru, lanciando un'occhiata alla rosa. "Al momento è al servizio diretto dell’Hokage."

Sakura si accigliò. "Suppongo che non possiamo contare su di lei, allora.”

"Possiamo chiedere a Yamato di entrare in contatto con Orochimaru," ipotizzò Sarada. "Siamo in una situazione disperata. Dovremmo prendere in considerazione l’idea di usare qualsiasi alleato o assistenza che Orochimaru può offrire."

Il volto di Shikadai si fece rigido all’udire quell’affermazione. Sebbene non potesse fidarsi di Orochimaru, quell’uomo era ancora un Sannin e – tecnicamente – un alleato ufficiale della Foglia fino a quando non avesse violato i termini del suo perdono. E, fino a quel momento, il serpente aveva mantenuto fede al patto di neutralità a cui era stato costretto. Quindi sì… potevano considerarlo un alleato? Non sapeva cosa pensare.

"Va bene," esalò alla fine Shikadai. "Invierò un messaggio al Villaggio per vedere chi possiamo reclutare nel gruppo. Ci incontreremo di nuovo qui tra due giorni, per poi dirigerci verso il nascondiglio del Rokubi (Esacoda). Himawari e chiunque scelga di seguirla andranno invece dal Nanabi (Eptacoda). Questo è tutto.”

Con un cenno collettivo del capo, l’intero gruppo si dileguò in fretta e furia.
 


04 Dicembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
14:57

Naruto sorrise affettuosamente allo schermo del computer, mentre ascoltava Kankuro che discuteva in diretta di logistica e strategia, evidenziando le crescenti tensioni nell’Est e i problemi economici delle Nazioni Alleate. Assieme a lui, anche Mei Terumi era collegata e presente. Ma per Naruto, era bello vedere che Kankuro si era ripreso. Dopo la morte di Gaara, suo fratello aveva assunto il titolo di Kazekage, ma non l’aveva fatto con gioia. Erano stati giorni duri e oscuri per tutti, soprattutto per gli abitanti della Sabbia. Ma adesso… sembrava quasi che si fosse ripreso nell’ultimo tempo. Lavorare ad una strategia per contrastare i Ribelli sembrava averlo aiutato a superare il lutto. O forse era una distrazione dal dolore, chissà.

“Ehi? Naruto?” Kankuro agitò la mano davanti allo schermo, cercando il suo sguardo. “Mi stai ascoltando o stai sognando del ramen?”

“Sto ascoltando!” esclamò lui, mettendo un broncio.

L’altro inarcò un sopracciglio. “Avevi un’espressione da ebete in faccia. Mi stavo preoccupando.”

Naruto s’impettì e fece per ribattere, ma un colpo di tosse lo fece trasalire. Il suo sguardo si spostò sullo schermo collegato in diretta con la Mizukage. “Vogliamo darci una mossa?” sibilò seriamente Mei Terumi, un inquietante sorriso irritato sulle labbra. “Non possiamo permetterci di perdere tempo.”

L’Hokage ridacchiò. “Giusto,” si schiarì la gola per riprendere il contegno. “Ho ricevuto diversi messaggi da Shikamaru ed il suo Team negli ultimi giorni. La loro infiltrazione nella Terra del Ghiaccio sta procedendo a gonfie vele. Hanno raccolto diverse testimonianze audio e video sugli abitanti del Gelo e sulle forze nemiche. Credo che ci saranno utili nell’immediato futuro,” riferì con la massima serietà.

Kankuro e Mei annuirono. “Nessuna notizia dei Kara?” domandò la Mizukage.

Il biondo scosse la testa. “No. Dopo che Sentoki è riuscito a fermare Boruto, non si sono più fatti vedere,” riferì.

Mei si portò una mano sul mento a quel punto. “Quel tipo è strano,” rimuginò ad alta voce. “Sentoki, dico. Non solo è comparso misteriosamente dal nulla, ma si è addirittura rivelato talmente potente da riuscire a tenere testa a Boruto. Non sapevo che i monaci del Tempio del Fuoco fossero così potenti. Questa cosa mi puzza.”

Kankuro assottigliò gli occhi. “Pensi che stia nascondendo qualcosa?” chiese, leggendole nel pensiero.

Naruto si sforzò di non mostrarsi teso quanto si sentiva in realtà. “Ammetto di esserne rimasto sorpreso anch’io, all’inizio,” disse, riportando l’attenzione degli altri su di sé. “Ma questo è un vantaggio che non possiamo ignorare. Chiunque sia in realtà, Sentoki è un alleato di cui abbiamo bisogno per vincere questa Guerra. Le sue abilità saranno dubbie, ma si sono rivelate efficaci.” Le sue labbra si incurvarono in un sorriso confidente. “Inoltre, Shikamaru mi ha detto che si fida di lui. Per cui, mi fido anch’io. Se Sentoki dice di essere dalla nostra parte… io gli credo.”

Kankuro e Mei si scambiarono un’occhiata silenziosa. Poi annuirono entrambi. “Spero che tu abbia ragione,” si limitò a dire la Mizukage. “Novità da parte dei Cercoteri?”

“Sono ancora nascosti. Konohamaru e gli altri sono in viaggio per raggiugerli,” rispose il Settimo Hokage.

“Che dire invece di Shikamaru e gli altri?” s’intromise ancora Kankuro. “Sono riusciti a catturare qualche esponente dell’Impero?”

Ancora, Naruto scosse la testa. “No, purtroppo. Non sono entrati in contatto con nessun membro dell’alta gerarchia della Rivoluzione. Ma nell’ultimo rapporto, Shikamaru mi ha scritto di aver scoperto delle informazioni importanti su Boruto e i suoi piani. Siccome non voleva rischiare di farsi scoprire, me le rivelerà di persona una volta conclusa la missione.”

Il volto della Mizukage s’adombrò. “Speriamo che allora non sia troppo tardi.”

Naruto si accigliò. “Non-”

Mentre parlava, il rumore di una porta che si spalancava risuonò improvvisamente da uno degli schermi. Naruto vide Kankuro trasalire, fissando con sgomento qualcuno oltre lo schermo della telecamera. “Che sta succedendo?” esclamò nervosamente.

“Kazekage-sama!” urlò uno Shinobi off-camera, spaventato a morte. “È terribile! Un esercito sta avanzando verso i nostri confini! Stiamo per essere attaccati!”

Naruto vide il momento esatto in cui Kankuro sgranò gli occhi con orrore, diventando più pallido che mai. Assieme a lui, anche la Mizukage della Nebbia sentì il sangue raggelarsi nelle vene.

Il Settimo Hokage trattenne il fiato.

La Terra del Vento stava per essere assaltata una seconda volta.
 


04 Dicembre, 0021 AIT
Terra dei Fiumi
Nascondiglio Segreto di Orochimaru
23:50

“Pensa di riuscire a farcela?”

Annie guardò il suo ex allievo con uno sguardo che diceva: per chi mi hai presa? Eppure, non poteva fare a meno di comprendere la preoccupazione del moro nei suoi confronti. Quello che stava per fare non era facile. Tutt’altro. Anzi, alcuni lo avrebbero addirittura definito folle. Infiltrarsi di soppiatto dentro al covo di uno degli uomini più pericolosi e malvagi del mondo non era una passeggiata per nessuno. Peggio ancora, conoscendo quel serpente, persino un Ninja di livello Kage avrebbe fatto difficoltà a sfuggire alle trappole del Sannin e ad entrare lì dentro senza farsi scoprire.

Ma lei non era una persona qualunque. Lei era Annie Leonhardt, ex ANBU della Foglia e assassino specializzato nelle missioni d’ombra e spionaggio. Non c’era niente che non poteva fare. “Fidati di me, Sora. Ce la farò,” disse sottovoce.

“Anche a questa distanza?” sussurrò quello. Lei si limitò ad annuire.

Sora la guardò con esitazione, ma annuì a sua volta. Assieme a lui, anche Mikasa e Boruto erano presenti al suo fianco, accovacciati e nascosti dentro alle fronde di un albero di abete. I loro occhi rimasero puntati in avanti, irremovibili, verso la meta. Là, a trecento metri dal punto in cui si trovavano, in mezzo ad uno sprazzo nascosto nella foresta ed illuminato dalla luce della luna, si trovava il loro obiettivo. Una parete rocciosa incrostata e piena di muschio attaccata alla base di una collina calcarea. Sotto di essa, una piccola fenditura nella pietra rivelava ciò a cui tutti e quattro stavano puntando in quel momento.

Il nascondiglio segreto di Orochimaru.

Annie si sporse in avanti con cautela, scrutando attentamente i dintorni. “Percepite qualcosa?” sussurrò, rivolgendosi agli altri.

Dall’albero alla loro destra, gli altri Kara fecero la loro comparsa. Kairi si avvicinò ad un ramo vicino al suo, reggendosi al tronco con una mano. “Il nostro obiettivo si trova ad ottocento metri sottoterra,” riferì, senza smettere di fissare la fenditura rocciosa. “Ma non sarà facile raggiungerlo. Ci sono trappole subito dopo l’entrata. E assieme a lui, percepisco altre tre segnature di chakra molto potenti. Una di esse è un sensore. Il suo chakra si agita e si mescola all’ambiente come il mio.”

Boruto osservò il covo col Jougan. “Ti ha percepita?”

Kairi chiuse gli occhi e rimase in silenzio per diversi secondi, cercando di concentrarsi. “No, non ancora,” rispose. “Sembra che il suo raggio di percezione sia inferiore al mio, per fortuna.”

Il Nukenin sorrise. “Meglio così,” scoccò una lunga occhiata alla donna accanto a lui. “Siamo pronti quando vuole, sensei.”

Annie annuì, preparandosi mentalmente ad entrare in azione. Aspettare ancora l’avrebbe solamente fatta innervosire di più. Unendo le mani assieme, formulò una lunga serie di Sigilli, concentrandosi al massimo e mescolando continuamente il chakra nel suo sistema. Passarono due secondi, poi tre, poi quattro. Poi, inspirando profondamente, svuotò la mente dai pensieri, prese la mira con gli occhi della mente, e si preparò a colpire il bersaglio.

Era giunta l’ora di agire.

Kokoro Kunrin no Jutsu! (Tecnica del Controllo della Mente).
 


04 Dicembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione


Città Capitale di Rikubetsu
23:50

Era notte fonda, ma Sentoki non riusciva a dormire.

I suoi occhi rimasero puntati oltre la finestra della camera da letto, fissando il cielo oscuro e silenzioso della Terra del Ghiaccio. Un profondo senso d’inquietudine lo stava tormentando sin da quella mattina, senza sosta. Una sensazione opprimente di angoscia, di timore, di agitazione. Era dentro all’improvviso freddo nell’aria, dentro al silenzio che echeggiava nella loro abitazione, e persino dentro all’oscurità opprimente che aveva avvolto le tenebre quella notte. Quasi come se tutto il mondo fosse diventato immobile, in attesa. In attesa di qualcosa. Ma cosa? Sentoki non sapeva dirlo.

Ma una cosa, invece, la sapeva. Stava per succedere qualcosa. Qualcosa di spiacevole.

L’anziano sospirò, scoccando un’occhiata esitante alla porta. Nelle altre stanze, gli altri erano già addormentati. Lo sapeva. Riusciva a percepire la mente agitata nel sonno di Shikamaru, così come l’energia rilassata e quieta di Ino. E persino un sordo avrebbe potuto sentire il fragoroso russare di Choji, proveniente dalla camera adiacente alla sua. Quindi sì, al momento era l’unico sveglio all’interno dell’abitazione.

Il finto monaco riportò lo sguardo verso la finestra. Sapeva cosa doveva fare. Lo sapeva con una chiarezza cristallina. Se i suoi sensi non lo ingannavano, allora non c’era neanche un minuto da perdere. Se stava per succedere qualcosa, se il mondo stava davvero per finire sconvolto una seconda volta, allora lui doveva agire il prima possibile. Boruto stava per colpire ancora, e lui non poteva permettersi di restarsene fermo. Non più, non di nuovo.

Hikari era stata chiara. Il piano di Boruto doveva essere fermato. Se avesse continuato su quella strada, la Terra e innumerevoli altri pianeti sarebbero stati distrutti. Non poteva permetterlo. Per il bene di tutti, umani e non, questa follia doveva finire. Così come Boruto aveva dovuto mettere fine alla distruzione di Vrangr, così lui avrebbe dovuto mettere fine alla follia di Boruto. Era inevitabile. Era ora di agire.

Sentoki allungò il suo unico braccio in avanti, intrecciando le dita in un singolo sigillo. Chiuse gli occhi, accumulando chakra nel suo sistema, cercando di concentrarsi al massimo. Aveva poco tempo a disposizione, e doveva sfruttarlo al meglio. Se tutto fosse andato bene, tra un paio d’ore sarebbe tornato qui come se niente fosse mai successo. Doveva essere cauto, doveva essere discreto, ma era certo di potercela fare.

Sì, promise a sé stesso. Tutto sarebbe andato per il meglio.

Questo, ovviamente, se la persona che stava per andare a trovare non avesse fatto qualche pazzia.

Sentoki sorrise, poggiando la mano sul pavimento e lasciando che la Tecnica avesse effetto.

Non vedeva davvero l’ora di incontrarla di nuovo.
 







 

Note dell’autore!!!

Ciao a tutti! Ecco a voi il nuovo capitolo, spero che vi sia piaciuto.

Sta per arrivare il momento che molti di voi mi hanno chiesto di vedere sin dalla storia precedente: lo scontro tra Boruto e Orochimaru. Inoltre, in questi capitoli abbiamo avuto modo d vedere un po' più nel dettaglio le intenzioni del Nukenin ed i suoi piani. Bolt ha in mente qualcosa, e presto scopriremo di cosa si tratta.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo e a presto!

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Capitolo 23
*** Mozzare la Testa alla Serpe ***


MOZZARE LA TESTA ALLA SERPE





 

04 Dicembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
23:00

Mezz’ora prima della fine del capitolo precedente.

“Noi stiamo per andare, Mitsuki.”

Il giovane ragazzo dai capelli argentati s’impietrì all’udire ciò, irrigidendo inconsciamente le spalle. Tuttavia, nonostante avesse sentito forte e chiaro, il suo corpo non si voltò. Sollevò semplicemente lo sguardo dalle pergamene a cui stava lavorando, la sua espressione indecifrabile, prima di emettere un lungo sospiro. “Capisco,” sussurrò, riprendendo a leggere i documenti sugli esperimenti che stava conducendo. “Dunque il momento è giunto, finalmente.”

Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che il suo amico stava annuendo. Lo sentì fare un paio di passi nella sua direzione, entrando nel laboratorio. “Sei certo di non voler venire?” chiese ancora quello, la sua voce pacata e comprensiva.

Mitsuki sorrise, posando i fogli sul tavolo e dirigendosi verso il computer principale. “Non sarà necessario,” lo rassicurò subito, digitando alcune parole sulla tastiera. Davvero, non c’era bisogno che si preoccupasse tanto per lui. “Quell’uomo non ha più alcuna importanza per me. Partecipare o meno alla sua disfatta non mi cambierà più di tanto.”

L’altro sembrò esitare. “Ma è comunque colui che ti ha creato. Sei assolutamente certo di non volerlo vedere, nemmeno un’ultima volta?”

L’albino annuì di nuovo, incurvando le labbra in un amaro sorriso. Si voltò, stavolta, posando i suoi occhi gialli sulla figura del suo leader. “Non voglio rischiare di essere manipolato di nuovo,” spiegò. “Ho preso la mia decisione, Boruto. Occupati tu di lui, ti prego. Fallo anche per me. È l’unica cosa che desidero.”

Il Nukenin esitò un istante, prima di annuire con decisione. “Te lo prometto, Mitsuki. Oggi quel mostro cadrà… una volta per tutte.”

Fece per andarsene, ma Mitsuki lo richiamò di nuovo. “Aspetta,” disse, senza smettere di fissarlo. Boruto si voltò, osservandolo a sua volta. Il giovane scienziato lo sfidò con lo sguardo. “Quando sarai lì… fa attenzione. Quell’uomo non è quello che sembra. È molto più pericoloso e viscido di quanto sembri. Ucciderlo non sarà semplice, nemmeno per te.”

Boruto gli sorrise. “Proprio per questo farò uso di quella Tecnica,” enunciò con confidenza. “Non temere. So benissimo quanto sia pericoloso quel serpente.”

“Temo che la Tecnica del Controllo della Mente di Annie-sensei non basterà a sconfiggerlo,” ribatté Mitsuki, serio. “Mio padre non è quello che sembra, Boruto. Ha passato la sua intera vita a collezionare e studiare ogni Tecnica esistente al mondo. Avrà senza dubbio escogitato qualcosa per difendersi da un’intrusione mentale.”

Boruto inarcò un sopracciglio. “Chi ha mai detto che ho intenzione di usarla su di lui?” ribatté casualmente. Mitsuki sgranò gli occhi all’udire ciò, facendolo sorridere. “Non temere, ho in mente un piano a cui nemmeno un Sannin potrebbe sopravvivere.”

Quello era ancora incerto. “Come?” domandò.

Il Nukenin sorrise, snudando i denti, e facendo guizzare una mano. Subito dopo, con uno scoppio di fumo, tra le sue dita apparve un piccolo oggetto di colore bianco. Una strana maschera mortuaria dotata di corna e denti aguzzi.

Gli occhi di Mitsuki si sgranarono a dismisura.

Boruto Uzumaki lo guardò con un sorriso predatorio. “Come vedi, amico mio, sono più che preparato.”

Mitsuki condivise il suo stesso sorriso.
 


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.

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05 Dicembre, 0021 AIT
Terra dei Fiumi
Nascondiglio Segreto di Orochimaru
00:20

BATTAGLIA PER L'ASSASSINIO DI OROCHIMARU


“Ti prego,” implorò Karin. “Lasciami andare!”

“Spiacente,” sussurrò invece il suo corpo, sottovoce. “Non posso farlo.”

“Ti supplico!” pregò ancora Karin. “Non lo dirò a nessuno! Non darò l’allarme! Non… Non lo farò! Solo… lasciami andare!”

Voleva piangere, voleva urlare, voleva disperarsi. Ma non poteva. Non era niente, nient’altro che chakra e pensiero. Il suo corpo le era stato rubato. Era prigioniera nella sua stessa carne.

Il suo corpo si fermò, assumendo una posa pensosa, prima di schioccare le dita. Si avvicinò alla sua scrivania, prese una lampada e la staccò dal muro. Poi, con sorprendente abilità, balzò sul letto e avvolse il cavo elettrico attorno al ventilatore sul soffitto. Con l’estremità libera, le sue mani si sollevarono ed annodarono il cavo. Era un cappio.

“No!” singhiozzò Karin. “NO! Per favore, no, non farlo!”

Ma il suo corpo non le diede ascolto. Si mosse in equilibrio su uno dei bordi del letto e fece scivolare il cappio intorno al collo. Karin si sentì in trappola. Voleva piangere, voleva tornare a sentire il cuore che le martellava nel petto, voleva tornare a sentire la sua pelle pallida e umida per il sudore. Ma non poteva, non ci riusciva, e non sarebbe successo. E rinchiusa nella sua mente, con un profondo senso di angoscia e disperazione, lei sapeva bene che non poteva fare nulla per riprendere il controllo. Il suo corpo avanzò, calmo e raccolto, proprio come il suo rapitore.

"Potrei liberarti", sussurrò la sua voce. "Sarebbe così facile."

Il suo corpo si sporse in avanti e cominciò a perdere l'equilibrio. "No!" Karin urlò. "No! Non farlo!"

Il cavo elettrico le si strinse contro il collo. "Sei sicura?" chiese il suo rapitore. "Preferisci sopravvivere e lasciarmi distruggere tutto, oppure morire ed impedirmi di continuare? Dimmi quello che vuoi, ed io te lo garantirò."

Karin voleva piangere. Mai prima di quel giorno aveva voluto piangere così tanto. E mai, mai in tutta la sua vita si era vergognata così tanto di sé stessa. Era una codarda. Sapeva quale sarebbe stata la sua risposta nel momento in cui la domanda aveva superato le labbra del suo corpo.

Il suo rapitore scrollò le spalle, fece un passo indietro e si tolse il cappio dal collo. Se avesse potuto, Karin sarebbe crollata inerte per il sollievo. Invece, semplicemente ... lo era. Il suo dolore e la sua paura la colpirono come un fiume in piena. Ci stava annegando dentro anche senza una forma materiale.

Il suo corpo si fermò, guardò l'orologio e poi si mosse per lasciare la stanza. Il rapitore esitò sulla soglia. "Non sono crudele", sussurrò. "Non durerà a lungo. Lo prometto."

Una minuscola consolazione.

"…Perché?" chiese Karin.

Il suo rapitore si fermò. Avendo la sua stessa voce, Karin non riusciva a capire se fosse un maschio o una femmina. "Hai volontariamente deciso di servire la creatura più malvagia e vile che abbia mai messo piede nel nostro mondo," sibilò il suo corpo. "Lui ha... quasi ucciso la mia famiglia una volta. Ecco perché."

Il suo corpo attraversò le sale del complesso sotterraneo e si diresse verso la stanza di controllo, dove lei solitamente passava il tempo a svolgere i compiti che le venivano assegnati per la giornata. Le sue dita danzarono sulla tastiera del gigantesco computer, digitando il suo nome utente e password, prima di eseguire dei controlli su tutti i progetti a cui stavano lavorando. Sperimentazioni animali e non. Processi di ricreazione della vita. Riproduzione cellulare e molecolare. Clonazione in massa.

E anche il progetto cloni.

Karin sentì una sensazione gelida invaderle la mente. Nessuno conosceva le sue informazioni di accesso tranne lei. Il suo rapitore le stava leggendo i ricordi?

"No," mormorò il suo corpo, come se potesse leggerle nel pensiero. Il suo rapitore tirò fuori una chiavetta nascosta, digitando qualcosa sulla testiera ed iniziando il protocollo per copiare tutte le informazioni. "Sei semplicemente prevedibile. Ho avuto molto tempo per guardarti nella mente mentre ti disperavi."

Karin fece per urlare, quando improvvisamente sentì qualcosa. Le sue capacità sensoriali erano ancora attive. Non poteva spegnerle. Ma non poteva nemmeno usarle. E il fatto che avesse percepito qualcosa doveva significare che...

Gli allarmi suonarono e le luci rosse iniziarono a lampeggiare. "ALLERTA! ALLERTA!" una voce meccanica e ronzante parlò sugli altoparlanti. "Avviso di intrusione! A tutto il personale di combattimento, prendete le postazioni designate!"

Il suo corpo cominciò a muoversi di nuovo. E non verso il bunker in cui il personale non combattente doveva andare. Verso... l'ingresso. Mentre si avvicinava sempre più alla meta, Karin non riuscì a smettere di percepire l’immenso ammasso di segnature di chakra in agguato appena fuori dalla montagna.

E fu allora che comprese. Fu allora che si rese conto che oggi, in un modo o nell'altro, la spia che le aveva rubato il corpo non era venuta col semplice intento di rubare informazioni. Era venuta per distruggere tutto. E di questo passo… lei avrebbe inevitabilmente fatto una brutta fine.

Sarebbe stata uccisa.

Karin Uzumaki piagnucolò.

"Karin!" abbaiò Orochimaru. Aveva girato l'angolo per andare a difesa della loro base. "Con cosa abbiamo a che fare?"

"Sei firme di chakra, Orochimaru-sama," disse il suo rapitore. Karin sentì il terrore sbocciare nella sua mente, ancora una volta, perché sapeva che l’intruso non poteva usare la sua abilità sensoriale. Il rapitore sapeva esattamente chi stava arrivando e quanti di loro erano.

"Chi sono?" chiese Orochimaru.

Il suo rapitore esitò. Karin pregò qualunque divinità esistente affinché tutto questo fosse solo un brutto sogno. Affinché il rapitore potesse compiere un errore e liberarla dalla prigione del suo corpo. "...il figlio dell'Hokage," rispose invece la sua voce.

Orochimaru snudò le labbra in un sorriso sinistro. Poi scoppiò a ridere. "Interessante…" sibilò.

Karin sentì la sua speranza appassire e morire. Jūgo, Suigetsu, e Log si unirono a loro, insieme a una manciata di ninja fedeli alla causa. E mentre si avvicinavano di corsa alla posizione degli assalitori, il suo senso di terrore non diminuiva, ma cresceva sempre più.

Si fermarono davanti alla pesante porta d'acciaio, rinforzata dai Sigilli, e attesero. Dopo qualche istante, il suo rapitore parlò. "Stanno aspettando," disse il suo corpo.

Suigetsu sospirò e sollevò uno spadone. "Furbi bastardi", ringhiò sommessamente. "Non vogliono entrare."

"Dovremo andare a salutare i nostri ospiti, allora," sibilò Orochimaru con una risatina bassa.

Tutti e cinque si mossero per uscire. Tra tutti, Log sembrava il più nervoso. Karin ne comprese il motivo non appena misero piede fuori dal nascondiglio. Il suo sangue le si raggelò nelle vene. Sette persone: quattro uomini e tre donne, tutti vestiti con le vesti scure e ammantate dell’Organizzazione Kara. Karin non li aveva mai visti, aveva solo sentito parlare delle loro terribili gesta. Ma tutti sapevano chi fossero, dopotutto. E adesso che li stava vedendo di persona… era completamente un'altra cosa.

Ma non era solo l’aspetto a spaventarla. Il suo terrore stava aumentando a dismisura perché poteva percepire il loro chakra. E non era un bello spettacolo. Il figlio dell'Hokage era in piedi davanti al gruppo, e il suo chakra incombeva sul suo come l'ombra della morte, immenso, furibondo ed agitato come una tempesta inarrestabile. Similmente, i due uomini accanto a lui non potevano essere descritti come umani. Le loro energie erano grosse e ardenti come fiamme d’incendio, e le altre fredde e gelide come l’acqua ghiacciata. Ma la cosa più terrificante di tutte era la ragazza accanto al biondo. Aveva più chakra contenuto nel suo corpo di tutti i presenti messi insieme. Era come trovarsi dinanzi ad un Demone codato.

In quel momento, nel trovarseli tutti e sette davanti agli occhi, Karin comprese il significato vero della parola terrore.

"Boruto Uzumaki," Log parlò con una certa esitazione. "Perché sei qui?"

Orochimaru scoppiò in quella risata bassa e gelida che faceva sempre. "Non è ovvio, Log? È qui per reclutarci, o per ucciderci," sibilò.

Boruto non parlò subito, osservando Log con il suo occhio gelido e privo di emozione per diversi secondi. Poi riposò lo sguardo sul Sannin. "Orochimaru," disse a sua volta. Stava facendo qualcosa con la sua voce, Karin poteva dirlo. Una Tecnica del Vento, forse, che la faceva risuonare di più. C'era un sottofondo di rabbia nel suo tono che le face venire i brividi. "La tua esistenza è un ostacolo per la Pace e la stabilità dell’Impero. Sei un cancro della società ed un mostro che non merita di vivere. Una reliquia di un'era di guerra e conflitto. Per questo motivo, dati i tuoi crimini contro il mondo e contro di me, tu devi morire."

Orochimaru sorrise feralmente e scoprì le zanne. "Uomini molto più potenti di te hanno tentato di uccidermi, moccioso," sibilò. "E tutti hanno fallito. Cosa ti fa pensare di essere diverso?"

"Hai commesso un errore, serpente," sputò il figlio dell'Hokage. "Mi hai lasciato vivere. Questa volta sarà diverso."

"Quanta confidenza," ridacchiò Orochimaru. Fece un passo in avanti, piazzandosi tra lui e gli altri. "Ma se non ricordo male, anche tu hai commesso un crimine contro di me. Mi hai portato via mio figlio.”

Karin vide il volto del Nukenin farsi pericolosamente oscuro e rabbioso dopo quelle parole. Riusciva chiaramente a sentire il chakra di quel mostro iniziare a ribollire per l’odio. La sua mente venne pervasa da un timore indescrivibile.

Il Sannin lo sfidò con i suoi occhi bestiali, incurante del pericolo. “Dov’è Mitsuki?” domandò gelidamente.

Karin si sforzò di combattere contro i suoi legami mentali. Qualsiasi cosa pur di cercare di riprendere il controllo del suo corpo prima che iniziassero i combattimenti. Ma l’oppressione ferrea del suo rapitore non si allentò nemmeno un poco.

“Mitsuki,” iniziò a dire Boruto. Sembrava estremamente determinato mentre parlava di lui. "Fa parte della mia famiglia adesso. Tu non c’entri più nulla con lui. Non sei mai stato un padre nei suoi confronti. Dopotutto, non mi sembra che i tuoi scagnozzi abbiano fatto qualcosa per lui mentre stava per essere giustiziato.”

Gli occhi di Orochimaru si assottigliarono pericolosamente. Le sue labbra si contrassero in un mezzo ringhio. “È stato a causa delle tue azioni che Mitsuki è stato condannato a morte,” ribatté velenosamente. “Per colpa tua è diventato un criminale. Non potevo aiutarlo e andare contro alle Nazioni Alleate.”

“Le misere parole di un cancro che rosicchia il cadavere di questo mondo in rovina,” lo incalzò il biondo, il suo sguardo gelido. "La verità è che non ti è mai importato di lui, e a lui non è mai importato di te. Ecco perché ha scelto di seguirmi. È fuggito da te perché temeva di finire manipolato dalle tue menzogne. Tu, invece, non puoi accusarmi di averlo manipolato. Ha scelto da solo di unirsi alla mia causa, restandomi fedele ancora adesso. E se un giorno dovesse decidere di abbandonarmi ed andarsene… io non glielo impedirò."

Orochimaru sorrise orribilmente. “Come sei nobile. Eppure le tue azioni lo hanno messo in pericolo,” ribatté prontamente. La sua lingua guizzò come quella di un rettile. “Parli tanto di libertà e pace, ma l’unica cosa che riesci a fare è mettere in pericolo la vita degli altri.” I suoi occhi divennero più minacciosi che mai a quel punto. “E questa era l’unica cosa da cui volevo proteggere mio figlio.”

Boruto sollevò il mento. “E per farlo volevi rinchiuderlo per sempre come un animale da laboratorio? Non farmi ridere,” ringhiò. Il suo occhio gelido guizzò nuovamente a fissare Log. “E a quanto vedo hai persino avuto l’audacia di clonare Mitsuki per rimpiazzare la sua scomparsa. Mi fai davvero ribrezzo, Orochimaru. Anche se, in effetti, non dovrei esserne sorpreso. Una mostruosità del genere era prevedibile da uno schifoso parassita come te.”

Non è vero!" urlò mentalmente Karin. "Log non è un clone di Mitsuki!!"

"Ma questo non sarà più un problema," continuò Boruto, senza problemi. "Perché oggi tu morirai, qui ed ora. Non lascerò che la tua esistenza possa continuare a minacciare la vita del mio amico. Farò in modo che tu possa sparire per sempre, schifosa bestia, e distruggerò tutto ciò che ha inquinato la vita di Mitsuki fino ad ora. Perché io, a differenza tua, alla famiglia ci tengo davvero."

Log fissò il Nukenin con uno sguardo tremante.

"Fottiti!" ruggì Karin. "Orochimaru vuole bene a suo figlio!"

"Sta’ zitta," ordinò il suo rapitore sottovoce.

"Ma non deve necessariamente finire così,” disse improvvisamente il Nukenin, cogliendoli di sorpresa. Karin e gli altri rimasero di sasso quando lo videro ignorare il Sannin e rivolgersi direttamente a loro. “Non deve finire per forza in un’ennesima strage. Il mio obiettivo è Orochimaru, ma voialtri siete innocenti. Per cui, vi darò una possibilità. Potete abbandonare quel mostro che avete servito fino ad ora, oppure combattere con lui e morire. Potete unirvi a me e vivere, oppure perire qui ed ora assieme a lui,” disse Boruto, facendo un passo avanti. Karin si irrigidì, mentalmente, e vide Jūgo, Log e Suigetsu fare lo stesso. "L'Impero e la Rivoluzione sono sempre alla ricerca di nuovi membri. Persone potenti e di talento come voi. Persone che il mondo ha fallito. Unitevi a me e avrete la casa e la libertà che questo mostro non ha mai saputo donarvi."

Karin vide i suoi amici guardare tra Boruto e Orochimaru con un chiaro tumulto negli occhi. Tentò di dare un calcio ai suoi legami mentali, ancora una volta, senza alcun risultato.

Orochimaru rise di gusto. Non una risatina oscura, ma una risata corposa e orripilante. "Oh, sei affascinante!" sibilò velenosamente. "Sei molto più pericoloso di quanto si pensi, moccioso. Dovresti guardare quella tua lingua argentata, o qualcuno potrebbe tagliartela un giorno!"

"La mia offerta è valida," premette ancora Boruto, fissandoli uno per uno.

Jūgo rimase in silenzio mentre Suigetsu fece un passo in avanti. "Moccioso, noi... il lavoro che stiamo facendo qui, è troppo importante!" spiegò lentamente. "Tu… Tu non hai idea di che cosa sta arrivando! Fuori da qui c'è una minaccia diversa da qualsiasi cosa che abbiamo mai affrontato! Questo non è il momento di litigare tra di noi! Gli Otsutsuki stanno per arrivare!”

"Qualsiasi cosa o persona minacci il mio futuro di pace verrà abbattuta," dichiarò Bolt. "Questo lo prometto. Il vostro lavoro può essere continuato con la Rivoluzione. Abbiamo a disposizione risorse e personale considerevoli. Di qualunque cosa abbiate bisogno, noi ce l’abbiamo. E in caso di mancanze, possiamo comunque fornirvele in tempi brevi con garanzie assolute."

Karin vide Log stringere i denti con rabbia. "Boruto Uzumaki... se tu non avessi messo in pericolo mio fratello, avrei accettato senza esitazione,” disse a denti stretti. “Ma questa ‘pace’ che stai cercando è solo una dittatura. Il mio posto è qui, con mio padre e i miei fratelli, che mi amino o no. Il lavoro che stiamo facendo salverà milioni di vite dalla minaccia degli Otsutsuki. La tua opera di conquista, invece, finirà solo per distruggere ogni cosa."

Tutti si fecero tesi dopo quelle parole, nervosi e pronti a colpire. Il silenzio prese a regnare nel buio della notte.

"...capisco," disse il figlio dell'Hokage.

Non ci furono altri scambi dopo quei discorsi. Il tempo delle parole era finito.

Uno dei Kara, un gigantesco ragazzo muscoloso, si fece avanti a quel punto e sguainò una possente spada. I suoi occhi cremisi ardevano mentre fissavano uno di loro con gelida determinazione: Suigetsu. "Ti sfido umilmente a duello", borbottò. "Il vincitore avrà in premio la Mannaia Decapitatrice."

"Merda," imprecò Suigetsu, sollevando la mole ingombrante della sua spada. "Dovrai strapparmela dalle mie mani morte."

"Suigetsu! Stupido idiota! Non provocarlo!" urlò inutilmente Karin.

Ma non ebbe tempo per infuriarsi. In meno di un secondo, infatti, era esploso il caos. Boruto e quella donna silenziosa stavano portando Orochimaru lontano dal covo, spingendolo sempre più nella foresta. Jūgo stava rapidamente diventando sempre più mostruoso di secondo in secondo, e Log fece per seguire suo padre, ma fu fermato immediatamente da tutti gli altri Kara. E Karin? 

Lei poté solo guardare, impotente, mentre il suo corpo s’intrufolava nella foresta al seguito di Orochimaru.
 


La Mannaia Decapitatrice era sprecata nelle mani dell’uomo che la possedeva, decise Shirou. Quel tipo dai capelli azzurri non sembrava nemmeno uno spadaccino, almeno dall’aspetto. Lui stesso era più alto e quasi doppiamente più robusto di quanto non fosse il suo avversario. Per uno della sua statura, invece, la spada sembrava perfettamente proporzionata. Una delle Sette Spade, secondo la leggenda, discendente dall’acciaio più duro e dal chakra più potente. Creata da un minerale piovuto misteriosamente dal cielo, secondo alcuni, come dono dello stesso Eremita delle Sei vie.

Shirou non sapeva se crederci o meno. Secondo Boruto, l’Eremita non era il tipo da creare armi per uccidere. E lui non dava mai credito alle storie e alle superstizioni della gente. Credeva nel potere dell'acciaio freddo e duro, nella forza di un uomo e nel sudore della sua fronte.

Condusse l'uomo dai capelli blu lontano dalla montagna in modo che non fossero disturbati dai combattimenti. Questo era un duello d'onore tra due uomini. Dissacrarlo era come portare disonore al suo Maestro. Alla fine, trovò una radura attorno ad un piccolo corso d'acqua e decise che andava bene.

Il samurai si voltò per affrontare il nemico e si inchinò leggermente. Poi si risollevò bruscamente e assunse una posa da combattimento. Il suo avversario gli lanciò un sorriso sbilenco e sollevò pigramente la Mannaia Decapitatrice.

Shirou si accigliò. "Iniziamo."

Si sporse in avanti, sollevando la spada e mirando un affondo di lama rapidissimo sull'uomo più piccolo. Pensò di riuscire a colpirlo, eppure Suigetsu dimostrò di essere sorprendentemente agile per il suo aspetto. Danzò in mezzo all’attacco e lasciò che la sua spada si conficcasse nel terreno. Ammiccando, Shirou estrasse la spada dalla pietra e sferrò un calcio laterale.

Suigetsu si allontanò barcollando, evitando di essere messo alle strette, e posizionò la massiccia mole del suo spadone tra il suo corpo e quello dell’avversario. Le loro lame s’incontrarono con un possente fragore metallico che echeggiò nell’aria, risuonando come musica per le orecchie di Shirou. Poteva letteralmente sentire il richiamo della Mannaia che lo chiamava, che lo pregava di rivendicarla come sua. Per diventare il più grande spadaccino che avesse mai vissuto sulla Terra. Per onorare il suo Maestro.

Ma a volte, l’aspetto poteva essere ingannevole. Nonostante la mole poco impressionante, Suigetsu era ingannevolmente forte. Shirou lo comprese al secondo scambio di colpi. Doveva esserlo, senza ombra di dubbio, per riuscire a far oscillare lo spadone con un tale potere. Shirou lo vide bloccare la spada con il piatto della sua lama. Poi, Suigetsu sollevò il braccio libero, puntò una mano in avanti, e una lancia d'acqua gli schizzò fuori dalle dita e gli trafisse la spalla.

Shirou grugnì per il dolore. Fece un balzo in avanti, sbattendo l'altra spalla sulla gigantesca lama della Mannaia Decapitatrice, e respingendo Suigetsu con uno spintone. Mentre il suo nemico precipitava via, Shirou si scagliò in avanti e menò uno squarcio verticale. Tagliò in profondità nel torace dell'avversario, tra la spalla e il collo, ma invece dello spruzzo di sangue che si aspettava, i suoi occhi videro solo una nebbia schiumosa e acquosa.

Nell’istante successivo, la Mannaia Decapitatrice venne sbattuta contro il piatto della sua spada con una forza talmente impressionante da costringerlo a scavare coi talloni nel terreno per rimanere in piedi. Stringendo i denti, Shirou sentì il modo in cui la spada gli tendeva la mano mentre cercava disperatamente di resistere alla pressione nemica.

Ma il samurai non si sarebbe lasciato sopraffare. Con un comando mentale, chakra allo stato puro prese a danzare lungo la sua lama, rinforzandola e affilandola all’inverosimile. Shirou si lanciò in avanti e sbatté la spalla contro il piatto della sua spada, deviando lo spadone nemico e destabilizzando il suo possessore. Poi, con una piccola applicazione della Tecnica del Taglio, il suo chakra si unì attorno alla lama della spada ed essa venne modellata in uno spadone più lungo e più ampio. Uno spadone che avrebbe resistito più facilmente alla Mannaia Decapitatrice.

Shirou portò la sua lama potenziata dal chakra sull'avversario con un fendente velocissimo. Tentò di tranciarlo in due, ma tutto ciò che ottenne fu un’esplosione di scintille e acciaio quando le due spade si scontrarono e bloccarono a vicenda. Le gambe del suo avversario si piegarono sotto la tensione, perdendo la loro forma fisica e diventando letteralmente un vortice d'acqua.

Poi, una lingua d'acqua schizzò fuori dal vortice e gli si avvolse dietro le ginocchia. Shirou si accigliò, allontanandosi mentre uno squarcio improvviso gli tranciava il polpaccio. Sangue cremisi e denso cominciò a colargli nello stivale. Era appiccicoso, caldo e scomodo. Avrebbe reso i suoi movimenti più difficili, destabilizzandogli l’equilibrio.

Reprimendo un ringhio, Shirou respinse un'oscillazione arcuata della Mannaia, fece un passo indietro e attinse altro chakra dal suo sistema. Un ottavo del suo potere, decise, sarebbe stato abbastanza. Il chakra si precipitò nel suo corpo, scorrendogli nelle braccia ed affluendo nella spada. "Iaido!" (Taglio) intonò. E mentre quella parola lasciava le sue labbra, il samurai agitò la spada. Un'ondata crescente di chakra bianco-blu inondò la radura. Tutto ciò che Shirou sentì fu un grido acuto di sorpresa, prima che venisse soffocato dal suono degli alberi fatti a pezzi e da un’esplosione di energia e luce.

Quando riaprì gli occhi, foglie e schegge di legno piovevano intorno a lui, ma il suo nemico non si vedeva da nessuna parte. Tutto ciò che restava era la Mannaia Decapitatrice buttata a terra.

Shirou sorrise, soddisfatto e confidente, mentre si faceva avanti per reclamare il suo premio. Era la prima cosa che stava facendo per sé stesso dopo... molto tempo. Non riusciva a ricordare quale fosse l'ultima azione che non avesse fatto per volere del suo Maestro, o di quelli verso cui doveva un debito, o di Boruto. Era un... sentimento liberatorio.

Allungò la mano per afferrare la spada per la sua impugnatura quando sentì il ruscello alle sue spalle vibrare rumorosamente. Abbandonò la spada e balzò via mentre una gigantesca cascata d'acqua sgorgò dal fiume e tentò di ingoiarlo per intero. I suoi occhi si assottigliarono. Un Suigetsu disincarnato e privo di corpo si trovava racchiuso all'interno dell’ondata. Era poco più che una faccia e un corpo vago senza braccia e gambe.

Ed era anche, notò lo spadaccino, straordinariamente simile alla forma che Boruto assumeva nel suo stadio finale della Scia di Fulmini. Si accigliò, deluso dal fatto di non possedere quella Tecnica per il quale il suo Signore era temuto nel mondo intero. Una tale abilità gli avrebbe permesso di sconfiggere facilmente il suo avversario. Dopotutto, quelle loro forme simili avrebbero inevitabilmente condiviso debolezze simili. E l’Acqua era sempre più debole rispetto al Fulmine.

Shirou brandì la sua spada mentre Suigetsu reclamava la Mannaia Decapitatrice. La fece oscillare su e giù nell'ondata d’acqua con sorprendente abilità. Quasi come se l'onda stessa fossero gli arti dell'uomo. Shirou prese fiato. Il suo elemento principale era il Fuoco. E pur non possedendo il Rilascio del Fulmine, non aveva dubbi nella sua mente di possedere molto, molto più chakra rispetto al suo avversario. E anche se era difficile per un elemento come il Fuoco sopraffare la sua naturale debolezza... non era impossibile.

Circa la metà del suo chakra sarebbe bastato, decise Shirou. Come la marea, il chakra nel suo sistema avanzò dentro di lui al suo comando. Il Marchio di Yama si attivò, risalendogli lungo il braccio. Shirou lo accese, come l'olio, e lo incendiò. Esso prese vita, ardente come un mare di fuoco, incenerendolo dall'interno e chiedendo di essere rilasciato.

Suigetsu avanzò, con tutta la forza delle maree. Il torrente che saliva alle sue spalle si stava ingrossando in una colossale ondata d'acqua scrosciante. Shirou si lanciò in avanti, abbassando la spada prima di sollevarla di nuovo. Con un sussurro, scatenò l'inferno. "KATON: Iaido!" (Arte del Fuoco: taglio) intonò a gran voce, immettendo l’energia del Marchio nel suo ultimo attacco.

Le sue riserve di chakra si abbassarono improvvisamente, pericolosamente, mentre il suo potere lo lasciava per alimentare la Tecnica. Tutto il suo mondo venne consumato dalle fiamme, mentre una colonna di fuoco immenso si sollevò in aria per sfidare il mare nascente. Si scontrarono, violentemente e fragorosamente, generando un boato assordante come il tuono. Poi, la foresta venne inondata da un’esplosione di vapore, talmente caldo da bruciare la pelle ed infiammargli la vista.

Shirou emise un lieve grugnito di dolore e cominciò a correre, disattivando il Marchio. Corse ovunque, davvero, ovunque potesse evitare di finire cucinato vivo dal vapore ustionante. Un piccolo prurito nella parte posteriore della mente gli ricordò che stava scappando dal suo duello, ma lo spadaccino lo scartò. Non appena il vapore si fosse dissipato, sarebbe tornato per finire il combattimento. Per rivendicare la Spada, in caso di vittoria, o per morire, in caso di sconfitta.

Pigramente, in lontananza, i suoi occhi potevano vedere i suoi alleati combattere. Il suo Signore e la sua Signora – ormai poteva tranquillamente dare quel titolo anche a Mikasa – stavano combattendo contro il Sannin, più ad Ovest. Gray e Juvia, con quelle loro urla irritanti, stavano combattendo contro il clone di Mitsuki ad Est. Sora e Kairi, invece, erano alle prese con il mostruoso Jūgo a Nord. La loro era una battaglia caotica ed esplosiva, talmente potente che Shirou poteva vederne i segni anche da quella distanza. 

Il samurai respirò profondamente l'aria fresca mentre la nebbia si raffreddava. Ci vollero diversi minuti per far dissipare e raffreddare il vapore. Quando lo fece, Shirou balzò di nuovo nella mischia con la spada sguainata e pronta a colpire. La agitò nell'aria, tranciando e dividendo il vapore, avanzando con una certa cautela verso l’avversario.

Raggiunse la radura ancora una volta e trovò una terra desolata in rovina rispetto alla tranquilla foresta che aveva lasciato. Il torrente gorgogliante era sparito. Tutto ciò che restava era un letto asciutto di pietra liscia e fango secco. La foresta era stata incenerita o altrimenti distrutta per diverse centinaia di piedi in qualsiasi direzione.

Eppure, i suoi occhi trovarono Suigetsu disteso vicino all'estremità del torrente. Era orribilmente bruciato ed ustionato. La sua pelle era diventa di un colore rossastro, completamente bollita dal vapore e dalle fiamme, ed emetteva copiosi rivoli di fumo. Il corpo, un tempo liquido e fluttuante come le onde, adesso era lungo e magro, come un ramo secco, e spaventosamente rugoso. E ancora, nonostante quell’aspetto patetico, le mani dell’uomo stringevano sempre la Mannaia Decapitatrice con una presa ferrea.

Shirou sentì un senso di rispetto nascere nei confronti di quell’uomo. Si avvicinò, la spada sempre al suo fianco, e abbassò lo sguardo sul suo avversario sconfitto. Non credeva che Suigetsu stesse fingendo un infortunio, non in quelle condizioni. Con il volto gelido, sollevò la spada per porre fine alla vita dell'uomo e rivendicare il suo premio. Suigetsu lo fissò con gli occhi sbarrati e doloranti, sibilando pateticamente qualcosa di incomprensibile.

Ma Shirou non esitò. Un duello, per definizione, doveva finire nel sangue. O si vinceva, o si moriva. Era la regola. Il suo Signore non gli aveva dato alcun ordine di prendere la vita di Suigetsu, ma quello sciocco aveva rifiutato la sua offerta di unirsi a lui. E per questo, esattamente come il mostro che serviva, anche lui meritava la morte.

Shirou prese la mira con la spada. "Sei stato un degno avversario, Suigetsu Hōzuki," disse solennemente. "Hai lottato con onore e coraggio. Come premio per la tua lealtà, farò in modo di essere rapido con l’esecuzione. E una volta finito, mi prenderò la tua spada e la terrò con me in tua memoria. Questa è la mia promessa.”

Allungando una mano, il castano strappò la Mannaia Decapitatrice dalle dita del suo avversario. Suigetsu emise un suono basso e doloroso. Un suono che – lui lo sapeva – non aveva niente a che fare con il dolore, ma bensì col disonore di aver perso la sua spada in duello. 

Il samurai lo guardò con freddezza. "Addio", disse, prima di abbassare il braccio e far crollare la lama sopra al suo collo.
 


Non c'era niente di paragonabile a questo.

Era nel modo in cui il cuore gli martellava nel petto, così rapido e frenetico nel suo battito, come i tamburi di guerra. Era nel modo in cui il sangue gli danzava nelle vene ad ogni scontro. Era nel modo in cui il suo intero mondo svaniva fino a quando non restavano altro che il campo di battaglia e la lotta.

Gray lo adorava. Il caos, la tensione, il brivido della battaglia… era tutto meravigliosamente squisito. Sollevò il braccio, il suo chakra gelido che strisciava lungo il suo sistema e veniva liberato mentre schioccava le dita. Il mondo esplose di ghiaccio, luce e gelo, e il suo cuore danzò letteralmente ad ogni esplosione di energia che emetteva col pensiero.

Al suo fianco, Juvia aveva a sua volta un ghigno allegro in faccia. Anche se lo nascondeva meglio, Gray sapeva che alla cerulea piaceva la battaglia tanto quanto a lui stesso. Schioccò le dita, e scatenò un'altra esplosione di ghiaccio sopra al bersaglio. Il loro avversario, i suoi occhi non potevano mentire, era un mostro a tutti gli effetti. Pelle pallida e infestata da chakra naturale, occhi infernali e sbrilluccicanti, ed un paio di serpenti di chakra che lo avvolgevano completamente. Da quando si era trasformato grazie all’Arte Eremitica, Log non era più considerabile come un essere umano.

Bene, notò Gray, non ci sarebbero stati problemi su quel fronte. La sua mostruosità lo rendeva un bersaglio molto più interessante da abbattere.

Log evitò la traiettoria delle sue schegge di ghiaccio mentre si dirigeva verso la sua compagna. Era avvolto in serpenti contorti e incorporei che gli si avvolgevano attorno al petto, alle braccia e alle gambe. Creavano un’efficace barriera che bloccava tutto ciò che gli avevano gettato addosso: esplosioni, ghiaccio, acido e persino acqua bollente.

Si stava rivelando fastidioso. Gray voleva vederlo bruciare e sanguinare. Juvia schioccò le dita due volte in rapida successione, e lanciò una lancia d’acqua dopo l'altra verso il nemico. Il clone di Mitsuki le evitò inclinandosi col busto, prima di scattare in una corsa forsennata. Era dannatamente veloce. Non veloce come il loro leader, certo, ma comunque veloce a suo modo.

Adesso che lo stava combattendo, Gray poteva ammetterlo. Se lui e Juvia non fossero stati abituati a combattere contro Boruto ogni singolo fottuto giorno, sarebbero stati probabilmente sopraffatti. I loro allenamenti passati con quel biondino avevano impresso nei loro cervelli e corpi il significato della parola ‘velocità’. Letteralmente.

Alla sua destra, Gray vide un’altra battaglia imperversare allo stesso tempo. Sora stava sputando un muro di roccia fusa addosso a quel mostro di Jūgo mentre esso si avvicinava a Kairi, urlando come un forsennato. Fu costretto a fermarsi, quasi scivolando nel fango, prima di sfrecciare lontano da lei. S’imbatté in un’esplosione di acqua ustionate che lo prese in faccia con una precisione inaudita. Gray vide Sora sorridere. Jūgo si riprese, crollando in ginocchio e guardando i suoi avversari con occhi arrabbiati mentre una sottile scia di sangue si insinuava dall'angolo della sua bocca.

Già, non c’era niente di meglio di una battaglia.

Gray si voltò di nuovo verso il suo scontro, cercando la sua compagna, e tessendo dei Sigilli con le mani. Eresse un muro di ghiaccio mentre il clone di Mitsuki sputava un'onda d'acqua contro di lui e Juvia. Bastardo fastidioso. Come se una cosa del genere potesse funzionare su di loro. Lui e Juvia erano maestri impareggiabili nel rilascio del Ghiaccio e dell’Acqua. Quella era la debolezza di Mikasa, e persino lei si era assicurata di essere preparata per contrastarla. Su di loro non avrebbe avuto effetto.

Ignorando quei pensieri, si voltò e scatenò una pioggia di lance ghiacciate su Log prima che potesse attaccarli di nuovo. Il suo avversario sollevò le braccia sul viso in una guardia disperata e si lanciò in avanti. Il Signore del Gelo sorrise. Questo è ciò che si era aspettato. In quel momento, Juvia gli sputò un'altra ondata di acido ustionante. Anche quello lo centrò in pieno, investendolo in una nube di vapore velenoso. Log crollò a terra, lottando per rimettersi in piedi in mezzo al ghiaccio e all’acido.

Il sorriso di Gray si allargò. "Ehi, stupido pazzo, non morire ancora!" esclamò, ghignando per l’eccitazione. Non voleva che la lotta finisse, non ancora. Inoltre, né lui né Juvia volevano davvero scoprire cosa avrebbe fatto Mitsuki se avessero fallito ad uccidere il suo ‘fratello maggiore’. Per essere un pazzo scienziato omicida con delusioni di grandiosità – un po' come il padre – di sicuro a Mitsuki non piaceva essere clonato. La sola esistenza di Log era un affronto nei suoi confronti.

Le sue paure si rivelarono fondate. Log rotolò nell’acido, incolume, se non per le sue vesti logore e consumate dagli attacchi. Poi si scagliò in avanti con un braccio e mandò i suoi serpenti incorporei verso Juvia, talmente veloci da essere quasi invisibili. Gray osservò la scena con un fischio di sorpresa, senza intervenire. Sapeva che non c’era bisogno di preoccuparsi. Avrebbe lasciato divertire la sua ragazza, da bravo ragazzo carino quale era.

Log inchiodò le braccia serpentine sopra quelle di Juvia e sollevò un pugno. "Arrenditi," sibilò.

Non andò come sperava. Appena il pugno si collegò con la sua faccia, infatti, il corpo della cerulea implose letteralmente in un’esplosione di acqua salata, permettendole di sgusciare fuori dalla presa dell’avversario con un getto copioso che investì il volto del clone. L’acqua lo leccò, dal collo fin sopra la mascella, tranciandogli pelle e tendini nonostante la barriera di chakra naturale. Sangue e chakra sgorgarono fuori dalle ferite. Ma, a suo merito, Log non si contrasse nemmeno un po' per il dolore. Juvia gli sorrise, ricomponendosi alle sue spalle come se niente fosse. "Non te l’aspettavi?" ridacchiò, facendo oscillare i fianchi.

Log indietreggiò, il pugno serrato e il suo sguardo furioso, mentre le sue ferite si risanavano con una scia di fumo bianco. Gray fece schioccare le dita, creando un’esplosione improvvisata di ghiaccio e chakra. Il suo avversario era talmente distratto da non riuscire neanche ad accorgersene. Le lance di ghiaccio lo centrarono in pieno petto, evitando di tranciarlo solamente grazie all’Arte Eremitica. Log tossì e si allontanò barcollando da loro. I suoi capelli erano arruffati e sporchi di acido e ghiaccio.

Gray si portò accanto a Juvia e sorrise. Il clone di Mitsuki si riprese e lanciò loro un'occhiataccia. "Tutto qui quello che sai fare?" piagnucolò Juvia, scuotendo lentamente la testa con delusione. In quel momento, lui lo sapeva, alla cerulea non importava se lo avesse ucciso. Voleva solo continuare a combattere.

Log scomparve tra le esplosioni di acido e Gray fece una pausa. Sora e Kairi erano alle loro spalle e tenevano a bada Jūgo. Non era una minaccia. Peggio ancora, era noioso. Log apparve, correndo verso di loro con un pugno piegato all'indietro. Juvia creò un'altra barriera di acqua scrosciante. Il loro avversario esitò, si fermò di colpo, e lanciò il pugno in avanti. La barriera di liquido esplose mentre un serpente incorporeo la attraversava, ruggendo e sibilando verso di loro.

Juvia strillò di sorpresa – non per paura, non lo era affatto – e Gray decise che era ora di intervenire per mettere fine a quella farsa. I due balzarono lontano da lì, evitando il serpente, e continuarono il loro attacco a distanza lanciandogli proiettili di ghiaccio e acido. Gray si voltò per lanciare un’ennesima lancia ghiacciata su Log, quando notò che quest’ultimo si stava inginocchiando a terra con un sorriso.

"Non essere così compiaciuto, ragazzone!" ululò, unendo assieme le mani.

Mentre lo faceva, un serpente spettrale esplose verso il cielo da sotto i suoi piedi. Gray sgranò gli occhi, lanciando un grido di sorpresa, ma il suo istinto gli impose di agire. Riscuotendosi di colpo, allontanò Juvia con uno spintone, facendola cadere a destra e mettendola in salvo dall’attacco.

Qualcosa di duro e pesante come il metallo lo colpì forte in faccia subito dopo. Il suo mondo si oscurò di colpo, annebbiandogli momentaneamente i sensi, e quando si riprese i suoi occhi videro Log incombere su di lui con una spada in mano. Gray ammiccò e sentì il morso affilato dell'acciaio sul collo.

Il clone lo guardò dall’alto in basso, il suo sguardo gelido come la lama. “Hai perso,” sibilò.

Gray sorrise di rimando. “Ne sei certo?”

Log trasalì, sgranando gli occhi, ma non ebbe modo di fare nulla. La lancia di ghiaccio gli spuntò, letteralmente, alle spalle in meno di un millisecondo, trafiggendolo in pieno petto con un suono raccapricciante ed un’esplosione di sangue e chakra. Il suo corpo tremolò, emettendo un rantolo soffocato, prima di sputare sangue e ruotare gli occhi. La cappa di chakra naturale che lo avvolgeva si dissolse come fumo, e Log crollò a terra con un tonfo sommesso, senza più rialzarsi di nuovo.

Il Signore del Gelo si risollevò da terra con un sospiro, scuotendo amaramente la testa.

“Gray!” Quello si voltò, trovandosi faccia a faccia con Juvia che correva verso di lui. Sora e Kairi stavano dietro di lei, i loro volti annoiati e le loro espressioni esasperate. Un possente cadavere mutilato giaceva alle loro spalle, con la testa decapitata di Jūgo che rotolava ai loro piedi in una pozza di sangue.

“Ti sei lasciato cogliere di sorpresa,” lo canzonò Sora.

Gray sospirò. “Sì, sì, lo so,” sospirò, scuotendo una mano con disinvoltura. “La prossima volta farò più attenzione, va bene?”

Gli altri tre sospirarono a loro volta, ma decisero di non commentare. Senza perdere tempo, lanciarono un’ultima occhiata ai corpi privi di vita, prima di svoltare ad Ovest e lanciarsi in uno sprint per aiutare i loro amici.
 


Sebbene fossero passati cinque anni dal loro ultimo scontro, la sensazione di dejà vu che provava era immensa.

Boruto si lanciò in avanti e scagliò un palmo aperto contro l’avversario. Orochimaru era tanto potente e mostruoso quanto ricordava. Era spaventosamente veloce, e sebbene il Nukenin stesse usando la sua Scia di Fulmini, il Sannin riusciva comunque a schivare alcuni dei suoi attacchi. Gli altri, esattamente come in passato, lo colpivano senza fare nulla. Quel mostro si limitava a scrollare le spalle e il danno guariva in un istante, come se non l’avesse mai subìto. E Boruto sentiva che i colpi che erano andati a segno lo avevano fatto semplicemente perché Orochimaru lo aveva voluto. Stava giocando con lui, adesso come allora.

Non era cambiato nulla.

Mikasa stava andando persino peggio di lui. Era più lenta di lui, oltre che di Orochimaru, e nonostante tutta la sua forza, se non poteva ferire concretamente il Sannin, i suoi sforzi non servivano a niente. Boruto balzò in avanti, evitando un calcio alla testa, si girò sulla pianta del piede, afferrò Mikasa per il polso e la spinse verso Orochimaru come una mazza alla massima velocità possibile. La ragazza si scagliò con un calcio che colpì Orochimaru alla spalla. Il Sannin venne scagliato fisicamente attraverso la foresta, sradicando alberi e schiantandosi attraverso il sottobosco con un boato fragoroso.

Boruto prese fiato, grato per l’attimo di tregua. Non osava pensare che Orochimaru fosse stato sconfitto. Non pensava di poter davvero uccidere Orochimaru. Non in questo modo, almeno. Era così... disumano. Era certo che neanche l’ultimo stadio della Scia di Fulmini sarebbe bastato per abbattere per sempre quel viscido rettile. Ma avrebbe usato la pausa nello scontro per raccogliere i suoi pensieri e pianificare il loro prossimo attacco.

Orochimaru si diresse di nuovo attraverso la foresta, strisciando come un serpente tra gli alberi, un ghigno mostruoso che gli spaccava il viso da un orecchio all'altro, snudando le fauci piene di zanne e la sua lingua serpentina. Boruto rabbrividì. Ricordava vividamente il dolore lancinante che aveva provato quando le zanne di quel mostro gli avevano trafitto il collo.

"Devo ammetterlo," sibilò Orochimaru. "Avevo fatto bene a marchiarti col mio Sigillo Maledetto. Saresti stato uno strumento eccezionale da usare contro gli Otsutsuki. Beh, contro quelli meno potenti, ovvio." I suoi occhi gialli guizzarono poi verso la figura ansimante di Mikasa, osservandola con divertimento. “E che dire della tua amichetta, hmm? Al contrario di te, il suo misterioso Potere è ben più rilevante. Ricordo di essere rimasto molto… sorpreso, quando scoprii che era in grado di tramutarsi in un gigante.”

Il biondo si accigliò furiosamente. Accanto a lui, Mikasa strinse i pugni così forte che sentì le sue dita schioccare.

"È un peccato non poter raggiungere un accordo", continuò a dire Orochimaru, tornando a fissare il Nukenin. "Gli Otsutsuki stanno arrivando, moccioso. E invece di far unire l'umanità, come voleva tuo padre, le tue azioni ci hanno solo diviso ulteriormente."

Ancora una volta con questi discorsi. Il giovane Uzumaki ne aveva abbastanza. "Hai finito di sprecare fiato?" ribatté Boruto. "Tentare di riempirmi la testa con le visioni di una potenza straniera che sta per ucciderci non funzionerà. Quando gli Otsutsuki arriveranno, il mio Impero ci avrà già uniti tutti da tempo. Ed io e la mia gente saremo così potenti da far rimpiangere loro di essere giunti sul nostro pianeta."

Orochimaru sorrise, e qualcosa di oscuro danzò nei suoi occhi bestiali. "Parole degne del famigerato Kurokage, te lo concedo,” sibilò sarcasticamente. “Ma che tu ci creda o no, non hai speranza contro gli Otsutsuki. C’è voluta la potenza combinata di tuo padre e Sasuke per riuscire a sconfiggerne uno durante la scorsa Guerra. E se non avessero avuto la Tecnica per sigillarlo, anche loro due sarebbero stati uccisi, e tutti noi saremmo ancora degli schiavi in ​​questo momento," spiegò lentamente. "Ecco quanto era potente Kaguya, da sola. E ce ne sono tanti, tanti altri come lei che stanno venendo qui per ucciderci."

Il Nukenin non rispose, limitandosi a fissarlo con il suo sguardo gelido e accigliato. Il serpente sorrise maliziosamente. "Ma a te questo non importa, vero? Tu sei solo un criminale, un folle, un'anima contorta che vuole conquistare ogni cosa. Sei un rifiuto della società, incapace di uniformarsi al sistema. Un mostro, esattamente come me. Te l'avevo detto, no? L'imitazione è la più grande forma di adulazione," canticchiò sinistramente. 

"Basta!" tuonò ferocemente Boruto. Un lampo elettrico gli danzò tra i capelli.

Orochimaru scosse la testa con un sospiro che suonò più come un sibilo basso. I suoi capelli neri come l'inchiostro ondeggiarono al suo movimento. "Non puoi uccidermi, moccioso. Nessuno può farlo," disse. "Ho appositamente modificato il mio corpo in modo da avere un'eternità per padroneggiare ogni Tecnica esistente. Non puoi—"

Boruto non gli diede ascolto. Si lanciò in avanti, attraversando la distanza che lo separava nello spazio tra un respiro e l'altro, e sbatté un pugno sopra il petto di Orochimaru. Il serpente sibilò e la sua carne si separò mentre semplicemente scivolava attorno alla ferita come se non fosse mai stata inflitta. Mikasa era proprio dietro di lui, il suo pugno destro che si precipitava in avanti.

"Potrai anche conoscere delle Tecniche impressionanti, ma io ho passato la mia vita ad accumularne un'intera biblioteca!" sibilò il serpente.

Il Sannin afferrò Mikasa e la scagliò contro di lui. Boruto modificò rapidamente la sua armatura di fulmini in modo che non le facesse male. Il mondo rallentò mentre l’afferrava tra le braccia. Subito dopo, Orochimaru lo colpì sulla guancia con un pugno che gli fece vedere le stelle. Il mondo tremò sotto i suoi piedi, e Boruto sentì qualcosa di freddo e denso inghiottirgli gli stivali: una fossa di catrame fangoso. Gettò Mikasa su un terreno solido e iniziò ad infondere chakra nelle gambe per tirarsi fuori dalla melma. La sua Scia di Fulmini urlò mentre ardeva sempre con più forza.

Boruto sentì il suo corpo rabbrividire mentre sentiva una brezza inquietante accarezzargli la pelle. I suoi capelli si rizzarono. Orochimaru si stava risollevando, a diverse decine di metri di distanza, il petto gonfio e le guance piene, pronte a sputargli addosso delle lance di chakra.

Paura allo stato puro gli riaffiorò nel petto. Il suo Jougan iniziò a pulsare dolorosamente. Boruto non era ancora completamente certo di poter resistere ad un attacco frontale del Sannin. E, in qualunque caso, non aveva nessuna intenzione di scoprirlo direttamente.

Aumentò immediatamente il voltaggio della sua Scia di Fulmini. Non avrebbe rischiato di subire un'altra ferita debilitante che non sarebbe guarita. Meglio prepararsi al peggio. Boruto sollevò le braccia sul viso in una rozza guardia, potenziando col pensiero i fulmini per difendersi. Le lame d’aria pressurizzata leccarono la sua carne esposta e tagliarono a brandelli la sua cappa oscura. Il Nukenin sibilò per il dolore, ma resistette.

In quel momento, con un potente grido di battaglia, Mikasa sbatté un pugno a terra. La terra venne frantumata, e Boruto riuscì finalmente a liberarsi del catrame che gli immobilizzava le gambe. Orochimaru balzò sopra ad un albero vicino che aveva resistito ai tremori e li fissò dall’alto con un'espressione divertita.

Boruto mise una mano a coppa e scagliò un Rasengan verso il bersaglio. Il Sannin balzò in salvo su un altro albero vicino mentre la pianta precedente venne completamente obliterata. Il Nukenin scambiò uno sguardo con Mikasa. Annuendo, insieme, intrecciarono dei Sigilli con le dita e fecero un passo avanti. Poi, inalando profondamente, sputarono una colossale ondata d'acqua e fiamme che precipitò su sé stessa e si protrasse in avanti. Orochimaru scese a terra, tessendo a sua volta una serie di Sigilli, e sbattendo le mani sul terreno. Dal suolo della foresta, con un boato immenso, un imponente muro simile ad una porta venne eretto all’improvviso, schermandolo dall’attacco.

Boruto versò sempre più chakra nella Tecnica nel tentativo di sopraffare il muro di Orochimaru. Passò un secondo, poi due, e poi tre. Il muro continuava a resistere. Semmai, stava diventando più forte. Il guerriero ringhiò e dissolse la Tecnica. Non era rilevante. Lui e Mikasa non avevano ancora usato una parte significante del loro chakra.

Orochimaru era lì, confuso, mentre il suo muro svaniva in un’esplosione di fumo. Con un pensiero, la sua Scia di Fulmini esplose nuovamente alla vita. Boruto corse in avanti. Orochimaru inspirò profondamente. Vedendolo, il Nukenin si fermò, scivolando sopra a delle pozze d'acqua fangosa e aumentando di nuovo il voltaggio della sua armatura. Orochimaru espirò un'ondata d'aria alimentata da esplosivi rilasci di chakra. La Tecnica lo centrò, ferendogli di striscio le gambe e i polpacci.

Boruto si girò, dissolvendo la Tecnica nemica con un’agitazione del braccio, e poi ... rallentò. Contro la sua volontà. Qualcosa lo aveva afferrato per il piede e si stava aggrovigliando attorno ai suoi stivali. Quando abbassò gli occhi, vide che i suoi piedi erano racchiusi in un bozzolo di fili di chakra. Orochimaru ridacchiò, le mani tenute in alto con dei fili di chakra che gli scorrevano dalla punta delle dita. Quindi, sorridendo orribilmente, tirò.

La sua mente ragionò alla massima velocità di cui era capace. Boruto sguainò la spada dalla schiena e tagliò le corde con un movimento secco, ma non prima che Orochimaru lo gettasse a terra. Il Nukenin sentì che ciò che rimaneva dei suoi abiti dell’Organizzazione si macchiava di fango mentre la sua schiena sbatteva nel terreno. In un attimo, si alzò in piedi. Mikasa corse accanto a lui, respirando affannosamente, i pugni serrati e il volto contratto in un ringhio. Non aveva ancora usato il massimo del suo Potere, e Boruto sperava davvero che non dovesse arrivare a farlo.

"Paura di un po’ di vento, eh?" sibilò Orochimaru, ridendo. "Un uccellino mi ha detto che la tua Scia di Fulmini è debole al Vento. Non potete sconfiggermi in questo modo. Anche se mi piacerebbe moltissimo vedere ancora una volta il Potere della tua ragazza in azione. Io sono un collezionista di Tecniche e conoscenze, vedete. Studiare queste cose è il mio mestiere."

Boruto sentì Mikasa espirare profondamente attraverso il naso. Era fortemente tentata dall’idea di dare a Orochimaru ciò che voleva, ma non lo avrebbe fatto. C'era una linea sottile tra la cautela e l’esitazione. La prima era sintomo di saggezza, la seconda di paura. A Boruto piaceva pensare di astenersi con saggezza, ma il pulsare del suo occhio gli faceva ben capire quanto fossero entrambi spaventati da quell’uomo. Nonostante tutto il loro potere, sia lui che Mikasa sapevano che Orochimaru dei Sannin era una persona con cui non si poteva scherzare.

"No?" mormorò il serpente. "Un vero peccato. Mi è stato detto che era un’abilità davvero straordinaria. Forse potreste anche essere in grado di uccidermi con essa?"

Boruto strinse i denti. Odiava davvero quel fottuto serpente. Lo odiava sin da quando lo aveva storpiato col suo Sigillo Maledetto, negandogli il potere dell'Energia Naturale. Quell’uomo era un bastardo senza cuore. Peggio ancora, era un potente bastardo senza cuore. Il giovane lanciò un'occhiata a Mikasa. "Formazione Delta," le sussurrò.

La ragazza annuì e si fece avanti. Strinse il pugno destro, aggiustandosi il tirapugni con la mano sinistra. Con un sussulto, Boruto attivò di nuovo la sua armatura di fulmini. A differenza della maggior parte delle loro formazioni, stavolta Mikasa avrebbe guidato l'attacco al suo posto. Non scattò in avanti: scalciò letteralmente il terreno con una forza sufficiente da frantumare la pietra. Boruto aprì una mano e formò un Rasengan più grande del suo cranio.

Quando Mikasa fu a meno di una manciata di piedi da Orochimaru, si fermò e lanciò il pugno in avanti, sferzando l’aria. La forza del suo pugno, Boruto lo sapeva, era così potente da creare un'esplosione d'aria concussiva che avrebbe assordato e disorientato chiunque fosse stato colpito da essa. Orochimaru vacillò, sibilando, le mani sollevate per proteggersi gli occhi.

Boruto gli balzò addosso. Arrivò di lato, rapido e veloce, con il braccio sollevato. Orochimaru si stava girando per bloccarlo, ma stavolta era troppo lento, troppo tardi. Il Nukenin spinse avanti il ​​suo Rasengan, pronto a colpire. Orochimaru stava sferzando un braccio, con il palmo in avanti. Boruto sorrise. Sapeva che una cosa del genere non sarebbe bastata ad uccidere il serpente, ma vedere il corpo del mostro a pezzi sarebbe stato comunque gratificante. Orochimaru spinse il palmo in avanti per incontrare il suo Rasengan…

…e lo fece dissolvere.

Boruto fissò la sua mano vuota, allibito. Orochimaru ridacchiò, allungando il braccio, sinuoso e flessibile, mentre lo avvolgeva attorno a quello del giovane e lo stringeve forte. Il serpente ridacchiò cupamente.

"Il Rasengan? Che Tecnica elementare," lo rimproverò ironicamente. "Nient'altro che chakra che ruota ad alta velocità. Facilmente cancellabile applicando la stessa forza nella direzione opposta."

Facilmente’, come se fosse facile misurare istantaneamente la rotazione esatta di una Tecnica del genere con un semplice sguardo. ‘Facilmente’, come se fosse facile cancellarne l’energia con una mera contrazione delle dita. ‘Facilmente’, come se la Tecnica del Quarto Hokage non fosse altro che un gioco da ragazzi, il Jutsu di uno studente dell'Accademia. Boruto odiava davvero quel mostro.

Mikasa apparve dietro Orochimaru e sbatté ferocemente lo stinco della sua gamba nel cranio del serpente con un potente calcio. Orochimaru non schivò, non si mosse nemmeno. Semplicemente, il suo teschio le avvolse la gamba come se fosse fatto di argilla e sabbia.

Boruto lo guardò con odio. "Sei un essere ripugnante. Ti ricordi almeno com'era essere umano?" chiese a denti stretti.

"Sinceramente?" ridacchiò Orochimaru. Strinse ancora di più la presa sul suo braccio, facendolo sussultare per il dolore. La sua cappa di Fulmini carbonizzò e ustionò la carne grigio-bianca del braccio di Orochimaru, ma lui non sembrò curarsene. "No, non proprio" sibilò il serpente con un sorriso compiaciuto.

Quindi, Orochimaru sbatté un pugno in piena faccia a Boruto. Poi un altro. E un altro ancora. Boruto gemette, stringendo i denti e chiudendo gli occhi. Faceva male anche attraverso la sua cappa difensiva. Il guerriero cercò di bloccare i colpi dell’avversario, ma era incapace di ritirarsi e con un solo braccio libero. Fu una battaglia persa. Mikasa s’infuriò nel vedere quella scena e sferrò a sua volta un pugno alla schiena di Orochimaru. Boruto vide una rientranza crearsi nella parte anteriore del suo petto, vicino al punto dove avrebbe dovuto trovarsi il cuore del serpente, immobilizzandole il braccio. La ragazza si ritrovò incapace di ritirare l'arto. Per farla stare ferma, Orochimaru fece una pausa nel suo pestaggio e le diede uno schiaffo sulla faccia. Boruto sentì la sua ragazza sibilare ed emettere rantolo di dolore.

La sua mente vide rosso. Con un ringhio, Boruto ricoprì la sua mano libera di elettricità urlante e mandò un taglio laterale al collo di Orochimaru. Spaccò la testa del serpente all’altezza delle spalle con un crepitio soddisfacente. Il Sannin, tuttavia, non lo liberò. Il suo corpo continuò a sbattergli pugni in faccia con crescente forza e brutalità. Bolt sentì qualcosa di caldo, denso e appiccicoso formarsi nel naso e nella bocca. Lentamente, viticci di carne argillosa intrecciarono nuovamente la testa mozzata di Orochimaru sul suo corpo. Mikasa lottò debolmente nella sua stessa prigione anche mentre Orochimaru si ricuciva la testa dinanzi a loro, favorendoli con un sorriso divertito.

Le cose stavano andando male, decise Boruto. Non avrebbero vinto, di questo passo. Non che avesse pensato che potevano vincere in questo modo, certo. Ma sebbene questa situazione non cambiava il loro piano, era comunque maledettamente frustrante. Con un sibilo udibile, il Nukenin dissipò la sua Scia di Fulmini. Orochimaru fece una pausa nel suo pestaggio, confuso, fornendogli un attimo di tregua per reagire; e Boruto ne approfittò per spostare tutta la sua attenzione, tutto il suo chakra, per far emergere la Tecnica del suo clan.

Kongo Fusa.” (Catene d’Amianto) sussurrò.

Orochimaru schivò a malapena la prima Catena mentre essa esplodeva fuori dal suo petto, liberando il giovane dalle grinfie del Sannin. Poi, la Catena si spostò, attraversando gradualmente il suo corpo, finché non si posò sul palmo della sua mano. Boruto si concentrò e la lanciò nuovamente contro Orochimaru con tutta la forza e la velocità che riuscì a raccogliere. Il serpente schivò di nuovo, ma a lui non importava. Boruto non stava mirando a lui. Stava mirando a Mikasa. La sua Catena la avvolse, proteggendola, costringendo Orochimaru a liberarla se non voleva rimanere intrappolato a sua volta.

E così fece. La nera prese di nuovo il suo giusto posto al suo fianco. Era insanguinata, contusa e arrabbiata, ma per il resto stava bene. Lo stesso Boruto sembrava probabilmente molto più ferito di lei. Con un sibilo di vapore, poi, le ferite della ragazza iniziarono a risanarsi da sole.

Allo stesso tempo, con un pensiero, Boruto attinse al pozzo di energia dentro di lui, lo divise, e lo frammentò. Il giovane spinse, tirò e forgiò il suo chakra ancora una volta, fino a quando nelle sue mani non ci fu più una sola Catena, ma due. Una per ogni mano.

Orochimaru lo guardò come se fosse stato un pezzo di carne succulenta. "Interessante," sibilò. "Le famose Catene d’Amianto del clan Uzumaki. Ma non sono niente che non abbia già visto prima."

Boruto aprì il Jougan, fissandolo coi suoi occhi eterocromi rabbiosi. Non avrebbe lasciato che quel fottuto serpente mancasse di rispetto al clan Uzumaki, dopo tutto quello che l'Uzukage aveva fatto per aiutarlo. Scagliò un braccio in avanti con la prima Catena, poi la seconda, frustando Orochimaru in rapida successione.

Il Sannin si abbassò e si intrecciò con tutto il corpo, come un serpente, schivando ogni frustata con sorprendente e inumana abilità. "La mia Karin ha molta esperienza con questa Tecnica, sai. L'ho aiutata io a padroneggiarla a dovere," sibilò. "Le Catene sono potenti, certamente, ma sono lente. Ottime contro i nemici grandi e pesanti come i Demoni codati. Eheh, è così che hai sconfitto l’Ichibi (Monocoda), vero?" Orochimaru rise di gusto. "Ma non sono molto utili contro nemici piccoli e veloci, come me."

Quel rettile parlava troppo, decise Boruto. Smise di frustare inutilmente il suo avversario, optando invece per concentrarsi sull'intrappolamento e la sua cattura. Con un comando mentale, le maglie delle sue Catene avanzarono dai palmi delle sue mani e si ancorarono sul terreno. Più metraggio ottenevano, più basso e potente il chakra diventava. Mikasa si mise in disparte, aspettando dietro le quinte l'opportunità di attaccare.

"Che strana colorazione", osservò Orochimaru, esaminando il particolare colore nero delle sue Catene. Sospirò malinconicamente. "Come mi sarebbe piaciuto studiarti a fondo."

Boruto lo ignorò, tessendo la sua trappola come un ragno tesse la sua ragnatela. Fece serpentare le sue Catene sottoterra, avanti e indietro, avanti e indietro, spingendole in aria con grandi fili arcuati e accerchiando l’avversario. Orochimaru osservò la scena con i suoi occhi bestiali che danzavano divertiti. Di tanto in tanto, il Nukenin cercò di colpirlo con la punta di una delle sue Catene. Ma, esattamente come prima, quel mostro disumano schivò tutti i suoi attacchi.

Alla fine, il Nukenin sorrise. "Ti ho preso," sibilò sottovoce. Le Catene attraversarono il suo corpo, lasciando le sue mani, e si posarono sulla parte bassa della sua schiena. Bolt portò le sue mani libere davanti a sé e formò il Sigillo del Serpente. Un gesto molto ironico in quell’occasione, pensò.

Le sue Catene brillarono di una luce oscura mentre una barriera veniva improvvisamente eretta da ogni anello che la componeva. Boruto riavvolse le Catene nel suo corpo, avvolgendole di nuovo attorno al suo nucleo. Orochimaru osservò la Tecnica, meravigliato, mentre la rete di Catene scendeva su di lui. Non c'era modo di sfuggire. Ogni via di fuga era bloccata da una barriera che respingeva e dissipava qualsiasi tipo di chakra che toccava.

Con un guizzo rapidissimo, le Catene legarono Orochimaru dentro alla barriera. "Ora, Mikasa!" esclamò Boruto.

Mikasa fece un balzo in avanti, tornata ormai in perfetta forma, con un possente grido di battaglia. Il Nukenin poteva vedere l'afflusso di chakra della ragazza con il suo Jougan, osservandola mentre immetteva una grande parte del suo chakra – quasi il cinquanta per cento – in un singolo pugno. Poi, poco prima che il suo pugno potesse toccare la barriera, Boruto dissolse del tutto la Tecnica. Le maglie si dissolsero all’improvviso, e le Catene vennero bruciate nel nulla con lingue di fuoco bianco-nere.

E poi, incapace di sfuggire, il pugno di Mikasa centrò in pieno il bersaglio.

Orochimaru esplose in una sottile nebbia di carne grigio-bianca. I pezzi del suo corpo, mutilati e a brandelli, piovvero letteralmente dal cielo. Il terreno sotto Mikasa e Orochimaru implose verso l'esterno come se fosse stato colpito da una meteora. Sulla scia del suo pugno si formò un grande cratere, grosso almeno settanta metri. La colonna di terra e roccia che esplose verso il cielo fu visibile per centinaia di piedi. La terra tremò e rimbombò come se fosse stata colpita da un terremoto, ma Boruto sapeva cosa stava accadendo in realtà. I tunnel sotterranei, i bacini idrici e alcuni corridoi della base sotterranea di Orochimaru, si stavano sgretolando. Il terreno si stava spostando per riempire il nuovo spazio liberato.

Boruto trattenne il respiro e pregò.

E, proprio come tutte le volte precedenti, le sue preghiere non vennero ascoltate. Gocce di carne grigio-bianca iniziarono a riunirsi in pozzanghere. Poi, le pozzanghere conversero e si unirono su loro stesse, formando una macchia di qualcosa che non si poteva nemmeno chiamare carne. E da quell’ammasso orripilante di materia, Orochimaru riemerse ancora una volta.

Boruto Uzumaki sentì il peso schiacciante della sconfitta cadere sulle sue spalle. La stessa sensazione schiacciante che aveva provato quando aveva lottato contro l’Ichibi (Monocoda). La stessa sensazione che aveva provato quando aveva lottato contro suo padre. La stessa sensazione che aveva provato durante la battaglia con Vrangr.

E in quel momento, il Nukenin lo comprese ancora una volta. Lo comprese, una volta per tutte. Lui non poteva battere Orochimaru. Non c’era modo di eliminarlo. Nient'altro che la completa distruzione cellulare avrebbe potuto distruggerlo per sempre.

Quel mostro, in qualche modo sconosciuto, era riuscito a diventare immortale.

Orochimaru gli sorrise con una bocca sbilenca mentre il suo viso si ricostruiva.

"Devi morire," dichiarò Boruto con assoluta certezza, fissandolo con odio. "La natura non può tollerare l'esistenza di qualcosa di orripilante come te."

Quello rise di rimando. "Saresti sorpreso dal tipo di mostruosità che la natura ha creato da sola, marmocchio," ringhiò Orochimaru mentre la mascella e la lingua gli venivano ricostruite.

Boruto rimase lì, imbambolato come Mikasa. E per la prima volta dopo moltissimo tempo, non sapeva davvero cosa fare.

"Ti senti perso, non è vero?" sibilò ironicamente il Sannin, snudando i denti con ferale trionfo. "Ti avevo avvisato: non puoi uccidermi."

Era vero. Ma non ebbe bisogno di ribattere a quella verità. Proprio in quel momento, infatti, il suo Jougan colse un lampo di capelli cremisi che correva nel bosco. Boruto emise un sospiro di sollievo che avrebbe dovuto essere molto più confortante di quanto non fosse in realtà. "Non ho mai detto che sarei stato io ad ucciderti, Orochimaru," disse semplicemente.

Un'espressione di momentanea confusione si diffuse sul volto del Sannin prima che Karin – o meglio, Annie entrasse nella radura.
 


Orochimaru esitò, confuso, e prese in considerazione le parole del biondo. Quel moccioso era arrogante, sì, e anche orgoglioso, ma non era uno sciocco. Si prendeva sempre il suo tempo per agire e colpiva quando sapeva di essere più forte e più in vantaggio. Esattamente come avrebbe fatto lui stesso di fronte a un nemico superiore. Dopotutto, l’imitazione era la più alta forma di adulazione.

Ma... Ma se Boruto non voleva davvero ucciderlo personalmente – e aveva tutte le motivazioni per farlo, dopo che lui lo aveva quasi ucciso in passato – allora perché attaccare? Perché assaltarlo frontalmente in quel modo?

Orochimaru sentì un ramoscello spezzarsi nella foresta dietro di lui, seguito da un leggero applauso. Si girò di scatto, appena in tempo per vedere Karin allontanarsi dal bosco con le mani premute insieme come in preghiera. La sua testa era piegata in modo che i suoi capelli le oscurassero il viso, e la sua pelle più pallida del normale.

Quella visione, senza capirne il perché, lo fece rabbrividire. 

Gli occhi di Orochimaru si assottigliarono. "Karin...?" sibilò.

Karin sollevò la testa, gli occhi arrabbiati, scuri, e traboccanti di lacrime. "Hai quasi ucciso la mia famiglia," esalò. “Adesso devi pagare.”

Poi, la donna pronunciò due parole. Le due sole ed uniche parole che temeva di più. Le due parole che perseguitavano i suoi sogni più oscuri sin dall’alba dei tempi.

"Shiki Fūjin." (Sigillo del Diavolo)
 


Quello che avvenne dopo accadde con una rapidità inaudita.

Il serpente urlò e si lanciò contro di lei. Nella sua mente, Annie sentì Karin urlare un lamento acuto ed agghiacciante. Sentì, con una raccapricciante sensazione di terrore, il freddo della morte invadere il corpo che aveva rubato. Questo era il momento, Annie lo sapeva. Avrebbe dovuto abbandonarla presto, o sarebbe morta. E ad ogni modo, la missione era compiuta.

Anni e anni di allenamento, distribuiti su molte decine di sessioni, adesso erano stati ripagati. Innumerevoli ore trascorse nel cuore della notte mentre Boruto le insegnava la Tecnica che sarebbe stata lo strumento della sua vendetta… adesso avevano dato frutto. Sentì qualcosa – qualcosa di ultraterreno – che veniva spinto attraverso il petto della ragazza. Il suo corpo si contorse e la sua mente gridò con singhiozzi spaventati e orripilanti.

Boruto si fece avanti, avvolto dalla sua cappa elettrica e urlante, ed impedì ad Orochimaru di raggiungerla. Il serpente ruggì, preso dal panico, e la sua voce ricolma di orrore fu la cosa più dolce che Annie avesse mai sentito.

Annie inclinò la testa di Karin in modo che potesse guardare in basso. Un braccio, ossuto e magro con la pelle di colore viola chiazzato, l’aveva trafitta al petto. Dietro di lei, lo sapeva, si ergeva una creatura orripilante simile ad un dio. E secondo i testi del clan Uzumaki, lo era davvero. Il Diavolo della Morte. Annie non osò guardare. Era perfettamente contenta di lasciare che l'aldilà rimanesse una sorpresa.

La mano spettrale agitò le dita raggrinzite e rovinose che sembravano più artigli che falangi. L'aria sembrò oscurarsi attorno a lei mentre si lanciava verso Orochimaru. Boruto si allontanò di scatto, donando all'arto una buona quantità di spazio per muoversi. Il serpente invece cercò di evitarla, ma la morte, come disse Boruto una volta, prima o poi viene per tutti gli uomini. Puoi correre, puoi tentare di sfuggirla, puoi scappare… ma alla fine non cambia niente. Saresti morto stanco, ma saresti morto ugualmente.

E la morte venne anche per Orochimaru. La mano spettrale strappò letteralmente l'anima del Sannin dal suo corpo con una facilità spaventosamente casuale. Il suo spirito gemette qualcosa di spaventoso e oscuro, ma Annie non riuscì a cogliere le parole. Il corpo di Karin che stava controllando crollò di colpo, come una marionetta le cui corde erano state tagliate improvvisamente. Attraverso la Tecnica del Controllo della Mente, Annie sentì il momento esatto in cui il cuore della donna si fermò, la sua mente cessò di esistere, e il suo chakra fu strappato dal suo corpo. Le uscì dalla bocca, una voluminosa nuvola di fumo rossastro, disperdendosi nell’aria come niente.

E poi, il buio avvolse ogni cosa.
 


.

.

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Boruto era al suo fianco non appena riaprì gli occhi. La sua presa di ferro non la mollava mentre reggeva tra le braccia il suo corpo esausto. Il suo vero corpo. Annie poteva sentire i suoi fragili e lividi muscoli protestare per la stretta dolorosa, ma non si sarebbe lamentata. Non adesso, non così, stretta tra le braccia del suo allievo.

La sua testa si voltò, e i suoi occhi si sgranarono. La Morte li fissò. Un "uomo", se così si poteva chiamare, cornuto con occhi neri come la notte e una bocca dotata di zanne più demoniache che bestiali. Era vestito con un abito cerimoniale bianco pallido che nascondeva la sua carne viola maculata e in decomposizione, e aveva dei lunghi capelli bianchi come la neve. Quella sola visione bastò a toglierle l’aria dai polmoni. Era… terrificante.

E quell’uomo stava mangiando le anime di Orochimaru e Karin come se fossero una prelibatezza. Annie deglutì, e sentì le sue membra tremare mentre gli occhi neri della Morte si posavano su di lei. Per diversi istanti, la donna non riuscì a respirare. Quindi, di colpo, lo spettro spostò lo sguardo per posarlo su Boruto.

E lì, i suoi occhi rimasero. Boruto la lasciò andare, posandola tra le braccia di Mikasa e Sora, fece un passo incerto in avanti e si portò dinanzi allo spettro. Annie sentì il suo cuore fermarsi dentro al petto mentre lei e tutti gli altri osservavano il Diavolo della Morte e Boruto fissarsi a vicenda. E in quel modo rimasero, osservandosi in silenzio per diversi, lunghissimi istanti di confusione.

Poi, dopo un tempo che parve infinito, lo spettro svanì e lei riuscì di nuovo a respirare.

E la foresta divenne più oscura e silenziosa che mai.

Annie guardò mentre Boruto si riavvicinava a loro con gambe instabili. Alla fine, Annie comprese ciò che stava pensando. L'aveva fatto. Aveva raggiunto la sua vendetta nei confronti di Orochimaru. Aveva vendicato il suo clan e tutti coloro che avevano sofferto per colpa del Sannin. Lei, i suoi allievi e tutta la Rivoluzione potevano riposare in pace sapendo che quel mostro disumano era finalmente morto.

E mentre realizzò questa cosa, la donna si rese anche conto di quanto fosse stata vicina a… fare la stessa fine di Orochimaru e Karin. "C-Come lo sapevi?" chiese, con voce tremante.

Boruto la guardò, in silenzio, il suo Jougan che le scrutava dentro l’anima.

"Come facevi a sapere che sarebbe stata Karin a morire, e non io?" chiese di nuovo Annie, ancora stretta tra le braccia di Mikasa e Sora.

Boruto le sorrise. "Ho… i miei metodi," rispose, assumendo uno sguardo distante, imperscrutabile. Come se stesse posando la mente su visioni che lei non aveva neanche intravisto. Annie avvertì un brivido lungo la schiena. "Ma non importa, vero? L’Importante è che lei stia bene. Non le avrei mai fatto fare una cosa del genere se avessi saputo che avrebbe rischiato di morire, mi creda. Ad ogni modo, abbiamo ottenuto quello che volevamo. Orochimaru e i suoi scagnozzi sono morti. E l’Impero si ritrova con un nemico in meno di cui preoccuparsi. Abbiamo vinto, ancora una volta."

Annie notò soltanto adesso che, assieme a loro quattro, anche tutti gli altri erano presenti. “Quindi… è fatta?” domandò Gray, grattandosi la testa.

Boruto annuì, chiudendo il suo occhio destro. “Per ora.  Ma abbiamo ancora molto da fare. La battaglia contro Orochimaru sarà anche conclusa, ma quella per la Terra del Vento è appena iniziata,” dichiarò, dando loro le spalle ed avviandosi verso la foresta.

“Aspetta!” Annie vide Mikasa lasciarla tra le braccia di Sora e portarsi vicino al biondo, fissandolo con uno sguardo perplesso. “Boruto… cos’era quella cosa?” domandò, incerta.

Il Nukenin non si voltò nemmeno a guardarla. Annie sentì un brivido percorrerle di nuovo la schiena.

“Perché quello spettro ti ha fissato così a lungo?” continuò lei, vedendo il suo silenzio. “Che cosa stava succedendo? Che cosa voleva da te?”

Ancora, quello non rispose, né si mosse. Kairi fece un minuscolo passo in avanti. “Boruto, tu… ci stai nascondendo qualcosa?” chiese, nervosa come non mai.

Il silenzio fu la loro risposta. Per diversi istanti, nessuno dei presenti riuscì a pensare. Poi però, Boruto si voltò verso di loro, offrendogli un sorriso nervoso. “Io… non lo so,” rispose, sincero. “Non so cosa sia successo, davvero. Ho solo… percepito qualcosa, col mio occhio. Ma non era niente, ve lo assicuro. Non vi sto nascondendo nulla.”

Tutti e sette lo guardarono in silenzio, incapaci di comprendere se avesse detto il vero. Poi, infine, vedendo che non stavano andando da nessuna parte con quella discussione, Shirou sospirò e incrociò le braccia con solennità. “Faremmo meglio ad andarcene, allora,” disse, diretto. “Restare qui è pericoloso.”

Boruto guardò il cadavere di Karin e quello di Orochimaru. “Avete preso la chiavetta?”

Sora annuì, mostrandogliela tra le dita. “Sì, grazie ad Annie-sensei. Tutte le ricerche di Orochimaru sono qui dentro. Mitsuki sarà contento, una volta che gliele porteremo. Anche Kumo, immagino,” lo rassicurò.

“Allora prendete anche i corpi,” annuì il Nukenin, soddisfatto. Un sorriso inquietante gli contornò le labbra mentre osservava i cadaveri. “Saranno delle ottime marionette adesso che sono morti.”

Gray e Shirou si mossero a sigillare i corpi come aveva ordinato il loro leader. Juvia invece si stiracchiò le braccia. “Beh, se questo è tutto, allora diamoci una mossa e leviamo le tende. Ho voglia di farmi un bagno ed andare a letto,” disse, sbadigliando. Annie sospirò, rilassandosi visibilmente. Quanto era d’accordo con lei in quel momento.

“Non ancora,” disse invece Boruto, camminando verso il covo nascosto. “Prima c’è una cosa che devo fare.”

Annie e i Kara lo guardarono con confusione mentre si posizionava dinanzi all’ingresso.

Boruto Uzumaki sorrise, unendo le mani in un Sigillo. “Inton: Tanmonoshitsu!” (Rilascio Ying: Antimateria)
 


05 Dicembre, 0021 AIT
Terra del Fuoco
Frontiera di Confine
01:30

La notte era buia e silenziosa, ancora, come sempre.

Shikadai sbadigliò, lottando pateticamente per restare sveglio. Maledisse la sua sfortuna con un’imprecazione mentale. Odiava dover fare il turno di guardia di notte. Era un compito noioso, stancante, e – soprattutto – inutile. Non serviva a niente usare il personale della Foglia per sostituire le guardie di ronda al confine. Specialmente di notte. La notte era fatta per dormire, non per lottare. Era una legge universale, anche in tempi di guerra.

Ma lamentarsi, lo sapeva, non serviva a niente. Doveva stare zitto e ubbidire. Anche se era una gran seccatura.

Il suo sguardo si posò verso l’orizzonte, osservando le stelle con un sorriso assonnato. Cavolo, il cielo notturno era bellissimo. E più lo guardava, più ne era certo. Era come fissare un quadro stupefacente, ricolmo di emozioni e colori. Il nero, il bianco, il rosso, il gia-

Un momento.

Rosso?

I suoi occhi ammiccarono, focalizzando la vista in lontananza. Ci mise un paio di secondi per accertarsene. Ma alla fine… là, in direzione Sud-Est, i suoi sensi allenati trovarono l’intruso in mezzo a quel quadro di perfezione e silenzio.

Il suo cuore ebbe un fremito di terrore.

Una colonna di fumo e fiamme si stava innalzando dalla Terra dei Fiumi.
 
 







 

Note dell’autore!!!

Ciao ragazzi! Come vi avevo promesso, ecco a voi il capitolo che mostra lo scontro tra Boruto e Orochimaru. Spero vi sia piaciuto.

Questa loro seconda battaglia non è stata particolarmente epica o ricca di colpi di scena come la prima, ma la cosa è intenzionale ed è legata al carattere di Boruto. Come si è capito sin dall’inizio del capitolo infatti – e anche da quelli precedenti – Boruto non ha mai avuto intenzione di combattere il Sannin secondo le regole tradizionali. Era consapevole di non poterlo sconfiggere in uno scontro di pugni e Tecniche, come ha fatto ad esempio con Naruto, quindi ha ideato una battaglia strategica il cui obiettivo era far abbassare la guardia ad Orochimaru prima di sferrare l’arma finale. Ed ha funzionato proprio per questo. Se avessero combattuto con calci, pugni e Jutsu come al solito… la battaglia sarebbe finita o con un’altra fuga di Orochimaru (dato che è praticamente immortale), o con la morte di Boruto (che seppure fisicamente superiore, non possiede i mezzi per ucciderlo).

Per chi non lo conoscesse, Log è un personaggio introdotto nella serie di Boruto. Era - ed è - un clone di Mitsuki, creato prima di lui per scopi ancora non ben specificati. Quindi non l'ho inventato io. La sua presenza nella mia storia, esattamente come in quella originale, è volutamente marginale.

Il Sigillo del Diavolo, immagino che lo conosciate, è la Tecnica proibita usata dal Terzo Hokage per sigillare le braccia di Orochimaru durante l’invasione alla Foglia. Ed è anche la stessa tecnica che il Quarto Hokage ha usato per sigillare dentro di sé una parte del chakra del Kyuubi. Questa Tecnica deriva canonicamente dalle arti del clan Uzumaki, quindi era scontato che Boruto la conoscesse e la insegnasse ad Annie. Avevo in mente sin dall’inizio di far sigillare il Sannin con questo Jutsu (anche perché, piccola nota personale, mi ha sempre fatto infuriare il modo in cui nella prima serie sia riuscito a scaparla dalle mani della Morte. Mi sembrava troppo illogico, in effetti.)

Comunque sia, spero di avervi fatto apprezzare lo scontro.

Detto questo, vi invito a leggere e commentare come sempre. Grazie a tutti in anticipo. A presto!

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Capitolo 24
*** Che il Conflitto Abbia Inizio ***


CHE IL CONFLITTO ABBIA INIZIO





05 Dicembre, 0021 AIT
Terra del Fuoco
Frontiera di Confine
00:00

Poco prima dell’assalto per l’assassinio di Orochimaru nella Terra dei Fiumi

Sarada capì subito che c’era qualcosa di strano, quella notte.

Lo sapeva, perché altrimenti non riusciva a spiegarsi l’inquietudine che stava provando in quel momento. Un’inquietudine opprimente che le impediva di addormentarsi. Eppure, era una sensazione con cui ormai aveva fatto familiarità. Quella sensazione tra il sogno e il risveglio, dove sai di star sognando e tuttavia non riesci ancora a svegliarti. Una sensazione che la stava perseguitando in ogni momento di veglia, in ogni tentativo di pace, e in ogni angolo della sua testa mentre cercava di addormentarsi. Se non dormiva, non poteva dare il massimo, e se non poteva dare il massimo, le prossime battaglie sarebbero state decisamente svantaggiose per lei.

Fu appena la sua mente percepì quella sensazione che Sarada si ridestò completamente in lucidità. La sensazione di andare alla deriva, di un buio infinito, di un cielo punteggiato di stelle scintillanti. E mano a mano che passavano i secondi, la giovane Uchiha lo comprese. Comprese, con una strana chiarezza cristallina, che qualcosa sarebbe venuto da lei quella notte. Qualcosa, o qualcuno. Sapeva che la sua inquietudine era dettata dal sesto senso, dall’istinto. Per cui, da lì a qualche momento, qualcosa sarebbe successo.

Sarada abbracciò quella sensazione. Nessuno poteva pensare di ingannare un Uchiha. La storia era stata abbondantemente chiara su questo punto: coloro che sottovalutavano il suo clan, ne pagavano un prezzo pesante. E da parte sua, nel suo tormento mentale, Sarada l’avrebbe fatta pagare a chiunque stesse per approcciarsi a lei.

In quel momento, alle sue spalle, la porta della cabina di riposo si aprì lentamente. Sarada si sollevò magistralmente dal letto, balzando subito in una posizione difensiva, attivando lo Sharingan. Il suo ospite la osservò, immobile, fermandosi dinanzi all’uscio e richiudendo la porta come se niente fosse. Rimase lì in attesa, sorridendo innocentemente, e fissandola con uno sguardo strano. Il sorriso che aveva in volto era affettuoso – nostalgico, quasi – e i suoi occhi brillavano di un’emozione indistinta. Ma la corvina non si lasciò dissuadere dallo stupore. Si abbassò, assunse una posizione ampia con le gambe, e si preparò a combattere se necessario.

Il silenzio sbadigliò nell’aria, teso come non mai, mentre la ragazza e l’intruso si fissavano a vicenda. Il vecchio calvo dinanzi a lei – un monaco con un braccio solo – sembrò allargare il sorriso nel notare il suo comportamento diffidente. Sembrava divertito. "Suppongo di doverti delle scuse," disse alla fine, parlando con una voce profonda e stranamente familiare. “Non volevo spaventarti. Non sono qui per fare del male a nessuno.”

"Chi sei? Cosa vuoi da me?" ringhiò Sarada.

"Cosa voglio da te?" ripeté quello, inclinando casualmente la testa. "In verità, assolutamente nulla. Anche se devo ammettere che desideravo tanto rivederti, giovane Sarada.”

L’Uchiha lo squadrò dalla testa ai piedi coi suoi occhi rossi. "Tu sei l’Abbate Supremo del Tempio del Fuoco," dedusse, ricordandosi dell’immagine che aveva visto in un video-collegamento. "Sei Sentoki."

Sentoki la guardò, annuendo sommessamente. "Sì," ammise senza esitazione. “Eppure, anche questa verità, in fondo, è solamente parziale.”

"Non prendermi in giro con dei giochi di parole," ringhiò Sarada. Attivò immediatamente lo Sharingan Ipnotico, fissando l’intruso direttamente negli occhi per riuscire ad intrappolarlo in un Genjutsu (Illusione). Eppure, delle semplici parole non riuscirebbero a descrivere lo stupore che provò quando attivò il potere oculare del suo clan sul monaco, solamente per vedere...

…il vuoto.

Sarada non vide altro che un mare infinito di nebbia grigia. Nessuna Arte Illusoria, nessuna verità nascosta, nessuno spiraglio di luce. Solo, il vuoto oscuro e insondabile dell’abisso. Guardò dentro all'abisso, e l'abisso guardò di rimando dentro di lei. Sarada ansimò, vacillando, le mani che si mossero a toccare i suoi occhi.

"Temo che ti sarà impossibile usare le tue Arti Oculari su di me. Non con il tuo attuale livello di conoscenze su di me e sulla mia gente," disse senza problemi l’anziano.

Sarada sbatté le palpebre, il cuore che le martellava nel petto mentre veniva lasciata priva dei suoi poteri dinanzi ad un nemico. Doveva andarsene. Pensare di poter combattere un avversario simile da sola era stupido. Stupido, svantaggioso, e incosciente. Doveva dare l’allarme.

"Ti assicuro che non intendo farti del male," disse ancora Sentoki, gli occhi fissi sopra i suoi.

Sarada rabbrividì. "Non posso fidarmi di te o di quello che dici," ribatté lei, indietreggiando.

"È vero," annuì quello. "Ma direi che non è comunque necessario fidarsi di un'altra persona per sentire quello che ha da dire. Non pensi anche tu, giovane Sarada?"

Sarada si bloccò e deglutì. Poteva vedere la logica in quella proposta. Ma se fosse una trappola? Se quell’uomo non fosse veramente colui che diceva di essere? Se fosse rimasta, l'avesse ascoltato, e le sue parole avessero modellato le sue azioni in futuro, consciamente o inconsciamente? Non poteva rischiare. Non più. Non avrebbe commesso lo stesso errore che aveva fatto con Boruto durante il Summit Mondiale.

Il monaco ridacchiò affettuosamente. "Percepisco il tuo tumulto interiore," sospirò allora. “Credo che sia giunto il momento di rivelarti il mio vero aspetto, dunque. Forse allora capirai che non sono venuto qui per metterti in pericolo.”

Sarada aprì le labbra per ribattere, ma le richiuse subito dopo. Quel tono di voce, quel modo di parlare arcaico ed elaborato… lei lo aveva già sentito da qualche parte. Era familiare, nostalgico. Qualcosa le stava dicendo di averlo già sentito una volta. Ma dove? Chi era veramente Sentoki? Si erano già incontrati da qualche parte?

Ma non ebbe il tempo di pensare altro. Di colpo, senza nessun preavviso, il corpo del monaco iniziò ad illuminarsi, avvolgendosi in una luce bianca accecante che investì ogni cosa. Sarada strinse le palpebre e si portò le mani davanti al volto, schermandosi bruscamente dalla luce. Per diversi secondi, con suo sommo stupore, non riuscì a vedere nulla. Poi, quando il buio ritornò e la luce smise di accecarla, la persona che si trovava dinanzi a lei aveva mutato completamente aspetto. Davanti ai suoi occhi non c’era più un vecchio calvo e raggrinzito vestito di stracci, ma una figura solenne e divina. Un vecchio vestito di bianco e nero, con una lunga barba grigia e due occhi viola concentrici. Alle sue spalle, nove piccole sfere di chakra nero levitavano attorno a lui, mentre i suoi piedi non toccavano mai terra, facendolo volteggiare nel vuoto mentre reggeva un lungo bastone scuro in mano.

Sarada trattenne il fiato.

"Finalmente ci rincontriamo, mia giovane Sarada," disse affettuosamente Hagoromo, sorridendo con gioia. "Suppongo di averti sconvolta con la mia comparsa improvvisa. Perdonami. Non potevo giungere qui col mio vero aspetto, o avrei destato l’attenzione di molti."

"…Hagoromo Otsutsuki,” esalò Sarada, senza fiato. “T-Tu sei l’Eremita delle Sei vie!”

L’essere bianco sorrise educatamente. “In persona. È davvero bello rivederti, Sarada. Ne è passato di tempo da quando ci siamo salutati su Eldia.”

L’Uchiha lo guardò con gli occhi sgranati, sconvolta. “C-Che cosa ci fai qui?” esclamò, incapace di ragionare. “Perché sei venuto sulla Terra? Pensavo che-”

“Temo di non essere giunto qui solo per salutarti,” la interruppe pacatamente l’Eremita, sollevando educatamente una mano per zittirla. “So che hai tante domande, ma il tempo scorre inesorabile. Non possiamo dilungarci troppo. Dobbiamo essere rapidi.”

Quella rimase imbambolata per diversi secondi, ammiccando con gli occhi. Poi si riscosse, annuendo lentamente e cercando di calmarsi. “Perché sei qui?” domandò alla fine.

Quello la guardò col suo Rinnegan insondabile. “Sono giunto sulla Terra non per mia scelta. Una missione mi è stata affidata, ed è per questo che sono tornato. Per fare in modo che essa possa compiersi a dovere, ho assunto questa identità da monaco e mi sono alleato con la Foglia. E adesso, ho bisogno della tua collaborazione,” spiegò solennemente. I suoi occhi guizzarono poi ad osservarsi attorno, come se fosse in attesa di qualcosa.

Sarada lo guardò, assottigliando gli occhi. "Che genere di missione?" chiese, lanciando un’occhiata diffidente alla cabina. Vedendo che l’Eremita continuava a cercare qualcosa di invisibile, si arrischiò a parlare ancora. "Ti aspetti compagnia?"

"Al contrario," sorrise quello. "Ho fatto in modo che nessuno possa venire a disturbarci. Mi perdonerai, ma la mia presenza sul pianeta deve restare segreta, almeno per il momento. Tra tutti, tu sei l’unica che sa realmente chi sono. Nessun’altro è al corrente della mia missione."

Sarada si morse la lingua, ingoiando la crescente sensazione di timore che le stava nascendo dentro. Lei era l’unica persona a cui l’Eremita aveva scelto di mostrarsi? Da un lato, questa era un'occasione d'oro per scoprire qualcosa. Dall'altro, qualcosa le stava dicendo che dietro alla presenza di Hagoromo, c’era una minaccia ben più grande di quanto si aspettava. Se quell’essere onnisciente era tornato, questo voleva dire solo una cosa: guai. Guai molto grossi.

“La tua presenza qui,” disse lentamente la corvina. “Ha forse a che fare con l’arrivo degli Otsutsuki? L’umanità sta per essere invasa a breve?”

L’Eremita la osservò, studiandola per diversi secondi. Poi emise un sospiro. “Sì e no,” rispose. “Non so di preciso quando arrivarono gli Otsutsuki, ma non è propriamente per questo che sono qui. Anche se, in effetti, suppongo che la mia missione e l’arrivo degli Otsutsuki siano collegati. Per essere breve, diciamo che sono qui per fare in modo che l’umanità sia preparata al loro arrivo.”

“…e come?” domandò ancora lei.

Quello la guardò con uno sguardo indecifrabile. “Devo salvare la Terra prima che la loro invasione abbia inizio,” dichiarò senza mezzi termini. “Se le cose continuassero in questo modo, l’umanità non sarà in grado di fronteggiare il loro assalto. Per questo devo agire, mettendo la Terra e i suoi abitanti nelle condizioni di fronteggiarli prima che sia troppo tardi.”

Quella rivelazione la sconvolse non poco. Sarada sentì la sua bocca seccare. "E… come vorresti farlo?" si azzardò a chiedere.

Hagoromo le rivolse sorriso triste. "Credo che tu conosca già la risposta a questa domanda, mia cara giovane," disse lentamente. Fece una pausa. "Per salvare la Terra, io devo fermare il tuo piccolo Raijū."

Sarada sbatté le palpebre. "Il mio piccolo... cosa?"

L’Eremita inclinò la testa. "Il tuo biondino preferito," specificò. "Boruto Uzumaki."

Sarada si accigliò all’udire quella dichiarazione. "Boruto non è il mio piccolo niente!" replicò subito, seccata ed imbarazzata. Poi però si fece di colpo seria. "Perché lo hai chiamato… Raijū?" domandò. Quella parola aveva un suono strano alle sue orecchie. Sembrava un termine straniero.

"Non li conosci? Gli animali alti come un uomo, avvolti completamente da fulmini? Quelli che cacciano gli umani per divertimento e per nutrirsi della loro carne? I figli di Lord Raijin in persona?" spiegò l’anziano. "Non li hai presenti?"

Sarada lo fissò senza espressione. "Non credo di averne mai visto uno," dichiarò, incapace di comprendere.

"Ah," ridacchiò l’Eremita. "A volte dimentico quanto sia isolata la Terra. I Raijū sono come dei parassiti in diversi mondi lontani da qui. Sono bestie incredibilmente veloci e feroci in battaglia. Sin da quando Lord Raijin è scomparso, sono stati una spina nel fianco per diversi popoli."

La curiosità la stava mangiando dentro. Sarada non poteva evitare di chiedere altre informazioni. "Hai detto che erano i figli di Raijin? Il dio dei fulmini, dei tuoni e dei temporali?"

Hagoromo rise, qualcosa di alto, cristallino e leggero. Era stranamente divertito. Sarada arrossì nel vederlo ridere della sua ignoranza. "Perdonami," si scusò lui. "Voi umani avete una visione molto strana del concetto di ‘divinità’, sebbene Lord Raijin si sarebbe sicuramente qualificato come tale secondo i vostri standard. Sapevo che aveva viaggiato sulla Terra ad un certo punto della sua vita, ma non avevo idea che il suo nome e il suo retaggio fossero sopravvissuti fino ai giorni vostri. Affascinante. "

"Quindi era uno di voi? Un Otsutsuki?" chiese Sarada.

"Oh sì," annuì l’Eremita. "Uno dei più grandi di tutti, dovrei dire. Lui e suo fratello, Lord Fūjin, erano alcuni dei più grandi combattenti tra gli Otsutsuki."

"Che cosa è successo a loro due?" domandò ancora lei. Non capitava tutti i giorni di scoprire che un ‘dio’, una figura riconosciuta solo religiosamente, era esistito realmente.

"Ah," Hagoromo sembrò abbattuto. "Ahimè, né io, né nessun altro può dirlo. Lord Raijin e Lord Fūjin erano fratelli molto uniti, e allo stesso tempo erano i più feroci dei rivali. I loro scontri erano leggendari, anche secondo i nostri standard. Come in tutte le grandi rivalità, i loro scontri crebbero e crebbero fino a diventare più una guerra che una sfida. I due fratelli si separarono, e le loro battaglie diventarono sempre più frequenti e violente, fino a quando un giorno ebbero il loro ultimo scontro. Secondo le leggende, il loro ultimo attacco fu talmente potente che il cielo fu devastato, e l’universo scosso per mesi, restando sfregiato ancora fino ad oggi. Alcuni dicono che sono morti nell'attacco, e altri che sono rimasti feriti e che adesso si stanno riprendendo prima dell'ennesima battaglia.”

Sarada suppose che fosse un modo come un altro di pensarla. "E tu in cosa credi?"

L’anziano essere sorrise calorosamente, e in quel momento, Sarada non poté fare a meno di sentire che non le stava mentendo e non la stava ingannando. "Io credo," disse piano. "Che, come tutti i fratelli, alla fine siano riusciti a capirsi e riaccendere il loro amore. Credo che si siano stancati dei combattimenti e siano partiti per un grande viaggio, senza essere mai più rivisti."

Sarada sorrise di rimando. Le piaceva quell'idea. Suonava tanto come una speranza che nutriva anche lei, data la relazione tra Boruto e Himawari. Forse anche loro avrebbero potuto ritornare ad amarsi, un giorno. Era improbabile, ma si poteva sempre sperare. "Capisco" disse, tornando seria come prima. “Ma a parte questo… prima hai detto che sei venuto qui per fermare Boruto. Perché?”

L’Eremita tornò serio a sua volta. "Suppongo di doverti spiegare tutto dal principio," disse, facendole un cenno verso il letto. Sarada seguì il suo sguardo, ammiccò, ed esitò un istante prima di sedersi sopra al materasso. L’Eremita si portò al suo fianco e riprese a parlare. “Molte cose sono cambiate da quando ci siamo visti l’ultima volta. Il giovane Boruto, contro tutte le nostre previsioni, è riuscito a sopravvivere allo scontro con Vrangr. E adesso, sin da quando è tornato sulla Terra, ha nuovamente puntato gli occhi sulla conquista del mondo. Immagino che questo tu lo sappia bene, vero?”

La corvina annuì. “Ma come ha fatto a sopravvivere? Quando ci siamo rivisti…” Sarada esitò, la sua mente pervasa dai ricordi terribili e angosciosi di quella fatidica notte in cui il suo vecchio amico era riapparso. Scosse la testa per non distrarsi. “…non sono riuscita a scoprirlo.”

L’anziano essere assunse un’espressione solenne, spostando lo sguardo in avanti. “Non lo so con certezza,” iniziò a dire. “Suppongo che qualcuno lo abbia salvato prima che fosse troppo tardi. Ma, anche se sapessi chi è stato, non credo di potertelo rivelare. Dopotutto lo sai bene, le informazioni sugli altri mondi devono restare segrete. Ricordi le nostre discussioni su Eldia?”

Lei annuì. “È per questo che, quando eravamo lì, Boruto non voleva dirci nulla sul potere di Mikasa, vero?”

“Esattamente.”

Sarada esitò, fissando per terra. “Ma allora, perché hai deciso di fermarlo?” chiese finalmente.

Stavolta, fu lui ad esitare. L’Eremita la guardò, scrutandole dentro l’anima con gli occhi. “Quando lo hai rivisto la prima volta… hai notato qualcosa?” domandò di rimando.

La giovane Uchiha trasalì, sorpresa dalla domanda improvvisa. Poi sollevò lo sguardo, fissando il tutto e il niente mentre la sua memoria si sforzava di ricordare gli eventi di quel fatidico giorno. Annuì una volta col capo. “Sì,” ammise, atona. “Quando l’ho rivisto… lui era diverso. Era cambiato. Sembrava più freddo, più crudele, più… spietato. Eppure, allo stesso tempo, sembrava essere più rassegnato che mai. Più consapevole. Più triste, persino. Come se quello che stava per fare… fosse doloroso anche per lui.”

Hagoromo annuì, mettendole una mano sulla spalla. In quel momento, la giovane si rese conto che, mentre era nella sua forma originale, l’Eremita aveva ripreso ad avere due braccia, a differenza di quando si mostrava come Sentoki. “Boruto è, innegabilmente, cambiato,” confermò lui con serietà. “Non so come, non so perché, ma qualcosa è cambiato dentro di lui. E questo qualcosa è ciò che gli ha fatto intraprendere la strada di morte e sangue che ha scelto.”

“E perché hai deciso di fermarlo?” insistette l’Uchiha.

L’Eremita sospirò. “Perché mi è stato chiesto,” rispose semplicemente. “E anche perché… mi è stato rivelato il futuro. Se Boruto continuerà su questa strada, se continuerà a devastare e conquistare il mondo in questo modo, l’umanità non avrà futuro.”

Sarada trattenne il fiato con orrore.

“Per questo ho dovuto agire,” continuò ancora l’anziano essere. “Devo fermarlo prima che sia troppo tardi. Boruto è convinto di agire in nome del bene e della pace, è convinto che la sua strada sia l’unica che possa portare alla salvezza del pianeta, ma si sbaglia. Il futuro che ho visto io… sarà tutt’altro che salvifico e pacifico. Se vogliamo salvare la Terra, Boruto dev’essere fermato prima che gli Otsutsuki arrivino per invaderci. È l’unica cosa che possiamo fare per impedire l’estinzione dell’umanità.”

‘E di molte altre razze nell’universo,’ aggiunse mentalmente Hagoromo.

Sarada lo guardò, allibita, con gli occhi e la bocca sgranati. La sua mente sbiancò per diverso tempo, incapace di formulare un pensiero, lasciandola sconvolta oltre misura. Boccheggiò come un pesce diverse volte prima di ritrovare il fiato per parlare. “T-Tu… hai visto il futuro? Hai avuto un’altra visione?” chiese, scioccata.

L’Eremita esitò, come se stesse valutando come rispondere alla domanda. “Non esattamente. Ma fidati di me, giovane Sarada, quando ti dico questo: Boruto dev’essere fermato. Se non lo faremo, l’umanità non avrà futuro,” disse, serio e determinato come non mai. La guardò dritta negli occhi, enfatizzando la certezza nel suo tono.

Lei fissò i suoi occhi viola per diverso tempo, incapace di pensare. Poi annuì, tremante, cercando di darsi un contegno. Certo, doveva ammettere che non era facile. Venire improvvisamente a sapere che il destino della Terra – il destino dell’umanità intera – dipendeva dalle azioni del suo vecchio amico ormai diventato un mostro… era difficile da accettare. Nessuno avrebbe potuto immaginare una cosa simile. Boruto era sempre stato importante, sia per lei che per il mondo, ma non avrebbe mai potuto immaginare una cosa simile.

Questo… Questo rendeva la sua presenza decisamente più oscura e opprimente per tutti.

“M-Ma… allora…” la ragazza esitò, completamente a corto di parole. Era diventata pallida come la luna. “…q-questo vuol dire che Bolt… deve morire?” domandò, la sua voce tremante, col cuore in gola. Piccole lacrime luccicanti iniziarono a formarsi inconsciamente nei suoi occhi.

Tuttavia, con suo sommo stupore, Hagoromo sorrise. “Non necessariamente, mia cara. Ho già affrontato Boruto, e ho visto che c’è ancora del bene in lui. Non è ancora troppo tardi. Il tuo amico può ancora essere salvato,” la rassicurò, cercando di essere comprensivo.

Sarada espirò il fiato che non sapeva di aver trattenuto fino a quel momento, tornando a respirare. Se non fosse stata seduta, era certa che le sue gambe avrebbero ceduto per il sollievo. La stava inondando come un fiume in piena.

“Questo, tuttavia, sarà possibile solo se riusciremo a fermarlo con le buone,” riprese a dire l’anziano Otsutsuki. “Dobbiamo catturarlo, o convincerlo ad abbandonare la strada che ha intrapreso. In entrambi i casi, sappiamo tutti e due che non sarà un’impresa facile. È per questo che oggi sono venuto da te. Ho bisogno del tuo aiuto, Sarada.”

La ragazza lo guardò con stupore. “Il mio aiuto?” ripeté, persa.

L’Eremita annuì. “Tu ed io siamo gli unici che sappiamo la verità su Boruto,” spiegò seriamente. “E al momento, tu sei l’unica che sa della mia presenza e della mia vera identità sul pianeta. A parte Boruto, ovvio. Per cui, vorrei chiederti di collaborare assieme a me, per riuscire a fermare il nostro amico dal distruggere tutto ciò a cui teniamo. Ma per farlo, devi promettermi che non dirai niente di ciò che hai sentito questa sera, a nessuno. Nemmeno ai tuoi amici, alla tua famiglia, o all’Hokage.”

Sarada deglutì, completamente spiazzata. Sapeva di potersi fidare di Hagoromo – l’aveva aiutata moltissimo durante la sua avventura su Elda, ed era pur sempre il leggendario Eremita delle Sei vie – ma lei non era stupida. Sapeva che dietro a tutta quella storia c’era altro, così come sapeva benissimo che riuscire a fermare Boruto non sarebbe stato facile. Diavolo, era da anni che la Foglia e il mondo ci stavano provando inutilmente. Poteva lei riuscire in quello che tutti, persino il mondo e il suo idolo, il Settimo Hokage, avevano fallito? Aveva davvero qualche speranza?

Eppure, nonostante l’incertezza, nonostante la paura, nonostante l’impresa sembrasse impossibile agli occhi di qualsiasi persona sana di mente… Sarada Uchiha comprese in un’istante la risposta a quella domanda. L’aveva sempre saputa, dentro al suo cuore, sin dall’inizio.

Dopotutto, salvare il suo amico era sempre stato il suo obiettivo sin dall’inizio.

“Va bene,” disse, risoluta, fissando l’Eremita coi suoi occhi fiammeggianti e carichi di determinazione. “Facciamolo. Insieme.”

Hagoromo sorrise ampiamente all’udire la sua risposta, annuendo con il capo. “Grazie, giovane Sarada, davvero. Sapevo di poter contare su di te,” la ringraziò col cuore. Poi si riscosse, levitò in mezzo all’aria per portarsi al centro della cabina, e guardò la giovane con uno sguardo deciso. “Allora non perdiamo altro tempo. Ti rivelerò quello che ho scoperto di recente su Boruto e sul Ninshū, e poi ti conferirò un dono per fare in modo che tu possa resistere alle prossime battaglie contro di lui.”

Sarada inarcò un sopracciglio. “Un dono?”

L’Eremita sorrise. “Un dono,” confermò. “Ti conferirò una parte del mio Potere. In questo modo, quando tu e Boruto vi affronterete, sarai in grado di resistergli e, chi lo sa, di sconfiggerlo.”

Quella notizia la sconvolse non poco. L’Eremita aveva intenzione di offrirle il suo Potere? Questa sì che era una notizia! “Aspetta,” disse però subito dopo, incerta. “Hai detto che volevi collaborare. Non sarebbe più facile combattere Boruto insieme? Avremmo molte più possibilità di vittoria. E poi, se tu donassi anche ad altri il tuo Potere, nemmeno lui riuscirebbe a tenere testa a tutti noi contemporaneamente. Potremmo sconfiggerlo per davvero!”

Ma Hagoromo scosse la testa, sorridendo con amarezza dinanzi al suo entusiasmo. “Non posso, Sarada. Al momento dovrei essere nella Terra del Ghiaccio assieme al giovane Shikamaru e i suoi amici. Non posso abbandonarli per unirmi a te. Devo restare con loro per scoprire qualcosa in più su Boruto e sul suo modo di agire. E poi, il mio Potere non può essere conferito a tutti. Solo coloro che possiedono lo Sharingan, il Rinnegan, o un chakra che discende dal mio possono riceverlo ed utilizzarlo concretamente. Mi spiace,” spiegò pacatamente.

La corvina sentì la sua trepidazione diminuire di colpo. In effetti, però, la cosa aveva senso. Se la soluzione fosse stata così semplice, allora loro due non avrebbero mai avuto bisogno di collaborare in segreto. E poi, anche se fossero in qualche modo riusciti ad affrontare assieme il Nukenin, dubitava che sarebbero riusciti a batterlo. Se per sconfiggere Boruto fosse bastato solo il potere, allora la potenza combinata di suo padre e dell’Hokage avrebbe dovuto metterlo a tacere molti anni prima. Ma Boruto era scaltro, previdente, e astuto come pochi. Avrebbe sicuramente trovato il modo di aggirare il problema, come faceva sempre.

No, combatterlo a distanza e da più fronti era la soluzione migliore, decise Sarada.

“Va bene, ma prima ho una domanda,” disse l’Uchiha.

L’Eremita la guardò, invitandola silenziosamente a continuare.

“Perché ti interessa così tanto salvare la Terra?” domandò seriamente, sfidandolo con gli occhi. “Perché vuoi fermare Boruto, se la salvezza del nostro popolo non ti riguarda direttamente? A cosa stai mirando?”

Hagoromo sorrise, ridacchiando sottovoce. “Voi umani avete un detto. Se non erro, recitava così: il nemico del mio nemico, è un amico. Ecco perché voglio aiutarvi,” rispose semplicemente.

Sarada non capì bene a cosa si stava riferendo.
 


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05 Dicembre, 0021 AIT
Terra dei Fiumi
Ex Nascondiglio Segreto di Orochimaru
02:15

"C-Cosa diavolo è successo qui?" mormorò Shikadai, in soggezione, guardando il paesaggio raso al suolo con uno sguardo allibito.

Lui e la sua squadra non si sarebbero mai potuti aspettare una cosa del genere. Non in questo modo, non così. Fino ad un’ora prima erano ancora nei confini della Terra del Fuoco, sempre vigili e pronti a combattere Boruto se avesse tentato di catturare un altro Demone codato… e adesso, sin da quando il terreno aveva tremato e la luna era stata oscurata da una densa nuvola di fumo e polvere, avevano corso a perdifiato verso la sua origine per vedere cosa fosse successo, giungendo nella Terra dei Fiumi. Konohamaru aveva pensato che fossero stati attaccati, senza alcun preavviso, e persino Himawari era stata colta di sorpresa dall'improvviso e violento terremoto che avevano percepito.

Era questa cosa che lo allarmava di più. Come si poteva spiegare un'esplosione così devastante? Avevano bisogno di risposte. Così, per lui e la sua ragazza era iniziato un rapido viaggio verso Sud-Est, col suo stomaco che si faceva sempre più pesante mano a mano che si avvicinavano alla nuvola di detriti. E una volta giunti in prossimità dell’obiettivo, Shikadai capì esattamente dove si stavano dirigendo: la tana segreta di Orochimaru dei Sannin.

E ora che si trovavano davanti al nascondiglio... i suoi occhi non videro niente.

Era semplicemente sparito. La montagna, la foresta circostante, le colline, il fiumiciattolo… tutto. Era tutto sparito. Di tutto il paesaggio, adesso restavano solo una terra desolata di pietra fusa e un cratere gigantesco che digradava pigramente in una fossa di oscurità senza fine. Era immenso. Shikadai non poteva misurarne la profondità nemmeno con le Tecniche d'Ombra del suo clan.

Questa cosa lo spaventava a morte.

"Dobbiamo andare, Himawari," disse il Nara, allontanando la sua ragazza dal cratere. "La Foglia deve sapere di questo."

Himawari annuì, scioccata quanto lui, e tutti e due tornarono di corsa indietro attraverso la campagna distrutta.

E per qualche strana ragione, Shikadai era certo che da quel giorno né lui, né nessun altro avrebbero mai più rivisto Orochimaru dei Sannin.

Tornarono alla frontiera di confine a tempo record, ritrovandosi ancora una volta con tutti gli altri della squadra. Shikadai stava ansimando per respirare, ma Himawari era fresca e sprizzante come prima. Sembrava come se avrebbe potuto proseguire per qualche altro chilometro. Osservando i volti di tutti, Shikadai notò che erano a corto di un membro. "Dov'è Sarada?" chiese.

Inojin guardò tra i suoi compagni di squadra, confuso. Vedendo la sua assenza, sembrò stupirsi quanto tutti gli altri. "Non è con voi?" esclamò di rimando.

Shikadai scosse la testa, corrugando la fronte.

Konohamaru e Sakura si scambiarono un’occhiata nervosa. "In realtà," iniziò a dire Sumire improvvisamente. "Mentre stavo dormendo, ho sentito degli strani rumori provenire dalla cabina affianco alla mia. Mi hanno svegliata, così sono andata a controllare. Sarada stava uscendo a sua volta, ma aveva un aspetto… strano. Era diversa dal solito. È partita subito dopo, dicendo che vi avrebbe raggiunto."

Shikadai si accigliò. "Non è con noi," ribadì ancora una volta. "E non l'abbiamo nemmeno incontrata nel viaggio di ritorno."

I presenti si lanciarono un’occhiata nervosa. "Allora… dov'è?" esclamò Sakura ad alta voce.

Questa, pensò Shikadai, era una bella domanda.
 


05 Dicembre, 0021 AIT
Confine della Terra del Vento
06:00


Assalto dell’Impero per la Conquista della Terra del Vento

Shizuma era impressionato.

Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ovvio, ma la sua coscienza non poteva negare la realtà dei fatti. Era impressionato. Per non dire, anzi, sconvolto. Mai, in tutta la sua vita, la sua mente assetata di sangue avrebbe mai potuto immaginare una cosa del genere. E il fatto stesso che stava osservando quella scena, in quello stesso momento, bastava a dimostrare quanto fosse sconvolgente la visione che si stagliava dinanzi a lui.

L’esercito dell’Impero Shinobi Unito – un esercito immenso, poderoso, e più disteso di quanto l’occhio umano riuscisse a vedere – si era finalmente formato dopo mesi ed anni di preparativi. Era qui, davanti a lui, dinanzi ai suoi occhi. Un mare immenso e incalcolabile di armature, corazze e Shinobi, composto interamente da uomini, donne, Ninja, Guerrieri, soldati… migliaia e migliaia di persone riunite assieme, ferme e in posizione sopra la sabbia calda di quella Nazione dimenticata dai cieli. Un esercito mai visto prima, riunito assieme qui al confine del fronte occidentale per un solo ed unico obiettivo: abbattere e conquistare la Terra del Vento.

Era una visione senza precedenti.

Shizuma lo sapeva. Un esercito del genere, così ampio, così disomogeneo, non si vedeva sin dai tempi della Quarta Guerra Mondiale. Sin dai tempi dell’Esercito Alleato dell’Unione Shinobi. Era una visione unica nella storia del loro mondo. E lui, Shizuma Hoshigaki, in quel momento, stava assistendo alla storia che avanzava imperterrita coi suoi stessi occhi. E l’artefice di tutta quella storia aveva un nome che lui conosceva bene: Boruto Uzumaki.

Era… sconvolgente.

Un ghigno trepidante contornò le labbra di Shizuma a quella realizzazione. Doveva ammetterlo, il loro leader era un genio. Shizuma non poteva negarlo. Nessuno poteva negarlo. Non si poteva, semplicemente, più negare a quel punto. Lui era solo un vassallo, un mercenario dei Kara, una pedina senza nome nel grande schema delle cose. Ma persino uno come lui poteva vederlo, adesso. Boruto aveva stravolto il mondo. Lo aveva spaccato metà, lo aveva diviso… e ora, davanti ai suoi occhi, lo stava rimodellando a suo piacimento. Lo stava ricreando da zero, unendo assieme le forze della gente ed ammassando un esercito senza pari nella storia del loro pianeta. Il tutto per fomentare uno scisma ed una guerra senza precedenti. Una Guerra che avrebbe distrutto tutto ciò che c’era di corrotto nel loro passato e nella loro società marcia e decadente. Una Guerra per mettere a tacere tutte le discordie dell’umanità e della sua gente. Una Guerra per porre fine a tutte le guerre.

La Quinta Guerra Mondiale.

Shizuma sorrise. Lui era solo un vassallo, ed un vassallo non poteva mettere in discussione il suo signore. Doveva solo obbedire. Boruto gli aveva ordinato di comandare la prima ondata dell’assalto, quindi, lui l’avrebbe fatto. E sinceramente, nel profondo del suo animo, Shizuma aveva apprezzato quell’ordine. La bruciatura del loro ultimo fallimento dopo la presunta morte del loro leader era rimasta ancora impressa nella sua mente. Era ansioso di mettersi alla prova contro un’altra sfida, contro un altro avversario. Presumibilmente, sperava, un avversario che non avrebbe evitato di combattere contro di lui. Questa era la sua prima occasione di lotta dopo due anni di nascondimento e fuga. Col cazzo che se la sarebbe lasciata sfuggire.

Già il caldo torrido filtrava nelle sue ossa mentre si stanziavano lì nella Terra di Vento. Più ad Ovest rispetto alla loro posizione, circondato da innumerevoli picchi di roccia e aridi deserti di sabbia bollente, si ergeva il suo ultimo obiettivo: il Villaggio della Sabbia. Erano passati molti anni da quando i Kara avevano messo piede nei suoi confini. Sin da quando il Demone Tasso era stato sigillato, in realtà. E adesso, invece, toccava a lui metterci piede sotto loro ordine. Dopo tutto questo tempo, l’Impero avrebbe compiuto ciò che la Roccia non era riuscita a fare due anni prima: conquistare una volta per tutte questa Nazione dimenticata dagli dei.

In tutta onestà, Shizuma non poteva dire di comprendere appieno quella decisione di Boruto. Non c'era niente per loro qui. La Terra del Vento era inutile, ed era risaputo da tutti. Non possedeva ricchezze, né risorse; e la sua popolazione viveva nella crisi e nell’instabilità sin da quando il precedente Kazekage, Gaara, era stato ucciso durante il Summit Mondiale. Suo fratello Kankuro aveva preso il comando del Paese negli ultimi tempi, ma – secondo le loro spie – stava facendo un lavoro misero nel gestirlo. E anche senza contare la crisi in cui era piombata questa Nazione, la Rivoluzione e l’Impero non potevano certo aspettarsi un caloroso benvenuto da parte dei suoi abitanti, viste le loro azioni precedenti con la Roccia e l’assassinio del loro amato Kage.

Ma a Shizuma non importava granché. Nulla di tutto ciò contava per lui. Non più, ormai. Aveva trovato il suo posto nel mondo, aveva trovato il suo scopo: seguire il suo leader. Boruto era un leader degno di essere seguito. Un leader saggio, astuto e benevolo, che agiva senza scrupoli e ininterrottamente, coraggioso anche contro il peso dell'odio e della paura del mondo; eppure allo stesso tempo spietato e capace di abbattere qualsiasi nemico che osasse opporsi alla sua volontà e al suo desiderio di Pace. Shizuma poteva rispettarlo per questo. Nonostante tutto il suo potere, Boruto trattava lui e tutti gli altri come se fossero degli amici, e una piccola parte dell’Hoshigaki si crogiolava in quella radiosità, sebbene il suo orgoglio e il suo onore non gli avrebbero mai permesso di esprimere simili pensieri.

Un momento… da quando lui si faceva questi pensieri sdolcinati?

Shizuma sospirò, scuotendo la testa, e rilocalizzò lo sguardo verso l’orizzonte. Lì, i suoi occhi trovarono subito l’immenso ostacolo che attendeva lui e i suoi uomini dall’altra parte della radura desertica.

L’esercito della Sabbia si era posizionato a due chilometri di distanza da lì, a Nord-Ovest, appena oltre una duna sabbiosa. Il suo comandante, il Sesto Kazekage Kankuro, lo comandava dalle file più esterne dei ranghi, probabilmente intento ad impartire ordini e disperarsi per la calamità che stava per affliggere la sua gente. Shizuma non lo compativa nemmeno un po'. Se avessero davvero voluto salvarsi, lui e la sua gente avrebbero dovuto schierarsi con la Rivoluzione molto, molto tempo fa. Adesso era troppo tardi, e avrebbero dovuto pagare la loro stoltezza col sangue.

"Dovremmo iniziare," disse la voce di Lucy alla sua destra. Shizuma guardò di sbieco, osservando la ragazza bionda mentre essa si fermava davanti alla prima linea dell’esercito teso e in attesa alle loro spalle. "Mitsuki e Kumo mi hanno appena avvertita. Boruto e gli altri hanno ucciso il serpente, esattamente come previsto. Possiamo dare inizio all’assalto."

L’ex spadaccino della Nebbia annuì, trattenendo un sorriso con le labbra. Diavolo, Boruto era astuto come sempre. Uccidere l’ultimo dei Sannin ed attaccare contemporaneamente la Sabbia era una mossa geniale. Avrebbe inevitabilmente diviso le forze belliche nemiche, oltre che abbassato notevolmente il loro morale. Orochimaru era uno degli uomini più potenti del mondo. Con la sua morte per mano del Kurokage, il terrore dell’Impero e della sua potenza sarebbe cresciuto a dismisura in tutto il mondo.

Ma non c’era più tempo di perdersi nei propri pensieri. Shizuma scartò la sua veste dell’Organizzazione Kara, gettandola al vento, e sguainò con un braccio il suo immenso spadone rubato alla Nebbia molti anni prima. Lucy fece lo stesso, spogliandosi della cappa oscura nella calura desertica, e si preparò a dare inizio alla carica. Abbassando la testa, i due comandanti dell’esercito sentirono gli uomini alle loro spalle sguainare le armi ed iniziare a prepararsi a loro volta.

Passarono diversi secondi di silenzio assoluto.

Poi, sollevando la spada in alto, Shizuma esplose in un urlo euforico e malsano.

“UCCIDETELI TUTTI!”

E così, senza nemmeno esitare, la carica iniziò con un rombo di tuono.

Gli uomini dell’esercito urlarono, sollevando le loro armi e caricando in massa verso il nemico. Da dietro, le frecce furono rilasciate dagli arcieri. Davanti, le Tecniche vennero scagliate addosso agli avversari. Dai fianchi, le guardie iniziarono a scattare. E poi, con un ruggito portentoso che echeggiò per il deserto come un boato, Shizuma e Lucy corsero a perdifiato addosso al nemico.

I due eserciti si scontrarono con un fragore insopportabile. Shizuma seguì le orme di un soldato più giovane, navigando per le dune sporche e sempre più macchiate di sangue e spostandosi in profondità nelle file dell’esercito nemico. Correva lentamente, con uno scopo ben preciso in mente, falciando Shinobi su Shinobi con la sua spada, abbattendo ogni nemico sulla sua strada, e permettendo a Lucy di assumere il comando ufficiale dall’altra parte del campo di battaglia. Da qualche parte, in un punto imprecisato nel mezzo di quel derviscio di uomini e morte, un’esplosione di fuoco e fiamme squassò l’aria e fece tremolare la sabbia, sbalzando all’aria decine di cadaveri anneriti.

Ma il mercenario dell’Organizzazione Kara non distolse gli occhi dai suoi avversari. Tra i suoi assalitori c'erano studenti, ragazzi e uomini; nemici di tutte le età e dimensioni, che lo affrontavano con le spade ricurve e sciabolate tipiche di questa Nazione. Ma tutti, uno per uno, vennero recisi e sbudellati con un singolo fendente del suo spadone mano a mano che avanzava. Nessuno riuscì a resistere alla sua avanzata, lasciandogli alle spalle una scia di corpi recisi e sanguinanti che crollavano inermi sulla sabbia. Era patetico, davvero, in un certo senso. Non ce n’era nemmeno uno che riuscisse a tenere testa a lui o Lucy come un tempo.

Adesso Shizuma comprese perché Boruto era sempre stato così insistente con loro nel farli allenare durante questi anni.

L’ex spadaccino della Nebbia evitò un affondo ed impalò un nemico in pieno petto con una rapida trazione delle braccia, spingendo la sua spada in avanti. Subito dopo, sferrò sulla destra un calcio che bastò a incrinare la gabbia toracica di un uomo sulla sessantina, scagliandolo addosso ad una manciata di Shinobi in lontananza. Accanto a lui, i ninja della Sabbia si guardavano tra di loro con occhi allarmati e sconvolti, i loro volti che impallidivano sempre di più mano a mano che la realizzazione nasceva nei loro lineamenti. Lo avevano riconosciuto. Adesso sapevano chi si trovavano davanti.

Non ci volle molto prima che comparisse il suo obiettivo. Dopo aver causato tutto quel panico tra le file dei nemici, Shizuma non rimase sorpreso neanche un po' quando si vide comparire davanti l’uomo che stava aspettando. Vestito con abiti semplici ma ornamentali, Kankuro della Sabbia si fece largo tra i suoi uomini con passo deciso e minaccioso. I suoi capelli scuri, notò Shizuma, non erano più coperti come al solito da un cappuccio, ma bensì liberi, lasciandogli la testa scoperta e conferendogli un aspetto più intimidatorio del solito. La sua faccia era ricoperta da tatuaggi viola, e i suoi occhi assottigliati con una furia e un disprezzo quasi palpabili. Il suo corpo, teso e con le dita intente a comandare innumerevoli filamenti di chakra, non era decaduto e smunto come quello del precedente Kazekage, e stava assumendo una posa sempre più intimidatoria.

Shizuma afferrò il collo di un nemico che lo stava attaccando di lato e la lanciò ai piedi del Kazekage, facendolo rotolare nella sabbia con un sussulto di dolore. Kankuro osservò la vittima, oltraggiato, prima di posare nuovamente i suoi occhi furiosi su di lui. Lo spadaccino ghignò di rimando, sprezzante, e si portò lo spadone davanti a sé in segno di sfida. Lucy, notò con la coda dell’occhio, era scomparsa dall’altra parte del campo di battaglia in mezzo alle urla e ai combattimenti incessanti, e Shizuma si concentrò sulla battaglia incombente, sapendo fin troppo bene il compito che Boruto gli aveva ordinato di eseguire. Lui e la sua amica si sarebbero incontrati di nuovo al termine del duello.

"Shizuma Hoshigaki," disse il Sesto Kazekage, con una voce fredda come il ghiaccio e dura come l'acciaio, come non era mai stata prima di quel giorno. "Il mercenario leccapiedi di Boruto. La tua esistenza è un affronto e un oltraggio a tutti gli Shinobi di questo mondo. È mio dovere abbatterti e proteggere la mia Nazione dalla vostra folle dittatura mondiale. Preparati a morire."

Il mercenario snudò ulteriormente i denti. "Finalmente," esclamò, brandendo la sua spada e scivolando in una posizione difensiva. Il sangue iniziò a pulsargli ferocemente nelle vene per la trepidazione. Attorno a lui, tutti gli Shinobi iniziarono ad allontanarsi da quel punto, facendo spazio al Kage e al suo avversario per lasciarli scontrare.

C'era un piacere semplice e perverso nel duellare contro un avversario che non combatteva frontalmente come lui. I Ninja comuni, sebbene potenti, aderivano ad un diverso sistema di credenze nella lotta. Valutavano l’astuzia e intelligenza, l’azione furtiva e trappole. Perfino Boruto, per quanto potente, era sempre incline a complottare e a colpire nell’ombra. Gli spadaccini, invece, erano diversi. E Kankuro e le sue marionette, a loro volta, erano diversi. I primi credevano nella forza e nella velocità, e il secondo nelle strategie e nei burattini. Affrontare un avversario simile sul campo di battaglia ed incrociare la spada con lui era un pensiero allettante. Esattamente il tipo di lotta che Shizuma desiderava per dimostrare a sé stesso che era migliorato rispetto al passato.

Kankuro fece guizzare stranamente le dita, contraendo una mano. Dalla sabbia dinanzi a lui, sotto ai suoi piedi, una grossa marionetta umanoide sbucò fuori all’improvviso, cigolando sinistramente mentre barcollava alla vita con un sibilo metallico. Si raddrizzò goffamente sulle gambe, brandendo due spade avvelenate al posto delle mani, e preparandosi ad assaltare l’avversario alla minima trazione dei suoi filamenti di chakra.

Non ci furono scambi di parole. Shizuma scattò in avanti e le loro spade si scontrarono, acciaio contro acciaio, innalzando una nebbia di sabbia e polvere. Lo spadaccino osservò il Kage e la sua marionetta con un cipiglio ferale. Lo stile di spada dei Ninja della Nebbia si concentrava su una serie di posizioni fluenti che colpivano i polpacci e il collo dell’avversario. Una serie attacchi alternati che travolgevano e confondevano gli avversari, infliggendo loro mille tagli, prima di farli dissanguare lentamente. Una strategia del genere non avrebbe mai funzionato su una marionetta, ovviamente.

E Kankuro della Sabbia era un maestro con le marionette. Boruto gli aveva raccontato vividamente quello che era successo quando lui e quell’uomo si erano scontrati anni fa, dopo la sua fuga dalla Pioggia. Se avesse commesso un errore, se avesse lasciato che una sola delle lame della marionetta lo colpisse... sarebbe stata la sua fine. Il veleno delle marionette era altamente mortale.

"KUROHIGI: Iaido!" (Arte Segreta Nera: Taglio) abbaiò ferocemente Kankuro.

La marionetta vibrò, sibilando mentre scattava di nuovo in vita ed agitava follemente gli arti acuminati. Le lame si scontrarono di nuovo, generando scintille d'acciaio e fasci di chakra che si agitavano nell'aria. Shizuma avanzò con un passo, facendo leva sulla sua maggiore altezza contro il burattino più piccolo, deviando ogni colpo con un ghigno folle in faccia. Il Kazekage si ritirò, agitando le dita, e la marionetta si allontanò a sua volta con un cigolio raccapricciante, tornando con grazia in una posizione difensiva, aprendo la bocca e mostrando una serie di zanne appuntite.

"KUROIGHI,” intonò ancora quello. "Ryū odori!” (Danza del Drago rosso)

Il burattino vibrò all’aria e le loro lame si incrociarono, di nuovo, ognuna in lotta per la supremazia. Shizuma bloccò due affondi laterali e spinse via il suo avversario privo di vita, inviando una piccola mezzaluna di chakra verso i suoi filamenti per reciderne il controllo. La marionetta però spalancò le fauci, scatenando un getto di energia ed elettricità dalla bocca, cogliendolo di sorpresa. Lo spadaccino imprecò, gettandosi a terra con un grugnito frustrato, e rotolando nella sabbia per evitare gli affondi continui delle lame avversarie che gli piovevano addosso.

"Ryū adori!" (Danza del Drago giallo) esclamò duramente il Kazekage. 

Shizuma balzò in piedi, prese la punta dello spadone con una delle mani ed avanzò con un ruggito, bloccando l’assalto furioso dell’avversario. La marionetta nemica gli balzò addosso, agitando all’impazzata gli arti in una raffica incomprensibile di affondi di lama e colpi di taglio. Le lame, avvolte di chakra e veleno, si scontrarono, cozzarono, e sibilarono ogni volta che colpivano il piatto dello spadone avversario. Shizuma arrancò, sinceramente basito dalla rapidità e dal controllo che quell’uomo aveva sui movimenti della sua marionetta con delle misere contrazioni delle dita. Il burattino attaccava all’impazzata, senza tregua, con colpi potenti e precisi che avrebbero fatto invidia a qualsiasi samurai comune. Il Kazekage, anche se inferiore nel corpo a corpo, riusciva tenere il passo con lui, bloccando facilmente gli attacchi dello spadaccino e contrattaccando con la sua arma vivente.

Eppure, il mercenario non demorse. Ogni forma di esitazione gli era stata cancellata dalla mente sin da piccolo. Non si sarebbe arreso dinanzi a quell’inaspettata svolta degli eventi. Era simile ad una prova, immaginò, esattamente come quelle che Boruto ed Annie avevano allestito per lui durante le sue sessioni di addestramento negli anni passati. E Shizuma era determinato a passare, ora più che mai, dato che aveva trovato uno scopo a cui servire. Si allontanò con un balzo dalla marionetta, le sue vesti umide di sudore, i suoi respiri affannati e le mani tremanti che stringevano forte l’elsa della sua spada. In lontananza, in mezzo alla calca degli eserciti in battaglia, altre esplosioni implosero improvvisamente, facendo oscillare la terra e la sabbia, e Shizuma comprese che Lucy stava continuando a portare a termine la loro missione.

Non poteva essere da meno.

Fece un respiro profondo, ghignando, e alzò entrambe le braccia al cielo, sollevando la spada. Il Kazekage lo osservò, incuriosito, allontanando la marionetta e studiandolo con uno sguardo sorpreso. Shizuma lo ignorò, per la prima volta, concentrandosi solo sull’eseguire al meglio la Tecnica. Stava per fare un azzardo, ma non gli importava. La Danza dei Nove Draghi – una Tecnica di spada segreta della Nebbia – in un assalto a doppia impugnatura. Ci fu una pausa incita in cui entrambi gli avversari si fissarono l’un l'altro, prima che Shizuma scattasse alla massima velocità verso la marionetta, sollevando magistralmente lo spadone e ruggendo ferocemente.

Così, in un istante, la Tecnica segreta del Villaggio della Nebbia venne richiamata alla vita con un ruggito. “Shōryū no Mai!” (Danza dei Nove Draghi) urlò Shizuma. E poi, in un secondo, la Tecnica colpì la marionetta, sferrando nove tagli in un colpo solo.

Un colpo al ribasso sulla testa.

Un colpo orizzontale dalla spalla sinistra all'anca destra.

Un colpo orizzontale dalla spalla destra all'anca sinistra.

Un colpo laterale sotto le costole.

Un colpo laterale sopra le costole.

Un colpo orizzontale dall'anca destra alla spalla sinistra.

Un colpo orizzontale dall'anca sinistra alla spalla destra.

Un colpo verticale dall'inguine al ventre.

Un colpo in avanti, penetrante nel cuore.

E poi… silenzio.

Shizuma riaprì gli occhi, ammiccando, osservando con soddisfazione lo squarcio profondo che scorreva appena sotto le costole della marionetta. A cinquanta metri da lui, ancora, il Kazekage rimase tremante, ma illeso. Poi, in meno di un battito di ciglia, altri otto squarci si formarono improvvisamente sul corpo del burattino, facendolo piegare malamente di lato prima che esso esplodesse del tutto in un ammasso di ferro, metallo e giunture distrutte, crollando a pezzi sulla sabbia. I fili di chakra, ormai privi di aggancio, fluttuarono al vento senza scopo.

Il silenzio continuò a regnare in mezzo a quel mare di urla e morti ininterrotte. Shizuma si ritirò, sorridendo beffardamente mentre riprendeva fiato ed osservava soddisfatto il suo avversario con superiorità. Quest’ultimo, tuttavia, non si lasciò cogliere impreparato. Abbandonando i fili precedenti, Kankuro evocò altre due marionette, una bianca e piena di lame per tutto il corpo, e un’altra dall’aspetto deforme simile ad un ragno. Sangue antico e secco macchiava le loro vesti decorate mentre le marionette cigolavano e sibilavano minacciosamente.

"Mi hai stupito," ammise il Kage con un’espressione fredda e determinata. "Sei più veloce di quanto mi aspettassi. Immagino che Boruto ti abbia insegnato qualcosa da quando hai deciso di servirlo come un cane… ma non ha importanza. Tu e la sua gente morirete qui ed ora."

Shizuma non rispose, limitandosi ad inarcare un sopracciglio mentre il Kazekage parlava e raddrizzava i suoi burattini, le loro colonne vertebrali erette e le spalle squadrate. Kankurò alzò il mento, fissandolo con uno sguardo furibondo mentre le sue mani scivolavano in una posizione sconosciuta. "Avete invaso la mia casa…" iniziò a dire. A quelle parole, la prima marionetta tremolò all’improvviso, sollevando le sue spade in alto. "…e adesso dovrete morire," giurò, mentre la seconda marionetta insettoide agitava le zampe ed apriva la bocca.

Gli occhi del mercenario si sgranarono mentre le spade del burattino umanoide si avvolgevano di chakra, l'aria attorno a loro che ronzava sempre più per il potere. Allo stesso tempo, tra le fauci dell’altra marionetta, un getto di energia coagulante si stava formando ogni secondo di più. E più li osservava, più il chakra dei due burattini cresceva selvaggio e furioso mentre prendeva vita da solo. Shizuma assottigliò gli occhi. Aveva visto una Tecnica simile soltanto un’altra volta, durante uno scontro tra Boruto e sua sorella nella Foglia. Lì, il chakra della principessa degli Hyuuga era diventato simile a quello di un leone. Questa volta, invece, il chakra delle marionette aveva preso la forma di un drago. Due draghi, anzi.

“Che razza di Tecnica è quella?” esclamò mentalmente.

Ma non ebbe il tempo di riflettere. Il Kazekage si irrigidì e Shizuma avanzò, con l'intenzione di tranciare le marionette prima che l'uomo potesse lanciarle contro di lui. Ma riuscì a fare solo tre passi prima che il Kage contraesse a malapena un dito, facendo scatenare entrambi i draghi addosso a lui con un solo comando della falange. Avvolgendosi a spirale l'uno attorno all'altro, i grandi draghi di chakra ruggirono e gli caricarono contro come belve senzienti. Shizuma imprecò, sollevando lo spadone ed incrociandoselo sul petto in una guardia rozza. I draghi lo colpirono, mordendogli la spada, e gli occhi dell’Hoshigaki si sgranarono per lo stupore mentre delle crepe attraversarono inaspettatamente l'acciaio della lama e la pietra sotto i suoi piedi si frantumò.

D’istinto, affondò i talloni degli stivali nel terreno e si spinse indietro, evocando delle lingue di chakra ardente mentre cercava di battere la presa dei draghi di chakra che lo tenevano immobilizzato.

Non funzionò. Con un’esplosione metallica, la sua spada andò in frantumi e i draghi lo assaltarono subito dopo. E nonostante ogni allenamento, nonostante ogni disciplina a cui si era sottoposto negli ultimi anni, Shizuma lanciò un grido di dolore mentre le zanne e gli artigli di chakra penetrarono dentro lui. I draghi evocati dalle marionette lo trascinarono nella loro tempesta di distruzione, sollevandolo in aria e scaraventandolo in mezzo al campo di battaglia in rovina, facendolo schiantare su una duna distante. Il suo mondo esplose di dolore subito dopo, e gli occhi dell’Hoshigaki si ritrovarono misteriosamente a fissare un cielo azzurro privo di nuvole.

Quando si riprese, il suo corpo conobbe solo dolore. Gli ci volle quella che sembrò una seconda vita per fargli rendere conto che non era ancora morto. E allora, lo spadaccino si rialzò. Il suo onore gli esigeva di portare a termine il compito che Boruto aveva stabilito, e non poteva fallire per nessun motivo. Ansimando per il dolore, Shizuma si lanciò degli sguardi affannosi tutt’intorno.

Il campo di battaglia su cui gli eserciti stavano lottando era stata diviso in due parti. Nella prima parte, alla sua destra, Lucy e gli uomini che seguivano la sua stessa causa stavano lottando aspramente contro le linee di difesa nemiche, lanciando Jutsu a raffica contro le barriere di roccia e sabbia solida degli Shinobi avversari. A sinistra, invece, c’era un vero e proprio caos. Un derviscio indescrivibile di uomini, donne e soldati che combattevano in una mischia senza fine, versando fumi di sangue e urlando ferocemente grida che s’innalzavano al cielo in maniera raccapricciante. Tutta la distesa esterna delle dune era piena zeppa di cadaveri e persone intente a combattere fino alla morte. Era uno spettacolo raccapricciante.

La battaglia non era ancora vinta.

Fu appena si rese conto di quella consapevolezza che Shizuma si riscosse. Avanzò su gambe insensibili, i suoi piedi instabili, mentre scendeva lentamente dalla duna su cui era stato scagliato. Con una rotazione del polso, evocò una seconda spada, e la lama venne improvvisamente rivestita di chakra ed energia con un suo solo ordine mentale. Nessuno osò bloccare il suo passaggio. I pochi combattenti che incontrò sui suoi passi erano troppo impegnati a lottare con altri per curarsi di lui. Una o due volte, soltanto, qualche Shinobi più coraggioso si fece avanti per affrontarlo, solo per poi essere miserabilmente tranciato in due da un semplice affondo della sua lama.

Ancora una volta, l’Hoshigaki ritornò dinanzi al Kazekage. Ma, con suo sommo stupore, si rese conto che l’uomo non era più in condizioni di combattere. Kankuro era steso a terra, ansimante, con il volto spento e vuoto per lo sforzo, mentre un paio di ninja della Sabbia lo accerchiavano per proteggerlo da eventuali attacchi. Le sue marionette, a cento metri di distanza, giacevano a terra in un ammasso di detriti e pezzi distrutti. L’attacco di prima lo aveva prosciugato di tutte le energie.

E appena dedusse quella cosa, il mondo del mercenario si fermò. Aveva vinto, realizzò Shizuma. Eppure, non provava alcun senso di realizzazione. La sua vittoria era vuota, poiché non aveva veramente sconfitto il Kazekage. Era stato semplicemente più resistente di lui, tutto qui.

I ninja attorno a Kankuro ruotarono la testa verso di lui. "Cazzo! È ancora vivo!" gridò uno di loro tra respiri irregolari. "Uccidetelo, presto!"

Shizuma serrò i denti con rabbia. Non avrebbe potuto fermare la sua spada neanche se lo avesse voluto. Il suo braccio si mosse da solo, letteralmente, affettando e tranciando a metà tutte le guardie del Kage ancor prima che potessero fare una sola mossa contro di lui. Una pozza di sangue immensa si generò ai piedi del Kazekage, e quest’ultimo si rimise in ginocchio, ansimando con fatica e guardandolo negli occhi.

Il mercenario lo osservò con occhi glaciali, puntandogli la spada sotto al collo. “Muori,” dichiarò.

La sua spada gli recise la testa subito dopo.

E mentre il corpo del Kazekage crollava in una pozza di sangue senza gloria, Shizuma Hoshigaki sollevò lo sguardo verso il cielo. “È finita,” sospirò.

Eppure, invece, non finì affatto in quel modo. Di colpo, senza nessun preavviso, un’immensa esplosione scoppiò all’improvviso in quel momento, talmente potente e forte da far tremare il suolo come se ci fosse un terremoto. Shizuma sbatté le palpebre e trasalì, sconvolto, i suoi muscoli congelati come la pietra mentre lottava per restare in piedi, costringendosi a restare in equilibrio mentre una possente ondata di vento ed energia inondava ogni cosa in mezzo al campo di battaglia. Ai suoi piedi, buttato a terra in mezzo al sangue, il corpo del Kazekage sbalzò all’aria e rotolò nella sabbia lontano da lui.

"Shizuma!" gridò Lucy.

Girando rapidamente la testa, lo spadaccino vide la sua amica correre nella sua direzione. Le sue vesti erano sporche e rovinate, ma per il resto sembrava incolume. Lucy stava correndo all’impazzata verso da lui, il suo volto pallido e grondante di sudore, visibilmente più scossa del solito.

"Merda! Che cazzo è successo?" ringhiò Shizuma, provando in egual parte timore e orrore.

La giovane lo raggiunse a perdifiato, terrorizzata più che mai. "A-Abbiamo un… problema," lo informò semplicemente, ansimando.

"Un problema? Che cazzo stai dicendo? Ti ho chie-"

Non ebbe modo di aggiungere altro. In quel preciso momento, i suoi occhi notarono qualcosa dall’altra parte del campo di battaglia. Laggiù infatti, proprio nel bel mezzo delle linee del loro stesso esercito, una nuova figura era apparsa all’improvviso. La figura di un uomo rivestito da una cappa di chakra dorato e in fiamme, torreggiante sopra i cadaveri di decine di centinaia di soldati dell’Impero sparsi attorno a lui.

Shizuma trattenne pesantemente il fiato per l’orrore.

"…beh, merda," diede voce ai suoi pensieri Lucy, tremante. "Abbiamo ucciso il Kazekage… ma adesso dovremo vedercela con lui."

Il mercenario imprecò profumatamente. Perché, sì, quello era davvero un problema. Un enorme problema, anzi. Guardò oltre le spalle della bionda, osservando la metà del campo di battaglia che era stata coinvolta dall’esplosione. Ciò che vide non gli piacque per niente. L’intera metà del campo era stata rovinata. Dove prima si ergevano dune e dune di sabbia ininterrotta, adesso restavano solo rocce fuse e crateri immensi. Centinaia di cadaveri erano ammassati in ogni direzione. E i soldati dell’esercito ancora in vita, Shinobi e Guerrieri indistintamente, osservavano il punto dove si trovava quella figura coi volti ricolmi di terrore, sgomento, e paura.

Shizuma Hoshigaki sentì tutto il suo corpo cominciare a tremare.

Perché il loro peggior nemico di sempre, il Settimo Hokage, era arrivato sul campo di battaglia.
 







 

Note dell’autore!!!

Inizio col chiedervi scusa per il terribile ritardo nella pubblicazione di questo capitolo. Davvero, mi dispiace moltissimo per avervi fatto attendere tutto questo tempo. Sappiate solo che me ne sono successe di mille colori in questo periodo, di belle e di brutte, e che non ho avuto per niente tempo di scrivere o accedere al sito. Quindi vi chiedo solo di perdonarmi.

Passando al capitolo, adesso abbiamo visto la tanto attesa riunione tra Sarada e Hagoromo. Così come abbiamo intravisto l’inizio dell’assalto alla Terra del Vento già accennato due capitoli fa. La Quinta Guerra Mondiale è ufficialmente iniziata, e le cose, come potete vedere, non stanno andando molto bene per nessuno. Né per l’Impero, né per Naruto. Che cosa succederà nello scontro lo vedrete nella prossima puntata.

Ho voluto dare un ultimo momento di gloria a Kankuro, visto il ruolo che è stato costretto ad intraprendere dopo la morte di Gaara. Ovviamente però lo scontro non poteva essere epico o impattante, perché Kankuro non è un personaggio canonicamente molto potente... e per questo l'ho fatto combattere con un'altro personaggio medio come Shizuma. Ma c'è anche un altro motivo per cui ho deciso di mostrare l'Hoshigaki qui, e lo vederete in futuro. In questa storia, niente è lasciato al caso.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. I vostri pareri e le vostre opinioni sono ciò che mi spinge sempre a continuare a scrivere, anche nonostante le difficoltà, quindi mi farebbe un enorme piacere sapere cosa ne pensate della vicenda. Anche le critiche, positive o negative che siano, sono ben accette se costruttive e con un senso. Quindi, non abbiate timore di farmi sapere qualsiasi cosa vogliate dirmi.

Vi chiedo ancora scusa, e vi prometto che cercherò di pubblicare il prima possibile come sempre. A presto!

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Capitolo 25
*** Azione e Reazione ***


AZIONE E REAZIONE




05 Dicembre, 0021 AIT
Confine della Terra del Vento
07:13


Assalto dell’Impero per la Conquista della Terra del Vento

Era tra i ranghi del loro esercito. Era tra i fottuti ranghi del loro esercito! Cazzo, quella visione le fece raggelare il sangue nelle vene. Proprio adesso che stavano vincendo! Proprio adesso che avevano in pugno quegli schifosi Shinobi della Vento che vivevano in capanne di fango e sabbia, capaci a malapena di sopravvivere in quella terra desolata che chiamavano casa! Dannazione, questa non ci voleva. Stavano quasi per riuscire finalmente a conquistare la più debole delle Cinque Grandi Nazioni, e adesso tutto sarebbe andato a rotoli perché quel dannato mostro era comparso tra i ranghi del loro fottutissimo esercito!

I suoi occhi lo trovarono subito. Dopotutto, come potevano non notarlo? Il Settimo Hokage era lì, dall’altra parte del campo di battaglia, il suo corpo una saetta di fiamme e chakra, mentre scattava come un fulmine inarrestabile in mezzo alle file dell’esercito dell’Impero, annientando ed incapacitando orde su orde di soldati. Correva in tutte le direzioni come un forsennato, talmente veloce da apparire agli occhi solo come una saetta di luce sfuocata, gettando all’aria tutti coloro che si frapponevano a lui. Decine e decine di uomini e donne, per non dire centinaia, vennero sbaragliati in pochissimi secondi, senza avere nemmeno il tempo di reagire. Quell’uomo semplicemente avanzava, imperterrito, sferrando calci, pugni, zampate di chakra e mosse immobilizzanti che bloccavano qualunque tipo di contromisura. Tutti quelli che venivano investiti dalla sua carica crollavano semplicemente a terra, esausti o completamente privi di sensi. Era… spaventoso.

Un vero e proprio massacro senza sangue.

Lucy tremò, sentendo la sua paura aumentare. La loro situazione si stava ribaltando completamente, e tutto perché quel dannato Hokage era giunto lì per combatterli per conto della Sabbia. Di nuovo, per la seconda volta. Oh, quanto odiava questi Shinobi del Vento. Erano dei vigliacchi, dei deboli! Quell’uomo ed il resto dei suoi patetici Ninja avrebbero dovuto essere cancellati dalla faccia della Terra molto tempo fa.

Affianco a lei, Shizuma sbatté un piede per terra, innalzando una nuvola di sabbia. "Dov'è Boruto?!" chiese freneticamente. "Aveva detto che sarebbe venuto a supportarci subito dopo aver ucciso Orochimaru!"

La ragazza bionda quasi si rannicchiò davanti a lui per il timore. "M-Mitsuki e Kumo mi hanno contattata due minuti fa," balbettò, osservando l’anello sul suo dito che la teneva collegata alla loro dimensione artificiale dell’Occhio. "Boruto e gli altri non possono venire ad aiutarci. Si stanno ancora riprendendo dallo scontro di prima."

Shizuma ululò di rabbia e si tirò i capelli con le mani. L'aiuto che gli serviva così disperatamente non sarebbe giunto come sperava. Questo non era un bene. All'improvviso, un soldato del loro esercito li raggiunse di corsa dal fianco destro, fermandosi senza fiato dinanzi a loro mentre li salutava con la faccia rossa. "C-Comandante, signore!" si inchinò, rivolgendosi al mercenario. "Il nemico ha sfondato le nostre linee esterne e si sta muovendo per circondare questa posizione."

Quella notizia le fece accapponare la pelle. Shizuma sibilò di rabbia. Fu solo la mano di Lucy appoggiata alla sua spalla a trattenere la sua furia. "Dobbiamo far ritirare l’esercito ed andarcene," premette lei.

L’ex spadaccino della Nebbia vide rosso. "Assolutamente no!" urlò quello. "Gli ordini sono stati chiari, questa Nazione deve perire! Non possiamo arrenderci senza combattere! Non scapperò come un codardo!"

Lo sguardo che Lucy e il soldato gli rivolsero non sembrò piacere per niente all’Hoshigaki. Poteva vedere nei loro occhi il modo in cui lo compativano. Non ci credevano. Non credevano di poter combattere il nemico come ci credeva lui. E, in tutta onestà, lo spadaccino sapeva a sua volta che avevano ragione. Il Settimo Hokage era un mostro, un mostro ancor più potente di suo figlio. Non c’era essere umano a parte Boruto e Sasuke Uchiha che potesse sperare di combatterlo e vincere. Eppure, non potevano ritirarsi in quelle condizioni. Non quando la vittoria era così vicina. "Combattiamo fino all'ultimo!” dichiarò alla fine Shizuma. “Se necessario, useremo le cavie del progetto per riuscire a scappa-"

Un corpo avvolto in fuoco dorato cadde affianco a loro con un boato.

Lucy si gettò di lato, afferrando Shizuma con le braccia e sputando dalle labbra un fiume di fiamme ed esplosioni verso l’intruso mentre si allontanavano da lì. Il chakra della Tecnica di Fuoco riempì visibilmente ogni cosa con un bagliore accecante. Cancellò l’intera duna di sabbia, certo, ma né lei né Shizuma furono così sciocchi da credere che fosse finita. Non potevano lasciar andare l'Hokage senza controllo. Quest’ultimo, infatti, aveva resistito all’attacco, vestito con la sua fiammeggiante cappa dorata ed uno scudo di chakra nero davanti a sé, il suo viso cupo, fermo e pieno di determinazione. Otto piccole sfere nere gli volteggiavano sulle spalle a forma di cerchio.

Vedendolo in quel modo, con la sua Modalità Eremitica delle Sei Vie attivata, Lucy comprese subito che non poteva in nessun modo trattenersi. Erano da soli, adesso, contro quel mostro della natura. Erano esposti, vulnerabili, e l'Hokage ne stava approfittando mentre il resto delle loro forze combatteva gli ultimi Shinobi della Sabbia.

La bionda inspirò a pieni polmoni. KATON: Gōka Mekkyaku! (Arte della Fuoco: Grande Obliterazione delle Fiamme) urlò mentalmente. Non trattenne nemmeno un briciolo del suo potere mentre spingeva tutto il suo chakra nell’attacco. La pulsante marea di fuoco e calore che evocò col pensiero era così potente da non esserci nessuna differenza nella forza del bagliore pur avendo gli occhi chiusi o aperti. Udì la sabbia tremare sotto i suoi piedi mentre l’Hokage sfrecciava in avanti, fulmineo, puntando lo scudo nero dinanzi a sé e gettandosi nel bel mezzo della Tecnica. Un ronzio assordante riempì l'aria, e Lucy sentì il ruggito delle fiamme aumentare mentre si collegavano con la difesa nemica.

Poi, il bagliore si attenuò e un brivido le strisciò lungo la schiena quando l'Hokage emerse, illeso, dalle fiamme; il suo scudo di chakra nero che inghiottiva e dissolveva le fiamme come se fossero assolutamente innocue. La Tecnica si attenuò e si dissipò subito dopo, e il Settimo scomparve in una saetta di chakra dorato prima che qualcosa di duro le si schiantasse contro la schiena. Lucy urlò, stravolta dal dolore, e si schiantò contro una duna in lontananza mentre sentiva Shizuma gridare qualcosa. Il suo cranio sbatté su qualcosa di duro, la sua vista divenne bianca, e un ronzio assordante le riempì le orecchie per diverso tempo.

Poi, il suo mondo si oscurò, e la ragazza fu presa dal panico mentre veniva inghiottita completamente da quel chakra nero di prima. Urlò, sferzando i pugni in avanti, e colpì quell’ammasso scuro di chakra che era più duro della pietra. Inconsciamente, Lucy infuse chakra nel suo sistema, quel poco che le restava, e riuscì a generare un bagliore visibile di luce nel palmo della sua mano. E appena vide dove si trovava, la realizzazione la colpì in testa come un mattone pesantissimo.

Era stata catturata dalla sfera di chakra dell’Hokage.

La bionda urlò e sbatté i pugni contro la sua prigione.
 


Naruto fece un sorriso di trionfo, avvicinando a sé la Sfera dei Desideri con un comando mentale. Uno dei Kara era stato catturato. Adesso… toccava al secondo. Scoccò un’occhiata alla sua destra, verso un punto più lontano nel campo di battaglia. Laggiù, accanto al corpo senza testa di Kankuro, la sua preda successiva se ne restava immobile su gambe instabili, puntandogli contro uno spadone con braccia tremanti.

Quella visione gli riempì la mente con una rabbia smisurata. Sentì la furia di Kurama scorrergli nelle vene attraverso il loro legame condiviso, amplificando all’infinito il suo potere. Era arrivato troppo tardi, purtroppo. Kankuro era morto. Non era riuscito a salvarlo. Ma non avrebbe permesso ai suoi Shinobi, al suo Villaggio, alla sua Nazione, di finire distrutti per colpa della Rivoluzione. Non come era successo alla Nuvola e alla Roccia. Non più. Doveva fermare questa battaglia, e in fretta.

I suoi occhi bestiali si posarono sul mercenario, Shizuma Hoshigaki, assottigliandosi furiosamente. La Quinta Guerra Mondiale era ufficialmente iniziata. Per quanto odiasse ammetterlo, non poteva negare la realtà dei fatti. Ma questa volta… le cose sarebbero andate diversamente. Questa Guerra non sarebbe continuata come la precedente. Sarebbe stato difficile, sarebbe stato arduo, ma se ne sarebbe accertato personalmente. Non avrebbe più permesso a suo figlio e ai suoi amici criminali di devastare il mondo e la sua gente. Li avrebbe combattuti, uno per uno, e li avrebbe fermati a tutti i costi. Questa era una promessa, e Naruto Uzumaki non si rimangiava MAI le sue promesse. 

All'interno della prigione della sua Sfera dei Desideri, Lucy Heartphilia infuriava rabbiosamente. Naruto fece un gesto con la mano, e la sfera si trascinò dietro di lui come un essere senziente. I cloni che aveva sparso per il campo di battaglia stavano continuando ad arrestare ed immobilizzare il resto dell’esercito nemico. Ora non restava che catturare Shizuma, e poi la battaglia si sarebbe conclusa in suo favore. Il Villaggio della Sabbia sarebbe ormai rimasto senza potere senza più Kankuro a gestirlo, e la sua influenza sarebbe crollata in pochissimi giorni. Ma il Settimo non avrebbe lasciato che i suoi abitanti fossero massacrati – non per mano di suo figlio – e con la Terra del Vento abbandonata e la Nebbia come unica alleata della Foglia, non restava altra scelta che annientare l’Impero una volta per tutte. C'era anche la questione di scegliere un successore, un nuovo Kazekage che avesse potuto far risorgere la Sabbia come un tempo, ma quello era un problema da dover affrontare dopo.

In breve, adesso doveva concentrarsi sul suo prossimo obiettivo: fermare la Guerra. Il suo cuore si fece pesante a quel pensiero. Naruto odiava combattere. E, cielo, odiava ancora di più la Guerra. Nonostante avesse, di fatto, vinto questa battaglia, la Quinta Guerra Mondiale era tutt'altro che finita. Non poteva semplicemente ritirarsi e lasciare il Paese nel caos, soprattutto dopo l'assassinio di Gaara e Kankuro. Qualcuno doveva essere lasciato in carica, preferibilmente qualcuno in sintonia con gli ideali delle Nazioni Alleate. Naruto non aveva interesse ad occupare o conquistare il Paese. E, ancora, doveva accertarsi che l’esercito dell’Impero non tentasse nuovamente di assaltare di nuovo la Sabbia come adesso.

Ma i suoi pensieri vennero interrotti bruscamente non appena le sue abilità empatiche percepirono la minaccia incombente. Naruto si irrigidì, solenne, mentre più avanti Shizuma urlava e si avventava addosso a lui, brandendo lo spadone con le mani e caricando follemente con un ruggito ferale. Il Settimo non si mosse, né tentò di schivare. Semplicemente rimase immobile, afferrando la lama avversaria con una mano e distruggendola con una mera contrazione delle dita. Il mercenario dei Kara, quel folle, sgranò pateticamente gli occhi e si allontanò di colpo da lui, visibilmente spaventato.

Non fu la scelta migliore. Un comandante Jonin della Sabbia, Ittan – che era stato responsabile della difesa del Villaggio in tempi passati – si avventò improvvisamente su di lui alle sue spalle. Era stato un alleato prezioso durante la precedente guerra, aiutando a sigillare Sasori e salvando interi squadroni da Deidara con la sua padronanza dell’Arte della Terra. 

Shizuma, tuttavia, sembrò rendersi conto della minaccia, ruotando rapidamente verso il nemico e calciandolo in pieno petto prima che potesse essere colpito. Naruto ringhiò appena vide Ittan venire scagliato a terra, rotolando in mezzo alla sabbia. Non poteva distrarsi ulteriormente. Di questo passo, altre persone avrebbero potuto perdere la vita.

Naruto scattò, avanzando a passo rapido verso la preda. I combattimenti erano quasi finiti da entrambi i lati dei due eserciti. I soldati rimasti dell’Impero, cupi e dai volti tesi e spaventati, si erano riuniti in gruppi dispersi e stavano scappando verso la Terra del Ghiaccio, la loro nuova madrepatria. Erano sfregiati, insanguinati e sfiniti, e stavano disperatamente tentando di sfuggire ai suoi cloni che stavano disarmando sempre più i loro ranghi. Gli uomini e le donne della Sabbia, invece, erano meno numerosi e visibilmente più distrutti degli avversari, ma si tenevano con una rigida dignità ed un orgoglio che erano inflessibili come la pietra. Tutti gli occhi degli Shinobi si voltarono per guardare lui, mentre Naruto si avvicinava rapidamente all’Hoshigaki in fuga, con Lucy imprigionata all’interno della sfera al suo seguito. L’espressione di Shiuzuma divenne sempre più terrorizzata mano a mano che gli si avvicinava.

Tuttavia, mentre avanzava sulla sabbia, uno dei nemici che aveva catturato gli sputò addosso. Naruto lo schivò abilmente e si accigliò verso il prigioniero, fermando la sua corsa. "Non riuscirà a sconfiggere il nostro Impero," disse l'uomo a gran voce. "Uno Guerriero può cadere ed essere sostituito da un altro, ma lo spirito dell’Impero durerà in eterno."

Naruto annuì, incurante, e continuò ad avanzare verso lo spadaccino in fuga. Non si aspettava il rispetto di queste persone. Poteva capire le loro credenze, la loro filosofia, ma lui preferiva credere nella Volontà del Fuoco. Boruto era riuscito ad ottenere la loro lealtà, ma ben presto il suo Impero dittatoriale sarebbe giunto al termine. Non aveva senso discutere o esitare coi nemici come in passato. Naruto non avrebbe più commesso gli stessi errori precedenti.

Si voltò di nuovo, facendosi strada in mezzo al campo di battaglia sempre più spoglio e silenzioso, ma la visione che lo accolse in quel momento lo stupì non poco. I suoi occhi si sgranarono.

Shizuma Hoshigaki era scomparso. Non si trovava più in mezzo al campo di battaglia. Naruto assottigliò lo sguardo, immergendosi nelle sue abilità sensitive per riuscire a percepire la sua segnatura di chakra. Ma, esattamente com’era successo tutte le volte passate con Boruto e i suoi amici, i suoi sensi non trovarono nulla. Quell’uomo, in un modo o nell’altro, era riuscito a fuggire istantaneamente. Si era teletrasportato da qualche parte lontano da lì mentre lui era distratto.

Il Settimo sospirò, pesante, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa. Era stato così sicuro della vittoria da aver abbassato troppo la guardia. Ormai non c’era modo di ritracciare quel criminale. Sapeva che provare a cercarlo sarebbe stato inutile. Boruto e i suoi amici avevano preso dimora quasi sicuramente in una nuova dimensione esterna alla Terra. Senza Sasuke e il suo Rinnegan, trovarli e raggiugerli sarebbe stato impossibile.

I suoi occhi si posarono allora sulla Sfera dei Desideri che teneva imprigionata Lucy Heartphilia. La ragazza stava ancora lottando disperatamente per riuscire a liberarsi, sferrando una raffica di pugni rabbiosi addosso alla massa di chakra nero. Naruto sorrise tristemente. Sapeva che i suoi sforzi erano inutili. Le Sfere erano immuni ad ogni forma di Ninjutsu (Arte degli Shinobi). A meno che quella ragazza non conoscesse il Senjutsu (Arte Eremitica) o il Ninjutsu spazio-temporale, il rischio di fuggire era molto limitato.

Sospirando, Naruto fece guizzare una mano e la prigione si aprì di colpo con un sibilo. Lucy si riversò fuori dalla sfera e cadde sulla sabbia con un capitombolo, urlando per lo stupore. Cercò immediatamente di rimettersi in piedi e scappare, ma ogni sua speranza le morì dentro non appena si rese conto di trovarsi esattamente dinanzi a lui, fissandolo con un’espressione tesa e spaventata.

Naruto guardò la ragazza buttata ai suoi piedi con un volto indecifrabile. “Avete perso,” dichiarò semplicemente, la sua cappa di chakra che ardeva furiosamente attorno al suo corpo. “Arrenditi. Se collaborerai e mi dirai dove si trovano i tuoi amici, ti assicuro che non ti farò del male.”

La ragazza esitò, visibilmente terrorizzata a morte dalla sua figura imponente. Tuttavia, con suo enorme credito, alla fine si riscosse e lo fissò con freddezza, ringhiandogli contro con un cipiglio. "Potreste aver vinto una battaglia, Hokage-sama, ma non avete vinto la Guerra," gli sputò di rimando. "La Guerra è il vero motore di questo mondo. Può provare a fermarla con tutto ciò che vuole, ma alla fine non cambierà nulla. Noi non ci arrenderemo mai senza combattere."

Naruto sorrise tristemente e scosse la testa. Poi però si fermò di colpo, ammiccò con le palpebre, e sentì i suoi sensi e quelli di Kurama urlare dentro la sua testa. Trasalendo di scatto con tutto il corpo, si rese immediatamente conto che un’improvvisa segnatura di chakra gli si era lanciata addosso, rapida e veloce come poche. Davanti a lui, Lucy sembrò altrettanto sorpresa quanto lui. Tuttavia, prima che uno dei due potesse dire qualcosa, l’Hokage si voltò di scatto e vide che alle sue spalle un uomo gli stava balzando addosso con un grido disumano.

Il fuoco gli bruciò letteralmente nelle vene mentre Naruto sentì il suo corpo muoversi da solo. Il Settimo gridò, percependo l'ustionante chakra di Kurama che gli riempiva sempre di più i sensi. "Presta più attenzione, moccioso," borbottò la Volpe, ormai in possesso del suo corpo mentre con una mano teneva il braccio dell'assassino per il polso. Una lama nascosta si estendeva da un bracciale nascosto sotto di esso. "Quest’umano..." Kurama annusò, come se potesse fiutare l’aria anche dall'interno del suo corpo. "Non è normale."

"Non è normale?" ripeté il biondo. "Che cosa-"

La sensazione di puro, concentrato odio lo colpì all’improvviso. Un odio immenso e travolgente, talmente potente che Naruto si allontanò inconsciamente da esso, stralunato e sconvolto. Non aveva più sperimentato un’emozione negativa così forte da quando... da quando aveva lottato contro Kurama, prima che loro due avessero fatto pace. Eppure, quello che stava percependo adesso non era un odio contro il mondo, come era stato l'odio della Volpe, ma bensì un odio per sé stesso. Un odio così acuto e così pungente che Naruto si sentì come se gli avessero infilzato un kunai sul ventre.

Chakra nero, stucchevole e denso come catrame venne riversato ad ondate fuori dal corpo dall'assassino. La sua carne strisciò visibilmente mentre qualcosa di orribile e deforme si gonfiava e muoveva sotto la sua pelle; e sia Naruto che Kurama furono d'accordo nel rilasciare immediatamente la presa sull'uomo per evitare di toccare quel chakra disgustoso. Quest’ultimo grugnì e gemette, emettendo un suono orripilante come se fosse in un'agonia quasi repressa, con il suono di ossa che si spezzavano che risuonò nell’aria con forza. Poi, orribili sporgenze carnose spuntarono fuori dalla parte bassa della schiena dell'uomo, lunghe e di colore rosso-nero, con sottili appendici dentate dall’aspetto orripilante. Quella… Quella mostruosità – perché di mostruosità si trattava, dato che qualsiasi parvenza umana era stata deformata da quella creatura – divenne ancora più grande, raggiungendo i tre metri di dimensioni. Chiazze corazzate, rossicce e rubiconde, gli ricoprirono subito dopo il corpo, ed una testa bulbosa con due antenne spuntò fuori dal suo cranio.

Naruto rimase a bocca aperta per l'orrore mentre fissava quell’essere deforme, così come tutti coloro che si erano precipitati in suo aiuto. In un attimo, riuscì a comprendere tutta la profondità dell'odio della creatura, tutto il suo odio per sé stessa. Poteva sentirlo, poteva percepirlo acutamente grazie alle sue abilità empatiche, come se l'emozione venisse da lui stesso. La creatura odiava sé stessa. Odiava la mostruosità che era, e la vita che imitava. Voleva la morte, voleva morire, voleva essere liberata dal suo tormento.

Con un ruggito spaventoso, Kurama fu fin troppo felice di accontentarla. Ruggendo tutta la sua furia, il Kyuubi (Enneacoda) prese possesso del suo corpo e si scagliò ferocemente addosso alla bestia deforme, facendola a pezzi con zampate e colpi ferali e precisi. Naruto ebbe ben poco da dire in proposito, né poté criticare il suo amico per aver reagito così. Dopotutto, lui e la Volpe erano collegati. Probabilmente, Kurama vedeva una tale creatura come il più grande insulto ai Demoni codati che potesse esistere. L’Eremita li aveva generati con amore, ma questa creatura era stata creata – perché doveva essere stata creata – con un intento di male. Un desiderio di male nel cuore del suo creatore.

La Volpe non ci mise molto a distruggere quella bestia deforme, azzannandole furiosamente il cranio e strattonandole il collo con una ferocia animalesca. Il colpo mortale era stato rapido, spietato, privo di esitazione; e aveva liberato la creatura dalla sua sofferenza in meno di dieci secondi. Mentre essa moriva, la trasformazione terminò e Naruto ritornò in possesso del suo corpo, con un cadavere che lo fissava con occhi morti e spenti davanti a sé.

"Il tuo marmocchio," ringhiò Kurama, trattenendo a malapena la rabbia che gli scorreva furiosamente nelle vene. "Ha commesso un crimine contro la natura!"

Naruto ammiccò, stralunato e furioso, con la bocca aperta e i pugni serrati per l’orrore. Per diversi secondi, la sua mente si rifiutò di agire e farlo muovere, ancora troppo scossa dalla realizzazione di ciò che era successo. Poi, inconsciamente, la dura e terribile realtà dei fatti iniziò a farsi sempre più largo nella sua testa. Boruto, suo figlio… aveva creato un mostro. Peggio ancora, aveva creato un mostro e l’aveva sigillato all’interno di un essere umano. Aveva dato vita ad una forma raccapricciante e spaventosa di Demoni da usare nella sua guerra contro gli Shinobi.

Suo figlio aveva dato inizio ad una sperimentazione umana.

Il Settimo Hokage vide rosso per la rabbia.

Si voltò di scatto, imbestialito e furioso, rivolgendosi verso la ragazza che aveva catturato poco fa. Ma, ancora una volta, ciò che trovò non gli piacque per niente.

Nel punto dove fino a poco fa si trovava Lucy Heartphilia, adesso non restavano altro che sabbia e aria. La ragazza era sparita, esattamente come il suo compagno, senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio.

Naruto ruggì al cielo un grido rabbioso e bramante di vendetta.
 


05 Dicembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
08:10

“C-C’è mancato poco…”

Boruto esitò, fissando i suoi amici buttati a terra con uno sguardo teso e preoccupato mentre ansimavano e riprendevano fiato, visibilmente stravolti e sudati. Erano riusciti a scamparla – Boruto ringraziò qualsiasi divinità esistente per gli anelli che indossavano – ma avevano comunque corso un rischio enorme. Non erano molte le persone che potevano dire di essersi scontrate con il Settimo Hokage riuscendo a fuggire indenni. Accanto a lui, tutti quelli dell’Organizzazione si erano radunati a loro volta per accogliergli, i loro volti palesemente preoccupati mentre li studiavano con timore. A loro volta, Urahara e Toneri osservavano la scena più in disparte rispetto agli altri, le braccia incrociate e i loro volti insondabili.

“…state bene?” domandò alla fine Sora, incerto.

Lucy e Shizuma si voltarono lentamente con la testa verso di lui, ancora buttati a sedere a terra e con i loro volti congelati dalla paura. “S-S-Sì, stiamo bene,” sussurrò alla fine la ragazza bionda, tremando come una foglia. Fece diversi respiri profondi per cercare di calmarsi. “Siamo riusciti a scappare, dopotutto.”

Boruto, Mikasa e Sora si scambiarono un’occhiata silenziosa. “Ce la siamo vista brutta,” sospirò anche Shizuma a quel punto, rimettendosi lentamente in piedi, il suo tono più serio e basso del normale. “Davvero brutta. N-Non ho mai visto così tanto chakra in un corpo solo. Quell’uomo era mostruoso,” aggiunse subito dopo, ridacchiando nervosamente.

Boruto fece un passo in avanti, inginocchiandosi accanto a Lucy e mettendole una mano sulla spalla. Il Nukenin la guardò con evidente rammarico nel suo occhio sinistro. “Mi dispiace, ragazzi… non pensavo che il Settimo Hokage sarebbe giunto di nuovo nella Terra del Vento per proteggerla dall’assalto. La sua comparsa ci ha colti tutti alla sprovvista. I-Io… dopo lo scontro con Orochimaru ero troppo spossato, e avevo bisogno di riprendermi. Non avevo previsto un’eventualità simile. Mi… dispiace,” ammise vergognosamente a bassa voce, fissando a terra.

Lucy sospirò, rivolgendo al loro leader un sorriso pieno di sollievo. “…non importa. Siamo comunque riusciti a sfuggirgli, in un modo o nell’altro. Gli anelli di Mitsuki e Kumo ci hanno permesso di tornare qui senza problemi. Non devi sentirti in colpa per questo, Boruto. Davvero,” lo rassicurò lei, sincera.

Toneri inarcò un sopracciglio all’udire ciò. “Tuttavia, questo non è da te. Davvero non avevi previsto una mossa simile, Boruto?” domandò a quel punto, schietto e diretto come sempre.

Il giovane Uzumaki sospirò, rimettendosi in piedi e dando le spalle all’Otsutsuki. Offrì una mano a Lucy per aiutarla a risollevarsi da terra. “…non esattamente,” ammise alla fine, serrando un pugno. “Quando ho progettato l’attacco alla Sabbia, avevo sperato che la notizia della morte di Orochimaru avrebbe frenato l’Hokage dal lasciare la Foglia per un po' di tempo. Avevo sperato che con quella mossa si sarebbe preoccupato dell’incolumità del suo Paese, forzandolo a non lasciare i confini di Konoha per almeno un giorno. Per questo ho voluto uccidere quel viscido rettile subito prima dell’attacco. Eppure… questa strategia non ha funzionato.”

Urahara si portò una mano sul mento, la sua espressione più seria del solito. Fissò il suo allievo con uno sguardo accigliato. “…e perché credi che quell’uomo non abbia reagito secondo le tue previsioni?” domandò a sua volta.

Boruto esitò, incerto su cosa dire. Ma, con suo sommo stupore, fu qualcun altro a rispondere a quel quesito.

“È perché sta diventando disperato,” spiegò Shizuma, diretto. Tutti quanti si voltarono a fissare lo spadaccino a quel punto, i loro occhi sgranati e confusi. Il mercenario sospirò nel vedere le loro espressioni confuse. “Cosa? So ragionare anch’io, sapete? E poi, l’ho visto coi miei stessi occhi, durante la battaglia. Era nel suo sguardo. L’Hokage sta diventando sempre più disperato, e questo lo sta spingendo a compiere misure drastiche a sua volta. In un certo senso, sta iniziando a ragionare come te, Boruto.”

Il biondo lo guardò dritto negli occhi in silenzio, la sua espressione indecifrabile.

Shizuma lo guardò a sua volta, senza cedere quella sfida di sguardi. “Le azioni che hai recentemente compiuto lo stanno portando ad essere più diretto contro di noi,” continuò. “Sta diventando sempre più disperato pur di riuscire a fermarti. Di questo passo, se le cose continueranno così, diventerà capace di compiere l’impensabile pur di riuscire ad arrivare a noi.”

Lucy annuì lentamente. “L-Lo credo anch’io. Penso… Penso che il suo obiettivo sia scovare ognuno di noi ed affrontarci singolarmente. Vuole ucciderci – o meglio, catturarci – uno per uno, in modo da costringerti ad uscire allo scoperto,” aggiunse a sua volta, incerta.

Passarono diversi secondi di silenzio dopo quelle dichiarazioni di Lucy e Shizuma. Boruto serrò prepotentemente i pugni appena comprese la realtà dei fatti, il suo volto che diveniva una maschera di fredda e gelida furia. “…capisco,” sibilò, oscuro. “Vuole usare voi per arrivare a me. Ovunque io vi mandassi, qualunque cosa vi ordinassi di fare, appena lui vi percepirà giungerà immediatamente da voi per catturarvi e costringermi ad andare da lui.” La sua espressione divenne sempre più oscura e contorta mano a mano che realizzava come stavano le cose. “Avrei dovuto aspettarmelo da quel mostro. Un essere riprovevole come lui non sarebbe stato capace di fare di meno.”

Toneri lo squadrò attentamente. “Che cosa vuoi fare?”

Boruto non rispose subito, limitandosi a fissare al mondo con odio. Poi sospirò lentamente, rivolgendosi ai suoi amici e guardandoli tutti con decisione. “Da questo momento in poi, non vi manderò più da soli a combattere,” disse. “Qualunque missione affronterete, qualsiasi cosa dobbiate fare sulla Terra, io verrò con voi per proteggervi. Se quell’uomo pensa di potervi sottrarre da me per riuscire a ferirmi, si sbaglia di grosso.”

Sora, Mikasa, Juvia, Lucy e tutti gli altri si scambiarono un’occhiata confusa. “…quindi… non possiamo più tornare sulla Terra?” domandò Kairi, perplessa.

Con loro sommo sollievo, il biondo scosse la testa con semplicità. “Non ho detto questo. Sarete liberi di andare quando e dove volete. Ma ad una condizione: io dovrò essere sempre con voi. Che sia con un clone, con un sigillo speciale, o in qualsiasi altra maniera possibile, voi dovrete sempre essere in contatto diretto con me,” rispose.

Gray inarcò un sopracciglio all’udire la sua risposta. “Hai intenzione di farci da balia?” esclamò ironicamente.

Il Nukenin scosse nuovamente la testa. “Non proprio. Ma non posso permettere che voi andiate da soli e finiate per imbattervi nel Settimo. Sto solo dicendo che, da ora in avanti, tutti noi svolgeremo le nostre missioni insieme,” specificò, scrollando le spalle. Poi li guardò uno per uno con attenzione. “Non sarà poi così diverso da com’erano le cose in passato. E poi, in fondo, non è forse quello che volevate sin dall’inizio? Tornare ad agire assieme a me?”

Juvia annuì, parlando a nome di tutti. “D’accordo, per il momento faremo così. Vista la situazione attuale non abbiamo altra scelta, in fondo.”

“Infatti. O, almeno, così sarà fino a quando il Settimo non sarà morto,” li rassicurò ancora Boruto, sorridendo feralmente. “Fino ad allora, tutti voi agirete assieme a me come ai vecchi tempi. Ovviamente, però, chi non vuole venire con noi sarà libero di restarsene qui con gli altri.”

“Vuoi scherzare?” esclamò Shizuma, sbruffando sarcasticamente. “Finalmente avevamo un po' di azione. Col cazzo che ce ne restiamo fermi di nuovo.”

Sora gli lanciò un’occhiata saccente. “Ad essere sincero, credo che per voi due convenga restare qui durante la prossima missione,” disse, rivolgendosi al mercenario e Lucy. “Insomma, tra due giorni partiremo per combattere il Rokubi (Esacoda). E visto che oggi siete riusciti a scampare per miracolo dalle grinfie del Settimo, credo che dovreste riposarvi mentre noi ci occupiamo del resto. Meglio non rischiare, insomma.”

Quella dichiarazione fu accolta dal silenzio per diverso tempo.

Poi, come previsto, avvenne l’esplosione.

“CHE COSA?!” ruggì Shizuma, oltraggiato. “Mi prendi in giro? Non ci penso nemmeno! Se voi andate, veniamo anche noi!”

Boruto ridacchiò nel vedere la sua reazione. “Sora non ha tutti i torti, ragazzi…” argomentò seriamente.

L’occhiata feroce che gli rivolse il mercenario gli fece riconsiderare le sue parole. L’Hoshigaki fece per protestare, ma Lucy lo anticipò afferrando il braccio di Boruto e fissandolo con attenzione. “No, stavolta sono d’accordo con Shizuma,” disse a sua volta, decisa. “Boruto, hai detto che avremmo agito insieme, e così faremo. Non puoi negarcelo. Non dopo tutto quello che abbiamo passato quando abbiamo saputo della tua scomparsa.”

Boruto esitò visibilmente a quelle parole, incerto. Sapeva che Lucy aveva ragione, ma c’era comunque una parte di lui che preferiva lascarli qui nell’Occhio della Tempesta per proteggerli. Dopotutto, Lucy e Shizuma erano i membri più deboli – non voleva ammetterlo, ma era vero – del suo gruppo di amici. E nonostante la loro inesperienza e il loro carattere difficile, lui ci teneva a loro. Non voleva perderli. Non voleva metterli in pericolo. Soprattutto quando aveva rischiato di perderli per colpa di quel mostro che un tempo aveva chiamato padre. Non poteva permettere che una cosa del genere accadesse di nuovo. Per nessuna ragione al mondo.

Eppure, vedendo lo sguardo deciso e fermo con cui Lucy lo stava guardando, il giovane non riuscì a dire di no.

“…va bene, potrete venire con noi.” concesse loro, sospirando. Quella risposta li fece sorridere entrambi, prima che però aggiungesse: “Ma dovrete darvi da fare con l’addestramento se ne siete così decisi. Il Rokubi (Esacoda) è un avversario formidabile, e con le guardie che la Foglia gli ha concesso, sconfiggerlo e catturarlo sarà ancora più difficile rispetto alle missioni precedenti. Dovrete essere preparati a tutto.”

Shizuma sospirò a sua volta. “D’accordo, ci alleneremo a partire da domattina,” promise.

“Un momento,” la voce di Urahara li richiamò tutti a quel punto. Boruto si voltò verso il suo maestro con un sopracciglio alzato. “E cosa farete nel caso in cui il Settimo decidesse di raggiungervi anche lì? Di certo, adesso che sappiamo cos’ha in mente, non possiamo non tenere conto di un’eventualità simile,” obiettò l’uomo col cappello.

Per tutta risposta, il Nukenin sfoggiò un sorriso crudele sul suo volto sfigurato. “Non c’è problema, ho già un piano,” disse, fissando il mondo col suo occhio glaciale. “Dopotutto, anche se abbiamo perso l’occasione di distruggere la Terra del Vento a causa di quell’allocco, la sua comparsa nei confini della Sabbia potrebbe essere un vantaggio per noi.”

Tutti quanti lo guardarono con delle espressioni confuse dopo quel suo ragionamento. Shirou ammiccò. “In che senso?” chiese.

“Ho capito,” intervenne allora Toneri, sfoggiando un sorrisetto compiaciuto sulle labbra. “Hai intenzione di assaltare ancora la Terra del Vento, forzando l’Hokage a restarsene lì mentre voi combatterete indisturbati il Rokubi e la sua scorta,” dedusse, annuendo con comprensione. “Una mossa astuta.”

Boruto annuì di rimando. “Non ci lasceremo cogliere in trappola una seconda volta. Invierò un’altra parte dell’esercito nel Vento, forzando l’Hokage a mantenere la sua posizione nel Villaggio della Sabbia. Senza Shikamaru ed il Kazekage ad aiutarlo, quell’idiota non potrà far altro che restarsene fermo in difesa dei suoi alleati. E con un po' di fortuna, i nostri uomini dovranno limitarsi ad accerchiare i confini nemici, senza doverlo combattere ad ogni costo. E anche nel caso in cui dovessero essere catturati a loro volta, la loro perdita sarà comunque a nostro vantaggio. Ormai abbiamo risorse adeguate e in continua crescita, possiamo permetterci di perderne un po'.”

Urahara sospirò. “In effetti ha senso,” ammise. “Potrebbe funzionare.”

“Funzionerà,” dichiarò Sora a gran voce, guardando Boruto negli occhi e sfoggiando un sorrisetto confidente. “Faremo in modo che funzioni alla grande.”

Boruto e tutti gli altri si scambiarono un cenno deciso del capo. “Allora faremmo meglio a prepararci,” disse il Kurokage dell’Impero. “Abbiamo un nuovo Demone da catturare.”
 


06 Dicembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione

Città Capitale di Rikubetsu
19:45

Erano sotto copertura in territorio nemico, circondati da migliaia di uomini e donne che non desideravano altro che lui e la sua casa fossero distrutti, e pericolosamente vicini alla base operativa dove Boruto, il Kurokage dell’Impero, agiva indisturbato per complottare le sue prossime mosse. Non era una posizione molto sicura, la loro. Fu quindi con enorme sorpresa che Shikamaru aprì la porta dopo aver sentito bussare, trovandosi faccia a faccia con un volto familiare che non vedeva da tempo. I suoi occhi si sgranarono a dismisura mentre Sai gli sorrideva piacevolmente.

"U-Uh…" balbettò stupidamente il Nara.

"Yuki! È bello rivederti!" esclamò Sai, la sua voce falsamente affettuosa.

"Uh, sì, anche tu..." borbottò Shikamaru, con gli occhi che sfrecciavano in tutti gli angoli della strada alla ricerca delle guardie sempre vigili.

Sai lo afferrò per l'avambraccio e lo strinse in un rapido abbraccio. "Ikki," sussurrò, il suo tono così silenzioso che Shikamaru non era sicuro del fatto che avesse sentito la sua voce oppure un colpo di vento.

Il Nara riprese il contegno dopo un paio di secondi. "Entra, Ikki," disse alla fine, facendo cenno al suo compatriota di entrare in casa. Lì, almeno, non avrebbe dovuto preoccuparsi che le loro identità fossero esposte alle orecchie di qualche interessato.

Una volta dentro, Sai iniziò a cercare ciò che Shikamaru poteva solo supporre che fossero telecamere nascoste e microfoni. "Siamo al sicuro. Non c’è niente qui dentro," lo rassicurò lui.

Sai lo guardò. "Sei sicuro?" chiese.

"Sì" confermò Shikamaru. La loro squadra si era assicurata diverse volte che nessuno li stesse spiando o ascoltando durante il loro soggiorno all’interno della città-capitale dell’Impero. Ormai erano qui da diverso tempo, e sapevano quello che facevano.

"Bene," affermò allora Sai in modo uniforme, la sua espressione che da allegra divenne neutrale. Subito dopo, Ino, Choji e Sentoki sbucarono fuori dalla porta della stanza accanto. Tra i tre, la donna rimase decisamente più stupita degli altri. Rimase a bocca aperta non appena posò lo sguardo sul marito, sgranando gli occhi per lo shock. Poi, in meno di un secondo, si lanciò in uno sprint mentre saltava verso suo marito e lo abbracciava stretto.

Shikamaru distolse educatamente lo sguardo mentre i suoi amici si baciavano. Fu costretto a schiarirsi la gola, con forza, mentre il bacio si faceva più acceso. "Cosa ti porta qui, Sai?" chiese a quel punto, sapendo che Naruto non avrebbe mai inviato il suo miglior agente degli ANBU nella Terra del Gelo senza una buona ragione.

Sai, le guance colorate di rosa, tornò immediatamente serio e sobrio. "Abbiamo un problema," spiegò senza mezzi termini. "Come sapete già, abbiamo appreso che l'Organizzazione Kara sta per organizzare un attacco al Rokubi (Esacoda) e al Nanabi (Eptacoda), ma adesso c’è dell’altro. Abbiamo ricevuto un messaggio da parte di Konohamaru, Sakura e gli altri al fronte della Foglia. A quanto sembra, Boruto è sceso ancora una volta in campo ed è effettivamente riuscito ad uccidere Orochimaru dei Sannin."

Quella notizia fece trattenere il fiato a tutti tranne Sentoki, il quale si limitò a chiudere gli occhi con pesantezza. "Merda," imprecò Shikamaru, corrugando le sopracciglia con tensione. Quel piccolo bastardo stava diventando sempre più problematico. Non che fosse dispiaciuto per la morte del serpente, ovvio, ma la sua perdita era comunque svantaggiosa. Orochimaru sarebbe potuto essere un potente alleato da usare contro l’Impero.

Sai annuì gravemente. "Non è finita qui, purtroppo," continuò subito dopo. "Ieri mattina, l’esercito dell’Impero ha attaccato i confini della Terra del Vento. Appena l’abbiamo saputo, Naruto è partito per scendere in campo a sua volta, lasciando un clone nella Foglia. Grazie al suo intervento repentino la Sabbia è salva, ma Kankuro è stato ucciso in battaglia da Shizuma Hoshigaki e Lucy Heartphilia.”

Shikamaru, Ino e Choji serrarono impotentemente i pugni all’udire quella rivelazione, trattenendo a malapena la loro rabbia. Un altro dei loro amici era stato ucciso per mano di Boruto e dei suoi compagni. Per quanto ancora sarebbe andata avanti questa strage senza fine? Sentoki, come sempre, rimase fermo e con gli occhi chiusi.

Il comandante degli ANBU li guardò con attenzione e fredda solennità. “Adesso, Naruto vuole che tu e la tua squadra lo raggiungiate nella Terra del Vento e lo aiutate a formulare un piano di difesa per proteggere la Nazione. È di vitale importanza impedire che la Sabbia venga distrutta dall’Organizzazione Kara com’è già successo in passato con la Nuvola e la Roccia," spiegò, diretto e conciso.

Shikamaru sospirò pesantemente. Sì, poteva capire perché questa missione avesse preso la precedenza su ciò che stavano facendo nella Terra del Ghiaccio. L'idea di perdere un altro Villaggio per colpa di quella banda di criminali era inaccettabile. Una cosa del genere avrebbe ulteriormente distrutto l’equilibrio del mondo e fomentato la popolazione mondiale ad unirsi all’Impero. Perdere il Villaggio della Sabbia sarebbe stato di cattivo auspicio per ogni uomo, donna e bambino del continente. Il Nara annuì. "Va bene," concordò. "Abbiamo comunque raccolto abbastanza informazioni qui. Sarà un po' strano dover ripartire subito, quindi dovremo stare attenti per non destare sospetti."

Sai sorrise. "Non temere. Ho già preparato un'estrazione per tutti noi," lo rassicurò.

Shikamaru lanciò un’occhiata ad Ino, Choji e Sentoki, facendogli un impercettibile cenno col capo. Quelli annuirono tutti e tre di rimando, decisi e pronti quanto lui. Poi, il Nara chiuse gli occhi e si passò una mano nei capelli, sospirando con pesantezza. "Che seccatura."

Cavolo, quanto odiava la guerra.



 

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Capitolo 26
*** Ricambiare il Favore ***


RICAMBIARE IL FAVORE




 
WHAT HAVE YOU DONE NOW
(Within Temptation)

 
Would you mind if I hurt you?
Understand that I need to.
Wish I had other choices…
…Than to harm the one I love!

What have you done now?
 
I know I'd better stop trying,
You know that there's no denying,
I won't show mercy on you now.
I know I should stop believing,
I know, there's no retrieving,
It's over now, what have you done?
What have you done now?
 
I've been waiting for someone like you!
But now you are slipping away!
Why? Why does Fate make us suffer?
There's a curse between us, between me and you!
What have you done? What have you done?
What have you done now?

Would you mind if I killed you?
Would you mind if I tried to?
Cause you have turned into my worst enemy!
You carry hate that I don't feel!
It's over now, what have you done?
What have you done now!
 
I've been waiting for someone like you!
But now you are slipping away!
Why? Why does Fate make us suffer?
There's a curse between us, between me and you!
What have you done? What have you done?
What have you done now?

I will not fall, won't let it go.
We will be free when it ends.
 
I've been waiting for someone like you!
But now you are slipping away!
Why, why does Fate make us suffer?
There's a curse between us, between me and you!
Ti offenderesti se ti facessi del male?
Cerca di capire che ne ho bisogno.
Speravo di avere altre scelte…
…Invece di fare del male alla persona che amo!

Che cosa hai fatto adesso?
 
So che farei meglio a smettere di provare,
Sai che non c’è modo di negarlo,
Non ti mostrerò pietà ora.
So che dovrei smettere di credere,
So che non c’è niente da ricevere,
È finita adesso, che cosa hai fatto?
Che cosa hai fatto adesso?
 
Ho sempre aspettato qualcuno come te!
Ma adesso stai scivolando via!
Perché? Perché il Destino ci fa soffrire?
C’è una maledizione tra di noi, tra me e te!
Cosa hai fatto? Cosa hai fatto?
Che cosa hai fatto adesso?

Ti dispiacerebbe se ti uccidessi?
Ti dispiacerebbe se ci provassi?
Perché sei diventato il mio peggior nemico!
Tu diffondi l’odio che io non sento!
È finita adesso, cosa hai fatto?
Che cosa hai fatto adesso?
 
Ho sempre aspettato qualcuno come te!
Ma adesso stai scivolando via!
Perché? Perché il Destino ci fa soffrire?
C’è una maledizione tra di noi, tra me e te!
Cosa hai fatto? Cosa hai fatto?
Che cosa hai fatto adesso?

Io non cadrò, non lo lascerò andare.
Saremo liberi quando tutto questo finirà.
 
Ho sempre aspettato qualcuno come te!
Ma adesso stai scivolando via!
Perché? Perché il Destino ci fa soffrire?
C’è una maledizione tra di noi, tra me e te!
 


.

.

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FLASHBACK


05 Dicembre, 0021 AIT
Terra del Fuoco
Frontiera di Confine
00:30

Poco dopo l’assalto per l’assassinio di Orochimaru nella Terra dei Fiumi

Ogni singola cellula del suo corpo stava bruciando.

La ragazza ansimò, crollando pesantemente a terra, inalando profonde boccate d’aria dalle labbra. Sentì una goccia di sudore colarle dal mento, bagnando l’erba sotto di lei. Le sue braccia tremavano, la sua testa pulsava, ed il suo corpo grondava di sudore. Il silenzio che regnava nella foresta attorno a lei stava diventando sempre più inquietante, con soltanto il battito frenetico del suo cuore a tenerle compagnia in quel momento di agonizzante tensione.

Poi, piano piano, la sua mente iniziò a calmarsi sempre più.

Alcune immagini iniziarono a scorrerle dinanzi agli occhi. Immagini strane. Immagini di scenari che non aveva mai visto, quasi come visioni. Visoni di battaglie, morte, e sangue. Visioni di innumerevoli scenari, innominabili circostanze, e incalcolabili situazioni tutte in una volta. Talmente tante che la sua testa iniziò a dolere mano a mano che le registrava sempre più.

La ragazza si mise una mano sulla fronte, boccheggiando per la fatica. “C-Che cosa… mi hai fatto?” ansimò, lottando per tenere a bada quelle visioni.

Il suo interlocutore la guardò mentre lei se ne restava inginocchiata a terra, i suoi occhi viola che lampeggiavano di compassione. Hagoromo fece un sorriso sollevato. “Sembra che il tuo corpo si stia stabilizzando. È finalmente riuscito ad accettare il mio Potere.”

“Che… vuoi dire?” esalò la corvina.

“Devo chiederti di nuovo perdono, giovane Sarada,” si scusò l’anziano Otsutsuki. “Non volevo farti sperimentare un dolore simile, ma era inevitabile. Il Potere che ti ho ceduto non si adatta immediatamente al corpo del nuovo ospite. Tu possiedi gli occhi e le abilità del clan Uchiha, ma solo chi possiede i miei stessi geni è in grado di riceverlo senza subire danni. E anche se sei la figlia di Sasuke, colui che possiede l’anima di mio figlio Indra, sembra che il tuo corredo genetico non sia abbastanza vicino al mio per renderti predisposta a riceverlo senza fatica. Mi dispiace.”

La ragazza scosse la testa, riprendendo a poco a poco fiato, versando gocce di sudore da ogni poro. Si rimise goffamente in piedi aiutandosi con la mano dell’Eremita tesa verso di lei. “Almeno, ha funzionato?” domandò alla fine.

Hagormomo annuì, sorridente. “Hai assimilato il mio chakra senza problemi. Riesco a vederlo scorrere nel tuo corpo grazie al Rinnegan,” rispose.

Quella notizia le fece tirare un sospiro di sollievo. “Quindi… adesso potrò usare l’Arte Eremitica come te?” chiese ancora Sarada.

“Oh no, mia cara giovane,” argomentò subito l’Otsutsuki, il suo sorriso sempre più ampio. “Non è così che funziona. Il Potere che ti ho ceduto non è quello che in passato offrii a tuo padre su Eldia. La tua predisposizione genetica non sarebbe in grado di assimilarlo. No, il Potere che ti ho conferito è quello della Preveggenza,” esordì solennemente.

Sarada ammiccò confusamente all’udire ciò, la sua testa che si riempiva di incertezza e dubbi. “Preveggenza?” ripeté.

Hagoromo annuì. “Esatto. Bada bene, però, questo Potere ti renderà sicuramente più forte, agile e resistente di prima, certo, ma non si limita soltanto ad aumentare le tue prestazioni fisiche e mentali. Esso ti renderà anche in grado di vedere, prevedere, e simulare le mosse dei tuoi avversari,” spiegò con semplicità.

Sarada increspò le labbra, incredula. "Quindi mi stai dicendo che posso... vedere il futuro? " si azzardò a chiedere.

L’anziano essere ridacchiò sommessamente. "Oh, se solo esistesse un'abilità così potente," l’ammonì con divertimento. "No, non è così che funziona. Temo che la verità della questione sia molto meno affascinante di quel che pensi. Vedi, prima di essere un Eremita, io sono un pensatore. Molto, molto tempo fa, mi sono imbattuto in un dilemma mentre tentavo di svelare il mistero della creazione. La mia gente, gli Otsutsuki, non crede negli ‘dei’ come fate voi. Questo tuttavia ha messo a nudo la vera ed unica domanda che tutti ci poniamo: da dove veniamo e perché esistiamo?"

La giovane annuì e lo seguì col pensiero mentre parlava. Hagoromo sembrava sorprendentemente appassionato nella sua spiegazione.

"Stavo riflettendo su questo quesito inevitabile quando ebbi, improvvisamente, un'illuminazione," continuò quello. "Come tu ben sai, alcuni tra noi Otsutsuki possiedono la capacità di prevedere, in maniera molto limitata, il futuro. Le Profezie del nostro clan sono, in sostanza, lo svolgersi di questa nostra misteriosa abilità. Naturalmente, all’inizio avevo pensato che la nostra abilità profetica funzionasse allo stesso modo di una qualunque altra Tecnica. Pensavo che fosse una specie di… comprensione, diciamo… molto complessa degli eventi futuri, ma mi sbagliavo. Tutto è cambiato quando appresi il Ninshū ed iniziai a considerare la natura stessa della realtà. Forse, realizzai, la realtà dell’esistenza è molto più semplice di quanto potessimo pensare. Forse tutti noi ci troviamo semplicemente dentro ad un sogno. Un'illusione. Una simulazione, se vuoi. Dopotutto, la mia gente ha sicuramente sviluppato diverse Tecniche di natura simile, anche se molto, molto ridotte in scala ed energia."

Sarada deglutì. Poteva leggere tra le righe di quel discorso. Il Settimo le aveva detto abbastanza al riguardo: lo Tsukuyomi Infinito.

"Naturalmente, appena compresi questa cosa, mi allarmai molto al pensiero che potessi essere semplicemente una coscienza simulata, un semplice personaggio creato da un invisibile filo di chakra," disse gravemente Hagoromo. "Così, tramite il Ninshū, decisi di scoprire la verità della questione. Fu lì che appresi l’abilità della Preveggenza. Dimmi, mia giovane Sarada, sai qual è il punto debole di qualsiasi illusione, vero?"

Sarada si fece seria mentre deglutiva. "Devi crearla tu stesso. Se l’illusione non è abbastanza realistica, la vittima si renderà conto di essere ingannata e si libererà. Più dettagli aggiungi, più realistica è l'illusione, più chakra devi usare," rispose.

L’Eremita annuì, un sorriso compiaciuto sulle labbra. "Corretto, mia cara," si complimentò. "Creare un'illusione completamente impeccabile richiede un’immensa quantità di chakra, non è vero? Per cui, tutti noi tendiamo a prendere delle scorciatoie nell’arte del Genjutsu (Arte delle Illusioni)."

La giovane Uchiha annuì a sua volta. Comprese subito a cosa si stava riferendo l’anziano. "Basta non creare quei dettagli che è improbabile che la vittima veda fino a quando non abbia bisogno di vederli," riferì doverosamente.

"Precisamente," concordò Hagoromo. "Così, allo stesso modo, ho affrontato il problema di una realtà simulata in questa identica maniera. Se la realtà delle cose fosse davvero un'illusione – anche se incredibilmente avanzata e potente – avrebbe comunque dovuto possedere le stesse vulnerabilità di una qualsiasi altra illusione. Costringendo l'illusione ad ingrandirsi sempre più, e quindi usando sempre più chakra, speravo di raggiungere finalmente la soglia su cui l'illusione si sarebbe svelata, avrebbe commesso un errore, o si fosse distorta in qualche modo. Così, mentre tentavo di raggiungere questa scoperta, ho accidentalmente creato una nuova Tecnica: la Tecnica della Realtà Condivisa, l'apice della capacità predittiva dello Sharingan: una simulazione personale della realtà."

Sarada sbatté le palpebre con sgomento. "Quindi... il Potere che mi hai conferito… mi permette di simulare la realtà? È per questo che ho visto tutte quelle strane immagini prima?"

"Esatto," annuì l’Eremita. "Il nostro Potere è semplicemente una simulazione della realtà nata utilizzando la nostra conoscenza cumulativa della creazione. La mente mortale è in grado di conservare una grande quantità di informazioni inconsce. Basta semplicemente usare quei dati, e il chakra, per creare una simulazione. Fisica, astronomia, climatologia, chimica, biologia, economia, psicologia, sociologia e molto altro ancora… tutto può essere suddiviso in dati logici e matematici, per poi essere manipolato come meglio crediamo. Più dati abbiamo sulla persona e la situazione che vogliamo simulare, più accurata sarà la nostra simulazione. E, nel caso in cui avessimo pochi dati o addirittura nessuno... "

"…non vedremmo nulla," concluse Sarada.

Hagoromo sorrise con affetto. "Sì," disse. "Non vedremmo nulla. Sfortunatamente, come vedi, questo Potere non è perfetto. Alcuni esseri, alcune cose, alcune persone… sfidano semplicemente tutta la logica della comprensione. La simulazione non può ricreare le loro azioni, anche se possiamo creare una simulazione della simulazione delle loro azioni. Una soluzione intelligente, anche se imprecisa, che ho escogitato per questa mancanza fatale."

"Che tipo di cose non possiamo simulare?" premette Sarada. Se doveva sfruttare questa abilità in battaglia, allora doveva conoscerne appieno ogni minimo dettaglio. Non poteva ignorare nessuna debolezza, nessun difetto, se voleva realmente sconfiggere Boruto.

"Dipende," rispose l’anziano Otsutsuki. "Per me c'è molto poco che non posso simulare, grazie alla mia comprensione del Ninshū e del Cerchio. Sono pochissimi gli esseri che non posso simulare. Vrangr, ad esempio, fu una di queste eccezioni. Così come gli Otsutsuki più potenti, o quegli esseri che ancora non conosco e su cui non ho alcun dato di conoscenza. Esistono alcune Tecniche, inoltre, che sfidano la comprensione mentale. Tecniche che vanno oltre la spirale della logica o che sono così caotiche nella loro natura che nemmeno il loro possessore le capisce pienamente. Cose di questo genere non possono essere simulate, e quindi, non possiamo prevederne l’esito. Per te, tuttavia… immagino che ci sarà molto a cui sarai esposta e che non sarai in grado di simulare facilmente."

Quella spiegazione la lasciò abbastanza basita. “Ma… sarò comunque in grado di simulare Boruto? Sarò in grado di prevedere le sue azioni?” esclamò Sarada, incerta.

“Oh, assolutamente,” la rassicurò prontamente Hagoromo, facendo un cenno sicuro col capo. “Tu sei la persona che lo conosce meglio, giovane Sarada. Tra tutti gli esseri umani, tu sei quella che lo comprende di più. Non avrai problemi a prevedere le sue mosse, ne sono certo. Fidati, è per questo che ho scelto proprio te per questo incarico.”

La ragazza era ancora incerta. “Ma… credi davvero che… io sia la persona adatta a farlo?” domandò, abbassando la testa.

“…Sarada,” l’Eremita le si portò davanti, fissandola negli occhi con uno sguardo serio e deciso come non mai. “Tu sei l’unica persona che può farlo.”

Sarada sgranò gli occhi, sconvolta, sentendo il fiato lasciarle i polmoni di colpo. Poi però annuì, sentendo la sua determinazione rinascere, con un piccolo sorriso speranzoso che le incurvava le labbra. Sì, non c’era bisogno di esitare. In tutta onestà, l’Eremita aveva ragione. Non c’era nessuno che comprendeva e conosceva quel biondino meglio di lei. Non dopo tutto quello che aveva visto, tutto quello che aveva appreso, e tutto quello che aveva passato assieme a lui su Eldia. Se c’era una persona che poteva leggere Boruto Uzumaki più di chiunque altro, quella era lei.

E questa era la sua occasione per dimostrarlo.

"Capisco," sospirò alla fine, decisa più che mai. Poi inarcò confusamente un sopracciglio. "Però aspetta… alla fine hai mai capito se viviamo realmente in un sogno?"

Hagoromo scoppiò a ridere dopo quella domanda inaspettata, scuotendo leggermente la testa. "Ahimè, non c’è modo di scoprirlo," rispose con divertimento. "Ma credo sia sicuro poter affermare di no. Ho spinto i limiti delle mie simulazioni abbastanza a fondo nei miei studi passati.  Avrei dovuto vedere qualche malfunzionamento nell'illusione, se così fosse."

La giovane Uchiha sospirò, sollevata da quella rassicurazione. Vivere con il dubbio di essere intrappolati in una gigantesca illusione invisibile non sarebbe stato un pensiero piacevole per nessuno. “Quindi, cosa devo fare per attivare questo Potere?” chiese ancora, tornando seria come prima.

L’anziano Otsutsuki si limitò a guardarla con divertimento. “Ti basterà attivare i tuoi occhi per comprenderlo,” rispose. “E una volta immersa nella battaglia, concentrati su Boruto. Pensa a tutto ciò che sai su di lui, alle sue azioni, alle vostre esperienze passate, a ciò che vi lega…tutto. Tutto ciò che sai su di lui. E così facendo, sarai in grado di prevedere quasi tutte le mosse che tenterà di attuare per sconfiggerti, permettendoti di reagire di conseguenza e contrastarlo.”

Sarada annuì, riflettendo ad alta voce. “…wow. Detto così, sembra davvero come essere in grado di leggergli il futuro,” commentò.

“Ammetto che hai ragione,” le concesse lui, sorridendo. “Ma sii consapevole che non funziona così. Il Potere della Preveggenza è basato sulla conoscenza. È come il Ninshū, in certo senso. Pensare il pensare dell’avversario, conoscere le sue azioni, i suoi modi di agire, i suoi impulsi, le sue reazioni… è l’insieme della conoscenza dell’avversario che ti permetterà di prevederne le mosse. Non dimenticarlo mai, Sarada.”

L’Uchiha sorrise, facendo un cenno deciso con il capo. “Lo farò, grazie,” promise.

L’Eremita delle Sei vie annuì a sua volta. Poi si voltò verso destra. “Dovresti andare, adesso,” disse all’improvviso, il suo sguardo puntato verso il punto in cui si trovava l’accampamento da cui si erano allontanati. “Gli altri si saranno resi conto della tua assenza, ormai. Meglio non destare troppo i loro sospetti.”

Sarada annuì con un cenno del capo.


FINE FLASHBACK
 


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06 Dicembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
21:00

Boruto rilesse il rapporto per la decima volta, quasi guardando attraverso il pezzo di pergamena che gli stava davanti. Dopo tutti questi giorni di ricerche, Kumo e il suo esercito di marionette umane avevano finalmente scoperto la posizione del Rokubi (Esacoda). Il che sarebbe stato un evento degno di lode… se solo non fosse stato per un piccolo particolare che andava a complicare enormemente la situazione.

I suoi vecchi compagni della Foglia – Shikadai, Sumire, Inojin e Chocho, assieme anche a Sakura, Konohamaru, e persino sua sorella Himawari – erano stati scelti per proteggere i Cercoteri dalle sue intenzioni nefaste.

Tuttavia, se lo aspettava. Aveva previsto un’eventualità del genere. Così come aveva previsto anche il ritorno in scena di Sarada. Era ovvio che la sua vecchia – ed unica, ormai – amica nel Villaggio si sarebbe arruolata a sua volta per combattere contro di lui. E qui risiedeva il suo vero problema: doveva escogitare qualcosa per contrastarla. Boruto non poteva mentire a sé stesso, non poteva prendersi in giro. Non voleva combatterla. Sarada era, per quanto odiasse ammetterlo, una persona a cui teneva. L’unica persona che, assieme a lui, era riuscita a sopravvivere alla Battaglia di Eldia. Era inevitabile che dopo aver passato insieme un’avventura del genere – senza poi contare tutte le loro precedenti esperienze – lui e lei fossero riusciti a sviluppare una sorta d’intimità e affetto distorti. E questo era un problema.

Se Boruto non avesse avuto la forza di eliminarla, le cose si sarebbero potute complicare enormemente per i suoi piani.

Il biondo si accigliò a quel pensiero. Posò la pergamena, sospirando, e si mise a riflettere silenziosamente. Il suo obiettivo era lì, davanti a lui, diretto e chiaro, ma lui si trovava ancora una volta dinanzi ad un bivio. E, esattamente come tutte le altre volte, doveva scegliere quale strada percorrere per raggiungerlo. A sinistra: la ritirata. Poteva abbandonare il suo intento di liberare il mondo dal circolo vizioso di odio generato dai Bijuu (Cercoteri). Poteva evitare di scendere in campo, abbandonando la missione ed ignorando la cattura del Demone. A destra, invece... poteva far scattare la trappola. Poteva scendere in campo, decimare le difese nemiche, e affrontare la sua vecchia amica. I suoi ex compagni erano forti, non poteva negarlo, ma lui era Boruto Uzumaki, il Kurokage dell’Impero, il Nukenin più potente e famoso mai esistito sulla faccia della Terra, il Dio del Fulmine: adirato, travolgente, inarrestabile. Anche se i suoi nemici sapevano che sarebbe arrivato, non potevano fare nulla per fermarlo. Avrebbero potuto solamente tremare. Difronte al potere travolgente che aveva accumulato ed ottenuto nel corso della sua vita, tutto ciò che i suoi vecchi amici potevano fare contro di lui era rannicchiarsi e nascondersi.

No, decise alla fine Boruto. Questa volta non ci sarebbe stato alcun freno. Sarada andava fermata, in un modo o nell’altro, e lui non poteva permettersi di ignorare la minaccia che la sua presenza costituiva per i suoi piani. Doveva scendere in campo e sconfiggerla una volta per tutte. E lo stesso valeva per Himawari e Shikadai. Quei due erano, a loro volta, pericolosi. Si erano dimostrati degni di affrontarlo, rivelandosi delle fastidiosissime spine nel fianco e degli ostacoli da eliminare per la salvaguardia del suo futuro di pace, ordine e stabilità globali. E, esattamente come Kakashi, Tsunade e tutti i Kage prima di loro, anche quei due avrebbero dovuto essere rimossi dai giochi se voleva realizzare il suo sogno.

Il Nukenin sorrise e raggiunse la postazione dove lo stavano aspettando tutti gli altri.

Mikasa lo guardò con solennità. "È una trappola e tu lo sai, Boruto," disse fermamente.

Quello la guardò di sbieco, facendo un cenno col capo. "Lo so," rispose.

I Kara si scoccarono un’occhiata tesa tra di loro. "Qual è la prossima mossa, allora?" domandò Juvia.

Boruto fece una pausa, restando in piedi per l’ultima volta davanti al bivio. Era giunto il momento di scegliere. Sinistra o destra? Questa era la vera domanda.

Prese la sua decisione.

"Facciamo scattare la trappola," decretò alla fine.

Il Nukenin vide i suoi amici annuire, preparandosi mentalmente allo scontro. Sarada e gli altri avrebbero potuto attirarli in una trappola, ma Boruto era determinato a fargliela pagare per questo con ogni singola goccia del loro sangue. Non erano gli unici, dopotutto, che avevano avuto il tempo di formulare una strategia prima della battaglia.

E adesso, era giunto il momento di mettere alla prova le loro strategie nei fuochi della Guerra.
 


06 Dicembre, 0021 AIT
Terra dei Fiumi
Nascondiglio Segreto di Saiken
21:00

Sarada ansimò, soffocando un gemito nella sua gola mentre si svegliava di scatto dal sonno. Il suo Sharingan Ipnotico si attivò, da solo, mostrandosi al mondo e scrutando ogni cosa col suo sguardo ardente e minaccioso. Il tempo si piegò dinanzi ai suoi occhi, sottomesso e penitente, e i fili delle sue simulazioni si dipanarono e si riformarono. Il suo nuovo Potere – quello che l’Eremita le aveva ceduto qualche giorno prima, lei lo comprese subito – si era attivato improvvisamente. Le porte della sua mente si chiusero, e le porte del futuro si aprirono dinanzi a lei… permettendole di vedere e comprendere. Così, lei vide, e comprese, e conobbe. E quello che vide, comprese e conobbe non le piacque per niente.

Nove persone – l’Organizzazione Kara al suo completo – avevano preso le loro scelte future. La pressione sulla sua vista aumentò, e i suoi occhi rossi fiammeggiarono mentre ogni futuro, ogni possibilità, ogni simulazione diventava sempre più chiara dinanzi a lei, mentre Boruto cresceva sempre più disperato e selvaggio. E Sarada comprese, in quell’istante, ciò che stava per accadere.

Il futuro era in moto, e spettava a lei guidare tutti attraverso le sue acque turbolente.

Vide, previde e conobbe tutti gli scenari. Tutte le infinite circostanze, possibilità e occasioni che sarebbero potute avvenire. Ogni eventualità, ogni strategia, ogni variabile… ogni cosa si rivelò dinanzi alla vista del suo Sharingan, riempiendola di sapere, di conoscenza, di decisione. Ogni mossa del suo avversario le entrò meccanicamente dentro la testa, rendendola pronta a ricevere i suoi colpi, e a ricambiarli con la stessa moneta.

Sarada Uchiha comprese ciò che stava per accadere.

"Mezzogiorno," intonò alla fine. Gli altri, riuniti attorno al fuoco, alzarono bruscamente lo sguardo su di lei. "Boruto ci attaccherà qui domani, a mezzogiorno, con l'intera Organizzazione Kara al suo seguito."

Sua madre, così come tutti gli altri, la guardò con gli occhi e la bocca spalancati. “C-Come fai a saperlo?” domandò.

La ragazza la guardò con determinazione. “…intuito,” mentì, decisa più che mai. Non aveva ancora detto a nessuno del suo incontro con Hagoromo e del Potere che le aveva offerto. Nessuno doveva saperlo. L’Eremita gliel’aveva espressamente detto molte volte. “Domani a mezzogiorno… noi saremo attaccati.”

Gli altri sembrarono accettare la sua risposta senza troppe domande. Ovviamente però, il panico prese a mostrarsi nei volti di tutti immediatamente dopo.

Shikadai imprecò profumatamente. L’Uchiha lo vide iniziare a formulare piani e strategie assieme a Konohamaru e al resto della squadra. Sarada lo ignorò: qualsiasi cosa stessero per dire e fare sarebbe comunque stata messa a nudo dalla sua nuova Abilità Oculare. Lei aveva un compito molto più grave e più importante a cui pensare: sconfiggere Boruto e i suoi amici. Se quello che L’Eremita delle Sei vie le aveva detto era vero, cosa che Sarada credeva fermamente, allora l'imminente guerra tra l'umanità e gli Otsutsuki sarebbe stata la loro fine. Se Boruto non fosse stato sconfitto prima di allora, la Terra e tutti i suoi abitanti sarebbero morti senza alcuna speranza di salvezza.

Per questo motivo, il suo vecchio amico andava fermato. Sarada non avrebbe permesso a Boruto di catturare gli altri Demoni codati. Non più, almeno. Adesso che aveva i mezzi, adesso che aveva il Potere per fermarlo… lei lo avrebbe fermato. Avrebbe arrestato i suoi progressi, lo avrebbe rallentato, ma non lo avrebbe ucciso. Non lo avrebbe catturato. Bolt aveva il suo ruolo da assumere nella scacchiera del mondo, e doveva intraprenderlo a tutti i costi, volente o nolente. Sarada sapeva che ucciderlo o catturarlo sarebbe stato inutile… doveva essere fermato. E Sarada lo avrebbe fatto. Avrebbe fatto il doppio gioco, assicurandosi che i suoi amici riuscissero a cavarsela dalle grinfie dei nemici, ed allo stesso tempo impedendo a Boruto di avanzare verso il suo obiettivo. Avrebbe ingannato entrambe le fazioni, amici e nemici, facendoli agire esattamente come voleva. E nessuna delle due parti avrebbe mai saputo che non avrebbero fatto altro che ballare nel palmo della sua mano.

Questo era il Potere che l’Eremita le aveva conferito.

Ed era questo che significava essere Hokage. Sopportare gli oneri che gli altri non potevano sopportare. Resistere quando nessuno avrebbe resistito. Sacrificarsi per coloro che non potevano farlo. La persona che poteva compiere queste cose, sarebbe stata Hokage.

Sarada sarebbe stata quella persona. Lo aveva già deciso. Avrebbe fatto ciò che era necessario a qualunque costo. E questa volta, se necessario, lo avrebbe dimostrato al mondo intero. Per quanto benevolo fosse il Settimo Hokage, per quanto astuti potessero essere Shikadai e suo padre, Sarada non poteva affidare a loro il futuro del mondo.

Non quando i suoi occhi trafiggevano il velo del futuro, vedendo l'apocalisse che si profilava davanti a loro.

No, se l'umanità voleva avere una possibilità di sopravvivenza, Sarada sapeva che doveva essere perfetta. Doveva essere la mano guida, il burattinaio dietro la scena, il maestro di scacchi che muoveva ogni pezzo secondo una grande strategia che solo lei conosceva. Era l'unica che poteva farlo. Qualcun altro avrebbe vacillato, avrebbe sbagliato. In questo, lei era da sola. L’Eremita glielo aveva detto molto bene.

Sarada non poteva permettersi di fallire.

"Avremo bisogno di Himawari," disse ancora alla sua squadra.

Shikadai fece una pausa e si voltò verso di lei, le sopracciglia assottigliate mentre pensava. "Le ci vorrà del tempo per arrivare qui da dove si trova il Nanabi (Eptacoda). Potrebbe anche non arrivare in tempo per la battaglia. Sei sicura che avremo bisogno di lei?" chiese, completamente serio.

Sarada annuì, i suoi occhi che seguivano i fili invisibili delle sue simulazioni. Vero, Himawari non sarebbe arrivata in tempo per la battaglia, ma sarebbe stata indispensabile per quello che sarebbe successo dopo. Non poteva mancare in nessun caso. "Sì," confermò.

Ci furono diversi cenni di assenso. "D’accordo," esclamò Konohamaru. Lui e il resto della loro squadra si voltarono per guardare il gigantesco corpo mostruoso del Rokubi (Esacoda) che incombeva sopra di loro. "Ehm, Saiken, potresti per favore-"

"Certo," concesse loro il Demone, mettendosi in posizione meditativa. Sarada si allontanò da una colata di melma che era pericolosamente vicina a caderle addosso dal corpo della lumaca. "Fatto. Chōmei ha passato il vostro messaggio ad Himawari. Si metterà in viaggio il prima possibile."

Tutti quanti fecero un cenno col capo. "Grazie," si inchinò Konohamaru. Sarada mormorò la sua gratitudine insieme alla sua squadra. Non si sentiva ancora a proprio agio all'idea che i Bijuu fossero intelligenti come un essere umano, ma dedusse che fosse meglio di niente. Così almeno Saiken si sarebbe potuto difendere da solo in caso di estrema necessità.

La notte fu tranquilla dopo quegli eventi. Nient'altro che il suono di grilli cinguettanti e acqua gorgogliante. In alto, il cielo notturno brillava di mille stelle e colori. Appena visibile, invece, era la luna, quasi completamente oscurata dal buio dello spazio infinito nel cielo.

Sarada chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, preparandosi mentalmente a ciò che stava per avvenire. L’indomani, lei e tutti i suoi compagni sarebbero stati testimoni dell'ennesima battaglia per il futuro del loro pianeta.
 

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07 Dicembre, 0021 AIT
Terra dei Fiumi, Valle senza Nome
Nascondiglio Segreto di Saiken
12:00


BATTAGLIA PER LA CATTURA DI SAIKEN, IL DEMONE LUMACA ESACODA
 
Il luogo che avevano scelto come nascondiglio non era un granché, decise Sumire. Una misera valle profonda nel bel mezzo della Terra dei Fiumi, immersa in una foresta tropicale che la circondava da tutti i lati. Innumerevoli animali, piante e forme di vita strane abitavano quella zona disabitata del Paese, ma nonostante fosse pieno giorno, il silenzio era, ironicamente, assoluto. Nemmeno gli uccelli si sentivano cantare in quell’occasione.

Era quasi come se il mondo intero si fosse fermato, in attesa di qualcosa di terribile.

Sumire tremolò, camminando nervosamente in tondo nel mezzo del fondo della valle. Non era l’unica ad essere agitata. La loro intera squadra riusciva a malapena ad aspettare in silenzio, figuriamoci a rimanere ferma. Il sole ardeva sempre più in alto nel cielo, e il tempo si faceva sempre più avanti. Sarada, invece, rimaneva irremovibile nella sua convinzione: Boruto avrebbe attaccato a mezzogiorno. Che, a suo avviso, era a pochi minuti di distanza. Ancora pochi minuti prima di doversi trovare ancora una volta faccia a faccia con il suo vecchio amico. Nonostante la tensione, Sumire sorrise a quel pensiero.

Li sentì ancora prima che arrivassero. Pur non essendo un sensore, Sumire poteva percepire il modo in cui il chakra attorno a loro si separava di colpo. E, nel vuoto della sua scia, lo spazio iniziò a avvolgersi su sé stesso. Si protese in profondità dentro di sé, preparandosi alla battaglia, attingendo alle sue riserve più profonde e lasciando che l'energia la riempisse del suo potere. Anni e anni di allenamento e pratica l’avevano resa più forte, più agile di quanto non fosse mai stata prima d’ora. E adesso era semplicemente giunto il momento di dimostrarlo anche ai loro avversari.

Boruto Uzumaki, leader dei Kara e Kurokage dell’Impero, fu il primo a sbucare fuori dal vortice oscuro. Era vestito con abiti neri ed una cappa grigiastra, serio, deciso e pronto ad attaccare. Sumire sentì, più che vide, la sua squadra scivolare nelle proprie posizioni di difesa. L’occhio sinistro di Boruto, azzurro e freddo come il ghiaccio più gelido, cadde su di lei e Sumire rabbrividì. Poi, dopo un solo secondo, apparvero dietro di lui altre otto figure vestite di nero.

Mikasa Ackerman. Sora Hikari. Gray Fullbuster. Juvia Lockheart. Shirou Emiya. Kairi Uzumaki. Shizuma Hoshigaki. Lucy Heartphilia.

Tutta l’Organizzazione Kara era giunta al completo dinanzi a loro.

Sumire sentì il terrore iniziare ad azzannarle il cuore con prepotenza.

"Aspettate!" gridò Konohamaru, e tutti gli occhi sul campo di battaglia caddero su di lui.

La ragazza vide Chocho, Shikadai e Inojin portarsi un po' più vicini al suo ex maestro per difenderlo. Il giovane Sarutobi sollevò una pergamena accartocciata, fece una pausa, e poi la scagliò verso lo spadaccino dai capelli biondi. Prima ancora che potesse avvicinarsi ad esso, una catena di chakra nero fiammeggiante trafisse la pergamena. Sumire e tutti i presenti guardarono il Nukenin mentre esso agitava un dito e la catena si ritirava, afferrando il rotolo di carta con una mano.

"È un messaggio da parte del Settimo Hokage,” spiegò Sakura Haruno, la madre di Sarada.

Boruto inclinò la testa, confuso, prima di passare pigramente la pergamena a Mikasa. Nel momento in cui il rotolo accartocciato toccò la mano della donna, esso scomparve all’improvviso in una nuvola di fumo. Sumire inspirò istintivamente mentre l'aria si riempiva di un odore pungente e dolce: ozono. Un lampo elettrico guizzò dai capelli del Nukenin subito dopo.

"Prima di iniziare," disse coraggiosamente Shikadai – o forse, anzi, stupidamente. "Voglio farti una domanda, Boruto."

"Sono venuto qui per combattere, non per parlare, Shikadai," intonò gravemente quello. Sumire fece lentamente un passo indietro mentre la pelle del biondo iniziava a brillare di un debole bagliore bianco-blu.

Shikadai lo ignorò. "Mio padre mi ha detto alcune cose dopo la tua fuga dal Summit," spiegò solennemente. "Mi ha detto che ogni Ninja, per te, era come una semplice pedina su una scacchiera. Tutti quanti, noi compresi, avevamo i nostri ruoli da interpretare. Tsunade-sama, Gaara-sama, Kakashi-sama…" Sumire, Sarada e tutti gli altri non mancarono di notare il modo in cui il volto di Boruto si contrasse alla menzione di quei nomi. "Hanno avuto il loro ruolo da svolgere e noi abbiamo avuto il nostro. Quindi voglio chiedertelo direttamente: chi pensi che sia il 'Re' della Foglia?"

Boruto inarcò un sopracciglio. Poi emise un sospiro. "L'Hokage, ovviamente," rispose.

Shikadai ridacchiò sottovoce. "Questo è quello che ho detto anch’io," ammise. "Perlomeno all'inizio, comunque. Mio padre aveva un'opinione molto diversa, invece. Un’opinione che spiegava le azioni di quei tre Kage in un modo che nessun’altra spiegazione riusciva a fare. Mi disse che Tsunade, Kakashi e Gaara erano ciascuno come una Regina: versatili, inarrestabili, la più grande spada e il più grande scudo del Re. Quindi, chi era il Re? Chi era quella persona per cui la Regina era disposta a morire pur di riuscire a salvare? Ebbene… eravamo noi. Chocho e Inojin. Sarada e Sumire. Io e Himawari. La prossima generazione. Ecco chi è il ‘Re’, Boruto. Le parole di mio padre mi hanno fatto capire questo. Finché la prossima generazione porterà avanti gli ideali della Foglia, tu non vincerai mai. Perciò arrenditi, Boruto. Per favore. Se non vuoi farlo per te, fallo per Himawari. Lei ha bisogno di suo fratello."

Tutti i presenti trattennero il fiato mentre Boruto s’irrigidiva dopo quelle parole. Le spalle del biondo si abbassarono, si sollevarono, poi si abbassarono di nuovo. Un suono sommesso, come un tuono rimbombante, gli sfuggì dalle labbra; e Sumire si rese conto che stava ridendo. "Lascia che te lo dica in termini semplici, Shikadai," disse allora il Nukenin, il suo tono sinuoso e freddo mentre un lampo elettrico gli scricchiolava tra i capelli. "La vita non è una partita a scacchi. Pensavo che la mia lezione durante la prigionia te l’avesse dimostrato abbondantemente, ma a quanto pare mi sbagliavo. Per cui, te lo spiegherò di nuovo. In guerra, le due fazioni non hanno gli stessi pezzi. In guerra, le due fazioni non giocano secondo le stesse regole.”

Poi la sua espressione divenne ironica, e le sue labbra si snudarono in un ghigno malsano. “Ma se vuoi metterla in termini di gioco, allora lascia che ti dimostri la differenza tra te e me. Se tu fossi una pedina, saresti un pedone. Vedi, i pedoni riescono a vedere solo i compagni ai loro lati e i nemici sul campo di battaglia. Io, invece? Io sono un Re. La mia visuale sulla scacchiera è molto diversa. I miei nemici sono tutti intorno a me. Una Regina a sinistra, un Alfiere a destra, un pedone davanti a me. Tutti mi intrappolano, mi accerchiano. Tutto questo mi impedisce di ottenere ciò che voglio. Per cui vedi, Shikadai, gli scacchi non sono come la guerra. L’unica regola comune tra le due cose è quella di sacrificare il minor numero possibile di pezzi per ottenere la vittoria."

Konohamaru lo derise apertamente. "Quindi pensi di essere il Re della Foglia?"

Boruto scosse la testa e sorrise, ampio e cupo. "Penso che diventerò il Re di tutto il mondo, Sarutobi,” ribatté, crudele e folle. “Ma adesso basta con queste chiacchiere! Formazione Lampo!"

Prima che Sumire potesse anche solo battere le palpebre, Boruto si era rivestito con la sua Scia Scattante di Fulmini e Mikasa aveva evocato due lunghe lame celate da sotto i suoi palmi. Entrambi vennero avvolti nell'elettricità urlante mentre si lanciavano in avanti, sfrecciando oltre Shikadai, Chocho e Inojin e dirigendosi verso Sarada, Sakura e Konohamaru.

"Ignorali, Sumire!" il comando acuto di Sarada risuonò al di sopra del frastuono della battaglia.

La giovane esitò, ma si lanciò in avanti lo stesso, scattando verso i restanti membri dell’Organizzazione. Una giovane ragazza le si piazzò davanti, assieme ad uno spadaccino dall’espressione folle e omicida. Lucy Heartphilia e Shizuma Hoshigaki. Qualunque cosa avessero in mente, sapeva che lasciarli fare non avrebbe giovato alla sua causa. Perciò, Sumire si lanciò su di loro.

Tuttavia, prima che potesse anche solo spingere un pugno in avanti, un'enorme lama di chakra blu-viola schizzò davanti a lei e tentò di trafiggerla. Sumire emise un grugnito di dolore mentre veniva impalata per un braccio, l'acciaio gelido della spada del mercenario che le fece quasi trattenere il fiato per la rapidità con cui si era mossa. La lama si ritirò, seguita da un'esplosione di chakra rosso-arancio alle sue spalle mentre Sarada evocava il suo Susanoo, e Sumire ebbe appena il tempo di alzare la testa per vedere un paio di dita incrociate davanti ai suoi occhi.

"Ehi, dolcezza!" disse Lucy, sorridendole con sarcasmo. “Non distrarti.”

Quindi, la ragazza schioccò le dita e il suo mondo scoppiò completamente in un’esplosione di fuoco e fiamme.
 


Sarada grugnì mentre il suo sangue le si fermava nelle vene. Sapeva che stavano arrivando, li vide che stavano arrivando, e per questo riuscì a prepararsi a combatterli. Tuttavia, fu doloroso. Immensamente doloroso. Dover combattere contro Boruto era sempre un’esperienza agonizzante per lei. Ogni volta che accadeva, infatti, la giovane Uchiha non poteva fare a meno di domandarsi perché, alla fine, le cose tra di loro avessero dovuto finire per frantumarsi in questo modo.

Era sempre stato così, dopotutto. Da piccoli, durante la loro infanzia simile. Da bambini, durante la fuga di Boruto dal Villaggio. Da ragazzini, durante i loro innumerevoli scontri. E infine da giovani, durante la loro missione su Eldia. Ogni volta. Ogni volta che le loro strade e i loro Destini finivano per incrociarsi… lei e Boruto finivano sempre per scontrarsi. Che fosse fisicamente, o a parole, o anche solo ideologicamente, loro due erano sempre e costantemente in conflitto tra loro.

Le labbra di Sarada si incurvarono in un sorriso triste.

Era come una maledizione, realizzò. Una maledizione scagliata proprio contro loro due, forzandoli a combattere per tutta la vita. E nonostante Sarada non desiderasse altro che abbattere questa maledizione, nonostante il suo cuore non volesse altro che fare pace e ricongiungersi con la persona che amava… lei e Boruto sapevano entrambi la verità, ormai.

Nonostante ciò che provavano l’uno per l’altro, loro due non avrebbero mai avuto pace.

Sarada sentì il suo cuore pulsare di dolore. Si chiese perché. Si chiese perché, esattamente, il Destino avesse deciso di maledirli in questo modo per tutta la vita. Ma, esattamente come tutte le volte precedenti, la sua domanda disperata ricevette solo il silenzio come risposta.

Boruto si portò dinanzi a lei, affiancato da Mikasa e Sora, scrutandola con uno sguardo indecifrabile. “Ci rincontriamo ancora, Sarada,” disse, il suo tono di voce stranamente poco ostile rispetto a prima. Il suo occhio sembrò brillare di un’emozione indistinta e sommessa. “…mi sei mancata,” aggiunse.

La corvina represse un sorriso stanco all’udire ciò. Il suo cuore ebbe un fremito istintivo di emozione. “…anche tu mi sei mancato, Bolt.”

Il biondo sorrise, il suo volto sfigurato che si riempiva di tristezza, comprensione, e decisione tutte insieme. “Sai perché sono qui, vero?” le chiese alla fine.

L’Uchiha annuì. “Lo so, ma non per questo io esiterò a fermarti,” disse, preparandosi mentalmente allo scontro. Le sue mani afferrarono inconsciamente un kunai. “Anche se sei deciso a portare avanti la tua strada di sangue, anche se sei convinto che questo sia l’unico modo per riuscire a portare il mondo alla pace… io ti fermerò. Ti fermerò, una volta per tutte, e ti dimostrerò che la pace che stai inseguendo non farà altro che portare la rovina sul nostro pianeta.”

L’occhio azzurro del Nukenin la guardò con indifferenza dopo quelle parole. “Vedo che continui ad essere ingenua come prima,” la canzonò ironicamente, abbozzando un sorriso saccente. “Parli sempre come se tu potessi fare qualcosa per fermarmi. Ma la verità, Sarada, è che io e te siamo su due livelli completamente diversi. Non puoi fermarmi, e tu lo sai. Tra noi due, l’unica che sta sprecando la sua vita qui… sei tu.”

Fece male. Non poté mentire a sé stessa. Face un male immenso sentirsi dire dal suo amico quelle parole. E fece male soprattutto perché sapeva che aveva ragione. Boruto era sempre stato più potente di lei. Era sempre stato su un livello che lei non poteva sperare di raggiungere, sia fisicamente che mentalmente. E per quanto lo avesse odiato, per quanto questa cosa l’avesse sempre fatta soffrire enormemente negli anni passati, ormai Sarada aveva imparato ad accettarlo. Lei non era in grado di fermare Boruto. Non lo era mai stata, e ne aveva avuto moltissime prove nel corso della sua vita.

Ma adesso… adesso le cose erano diverse.

Sarada sorrise, fissandolo con decisione. E, per la primissima volta, il biondo dinanzi a lei apparve confuso nel vedere la confidenza che aveva in volto.

No, decise lei in quel momento, questa volta sarebbe stato diverso. Questa volta ERA diverso. Lei poteva farcela. Aveva la fiducia dell’Eremita delle Sei vie. Aveva il Potere, aveva la motivazione, aveva la forza per riuscire a fermarlo… perciò l’avrebbe fatto. L’avrebbe fermato, a tutti i costi, e non gli avrebbe permesso di catturare Saiken e continuare a devastare il mondo con le sue azioni. Lo avrebbe fermato, adesso più che mai, e gli avrebbe dimostrato, una volta per tutte, che tutto ciò che stava facendo era sbagliato.

E questa… era una promessa.

“Lo vedremo,” si limitò a dire, sorridendo con decisione. Rivolse all’Uzumaki uno sguardo pieno di emozioni luminose. “Non smetterò mai di avere speranza, Boruto. Anche se tu non riesci più a farlo, io non smetterò mai di credere in te. E ti dimostrerò che, a differenza di quanto credi, anche uno come te può perdere quando meno se lo aspetta.”

Dopo quelle parole, i due giovani si fissarono a vicenda in silenzio per diverso tempo. Due occhi rossi e fiammeggianti come il fuoco contro un occhio azzurro freddo e gelido come il ghiaccio.

Boruto assottigliò lo sguardo, studiandola con attenzione. “Credevo di essere riuscito a comprenderti durante il Summit,” mormorò, fissandola negli occhi. “Quando ci siamo rivisti, quella volta, quando abbiamo parlato, avevo pensato che io e te fossimo uguali… ma mi sbagliavo. Sei chiaramente cambiata rispetto all’ultima volta che ti ho vista. Hai una maggiore confidenza, e il tuo corpo emana più sicurezza e determinazione. Curioso. Una nuova abilità, forse? Un nuovo asso nella manica per tentare di ostacolarmi?” domandò.

Sarada si limitò a sorridergli. “Perché non mi attacchi e lo scopri da solo?” lo canzonò di rimando, decisa.

Quello sorrise di rimando dopo quella provocazione, oscuro e famelico. “Oh, adesso sì che mi piaci!” sibilò minacciosamente, schioccando le ossa del collo. “Allora permettimi solo di dirti addio, Sarada. Questa volta ti farò fuori… una volta per tutte!” ruggì.

E poi, senza più scambiarsi altre battute, Boruto riattivò la sua Scia di Fulmini e scattò alla carica, affiancato da Mikasa e Sora che lo rispecchiarono fedelmente.

Sarada sorrise, attivando a sua volta il potere del suo clan dentro di lei. Le fiamme del Susanoo le leccarono voracemente la pelle mentre lei evocava il suo guardiano spettrale per bloccare gli attacchi combinati di Boruto e Sora. I due giovani si schiantarono contro le costole corazzate della figura umanoide, un fragore echeggiante di tuoni che annunciava il loro arrivo, mentre colpi di bastone e spada si scontravano con ossa e acciaio spettrali. Sarada comandò al Susanoo di sbattere un pugno su Mikasa, costringendo la donna ad allontanarsi, mentre Boruto e Sora le giravano attorno.

Sarada si voltò per seguirli. Sora si ritirò verso destra, lanciando il suo bastone da guerra nel cielo e posizionando la mira verso la colonna vertebrale del suo Susanoo. Poi, con una potenza inaspettata per la sua figura, il moro afferrò il bastone e lo sbatté addosso al gigante etereo con un grido feroce. L’esplosione che ne risultò fece sì che la sua armatura si spezzasse e le ossa del suo guardiano spettrale venissero schiacciate. Boruto, veloce come il lampo, si lanciò attraverso l'apertura e le lanciò un pugno rivestito di fulmini in faccia, mirando ai suoi occhi.

Ma stavolta, nonostante tutta la sua velocità, nonostante tutto il suo potere, l’Uzumaki non riuscì a colpirla.

Perché Sarada aveva già previsto questa mossa.

L’Uchiha reagì istintivamente, senza neanche pensare. Il cuore le martellò nel petto mentre si sporgeva casualmente all'indietro, schivando l’assalto fulmineo e colpendo Boruto al petto con un calcio, espellendolo fuori dalle viscere del suo Susanoo.

Il Nukenin esitò, sconvolto dalla sua reazione repentina, e si voltò di colpo verso di lei, allibito. Poi ringhiò ferocemente, snudando i denti mentre assumeva una posa d’assalto.

Sarada sorrise, rinforzando l’armatura della sua evocazione. Se c'era una cosa che le piaceva dell'uomo che Boruto era diventato, essa era che combattere contro di lui non era mai noioso. Il suo vecchio amico la stava trattando come una seria minaccia. Come un nemico da abbattere ad ogni costo. Questo significava solamente una cosa: la rispettava. La temeva. E, in cambio di questo, Sarada non poté fare a meno di rispettarlo e temerlo a sua volta.

Oh, quanto avrebbe riso nel vederlo restare a bocca aperta grazie al suo nuovo Potere.

Boruto e Sora si alzarono in piedi e la circondarono di nuovo, ancora basiti e allarmati dalla sua prontezza di riflessi e dalla reazione inaspettata di prima. Il giovane dai capelli spigolosi fu il primo a riprendersi dallo stupore. Con una scrollata di spalle, tentò nuovamente di frantumare la sua armatura con un secondo assalto. Stavolta però, Sarada non glielo permise. Il suo braccio spettrale cadde, frantumando la pietra, costringendo entrambi a saltare lontano da lì. Sarada sollevò l'altro braccio della sua costruzione eterea, bloccando un pugno potenziato di Mikasa che ammaccò l'armatura e per poco non spezzò l'osso del costrutto.

"Mikasa! Sora!" abbaiò Boruto. "Accerchiatela e prendete formazione!"

Sarada sollevò entrambi gli avambracci del Susanoo mentre Sora le saltava addosso da un lato e Mikasa dall'altro. Bloccò abilmente entrambi i colpi mentre Boruto le stava di fronte, le gambe a cavalcioni e le mani puntate in avanti, mentre delle Catene appuntite e infuocate di chakra nero le si lanciavano contro da terra. Sarada sorrise, avendo previsto tutto questo, mentre due immensi serpenti di fuoco esplodevano fuori dal terreno, aggrovigliandosi tra le Catene d'Amianto ed impedendo loro di tormentarla.

Konohamaru si staccò dal punto dove Sumire stava combattendo contro Lucy, Shizuma e Shirou, facendole un cenno col capo.

"Boss!" Sarada si voltò, tenendo gli occhi sul campo di battaglia, mentre Gray caricava da un punto nascosto e si univa alla mischia. Fu allora che Sarada ebbe la conferma di ciò che aveva previsto grazie al suo Potere. Kumo e Mitsuki erano assenti. In effetti, non li riuscì a vedere tra i fili sfilacciati delle simulazioni che il suo Sharingan Ipnotico poteva vedere. Non erano parte, e non avrebbero fatto parte, della battaglia. Gray andò dritto verso Shikadai, allarmando la sua squadra e preparandosi a combatterlo.

Fu allora che gli alberi iniziarono ad eruttare da terra quando sua madre, nascosta in disparte rispetto alla mischia, fece conoscere la sua presenza, sbattendo un pugno dalla potenza micidiale sull’intero terreno della valle.

Boruto sbatté contro la corazza spettrale del suo Susanoo, un udibile ringhio che echeggiava nelle sue orecchie mentre cercava di sfondare la sua armatura con un braccio avvolto da elettricità urlante. Ma ancora una volta, grazie al nuovo Potere della corvina, il giovane non riuscì a superare la difesa del costrutto come in passato. “Come cazzo hai fatto a diventare così forte?!” le ruggì addosso, visibilmente frustrato dalla nuova resistenza del Susanoo e dalla rapidità che stava mostrando in battaglia.

Sarada non gli rispose, osservando il suo vecchio amico con occhi solenni e determinati. C'era una qualità selvaggia nella sua rabbia, notò, aumentata a dismisura dai due segni animaleschi che aveva sulle guance. Vedendolo in quel modo, così simile ad una belva furiosa, per un momento Sarada comprese perché l’Eremita avesse definito Boruto un "piccolo Raijū" durante il loro ultimo incontro. Mentre il Nukenin le caricava nuovamente addosso, una punta di metallo trafisse il petto del Susanoo, generando un’esplosione di luce nel suo santuario interiore. Sarada fissò, con gli occhi sgranati, mentre la punta della spada di Boruto si fermava a pochi centimetri dal suo cranio, mancandola per un soffio.

Boruto stava abbaiando ordini mentre Sarada portava le braccia del Susanoo su di lui, costringendolo ad allontanarsi. "Tenetela occupata!" gridò ai suoi amici, le sue Catene nere che continuavano a scontrarsi coi serpenti di fuoco di Konohamaru. "Io mi occupo del Sarutobi!"

Sarada respinse facilmente un fragoroso calcio di Mikasa e subì un lampo accecante e infuocato che riempì l'aria attorno a lei di un caldo soffocante. Boruto e Konohamaru stavano combattendo adesso, più che altro una danza, davvero, a circa cento piedi da lì. E, ancora una volta, Sarada vide e comprese la vera potenza che il giovane Uzumaki aveva nell’arte della battaglia. Konohamaru cercava inutilmente di colpirlo con calci e pugni furiosi, ma lui si limitava a danzare tra i suoi colpi, volteggiando e ruotando come un vortice, spazzando via gambe e braccia dell’avversario senza la minima fatica. Attorno a loro, le Catene e i serpenti di chakra li rispecchiavano a loro volta, combattendo furiosamente come rettili in lotta per la supremazia. Alla fine, l’Uchiha vide Boruto fermarsi e centrare Konohamaru con un colpo di palmo in pieno petto, sguainando la spada per tranciarlo a metà.

Ma Sarada l’aveva previsto, ancora una volta. Si scagliò in avanti con un pugno spettrale, mentre Boruto ruotava verso di lei, sgranando gli occhi, e balzava lontano da lì, evitando allo stesso tempo un cazzotto di sua madre diretto verso il basso. L'attacco fece esplodere il terreno con un fragoroso boato che risuonò nelle sue orecchie e nel suo cuore. Sarada prestò poca attenzione all'altra metà della battaglia, salvo assicurarsi che nessuno dei suoi amici morisse. Cosa che, sinceramente, riteneva estremamente improbabile. La sua abilità di preveggenza glielo aveva mostrato chiaramente: in questa battaglia, i suoi nemici avrebbero perso. Gray stava inutilmente cercando di catturare Shikadai, e Sumire se la stava cavando piuttosto bene contro Shizuma, Lucy e Shirou. Gli altri erano alle prese con Inojin e Chocho, ma anche così divisi era improbabile, lo aveva visto, che sarebbero emersi vittoriosi.

Poi, Sarada non ebbe più tempo da perdere per pensare ai suoi compagni. Sentì le energie oscure ed elettriche di Mikasa che filtravano nel suo corpo, investendola di elettricità. Sarada lottò contro di essa, si fece da parte, con il suo Susano che la rispecchiava. Balzò verso il cielo, viaggiando lungo la colonna vertebrale del costrutto, riposandosi infine nel suo cranio. Lì, la ragazza inspirò profondamente. Quando espirò, scatenò una tempesta di fuoco e fiamme sui suoi avversari, vomitandola dalle labbra del suo costrutto.

Sora balzò in avanti per sfidarla e sputò a sua volta una colonna d'acqua che incontrò il fuoco in un'esplosione di vapore e aria calda. Sarada si mosse, sollevando un braccio, mentre anche Mikasa balzava di lato e sputava un'ondata di fiamme che si infrangeva su di lei. Armata com'era col Susanoo, Sarada resistette all'attacco e al lampo urlante che danzò attraverso le onde mentre Boruto scatenava a sua volta un guizzo elettrico da lontano.

Ma nonostante il suo nuovo Potere, stavolta l’assalto combinato ebbe la meglio. Gli occhi di Sarada si spalancarono mentre la sua figura eterea si contorceva, con una Catena nera che la attraversava in pieno petto. Boruto si alzò, le gambe piegate, le braccia sollevate, e i lineamenti serrati in rigorosa concentrazione mentre undici Catene d’Amianto sbattevano contro Konohamaru, scagliandolo lontano con un gemito. La corvina si accigliò, modificando le sue previsioni. Il suo vecchio amico si stava rivelando ancora più forte di quanto pensasse. E stupita com'era, l’Uchiha non riuscì a reagire a Mikasa che si lanciò contro di lei fino a quando un pugno potenziato dal chakra non colpì il Susanoo nella mascella, frantumandolo fino quasi ad esporre il suo corpo all'interno.

Sarada si girò, ruotando sulla ‘base’ della colonna vertebrale del suo costrutto, rovesciando Mikasa con un rapido colpo di braccio e sbattendola a terra grazie ai suoi riflessi aumentati. Sora apparve in quel momento, attaccando il suo Susanoo e cercando di spaccargli il collo corazzato.

Quindi, di colpo e senza alcun preavviso, Boruto la stava attaccando selvaggiamente ancora una volta, forzandola a lasciar andare Mikasa. Un clone – il suo Sharingan lo notò immediatamente – era rimasto a combattere con Konohamaru. Adesso, senza più usare le Catene, il clone aveva preso ad assaltare il Sarutobi con calci e pugni che lo stavano costringendo sulla difensiva.

Sarada vacillò mentre il suo Susanoo veniva colpito a tutta forza dall’ennesima carica di Boruto, rivestito con la Scia Scattante di Fulmini e nient'altro che un corpo di fulmine. Poi, era tornato di nuovo tangibile, colpendo la sua armatura spettrale nel punto fumante che aveva colpito prima.

Ma tutto questo e molto altro ancora lei lo aveva previsto. E tutto questo era stata preparata a reprimere. Sarada allungò una mano dentro di sé, evocando con un comando mentale l'arma spettrale che aveva usato nei suoi ricordi della Battaglia di Eldia. 

“ENTON: Susanoo Kasai no Yari!” (Arte della Fiamma: Lancia del Sole del Susanoo) urlò.

L’arma infuocata rispose al suo richiamo mentre lei sollevava tutte e quattro le braccia del Susanoo verso il cielo. Boruto, Mikasa e Sora assottigliarono gli occhi mentre la Lancia del Sole esplodeva alla vita con un ruggito di fuoco spettrale. Il potere che la lancia possedeva, così alieno e indescrivibile nella sua o in qualsiasi altra lingua, venne rinchiuso e dominato dentro di lei. L’essere etereo ruggì ed agitò la lancia, proiettando un muro di forza pura attorno a sé. I tre membri principali dell'Organizzazione si schierarono insieme prima di fuggire davanti alla potenza piena del suo Sharingan Ipnotico, ma non fu abbastanza. Sarada li prese tutti e tre, centrandoli in pieno con il suo potere innegabile.

Boruto si riprese per primo. Tuonò contro di lei, completamente immerso nella sua Tecnica elettrica. Il Dio del Fulmine ruggì, un battito di tuono che annunciò la sua carica. Sarada spinse in avanti la sua lancia, tranciando l'aria, forzando alla ritirata il giovane Uzumaki. Le quattro braccia del Susanoo rotearono abilmente la lancia, come se avessero impugnato l'arma fin dalla nascita, mentre l’Uchiha vedeva, sapeva, comprendeva. La sua lungimiranza aveva previsto da tempo le azioni di Boruto con molto anticipo. Lo colpì, abbattendogli la lancia di fuoco addosso, premendolo sotto un peso schiacciante di pura forza.

Mikasa la colpì da dietro con un pugno mentre Sarada affrontava la vera minaccia. Le linee tatuate del suo Marchio di Ananda le rovinavano la pelle pallida dal braccio fino al volto, la sua forza amplificata di cento volte e più. La pura fisicità dell’attacco schiacciò l'armatura della sua costruzione eterea e spezzò le sue ossa come se fossero di cartone. Eppure, grazie alle sue abilità, fu estremamente semplice per Sarada versare più chakra nel suo Susanoo, guarirlo dalle sue ferite, far oscillare la lancia e colpire la donna con un attacco che anche il Settimo Hokage avrebbe fatto difficoltà ad evitare. Sarada schiacciò la nera nella terra e nella pietra, minacciando di macinarla in polvere.

Poi l’umanoide di chakra si ritirò, spostandosi avanti e indietro, la sua arma che si alzava prontamente per spazzare via le esplosioni di chakra scatenate da Sora e le sue Tecniche. Ogni lampo era più potente di qualsiasi altro Ninjutsu (Arte dei Ninja) che la corvina avesse mai visto, sminuendo di tre volte l'altezza impressionante del suo Susanoo. Tuttavia, dinanzi alla maestosità del suo Potere e della sua Lancia, tutte queste cose furono messe a tacere.

Boruto la stava fissando, con i denti serrati, i pugni stretti e gli occhi eterocromi ampi, arrabbiati ed elettrizzati allo stesso tempo. Aveva occhi solo per lei, e Sarada si crogiolò in essi. Il suo sguardo si spostò dietro di lei, di nuovo, attraverso la valle dove stavano combattendo. Lì, sopra di loro, arroccato sul bordo di un lago distante, c'era il Rokubi (Esacoda), intento a sorvegliare la battaglia sotto la guardia di sua madre. Sarada detestava l’idea di vederla scendere in campo. Ma, purtroppo, sua madre era una dei più potenti Ninja nel Taijutsu (Arte della Lotta) che la Foglia potesse mettere in campo, oltre che una dei pochi che potevano osare resistere alla furia omicida di Boruto Uzumaki.

Sarada sentì – vide – le parole prima che lasciassero le labbra di Boruto. "Raggiungi il Rokubi (Esacoda), Shirou!" ordinò a gran voce, rivolgendosi al suo compagno più distante.

No. Sarada non glielo avrebbe permesso. Tutto ciò che servì fu un comando mentale e un guizzo della sua Lancia del Sole. Poi, un muro di forza inviolabile venne generato all’improvviso nell’aria, e lo spadaccino dai capelli cremisi fu scagliato via dal campo di battaglia come se non fosse altro che un ramoscello.

Boruto ruggì di rabbia, un fragore di tuono che echeggiava nell’aria, e si lanciò verso di lei avvolto da un fulmine.

Non riuscì nemmeno ad avvicinarsi.

"SHANNARO!" urlò sua madre, emergendo dagli alberi con un ruggito, il suo corpo rivestito dai tatuaggi neri del Byakugō no In (Sigillo della Forza dei Cento). La donna e il guerriero si scontrarono, emettendo un boato assordante, talmente rapidi da essere semplici sfocature di chakra che cozzavano l'un l'altro, i loro calci e pugni più veloci di quanto l'occhio potesse seguire. Sakura fu colpita alla spalla e sull’inguine, la sua guardia frantumata, le sue gambe spazzate da sotto di lei. Tuttavia, grazie all’influenza del Sigillo, si riprese subito, colpendo Boruto dal basso con un potente calcio montante e scaraventandolo verso il cielo. Sarada sorrise, sollevando la lancia in preparazione. 

Boruto colpì il terreno con una fragorosa esplosione di pietra che echeggiò attraverso la valle. Sarada fece cadere la lancia su di lui, schiacciandolo, e generando un’esplosione di fiamme e luce. Tutti gli occhi si fecero strada verso di loro, la battaglia messa in pausa per solo un momento, prima che il caos della guerra tornasse e i combattenti ricominciassero con rinnovato vigore.

Un lampo di luce sbocciò intorno a loro, costringendo Sakura a saltare per non essere carbonizzata e trasformata in cenere dall’attacco di sua figlia. Sarada non temeva per lei. Sapeva che sua madre poteva cavarsela senza problemi, potenziata com’era dal Sigillo tramandatole da Lady Tsunade. E poi, davvero, osservare quella donna in azione dopo tutto questo tempo era una meraviglia da vedere.

Boruto emerse dal buco dal quale era stato mandato, le sue vesti a brandelli e le sue labbra tirate indietro in un ringhio senza parole che mostrava i denti. Le cicatrici sulle sue guance erano oscurate e infiammate, bestiali in un modo che Sarada non aveva mai visto né in Himawari né nel Settimo Hokage. Il Nukenin allungò una mano, il suo Jougan che pulsava con odio e ferocia, con le dita che si facevano strada tra le pieghe della sua veste mentre se la strappava d dosso e la scartava. Indossava solo una camicia di seta adesso, difesa da piccole chiazze di metallo che brillavano mentre l'elettricità le attraversava. La sua pelle venne divorata da disegni d’inchiostro nero che lo Sharingan di Sarada tracciò avidamente. Il vorticoso sigillo azzurro gli risalì lungo il braccio, sibilando e contorcendosi, macchiandogli la pelle del volto ed arrivando fin sopra il suo occhio destro.

Sarada divenne istantaneamente cupa quando vide il Marchio di Ishvara iniziare a diffondersi sul suo amico, bruciando di un colore bianco-azzurro mentre serpeggiava sulla pelle pallida del giovane, prima di assumere un colore azzurro come il cielo d’estate. Il Jougan di Boruto pulsò alla vita, ardendo di elettrica furia bestiale, mentre un fulmine azzurro leccava la pelle del ragazzo.

Ora, Sarada lo sapeva, la battaglia era davvero iniziata.
 


Era difficile vedere il figlio del suo amico ridotto in quello stato, rifletté Sakura. Rispetto al giovane e promettente bambino che era stato un tempo, il mostro che aveva davanti a lei adesso era quasi raccapricciante da osservare. Boruto era sempre stato un po' troppo chiuso, un po' troppo triste, un po' troppo tranquillo, già sin da piccolo. Ripensandoci adesso, la donna riuscì quasi ad intravedere il seme dell'oscurità che era stato piantato nel suo cuore in giovane età. E adesso che quel seme era sbocciato, il giovane che aveva dinanzi agli occhi ora era più simile ad un mostro che a un uomo.

Sakura sentì una fitta di tristezza nascerle nel cuore a quel pensiero. Boruto sarebbe potuto essere molto più di questo. Sarebbe potuto essere molto più del mostro che era diventato. Era sempre stato così bravo, così coraggioso, così intelligente. Sarebbe potuto essere uno Shinobi esemplare come pochi. Sakura lo sapeva. Cavolo, sua figlia si era innamorata di lui proprio per questo. Era stato lui ad aiutarla a superare la sua timidezza e la sua solitudine quando era piccola. Il giovane ragazzino che aveva incontrato tanti e tanti anni fa, chiuso in una piccola stanza d’ospedale dopo lo scontro con Momoshiki e Kinshiki, sarebbe potuto essere una persona straordinaria. Una persona d’oro.

Ma questo Boruto, quello davanti a lei, era qualcosa di completamente diverso. Un genio e un folle come pochi. Un Guerriero senza pari, senza eguali sotto il cielo. Persino adesso c’era voluta la potenza combinata di lei, Konohamaru e Sarada per impedirgli di devastare il campo ed uccidere i loro compagni di squadra più lenti e vulnerabili.

Sakura rimase in piedi, tesa, al fianco di sua figlia, osservando il cratere all'interno del quale sapeva che Boruto sarebbe strisciato fuori. Perché nella sua mente non c'erano dubbi sul fatto che i loro attacchi non sarebbero stati sufficienti a reprimere quel mostro che stavano affrontando. E infatti Boruto emerse subito dopo, la sua cappa grigia sbriciolata e a pezzi. Il Nukenin la scartò, con uno sguardo maniacale in volto mentre snudava le labbra e mostrava i denti nudi. Un sigillo azzurro-bianco gli serpeggiò sulla sua pelle pallida, simile allo stesso sigillo che indossava anche lei, e l'armatura blu-bianca in cui era avvolto venne rivestita da una brillante elettricità dorata.

Il Marchio di Ishvara.

"Mamma!" urlò Sarada, lanciando un grido acuto sul campo di battaglia.

Boruto si mosse, scattando addosso a lei con le mani puntate in avanti. Sakura, il suo corpo che reagì puramente per istinto, ebbe a malapena modo a tenere il passo grazie ai suoi sensi allenati. Non riusciva a capire come quel giovane potesse sopportare di muoversi ad una tale velocità senza danneggiare il proprio corpo. Era un vero e proprio miracolo medico, a tutti gli effetti. Possibile che dopo anni e anni di pratica, l'atto stesso dell’utilizzo di quella Tecnica avesse allenato il suo corpo a resistere ai rigori del Jutsu? La Scia Scattante di Fulmini era, lo sapevano tutti, una Tecnica prodigiosa che nessun altro al mondo era ancora riuscito ad imitare. E non perché fosse difficile da apprendere, ma bensì perché risultava estremamente corrosiva per il corpo umano. Era una tassa costante sul corpo, un peso che lo rinforzava ancora e ancora e ancora, fino a quando non avesse ceduto.

La donna bloccò a malapena un colpo fulmineo di palmo, le due dita del Pugno Gentile avversario puntate verso le sue tempie. Boruto stava tentando di mirare al suo cervello, minacciando di ucciderla. Gli attacchi successivi arrivarono altrettanto velocemente, e allontanarsi da lui fu tutto ciò che Sakura poté fare per difendersi.

Improvvisamente, gli occhi di Sakura notarono qualcosa. Konohamaru stava navigando nell’aria, schizzando nel cielo come un missile. La donna ammiccò, confusa, osservando il modo in cui Juvia lo aveva attaccato alle spalle mentre il clone di Boruto lo distraeva. Quest’ultimo, tuttavia, notò immediatamente la sua distrazione, e ne approfittò quanto prima. Lanciò un grido di battaglia dinanzi a lei, un fragoroso rombo inquietante che lacerò l’aria, e le caricò addosso. Sakura bloccò la prima raffica di colpi, subì la seconda, e si guadagnò uno stivale avvolto in lampi scoppiettanti sul petto. L'aria fuoriuscì dai suoi polmoni con un sussulto e Boruto incombette su di lei con la sua spada sguainata, pronto a sferrarle il colpo finale.

Tuttavia, con sommo stupore della rosa, qualcosa di incredibilmente veloce si frappose tra loro in quel momento e lo scalciò via. Sakura sgranò gli occhi. Sarada era schizzata fuori dal suo Susanoo, entrando nella mischia, ed ingaggiando uno scontro faccia a faccia con il biondo. La donna osservò, sconvolta, mentre sua figlia combatteva contro Boruto con una velocità ed una prontezza di riflessi disumana. Attaccava, scartava ed evitava in maniera irreale, riuscendo in qualche modo a bloccare ogni colpo che Boruto le caricava addosso e sferrandogli persino alcuni colpi da sola.

Sakura si alzò in piedi, il suo petto dolorante, scattando in aiuto di sua figlia. Purtroppo però non fece in tempo. Boruto colpì Sarada, usando una rapidissima contrazione del braccio sinistro per spezzarle la guardia, ed usando poi il destro per lanciarle addosso una sfera scoppiettante di fulmini ed energia. “RAITON: Rasenkurai!” (Arte del Fulmine: Rasengan Elettrico) ruggì il guerriero.

La sfera si espanse rapidamente, esplodendo verso l'esterno, e sua figlia fu sbalzata completamente all’aria e mandata a schizzare nel vuoto per miglia e miglia. Sakura trattenne il fiato e bloccò il terrore viscerale nel suo cuore. Sapeva che Sarada era forte, sapeva che si sarebbe ripresa, ma quella scena non poté evitare di fale raggelare il sangue nelle vene.

La rosa ruggì, decisa a ricambiare il favore. Sferrò un calcio alla testa del Nukenin, forzandolo a bloccare, e Sarada ne approfittò per evocare di nuovo il Susanoo, facendo oscillare la Lancia del Sole e centrando Boruto con un affondo invisibile che lo scagliò verso il cielo grazie alla sua forza disarmante. Sakura fu su di lui in un istante, le sue mani che brillavano e ardevano di chakra mentre l’elettricità avversaria le leccava la pelle, afferrando Boruto a mezz’aria e scagliandolo a terra con un ruggito.

Il Nukenin ringhiò qualcosa di selvaggio, scatenando una lama di fulmini azzurri che quasi la trafisse, e poi attaccò di nuovo Sarada, cercando di ignorare la donna adulta. Non riuscì nemmeno ad avvicinarsi a lei, comunque, con enorme sollievo di Sakura. Sarada lo bloccò con la punta infuocata della sua lancia, sbattendolo contro il terreno. Allo stesso tempo, un masso colossale di pietra usurata si schiantò sulla riva vicino a Boruto, rivelando la sagoma del gigantesco spadaccino dei Kara: Shirou. Sarada fece roteare la Lancia del Sole con indifferenza, un piccolo sorriso compiaciuto sulle sue labbra mentre osservava gli avversari con determinazione.

Stava controllando l'intero combattimento, realizzò Sakura, e un’immensa ondata di orgoglio e trepidazione le inondò il cuore a quella vista. L’incredibile abilità di previsione di Sarada – poiché previsione era l’unico modo in cui poteva chiamarla – e la sua rinnovata abilità nella lotta stavano costituendo una barriera quasi invalicabile tra il campo di battaglia e il Rokubi (Esacoda). Una cosa per la quale Sakura fu eternamente grata. I loro compagni di squadra, Inojin, Chocho, Shikadai e Sumire, erano forti, ma non avevano speranza in una battaglia contro un avversario del calibro di Boruto Uzumaki. Ma grazie all’intervento di Sarada lo stavano trattenendo, ingrandendo la loro ultima linea di difesa, difendendo il Cercoterio anche dalle grinfie del resto dell’Organizzazione Kara.

Boruto si fermò davanti a loro, ringhiando e trattenendo il respiro, qualcosa di orribilmente arrabbiato nei suoi occhi eterocromi. Puntò le mani verso il cielo, e prima che Sakura potesse persino comprendere quel gesto, i fulmini si fecero carne e Boruto scattò oltre il campo di battaglia, cercando di raggiungere lui stesso il Rokubi. Ma, anche questa volta, si schiantò contro un muro invisibile, inarcando archi vaganti di lampi che esplosero casualmente in ogni direzione.

Con un'oscillazione della Lancia del Sole, Sarada lanciò una tempesta di fuoco che lo costrinse ad allontanarsi dal Demone codato. Sua figlia si frappose nuovamente davanti all’avversario, avvolta nel corpo arancione del suo Susanoo, sbattendo la base della Lancia contro la pietra ed emettendo un tonfo echeggiante di finalità, come se stesse rimproverando Boruto per la sua stupidità.

Sakura sorrise orgogliosamente alla scena. Fece un passo avanti, ricongiungendosi con sua figlia, mentre il loro avversario le osservava con uno sguardo più bestiale che umano.
 


Stava perdendo.

Era inaccettabile. Inammissibile. Impensabile.

La rabbia della battaglia stava offuscando i suoi pensieri, ma Boruto sapeva che se le cose fossero continuate così, se la situazione avesse continuato a degenerare in questo modo, lui e i suoi amici sarebbero stati respinti. Era inammissibile, intollerabile, inaccettabile. Eppure, in qualche maniera inaspettata, per qualche motivo oscuro e misterioso, la realtà dei fatti era chiara e reale dinanzi ai suoi occhi.

Lui e i suoi amici stavano perdendo.

Boruto trattenne un ennesimo ringhio di frustrazione. Non riusciva a capire come diavolo fosse possibile. Come aveva fatto Sarada a diventare così forte? Come aveva fatto ad acquisire tutta quella forza, tutta quella rapidità, tutta quella prontezza di riflessi? Era impossibile, inconcepibile! La sua vecchia amica non era mai stata così potente prima d’ora. I suoi attacchi non avevano mai avuto così tanta precisione, così tanto potere dietro. Era… Era sconvolgente. Lo aveva lasciato, letteralmente, a bocca aperta.

Sarada Uchiha gli stava tenendo testa in uno scontro.

Una cosa del genere non sarebbe mai dovuta accadere. Non poteva accadere. Eppure, stava accadendo, realmente, dinanzi a lui stesso e a tutto il mondo. E per quanto odiasse ammetterlo, nemmeno lui poteva negare la realtà dei fatti: era in difficoltà. I loro avversari si erano rivelati molto più forti ed organizzati rispetto a quanto aveva previsto.

Juvia, Gray, Shirou e Kairi non riuscivano a superare la combinazione delle abilità di Shikadai e dei suoi compagni, e Lucy e Shizuma stavano lottando ancora adesso contro Sumire, cercando di avere la meglio contro le sue abilità acquatiche e la sua versatilità. Mikasa e Sora invece erano bloccati con Konohamaru, incessantemente occupati ad impedirgli di intervenire e soccorrere gli altri.

E lui – lui, Boruto Uzumaki, il Ninja traditore più potente mai esistito – stava facendo difficoltà a contrastare qualunque cosa fosse quella maledetta abilità di previsione che Sarada aveva risvegliato così inaspettatamente. Perché sì, anche se messo in difficoltà, Boruto non era stupido. Lo aveva capito, infine, dopo tutto questo tempo passato a combatterla. Aveva intuito a grandi linee quello che stava succedendo, con una sconcertante e gelida chiarezza di pensiero.

E la realtà dei fatti era che Sarada Uchiha stava letteralmente prevedendo tutte le sue mosse.

Il giovane guerriero trattenne un urlo rabbioso a quel pensiero. Non sapeva come fosse possibile, non sapeva come potesse essere, ma era così. Sarada era diventata in grado di prevedere ogni sua mossa. Ogni strategia, ogni reazione, ogni tentativo di evasione che aveva tentato contro di lei, era riuscita a prevederlo. Ogni azione sua e dei suoi compagni, era riuscita a prevederla. Era letteralmente diventata la dominatrice del capo di battaglia, riuscendo ad orchestrare ogni evento a suo piacere, mettendo tutti quanti nella posizione che voleva ed impedendo, effettivamente, a lui stesso di poter raggiungere il Bijuu per sigillarlo.

Sarada Uchiha gli stava impedendo di vincere questa battaglia.

Boruto assottigliò pericolosamente gli occhi. Questa situazione puzzava parecchio. Non era normale. Doveva fare qualcosa. Lui e i suoi amici avrebbero perso se non avesse fatto qualcosa. Questa battaglia era una maratona, non uno sprint, ed era determinato a raggiungerne il traguardo. Aveva perso una gran parte del chakra del Marchio, ma ora aveva poca scelta in merito. Doveva usare tutto il suo Potere se voleva vincere. Doveva letteralmente combattere Sarada con l’intento di uccidere. Solo così, se fosse stato fortunato, quell’Uchiha non sarebbe più stata in grado di usare la sua strana abilità per impedirgli il passaggio.

Il Nukenin posò gli occhi sul Rokubi (Esacoda) che profilava in lontananza, tracciando un sentiero con gli occhi della mente mentre la sua carne si faceva fulminea e tuonava in avanti. Aveva a malapena coperto più di qualche metro quando si trovò a sbattere contro qualcosa, bloccandogli l’avanzata, la sua armatura di fulmini che sibilava rabbiosamente sempre più. Poi, qualcosa lo colpì. Un inviolabile muro di forza, invisibile e impercepibile, lo stava spingendo via come se fosse una mosca, sbattendolo nel terreno senza la minima fatica.

Con un ringhio furioso, il biondo si allontanò con uno scatto tonante, osservando il Susanoo dell’Uchiha mentre ruotava abilmente la sua arma infuocata. Che cos’era successo alla Lancia di Sarada? Come aveva fatto a diventare così potente? Non era mai stata così forte quando l’aveva vista per l’ultima volta, su Eldia. Qual era la sua debolezza? Ogni Tecnica aveva un punto debole, una limitazione. Non poteva essere inarrestabile. Forse la sua portata era limitata, oppure il suo raggio ridotto? E che dire della forza che poteva esercitare? C'era forse un limite di tempo in cui poteva usarla? C'era un limite a quanta forza poteva emettere? Quanto chakra e concentrazione ci sarebbero voluti per usarla e mantenerla?

Tutte quelle domande fluttuarono nella mente di Boruto mentre ragionava furiosamente. Non poteva perdere. Si rifiutava di perdere. C’erano troppe cose in ballo per lui. La vittoria era la sua unica alternativa. L'Organizzazione Kara e l’Impero non potevano permettersi di essere sconfitti nella cattura degli ultimi Bijuu. Non dopo essere stati sconfitti anche da Shikamaru e Sentoki, o dall’Hokage nella Terra del Vento. Dovevano vincere. Il Rokubi e gli altri Demoni codati dovevano essere sigillati se il mondo voleva avere una vera possibilità di pace. Non c’erano alternative.

Eppure, per quanto fosse inammissibile, per quanto fosse orribile ammetterlo, stavano perdendo. Alla fine, Boruto era un uomo solo. E un uomo solo non poteva condurre una Guerra contro il mondo intero. Anche se poteva farlo, anche se doveva farlo, Boruto sapeva che sarebbe stato quasi impossibile riuscirci da solo. Era per questo che aveva portato con sé i suoi amici, le persone che avevano imparato ad amare il vero lui, quello che il resto del mondo temeva. Eppure, anche con i suoi amici al suo fianco, stavano perdendo questa battaglia.

Quindi, Boruto non poteva trattenersi. Non aveva altra scelta. Avrebbe ucciso Sarada. Avrebbe reciso gli ultimi legami che lo collegavano al suo passato e, facendo ciò, avrebbe ceduto il posto ad un nuovo ordine mondiale. Non avrebbe perso. Non avrebbe fallito.

E soprattutto, non sarebbe stato sconfitto. Avrebbe preferito morire piuttosto che tornare ad essere un fallimento come da piccolo.

Per cui… avrebbe dato sfogo al suo potere più oscuro. Tempi disperati richiedevano misure disperate, dopotutto. E in questo caso, richiedevano l’uso di Tecniche pericolose. E Boruto ne aveva alcune che avrebbero fatto al caso suo.

Perciò, facendo appello a tutto il suo coraggio, il giovane Uzumaki chiuse gli occhi e fece appello a tutto il chakra del Marchio di Ishvara. E in meno di un istante, il suo corpo lo percepì, lo sentì. L’incommensurabile quantità di chakra che prese ad investirlo era furente, caotica, ruggente. Riempiva la sua mente con una trepidazione ed una brama di sangue immensa. L'eccitante dipendenza del Potere prese a scorrere nelle sue vene. Gli offuscò i sensi, e gli confuse la mente. Un imponente sentimento di invincibilità che non aveva mai provato prima di allora. Boruto si protese in profondità dentro di sé, attingendo al Sigillo Maledetto che gli bruciava la pelle e gli incendiava il sangue, spezzando la sottile barriera che si ergeva tra lui e l'energia completa del Marchio che lo avrebbe sicuramente ferito mortalmente avesse ceduto.

Poi, con gli occhi chiusi, si tuffò sotto le onde turbolenti del suo potere, crogiolandosi nel caldo bagliore della sua forza. Lì, adesso, per la prima volta, Boruto Uzumaki si sentì davvero come una "divinità". Adesso, per la prima volta dopo anni, il giovane guerriero avvertì la promessa dell'immortalità appena fuori dalla sua portata, e tirò con tutte le sue forze l’energia del sigillo che Zeref gli aveva ceduto anni e anni prima.

E lì, finalmente, il suo pieno Potere venne rilasciato per la prima volta.

Un tuono fragoroso scoppiò nel cielo privo di nuvole, scuotendo aria e suolo, annunciando il suo nome attraverso la terra con prepotenza e oppressione.

E il Dio dei Fulmini scese di nuovo sulla Terra, condividendo generosamente il suo odio con tutto ciò che gli si trovava difronte.
 


Sumire bloccò un'oscillazione della spada del mercenario nemico con l'avambraccio, il metallo grezzo dell’arma incapace di perforare lo strato di acqua che aveva usato per rendere la sua pelle resistente. Lucy e Shizuma si precipitarono su di lei, sorridendo feralmente mentre le lanciavano addosso una serie di esplosioni e attacchi di spada in rapida successione. La giovane li evitò con fatica, balzando all’indietro, schivandoli tutti prima che potessero rappresentare un pericolo mortale.

Alla sua destra, a duecento metri di distanza, Shikadai, Inojin e Chocho stavano ancora faticando per tenere a bada i membri dell’Organizzazione Kara, e Konohamaru era alle prese con Mikasa e Sora mentre lei si occupava di quel duo di esaltati, cercando di non finire bruciata o tranciata a metà.

Tra i suoi due avversari, Shizuma si stava rivelando la più grande minaccia nella battaglia. Sumire aveva letto i rapporti su quel criminale. Era forte, veloce, con riserve di chakra superiori alla media e una compatibilità naturale con la linea di pensiero di Boruto. Attaccava furiosamente e senza esitazione, veloce e rapido più che mai, rendendole difficile tenergli testa con le sue mosse avventate e il suo stile furioso di spada. Lucy, invece, era un avversario più prevedibile da affrontare, ma non per questo meno pericoloso. Si teneva sempre a distanza, e lanciava devastanti Tecniche di rilascio del Fuoco con grande efficacia e precisione. Erano un’accoppiata formidabile per qualunque tipo di avversario. E mentre quei due si aiutavano a vicenda, coprendosi l’un l’altro e supportandosi tra di loro, Sumire si ritrovava sempre costretta a schivare e scappare per riuscire a salvarsi la pelle, incapace di attaccare.

Ma la cosa peggiore? La ragazza non riusciva mai ad infliggere un colpo decisivo. Perché, immersa com’era nel cuore della battaglia, ogni sua mossa veniva costantemente bloccata o respinta in qualche modo. Lucy non usava le sue Tecniche solo per attaccare, ma anche per difendere Shizuma ed impedirle di colpirlo. E Sumire sapeva che non avrebbe mai potuto colpirlo senza prima mettere fuori gioco lei. Shizuma era rapido e diretto, ma colpirlo sarebbe stato impossibile senza riuscire a bloccare gli assalti di fuoco e fiamme della sua compagna. Era letteralmente una battaglia di logoramento. Una di quelle che, di questo passo, sarebbe stata lei a perdere.

Ma il peggio non finiva qui. Nel frattempo che loro combattevano, infatti, Sumire riuscì a percepire chiaramente il modo in cui Boruto Uzumaki stava lentamente ma inesorabilmente assorbendo sempre più energia dentro al suo corpo. Di questo passo, lei e i suoi amici sarebbero stati sopraffatti su tutti i fronti. Il Marchio di Ishvara era un’incognita di cui nessuno sapeva niente. Non c’erano notizie su di esso. Divorava chakra ed energia indistintamente, potenziando il suo portatore fino a livelli che sarebbero stati umanamente impossibili. Di questo passo, nonostante la straordinaria forza e abilità che Sarada stava dimostrando nello scontro, Boruto sarebbe finito inevitabilmente per sopraffarla come in passato.

Se le cose avessero continuato in questo modo, Sarada avrebbe perso.

Sumire non l’avrebbe permesso. Boruto era stato un suo amico, vero, ma anche Sarada era sua amica. L’idea di perderla per mano di quel criminale non era accettabile.

Shizuma si lanciò contro di lei dopo aver menato un affondo a vuoto, facendo oscillare selvaggiamente la sua spada con un grido di battaglia. Sumire schiaffeggiò l'arma e si scagliò in avanti con un calcio che colpì il ginocchio dell’uomo, allontanandolo da lei prima che potesse colpirla. Lo spadaccino urlò in agonia e si agitò, barcollando indietro. Poi, scartando lateralmente con una rapida rotazione del busto, la giovane si gettò di lato per evitare una fiammata che esplose dal terreno sotto di lei per gentile concessione di Lucy. Si precipitò attorno all'esplosione, scattando di nuovo verso il mercenario e trovandolo con la guardia abbassata. Colpì Shizuma al petto con pugno rafforzata da uno strato d’acqua compressa, talmente potente da riuscire quasi spezzargli le costole. L’Hoshigaki urlò, cadendo a terra e stringendosi furiosamente il petto.

"Shizuma!" esclamò Lucy, allarmata.

Sumire si girò di scatto. Si allontanò da lì quando Lucy iniziò a scatenare una raffica di esplosioni su di lei nel tentativo di guadagnare al suo compagno un po' di tempo per riprendersi. In alto, più lontano da lì, un'imponente ondata di fuoco scoppiettante bruciò nel cielo mentre Shirou emetteva un Taglio infuocato verso Shikadai e Inojin, accompagnato da un’ondata d’acqua e ghiaccio per cortesia di Juvia e Gray. Dietro di lei, ancora, Konohamaru stava facendo lavoro eccellente nel tenere occupati Mikasa e Sora mentre Sarada e sua madre si occupavano di Boruto. Sumire non era sicura del motivo per cui Sakura avesse lasciato la difesa del Rokubi (Esacoda), ma di certo sapeva che era a buon fine. Lady Sakura era piuttosto potente già da sola, ed era più che capace di difendersi contro la pecora era della Foglia.

Vedendo quella scena, la speranza iniziò ad ardere sempre di più dentro al suo cuore.

Sumire sentì il flusso della battaglia iniziare a spostarsi a loro favore, ed era più che determinata a realizzare quella possibilità. Non potevano arrendersi adesso. Questa volta... questa volta il suo vecchio amico avrebbe perso. Attinse sempre più chakra dalle sue riserve, ansimando pesantemente, pronta a combattere ancora una volta. Il chakra che aveva accumulato negli ultimi anni la inondò nuovamente, mescolandosi nel suo nucleo e potenziandola, e Sumire si sentì più veloce e più forte di quanto non fosse mai stata prima.

Con un comando mentale, circondò il suo corpo con una bolla d’acqua e sfrecciò in avanti, resistendo alle esplosioni di fuoco che scoppiavano attorno lei, e richiudendo nuovamente la distanza tra lei e l’ex spadaccino della Nebbia. La giovane avanzò, ruggendo, il pugno destro serrato con prepotenza, e lanciò il braccio in avanti mentre l’Hoshigaki si agitava nella paura e nella rabbia, incapace di evitare. Il pugno potenziato centrò lo stomaco dell’avversario con un tonfo, e Sumire sentì un grugnito di dolore echeggiare nel vuoto… seguito dal silenzio.

Silenzio totale.

La ragazza ammiccò. I suoi occhi videro Shizuma crollare a terra con un sibilo, la sua faccia congelata in un’espressione stralunata e sconvolta. Anche Lucy rimase sorpresa, chiaramente scioccata dalla piega che aveva preso lo scontro, e Sumire sentì la paura riaffiorare nel suo cuore mentre percepiva l’incombente esplosione di fuoco nascere da un punto imprecisato alle sue spalle.

Poi però, accadde qualcosa. Sarada emise un grido acuto di terrore che riecheggiò sul campo di battaglia e superò il frastuono del combattimento, facendola rabbrividire. "METTETEVI DIETRO DI ME! TUTTI QUANTI!" urlò freneticamente al cielo.

Sumire trasalì, sconvolta, rivolgendo lo sguardo verso il punto in cui Sarada e Boruto stavano combattendo. Sarada era immersa nel suo Susanoo fiammeggiante, armata della sua Lancia del Sole, con un'espressione di supremo dubbio che guastava i suoi lineamenti mentre saltava freneticamente lontano da Boruto e aumentava la distanza tra lei e lui. Sumire indietreggiò, e vide Lucy che fu costretta a saltare a sua volta per non essere calpestata dall’essere etereo in fuga. Attorno a lei, Shikadai, Konohamaru e tutti gli altri smisero rapidamente di combattere, ignorando gli avversari confusi e scattando a loro volta verso Sarada.

Quindi, gli occhi di Sumire trovarono Boruto, e la ragazza sentì tutto il fiato che aveva nei polmoni uscirle prepotentemente fuori.

Tutti gli avvertimenti e le parole di terrore che la gente e il mondo avevano pronunciato nei confronti di Boruto Uzumaki le risuonarono all’improvviso nella mente, riempendo i pezzi del puzzle che finalmente venivano completati. Questo era ciò che il mondo temeva di lui. Questo era ciò per cui il Settimo Hokage, e Gaara-sama, e tutti gli altri Kage del mondo avevano avvertito loro di fare attenzione. Come avevano fatto a non realizzarlo prima?

Il Marchio azzurro sulla pelle di Boruto stava bruciando e contorcendosi come un serpente furibondo, un ardente colore blu-nero inquietante, espandendosi su tutto il suo corpo mentre pulsava di un’energia talmente oscura, malevola e raccapricciante da farle accapponare la pelle. L’energia oscura crebbe e si diffuse sempre più, aumentando di secondo in secondo, mentre il Marchio cresceva e rovinava ancora di più i lineamenti del viso di Boruto, oscurandogli la pelle fino a quando non divenne interamente di un colore grigio pallido simile alla morte. Il nero sanguinò nel bianco dei suoi occhi, infettando anche il suo occhio sinistro come una malattia, rendendolo scuro e inquietante tanto quanto il suo Jougan.

La ragazza, così come tutti i presenti, trattenne il fiato.

Il Marchio di Ishvara era stato attivato completamente.

Sumire si inginocchiò, raccolse il corpo privo di sensi di Shizuma tra le sue braccia e scattò alla fuga, posizionandosi dietro Sarada e il suo Susanoo come le aveva ordinato. Shikadai apparve accanto a lei dopo un secondo, sbucando fuori dalle ombre assieme a Inojin, Chocho e Konohamaru. Lucy e tutti gli altri Kara si erano nascosti a loro volta, riparandosi dietro Boruto dove Mikasa e Sora li avevano richiamati.

Poi, Boruto Uzumaki fece qualcosa.

Portando una mano sulla lama della spada, si fece un piccolo taglio sopra il palmo e la puntò verso il cielo. Nemmeno un istante dopo, un fulmine dorato e ardente piovve improvvisamente sopra di lui, radunandosi attorno a Boruto con un rombo di tuono che squassò aria, terra e cielo con un fragore ultraterreno. L'aria divenne densa di chakra, stucchevole, talmente pesante da sembrare liquida come l’acqua del mare, fino a quando un gigantesco rettile volante, simile ad un drago, guizzò alla vita intorno a lui con un ruggito animalesco, talmente feroce e bestiale da far rabbrividire tutti coloro che lo osservavano.

Ma allo stesso tempo, anche Sarada esercitò tutta la sua potenza, urlando ferocemente ai sette cieli ed infondendo chakra nei suoi occhi grondanti di sangue. Il Susanoo arancione ruggì, emettendo un suono metallico e raccapricciante, il suo corpo che cresceva sempre più di dimensioni, allungandosi verso il cielo come una torre. La sua armatura divenne possente, ed un paio di ali malformate spuntarono fuori dalla sua schiena, avvolte in fiamme trasparenti.

Fino a quando, ancora una volta, la possente Volontà di Fuoco di Boruto e l’immenso Susanoo Completo di Sarada si fronteggiarono a vicenda.

Boruto guardò Sarada con rabbia, i denti stretti, gli occhi assottigliati e la mano puntata in avanti, mentre il suo drago ringhiava e caricava un getto di elettricità blu nelle sue fauci. Sarada serrò i denti a sua volta, mentre il Susanoo caricava all’indietro la Lancia del Sole, l'aria attorno ad essa che sembrava fluire come acqua. Poi, tutti e due presero la mira sull’avversario e si sfidarono con gli sguardi.

E lì, in quel momento, il mondo divenne solenne e silenzioso come non mai, riempiendo l’aria con una sensazione di tensione del tutto innaturale.

Sumire rabbrividì.

"E ora," disse Boruto, la sua voce che portava l'eco di un rombo di tuono. "Questa è la vostra fine!"

Sarada spinse la lancia in avanti.

Boruto spinse il palmo in avanti.

Entrambi risuonarono in un grido di battaglia disumano.

ENTON: Susanoo Kasai no Yari!” (Arte della Fiamma: Lancia del Sole del Susanoo)

RAITON: Raijin no Ikari!” (Arte del Fulmine: Ira del Dio del Fulmine)

I due attacchi schizzarono in avanti con un boato indescrivibile.

Sumire sibilò e si tirò indietro per il dolore mentre i suoi occhi vennero bruciati da una luce accecante. Il lampo di energia elettrica si sporse in avanti, spiraleggiante e insopprimibile, talmente intenso da ferire gli occhi e la vista. Era onnipresente, ineluttabile, inarrestabile, talmente forte da riuscire ad oscurare ogni cosa davanti a sé e talmente luminoso da far sembrare il cielo di mezzogiorno scuro e senza vita. Fu ingannevolmente silenzioso, a parte un crepitio simile ad un fuoco scoppiettante, e surriscaldò l'aria fino a quando non divenne così calda da riempire di vesciche la pelle di tutti. Ma la cosa peggiore fu l'odore: l’odore dell’aria marcia, talmente opprimente e irresistibile che Sumire e tutti i presenti non poterono evitare di arricciare le labbra per il disgusto.

Poi, i due attacchi si scontrarono tra di loro.

Non ci furono parole per descrivere ciò che accadde. L’esplosione fu talmente potente da cancellare allo stesso modo rocce, montagne e foreste, devastando la valle in meno di un istante. Poi però si fermò, a non più di qualche centinaio di metri, tenuta a bada da una forza invisibile e inviolabile che non avrebbe permesso il suo passaggio. Sumire fu costretta a posare Shizuma per terra, inclinando il viso lontano dalla luce accecante. I suoi occhi si posarono su Sarada, osservandola con meraviglia mentre i suoi lineamenti erano bloccati in un rigore di concentrazione e costernazione. Vide la corvina spingere le braccia in avanti, il Susanoo che rispecchiava i suoi movimenti, e la Lancia che proiettava ancora la sua forza in avanti e spingeva contro il getto di energia elettrica nemico.

Per un momento, Sumire, Shikadai e tutti gli altri credettero che sarebbe stata la fine. Credettero che avrebbero perso senza alcuna speranza. Che Sarada sarebbe stata sopraffatta e che Boruto sarebbe emerso, ancora una volta, vittorioso.

Eppure…

…si sbagliarono.

Boruto ruggì, il suo urlo che echeggiava fragoroso anche sopra il crepitio del lampo infuocato. Il suo getto di energia raddoppiò di intensità, ed un muro di aria ustionante li investì sempre più forte.

"Ah!" urlò Chocho, rotolando all'indietro a causa del vento opprimente, prima di ritrovare l’equilibrio e raddrizzarsi. Affondò i talloni nel terreno, ancorando i suoi due compagni di squadra più piccoli con le braccia.

Sumire si inginocchiò e assicurò sé stessa e Shizuma a terra mentre il tiro alla fune tra Boruto e Sarada si intensificava. Sarada gemette e ringhiò, il suo Susanoo che tremolava sempre di più mentre i suoi stivali corazzati scavavano nella pietra. L’attacco elettrico si avvicinò, inesorabile, minacciando sempre più di sopraffarla di secondo in secondo. Sarada spinse ancora la Lancia in avanti, resistendo con tutte le sue forze, rallentandone l'avanzata.

“È inutile!" sibilò Shikadai, proteggendosi gli occhi con una mano. Il raggio elettrico accecante si avvicinava a loro inesorabilmente. "È troppo forte!"

Il suono di risate fragorose echeggiò sopra il frastuono della battaglia. "Sì!” esclamò Boruto. “Questa è la vostra fine!"

Sumire trattenne le lacrime con un gemito rabbioso. Non aveva mai pensato che Boruto potesse esercitare un potere simile. Si era sbagliata. Il crepitio dell’attacco aumentò fino a quando non divenne altro che un tuono sordo e ronzante, l'aria così calda che le bruciò la pelle e la lasciò rossa e ustionata. La ragazza grugnì e si accovacciò a terra, sapendo che non c'era nulla che potesse fare se non avere fiducia in Sarada. Shizuma era ancora incosciente mentre lei lo proteggeva con il suo corpo. E mentre lo faceva, i suoi occhi si posarono sull'erba e sul terreno sotto di lei. Vide l’erba appassire, scurire, con il verde che sfumava prima in marrone, e poi in nero, mentre moriva a causa della pressione nell’aria.

I suoi occhi si sgranarono. "Sarada!" urlò, sapendo che era inutile, sapendo che la sua amica non avrebbe mai potuto capire la gravità della loro situazione nel pieno della battaglia.

Eppure, nonostante tutto, la sua amica non si arrese. "RAAAAAHHH!" urlò l’Uchiha, spingendo in avanti il Susanoo, avanzando in mezzo all'oblio e respingendo l'ondata di energia.

"P-Puoi farcela, Sarada!" sibilò Inojin, tenendosi un avambraccio in avanti per proteggersi gli occhi mentre con l’altra mano stringeva forte la sua compagna di Team.

E Sarada ce la fece. Spinse, spinse e spinse, sempre più forte, sempre più decisa, attingendo sempre di più al Potere che l’Eremita le aveva ceduto, respingendo Boruto e il suo attacco senza arrendersi mai. Non si arrese, non cedette, non mollò mai, nemmeno quando i suoi occhi pulsarono e versarono copiose lacrime di sangue denso. Spinse, spinse e spinse, ancora e ancora e ancora; sempre di più, sempre di più, fino a quando non iniziò a guadagnare terreno e respingere l’attacco avversario. Quindi, Sarada grugnì e cadde in ginocchio, il suo Susanoo che faceva lo stesso. Tuttavia, le sue braccia non crollarono, continuando a tenere la Lancia in alto.

Era l'unica cosa che impediva loro di essere obliterati.

Boruto spinse a sua volta, ancora più forte, emettendo una risata maniacale al vento. "Non ti rendi ancora conto di essere contro un dio, Sarada?!"

L’Uchiha sollevò la testa e, dal suo punto di vista, Sumire vide che i suoi lineamenti erano cambiati. Sparita era l’espressione di dolore e sforzo che aveva prima in volto, sostituita da un ghigno selvaggio a labbra aperte che mostrava i denti. Un fuoco luminoso danzava nei suoi occhi rosso sangue, con un ardore feroce e solenne che bruciava con una forza che Sumire non aveva mai visto in nessun altro essere umano a parte Boruto.

Quei due, che ne fossero consapevoli o meno, erano più simili di quanto si potesse immaginare.

Fuoco rosso-arancione danzò a quel punto attraverso l'acciaio e i muscoli spettrali, ed il Susanoo di Sarada guizzò nuovamente alla vita mentre si rialzava, risollevandosi sulle gambe, mentre ancora più ali presero a bruciare all'esistenza mentre iniziava a levitare. Sumire sentì lo sforzo tangibile del chakra nell’aria sulla sua stessa pelle, e comprese che Sarada non avrebbe potuto trattenere a lungo la forma completa del suo costrutto. Questo sarebbe lo scontro finale, in un modo o nell'altro. Non c’erano altre vie di fuga. La Lancia fu liberata dalla sua presa, ma non cadde a terra. Si girò, lentamente, ruotando dolcemente sopra la testa. Poi, il muro di forza proiettato da Sarada acquistò sempre più forza, mentre lentamente, ma inesorabilmente, iniziò di nuovo a respingere il lampo elettrico emanato dal drago di Boruto.

Iniziò lentamente, a poco a poco. Poi però acquistò velocità, ancora e ancora e ancora; e con il passare dei secondi divenne sempre più chiaro per Sumire che Sarada sarebbe uscita, incredibilmente, vittoriosa da quello scontro.

Il miracolo stava per accadere veramente.
 


Stava perdendo.

Nonostante tutto il suo potere, nonostante tutta l’energia del Marchio, nonostante tutto ciò che le aveva lanciato addosso, Boruto stava perdendo.

Stava perdendo questa battaglia.

E appena comprese ciò, una punta di timore e ansia si fece largo nella sua mente già ottenebrata dalla rabbia e dalla frustrazione. Nonostante si stesse impegnando al massimo, per qualche strano motivo, non riusciva ancora a fermare Sarada. La sua vecchia amica spingeva, spingeva e spingeva, e la sua Lancia del Dio del Fulmine veniva respinta sempre più. Non riusciva a crederci. Non poteva crederci. Boruto si rifiutava di accettarlo. Perdere non era un'opzione. Se avesse perso questa gara di forza, la battaglia sarebbe stata persa a sua volta. L'Organizzazione Kara sarebbe stata costretta a ritirarsi. L’Impero avrebbe subìto una sconfitta. La loro seconda grande sconfitta dopo il disastroso assalto nella Terra del Vento.

Se avesse perso questa battaglia, lui sarebbe tornato ad essere quell'insulso e impotente bambino che era stato un tempo, prima di insanguinarsi le mani nella Terra della Pioggia.

No, non poteva accettare una cosa del genere. Non poteva perdere. Non poteva perdere non una, ma ben due volte di fila.

La morte sarebbe stata più accettabile.

I suoi amici stavano urlando qualcosa, dietro di lui, ma il Nukenin non riuscì a sentirli.

Boruto si sollevò, immerso nel corpo etereo del suo drago. Non poteva permettere che finisse in questo modo. Non quando la sua Tecnica più potente era stata rilasciata. La stessa Tecnica con cui aveva raso al suolo il Villaggio della Nuvola, anni prima. Un Jutsu senza pari, basato su un concetto così semplice che era quasi banale. Un fulmine caricato positivamente, talmente potente da essere inarrestabile. Nessun altro a parte lui possedeva una naturale resistenza all'elettricità. Nessun altro poteva sopravvivere alla pura tensione di quel Jutsu. Era semplice, estremamente semplice. Tutto ciò che doveva fare era passare quella tensione ai suoi nemici e vederli bruciare. E lui non aveva forse il metodo di consegna perfetto per quella tensione? Il corpo della sua Volontà del Fuoco, alimentato dall'infinito potere che il Marchio di Ishvara gli forniva. Era perfetto. Era intoccabile. Lui era semplicemente il circuito, il tramite, attraverso cui tutto scorreva.

Eppure, per un qualche motivo oscuro ed ignoto, non stava funzionando.

Boruto raggiunse le profondità del suo sistema, attingendo sempre più chakra, dominando ancora di più il fulmine creato dalla sua Tecnica. Il suo chakra gli scivolò tra le dita come fumo e il biondo strinse i denti, ringhiando con frustrazione. Semplicemente non aveva più abbastanza energia per riuscire a sopraffare il suo avversario.

Quest’ultimo, invece, non aveva lo stesso problema. Sarada continuava a spingere, spingere e spingere, inarrestabile, e Boruto sentì il brivido freddo della paura strisciargli lungo la schiena mentre il suo attacco rallentava ed iniziava a vacillare. "N-No… No!" urlò.

Finché, alla fine, Sarada ebbe la meglio. Il suo mondo venne improvvisamente dipinto di bianco quando sentì l'apocalittica tempesta di lampi che aveva generato infrangersi contro di lui. Ebbe solo un momento per sguazzare nella disperazione prima che un muro inflessibile lo colpisse con una potenza inespugnabile, distruggendo completamente il suo drago etereo e scagliandolo con prepotenza verso la valle. Pietra frastagliata gli affondò dolorosamente nella schiena e Boruto tentò inutilmente di proteggersi dal dolore. Il dolore durò solo un istante, prima che ogni sua sensazione di orientamento e coscienza venisse schiacciata da qualcosa di duro come il metallo. Pietrisco duro e tagliente gli riecheggiò nelle orecchie, e il giovane sentì l'aria uscirgli fuori dai polmoni mentre veniva schiacciato contro le montagne della valle. La pressione aumentò, diventando più forte, e Boruto sentì le sue ossa gemere e vibrare in protesta, generando un rumore agghiacciante che prese ad echeggiargli nelcranio. Poi, per un lungo, terrificante momento, qualcosa dentro di lui temette che Sarada lo avrebbe ucciso.

Invece, misericordiosamente, la pressione cessò e lui cadde. Pietra e acqua gorgogliante si precipitarono ad incontrarlo, ma il suo corpo era troppo spossato ed esausto per riuscire a proteggersi o fermare la sua caduta, e la sua mente troppo stravolta per riuscire a superare la paura e, soprattutto, l'imbarazzo che provava per essere stato sopraffatto da Sarada, una persona più debole di lui.

Quando riuscì finalmente a respirare senza sentire che i suoi polmoni sarebbero esplosi, Boruto si rialzò a fatica. Restare in piedi fu un compito estremamente arduo. Ogni singolo muscolo e ogni singolo osso del suo corpo soffriva, e il guerriero sentiva il suo stesso chakra urlare in agonia per l'abuso a cui lo aveva sottoposto sotto il Marchio di Ishvara. I suoi occhi trovarono i suoi nemici che si radunavano dietro Sarada, a sua volta caduta in ginocchio dopo il loro scontro, il suo Susanoo completamente distrutto. Molti di loro, notò, adesso erano diretti verso di lui.

Volevano catturarlo.

Ma non ne avevano il tempo. Era troppo lontano. Il suo cuore pulsò di tensione quando vide Mikasa ad alcune centinaia di piedi dietro di lui, intenta a camminare favorendo la sua gamba destra. Sora era messo peggio di lei, ovviamente, ma le vegliava vicino assieme a Shirou e Kairi, entrambi esausti e pieni di tagli e contusioni. Alla sua sinistra, Gray aveva evocato un’enorme barriera di ghiaccio per difendere sé stesso e Juvia dagli attacchi nemici, tenendosi lontano dalle ombre di Shikadai. Lucy era... viva, per fortuna, ma sepolta sotto una pila di macerie e stava gemendo sommessamente mano a mano che si liberava. E Shizuma...

…Shizuma era ai piedi di Sumire, privo di sensi. Era stato catturato dai nemici.

Il terrore esplose nel cuore di Boruto.

Appena i suoi occhi esausti videro il corpo del suo amico, il giovane sentì tutta la sua mente svuotarsi e il suo sangue gelare nelle vene. Comprese immediatamente che, con tutta probabilità, non sarebbero stati in grado di salvarlo. Non così, non adesso, ridotti in quelle condizioni pietose. Non avevano speranza di riprenderselo. Non più, ormai.

Shizuma era stato catturato. E, per quanto fosse frustrante ammetterlo, per quanto quel pensiero fosse terribile ed inaccettabile per lui… non c’era più niente che potessero fare per salvarlo.

Avrebbero dovuto lasciarlo. Avrebbero dovuto lasciare indietro un amico, un compagno… e tutto questo perché lui non era stato abbastanza forte. Non era stato perfetto. Non era stato in grado di sconfiggere Sarada. Aveva perso. Era stato sconfitto, e il prezzo da pagare per questa sconfitta era la salvaguardia di uno dei suoi compagni.

Era tutta colpa sua.

E nell’istante in cui comprese ciò, Boruto Uzumaki non riuscì a capire se si sentisse più arrabbiato, o più vergognoso, o più impaurito che mai.

Era talmente tanto distratto dal suo terrore da non riuscire nemmeno a percepire la donna dai capelli rosa fino a quando essa non arrivò proprio accanto a lui, afferrandolo con così tanta forza per l'avambraccio da fargli sentire le ossa che si spezzavano come ramoscelli. Boruto grugnì, sgranando gli occhi, il suo istinto che lo costrinse a scuotersi per levarsela di dosso, raddoppiando il dolore che provava. Fissò gli occhi verdi e arrabbiati della madre di Sarada, guardandola con terrore. Il Sigillo nero sulla sua fronte era attivato, il suo pugno pronto, e il suo volto ardente di furia e determinazione in egual misura.

"Tu hai ucciso il mio sensei," ringhiò Sakura. "E hai tentato di uccidere mia figlia. Ora me la pagherai!"

"Mamma! No!" urlò Sarada da lontano.

Boruto vacillò, sconvolto, mentre Sakura caricava all’indietro il pugno. Il suo braccio libero si sollevò in avanti, rapido, e si scagliò contro la donna. Il giovane premette il dito indice sulla fronte della donna, cercando di friggerle il cervello, ma fu troppo lento. Nonostante i suoi sforzi, nonostante la sua prontezza di riflessi, il suo corpo era troppo esausto per riuscire a fermare la madre di Sarada.

E così, il pugno lo centrò in pieno.

I suoi occhi si sgranarono come dischi. Boruto si contorse, mentre l'agonia lo attraversava dalla testa ai piedi come un fiume di lava bollente a cui non c’era modo di difendersi e resistere. Il suo corpo si piegò in due, di scatto, mentre tutta l’aria che aveva dentro venne fatta uscire prepotentemente fuori senza nessuna pietà di alcun genere. E poi, tutto ciò che percepì fu il dolore.

Il pugno che ricevette fu qualcosa che i monaci del Tempio del Fuoco avrebbero registrato nelle loro Scritture per sempre. Fu un istante di pura agonia che durò in eterno, talmente prepotente che il dolore sembrò sbocciare in ogni fibra del suo essere, oscurandogli la mente, il corpo, ed inibendogli qualsiasi altra sensazione per quella che parve un’eternità. Poi, rapido com’era venuto, il dolore scomparve, ed il mondo tornò misericordiosamente in silenzio mentre l'oscurità lo reclamava.

L’ultima cosa che Boruto sentì prima di svanire nel buio fu la voce di Mikasa che gridava il suo nome.

"Boruto!”
 


Sarada osservò l'ira di sua madre che mandava Boruto a volare in cielo come un razzo, spaccando la montagna su cui si schiantò come un missile nucleare. Il tempo si sfilacciò e dilatò dinanzi ai suoi occhi esausti mentre quel Destino veniva infine settato. Questa… Questa non ci voleva. Aveva già inflitto più dolore a Boruto di quanto avesse pianificato, e ora sua madre aveva aggravato ulteriormente il fallimento del suo vecchio amico. Non era così che sarebbe dovuta andare. Boruto avrebbe semplicemente dovuto sfinirsi nella lotta contro di lei, restare ferito, e ritirarsi in fuga dalla battaglia assieme agli altri, lasciandosi solo Shizuma Hoshigaki alle spalle.

Ma adesso? Adesso Boruto era una carcassa mutilata di carne schiacciata, sangue piangente e ossa rotte. Invece di ritirarsi con grazia, adesso Boruto sarebbe stato trasportato via aggrappandosi a fatica alla vita. Non sarebbe dovuto succedere. Non sarebbe assolutamente dovuto succedere.

Perché adesso che era stato umiliato in quel modo… la sua vendetta sarebbe stata imprevedibile.

Ma Sarada non ebbe il tempo, né la forza, per pensare a quella terribile eventualità. Vide Juvia scatenare un colossale ed immenso getto d’acqua acida che costrinse sua madre a ritirarsi, mentre Mikasa si trascinava verso Boruto con una gamba rotta, prima di scivolare su un ginocchio accanto a lui. Le sue mani tremanti si illuminarono di verde mentre le passava sul corpo del biondo, prima di chinarsi su di lui per posare un bacio affranto sulle sue labbra. A quella visione, Sarada sentì qualcosa di acido formarsi sulla bocca del suo stomaco.

"Ritiriamoci!" abbaiò duramente Mikasa, la sua voce rauca ma potente che echeggiò attraverso la valle.

"Aspetta! Shizuma è stato catturato!" urlò Lucy in segno di protesta.

"Non abbiamo tempo!" ringhiò Gray.

"Non m'interessa! È un mio compagno, ed io non me ne andrò senza di lui!" ruggì ancora la bionda, facendosi minacciosamente avanti con le dita contorte in un Sigillo.

Ma non sarebbe successo. Ebbe modo di fare solamente pochi passi prima che un ago la colpisse sul collo, facendola collassare a terra, priva di sensi. Shirou la raccolse tra le braccia e i Kara si radunarono attorno al loro leader svenuto. Poi, in meno di un battito di ciglia, l'intero gruppo scomparve lontano da lì in con un’esplosione di fumo bianco ed acre che avvolse ogni cosa. Poi, il silenzio tornò a regnare per tutta la valle devastata.

Avevano vinto.

Sarada emise un sospiro di sollievo. Guardò il paesaggio circostante, rattristato dalla distruzione che lei e Boruto avevano generato. Il letto della valle era stato ulteriormente allargato, le foreste ai bordi sradicate e frantumate da crolli di roccia e pietra. Tuttavia, questo non era niente in confronto a quello che avevano fatto i loro genitori, molti anni prima, durante il loro scontro nella Valle della Fine. Lei e Boruto avrebbero potuto essere in grado di distruggere una città, ma i loro padri potevano alterare interi paesaggi e devastare persino i continenti. Non c’era paragone tra le loro abilità.

Con un gemito, Sarada si strofinò gli occhi insanguinati mentre permetteva al suo Sharingan Ipnotico di svanire. La sua vista si offuscò immediatamente, ed il mondo divenne una sfocatura di colori e forme indistinte. Per poco, veramente poco, la cecità non la travolse, e Sarada la spinse via in un impeto di panico e timore. La paura che provava per la mortalità dei suoi occhi era un terrore che si portava sin da sempre nella testa, e l’Uchiha sapeva dei rischi che correva ogni volta che dava sfogo alle abilità oculari del suo clan.

Tuttavia, se voleva riuscire a vincere questa Guerra, era un prezzo che doveva essere preparata a pagare.

Si accamparono all'ombra dei bordi della valle. Il Rokubi (Esacoda) rimase contento di essere stato salvato, optando per andare a nuotare nel grande lago che sorgeva lì vicino. Sarada e i suoi amici invece si riposarono, curando le loro ferite ed indossando espressioni cupe ma vittoriose. Nessuno di loro sembrava desideroso di parlare o pianificare la loro prossima mossa. Si accontentarono di rimanere in silenzio per un po', crogiolandosi in quella sensazione che non avevano mai provato prima di quel momento: vittoria. E, Sarada lo sapeva meglio di tutti, non poteva criticarli per quello. Per il momento, adesso che avevano vinto, avrebbe permesso loro di riposare ed esultare.

Dopotutto, quello che sarebbe successo adesso non sarebbe stato piacevole.

Un’ora di tempo dopo, infatti, Shizuma Hoshigaki si svegliò. Konohamaru, uno dei due comandanti del gruppo assieme a Shikadai, nominò quest’ultimo come suo osservatore. Appena riprese conoscenza, lo spadaccino nemico apparve visibilmente confuso, poi spaventato, prima che i suoi lineamenti si indurissero e diventassero gelidi e furiosi come non mai, proprio come si addiceva alla sua persona.

Passò ancora un'altra ora prima che Himawari potesse finalmente raggiungerli. La sua pelle era arrossata e umida di sudore mentre la giovane ragazza respirava affannosamente, essendo chiaramente corsa a perdifiato da qualsiasi punto in cui il Nanabi (Eptacoda) l'aveva lasciata.

E allora, Sarada rafforzò la sua decisione.

Era giunto il momento.

Appena la giovane Uzumaki si unì a loro, Sarada fece un respiro profondo. "Inojin," chiamò, spostandosi delicatamente dagli occhi le mani di sua madre che brillavano di verde nel tentativo di curarla. "Voglio che entri nella sua mente e trovi un modo per seguire i Kara fino alla loro base nascosta," ordinò, inclinando la testa verso Shizuma.

Il prigioniero si irrigidì visibilmente all’udire ciò, i suoi occhi che si riempivano sempre più di furia. "Fottiti!" ringhiò l’Hoshigaki. "Preferirei morire piuttosto che darti la posizione di Boruto, anche senza contare il resto dei miei amici!"

Sarada annuì, conoscendo in anticipo le parole esatte che lasciarono le labbra dell’uomo, e fece segno a Inojin di farsi avanti. Quest’ultimo si fermò, guardando Shikadai, il quale sembrava indeciso mentre si trovava accanto a Himawari. Alla fine, il Nara annuì.

Inojin si strinse nelle spalle e fece un passo verso il loro prigioniero. "Va bene," sospirò.

Sarada osservò attentamente mentre Inojin posava una mano sulla fronte del mercenario. Quest’ultimo scattò in avanti, schioccando i denti mentre cercava di mordergli le dita. Shikadai lo trattenne con una presa salda sulle spalle, borbottando. Shizuma combatté e si agitò furiosamente per diversi minuti, prima che la Tecnica del Controllo Mentale avesse effetto e i suoi occhi divennero vuoti.

Il silenzio tornò a regnare tra tutti i presenti. La giovane Uchiha sapeva che non avrebbe dovuto aspettare molto.

Passò solo mezzo minuto, infatti, prima che Inojin rimanesse senza fiato, allontanandosi di scatto da uno Shizuma ghignante e strafottente. "Inojin!" gridò in allarme Shikadai, stabilizzando il suo amico. "Stai bene? Cos'è successo?"

Inojin annuì, massaggiandosi la fronte. "Sì, sto bene," mormorò. "Le sue difese mentali sono ben sviluppate, ma non erano nulla che uno Yamanaka con un addestramento decente non potesse superare. Eppure…"

"Eppure...?" premette Konohamaru.

"Eppure," ridacchiò l’Hoshigaki in tono ferale. "Il nostro glorioso leader ha imparato una bella lezione l'ultima volta che i Kara sono stati catturati," dichiarò, godendo nel vedere le espressioni stralunate nei volti dei suoi nemici.

Il biondo annuì, stizzito. "Boruto sembra aver sigillato una piccola parte del suo chakra nella sua mente," spiegò a tutti gli altri. "Il suo chakra agisce come una sorta di guardiano, costringendo chiunque cerchi di entrare nella sua mente a combattere per superarlo."

I giovani sgranarono gli occhi a quella rivelazione. Dopotutto, non ci voleva certo un genio per comprendere il significato di quelle parole. Quello che Boruto aveva fatto era semplicemente stato assicurarsi di non commettere gli stessi errori del passato. Quindi, questo voleva dire che non c’era modo di estrapolare informazioni da Shizuma tramite il controllo mentale. Era una strada senza uscita.

 "…dannazione," imprecò il Sarutobi.

Shikadai sospirò a sua volta. “Che seccatura.”

Ma Sarada non disse niente, avendo già previsto a grandi linee quella situazione. Fece una pausa, lasciando che il peso della loro incapacità di ottenere informazioni si stabilizzasse sulle spalle della sua squadra, prima di riprendere a parlare. "Non è un problema irrisolvibile. Questo tipo di difesa mentale necessita di una condizione per funzionare: il chakra di Shizuma deve ospitare quello di Boruto," mormorò, fingendosi pensierosa, posandosi una mano sul mento come se avesse improvvisamente pensato ad un'idea.

Shikadai e tutti gli altri si accigliarono. "Cosa intendi dire?" le chiese Sumire.

L’Uchiha assunse un’espressione solenne. "Se non avesse chakra nel suo corpo, allora neanche il chakra di Boruto potrebbe fare nulla per interferire..." spiegò lentamente.

Gli occhi di Shikadai si sgranarono a dismisura mentre il suo sguardo si spostava su Himawari. Il Nara impallidì visibilmente appena intuì a cosa si stava riferendo la loro amica. "Assolutamente no," esclamò.

Sumire, Inojin, Chocho e Konohamaru li guardarono con confusione, i loro occhi che guizzavano dall’Uchiha al Nara. "Di che state parlando?"  chiesero allo stesso tempo. Sakura invece assunse un’espressione afflitta.

Himawari guardò freneticamente tra Sarada e Shikadai, come se fosse incerta su chi obbedire. "Possiamo porre fine a questo, Himawari," mormorò dolcemente Sarada

"Ehm, ragazzi… di cosa state parlando?" ripeté Sumire.

"È troppo pericoloso!" ringhiò Shikadai. "Una Tecnica del genere ha moltissimi rischi! Non sappiamo nemmeno se il suo corpo riuscirebbe a resistere!"

Sarada sorrise timidamente. "Immagino quindi che sia un bene avere il più grande medico al mondo assieme a noi, no?" ribatté, puntando un dito verso sua madre.

Shikadai guardò oltre le spalle di Sarada e vide Sakura, notando fin troppo bene che il fuoco negli occhi dell’Uchiha non diminuiva. Passarono cinque secondi di silenzio. Cinque secondi in cui il Nara e la corvina si osservarono a vicenda, sfidandosi con gli sguardi. Poi, alla fine, Shikadai sospirò. "Va bene," esalò, sconfitto, rivolgendosi alla sua ragazza. “Hai il mio permesso.”

Sarada guardò a sua volta Himawari. La ragazza annuì con un cenno del capo. "Lo farò."

Shizuma sembrò rendersi conto che qualcosa non andava. "Ehi!" abbaiò furiosamente. "Tienila lontana da me, cazzo! Voi Shinobi avete delle leggi, no? Comportamenti standard per il trattamento dei prigionieri di guerra! Non potete torturarmi!"

"L'Organizzazione Kara non è una Nazione, né è riconosciuta sovrana dagli altri Paesi esterni all’Impero," lo informò cupamente Shikadai. "E anche se lo fosse, beh, quelle leggi contano solo sulla carta. Nessuno le segue veramente."

Sarada fece un cenno verso la sua ex compagna di Team, ignorando le proteste del prigioniero. “Sumire, tienilo fermo. Himawari userà una Tecnica per rimuovergli per sempre il chakra,” ordinò.

Sumire sembrò titubante, ma trattenne a dovere il prigioniero mentre Himawari si inginocchiava dinanzi a lui. Sarada lasciò entrare nuovamente il chakra nei suoi occhi mentre attivava lo Sharingan. In tutta onestà, se doveva essere sincera, nemmeno lei sapeva come sarebbe finita. La sua abilità di preveggenza non era stata chiara sull’esito di ciò che stavano per fare. Non aveva abbastanza informazioni su Shizuma. Tuttavia, non potevano esitare. Questa era l’unica occasione che avevano per scoprire dove fosse localizzata la dimensione in cui Boruto e i Kara si stavano nascondendo. La loro unica possibilità di scovarli e costringerli alla resa.

Non potevano lasciarsela sfuggire.

Himawari chiuse gli occhi, fece un respiro profondo, e le vene nelle sue tempie si contrassero mentre il suo Byakugan si manifestava alla vista. Appoggiò una mano sulla fronte di Shizuma, costringendo il prigioniero a lottare furiosamente contro i suoi rapitori. Chocho si mosse per aiutare Sumire quando vide che lo spadaccino stava diventando sempre più violento.

Sarada si preparò mentalmente, osservando il chakra di Himawari che scorreva attraverso le punte delle sue dita, entrando nel sistema circolatorio del prigioniero. Era come guardare l'acciaio fuso che veniva colato in uno stampo. Un processo lento, ustionante e complesso. E doveva anche essere una sensazione terribile, visto il modo in cui Shizuma iniziò subito ad urlare. Il chakra di Himawari si mescolò a quello dell’Hoshigaki, riassumendolo, sussumendolo, cancellandolo e riempiendolo fino all'orlo. Shizuma urlò così forte che le orecchie di Sarada risuonarono delle sue grida, mentre il mercenario spasimava nella presa di Sumire, Chocho e Shikadai, inorriditi. Himawari continuò, superando i limiti del chakra del prigioniero, e Sarada distolse gli occhi quando vide che i percorsi del chakra dell’uomo si espandevano oltre il loro punto di rottura, frantumandosi oltre ogni salvezza.

E ancora, Shizuma urlò. Oh, eccome se urlò. Un grido acuto e straziante, talmente forte da far accapponare la pelle e rabbrividire la schiena. Un rumore che Sarada non aveva mai sentito in vita sua, talmente orripilante da farle rizzare i capelli e prudere la pelle. Qualcosa di primordiale e oscuro le sussurrò nella parte posteriore della mente, dicendole che ciò che aveva appena sentito erano gli ultimi rantoli di un animale morente.

Poi, di colpo, tutto cessò.

Himawari si ritrasse di colpo, spaventata, e Shizuma rimase perfettamente immobile a terra davanti a lei. Il petto del mercenario non si sollevò, il suo viso congelato in un'espressione di agonia e orrore. Himawari rimase a bocca aperta, le mani che le volavano davanti alla bocca, mentre copiose lacrime luccicanti cominciarono a riversarsi dai suoi occhi.

Shizuma Hoshigaki, il loro primo prigioniero di guerra, era morto.

Sarada si accigliò. "Accidenti," imprecò sottovoce. Aveva sperato che quell’uomo potesse sopravvivere al trattamento e rivelare loro informazioni utili, usandolo poi come esca per richiamare Boruto, ma adesso… adesso era tutto inutile. Era morto per causa sua. Il Potere della Preveggenza non le aveva fornito abbastanza chiarezza. Non poteva farlo senza avere maggiori dati sul suo conto. Le aveva semplicemente mostrato una probabilità di sopravvivenza di cinquanta e cinquanta.

E adesso, per colpa loro, uno degli amici di Boruto era morto.

"Oh, Dio…" ansimò Himawari, girandosi di scatto e scappando nella foresta mentre il sole tramontava.

"Hima, aspetta!" la richiamò Shikadai, correndole dietro.

Inojin si inginocchiò e chiuse gli occhi dell’uomo privo di vita, coprendogli il corpo con un mantello di pezza.

Shizuma Hoshigaki era morto.

Boruto non ne sarebbe stato felice.

Sumire si portò al fianco di Sarada. "Lo sapevi,” fu tutto ciò che disse.

Sarada la guardò, il suo sguardo spento. Ed osservando l’emozione negli occhi della sua ex compagna di Team, la giovane comprese che neanche lei, così come tutti gli altri, era stata d'accordo con la sua decisione di sfruttare in quel modo il prigioniero. La giovane Uchiha sospirò, annuendo semplicemente in silenzio.

Sumire non disse nulla, limitandosi ad andarsene in silenzio.
 
 
 





 

Note dell’autore!!!

Salve gente, sono tornato! Vi chiedo scusa ancora una volta per il ritardo della pubblicazione, ma gli impegni non fanno che aumentare mano a mano che il tempo passa. Ovviamente io vi garantisco, ancora una volta, che la storia continuerà assolutamente, come ha sempre fatto. A volte però ci vorrà del tempo a causa di impegni personali e non, quindi vi chiedo solo di avere pazienza.

Comunque sia, per farmi perdonare dell’attesa, ecco a voi un capitolo bello lungo, corposo e denso di combattimenti. Finalmente abbiamo visto la seconda riunione tra Sarada e Boruto, ed abbiamo ricevuto la dimostrazione di ciò che abbiamo cominciato ad intravedere già nei capitoli precedenti: il nuovo Potere di Sarada. Come avete visto, ha ricevuto da parte di Hagoromo l’Abilità Oculare della Preveggenza che le permette di comprendere e simulare tutte le azioni dell’avversario, prevedendole in anticipo. Questa sarà la sua sola ed unica Abilità Oculare a parte il Susanoo. Ovviamente però, anche un’abilità simile ha delle debolezze. Meno informazioni si ha sull’avversario, meno precisa sarà la previsione dei suoi attacchi. Sarada, invece, conosce il nostro Nukenin fin troppo bene, ed è per questo che è riuscita ad avere la meglio nello scontro, impedendogli di catturare Saiken. Quindi, per la prima volta, Boruto ha fallito completamente una missione di cattura. Grazie all’intervento di Hagoromo, in altre parole, finalmente anche per Boruto Uzumaki le cose cominciano a farsi complicate.

Shizuma è morto per davvero, per chi se lo stesse chiedendo. La sua fine è inaspettata, ve lo concedo, ma vi ricordo una cosa: siamo in Guerra. Durante una Guerra, le persone muoiono, e non sempre quelle della fazione che appoggiamo noi. Quindi… c’era da aspettarselo. Che cosa succederà adesso con Boruto lo scopriremo presto, ve lo assicuro.

Vi invito, ancora una volta, a farmi sapere cosa ne pensate della vicenda. Mi farebbe molto piacere conoscere le vostre opinioni. Inoltre, vista la lunghezza del capitolo, alcuni errori grammaticali e di stesura potrebbero essermi sfuggiti durante la correzione. Semmai doveste trovarne qualcuno, vi prego sinceramente di farmeli notare così da poterli correggere quanto prima.

Grazie mille in anticipo a tutti. A presto!
 


SUSANOO DI SARADA

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Capitolo 27
*** Un Fuoco che Arde Minaccioso ***


UN FUOCO CHE ARDE MINACCIOSO



08 Dicembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
07:12

Boruto l'avrebbe uccisa.

Non gli importava che fosse la madre di Sarada, né che lei e suo padre fossero amici di lunga data, né tantomeno che fosse la moglie di Sasuke Uchiha. Boruto l’avrebbe uccisa a qualunque costo. Sakura Haruno l’aveva ferito pesantemente, sia nel fisico che nell’orgoglio, ed un affronto simile sarebbe stato punito unicamente col sangue. Il suo stesso cuore non riusciva nemmeno a battere senza inviare un impulso di dolore attraverso il suo corpo. Quella donna gli aveva frantumato ogni osso del braccio, della spalla, delle costole e dello sterno. Era un miracolo che fosse riuscito a sopravvivere. Un miracolo attribuito solamente al suo sangue Uzumaki e alle cure meticolose di Mikasa.

Boruto gliel’avrebbe fatta pagare cara.

Zoppicò per le sale del castello, rifiutandosi di restare a letto un altro giorno. Era il leader dei Kara, il Kurokage dell’Impero, l'ultima speranza per un mondo pacifico. Non poteva permettersi di prendere un giorno libero. Aveva del lavoro da fare. Nazioni ed eserciti da gestire, persone da guidare, nemici da uccidere, governi da abbattere e alleati da radunare.

Il riposo era un lusso che non poteva permettersi.

Il Nukenin grugnì quando finalmente raggiunse la porta della stanza di Lucy. Bussò educatamente, nonostante avesse l'autorità di andare dove voleva e fare quello che voleva. In qualunque altra occasione, si sarebbe aspettato di trovare la sua amica al settimo cielo, come sempre. Oggi, tuttavia, Lucy era furibonda, e tutt'altro che tranquilla come al solito. "Vattene!" gridò lei dall’altra parte della porta.

Il giovane sospirò. Con un pensiero, rilasciò dalla punta del dito una scarica elettrostatica che fece scattare la serratura, forzandola a rompersi. Spinse cautamente la porta con un braccio, prima di inspirare profondamente ed aprirla con la punta dello stivale. Lucy gli scagliò qualcosa in faccia – un vaso pieno di fiori – e Boruto lo schivò per un pelo prima che andasse in frantumi contro il muro, bagnandogli i capelli con l'acqua. Il ragazzo fece un secondo respiro profondo e sospirò. Se lo avesse colpito dove le sue ossa erano ancora in via di guarigione, probabilmente avrebbe perso i sensi per il dolore.

"…Lucy," la rimproverò.

La stanza era buia, completamente gettata nell'ombra. Boruto vide la sua amica seduta sul pavimento, raggomitolata in una posizione fetale vicino ad un tavolino in fondo alla stanza. Sospirò nuovamente, e si rassegnò ad una lunga marcia attraverso la stanza. Per fortuna, la bionda non gli lanciò nient'altro. Ci mise quasi un minuto intero per attraversare la distanza che li separava. Poi, quando la raggiunse, Boruto appoggiò la schiena contro il muro e scivolò sul pavimento per unirsi a lei.

Non dissero niente una volta rimasti l’uno accanto all’altra. Rimasero seduti in silenzio per diverso tempo. Poi, dopo un po', le sue orecchie si contrassero quando sentirono dei piccoli gemiti soffocati iniziare a nascere accanto a lui. Il biondo sentì il suo cuore grondare di dolore. "Lo riporteremo indietro, Lucy," giurò. "Te lo prometto."

"Come puoi dirlo?" ringhiò lei, la sua testa sepolta tra le mani per mascherare le lacrime che senza dubbio le cadevano dagli occhi.

"Ho riportato indietro tutta l’Organizzazione Kara, no?" sussurrò ancora lui.

Lucy lo schernì. "I Kara erano importanti. La loro morte sarebbe stata un evento seguito da qualsiasi parte del continente, e non c’è persona in tutto il mondo che non conosca le loro azioni. Io e Shizuma siamo diversi," sibilò.

"Siete membri dei Kara anche voi," le ricordò Boruto, deciso. "Non c’è nessuna differenza tra di noi. E se ti ricordi, uno dei vantaggi di essere un membro della nostra famiglia è che ci prendiamo cura di noi stessi, gli uni gli altri. Solo perché Mikasa, Sora, Juvia o qualsiasi altro membro dei Kara è più forte rispetto a te o Shizuma, questo non significa che io non cercherò di dare il massimo per riprendermi il mio amico."

Lucy ridacchiò, un suono cupo e ironico privo di allegria. “Cos’è che ha detto quel Nara, ieri? Ogni Ninja, per te, è come una semplice pedina su una scacchiera,” ripeté, imitando la voce di Shikadai. "Questo è tutto quello che io e Shizuma siamo sempre stati per te. Delle pedine. Delle misere pedine sacrificali."

Boruto si rattristò dopo quelle parole, il suo cuore che grondava di rammarico. Perché, se doveva essere sincero, la sua amica aveva ragione. In passato, quando li aveva reclutati, per lui loro due non erano stati altro che due semplici strumenti di distruzione. Due strumenti da usare per riuscire a seminare morte, panico e guerra per il mondo. Ma adesso?

Il giovane sospirò. "Vuoi che ti dica la verità?" iniziò allora a dire. Lucy inclinò la testa per guardarlo di sbieco, forzandolo a parlare. "Hai ragione. All'inizio… per me eravate dei semplici strumenti. Dei semplici Nukenin spericolati che avevano bisogno di una causa da seguire. E io, io vi ho semplicemente fornito quella causa. Ma col passare del tempo… mi sono reso conto di una cosa. Voi due non siete dei miseri strumenti. Mi avete aiutato a percorrere il sentiero del mio sogno, e i miei occhi vi hanno visto crescere di giorno in giorno, sia te che Shizuma. Vi ho visti diventare più che dei miseri Guerrieri nati in un’epoca di pace. Forse potrà sembrarti esagerato, ma io vi ho davvero considerato come amici. Ancora adesso. Inoltre, so cosa stai passando in questo momento, Lucy. Perciò… che razza di amico sarei se ti lasciassi soffrire da sola?"

Lucy tirò su col naso, scuotendo lentamente la testa. "Come puoi sapere come mi sento?" domandò, affranta.

Boruto deglutì. "Tu e Shizuma siete come fratello e sorella, giusto? Ebbene… non siete gli unici a condividere un legame simile con qualcuno. Anch’io ho una sorella, ricordi?" Lucy trasalì non appena lo sentì parlare in quel modo, sconvolta. Boruto non era solito parlare della sua vecchia famiglia davanti a loro. "So esattamente come ci si sente a separarsi da un familiare stretto. Quindi ti farò una promessa, Lucy. Una promessa da fratello a sorella. Ti prometto che salverò Shizuma, ad ogni costo, e te lo riporterò indietro ancora una volta."

Lucy non disse niente per diversi secondi dopo quelle parole. Il silenzio regnò sovrano per quella che parve un’eternità. Poi, inaspettatamente, la giovane poggiò delicatamente la testa sulla sua spalla. Boruto sorrise, trasalendo per il dolore mentre sollevava un braccio per cingere le spalle della sua amica. "Inoltre," sussurrò. "Tu e Shizuma non siete mai stati dei 'pedoni'. Siete troppo forti per essere miseri pedoni. No, voi due sareste qualcosa come... una Torre, ecco. Diretti, potenti e travolgenti."

Lucy soffocò una risata, la sua voce tornata un po' più leggera e cristallina come al solito. Era la sua prima risata dopo… moltissime ore. "Grazie, Boruto," disse dolcemente.

Il Nukenin sorrise, limitandosi a stringerle le spalle.
 


08 Dicembre, 0021 AIT
Collina senza Nome, Terra dei Fiumi
15 Km dal Confine
07:12

Shikadai trovò Himawari dopo una lunga corsa – durata una giornata intera – tra le dolci colline boscose della Terra dei Fiumi. Era l’alba, e il cielo stava assumendo un colore blu-viola scuro mentre il sole sorgeva e la luna scompariva. La ragazza era seduta sul terreno, con le ginocchia infilate sotto il mento mentre piangeva, gli steli d’erba attorno a lei che ondeggiavano in una leggera brezza di vento. Shikadai tirò un sospiro di sollievo.

"Hima," disse a bassa voce.

Himawari non reagì. Non si mosse per fuggire o per parlare, ma un silenzioso singhiozzo le sfuggì sommessamente dalle labbra. Vedendola in quello stato, Shikadai si mosse per sedersi accanto a lei, posizionandosi in cima alla collina con cuore affranto. Si insultò inconsciamente, maledicendo la sua incapacità di fare qualcosa per aiutare la sua ragazza. Non sapeva cosa fare aiutarla. Forse, pensò alla fine, non c'era proprio niente che potesse fare. E tra le due prospettive, non sapeva quale fosse la peggiore.

Passò molto tempo prima che Himawari smettesse di piangere. Il freddo della notte aveva ceduto il passo al calore del mattino, e Shikadai era abbastanza sicuro che il suo sedere fosse ormai bagnato di rugiada. Il silenzio era assoluto, quasi inquietante, quando finalmente Himawari parlò.

"L'ho ucciso," sussurrò, la sua voce così bassa che Shikadai non l'avrebbe colta se non avesse aspettato intere ore per sentirla. "Sono un mostro."

Il Nara fece un respiro, trattenendolo dentro finché la sua mente non ebbe abbastanza tempo per formulare una risposta. Espirò mentre iniziava a parlare. "Sì, l'hai ucciso," disse. "Ma non sei un mostro. Sei una Kunoichi, uno Shinobi, e gli Shinobi eseguono gli ordini. Sarada ed io ti abbiamo ordinato di farlo. Se devi incolpare qualcuno per quello che è successo, allora incolpa noi. Tu non hai fatto niente di sbagliato."

"No," singhiozzò lei. "I-Io… l'ho ucciso. N-Non sono riuscita ad essere precisa, a trattenere a dovere la Tecnica, e l’ho ucciso. E adesso… uno degli amici di mio fratello è morto per colpa mia. Oh, Dio! E-E se Boruto mi odiasse per questo? Se appena lo verrà a sapere decidesse di vendicarsi? Io… non potrei più vivere in pace con me stessa!"

Shikadai le appoggiò una mano sulla spalla. "Boruto è forte, Hima," disse. "Più forte di Shizuma. La sua perdita non lo colpirà più di tanto. Riuscirà benissimo a farne a meno. E te lo ripeto: per quanto possa essere doloroso, non è stata colpa tua. Non addossarti colpe che non hai."

Ma quella scosse violentemente la testa "No!" gridò, staccandosi da lui. "No! Non capisci! Avrei dovuto essere più cauta! Avrei dovuto aspettarmelo! Il Grande Saggio dei Rospi mi aveva avvertita di questo! Non potevo... non avrei dovuto..."

"Calmati," esalò con forza Shikadai, tirando Himawari verso di sé. "Andrà tutto bene. Cosa intendi riguardo al Grande Saggio? Di cosa ti aveva avvertita?"

Himawari singhiozzò, seppellendo il viso nell'incavo del suo collo. Quando gli rispose, la sua voce uscì bassa come un sussurro. "M-Mi ha detto… Mi ha detto," singhiozzò. "Che avrei dovuto scegliere. N-Nella profezia. Ha detto... che il mio Destino era segnato da una scelta, una che avrei dovuto prendere in ogni caso. E che la mia scelta avrebbe portato alla morte di innumerevoli persone. Io... sapevo che dovevo stare più attenta. Sapevo che dovevo essere più accorta. Eppure... non c’è l’ho fatta. Ho ucciso Shizuma solo perché me l'ha chiesto Sarada."

Shikadai aggrottò la fronte. "…pensi che questa sia stata la scelta a cui si riferiva? La Spada e lo Scudo?” domandò.

Himawari annuì. "Potrebbe esserlo," ammise. "Shizuma era un membro dell’Organizzazione Kara. Ha servito Boruto per anni. Cosa succederà quando scoprirà che è morto? Cosa succederà quando scoprirà che sua sorella è un'assassina? Mi odierà per sempre…"

"Non lo farà!" giurò Shikadai, deciso e determinato. Non era colpa di Himawari se Shizuma era morto. Era colpa sua, sua e di Sarada. E loro due, loro due soltanto, si sarebbero presi la colpa. "E tu non sei un’assassina, Hima. Siamo in guerra. Le persone muoiono in guerra. Questo… semplicemente succede."

La ragazza scosse la testa. "Questa... è stata la prima volta che ho ucciso qualcuno, Shikadai," sussurrò. "Ho sentito le sue urla echeggiare nelle mie orecchie mentre lo uccidevo."

Shikadai trattenne il respiro all’udire ciò, zittendosi immediatamente. I suoi occhi si fecero pesanti mentre le passava una mano tra i capelli. "Noi siamo Ninja, Himawari. Cuori sotto le lame, ricordi? Uccidere è quello che facciamo," disse.

Himawari scosse nuovamente la testa. Il suo corpo era rigido e immobile. "Hai mai ucciso qualcuno, Shika?" chiese all’improvviso.

Il giovane deglutì. "Ad essere onesto… non lo so," ammise alla fine. "Forse. È stato durante una pattuglia di confine qualche anno fa. Alcuni soldati della Rivoluzione sono incappati su di noi. Ci superavano in numero e ci hanno colti di sorpresa, così siamo stati costretti alla ritirata. Ho usato una Tecnica di rilascio del Vento al centro della loro formazione. Sarei sorpreso se nessuno fosse morto in quell’occasione. Probabilmente molti sono rimasti paralizzati a vita. Quindi... non lo so."

La giovane Uzumaki ingoiò un singhiozzo dopo quelle parole, restando avvinghiata a lui. Passarono diversi secondi di silenzio. "C-Come ha fatto Boruto ad affrontare tutto questo?" chiese dolcemente, abbattuta, la sua voce così devastata che il cuore del Nara ebbe un fremito di dolore all’udirla.

Shikadai si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo a terra. "Non lo so," ammise, e ultimamente sembrava che non sapesse molto su niente. "Tuo fratello è sempre stato forgiato nel fuoco. A dodici anni era già un mercenario."

Himawari annuì lentamente, senza dire nulla, e mano a mano che il tempo passava il suo respiro si uniformò. Ci vollero alcuni istanti prima che Shikadai si rendesse conto che si era addormentata. Tirò un sospiro di sollievo, cullandola tra le sue braccia. E mentre guardava il sole nascente, il giovane dovette chiedersi se essere forgiato nel fuoco, come Boruto, fosse veramente una cosa buona. Dopotutto, Boruto era giovane, troppo giovane, eppure era già era stato spezzato, indurito e modellato dai fuochi della Guerra. E cosa era diventato a causa di ciò? Un guerriero e un assassino. Un mostro per il quale il valore della vita umana valeva poco o nulla difronte al guadagno personale.

C'era un vecchio detto tra i veterani della Terza Guerra Mondiale. Un detto strano, antico, di quelli che non si usavano più da decenni. Shikadai l'aveva sentito dire da alcuni dei Jonin con cui aveva servito negli anni passati. ‘I grandi uomini sono forgiati nel fuoco’, diceva. ‘Ed è estinguendo la fiamma degli uomini inferiori che si accende il fuoco dentro di noi.’

Per qualche motivo, Shikadai non pensava che gli innumerevoli morti che avevano acceso il fuoco dentro Boruto sarebbero stati d'accordo.
 


08 Dicembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
15:00

Naruto – o meglio, il suo clone – ammiccò furiosamente le palpebre per scacciare le lacrime che si stavano raccogliendo agli angoli dei suoi occhi mentre guardava il filmato. Shikamaru camminava goffamente avanti e indietro a pochi passi dietro di lui, mentre lo strano monaco giunto assieme al Nara, Sentoki, si limitava ad osservarli entrambi con serietà dall’altra parte dell’ufficio. E in quel momento, mentre osservava tutti i filmati e le testimonianze che i suoi amici avevano raccolto durante la loro infiltrazione nella Terra del Ghiaccio, il Settimo Hokage comprese, una volta per tutte, come stavano le cose.

Suo figlio… c’è l’aveva fatta. Aveva davvero creato una Nazione. C’era riuscito. E nel vederlo così, coi suoi stessi occhi, per la prima volta, nemmeno lui poté trovare il coraggio di negarlo. Era proprio come Boruto gli aveva detto in passato, quando lo aveva arrestato. Loro due non erano così diversi, dopotutto. Erano due facce della stessa medaglia. Lottavano per la stessa cosa, ciascuno in modo diverso, ma entrambi decisi ad arrivare alla stessa destinazione. Guardando l'orgoglio e la speranza negli occhi dei cittadini della Terra del Gelo, udendo la riverenza nelle loro voci quando parlavano del loro stimato Kurokage, Naruto non poté evitare di crogiolarsi nel senso di orgoglio che gli sgorgava nel petto. Perché Boruto, nonostante tutto il male che aveva fatto, era riuscito a provvedere e dare speranza a tutte quelle persone che lui stesso aveva fallito.

Ovviamente però, quell'orgoglio era temperato dalla tristezza. Persino Naruto, che certamente non era l’uomo più astuto del mondo, poteva rendersi conto della genialità nella trama di suo figlio. Uccidendo la nobiltà, aveva creato un vuoto di potere. E se nessuno avesse preso il controllo della situazione, il mondo sarebbe precipitato nell'anarchia. E se lui stesso, l'Hokage, avesse provato a riprendere il controllo del pianeta, avrebbe solamente dimostrato il punto, per quanto falso, che Boruto aveva cercato di inculcare al mondo fin dall'inizio: i Ninja volevano riprendersi il potere per opprimere le persone.

Era una trappola senza uscita.

L'unico barlume di luce in quel mare di oscurità erano Shikamaru, sempre astuto, che già veniva da lui con una contro-strategia, e Sentoki, pronto e disposto ad impegnare sé stesso e le sue conoscenze per la causa della Foglia. Entrambi gli uomini indugiavano nel suo ufficio, e Naruto fu costretto a distogliere lo sguardo dal filmato della Terra del Gelo per fissarli entrambi.

A quel punto rimaneva solo una domanda: cosa fare adesso? La situazione di stallo in cui si trovavano era pericolosamente preoccupante. Con il suo corpo originale ancora occupato nella Terra del Vento, la Foglia si trovava in stato di allerta in caso di un assalto. E poi, ancora, Konohamaru gli aveva appena riferito che Boruto era sceso in campo il giorno prima, e che uno dei Kara era stato ucciso in azione. 

Ora, normalmente, in qualsiasi altra circostanza, questa sarebbe stata una buona notizia. E ancora, normalmente, in qualsiasi circostanza di guerra, Naruto avrebbe semplicemente potuto rimandare il cadavere in patria per conferirgli una corretta sepoltura. Ma il caso di Shizuma Hoshigaki… era diverso. Quell’uomo era un Nukenin dell’Acqua alleatosi con l’Impero. E l’Impero era loro nemico. Non poteva semplicemente restituire il cadavere come se niente fosse. Naruto dubitava di poter persino organizzare un incontro pacifico tra le loro fazioni, data l'attuale situazione difficile tra la Foglia e l’Impero, anche se aveva provato a inviare un messaggio a Boruto per proporgli una tregua. Ciò lasciava solamente due opzioni.

Poteva far eliminare il corpo, in segreto, come se nulla fosse... oppure poteva sfruttare quest’occasione per forzare Boruto e la sua Organizzazione a concedere loro un incontro pacifico.

Naruto deglutì a quel pensiero, nervoso, la sua mente ferita dall'indecisione. Da una parte, poteva essere in grado di ottenere una tregua coi Kara, restituendogli il loro defunto. Dall'altra… poteva farli arrabbiare. Naruto era ben consapevole del carattere feroce che aveva suo figlio, ed era estremamente riluttante al pensiero di poter alimentare ulteriormente la sua rabbia.

Nel profondo della sua mente, Kurama si mosse e borbottò in segno di protesta. "Lo so, lo so," mormorò Naruto sottovoce. La Palla di Pelo era infuriata come non mai dopo aver visto i soldati ‘potenziati’ che Boruto aveva usato nella Guerra. Puzzavano di qualcosa di disgustoso, secondo la Volpe. L’idea di assecondare quel marmocchio non gli piaceva per niente.

Tuttavia, Naruto non poteva permettersi di sbagliare. Emise un lungo sospiro irregolare. "Cosa pensi che dovrei fare, Shikamaru?" chiese alla fine al suo consigliere.

Per una volta, Shikamaru sembrava perso quanto lui. Il Nara alzò le spalle. "È impossibile saperlo," strascicò. "In entrambi i casi, la situazione sarà problematica."

Il biondo annuì pigramente. "E quando sarà pronto il filmato per poter essere trasmesso?" chiese invece.

Shikamaru si strinse, ancora una volta, nelle spalle. "Sto facendo lavorare gli uomini dei servizi segreti," rispose. "Speriamo di avere qualcosa in una settimana o due."

L'ufficio si fece silenzioso come non mai mentre i pensieri di Shikamaru si volgevano verso l'interno. Il Settimo appassì, esausto, sapendo che doveva prendere una decisione che avrebbe influenzato notevolmente l'esito delle battaglie a venire. "Non c'è... non c'è niente che possiamo ottenere dal corpo, vero?" domandò ancora, cercando chiarimenti.

Shikamaru annuì. "Niente che Inojin o Sarada non siano già stati in grado di scoprire," confermò con la massima serietà.

Naruto emise un secondo sospiro. Alla fine, fu il suo cuore a dettare il giudizio finale. "Restituiamo il corpo," decise. "Speriamo che il gesto ci compri un po' di buona volontà. Una tregua, forse, per un po' di tempo. Non possiamo lasciarci sfuggire un’occasione del genere."

L’espressione di Shikamaru si contrasse impercettibilmente all’udire ciò. Sembrava non essere d'accordo con quella decisione, ma annuì lo stesso. "Va bene," sospirò. “È una gran seccatura, ma non posso darti torto. Tuttavia, penso che sarebbe meglio se io vada lì per visionare di persona lo scambio. Riferirò io il tuo messaggio a Boruto."

Sentoki si schiarì la gola. "Se non ti dispiace, Shikamaru, vorrei venire con te," disse a sua volta. "Il Tempio del Fuoco è nelle vicinanze, dopotutto."

Shikamaru annuì e lo ringraziò.

Il Settimo Hokage fece un cenno solenne col capo. "Manderò un secondo messaggio nei confini dell’Impero," disse allora. "Spero solo che possa raggiungere Boruto in tempo per permetterci di organizzare un incontro pacifico. Il resto lo lascio nelle vostre mani."

Shikamaru annuì, deciso più che mai. Poi, di colpo, si fermò, aprì la bocca per parlare, e la richiuse di scatto. "Giusto," esalò alla fine. Infine, come se niente fosse, decise di voltarsi ed andarsene. Sentoki lo seguì a ruota senza dire niente. Rimasto da solo, Naruto si rimise in piedi e fissò la città dalla finestra della torre.

Poté solo pregare per il successo dei suoi compagni.
 


08 Dicembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
19:46

Quel giorno Boruto sentì, più acutamente che mai, il peso del mondo sulle sue spalle. Era un peso sconvolgente, opprimente, agghiacciante; più pesante di quanto un uomo mortale potesse sperare di sopportare da solo. E questo peso, questa oppressione che si sentiva addosso… non era altro che una semplice causa dovuta ad una sola, ben più grande motivazione.

Aveva fallito.

Boruto sapeva di non poterlo negare. Aveva fallito. E adesso, dopo quest’ennesimo fallimento, sembrava quasi come se fosse regredito negli anni. Come se fosse tornato indietro nel tempo, a quando era ancora un misero ragazzino perso, confuso e vagante per la Terra in cerca di uno scopo. Boruto poteva sentire lo slancio del suo movimento rallentare, esitare, e fermarsi. Tutto questo perché, ancora una volta, lui aveva fallito. E di questo passo, se avesse continuato a sbagliare, il lavoro della sua vita non sarebbe più andato avanti. Non sarebbe appassito e morto, certo, ma non sarebbe nemmeno cresciuto e fruttato. Non si sarebbe evoluto nella visione di pace e unione che sognava. E questo, questo era inaccettabile. Un fallimento del genere sarebbe stato come una mezza morte, una Nazione incompleta e instabile. Una Nazione destinata ad estinguersi come le precedenti, condannata ad una morte lenta dovuta a secoli di marciume e corruzione. Lui non poteva permetterlo.

Quindi, qual era il punto? Perché arrivare così lontano solamente per fallire adesso? Avrebbe dovuto combattere più duramente, spingersi di più, essere più crudele, più astuto. Non poteva permettersi di perdere, non più ormai. E, soprattutto, non poteva più permettersi di commettere un errore come prima. Perché di errore si era trattato, e lui lo sapeva. Boruto lo sapeva, per quanto facesse fatica ad ammetterlo a sé stesso. Sapeva che aveva commesso un errore. Un errore che, adesso, gli stava costando caro.

Boruto avrebbe dovuto uccidere Sarada. Avrebbe dovuto ucciderla molto, molto tempo fa. Lui conosceva fin troppo bene la minaccia che un Uchiha con lo Sharingan rappresentava per il suo Impero. La conosceva. La conosceva fin troppo bene, sin da Eldia e da prima ancora, persino. Anche Nagato, il suo predecessore, era stato diffidente nei confronti di Itachi sin dall'inizio. E Boruto avrebbe dovuto imparare dagli errori del suo predecessore.

Non bisognava mai lasciar vivere un Uchiha.

Il Nukenin ne era certo ormai. Non sapeva come fosse possibile, non sapeva da cosa fosse dovuto, ma l’esistenza di Sarada e dei suoi occhi era diventata, a pieno titolo, una minaccia senza pari per la sua opera di conquista. Boruto non poteva permettere una cosa del genere. Non poteva permettere che la sua amica continuasse ad impedirgli di avanzare verso la sua meta. Non quando aveva ancora altri nemici da dover superare e sconfiggere. Nemici come l’Hokage, Sasuke, e l’Eremita. E adesso che anche Sarada si era aggiunta a quella lista di nomi da eliminare, il Nukenin più famoso del mondo sapeva che non poteva più esitare ad ucciderla. Non sapeva come avesse fatto ad ottenere quell’abilità di preveggenza, ma Sarada Uchiha doveva essere eliminata. E lui avrebbe dovuto compiere tutto il necessario per riuscire a sopraffarla.

E soprattutto, ancora, lui non avrebbe mai più dovuto essere così arrogante. Non avrebbe mai più dovuto lasciarsi sopraffare dall’arroganza. Perché era stato arrogante, ingenuamente arrogante, e adesso ne stava pagando le conseguenze. Boruto aveva pensato di poter forgiare un nuovo mondo pacifico per le persone a cui teneva. Per le persone che non credeva potessero radunare il mondo contro di lui. Persone come Sarada. Ecco perché l’aveva lasciata in vita durante l’assalto al Summit. Ma si era sbagliato. Il suo nuovo mondo non sarebbe mai nato fintanto che le persone della sua vecchia vita avessero continuato ad opporsi difronte al progresso. E per questo motivo… avrebbe dovuto ucciderla. Avrebbe dovuto dedicarsi interamente alla sua distruzione, impegnandosi in mente, corpo e spirito per riuscire ad abbatterla. E invece, fin ad ora, fino a quel momento, lui aveva solo inseguito quest’illusione, questa falsa speranza, quest’idea malformata e mutilata che cercava disperatamente di negare ciò che la sua mente sapeva fosse giusto, ma che il suo cuore detestava compiere.

Boruto aveva cercato di risparmiare Sarada dalla sua strada di morte e conquista… e questo lo aveva portato al fallimento di ieri. Era stato troppo arrogante.

Non poteva più permetterselo. Che razza di ‘dio’ si era proclamato di essere se non era nemmeno riuscito a convincersi di uccidere la sua amica d'infanzia in nome della pace eterna? No, lui non era un dio, per niente. O, almeno, non lo era ancora, pensò Boruto. Era solo un’idiota, un fallimento, un testardo arrogante incapace di proteggere ciò che era suo.

Ma la cosa peggiore di tutto questo era che lui non poteva nemmeno fare nulla per rimediare al suo fallimento. Ci sarebbero voluti giorni, se non settimane, per guarire dai danni causati da Sarada e sua madre. Boruto s’innervosì a non finire a quel pensiero, digrignando i denti. E la cosa era doppiamente frustrante perché adesso uno dei suoi compagni era stato catturato. Boruto non era stupido. Sapeva che il nemico avrebbe sfruttato in ogni modo quell’occasione per metterlo con le spalle al muro. Ed il fatto che lui fosse fisicamente inabilitato a rispondere alle mosse avversarie era un pensiero contemporaneamente agonizzante e straziante.

Perché Boruto Uzumaki era stato sconfitto, e questa cosa era inaccettabile per lui.

Dita fredde e gentili premettero dolcemente sul suo collo. "Stai bene?" sussurrò Mikasa.

Il Nukenin annuì, il suo volto inespressivo. "Sto bene," rispose.

Mikasa, a differenza sua, non era stata un fallimento. Era riuscita a tenere testa a Konohamaru, forse grazie alla sua esperienza con l’Arte Eremitica, ma comunque era stata efficiente. Non aveva perso. Non era rimasta paralizzata. Per cui, non c'era motivo per lei di essere lì, con lui, quando poteva essere altrove. Boruto allungò la mano e attivò la connessione dell’anello, il suo chakra trovò quello di Mitsuki, e corse immediatamente attraverso la loro rete astrale finché non trovò la firma di chakra che stava cercando. "Sora," disse Boruto. "Vieni nei miei alloggi. Ho una missione per te."

"Arrivo subito," rispose il suo amico, istantaneamente e con bruciante convinzione.

"Di che si tratta?" chiese Mikasa

Boruto guardò al mondo con odio. "Solo perché sono ferito, non significa che non posso fare nulla," ribatté di rimando, la rabbia che filtrava nelle sue parole. "Se non posso sconfiggere i miei nemici sul campo di battaglia, allora li dissanguerò altrove. Li ferirò di nascosto, uccidendoli in silenzio. Una morte lenta, agonizzante, senza gloria e senza onore, ma comunque una morte."

Sora si affrettò a rispondere alla sua convocazione. Rimase sull'attenti davanti alla scrivania dell’ufficio che costituiva la parte anteriore dell'alloggio suo e di Mikasa. Boruto prese un rotolo sigillato dal cassetto e lo porse alla sua ragazza. "Voglio che accompagni Sora nella Terra del Ferro," disse allora Boruto, rivolgendosi a Mikasa. Fece un cenno al moro, il quale rimase visibilmente contento di avere un compito. "Secondo questo rotolo, in quel Paese dovrebbero esserci notizie riguardanti un Artefatto antico di inestimabile valore. Un Artefatto che potrebbe esserci utile per contrastare l’Eremita ed i suoi poteri. Voglio che cerchiate informazioni su questo artefatto e che scoviate la sua posizione. Oh, e portate Lucy assieme a voi. Un po' di distrazione le farà bene."

Mikasa annuì lentamente, afferrando il rotolo con esitazione. "Va bene," dichiarò.

Vedendo l’espressione nel suo volto e l’emozione che brillava nei suoi occhi, Boruto capì immediatamente che la sua ragazza non voleva lasciarlo da solo in quello stato, ferito e pensieroso com'era. Ma lui voleva, e aveva bisogno, di un po’ di solitudine. Aveva bisogno di tempo per organizzare i suoi pensieri, combattere le sue emozioni, e sottomettere il suo sentimentalismo. Non poteva farlo se era concentrato sugli altri. "Starò bene," la rassicurò, offrendole un piccolo sorriso.

Mikasa e Sora, con una cupa Lucy al seguito, se ne andarono non molto tempo dopo, scortati da una delle marionette umane di Kumo.

Allora, Boruto rimase finalmente da solo.

Se c'era una cosa dell’Occhio della Tempesta a cui non si era mai abituato, essa era il silenzio. Quella dimensione era estremamente silenziosa. Non c'era rumore di vento, né di fondamenta che si depositano, né di pietre scricchiolanti, e nemmeno di alberi fruscianti. Il castello era vasto, tentacolare nelle sue ramificazioni, e i suoi abitanti erano così distanti l'uno dall'altro che il giovane Uzumaki non poteva nemmeno sentire le loro voci da una stanza all’altra. Il posto ideale per restarsene in pace. E ora, in quel momento, il silenzio gli giunse come un vantaggio piuttosto che come un fastidio.

Per cui, la sua mente riprese a ragionare. Anni prima, l'Uzukage gli aveva detto che doveva essere perfetto. E, per gli dei, lui ci aveva provato. Boruto aveva provato per tutta la sua vita ad essere prefetto, ad essere migliore, ad essere intoccabile. Ma adesso, dopo tutto ciò che era successo negli ultimi tempi, una verità ineluttabile stava lentamente sorgendo dentro di lui. La perfezione non era raggiungibile dai semplici mortali. Non era possibile essere perfetti. Ma, mentre imparava ad accettare questa cosa, al guerriero venne in mente anche un'altra verità: anche se la perfezione non era ottenibile, questa non era certo una scusa per smettere di migliorarsi. Sforzarsi per migliorare era l’unica cosa che poteva fare per rimediare ai suoi fallimenti.

Perciò, Boruto si sarebbe sforzato più che mai.

Il Nukenin si alzò, a testa bassa, e camminò per le sale del castello. Una luce calda e artificiale filtrava attraverso le vetrate colorate sulle pareti, dipingendo i pavimenti in pino lucido con una miriade di colori. Attraverso le finestre che si affacciavano sul cortile, Boruto poteva contare le tegole rosse del tetto. Non passò molto tempo prima che raggiungesse l’uscita di un balcone, saltando sulla cima della torre più alta del castello ed appollaiandosi tra le tegole.

Il suo occhio sinistro si sollevò verso l’alto, osservando il cielo violaceo della dimensione artificiale mentre la sua mente continuava a ragionare su diverse questioni. Ora che Kankuro era stato ucciso nella Terra del Vento, i sopravvissuti della Sabbia erano dispersi, senza speranza. Sarebbero stati condotti in una guerra senza possibilità di vittoria, dato che lui e i Kara avevano ucciso quasi tutta la nobiltà e i Kage alleati con loro. Ed anche se il Settimo Hokage aveva impedito la conquista del Paese, loro avevano comunque avuto un grande successo, e ora l’unica cosa che Boruto doveva fare era aspettare che i suoi nemici facessero la loro mossa.

E mentre pensava questo, una piccola parte di lui lo supplicò di non fallire nell'arena della politica come aveva fatto nell’ultimo scontro per la cattura del Rokubi (Esacoda).

Boruto sbatté le palpebre, rendendosi conto di aver fissato il cielo per così tanto tempo che il suo corpo aveva iniziato ad intorpidirsi. Prese la sua capacità di provare un dolore così insignificante come un buon segno. Significava che il suo corpo malconcio si stava riprendendo. Il suo chakra si stava risollevando, alimentandosi sempre più finché non si sarebbe trasformato in un fuoco ardente. Questa cosa lo faceva sentire irrequieto, pieno di energia, nonostante – per quanto odiasse ammetterlo – gran parte della sua mente fosse ancora preoccupata per il fallimento recente. Ma Boruto sapeva che continuare a progettare e ragionare avrebbe aiutato il processo di recupero, tenendo la sua mente occupata e ripristinando le vaste riserve del Marchio di Ishvara che aveva speso spingendo le sue energie al limite massimo.

Boruto attribuì la sua incapacità di riposare alla combinazione dell'effetto persistente causato dal secondo livello del Marchio Ishvara e del suo umore cupo. Quindi, incapace di restarsene seduto ancora un secondo in più, fu naturale che i suoi piedi lo conducessero in uno dei tanti campi di allenamento nelle viscere della fortezza, nascosto e rinforzato per proteggere la stabilità dell'Occhio. La sua rabbia, la sua impotenza, tutto il chakra in eccesso che aveva a portata di mano… Boruto diede loro sfogo nell'unico modo che conosceva: allenandosi.

Forse si era trascurato, pensò. Si era lasciato andare nell’ultimo periodo, convincendosi troppo della sua potenza e dimenticandosi di allenarsi come un tempo. Forse si era ritrovato a tramare e pensare per troppo tempo, passando il tempo a leggere col naso immerso su mappe o su rotoli rispetto che a mettersi alla prova contro i suoi amici. Aveva delegato gli impegni ad altri, invece che compierli di persona. Per cui, il giovane era deciso a rifarsi.

Boruto inspirò profondamente, attraversando con movimenti lenti e delicati le forme dello stile del Pugno Gentile, iniziando dapprima lentamente, con il più basso dei colpi di palmo, ed aumentando sempre più la velocità, terminando con colpi furiosi, scattanti e talmente veloci da essere invisibili ad occhio nudo. Continuò ad esercitarsi nello stile di lotta del suo clan per diverso tempo, fino a quando l’allenamento lo lasciò fradicio di sudore, dolorante e vuoto nel corpo, ma con la sua mente distratta per un breve momento. Gli diede tempo per pensare, tempo per capire, tempo per accettare. E alla fine, Boruto lo fece. Ed accettò.

Si ricordò di un proverbio. Non riusciva a ricordare il volto dell'uomo da cui lo aveva sentito, né tantomeno il suo nome, ma ricordava che era uno dei mercenari della Terra dell’Acqua. Uno dei contabili, forse, con cui aveva lavorato nella Mare Rossa? ‘Nel mare, c'è sempre un pesce più grande da pescare’, diceva quel detto. Boruto non riusciva nemmeno a ricordare di cosa stessero parlando al tempo, ma il proverbio gli era rimasto impresso.

Sarada era quel pesce più grande, realizzò allora. Anche Sasuke-sensei lo era, in misura minore, e persino suo padre. Ma a Boruto questo non importava molto. Dopotutto, poteva accettare di essere più debole dell’Hokage o di Sasuke Uchiha. Il Potere del Rinnegan era ancora un mistero per lui, e per quanto detestava ammetterlo, non c'era da vergognarsi nell’essere più debole dell'uomo benedetto con il potere della Volpe a Nove Code. Ma Sarada, invece? Boruto odiava essere inferiore a lei. Eppure, nonostante odiasse a morte quel semplice pensiero, la realtà dei fatti era innegabile. Sarada era diventata più forte di lui. L'aveva dimostrato, per la prima volta, durante il loro scontro recente. E quella verità gli aveva lasciato un sapore amaro sulla lingua. Non sapeva come avesse fatto ad ottenere tutto quel potere e quell’abilità di preveggenza – Boruto sospettò un intervento dell’Eremita. Non era stupido, dopotutto – ma era comunque riuscita a contrastarlo per la prima volta in tutta la sua vita.

E questa cosa non poteva essere ignorata.

Tuttavia, anche se la perfezione era irraggiungibile, questa non era una scusa per non lottare per perfezionarsi. Boruto era già stato in questa situazione prima, in questa posizione di svantaggio rispetto ai suoi avversari, e lo sapeva bene. Era successo con suo padre, con il padre di Sarada, con Momoshiki e Kinshiki, con Zeref, e persino con Vrangr. E, probabilmente, sarebbe successo ancora per tutto il resto della sua vita. Ma, esattamente come tutte le volte precedenti in cui lui era sempre riuscito a vincere ogni sfida, adesso doveva solo impegnarsi per rifarlo ancora. Perché questa era la cosa importante: vincere questa sfida e tutte quelle che doveva ancora affrontare. E l'avrebbe fatto come in passato: combattendo in modo più intelligente, non più duro. La sua non sarebbe stata una guerra gloriosa, ma vittoriosa. Questo era tutto ciò che importava.

Quindi, avrebbe aspettato il suo momento, avrebbe aspettato l'istante perfetto per colpire. C'erano altri obiettivi che il suo fiorente Impero poteva attaccare. Nemici da distruggere assolutamente se la sua visione di Pace doveva diventare realtà. La Nebbia, ad esempio, indugiava ancora nelle file nemiche, paralizzata e terrorizzata. Una misera ombra di sé stessa. E ancora, l’Hachibi (Ottacoda) e Killer Bee vagavano sempre a piede libero, minacciando la sua causa ed il suo obiettivo. Andavano fermati, così come anche Shikamaru ed il suo maledetto clan Nara. E poi, ancora, il Rokubi (Esacoda), il Nanabi (Eptacoda) e il Kyuubi (Enneacoda). Tutti questi avversari dovevano sparire, e lui doveva trovare un modo per sopraffarli. Doveva trovare un modo per abbatterli senza finire sconfitto come l’ultima volta.

Un compito ben più facile a dirsi che a farsi.

Era così immerso nel suo addestramento e nei suoi pensieri che Boruto non sentì il cigolio di passi metallici finché la figura magra e scarna che lo raggiunse non fu quasi a mezzo metro da lui. "Cosa ti porta qui, Kumo?" domandò lentamente.

Il burattinaio dondolò meccanicamente la testa. "Abbiamo un problema," gracchiò, la sua voce più nervosa del solito. “Questa mattina, le mie spie hanno ricevuto una spiacevole notizia. Me l’hanno riferita pochi minuti fa.”

Il Nukenin si voltò completamente verso il marionettista.

Kumo lo guardò dritto negli occhi, esitante. “Shizuma è morto,” dichiarò, diretto e conciso.

Boruto trattenne il fiato, sgranando il suo occhio sinistro con orrore. Nel momento esatto in cui registrò quelle parole, la sua mente sembrò svuotarsi all’improvviso, come se ogni pensiero ed emozione fossero stati travolti via da un fiume in piena, cancellandoli completamente. Il suo corpo rimase fermo, rigido, mentre il suo cuore si riempiva di una furia ed una sete di vendetta indescrivibili.

Tuttavia, prima che potesse parlare, il marionettista dai capelli bianchi si portò davanti a lui, offrendogli un pugno scheletrico con una pergamena stretta all'interno.

Boruto ammiccò, ancora sconvolto, ricordandosi soltanto adesso del rotolo che aveva ricevuto da parte dell’Hokage. Aprì la pergamena, osservando il sigillo ufficiale dell'Hokage decorato in alto, leggendone attentamente il contenuto. La grafia era quella di suo padre, poteva dirlo, inelegante e forzata, come se avesse voluto portare a termine la stesura il più velocemente possibile.

Poi, quando arrivò alla fine, Boruto urlò. Fulmini scattanti e furenti sbocciarono tutt'intorno a lui, riducendo il pavimento di pietra del campo di addestramento in pozze di liquido fuso e fumante.

Questo… Questo era inammissibile. Shizuma era morto e quei bastardi della Foglia avevano il coraggio di chiedere una tregua? Ebbene, lui gliel’avrebbe concessa. Avrebbe mostrato loro una "tregua esemplare". Una di quelle che non avrebbero mai più dimenticato fino all’ultimo dei loro giorni. La tregua di un cane rabbioso e inferocito di cui non ci si poteva fidare, pronto a balzare addosso alla sua preda per sgozzarla a morte. Perché questa, questa era una cosa che non avrebbero mai dovuto fare.

Avevano ucciso uno dei suoi amici… e adesso dovevano pagare.

Ma il danno era stato fatto, e per quanto non volesse pensarci… sapeva che negarlo sarebbe stato inutile. Non poteva sfuggire a questa cosa. Aveva perso uno dei suoi compagni, e adesso lui e tutti gli altri ne avrebbero risentito inevitabilmente. Peggio ancora, aveva promesso a Lucy che avrebbe salvato il suo compagno. L'aveva giurato, come fratello maggiore; l'aveva promesso, e ora avrebbe dovuto dirle che Shizuma era morto e che aveva fallito ancora prima di poter rimediare. Poteva già immaginare lo sguardo sul viso della sua amica, il suo cuore spezzato, ed il peso che sarebbe crollato sulle sue spalle.

Perché, per la prima volta nella sua vita, Boruto Uzumaki non era riuscito a mantenere una promessa. Non era riuscito a proteggere un suo amico. E adesso… adesso non avrebbe più potuto salvarlo.

Lucy non l’avrebbe presa bene.

Boruto ruggì al cielo, ingoiando le sue lacrime. Immaginò che le loro posizioni fossero invertite. Che lui, al posto di Lucy, fosse il fratello in lutto, e che Himawari, al posto di Shizuma, gli fosse stata portata via prima del tempo.

E quel solo pensiero accese le braci furenti della rabbia nel suo ventre addolorato.
 


09 Dicembre, 0021 AIT
Confine della Terra dei Fiumi
20:00

Ovviamente doveva esserci una tempesta il giorno in cui avrebbero incontrato Boruto.

Era una strana combinazione di eventi che lo preoccupava non poco. Eppure, Shikamaru sapeva che non poteva tirarsi indietro. Questo, si ricordò il Nara, era il primo incontro ufficiale – incontro pacifico, sperava – tra le loro fazioni, tra Nazioni Alleate e Impero. Per cui, doveva essere estremamente cauto ed intelligente. Il cielo era scuro, carico di nuvole grigie e rabbiose. Il vento ululava e soffiava così forte che la pioggia cadeva prepotentemente di lato. Ogni mezzo minuto, il mondo era illuminato da fulmini che annunciavano uno scroscio di tuoni raccapriccianti.

Shikamaru lanciò un'occhiata di lato, dove suo figlio stava confortando Himawari. Nell'ultimo periodo gli era diventato abbastanza chiaro che nessuno dei due si vedeva per caso. Shikamaru temeva il giorno in cui lui e Naruto sarebbero diventati cognati. Non ci sarebbe più stato modo di sfuggire al suo dovere verso quell'uomo e alla sua pigrizia se fossero diventati una famiglia, nemmeno ritirandosi. Sarebbe significato una vita di lavoro fastidioso. Shikamaru iniziò a sudare freddo a quel solo pensiero.

Più lontano, il resto della squadra sedeva attorno ai fuochi sotto a delle piccole tende di legno per gentile concessione del Capitano Yamato. A parte lui, c'erano anche Sumire, Chocho ed Inojin. Il Rokubi (Esacoda) era rimasto a giacere languidamente nelle acque turbolente del lago sopra una valle molto più distante da lì, felice come non mai. Adesso che la sua cattura era fallita, il Demone aveva ricevuto una seconda guardia composta da Rock Lee, Mirai Sarutobi e Sai. Sakura e Sarada erano rimaste, a loro volta, con loro a guardia del Bijuu. 

La figlia di Sasuke era stata piuttosto offesa con lui dopo che Shikamaru le aveva ordinato di andarsene. Eppure, il Nara sapeva di aver fatto la scelta giusta. Non poteva rischiare che lei e Boruto stessero insieme e scoppiasse un'altra battaglia. Al posto di Sarada, Sentoki era venuto a fare la guardia nel caso in cui le trattative si fossero interrotte. Ovviamente, se le trattative si fossero interrotte davvero, il figlio di Naruto avrebbe dovuto affrontare tutta la loro potenza combinata. E dato che avevano già fallito una volta, Shikamaru non pensava che quel folle avrebbe tentato qualcosa di così rischioso.

Un fulmine balenò davanti a lui, e poi Shikamaru si trovò faccia a faccia con un occhio azzurro arrabbiato ed un guizzo di capelli dorati. Non gridò – non gridò davvero – ma fece invece un rapido passo indietro per mettere una certa distanza tra sé e l'uomo più ricercato del pianeta. Il resto della squadra si affrettò a balzare in sua difesa. Shikamaru deglutì, incerto su come iniziare i negoziamenti.

Boruto lo squadrò dalla testa ai piedi, affiancato da altri due dei suoi compagni incappucciati. Poi sollevò lo sguardo verso il cielo oscuro, la sua testa immersa in un cappuccio nero per proteggersi dalla pioggia. "Un tempo perfetto per dei negoziamenti, non è vero?" esalò il Nukenin, mentre i fulmini lampeggiavano in alto. Shikamaru giurò di aver visto la loro luce riflessa nel suo occhio azzurro.

"…già," annuì il Nara, anche se odiava tutto ciò che non era cielo azzurro e nuvole bianche. Ma non avrebbe mai ammesso debolezza o vulnerabilità difronte al leader dell'Organizzazione Kara e dell’Impero.

"Lui dov’è?" chiese Boruto.

Ah, dritto al punto, come sempre. Ottimo, a Shikamaru andava bene. Infilò una mano in uno dei sacchetti che teneva sulla parte bassa della schiena e ne estrasse un rotolo avvolto in un nastro nero. Mentre lo tendeva in avanti, Boruto glielo strappò di mano con precisione. Si allontanò rapidamente, e Shikamaru sbatté le palpebre mentre la pioggia si apriva intorno a lui.

Boruto si inginocchiò, spiegò la pergamena davanti a sé, ed evocò il corpo. Shikamaru distolse lo sguardo in segno di rispetto, ma tenne un occhio vigile su Boruto con la coda dell’occhio. Vide il biondo e i suoi amici avvicinarsi al cadavere, i loro volti pieni di feroce rabbia e – notò con una punta di stupore – rammarico. Il biondo prese la mano del mercenario morto e la ispezionò, prima di sigillare nuovamente il corpo nella pergamena ed avvicinarsi a lui a grandi passi.

"L'anello," intonò, la sua voce bassa e pericolosamente più minacciosa di prima. "Dov'è l'anello?"

Shikamaru imprecò sottovoce. Sapeva che Boruto e i Kara avevano uno scopo per quegli strani anelli che indossavano, ma semplicemente non sapeva quale fosse. Nessuno lo sapeva. Ma dovevano essere importanti, dedusse, se contavano così tanto per loro. In passato avevano persino recuperato i vecchi anelli dell’Akatsuki, e la Foglia li aveva recuperati e custoditi nel Villaggio dopo la loro cattura. C’era qualcosa che puzzava in quella faccenda.

Boruto doveva aver preso il suo silenzio come un rifiuto. "Ti suggerisco di pensare a lungo e intensamente alle mie parole, Nara. Non hai idea di cosa ti costerà negarmi ciò che è mio," disse ferocemente, aprendo il suo Jougan di scatto. "Non darmi un motivo per fare una visita alla Foglia, e avrete il vostro armistizio."

Sentoki e Sumire si fecero avanti per difenderlo, ma Shikamaru scosse la testa. Lentamente, infilò di nuovo la mano nella borsa dietro la schiena prima di estrarre un altro rotolo e consegnarlo al Nukenin. Boruto lo spogliò rapidamente del suo contenuto, osservando con impassibilità l’anello recuperato e studiandolo per verificarne l’autenticità. Shikamaru ebbe solo un momento per osservare a sua volta l’anello prima che esso scomparisse in una nuvola di fumo. Poi, con indifferenza, i suoi occhi si spostarono sul pollice destro di Boruto, dove un altro anello bianco dell’Akatsuki – Sud, l’anello di Kisame, uno dei pochi che non erano riusciti a sottrare ai Kara – si trovava ancora adesso. La sua mente ragionò furiosamente. Sapeva che erano importanti, ma non riusciva a capire perché. Erano più di una semplice scelta di moda, questo era certo.

Shikamaru decise di non pensarci adesso. Fece un piccolo colpo di tosse. "Quale sarebbe un periodo di tempo accettabile per un cessate il fuoco?" chiese invece.

"Presumo che tu abbia già dei termini pronti," ribatté di rimando il biondo, fissandolo male da sotto al suo cappuccio.

E aveva ragione. Shikamaru e Naruto – o meglio, il suo clone – avevano passato parecchio tempo a pianificare questa mossa. Avevano bisogno di tempo per prepararsi, tempo per pianificare, e poi tempo per agire. "Un mese,” disse allora con fermezza. “Un mese senza attacchi da parte dell’Impero, della Rivoluzione o della tua Organizzazione. Un mese di pace," dichiarò. Avrebbe ritardato il rilascio del video di propaganda che avevano pianificato di rilasciare, ma era necessario. Se non fossero stati disposti ad agire con il beneficio del tempo, la loro situazione sarebbe stata molto più dannosa.

Boruto annuì una volta, un rapido movimento del capo simile a quello di un uccello. "Trovo che questi termini siano accet-" si interruppe di colpo, e i suoi occhi eterocromi scivolarono oltre Shikamaru, posandosi su Sentoki.

Il Nara e tutti gli altri presenti rimasero assolutamente immobili, congelati, quando Boruto sfoggiò uno sguardo stordito e distante nei suoi occhi mentre il suo sguardo e quello di Sentoki si incontravano. Shikamaru lanciò un'occhiata terrorizzata al monaco, restando ancor più preoccupato nel vedere che quest’ultimo era altrettanto scioccato quanto loro.

Poi, come se non fosse successo nulla, Boruto scattò rapidamente fuori dal suo stordimento, scuotendo la testa. Lanciò a Sentoki uno sguardo duro. "Ti chiedo scusa per il braccio, vecchio," disse semplicemente, sorridendo con ironia.

Il monaco ebbe la decenza e la saggezza di ignorare la frecciatina, limitandosi a sorridere con gli occhi socchiusi. Shikamaru lo benedisse mentalmente.

"Avrai il tuo armistizio, Shikamaru Nara," disse allora Boruto, voltandosi per andarsene. "A partire da domani a mezzanotte."

Shikamaru lo guardò mentre camminava a passo lento sotto la pioggia, le gocce d’acqua che si aprivano intorno a lui e gli bagnavano la cappa oscura, conferendogli un aspetto ancor più maestoso e inquietante. E, maledizione, Shikamaru odiava davvero il modo in cui quel tempo piovoso lo faceva sembrare maestoso. Stava per tirare un sospiro di sollievo quando Boruto si fermò, a metà passo, e si voltò di sbieco con la testa. “Un’ultima cosa…” esalò, la sua voce bassa e priva di emozione. Il Nara e tutti i presenti si irrigidirono coi loro corpi, nervosi come non mai.

Boruto Uzumaki li guardò di sbieco col suo Jougan che pulsava minacciosamente. "…chi l'ha ucciso?" domandò, e c'era qualcosa di oscuro e sinistro in quella domanda che fece accapponare la pelle a Shikamaru e a tutti gli altri. Il Nara scosse semplicemente la testa e pregò che tutto andasse per il meglio. Sapeva di doversi aspettare quella domanda. Eppure, i combattenti morivano sempre in guerra. Era così che andavano le cose. Era la vita. 

Poté solo sperare che Boruto riuscisse a capirlo.

Eppure, proprio in quel momento, Shikadai si fece avanti e parlò da dietro di lui. Shikamaru chiuse gli occhi e sussultò appena lo udì parlare. "L'ho ordinato io," disse suo figlio, con voce roca ma decisa. Accanto a lui, Himawari sembrò farsi ancor più prossima al pianto.

Il Nukenin fissò prima suo figlio, e poi sua sorella, per diversi secondi, la sua espressione gelida come il ghiaccio. "…capisco," sussurrò infine, a bassa voce, inespressivo. Qualcosa di oscuro e terrificante sembrò balenargli in quell’occhio elettrico per un secondo. "Allora è giunto il momento che io mantenga la mia promessa," disse subito dopo, un po’ più forte, con un sorrisetto malvagio.

Sentoki trasalì e rimase a bocca aperta dopo quelle parole, sconvolto come non mai. Tuttavia, prima che qualcuno potesse anche solo muovere un dito, un fulmine balenò all’improvviso nell’aria, illuminando il paesaggio ed accecando tutti i presenti. Poi, con un rombo possente di tuono, Boruto e i suoi compagni scomparvero nel nulla.

Shikamaru si avvicinò al monaco. "Che cosa è successo?" chiese immediatamente.

“D-Di che stava parlando?” domandò anche Himawari, visibilmente terrorizzata.

Sentoki scosse la testa. "Non lo so," rispose. "Ma qualunque cosa sia, è certamente qualcosa di terribile. Non ho avuto abbastanza tempo per capire cosa avesse in mente, purtroppo. Una cosa è certa, però: Boruto è arrabbiato. Molto, molto arrabbiato."

A Shikamaru non piacque affatto quella svolta degli eventi. "…merda…" imprecò.
 


10 Dicembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
08:30

Era in ritardo, sì, ma Boruto era piacevolmente soddisfatto dell’evoluzione che stavano prendendo gli eventi nelle ultime ore. Dopotutto, adesso era finalmente riuscito a dire a tutti della morte di Shizuma. E, per quanto quella notizia fosse stata accolta col dispiacere e la rabbia di molti, in sostanza era andata… sorprendentemente più liscia di quanto si era aspettato.

Sora e Mikasa avevano continuato a setacciare la Terra del Ferro, ottenendo le primissime informazioni sull’artefatto che gli interessava per sconfiggere l’Eremita. Il resto dei Kara aveva ripreso ad allenarsi con più forza di prima, decisi più che mai a vendicarsi per la perdita di Shizuma per mano della Foglia. Annie, Galatea e Jigen avevano giurato di dare del loro meglio per onorare la sua dipartita. Toneri e Urahara, invece, si erano limitati ad accettarlo, consolando gli altri ed offrendo a tutti parole di conforto ed incitamento. E Lucy…

…Lucy non lo sapeva ancora. Boruto non gliel’aveva detto. Non ancora, almeno. E, se doveva essere sincero, non aveva nessuna intenzione di dirglielo. Dopotutto lo sapeva… Lucy non aveva ancora superato la sua rabbia. Forse, però, non sarebbe mai riuscita a superarla del tutto, ma stava comunque migliorando. Era emersa dall'isolamento della sua stanza, aveva ripreso a mangiare con gli altri, e sebbene la maggior parte delle volte fosse ancora silenziosa e imbronciata, Boruto sapeva che stava comunque ascoltando gli altri quando le parlavano. Una o due volte l'aveva persino sorpresa a sorridere sommessamente. Era un progresso, suppose. Piccolo, ma comunque un progresso.

Un progresso che si sarebbe probabilmente frantumato quando le avrebbe rivelato che Shizuma era morto.

Boruto represse un sospiro a quel pensiero. Sapeva di non poter sfuggire a questo. Quel compito spettava a lui, e per quanto detestasse farlo, doveva portarlo a termine quanto prima. Il Nukenin non lo apprezzava, ma sapeva che doveva farlo.

Era come rimuovere una benda. Meglio terminare l'atto in fretta e in un colpo solo piuttosto che tirarla via lentamente nei giorni a venire. Si alzò, abbandonando il rotolo di pergamena che stava leggendo da due ore intere, mentre iniziava a camminare per raggiungere la stanza di Lucy nel castello. La trovò abbastanza facilmente, ancora chiusa dentro, il suo Jougan che riusciva a percepirla all’interno senza nemmeno aprire la porta. Entrò dopo un paio di secondi di esitazione, trovandola di spalle mentre giocava ad una specie di videogioco di corse, seduta sul pavimento.

Boruto esitò. Fece un respiro profondo, e aprì le labbra per parlare.

"È morto, non è vero?" lo anticipò lei, facendo tranquillamente la fatidica domanda tanto temuta dal biondo.

Il Nukenin serrò i pugni con forza all’udire ciò, osservando impotentemente la gara tra le due figure che correvano sullo schermo. L’avversario che Lucy stava sfidando era – senza dubbio – l’avatar di Shizuma. Aveva il suo nome, dopotutto. La gara si concluse quando lei e l’avversario superarono il traguardo, posizionandosi quest’ultimo quarto e lei quinta. Boruto non riuscì a risponderle.

Lucy posò a terra il controller del videogioco. "Non eravamo ancora riusciti a battere questa pista," spiegò solennemente, abbozzando un sorriso pieno di rammarico. "E ora non ci riusciremo mai... perché lui è morto."

Boruto deglutì a fatica. Non sapeva cosa dire. "Vieni con me," sussurrò alla fine.

Lucy scartò il controller e si alzò da terra. Lo seguì, la testa a ciondoloni e gli occhi socchiusi, incurante di tutto. Il Nukenin avrebbe potuto condurla alla morte e, ancora, lei non si sarebbe accorta di nulla. Boruto non la perse mai di vista, camminando lungo un certo corridoio del castello che mai prima di allora aveva avuto bisogno di attraversare. Conduceva nelle profondità della dimensione artificiale, in una sala nascosta e isolata nelle viscere del castello. Una sala rinforzata con dei Sigilli creati appositamente da lui e Mitsuki per permetterle di esistere da sola, anche in caso di un crollo totale del castello e del terreno circostante.

Si fermarono dinanzi ad una porta. Era grande, di metallo nero, con delle incisioni incomprensibili scritte nell’antica lingua degli Uzumaki. Con un sospiro, il Nukenin la aprì, scendendo assieme a Lucy una piccola scalinata verso il basso che dopo un paio di secondi li condusse, finalmente, all’interno di una grande stanza rettangolare.

Era una sala ampia, solenne, e cupa, la cui aria era pesante di morte e silenzio, costruita nello stile dell'epoca antica degli Shinobi. Le pareti erano di un colore grigio senza vita, decorate però con affreschi su pietra dura raffiguranti combattimenti, scene epiche e banchetti. Statue e tombe rettangolari punteggiavano le pareti da entrambi i lati, mentre una fiamma eterna e scoppiettante ardeva in cima ad una grande fiaccola al centro della stanza.

Questa… era la sala più nascosta dell’intera fortezza.

La sala del riposo eterno.

Boruto l’aveva soprannominata Mausoleo. Il luogo dove, alla fine, tutti i grandi eroi del suo movimento ribelle si sarebbero riuniti per riposare in pace. Il luogo dove lui e i suoi amici avrebbero, in futuro, condiviso il riposo eterno una volta giunti alla conclusione della vita. Era… il minimo che potesse fare per onorare il loro sacrificio. Boruto condusse Lucy verso l'unica tomba occupata. Lì, il suo compagno di squadra era stato sepolto in una tomba aperta sigillata fuori dal tempo, in modo che il corpo non fosse mai devastato. Al suo interno, Shizuma sembrava addormentato in un sonno sereno, con gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, vestito di un puro abito bianco.

Appena lo vide, Lucy emise un suono basso e addolorato.

Boruto le si affiancò di lato, mettendole una mano sulla spalla. "Le tombe qui sono create con un Sigillo speciale,” le spiegò dolcemente. "Il tempo non passa al loro interno. Shizuma rimarrà così, intaccato, da ora fino alla fine dell’universo. Era... il minimo che potessi fare."

Le spalle della ragazza tremolarono di silenziosi singhiozzi mentre cadeva a terra in ginocchio.

"Mi... Mi dispiace, Lucy," tentò di dire Boruto, inginocchiandosi al suo fianco. "Lui è, ecco... è morto prima ancora che mi fossi svegliato dalle ferite. Non c'è mai stato niente che potessi fare per salvarlo. Ti… Ti chiedo scusa."

Ma lei non disse nulla. Solo, le sue grida e il suo pianto diventarono più forti. Boruto rimase lì con lei per un paio di minuti, cercando di sostenerla silenziosamente, prima di comprendere che non c’era niente, in realtà, che potesse fare per lei. La sua amica aveva bisogno di restare da sola. La lasciò lì, in lacrime e in lutto, e tornò nella dimensione vera e propria dell’Occhio, il sapore acido del fallimento ancora pesante sulla sua lingua.

Tornò ai suoi alloggi, silenzioso e cupo, evitando gli sguardi tristi e rammaricati che tutti gli altri gli stavano lanciando. Entrò nella sua stanza in silenzio, lasciando che Mikasa si riposasse sul letto dopo la sua recente missione, sedendosi sulla scrivania e tornando ai rotoli che stava leggendo. Rotoli antichi, recuperati da tombe e rovine di clan a lungo dimenticati. Trattavano argomenti teorici, dettagliati, pieni di teorie e studi sulle Tecniche che potevano alterare le probabilità. Uno scorcio improbabile, un disperato tentativo di studiare qualcosa per riuscire a fare breccia nell’abilità di previsione di Sarada.

Poi, dopo un bel po' di tempo, Boruto ammiccò con le palpebre quando sentì bussare alla porta. Si era quasi addormentato e non era sicuro di quanto tempo fosse passato. Lucy non disse nulla ed aprì la porta, entrando nella stanza. I suoi capelli biondi le cadevano sugli occhi, oscurandoli. E quando alzò lo sguardo, Boruto vide in essi un fuoco che ardeva prepotentemente. Un fuoco feroce e potente che aveva visto solo poche altre volte nel suo stesso riflesso.

"Hai detto che io e Shizuma avevamo del potenziale," enunciò improvvisamente Lucy. "E che non ci hai mai spinti al massimo durante gli addestramenti perché sapevi che non eravamo pronti. Ma… io so che avremmo potuto essere migliori. E ora, ora so che posso essere migliore. Ora sono pronta, Boruto."

La ragazza fissò il leader nella sua stessa anima con la forza della sua convinzione. Le labbra di Boruto si contrassero, reprimendo un sorriso. Shizuma era morto, ma grazie a questo Lucy aveva ottenuto una nuova vita. Una nuova determinazione che avrebbe potuto forgiare in un'arma ancora più grande.

"Voglio vendetta, Boruto!” sibilò la bionda, afferrando con il pugno il colletto della sua camicia e trascinandoselo faccia a faccia. “Allenami!”

Boruto esitò, restando in silenzio per diversi secondi. Si ritrovò stordito e confuso, in un modo che non aveva più sperimentato da molto, molto tempo. Dopotutto, il giovane aveva rimuginato a lungo sul pensiero di avere un apprendista, un successore. E anche se Lucy non lo sarebbe stata in maniera ufficilale, il processo di addestrarla e modellarla a sua immagine sarebbe stata una buona pratica per quando finalmente avesse trovato un discepolo degno.

E quando quel momento sarebbe arrivato… Boruto avrebbe potuto trasmettere a quel discepolo tutto ciò che conosceva.

Il suo cuore non vedeva l'ora.

Boruto sorrise feralmente. "Pensavo che non me l’avresti mai chiesto."
 






 

Note dell’autore!!!

Salve gente! Ecco a voi il nuovo capitolo, spero possa essere stato di vostro gradimento.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Semmai doveste trovare degli errori ortografici o di stesura, vi chiedo sinceramente – davvero – di farmeli notare così da poterli correggere quanto prima. Grazie mille a tutti in anticipo.

A presto!

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Capitolo 28
*** Una Tregua Stressante ***


UNA TREGUA STRESSANTE



15 Dicembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
10:00

Boruto sentì ogni fibra del suo essere pulsare di rabbia.

Era sempre così così che si sentiva, ultimamente. Negli ultimi giorni non poteva evitare di sentirsi irrequieto e furioso, in un modo che non aveva più sperimentato da molto, moltissimo tempo. Da prima di Eldia, esattamente, quando era ancora un ragazzino ignorante appena ribellatosi alla sua famiglia di sangue. E, in realtà, sapeva che non poteva evitare di provare quelle emozioni. L’Impero stava vivendo un periodo di crisi, dopotutto. Con il fallimento della conquista della Terra del Vento, la sconfitta per mano di Sarada e l’uccisione di uno dei suoi alleati… Boruto aveva un bel po' di problemi a cui dover far fronte.

E far fronte a questi problemi significava dover trovare un modo per riscattarsi. Il Nukenin sentì la sua determinazione ardere come un fuoco possente a quel pensiero. Non era stupido. Sapeva che, se voleva vincere questa Guerra, allora doveva assolutamente trovare un modo per ripagare i suoi nemici con la loro stessa moneta. E lui era più che intenzionato a fargliela pagare. Oh, eccome se gliel’avrebbe fatta pagare. Avrebbero pagato con il loro stesso sangue, se necessario.

Il biondo scosse la testa, ignorando momentaneamente quei pensieri e focalizzandosi sul presente. Le sue gambe lo condussero a passo rapido lungo i corridoi del castello, guidandolo verso il suo ufficio privato. Entrò senza perdere tempo, spalancando le porte con una mera contrazione delle dita. Una volta giunto all’interno, il suo occhio privo di emozione trovò immediatamente le persone che stava cercando. Urahara e Toneri lo stavano aspettando seduti attorno al tavolo delle riunioni, affiancati anche da Galatea, Jigen ed Annie. Appena lo videro entrare, tutti quanti si misero ad osservarlo con sguardi solenni e determinati.

Boruto prese posto sulla sua postazione, sedendosi dall’altro lato del tavolo, davanti ai suoi compagni. “Diamo inizio a questa riunione,” disse, diretto e conciso come sempre.

Tutti quanti annuirono con un cenno del capo. Urahara fu il primo a prendere parola, schiarendosi rapidamente la voce. “Dunque, come abbiamo intenzione di muoverci adesso?” domandò seriamente, fissandoli uno per uno.

Il silenzio si protrasse per cinque secondi dopo quella domanda. Jigen sospirò leggermente. “Beh, di certo non è una questione facile da decidere,” iniziò a dire. “Soprattutto dopo tutto quello che è successo. La parte dell’esercito che abbiamo mandato nella Terra del Vento è ancora stazionata lungo i confini, incapace di superare l’Hokage e la sua linea di difesa. Al momento i combattimenti sono in pausa, vista la tregua momentanea che Boruto ha concesso alle Nazioni Alleate, ma una volta che sarà terminata dovremo riprendere l’assalto con più forza di prima.”

Galatea annuì. “Dobbiamo formulare una strategia di battaglia,” aggiunse a sua volta.

Boruto li guardò con il suo occhio privo di emozione. “Non sarà necessario. Tentare di conquistare la Sabbia sarebbe impossibile con la presenza dell’Hokage. Mandare altri uomini a combattere è inutile, finiremmo solo per decimare le nostre forze,” disse loro.

Galatea e Jigen si scambiarono un’occhiata perplessa. Annie assottigliò lo sguardo. “Quindi, che cosa hai intenzione di fare?” gli chiese.

“Semplice,” rispose il Nukenin. “Lasciamo i due eserciti stazionati lì, ma senza dare inizio ad altri conflitti. Combattere ancora sarebbe inutile in queste condizioni. No, la presenza dei nostri Guerrieri lungo i confini del Vento non sarà più mirata alla conquista. Essa forzerà i nostri nemici a non abbassare la guardia, e allo stesso tempo costringerà il Settimo a non abbandonare i suoi alleati. Non potrà farlo. Non con il rischio di essere assaltati ancora una volta non appena facesse rotta per Konoha.”

Toneri sorrise maliziosamente. “Voi forzare l’Hokage a non ritornare nella Foglia,” dedusse, leggendo tra le righe del suo discorso. “Vuoi costringerlo a restare con l’esercito della Sabbia, vero?”

Il giovane sorrise di rimando, limitandosi ad annuire lentamente.

“Ma… perché?” domandò Galatea.

“Perché la sua presenza altrove sarebbe svantaggiosa per noi,” spiegò semplicemente lui. “Abbiamo già abbastanza avversari a cui dover tener testa. Shikamau Nara, l’Eremita delle Sei vie, Sarada Uchiha… non riusciremmo mai a ferire i nostri avversari se permetteremo loro di restare uniti. Dobbiamo dividerli.”

I volti dei suoi compagni si illuminarono di comprensione. Ci furono diversi cenni di assenso dopo quella spiegazione.

“In effetti è una mossa sensata,” ammise Urahara, grattandosi il mento con aria pensierosa. “Ma comunque, questo non risponde al problema principale: cosa fare adesso?”

Boruto sospirò. Sapeva di doversi aspettare quella domanda. Era scontata, dopotutto. “Per il momento, ci limiteremo a restare fermi e potenziare le nostre risorse,” decise. “Non possiamo combattere direttamente, dato che la tregua con la Foglia ce lo impedisce. Approfittiamone per potenziare l’esercito, addestrare i Guerrieri, e formulare un piano. I nostri nemici hanno voluto questo ‘armistizio’ per formulare una strategia contro di noi. Non dobbiamo lasciarci cogliere impreparati.”

Tutti gli altri annuirono. “Quando terminerà questa tregua?” chiese Annie.

“Il 10 Gennaio,” rispose Toneri, chiudendo gli occhi con le braccia incrociate.

“E come sta andando con i Kara?” domandò ancora l’ex ANBU della Foglia. “Come procede la loro ripresa?”

Gli occhi di tutti si posarono su Urahara. Era lui che si occupava della loro salvaguardia, in fondo. Lo spadaccino sorrise. “Stanno bene. Sia loro che Boruto si sono ripresi dallo scontro con Sarada, ormai. Si stanno allenando al meglio delle loro possibilità ancora adesso,” disse semplicemente. Poi però, il suo sguardo si fece confuso. “Anche se non ho notizie di Lucy. Non ho idea di cosa stia facendo quella ragazza.”

“Non devi preoccuparti per Lucy, sensei,” lo rassicurò Boruto, sorridendo misteriosamente. “La sto addestrando personalmente. La morte di Shizuma l’ha ferita molto, non posso negarlo, ma grazie ad essa ha trovato un nuovo scopo per combattere, ed è più decisa che mai ad avere vendetta. Sto supervisionando personalmente il suo allenamento, ogni giorno.” Poi, vedendo l’espressione del suo maestro che si rilassava, il biondo riportò la sua attenzione su Annie. “Piuttosto, come sta andando sulla Terra, Annie-sensei?”

La donna sbadigliò. “L’Amekage, il Kusokage e l’Otokage hanno tutto sotto controllo,” riferì. “Stanno continuando a raccogliere uomini e risorse senza problemi, stabilizzando ancora adesso i ranghi e la struttura gerarchica dell’Impero. Il Yukage invece ha avuto un po' di problemi per via di alcune rappresaglie da parte di alcuni Guerrieri di basso calibro nei suoi confini, ma li sta risolvendo col tempo. Sta compiendo un po' di… pulizia, diciamo… nella Terra del Vapore.”

Boruto annuì. Sapeva di doversi aspettare questa cosa. L’Impero era grande, molto grande, per cui era inevitabile che ci fosse disomogeneità nella sua costituzione. Rivolte e scontri erano eventualità che aveva previsto sin da sempre, e che poteva tranquillamente gestire grazie all’intervento dei suoi Kage di fiducia. Con il loro aiuto, la popolazione sarebbe gradualmente riuscita ad accettare il cambiamento e ad abituarsi al nuovo stile di vita. “E l’Uzukage?” chiese ancora.

Annie lo guardò di sbieco. “…è ancora al lavoro su quel progetto che le hai mandato,” rispose, senza aggiungere altro.

Il Nukenin assottigliò l’occhio sinistro.

“Adesso che su questo possiamo stare tranquilli, c’è dell’altro di cui vorrei discutere,” s’intromise allora Urahara, rivolgendosi al suo allievo. L’uomo e il giovane si fissarono diritti negli occhi. “Boruto, cosa hai intenzione di fare con Sarada?” domandò seriamente, il suo sguardo determinato.

Quello assunse un’espressione solenne all’udire ciò. “Se i miei sospetti sono fondati, il potere che quell’Uchiha ha ottenuto non è qualcosa di derivante dallo Sharingan Ipnotico. La mia ipotesi… è che ci sia lo zampino di un certo Eremita che ha intenzione di ostacolarmi,” spiegò in tutta serietà, le sue mani serrate in pugni. Lanciò un’occhiata gelida alla persona seduta accanto ad Urahara. “Non sei d’accordo anche tu, Toneri?”

L’essere celeste sorrise – un sorriso malizioso e divertito – aprendo un solo occhio per fissare il Nukenin con sufficienza. “Certamente,” rispose. “Il clan Otsutsuki, il mio clan, è famoso per le sue conoscenze sulle Arti della Previsione e della Probabilità. Non ho dubbi sul fatto che dietro alla nuova abilità di Preveggenza dell’Uchiha ci sia l’intervento di Hagoromo. Ma non c’è modo di scoprire cosa le abbia fatto, né di sapere quale Tecnica abbia usato.”

“E saresti in grado di trovare un modo per aggirare un’abilità del genere, invece?” domandò Boruto.

L’Otsutsuki sospirò, scrollando le spalle. “È difficile dirlo con certezza. Forse potrei riuscirci, se avessi più informazioni su quell’abilità. Ma al momento… no, di certo,” riferì.

Boruto strinse i denti. Questo era un problema. Un problema che avrebbe volentieri evitato di doversi accollare in quel momento. La Preveggenza di Sarada era un ostacolo che doveva assolutamente riuscire a contrastare se voleva vincere la Quinta Guerra Mondiale. Senza se e senza ma. Ma come poteva fare? Se nemmeno Toneri, un Otsutsuki in carne ed ossa, aveva idea di cosa fosse quell’Abilità particolare… c’era davvero modo di riuscire a superarla?

E non conoscere una risposta a questa domanda, lo spaventava più di quanto gli piacesse ammettere.

“Continuerò a studiare questa faccenda,” decise alla fine, chiudendo l’occhio sinistro e sospirando a sua volta. “E allo stesso tempo, sono alla ricerca di un’arma che possa aiutarci a contrastare l’Eremita. Ti chiedo di darmi una mano in questo, Toneri. Avrò bisogno delle tue conoscenze per riuscire a realizzare quello che ho in mente.”

L’Otsutsuki annuì. “Come vuoi,” lo rassicurò.

“E per quanto riguarda Shikamaru Nara, invece?” chiese a quel punto Galatea. Il Nukenin si voltò a guardare di sbieco la donna dai capelli cerulei. “Boruto, non possiamo più ignorare ulteriormente la minaccia del clan Nara. Quell’uomo e la sua intelligenza sono un ostacolo perenne per la nostra fazione. Dobbiamo trovare un modo per liberarcene.”

Il biondo annuì, sorridendo con malvagità. “Lo so,” disse. “E non temere, Galatea. Ho già in mente un piano per ripagare Shikamaru e tutti i membri del suo clan con la loro stessa moneta. Dobbiamo solo attendere la fine di questa tregua prima di poterlo attuare. È solo questione di tempo, ormai.”

Annie inarcò un sopracciglio. “Un piano?” ripeté.

Boruto sorrise, snudando i denti. “Shikadai è stato il responsabile della morte di Shizuma,” rivelò loro. “Per questo, mi sembra doveroso da parte mia fargliela pagare per l’affronto subìto. E lo farò in maniera esemplare, credetemi. Dopotutto, anni fa ho fatto una certa… promessa, diciamo… ad un membro del suo clan. Una promessa che è giunto il momento di mantenere.”

I presenti sentirono un brivido di terrore attraversare le loro schiene all’udire quelle parole. C’era un tono di oscurità e follia nella voce del giovane che fece accapponare la pelle persino a loro. Non avevano idea di cosa avesse in mente, ma una cosa era certa… Boruto Uzumaki era arrabbiato. Immensamente arrabbiato. Era intenzionato a vendicarsi per l’onta che aveva subìto. E adesso, qualcuno ne avrebbe pagato le conseguenze.

A carissimo prezzo.

“D’accordo,” esalò allora Urahara, chiudendo gli occhi con pesantezza. “Quindi, per il momento, dovremmo starcene tranquilli e continuare a potenziare il nostro esercito. Abbiamo bisogno di altre armi per rafforzare i soldati e le linee di difesa dell’Impero. I Demoni artificiali di Mitsuki e Kumo non basteranno come unica arma di guerra.”

Boruto sorrise di nuovo. “A tal proposito,” disse, alzandosi dalla sua sedia. “Credo che sia giunto il momento di fare una visita all’Uzukage.”
 


15 Dicembre, 0021 AIT
Villaggio del Vortice, Terra del Vortice
15:59

Kaya si svegliò di soprassalto quando sentì vibrare la barriera che circondava l'isola. Si alzò dal letto, abbandonando la sua consueta ora di riposo, si vestì con le vesti ufficiali da Kage e si infilò rapidamente gli stivali. Aveva già attivato l'allarme, allertando il resto del clan, e sapeva che tutti i suoi uomini si stavano già armando e preparando. Appena uscì dalla sua stanza, la sua mente venne pervasa dalla determinazione.

Chiunque fosse l’intruso, lei gliel’avrebbe fatta pagare. Kaya si rifiutava di restarsene seduta e lasciare che il clan Uzumaki fosse spazzato via dalla Terra una seconda volta. Non più, non di nuovo. Una cosa del genere non doveva accadere mai più. Gli intrusi sarebbero stati affrontati rapidamente e spietatamente.

Tuttavia, non dovette cercare a lungo l'intruso. Una grande tempesta era arrivata da Est, portando con sé nuvoloni carichi di pioggia e fulmini che oscuravano il cielo del pomeriggio. E lì, la donna trovò la persona che la stava aspettando, coi suoi capelli biondi e le guance sfregiate, in piedi sotto la pioggia. 

L’Uzukage lasciò scorrere il suo chakra, rilassandosi visibilmente. “Sei tu,” sospirò, lasciando che il sollievo le scorresse lungo le vene. “Mi hai fatto preoccupare a morte.”

Boruto sorrise, assumendo un’espressione imbarazzata. E, adesso che lo stava osservando, la donna non poté evitare di pensare a quanto fosse cambiato rispetto alla prima volta che si erano incontrati. All’epoca era stato a malapena un ragazzino, con occhi azzurri pieni di meraviglia e innocenza, quando si era imbattuto per la prima volta nel suo clan. Kaya aveva visto la grandezza in lui, già sin da allora. Aveva visto in lui un guerriero, una mente geniale e, soprattutto, un leader. E la storia le aveva dato ragione su tutti i conti. Solo, lei aveva creduto che un giorno Boruto avrebbe ereditato il suo Cappello da Uzukage e condotto il loro clan in una nuova era di gloria. Invece, ancora una volta, quel ragazzino le aveva dimostrato di essere ben più grande di quel che pensava. Era diventato l'antitesi di tutto ciò che rappresentavano gli Shinobi, intenzionato a salvare non solo il clan Uzumaki, ma anche il resto del mondo. 

Perché Boruto non stava cercando di sostenere il sistema Ninja. Stava cercando di demolirlo.

E ora, sembrava che anche lei fosse finita per lasciarsi coinvolgere nei suoi ideali. "Cosa ci fai qui, Boruto?" chiese allora l’Uzukage, facendo segno ai suoi Shinobi di rilassarsi.

Boruto alzò le mani in segno di pentimento. "Le chiedo scusa, Uzukage. Non volevo allarmarla. Volevo semplicemente testare l’efficacia della barriera, per assicurarmi che fosse ancora stabile come un tempo.”

La donna sorrise sarcasticamente. “E l’hai trovata funzionante?” chiese con ironia.

Quello ridacchiò, annuendo con la testa.

Kaya sorrise di rimando. "Allora, perché sei venuto qui?" domandò ancora una volta, facendogli cenno di seguirlo nel suo ufficio privato. Attorno a loro, la gente e gli Shinobi tornarono a tranquillizzarsi non appena videro che non c’era nessun pericolo. "Dovrai perdonarmi, ma non mi aspettavo una tua visita oggi. Credevo che fossi ancora in riabilitazione per le ferite."

Boruto si raddrizzò e sorrise mentre la seguiva per le strade, fanciullesco e sbilenco. Nonostante fosse superiore all’Uzukage, dato che era lui il leader dell’Impero, il giovane non sembrò curarsi delle formalità.  "Oh, il mio corpo è diventato estremamente rapido a guarire dopo tutte le esperienze che ho avuto nella mia vita," scherzò allegramente, mettendosi a sedere assieme a lei una volta entrati nella stanza. "Comunque sia, non sono qui per una visita di piacere. Sono qui per consegnarle un messaggio. E una proposta, se vorrà accettarla."

La donna fece un cenno con il capo. "Dimmi tutto," lo esortò. Negli ultimi tempi si erano sparse diverse voci sulle abilità che Boruto possedeva, non solo come guerriero, ma anche come maestro nel Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli). Kaya trovava sempre piacevole discorrere con lui su quest’ultimo ambito. Dopotutto, era stata la sua insegnante in passato, ed aveva piena fiducia nelle sue capacità.

"Bene," disse lui. "Vede, in realtà il messaggio è più una domanda. E la domanda è quasi un messaggio… non so se riesce a capirmi?"

La donna si limitò ad inarcare un sopracciglio.

Il giovane sospirò. "Presumo che lei abbia familiarità con Orochimaru dei Sannin, e che sappia del nostro ultimo scontro con lui," disse allora Boruto, cercando di essere diretto. Kaya annuì. "Ebbene, è qui che c’è una cosa che vorrei chiederle. Ho usato il Sigillo del Diavolo per riuscire ad intrappolare l'anima del serpente," la donna quasi soffocò per lo stupore all’udire quella rivelazione. "Quando all’improvviso è successa una cosa molto… curiosa," dichiarò il giovane.

Kaya si fece coraggio. "Ovvero?" chiese.

"Ho visto la Morte divorare l'anima di Orochimaru," spiegò il Nukenin, il suo sguardo oscuro e serio. "Eppure... in quello stesso istante, ho sentito che quell’entità mi stava, in qualche modo, parlando."

L’Uzukage si bloccò, restando a bocca aperta.

Il suo ex studente non mancò di notare la sua reazione. "Vede," continuò a dire. "Ho una teoria al riguardo di ciò. In passato, lei mi ha raccontato diverse cose sulla Morte e sulla sua connessione col clan Uzumaki. Mi ha raccontato che la progenitrice del nostro clan fu una donna, e che secondo le antiche leggende essa abbia sposato la Morte, dando alla luce il primo Uzumaki, al quale poi essa insegnò l’Arte dei Sigilli… mi sbaglio?” Vedendo il suo silenzio, Boruto si arrischiò a continuare. “Inoltre, le Maschere della Morte degli Uzumaki sono un’ulteriore prova di questa ipotesi. Dopotutto, nessun altro clan possiede degli artefatti che conferiscono il potere e la saggezza delle persone morte sigillate dentro di essi. Quindi, dando per scontate queste evidenze precedenti, la connessione tra l’entità della Morte ed il clan Uzumaki è innegabile.”

“…che cosa stai cercando di dirmi?” domandò la donna, incerta.

Boruto la guardò misteriosamente. “A questo punto, le possibilità sono tre: o c'è dell’altro dietro alla storia del nostro clan rispetto a quanto lei mi hai detto; o c'è dell’altro dietro alla Tecnica del Sigillo del Diavolo rispetto a quanto lei mi insegnato; oppure... c’è qualcosa di nascosto e misterioso che collega me a questa entità… alla Morte."

Kaya deglutì, sconvolta, e Boruto le sorrise con un’espressione incerta. "Ma non credo che lei mi abbia mentito, Uzukage. Mi ha sempre aiutato in ogni occasione, e non avrebbe mai potuto mentirmi. Non su qualcosa di importante come il sangue, almeno. Inoltre, durante quello scontro, potevo chiaramente sentire il potere della Morte col mio Jougan, quasi come se fossi stato io a pagarne il prezzo finale. Pertanto… sono portato a credere di più alla terza opzione," spiegò Boruto.

La donna continuò a guardarlo con gli occhi sgranati.

"Così ho pensato tra me: come mai ho percepito questa sorta di connessione con un’entità talmente potente da non poterne nemmeno comprendere il potere e l'esistenza?" continuò a dire il giovane, fingendosi curioso. "Io sono un Uzumaki, certo, ma un evento del genere… non ha precedenti nella storia del nostro clan. O, almeno, così credo.”

Kaya ammiccò, talmente sconvolta da non riuscire a rispondergli; la sua mente che si agitava furiosamente nel tentativo di mettere insieme un pezzo alla volta, studiando ogni tassello per svelare il mistero del loro clan.

Il Nukenin la guardò con decisione. "Per questo sono venuto da lei, Uzukage. Lei è l’unica che possiede le conoscenze e i mezzi per aiutarmi a risolvere questo dilemma. Quello che ho sentito quella notte, quello che ho provato… ne è la prova. Io… non so bene come spiegarlo, ma sin da quando ho percepito quella sensazione, ne sono rimasto più convinto che mai. C’è una connessione tra me e la Morte. E vorrei che lei mi aiutasse a scoprire perché," concluse Boruto, guardandola negli occhi. “Dopotutto, lei ne sa qualcosa… non è vero?”

E dopo quelle parole, il silenzio regnò sovrano per diverso tempo. Kaya esitò, completamente sconvolta, mentre continuava a ragionare furiosamente sulle parole che l’altro le aveva rivolto. Poi, lentamente, le braci del dubbio e del terrore furono alimentate dentro di lei. Perché lei sapeva. Lei conosceva. Lei sapeva qualcosa su quell’argomento. Aveva scoperto così tanto, imparato talmente tante cose durante la sua carica da Uzukage, da poter affermare senza ombra di dubbio che quello che Boruto le aveva appena detto… era proprio quello che pensava.

Il più grande mistero che il loro clan avesse mai avuto modo di conoscere… il mistero che solo pochissime altre persone, gli altri Uzukage, avevano avuto modo di intravedere… era diventato carne e sangue nella figura di Boruto Uzumaki.

E allora, Kaya aprì gli occhi. Realizzò, capì, e comprese. Comprese, dopo tutti questi secoli, dopo tutto quello che aveva scoperto, il perché. Comprese il perché il suo clan fosse stato costretto a perdere così tanto. Comprese il perché queste informazioni fossero state tramandate solamente agli Uzukage. Comprese il perché così tante persone, così tanto potere, così tanta storia e così tanta conoscenza fosse andata perduta per colpa del terrore del clan Uzumaki.

Perché ora, davanti ai suoi stessi occhi, la chiave mancante della loro esistenza era tenuta nelle mani di quel giovane ragazzo.

"C-Come faccio a sapere che non stai mentendo?" sussurrò allora la donna, a bassa voce.

Boruto sorrise e tese in avanti il ​​braccio sinistro. Mosse la sua mano destra per sollevare la manica della veste. Poi, una volta snudato il braccio, il potere del Sigillo ivi iscritto guizzò alla vita, facendole ribollire il sangue alla sua visione. "Il Sigillo Maledetto dell'Onestà," realizzò Kaya ad alta voce, sentendo le sue mani tremare.

"Una misura temporanea, ovviamente," le spiegò Boruto. "Sarà rimosso una volta che me ne sarò andato. Inoltre, gli ho apportato alcune modifiche che mi impediranno di essere costretto a parlare di argomenti su cui devo, per precauzione, trattenermi. Ma, comunque, le ho detto la verità."

Il silenzio si protrasse dopo quelle parole. L’aria era muta e tranquilla, a parte il picchiettio della pioggia che iniziava a risuonare dall’esterno. Kaya trasse un profondo respiro dal naso ed espirò dalla bocca mentre il peso della sua gente, del suo clan, della loro storia si depositava sulle sue spalle. "Cosa ti aspetti che faccia con queste informazioni?" chiese, guardando a terra.

Il giovane accanto a lei aprì il suo Jougan di scatto. “Uzukage… io so che lei sa qualcosa,” intonò, serio e conciso. La sua voce suonò bassa e pesante, come una minaccia, quasi. “Voglio solo delle risposte. Ne ho il diritto.”

Kaya sorrise amaramente. “…negarlo non avrebbe senso, vero?” sussurrò, più a sé stessa che all’altro.

Il giovane non rispose, continuando a fissarla attentamente.

Alla fine, la donna cedette. “…v-va bene,” esalò, la sua voce tremante. “Va bene, ti dirò quello che so. Ma non qui, non ora. Dovremo essere da soli quando arriverà quel momento. Le informazioni che dovrò rivelarti… non devono giungere alle orecchie di nessun altro.” Vedendo che l’altro stava per concordare, Kaya lo incalzò prima che potesse aprire bocca. “E devi promettermelo, Boruto. Devi promettermi che nemmeno una frase, nemmeno una parola, nemmeno una sillaba di quello che ti dirò verrà mai udita da qualcun altro. Non dirai niente a nessuno, fino al resto dei tuoi giorni. Nemmeno… Nemmeno a Mikasa e Sora.”

Boruto esitò, colto alla sprovvista da quelle parole.

Kaya lo fissò direttamente negli occhi. “Sarai capace di farlo?” domandò, fissandolo attenzione.

Il Nukenin non rispose, studiandola in silenzio, mentre i suoi occhi eterocromi guizzavano avanti e indietro per leggerle dentro. “Va bene,” le concesse alla fine, serio. “Va bene. Lo prometto.”

E lì, in quel momento, per la prima volta, Kaya Uzumaki si rassegnò a prepararsi all’inevitabile.

“Allora siamo d’accordo,” disse Boruto. “Quando il momento sarà giunto, lei mi dirà tutto quello che sa. Non può più tirarsene indietro, Uzukage.”

Kaya annuì lentamente. “Lo so,” affermò con decisione. “Ma adesso dimmi quello che volevi chiedermi a parte questo, Boruto.”

"Ah," il Nukenin sorrise, alzando una mano con l'indice teso. “La proposta di cui le accennavo prima..."

"Vuoi farci accelerare il progetto," ragionò la donna, sapendo fin troppo bene a cosa stava mirando quel ragazzo. "Riguarda quei Sigilli che impediscono al corpo di provare dolore, vero? Vuoi che ne produciamo altri per consegnarli all’esercito prima della fine della tua tregua."

Boruto si accigliò. "Beh… sì," ammise, richiudendo l’occhio destro. "Ma suona molto male quando lo dice in questo modo. Vede, quei prototipi che abbiamo sperimentato nella Terra del Vapore erano incompleti. E sono certo che lei ed il suo clan abbiate già trovato un modo per risolvere tutte le debolezze dei prototipi, ormai. Mi sbaglio?”

Kaya lo guardò acutamente. “Precisamente.”

Boruto sorrise. “Ottimo. Pensa di poterne creare altri per tutto il nostro esercito?” domandò allora.

Quella esitò, scioccata. Non si era aspettata una simile svolta degli eventi. “Beh… certo. Ma ci vorrà del tempo,” iniziò a dire. “Senza contare il pericolo che ricadrà sul Vortice una volta che quei Sigilli saranno operativi. Se i Ninja delle Nazioni Alleate li scoprissero, il nostro coinvolgimento nella guerra sarebbe evidente agli occhi di tutti.”

Boruto inarcò un sopracciglio. “E con ciò?”

L’Uzukage trattenne un sospiro. “Il mondo ci riprenderebbe di mira,” dichiarò, come se fosse scontato. “Ci riprenderebbero ad odiare come in passato. Ed io, in quanto Uzukage, non posso permettere una cosa del genere. Nemmeno per venire in aiuto a te, Boruto.”

Dopo aver udito ciò, Boruto rimase in silenzio per diverso tempo, fissando la donna con uno sguardo indecifrabile. Poi, tuttavia, le sue labbra si incurvarono in un sorriso malizioso. “Ha finito di inventare altre scuse?”

Kaya trasalì, scioccata. "C-Che cosa?”

"Non faccia la timida, Uzukage," la rimproverò il Nukenin, saccente. "Sappiamo entrambi – anzi, lo sappiamo tutti – che la sua lealtà è verso il sangue. Ha sempre combattuto per me, mi ha sempre difeso finché ha potuto, ed è sempre stata disposta a seguirmi fintanto che non avessi messo in pericolo il nostro clan… e sa perché? Perché io ho il suo stesso sangue. Molto più dell’Hokage, e penso che saremo entrambi d'accordo su questo. Potrei non avere né i capelli né gli occhi cremisi del nostro clan, ma il mio sangue è Uzumaki in tutto e per tutto. Il potere del mio chakra non può essere negato, e la mia padronanza del Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) è invidiabile persino da lei. Per cui, io sono un Uzumaki tanto quanto qualsiasi altro membro del Vortice. Inoltre, per me la cosa più importante al mondo è la famiglia. Mikasa e Sora non hanno il mio stesso sangue, certo, ma sono comunque la mia famiglia. Ma visto che il nostro sangue è lo stesso, la mia famiglia include anche lei e Kairi, sa?"

Gli occhi di Kaya si spostarono verso il basso, osservando il sigillo sul suo avambraccio e il potere in esso contenuto. Il sigillo era attivo, poteva percepirlo, e per questo sapeva che Boruto non stava mentendo. E questa consapevolezza, in qualche modo, le riscaldò il cuore. Anche se quel biondo era stato trasformato in criminale di guerra, ancora oggi continuava a considerare lei e il resto del loro clan come una famiglia.

"Non posso farlo, Boruto," disse infine Kaya. "Lo sai. Il mondo si rivolterebbe contro di noi, come ha già fatto una volta, non appena avranno la vera conferma che lavoriamo con te."

Boruto rise. "Lo farebbe, eh? Proprio come ha fatto in passato..." fece una pausa. "E proprio come farà in futuro. Pensa che il mondo non riprenderà a temere gli Uzumaki, proprio come cento anni fa? Forse non avverrà tra cento anni, o neanche tra duecento... ma alla fine il mondo arriverà comunque a temere il potere del nostro clan. E quando lo farà, la storia si ripeterà una seconda volta."

Kaya si infuriò nel sentirgli dire quelle parole. "E tu pensi di poter fermare tutto questo?" domandò allora con rabbia. Non poteva agire senza avere una certezza. Non poteva permettersi di essere influenzata solo per il terrore di ciò che sarebbe successo al loro clan.

"Io non penso un bel niente, Uzukage. Io so che posso fermare tutto questo!" ribadì invece Boruto, le sue parole ardenti di convinzione, così decise che Kaya stessa non poté fare a meno di credergli nonostante tutto. "Mi dica una cosa… lei sa perché ho intrapreso questa strada di sangue, Kaya?" chiese ancora lui.

L’Uzukage scosse la testa.

"È semplice, davvero," spiegò allora Boruto. "Ma nonostante questo nessuno riesce a capirlo. Né l’Hokage, né i miei amici, né la mia vecchia famiglia, né le persone del mondo. Tutti pensano che io sia stato distrutto e contorto dalle cose che ho visto e che ho fatto. Che io debba necessariamente aver subìto una grande perdita o una tragedia, o ancora che io sia così debole e infantile da essere stato spezzato solamente perché mio padre non mi amava abbastanza. Ma nessuna di queste cose è vera. Vuole sapere perché ho fatto tutto quello che ho fatto? Ebbene, l’ho fatto perché ho visto un male che tutto il mondo poteva vedere, ma verso cui nessuno si è mai fatto avanti per correggerlo. Per questo ho agito. Non c’è nessun grande segreto, nessun grande racconto. Solo... moralità. Dovere. Tutto qui.”

"Quindi… hai deciso di cambiare il mondo solo per dovere?" rifletté la donna.

Boruto annuì. "Il futuro che sto costruendo sarà quello in cui il clan Uzumaki non dovrà più temere un genocidio," disse con convinzione. "Un futuro di Pace e stabilità per tutti. Non ha motivo di temermi, Uzukage. Non devo piacerle, non deve essere d'accordo con i miei metodi. Anzi, non dovrà nemmeno lavorare per me. Tutto quello che le chiedo è stare attenta e lasciarmi fare ciò che è necessario. Tuttavia... " il biondo fece una pausa, fissandola negli occhi. "Se vuole contribuire a creare un mondo in cui i figli e le figlie del clan Uzumaki non dovranno più nascondersi su un'isola protetta da una barriera per tutta la vita solo perché hanno i capelli e gli occhi rossi, allora le darò il benvenuto a braccia aperte."

Kaya esitò, incerta come non mai. Non sapeva cosa fare. Non sapeva cosa dire. Era certa di condividere gli ideali del Nukenin, ma c’era una grossa differenza tra il supportarlo silenziosamente di nascosto e l’entrare ufficialmente in guerra al suo fianco. Una differenza immensa. E lei, lei era l’Uzukage. Il suo compito principale era quello di agire nell’interesse del clan Uzumaki. Perciò, cosa doveva fare?

La sua mente si svuotò. Provò ad immaginarsi i volti dei suoi concittadini. I volti di Jin, di Kairi, e di tutti gli altri membri del clan. E ripensando ai loro volti, ripensando ai loro occhi, Kaya comprese e capì che neanche loro avrebbero potuto aiutarla a scegliere. La scelta era sua. Una scelta per cui non aveva più tempo. Era ora di considerare l'offerta. Era ora di fare i conti con il mondo, e di trovare il proprio posto in esso.

L’Uzukage sbuffò. "Dovrò cominciare a chiamarti Kurokage?" rifletté.

Borto le sorrise. "Non si preoccupi affatto di questo. Lei e tutti gli altri Kage manterrete la sovranità sui vostri Paesi, come sempre. La Terra del Vortice e il clan Uzumaki continueranno ad essere gestiti da lei," la assicurò.

"Ma io dovrò comunque rispondere a te, giusto?" insistette Akane. "In quanto Kage dell’Impero. Il tuo titolo ha un nome appropriato, dopotutto. Kurokage, un'Unica Ombra. Un’ombra che incombe su tutte le altre."

Quello annuì. "Sarà necessario per garantire la Pace e la stabilità," ammise senza esitazione. "Lo comprende, vero?"

"Mi rifiuterò di chiamarti Imperatore o Maestà, sappilo," sputò lei, facendo un gesto di disprezzo con la mano.

Boruto la schernì scherzosamente. "Per favore," sbuffò. "Non ho alcuna intenzione di usare dei titoli così ostentati e arcaici."

Kaya annuì lentamente. "Ci vorrà del tempo per prendere una decisione definitiva, Boruto," disse poi alla fine. "Devi capirlo."

"Certamente," convenne lui, inchinando la testa in un gesto di saluto mentre si alzava dalla sedia. "Come le ho detto, sono solo venuto per riferirle un messaggio e una proposta. Si prenda tutto il tempo che le serve. Come farò a sapere quando avrà preso una decisione?"

La donna sorrise cupamente. "Lo saprai, in un modo o nell'altro," disse.

Boruto si fermò, esitò un paio di secondi, ed inclinò la testa in un inchino. Poi scomparve in una nuvola di fumo, mentre la luce di un fulmine balenò improvvisamente dalla finestra, illuminando tutto l’ufficio. Kaya fissò il cielo in tempesta, col sole nascosto dietro a nuvole arrabbiate, intente a riversare sul mondo la loro pioggia fredda e ineluttabile.

“Jin,” chiamò alla fine la donna.

L’uomo dai capelli rosso sangue comparve accanto a lei con un sibilo impercettibile. “Uzukage-sama,” s’inchinò rispettosamente.

“Avverti gli anziani. Dobbiamo riunirci per parlare,” ordinò senza esitazione.

Jina annuì, svanendo dall’ufficio senza un solo rumore.

Il clan Uzumaki aveva molto di cui discutere.
 


20 Dicembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione

Città Capitale di Rikubetsu
19:33

Boruto camminò a passo spedito, avanzando lungo i corridoi della fortezza di Rikubetsu con uno sguardo solenne. Il suo volto era indecifrabile, la sua espressione priva di calore mentre si portava avanti, ignorando tutta la schiera di soldati e servitù che gli faceva largo e s’inchinava rispettosamente mentre lo vedeva passare. La sua mente era pervasa da pensieri, strategie, e piani. Innumerevoli idee e incalcolabili varianti che stava continuando a rimuginare tra sé da ore e ore.

Il momento era quasi giunto. Era quasi giunta l’ora di riprendere a continuare la sua opera di conquista. Mancavano poche settimane al temine della tregua con la Foglia. E una volta che la tregua fosse terminata, Boruto era più intenzionato che mai a riprendersi tutto ciò che gli era stato tolto nell’ultimo periodo.

Il fallimento nella Terra del Vento, la sconfitta per mano di Sarada, la falllimentare cattura del Rokubi (Esacoda), la morte di Shizuma… erano tutti degli affronti inaccettabili. I suoi amici, il suo Impero, la sua gente, non potevano chiudere un occhio su delle offese così gravi. E lui, in quanto leader dell’Impero, doveva vendicarsi. Doveva rendere giustizia a tutti coloro che erano stati sconfitti ed uccisi per colpa del nemico. E Boruto lo avrebbe fatto. Si sarebbe vendicato, in maniera spietata e crudele, distruggendo i suoi nemici e ferendoli mortalmente nel più infimo dei modi. Lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto assolutamente.

Anche se, per riuscire a vendicarsi, avrebbe dovuto compiere il più mostruoso dei mali.

Immerso com’era nei suoi ragionamenti, si rese a malapena conto di quando Mikasa, Sora ed il resto dell’Organizzazione Kara prese ad unirsi a lui. “Pensieroso come sempre, eh?” ridacchiò Juvia, fissandolo con ironia mentre lo vedeva immerso nei suoi ragionamenti. Assieme a lei, Gray e Sora emisero degli sbuffi sarcastici.

Il Nukenin sentì le sue labbra trattenere un sorriso. Era sempre così quando si riuniva coi suoi amici. “Ci sono… diverse cose su cui devo riflettere,” ammise lentamente, continuando a camminare verso l’armeria.

“Che genere di cose?” chiese Mikasa, sempre pronta ad affiancarlo. La sua mano sinistra si mosse per unirsi alla sua.

Boruto abbassò lo sguardo a terra, ma non sciolse le dita da quelle della sua ragazza. “Vendetta,” rispose freddamente. “Sto elaborando un modo per riuscire a vendicare la morte di Shizuma e tutti i fallimenti che abbiamo subìto a causa del nemico.”

I Kara attorno a lui assunsero degli sguardi solenni, scambiandosi delle occhiate silenziose. “Hai già in mente qualcosa?” chiese Shirou, serio come sempre.

L’espressione gelida e priva di emozione del biondo bastò a rispondere a quella domanda. “Voglio essere sincero con voi. Quello che sto per fare… sarà decisamente macabro,” disse loro dopo un paio di secondi, fissandoli uno per uno mentre continuavano ad avanzare lungo i corridoi del castello. “Non voglio coinvolgervi direttamente. Il peso delle mie azioni non deve necessariamente ricadere anche su di voi.”

“Quindi vuoi lasciarci indietro come prima?” domandò Gray, assottigliando gli occhi.

“No, Gray. Ma voglio essere sincero al cento per cento,” ribadì L’Uzumaki. “Sarei molto più tranquillo se voi tutti non partecipaste alle prossime operazioni. Non solo perché così facendo sarei certo della vostra sicurezza, ma anche perché… il mondo potrebbe non reagire bene a ciò che sto per fare,” dichiarò, il suo occhio indecifrabile.

Sora e Kairi si scambiarono un’occhiata. “Perché?” chiese quest’ultima. “Che cosa hai intenzione di fare?”

Il Nukenin non rispose, continuando ad avanzare.

Juvia sospirò pesantemente. “Prevedo una strage incombere sul mondo,” sussurrò.

“È una strage necessaria,” le ricordò il biondo, sorridendo amaramente. “Ve l’ho già detto. Per riuscire ad unire il mondo, per riuscire a portare una Pace vera e duratura per tutti i popoli, dovrò ricorrere a misure drastiche. Anche se, per farlo, dovrò necessariamente diventare un mostro.”

“Sai bene che nessuno di noi ti considera un mostro, fratello,” lo incalzò prontamente Sora, deciso. “Ti abbiamo sostenuto fino ad ora, e lo faremo ancora come sempre, indipendentemente da tutto.”

Boruto trattenne un sorriso incerto. “Anche se dovessi finire per accollarmi l’odio di tutto il mondo?” domandò.

Mikasa gli strinse la mano nella sua. “Anche se tu dovessi diventare l’essere più spietato del pianeta,” dichiarò con una certezza inviolabile. “Noi ci saremo sempre per te, Boruto. Non ti abbandoneremo mai.”

Il ragazzo la guardò con affetto. Accanto a lei, Kairi fece un sorriso sincero. “È il minimo che ti dobbiamo. Dopotutto, tu ci hai salvato la vita, no?”

Il guerriero si limitò a sorridere di rimando. “…grazie, ragazzi,” sussurrò sinceramente.

Si fermò davanti ad una guardia posta vicino ai cancelli della fortezza. Era un messaggero, uno di quelli usati per mandare missive importanti in giro per le Nazioni. Indossava una casacca verde da Shinobi ed una specie di elmo fasciato che gli copriva interamente la parte inferiore della faccia. Appena lo vide, la guardia si raddrizzò sulla schiena e si mise sull’attenti. “Kurokage-sama, signore!” lo salutò.

Boruto sorrise. “Prendi questa missiva e portala nella Terra dell’Erba,” disse, consegnandogli una lettera imbustata. “Assicurati che giunga a destinazione. È di vitale importanza per me e per l’Impero.”

La guardia annuì freneticamente. “S-Sarà fatto, signore!” esclamò, prima di alzare rapidamente i tacchi e partire alla massima velocità.

Sora ammiccò, osservando il messaggero che correva in lontananza nella città. “A chi l’hai spedita?” domandò.

Il Nukenin sorrise misteriosamente. “All’altro me,” rispose.

Mikasa, Sora e tutti gli altri non erano certi di sapere a chi si riferisse.
 


22 Dicembre, 0021 AIT
Occhio della Tempesta
17:12

Qualcosa non andava.

Boruto odiava quando qualcosa non andava. E questa sensazione era resa doppiamente frustrante perché non sapeva esattamente cosa non andasse. Sapeva solo che c'era qualcosa. Era qualcosa di incorporeo, qualcosa di intangibile, qualcosa di immateriale. Non poteva toccarla con le dita, né vederla con gli occhi, né sentirla con le orecchie, né annusarla con il naso, né assaggiarla sulla lingua, ma poteva percepirla lo stesso. Era piuttosto come essere davanti ad un'imitazione di un famoso dipinto, pensò Boruto. Non riusciva a capire la differenza tra il vero e il falso, ma poteva comunque sentire che uno era diverso dall'altro.

Era estremamente irritante.

"Uffa! Non posso farcela!" urlò ferocemente Lucy.

Irritante proprio come la sua nuova ‘allieva’. Boruto sospirò. "Di nuovo," comandò.

"Eddai, Boruto! I tuoi occhi non sono nemmeno aperti! Presta attenzione!" strillò la bionda.

Il giovane fece un profondo respiro dal naso e spalancò l’occhio sinistro. "Stavo meditando," la rimproverò. "E non ho bisogno di aprire gli occhi per vedere che sei troppo impaziente."

Lucy incrociò le braccia sotto i seni e mise un broncio. Boruto alzò l’occhio al cielo. "Comunque, non vedo il perché io debba imparare questo stupido stile del Pugno Gentile," borbottò la ragazza.

Il Nukenin sentì una vena pulsargli pericolosamente sulla tempia. "Perché," sospirò. "È lo stile a cui sono più abituato. Potrei insegnarti lo stile di lotta degli Uzumaki, ma non sarebbe adatto a te poiché è stato creato con l’intento di usarlo in contemporanea con le Catene d’Amianto. Potrei insegnarti lo stile di lotta della Nuvola, ma nessuno di noi due ha una struttura corporea abbastanza robusta per le mosse basate sulla forza. Il Pugno Gentile è lo stile migliore e più potente che c’è, e funzionerà bene con le tue abilità evasive."

"Ma non sai nemmeno se funzionerà!" borbottò l’altra.

Boruto si massaggiò la punta del naso. "Il mio uso della Scia Scattante di Fulmini ha alterato il Pugno Gentile in modo tale da causare dei danni sottili ma permanenti al soggetto colpito,” le ricordò saccentemente. "Quindi sono certo che, se combinato con le tue Arti del Fuoco, otterrà più risultati di quel che pensi. Inoltre, le nostre corporature sono simili, progettate per colpi rapidi e precisi. Colpi in cui il Pugno Gentile eccelle."

Lucy strinse i denti, il suo sopracciglio che si contraeva visibilmente. Boruto sospirò, alzò gli occhi al cielo e si sollevò da terra. "Vieni qui," disse alla fine.

Lucy si avvicinò e si fermò a un piede di distanza da lui. Boruto le prese le mani tra le sue, aprì lentamente il suo Jougan, ed allungò delicatamente le dita della ragazza mentre esaminava i suoi punti d’uscita del chakra. Il suo dito indice si trascinò sul primo dei punti di chakra della mano, iniziando dal polso. Il guerriero alzò lo sguardo. "Questo ti causerà un po' di prurito," la avvertì. Lucy non incontrò i suoi occhi, con le guance arrossate, ma annuì silenziosamente.

Poi, con un colpo secco, Boruto le aprì il suo primo punto d’uscita del chakra.

"Ow! Cazzo!" sibilò lei, strappandogli la mano dalla presa e scuotendola mentre imprecava. "Prudere?! Mi hai quasi infilzato la mano!"

Boruto sorrise ironicamente. "Scusa," sussurrò, raggiungendole di nuovo la mano. Lucy borbottò sommessamente ma obbedì al gesto, rimettendo la mano nella sua presa. "Ti farà male."

"Grazie, Capitan Ovvio..." squittì la ragazza, serrando gli occhi mentre le apriva il successivo punto d’uscita del chakra.

Lucy sibilò di dolore, i muscoli tremanti, e Boruto provò compassione per lei. "Mi dispiace," disse sinceramente. "Se può essere di consolazione, ha fatto male anche a me quando me li hanno aperti la prima volta. Di solito quando uno Hyuuga sta imparando per la prima volta il Pugno Gentile, il loro insegnante apre forzatamente i loro punti d’uscita del chakra per facilitare il processo. Mio nonno ha insegnato a me e a mia sorella, sai. È stato lui a farlo con me. Ero molto piccolo, e cercai disperatamente di non piangere perché non volevo che pensasse che ero debole.”

Boruto alzò lo sguardo mentre parlava, notando con sollievo che Lucy si stava concentrando sulle sue parole piuttosto che sul dolore. Sorrise. "Ci siamo," le disse alla fine, rilasciandole le mani mentre le apriva l'ultimo punto di chakra.

Lucy ammiccò con le palpebre, guardò in basso e strinse ripetutamente i pugni. "Huh," mormorò, stupita.

"Ora dovrai stare attenta, perché-" Boruto si abbassò di scatto, mentre la bionda spingeva un pugno in avanti e sputava fuori dalle braccia una lancia visibile di chakra. Lui sospirò. "…perché sarà molto facile usare più chakra del necessario. L'obiettivo del Pugno Gentile è inserire il tuo chakra nel corpo dell’avversario, non farlo esplodere con esso."

Lucy ridacchiò. "Scusa," disse con una scrollata di spalle.

Boruto annuì. "Ora riprova ad allenarti," disse. Tornò al suo posto fuori dal campo di allenamento, chiudendo il suo occhio dopo essersi assicurato che la giovane non stesse usando le forme sbagliate. Praticare uno Stile di lotta in modo errato era peggio che non esercitarlo affatto.

Fece un respiro profondo, stabilizzò il corpo e si schiarì la mente. Tornò a catalogare ogni operazione mentale condotta dal suo intelletto, esaminandole una per una, cercando la causa dell’inquietudine che provava e che continuava a tormentarlo. Se non lo avesse capito al più presto, sarebbe impazzito. Più di quanto non fosse già. Più di quanto lo era stato quando Sora e Gray avevano iniziato a spostare i mobili nel suo ufficio per ogni settimana, lentamente ma inesorabilmente. A volte, Boruto si chiese perché avesse sopportato quei due così a lungo.

Si pose di nuovo quella domanda con Lucy mentre schivava una spinta di palmo mal eseguita che sfrigolò e crepitò in aria mentre si librava sopra la sua spalla. Il biondo aggrottò la fronte e aprì il Jougan, seccato.

Lucy rise debolmente. "…Ops?" ridacchiò.

Boruto sospirò. "Credo che sia meglio passare alla pratica, allora," disse alla fine. Lucy, a differenza sua, era più portata ad imparare facendo. Non era in grado di svolgere un lavoro teorico senza metterlo in pratica e sperimentarlo.

La ragazza sembrò eccitarsi alla prospettiva di combattere. La sua forma era corretta, ma rigida e inflessibile rispetto a tutto ciò che il Pugno Gentile esemplificava. "Devi rilassarti," la richiamò il biondo. "Devi seguire il flusso. Sii più sciolta e agile, più veloce e precisa. Il Pugno Gentile è inutile se lo usi come un pugile."

Lucy aggrottò la fronte, prese un profondo respiro ed espirò con forza mentre il suo corpo si rilassava. "Abbassa il tuo centro di gravità," la esortò Boruto, avvicinandosi a lei. Fece scivolare un piede tra i suoi e lo premette contro il tacco delle sue scarpe, costringendola ad allargare le gambe. "Il tuo gioco di gambe deve essere veloce e dinamico. Il Pugno gentile non ha parate. O si schiva, o si devia. Schiaffa via il pugno di un avversario o lo evita prima di girare dietro di lui."

"Capito," annuì la ragazza.

"Un esercizio che mio nonno mi faceva fare sempre è camminare in cerchio," spiegò Boruto. Puntò un dito a terra, ed un arco di elettricità scoppiettante prese a bruciare la pietra del pavimento. Dopo un paio di secondi, aveva creato una vaga forma circolare per terra. "Non muoverti fuori dalla linea," le ordinò, facendo cenno a Lucy di rispecchiarlo. "L'obiettivo è rimanere all'interno del cerchio mentre si è ancora in movimento, ed evitare di essere colpiti dal proprio avversario. Così."

Appena ebbe finito di parlare, il Nukenin si scagliò in avanti con una spinta delle dita e punse Lucy nell'avambraccio con una piccola lama di chakra. Non abbastanza per bloccarle un punto di chakra, ma abbastanza per ferirla un po’. "Ow!" urlò lei, fissandolo male.

Boruto sorrise debolmente ed iniziò a circondarla. Lucy lo rispecchiava goffamente, non abituata alle posizioni mutevoli e al movimento circolare dei piedi. Si lanciò contro di lui, abbandonando il movimento di gambe del Pugno Gentile, e Boruto la ricompensò con diversi lividi scuri che le rovinarono la pelle pallida. "Sbagliato," la rimproverò seriamente. "Te l’ho detto: se combatti come un pugile e scagli il tuo chakra esplosivo nell’avversario, esso esploderà prima che tu possa ritirarti, e sarai coinvolta nell'esplosione."

Lucy ansimò, i suoi occhi che ardevano di decisione. "Va bene," esalò.

Boruto continuò ad insegnarle le basi, perdendosi nel ritmo dell’insegnamento. Era passato molto, molto tempo da quando aveva svolto un lavoro così basilare sul Pugno Pentile. Era piacevole, pensò. Era come se si stesse reimmergendo nel passato, tornando ai momenti più felici della sua infanzia. Prima che suo padre indossasse il Cappello. Lucy migliorava, lentamente ma inesorabilmente, e la sua forma diventava sempre più vicina a quella del vero stile degli Hyuuga, mentre il suo corpo si abituava al nuovo ritmo.

"Molto bene. Ora aggiungi il chakra agli attacchi," la esortò Boruto, vedendo che le braccia e le gambe della giovane stavano iniziando a tremare per le lunghe ore di allenamento. "Niente chakra esplosivo, però."

Lucy annuì, tremante, prima di iniziare ad espellere caoticamente il chakra dalle sue mani. "N-Non posso... controllarlo," ansimò tra i respiri irregolari.

"Immagina il flusso come se fosse un setaccio," le venne in soccorso l’Uzumaki. "Non stai espellendo chakra, non esattamente. Stai solo aprendo il tuo corpo abbastanza a lungo da farne fuoriuscire un po', prima di riprenderne il controllo. Per ora, questo basta e avanza. Lavoreremo più tardi per aggiungere forza alla tecnica."

Lucy annuì e sembrò prendere a cuore il suo consiglio, poiché le sue raffiche più controllate del Pugno Gentile risultarono in qualcosa che poteva almeno essere usato in combattimento con una certa efficacia. Boruto spinse la ragazza a quel ritmo per un'altra ora buona, finché non divenne chiaro che era abbastanza. "Non puoi mostrare alcuna debolezza," le disse a quel punto, colpendola velocemente e costringendola a correggere la sua forma. "Devi essere più di un semplice avversario agli occhi del tuo nemico. Devi essere un mostro, un demone, un dio. Una volta che penseranno di non poterti battere, anche solo una volta, allora sarai intoccabile, e la battaglia finirà e avrai già vinto senza dover usare un solo pugno."

"Più facile... a dirsi... che a... farsi," ansimò Lucy.

Alla fine, per sua fortuna, Boruto le permise di cadere in ginocchio. "Raddrizza la schiena e appoggia le mani sulla testa. Ti aiuterà a respirare più facilmente," le disse.

"Questa è una tortura," grugnì la ragazza.

Boruto sorrise con ironia. "Questa è la strada per diventare più forti," la corresse pacatamente. Lucy borbottò sommessamente sottovoce. Quando ebbe ripreso fiato, lui parlò di nuovo. "Domani continueremo da dove abbiamo lasciato," disse. "Una volta che avrai abbastanza padronanza sul Pugno Gentile, passeremo ai metodi d'apertura di più punti del chakra su braccia, gambe e corpo."

"Ti odio," sospirò Lucy.

Quello si limitò a sorridere. "Riposati un po'," disse, salutandola con un cenno del capo. Poi si sedette a terra e chiuse gli occhi mentre lei zoppicava via dal campo di allenamento.

Aveva sentito qualcosa durante il loro combattimento. Qualcosa di triste e oscuro che gli aveva lasciato una sensazione fredda nello stomaco. Era… Era come un dolore indicibile, e Boruto non sapeva cosa fosse o perché lo sentisse; ma lo fece, e lo sentiva, e questa cosa lo preoccupò. La sensazione di dolore risuonava con la sensazione di sbagliato che aveva provato in precedenza, e lui sapeva che c'era una connessione tra le due cose. Ne era certo. Semplicemente, non sapeva come o perché potesse percepirlo. E alla fine di quella giornata, quella sensazione non fu altro che un altro mistero in una lunga serie di domande che il giovane si pose.

Più a lungo restava seduto, più la sensazione di dolore svaniva, e Boruto poteva sentire il vuoto che gli lasciava dentro. Allora scattò, come se avesse finalmente avuto qualcosa con cui confrontare il vero e il falso. Boruto rise sottovoce, gli occhi ancora chiusi, sia stupito che frustrato con sé stesso per essere stato cieco per tutto questo tempo, quando ora la risposta gli sembrava così ovvia. Un nuovo raggio di luce lo avvolse, e Boruto si immerse profondamente nella sensazione di errore, seguendola, lasciando che la sua mente vagasse dove poteva. La sensazione pervasiva era profondamente radicata nel suo animo, più simile a un debole ricordo che ad un sogno tra il sonno e la veglia.

E lì, tra la salvezza e la dannazione, tra la Luce e l'Oscurità, Boruto trovò quello che stava cercando. Un'improvvisa, invisibile chiarezza gli apparve nella mente, e il giovane sentì che un peso che non sapeva nemmeno di avere con sé gli veniva tolto dalle spalle. Tutti i suoi dolori e le sue preoccupazioni fuggirono dalla sua mente e, per la prima volta da molto tempo, Boruto seppe di nuovo quello che era.

Era Boruto Uzumaki.

Non il figlio dell'Hokage, non il capo dell’Organizzazione Kara, non un Ninja Traditore, non un criminale, solo...

"Boruto!"

Il ragazzo sospirò, seccato, e riaprì un occhio. Mitsuki era davanti a lui, con un luccichio negli occhi, e le labbra incurvate in un ampio sorriso compiaciuto. "Sì, Mitsuki?" chiese lui, facendo cenno al suo amico di continuare.

"Volevo solamente dirti che ce l’abbiamo fatta, Boruto," riferì allegramente l’albino. "Dopo numerosi esperimenti, io e Kumo siamo riusciti a ricreare un perfetto Demone Artificiale!"

Boruto inarcò un sopracciglio. "Oh?"

Mitsuki chinò la testa. "Sì! Eccolo," disse, facendo un passo indietro.

Il Nukenin balzò in piedi, sconvolto, mentre ciuffi di chakra nero e oscuro lambivano la pelle dell’albino. In pochi secondi, Mitsuki venne completamente avvolto nel mantello rosso sangue dei Demoni codati, ed una presenza malevola oppressiva prese a riempire il campo di addestramento. Gli occhi di Boruto si spalancarono, con il Jougan che pulsò alla vita, mentre Mitsuki gli metteva a disposizione tutta la potenza del suo Demone artificiale. Più che il chakra opprimente, Boruto poteva praticamente vedere all'interno del suo compagno, nella gabbia della sua mente, dove si annidava la creatura.

E quando la vide lì, davanti a sé, il suo occhio destro pulsò di orrore.

Era una creatura nata da un incubo, di questo era certo. Prole deforme di un'unione tra uno squalo e un rettile. Era un mostro che si profilava sopra di lui per diverse decine di piedi, e le cui pinne coprivano un'area così grande che sembrava soffocare nell’ombra tutto il mondo sottostante. La sua pelle era di un blu scuro squamoso in alto e di un azzurro tenue e pallido in basso. La coda di uno squalo, lunga e serpentina, veniva trascinata dalla sua schiena. Gli mancava una testa, o un collo, mentre al loro posto un vuoto di oscurità turbinante lo fissava, con qualcosa di sinuoso che si contorceva nel buio in attesa di divorarlo.

Boruto distolse lo sguardo e bandì la visione dalla sua mente mentre i suoi istinti prendevano il sopravvento e si preparava a combattere. Il falso Demone era forte, sì, ma non era qualcosa che lui avesse bisogno di temere. Tuttavia, era molto più forte di tutti gli esperimenti precedenti.

Ma non era quella la cosa che lo turbava di più. "Mitsuki," disse Boruto, incerto. "Non dovevi sigillare questa creatura dentro di te. Tu sei un mio amico, e sei troppo prezioso per questo. Se quel Demone dovesse sopraffarti, o se dovessi perdere il controllo, allora-"

"Te lo assicuro, Boruto, ho preso ogni precauzione," lo rassicurò l’albino, sfoggiando il suo solito sorriso indecifrabile. Il chakra che lo avvolgeva si dissolse nel nulla come se non fosse mai esistito. "Ma non potevo affidare quest’incarico a nessun altro. Kumo non poteva, il suo fisico è troppo debole, e non volevo coinvolgere altri volontari per questo. In quanto uomo di scienza, se volevo continuare a studiare questo Demone e testarne i limiti, dovevo farlo su di me. E visto il successo attuale, vorrei chiedere il tuo permesso per partecipare in guerra.”

Boruto esitò. “In guerra?”

“Intendo solo nelle battaglie più semplici,” chiarificò quello. “Così da poter tranquillamente mettere alla prova il potere del Demone."

Il Nukenin fece un respiro profondo e sospirò. Lasciare che Mitsuki facesse una cosa del genere avrebbe messo a rischio la sua incolumità. E la sua presenza era ciò che dava loro una possibilità di combattere contro i suoi nemici infinitamente superiori. Se Mitsuki fosse morto, tutto lo sviluppo del Sigillo dell’Occhio si sarebbe fermato. “Ne sei davvero convinto?” domandò alla fine.

Mitsuki chinò la testa. "Sì, certo,” disse senza esitazione.

Boruto si fermò per un momento e Mitsuki aspettò con il fiato sospeso. Se non altro, il suo amico gli aveva inconsapevolmente consegnato un'altra pedina con la quale avrebbe potuto combattere in guerra. Una pedina potente, per di più. Forse non avrebbe rappresentato una grande minaccia per un Kage – Boruto dubitava che qualsiasi Ninja che avesse la forza di un Kage sarebbe stato disturbato da un Demone simile – ma sarebbe stata un'arma eccellente contro battaglioni di Jonin o di Ninja di basso rango. Era come un carro armato, insomma.

"Molto bene," concordò alla fine.

Gli occhi gialli di Mitsuki si illuminarono "Grazie mille, Boruto," iniziò a dire.

"Tuttavia," lo incalzò ancora quello. "Dovrai essere accompagnato da me o da uno squadrone completo dei migliori soldati che abbiamo a disposizione. Non dovrai, in nessuna circostanza, metterti a rischio o entrare consapevolmente in una battaglia il cui esito è incerto. Sei d'accordo?"

"Certamente, lo capisco," confermò lui, annuendo col capo.

Boruto annuì sua volta. "Bene," disse, gesticolando con la mano mentre estraeva qualcosa dal Sigillo di contenimento che aveva tatuato sull'avambraccio. "La tua prima prova sarà una prova di resistenza, allora," disse il guerriero, consegnandogli un anello.

Mitsuki ammiccò e prese lentamente il gioiello con una mano, osservandone il metallo argenteo lucido e lo smeraldo scintillante incastonato su di esso. "Cinghiale?" ripeté, leggendo l'iscrizione sull’anello.

Il suo volto divenne immediatamente solenne non appena si rese conto di quale fosse il suo significato. Boruto annuì. "Un’anello dell’Akatsuki, indossato da Zetsu," spiegò. Nagato aveva scritto dolorosamente poco su quella strana creatura. O non ne sapeva molto, oppure era morto prima di poter trascrivere altre informazioni nei suoi testi. Ma, in entrambi i casi, a lui non importava molto. “Abbine cura e non togliertelo mai. Gli anelli dell’Akatsuki hanno il potere di opprimere e sigillare il chakra dei Demoni codati. Usalo solo in caso di estrema necessità.”

Mitsuki annuì con riconoscenza. “Grazie di cuore, amico,” disse sinceramente.

Quello si limitò a fare un cenno col capo, sorridendo a sua volta. “E un’altra cosa,” aggiunse subito dopo. “Prepara il Sigillo dell’Occhio della Tempesta. Fa in modo che la sua capienza aumenti ancora di più.”

Quella richiesta lo fece ammiccare. "La sua capienza?" ripeté l’albino, accigliandosi. "Ma, Boruto… non abbiamo altri Bijuu da sigillare al suo interno."

Boruto sorrise.

"Non ancora."
 
 




 

Note dell’autore!!!

Salve a tutti, sono tornato! Spero che abbiate gradito l’aggiornamento, stavolta un po' più rapido rispetto ai precedenti. Mi auguro di riuscire a mantenere questo ritmo anche per i prossimi. Ce la metterò tutta, ve lo assicuro.

Come avete visto, questo capitolo è volutamente incentrato su Boruto. Ho voluto renderlo così per cercare di mostrarvi, in maniera piuttosto chiara, le varie vicissitudini e situazioni che il nostro Nukenin si ritrova ad affrontare anche durante un periodo di ‘tregua’ dalle battaglie. Come avete visto, non smette mai di pianificare, ragionare, e pensare al futuro… e questa è forse la sua caratteristica più peculiare e la sua arma più grande. Boruto non ha vinto le sue battaglie solo perché era forte, ma perché è intelligente. Perché cerca di prevedere ogni cosa a suo vantaggio. Ormai dovremmo averlo capito tutti, dopotutto.

Vi invito inoltre a tenere presente il discorso tra Boruto e l’Uzukage. Come abbiamo visto, il nostro biondino ha cominciato a farsi delle domande sulla sua connessione con la Morte, ed è intenzionato a vederci chiaro ad ogni costo. Quello che vedremo in futuro riguardo a questa faccenda sarà molto importante per lo svolgimento della trama, ed è una cosa che vi ho anticipato con diverse frecciatine sin dall’inizio della storia precedente.

Vi chiedo, ancora una volta, di farmi notare se ci sono errori grammaticali o di stesura nel capitolo, così da poterli correggere prontamente. Grazie a tutti in anticipo.

A presto!

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Capitolo 29
*** Intermezzo di Izuku ***


INTERMEZZO DI IZUKU



 

09 Ottobre, 0021 AIT
Terra dell’Erba
Villaggio di Krest
10:11

Circa 3 mesi prima della fine del capitolo precedente

Il bambino camminò per le vie del villaggio, la sua mente troppo lontana dalla realtà per riuscire a curarsi delle poche persone che lo incrociavano per strada, intente a guardarlo con curiosità. I suoi occhi non li notarono nemmeno, troppo occupati a guardare a terra mentre la sua mente era immersa nei pensieri. Il che era strano, visto che da quando lui e i suoi due amici erano stati portati in quel luogo, la vita era stata estremamente tranquilla per lui.

Era passata una settimana dalla distruzione del Summit Mondiale. E nel corso di questa settimana, Deku aveva imparato diverse cose. La prima: il Villaggio di Krest era un luogo tranquillo e accogliente. Un posticino ben isolato, nascosto tra le colline e i monti verdeggianti della Terra dell’Erba, abitato da poco più di qualche centinaio di persone. Era un piccolo villaggio pacifico, privo di Shinobi, Guerrieri o soldati di altro genere, ma comunque tenuto sotto la ‘formale’ protezione della Rivoluzione. I suoi abitanti erano gentili e cordiali, e non avevano avuto problemi ad accogliere lui e gli altri due bambini tra i loro ranghi. Era un posto… che si poteva chiamare casa, davvero.

La seconda: la vita qui era perfetta. Avevano ricevuto tutto quello che potessero desiderare. Una casa accogliente, un letto caldo, del buon cibo, bevande e persino vestiti a volontà. Per un orfano come lui, cresciuto sempre da solo e costretto a lavorare per guadagnarsi da vivere, questa nuova situazione era stata un salto di qualità immenso. Non poteva negarlo.

La terza: Uraraka e Trunks amavano vivere qui. La signorina Kira – la giovane donna che li aveva accolti nella sua abitazione, nonché capo dell’intero villaggio – era sempre gentile e cordiale con tutti loro, e aveva subito conquistato un posto nel cuore dei suoi amici. Cucinava per loro deliziosi pasti caldi, permetteva loro di usare liberamente la casa, ed era buona e disponibile per qualsiasi problema. Davvero, era la cosa più vicina ad una mamma che lui e gli altri avessero mai avuto.

Eppure, nonostante questa situazione idilliaca, la cosa che Deku aveva scoperto e che non lo faceva restare tranquillo… era che tutto questo era stato possibile solamente grazie ad una persona: il signor Saigo.

Deku scosse la testa, cercando di trattenere un sorriso stanco. Erano giunti qui da poco meno di sette giorni, ma già lui ed i suoi amici avevano iniziato ad abituarsi a questa nuova situazione come se fosse scontata. Ma il piccolo giovane sapeva che non lo era. Era stato solo l’intervento di Saigo – o meglio, di Boruto Uzumaki, lui lo sapeva – a garantire loro questa nuova vita agiata e piena di compagnia. E questo, questo lo faceva sentire decisamente strano.

Dopotutto, come poteva restarsene tranquillo? Boruto Uzumaki era, a pieno titolo, il criminale più infamato e conosciuto del mondo. Era una persona malvagia, crudele, spietata; talmente contorta da aver diviso irrimediabilmente il mondo e averlo bruciato coi fuochi della guerra. Lui l’aveva visto, in fondo. Aveva visto coi suoi stessi occhi quello che aveva fatto durante il Summit Mondiale. Il modo in cui si era servito di lui per avvicinarsi al Capitano Uchiha, la distruzione che aveva causato durante lo spettacolo, la sua ferrea convinzione nel causare del male alla ricerca di un bene superiore…

Per cui… come poteva accettare di essere stato salvato da lui?

Il piccolo bambino sospirò, passandosi una mano sulla faccia. Non sapeva davvero cosa pensare. La sua mano si mosse per tirare fuori dalla sua tasca un piccolo pezzo di carta. Una misera lettera spiegazzata, la stessa che aveva ricevuto e letto quel giorno che si era risvegliato qui, nella casa della signorina Kira. E sebbene ne conoscesse a memoria il contenuto, ormai, i sui occhi non poterono fare a meno di rileggere per l’ennesima volta le parole contenute su quel foglio.

Caro Deku,

Quando ti risveglierai, spero vivamente che tu possa dimenticare tutto quello che è successo. Immagino che sarai confuso, ma ti prego di non lasciarti prendere dal panico. Tu e i tuoi amici siete al sicuro, adesso. Il villaggio in cui vi ho portati è un posto pacifico, intoccato dagli orrori della Guerra, e ti assicuro che farò tutto ciò che è in mio potere per assicurarmi che le cose continuino a rimanere così. Non permetterò che il conflitto che ho causato, il male che ho generato con le mie stesse azioni, possa giungere fino a voi e rovinare le vostre vite. Questo te lo prometto.

Tutto ciò che voglio dirti è… che voglio darti una nuova possibilità. La possibilità di vivere qui, in questo villaggio, assieme alla tua famiglia. La possibilità di vivere in pace con i tuoi amici, lontano dalla guerra e dagli orrori del mondo, per tutto il tempo che vorrai. Per questo vi ho condotto qui, per proteggervi e salvarvi da ciò che accadrà nel resto del mondo. Perciò non temere, mio piccolo amico, tutte le persone lì sono gentili e cordiali, e ho personalmente parlato con la donna che vi accoglierà per concordare la vostra permanenza nel villaggio. Sarete accolti da tutti, e avrete modo di vivere in pace, per sempre. Questo, ovviamente, se così deciderete di fare.

Io… non voglio aggiungere altro. Ma se c’è un’ultima cosa che ci tengo a dirti, è che so di non meritare il tuo perdono. Ti ho mentito, ti ho ingannato, ti ho sfruttato, il tutto per riuscire a raggiungere i miei obiettivi. E anche se non riuscirai a credere a queste parole, voglio davvero dirti, almeno per una volta, che mi dispiace. Tu sei un bravo bambino, Deku, e non meriti di essere coinvolto negli schemi di un folle come me. Perciò, ti chiedo scusa.

Ti auguro di riuscire a trovare la pace e la serenità che cercavi assieme alla tua famiglia. Buona fortuna per tutto, mio piccolo amico. E qualunque cosa succeda, qualsiasi cosa tu decida di fare nel tuo futuro, si certo di una cosa:

…io ti vorrò per sempre bene.

Boruto Uzumaki

Quando ebbe finito di leggere quelle parole, i suoi occhi stavano ancora una volta versando lacrime.

Deku tirò su col naso, cercando di calmare il suo tumulto interiore. Per quanto non riuscisse a capirne il motivo, lui non poteva mentire a sé stesso. Il signor Saigo, nonostante tutto ciò che era successo tra di loro, gli mancava. Gli mancava molto. E questa cosa, forse più di tutte le notizie che aveva sentito su di lui, lo aveva lasciato perplesso.

Saigo – Boruto – era un criminale. Era un uomo che aveva ucciso innumerevoli persone, strappato incalcolabili vite, e sfruttato indicibili sentieri pur di causare la guerra e la morte nel loro mondo. Era…Era un mostro. Eppure, nonostante tutto questo, nonostante tutto ciò che sapeva e aveva visto di lui… Deku non riusciva ad odiarlo. Non riusciva a provare risentimento nei suoi conforti. Anzi, al contrario, lo ammirava. Lo ammirava con tutto il cuore, per un motivo semplice e, apparentemente, illogico.

Perché, dentro al suo cuore, lui sapeva che quell’uomo gli voleva bene.

E questo era… era strano. Nessuno altro, a parte Uraraka e Trunks, gli aveva mai detto apertamente di volergli bene. E, invece, Boruto sì. L’aveva fatto. Glielo aveva scritto, chiaramente, chiedendogli persino scusa per come l’aveva trattato durante il Summit. E questa cosa… lo lasciava più confuso e ferito che mai.

Perché, sempre dentro al suo cuore, il piccolo bambino sapeva di volergli bene a sua volta.

“Deku!”

Izuku trasalì, asciugandosi furiosamente le lacrime prima di voltarsi verso la voce che lo chiamava. Uraraka lo raggiunse di corsa, sfoggiando un sorriso a trentadue denti. “Eccoti qui! Dov’eri finito? Quando ci siamo svegliati tu eri già usci-” le parole le morirono in gola non appena notarono l’espressione triste e abbattuta del suo amico, assieme alle scie di lacrime sulle sue guance. La bambina si allarmò immediatamente. “C-Che ti prende?! È successo qualcosa?”

Il piccolo scosse la testa. “No, no,” la rassicurò, cercando di calmarsi. “Non è successo niente, fidati. Ero solo… immerso nei miei pensieri.”

Uraraka esitò, incerta su cosa pensare, prima che il suo sguardo notasse la lettera che teneva in mano. I suoi occhi guizzarono dalla lettera al volto di Deku diverse volte, avanti e indietro, prima che un sospiro le sfuggisse dalle labbra. “…ci stai ancora pensando, eh?” sussurrò.

Quello non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo.

La bambina inspirò. “Ascoltami, Deku,” iniziò a dire. “So che ci hai raccontato quello che è successo tra te e quell’uomo… ma non puoi continuare a lasciarti condizionare dal suo ricordo. Devi cercare di dimenticarlo.”

“Ma… io non voglio dimenticarlo,” ribatté debolmente lui, triste. La sua mano si serrò con forza attorno al pezzo di carta. “L-Lui mi ha aiutato così tanto, mi ha concesso tutto il suo tempo e il suo denaro…”

“Deku,” esclamò Uraraka, convinta. “Quell’uomo è un criminale.”

“…lo so.”

“Allora smettila di pensarci e vieni-”

“…ma non è un mostro,” dichiarò ancora il bambino, interrompendola di colpo.

Uraraka s’ammutì, basita, ammiccando confusamente. “E-Eh?”

Deku la guardò dritta negli occhi, il suo sguardo che brillava di un’emozione convinta e innocente. “Non è un mostro. Non è cattivo come tutti dicono! Lui… Lui è stato gentile con me! Mi ha aiutato a restare assieme a voi, e mi ha protetto fino alla fine!” ribadì con più forza di prima, con così tanta emozione nel suo tono da restare stupito a sua volta dalla convinzione che si sentiva crescere dentro.

La sua amica lo guardò con stupore, incapace di ragionare. “M-Ma… hai detto tu stesso che ti ha ingannato,” ribatté, confusa. “Hai detto che ti aveva mentito per riuscire ad infiltrarsi nel Summit. Come puoi dire ora che non è cattivo?”

Deku abbassò nuovamente lo sguardo, fissando la lettera nella sua mano. “…perché mi ha protetto. Ci ha protetti,” rispose, correggendosi. “È merito suo se siamo finiti in questo villaggio. Ci ha condotti qui perché voleva proteggerci. Perché… si è pentito delle sue azioni,” spiegò, con una certezza che non riusciva a spiegarsi nemmeno lui.

Uraraka non disse niente dopo quelle parole, limitandosi ad osservare il suo amico con uno sguardo combattuto.

I due bambini rimasero in silenzio per diverso tempo, senza parlare. Rimasero lì, fermi in mezzo alla strada, intenti a pensare, assaporare e provare emozioni e sensazioni troppo confuse e complicate per poter essere descritte. Non ci fu modo di dire per quanto tempo restarono là, in silenzio, coi loro sguardi puntati a terra e i loro occhi che brillavano di emozione. Fatto sta che, per un lasso di tempo che parve infinito, nessuno dei due ebbe il coraggio di proferire parola.

Fino a quando, alla fine, non furono costretti a ritornare al presente. “Vieni,” disse alla fine Uraraka, sospirando lentamente. Afferrò la mano del suo amico con la sua, esortandolo gentilmente a seguirla. “Torniamo alla casa. La signorina Kira è preoccupata per te.”

Deku non disse niente, limitandosi a seguire la sua amica.
 


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31 Ottobre, 0021 AIT
Terra dell’Erba
Villaggio di Krest
20:25

“Le polpette di riso sono di vostro gradimento?”

Deku s’illuminò, i suoi occhioni che brillavano letteralmente di luce. Accanto a lui, seduti attorno al tavolo, Trunks e Uraraka annuirono freneticamente con la testa, ancora troppo intenti a masticare tutte quelle prelibatezze che avevano davanti, quasi piangendo per l’emozione. “S-Sono squisite!” esclamò Izuku a nome di tutti e tre, ancora troppo emozionato per riuscire a trattenere la sua euforia. “Grazie mille per avercele preparate, Kira-sama!”

La donna, Kira, ridacchiò dolcemente nel vederli così contenti. “Oh cielo, grazie,” rise tra sé e sé. “Seriamente, se dovete fare queste espressioni per tutto ciò che preparo, di questo passo finirò per passare la vita a cucinare,” scherzò, compiacendosi della loro soddisfazione.

Trunks mandò giù un boccone di colpo, annuendo con un sorriso dentato. “La sua cucina è fantastica! Lei è davvero una cuoca eccezionale!”

“Già!” concordò anche Uraraka. “Pensa di poter insegnare anche a me?”

“Ma certo. Ne sarei più che lieta,” rispose dolcemente lei, guardandola con un sorriso.

Deku e Trunks si scambiarono un’occhiata perplessa all’udire ciò, impallidendo visibilmente. “Oh no…” pensarono entrambi.

La donna sembrò accorgersi subito della loro strana reazione. I suoi occhi ammiccarono confusamente. “Che succede?” domandò.

Deku ridacchiò nervosamente, mentre Trunks si affrettò a distogliere lo sguardo e a riempirsi la bocca con un’altra manciata di polpette. “B-Beh… diciamo che Uraraka non è molto portata per la cucina. Un po' di pratica potrebbe farle bene,” si limitò a dire, cercando di ignorare l’occhiata gelida che la sua amica gli stava rivolgendo mentre parlava.

“Le ci vorrà molto più che un po' di pratica,” borbottò anche Trunks a bassa voce, ignorando la sua occhiataccia. “L’ultima volta che ci ha cucinato qualcosa siamo stati a letto per due giorni…”

“Ehi!” protestò la bambina, paonazza per l’imbarazzo. “Avevi promesso di non dirlo a nessuno!”

La signorina Kira ridacchiò a quella scena, portandosi una mano sulle labbra. “Suvvia, bambini, non litigate. Non c’è problema. Si può sempre migliorare con un po' di pratica,” disse con un tono di voce pacato e gentile, rivolgendosi a Uraraka. “Nessuno nasce esperto al mondo. Se vuoi imparare a cucinare con me, Uraraka, sarò lieta di insegnartelo.”

La piccola sbuffò, assumendo un’espressione imbronciata, ma annuì lentamente con la testa. I suoi amici la guardarono con ironia, ridacchiando mentalmente.

“Oh, quasi mi dimenticavo!” esclamò improvvisamente Trunks, saltando giù dalla sedia e correndo verso la televisione posta vicino al muro della stanza. “È l’ora del mio spettacolo preferito!”

Deku sospirò mentre il bambino abbandonava la tavola, scuotendo la testa con disappunto. Possibile che il suo amico non riuscisse a fare a meno di uno stupido show anche quando era ora di cena? E a giudicare dallo sguardo seccato di Uraraka, anche lei sembrava pensarla allo stesso modo. Avevano davanti agli occhi una cena deliziosa, una di quelle che avevano avuto modo di sperimentare solo pochissime volte nella loro vita, e lui preferiva guardare la Tv? Che tipo…

“Non importa, bambini, non c’è niente di male,” li richiamò la donna vedendoli così irritati, ridacchiando senza farci troppo caso. “È comprensibile che alla vostra età si tenga tanto ad una cosa del genere. Non arrabbiatevi.”

Uraraka sollevò il mento con sufficienza. “Bah! Più polpette per me!” disse, scrollando le spalle.

“EHI!” esclamò improvvisamente Trunks. Deku, Uraraka e la signorina Kira si voltarono verso di lui, fissandolo con confusione mentre se ne restava davanti alla televisione con uno sguardo misto tra l’imbronciato e il tradito. “Perché c’è il notiziario? A quest’ora dovrebbe esserci lo spettacolo serale!”

La donna sembrò stranirsi di colpo all’udire ciò. “…che cosa?” sussurrò. Si alzò a sua volta dalla tavola, di colpo, dirigendosi velocemente verso la Tv.

Deku e Uraraka si scambiarono un’occhiata rapida, confusi dalla reazione della signorina, e la seguirono a ruota, portandosi tutti e tre accanto al bambino che fissava lo schermo con attenzione ed uno sguardo attento e confuso.

“Ci scusiamo per la brusca interruzione dei programmi, ma abbiamo delle terribili nuove da comunicarvi,” fece la voce di una giornalista dallo schermo, la sua faccia mortalmente seria e spaventata. “Proprio pochi minuti fa, è stata confermata da parte di alcune truppe di ricognizione della Sabbia una sconvolgente notizia a livello internazionale: il Villaggio della Roccia è stato invaso e assaltato.”

I tre bambini e la donna trattennero il fiato, sgranando a dismisura gli occhi.

La voce continuava a parlare anche mentre sullo schermo venivano mostrate delle immagini di macerie fumanti e scenari apocalittici. “Queste sono riprese registrate pochi minuti fa direttamente nel Villaggio della Roccia. Secondo i primi resoconti generali, il famoso criminale ricercato dalla Foglia, nonché leader dei Ribelli, Boruto Uzumaki,” Deku sentì il suo corpo trasalire pesantemente all’udire quel nome, trattenendo il respiro. “Ha attaccato e raso al suolo l’intero Villaggio questo pomeriggio, distruggendo ogni cosa e facendo una strage senza precedenti. Una di quelle che non si vedevano sin dai tempi della caduta della Nuvola.”

“È con mio enorme dispiacere e immenso rammarico che vi comunico che il Villaggio e la sua gente… non esistono più. Boruto Uzumaki ha distrutto ogni cosa.”

Il piccolo bambino sentì la sua mente gelare e svuotarsi. Piccole lacrime luccicanti iniziarono a formarsi nei suoi occhi.

“Il bilancio delle vittime è, al momento, ancora variabile. Secondo le prime stime, esso supera addirittura l’inquietante cifra di diecimila e trecento persone tra Shinobi e civili indistintamente. Tra le vittime, ancora una volta, è stata confermata la morte del Quarto Tsuchikage. Attualmente, con la distruzione della Roccia, l’intero Paese della Terra si schiera a favore della Rivoluzione e degli ideali Ribelli. Con la sua aggiunta, la fazione contraria alle Nazioni Alleate ha raggiunto la sconcertante cifra di ben sei Paesi favorevoli al suo operato. E da oggi, ufficialmente, anche la Terra del Ghiaccio si dichiara favorevole alla Rivoluzione dopo gli eventi che stanno accadendo nel panorama geopolitico del pianeta.”

No. Non poteva essere. Deku non voleva crederci. Non poteva crederci.

Questo… Questo non stava succedendo realmente.

Uraraka fu la prima a notare il suo dolore, risvegliandosi dallo sconvolgimento. Si gettò su di lui con tutto il corpo, avvolgendolo in un abbraccio disperato. Trunks e Kira si voltarono a loro volta verso quei due.

Ma il bambino non se e curò.

Ad un mese dalla distruzione del Summit, sembra che il ricercato numero uno al mondo non si sia arreso con la sua opera di conquista. Con la morte della Roccia, Boruto Uzumaki è ufficialmente diventato il criminale col più alto numero di uccisioni sulle spalle nella storia del nostro pianeta. Per chiunque dovesse entrare in contatto con lui, si raccomanda la più estrema delle discrezioni. È impossibile prevedere quali potrebbero essere le sue mosse.”

Le lacrime continuarono a scorrergli liberamente lungo le guance. Il piccolo Deku non si rese nemmeno conto di quando Trunks e la signorina Kira gli si portarono a loro volta accanto e li abbracciarono, restando con lo sguardo fisso e puntato sullo schermo.

E ancora, la donna in televisione continuava a parlare.

“Concludiamo questa trasmissione straordinaria con un’ultima immagine. Ma prima di mostrarvela… è lecito fare un avvertimento: ciò che state per vedere potrebbe urtare pesantemente la vostra sensibilità. Per coloro che non sono Shinobi, o che non sopportano immagini cruente, vi preghiamo di distogliere lo sguardo. Detto questo, vi mostriamo adesso l’immagine scattata dalle macerie del Villaggio della Roccia. Dopodiché, la linea ritorna alla regolare trasmissione.”

Passarono due secondi di silenzio assoluto.

“…per quanto sia possibile, vi auguriamo una piacevole serata.”

Poi, l’immagine sullo schermo mutò improvvisamente.

Deku non riuscì a vederla. Non fece in tempo a vederla. Tutto ciò che vide fu la signorina Kira che impallidiva e gridava, mettendosi rapidamente davanti a lui e ai suoi amici per impedire loro di vedere. Poi, con una velocità repentina, la donna prese il telecomando e spense il televisore, oscurando i loro occhi dal mondo e dalle sue visioni nefaste.

E poi, ancora una volta, il silenzio tornò a regnare sovrano.

La donna si voltò verso di loro, la sua espressione ancora sconvolta, e li abbracciò. Non disse niente, non pronunciò nemmeno una parola. Solo, li abbracciò, tutti e tre, senza distinzioni, stringendoli con forza tra le sue braccia mentre tratteneva a sua volta le lacrime.

E mentre se ne restava avvolto in quella stretta emotiva, Deku fu quasi pronto a giurare di aver sentito la voce di Uraraka che gli sussurrava dolorosamente.

“Come puoi ancora pensare che quell’uomo non sia un mostro?”

E per la prima volta in tutta la sua breve vita, il piccolo Izuku non trovò nessuna parola per poterle rispondere.

“Signor Saigo… che cosa ha fatto?”
 


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05 Novembre, 0021 AIT
Terra dell’Erba
Villaggio di Krest
08:00

Deku si strinse le gambe vicino al petto, affondando la faccia nelle ginocchia. Seduto davanti al retro della loro nuova abitazione, il bambino fece di tutto per trattenere il suo corpo dal tremare. L’autunno era arrivato da un pezzo, e il vento soffiava da Nord quella mattina, riempiendo l’aria con una brezza gelida che entrava nella pelle e ghiacciava le ossa da dentro.

Eppure, il freddo che provava nel corpo era nulla paragonato al gelo che si sentiva dentro al cuore.

L’ultimo periodo era stato molto pesante. Dopo le recenti notizie ricevute dai notiziari, era diventato inutile tentare di negare l’ovvio, persino per lui. Adesso, adesso non poteva più negare la realtà dei fatti. Non poteva più negare il fatto che Boruto Uzumaki – l’uomo che l’aveva salvato, l’uomo che gli aveva permesso di restare assieme alla sua famiglia anche nel momento più difficile che aveva vissuto – fosse una persona mostruosa. Dopotutto, come poteva farlo? Come poteva negarlo dopo aver visto e udito tutto ciò che aveva fatto alla Roccia e ai suoi abitanti?

Il signor Saigo, Boruto, era veramente un mostro come il mondo diceva.

Qualunque cosa succeda, qualsiasi cosa tu decida di fare nel tuo futuro, si certo di una cosa:

…io ti vorrò per sempre bene.

Deku fece un respiro profondo ed ignorò la sensazione pungente che cominciava a formarsi nei suoi occhi. Era stanco, era stufo di piangere ancora. Lo aveva fatto per giorni, dopotutto.

“Sapevamo di trovarti qua fuori.”

Izuku non si mosse, ma le sue labbra si incurvarono in un sorriso triste. La sua testa non si voltò nemmeno quando sentì i suoi amici sedersi silenziosamente affianco a lui, ognuno da un lato diverso. Da dietro, invece, un paio di mani delicate gli posarono dolcemente un cappotto sulle spalle, ricoprendolo con il suo calore per ripararlo dal freddo che provava dentro e fuori. “Grazie, Kira-sama,” sussurrò a bassa voce.

La donna si limitò a sorridere, prima di sedersi a sua volta assieme ai tre bambini, osservando l’orizzonte con uno sguardo distante.

Per diverso tempo, nessuno di loro parlò. Non ce n’era bisogno, in fondo. Sapevano tutti quello che Deku stava passando, e tentare di confortarlo e offrirgli parole dolci sarebbe stato inutile in quella situazione. Per cui, si limitarono a restarsene lì, seduti e in silenzio, crogiolandosi nella loro reciproca compagnia mentre osservavano, tutti insieme, il sole che sorgeva dietro a delle nubi oscure.

Tuttavia, anche se gli altri sapevano ciò che Izuku provava, questo non voleva certo dire che non avrebbero tentato di aiutarlo.

“…ti va di parlarne?” chiese dolcemente la voce di Kira.

Deku sorrise amaramente. “Ne abbiamo già parlato abbastanza, no?”

“Questo è vero. Ma non posso restarmene indifferente davanti al dolore che provi, piccolo. Vederti soffrire in questo modo fa soffrire anche noi, sai.”

Il bambino abbassò lo sguardo a terra dopo quelle parole, stringendosi ancora di più nelle gambe. “Mi dispiace,” sussurrò. “Non volevo farvi preoccupare così.”

Uraraka gli mise una mano sulla spalla. “Lo sappiamo, Deku. È solo che… non riusciamo a capire. Non riusciamo a capire perché tu ti senta così stranamente legato a quell’uomo, nonostante non abbia mai fatto nulla per conquistarsi il tuo affetto,” tentò di dire.

Deku scosse la testa. “Ha fatto molto per me, invece. Mi ha permesso di seguirti nella Terra dei Fiumi, prima che tu iniziassi a lavorare per il Summit. Mi ha consolato quando ero nella depressione. Mi ha dato i soldi necessari per permetterci di vivere decentemente un mese intero. E mi ha anche… ridato la speranza e la voglia di andare avanti quando io le avevo perse entrambe,” disse di rimando, il suo sguardo perso nei ricordi.

Trunks sospirò. “Questo ce l’avevi già detto,” ammise, grattandosi un braccio. “Ma ancora… non ha senso, Deku. Quell’uomo era un estraneo. Una persona che non ti ha nemmeno rivelato il suo vero volto. Avresti dovuto dirci di lui sin da subito.”

“Lo so. Mi dispiace,” sussurrò.

Uraraka esitò per un paio di secondi, prima di inspirare profondamente. “…Però, ecco… forse non hai tutti i torti,” disse alla fine la bambina, unendosi nervosamente le mani assieme. “Se sei così convinto che non sia un mostro… forse anche tu hai un po' di ragione, in fondo.”

Deku ammiccò, confuso, voltandosi assieme a Trunks per fissare la sua amica con un’espressione basita. La signorina Kira, invece, si limitò ad ascoltarli in silenzio. “Huh?” fecero i due bambini.

La bambina dai capelli castani esitò, incerta. “Voglio dire, quell’uomo ha salvato anche noi due, no?” disse lentamente, rivolgendosi a Trunks, lottando con sé stessa per cercare di essere oggettiva. “Durante il Summit, ricordi? Stavamo per essere uccisi, quando all’improvviso qualcosa ci ha toccati, portandoci lontano da lì e togliendoci i sensi. Quando ci siamo svegliati, poi, eravamo entrambi qui con Deku. Per cui… dev’essere stata per forza opera sua.”

Il bambino dai capelli grigi la guardò, la sua espressione strana, prima di spostare lo sguardo verso l’orizzonte. “Già,” ammise, il suo tono distante. “È vero.”

Izuku annuì, senza però proferire parola.

“È solo che non riesco a comprenderlo!” sbruffò ancora Trunk, frustrato. “Che razza di persona potrebbe mai causare una strage simile di innocenti e, allo stesso tempo, salvare solamente tre bambini? È… È innaturale. Illogico. Senza senso!” esalò, completamente incapace di capire.

Deku non disse nulla, preferendo non pensare a quella domanda. Non aveva senso pensarci. Lui non sapeva cosa fare. Non sapeva cosa pensare. Nulla di tutto ciò che riguardava il signor Saigo sembrava avere un minimo di logica, arrivati a questo punto. Forse era semplicemente pazzo, come diceva il mondo. Non c’era modo di dirlo per davvero.

Il bambino dai capelli verdi sospirò, voltandosi leggermente con la testa. “Lei che ne pensa, Kira-sama?” domandò a quel punto, rivolgendosi all’adulta. “Crede anche lei che quell’uomo sia un mostro?”

La donna guardò l’orizzonte, il suo sguardo indecifrabile. Non rispose subito alla domanda, ma i suoi occhi neri si voltarono di sbieco per osservare il piccolo bambino accanto a lei. “…tu sapresti rispondere meglio di me a questa domanda, piccolo,” enunciò lentamente, sorridendogli con affetto. “Dopotutto, sei l’unico tra di noi che l’ha incontrato per più tempo. Perché non provi a chiederlo a te stesso?”

Izuku ammiccò, confuso. “E come?”

Kira allargò il suo sorriso. “Ripensa alle parole che vi siete scambiati. Ricordati le cose che ti ha detto… e lascia che siano loro a darti la risposta,” spiegò.

Il bambino esitò, ancora incerto su cosa volesse dire quella donna. Poi, però, qualcosa dentro di lui decise di provarci. Non seppe dire con certezza cosa fosse, né tantomeno perché avesse deciso di tentare, ma lo fece. E allora Deku tentò, inoltrandosi nella sua mente, immergendosi nei pensieri, nelle idee, nei ricordi. Nei ricordi che aveva vissuto con quell’uomo, con Saigo, cercando di rimembrare, di riafferrare, di ricordare. Sforzandosi di rivivere ancora una volta ogni movimento, ogni gesto, ogni parola che aveva visto uscire fuori dal corpo di quella figura incappucciata che tanto lo aveva colpito durante i mesi precedenti.

E fu proprio mentre si sforzava di ricordare che i ricordi gli tornarono alla mente, limpidi come l’acqua d’estate.

Certamente, in passato vedevo voi e tutti coloro che mi ostacolavano come nemici… Poi però sono tornato sulla Terra, e mi sono nascosto tra di voi. Ho vissuto sotto lo stesso tetto del nemico. Ho condiviso i miei pasti col nemico. Ho parlato col nemico… proprio come uno di voi…

Shinobi, Guerrieri, civili… siamo tutti gli stessi.

Il bambino sgranò gli occhi della mente, immergendosi ancora più a fondo nel fiume di ricordi che lo investiva.

Sai, Izuku, da quando sono venuto qui, ogni giorno mi chiedo… com’è possibile che le cose siano finite per diventare così come sono ora? Un mondo dilaniato dai conflitti, Nazioni che combattono altre Nazioni, Ribelli che lottano per la propria libertà… il mondo è sprofondato nel caos. Ormai la pace di cui godevamo fino a otto anni fa non esiste più. Di chi è la colpa, secondo te?

Se si fosse saputo a cosa avrebbe portato tutto questo, credo che il responsabile di tutta questa situazione non avrebbe mai fatto ciò che ha fatto. Tuttavia… ognuno di noi, ogni singolo essere umano, ha qualcosa che grava sulle sue spalle. Qualcosa che lo spinge verso la battaglia, verso il conflitto.

Verso l’Inferno.

Deku non si rese conto di quando le sue labbra iniziarono a parlare. Non ebbe modo di dire quando accadde, né perché stesse succedendo. Semplicemente… accadde. E lui continuò a parlare, a ripetere, a riferire, parola per parola, ogni singolo ricordo, ogni singola frase che quell’uomo aveva detto, ripetendole ai suoi amici esattamente come, un tempo, Saigo le aveva rivolte a lui.

E le parole continuarono a susseguirsi senza sosta.

Spesso, questo qualcosa non è voluto. Siamo costretti dalle altre persone, dalle circostanze, dal Destino… e non abbiamo altra scelta che accettare di combattere per ciò in cui crediamo, immergendoci da soli in questo Inferno di lotte e conflitti.

Ma detto questo… l’Inferno visto da coloro che si fanno volontariamente carico di questo peso, appare diverso. Possono vedere ciò che si trova al di là dell’Inferno. Potrebbe esserci speranza, sai? Così come potrebbe esserci ancora altro Inferno. Ma questo non è dato saperlo a chi si arrende e si rassegna.

E a quel punto, Deku sorrise, ricordandosi della frase che più di tutte lo aveva colpito durante le sue visite con Saigo il SenzaVolto.

“Solo chi continua ad avanzare e a combattere potrà scoprire… cosa si trova al di là dell’Inferno,” dichiarò, ripetendo le parole di quell’uomo con un sorriso. I suoi occhi si risollevarono da terra, incontrando lo sguardo sorridente di Kira, intenta a fissarlo con misto di attenzione e affetto mentre parlava. Accanto a lei, Trunks e Uraraka lo osservavano a loro volta, visibilmente sconvolti e a bocca aperta.

La donna gli arruffò dolcemente i capelli spettinati. “Visto?” ridacchiò. “Hai trovato da solo la risposta che cercavi.”

Deku ammiccò, prima di abbassare lo sguardo. “Già…” sussurrò, fissandosi le mani. Un sorriso contagioso gli spaccò le labbra da un orecchio all’altro.

“…wow,” esclamò Uraraka, ancora basita per quello che aveva sentito uscire dalle labbra del suo amico. “Quel tipo ti ha davvero detto queste cose?”

Il bambino si limitò ad annuire con decisione.

Trunks lo guardò con uno sguardo stupito. “Beh… è certamente un discorso interessante,” dichiarò lentamente, soffocando una risata. “Questo Boruto Uzumaki sembra un tipo davvero singolare.”

Deku alzò gli occhi sull'orizzonte, fissando con un senso di solennità crescente il sole che veniva ingoiato dalle nuvole oscure.

“Non t’immagini nemmeno quanto.”
 


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13 Novembre, 0021 AIT
Terra dell’Erba
Villaggio di Krest
12:00

“Sta iniziando.”

Izuku si ridestò, così come Uraraka e Trunks, scattando a correre lungo il corridoio per raggiungere la sala da pranzo. Lì, ferma e in piedi davanti alla televisione, la signorina Kira li stava aspettando con un’espressione solenne, facendo loro cenno di posizionarsi al suo fianco.

I tre bambini lo fecero, senza proferire parola. E tra di essi, Deku sentì, più di tutti gli altri, una punta di nervosismo e trepidazione iniziare ad ardergli dentro al cuore.

Questa era la prima apparizione pubblica di Boruto Uzumaki davanti tutto il mondo. La prima apparizione ufficiale, si ricordò. Non poteva perdersela per nessun motivo al mondo. Era passato più di un mese dall’ultima volta che lo aveva visto di persona. E adesso, il pensiero di poterlo finalmente rivedere, di poter finalmente risentire la sua voce, gli provocava un senso d’ansia crescente. Anche se non poteva vederlo e sentirlo di persona, ovvio.

Mentre aspettava che il discorso iniziasse, il piccolo bambino sentì le sue mani iniziare a sudare senza motivo. La sua mente venne pervasa da innumerevoli domande. Come lo avrebbe trovato adesso che stava per rivelarsi? Cosa avrebbe detto davanti a tutti? Perché aveva aspettato fino ad ora? Che cosa aveva in mente?

Non sapere cosa pensare di tutto questo… era la cosa che lo infastidiva di più.

Poi, finalmente, lo schermo del televisore si oscurò per un momento e Deku trattene il fiato. Si sporse in avanti un secondo dopo, quando il video si schiarì, e i suoi occhi trovarono immediatamente la persona che stava cercando. Appena lo vide, il cuore del bambino ebbe un fremito, anche se non seppe dire se fu un fremito di gioia, o di tristezza, o di terrore.

Boruto Uzumaki non era per niente uguale a come lo ricordava. Fiero, solenne, deciso. Tutto il contrario del volto triste, infestato e pieno di dolore che aveva visto durante il Summit. Indossava un abito cerimoniale color crema, con un cappello da Kage rifinito in nero con la scritta ‘Unica Ombra’ decorata sul davanti. Si portava davanti agli occhi di tutto il mondo con orgoglio e decisione, il suo occhio sinistro freddo, gelido e privo di emozione. Dietro di lui, poi, c’era l’intera schiera dell’Organizzazione Kara al completo, vestita con le loro terrificanti vesti oscure, in piedi e sull’attenti come sempre.

Ed infine, quando cominciò a parlare, Izuku e tutti gli altri sentirono le loro menti riempirsi di tensione.

“Mi appello a tutti voi, gente del mondo,” iniziò a dire il Nukenin con voce alta e decisa, sfoggiando un sorriso predatorio. “Uomini e donne, Shinobi e Guerreri, civili e combattenti. Io – o meglio, noi – non siamo vostri nemici. Ci sono poteri in questo mondo che ritengono il contrario; poteri che vorrebbero farci essere l’uno contro l’altro. Ma vi do la mia parola quado dico questo: l’Organizzazione Kara non è vostra nemica. Io e la mia gente abbiamo preso le armi e generato la Guerra non perché volevamo distruggere il sistema, ma perché volevamo difenderci. Difendere non solo noi stessi, ma il mondo intero.”

Deku deglutì, pendendo completamente dalle sue parole.

"Siamo giunti ad un precipizio. Ci troviamo sull’orlo del cambiamento. Il mondo vacilla sull’orlo del caos e della guerra, e i nostri leader non fanno nulla per fermarlo. Piuttosto, hanno deciso di saltare a capofitto nell’abisso, determinati a distruggere noi – i loro nemici – il cui unico obiettivo è semplicemente aiutare e difendere coloro che questo sistema ha fallito e dimenticato.”

La panoramica della telecamera si ritirò leggermente, rivelando agli occhi di tutti una folla immensa di persone. C’erano Ninja, civili, rivoluzionari, e molte altre persone ancora, tutte in piedi ed intente ad ascoltare il discorso con morbosa attenzione. Alzavano i pugni verso il cielo, battendo con enfasi le mani.

“Pertanto,” dichiarò solennemente Boruto. “Al fine di garantire la sicurezza e la sopravvivenza della nostra società, mi vedo costretto ad attuare un’unica soluzione. Ed è per questo che da oggi, a partire da adesso, io dichiaro la nascita di un nuovo Impero! Un Impero in cui i deboli non saranno più governati dai forti! Un Impero che non sarà più afflitto da guerre incessanti! Un Impero in cui il popolo non sarà messo in secondo piano da governi corrotti e incuranti! Oggi, dinanzi a tutti voi e al mondo… io dichiaro finalmente la nascita dell’Impero Shinobi Unito!

Deku trattenne pesantemente il fiato, incapace di trovare la forza per parlare. Accanto a lui, Uraraka e Trunks erano rimasti a loro volta a bocca aperta, completamente assorti dalle parole di quell’uomo. Nello schermo, la folla iniziò a ruggire fragorosamente.

“Portando il nostro popolo sotto un’unica legge e la giurisdizione di un solo leader, l’era della guerra e della morte che aveva afflitto la nostra società da tempo immemorabile verrà finalmente conclusa. E per garantire ciò, vi assicuro che saranno selezionati dei governatori regionali il cui compito sarà assicurarsi che la burocrazia e il nepotismo che hanno permesso ai nostri leader precedenti di condurre guerre e ingiustizie senza controllo non si risollevino mai più!”

La folla esultò e urlò gioiosamente, fragorosa nel suo applauso.

“Il crescente e potente esercito dell’Impero garantirà lo stato di ordine, di diritto e di stabilità. Difenderemo i nostri ideali con la forza delle armi! Non mostreremo pietà, non daremo speranza a coloro che si definiscono nostri nemici! Insieme, saremo uniti contro gli attacchi di coloro che si aggrappano alle vecchie tradizioni! Per troppo tempo il vecchio sistema Shinobi ha governato e sottomesso il mondo con le loro regole fallaci! Ma adesso basta! Adesso non accadrà più! Coloro che stanno in piedi non dovrebbero mai superare in numero quelli che s’inginocchiano! Per questo, ai nemici dell’Impero, io do questo avvertimento: voi sarete distrutti!

Le urla e le grida erano diventate così forti da riuscire a scuotere persino la terra. Deku vide l’immagine della telecamera iniziare a vibrare per il rumore.

“Ma il cammino verso la Pace è lungo e arduo,” continuò ancora Boruto, la sua voce più calma rispetto a prima. “Non sarà facile e non possiamo farcela da soli. Se vogliamo avere successo, dobbiamo unirci assieme come un solo popolo. Unitevi al nostro esercito, come soldati o come personale di supporto. Siate voi stessi gli occhi e le orecchie dell’Impero, trasmettendo informazioni e speranza mentre le Nazioni Alleate conducono la loro guerra contro di noi. Diffondete gli ideali e i principi dell’Impero a coloro che devono ancora unirsi alla nostra causa.”

“La nostra strada è chiara: finché il mondo sarà in guerra, io guiderò l’Impero come vostro Kurokage, come un’Unica Ombra, per preannunciare una nuova era di pace, ordine e stabilità globali! Insieme, avanzeremo verso il futuro come un solo popolo! Ed io, io non vi deluderò di nuovo, ve lo assicuro! Vi condurrò alla Pace, e lo giuro sul mio nome. Noi, tutti insieme, prevarremo ancora una volta e guideremo il mondo verso una nuova era di pace che durerà per sempre!”

“Questa… è una promessa.”

Detto ciò, senza più aggiungere altro, Boruto Uzumaki si ritirò lontano dalla scena. Nello schermo, la folla iniziò un fragoroso canto di euforia che per poco minacciò di far scoppiare gli altoparlanti. 

"Viva il Kurokage! Viva l’Impero! Viva la Rivoluzione!”

Poi, l’immagine venne sbiadita fino ad oscurarsi completamente. Un secondo dopo, la conduttrice di un telegiornale riapparve nel suo studio, cercando inutilmente di dare suggerimenti su come gestire ciò che era appena stato rivelato.

La signorina Kira spense rapidamente il televisore, facendo piombare nuovamente la stanza nel silenzio più assoluto.

“Allora… che ne pensate?” domandò la donna.

Nessuno dei tre bambini riuscì a trovare le parole per rispondere.

“Signor Saigo… che cosa sta cercando di fare?”
 


.

.
 


22 Dicembre, 0021 AIT
Terra dell’Erba
Villaggio di Krest
15:00

Quell’ultima domanda aveva continuato a riecheggiare incessantemente nella sua testa senza tregua.

Per più di un mese, il piccolo bambino aveva dovuto convivere con quel quesito, con quella domanda, con quel dubbio incessante che continuava ad azzannargli l’animo, incapace di trovare una risposta. Perché Boruto aveva dichiarato guerra al mondo? Perché aveva creato un Impero per opporsi alle Nazioni Alleate? Perché aveva fatto tutto quello che aveva fatto?

Perché?

Lui non lo sapeva. E, probabilmente, non l’avrebbe mai saputo.

Deku sospirò, scuotendo la testa per dissolvere quei pensieri e focalizzandosi nuovamente sul presente. Le piccole piantine di cicoria e i semi di carote che aveva in mano non si sarebbero piantati da soli, in fondo. I suoi occhi si fecero decisi mentre riprendeva a lavorare la terra con una piccola zappa di legno, creando nel suolo dei solchi di circa trenta centimetri di dimensione. Si era offerto volontariamente di aiutare Kira e la gente del villaggio a svolgere i lavori nel campo, per cui non poteva permettersi di battere la fiacca. Se volevano mangiare, bisognava lavorare duro.

Anche se, se doveva essere sincero, il bambino era rimasto sorpreso nell’apprendere che c’erano moltissime piantagioni che potevano essere coltivate a Dicembre. Era sempre stato convinto che d’inverno non potesse crescere nulla. Ma, suppose, era bello poter imparare cose nuove. Era ancora un bambino, dopotutto.

“Ehi!”

Izuku ammiccò, voltandosi leggermente di lato mentre vedeva un uomo correre nella sua direzione. Mollò la presa sulla zappa per un paio di secondi, raddrizzandosi con la schiena mentre tirava un sospiro di sollievo. I suoi abiti erano sporchi, e i suoi stivaletti inzuppati di terriccio e fango.

L’uomo che gli si piazzò davanti non era del villaggio. Deku lo comprese subito. Non l’aveva mai visto per le strade, e ormai conosceva tutti all’interno di quel minuscolo centro abitato. Abitava qui da quasi tre mesi, in fondo. Inoltre, i suoi abiti non erano tipici della Terra dell’Erba. Indossava una casacca verde da Shinobi, ed uno strano elmo fasciato gli copriva la faccia dal naso in giù. L’uomo lo scrutò con attenzione, i suoi occhi confusi, mentre gli si avvicinava e lo studiava dalla testa ai piedi. “…sei tu Izuku Midoriya?” domandò, riprendendo fiato dopo la corsa di prima.

Il bambino annuì, confuso. “…sì, perché?”

La sua risposta sembrò solo farlo finire ancora di più nella confusione. L’uomo esitò diversi secondi, prima di scuotere la testa e infilare la mano dentro una borsa di cuoio legata alla sua cintura. Ne tirò fuori una lettera di carta rilegata, consegnandogliela con un’espressione solenne. Sembrava stranito, per qualche motivo.

“Questa lettera è per te,” riferì professionalmente, cercando di trattenere la sua perplessità. “…è da parte del Kurokage.”

Deku ammiccò dopo quella dichiarazione, visibilmente perso. Poi, quando la sua testa prese ad assimilare del tutto il significato di quelle parole, il suo corpo trasalì di scatto, come se fosse stato fisicamente colpito. “C-Che cosa?!” esclamò, incredulo e basito.

L’uomo non si degnò di aggiungere altro, limitandosi a tendergli la lettera con una mano.

Izuku deglutì, afferrando la lettera con mano sporca e tremante, la sua mente pervasa dallo stupore, dalla confusione, e da innumerevoli domande. Il Kurokage – ovvero Boruto – gli aveva inviato una lettera? Un’altra? A lui? Perché? Che senso aveva? Cosa aveva intenzione di dirgli? Che stava succedendo?

Il bambino esitò, incerto su come reagire, prima di alzare gli occhi dalla lettera e fissare l’uomo che gliel’aveva consegnata. Ma, con suo sommo stupore, si rese conto immediatamente che era da solo. Quell’uomo, chiunque fosse, non c’era più. Era sparito nel nulla.

La sua mente venne pervasa dalla tensione. Tornando a focalizzare la sua attenzione sul pezzo di carta, Deku aprì rapidamente l’involucro della busta con un dito, osservando con meraviglia il sigillo nero e dorato dell’Impero che era impresso sopra di esso, ed inspirò profondamente prima di tirare fuori la lettera vera e propria. Poi, rafforzando la sua decisione e cercando di prepararsi mentalmente, il bambino si arrischiò e leggerne il contenuto.

I suoi occhi si sgranarono.

Ciao, Deku,

Immagino di averti confuso con questa mia seconda lettera. È la prima lettera ufficiale che ho spedito come Kurokage, sai? Un gran bell’onore! Ma a parte gli scherzi… perdonami, davvero, perché non voglio spaventarti con questo gesto, ma semplicemente non sono riuscito a resistere oltre. Io… volevo solo sentirti. Volevo avere conferma che stai bene, e che tutto sta andando per il meglio. Tutto qui.

So che potresti essere arrabbiato con me. Anzi, sicuramente sarai arrabbiato con me. Lo capisco, davvero. E non posso negare di essermi meritato questo odio da parte tua. Quello che ti ho fatto, e quello che ho compiuto nei confronti del mondo, è stato crudele e sbagliato, e non posso negarlo. E sicuramente avrai sentito moltissime cose su di me, negli ultimi mesi. Cose che, per quanto detesti ammetterlo, probabilmente non sarei nemmeno in grado di negare. Perciò… ti chiedo scusa, mio piccolo amico.

Ma voglio che tu sappia una cosa, Deku. Anche se tu non lo accetterai, anche se i miei metodi cruenti e le mie azioni ingiustificabili sembreranno così terribili ai tuoi occhi… io non posso fermarmi. Continuerò a lottare, a combattere, a portare avanti questa Guerra nonostante tutto, e sai perché? Perché essa è la dimostrazione del mio Potere. La Guerra è il mio Potere, la mia forza, la mia strada. L’unica strada che mi rimane per permettere al mondo di raggiungere ed ottenere una Pace che durerà per sempre, fino alla fine dei secoli.

Per questo voglio essere sincero con te, piccolo. Tutto quello che ho fatto, tutte le azioni, tutte le mosse, tutti i crimini che ho compiuto in passato che compirò anche nel prossimo futuro… li sto facendo per te. Per te, e per i tuoi amici. Potresti non comprenderlo, potresti non riuscire a capirne il perché, ma fidati di me quando ti dico questo: lo sto facendo per voi. Per potervi garantire un futuro di Pace. Un futuro dove non sarete più costretti a lavorare per sopravvivere. Un futuro dove potrete essere liberi da questo Inferno che ci circonda e che chiamiamo realtà. Un futuro dove avrete il diritto e la possibilità di restare per sempre uniti assieme come una famiglia. Perciò, anche se tu mi odi, anche se non riesci più a credere in me e alle mie parole, sappi che quello che ti ho scritto prima è tutto vero. Lo sto facendo per voi.

Perché solo chi continua ad avanzare e a combattere potrà scoprire cosa si trova al di là dell’Inferno.

Il giovane bambino sentì le sue labbra iniziare a tremolare.

Tu e i tuoi amici siete la nuova generazione di questo mondo, Izuku, la nuova speranza del nostro popolo. Siete la speranza per cui io, e la mia gente, siamo disposti a combattere e a sacrificarci dinanzi a questo Inferno nonostante tutte le difficoltàSiete la cenere da cui rinascerà un nuovo mondo. E per questo, mio piccolo amico, io ho bisogno di te.

Non devi perdonarmi, Deku. Non devi cercare di giustificare le mie azioni o i miei ideali. Non devi continuare a soffrire a causa mia. Perché qualunque cosa sceglierai di fare, qualunque cosa tu deciderai di diventare nel tuo futuro… quello che ti dissi in passato sarà vero in ogni caso.

Io ti vorrò per sempre bene.
 
Boruto Uzumaki – Kurokage dell’Impero Shinobi Unito

I suoi occhi ricominciarono a versare lacrime.

Deku singhiozzò, le sue braccia tremanti, iniziando a piangere senza saperne il perché.

No… stavolta, stavolta lui sapeva il perché. Perché quello che quell’uomo gli aveva detto, quello che gli aveva comunicato con questa seconda lettera… era sincero. Quell’uomo stava davvero combattendo per lui. Stava davvero combattendo per la sua famiglia. Per garantire a lui, a Uraraka, a Trunks, e a tutte le persone del mondo, la Pace.

E per di riuscire in questo scopo, era intenzionato a diventare un mostro.

Pur di riuscire a salvare le loro vite, era intenzionato ad attraversare l’Inferno.

Izuki spostò lo sguardo sulle sue mani tremanti. I suoi occhi guizzarono dalle sue mani alla lettera. Avanti e indietro. Avanti e indietro.

E allora, finalmente, comprese.

Non importava cosa fosse diventato, il signor Saigo – no, Boruto Uzumaki – aveva bisogno di lui e della sua presenza per riuscire ad andare avanti. E nonostante tutto il male che quell’uomo aveva generato nel loro mondo... in quel momento il piccolo bambino comprese, per la prima volta nella sua vita, che tutto ciò che il Nukenin aveva fatto fino a quel momento non era stato altro che una piccola frazione, una minuscola parte di un piano ancor più grande. Un piano facente parte di uno schema. Uno schema ben più importante e complesso di quanto lui, o il mondo stesso, potessero sperare di comprendere.

Uno schema che, per poter essere realizzato pienamente, aveva bisogno anche di lui.

Perché Boruto gli voleva bene. E Deku ne voleva a lui.

Fu allora, finalmente, dopo tutti questi mesi di incertezza e dolore… che il piccolo bambino comprese infine quello che voleva, davvero, fare.

E ciò che provò mentre la sua mente lo realizzava… non fu dolore.

Fu la consapevolezza di dover scegliere la strada per il Potere.

Il Potere non era malvagio. Boruto e la sua stessa esistenza l’avevano dimostrato ampiamente. Una spada poteva essere brandita per fare del male, certo, ma l'arma in sé non era nociva. Era semplicemente questo: un’arma. Un’arma che poteva servire a chiunque, anche per perseguire il bene. E il Potere, qualsiasi tipo di Potere, funzionava a sua volta allo stesso modo. Non c’era nessuna differenza tra le due cose.

Eppure, ancora adesso, il piccolo Deku si ritrovò ad esitare.

Forse, pensò, se fosse rimasto fermo adesso, avrebbe potuto vivere una vita tranquilla. Avrebbe potuto lasciare che la Guerra terminasse, senza di lui, per poi continuare a crescere ed aspirare di diventare un Ninja. Forse, pensò, il suo intervento non era davvero necessario come pensava. Forse, anche senza di lui e Boruto, un giorno le persone sarebbero arrivate a capirsi a vicenda e a smettere di perseguire lo scontro.

Ma la realtà era ben diversa, e le parole che Boruto gli aveva scritto e riferito in passato lo dimostravano abbondantemente. La realtà, il mondo, era crudele. Era malvagio. Boruto l’aveva dimostrato. L'Hokage l’aveva dimostrato. Il mondo, persino, l’aveva dimostrato a sua volta. Non poteva esserci una vera pace fino a quando qualcuno non avesse vinto sopra tutti gli altri. Boruto, più di chiunque altro, lo sapeva, perché ne aveva sempre avuto la dimostrazione con suo padre. 

Suo padre, il Settimo Hokage, era potente, ed era ancora un Ninja. Eppure, proprio per questo, stava fallendo. Semplicemente perché vedeva il Potere con gli occhi di un Ninja. Vedeva il Potere come uno strumento, come un’arma a doppio taglio su cui fare affidamento solo in casi estremi.

Ma per Boruto, invece, il Potere non era uno strumento. Era una fonte di determinazione. Era, anzi, la sua determinazione. Una determinazione che non faceva parte delle abilità di un Ninja. Una determinazione inviolabile che stava usando ancora adesso per farsi una reputazione nel mondo e costringere la gente a seguirlo.

Boruto Uzumaki non avrebbe vinto questa guerra perché aveva il Potere, ma perché il Potere era la causa, l’origine e lo scopo della sua determinazione.

Per questo, realizzò, non poteva essere sconfitto.

Perciò, se voleva davvero raggiungerlo, se voleva davvero raggiungere Boruto, anche lui avrebbe dovuto fare suo questo Potere.

Izuku si fermò e guardò nuovamente la lettera, girandola inconsciamente.

I suoi occhi notarono qualcosa. Sul retro del foglio era rappresentato un simbolo a forma di spirale. Sotto di esso, un’ultima scritta era stata lasciata per lui da Boruto.

Questa spirale, un tempo era il simbolo del clan Uzumaki. E ora, a breve, sarà il simbolo di tutti i Guerrieri di questo mondo. Una spirale che unisce assieme ogni cosa. Una spirale che serve a ricordarci ogni giorno che non importa quanto lontano possiamo andare alla deriva, noi continueremo sempre a difendere ciò che amiamo e non lo lasceremo andare mai. Questo è ciò che siamo noi Guerrieri, Izuku. Ricordalo per sempre.

Perciò, se vorrai veramente raggiungermi, continua a combattere senza arrenderti mai.

Zenshin Kakumei (Una Rivoluzione Inarrestabile)

E allora, ancora una volta, il bambino comprese. Comprese perché, esattamente, quell’uomo che stimava così tanto avesse fatto tutto quello che aveva fatto. Comprese perché, esattamente, fosse stato così disposto a compiere il più crudele dei mali pur di raggiungere i suoi obiettivi. Comprese perché, esattamente, avesse deciso di seguire quella strada di morte, sangue e disperazione insensata che il mondo e gli Shinobi tanto detestavano.

Izuku Midoriya, finalmente, comprese come stavano davvero le cose.

Boruto Uzumaki non era impazzito. Non era un folle e un pazzo che lottava perché troppo spezzato o desideroso di vendetta. Non stava lottando per vendicarsi o per riprendersi qualcosa che aveva perso. No… lui non aveva intenzione di riprendersi ciò che aveva perso. Voleva semplicemente riempire il suo futuro con qualcosa di nuovo. Voleva guidare il mondo verso qualcosa di inarrivato. Voleva dissipare le tenebre millenarie che avevano oscurato il loro pianeta per tutto questo tempo, guidandolo verso una nuova alba mai vista prima.

Boruto Uzumaki voleva liberare il mondo dalla la Morsa implacabile del Destino.

Voleva liberarli da quest’Inferno.

E non appena realizzò questa cosa, il giovane bambino prese la sua decisione.

Deku fece un respiro profondo e si risollevò.

Da oggi, lui non avrebbe mai più lottato per diventare un Ninja.

Da oggi, lui avrebbe lottato solamente per diventare un Guerriero.
 
 





 

Note dell’autore!!!

Piccolo capitolo che funge da intermezzo prima del casino che succederà in futuro. Spero che possa essere stato di vostro gradimento. Già dal prossimo, le cose si faranno decisamente movimentate e oscure.

Come vedete, non mi sono mai dimenticato di Deku, Uraraka e Trunks. La loro assenza, fino a questo momento, è sempre stata intenzionale. E vi anticipo già da adesso che, ber un altro bel po' di capitoli, loro tre resteranno ancora assenti. La loro presenza nella vicenda ha un ruolo ben preciso. Un ruolo che ho programmato per tempo, e che verrà rivelato più avanti. Vi invito solo a pazientare prima che quest’ultimo motivo venga rivelato.

Cercherò di pubblicare il prossimo capitolo (Vendetta 1) in questa stessa settimana. Ce la metterò tutta, promesso.

Come sempre, se ci sono errori nel capitolo vi invito gentilmente a farmeli notare. Inoltre, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate della vicenda fino ad ora. I vostri pareri e le vostre critiche sono ciò che mi spinge a scrivere e a portare avanti la storia, quindi apprezzerei moltissimo qualsiasi tipo di commento da parte vostra. Grazie mille a tutti in anticipo.

A presto!

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Capitolo 30
*** Vendetta (1) ***


VENDETTA (1)




 
MONSTER
(Skillet)

 
The secret side of me, I never let you see,
I keep it caged but I can't control it.
So stay away from me, the beast is ugly,
I feel the rage and I just can't hold it.
 
It's scratching on the walls, in the closet, in the halls,
It comes awake and I can't control it.
Hiding under the bed, in my body, in my head.
Why won't somebody come and save me from this,
Make it end?
 
I feel it deep within! It's just beneath the skin!
I must confess that I feel like a monster!
I hate what I've become! The nightmare's just begun!
I must confess that I feel like a monster!
I feel like a monster!
I feel like a monster!
 
My secret side I keep hid under lock and key,
I keep it caged but I can't control it.
'Cause if I let him out he'll tear me up, break me down.
Why won't somebody come and save me from this,
Make it end?
 
I feel it deep within! It's just beneath the skin!
I must confess that I feel like a monster!
I hate what I've become! The nightmare's just begun!
I must confess that I feel like a monster!
I feel it deep within! It's just beneath the skin!
I must confess that I feel like a monster!
I feel like a monster!
I feel like a monster!
 
It's hiding in the dark, it's teeth are razor sharp,
There's no escape for me,
It wants my soul, it wants my heart.
No one can hear me scream, maybe it's just a dream,
Maybe it's inside of me…
Stop this monster!
 
I feel it deep within! it's just beneath the skin!
I must confess that I feel like a monster!
I hate what I've become! The nightmare's just begun!
I must confess that I feel like a monster!
 
I feel it deep within! It's just beneath the skin!
I must confess that I feel like a monster!
I've gotta lose control! Here's something radical!
I must confess that I feel like a monster!
 
I feel like a Monster!
Il lato nascosto di me, non te lo lascio mai vedere,
Lo tengo rinchiuso ma non posso controllarlo.
Quindi stammi lontano, la bestia è orribile,
Sento la rabbia e non riesco a trattenerla.
 
Sta graffiando sui muri, negli armadi, nelle stanze,
Si sta svegliando e non posso controllarlo.
Si nasconde sotto il letto, nel mio corpo, nella mia testa.
Perché nessuno viene a salvarmi da questo,
Facendolo finire?
 
Lo sento dentro nel profondo! È appena sotto la pelle!
Devo confessare che mi sento un mostro!
Odio ciò che sono diventato! L’incubo è appena iniziato!
Devo confessare che mi sento un mostro!
Io mi sento un mostro!
Io mi sento un mostro!
 
Il mio lato segreto, l’ho tenuto nascosto sotto chiave,
Lo tengo rinchiuso ma non posso controllarlo.
Perché se lo lascio uscire mi farà a pezzi, mi distruggerà.
Perché nessuno viene a salvarmi da questo,
Facendolo finire?
 
Lo sento dentro nel profondo! È appena sotto la pelle!
Devo confessare che mi sento un mostro!
Odio ciò che sono diventato! L’incubo è appena iniziato!
Devo confessare che mi sento un mostro!
Lo sento dentro nel profondo! È appena sotto la pelle!
Devo confessare che mi sento un mostro!
Io mi sento un mostro!
Io mi sento un mostro!
 
Si nasconde nel buio, i suoi denti sono affilati come rasoi,
Non c’è scampo per me,
Vuole la mia anima, vuole il mio cuore.
Nessuno può sentirmi urlare, forse è solo un sogno,
Forse è dentro di me…
Fermate questo mostro!
 
Lo sento dentro nel profondo! È appena sotto la pelle!
Devo confessare che mi sento un mostro!
Odio ciò che sono diventato! L’incubo è appena iniziato!
Devo confessare che mi sento un mostro!
 
Lo sento dentro nel profondo! È appena sotto la pelle!
Devo confessare che mi sento un mostro!
Sto per perdere il controllo! È qualcosa di radicale!
Devo confessare che mi sento un mostro!
 
Io mi sento un Mostro!




 


11 Gennaio, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
00:00

“Tre…” sussurrò lentamente Boruto, mentre i suoi occhi rimanevano chiusi. “Due… uno…”

Zero.

L’orologio della sua camera iniziò a suonare, emettendo un rumore rodo e rimbombante.

La mezzanotte era scattata.

Boruto inspirò profondamente. Dietro di lui, un sibilo rivelatore d’aria lo avvisò dell’arrivo di tutti gli altri. Mikasa, Sora, ed il resto dei Kara lo raggiunsero senza proferire parola, silenziosi come la notte più oscura.

“Boruto,” parlò Mikasa a nome di tutti, la sua voce gelida e decisa. “La tregua è finita.”

Il Nukenin sorrise, snudando i denti. “Preparate gli uomini,” ordinò. “Si va a caccia.”

Era finalmente giunta l’ora di vendicarsi.
 


11 Gennaio, 0022 AIT
Terra dei Fiumi, Valle senza Nome
Nascondiglio Segreto di Saiken
19:00

Sarada rimase seduta, arrabbiata e imbronciata, mentre leggeva il rotolo che un falco le aveva consegnato quel pomeriggio. Le parole erano sfocate, indistinte, la sua vista non ancora ripresa dallo sforzo. La sua mente era pesante e oscura, mentre rimuginava in pensieri tristi e depressi. Boruto poteva aver perso la sua ultima battaglia contro di lei, ma sembrava ancora che stesse per vincere la Guerra. Perché il suo vecchio amico aveva avuto ragione, ancora una volta, esattamente come aveva ripetuto più e più volte a lei e al mondo intero.

“Anche se non potrò vincere sempre, Sarada, io non perdo mai.”

La sua minaccia si stava rivelando sempre più fondata. Anche se l'Organizzazione Kara non aveva più tentato di catturare il Rokubi (Esacoda), la Foglia e le Nazioni Alleate si trovavano ancora in una situazione di pericolosissimo svantaggio. Boruto stava di certo escogitando qualcosa per riuscire ad eludere il suo nuovo Potere. E se avesse lanciato un assalto su più fronti – una possibilità che, grazie alla sua Preveggenza, sapeva non sarebbe stata per niente implausibile – allora niente e nessuno sarebbe riuscito a fermarlo di nuovo. Questo Sarada lo sapeva, e non aveva certo bisogno del suo nuovo Potere per comprenderlo. Così come lo sapevano tutti quanti i suoi amici.

Inoltre, i pericoli non terminavano qui. Nel resto del mondo, l’intero continente era nel caos. Nel caos più assoluto. Senza più Kage e Daimyo a proteggerle – dato che erano stati tutti quanti uccisi da Boruto durante il Summit – tutte le Capitali ed i principali centri ​​della nobiltà delle Nazioni Alleate erano stati saccheggiati da una forza d'élite della Rivoluzione, guidata da Guerrieri straordinariamente potenti. Avevano massacrato ogni uomo, donna e bambino dal sangue blu, senza risparmiarne neanche uno, estinguendoli fino all’ultimo.

Questa terribile situazione era estremamente sconcertante, e favoriva di molto la crescita dell’Impero. Dopotutto, nessuno voleva salire al potere delle Nazioni Alleate quando un mostro come Boruto si profilava sopra il trono dell’Impero. La legge e l'ordine erano falliti. Persino nella Terra del Fuoco, la sua stessa casa, le cose erano degenerate. Il Daimyo del Fuoco ed il suo figlio erede, Tento, erano morti. E senza di loro, il peso della responsabilità ricadeva, ancora una volta, sull’Hokage, già di per sé stressato e impegnato a cercare di combattere e resistere alle battaglie causate da suo figlio. Boruto aveva, insomma, paralizzato ogni Nazione politicamente, economicamente e giuridicamente. E lo aveva fatto in un colpo solo, senza dover più muovere un dito.

Era una situazione oggettivamente terribile.

Che cosa avrebbero fatto adesso, si chiese Sarada? I resti laceri della nobiltà si sarebbero fatti avanti per reclamare i loro troni, oppure sarebbero svaniti nell'oscurità? E in quest’ultimo caso, chi si sarebbe potuto assumere i doveri per dirigere la Terra del Fuoco? L'Hokage? Il Settimo aveva già le mani occupate semplicemente gestendo il Villaggio... non poteva farcela. Era una trappola senza via d’uscita.

Ma questo, purtroppo, non era neanche l’unico problema a cui dovevano far fronte.

Sarada buttò via il rotolo che stava leggendo, abbassando lo sguardo mentre ritornava a pensare a ciò che aveva fatto. La sua mente si riempì immediatamente di rammarico e vergogna. Dopotutto, come poteva non provare vergogna? Aveva ucciso Shizuma. Aveva ucciso uno dei compagni di Boruto. La colpa era sua. Era stata lei ad ordinarlo, in fondo. E, secondo le parole di Shikadai, Boruto non aveva per niente preso bene la sua morte.

E questo, questo, era il vero problema.

Boruto Uzumaki era arrabbiato. Era assetato di vendetta. La morte del suo amico lo aveva reso ancor più meschino e subdolo di prima, e non c’era più modo di dire cosa sarebbe stato capace di fare, a questo punto.

Sarada lo sapeva, forse più di tutti gli altri. Lo sapeva proprio grazie ai suoi occhi. Dopotutto, aveva cercato molte volte di usare il suo nuovo Potere in questo periodo. Aveva tentato innumerevoli volte di usare la sua Abilità di Preveggenza per riuscire a vedere, a scoprire, a capire cosa avesse in mente il suo vecchio amico per vendicarsi. Ma sin da quando Shizuma era morto, i suoi occhi non le avevano mostrato più nulla. Né un’immagine, né un barlume, né un suono; niente di niente. Non erano più stati in grado di prevedere nulla su Boruto, nonostante tutti i suoi sforzi.

E questa cosa la spaventava più di qualsiasi altra minaccia incombente.

Il suo vecchio amico era cambiato di nuovo. Sarada non poteva negarlo. Era stata una sciocca. Aveva comnesso un errore, aveva lasciato morire Shizuma, e a causa di questo, Boruto era cambiato. Era cambiato talmente tanto da spaventarla. Talmente tanto da non permetterle più di riuscire a prevedere le sue mosse come prima. Se nemmeno il suo Sharingan Ipnotico riusciva a vederlo, non poteva che essere così. E questo, questo la spaventava più di qualsiasi altra cosa al mondo.

Perché adesso, se fosse successo qualcosa, nemmeno lei con le abilità che le aveva concesso l’Eremita sarebbe riuscita a prevedere le mosse del suo vecchio amico.

Sarada ammiccò con le palpebre, cercando di ignorare la sensazione pungente ed umida che le cresceva negli occhi. Il suo sguardo abbattuto si posò verso il cielo. “…che cosa devo fare?” singhiozzò mentalmente.

Per una volta, il suo Mangekyō non le offrì risposta.

Ma fu proprio mentre era immersa in quei pensieri che accadde l’inaspettato.

La terra sotto i suoi piedi tremò all’improvviso. Sarada ammiccò, confusa, sollevandosi su gambe instabili mentre il suolo continuava a vibrare con forza. Poi, con un rombo acuto, l’aria tremolò e tutto il mondo parve tremare prepotentemente, facendole risalire il cuore in gola. La ragazza esitò, cercando di riprendere la calma.

Poi, i suoi occhi si rivolsero verso l’orizzonte.

Sarada trattenne il fiato.
 


11 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
19:00

Naruto sorrise affettuosamente mentre Shikamaru rantolava parole su parole, discutendo di logistica e di un modo per contrastare le crescenti tensioni nell’Est assieme a Sentoki. Era bello essere a casa, pensò. La tensione mentale derivante dall'assorbire i ricordi del suo clone che era stato, a tutti gli effetti, autonomo per quasi un mese intero gli stava ancora facendo pulsare la testa dal dolore, ma ne era valsa la pena. 

Se doveva essere sincero, Naruto non si era ancora reso veramente conto di quanto fosse faticosa la Guerra. Lo aveva iniziato a capire soltanto adesso, essendo stato costretto a rimanere lontano da casa e dalla sua famiglia per tutto questo tempo. E persino ora che era tornato, per lui, era difficile credere che Gaara e Kankuro fossero morti e che la Guerra fosse davvero iniziata. In confronto, questa Guerra causata da suo figlio faceva sembrare la Quarta Guerra Mondiale come un conflitto infantile durato solo due giorni.

Oh, cosa non avrebbe dato per poter assicurare che ogni guerra durasse solamente due giorni come quella...

"Ehi, Naruto?" Shikamaru agitò una mano davanti ai suoi occhi. "Mi stai ascoltando?"

"…sto ascoltando," sussurrò lui, mentendo.

Shikamaru sospirò. "Mi manca già il tuo clone," sbuffò. "Almeno quello aveva la carica della Tecnica ad alimentarlo."

Il Settimo sorrise ironicamente e prese un sorso d'acqua mentre Sentoki ridacchiava. "Quindi, come stavo dicendo," continuò il Nara. "Il nostro armistizio è finito e adesso siamo liberi di rilasciare la nostra propaganda. Sembra che Boruto abbia mantenuto la tregua di pace, come promesso. Questo ci ha dato il tempo di rafforzare le nostre difese e mettere al sicuro il Villaggio della Sabbia. A proposito, come sta andando lì?"

"Ah, bene," riferì Naruto. "Il comandante Jōnin Ittan ha accettato temporaneamente il Cappello da Kazekage finché non verrà trovato un candidato più adatto. Detto tra noi, penso che lui da solo sarebbe un ottimo Kage, ma... beh, politica."

"Politica," annuì Shikamaru, ignorando le risatine persistenti di Sentoki. "Quindi, quando il video uscirà, la nostra speranza è che alcune delle persone nella Terra di Vapore e del Ghiaccio disertino. Il Paese più vicino con i confini aperti siamo noi, quindi avremo i nostri Ninja stanziati al confine pronti a difenderli, nel caso l’Organizzazione Kara cercasse di impedire loro di andarsene. E ancora, se Boruto perdesse il sostegno delle persone, potremmo muoverci più apertamente contro di lui e gran parte del sostegno popolare che usa a suo vantaggio svanirebbe."

L’Hokage annuì, speranzoso. "Qualche segno di lui?" chiese.

Shikamaru scoccò un’occhiata a Sentoki. Il monaco scosse la testa ed un’espressione seria gli contornò i lineamenti. "No," dichiarò. "Per tutta la durata della tregua, nessuno ha avuto notizie di Boruto o dei suoi compagni Kara. Non hanno più messo piede sulla Terra."

Naruto si accigliò. "E tu-"

"-Ed io non so ancora dove si nascondono, sì," continuò l’anziano. "Il Ninshū non mi permette di percepire cose del genere, purtroppo. Abbiamo diverse persone che ci stanno lavorando, ma se nemmeno lei riesce a percepire suo figlio con le sue abilità empatiche, Hokage-sama, allora la sua ipotesi su dove si stanno nascondendo è buona quanto la mia."

Naruto sospirò ed abbassò la testa mentre fissava tristemente il suo riflesso nella brocca d'acqua posata sulla scrivania. Sapeva di doverselo aspettare, ma faceva comunque male ricevere la conferma dei suoi timori. Sembrava che senza Sasuke fosse veramente impossibile riuscire a scovare nuovamente i Kara come in passato. I suoi occhi stanchi osservarono la sua faccia nell’acqua. Il suo riflesso era comicamente deformato, facendolo apparire con la testa stretta e gli occhi spalancati, come un pesce.

Poi, di colpo, l'acqua cominciò a pulsare e vibrare, come se la sua scrivania fosse stata scossa. Naruto si accigliò. “Huh?”

"Ma che..." Shikamaru si piegò col busto, guardando anche lui la brocca mentre l’acqua continuava a tremare, fino a quando un suono rombante riempì l'aria ed il bicchiere sul tavolo iniziò a vibrare in modo udibile mentre colpiva gli altri bicchieri ed un vassoio di metallo.

Gli occhi di Naruto si spalancarono quando la sua scrivania, e l'intero ufficio, tremarono prepotentemente.

"Che sta succedendo?!" esclamò Shikamaru, appoggiando entrambe le mani sulla scrivania per mantenersi in equilibrio. Sentoki, pallido e con gli occhi sgranati, si stava guardando attorno freneticamente.

Il Settimo Hokage lanciò una rapida occhiata fuori dalla finestra, esaminando la città, assicurandosi che la Foglia non fosse sotto attacco. Non lo era, con suo enorme sollievo, ma...

"…ohi… guardate," Naruto rimase a bocca aperta, indicando l'orizzonte.

Una colonna di fumo nero si stava innalzando davanti al tramonto, raggiungendo il cielo.
 


11 Gennaio, 0022 AIT
Terra delle Cascate
Rifugio dei Profughi del Villaggio della Nuvola
19:00

Boruto avanzò a grandi passi verso la meta, il suo sguardo privo di emozione, mentre un gelido vento del Nord lambiva le sue ondeggianti vesti bianche da Kage. Il duro staccato degli stivali che marciavano risuonava dietro di lui. Il terreno tremò sotto i suoi piedi, anche quando suonarono gli allarmi, perforando la calma ed il silenzio del sole del tramonto. I cancelli e le mura della baraccopoli chiamata ‘Nuova Nuvola’ incombevano davanti a lui, mentre sempre più guardie terrorizzate e con gli occhi spalancati urlavano ordini mentre correvano in cima ai bastioni. Il suo esercito marciava alle sue spalle, il suono ritmico degli stivali in marcia e del clangore delle armi che annunciava il loro arrivo.

Il momento era arrivato.

Boruto Uzumaki il Conquistatore. Gli piaceva abbastanza quel titolo. Alla fine, conquistare il mondo era il suo obiettivo, in fondo.

E adesso, adesso era giunta l’ora di annientare gli ultimi rimasugli dei Ninja della Terra del Fulmine.

"Tutti in formazione!" Boruto gridò, ed i suoi uomini si affrettarono ad obbedire. Dall'altra parte del campo di battaglia, i tre poli dell'esercito del suo nuovo Impero iniziarono ad avanzare. "Kara, con me!"

"Agli ordini!" gridarono ad una voce sola i suoi amici, seguendolo obbedientemente.

Poi, ci fu solamente Guerra.
 


.

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11 Gennaio, 0022 AIT
Terra delle Cascate
Rifugio dei Profughi del Villaggio della Nuvola
19:00


BATTAGLIA PER LA CATTURA DI GYUKI, IL DEMONE POLPO-BUE OTTACODA

"P-Per gli dei," esalò Dodai, guardando l'esercito in avvicinamento. "Devono essere a migliaia."

"Diecimila, signore, secondo le stime dei servizi segreti," lo informò Akeno, il suo aiutante. "Tremila per ogni braccio dell'esercito."

Yurui si fece avanti, pallido e tremante. "Quali sono i suoi ordini, signore?" chiese solennemente.

Dodai esitò, a corto di parole. Aveva sperato e pregato di non vivere abbastanza a lungo da vedere un'altra Guerra. Ma, purtroppo, le sue preghiere non erano mai state ascoltate. La sua vita e la vecchiaia gli avevano regalato ben tre Guerre Mondiali. E adesso, un enorme peso ineluttabile si posò sulle sue spalle. Come il Terzo, il Quarto e il Quinto Raikage prima di lui, ora toccava a lui difendere ciò che restava della Nuvola.

"Quali sono i suoi ordini, signore?" chiese Yurui, di nuovo, impaziente.

Dodai sbatté le palpebre e scosse la testa. "Yurui, vai da Bee e preparati. Sei la nostra ultima linea di difesa. Se l'Organizzazione Kara vuole l'Hachibi (Ottacoda), dovranno passare sul mio cadavere. Akeno, istruisci l'avanguardia di prendere posizione fuori dai cancelli, sotto all'ombra delle mura. Poi dì agli uomini di prendere posizione sui bastioni. Assicurati che non lancino i loro attacchi sui nostri stessi uomini. Andate, presto!" abbaiò.

Le porte della baraccopoli di nuova costruzione gemettero sotto il loro peso mentre si aprivano e gli uomini si precipitavano in avanti, dividendosi in ranghi per difendere la loro casa. Erano gli ultimi figli e figlie sopravvissuti alla distruzione della Nuvola. Avevano tutti quanti vissuto gli orrori che l’Organizzazione Kara aveva scatenato su di loro, e tutti sapevano il costo del fallimento qui.

Se avessero perso questa battaglia, Boruto Uzumaki li avrebbe distrutti una volta per tutte.

Dodai deglutì e si spostò in un punto di osservazione più diretto sul muro. Sapeva che gli sarebbe stato richiesto di andare avanti e trovare il suo posto tra le file dei loro nemici. E per un momento, dopo quel pensiero, la sua mente provò il morso della vera e tangibile paura. Poi, veloce com’era arrivata, quella sensazione passò. Se doveva morire, allora sarebbe morto in maniera onorevole, al servizio della sua casa e della sua gente. Proprio come avevano fatto il Quarto e il Quinto Raikage. Perciò, una volta che il figlio dell'Hokage si fosse rivelato, Dodai lo avrebbe ingaggiato in battaglia.

Nel suo cuore, l’anziano sapeva che non sarebbe sopravvissuto alla battaglia. Ma se doveva morire, era determinato a portare con sé nella tomba il leader dell'Impero.

Avrebbero salutato entrambi la Morte.
 


"Entrate in formazione!" urlò Akinobu, superando il frastuono del panico e degli stivali in marcia. I suoi uomini si affrettarono a prepararsi mentre si radunavano davanti alle mura della loro nuova casa. Toccava a lui organizzare la difesa dell'avanguardia della città, e Akinobu lo avrebbe fatto ad ogni costo. Non poteva permettersi di esitare. Dopotutto, gli esiti di questa giornata erano solamente due: vincere, o morire.

L'esercito nemico, composto da Guerrieri vestiti di un'armatura nera, avanzava costantemente, e la loro marcia riecheggiava nelle sue orecchie. Adesso erano vicini, e i suoi uomini avevano poco tempo per organizzarsi. Akinobu serrò i denti. Non poteva permettere all'esercito di assaltare le mura o il cancello, perché Boruto Uzumaki era un rinomato maestro del Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli). Se gli avessero dato il tempo di accedere alle loro difese, avrebbe potuto abbatterli con un semplice schiocco delle dita. Akinobu ingoiò il suo terrore crescente, pregando affinché gli uomini in cima alle mura avessero combattuto con tutto il cuore. Se volevano sopravvivere a quel giorno, lui ei suoi uomini avrebbero avuto un disperato bisogno della loro assistenza.

Le sue orecchie si contrassero. Poteva sentire il canto, ora. Mormorii bassi e ringhi feroci di uomini desiderosi di sangue. In lontananza, appena sopra il frastuono, poteva sentire gli ordini che venivano abbaiati. "State pronti!" gridò Akinobu, estraendo una spada ed alzandola in alto sopra la sua testa.

L’esercito dell’Impero li fronteggiò con decisione. I guerrieri avevano evocato degli scudi tutt’intorno a loro – degli strani dischi di metallo pieghevole che brillavano di un luccichio bianco-blu appena visibile – formando muri ad incastro. Vedendoli così vicini, alcuni dei suoi soldati vennero colti dalla paura, iniziando ad attaccare a distanza.

"Fermi! Aspettate!" gridò Akinobu ai suoi uomini, ma le sue parole vennero gridate invano. Fiamme e fulmini schizzarono in avanti dall'alto, mentre gli uomini sulle pareti cominciavano a sparare contro l'esercito invadente. I loro attacchi si schiantarono contro gli scudi nemici, una barriera scintillante di chakra blu che impediva loro di passare, mentre i loro nemici continuavano a marciare in avanti, imperterriti, ruggendo sempre più forte.

Poi, un sibilo pesante si udì ronzare nell’aria. Alzando gli occhi, tutti i soldati videro un gigantesco masso di roccia piovere dal cielo dal nulla, andandosi a sbattere contro un grande squadrone di uomini sulla destra, frantumandosi in frammenti mortali e schiacciando innumerevoli vite. La barriera si oscurò. Una lancia d'acqua squarciò gli scudi e incornò diversi Ninja, prima che una corrente di fulmini li attraversasse, uccidendoli all’istante. Altri attacchi simili si susseguirono subito dopo, ma Akinobu non riuscì a fare nulla per calmare i suoi uomini. C'erano semplicemente troppi nemici per potersi difendere prima che i loro eserciti si incontrassero.

"Fuoco!" urlò un comandante nemico.

"Schivate!" comandò Akinobu.

Nelle file nemiche, una delle pareti di scudi si aprì, rivelando una fila di uomini in ginocchio e un’altra in piedi dietro di loro. Entrambi i ranghi avevano le braccia alzate ed i pugni corazzati puntati contro Akinobu e i suoi uomini. Scatenarono le loro Tecniche: delle sfere luminose e ronzanti di chakra che scattarono in avanti e si schiantarono contro gli uomini che erano stati troppo lenti per riuscire a schivarle. Furono fatti a pezzi, ridotti in poltiglia insanguinata e rimandati precipitosamente indietro contro i loro compagni. Il muro di scudi si riformò, coprendo i loro attaccanti prima che Akinobu potesse ordinare un attacco.

Le urla dei morenti inondarono l'aria e l’odore metallico del sangue gli riempì il naso. Akinobu scoprì che le sue mani avevano iniziato a tremare e costrinse il suo corpo a restare immobile. "Formate le mura!" gridò, udendo i comandanti nemici che impartivano a loro volta ordini.

Una fila di Shinobi abili nel Rilascio della Terra si fece avanti, con le mani intrecciate, prima di sbattere i palmi sul suolo ed erigere una barriera di roccia tra loro e l'esercito in avvicinamento. Altre sfere ronzanti di chakra si schiantarono contro la barriera, polverizzandola in più punti, e alcune Tecniche riuscirono a colpire lo stesso i suoi uomini. Altri squadroni scatenarono Tecniche di fuoco e fulmini che sibilarono mentre navigavano in aria. Alcune vennero intercettate dagli uomini sopra le mura, altre si infransero contro la barriera.

Tuttavia, il nemico non demordeva. Si stavano avvicinando sempre più. Akinobu poteva vedere la demarcazione tra i suoi uomini e il nemico: un'ombra proiettata dal muro dietro di loro. Si avvicinavano sempre di più, finché file su file di scudi varcarono inesorabilmente quella soglia.

Una voce echeggiò da qualche parte all'interno della massa dell’esercito nemico. “Rompete la Formazione!”

Fu allora che tutto andò storto. Un uomo, forse cinque o sei linee davanti a lui, venne improvvisamente diviso in due dal mento all'inguine da una figura vestita con un'armatura fulminea. I compagni del morto si precipitarono a vendicarlo, ma furono rapidamente spediti all’inferno mentre l'assassino prendeva a calci uno dei suoi uomini nel ventre, facendogli esplodere la spina dorsale e le budella fuori dalla schiena. Poi, con una mera contrazione delle dita, due intere fila di Shinobi vennero squarciate da una raffica di lance di fulmini. Il sangue cadde sul terreno come pioggia battente.

Akinobu sentì la morsa del terrore azzannargli il cuore. "Attaccate!" gridò, e il suo comando venne perso tra le grida terrorizzate dei suoi uomini e i gemiti dei morenti mentre i due eserciti si scontravano violentemente. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Nessuno gli aveva mai detto quanto fosse caotica la guerra. Le formazioni si ruppero, e il campo di battaglia non divenne altro che un disordinato derviscio di uomini che uccidevano altri uomini, violentemente e spietatamente. L’aria divenne calda, pesante, riempiendosi con un odore pungente: sangue e viscere smembrate. E tutto questo sotto ad un sottofondo costante di paura e terrore.

Akinobu avanzò lentamente, la massa di corpi che lottavano per la sopravvivenza gli impediva di entrare nella mischia. Vide un guizzo di capelli dorati ed una veste bianca fluttuante che si trascinavano dietro l'uomo vestito con un'armatura fulminea, e allora comprese che non sarebbe vissuto per vedere il giorno successivo. Il leader dell'Impero abbatteva i suoi uomini come un contadino che mieteva il grano; staccando braccia, gambe e teste come se fossero spighe, e facendo scoppiare teschi e casse toraciche con semplici guizzi delle dita. Boruto Uzumaki era, in tutto e per tutto, il mostro inarrestabile che le voci dicevano.

E non era solo.

Dietro di lui, più lenti ma non per questo meno letali, c'era l’Organizzazione Kara al completo. Si precipitavano dentro le file dei suoi uomini, tranciando orde su orde come se fossero un masso in perpetuo rotolamento. Coloro che si avvicinavano finivano per essere travolti e smembrati, tranciati in due da una lancia di acqua e ghiaccio o arrostiti da sfere di fuoco e fango bollente. Tra di essi, una donna spiccava per brutalità in mezzo a quell’ineluttabile macchina da guerra. Attaccava i suoi uomini con pugni e calci portentosi; poi si ritirava, e c'era solo una breve attimo di pausa tra i suoi attacchi che veniva seguito da esplosioni di sangue e viscere nebbiose mentre sempre più vittime cadevano dinanzi a lei.

Akinobu schivò un affondo di spada che quasi lo colpì al collo. Eliminò il suo aggressore con un rapido gesto della sua stessa arma, aprendo la pancia dell'uomo con un pugno prima di finirlo con un rapido taglio sul collo. Uno dei suoi uomini, a non più di quindici piedi di distanza, urlò e rientrò barcollando nella sua squadriglia mentre si grattava furiosamente l’addome. Un attimo dopo, esplose in uno scoppio di fuoco e fiamme, portando con sé i suoi compagni mentre cercavano inutilmente di salvarlo. Akinobu ingoiò la bile che gli risaliva in gola mentre continuava a combattere contro i guerrieri nemici vestiti di nero.

I combattimenti si placarono quando una massa torreggiante di chakra bianco-blu esplose verso il cielo a diverse centinaia di piedi di distanza. Consumò completamente l'esercito in difesa, schiantandosi contro le mura fortificate della Nuova Nuvola prima di sfondarle del tutto. Akinobu imprecò sottovoce mentre uccideva altri due aggressori. Non avevano abbastanza uomini per difendere le mura, e di certo non avevano modo di respingere le minacce di classe S che l'Impero stava schierando. Erano fottuti.

Le sue orecchie ebbero un tremito. Akinobu trasalì non appena udì un urlo di terrore sfrenato. Ma non ebbe modo di fare niente prima che il suo artefice finisse smembrato in due, emettendo un gorgogliante rantolo soffocato. Vide il figlio reietto dell’Hokage che correva avanti languidamente, circondato dai suoi compagni. Schiaffeggiò un colpo di spada solo per tagliare di netto la testa del suo aggressore con la mano libera, mentre allo steso tempo ruotava e sollevava una gamba per bloccare un altro colpo con gli schinieri degli stivali. Si lanciò in avanti, affondando un pugno nel cranio di un uomo e facendolo scoppiare come una ciliegia spremuta. Poi, Akinobu lo vide afferrare il cadavere per il bavero della casacca, scagliandoselo sopra la spalla e usandolo come scudo per bloccare una palla di fuoco ruggente. Un altro spadaccino si lanciò in avanti e fu disarmato – in senso letterale, dato che le braccia gli caddero a terra in una pozza di sangue – e Boruto usò la sua spada per tranciarlo. Poi si voltò, scagliando la spada come una lancia, e colpì il cranio di un altro uomo prima che potesse fare più di due passi in avanti. Il Ninja che aveva usato la Tecnica di fuoco fu lasciato completamente solo, improvvisamente privato dei suoi compagni. Akinobu lo guardò, impotente, mentre ruggiva un disperato grido di battaglia e si lanciava in avanti, solo per essere brutalmente abbattuto con facilità da una pioggia di schegge di ghiaccio evocate da uno dei Kara.

I guerrieri urlarono, sollevando le braccia al cielo. Cantavano il nome del loro leader come in preghiera. Riecheggiò sul campo di battaglia, annunciato dal rumore di stivali in marcia e scudi che sbattevano.

Doveva essere un dio, pensò Akinobu, o in qualche modo benedetto da un dio della guerra. Il leader dell'Impero era nato per porre fine alla vita, di questo era certo. "Bunta! Gaku! Con me!" abbaiò allora ai suoi luogotenenti. Deglutì profondamente mentre lui ei suoi due amici più cari marciavano in avanti per affrontare quella forza inarrestabile.

Non gli si era nemmeno avvicinato che Boruto aveva già finito di massacrare un altro squadrone di Ninja. L'ultimo uomo cadde in ginocchio, con gli occhi vitrei, prima di accasciarsi a terra ed esalare l'ultimo respiro. I combattimenti cessarono e le due armate in conflitto gli diedero un ampio spazio, lasciando Boruto e i Kara da soli. Nessuno voleva essere coinvolto nella loro battaglia. E sinceramente, nemmeno Akinobu lo voleva. Ma era un figlio leale e orgoglioso della Nuvola, e sarebbe morto per la sua casa se questo era ciò che gli veniva richiesto.

I suoi occhi videro il figlio dell’Hokage voltarsi verso di loro, con una veste cerimoniale color crema che ondeggiava dietro di lui. Miracolosamente, notò, non c'era una sola macchia di sangue a rovinarne il tessuto bianco. Akinobu brandì la sua spada e trasse il suo chakra, mentre la sua incompleta Corazza di Fulmini ruggiva alla vita attorno al suo corpo. La incanalò nella lama, diventando tutt'uno con l'arma che aveva usato per tutta la sua vita. Il Kurokage gli sorrise, sbilenco e fanciullesco, quasi con condiscendenza in un certo senso. Akinobu si lanciò in avanti con un ruggente grido di battaglia, seguito dai suoi luogotenenti.

Bunta e Gaku scagliarono shuriken e kunai contro Boruto, coprendo la sua carica, ma fu inutile. Akinobu non poté fare altro che ammiccare e meravigliarsi davanti alla velocità con cui il biondo aveva risposto all’assalto, balzando in avanti e afferrando un kunai che gli avevano lanciato solo per usarlo per deviarne un altro e afferrarne un terzo usando il pomo del primo. Poi, sorridendo con sarcasmo, glieli lanciò contro e Akinobu li deviò con un gesto della sua spada. Gli shuriken furono abilmente evitati, e Akinobu si lanciò contro Boruto mentre quest’ultimo lanciava un pugno a palmo aperto in avanti. La sua spada fu strappata violentemente dalle sue mani, e la lama deformata e mutilata mentre il Pugno Gentile la squarciava.

Akinobu deglutì. Poté solo tremare con orrore mentre la sua padronanza della Corazza di Fulmini impallidiva rispetto al modello che vedeva davanti a lui. Bunta balzò su Boruto, le braccia spalancate e le mani avvinghiate attorno ad una catena di metallo, ma venne immediatamente intercettato. Ebbe solo il tempo di fare un passo avanti e mezzo movimento delle braccia prima che la spina dorsale e la maggior parte del suo cuore e dei suoi polmoni gli eruttasse fuori dalla schiena. Akinobu urlò, osservando impotentemente mentre un membro dei Kara centrava il suo amico con un bastone da guerra coperto da roccia, similmente ad un martello. Il criminale incappucciato usò l’arma come un ariete, abbattendo ogni cosa dinanzi a sé senza pietà. Non venne lasciato niente in mezzo alla sua difesa.

Gaku lanciò un grido di battaglia arrabbiato e balzò in avanti per vendicare il loro amico. Akinobu lo seguì, cercando di andare avanti in modo da difendere meglio il suo ultimo compagno d'armi. Tuttavia, esattamente come prima, il suo gesto fu inutile. Forse si era attardato troppo a lungo dopo aver visto la morte di Bunta, o forse Gaku era stato troppo infuriato, troppo frettoloso. Non c’era modo di dirlo. Fatto sta che Gaku arrivò per primo, e quella fu l'ultima cosa che ebbe modo di fare. Ricevette in faccia un pugno potenziato dal chakra da parte di un altro membro dei Kara, una donna, prima di essere sistematicamente e metodicamente abbattuto come niente.

Akinobu si fermò slittando, i suoi occhi spalancati mentre sfrecciavano tra gli occhi vitrei di Gaku e il volto incappucciato del suo assassino. L’uomo deglutì a fatica mentre la battaglia infuriava tutt'intorno a lui, con masse torreggianti di chakra che cancellavano intere file dell'esercito e continue esplosioni che venivano seguite da urla di terrore. Alcune delle forze dell'Impero erano riuscite ad arrivare alle mura, ed enormi scale erano state erette dal nulla mentre perforavano la pietra e gli uomini le scalavano.

E lì, ancora una volta, Akinobu comprese.

Questo era un massacro. E loro avevano già perso.

Boruto Uzumaki si fece avanti tra i suoi due compagni. Fece due passi verso di lui prima che un'ondata di fango bollente e fumante minacciasse di inghiottirlo intero, costringendolo ad allontanarsi.

Akinobu sgranò gli occhi per la sorpresa.
 


Boruto sorrise quando il vecchio comandante di questa inutile baraccopoli fece finalmente la sua comparsa. Dodai era un uomo anziano, un veterano esperto di molte guerre, ed era stato addestrato personalmente dal Terzo Raikage. Era un maestro nell’Arte del Yoton (Rilascio della Lava) e, secondo le voci, una delle uniche due persone a cui erano stati insegnati i segreti del Fulmine Nero. L'altra persona, ovviamente, era l'ormai defunto Quinto Raikage, Darui.

Il giovane sorrise feralmente. Non vedeva l'ora di iniziare la battaglia. Dodai sarebbe stato il terzo Raikage che i Kara avrebbero ucciso. Cominciava ad essere una routine, quasi

Dodai aggrottò la fronte, i suoi occhi severi che si fissarono sulla veste che indossava. Boruto fece un sorrisetto nel vedere l’oltraggio nello sguardo dell’anziano. I Kage erano un branco orgoglioso di burocrati, questo era innegabile, e proprio per questo aveva scelto di indossare la sua veste da Kurokage durante questa missione. Per torcere il coltello nella piaga, per così dire, aprendo la loro ferita. L’abito era stato modellato sulle vesti di suo padre, un mantello color crema che gli cadeva sulle cosce. Ma mentre la veste dell'Hokage era ricamata con il fuoco, come imponeva il modello di Konoha, Boruto aveva scelto di onorare il suo clan di nascita. Sul petto era raffigurato il vortice del clan Uzumaki. E dove normalmente si trovava la fiamma della Foglia, il simbolo era stato sostituito da una cresta nera a forma di X, ricamata di rosso, giallo e blu. Sotto di esso, il sigillo combinato con i Kanji "Uno" e "Ombra" era stato ricamato in nero.

Boruto abbassò lo sguardo sul fiume di calce viva che lo separava dalla sua preda. Anche Dodai sapeva che il loro tempo stava scadendo. "Ritirati, Akinobu," ordinò l’anziano leader. "Raduna gli uomini. Shirou Emiya sta attaccando da Ovest, e Juvia Lockser da Est. Dirigiti da loro e sconfiggili."

"Sì, signore," rispose il comandante Jonin – Akinobu – prima di correre via.

Il Nukenin assottigliò il suo occhio sinistro, facendo cenno a Mikasa e Sora di allontanarsi. Sinceramente, non era certo di doversi preoccupare per i suoi amici. Lui e i suoi subordinati non avrebbero dovuto avere problemi contro avversari di questo calibro. Ma, d'altra parte, erano ben pochi gli uomini che si ponevano come una seria sfida per loro, in questi giorni. Sperava solo che questo vecchio gli avesse potuto offrire un po' di divertimento prima di abbattere completamente i resti della Terra del Fulmine.

Dodai si mise sulla difensiva, alzando i pugni, e Boruto si lanciò in avanti e superò la distanza che li separava tra un battito di cuore e l’altro. Spinse in avanti un ​​pugno, con il palmo aperto, che affondò in profondità in una sfera di gomma vulcanica in rapida crescita. Il giovane aggrottò la fronte mentre la palla si gonfiava, raggiungendo nuove altezze, e fu costretto a strappare il braccio dalla sua prigione. Vide Dodai scivolare sotto la roccia, fingendo di essere all'interno della sfera, ma niente poteva nascondersi al suo Jougan. Boruto balzò indietro e puntò due dita nel punto in cui il vecchio si era nascosto. Una lancia di fulmini attraversò la distanza e trafisse il bersaglio attraverso il ventre.

Era un clone – lo aveva sempre saputo – mentre il falso bersaglio scompariva in un’esplosione di terra e pietra. Dodai apparve subito dopo dietro di lui, emergendo dalla pietra come un fantasma, e gli sputò contro un'ondata di lava bollente. Boruto sorrise senza emozione, esalando una lama d'acqua dalle labbra che tagliò in due l'ondata di lava e poi sfrecciò attraverso il buco con una velocità accecante. L’anziano imprecò e si allontanò freneticamente prima di poter essere colpito.

Boruto sospirò, la sua mente pervasa dalla rassegnazione. Combattere contro di lui era noioso, in un certo senso, perché Dodai non poteva usare la Corazza di Fulmini come un vero Raikage. Boruto era semplicemente troppo veloce per lui. Davanti alla sua Scia di Fulmini, il mondo era lento, estremamente lento, e Dodai sembrava muoversi ad un ritmo patetico per i suoi occhi. Ogni particella di polvere, ogni filo di gas nocivo, ogni goccia di sudore, ogni cosa ci impiegava minuti – dal suo punto di vista – a muoversi.

Dodai aveva preparato un'altra finta, rimandando di nuovo la sua morte mentre si difendeva con un'altra bolla di gomma vulcanica. Boruto ringhiò, irritato, davanti alla resistenza della sfera. "Questa Tecnica era capace di resistere anche alla lancia più forte del Terzo raikage," disse Dodai sopra il frastuono della guerra che chiacchierava tutt'intorno a loro. "E sicuramente resisterà al tuo Pugno Gentile."

Ah sì. Boruto ricordava una Tecnica simile. Darui l’aveva usata contro di lui nella loro battaglia, e Kakashi, molto tempo prima, gli aveva spiegato di aver creato il Chidori (Mille falchi) imitando lo stile unico del combattimento corpo a corpo dei Raikage. Il Nukenin si ritirò, guardando la corda di gomma che collegava Dodai alla sua sfera. Il vecchio la roteava col pensiero, scagliandola attorno a sé come se fosse un flagello. Boruto la schivò facilmente, giocando nella strategia di Dodai, mentre il vecchio espirava e gli sputava addosso innumerevoli proiettili di gomma. Estraendo la sua spada, Boruto si riprese e bloccò gli attacchi al meglio delle sue capacità, deviandoli tutti senza fatica.

Poi, però, qualcosa accadde. Boruto inarcò un sopracciglio quando vide che i pochi proiettili che lo avevano accerchiato per terra stavano iniziando a gonfiarsi, assumendo dimensioni e peso ben superiori a quelle che dovrebbero avere delle minuzie così piccole. Il biondo ammiccò, danzando goffamente tra le sfere mentre cercava di non toccarle col corpo. Erano buffe e fastidiose, e lui era determinato a porre fine alla vita del loro creatore ad ogni costo. Fece cinque passi avanti, quasi raggiungendo Dodai, prima che una delle sfere gli si attaccò alla gamba e lo tenne saldamente fermo. Boruto sorrise, sbilenco, fingendosi stupito. Dodai impallidì nel vedere quella scena e balzò all'indietro. Si sedette in una posizione ampia con le gambe mentre la sua mano libera si alzava per togliere la benda sul suo occhio destro.

Boruto esitò quando il suo anziano avversario si tolse la benda e scoprì l'occhio celato sotto di essa. Era nero come la pece: niente iride, niente sclera, solo oscurità, come un vuoto affamato. E dal vuoto di quell’occhio venne generata una marea di lampi urlanti e famelici, scuri come il cielo notturno.

Il suo sorriso si allargò sinistramente. Ecco, questo era interessante. Il Nukenin aumentò il voltaggio della sua cappa elettrica, diventando chakra e fulmine, e si liberò dalla sfera di gomma scivolandone via senza fatica. Boruto era forte, certo, ma persino per lui era pericoloso scherzare con una Tecnica del genere. Tuttavia, era curioso di sperimentare il potere del Fulmine Nero. E questa era l’unica occasione che aveva per farlo.

Prese la sua decisione. Boruto tornò rapidamente alla sua forma fisica prima che la Scia di Fulmini potesse renderlo troppo potente. I suoi piedi caddero a terra, immobili, e un istante dopo l'ondata di fulmini e saette nere lo investì prima che potesse togliersi di mezzo. I suoi occhi si sgranarono. Il Fulmine Nero era più forte, molto più forte di quello normale, e Boruto lo osservò, affascinato, mentre una piccola parte di esso si ritrovò a penetrare nella sua cappa di chakra e sopraffare la soprannaturale resistenza elettrica del suo corpo. Poi, prima che le prime ustioni potessero iniziare a comparirgli sulla pelle, il guerriero si riscosse e si costrinse ad allontanarsi di colpo, evitando il resto della scarica. Si era fatto colpire volutamente, ma esagerare sarebbe potuto essere pericoloso persino per lui.

Dodai lo guardò con sorpresa ed un piccolo accenno di paura. Boruto poteva solo immaginare quanto fosse disumano ai suoi occhi in quella situazione. L’anziano assunse un'altra posizione ampia e Boruto attivò di nuovo il secondo livello della sua Scia di Fulmini mentre si lanciava in avanti. La seconda ondata arrivò, oscura e potente come la prima, e lui la schivò prontamente, solamente però per restare stupito quando il suo Jougan prese a pulsare all’impazzata. Con un’arrestata repentina, il giovane balzò in alto ed evitò a malapena un’inarrestabile scoppio di tuono nero che piovve dal cielo, frantumando terra, roccia e suolo. Il Nukenin trasalì, sconvolto, osservando l’attacco con stupore. Se lo avesse colpito, quel Jutsu lo avrebbe mandato direttamente a sbattere contro le mura della baraccopoli.

Boruto sorrise feralmente mentre si allontanava dalla pietra distrutta. "Interessante," esalò. Non estraneo alle Arti Oculari, la Tecnica di Dodai gli ricordava molto un'altra Tecnica che aveva già visto in passato. "Era persino più veloce dell'Amaterasu (Fiamme Nere) di Sasuke-sensei…"

Questa cosa non era da poco. Era risaputo, infatti, che il Quarto Raikage aveva perso il braccio destro a causa del padre di Sarada e del suo Amaterasu. Si diceva che le Fiamme Nere degli Uchiha bruciassero in eterno, riducendo in polvere e cenere qualsiasi cosa. Il fatto che un membro dell’ex Villaggio della Nuvola fosse riuscito ad usare una Tecnica che ne eguagliava il potere non era per niente scontato.

Boruto si raddrizzò mentre il suo chakra si attaccava all'aria, piegandosi a suo piacimento. Nella sua mente, allineò una moltitudine di percorsi, ciascuno mirante all’avversario. Dodai si era voltato, e si era sistemato in un'altra posizione di attacco mentre si preparava a usare di nuovo il suo Dojutsu (Arte oculare).

Un’altra pulsione del suo Jougan interruppe Boruto prima che potesse attaccare. Imprecando sottovoce, il giovane si ritirò ed attaccò di rimando alcuni Ninja fastidiosi che stavano prestando più attenzione alla loro lotta rispetto che all'esercito attaccante. Dodai, timoroso di colpire i suoi stessi uomini, trattenne la sua offensiva e diede a Boruto il tempo di cui aveva bisogno per ragionare. Non poteva combattere a lungo. Doveva darsi una mossa e mettere fine a questa farsa il più in fretta possibile. Se fosse rimasto per troppo tempo sul pianeta senza trattenersi, l’Hokage avrebbe potuto percepirlo e raggiungerlo come in passato. O anche Sarada e l’Eremita. Per cui, doveva essere rapido. Era qui per conquistare queste persone, non per rischiare la morte.

Una fredda chiarezza sgorgò nella sua mente quando la sua determinazione venne ritrovata. Boruto fece un respiro profondo e si tuffò di nuovo nella lotta, spogliandosi delle sue vesti mortali e diventando ancora una volta il Dio dei Fulmini. Colpì forte e veloce, e Dodai cercò inutilmente di parare i suoi colpi con le braccia, invano, anche se lingue biforcute di elettricità nera fuoriuscirono dalla sua orbita maciullata.

Poi però, prima che il Nukenin potesse ucciderlo, un colossale tentacolo di carne violacea si schiantò di fronte all’anziano e lo schermò. Boruto lo lacerò selvaggiamente con la spada, e la carne si carbonizzò e bruciò mentre versava sangue e chakra. Dall'altra parte, Dodai venne portato in salvo dall'uomo per cui Boruto aveva attaccato quest’inutile baraccopoli: il Jinchuuriki dell’Hachibi (Ottacoda), Killer Bee. E accanto a lui c'era anche una persona che i suoi occhi non vedevano da un po' di tempo: Yurui.

"Bee! Yurui! Vi avevo ordinato di restare in riserva!" ansimò Dodai.

Killer Bee sbuffò. "Ammettilo, vecchio. Non sei all'altezza di quel mostro. Lascia che ce ne occupiamo noi," disse, senza nemmeno fare la rima.

Boruto sorrise all’udire ciò, privo di emozione. “Sì, arrogante piccola bestia, arrabbiati contro il Dio dei Fulmini,” pensò.

Bee depositò Dodai a terra, e l’anziano rimase senza fiato mentre la sua mano si muoveva per coprirsi l’occhio. Sembrava, notò il biondo, che ci fosse un limite alla frequenza con cui quel vecchio poteva usare il Fulmine Nero. La forza portante dell’Hachibi sollevò l'ultima delle Sette Spade nella Nebbia non ancora in possesso di Shirou – Samehada, lo Spadone Vivente– e gli puntò contro la sua lama blu seghettata.

Boruto conosceva molte cose su quell'arma grazie alle folli divagazioni che Nagato aveva lasciato per iscritte. Libbra per libbra, Kisame Hoshigaki era stato il membro dell’Akatsuki che possedeva più chakra di qualsiasi altro. In questo, lui e Shirou erano molto simili per diversi aspetti. E Boruto sapeva che la sua migliore opzione era evitare di essere tagliato da quella spada. Non poteva rischiare sul fatto che Samehada diventasse affamata del suo chakra, né lui possedeva la natura del Fuoco che avrebbe potuto respingerla, a differenza di Shirou o Mikasa. Se voleva vincere, avrebbe dovuto combattere duramente, velocemente, con decisione e, cosa più importante, in modo più intelligente.

Perciò, Boruto sorrise. "Perché non risolviamo questa faccenda altrove, Demone?" chiese, rivolgendosi alla Forza Portante. "Combattere qui provocherebbe solamente il caos in questo campo di battaglia. E nessuno di noi due vuole danneggiare la città o uccidere i nostri stessi uomini, vero?"

Bee si bloccò dopo quella proposta. Esitò un paio di secondi a riflettere, e poi annuì. Le labbra di Boruto si contrassero nel più piccolo accenno di un sorriso. "Yurui, resta qui," ordinò Bee.

"Ma..." protestò quello.

"Resta qui," ripeté Bee. "Aiuta Dodai a porre fine alla battaglia. Gyuki ed io staremo bene da soli."

Yurui mostrò l’espressione di chi aveva appena ingoiato qualcosa di acido, ma annuì lo stesso ed aiutò il vecchio leader a ricongiungersi alla mischia. Il Nukenin non se ne preoccupò. Tutto stava andando esattamente secondo i piani. Mikasa e Sora sarebbero stati senza dubbio già informati da uno dei burattini umani di Kumo. E quei due assieme al resto dei Kara sarebbero bastati per annientare gli ultimi bastioni della resistenza mentre lui avrebbe affrontato l’Hachibi (Ottacoda).

Boruto riattivò la sua Scia di Fulmini e si precipitò via, verso il suo obiettivo. Bee lo seguì, inquietantemente veloce per un uomo senza fulmini, solenne e deciso come mai.

Ignaro, come l’idiota che era, di star giocando nel palmo della sua mano.
 


Bee era stanco. Era molto, molto stanco di combattere. Non aveva mai pensato che si sarebbe stancato delle battaglie, ma era così. La Terza Guerra Mondiale, la Quarta Guerra Mondiale, la caotica Rivoluzione che aveva attanagliato l'intero continente, e ora anche la Quinta Guerra Mondiale... era troppa morte da digerire per un uomo solo. Voleva la pace. Voleva ritirarsi sulle montagne assieme a Gyuki e scrivere rime brutte fino al resto dei suoi giorni.

Invece, sembrava che il figlio di Naruto avesse altri piani. Ora, mentre lo inseguiva, fissandogli le spalle ed osservandolo mentre indossava la stessa veste dell'Hokage... la verità davanti ai suoi occhi divenne difficile da accettare. Il mondo stava cambiando. Le forze dell’odio erano in movimento, e ormai non potevano più essere fermate. I disordini nei Villaggi, le proteste contro le Nazioni, i mutamenti dell'ideologia, l’avanzamento della tecnologia… il mondo stava cambiando. Stava avanzando, e i Ninja cercavano disperatamente di seguirlo, di tenere il passo, lottando per mantenere il proprio potere e il proprio modo di vivere.

E la colpa di tutto questo risaliva alle azioni compiute dal figlio di Naruto.

Boruto lo condusse su un altopiano a qualche miglio dalla cittadina. Il cielo era diventato scuro ormai, con nuvole grigie rabbiose che versavano lacrime e gemevano tuoni, esattamente come facevano spesso nel suo Paese natale, nella Terra dei Fulmini. Poi, il figlio di Naruto si fermò, la sua veste da Kage che si gonfiava mentre la tempesta la lambiva. Bee sollevò Samehada, la spada dello squalo, che lo schiaffeggiava mentre divorava sempre di più il suo chakra. Quello che sarebbe successo ora… non gli piaceva. Dover combattere il figlio di un suo amico, nonché Forza Portante come lui, non era un’idea molto allettante.

E mentre attendeva di iniziare, si chiese come, esattamente, le cose fossero finite per arrivare a tutto questo. Aveva sperato, in passato, che portare Boruto alle Cascate della Verità sarebbe bastato a fermarlo. Che sarebbe stata una mossa utile per influenzarlo nel suo cammino, per fargli realizzare tutto il male che si portava dentro. Semmai, invece, sembrava che il ragazzo si fosse perso ancora di più. E ora, esattamente come il cane rabbioso che era diventato, doveva essere abbattuto. Per la pace, sia nelle Nazioni Alleate che nel mondo intero, Boruto doveva morire.

"E adesso, è giunto il momento di farla finita," dichiarò Bee, facendo un misurato passo in avanti.

La faccia di Boruto si contrasse una volta, poi due. Poi, di nuovo, si aprì in un largo sorriso ferale che scopriva i denti. "Sì," sibilò. "Facciamola finita."

E in quel momento, Bee giurò che il figlio di Naruto sembrasse più un mostro che un essere umano.

La pietra sotto i suoi piedi si contorse e brillò di un colore rosso-arancio mentre un disegno si diffondeva su tutto l'altopiano roccioso. Bee si rese conto, ormai troppo tardi, che era stata una trappola. Non poteva leggere i caratteri cifrati che accompagnavano i motivi vorticosi del Sigillo, ma dentro di lui sapeva che non poteva essere niente di buono. Ma anche nonostante ciò, lui non poteva più permettersi di esitare. Doveva farla finita una volta per tutte.

Perciò, Killer Bee abbandonò le sue difese e si precipitò ad attaccare.

Non ci riuscì.

"FUUINJUTSU!" Boruto gridò al cielo, stringendo le mani davanti a sé come in preghiera. "Kēji-shin no Hashira!" (Arte dei Sigilli: Pilastro del Dio Imprigionato)

L’uomo sgranò gli occhi per l’orrore. La terra stessa si ribellò contro di lui mentre l'intero altopiano s’innalzava verso il cielo e cominciava ad inghiottirlo intero, mentre roccia dopo roccia veniva attirata al suo corpo come da una calamita, ricoprendolo senza sosta. Bee urlò, di dolore e fatica. In un istante, tutto il suo corpo fu interamente sepolto sotto una vera e propria montagna di macerie che continuava a crescere.

Era come essere colpiti ancora una volta dal Chibaku Tensei (Sfera Gravitazionale) di Nagato.

‘Bee! Scambiati con me!’ ruggì Gyuki.

L’uomo avrebbe borbottato una risposta sarcastica, ma la sua bocca era piena di terriccio e sassolini. Invece, chiuse gli occhi e si lasciò andare, lasciando che Gyuki prendesse il controllo del suo corpo e lo trasformasse per adattarlo alla Modalità Cercoterio. L’Hachibi (Ottacoda), più grande, più forte e molto più adatto a combattere contro un simile attacco, si infuriò e lottò furiosamente contro la pietra, frantumando e schiacciando vaste aree della crescente prigione attorno a lui. Tuttavia, vedendo che era inutile, il Demone eseguì rapidamente una Tecnica di sigillatura col pensiero, muovendo i suoi arti cefalopodi e scagliandoli in avanti mentre cercava di schiacciare Boruto e porre fine alla Tecnica.

Poi, le cose iniziarono ad andare storte mano a mano che sempre più pietre venivano sradicate e gettate su di esse. Le rocce si riordinarono, si rafforzarono, formando non una sfera, ma un cilindro: un pilastro, comprese Bee, come suggeriva il nome del Jutsu. Il figlio di Naruto urlò la sua furia mentre la Tecnica tendeva il suo chakra al limite, forzandolo ad attivare il Marchio sulla sua pelle. Tuttavia, Bee aveva piena fiducia nel suo amico. L’Hachibi non l’aveva mai deluso prima, e di certo non aveva intenzione di iniziare adesso. Erano sopravvissuti a Sasuke Uchiha, all'Akatsuki, alla Terza e alla Quarta Guerra Mondiale, e anche a Madara Uchiha. Non sarebbero stati sconfitti ora dal figlio di un uomo che Bee chiamava fratello.

Eppure, qualcosa non andava.

‘Bee!’ Gyuki rimase a bocca aperta. Bee poteva percepire la tensione attraverso il loro legame mentale. ‘S-Sto... Sto perdendo!’

"...Che cosa?" esalò l’uomo.

‘È... troppo forte!’ grugnì il Bijuu. Attraverso i suoi occhi, Bee vide gli arti tentacolari del Demone essere inghiottiti dalla pietra. ‘Quel moccioso... n-non può essere! Ha più chakra di me!’

"È impossibile!" esclamò Bee, stravolto. In preda al panico, iniziò inconsciamente a prestare il proprio chakra a Gyuki. Avrebbero combattuto insieme, come avevano sempre fatto, come avrebbero sempre fatto, e sarebbero scappati, proprio come avevano fatto ogni giorno della loro vita.

‘Q-Questo... sembra quasi di... combattere Kurama!’ ruggì l’Hachibi, incredulo.

L'ultima pietra dell’altopiano si sistemò addosso a loro e Bee non riuscì a sentire più alcun movimento. "Siamo intrappolati," notò inutilmente.

‘Ma non sconfitti,’ osservò Gyuki, furioso. ‘Ci ha sigillati qui, ma non ha modo di sconfiggerci o catturarci.’

Bee sentì il suo cuore iniziare a battere furiosamente. Poi, all’improvviso, udì un rombo di tuono sopra la sua testa e sentì il suo chakra pulsare nelle sue vene. I suoi occhi si sgranarono a dismisura. La comprensione di ciò che stava succedendo gli arrivò troppo tardi per poterli salvare. "N-Non è un pilastro!" gridò, in preda al panico. "È un fulmin-"

Non riuscì a terminare la frase. L'ira dei cieli squarciò il loro corpo e li abbatté, veloce come il fulmine più inarrestabile e potente come il tuono più possente. Bee e Gyuki urlarono, stravolti dal dolore, mentre il fulmine più potente, più freddo e più crudele che avessero mai percepito si abbatteva su di loro, fulminandoli e carbonizzandoli senza pietà. Continuò per un tempo che parve infinito, e poi continuò ancora, imperterrito e inflessibile, durando sempre più a lungo anche dopo che la mente di Bee era diventata bianca per l'agonia e la voce di Gyuki non si sentiva più nelle sue orecchie. Continuò, continuò e continuò, senza pietà e senza misericordia, fino a quando non rimase altro che il dolore e Bee non poté fare altro che arrendersi ad esso.

In lontananza, vedendo attraverso occhi che non sentiva come suoi, l'ultima cosa che Killer Bee vide fu una grande catena di chakra nero ed un anello con una gemma gialla puntati contro di lui.

Quindi, l’oscurità lo avvolse e lui non vide più nulla.
 


Dovevano passare tre o quattro minuti prima che potesse usare di nuovo il suo Dojutsu (Arte Oculare). Un compito decisamente arduo, pensò Dodai, considerando i suoi avversari. Era stato sulla difensiva per parecchio tempo, e di questo passo la situazione poteva solamente degenerare. Mikasa Ackerman e Sora Hikari erano degli avversari formidabili già presi da soli… per non parlare di quando lavoravano assieme. Erano inarrestabili. Dodai non poteva nemmeno osare avvicinarsi per paura di essere schiacciato in un colpo solo dal giovane o fatto a pezzi dalla ragazza. Era stato costretto a rimanere a distanza, scagliando contro quei due shuriken e Tecniche di rilascio di lava, ma senza alcun effetto.

Dall’altra parte del campo di battaglia, Yurui se la stava cavando un po' meglio. Infuriato, aveva attinto al chakra dell’Hachibi (Ottacoda) che Bee gli aveva concesso anni prima, ed era impegnato in un furioso duello con Shirou Emiya e Gray Fullbuster. I tre duellanti sembravano come titani tra le formiche sul campo di battaglia mentre combattevano fino alla morte. Ma, anche senza essere un esperto di previsioni, Dodai sapeva che il suo subordinato non aveva scampo. Shirou era un samurai impareggiabile, e Gray aveva il supporto di Juvia Lockser e Kairi Uzumaki. Le due donne lo stavano attaccando a loro volta, investendolo rispettivamente con ondate d’acqua e strane melodie ipnotiche. Di questo passo, la loro sconfitta era inevitabile.

Poi, all’improvviso, tutto quanto finì quando una figura familiare apparve dal nulla sopra il vertice di una collina vicina, incombendo sul campo di battaglia. Gli uomini di entrambe le fazioni si fermarono, fermando i combattimenti, ed alzarono gli occhi verso di lui. Poi, solo la metà di loro applaudì e lanciò urla di gioia e vittoria al cielo... e non furono i figli e le figlie della Nuvola a farlo.

Boruto Uzumaki era tornato, e questo poteva significare solo una cosa: Bee aveva perso.

Dodai riuscì a sentire perfettamente il morale degli uomini che si spezzava come se fosse stato un pannello di vetro. Per tacito accordo di tutti, la battaglia era finita.

Così, semplicemente.

E così, semplicemente, gli uomini lasciarono cadere le spade e alzarono le mani sopra la testa in segno di resa. Duelli e schermaglie finirono quando i vincitori tagliarono la gola ai perdenti e l'esercito dell'Impero si precipitò in avanti, disarmando e catturando il suo popolo.

Dodai deglutì profondamente mentre veniva circondato da Mikasa e Sora, solenni e imperiosi. Yurui, tuttavia, sembrava contento di continuare a combattere fino alla fine. Si affrettò a raggiungere il ragazzo prima che l’Organizzazione Kara potesse decidere di giustiziarlo invece di trovargli una cella umida e buia dove passare le sue giornate. Yurui era sfacciato, vero, ma era il futuro della Nuvola. Era il prossimo in linea per guidare la loro gente. E, a giudicare dall'esito della battaglia, quel momento sarebbe giunto molto prima di quel che entrambi si aspettavano.

"Smettila, ragazzo!" sibilò Dodai, afferrando Yurui per il colletto della giacca. "Abbiamo perso. Arrenditi e vivi se vuoi combattere un altro giorno."

"No! Io non..." protestò Yurui.

"Basta!" ordinò Dodai. Yurui, a malincuore, obbedì al comando, abbassando la sua spada.

Boruto si avvicinò al campo di battaglia con passo lento, un sorriso privo di emozione sulle sue labbra e uno sguardo gelido nel suo occhio sinistro. Dodai venne guidato da diversi guerrieri e ammanettato assieme al resto dei sopravvissuti dell'esercito. Alzò lo sguardo e vide uomini che scalavano le mura e salivano grandi scale mentre invadevano la città. Un attimo dopo, le grandi porte della cittadina si aprirono e ciò che restava dell'esercito, a parte le guardie che li sorvegliavano, si precipitò dentro la città.

Poi, solo il ruggito di vittoria dei nemici si udì echeggiare per chilometri e chilometri.

Era finita.

Boruto si fermò dinanzi ai prigionieri, rimanendo in cima ad una montagna di cadaveri e macerie, e dietro di lui c'era la sua Organizzazione. Un nuovo membro si unì ai loro ranghi, un membro che Dodai non aveva mai visto prima ma che tuttavia conosceva ugualmente: Mitsuki, il ricercatore dei Kara nonché Nukenin dalla Foglia.

"Mi scuso per la mia mancanza di tatto," iniziò a dire Boruto. "Immagino che pochi di voi abbiano assistito alla trasmissione del Summit. Siete un popolo ormai estraniato dal mondo, quindi non metto contro di voi la vostra mancanza di conoscenza. Per chi non mi conoscesse, io sono Boruto Uzumaki, il Primo Kurokage sovrano dell'Impero Shinobi Unito."

Mormorii di indignazione e paura echeggiarono tra i prigionieri.

"Tuttavia non sono vostro nemico," continuò a dire il biondo, solenne. "Sono un campione del popolo. Non sono un mostro e non mi piace essere crudele. Se vi inginocchierete davanti a me e giurerete di servimi, allora sarete salvi. Se non lo farete, invece... allora verrete giustiziati. A voi la scelta."

Dodai strinse i denti e raddrizzò la schiena, così come, notò, molti altri uomini che avevano combattuto valorosamente al suo fianco. Alcuni, non più di una manciata, si inginocchiarono immediatamente. Passarono alcuni istanti e solamente altri due o tre uomini si unirono a loro prima che il silenzio regnasse sovrano.

"Capisco," intonò Boruto. "Molto bene. Dodai della Nuvola, fatti avanti."

Dodai chiuse gli occhi e prese fiato prima di obbedire. Fu avvicinato da diversi soldati e si lasciò trascinare in avanti. Aveva accettato il suo destino. Da sconfitto, sapeva cosa gli sarebbe successo. Quando il comandante di un esercito perdeva una battaglia, doveva essere giustiziato. Era il modo di fare del loro popolo.

"No! Aspettate!"

Il panico sbocciò nel petto di Dodai quando Yurui gridò in segno di protesta e si fece avanti minaccioso. "Se hai intenzione di ucciderlo, dovrai uccidere anche me!" urlò, sfidando il Kurokage con gli occhi.

Dodai lo raggiunse con lo sguardo. "Stupido moccioso!" sibilò. "Inginocchiati e vivi per combattere un altro giorno! Sei l'unica speranza che la Nuvola ci ha lasciato! Se morirai, la Nuvola morirà con te!"

Yurui sembrò colto alla sprovvista dalla sua rabbia e, per una volta, Dodai sperò e pregò che le sue parole potessero raggiungere il cuore di quel ragazzo testardo. "Tu sei il nostro futuro ora, Yurui. Pregherò affinché tu abbia più fortuna di me," disse.

Dodai guardò mentre i soldati lo trascinavano via e Yurui, per fortuna, cadeva misericordiosamente in ginocchio. Seguendo il suo esempio, molti altri uomini si inginocchiarono. Dodai tirò un sospiro di sollievo, prima di essere portato davanti al Kurokage.

Boruto lo fissò col suo occhio azzurro privo di emozione. "Come Unica Ombra, sovrano su tutti gli altri Kage… per i tuoi crimini contro l'Impero e la Pace, io ti condanno a morte, Dodai," intonò, con la finalità della Morte stessa.

L’anziano deglutì ed alzò il mento in segno di sfida.

Boruto annuì e guardò di lato. "Mitsuki, mostra loro il tuo animaletto domestico," disse casualmente.

Il ragazzo in questione, Mitsuki, si fece avanti con un sorriso beffardo. Era alto, bianco e pallido, e la sua pelle risaltava sinistramente nella veste scura dell’Organizzazione Kara. Osservò Dodai con un paio di occhi gialli indecifrabili per alcuni secondi, prima di sorridere e chiudere gli occhi. La sua attaccatura dei capelli iniziò a fluttuare, e il suo chakra prese ad agitarsi minacciosamente. Poi, all’improvviso, la sua pelle si increspò e bruciò, subendo una trasformazione non dissimile a quella di Bee, e Dodai non poté fare altro che restare a bocca aperta mentre, dopo appena due secondi, i suoi occhi si ritrovarono a fissare le fauci di un orrore indicibile uscito direttamente delle profondità del mare.

Poi, l’anziano leader della Nuvola urlò mentre una scia di tentacoli lo trascinavano dentro all'abisso, dove la creatura digrignò i denti e lo fece a pezzi.

Tutti quanti si inginocchiarono dopo la sua morte.
 


.

.
 


11 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
20:39

Naruto guardò, impotente, mentre il telegiornale trasmetteva un'altra terribile dimostrazione della crudeltà di suo figlio. Aveva pensato di averlo percepito brevemente qualche ora prima, ma per la sicurezza della Foglia aveva ignorato quella sensazione dopo che era passata rapidamente. Ora, vedendo quello che era successo, Naruto desiderò ardentemente di non averlo fatto.

File su file di ex Shinobi della Nuvola erano in ginocchio davanti alla telecamera. Erano contusi, insanguinati e feriti, il loro spirito completamente spezzato.

E, tra di loro, c'era anche Bee.

"In quanto nemici dell'Impero, questi uomini saranno giustiziati pubblicamente," intonò Boruto, solenne e deciso come sempre. "E per scoraggiare future resistenze, le loro morti saranno trasmesse in diretta al mondo intero."

Il Settimo Hokage non riuscì a trattenere le sue lacrime.

"Naruto!" esclamò Shikamaru, afferrandolo per la spalla e sporgendosi in avanti.

"Cosa? Cosa?!" ruggì quello, trasalendo fuori dal dolore solo quando si rese conto che il Nara stava indicando senza parole lo schermo.

"Guarda attentamente!" sussurrò Shikamaru, indicando una montagna a caso sullo sfondo del filmato.

"Io non... Shikamaru, non capisco," disse Naruto.

Il Nara sorrise vittoriosamente. "Quella montagna! Non la riconosci? Guarda la cima!" esclamò.

Naruto lo fece e dovette ammettere che sembrava un po' strana. "Che cos’è?"

Shikamaru gli strinse la spalla. "Quella è la parte posteriore del monte Akiyama! È stata danneggiata durante l'eruzione di tre anni fa!" esclamò. I suoi occhi neri incontrarono quelli azzurri del biondo. "La Terra delle Cascate! È lì che vengono tenuti i prigionieri!"

Naruto ammiccò con le palpebre, prima di trasalire fisicamente con tutto il corpo.

Il suo consigliere lo guardò con uno sguardo deciso. “Possiamo andare a salvarli, Naruto!”

Il Settimo Hokage fece un ampio sorriso.
 


11 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto del Clan Nara
21:15

Natsuki sbadigliò pesantemente mentre tornava lentamente a casa, barcollando sulle gambe. Era stato un lungo turno quello di oggi. Ma, in effetti, c’era da aspettarselo. I turni erano sempre più lunghi quando l'Hokage lasciava il Villaggio. Natsuki non sapeva cosa stessero facendo il Settimo Hokage e gli altri ufficiali di alto rango della Foglia per doversi alzare ed andarsene così in fretta e in furia… ma era pronta a giurare che ci fosse lo zampino di Boruto Uzumaki. Se c’era una persona che poteva spingere il Settimo a lasciare Konoha e a partire alla caccia, lasciando quell'erede incompetente del clan Sarutobi al comando del Villaggio… allora quella persona era il suo figlio reietto. Non aveva dubbi su questo.

Ma, di nuovo, lei era solo un ANBU e non l'Hokage. Per lei andava benissimo. Dopotutto, Natsuki era Orso, l’agente senior della forza elitaria di spie e assassini più potente del continente. Ed era anche sulla buona strada per diventare Comandante, ora che Sarada si era più o meno ‘ritirata’ dalle scene per andare a combattere sul fronte.

La ragazza sospirò, aprendo la porta della casa della sua famiglia ed entrando prima di togliersi gli stivali. "Mamma? Papà? Sono a casa," salutò.

La risposta non tardò ad arrivare. "Natsuki!" sentì sua sorella minore gridare con gioia mentre le volava addosso.

La ragazza rise mentre Izumi si avvolgeva intorno alle sue gambe e si rifiutava di lasciarla andare, tenendola stretta con le braccia. "Cosa hai combinato oggi, piccola?" chiese affettuosamente, accarezzandole la testa.

"Oh, oh!" ridacchiò Izumi, eccitata, lasciandola andare e saltando su e giù con le sue gambette. "Devi venire con me, sorellona! Mi sono fatta un nuovo amico!"

Natsuki rise affettuosamente. "Oh? Chi?" domandò.

"Dai, dai! Te lo faccio vedere!" esclamò la bambina, trascinandola con sé con una mano.

Natsuki ridacchiò mentre la sua sorellina la conduceva fuori, spingendola verso uno dei tanti cortili del distretto Nara. Nonostante fosse ormai quasi notte fonda, i bambini brulicavano per le strade, ma non era uno spettacolo strano. Anzi, era una cosa comune. Era soltanto di sera, infatti, che i piccoli del clan venivano rilasciati dalla scuola, dall'Accademia o dalla tutela delle loro famiglie. Era il loro momento di gioco prima di andare a letto. Izumi la condusse in un parco giochi dove molti dei suoi amici stavano giocando tutti assieme.

E, tra di loro, c'era una persona che Natsuki sapeva non avrebbe mai più dovuto mettere piede nella Foglia.

Eppure, non appena la vide, il terrore più oscuro e raccapricciante di sempre le esplose prepotentemente dentro al cuore.

Nastuki Nara trattenne il fiato con orrore.

Boruto Uzumaki se ne stava seduto a terra, ridendo, mentre aiutava sua sorella e tanti altri bambini a costruire un castello di sabbia in mezzo al parco. Si accorse del suo arrivo, sorrise, e si alzò per spolverarsi la sabbia dai pantaloni. Assieme a lui, alle sue spalle, con un'aria cupa, arrabbiata e triste allo stesso tempo, c'era anche Lucy Heartphilia.

Natsuki sentì ogni muscolo del suo corpo tremare quando quei due le si avvicinarono.

Boruto le sfoggiò un sorriso beffardo. "Ti avevo fatto una promessa, no?"
 
 









 

Note dell’autore!!!

Salve gente! Come promesso, ecco a voi il capitolo.

Niente da aggiungere questa volta. La crudeltà di Boruto ormai è scontata per me. Killer Bee ci lascia le penne e Gyuki viene catturato a sua volta. Se credevate che Boruto avrebbe rispettato l’ordine numerico per catturare i Demoni, in base alle code, beh… vi sbagliavate. Lui combatte per vincere, non per fare scena.

Il prossimo capitolo sarà piuttosto oscuro, vi avverto già da adesso. In esso, accadranno diverse cose che saranno importantissime per lo svolgimento della trama. Tra di esse, la promessa appena accennata qui sopra. Boruto aveva fatto una promessa a Natsuki – l’agente Orso – durante la sua prigionia nella Foglia, ed è intenzionato a mantenerla per vendicarsi della morte di Shizuma. Per chi di voi se la ricorda… sapete già cosa succederà. E no, non sarà piacevole.

Il resto non posso dirvelo, ma sappiate che accadrà dell'altro che potrebbe lasciarvi perplessi. Tutte le vostre domande (perché Boruto ha ucciso pubblicamente i suoi nemici, come ha fatto a raggiungere la Foglia così presto e senza farsi scoprire, etc...) avranno risposta nella prossima  puntata.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Se ci sono errori nel capitolo vi prego di farmeli notare così da poterli correggere. Grazie a tutti!

A presto!

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Capitolo 31
*** Vendetta (2) ***


VENDETTA (2)






ANIMAL I HAVE BECOME
(Three Days Grace)
 
I can't escape this Hell,
So many times I've tried,
But I'm still caged inside.
Somebody get me through this nightmare,
I can't control myself!
 
So what if you can see the darkest side of me?
No one would ever change this animal I have become!
Help me believe it's not the real me!
Somebody help me tame this animal!

I can't escape myself,
So many times I've lied,
But there's still rage inside.
Somebody get me through this nightmare,
I can't control myself!
 
So what if you can see the darkest side of me?
No one would ever change this animal I have become!
Help me believe it's not the real me!
Somebody help me tame
This animal I have become!
Help me believe it's not the real me!
Somebody help me tame this animal!
 
Somebody help me through this nightmare,
I can't control myself!
Somebody wake me from this nightmare,
I can't escape this Hell!
 
So what if you can see the darkest side of me?
No one will ever change this animal I have become!
Help me believe it's not the real me!
Somebody help me tame
This animal I have become!
And we believe it's not the real me!
Somebody help me tame this animal!

This animal I have become!
Non posso sfuggire a questo Inferno,
Ci ho provato così tante volte,
Ma mi sento ancora ingabbiato dentro.
Qualcuno mi aiuti a superare quest’incubo,
Non riesco a controllarmi!
 
Che importa se riesci a vedere il lato più oscuro di me?
Nessuno riuscirà a cambiare l’animale che sono diventato!
Aiutami a credere che non sono realmente io!
Qualcuno mi aiuti a fermare questo animale!

Non posso sfuggire a me stesso,
Ho mentito così tante volte,
Ma c’è ancora rabbia dentro di me.
Qualcuno mi aiuti a superare quest’incubo,
Non riesco a controllarmi!
 
Che importa se riesci a vedere il lato più oscuro di me?
Nessuno riuscirà a cambiare l’animale che sono diventato!
Aiutami a credere che non sono realmente io!
Qualcuno mi aiuti a fermare
Questo animale che sono diventato!
Aiutami a credere che non sono realmente io!
Qualcuno mi aiuti a fermare questo animale!
 
Qualcuno mi aiuti a superare quest’incubo,
Non riesco a controllarmi!
Qualcuno mi svegli da quest’incubo,
Non posso sfuggire a quest’Inferno!
 
Che importa se riesci a vedere il lato più oscuro di me?
Nessuno riuscirà a cambiare l’animale che sono diventato!
Aiutami a credere che non sono realmente io!
Qualcuno mi aiuti a fermare
Questo animale che sono diventato!
E noi crediamo che non sia il vero me!
Qualcuno mi aiuti a fermare questo animale!

Questo animale che sono diventato!
 

 


11 Gennaio, 0022 AIT
Terra delle Cascate
Confine Occidentale della Catena Montuosa Akiyama
21:15

Naruto colpì la porta blindata rinforzata dal Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) all'ingresso della montagna con una forza cataclismica. I sigilli lampeggiarono pericolosamente per un momento, prima che la sua forza li distruggesse e la pietra si frantumasse. I suoi Ninja si precipitarono dietro di lui mentre avanzava a passo rapido e furioso, assalendo la base operativa della Rivoluzione. Ci erano volute alcune ore e un’incredibile quantità di segretezza per localizzare questa base dopo aver appreso della sua vicinanza al Monte Akiyama. Lasciare il Villaggio in fretta e furia era stata una mossa azzardata, ma una che non potevano permettersi di evitare. Non con tutte quelle vite innocenti messe in pericolo per colpa di Boruto. Andavano salvate ad ogni costo il più in fretta possibile.

Le prime guardie, vestite con maschere bianche senza lineamenti e un'armatura nera, alzarono lo sguardo sorprese e gridarono l’allarme. Naruto mise immediatamente fuori combattimento la prima e Sentoki bloccò a sua volta la seconda prima che potesse gridare, mentre l'ombra di Shikamaru la intrappolava. Da lì, il lavoro fu relativamente semplice, ciò a cui erano stati addestrati i suoi ANBU. Attraversarono la base in silenzio, uccidendo e disabilitando le guardie senza farsi notare, facendosi strada sempre più in profondità nel complesso. Naruto tenne i sensi estremamente all’erta nel tentativo di percepire Boruto e il suo gruppo di rivoluzionari. Non vide traccia della loro presenza, né empatica né sensoriale, e nemmeno Kurama percepì alcuna delle emozioni negative di Boruto e i Kara.

Insomma... era facile. Troppo facile. E questa cosa non gli piaceva.

"Qualcosa non va," Shikamaru espresse i pensieri di Naruto ad alta voce. "Quest’infiltrazione è troppo facile per una base operativa. Potrei comprendere se fosse una semplice prigione, forse, o un rifugio, ma non una base ufficiale."

L’Hokage annuì pigramente mentre proseguivano sempre più in profondità nelle viscere della montagna. Alla fine, trovarono finalmente la prigione. Un lungo corridoio punteggiato di celle che ricordavano stranamente quella in cui Boruto stesso era stato rinchiuso durante la sua prigionia. Alcune celle contenevano diversi Ninja della Nuvola, ammaccati e insanguinati. Altre recludevano nobili pomposi e terrorizzati, ancora vestiti con i loro abiti eleganti. L'unica cella a cui Naruto era interessato, tuttavia, si trovava proprio alla fine della struttura. Al suo interno, il vecchio Dodai, Bee e Yurui erano tenuti prigionieri. Imbavagliati e legati in manette che brillavano di chakra rosso-arancio, con una scrittura fluida e vorticosa. Dodai e Bee erano privi di sensi, mentre Yurui lo fissava con occhi sgranati, ricolmi di sollievo e terrore in egual misura.

Naruto mise a coppa una mano e formò un Rasengan che compresse una quantità considerevole del suo potere in una sfera non più grande del suo pugno. Yurui chiuse gli occhi e distolse lo sguardo. Il biondo sbatté il Rasengan contro la barriera. Quest’ultima resistette per un brevissimo istante, gonfiandosi verso l'interno mentre lottava debolmente contro il potere travolgente del Kyuubi (Enneacoda), prima di andare completamente in frantumi. Naruto si precipitò dentro, andando rapidamente da Yurui.

"Non sareste dovuto venire, Hokage!" esclamò immediatamente il giovane mentre il bavaglio gli veniva rimosso. "È una trappola!"

Il biondo s’irrigidì. "Che cosa?!" chiese duramente.

"Naruto," lo richiamò allo stesso tempo Shikamaru, una mano appoggiata sulla sua spalla.

Il Settimo si voltò di scatto, alzando lo sguardo negli occhi tristi e ombrosi di Shikamaru. Il suo amico e consigliere inclinò la testa verso gli altri prigionieri. Uno strano uomo che Naruto non aveva mai incontrato sedeva ora al posto di Dodai, la sua faccia bloccata nel rigore della morte, mentre Killer Bee sedeva accasciato contro una parete.

"Sono... morti, Naruto," lo informò tristemente Shikamaru.

Una sensazione di freddo e gelo gli pervase le vene all’udire ciò. Naruto si precipitò in avanti, inginocchiandosi davanti a Bee, l'uomo che aveva insegnato a lui e Kurama cosa significava essere una vera Forza Portante. Sentì i suoi occhi iniziare a prudere, ignorando il ringhio rabbioso della Volpe nella sua mente. La sua mano toccò il collo del suo vecchio amico, la pelle fredda e rigida, e Naruto sapeva che non avrebbe trovato un battito neanche se lo avesse cercato disperatamente.

Qualcosa di freddo e orripilante gli strinse il cuore in una morsa a quella visione. "Shikamaru," disse alla fine, gravemente. "N-Noi... non abbiamo lasciato un clone nella Foglia."

Quella dichiarazione venne accolta dal silenzio. Questo, questo era un problema. Non appena aveva visto Bee, uno dei suoi più vecchi amici, una persona che ammirava da anni, catturato da suo figlio e destinato all'esecuzione... il panico più totale lo aveva assalito. Lo aveva accecato. Lo aveva costretto a precipitarsi subito in azione, di nuovo, ignorando i pericoli e le conseguenze delle sue azioni. Era… stato un allocco.

"Ma perché, però?" pensò Shikamaru ad alta voce, parlando a bassa voce. "Per quale motivo Boruto ha voluto attirarci qui? Non ha senso. Le nostre spie hanno controllato la base alla ricerca di esplosivi prima ancora che vi entrassimo, e tuo figlio non ha motivo di attirarci lontano dalla Foglia. Non c'è niente lì per lui. Forse un altro obiettivo? Un’opportunità per catturare un altro Bijuu? Il Rokubi (Esacoda) e il Nanabi (Eptacoda) sono ancora ben sorvegliati. Cos'altro potrebbe... "

Shikamaru tacque e Naruto distolse lo sguardo da Bee. I loro occhi caddero su Sentoki. Il monaco era terribilmente impallidito, la sua pelle divenuta di un bianco latteo, con gli occhi spalancati e le labbra aperte in un sussulto di orrore. "Vendetta," sussurrò Sentoki. "Boruto vuole vendetta. Per la morte di Shizuma Hoshigaki. E..."

"E, cosa?" insistette Naruto. "E, cosa?"

"E…" Shikamaru deglutì a fatica. "Shikadai si è preso la colpa."
 


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MASSACRO DEL CLAN NARA

11 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto del Clan Nara
21:19

 
Boruto vide "Orso" tremare pateticamente alla sua vista, spingendolo quasi a ridere di gusto. Per essere un membro degli ANBU, non aveva molta spina dorsale. Non come i suoi agenti più grandi. E in verità, se doveva essere sincero, persino lui si era quasi completamente dimenticato di quella ragazza. Era stata solo una scintilla di giustizia poetica il fatto che si fosse ricordato del giuramento rabbioso che le aveva fatto nel momento in cui era stato emotivamente più vulnerabile, diversi anni prima. Ma adesso, la cosa era andata a suo vantaggio. Così poteva prendere due piccioni con una fava, come si suol dire.

Ora Lucy avrebbe avuto la sua vendetta e Boruto avrebbe potuto rimuoversi per sempre quella costante spina nel fianco rappresentata dal clan Nara. E, allo stesso tempo, vedere fino a che punto poteva spingere la sua nuova ‘allieva’.

L’agente Orso schiuse le labbra – per gridare un avvertimento, realizzò il biondo – e Boruto scosse la testa, schioccando la lingua. "Ah, Ah, Orso," la rimproverò. "Urlare non ti servirebbe a niente. Vedi, abbiamo una finestra di opportunità molto stretta. Ho fatto in modo che le guardie che pattugliano questo settore della città siano convenientemente indisposte, mentre una barriera impedisce a chiunque di entrare o uscire. Nessuno potrebbe sentirti. Sai, la sicurezza dovrebbe essere una priorità più alta in questo Villaggio. C'è stato un tempo in cui questa città era un decimo delle dimensioni attuali eppure non si poteva entrare o uscire senza essere perquisiti da ben tre serie di pattuglie diverse. Immagino che siano questi i rischi della globalizzazione…"

Onestamente però, la sua presenza qui era stata più un colpo di fortuna che un caso di scarsa sicurezza. Se suo padre avesse combattuto col cervello e non con il cuore, allora lui non sarebbe mai stato in grado di intrufolarsi nella Foglia, indipendentemente dalle spie e dalle falle di sicurezza. Ma non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, certo.

I denti della ragazza si serrarono mentre chiudeva la bocca di scatto. Orso tremò, pallida e ansimante, ma sembrò comunque trovare un minimo di coraggio mentre le sue sopracciglia si restringevano e i suoi occhi si indurivano. "Non riesco proprio a capire come faccia Sarada ad amare un mostro come te," sputò sprezzantemente.

Boruto sorrise, un sorriso freddo e privo di emozione. Davanti a quella scena, la sorellina dell’ANBU iniziò a rendersi conto che qualcosa non andava. "Sorellona?" la bambina tirò la manica della sorella. "Cosa c'è che non va?"

La ragazza sembrò appassire come un morto mentre la osservava. "N-Non c'è niente che non va, Izumi," soffocò Orso, sudando copiosamente. "Solo... vai a casa, okay? Fallo per me? Vedi se mamma e papà sono già tornati… e ​​porta i tuoi amici con te, okay?"

"Okay!" concordò Izumi, sembrando felice di potersi rendere utile. Si precipitò via trotterellando, trascinando con sé la sua orda di amici, e Boruto li guardò allontanarsi in silenzio.

"Devo ammetterlo," disse con uno sguardo triste. "Ti compatisco. Essendo anch'io un fratello maggiore, quello che sta per succedere a te e al tuo clan mi ferirà tanto quanto ferirà te."

Natsuki ricacciò indietro le lacrime questa volta. "Non riuscirai mai a cavartela dopo questo!" sbottò duramente.

Il Nukenin la guardò con sufficienza. "Lo vedremo," disse di rimando. Poi si voltò con la testa verso la sua amica. "Lucy, vai," comandò.

Quando vide che non ci fu nessuna esplosione, Boruto si accigliò. Lucy sembrava combattuta e indecisa. E questo non andava bene. "Avanti, Lucy," la richiamò. "Non è questo quello che volevi? Vendetta? Eccotela. Questo è ciò per cui ti sei allenata fino ad ora."

"Non ho intenzione di uccidere dei bambini, Boruto," disse la ragazza a denti stretti. "Soprattutto non quelli con sorelle. Non è per questo che sono venuta qui."

Boruto sospirò. Di tutte le volte in cui poteva farsi crescere una coscienza doveva scegliere proprio la peggiore. "Ti ho detto prima di ignorare i bambini," ripeté. "Concentrati sugli adulti. Un Nara morto vale tanto quanto un altro."

"No! Non farlo!" pianse emotivamente l’agente Orso. "Non devi farlo! Non ascoltarlo!"

Boruto alzò gli occhi al cielo e si voltò verso l’ANBU, allungando una mano e scatenando una scarica di elettricità stridente che fece crollare la ragazza a terra per il dolore mentre la sua pelle si scuriva e si carbonizzava lentamente. Orso urlò freneticamente, contorcendosi come un animale scosso dalle convulsioni.

"Queste persone non hanno ucciso il mio amico, Boruto," disse ancora Lucy in modo uniforme.

"Certo che no," sospirò il Nukenin. "Ma non è importante. Ciò che è importante è che queste persone sono importanti per l'uomo che ha ucciso Shizuma. Non possiamo arrivare a Shikadai, Lucy. Almeno, non mentre è con Sarada e mia sorella. È troppo ben sorvegliato. Quindi, per poterlo toccare, dobbiamo prima procurarci un’esca adatta. E qui ce n’è una in particolare che fa proprio al caso nostro. Questo è quanto."

"No!" urlò a denti stretti Orso. Boruto la ignorò e continuò a fulminarla.

"Questo non spiega perché vuoi che uccida anche gli altri," fece notare la bionda.

Boruto sbuffò. Onestamente, certe persone erano letteralmente incapaci di condurre una Guerra Mondiale. "Perché i Nara sono pericolosi,” rispose. “La loro intelligenza genetica e le loro Tecniche generano Ninja superiori alla norma. Ninja pericolosi. Sono una minaccia per l'Impero. La loro morte assicurerà che nessun altro Nara possa nascere per sfidarci. E per tirare fuori l'esca di cui abbiamo bisogno per Shikadai, dovremo sporcarci un po' le mani. La moglie del capo di un clan è una cosa molto preziosa, sai?"

La realizzazione sembrò finalmente sorgere in Lucy dopo quelle parole. Un fuoco ardente e feroce si accese nei suoi occhi. Boruto sorrise. "Distruggi il clan Nara, Lucy," ordinò. "E cattura Temari Nara. Poi avremo finito qui."

La bionda gli lanciò un sorriso ferale mentre si voltava verso la casa più vicina e schioccava le dita. L’intero edificio esplose subito dopo, generando uno scoppio di fuoco e fiamme immenso. Schegge di legno e frammenti di metallo iniziarono a piovere addosso ad ogni cosa, ed un fuoco scoppiettante iniziò a divorare il cratere dove si trovava fino a poco prima la casa. Diverse urla risuonarono allarmate, e un uomo inciampò tra le macerie della casa. Si tenne il braccio chiaramente rotto mentre avanzava barcollando, sanguinando copiosamente dalla testa, prima che Lucy lo individuasse e lo finisse.

Natsuki gorgogliava sotto il suo tormento e Boruto interruppe misericordiosamente il flusso di elettricità. La lasciò sfregiata, fumante, spezzata dall’agonia, e poi si inginocchiò in modo da poterla fissare negli occhi. "Adesso," disse. "Credo che avessimo un accordo, tu ed io. Ti va di onorarlo?"

Orso gemette di dolore e tentò di allontanarsi debolmente da lui, invano. "La persona più importante per te… è tua sorella, vero?" continuò lui. L'odio e il terrore che vide riflesso nei suoi occhi bastò a rispondergli alla domanda. "Capisco," annuì, incollandole un foglietto bianco sulla pancia. "Non lo rimuoverei, se fossi in te. Farebbe una bella esplosione. E dal momento che sei… beh, incapace di camminare in questo momento, dovrò insistere affinché tu rimanga qui mentre io mantengo la mia parte della promessa."

Natsuki gli lanciò contro qualche parola inintelligibile che si andò a perdere tra le convulsioni e i suoni delle esplosioni rimbombanti e delle urla echeggianti. Boruto aggrottò la fronte, alzando lo sguardo e fissando la barriera che circondava il distretto del clan Nara. Dato che non era stata ancora invasa dalle guardie della Foglia, pensò che stesse assolvendo il suo scopo in modo irremovibile. Comunque, era meglio essere veloci. Boruto non era venuto qui per fare una lotta, ma per compiere un massacro. "Tornerò," disse, guardando Natsuki con la coda dell’occhio. Le sorrise velenosamente. "Non andare da nessuna parte."

Il giovane Uzumaki serpeggiò per le strade in fiamme del clan Nara. Osservò, freddo e solenne, mentre la sua amica continuava a generare esplosioni su esplosioni tutt’intorno a lui. Vide case crollare, edifici esplodere, e gente morire in meno di un battito di ciglia. Le urla terrorizzate della gente risuonarono ininterrottamente, superando il frastuono degli scoppi e dei crolli devastanti. Poi, dopo meno di tre minuti, l’intero distretto era andato completamente a fuoco, avvolto in fiamme e fumo.

Ma il ninja traditore non se ne curò. Incontrò finalmente i primi segni di resistenza, un gruppo di vecchi membri del clan brizzolati e vestiti con la casacca da Jonin. Lo avvistarono, ammiccando increduli le palpebre, e poi urlarono terrorizzati mentre li abbatteva con facilità. Mentre camminava, incollava etichette esplosive sui muri di case e negozi. Erano a basso rendimento, silenziose, concentrate sul causare distruzione piuttosto che vampate di fuoco. Perfette per distruggere furtivamente un intero clan.

Il gruppo successivo che incontrò fu un branco di Nara che vagava per le strade come cani selvaggi, alcuni uomini – alcuni Ninja, altri no – che guidavano un treno di mogli e figli in lacrime. Combatterono come solo un animale ferito e messo alle strette poteva, inutilmente, mentre Boruto accorciava rapidamente e misericordiosamente le loro vite. I bambini singhiozzavano mentre i loro genitori giacevano morti davanti a lui. Non riuscirono a scappare. Non riuscirono nemmeno a combattere. Rimasero semplicemente lì, impietriti, a piangere e singhiozzare. Boruto li osservò, freddo e distaccato. Poi alzò una mano per finirli… ed esitò.

Una roccia – a malapena un sassolino, in realtà – rimbalzò sul suo cranio. Il Nukenin aggrottò la fronte quando sentì un filo sangue scorrere lungo la sua tempia mentre fissava il moccioso Nara che gli aveva lanciato la pietra. Nei suoi occhi, Boruto poteva vedere la sfida, poteva vedere l'odio, e poteva vedere l'ardente desiderio di vendetta oscurato da un'intelligenza acuta e malevola. Questo, si ricordò il guerriero, era il motivo per cui il clan Nara era pericoloso.

E fu proprio per questo che mise fine alla vita di quei bambini in un batter d'occhio, prima di voltarsi e farsi strada sempre più in profondità nel complesso.

Poi, Boruto si fermò quando vide un gruppo di membri del clan Nara riuniti davanti al muro invisibile della sua barriera. Lo stavano picchiando con pugni e calci, cercando inutilmente di abbatterlo con la sola forza dei muscoli. Alcuni, addirittura, erano inginocchiati davanti alla barriera, intenti a scarabocchiare caratteri di Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) che a Boruto ricordarono quasi le tracce che lasciavano gli animali nella foresta. Un sorriso privo di vita gli incurvò le labbra a quella visione. Non poteva lasciar passare la loro fuga. Anche loro combatterono inutilmente. Coraggiosamente, anche.

E anche loro morirono come tutti gli altri.

Boruto trovò finalmente quello che stava cercando quando si imbatté nella casa di famiglia dell’agente Orso. Izumi, la sua sorellina, e le sue amiche erano rannicchiate all'interno, terrorizzate a morte mentre si nascondevano dalle esplosioni che stavano distruggendo il loro clan e le loro case. Boruto esitò, prese fiato con un respiro profondo, e poi scagliò un kunai tra il loro gruppo. L'etichetta esplosiva che si trascinava dietro di esso esplose in una nuvola di gas sonnifero che rese i bambini incoscienti in un batter d’occhio. Il Nukenin li raggiunse, si mise gentilmente Izumi in braccio, ed incollò un'etichetta esplosiva su un muro prima di andarsene e tornare verso la piazza principale.

E quando fu abbastanza lontano, con una sua mera contrazione delle dita, la casa e tutte le piccole anime racchiuse al suo interno saltarono in aria in un battito di ciglia.

Intanto, fu contento di vedere, Lucy si era completamente persa nel caos e nell’ebrezza della distruzione e aveva abbracciato appieno la sua vendetta. La foresta del clan Nara stava bruciando, ed un denso fumo nero aleggiava imperterrito verso il cielo. Boruto assottigliò il suo occhio sinistro, sperando ancora una volta che la sua barriera potesse impedire a chiunque all’esterno di notare il trambusto prima che la missione fosse finita. Cervi ed uccelli in preda al panico fuggirono dalla foresta e si precipitarono nelle strade, solamente per ritrovarsi calpestati dei membri terrorizzati del clan Nara, storditi dalle loro urla ed uccisi dai fuochi scoppiettanti.

Boruto affettò un’altra ventina di persone mentre tornava alla piazza dove aveva lasciato Natsuki. Si era mossa di pochi metri strisciando nel terreno, cercando penosamente di inseguirlo. Boruto sorrise ironicamente e scosse la testa. Poteva ammirare la sua determinazione, in un certo senso. Orso fece un rumore soffocato e spaventato quando lo vide avvicinarsi. Mettendo a terra la bambina addormentata, Natsuki prese rapidamente sua sorella tra le braccia e la tenne stretta.

"Allora, Orso, hai deciso come finiremo il nostro accordo?" le chiese Boruto. “Posso farlo io, se vuoi, oppure tu. Entrambe le opzioni finiscono nella stessa maniera. L’unica differenza è la quantità di dolore e tempo che la piccola dovrà subire prima di perdere la vita.”

L’agente Orso lo guardò, disperata e in lacrime, una supplica senza parole sulle sue labbra. Lui la guardò di rimando, la sua espressione sadica e crudele. "Tu mi hai chiamato mostro, e le parole hanno un peso, sai? Le mie molto più delle tue. Perciò, tentare di supplicarmi è inutile. Manterrò la mia promessa, come ho sempre fatto. In questo modo, forse ci penserai due volte prima di insultare qualcuno nella tua prossima vita," le rammentò velenosamente, incurante.

Natsuki singhiozzò e tenne stretta a sé sua sorella. "Mi dispiace," sussurrò, cullandosi la testa della piccina contro il petto. "Mi dispiace tanto, Izumi. Non ho potuto proteggerti. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispia…"

Andò avanti a ripetere scuse e pianti per diversi secondi. Poi, senza più esitare né smettere di piangere, la ragazza passò una mano tremante sul collo della bambina, inviandole un getto invisibile di chakra nel sistema. La sua piccola testolina ebbe un fremito, prima di crollare di lato e spirare silenziosamente. Era morta prima ancora di potersi rendere conto di qualsiasi cosa.

L’agente Orso gridò. Gridò, pianse e si disperò per minuti e minuti, cullando disperatamente tra le braccia il corpo esanime di sua sorella. Una sorella morta. Una sorella che era stata costretta ad uccidere per colpa sua. Pianse, pianse e pianse, chiedendo freneticamente scusa, come un mantra, e battendosi furiosamente la testa al suolo. Alla fine, il suono dei suoi singhiozzi andò a formare un rantolo costante in mezzo a quel mare di urla, esplosioni e grida terrorizzate.

Il Nukenin osservò quella scena andare avanti per diverse decine di secondi. Poi, alla fine, sorrise. "Bene," dichiarò. "Posso onestamente dire che non mi aspettavo che fossi abbastanza crudele da uccidere tua sorella. Tuttavia non mi stupisce. Sei comunque un ANBU, e sei stata addestrata a compiere qualsiasi ordine. Ma sembra che non ti abbiano mai insegnato a non schernire una persona quando non si ha il potere e le conoscenze necessarie a tenerle testa. Quindi... direi che te lo sei meritato."

Natsuki tremolò, per la rabbia, il dolore o la disperazione. Non c’era modo di dirlo. Tuttavia, Boruto inarcò un sopracciglio quando vide una mano della ragazza che si avvolgeva attorno al suo stivale, tenendolo fermo. Natsuki lo fissò con il fuoco negli occhi e l'odio nel cuore. "Muori, fottuto mostro senza cuore!" urlò.

Poi, la ragazza fece qualcosa di molto, molto stupido.

Si strappò via l'etichetta esplosiva dallo stomaco.

L’Uzumaki sgranò gli occhi. Il mondo venne dipinto di un bianco accecante solo per un istante, prima che un'esplosione immensa scuotesse la piazza e la distruggesse completamente. Alberi, case, fontane…. tutto ciò che si trovava nel raggio di duecento metri da lì venne avvolto dalle fiamme, distruggendo ogni cosa e lasciando solo polvere e cenere fumante dopo che lo scoppio terminò.

Dall’altra parte del distretto, intanto, Boruto sospirò, scuotendo lentamente la testa mentre percepiva il suo clone scomparire in una nuvola di fumo in mezzo all’esplosione. Un guizzo d'elettricità danzava tutt'intorno a lui mentre uccideva un ennesimo gruppo di giovani Nara col pensiero, il sangue delle sue vittime che gli schizzava sulla mano e colava dalle dita. Aveva fatto bene a non approcciarsi direttamente a quella ragazza. Gli ANBU erano soldati spietati, addestrati a compiere qualsiasi cosa pur di uccidere un avversario, e restavano comunque pericolosi nonostante tutto. Annie-sensei gliel’aveva insegnato bene. Se al posto del clone ci fosse stato lui, sarebbe potuto finire in un bel casino.

“Beh, ci hai provato,” sussurrò tra sé il Nukenin. Posò lo sguardo verso la nuvola di fumo appena esplosa. "Bel tentativo, Orso. Bel tentativo," la schernì, inchinandosi beffardamente verso il luogo dov’era morta.

Ancora una volta, aveva mantenuto fede alle sue parole.

Il suo Jougan pulsò di colpo. Un'improvvisa folata di vento lo investì improvvisamente in quel momento. Il giovane si voltò di scatto, assottigliando l’occhio sinistro, cercandone la fonte. La trovò in breve tempo: Lucy, immersa in un fuoco scoppiettante nel bel mezzo di centinaia di cadaveri disseccati tutt'intorno a lei; che fronteggiava solennemente la madre di Shikadai, intenta a brandire uno sguardo feroce ed un grande ventaglio da guerra tipico della Terra del Vento. Si avvicinò pigramente al punto in cui le due donne si stavano fissando, infilzando con la spada un uomo nascosto tra le macerie che pensava sarebbe sfuggito all'attenzione.

Temari lo sentì arrivare e aggiustò la sua posizione in modo da avere sia lui che Kagami a portata di vista. Boruto sorrise. "Non c'è bisogno," la rassicurò sarcasticamente. "Sono qui solo per guardare. Lo giuro sul mio onore di Kurokage."

La madre di Shikadai gli ringhiò contro e brandì il suo ventaglio da guerra mentre lui saltava e si sedeva in cima al tetto di una piccola torre in fiamme rimasta ancora miracolosamente in piedi. Temari scagliò in avanti il ​​suo ventaglio, il tessuto che brillava di chakra bianco-blu, e scatenò una raffica di lame di vento affilate come rasoi che rotolò in avanti e sviscerò ogni cosa sul loro cammino. Lucy scattò via, schioccando le dita e scatenando un’altra serie di esplosioni che vennero alimentate dal vento. Il suo percorso si aggiustò, portandola sempre più vicina a Temari, cercando di avvicinarsi a lei in modo da poter usare il Pugno Gentile esplosivo che Boruto le aveva insegnato.

Temari non glielo permise, comunque. Sbatté un piede contro la strada, e picchi di pietra e roccia eruttarono dal terreno in una barriera improvvisata. Lucy caricò, saltando oltre il muro, e venne catturata da una folata di vento mentre superava la cima. Boruto sospirò davanti a quell'ovvio errore. Avrebbe dovuto istruirla su come contenere ed incanalare adeguatamente la sua sete di sangue, in seguito.

La ragazza dai capelli dorati si rialzò. La sua veste dell’Organizzazione sfoggiava numerosi tagli, ma per il resto era rimasta illesa tranne che per qualche squarcio piangente. Il Nukenin la osservò, ansioso di vedere quanto il suo addestramento l'avesse migliorata. Lucy spinse le mani in avanti. I rapidi schiocchi delle sue dita scatenarono una raffica di esplosioni che si schiantarono contro una barriera di venti vorticosi che circondavano Temari. Nel frattempo, la giovane avanzò, avvicinandosi sempre più alla sua preda.

Le esplosioni aumentarono in termini di distruttività e Lucy balzò in avanti, evocando altre lingue di fuoco che leccarono le lame di vento avversarie, tuffandosi attraverso la barriera e rotolando fino a fermarsi in ginocchio. Tenne il braccio in alto, le dita pronte a schioccare, ed ammiccò stupidamente con le palpebre mentre il fuoco si dissolveva dalla sua vista. Boruto osservò una piccola creatura dal pelo bianco – forse una donnola, pensò – mentre balzava in avanti e per poco non tagliava il dito medio e l'indice di Lucy con una piccola falce da contadino.

Lucy urlò per il terrore ed arrancò, sibilando per il dolore mentre la piccola bestia da battaglia le tranciava un taglio abbastanza profondo sul petto con la sua falce. Tenendosi la ferita insanguinata con le mani, la ragazza si tenne le dita contro il petto, serrando i denti con dolore. In quel momento, il vento cambiò e la barriera prese ad aumentare d’intensità mentre Temari agitava avanti e indietro il suo ventaglio da guerra. L’aria crollò su sé stessa, come un vortice di vento, prima di convergere pericolosamente verso Lucy. Boruto si alzò, pronto a scendere in campo e salvarla, ma esitò quando vide Lucy alzarsi in piedi e lanciare un feroce grido di battaglia che lo fece desistere immediatamente. L'aria brillò, come se fosse stata riscaldata, e ogni cosa iniziò a risplendere di una luce bianca con Lucy al suo epicentro.

Poi, dopo nemmeno un secondo, un'esplosione devastante squarciò il vento come se non fosse stato altro che una misera pergamena bagnata. La madre di Shikadai bloccò l'urto dell'esplosione con il suo ventaglio, ma la pura forza dietro di essa la mandò comunque a sbandare, facendola sbattere contro una lastra di macerie di cemento. Boruto sentì le ossa della donna spezzarsi in modo udibile. Là dove la donna cadde, non si risollevò più. Lucy, d'altra parte, stava ansimando affannosamente mentre il suo petto si alzava e si abbassava, intriso di sangue. Lo stesso bagliore bianco di prima permeava l'aria intorno a lei, mettendo in risalto il sangue sulla sua pelle.

Boruto scese rapidamente giù dal suo trespolo e le si avvicinò, aiutandola a restare in piedi. Un piccolo ma orgoglioso sorriso prese ad incurvargli le labbra. "Finalmente sei riuscita ad usarla, Lucy," la lodò.

L’Armatura Esplosiva (Bakuhatsu Yoroi), la sua personalissima Tecnica segreta. Un'armatura forgiata di chakra esplosivo avente come epicentro l’utilizzatore stesso, perennemente attiva e pronta e rilasciare la sua forza esplosiva. Bastava un solo pensiero per attivare e scatenare una devastazione immensa su tutto ciò che la circondava. Lucy aveva lavorato duramente in questi mesi per riuscire a padroneggiarla.

La ragazza stava ancora tamponando la sua ferita sanguinante con le dita. Boruto le sorrise dolcemente e l’aiutò ad arrestare il sangue. "Andiamo. Mikasa sarà in grado di curarti subito," la rassicurò.

"Già… e sarà meglio che ne sia valsa la pena, Boruto," disse lei a denti stretti.

"Oh, ne è valsa eccome," confermò lui, voltandosi a guardare il loro premio... il quale si stava allontanando da loro, zoppicando lentamente via dal campo di battaglia con un braccio molle ed una gamba trascinante.

Boruto reagì immediatamente. Apparve dinanzi alla donna all’improvviso, in meno di una frazione di secondo, più veloce del fulmine e della luce. Nel tempo che Temari impiegò per rendersi conto che era comparso difronte a lei, il Nukenin le aveva già incollato addosso un’etichetta sigillante che le impediva di muoversi, rendendola effettivamente innocua. La donna cadde a terra con un tonfo, incapace di reagire.

Lucy si avvicinò a loro con cautela. "Quindi è fatta, eh?" rifletté. "Sei sicuro che lei basterà a farmi raggiungere Shikadai?"

Boruto vide gli occhi di Temari spalancarsi per l'orrore all’udire ciò. Lui sorrise. "Sì," affermò.

La ragazza rimase in silenzio per un momento prima di rianimarsi. "Ehi," esclamò. "Guarda là!" disse, indicando un punto ad una certa distanza verso la loro sinistra.

Boruto si voltò e vide, appena oltre la barriera, che c'erano dei Ninja che stavano sbattendo contro la barriera nel tentativo di romperla. "Merda," imprecò. "Non pensavo che saremmo stati scoperti così in fretta. La tua ultima esplosione deve essere stata troppo potente per poterla nascondere a sufficienza con la barriera. Dobbiamo andarcene. Adesso."

Mitsuki, estrazione," ordinò Boruto attraverso la connessione astrale.

Agli ordini, capo," canticchiò l’albino, fin troppo felice di accontentarlo.

Aspetta," disse poi il biondo. Si avvicinò a Lucy, rimuovendole abilmente la tunica lacera dell'Organizzazione Kara. Lei esitò ma lo lasciò fare, arrossendo pesantemente mentre la canottiera attillata che indossava sotto la veste faceva poco o nulla per nascondere le sue… doti. Boruto la ignorò, dirigendosi a grandi passi verso un edificio crollato che sfoggiava un grande stemma del clan Nara alto quasi quanto lui. Sorridendo, usò un kunai per inchiodare la veste allo stemma, lasciandola in bella vista. Una sorta di biglietto da visita. Poi, mentre tornava ad unirsi a Lucy e alla loro prigioniera, spinse il ventaglio da guerra di Temari sotto la veste dei Kara, lasciandolo in vista al mondo intero.

Soddisfatto, il Nukenin diede ordine a Mitsuki di richiamarli tutti e tre nell'Occhio della Tempesta con un sorriso crudele.

Missione compiuta.
 


11 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza dell’Hokage
22:50

Hinata guardò, con occhi grondanti di lacrime e labbra tremanti, mentre le immagini del notiziario mostravano la devastazione, l’orrore e la strage appena compiuti qui, nel suo stesso Villaggio, appena un’ora prima.

La seconda venuta di Itachi Uchiha? ’

‘ Il clan Nara di Konoha completamente massacrato nell’ultimo assalto al Villaggio della Foglia! ’

‘ Una distruzione senza parole che non si vedeva da più di tre decenni! ’

Gli orrori nel notiziario continuarono ad aumentare.

Il suo cuore si contorse nell’agonia mentre leggeva ed udiva le parole pronunciate nello schermo. La sua mente si riempì di emozioni terrificanti mentre vedeva le immagini del distretto del clan Nara in fiamme, delle persone morte in mezzo alle strade, e… e dei bambini massacrati senza pietà. E lì, la principessa degli Hyuuga sperimentò e provò, dopo molto tempo, una serie di emozioni terrificanti ed oscure mischiate tutte assieme dentro al suo animo.

Orrore, dolore, tristezza, angoscia… tutto questo e molto altro ancora le pervase completamente la testa; la sensazione che provava talmente pesante e opprimente da forzarla a rimanere immobile, impietrita, incapace di fare qualcosa. Perché quello che stava vedendo adesso… era terribile. Era indescrivibile. Una delle cose più terrificanti e spaventose che fossero mai successe nella storia del loro mondo. Una cosa nessuno avrebbe potuto pensare, e che nessuno mai avrebbe voluto vedere di persona.

Una cosa che però, purtroppo, era invece successa proprio qui, proprio ora, sotto i loro nasi e davanti agli occhi di tutto il mondo.

Un massacro come quelli che non si vedevano più sin dai tempi di Itachi Uchiha e del suo clan.

Un massacro nel bel mezzo del Villaggio della Foglia.

Un massacro insensato ed orripilante come non mai.

E questa cosa… era sconcertante.

‘ L’Organizzazione Kara, il gruppo di principali guerrieri del neo formato Impero Shinobi Unito, ha ufficialmente rivendicato l'attacco. ’

Hinata crollò in ginocchio davanti al televisore. Cadde a terra sul pavimento, versando lacrime e singhiozzi affranti mentre la solitudine e l’orrore più potenti di sempre la assalivano da dentro e la avvolgevano nel loro abbraccio gelido e orripilante. In quel momento più che mai, la donna pregò e sperò che suo marito potesse tornare nel Villaggio al più presto. Perché se quello che stava vedendo era vero, se ciò che era successo oggi a causa dell’assenza improvvisa di suo marito era accaduto realmente… allora significava solamente una cosa.

Suo figlio aveva colpito di nuovo.

‘ La Matriarca del clan Nara, Temari Nara, scomparsa in azione? Il Kurokage rimane in silenzio. ’

Fu allora che comprese.

Hinata trattenne il fiato con orrore, spezzando un gemito di dolore. Fu allora che comprese. Fu allora che capì come stavano le cose. Boruto, suo figlio, si stava vendicando. Si stava ribellando. Si stava vendicando ferocemente per tutte le sconfitte e tutte le umiliazioni che lo avevano forzato a subire negli ultimi tempi. E lo stava facendo in una maniera spietata, disumana, animalesca; così grottescamente deciso a ripagarli con la stessa moneta da essere caduto talmente in basso da… da… da riuscire a commettere un crimine del genere.

Il Clan Nara era stato completamente assassinato. Era stato distrutto del tutto. Ed il responsabile di ciò era suo figlio. Solo ed unicamente suo figlio.

La sua vendetta si stava compiendo dinanzi agli occhi di tutto il mondo.

“Come ci si sente?”

La voce di suo figlio sussurrò dentro alle sue orecchie. Quella stessa voce che aveva tanto amato, che aveva tanto adorato, che aveva tanto disperatamente sognato di udire ancora una volta dopo la sua apparente morte… adesso le sussurrava velenosamente da dentro al suo corpo, come se Boruto fosse presente assieme a lei, accanto a lei, dentro di lei. Le sussurrava, le bisbigliava, le parlava dentro le orecchie; freddo, crudele e gelido, completamente incurante dei ciò che le sue azioni raccapriccianti avevano appena generato, come se fosse presente e vivo vicino a lei.

“Come ci si sente nel vedere distrutto tutto ciò che avete a cuore più di ogni altra cosa? Cosa si prova nel vedere i propri sogni infrangersi davanti ai vostri occhi?”

Hinata si serrò il petto con una mano, stringendosi il cuore, trattenendo il fiato. La sua testa iniziò a scuotersi impotentemente per l’orrore.

“Fa male, non è vero?” continuava a dire la voce. Sembrava compiaciuta mentre parlava. Allegra, quasi, come se stesse trattenendo una terribile risata dentro al petto. “Fa talmente tanto male da togliere il fiato, azzannare il cuore, e piegare in due il corpo. Ogni pensiero, ogni sensazione, ogni cosa sembra svanire dinanzi a questo dolore che si prova dentro… mi sbaglio?”

La donna sentì le lacrime bagnare il pavimento sotto di lei mentre il suo corpo iniziava a tremare. Questo… era questo ciò che Boruto aveva provato? Era questo ciò che suo figlio aveva sperimentato a causa delle azioni sue e di suo marito? Questo dolore? Questo orrore? Questa disperazione? Era davvero questo ciò che avevano gettato addosso al loro primogenito quando era piccolo?

Questo era… non poteva… era assolutamente… non c’era… era impossi…

Non c’erano parole per descriverlo.

“E adesso… lo sperimenterete anche voi.”

Il suo corpo tremolò.

“Perché questa è la mia vendetta…”

La sua mente sbiancò.

“…ed è appena iniziata.”

Il suo cuore sanguinò.

Ed Hinata Hyuuga urlò. Urlò al cielo un grido roco, disperato ed affranto. Un grido spezzato dai singhiozzi ed annegato dalle lacrime. Il grido sanguinolento e raccapricciante di un animale morente che ha perso ogni luce e speranza di salvezza. Urlò, urlò ed urlò, piangendo apertamente, stringendosi il petto con le mani e scuotendo freneticamente la testa per l’orrore. Poi, pervasa dal dolore e dalla devastazione, il suo corpo cedette alla fatica e la sua mente sbiancò, facendola affogare nell’incoscienza.

E la donna piombò nell’oscurità. Ancora una volta tra le grinfie del dolore.
 

La seconda venuta di Itachi Uchiha? ’

‘ Il clan Nara di Konoha completamente massacrato nell’ultimo assalto al Villaggio della Foglia! ’

‘ L’Organizzazione Kara, il gruppo di principali guerrieri del neo formato Impero Shinobi Unito, ha ufficialmente rivendicato l'attacco. ’

‘ Il Kurokage, Boruto Uzumaki, difende le sue azioni in una dichiarazione ufficiale, affermando: – Il clan Nara era una minaccia nota sin da sempre alla sicurezza dell'Impero. Ancora oggi, alcuni dei suoi membri più potenti e brillanti si oppongono attivamente alla nostra causa e cercano di distruggere tutto ciò che abbiamo costruito. Per questo motivo, ci siamo vendicati. Ma badate bene: questo non è stato un massacro insensato. Il clan Nara era un clan di Shinobi. Molti di voi mi considereranno spietato e senza cuore per aver ucciso donne e bambini, ma nemmeno voi potete negare che quelle stesse donne e bambini siano stati addestrati sin dalla nascita per essere assassini. Noi siamo Guerrieri, e loro sono Shinobi. Per cui, dovreste sapere meglio di me che la morte è il rischio della nostra professione. – Spetta ora a ciascuno di noi decidere cosa pensare di questa faccenda. ’

‘ Molte persone condannano la crudeltà del Kurokage dopo questo terribile evento. Ma molte altre, da entrambe le parti del conflitto, lo lodano e lo sostengono, sostenendo che tutto è lecito in tempi di guerra e che anche la Foglia, in passato, ha compiuto atrocità molto più grandi di quella inflitta loro nei giorni precedenti. Gli avversari dell’Impero hanno preso a soprannominare il famoso Kurokage come "Boruto l’AmmazzaKage o l’AmmazzaClan", quest’ultimo titolo detenuto anche dal famigerato assassino della Foglia, Itachi Uchiha. ’

‘ La Matriarca del clan Nara, Temari Nara, scomparsa in azione? Il Kurokage rimane in silenzio. L’Hokage e la Sabbia, secondo quanto riferito, sono “furiosi". ’

‘ Fiducia nel Settimo Hokage, Naruto Uzumaki, Eroe della Quarta Guerra Mondiale, ai minimi storici! ’

‘ In mezzo a questo periodo di crisi e conflitto, molti Villaggi stanno ora affrontando una minaccia ancora più grande: l'abbandono. In seguito alla distruzione del clan Nara, la fiducia nel sistema svanisce poiché gli Shinobi non credono più che i loro leader siano in grado di difendere le loro famiglie e vincere la guerra. Sempre più disertori fuggono nella Terra del Gelo per unirsi all'Impero Shinobi Unito. ’

‘ Le tensioni salgono mentre aumentano le richieste di dimissioni del Settimo! ’
 


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12 Gennaio, 0022 AIT
Terra dei Fiumi, Valle senza Nome
Nascondiglio Segreto di Saiken
18:13

Il morale dei suoi amici, concluse Sarada, era ai minimi storici. E per quanto detestasse ammetterlo, non c’era niente che potesse fare per riuscire a risollevarlo. Dopotutto, quello che era successo nelle ultime ventiquattr’ore era stato tutt’altro che piacevole. Lei ed i suoi amici erano riusciti a difendere uno dei Bijuu delle grinfie dei Kara, certo, ma questa vittoria era costata loro moltissimo. E adesso, il resto del mondo ne stava pagando le conseguenze a caro prezzo. L’assassinio di Killer Bee e la cattura dell’Hachibi (Ottacoda)… la conquista del rifugio dei profughi della Nuvola e la morte di Dodai…  l'apparente morte di Orochimaru dei Sannin…

…e adesso… adesso anche il genocidio spietato del clan Nara.

Uniti tutti insieme, questi terribili eventi avevano messo la sua squadra in gravi difficoltà. Chocho e Inojin avevano perso ogni speranza e si erano ritirati in loro stessi, silenziosi e cupi come non mai. Sumire aveva pianto per ore, e ancora adesso se ne restava in disparte a versare lacrime di disperazione. Himawari non era da meglio, dato che si stava ancora riprendendo dal trauma causato dall’aver ucciso per la prima volta un nemico e dall'ingresso esplosivo di suo fratello nella scena geopolitica del mondo. Konohamaru-sensei era stato richiamato in fretta e furia nella Foglia senza apparente motivo. E Shikadai…

…Shikadai aveva perso sua madre ed il suo clan.

Quindi, erano nella merda più assoluta.

Sarada sapeva che di questo passo la loro determinazione sarebbe crollata definitivamente. Dinanzi a tutti questi tragici avvenimenti, persino lei stava facendo fatica ad avere fede e a ricordarsi del motivo per cui tutti loro erano ancora in servizio. Me né lei, né sua madre, e né tantomeno Shikadai erano in grado di risollevare il morale degli altri dopo tutto ciò che era successo in un singolo giorno.

La vendetta di Boruto era stata letteralmente terrificante.

Sarada incolpò sé stessa. Perché, ovviamente, tutto quello che era successo era successo per colpa sua. Se in passato non fosse stata così avida, se non avesse spinto Himawari e Shikadai ad uccidere Shizuma, forse tutto questo non sarebbe mai accaduto. E soprattutto, se non avesse costretto il suo vecchio amico a cambiare, forse avrebbe potuto trovare un modo per impedirgli di ottenere ciò che voleva. Era stata una sciocca. Avrebbe dovuto monitorare l’Hachibi sin dall'inizio invece di fidarsi dei superstiti della Nuvola per difenderlo adeguatamente. Se voleva che qualcosa fosse fatto per bene, dopotutto, avrebbe dovuto farlo da sola. Ma non l'aveva fatto, e ora Boruto era entrato in possesso di un altro Demone codato.

Inoltre, il deterioramento della sua vista non aiutava di certo le cose. L'uso quasi quotidiano del suo Sharingan Ipnotico per monitorare sia la sicurezza del Rokubi (Esacoda) che del Nanabi (Eptacoda) la stava consumando. La sua nuova Preveggenza li stava spingendo al limite, lei stessa ed i suoi amici. E se non avessero vinto al più presto questa Guerra, lei sarebbe diventata cieca e, quindi, non avrebbe più avuto alcuna utilità per nessuno. Questa cosa era inaccettabile.

Tuttavia, ciò che infastidiva di più Sarada al momento era la sua incapacità di aiutare i suoi amici. Sembrava quasi come se, nel periodo di tempo che era passato tra il presente ed i giorni che avevano condiviso assieme all'Accademia quando erano piccoli, i suoi amici fossero diventati degli estranei per lei. Dopotutto, la situazione era evidente. Non sapeva come aiutare Sumire per non piangere. Non sapeva come rassicurare Shikadai che sua madre sarebbe stata salvata. Non sapeva come consigliare ad Himawari di risollevarsi dopo aver ucciso una persona. Non sapeva niente di niente, per nessuno. E l’Uchiha non aveva nessunissima intenzione di usare il suo nuovo Potere per trovare la strada per aiutarli. Sia perché i suoi occhi non potevano sopportare ulteriore tensione e sia, cosa più importante, perché avrebbe dovuto essere in grado di farlo senza l'aiuto del Dojutsu (Arte Oculare) del suo clan.

Dopotutto, lei voleva diventare Hokage. E che razza di Hokage poteva sognare di essere se non era nemmeno in grado di aiutare i suoi amici nel momento del dolore?

Sarada fu tirata fuori dai suoi pensieri mentre Sumire le si avvicinava. Aveva un aspetto decisamente migliore rispetto a quello che aveva avuto nelle ultime settimane, ed una nuova vita sembrava bruciare nei suoi occhi viola. Sarada sorrise debolmente e batté le palpebre per focalizzare la sua vista. "Ciao, Sarada," la salutò la sua ex compagna di Team.

"Ehi, Sumire," ricambiò lei. "Come te la passi?"

"Meglio, ora che ho deciso cosa voglio fare," rispose Sumire.

La corvina inarcò un sopracciglio. "E cosa vuoi fare?" domandò.

La ragazza esitò per diversi secondi dopo quella domanda. Il suo sguardo si perse verso l’orizzonte. "Io… una volta finita la Guerra, voglio diventare una ricercatrice," affermò alla fine con convinzione. "Qualunque cosa succeda, la scienza sta lavorando per il miglioramento del mondo. Ed oltre a Boruto e l’Impero, là fuori c'è una nuova minaccia che l'umanità dovrà affrontare nel prossimo futuro. Perciò… voglio aiutare la scienza affinché possa permetterci di farci trovare preparati per combattere gli Otsutsuki. Il lavoro che voglio fare… è aiutare il mondo a sopravvivere."

Il respiro di Sarada le si bloccò in gola all’udire ciò. Il Settimo aveva espressamente ordinato di non parlare troppo degli Otsutsuki dopo gli eventi del Summit.

"Cosa hai intenzione di fare?" chiese dolcemente.

Sumire sembrò mostrare un sorriso carico di decisione dopo quella domanda. La ragazza dai capelli viola fece un cenno col capo. "Diversi mesi fa, ho avuto modo di avere accesso ad un progetto a cui Katasuke-sensei sta lavorando," spiegò. "Un esercito di cloni che potrebbero usare l'Energia Naturale per combattere gli Otsutsuki. Il progetto è stato finanziato dalla Foglia in gran segreto. Purtroppo la maggior parte dei dati è ancora in fase di lavorazione per via della Guerra, ma ho intenzione di fare del mio meglio per riuscire a vederlo realizzato."

Sarada annuì lentamente. "Una causa degna," disse, sorridendo a sua volta. “In fondo, sapevo che ti era sempre piaciuta la scienza.”

Le due ex compagne di Team ridacchiarono tra di loro. Poi discesero in un silenzio contemplativo. "Mi prometti che non lo dirai a nessuno?" chiese alla fine Sumire.

Sarada sorrise ironicamente. "Sai che puoi fidarti," le rispose. "Lo prometto."

"Grazie… Sarada," disse la sua amica, sorprendendola con un rapido abbraccio prima di ritirarsi e allontanarsi dal campo per riprendere a pattugliare i confini. La sagoma pesante del Rokubi si voltò e la guardò andarsene con aria solenne.

Sospirando, la giovane Uchiha tornò al campo vero e proprio dove il resto della sua squadra stava ciondolando nella depressione. Sua madre aveva fatto erigere un piccolo ed improvvisato ospedale da campo sotto una tenda gigante sulla destra. Ad una decina di metri di distanza, in cima a un altopiano di macerie, Rock Lee si stava allenando in modo turbolento. E Shikadai e Himawari erano, per una volta, separati tra di loro, entrambi persi nei propri pensieri, con Chocho e Inojin che offrivano goffamente il loro silenzioso supporto al loro compagno di Team. In lontananza, poi, Sarada poteva vedere il capitano Yamato che pattugliava il perimetro del nascondiglio, mentre gli alberi gemevano e ondeggiavano al suo passaggio.

L'atmosfera era clamorosamente cupa e depressa, e Sarada era determinata a cambiare quella situazione. "Ehi, ragazzi," gridò. Quasi tutti si voltarono a guardarla di scatto, sorpresi, quasi, che avesse osato rompere il silenzio solenne che si era andato a creare tra loro. "Ho un'idea per un nuovo allenamento di gruppo," spiegò la corvina. "È un'illusione condivisa che il clan Uchiha usava per allenarsi mentalmente. Non è eccezionale per intrappolare le persone, ma se non la combatterete dovrei essere in grado di alimentare i dati dell'illusione dal mio Sharingan per permettervi di simulare di combattere i Kara."

Era un crimine contro la natura il fatto che il suo clan fosse stato cancellato dall'esistenza quando aveva una lunga e sordida storia di produzione di alcune delle più grandi Tecniche che il mondo avesse mai visto. Gli Uchiha potevano fare miracoli con le illusioni usando il loro Sharingan, e il mondo era diventato un posto più freddo dopo la loro assenza. Ma c’era ancora speranza, pensò Sarada. Una speranza di poter iniziare a ricostruire ciò che il suo clan aveva perso decine di anni prima.

Il silenzio fu l’unica risposta che ottenne per diverso tempo.

Poi, qualcuno si risollevò. "…ok," esalò Shikadai, suonando perso e speranzoso tutt’insieme. Come se vedesse nella sua proposta qualcosa che gli permettesse di distrarre la mente dalla distruzione del suo clan e dalla perdita di sua madre. Sarada lo guardò con un sorriso triste, mettendogli una mano sulla spalla. In un certo senso, loro due erano simili, adesso. Entrambi avevano perso i loro clan a causa di una tragedia. 

Il Nara la guardò con occhi tristi e depressi. "Io… ci sono," sussurrò.

Sarada lo abbracciò dolcemente. “Grazie, Shikadai.”

L’abbraccio durò per diversi minuti. Poi, quando si separarono, i due giovani rimasero uno davanti all’altro, guardandosi negli occhi, comunicando senza parlare. Poco dopo, Himawari si unì a sua volta con un’espressione incerta. Scambiò un’occhiata persa al suo ragazzo, incapace di trovare le parole necessarie per confortarlo. Poi però, Shikadai la soprese offrendole un piccolo sorriso ed abbracciandola a sua volta, senza dire niente. Himawari sorrise di rimando, versando lacrime dagli occhi e stringendosi a sé il suo ragazzo mentre lottava per non piangere anche lei.

Sarada li guardò con amore. In quello stesso momento, Chocho e Inojin le si avvicinarono a loro volta, felici che Shikadai stesse finalmente mostrando alcuni segni di vita dopo le ultime ore. Persino Rock Lee si era precipitato da loro all’udire la parola "allenamento". Più in disparte, vicino alla tenda, Sarada vide sua madre guardare quella scena con un piccolo sorriso affettuoso sulle labbra, facendole un cenno deciso col capo. Sarada lo ricambiò in silenzio.

Poi, la giovane Uchiha si schiarì la gola. "Va bene, allora. Cominciamo," disse. "Sedetevi tutti in ​​semicerchio intorno a me e guardatemi negli occhi per un momento. Non lottate contro l'illusione. Solo, respirate profondamente ed abbassate le vostre difese..."

La speranza non era ancora morta.
 


12 Gennaio, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
18:00

Boruto si stava facendo strada nelle viscere dell'Occhio per trovare Mitsuki quando inciampò in Shirou. Il possente e muscoloso samurai spiccava alla vista come un gigante nel laboratorio relativamente piccolo che Mitsuki e Kumo condividevano. Incombeva su una piccola teca di vetro come un leone sopra una piccola gabbia per topi, osservando attentamente qualcosa al suo interno. Curioso, Boruto fece una breve deviazione per vedere cosa aveva attirato l'attenzione dello spadaccino.

Il suo occhio si sgranò leggermente. Riconobbe immediatamente di cosa si trattava. Erano i frammenti spezzati e maciullati delle Spade Zanne, una coppia di lame facente parte delle Sette Spade della Nebbia. I pezzi di metallo giacevano sopra un catalizzatore magnetico, da cui piccoli fulmini scintillanti danzavano sopra l’elsa e le lame frantumate. "Cosa stai guardando?" chiese il Nukenin.

Shirou si raddrizzò e s’inchinò rispettosamente in segno di saluto. "Sto tentando di riparare le spade," rispose diligentemente. "Sono state distrutte irreparabilmente due anni fa, durante l’assalto dell’Hokage all’Astro Celeste. Ed è una mia teoria, data la capacità della Mannaia Decapitatrice di ripararsi con il sangue, che ciascuna delle Sette Spade sia capace di un'impresa simile. E naturalmente, ciò che potrebbe riparare le Spade Zanne altro non è che-”

"L’elettricità, sì," annuì Boruto. La pressione aumentò dietro il suo occhio destro mentre usava il suo Jougan per ottenere una visione migliore delle due spade. E lentamente, notò, le due lame fulminanti si stavano davvero riparando da sole. I frammenti d’acciaio delle lame crescevano come per magia, aumentando di dimensioni ed ottenendo sempre più il loro aspetto originario.

Ed osservando quel fenomeno coi suoi occhi, un'idea venne alla mente del guerriero.

"Bella idea, Shirou," lo lodò Boruto, dando una pacca sulla spalla al samurai prima di precipitarsi fuori dal laboratorio, dirigendosi più in profondità nel castello, verso la prigione.

La prigione era stata un'aggiunta relativamente nuova all'Occhio della Tempesta. Lo spazio necessario per costruirla era stato, per così dire, difficile da trovare. Ma adesso, dopo la cattura dell’Hachibi (Ottacoda), il Sigillo che manteneva attiva la dimensione artificiale aveva aumentato la potenza e la quantità di chakra disponibile, rendendo possibile creare dello spazio libero.

Il guerriero sorrise a quel pensiero. L'Occhio della Tempesta stava crescendo sempre più. Stava diventando sempre meno un nascondiglio e sempre più una città a sé stante, proprio come lui l'aveva immaginato. E poi, in un lontano futuro, forse questa dimensione sarebbe stata popolata da un’Organizzazione Kara più ampia, dalle loro famiglie e dai loro figli. Una Volontà del Fuoco a cui lui ed i suoi amici avrebbero dato vita e che avrebbe servito al suo scopo fino alla fine della loro civiltà.

Quello era il suo sogno, dopotutto.

Mitsuki lo stava aspettando con impazienza, come ogni volta che Boruto gli assegnava un compito. E non era solo. Anche Toneri ed Urahara erano presenti assieme a lui. Quest’ultimo, aveva appreso il giovane, era diventato sempre più desideroso di rendersi utile negli ultimi tempi. Non che lui non potesse capirlo però, certo. Boruto sapeva che il suo maestro era molto frustrato per via della sua incapacità di lasciare la dimensione della loro fortezza. Se lo avesse fatto, dopotutto, il Settimo Hokage lo avrebbe percepito immediatamente.

In passato, Boruto aveva considerato l’idea di imporgli un Sigillo, ovviamente alterato, simile al Sigillo Maledetto del Controllo delle Emozioni. Un sigillo che avrebbe impedito all’Hokage di percepirlo, ma alla fine aveva deciso di non farlo. Quel sigillo impediva letteralmente alla vittima di provare emozioni, e Boruto non poteva fidarsi del fatto che Urahara-sensei avrebbe agito secondo giudizio sotto la sua influenza. E oltre a questo, comunque, il giovane non avrebbe mai voluto augurare ad una persona importante per lui di finire nell’oblio, privata delle proprie emozioni.

Bastava già da solo come mostro freddo e apatico. La sua famiglia non doveva soffrire a sua volta come lui.

"Com'è la situazione?" chiese allora Boruto, guardando attraverso la barriera luccicante di chakra blu che conteneva la loro prigioniera. Temari lo fissò con odio dall’interno della cella, il suo spirito indomito e i suoi occhi gelidamente furenti per la rabbia.

Mitsuki ed Urahara esitarono. Toneri invece sfoggiò quel suo solito sguardo vitreo e distante che faceva sempre. "Ancora focosa come sempre," rispose semplicemente.

Il Nukenin annuì. Non si era aspettato di meno da una donna fiera e decisa come Temari. "Bene," disse senza emozione. "Vedo con piacere che non si è ancora arresa. Non sarà facile piegare il suo spirito. Si prospetta una sfida interessante,” sibilò, fissandola minacciosamente. La donna sbiancò come un morto dopo quella minaccia, ma rimase comunque in silenzio, sollevando il mento con aria di sfida. Boruto la ignorò. “Detto questo, ho un compito per voi tre," aggiunse subito dopo, facendo un passo avanti e fissando Mitsuki, Urahara e Toneri.

I suoi amici si voltarono verso di lui. "Dicci tutto," sussurrò l’albino.

Il giovane Uzumaki represse un sorriso malvagio. "Ho bisogno che estraiate quante più informazioni possibili dalla sua mente," spiegò, facendo un cenno alla donna imprigionata.

Urahara ghignò. “Oh, sarà fatto, non temere. Conosco diverse Tecniche per riuscire a spezzare la mente di una persona…” ridacchiò sinistramente.

"Ma la voglio viva, sensei," sottolineò Boruto. "E il più indenne possibile." Lanciò un'ultima occhiata a Temari, godendo silenziosamente mentre la vedeva impallidire sempre più per la tensione. "Sarete in grado di farlo?"

Tutti e tre annuirono rapidamente. "Sarà fatto," risposero in coro.

Boruto sorrise. "Bene," disse, ritirandosi verso le sue stanze. "Tenetemi informato sulle vostre scoperte."

Prima che Urahara o uno degli altri due potesse rispondere, il Nukenin era già su per le scale, muovendo le gambe lentamente – per i suoi standard, almeno – come in una corsa lenta. Gli ci vollero solo pochi secondi per raggiungere i suoi alloggi, scivolandovi silenziosamente dentro e scalciando via gli stivali prima di sedersi sul suo letto, a gambe incrociate.

La sua mente venne pervasa da un senso di esaustione e stanchezza opprimenti. Ora, dopo tutto ciò che aveva compiuto, Boruto scoprì forse per la prima volta in tutta la sua vita quanto fosse immenso il peso della responsabilità. Dopo quasi due mesi di tentativi ed errori, finalmente la sua vendetta era compiuta. Era riuscito a risanare la sua posizione, ripagando quei maledetti vermi della Foglia per i crimini che avevano commesso contro di lui ed i suoi amici. Si era infine vendicato a dovere, come aveva promesso. Eppure, nonostante questo, i pericoli per lui non erano terminati. Non era ancora finita qui.

L’Hokage, Shikamaru, Sarada e l’Eremita continuavano a minacciare la sua esistenza esattamente come prima. Boruto lo sapeva. Sapeva, con una sconcertante chiarezza cristallina, che non si sarebbero lasciati sconfiggere per così poco. Perciò, lui doveva trovare un modo per eliminarli. Doveva trovare un nuovo piano, una nuova strategia, una nuova mossa per riuscire a cogliergli di sorpresa, ferendoli più pesantemente di prima.

Ma questa era un’impresa ben più difficile di quanto potesse immaginare.

Per il momento, tuttavia, la sua mente esausta aveva bisogno di riposo. E Boruto sapeva che il miglior metodo per riposarsi prima di andare a letto era la meditazione. E sebbene avesse promesso a sé stesso di non meditare mai più – i ricordi della sua ultima discesa nel suo cuore gli ritornarono alla mente in un istante, facendolo rabbrividire – in quel momento il biondo si ritrovò decisamente curioso di ritentare ancora una volta. Voleva vederci chiaro, dopotutto. Voleva scoprire perché si fosse sentito così terrorizzato e in pericolo quando si era immerso nei meandri del suo animo. E così, ci ritentò.

Chiudendo gli occhi, affondò volontariamente nell'abisso, schiarendosi di nuovo la mente mentre si liberava delle sue preoccupazioni mortali, lasciandolo privo di emozioni e pensieri. Immerso lì, in quel mare di silenzio e pace, era libero di meditare su ciò che voleva. Sul bene e sul male, sulla Luce ed il Buio, sulle sue azioni e quelle del mondo. Boruto lasciò che la Tecnica di Meditazione facesse effetto, sgorgando dentro di lui, riversandosi nel nucleo del suo essere e riempiendolo fino all’orlo. Diresse quell’energia verso la sua anima, investendolo come l’acqua tiepida di un fiume. E lì, esattamente come in passato, la pace e l’energia gli inebriarono i sensi e l’anima, colmando le lacune nella sua forma fisica, riparandole, alleviandole, e migliorandole.

E poi, quando sentì attorno a lui una solenne sensazione di fissità ed attesa, il Nukenin riaprì il suo occhio sinistro, trovandosi ancora una volta faccia a faccia con sé stesso.

Boruto sorrise, fissando gelidamente il volto accigliato e furibondo della sua Luce.

"Ancora tu?" ringhiò acidamente la copia, le sue sopracciglia aggrottate.

Il biondo inarcò sarcasticamente un sopracciglio. "Oh? Siamo piuttosto scontrosi oggi," ribatté, ironico, godendo mentalmente mentre osservava il volto del suo gemello riempirsi di oltraggio. "Pensavo che ti saresti sentito da solo qui dentro, così ho deciso di tornare a farti una visita. Se vuoi posso andarmene.”

La sua Luce lo guardò come se stesse osservando un’immagine raccapricciante. "…oggi mi hai veramente deluso, fratello," sussurrò, alzando le spalle e sollevando il mento con altezzosità. "Hai compiuto uno degli atti più disdicevoli e raccapriccianti mai commessi nella storia del nostro popolo. Spero che tu sia fiero di te stesso, ora."

Boruto sogghignò. "Ovviamente," concordò, irritandosi leggermente per l’insulto. "Pensavo che la nostra mente fosse collegata. Nel qual caso, saprai sicuramente quanto me il motivo per cui io sia stato costretto a compiere ciò che ho compiuto. Tentare di usare giri di parole con me è inutile. Sappiamo entrambi che era necessario."

L’altro Boruto abbassò gli occhi con amarezza dopo quelle parole. "Può darsi," sussurrò. "Ma questo non giustifica quello che stai facendo. Tu ed io non abbiamo il diritto di dettare legge nel mondo e forzare i popoli a cambiare. La pace non giungerà mai per mezzo della tirannia, fratello."

Il giovane lo ignorò. "Non sono venuto qui per discutere di politica, ma per comprendere," disse invece con sufficienza, scrutandosi attorno nella sua anima. Si trovava esattamente nello stesso punto in cui era stato nella sua visita precedente, nella casa-negozio di Urahara che aveva creato col pensiero. Il suo occhio si mosse verso destra, osservando la porta che dava verso la strada, assottigliandosi pericolosamente.

La sua Luce lo scrutò a sua volta. "Che cosa vuoi comprendere?" chiese gravemente. "Che cos’è che hai visto là fuori l’ultima volta che sei venuto qui?"

"Occhi," rispose lui in modo conciso. La sua espressione mostrò un barlume di dubbio. "Una marea di occhi luminosi in mezzo ad un mare d’oscurità. E tutti quanti mi guardavano con odio e rabbia." La sua copia sbiancò come un morto mentre udiva quella spiegazione. Boruto lo osservò con attenzione mentre impallidiva sempre più. “…che cos’erano?” domandò.

“Davvero non riesci a comprenderlo?" sussurrò di rimando la Luce. "Sei la metà dominante della nostra anima, eppure non riesci ad arrivarci da solo? Mi deludi. Credevo che fossi tu il più intelligente tra noi due.”

Il guerriero trattenne con forza l’impulso di saltare addosso al suo gemello. Stringendo i denti, ignorò la fastidiosissima espressione saccente indossata dalla sua pallida imitazione. Invece, chiuse gli occhi, fece un profondo respiro, e tornò a fissarlo senza emozione. “Rispondi alla domanda,” ordinò.

La sua Luce scosse la testa, il suo volto deluso. Tuttavia decise di obbedire per qualche motivo. "Sono le ombre di coloro che ti seguono," spiegò, gesticolando con le mani in maniera lenta e solenne, indicando il tutto e il niente. “Le anime delle persone che hai ucciso. Tutte le persone che hai ucciso. Una volta che le hai recise dalla vita, il loro odio, il loro risentimento ed il loro terrore si è attaccato a te, inseguendoti fino alla fine dei tempi. E ancora oggi, la loro negatività continua ad inseguirti senza sosta, dandoti la caccia fino a quando non arriverà il tuo momento.”

Boruto deglutì, ignorando la sensazione di timore e ansia che iniziava a risalirgli nel cuore. Quella risposta non gli piaceva per niente. Cercò comunque di apparire più tranquillo di quanto non si sentisse in realtà. “E perché mi stanno inseguendo?” chiese ancora, assottigliando lo sguardo.  “Che cosa vogliono da me?”

La sua copia sorrise amaramente. Il suo occhio si riempì di dolore, tristezza e rassegnazione tutte insieme. "Vogliono vendetta, Boruto. Non si daranno pace fino a quando non ti avranno consumato, distruggendoti completamente per ciò che hai fatto loro,” rispose, senza girarci attorno.

Il giovane esitò dopo quella risposta, la sua mente incerta su cosa pensare. Poi fece un respiro profondo e si calmò. “Non ti credo,” sibilò, deciso e irremovibile. “Questa è la mia anima. Il mio cuore. Mi rifiuto di credere che delle entità esterne siano davvero riuscite a raggiungermi qui solo per tentare di vendicarsi.”

La Luce sorrise ironicamente, sfidandolo con lo sguardo. “Perché non vai fuori ad accertartene di persona, allora?” ribatté a sua volta.

Il Nukenin lo guardò torvo. Poi però decise di assecondarlo. Non aveva niente da perdere, dopotutto. Quindi, si voltò, senza esitazione, si diresse davanti la porta del negozio ed uscì in strada. Lo spettacolo che lo accolse non fu diverso da quello precedente. Le strade del Villaggio che aveva creato col pensiero terminavano bruscamente nel nulla, coi bordi della sua creazione che sanguinavano nel vuoto dell'abisso più oscuro di sempre.

Boruto si fermò, esattamente come in passato, osservando il buio che avvolgeva ogni cosa. Per una qualche ragione che non comprendeva nemmeno lui, era profondamente spaventato dall'oscurità che lo circondava. Forse, realizzò, aveva paure perché non sapeva cosa vi si annidasse dentro, ma non c’era modo di dirlo con certezza. L’unica cosa di cui era sicuro, era che non aveva nessuna intenzione di entrarci dentro. E lì, in quell'oscurità opprimente che tanto temeva, il suo sguardo trovò esattamente ciò che stava cercando.

Occhi. Innumerevoli occhi scintillanti di luce che lo fissavano dal buio che avvolgeva ogni cosa. Occhi sottili, minacciosi, e luccicanti, come quelli di una belva nascosta tra le fronde di un cespuglio; talmente spaventosi da riuscire a riempirgli il cuore di terrore e talmente numerosi da essere incalcolabili. Nemmeno col suo Jougan riusciva a distinguere e percepire cosa fossero. Fatto sta che, mentre li vedeva, intenti tutti ad osservarlo con odio, rabbia e malvagità, nemmeno il terribile e crudele Boruto Uzumaki riuscì a trattenere un brivido di terrore.

“Chi siete?” urlò, rivolgendosi al buio e ai suoi abitanti. “Cosa volete da me?”

Il silenzio fu la sola risposta che ottenne. Boruto aspettò, ed aspettò, ed aspettò. Poi, quando vide che non succedeva nulla, un sospiro lacero gli sfuggì fuori dalle labbra. Il biondo si voltò, indispettito, preparandosi a tornare indietro.

Ma non ci riuscì.

I suoi occhi – entrambi i suoi occhi eterocromi – si sgranarono a dismisura. Delle piccole figure erano improvvisamente comparse alle sue spalle. Figure minute, indistinte, oscure, simili ad ombre nere senza forma. Avevano soltanto vagamente una forma umana, simile a quella di bambini, con un paio di occhi gialli, sottili e crudeli in mezzo ad un volto senza espressione. E mentre li osservava così da vicino, Boruto sentì il suo cuore fremere per il terrore.

“C-Che cosa volete?” sibilò, fissandoli con apprensione.

Ancora una volta, le figure non risposero. Solo, divennero più numerose. Altre bambini oscuri apparvero dietro agli altri, e poi ancora, e ancora, e ancora, diventando talmente tanti da accerchiarlo completamente. Il Nukenin fece un passo indietro, nervoso, osservandosi freneticamente attorno in mezzo a quel mare di ombre. Tra di esse, alcune figure erano più grandi, altre più piccole, e altre ancora più larghe del normale. Ma tutte quante lo stavano osservando con un odio ed una rabbia immensi riflessi in quelle orbite gialle senza pupille.

Il ragazzo respirò affannosamente, il petto ansante, mentre un sudore freddo gli inumidiva la fronte mentre le fissava. C’era… C’era qualcosa di sbagliato in quelle ombre. Qualcosa di terribilmente sbagliato. Lui non doveva essere lì. Doveva uscire. Doveva andarsene prima che qualcosa di terribile potesse succedere.

Un’ombra lo guardò mentre si agitava. Un’ombra strana, più alta delle altre, dai contorni vagamente familiari e femminili. Il giovane non ne era certo, ma era pronto a giurare di averla già vista da qualche parte. Poi, aggrottando la fronte, Boruto sentì una calda e morbida pressione premergli improvvisamente contro il collo, facendolo trasalire per il terrore.

"È ora di svegliarsi, Boruto," disse l’ombra minacciosamente, con una voce familiare e oscura che gli fece accapponare la pelle.

Boruto urlò. Poi, il suo mondo esplose completamente nel buio.

Il Nukenin sussultò ed aprì gli occhi. Mikasa gli premette un altro bacio sul collo, accarezzandolo dolcemente, e Boruto tirò un sospiro di sollievo mentre realizzava di essersi risvegliato sano e salvo. Forse, pensò, meditare non faceva proprio al caso suo. Meglio smettere di pensarci. Qualunque cosa fossero quelle ombre, se ne sarebbe preoccupato un’altra volta.

Inclinò la testa, e Mikasa gli lasciò una scia di piccoli baci lungo la mascella. Gli afferrò i polsi, prendendoli delicatamente tra le mani, e Boruto le permise di inchiodarlo sul letto. "Sei stato impegnato," lo accusò lei, guardandolo dall'alto in basso.

Boruto sbuffò. "Conquistare il mondo non è una cosa veloce…" rispose.

"Però hai trovato il tempo per addestrare Lucy," ribatté Mikasa in modo uniforme.

Il biondo si bloccò. Esitò un paio di secondi. Poi rimase a bocca aperta. "Tu... sei gelosa?" domandò, incredulo.

La nera si irrigidì. "No," rispose, con un tono freddo come il ghiaccio e duro come l'acciaio.

"Lo sei! Sei gelosa!" esclamò invece Boruto.

Mikasa sospirò. La sua espressione si contrasse – incredibilmente – in un broncio infantile e carino. "Quella ragazza è decisamente... irritante," borbottò, ripensando alla bionda. Dopotutto, non poteva certo negare che Lucy fosse molto più attraente di lei… sotto diversi aspetti. In confronto al suo, quella ragazza aveva un fisico mozzafiato. E questa cosa le piaceva meno di quanto volesse ammettere

Boruto si mise a ridere. Evidentemente, però, quella fu una mossa sbagliata. Mikasa si buttò pesantemente contro di lui, schiacciandolo sotto al suo corpo. "Non hai nulla di cui preoccuparti," la rassicurò il biondo.

"Non è di te che mi preoccupo," sussurrò lei. "Ho visto il modo in cui Lucy ha iniziato a guardarti da quando Shizuma è morto. Sei stato lì per lei nel momento in cui ne aveva più bisogno. L’hai aiutata in un modo in cui nessun altro prima è stato capace di fare. Questo significherà molto per Lucy, Boruto. Significherebbe molto per qualsiasi ragazza. Io lo so bene."

Il ragazzo annuì, deglutendo nervosamente. In effetti persino lui aveva iniziato a notare che Lucy si stava comportando in maniera diversa quando erano assieme. Era meno pungente, meno impulsiva, e soprattutto molto più docile e disposta a seguirlo. Sembrava quasi essere diventata un cagnolino fedele, negli ultimi giorni.

Questa cosa andava risolta. "Non sono cieco, sai," brontolò sommessamente. "Ma non devi preoccuparti. La gestirò a tempo debito, te lo prometto."

Mikasa non disse niente dopo le sue parole, ma si limitò ad annuire lentamente. Boruto allora sorrise ed invertì le loro posizioni, inchiodandola al letto e facendola sobbalzare per la sorpresa. Si fissarono a vicenda per diversi secondi, sorridendo entrambi, crogiolandosi nei loro reciproci sguardi. Poi, Mikasa chiuse gli occhi, rimanendo in attesa. E Boruto non la fece attendere troppo, chinandosi verso di lei e baciandola, chiudendo gli occhi a sua volta.
 
 
 





 

Note dell’autore!!!

Salve gente, ecco a voi il nuovo capitolo! Spero possa esservi piaciuto.

Niente da dire oggi. Boruto ha compiuto un’ennesima strage, ma era prevedibile per tutti. Il massacro del clan Nara era una cosa che avevo ideato sin dai tempi de ‘La Battaglia di Eldia’, per cui sono felice di essere finalmente riuscito a mostrarvelo dopo tutto questo tempo. E ovviamente, questo terribile evento avrà delle conseguenze terribili per tutti; sia Boruto che il resto del mondo.

Nel prossimo capitolo, vedremo cosa succederà con Naruto dopo questa strage avvenuta sotto al suo mandato da Kage. Non sarà bello, ve lo dico sin da adesso.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Se ci sono errori nel capitolo, vi prego di farmeli notare così da poterli correggere quanto prima. Grazie a tutti in anticipo.

A presto!

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Capitolo 32
*** Odore di Morte ***


ODORE DI MORTE



12 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
10:00

Quel giorno, Naruto sentì un peso tangibile sulle sue spalle, come se un masso gli fosse stato legato alla schiena. Aveva fatto molte cose nella sua vita. Aveva combattuto così duramente, si era impegnato così tanto, era arrivato così lontano… ma alla fine tutto questo non aveva avuto importanza. Era quasi una tortura. Anzi, era decisamente una tortura. Una tortura psicologica. Una di quelle che Boruto gli aveva crudelmente imposto per vendicarsi di tutto ciò che lui e la sua famiglia gli avevano fatto e causato quando era piccolo. E questa cosa, per quanto detestasse ammetterlo, lo feriva più di quanto si sarebbe mai aspettato.

Era come se suo figlio gli avesse riservato un posto in prima fila in teatro, per fargli guardare al meglio tutto ciò per cui lui e Sasuke avevano combattuto, sanguinato e sofferto nella loro vita mentre veniva sbriciolato davanti ai suoi occhi. E nonostante tutta la forza che possedeva, Naruto non aveva comunque il potere di fermarlo. Ogni decisione che prendeva, ogni azione che intraprendeva, servivano solo a prolungare l'inevitabile o a peggiorare le cose.

E ormai era troppo tardi per rimediare. Si era reso conto ormai troppo tardi di essere stato cieco fino a quel momento. Perché questa era la verità: lui era cieco. Era troppo vicino al nemico, troppo coinvolto con suo figlio, per riuscire a prendere decisioni con una mente chiara e imparziale. Era cieco. Questa Guerra era stata la sua crociata personale perché istigata da suo figlio. Questo lo aveva reso cieco, lo aveva reso impulsivo e instabile. Lo aveva portato a correre dei rischi.

E ora ne stava pagando le conseguenze.

Un genocidio si era verificato sotto il suo mandato da Hokage. Centinaia di persone erano morte. Uomini, donne e bambini. Peggio ancora, erano la famiglia ed i membri del clan del suo migliore amico. Shikamaru era fuori di sé per la rabbia e il dolore. C'erano voluti sei ANBU contemporaneamente per trattenerlo e confinarlo in un hotel protetto, così da permettergli di riposare, sfogarsi e piangere mentre il distretto del clan Nara veniva esplorato dopo il… massacro. E tutto questo era successo per colpa sua.

Per questo motivo, fu con il cuore pesante che Naruto si rese conto che l'era della sua leadership era finita. Si era aspettato di indossare il Cappello per altri dieci o vent'anni. Aveva creduto di poter dare a Konohamaru abbastanza tempo per maturare nel Ninja che sapeva potesse essere prima di passargli il mantello da Hokage. E invece, le cose non erano andate secondo i suoi piani.

Sembrava che il mondo gli fosse passato accanto in un batter d’occhio. Non aveva ancora quarant’anni nemmeno, e già il mondo era cambiato così tanto rispetto a com'era quando era bambino. Era cambiato talmente tanto che non lo riconosceva più. Costanti come le Nazioni e lo stile di vita del suo popolo – il fondamento su cui aveva costruito il suo carattere – stavano mutando e cambiando. Una nuova voce, una nuova ideologia, una nuova speranza stava nascendo nella Terra. E questa voce, questa ideologia, aveva il volto di suo figlio. Un volto che aveva preso il suo posto e che adesso parlava per il mondo. E quando parlava, parlava di guerra, di cambiamento e di conquista; e la gente – anche quella di Konoha – esultava ogni volta che lo ascoltava.

Un colpo alla porta lo distolse dai suoi pensieri oscuri. "Entra," esalò Naruto.

Moegi entrò, la sua attuale segretaria di turno, rivolgendogli un piccolo, triste sorriso. "I suoi ospiti sono qui, Nanadaime-sama," disse, inchinandosi.

Naruto annuì e le fece cenno di allontanarsi. Subito dopo, con aria imbarazzata e triste, Konohamaru entrò a sua volta nell’ufficio, seguito da uno Shikamaru arruffato e chiaramente ubriaco e da diversi agenti ANBU che scivolarono via nell'ombra. Una volta che lo vide, Konohamaru si arrestò di colpo, e Naruto capì che doveva aver visto qualcosa nella sua espressione. Qualcosa che tradiva le sue reali intenzioni. "N-Naruto-nii?" chiese a bassa voce.

Il biondo sospirò pesantemente. Il momento era infine giunto. "Vi ho chiamati entrambi qui perché ho preso una decisione," annunciò senza preamboli, con voce roca. Vide il giovane Sarutobi irrigidirsi e farsi solenne dopo quelle parole, mentre Shikamaru lo guardava di sbieco con un’espressione spenta e devastata, trattenendo a stento le lacrime.

Passarono diversi secondi di silenzio. L’aria nell’ufficio sembrò appesantirsi visibilmente. Poi, facendo un grosso respiro, l’eroe del Villaggio della Foglia si arrischiò a continuare. "A partire da questa sera a mezzanotte… io cesserò di essere il Settimo Hokage di Konoha," dichiarò.

Gli occhi di Konohamaru si spalancarono a dismisura e la sua faccia si contorse come se fosse appena stato pugnalato. Quelli di Shikamaru invece si fecero rossi e pieni di lacrime non versate, anche se il biondo non poteva dire se fosse a causa del suo annuncio o meno.

Naruto fece un respiro profondo e affannoso. "Ti ho nominato mio successore, Konohamaru," disse gentilmente.

Il giovane Sarutobi ammiccò le palpebre con aria terrorizzata. "I-I-Io?" esclamò, in preda al panico. "N-No! Non posso essere Hokage! Non sono pronto! Ho ancora così tanto da imparare! E-E non sono abbastanza forte da poter difendere il Villaggio! Neanche lontanamente! Non posso, Naruto!"

L’Uzumaki sorrise con tristezza. "La tua Modalità Eremitica è migliorata moltissimo solamente nell'ultimo anno," gli ricordò. "E ti sei allenato per assumere il Cappello per quasi lo stesso tempo che ho avuto io. Sei nato per questo, Konohamaru. È giunto il momento di rendere orgoglioso tuo nonno."

"M-Ma…" Konohamaru rimase a bocca aperta, a corto di parole. "Io... Io... E se rifiutassi?" chiese freneticamente. "Chi altro sceglieresti?"

Naruto espirò un sospiro dal naso, a lungo e lentamente. "Se tu dovessi rifiutare," disse con cautela. "Dato che Sasuke è ancora lontano, allora sceglierei Sarada come mio successore."

Konohamaru soffocò. "Ma... lei... lei è..." balbettò.

"Sarada sarebbe l’Hokage più giovane sin dai tempi di mio padre, è vero," disse Naruto. "Non ha alcuna formazione politica, e probabilmente non l’avrà mai se le cose continueranno in questo modo. Ma è forte e appassionata, e nonostante i suoi difetti e le sue falle, credo che sia sinceramente dedita al bene della Foglia, al miglioramento del mondo, e alla cattura di Boruto per assicurarlo alla giustizia."

"…non è pronta," gracchiò Shikamaru, prendendo parola per la prima volta. "Anzi, probabilmente non siamo pronti nemmeno noi perché tu prenda il Cappello, Konohamaru. Senza offesa."

"Allora... Allora perché?" chiese disperatamente il Sarutobi, implorando, quasi.

Naruto abbassò lo sguardo a terra. "Perché... sono emotivamente compromesso, Konohamaru," spiegò, ricacciando indietro le lacrime. "Lo sono da molto tempo. Pensavo di poterlo gestire, di poter essere professionale, ma… gli eventi recenti hanno dimostrato che non posso farcela. Non posso, in buona fede, indossare il Cappello sapendo di essere incapace di onorare la forza e l'integrità di coloro che l'hanno indossato prima di me."

Konohamaru lo guardò a bocca aperta come un pesce.

"Naruto rimarrà comunque come tuo consigliere, assieme a me," aggiunse allora Shikamaru. "E continuerà a combattere per la Foglia, ma non sarà più lui a dare ordini. Sarai tu a farlo, Konohamaru."

Il Sarutobi si voltò di scatto. "T-Tu ... sei d'accordo con lui, Shikamaru?" esclamò.

Shikamaru annuì, triste e depresso. "Sarai un buon Hokage," disse a sua volta. "Col tempo, almeno. Se riusciremo ad averlo."

Konohamaru rimase in silenzio per molto tempo, la sua testa bassa e le sue sopracciglia aggrottate. Naruto aspettò per molto tempo la sua risposta. Poi, dopo diversi minuti, parlò. "Io... lo farò," sussurrò, suonando quasi incredulo. "Ma avrò bisogno del vostro aiuto."

Naruto sorrise tristemente e si alzò dalla sedia. Fece il giro della sua scrivania – o meglio, della scrivania dell'Hokage – per l'ultima volta. Con cautela, allungò una mano e si rimosse il cappello cerimoniale da Hokage, rosso fuoco e crema, e lo mise in cima alla testa di Konohamaru. Poi si tolse la veste, slacciando il fermaglio d'oro che la teneva in posizione, e la avvolse attorno al suo giovane amico. Ed infine, sorridendo, s’inchinò rispettosamente davanti a lui. "Congratulazioni, Hachidaime-sama (Ottavo Hokage)," disse ad alta voce.

Per tutta risposta, il giovane si precipitò in avanti e lo abbracciò con una presa quasi schiacciante. Naruto ricambiò l'abbraccio e gli diede una pacca sulla schiena.

"Sei stato nominato in tempo di guerra," li interruppe Shikamaru subito dopo, guardando il nuovo Kage con tristezza. "Non ci saranno fasti o cerimonie. E al momento non andrebbero bene comunque. Annunceremo modestamente la tua nomina sul giornale di domani."

Naruto vide un fuoco ardente accendersi negli occhi del Sarutobi. Il neo Hokage annuì in accordo.

"Va bene," disse poi con un rapido cenno del capo. "Cosa dovremmo fare?"

Naruto condivise un sorrisetto con Shikamaru. "Questo," disse il Nara. "Dipende da te, Ottavo Hokage."

Le guance di Konohamaru divennero tinte di rosso. "Cosa dovrei fare, allora, secondo voi?" chiese.

Shikamaru sospirò e si frugò in tasca prima di ritirare una sigaretta, accenderla e fare un lungo tiro con le labbra. Poi prese una mappa arrotolata da una libreria vicina e la stese sulla scrivania. Konohamaru fece per sedersi su una delle sedie degli ospiti. Un secondo dopo, sembrò rendersi conto del suo errore e si mise a sedere dietro la scrivania. Naruto sorrise affettuosamente a quella scena.

"Ora sappiamo cosa vuole Boruto," ringhiò ferocemente Shikamaru. "Vuole il mondo, e ne ha già preso metà senza che ce ne rendessimo veramente conto. L'Impero Shinobi Unito controlla la Terra del Gelo, del Vapore, del Fulmine e della Roccia. E per quanto ne sappiamo, anche la Terra dell’Erba è ufficialmente controllata da lui. Noi, d’altra parte, stiamo ancora aiutando i sopravvissuti della battaglia alla Nuova Nuvola a trasferirsi qui sotto la leadership di Yurui. In quanto futuro Settimo Raikage, sarà il nostro più stretto alleato se decidessimo di impegnarci a riconquistare la Terra del Fulmine."

Naruto annuì mentre Konohamaru prestava molta attenzione a Shikamaru.

Il Nara mosse le mani sulla mappa. "Inoltre," continuò. "Siamo certi che anche la Terra della Pioggia sia alleata con l'Impero. Boruto ha avuto degli stretti legami con l'Amekage quando l'ha aiutata a salire al potere. Non ci sono dubbi sul fatto che quella donna sia alleata con lui."

Shikamaru indicò con un dito l'isola al largo della costa orientale della Terra del Fuoco. "Non siamo sicuri, invece, di cosa stia succedendo nella Terra del Vortice. I falchi messaggeri vengono sempre respinti, e ogni nostro tentativo di comunicazione con l’Uzukage è fallito. Jin Uzumaki ha abbandonato la Task Force anni fa, e dopo il Summit non è stato più visto. Inoltre, le nostre informazioni ci suggeriscono che il clan Uzumaki sia in parte responsabile della scomparsa dei Kara e della loro base operativa. Dopotutto, Kairi Uzumaki è la figlia dell’Uzukage. Molto probabilmente, questo significa che anche loro si sono uniti all'Impero."

Konohamaru impallidì visibilmente dopo quella spiegazione. "Sette Nazioni," sussurrò.

Shikamaru annuì gravemente. "Un possibile piano di attacco sarebbe puntare sull'anello più debole," continuò. "La Terra della Pioggia è la più lontana dai confini dell'Impero. Se attaccassimo lì, per Boruto sarebbe difficile trasportare un intero esercito per difenderla. Ma questo solleva un secondo problema: l'Impero ha anche un alleato dietro le linee nemiche."

"I mercenari della Terra dell’Acqua," dedusse Konohamaru.

Shikamaru annuì, spegnendo la sigaretta. "Mei Terumi ha assunto nuovamente il titolo di Quinto Mizukage, ma la Nebbia è in gravi difficoltà. La situazione politica sta ancora vacillando. Dopo l’assalto dei Kara, Chojuro è stato assassinato e, insieme a lui, anche i candidati per il titolo di Settimo Mizukage. Se Mei dovesse morire a sua volta, la Nebbia è condannata. Sarebbero senza leader e circondati da tutte le parti. È per questo che al momento non sono stati più colpiti. Non rappresentano una minaccia per Boruto, e lui potrebbe sconfiggerli in meno di un’ora."

Konohamaru imprecò sottovoce, con il sudore che gli imperlava la fronte. Naruto sorrise ironicamente. Comprendeva appieno il peso che Konohamaru si sentiva addosso.

"Ma c’è dell’altro oltre alla minaccia geopolitica," spiegò ancora Shikamaru. "Boruto vuole i Bijuu, per qualche motivo. Non sappiamo perché. Con la cattura dell’Hachibi (Ottacoda), rimangono solo il Rokubi (Esacoda) e il Nanabi (Eptacoda). Sarada e gli altri li stanno tenendo d'occhio, ma dobbiamo essere estremamente prudenti. Se spostassimo troppi uomini per difendere i confini e riconquistare i Paesi, Boruto muoverà le sue forze per colpire i Cercoteri e rubarceli da sotto il naso."

Poi, in quel momento, Shikamaru si schiarì la gola ed uno sguardo di profondo dolore oscurò i suoi lineamenti. "Con la... con la distruzione del clan Nara, Temari è stata rapita,” sussurrò, la sua voce bassa che si spezzava terribilmente. “È una prigioniera preziosa, non solo per… motivi personali. È la prossima in linea per diventare Kazekage nel caso in cui il comandante Ittan non venisse scelto come successore. Inoltre, possiede una conoscenza profonda della Sabbia e della Foglia. Una conoscenza che sarà di sicuro inestimabile per Boruto per vincere questa guerra. L'Impero non ha ancora fatto richieste per restituircela, ma lo farà presto. Dovrai essere preparato ad affrontarli, Ottavo."

Konohamaru sembrava assolutamente perso. Naruto, per la prima volta in vita sua, non lo invidiò.

"E ancora, infine," Shikamaru si asciugò una lacrima che gli era sfuggita e gli scorreva lungo la guancia. "Il genocidio della nobiltà ha lasciato ogni Nazione, compresa la nostra, nel caos. Devi decidere se la Foglia debba o meno assumere il governo del Paese fino a quando non sarà possibile scegliere un nuovo Daimyo del Fuoco."

Detto questo, l’ufficio sprofondò nel silenzio più assoluto. Un silenzio che sapeva di terrore e amarezza.

Il neo Hokage rimase zitto per molto, molto tempo. Fissò la mappa con occhi sbarrati, e Naruto ebbe paura per un momento che sarebbe esplosa in fiamme sotto al suo sguardo. Questa era la sua prima prova come Hokage, e il biondo sperava vivamente che Konohamaru potesse passarla a pieni voti.

"Io... non credo che un attacco ci farebbe guadagnare qualcosa, a questo punto," decise alla fine Konohamaru. O meglio, l'Ottavo Hokage. "Per ora lasceremo perdere la Pioggia, ma dovremmo posizionare una guarnigione al confine per aiutare la pattuglia. Allo stesso modo, dovremmo spostare alcune delle nostre forze a Nord-Est per aiutare a difendere il nostro confine con la Terra del Vapore. Inoltre, continuiamo a cercare di stabilire una comunicazione con il Vortice. Se continueranno a bloccarci, allora è sicuro che ci hanno tradito e avremo bisogno di inviare delle guarnigioni nelle città portuali per difenderle.”

Naruto e Shikamaru annuirono in silenzio mentre il neo Hokage parlava. “Dato che il Vortice controlla la baia, possiamo inviare degli uomini nella penisola sud-orientale e far attraversare loro il confine terrestre che condividiamo con la Terra dell'Acqua,” continuò. “Da lì, possono spostarsi per raggiungere la Nebbia. Sarà difficile, certo, se non impossibile, difendere il Villaggio dietro le linee nemiche. Perciò, nel caso la Nebbia dovesse cadere, dovremmo aiutare Mei ed i suoi Ninja a ritirarsi qui. Possiamo chiedere alla Terra delle Onde di prestarci l'uso della sua flotta e del porto per aiutare a trasportarli. Se Boruto vuole la Terra dell'Acqua, può averla. Ma questo è tutto quello che avrà: la terra."

Konohamaru fece una pausa, facendo un respiro profondo, le sue sopracciglia aggrottate in concentrazione. "Chiederemo sostegno alla Sabbia, e cercheremo di ristabilire i contatti con la Terra del Ferro e delle Cascate," disse ancora. "Per quanto riguarda la nobiltà, credo che la Foglia dovrebbe assumere il controllo del Paese. Non abbiamo altra scelta se vogliamo evitare una sommossa popolare. Perciò, cominciamo a preparare l'economia per la guerra. Più attività minerarie, più agricoltura. Aumentiamo la fabbricazione delle armi e ordiniamo ufficialmente il reclutamento per gli studenti dell'Accademia."

Naruto si portò al fianco di Shikamaru dopo quella dichiarazione. "Come desidera, Hokage-sama," fecero eco a vicenda, inchinandosi. Era un po' imbarazzante, dovette ammettere, dopo essere stato abituato alle persone che si inchinavano davanti a lui per così tanto tempo.

E mentre i due uomini si muovevano per andarsene – e per lasciare che Konohamaru si adattasse alla sua nuova posizione – il giovane Hokage li chiamò un’ultima volta. "Shikamaru?" disse l’Ottavo, attirando l'attenzione del Nara. "Riporteremo indietro tua moglie. Te lo prometto."

Shikamaru non disse niente. Semplicemente si voltò e se ne andò. Ma Naruto riuscì a vedere le lacrime che cadevano mentre lo seguiva per impartire ordini.
 


15 Gennaio, 0022 AIT
Terra dell’Acqua
Isola del Villaggio della Nebbia
11:00

La nave si arenò sulla sabbia e Boruto saltò giù con passo solenne. L'acqua schiumosa del bagnasciuga gli schizzò sulle gambe mentre i suoi stivali colpivano la sabbia bagnata, ma lui non se ne curò. Il suo Jougan era aperto e in concentrazione, con lo sguardo perso verso l’orizzonte. E per quanto lontano osservasse, ancora non riusciva a percepire i difensori nemici. I suoi uomini sbarcarono dietro di lui, le loro armature nere che risuonavano ad ogni movimento mentre si spintonavano per avanzare.

Boruto si rivolse ai suoi luogotenenti. "Inviate degli esploratori a Nord e Sud," ordinò. "Poi spostate le truppe ad Est. Io guiderò l'esercito principale direttamente al Villaggio della Nebbia. Ci riuniremo assieme lì."

"Sissignore!" esclamarono suoi luogotenenti. Fecero un rapido cenno di saluto, prima di iniziare ad abbaiare ordini e precipitarsi ad eseguire i suoi comandi.

Il Nukenin avanzò a sua volta. Lucy lo seguì a ruota, come un cucciolo smarrito, osservando il numero sempre più crescente di navi che si arenavano sulla spiaggia e dei soldati che sbarcavano. Boruto guardò attraverso il mare e si chiese dove sarebbe atterrata Mikasa, che stava guidando l'assalto navale dall’altra parte dell’isola. Poi lanciò una rapida occhiata a Lucy e la sorprese mentre era intenta a fissarlo. La bionda distolse rapidamente gli occhi, le sue guance rosa, trovando improvvisamente affascinante il ​​via vai dei soldati.

Boruto sospirò, percependo le sue emozioni col Jougan. Era chiaro come il sole che Lucy stava iniziando a provare dei sentimenti nei suo confronti, ma decise di ignorarla per il momento. Sperava solo che questa faccenda non sarebbe diventata un problema. Anche se, in tutta onestà, lui non poteva biasimare la giovane per i suoi sentimenti. Mikasa era stata così timida con lui a sua volta, prima che diventasse... beh, la sua ragazza.

Non ci volle molto perché i suoi uomini si unissero a formare una fila uniforme ed ordinata. Marciarono con un aspro staccato che suonava stranamente gradevole alle sue orecchie. La Terra dell'Acqua era più piccola rispetto a molti Paesi nell’entroterra, ma ci vollero comunque diverse ore di marcia veloce per raggiungere l'unico baluardo di civiltà dell'isola. Prima vennero le strade e le case, e poi Boruto poté vedere gli stendardi dell’esercito di Mikasa, seguiti dagli alti muri di pietra bianca del Villaggio della Nebbia e le luci al neon che brillavano morbidamente nella nebbia sempre presente. Il guerriero si avvicinò alla porta principale della città, attivò di nuovo il Jougan, ed il suo occhio vide...

Niente.

Era vuota, a parte qualche migliaio di civili nervosi. Boruto corrugò la fronte.

"Boruto!" sentì Mikasa gridare il suo nome. Il suo sguardo trovò rapidamente la ragazza ed un battaglione di uomini accampati su una delle spiagge.

Il Nukenin corse velocemente verso di loro. "Mikasa," sussurrò. "Cosa sta succedendo?"

"Il Villaggio è stato abbandonato," lo informò la nera. "Non è rimasto nessun Ninja. Abbiamo catturato alcuni pescatori mentre entravamo nella baia. Dicono che la Mizukage abbia preso le sue forze e le persone a lei fedeli e sia fuggita."

Mikasa fece un cenno col capo verso due vecchietti brizzolati, entrambi calvi e con la barba bianca come la neve, che stavano dietro di lei e che non aveva notato durante la sua prima ispezione. "Kurokage-sama," lo salutarono in coro, inchinandosi rispettosamente.

"Perché la Mizukage ha abbandonato la sua città e dove ha portato i suoi uomini?" domandò loro Boruto.

I due vecchi si scambiarono uno sguardo. Uno di loro, il maggiore, immaginò Boruto, si fece avanti. "La Mizukage sapeva che sareste venuto, mio ​​signore," disse lentamente. "Ci ha detto che non sarebbe stata in grado di difendere noi ed il Villaggio. Ogni suo sforzo sarebbe servito solo a farci guadagnare tempo prima che lei, Kurokage-sama, ci conquistasse. Perciò, ci ha dato una scelta: potevamo restare e difendere inutilmente la città fino al nostro ultimo respiro, oppure scappare e vivere per combattere un altro giorno. La nostra gente ha votato, e ha accettato di andarsene."

"E che dire di quelli che sono rimasti?" chiese il biondo.

Il vecchio si inchinò di nuovo. "Quelli che sono rimasti sono quelli che le sono fedeli, mio ​​signore," disse.

Boruto annuì solennemente. Fece un cenno ad uno dei suoi aiutanti. "Tenente, assicurati che questi uomini siano adeguatamente ricompensati per il loro servizio," ordinò.

Il soldato annuì e condusse via i due vecchi pescatori. L'uomo che gli aveva risposto si inchinò profondamente. "Grazie, mio ​​signore," disse.

Boruto sorrise, sapendo di aver irrevocabilmente cambiato la vita di quell'uomo e della sua famiglia per sempre. La Nebbia aveva a malapena tenuto il passo con i radicali cambiamenti tecnologici che erano esplosi nella Foglia e nell'Unione. Molte persone erano povere, lavoravano per lunghe ore, e vivevano vite dure ancora adesso, molti anni dopo la Quarta Guerra Mondiale.

Ma ora non era il momento di pensare a convenevoli. Boruto aveva un altro Paese da aggiungere alla sua collezione. "Dite agli uomini di entrare in città," ordinò. "Non devono attaccare a meno che non siano attaccati per primi. Non ci saranno danni alle proprietà del Villaggio se non in casi strettamente necessari, e qualunque tipo di saccheggio è vietato. Chiunque venga sorpreso a trarre vantaggio dall'assedio, avrà le mani tagliate."

"Si, Kurokage-sama!" fecero eco i suoi luogotenenti, prima di precipitarsi di nuovo via.

"Pensi davvero che sarà così facile?" chiese a quel punto Mikasa.

Boruto assottigliò i suoi occhi eterocromi. "Ne dubito," rispose. "Ma non percepisco nessuna negatività qui. Possiamo sempre sperare, no? Se la Mizukage si è ritirata davvero, questa sarebbe una grande vittoria per noi. La Terra del Fulmine può fornire il metallo e le miniere di cui abbiamo bisogno per l'esercito, e la Terra dell'Acqua da sola può rifornire di cibo l’intera popolazione dell’Impero grazie alla sua robusta industria di pesca e coltivazioni. Se la maggior parte dell'isola è stata abbandonata, questo significa che c'è terra da prendere. Possiamo offrire incentivi per convincere le persone a trasferirsi qui. Dare loro terra, case e posti di lavoro in cambio di una parte del raccolto per l'Impero."

Mikasa sorrise timidamente e gli si avvicinò in un modo che era palesemente intimo. Boruto la guardò, confuso. Non era imbarazzato dal fatto che loro due fossero in una relazione… ma non erano esattamente soli in quel momento, e lui aveva la sua immagine di Kurokage da considerare. I suoi uomini dovevano vederlo come il loro leader prima di tutto: un dio tra gli uomini; imbattibile, intoccabile e inattaccabile. Mikasa invece teneva il suo cuore tra le mani, mettendolo in bella mostra al mondo.

"Ti ho mai detto quanto sei attraente quando parli di politica?" sussurrò lei, in un tono che era allo stesso tempo seducente e scherzoso.

Boruto ammiccò. Sentì uno sbruffo disgustato alle sue spalle e si voltò per vedere Lucy che se ne andava. Ammiccando di nuovo, si girò verso Mikasa e la fissò incredulo. "…davvero?" sospirò. "E con quella frase?"

"Mi stava irritando," grugnì la nera. "Ed era l'unica cosa che mi è venuta in mente. Se fossi rimasta zitta, le cose sarebbero state ancora più imbarazzanti per entrambi."

Il Nukenin fece un respiro profondo. "Se non l'hai notato, cara," disse dolcemente. "Siamo in guerra. Ci troviamo letteralmente su un campo di battaglia. Per cui, cerca di risparmiare la gelosia per dopo!" sibilò.

Mikasa ruotò gli occhi al cielo mentre un messaggero correva loro incontro. "Kurokage-sama, signore!" si inchinò. "Un messaggio per lei," riferì, porgendogli una pergamena.

Boruto ispezionò il documento con il Jougan per un momento, alla ricerca di trappole, ma non ne trovò. Prese il rotolo con un mormorio di ringraziamento e il messaggero corse via per occuparsi degli altri suoi doveri. Poi, la sua fronte si corrugò mentre i suoi occhi esaminavano il testo.

"Cosa dice?" chiese la ragazza.

Lui sospirò. "È un messaggio di Kaya, l'Uzukage," spiegò, la sua mente che prese a dedurre immediatamente cosa stava succedendo. "Vuole incontrarmi per discutere una questione importante."

Mikasa inarcò un sopracciglio. "E vuoi andarci adesso?"

Boruto annuì. "Mi farà risparmiare tempo," rispose con una scrollata di spalle. "Avevo comunque bisogno di parlare con lei. Il mio piano è fare in modo che l'Uzukage governi sia la Terra del Vortice che quella dell'Acqua. Dovrò informarla che la Nebbia è stata conquistata e che la sua gente può iniziare a trasferirsi qui e prendere in mano le redini del comando."

La sua ragazza annuì pigramente.

Lui le rivolse uno sguardo emotivo. "Mentre sono via, posso contare su di te per sovrintendere la resa della città?" chiese con voce bassa ed incerta.

Mikasa alzò lo sguardo ed ammiccò con le palpebre. "Certo, Boruto," disse dolcemente.

Il biondo annuì, un piccolo sorriso che adornava le sue labbra, ed allungò la mano verso di lei. Le sue dita sfiorarono la mano della giovane e Mikasa gli sorrise in risposta. Soddisfatto, Boruto si voltò ed iniziò a seguire le orme di Lucy. Non gli ci volle molto per trovarla, dato che non era andata molto lontano. La trovò mentre era intenta a guardare gli uomini che scendevano dalle loro navi e scaricavano rifornimenti e attrezzature.

"Lucy," disse, avvicinandosi a lei. Per tutta risposta, la bionda borbottò qualcosa di incomprensibile. Boruto fece una pausa, decise le sue parole, e poi parlò. "So che Mikasa potrebbe non piacerti, o che potresti sentirti inferiore a lei, ma questo non è il momento per comportarsi così. Mikasa è ben informata su questioni militari come questa, e mi aspetto che voi due siate in grado di lavorare insieme."

Le sue parole colpirono in pieno. Lucy era diventata di una particolare sfumatura scarlatta che Boruto non aveva mai visto in un altro essere umano. Fece una pausa. Anche senza Jougan, quella ragazza era estremamente semplice da leggere. E i suoi sentimenti per lui – qualunque cosa pensassero di essere – erano ancora tormentosi e incerti. Lo stesso approccio non avrebbe funzionato. Quindi...

Il giovane Uzumaki le posò delicatamente e cautamente una mano sulla spalla che la fece trasalire. "Aiutami a portare il Villaggio sotto il mio governo e impara quello che puoi da lei, per favore. Fallo per me, ok?" chiese.

Lucy squittì, distogliendo lo sguardo, e poi annuì dopo pochi secondi.

"Grazie," disse lui dolcemente, attivando la sua Scia Scattante di Fulmini mentre parlava. Poi, nel momento in cui le parole lasciarono le sue labbra, tutto il suo corpo scomparve con un lampo di luce e un rombo di tuono.
 


15 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio del Vortice, Terra del Vortice
12:43

Non gli ci volle molto per navigare attraverso i cieli. Anche senza dover evocare un portale oscuro, viaggiare era diventato estremamente facile per lui.

Grazie al Potere del Risveglio, Boruto sorvolò l'isola principale della Terra dell'Acqua, spiando le sue truppe e i pochi civili che avevano deciso di vivere sotto al suo governo, prima di attraversare l'oceano aperto e le sparse macchie di sabbia che a malapena potevano essere chiamate isole. La Terra del Vortici, circondata dalle maree e dalla barriera difensiva del clan, impiegò pochi istanti per apparire alla sua vista. Boruto attraversò la barriera che circondava l'isola, spostandosi brevemente a mezz'aria, prima di disattivare bruscamente la cappa elettrica per atterrare in sicurezza al centro del Villaggio.

Il trasporto era sempre più facile e veloce del combattimento. Il Nukenin sorrise per il tempo record che aveva impiegato per giungere qui, ed il suo arrivo venne preannunciato da uno scroscio di tuono che attirò l'attenzione delle guardie. Erano sorprese, con gli occhi spalancati e chiaramente in allerta, ma si rilassarono non appena lo videro e riconobbero. Boruto poteva capire le loro paure. Il clan Uzumaki era stato quasi annientato in passato per aver preso parte in una guerra, e i suoi superstiti non avrebbero rischiato di nuovo una follia simile. Anche se, in realtà, era improbabile che la Foglia fosse determinata a compiere una tale distruzione. Boruto non pensava che suo padre – o il suo stupido allievo, Konohamaru, che ora era diventato Hokage – sarebbero stati così insensibili.

"Jin," Boruto salutò l'uomo che gli si stava avvicinando mentre era attratto dal clamore generale. "È un piacere rivederti. E in circostanze migliori, anche."

"Ehi, ragazzo," Jin lo salutò senza entusiasmo. "Nessun rancore, vero?"

"Al contrario," disse lui. "Il tuo lavoro sulla mia cella è stato ingegnoso. Spero che non ti dispiaccia se l'ho copiato. L'ho messo a frutto nelle prigioni dell'Impero."

L’uomo dai capelli cremisi si strinse nelle spalle. "Non ho davvero scelta a riguardo, vero, Kurokage?" strascicò. "…sama," aggiunse subito dopo, beffardo.

Il Nukenin sorrise debolmente. "Non badiamo troppo alle formalità, va bene?"  offrì.

Jin accettò il ramoscello d'ulivo per quello che era, annuendo. Quali che fossero i dubbi che l'uomo aveva su di lui o sulla situazione, non poteva farci niente. Boruto era più potente di lui e aveva la fedeltà del Vortice dalla sua parte. "Allora," rifletté il biondo. "Che cosa vuole da me l’Uzukage?"

Jin sembrò farsi serio per un momento prima di spostare la testa di lato. "Non qui," sussurrò, conducendolo verso la vasta casa che fungeva da ufficio dell'Uzukage e da Accademia.

Boruto lo seguì rapidamente. Se doveva essere onesto con sé stesso, gli mancava molto il Vortice. C'era qualcosa di strano per lui nel "Villaggio" – se così si poteva chiamare – e nella sua gente. Sentiva una sorta di connessione, di appartenenza, diversa da quella che aveva mai sentito nella Foglia.

Raggiunsero l’ufficio in pochi minuti. Kaya sedeva dietro la sua studiosa scrivania, apparendo imponente e severa come sempre. Boruto non se n’era reso conto durante il loro ultimo incontro, ma quella donna sembrava diventare sempre più solenne e adulta ora che i suoi anni la stavano raggiungendo. I suoi lunghi capelli cremisi erano più curati e attraenti, e i lineamenti relativamente giovani del volto adesso erano più severi e avevano cominciato ad indurirsi. Sembrava... più adulta. Ma, d'altra parte, l’età non poteva arrestarsi. Kaya aveva già più di trent’anni quando lui l’aveva incontrata la prima volta, diversi anni prima.

"Però, sei veloce," disse bruscamente l'Uzukage con un sorrisetto. Sembrava però che la sua lingua fosse rimasta affilata come sempre.

Boruto sorrise a sua volta. "Dovevo comunque passare da qui," riferì, alzando le spalle.

"Oh?" mormorò la donna.

"La Mizukage ha abbandonato il suo Paese ed il Villaggio della Nebbia," spiegò lui, attirando immediatamente la sua attenzione. "Non c'è stata nemmeno una battaglia. Abbiamo marciato direttamente attraverso i cancelli. I miei uomini stanno proteggendo il Villaggio e consolidando il potere proprio adesso mentre parliamo. Una volta fatto, avrò bisogno di qualcuno che assuma il governo della zona. Speravo che lei potesse essere quella persona."

L'Uzukage annuì lentamente, e Boruto poté praticamente vedere gli ingranaggi che giravano nella sua mente. "Molto bene," concordò. Fece un cenno verso Jin, indicandogli di lasciare la stanza. L’uomo se ne andò con un inchino rispettoso. "Possiamo discutere i dettagli in un altro momento."

"Certo," concordò lui. "Ma ci tengo a precisare che il clan Uzumaki sarà ricompensato per i servizi resi. Detto questo, per cosa mi ha chiamato qui? Deduco che sia finalmente giunto il momento di fare… quella chiacchierata?"

Kaya annuì solennemente, il suo volto indecifrabile. "In un certo senso," disse, enigmatica. “Ma non sarò io a parlare con te.”

"Oh?" fece Boruto, diffidente. Quella risposta non se l’aspettava. Aveva chiaramente chiesto di avere delle risposte in passato. Che cosa intendeva dire adesso quella donna con una risposta del genere?

L’Uzukage sembrò leggergli nel pensiero con un solo sguardo. Fece un profondo respiro sommesso. "Hai detto che volevi delle risposte sulla tua connessione con la Morte," iniziò poi a dire. "E le avrai. Ma prima di iniziare… voglio che tu me lo prometta di nuovo, Boruto. Promettimi che non dirai mai niente di ciò che potrai sentire e vedere oggi. Nemmeno a Mikasa, Sora, Kairi o altri."

Il Nukenin ammiccò confusamente dopo quelle parole. Sentire e vedere? Che voleva dire? Doveva vederci chiaro. “Lo prometto,” giurò.

Kaya esitò ancora un paio di secondi, fissandolo attentamente negli occhi. I loro sguardi si sfidarono a vicenda per diverso tempo. Poi, alla fine, emise un secondo sospiro.

“Quello che sto per dirti, è un segreto che viene tramandato solamente a coloro che diventano Uzukage,” dichiarò. “Io stessa ne venni a conoscenza da parte di mia nonna quando ero solo una bambina, molti anni fa. Lei era… la figlia della figlia di Mito Uzumaki, la moglie del Primo Hokage. Ed è stata il Secondo Uzukage, prima di me.”

Boruto la ascoltò con attenzione. Una parente della leggendaria moglie di Hashirama Senju era praticamente una divinità ai suoi occhi. E questa notizia gli fece vedere anche Kaya sotto una nuova luce. Fece un cenno del capo alla donna per spingerla a continuare.

Il Terzo Uzukage annuì. “Quando mia nonna si rese conto di essere giunta in prossimità della fine della sua vita, mi fece chiamare sul suo letto di morte,” spiegò. “Lì, mia nonna mi consegnò il Cappello, esattamente come le era stato consegnato a sua volta, ordinandomi di assumere il comando dei resti frammentati del clan e di assumere il titolo di Kage in sua vece. E prima di morire, mi fece dono di un’altra cosa. Un cimelio, diciamo. Un artefatto. Il più antico artefatto del clan Uzumaki, tramandato solo ed unicamente da un’Uzukage all’altro.”

Un breve silenzio contemplativo discese dopo quel piccolo racconto. Boruto guardò Kaya con attenzione. “E quale sarebbe questo antico artefatto?” chiese eventualmente.

Kaya sorrise. Un sorriso bieco e strano che lo fece restare interdetto. “Siccome anche tu sei un Kage, adesso posso dirtelo. Ricordi la prima volta che ti raccontai la storia dell’origine del nostro clan?” chiese di rimando. Il biondo restò confuso dopo quella domanda. “Ti dissi che non riuscii a credere davvero a quella leggenda fino a quando non divenni Uzukage. E sai perché?”

Boruto scosse la testa.

L’Uzukage non rispose. Semplicemente, appoggiò una mano sulla scrivania ed una vecchia maschera bianca – pallida quasi come un osso – ammiccò alla vita in una nuvola di fumo. Boruto prese fiato, il suo occhio sinistro che guizzavano tra la maschera e la donna, osservandole entrambe con apprensione. "Che cos’è?” domandò.

La donna dai capelli cremisi gli fece cenno di toccare la maschera. Boruto la osservò. Era rotonda e bianca, priva di fattezze e lineamenti, con due semplici fori all’altezza degli occhi. Eppure, mentre la osservava, un profondo senso di pressione prese a nascergli nel cuore. Il giovane non voleva ammetterlo, ma si stava iniziando a sentire sempre più intimorito mentre la osservava, senza sapere il perché. Alla fine, dopo diversi secondi, allungò lentamente una mano, le dita che tremavano appena mentre si arricciavano attorno ai bordi consumati della maschera.

“Questa è la prima maschera del Clan Uzumaki,” disse solennemente Kaya, la sua voce seria, bassa e pesante. “La vera Maschera della Morte.”

Boruto deglutì. Riusciva a percepire una strana aura minacciosa attorno alla maschera grazie al suo Jougan. “…che cosa fa?” chiese eventualmente.

L’Uzukage lo guardò dritto negli occhi. “Indossala,” si limitò a rispondergli. “E troverai le tue risposte.”

Il guerriero esitò. “Vuole che la indossi? Ma io non sono l’Uzukage,” obiettò.

“Vero, ma ormai non conta più. Sei diventato un mio superiore, no?” ribadì la madre di Kairi, mortalmente seria.

Boruto non disse nulla, esitando per diversi secondi. I suoi occhi rimasero incollati alla maschera che reggeva in mano. Alla fine, non ce la fece più ad attendere. “Che cosa mi mostrerà?” chiese ancora.

Il volto della donna era imperscrutabile. “Ti metterà in contatto con chi ha le risposte che cerchi,” fu tutto ciò che disse.

Non era una risposta. Comunque, Boruto si era stufato. Se voleva vederci chiaro, doveva ingoiare il suo timore e scoprirlo da solo. Si portò la maschera verso la faccia, ma si fermò quando l'Uzukage lo chiamò un’ultima volta. "Devo avvertirti, Boruto," disse. "Quell’entità… è molto potente. Il suo spirito è forte e pericoloso anche dopo tutte queste centinaia di anni. Se abbasserai la guardia, non esiterà a sopraffarti."

Boruto deglutì nervosamente. Poi annuì, grato dell'avvertimento, per quanto inutile. Aveva già imparato quella lezione nel modo più duro, lottando nei campi di battaglia. Abbassare la guardia non era un errore che avrebbe commesso di nuovo. Perciò, facendo un respiro profondo, chiuse gli occhi ed indossò la maschera.
 


. . .
 


La sua mente lo percepì Immediatamente. L'afflusso di chakra estraneo prese ad inondargli completamente il corpo. All'inizio era freddo e buio, alieno in un modo che Boruto non aveva mai percepito o sentito prima. Poi, si ramificò, trascinandolo più in profondità nell'abisso, e il giovane pensò per un momento che sarebbe annegato, prima che la sensazione si placasse e venisse rimpiazzata da una nuova: paura.

Poi, l’oscurità e il silenzio lo accolsero.

Ci fu un respiro morbido e caldo sul suo collo che gli fece rizzare tutti i peli del corpo. Boruto trasalì, percependo un chakra terrificante che lo assaliva. Balzò via d’istinto, ruotando sul suo aggressore e scivolando in una posizione difensiva mentre sollevava le sue barriere mentali. Poi, i suoi occhi incontrarono l’artefice del suo terrore.

L’entità dinanzi a lui era una donna dalla bellezza eterea ed inquietante. Capelli cremisi e occhi neri, tinti da una sfumatura accesa di rosso che a Boruto ricordava il sangue più denso delle arterie, incorniciati da lineamenti fini e aristocratici e pelle color alabastro. Ma la cosa che più lo lasciò stravolto fu il suo chakra. Oh, il suo chakra, il suo chakra. Boruto poteva solo descriverlo come affamato, malevolo, vorace. Bramoso di tutto e tutti, desideroso solo di divorare qualunque forma di vita che gli si trovasse davanti. E non appena lo percepì sulla sua pelle, il Nukenin comprese come stavano le cose.

Quell’entità non era un essere umano. No, niente affatto. Era un mostro. Un lupo in mezzo alle pecore, ammantato di bellezza; e sebbene potesse sembrare fisicamente umana, Boruto sapeva che spiritualmente doveva essere qualcosa di molto, molto più mostruoso e orripilante.

Una lieve risata gli echeggiò nelle orecchie in quel momento. Poi, all'improvviso, in meno di un battito di ciglia, i suoi occhi si trovarono faccia a faccia con quella donna, e lei gli aveva stretto il polso in una presa di ferro mentre faceva scorrere pigramente un dito lungo la sua tempia, fino alla mascella. Boruto esitò, incapace di muoversi, ed il panico più istintivo e animalesco prese il sopravvento su di lui mentre sentiva il chakra della donna inondare il suo sistema.

Poi, il panico lasciò il posto alla rabbia e all’oltraggio. Non poteva perdere, pensò, non dopo essere arrivato così lontano. Non fino a quando la sua missione non sarebbe stata completata. Si spinse indietro, il suo stesso chakra che divampava violentemente, e combatté quella donna prima che potesse prendere il controllo del suo corpo. La tenne a bada, inviando persino tentacoli del proprio chakra elettrico nel suo stesso sistema.

La donna fece un sorriso feroce e compiaciuto prima di smettere di assaltarlo. Sembrava compiaciuta. "Sei davvero molto potente," disse, la sua voce dolce e sfuggente con una qualità quasi simile al fumo. "Se fossi stato vivo ai miei tempi, ti avrei senza dubbio sfidato ad un duello all'ultimo sangue per offrirti la mia mano in matrimonio."

Boruto non era sicuro se dover essere lusingato o terrorizzato, quindi non disse nulla.

"E sei anche bello," continuò lei, con le punte delle dita che gli sfioravano gli zigomi. Il giovane strinse furiosamente i denti. Non riusciva ancora liberarsi dalla sua presa. "Un mezzosangue?" rifletté. Poi, il suo sguardo si fermò sui suoi occhi. "Oh, capisco. Uno Hyuuga, eh?"

Boruto si staccò dalle sue grinfie quando la donna lo lasciò andare. Si strofinò il polso con aria furiosa. "Conosci gli Hyuuga?" chiese, diffidente.

"Certo," rispose lei con disinvoltura. "Eravamo in guerra con loro, sai? Erano alleati dei Senju, ed io mi ero schierata con gli Uchiha, prima di rendermi conto dell'oscurità che portavano. Oh, che bei ricordi. Una guerra nata per una cosa così meschina. Per decidere chi aveva gli occhi più belli?" la donna scosse la testa, ridendo amaramente da sola.

Il guerriero continuò a fissarla con apprensione. "E alla fine ti sei unita ai Senju, presumo?" continuò, conoscendo la vicinanza dei due clan.

"E sei anche intelligente," esclamò lei, fissandolo come se fosse un bambino.

Boruto si accigliò furiosamente.

"Non fare così," piagnucolò la strana entità. "Dopotutto, devo ringraziarti. Era da molto tempo che desideravo incontrarti… Boruto Uzumaki."

Il giovane deglutì, facendo un passo indietro. “Tu… conosci il mio nome?” domandò.

“Oh, io conosco molte cose,” canticchiò lei, la sua voce meschina e malvagia. Ma per essere brevi, diciamo che sapevo che ci saremmo incontrati, prima o poi. Era scritto nel Destino del mondo.”

Boruto non era certo di capire di cosa stesse parlando quella donna. “…perché volevi vedermi?” tentò alla fine.

La donna lo fissò con uno strano sorriso. Mosse una mano per accarezzargli una guancia, e Boruto esitò, ma non riuscì a muoversi per il terrore. Il suo volto era congelato dalla confusione e dalla paura mentre la osservava con gli occhi sgranati, sentendo il proprio cuore fremere al contatto della sua guancia con la mano della donna.

Lei lo guardò con gli occhi socchiusi, il suo sorriso sempre più largo. Deve esserci un qualche motivo per far sì che una madre voglia rivedere il proprio figlio?” sussurrò, accarezzandogli lo zigomo con il pollice.

Boruto rimase di sasso.

Che cosa cazzo?

Il biondo trasalì fisicamente, scostando bruscamente la mano della donna dalla sua guancia prima di allontanarsi di colpo da lei. “Che stai dicendo?” sibilò, snudando i denti.

Quell’entità non sembrò minimamente turbata dal suo scatto d’ira, limitandosi a continuare a sorridere. “Non lo capisci? Eppure è facile, sai,” ridacchiò, scuotendo la testa. Il suo sorriso divenne quasi maniacale a quel punto. “È esattamente quello che ho detto. Io sono tua madre, e tu sei mio figlio.” Poi, il suo sguardo divenne freddo e minaccioso come non mai. I suoi occhi si oscurarono ferocemente, facendolo rabbrividire. “E nessun figlio può osare ribellarsi dinanzi alla madre.”

Boruto era rimasto completamente spiazzato. “C-Che cosa diavolo significa? Tu non sei mia madre!” esclamò, prendendola per pazza. I suoi occhi si assottigliarono pericolosamente. “Chi sei veramente?”

La donna lo fissò negli occhi per diversi secondi senza dire nulla, il suo volto una maschera indecifrabile. Poi sospirò, passandosi una mano sulla fronte. “Capisco,” esalò con stanchezza. Non sembrava delusa, ma seccata, quasi, per la situazione in cui erano finiti. Irritata, per meglio dire. “Immagino che la tua incredulità sia comprensibile, visto che non sai niente di niente. Dopo tutti questi secoli passati rinchiusa qui, dimentico spesso quanto siano fragili le menti dei poveri mortali. Allora forse è meglio che ti spieghi tutto dal principio.”

Il biondo non parlò, limitandosi a fissarla in silenzio con sospetto.

L’entità gli rivolse un sorriso sadico. “Se il sangue che scorre nelle tue vene non mente, allora avrai sicuramente sentito parlare di me, qualche volta,” iniziò a dire, sarcastica. “Io sono il primo Uzumaki che sia mai esistito al mondo, nonché Progenitrice e Fondatrice del clan Uzumaki di cui fai parte anche tu. Ma per essere brevi, puoi chiamarmi semplicemente Progenitrice,” dichiarò.

Boruto rimase zitto, aggrottando le sopracciglia. Quindi le sue deduzioni erano esatte. “Quindi… tu saresti il primo Uzumaki?” ripeté. “La donna spargitrice di sangue e conflitti che uccise innumerevoli vite alla ricerca di un marito, prima di unirsi a nozze con la Morte? Quella Progenitrice?”

La donna sorrise con compiacimento. “Ero certa che ne avessi sentito parlare,” ridacchiò, facendo un passo verso di lui. “L’attuale Uzukage mi aveva detto di averti parlato di me, in passato.”

Il guerriero ricacciò indietro il suo timore crescente, facendo a sua volta un passo indietro. Sentì un rivolo di sudore colargli dalla fronte. Quindi, anche Kaya era entrata in contatto con lei. Avrebbe dovuto capirlo subito. Adesso molte più cose erano chiare. “E perché affermi di essere mia madre?” domandò ancora, portandosi una mano alle spalle per afferrare l’elsa della sua spada. Sapeva che sarebbe stato un gesto inutile – non si poteva combattere all’interno delle Maschere della Morte – ma lo faceva sentire più sicuro.

La Progenitrice sorrise, snudando i denti. “Perché lo sono,” rispose semplicemente. “Tu sei mio figlio. O meglio, lo sei, anche se non propriamente. Lo sei in parte per via della tua anima.”

Boruto ridusse il suo Jougan ad una fessura. “La mia anima?” ripeté.

“Tu possiedi dentro di te l’anima di mio figlio,” spiegò lei, incrociando le braccia e sollevando il mento, come una madre severa farebbe dinanzi ad un bambino che fa i capricci. “In altre parole, sei la reincarnazione della sua anima.”

Il silenzio più assoluto regnò dopo quelle parole.

Il giovane Uzumaki rimase sconvolto. La sua mente venne pervasa completamente dallo stupore. Se… Se quello che la Progenitrice gli aveva appena detto era vero, allora… C-Come diavolo era possibile? Sapeva che la reincarnazione era un concetto realmente esistente e plausibile. Ne aveva letto su numerosissimi rotoli, e persino l’Eremita delle Sei vie glielo aveva confermato su Eldia. Dopotutto, suo padre e Sasuke-sensei erano a loro volta la reincarnazione delle anime dei figli di Hagoromo. Sasuke di Indra, e Naruto di Ashura. Perciò, la cosa era possibile. Boruto lo sapeva. Eppure…

…questa donna stava dicendo che anche lui possedeva un’anima antica? Possibile che anche lui fosse la reincarnazione di un’anima passata? Era davvero possibile una cosa del genere?

Non riusciva a crederci.

Poi, però, delle parole risuonarono nella sua mente. Parole non sue. Parole che aveva sentito molti mesi prima, pronunciate da un’entità potente ed inflessibile come quella che aveva davanti adesso.

“Un Campione è colui che possiede dentro di sé un’anima antica,” gli aveva detto Hikari. “L’anima più forte che esiste nel suo mondo.”

Non era vero. Non poteva essere vero. Non poteva! Non c’erano prove, non c’erano indizi, non c’erano nemmeno spiegazioni che potessero definirsi logiche! Lui, lui non poteva essere una reincarnazione! A volte non riusciva ancora a credere nemmeno di essere un Campione! Quindi, non poteva essere! Non era vero! Lui non era come suo padre o come Sasuke. Non era potente come loro, non lo era. Era forte, certo, ma non al loro livello. Per cui, non poteva realmente essere-

“Non mi credi?” le parole della Progenitrice lo fecero trasalire. Boruto la fissò con occhi sgranati, congelato nel terrore, mentre lei continuava ad avanzare imperterrita verso di lui. Eppure è la verità. Il tuo occhio dovrebbe mostrartelo, dopotutto.”

Boruto serrò denti e pugni, tremolando con tutto il corpo. Perché, per quanto non riuscisse ad ammetterlo, le parole della donna erano vere. Il suo Jougan non stava rilevando nessuna traccia di falsità o menzogna dentro di lei. Stava dicendo il vero, per quanto suonasse impossibile. Stava dicendo la verità.

E questo voleva dire…

“N-N-Non può… essere…” sibilò Boruto, i suoi occhi sgranati e il suo volto una maschera d’orrore e incredulità mischiate assieme. Le sue labbra tremavano furiosamente anche mentre continuava a balbettare. “I-Io non… questo è… n-non c’è… ma allora…”

La donna continuò ad avanzare, giungendogli direttamente davanti.

Il ragazzo sentì ogni muscolo del suo corpo tremare. “I-Io sono…”

“Esatto,” tagliò corto lei. “Tu sei il figlio nato dal mio matrimonio con la Morte.”

Boruto trattenne pesantemente il fiato.

La Progenitrice lo avvolse tra le sue braccia. “E finalmente sei giunto al mio cospetto,” sussurrò, la sua voce bassa ma comunque solenne e inflessibile come il metallo più duro. Lo strinse a sé anche mentre lo sentiva tremare violentemente con tutto il corpo nel tentativo di ritrarsi. “Oh, quanto ho atteso questo momento. Povero cucciolo. Immagino che sia dura accettare una verità del genere, non è vero?”

Boruto non rispose. Invece, reagì facendo l’unica cosa che poteva fare in quel momento.

Si strattonò con forza dalle braccia della donna, allontanandosi da lei con uno sguardo accigliato e furibondo. Poi estrasse la sua spada, puntandogliela contro. “Stai lontana da me!” ruggì, fissandola in cagnesco. “Mi rifiuto di credere alle tue parole! E anche se fosse vero, io non sono comunque tuo figlio! Anche se avessi davvero la sua anima dentro di me, questo non mi rende il tuo schiavetto personale!”

La Progenitrice lo fissò in silenzio per un paio di secondi. Poi sorrise maliziosamente. “Oh? Vedo che in fondo siete davvero simili, tu e mio figlio,” sussurrò. “Hai ereditato il suo stesso carattere sprezzante. Anche se in realtà, tutti i discendenti del clan hanno un temperamento focoso. Non mi stupisce, dato che è un retaggio che discende da me.”

Il Nukenin la guardò con sospetto. “Se quello che dici è vero, se sono veramente colui che dici di essere… allora chi è-”

“Tuo padre?” lo incalzò la donna. “Te l’ho detto: la Morte. Tu appartieni alla Morte. Sei stato generato da lei, e quindi sei suo. Hikari e Yami hanno cercato di tenertelo nascosto per tutto questo tempo, ma la realtà non può essere negata. Tu sei mio figlio, e sei il Campione della Morte.”

Boruto trasalì come se fosse stato colpito. “…conosci Hikari e Yami,” notò.

Lei scrollò le spalle, fissando il giovane come se fosse un misero bamboccio ignorante. “Quello che tu conosci sull’universo è niente rispetto a ciò che so io, Boruto,” lo schernì. “Ma se avrai la pazienza di ascoltare, allora ti spiegherò come stanno le cose. Dopotutto, sei venuto qui perché volevi delle risposte… no?”

Il giovane non rispose, restando ostinatamente in silenzio. La donna ghignò, divertita dal suo atteggiamento, prima di sospirare e rassegnarsi a raccontare.

“Questo mondo, immagino saprai, è governato da due entità: la Luce e il Buio. La Luce genera il Buio, ed il Buio stritola la Luce. E per quanto queste due forze siano sempre e perennemente in contrasto tra di loro, nessuna delle due potrebbe esistere senza l’altra. Sono come due facce della stessa medaglia. E sai perché? Perché coloro che le governano, Hikari e Yami, un tempo erano la stessa persona. La stessa entità. Per questo non sono in grado di fare a meno l’una dell’altra. Una persona, anche un’entità potente divisa in quelle due sorelle pazze, non può autodistruggersi da sola. Per cui, il conflitto tra Luce ed Oscurità è immutabile, ed è destinato a continuare per sempre, indipendentemente da tutto.”

Boruto la ascoltò, memorizzando parola per parola. “Come saprai, questo conflitto genera inevitabilmente problemi,” continuò la Progenitrice. E l’universo è stato forzato, diciamo, a prendere delle contromisure. Degli incentivi. Per mantenere un equilibrio, ed assicurarsi che i mondi non vengano distrutti dalla perenne guerra tra le due entità divise.”

“E questa contromisura sono i Campioni, vero?” dedusse Boruto, assottigliando gli occhi.

La donna annuì, guardandolo con sufficienza. “Ah! Allora non sei stupido come sembri!” ridacchiò sarcasticamente. Il biondo decise saggiamente di ignorare l’insulto. “Comunque sia, è così. I Campioni servono per mantenere in equilibrio l’universo e per impedire che i mondi si autodistruggano da soli. Facendo combattere tra di loro due entità – una di pura Luce, ed una di pura Oscurità – l’universo fa in modo che il resto dell’esistenza non venga coinvolto nella guerra, lasciando sfogare le due forze della natura senza però generare troppi danni. Questo metodo va avanti da millenni, ed è sempre stato funzionale per permettere la salvaguardia della vita nell’universo. Non ha mai fallito, in sostanza.”

Poi, a quel punto, la donna assunse un sorriso divertito sulle labbra, guardando il biondo con uno sguardo strano. Questo fino a quando… non sei apparso tu,” rivelò.

Boruto ammiccò con timore. “Che vuoi dire?”

Lo sguardo di puro orgoglio nel volto della Progenitrice era inconfondibile. “Yami ti ha reso il Campione dell’Oscurità, ma come ti ho già detto prima, tu sei mio figlio. E sei anche il figlio della Morte. E a causa di questa tua natura, sei diverso rispetto al resto dei mortali. Ma prima di arrivare a questo, forse e meglio chiarirti un paio di concetti.”

Il Nukenin esitò, la sua mente piena di domande, ma rimase zitto e la lasciò continuare.

“La realtà, Boruto, è che Luce e Oscurità non sono le uniche forze che controllano l’universo. Esse sono solo due frammenti, due parti separate dell’entità originale che le costituiva entrambe prima che si dividessero. In sostanza, Hikari e Yami un tempo erano un’entità sola. Un’unica Dea, potremmo definirla. La Dea della Vita.”

“La Dea… della Vita?” sussurrò Boruto, incredulo.

La Progenitrice annuì.E se in origine esisteva una divinità della Vita, allora immagino che persino tu potrai arrivare a capire quale sia l’altra divinità che regge metà dell’universo, vero? È facile, te lo assicuro.”

L’Uzumaki sgranò gli occhi, realizzando subito a cosa si stava riferendo quella donna. “La Morte,” dichiarò.

Ancora una volta, la donna fece un cenno compiaciuto del capo. “Vita e Morte sono le due uniche e vere divinità dell’esistenza,” spiegò. “Ma mentre la Vita si è divisa in Luce ed Oscurità – dato che, per sua natura, è di per sé un’entità duale ed incontenibile – la Morte è… più semplice da comprendere. Più alla mano, ecco.”

Boruto rimase confuso all’udire ciò. Non capiva sinceramente a cosa stesse cercando di arrivare quella donna con tutto quel discorso.

“La Morte è immutabile,” dichiarò allora la Progenitrice, dandogli le spalle e sollevando le mani in alto. “È eterna, inevitabile, intoccabile. Tutto ciò che nasce deve inevitabilmente morire, prima o poi. Per questo, la sua natura è più semplice rispetto alla Vita. La Vita è duale ed incomprensibile, ma la Morte è semplice ed ineluttabile. E a causa di questo, anche la sua divinità è molto più semplice. La Morte infatti, a differenza di quel che potresti pensare, non ha un corpo. Non possiede forma fisica come Hikari e Yami. Non le serve, poiché è inevitabile. Tutto ciò che nasce alla fine ritorna da lei. Per cui, a cosa le serve un corpo quando alla fine ottiene sempre e comunque quello che vuole?”

Il giovane rimase spiazzato dopo quella dichiarazione. La direzione che stava prendendo quel discorso non gli piaceva per niente. “E… che cos’è che vuole?” chiese allora alla fine, cauto.

All’udire la domanda, la donna ruotò di colpo su di lui, fissandolo con stupore. Sembrava stranita. Confusa, quasi. Come se non si fosse aspettata una domanda così banale. “Non ci arrivi? Lei vuole tutto. Ogni cosa vivente. Tutto ciò che esiste. La Morte è l’opposto della Vita. Mentre la Vita prova gioia nel generare, la Morte lo fa nel distruggere. Per questo, l’unica cosa che vuole è distruggere tutto ciò che esiste,” rispose.

Boruto esitò, inarcando un sopracciglio per la confusione. Poi, appena la sua mente riprese a ragionare con più lucidità, il suo volto si fece di nuovo più serio. “Ma quello che dici non ha senso,” ribatté. “Se la Morte non ha corpo e non può generare nulla, allora come puoi dire di aver concepito un figlio con lei? Come puoi dire che essa ha dato alla luce un bambino? Dato alla luce me?”

Un sorriso malizioso contornò le labbra della Progenitrice a quel punto. Boruto sentì un brivido percorrergli la schiena. “Non ho mai detto che la Morte non può generare nulla,” ribatté. “Anzi, al contrario, può farlo eccome. Non avendo un corpo di per sé, essa può assumere diverse sembianze, e tramite queste fattezze può entrare in contatto con i mortali esattamente come ha fatto con me.”

Quella notizia lo stupì non poco. “Cosa vuoi dire? In che senso può assumere diverse sembianze?” chiese ancora lui.

“La Morte non ha lo stesso volto in tutti i mondi, mio piccolo ed ingenuo bambino. In ogni pianeta, essa si mostra sotto una maschera diversa. Sotto diverso nome, diciamo, o diversa forma. Sulla Terra, ad esempio, essa ha assunto l’aspetto di un Angelo infernale evocato da un Sigillo Maledetto. Un Sigillo che, modestamente, sono stata io stessa a creare e tramandare ai posteri fino ad oggi,” proclamò.

Boruto sgranò gli occhi per lo stupore, restando letteralmente a bocca aperta. La sua mente comprese immediatamente a cosa si stava riferendo quell’entità. “I-Il Sigillo del Diavolo!” realizzò, ricordandosi di cosa era successo dopo lo scontro con Orochimaru. “Q-Quella… Quella è la Morte?!”

La fondatrice del clan Uzumaki guardò al cielo con aria sognante. “Oh, sì,” rispose. “Proprio lei. Oh, se solo sapessi la gioia che ho provato quando riuscii finalmente ad invocarla! Quanta soddisfazione, quanta euforia mi pervase quando la vidi comparirmi davanti agli occhi! Tutti quei mesi, tutti quegli anni passati a studiare e creare Sigilli col sangue delle mie misere vittime… Oh, come fui felice quando alla fine riuscirono a portare frutto! Fu… il momento più bello della mia vita!”

Il Nukenin la guardò con disgusto, allontanandosi inconsciamente da lei. Quella donna aveva letteralmente ucciso migliaia di vite nel tentativo di evocare la Morte. Era… Era orribile. Non c’era altro modo di descrivere una cosa del genere. “Tu sei completamente pazza,” sibilò, velenoso e disgustato.

Per tutta risposta, la Progenitrice ridacchiò crudelmente. “Forse,” ammise. “Ma tu non sei diverso da me, cucciolo. Dalla mia unione con la Morte, dopotutto, la tua anima è stata generata. E anche se non sei fisicamente mio figlio, l’anima al tuo interno è sempre la stessa. E per questo, tu sei come me. Un portatore di morte e distruzione senza eguali.”

Boruto sentì il suo cuore pulsare di rabbia. “NO!” ruggì. “Io non sono te, vecchia megera! Non osare mai più paragonarmi ad un essere rivoltante come te!”

La Progenitrice fischiò. “Però! Testardo e ottuso come sempre, eh? Ma non mi stupisce. I figli tendono sempre ad assomigliare ai genitori, dopotutto,” disse, lasciandolo correre con disinvoltura mentre posava lo sguardo in alto, persa nei ricordi.

“Quello che pensi non m’importa,” ribadì gelidamente lui. “E se anche fosse vero, non ha comunque senso. L’Uzukage mi disse che l’anima di tuo figlio fu sigillata all’interno della prima Maschera della Morte… la stessa maschera che mi ha condotto da…” il giovane si arrestò mentre parlava, di colpo, restando per la prima volta senza parole.

Gli occhi della donna lo squadrarono con superiorità. “…da me?” concluse per lui, saccente. La sua espressione si contorse, prima di esplodere in una fragorosa risata mentre osservava il volto del guerriero farsi sempre più pallido. “Vedo che ci sei arrivato da solo. Non è stata la sua anima ad essere sigillata nell’artefatto. È stata la mia!” dichiarò, sarcastica e divertita.

Boruto rimase completamente senza parole. “C-Com’è possibile?” esalò.

“Oh, è molto semplice. Ho fatto in modo di salvare mio figlio prima che potesse essere imprigionato dentro alla Maschera,” spiegò semplicemente lei, con una casualità decisamente poco umana. “Noi Uzumaki godiamo di una longevità decisamente straordinaria. Per cui, io e mio figlio vivemmo assieme a lungo. Poi, quando giunse per lui il momento di dover essere rinchiuso qui dentro, io mi sacrificai per lui, finendo imprigionata al suo posto. È stato l’ultimo atto di compassione della mia intera esistenza,” affermò.

Il Nukenin la guardò male. “E perché l’hai fatto?” chiese ancora.

Il volto della Progenitrice divenne solenne. Assunse un’espressione strana, distante, come se fosse persa nei suoi ricordi. “Non potevo permettere che la sua anima finisse sigillata per sempre. Lui… era speciale. Doveva portare avanti il mio retaggio e i miei insegnamenti. Ed era comunque il mio unico figlio. Nessuna madre potrebbe accettare di vedere il proprio sangue soffrire in eterno, da solo e senza nessuno.” Le sue labbra si incurvarono in un sorriso triste dopo quelle parole, mentre la donna riprese a fissare di sbieco il giovane. “E poi, la sua anima era speciale. Era stata generata dalla mia unione con la Morte. Doveva necessariamente continuare ad esistere per reincarnarsi… e così è stato.”

Il silenzio più totale prese a regnare dopo quella spiegazione.

Boruto osservò la donna dai capelli cremisi con uno sguardo indecifrabile. “Quindi, lo hai fatto affinché l’anima di tuo figlio continuasse a reincarnarsi,” disse. Dovette ignorare di dare voce a quella minuscola parte della sua testa che pensava che persino quell’entità provasse – in qualche modo distorto – una piccola affezione per suo figlio. “E questa reincarnazione sono io.”

La Progenitrice annuì. “Esatto. Non ci sono dubbi al riguardo. Il tuo Jougan ne è la prova,” affermò.

Quelle parole lo fecero trasalire. “T-Tu conosci il Jougan?!” esclamò, incredulo. “Come fai a-”

“Ho visto i tuoi ricordi,” lo incalzò lei senza nemmeno guardarlo. “Quando sei giunto qui, ho visto tutte le tue esperienze attraverso il mio chakra. Per cui, adesso so ogni singola cosa della tua vita. Ed è per questo che ne ho la certezza,” disse.

Gli occhi della donna si posarono nuovamente su di lui a quel punto, fissandolo diretti in quell’orbita azzurra e fosforescente. “Il Jougan è un occhio speciale,” continuò. “Esso si genera solo in coloro che discendono o sono stati generati dalla Morte. Lo so perché me lo disse lei stessa. È la prova inconfutabile del loro legame di sangue.”

Il giovane rimase sconvolto. Questa era la prima volta, la prima, vera volta in cui aveva ricevuto delle informazioni sul suo occhio destro. Per tutto questo tempo, per tutti questi anni, non aveva saputo niente di niente. Nessuno era stato in grado di dargli delle risposte. Né Toneri, né Zeref, né Hagoromo. Aveva brancolato nel buio per anni. Fino ad ora, gli unici indizi che aveva avuto sul Jougan erano state solamente le sue esperienze ed ipotesi.

Ma adesso… adesso, quella donna gli stava finalmente rivelando qualcosa di concreto. Gli stava finalmente rivelando ciò che si celava dietro al mistero dell’esistenza del Jougan.

La verità che aveva desiderato conoscere per tutto questo tempo.

“…tuo figlio,” Boruto esitò per diversi secondi, ancora stravolto da quella rivelazione di prima. “Anche lui possedeva il mio occhio?”

Con suo sommo stupore, la Progenitrice scosse la testa alla domanda. “No, mio figlio non possedeva il Jougan. Quell’occhio si manifesta nei discendenti della Morte solamente quando vengono spiritualmente in contatto con essa. Mio figlio non ha mai vissuto delle esperienze simili. Ma tu, invece… tu hai vissuto nell’odio e nel dolore sin da piccolo. Hai sperimentato il dolore più straziante già a sette anni. Ed hai persino rischiato la vita così tante volte… per cui, a differenza sua, sei stato in grado di sbloccarlo già in giovane età. Ma questo è stato possibile solamente perché possiedi l’anima di mio figlio dentro al tuo corpo. Se così non fosse, tu non avresti mai ottenuto il Jougan,” spiegò lentamente.

Boruto assimilò tutte quelle informazioni in silenzio. Poi, facendo un grosso respiro, si arrischiò a parlare di nuovo. “Non ti credo,” sibilò velenosamente. “Su Eldia, l’Eremita delle Sei vie mi disse che prima di me, nell’universo, qualcun altro aveva sbloccato a sua volta il Jougan. Ma se quello che dici sulla Morte è vero, allora…”

“È esattamente quello che pensi,” confermò lei, interrompendolo rapidamente. “Come ti ho appena detto, la Morte non ha un corpo proprio. Per questo motivo, può assumere aspetti e nomi diversi, e così ha fatto. In ogni mondo, essa assume un nome ed una forma diversa per entrare in contatto coi popoli. Nel mondo della tua ragazza, ad esempio, posso solo dedurre che si sia mostrata sotto le sembianze del Diavolo della Terra. I tuoi ricordi mi fanno pensare proprio questo.”

Il Nukenin trattenne pesantemente il fiato. Quindi era così che stavano le cose! Il Diavolo della Terra… era la Morte! Era stata lei a creare il Potere dei Titani e a donarlo a Ymir! Possibile che non se ne fosse mai reso conto prima d’ora? Quindi, dietro a tutti i Titani c’era ancora una volta il suo zampino… era incredibile.

Però in effetti, adesso che ci pensava lucidamente, la cosa non era poi così sconvolgente. Il Potere di Ymir aveva sempre causato morte e distruzione nel mondo di Mikasa, sin dalla sua fondazione. E nonostante potesse essere usato anche per portare del bene, non era mai successo nella storia di quel popolo. Forse era semplicemente inevitabile, in fondo.

“E poi, non ho mai detto che tu sei l’unico essere nato dalla Morte,” continuò a dire la Progenitrice, incrociando solennemente le braccia. “Ci sono innumerevoli mondi al di fuori del nostro. Non mi stupirei troppo a pensare che da qualche parte, là fuori, qualche altra entità oltre a me sia riuscita ad evocare la Morte e a concepire un bambino con lei. Per cui, la possibilità che ci sia stato un altro portatore del Jougan prima di te è estremamente plausibile in ogni caso. Ma mio figlio non è stato uno di essi,” ribadì, completamente seria e solenne.

Boruto la guardò attentamente, non ancora convinto. C’era qualcosa che puzzava in tutta quella faccenda. “Ma perché Hikari e Yami non me l’hanno detto?” domandò allora. “Se sapevano tutto questo… perché lasciarmi all’oscuro di ogni cosa?”

La Progenitrice avanzò sensualmente verso di lui, camminando in un modo che a Boruto ricordò il movimento di un predatore che inseguiva la sua preda. Sorrise, con un fuoco affamato che le bruciava negli occhi. "Perché tu sei pericoloso," rispose, la sua voce bassa e roca. “Posso solo dedurre che Hikari non fosse completamente a conoscenza della verità su di te prima che ti salvasse… ma evidentemente, se non te l’hanno rivelato, è perché ti temono. Dopotutto, come ti ho detto prima, tu sei speciale.”

“Come?” domandò il biondo, con un tono che esigeva risposta.

“Perché tu appartieni al loro acerrimo nemico: la Morte,” spiegò solennemente lei, fermandosi a pochi centimetri dal giovane. “Probabilmente, Yami ti ha reso un Campione dell’Oscurità proprio per questo. Per tenerti all’oscuro della realtà e, allo stesso tempo, lontano dalle mie grinfie. Ma la verità è che tu appartieni alla Morte. La tua anima è nata da essa, e per questo sei pericoloso per loro. Coloro che discendono dalla Morte non sono esattamente… normali, in fondo.”

Boruto non era sicuro di capire quello che volesse dire. “In che senso?” chiese ancora.

La donna allungò un braccio, puntandogli con un dito sul cuore. “I figli della Morte trascendono i poteri divini,” gli rivelò con un sorrisetto accattivante. “Quando nacque mio figlio, lo compresi subito. Sono più potenti, più resistenti, più astuti, e capaci di resistere a qualunque tipo di fascino e ammaliamento, mortale o divino che sia. E sono decisamente più inclini a generare morte e distruzione ovunque mettano piede. A causa di questo, finiscono naturalmente per andare in conflitto con l’equilibrio dell’universo. Persino tu, dopo tutto quello che hai passato nella tua vita, dovresti aver iniziato a comprenderlo.”

Il giovane non disse niente, limitandosi a restare in silenzio con gli occhi assottigliati. Mentalmente, però dovette trattenere un sospiro stanco. In fondo, nemmeno lui poteva negare che ci fosse un fondo di verità nelle parole della donna. Per tutta la sua vita, lui non aveva fatto altro che generare discordie e conflitti nel suo mondo, causando la morte di innumerevoli persone alla ricerca di una Pace vera e duratura. Persino adesso era ancora fermamente convinto delle sue azioni. E anche ignorando tutto questo, era stato persino coinvolto in un conflitto immenso con un drago assetato di potere e distruzione. Un drago che, se la memoria non gli mentiva, lo aveva persino paragonato a sé stesso, definendolo simile a lui.

Quindi sì… poteva comprendere appieno il perché la Progenitrice avesse detto che i figli della Morte finivano sempre in conflitto con l’equilibrio dell’universo.

“Ma allora, perché rendermi un Campione? Perché salvarmi la vita?” si chiese mentalmente, ripensando a ciò che era successo con Hikari e al suo incontro con Yami, abbassando gli occhi.

La donna davanti a lui sembrò leggergli nel pensiero all’istante. “Probabilmente, Hikari non sapeva ancora delle tue vere origini,” gli disse lentamente, fissandolo nei suoi occhi eterocromi puntati in basso. “È troppo accecata dalla Luce per riuscire a percepire le minacce dell’universo. E la tua infantile ostinazione ad attaccarti a lei e alla sua Luce deve averla convinta a salvarti nonostante la tua vera natura. Invece, Yami stava probabilmente cercando di contenere le tue follie omicide facendoti diventare il suo nuovo Campione. Sperava di spingerti ad odiare sua sorella ed i suoi seguaci, per poi usarti come arma di distruzione per i suoi oscuri scopi nefasti.”

“…quindi… mi stavano usando…” dedusse il Nukenin, serrando i pugni. “E adesso che è troppo tardi, hanno mandato l’Eremita sulla Terra per eliminarmi.”

La Progenitrice annuì. “Esattamente.”

Boruto serrò ancora una volta i pugni. Non rimase stupito da quella rivelazione, né tantomeno deluso. Dopotutto, era abituato da molto tempo ad essere visto come un mostro ed una minaccia dagli altri. Ma non per questo poté evitare di sentirsi leggermente ferito da quella verità. Dopotutto, Hikari era comunque stata molto gentile con lui. E Yami sembrava essere genuinamente interessata a farlo diventare un suo seguace. Ma, suppose alla fine, evidentemente non era mai stato così. Era stato ingenuo, ancora una volta.

Per cui, decise di non pensarci troppo.

“E cos’altro sai dirmi sul Jougan?” domandò allora a quel punto, bramoso di continuare a scoprire qualcosa sul suo occhio. Non poteva restare senza risposte. In fondo, finalmente aveva dinanzi a sé una delle pochissime entità – forse l’unica, anzi – che sapeva qualcosa sul suo occhio destro. Doveva sapere. Doveva conoscere le risposte. A qualunque costo.

La donna sorrise misteriosamente. “La Morte mi aveva avvisato che il bambino nato dalla nostra unione avrebbe potuto sbloccare quell’occhio, per cui mi informò della sua esistenza,” disse. “Mi disse che il Jougan è essenzialmente lo specchio dell’anima che si riflette all'interno. Il suo stesso nome – Occhio Puro – lo lascia intendere. Un occhio che scruta l’anima di tutto ciò che si ritrova dinanzi. Umani, animali, oggetti, tutto. L’occhio sull'anima riesce a vedere l’essenza delle cose. E data la sua connessione diretta con la Morte, esso possiede anche delle abilità tipiche della Morte stessa. Per esempio: la creazione di portali per viaggiare tra mondi. O ancora: la percezione totale del chakra, in qualsiasi ambiente esso sia. Se ci pensi, il chakra – l’energia – è la manifestazione spirituale della vita. E siccome la Morte detesta tutto ciò che è vivente, il suo occhio è in grado di notare anche la più piccola variazione di energia vitale nel mondo. Comodo, non trovi anche tu?”

Vedendo l’espressione di puro shock e rivelazione nel volto del giovane, la donna scoppiò a ridere freneticamente. “Perché tutta questa sorpresa? È una cosa logica! Avresti dovuto arrivarci da solo molto tempo fa. La tua connessione con la Morte è evidente. Dopotutto, sai benissimo che il Jougan riesce persino a mostrare alla vista l’anima dei defunti.”

L’occhio destro di Boruto si sgranò a dismisura.

Un sorriso privo di calore si formò sul volto della Progenitrice. “Lo hai visto accadere di persona, no? Basta mettere in contatto il proprio chakra con un quello di un altro essere vivente per sperimentarlo. Lo hai fatto ben due volte, in fondo,” dichiarò, come se fosse scontato.

Boruto rimase a bocca aperta, ancora sconvolto come non mai dalla dichiarazione precedente. Perché, adesso che aveva udito quella spiegazione, la sua mente aveva finalmente iniziato a realizzare come stavano effettivamente le cose. E la verità, per quanto fosse ancora troppo scettico ed incredulo per ammetterlo, era esattamente uguale alla spiegazione che gli stava offrendo quella donna.

Dopotutto, lui lo aveva visto. Aveva visto le anime di due defunti nella sua giovane vita. Aveva sperimentato per ben due volte quella sensazione surreale sulla propria pelle. La prima volta, con Momoshiki Otsutsuki, e la seconda con Armin Arlert.

Ed entrambe le volte, era successo perché il suo chakra era stato in contatto diretto con loro.

Aveva ucciso Momoshiki con un Rasengan, colpendolo in pieno con quella Tecnica. Tecnica che era stata infusa direttamente con il suo chakra e quello di Mikasa. E l’amico di Eren, Armin, era morto tragicamente proprio nel momento in cui stavano comunicando tramite contatto diretto delle loro energie.

Per cui, la risposta era logica.

Il guerriero rimase di sasso.

Eppure, lui non era mai riuscito a comprenderla fino ad ora. Non era mai stato in grado di arrivarci da solo. Erano state solamente le parole della Progenitrice a fargli raggiungere la conclusione finale. Se non fosse stato per lei, non avrebbe mai potuto intuire una cosa del genere. Nonostante la sua arguzia, nonostante l’Intuizione che il Jougan gli conferiva, Boruto non era mai stato in grado di capire come stavano veramente le cose.

E ora che lo realizzava per la prima volta, una fitta di vergogna assoluta gli pervase mente e cuore.

La Progenitrice sembrò non curarsi minimamente del suo tumulto interiore. “Come pensavo, sei ancora inesperto e ingenuo,” sospirò. “Non hai mai veramente realizzato che il Jougan è la causa principale di tutto ciò che sei ed hai generato. Dopotutto, è sempre a causa sua… che non sei mai riuscito a perdonare la tua famiglia.”

Il giovane trasalì come se fosse stato fisicamente colpito. I suoi occhi sgranati si posarono di scatto sul volto donna. “Che cosa?!”

Gli occhi della Progenitrice continuavano invece a fissarlo gelidamente. “Tu sei entrato in contatto con la Morte da piccolo,” spiegò. “Hai sperimentato il dolore a soli sette anni, in una maniera molto più lucida rispetto a molti altri bambini. E in quel momento, il Jougan ha iniziato a manifestarsi in te. E quando l’ha fatto, ti ha permesso di vedere chiaramente la fragilità che era alla base della tua piccola, allegra famiglia. Ti ha mostrato l’ottusità, l’inflessibilità, e la ferrea determinazione di tuo padre nel continuare a prediligere il Villaggio invece che suo figlio. Ti ha mostrato la fragilità, la rassegnazione, e la totale dedizione di tua madre all’ideologia di suo marito. E ti ha mostrato l’innocenza, la confusione, e la sottomissione di tua sorella dinanzi a quella situazione che odiavi così tanto. Ed è stato proprio quando hai inconsciamente percepito tutto questo… che ti sei infine spezzato completamente.”

Boruto rimase impietrito, incapace di muoversi. Le sue braccia e le sue gambe presero a tremare come foglie. "M-Ma Hikari ha detto che è stata sua sorella a-"

"Ha mentito," la donna continuava a parlare, incurante di tutto e tutti. “Il Jougan è la vera causa del tuo dolore. Esso vede l’anima di tutto ciò che gli si pone davanti. Fa intuire le realtà delle cose. Ed è esattamente questo ciò che è successo con te. Ti ha fatto intuire la verità. E la verità, mio piccolo ed ingenuo bambino, è che il tuo sogno di avere una famiglia era irrealizzabile. Qualunque cosa avessi fatto, qualsiasi decisione avessi preso nei confronti dei tuoi genitori… saresti comunque rimasto infelice. Tuo padre non avrebbe mai abbandonato il suo lavoro da Hokage per venirti incontro. Tua madre non avrebbe mai potuto rimpiazzare la sua presenza. E la tua famiglia, a causa di questo, sarebbe sempre e comunque rimasta incompleta. E quando hai inconsciamente realizzato questa verità, ti sei ribellato con tutto te stesso…”

Il Nukenin rimase in silenzio, abbassando lo sguardo a terra.

La Progenitrice canticchiò, fissandolo col suo sguardo inquisitorio e solenne. “…non è così?” concluse alla fine, sorridendo innocentemente.

Il biondo esitò per diversi secondi. “…sì,” ammise alla fine, allibito. “È proprio così.”

Le sue mani si serrarono in pugni. Le sue braccia tremolarono e s’agitarono. E la sua mente, per la prima volta dopo anni, sbiancò. Perché, ancora una volta, quella donna aveva detto il vero. Non sapeva come avesse fatto, non sapeva come fosse possibile, ma era così. La Progenitrice aveva completamente sintetizzato la sua infanzia. E lo aveva fatto meglio di quanto lui stesso sarebbe mai stato capace di fare. Lo aveva letto. Lo aveva letto completamente, come se ciò che si nascondesse dentro di lui fosse un libro completamente aperto ai suoi occhi.

E Boruto non poté evitare di temerla moltissimo a causa di ciò.

La donna lo avvolse improvvisamente tra le sue braccia. “Per questo motivo ti sei attaccato così ferocemente ai tuoi amici,” gli sussurrò nell’orecchio. “E per questo motivo rifiuti sempre la tua vecchia famiglia. Perché i tuoi amici rappresentano fisicamente tutto ciò che desideravi, ma che non hai mai avuto davvero. E oggi, sei finito nella situazione in cui ti trovi ora perché ancora adesso, tu continui infantilmente a tentare di aggrapparti a questo tuo sogno irrealizzabile.”

Il ragazzo sentì una lacrima scorrergli lungo la guancia mentre la donna dai capelli rossi lo stingeva di più a sé.

“Oh, piccolo. Sei esattamente uguale a mio figlio,” gli mormorò dolcemente. Per una volta, la sua voce non suonò sfrontata e saccente, ma bensì calma, gentile, e comprensiva. Come se comprendesse appieno quello che stava provando dentro. “Anche lui era immensamente legato a me. È un tratto distintivo del nostro sangue. Gli Uzumaki sono così per natura. Non possiamo fare a meno di valorizzare la famiglia più di ogni altra cosa. Immagino che tuo padre sia l’unica, vera eccezione alla regola. Ma anche nel suo caso, è comprensibile. Non ha mai avuto una vera e propria famiglia, per cui ha semplicemente associato il suo sogno al Villaggio. Per lui, il Villaggio È la sua famiglia. Ed è per questo che non è mai stato in grado di voltargli le spalle… nemmeno per te.”

Boruto chiuse pesantemente gli occhi, lasciandosi andare in quell’abbraccio senza però ricambiarlo.

La Progenitrice lo tenne stretto a sé per diverso tempo. Boruto non seppe dire quanto a lungo rimase fermo e immobile tra le sue braccia. Potevano essere passati solamente pochi secondi, così come intere ore. Fatto sta che non si mosse da lì fino a quando non sentì il suo cuore ricominciare a pulsare senza più provare dolore, dismettendo la sensazione di abbandono che lo aveva precedentemente investito.

Dopotutto, lui non poteva piangere. Era il Kurokage dell’Impero. Era il Nukenin più potente e spietato del mondo. Non avrebbe pianto solamente perché aveva finalmente compreso come stavano le cose tra lui e la sua vecchia famiglia di sangue.

Il guerriero ruppe l’abbraccio, sospirando e scuotendo la testa per riprendersi. Vide la Progenitrice intenta a fissarlo attentamente, il suo volto più posato rispetto a prima. “Allora… hai ricevuto le risposte che desideravi?”

Boruto non rispose subito, limitandosi ad annuire lentamente. “Sì,” disse alla fine. “Non posso dire di credere a tutto quello che mi hai detto… ma so che non mi hai mentito. Perciò, almeno per adesso, ti ringrazio.”

La donna lo fissò in silenzio.

“Ma voglio mettere in chiaro una cosa,” riprese a dire subito dopo, senza esitazione. Fissò gli occhi rossi di lei con uno sguardo fiammeggiante e deciso. “Io non sono tuo figlio. Potrò avere la sua anima dentro di me, ma io e lui siamo due persone completamente diverse. Perciò, non ho intenzione di prestarti la mia alleanza ed il mio aiuto. Dopotutto, fino ad ora non mi hai nemmeno detto il tuo vero nome.”

Per tutta risposta, la donna ridacchiò sinistramente. Il Nukenin deglutì quando percepì nuovamente la qualità affamata del suo chakra che si manifestava ancora una volta. La Progenitrice sospirò malinconicamente. "Lo so,” disse. “Vedo chiaramente che ti sentiresti a disagio se decidessi di unirmi a te. E so anche che non ti fideresti di me in nessun caso, indipendentemente dalle mie parole," brontolò.

Boruto s’irrigidì e raddoppiò le sue difese mentali quando percepì dei nuovi viticci di chakra iniziare ad avvolgergli la mente. La donna dai capelli rossi sorrise in maniera lupina, consapevolmente sinistra. Il giovane rabbrividì. "Ma non posso comunque dirti il mio nome. Non lo ricordo," disse lei.

"…non lo ricordi?" ripeté il ragazzo. Tra tutte le scuse che poteva usare, quella non se l’era aspettata. "Cosa vuoi dire?"

La Progenitrice sorrise. Un sorriso strano e distante. "Entrare in contatto con la Morte ha un prezzo, sai," spiegò. “Esattamente come Ymir dovette consegnare qualcosa al Diavolo della Terra per ottenere il suo Potere… allo stesso modo anche io dovetti perdere qualcosa per concepire un figlio con la Morte. Ed il prezzo che pagai fu il mio stesso nome.”

Boruto la osservò seriamente. “Hai perso il tuo nome,” realizzò.

Lei annuì. “Nessuno saprà più il mio nome, nemmeno io stessa. Ma a me non è mai importato granché. Tutto ciò che volevo era dare alla luce il figlio più potente del mondo. E alla fine ce l’ho fatta.”

L’altro scosse la testa con un sospiro. “Perché sei così ossessionata dal potere e dalla morte?” esalò con pesantezza.

La donna scrollò le spalle, incurante. “Perché ho vissuto metà della mia vita senza potere," rispose semplicemente, sorridendo con malvagità. "E sai, sono rimasta molto sorpresa nello scoprire quante poche persone bisogna uccidere per ottenere abbastanza potere ed esperienza. Ai miei tempi, uccidere era una pratica normale. La legge era: uccidere o essere uccisi. Per cui, mi sono semplicemente adattata al mio mondo. E sono persino riuscita a forgiare una spada dal sangue dei miei nemici. Ci sono volute solamente quattrocento o cinquecento persone per avere abbastanza ferro. Il vero trucco, sai, è separare il ferro dal sangue." Le sue labbra sospirarono malinconicamente a quel ricordo. "Oh, che ricordi. Le loro urla! È stato davvero un periodo felice. Cosa non farei per avere di nuovo un corpo in carne e ossa..."

Boruto rabbrividì. Ok, quella donna era decisamente pazza. Lui poteva anche essere un assassino, ma raramente, se non mai, provava piacere nel causare dolore ai suoi nemici. Ma la Progenitrice, invece, si divertiva a farlo. Era una cosa disumana. Nessuno poteva essere così crudele.

Poi, di colpo, Boruto ammiccò con le palpebre. La momentanea repulsione che aveva provato lo aveva reso cieco davanti alla donna, e il giovane si ritrovò il pugno della Progenitrice conficcato nella gabbia toracica, proprio sopra il cuore. Il dolore lo assalì come un fiume in piena, un'agonia diversa da qualsiasi cosa avesse mai provato prima, prima che lei ritirasse con disinvoltura la mano, lasciandogli la pelle senza segni e senza danni. Ma Boruto poteva percepire qualcosa di diverso, qualcosa in più, dentro di lui.

Qualcosa che ora sedeva dormiente e aspettava paziente dentro alla sua anima.

"C-Cosa mi hai fatto?" ruggì con rabbia, allontanandosi bruscamente dalla donna. Sua antenata o no, se lo avesse attaccato, avrebbe frantumato la sua maschera nell'istante in cui si fosse liberato dalla sua influenza.

"Non preoccuparti," disse sensualmente la Progenitrice. "Non ti ho fatto niente di male, te lo assicuro. Ho solo fatto in modo che, quando il momento verrà, tu possa riuscire a tornare qui da me ancora una volta.”

Boruto esitò, per nulla convinto. “Perché lo hai fatto?” sibilò ancora.

La donna sorrise velenosamente. “Considerala una specie di assicurazione,” rispose. Un incentivo, diciamo, per spingerci a parlare ancora faccia a faccia. Dopotutto, una madre non vuole restare separata dal proprio bambino. E poi, diciamocelo, ti servirà in ogni caso. Volente o nolente, un giorno tu tornerai qui da me."

Il Nukenin si arrabbiò immensamente all’udire ciò. Chi si credeva di essere quella pazza per permettersi di toccarlo in quel modo? Non gliel’avrebbe perdonato in nessun caso. “Ti sbagli. Non tornerò mai più,” giurò a denti stretti.

“Oh, lo farai, invece,” la donna si limitò a dismettere la sua rabbia con divertimento, scuotendo la mano con disinvoltura. Ai suoi occhi, non era altro un moccioso che faceva i capricci. “Dopotutto, il tuo occhio ti costringerà a tornare. Il Jougan è potente, vero, ma è comunque una maledizione. È un occhio maledetto, e ormai dovresti averlo capito anche tu. Dopotutto, te lo hanno detto più e più volte, Boruto.”

Un brivido gelido percorse la schiena del giovane dopo quelle parole. Boruto rabbrividì, assottigliando i suoi occhi eterocromi.

La donna lo fissò con uno sguardo serio, sadico e solenne allo stesso tempo. “Un giorno non molto lontano… quel tuo occhio azzurro ti porterà via tutto,” dichiarò.

Boruto sentì tutto il suo corpo iniziare a tremare.

"Và, adesso, piccolo mezzosangue," ordinò la Progenitrice. "Ci rivedremo, un giorno."

Poi, il giovane sentì una sensazione di straniamento pervadergli i sensi mentre tutto il suo mondo veniva avvolto dall’oscurità. Poi, infine, ogni cosa venne divorata dal buio, ed i suoi occhi non videro più niente.
 


. . .
 


Boruto trasalì, sbattendo le palpebre, e si ritrovò improvvisamente nell'ufficio dell'Uzukage. Kaya e Jin Uzumaki vegliavano sul suo corpo seduto, visibilmente preoccupati, e fu solo in quel momento che si rese conto di essere stato adagiato su una sedia. Una decina di persone stavano aspettando dietro le spalle dell’Uzukage e Jin, vestite con gli abiti tipici dei medici. Il guerriero riprese a muoversi con esitazione, ansimando pesantemente. "Sto bene," sospirò, la sua voce roca. “Sto bene.”

"…sei sicuro?" chiese l'Uzukage, e Boruto sorrise leggermente per la sincera preoccupazione nella sua voce.

"Abbastanza," la rassicurò, riprendendo fiato. Le porse rapidamente la Maschera con una mano. "La Progenitrice era... davvero unica."

Kaya sbruffò. "Non ricordarmelo," mormorò sarcasticamente.

"Che cosa ti ha detto?" chiese Jin.

Boruto si ricordò che Jin era il successore di Kaya come Uzukage, e che quindi anche lui doveva essere stato messo al corrente della Maschera della Morte. Si strinse nelle spalle, massaggiandosi il dolore che provava ancora sul petto, nel punto dove lo aveva colpito quella stana entità. "Voleva mettermi alla prova, immagino," rispose alla fine. "Deve aver visto qualcosa che le piaceva in me. Mi ha anche fatto un regalo."

L'Uzukage lo fissò con gli occhi sgranati come un gufo. Poi fece un sospiro stanco. "Presumo che ti abbia dato le risposte che cercavi, dunque?" chiese a quel punto.

Boruto annuì mentre si rimetteva in piedi. Chiuse il suo Jougan, assumendo uno sguardo distante. "Sì, l’ha fatto. Anche se non in maniera… convenzionale, diciamo."

Kaya e Jin si scambiarono un’occhiata. Potevano chiaramente vedere l’esitazione nel suo tono e la distanza nel suo sguardo. Poi però, la madre di Kairi fece un sorriso. "Molto bene," disse alla fine, comprensiva. "Semmai ti servisse qualcuno con cui parlarne... sai dove trovarci."

Il biondo annuì, inclinando leggermente la testa in un inchino. “Grazie mille, davvero,” disse con emozione. Per poco, veramente poco, la sua espressione tradì un velo di stanchezza e tensione dopo aver assimilato tutte quelle informazioni, ma il giovane si badò bene dal mostrarla davanti ai suoi amici. Guardò un orologio sul muro e vide che erano passate due ore da quando aveva lasciato Mikasa e Lucy nella Nebbia. Doveva muoversi.

“Temo di dover tornare al mio esercito," dichiarò allora con serietà. Poi scoccò alla donna un’occhiata decisa. "A meno che, naturalmente, lei non abbia questioni più urgenti di cui discutere?" aggiunse con un sopracciglio incurvato.

L'Uzukage scosse la testa.

"Bene," annuì Boruto, muovendosi per uscire dall’ufficio. Poi, appena arrivato sulla soglia, il Nukenin si fermò. "Oh, e per quanto riguarda il mio ordine?" domandò.

Kaya fece una smorfia stanca. "Ci vorrà del tempo per applicare i Sigilli sopra ogni set di armature," rispose, sapendo fin troppo bene a cosa si stava riferendo. "Anche con i nostri esperti di Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) che ci lavorano ventiquattr’ore su ventiquattro."

"Spero che saranno pronte in tempo, però?" premette ancora lui. Aveva bisogno di quei set di armature per i suoi soldati.

L’Uzukage annuì, esitante. "Se manterrai la tua parte dell'accordo, lo faremo anche noi," dichiarò.

"Lo consideri fatto," promise il Kurokage, voltandosi per andarsene.

La donna lo richiamò. "Oh, e Boruto?" Il giovane si fermò ancora sulla soglia. "Un milione di armature? Quanti uomini hai arruolato per combattere nella guerra?"

Il Nukenin si limitò a sorridere.
 
 
 






 

Note dell’autore!!!

Questo capitolo è decisivo per permettervi di capire molte delle cose che avverranno nel futuro.

Abbiamo finalmente ricevuto le prime risposte sul Jougan dopo moltissimo tempo di misteri ed accenni velati. Tutto quello che avete letto in questo capitolo sull’occhio di Boruto, io lo avevo già in mente sin dalla ‘Battaglia di Eldia’. Avevo lasciato degli indizi anche lì e nella storia precedente, però. Spero che li abbiate colti adesso che il più delle cose è stato rivelato. Come vedete, ho mantenuto la promessa di darvi le spiegazioni che meritavate.

Avete finalmente ricevuto le prime risposte sull’origine del Jougan e dell’odio smisurato che Boruto prova nei confronti della sua vecchia famiglia. Alcuni di voi ci erano già arrivati, me lo hanno scritto in diversi messaggi privati, ma altri no. Ora però avete tutti quanti una risposta. Ovviamente più andiamo avanti e più le cose saranno chiare. Non è finita qui, certo, ma adesso sapete a grandi linee quello che avevo progettato sin dall’inizio. Spero che possa piacervi, davvero.
 
(------)
 
Alcuni di voi potrebbero chiedersi: ma allora, Boruto si comporta così ed ha fatto tutto quello che ha fatto solo perché è una reincarnazione del figlio della Morte??? La risposta è NO! Ovviamente, il fatto che sia stato generato dalla Morte ha influito su di lui (questo spiega un po' meglio il suo carattere, il suo odio disumano, e la sua innaturale incapacità di accettare la realtà), ma ha sempre e comunque agito liberamente, per sua personale decisione. Così come anche Naruto e Sasuke sono reincarnazioni di Ashura e Indra, ma comunque sono liberi. Sono la stessa anima, ma persone completamente diverse. È difficile da spiegare, ma nel mondo di Naruto funziona così. Comunque sia, se avete delle domande o volete avere dei chiarimenti, siete liberi di farmelo sapere ;)

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La Progenitrice è l’entità citata nel capitolo 58 de ‘Il Pianto del Cuore’. La sua storia è narrata a grandi linee già lì, e adesso l’abbiamo finalmente incontrata.

Naruto si dimette dalla carica di Settimo Hokage. Penso che sia la cosa più logica e sensata che farebbe dopo tutto quello che è successo a causa della sua esitazione fino a questo momento. Ovviamente questo non vuol dire che adesso è fuori dai giochi… anzi! Sarà molto più agguerrito e combattivo di prima, ve lo assicuro. E sarà molto più libero di agire rispetto a prima. Boruto non ha vinto la Guerra, e non ho intenzione di rendergli le cose facili adesso. Sarà anche occasione per rivedere Konohamaru sotto una nuova luce. Ma vedrete tutto con calma.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Se ci sono errori nel capitolo, fatemeli notare così da poterli correggere quanto prima. Grazie mille a tutti!

A presto!

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Capitolo 33
*** Per un Soffio ***


PER UN SOFFIO




15 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
18:00

C'era qualcosa di... liberatorio, decise Naruto, nel ritornare ad essere un semplice Ninja invece che l'Hokage. Si poteva trascorrere più tempo a casa, più tempo con sua moglie, più tempo ad allenarsi, e soprattutto più tempo a discutere di strategie militari per dare consigli a Konohamaru quando ce n’era bisogno. Ma nonostante tutti questi impegni, il suo animo era libero. Gioiosamente, concretamente, finalmente, libero. Non sentiva più quel peso schiacciante e opprimente che aveva sempre provato quando indossava il Cappello. Era… libero. Leggero, quasi.

Ovviamente però, questo non significava che la sua lealtà fosse diminuita. Naruto sarebbe sempre stato in debito con la Foglia, sempre legato all'onore di difenderla; ma questa sensazione di dovere non era più un peso come prima. Non era più un'àncora legata ai suoi piedi che lo soffocava mentre cercava disperatamente di nuotare in superficie. Era una sensazione meno opprimente, meno pressante. E questa consapevolezza lo faceva respirare di nuovo, dopo tutti questi anni.

Se solo si fosse ritirato prima, pensò Naruto, allora forse la sua famiglia avrebbe potuto risanarsi senza doversi necessariamente spezzare in primo luogo. Ma, purtroppo, quello era solo un sogno. Un sogno ormai irrealizzabile. Tuttavia, dentro di sé il biondo sperava e pregava che forse, un giorno, quel sogno potesse diventare realtà.

La sua mente si risvegliò da quei pensieri di colpo, tornando alla realtà. I suoi occhi ammiccarono per focalizzarsi. Il loro piano si era concluso senza complicazioni. La Mizukage della Nebbia, Mei Terumi, assieme all'ultima nave di Shinobi dell’Acqua, era finalmente arrivata nella Foglia. E lui, essendo il precedente Hokage nonché amico personale di Mei, doveva essere presente per salutarla insieme a Konohamaru e Shikamaru.

Naruto trasalì quando Shikamaru gli diede una gomitata nelle costole. Con un sorriso imbarazzato, si inchinò rispettosamente davanti alla Mizukage. Nonostante fosse sollevato di non indossare più il Cappello, faceva ancora fatica a scrollarsi di dosso i manierismi e la mentalità di un Kage. "Benvenuta, Mei," la salutò felicemente.

Nonostante la sua età, quella donna era incredibilmente bella come sempre. Era invecchiata bene, secondo Naruto. Capelli ramati lunghi fino alla vita e profondi occhi color verde giada. Non si era mai sposata, e nessuno sapeva il perché, anche se Shikamaru sospettava che lei e l’ormai defunto Ao fossero stati più di un semplice Kage e la sua guardia. Ma non c’era veramente modo di dirlo.

"È bello rivederti, Naruto," disse a sua volta Mei, abbassando la testa, le sue labbra increspate in quel piccolo sorriso allettante che portava sempre. "Ed è un onore incontrare anche lei, Ottavo Hokage. Congratulazioni per la sua nomina."

Konohamaru fece un piccolo cenno col capo. "Grazie, Mizukage," rispose formalmente, avvicinandosi alla donna per inchinarsi.

Il sorriso di Mei non fece che aumentare. Si allungò indietro, appoggiando la mano sulla spalla di una delle sue guardie, e la spinse enfaticamente in avanti. Il giovane che si portò affianco era alto e slanciato, di corporatura simile a quella di Boruto, con capelli biondo grano e occhi di uno strano colore rosa. Un tatuaggio, quasi simile ad un graffio, era inchiostrato sotto al suo occhio sinistro e si estendeva fino all'angolo delle labbra. Come i suoi occhi, era dello stesso colore rosa. "Lui," annunciò Mei con orgoglio. "È Kagura Karatachi. Vi siete già incontrati durante gli eventi del Summit. Sarà il futuro Settimo Mizukage, se il futuro ce lo permetterà. Era l'apprendista di Chojuro prima che..."

Un silenzio cupo calò tra tutti loro a quella menzione. Shikamaru tossì e si schiarì goffamente la gola. Giusto – si ricordò Naruto – era meglio non menzionare il fatto che suo figlio avesse accumulato una lunga lista di Kage uccisi sia con le parole che con i fatti. Kagura si inchinò davanti a Naruto. "È un onore rivederla, signore," disse, prima di rivolgersi a Konohamaru. "E anche lei, Hokage-sama."

Konohamaru rise nervosamente, ancora poco abituato al rispetto della gente. "L'onore è tutto nostro,” disse a sua volta. "Sono solo contento che siate riusciti a raggiungerci in tempo. E… senza complicazioni."

"Lo siamo anche noi," annuì Mei.

Naruto esalò un sospiro che aveva trattenuto per tutto quel tempo. Questa era la cosa più importante. L'Impero Shinobi Unito era cresciuto rapidamente in dimensioni e forza in questi pochi mesi successivi alla sua formazione, espandendosi sempre più ed esercitando il controllo in quasi tutto il Nord-Est. E ora che la Terra dei Fulmini era caduta completamente, la sua gente aveva abbracciato del tutto il nuovo governo, in una maniera sorprendentemente uniforme. Soltanto pochi dissidenti oltre a quelli che erano sempre stati fedeli alla Nuvola avevano fatto sentire le loro proteste. La gente comune, invece, sembrava completamente indifferente, come se non le importasse granché di essere governata dall’Impero o da qualsiasi altra fazione.

In ogni caso, Boruto non ci aveva messo molto a mettere gli occhi sulla sua prossima conquista: la Terra dell'Acqua. Le loro spie li avevano messi immediatamente al corrente della situazione. L’Impero aveva sollevato un esercito, un esercito molto più grande di qualsiasi armata che un singolo Villaggio potesse mai sperare di schierare. Intere legioni di uomini e donne fedeli a suo figlio. Lo aveva fatto riunire nella Terra del Vapore, mandandone metà a contrastare gli schieramenti difensivi che Konohamaru aveva ordinato di posizionare lì, trasformando il confine nord-orientale in una terra di nessuno che entrambe le parti temevano di attraversare. L'altra metà dell’esercito, invece, aveva attraversato l'oceano in una flotta di navi, raggiungendo il Paese dell’Acqua e conquistandolo completamente. 

A causa di questo, Mei e la sua gente non avevano avuto scelta. Abbandonare la Terra dell’Acqua era stata una decisione difficile, ma necessaria. Era l’unica mossa che avevano potuto fare per risparmiare alla loro gente il pericolo di dover combattere una guerra estenuante che molto probabilmente sarebbe finita con la loro sconfitta dopo una lunga e sanguinosa battaglia. Naruto era stato contento di questa decisione. Certo, la Mizukage e i suoi uomini erano stati costretti alla fuga – nessuno di loro l’aveva presa bene – ma almeno in questo modo erano rimasti in vita. Evitare inutili spargimenti di sangue era fondamentale in questo periodo di crisi mondiale.

Naruto ammiccò con le palpebre e trovò Mei che fissava con affetto Kagura e Konohamaru mentre i due giovani leader si presentavano meglio e accendevano una conversazione. Quella scena lo fece sorridere a sua volta. Vedere le nuove generazioni all’opera era piacevole. Era la prova del fatto che la speranza non era morta.

La Mizukage gli mise una mano sulla spalla. "Sarà lui a cancellare i peccati della Nebbia dalla storia, Naruto," disse, guardando Kagura con convinzione. "Gli orrori della Nebbia Insanguinata verranno oscurati dalla grandezza del futuro dei giovani. Me lo sento dentro."

Il Settimo annuì. "Lo spero anch'io," sussurrò.

Mei annuì a sua volta. "È quasi ironico, sai?" aggiunse ancora. "Il Quarto Mizukage, Yagura, veniva dal suo stesso clan. E adesso sarò il suo successore, Kagura, a rimediare e dare speranza alla gente della Nebbia."

Naruto sorrise amaramente. Già, proprio ironico. Poetico, quasi. Eppure, era la dimostrazione di ciò in cui lui e il suo maestro Jiraya credevano sin da sempre.

La dimostrazione del fatto che il bene trionfa sempre sul male.
 


15 Gennaio, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
21:00

Boruto non sapeva cosa pensare.

Entrò nella sua camera dal letto. Eppure, per la prima volta da quando vi metteva piede, si sentiva un estraneo.

Si buttò pesantemente sul suo letto, affondando la faccia in un cuscino. La sua testa era uno schifo, oggi. Non c’era modo di negarlo. La tensione e lo spavento che gli albergavano da ore nel cuore non smettevano di tormentarlo. Era una tortura, quasi. Una sensazione di perenne timore ed incertezza che lo inondava dalla testa ai piedi. Una sensazione persino più opprimente del solito sentimento d’inquietudine che era solito provare in passato. E per la precisione, aveva questa sensazione sin da quando aveva avuto la geniale idea di parlare con la Progenitrice.

Dopotutto, quello che la prima donna del clan Uzumaki gli aveva detto questa mattina… lo aveva sconvolto.

Boruto non voleva pensarci. Non voleva ricordare quelle parole. Eppure, lo faceva. Ci pensava, si ricordava, ogni volta. Non che lo facesse volontariamente, sia chiaro; ma le circostanze che lo avevano visto coinvolto in queste ore avevano decretato tale decisione. In fondo, con la conquista totale della Terra dell’Acqua – senza nemmeno dover combattere – il giovane non aveva potuto fare altro che restarsene fermo ad impartire ordini. Ed impartire ordini e starsene fermo lo costringevano, puntualmente, a pensare.

Ed i suoi pensieri tornavano sempre e perennemente su quell’unico argomento.

Lui era il figlio della Morte. Era, letteralmente, il figlio della Morte. La sua anima era stata generata da lei. E per questo, solo ed unicamente per questo, lui possedeva il Jougan.

Era una cosa sconvolgente.

Più ci pensava, più il biondo era certo di esserselo sognato. Ma la realtà, solenne ed implacabile come sempre, lo forzava ogni volta ad ammettere la verità. E la verità era che tutto ciò che la Progenitrice aveva detto… era vero. Lui era veramente la reincarnazione del suo figlio. Lui possedeva veramente un’anima antica. E il suo Jougan era veramente la prova della sua connessione con la Morte. Tutto questo era vero.

Boruto non sapeva perché ne fosse così certo. Non sapeva perché fosse così convinto di questa cosa. Eppure… lo sapeva. Lo sapeva e basta. Qualcosa dentro di lui se lo sentiva, con una certezza solenne e cristallina; talmente corazzata e profonda da farlo sentire contemporaneamente sollevato e spaventato. E non sapere a cosa fosse dovuta lo spaventava più di quanto si aspettasse.

‘Un giorno non molto lontano… quel tuo occhio azzurro ti porterà via tutto.’

Il suo corpo rabbrividì inconsciamente. Ricordare quella frase gli faceva sempre questo effetto. L’aveva sentita diverse volte, ormai. Dapprima con Momoshiki, poi con Hikari e Yami, e adesso anche con la Progenitrice. Per cui, non poteva più ignorarla. Non poteva continuare a vivere fingendo che non esistesse, come aveva fatto fino ad ora. Non quando gli era stata ripetuta con così tanta insistenza.

Ma anche con questa consapevolezza e decisione, il terrore non diminuiva. E la cosa che lo spaventava di più non era tanto la frase in sé, né tantomeno le sue implicazioni… ma bensì la consapevolezza di essere impotente dinanzi ad essa. La consapevolezza di non sapere nulla al riguardo di questa profezia, e di non poter fare niente per contrastarla.

Lui lo sapeva, dopotutto. Già una volta nella sua vita Boruto aveva vissuto con il peso di una profezia sulle sue spalle. E già in quell’esperienza passata – prima con Momoshiki, e poi con Vrangr – era stato incapace di contrastarla. Aveva provato a non pensarci. Aveva provato a vivere seguendo sempre i suoi obiettivi, incurante di quelle parole. Ma non era servito. Ogni volta, nonostante tutti i suoi sforzi e le sue intenzioni, il Destino lo aveva sempre richiamato a compiere ciò che gli era stato predetto. Ed ogni volta, lui si era sempre riscoperto incapace di resistere alla sua morsa opprimente.

Perciò, anche questa volta sarebbe successo lo stesso?

‘Un giorno non molto lontano… quel tuo occhio azzurro ti porterà via tutto.’

Boruto si riscosse. Risollevò la testa dal cuscino ed aprì il suo occhio destro, fissandosi una mano.

Se doveva essere onesto, non sapeva cosa pensare. Non sapeva niente su questa profezia. Non sapeva nemmeno a cosa si riferisse. Quella parola – tutto – a che si riferiva? Cos’era il suo tutto? La sua famiglia? I suoi amici? Il suo Impero? Il suo Potere? La sua vita? Cosa? Non lo sapeva, non lo sapeva davvero. E, semplicemente, non aveva modo di scoprirlo.

Perciò, che cosa poteva fare?

Parlarne con Urahara ed i suoi amici era impensabile. Di questo, Boruto era certo. Se glielo avesse detto, tutti loro sarebbero impazziti. Sarebbero caduti nel panico. Sicuramente. Senza dubbio. Era già successo in passato con la profezia di Eldia e del drago, e le conseguenze di quel terrore si erano fatte vedere pesantemente durante la sua assenza. Aveva pensato che sarebbe stato facile, all’epoca. Era stato convinto che mettere a nudo le sue ferite davanti ai suoi amici sarebbe bastato a rassicurarlo; ma l’esperienza, alla fine, gli aveva negato questa rassicurazione. E sebbene avesse creduto che le ferite del suo passato fossero ormai cicatrizzate e divenute poco visibili; adesso che stava succedendo di nuovo Boruto Uzumaki si stava ritrovando, ancora una volta, incapace di resistere al terrore.

Per cui… no. Non poteva dirlo ai suoi amici. Doveva tenerselo per sé. Doveva mantenere questo segreto. Doveva tenere loro nascosta la verità a tutti i costi.

Quel pensiero gli fece pulsare dolorosamente il cuore. Ma sebbene una parte di lui soffrisse immensamente al pensiero di dover mentire a Mikasa, a Sora, a Urahara e a tutti gli altri… l’altra parte della sua anima, quella più razionale, gli imponeva di mantenere la calma ed il controllo. Dopotutto, non poteva permettere alla sua famiglia di frantumarsi. Non poteva permettere che gli altri si accollassero il suo fardello in questo modo. Non era da lui. Non era pensabile. E non era giusto. Questo era un suo problema, in fondo. Un suo dilemma.

E spettava solo a lui, quindi, risolverlo quanto prima.

Un giorno gliel’avrebbe detto, si promise il Nukenin. Avrebbe detto la verità a tutta la sua famiglia. Non oggi, non domani; ma un giorno lo avrebbe fatto davvero. Avrebbe vuotato il sacco, come aveva sempre fatto, liberandosi di questo fardello una volta per tutte. Ma non era questo il giorno per farlo.

La vera domanda, invece, era sempre e solo una sola: cosa fare?

Boruto continuò a focalizzare la vista del Jougan sulla sua mano, osservando il flusso di chakra che gli scorreva nel corpo. Dentro alla sua testa, era convinto di una cosa: se quello che la Progenitrice gli aveva detto era vero – cosa altamente probabile – allora la profezia era causata dal suo occhio destro. Il Jougan era la causa ed il motivo della profezia. O, quantomeno, era legato ad essa. Non per niente, dopotutto, era un occhio maledetto. Toneri, l’Eremita, e persino la Progenitrice glielo avevano detto molte volte, in fondo. Il Jougan ERA un occhio maledetto. Quindi, di conseguenza, la profezia doveva essere legata ad esso in qualche modo.

Per cui, cosa fare?

Rimuoversi il Jougan non era pensabile. Boruto non era così disperato da decidere di rinunciare al suo occhio solo per via di una stupida profezia. Senza contare, tra l’altro, dell’immenso vantaggio che esso gli conferiva. Il Jougan era potente, e Boruto sapeva che nessuno poteva negarlo, nemmeno lui stesso. Gli conferiva poteri che nessun’altro Dojutsu (Arte Oculare) poteva vantarsi di possedere. Poteri che lui era deciso ed intenzionato a sfruttare in battaglia, come aveva sempre fatto. Non poteva farne a meno. Non nel bel mezzo della Quinta Guerra Mondiale.

Inoltre, anche se faceva fatica ad ammetterlo, Boruto sapeva di averne bisogno. Lui faceva molto affidamento sulle sue abilità oculari. Aveva bisogno del Jougan se voleva vincere questa Guerra e sconfiggere i suoi nemici. Senza di esso non avrebbe avuto nessuna possibilità di abbattere suo padre, o Sasuke, o Hagoromo. E poi, chi gli garantiva che rimuoverlo avrebbe annullato la profezia? Come poteva essere certo che la sua causa fosse dovuta ad esso? Non c’erano mica certezze al riguardo, no?

No, decise allora. Non poteva rimuoversi il Jougan. Non ancora, almeno.

Il guerriero richiuse l’occhio destro con un sospiro, scuotendo lentamente la testa. Per quanto si sforzasse di ragionare, non c’era una soluzione al momento. Forse, semplicemente, non esisteva una soluzione. Doveva solo abbandonarsi alla consapevolezza di dover continuare a vivere condividendo questo dubbio per sempre. Fino a quando, in un modo o nell’altro, le risposte non sarebbero arrivate da sole.

E Boruto era più che deciso ad accoglierle a braccia aperte.

Per cui, decise di smettere di pensarci. Se pensare alle profezie era impossibile, pensare al futuro e alle sue prossime azoni era, invece, doveroso. Dopotutto, adesso che la Terra dell’Acqua era finita ufficialmente sotto al suo controllo, il suo potere nel mondo era aumentato ancora una volta. E senza più la Nebbia a difenderle, la Foglia e la Sabbia restavano le uniche e sole entità che osavano sfidare la sua opera di conquista.

Le due ultime vestigie di un’epoca remota destinata a spegnersi per sempre.

Ma Boruto era un uomo paziente. Sapeva che attaccarle adesso sarebbe stato rischioso. Se voleva vincere, doveva vincere con l’astuzia, e non con la forza. Dopotutto, l’Eremita e Sarada restavano ancora a piede libero. E persino suo padre era diventato ancora più pericoloso, adesso che si era finalmente liberato del Cappello da Hokage. Per cui… doveva attendere. Attendere il momento perfetto per attaccare. Aveva i mezzi, dopotutto. Aveva un ostaggio di inestimabile valore. Un ostaggio che i nemici non potevano permettersi di ignorare. Un ostaggio che era deciso a sfruttare appieno.

Temari Nara.

Boruto sorrise velenosamente.

Doveva solo aspettare che il nemico cedesse per primo.
 


15 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto Distrutto del Clan Nara
21:59

Anche dopo tutti questi giorni passati dalla tragedia, lo spettacolo che Sentoki si ritrovò dinanzi era raccapricciante.

Cenere, tizzoni e braci fumanti.

L’intero complesso del clan Nara, per tutta la sua estensione, era ridotto ad un cumulo di macerie. Cenere, tizzoni e braci fumanti ricoprivano tutto il distretto per miglia e miglia. Era uno spettacolo deprimente. Le case e gli edifici, una volta alti, illuminati e ricolmi di vita e speranza, adesso erano anneriti e bruciati per tutta la loro ampiezza. La maggior parte di essi, persino, non esistevano più. Ridotti completamente a cenere e tizzoni anneriti. La foresta del clan, un tempo ampia e piena animali e limpidi fiumiciattoli scroscianti, adesso era completamente sparita. Devastata e distrutta interamente dalle fiamme. Così come il complesso, un tempo pieno di vita e rumore, che ora non esisteva più. Nemmeno una persona era sopravvissuta alla furia apocalittica del mostro che aveva causato tutto questo. Nemmeno una pianta si era salvata dal fuoco degli incendi che avevano devastato ogni cosa. Ogni forma di vita che abitava questo luogo, vegetale e animale, senziente e non… era sparita. Non era rimasto nulla.

Solo cenere, tizzoni e braci fumanti.

L’anziano essere guardò la devastazione attorno a lui con uno sguardo accigliato.

Era la seconda volta che vedeva una devastazione simile. La seconda volta nella sua vita. Ed una distruzione del genere non l’aveva più vista sin da… sin dai tempi di Vrangr. Quel pensiero lo fece rabbrividire. Faceva ancora fatica a credere di star effettivamente rivedendo uno scenario del genere. Una distruzione così solenne, implacabile e mostruosa da riuscire ad annientare ed annichilire ogni cosa dinanzi ad essa, fino a quando l’unica cosa che restava erano cenere, tizzoni e braci fumanti.

Ma stavolta, a differenza del passato, tutto questo non era stato causato da un drago folle e consumato dall’odio. Era stato causato da Boruto Uzumaki. Lo stesso ragazzo che lui conosceva e ammirava. La stessa persona che aveva messo fine alla folle brama omicida del drago oscuro.

Lo stesso ragazzo che Hikari gli aveva implorato di fermare.

La sua mente si riempì di feroce determinazione.

Sentoki sapeva cosa doveva fare. Di questo passo, se fosse rimasto fermo, le cose sarebbero finite esattamente come in passato. Sarebbero finite esattamente come Eldia. E per quanto odiasse pensarlo, per quanto ammettere una cosa del genere lo facesse soffrire enormemente… ormai non poteva più negarlo. Boruto era diventato una minaccia per la vita del suo mondo. Era diventato un nuovo Vrangr. E se lo avessero lasciato indisturbato e libero di agire, la Terra e tutta la sua gente ne avrebbero sofferto inevitabilmente.

Per cui, doveva essere fermato. Doveva farlo. Per Naruto, per Sarada, e per sé stesso. E anche per Shikamaru, si ricordò. Il giovane Nara era fuori di sé per la rabbia e il dolore dopo la cattura di sua moglie e la distruzione del suo clan. E dopo tutto ciò che era successo, Sentoki non poteva permettere che perdesse un altro membro della sua famiglia, per nessuna ragione al mondo.

Perciò, doveva fare qualcosa.

E il falso monaco sapeva cosa. Non era ancora finita. La speranza non era ancora stata distrutta. Boruto poteva essere potente e scaltro come pochi, ma anche Sentoki possedeva degli assi nella manica. Non per niente, dopotutto, era l’Eremita delle Sei Vie. Per cui, c’era ancora una possibilità di riuscire a fermare il suo giovane amico senza doverlo necessariamente combattere, e lui lo sapeva. Ma per farlo, doveva farlo di nascosto.

Questa cosa era inevitabile. Non poteva agire liberamente e con troppa disinvoltura. Non poteva, o avrebbe messo a rischio la sua identità e la vita del ragazzo. E né lui, né Sarada, né tantomeno il futuro del pianeta avrebbero giovato della sua morte. Boruto era necessario per riuscire a sconfiggere gli Otsutsuki, era necessario per la salvezza del pianeta. Per cui, non poteva ucciderlo. Doveva trovare il modo di fermarlo con le buone, senza combatterlo, o la Terra e i suoi abitanti sarebbero stati spacciati.

Quindi, no, decise l’anziano. Doveva agire con saggezza e ragione, in modo da poter compiere ciò che era necessario. E così avrebbe fatto.

Boruto sarebbe stato sconfitto. E solo lui conosceva una Tecnica in grado di fermarlo. Una Tecnica pericolosa, certo – una di quelle che non aveva più usato da millenni – ma che adesso era diventata necessaria. Un Tecnica capace di costringerlo alla resta. Una Tecnica che poteva impedirgli finalmente di fare del male ad altre persone.

Una Tecnica Proibita efficace come poche.

Certo, sarebbe stato pericoloso. Sentoki non poteva negarlo. Persino lui, con tutta la sua lunga esistenza, sapeva di star scommettendo su un azzardo. Usare quella Tecnica sarebbe potuto essere rischioso sotto diversi aspetti. Era una delle abilità più potenti del Ninshū, dopotutto – la Tecnica che diede origine a tutte le Tecniche del clan Yamanaka – e il Ninshū aveva lo scopo di unire le persone, non di dividerle e farle lottare tra loro. Eppure, visto com’erano degenerate le cose, doveva rischiare. Doveva ignorare il suo timore e la sua esitazione ed agire. La posta in gioco era troppo alta.

Perciò, non aveva altra scelta. Doveva agire.

Sentoki sorrise, iniziando a sondare il mondo con le sue abilità empatiche e preparandosi mentalmente.

Era ora di rientrare in scena.
 


02 Febbraio, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
12:15

Poco meno di un mese dopo, il nemico cedette.

Boruto sorrise. Un rotolo giaceva dispiegato sulla sua scrivania: una richiesta ufficiale – ed allo stesso tempo, “non ufficiale" – della Foglia per un incontro. Lo scopo, come aveva previsto e sperato, era esattamente quello che si aspettava: uno scambio di prigionieri. Reclamavano Temari come prigioniera di guerra, e quindi riconoscevano l'Impero Shinobi Unito come una Nazione legittima e sovrana, in maniera pubblica ed effettiva.

Questa era già di per sé una vittoria. In passato, erano stati loro ad essere costretti ad attuare un incontro pacifico per via della morte di Shizuma. Ma adesso? Costringere il nemico a riconoscere l’Impero come una Nazione vera e propria era una mossa politicamente enorme. Ed era anche il tipo di riconoscimento di cui la Rivoluzione aveva più bisogno. I Kage alleati con lui, per quanto potenti e numerosi fossero, non erano sufficienti perché il resto del mondo riconoscesse effettivamente che il suo Impero era una Nazione in sé e per sé. Ma se la Terra del Fuoco, per cui ora parlava l'Hokage, lo riconosceva a sua volta? Questa era completamente un’altra storia.

Era finalmente arrivato il momento di portare avanti la sua agenda ancora una volta. Se non poteva battere Sarada, l’Eremita e i suoi nemici nel campo della lotta, allora lo avrebbe fatto nell'arena della politica. Un’arena in cui erano molto meno potenti e avevano molta meno influenza di lui.

Boruto si alzò rapidamente, rovesciando un mucchio di pergamene nella fretta, ed indossò rapidamente il suo mantello cerimoniale da Kurokage. Nel letto, Mikasa si contrasse per l'azione improvvisa, le sue mani che si mossero automaticamente a cercare i suoi aghi, prima di rendersi conto che era solo lui e rilassarsi. "Chiama Sora e preparati per una missione," ordinò il biondo. Poi fece una pausa. "E cerca di non allertare Lucy," aggiunse. "Non è pronta per questo. Meglio se rimane qui."

Mikasa annuì. Il suo volto assunse un’espressione di vittoria. "Scambio di prigionieri?" chiese.

"Scambio di prigionieri," confermò lui con un cenno del capo, prima di andarsene velocemente e scendere nelle viscere dell'Occhio, dirigendosi verso la prigione. Una volta giunto lì, la visione di numerose celle vuote lo accolse, tutte lasciate spoglie e fredde tranne che per la barriera di Fuuinjutsu (Sigilli) che illuminava gli ingressi impenetrabili. Tutte le celle erano vuote, tranne una. Quella più a fondo.

Temari si era prontamente svegliata all’udire il suono dei suoi passi. Lo fissava con rabbia attraverso la barriera scintillante di energia bianco-blu che le impediva di usare il suo chakra. Boruto assottigliò l’occhio sinistro e si guardò intorno. Mitsuki e Kumo non si vedevano da nessuna parte, così come Urahara. Questo era strano, pensò, prima di rilassarsi quando vide che uno dei burattini di Kumo stava avanzando verso di lui, barcollando.

"Il padrone, Urahara e Mitsuki stanno riposando," gracchiò la marionetta umana.

Boruto aggrottò la fronte ma annuì, sospirando mentalmente. A volte si dimenticava che i suoi amici erano umani e che avevano a loro volta dei limiti. Persino Urahara-sensei aveva bisogno di fermarsi, ogni tanto. Ma sapeva di non poterli biasimare. Avevano costantemente osservato Temari per settimane, ininterrottamente, pressandola di Sigilli e costringendola a conferire loro informazioni sulla Foglia e sulle loro mosse. E le informazioni che avevano acquisito grazie a questo non erano inconsistenti. Cose che nemmeno Boruto, il figlio dell'Hokage, sapeva sulla sicurezza del Villaggio. Per cui, quei tre si meritavano decisamente il loro riposo.

"Molto bene," disse il Nukenin. "Riferisci a Kumo di mandare il loro ultimo rapporto sulla mia scrivania. Lo leggerò quando sarò di ritorno."

La marionetta annuì in assenso e si spostò al suo posto di guardia vicino al muro più lontano, all'ombra di una colonna. Boruto si avvicinò alla cella, mettendo la mano sul sigillo vicino all'ingresso e costringendovi dentro il suo chakra. Il sigillo reagì al suo tocco, cambiando le sue configurazioni. Subito dopo, la barriera tremolò ed iniziò a disfarsi, e il giovane si preparò ad entrarvi dentro.

Nel momento in cui la barriera cadde, Boruto si precipitò nella cella, abbassandosi sotto il pugno di Temari e sferrandole un calcio nello stomaco prima di incollarle un'etichetta sulla parte posteriore del collo. La donna rimase immobile, lottando impotentemente contro il sigillo ed agitandosi, prima che Boruto la inchiodasse al muro e le ammanettasse rapidamente le mani dietro la schiena.

"Davvero?" la rimproverò mentre la tirava per rimetterla in piedi. "Perché lottare? Anche se tu riuscissi a scappare, non c'è nessun posto dove andare. E anche se tu potessi uccidermi – cosa che non puoi – non potresti comunque fuggire. Nessuno può lasciare questo posto se non lo dico io."

Temari gli ringhiò con rabbia e tentò di attaccarlo, ma Boruto, essendo più alto e più forte di lei, la tenne facilmente a bada. Con un sospiro, il biondo la spinse con un ginocchio nella parte bassa della schiena, costringendola a camminare. Ma ebbe solo il tempo di fare tre passi prima che Temari si ribellasse di nuovo, scattando indietro col busto e tentando di sbattergli la parte posteriore del cranio sul naso. Boruto evitò l’attacco e la guardò accigliato, osservando con furia la donna che tentava debolmente di fuggire da lui.

Ma non c’era scampo. Era l'essere umano più veloce del mondo, dopotutto. Il Nukenin richiuse la distanza tra loro nello spazio tra un battito cardiaco e l'altro. Sbatté spietatamente Temari contro il muro di pietra della prigione e poté vedere le stelle lampeggiare nei suoi occhi mentre veniva stordita dal dolore. Poi le premette l'avambraccio contro il collo e iniziò a soffocarla. "Possiamo risolverla con le buone," intonò gelidamente. "O con le cattive," concluse a bassa voce, soffocandola più forte.

Temari ebbe uno spasmo ed ansimò debolmente per un momento prima che Boruto le togliesse il braccio dal collo. Poi, quando vide che non fece più alcuna mossa per attaccarlo o scappare, rimase soddisfatto della sua obbedienza.

Eppure, realizzò il giovane, quella donna non era altro che una combattente, e per poco non si lasciò cogliere impreparato quando Temari si lanciò nuovamente in avanti con uno scatto improvviso, snudando i denti nel tentativo di morderlo. I suoi denti gli sfiorarono la mascella, rischiando di scavargli in profondità nella carne. Boruto ringhiò, sferzando in avanti un palmo e colpendola allo stomaco.

Poi, però, accadde qualcosa di inaspettato.

Il suo Jougan pulsò follemente di dolore. Poi, in meno di un battito di ciglia, qualcosa apparve alle spalle di Temari. Qualcosa di etereo, incorporeo, invisibile. Qualcosa che guizzò alla vista del Jougan solo per un istante, simile ad una nuvola di fumo o di vapore, prima di entrare rapidamente nel corpo della donna prima che il biondo potesse anche solo comprendere che cosa fosse.

Gli occhi di Boruto si spalancarono per l’orrore. Subito dopo, prima ancora che il suo palmo si collegasse al ventre della donna, un filo di fumo sottile ed invisibile guizzò fuori dalle labbra di Temari, serpeggiando nell’aria ed infilandosi nelle labbra del Nukenin prima che potesse chiudere la bocca o trattenere il respiro.

La fredda e dura realizzazione lo colpì come uno dei pugni possenti di Himawari. La consapevolezza non lo salvò, tuttavia, e in un istante Boruto sentì che il controllo del suo corpo gli veniva strappato. Il panico iniziò immediatamente ad inondarlo quando prese a lottare per liberarsi dalla sottomissione e fallì. Boruto annegò nel panico, freddo e buio e divorante, mentre cercava contemporaneamente di capire cosa stava succedendo e riprendersi il controllo del suo corpo.

"Non fai tanto il presuntuoso adesso, eh?" gli ringhiò Temari, prima di sferrargli un pugno in piena faccia.

Boruto sentì i tentacoli del dolore consumargli la vista e diffondersi attraverso di essa mentre la sua mente sbiancava e lui – o meglio, il suo corpo – collassava a terra.

"Se puoi gentilmente evitare di colpirmi, per favore," disse Boruto, solo che non era veramente lui a pronunciare quelle parole. "Ho bisogno di questo corpo per farti uscire di qui."

"Sentoki!" sibilò Temari, allibita oltre ogni descrizione. "Scusa," aggiunse, aiutando frettolosamente il suo corpo a rimettersi in piedi.

Boruto sentì il terrore azzannargli prepotentemente il cuore.

Era Hagoromo. Hagoromo Otsutsuki! Il fottuto Eremita delle Sei Vie gli aveva rubato il corpo e stava aiutando Temari a scappare! La rabbia, incontrollata e ardente, incandescente come il dolore che indugiava nella sua mente, iniziò a scorrere attraverso ogni fibra del suo essere.

Temari fissò il corpo posseduto con uno sguardo perso e speranzoso tutt’assieme. “C-Come hai fatto-”

“Non adesso,” la incalzò Sentoki, parlando con la sua voce. “Ho usato un’abilità particolare del Ninshū per riuscire a controllare lui e gli altri Kara, ma non c’è tempo di spiegarti. Dobbiamo muoverci velocemente se non vogliamo destare sospetti," disse, e Boruto non poté fare a meno di rabbrividire mentalmente quando sentì la sua voce fuoriuscirgli dalle labbra, pronunciando parole non sue. "Più restiamo qui, maggiori sono le possibilità che qualcosa vada storto."

"…giusto," concordò Temari, assumendo rapidamente il ruolo di prigioniero distrutto e sconfitto mentre i due cominciavano a marciare attraverso le sale dell'Occhio.

Un terrore impotente assalì Boruto mentre continuava a combattere per riprendere il controllo del suo corpo. Ma, per quanto si sforzasse ad agitasse, era tutto inutile. La sua mente era completamente impotente per qualche motivo. Ogni passo che faceva portava Temari più vicina alla libertà e Sentoki più vicino al compimento del suo piano. Non ci volle molto prima che i due arrivassero al piano principale del castello, dove Mikasa e Sora lo stavano aspettando.

La speranza sbocciò per un istante nella mente del biondo prima che Hagoromo la distruggesse. "Ho cambiato idea," disse seccamente, freddamente, col tono di un ordine. "Voi due resterete qui."

Sora e Mikasa sbatterono le palpebre, sembrando confusi, prima di raddrizzarsi con la schiena. "Perché?" chiese la nera.

Sentoki sferrò una ginocchiata a Temari sulla schiena e la costrinse a camminare in avanti. Non c'era vera malizia nell'azione. Era semplicemente parte dell'atto. "Perché," disse l’anziano, imitando la sua voce ed il suo comportamento in un modo talmente perfetto che Boruto non pensava fosse possibile. "Ho bisogno che voi restiate qui e teniate d'occhio Lucy. Non deve sapere che stiamo per scambiare Temari col nemico. È troppo emotiva, e lascerà che le emozioni la controllino durante i negoziamenti. Voi due siete gli unici a cui posso chiedere di tenerla sotto controllo. E poi, in caso di problemi o dello scoppio di un combattimento, mi basterà uccidere Temari e fuggire usando il Jougan."

“No!" urlò Boruto, intrappolato nella sua mente mentre osservava, impotente, tutto ciò per cui aveva lavorato sgretolarsi dinanzi ai suoi occhi. "Mikasa! Non è vero! Non cascarci!"

Mikasa esitò, fece una pausa, e poi annuì. "Va bene," concordò dolcemente. "Stai attento," aggiunse, premendo un bacio sulla sua guancia.

"Lo farò," giurò Sentoki.

Boruto sentì una rabbia divorante e apocalittica esplodere nel suo petto. Era un inferno furioso, che stava bruciando e consumando tutto ciò che incontrava, anche lui stesso, incurante del danno. Sentì la sua mente pulsare di dolore, furia e rabbia. Non era mai, MAI, stato così arrabbiato in vita sua. Così tanto accecato dalla rabbia da non riuscire nemmeno a pensare, a vedere, fino a quando il significato di ‘vedere rosso’ non gli fu bruciato nell'anima. Gli bruciò dentro, trasformandolo in cenere, senza lasciare altro che resti carbonizzati.

"Sora, continua ad allenarti mentre sono via. Ho in mente diverse missioni per te e per gli altri, una volta tornato," comandò Sentoki.

"Come vuoi," annuì lui, sfoggiando un sorriso dentato.

"Molto bene," disse allora l’anziano possessore del suo corpo, sorridendo senza allegria. "Ci vediamo dopo."
 
Boruto sentì il cuore precipitargli nello stomaco. "Mikasa! Sora!" gridò. "Urahara! Chiunque! Aiutatemi! Fermatelo!"

Ma fu tutto inutile. Le sue urla gli echeggiarono nel cranio e non fecero altro. Il biondo guardò, impotente, mentre l’Eremita attivava il potere dell’anello ed il suo corpo e quello di Temari scomparivano dalla dimensione artificiale. Poi ammiccò con le palpebre, e adesso il suo corpo era in piedi su un poggio erboso da qualche parte nella zona occidentale della Terra del Fuoco. Erano a qualche decina di chilometri dal Villaggio, realizzò, e di questo passo sarebbero arrivati nella Foglia in poche decine di minuti.

All'interno del suo stesso corpo, Boruto tremò di una rabbia sfrenata e – per quanto odiasse ammetterlo – di paura.

Temari strillò di gioia e iniziò a ballare allegramente per la sua ritrovata libertà. Sentoki si fece avanti e la aiutò a liberarsi dalle manette che Boruto le aveva posto. Le manette caddero sull'erba, scartate, e Temari sorrise mentre si massaggiava i polsi contusi.

"Dovremmo sbrigarci," disse lui, guardandosi nervosamente attorno.

Boruto ruggì nella sua mente. Si scagliò contro le catene che gli impedivano di controllare il suo corpo, invano. Questa Tecnica, qualunque cosa fosse, era estremamente simile a quella del Controllo della Mente usata da Annie. Ma come aveva fatto quell’Otsutsuki ad intrappolarlo in una Tecnica simile? Ad una tale distanza, per di più? Non lo sapeva, non c’erano risposte, e non le avrebbe mai ricevute lo stesso. L’unica cosa che contava veramente era riuscire a liberarsi. Ma adesso che era finito a sua volta vittima di un Jutsu del genere, Boruto non poté evitare di pensare a quanto fosse orribile la sensazione che stava provando.

Non si era mai sentito così impotente prima d’ora. Non c’era niente di peggio che sentire i segnali elettrici viaggiare lungo le sue membra e tuttavia farle rimanere immobili. Era… Era orribile. Terrorizzante. Inquietante. Non c'era sensazione più terribile di questa. O, almeno, Boruto non ne aveva mai provato una simile.

Incuranti del suo odio e della sua rabbia, Sentoki e Temari iniziarono una rapida corsa attraverso le pianure erbose mentre si dirigevano ad Ovest, verso il Villaggio della Foglia.

I minuti passarono e Boruto continuava a lottare per riprendersi il controllo del suo corpo. E mentre i minuti passavano, lui continuava a fallire, fino a quando non fu costretto ad ammettere che non c'era modo di sfuggire alla Tecnica dell’Eremita senza nessuna assistenza esterna. Non sapeva come fosse possibile, non sapeva come avesse fatto, ma non c’era modo di liberarsi. Era intrappolato, indifeso, solo… e stava per essere consegnato di nuovo ai suoi nemici. E questa volta, a differenza della prima, non ci sarebbe stato sicuramente scampo. Hagoromo, Sarada e suo padre se ne sarebbero assicurati. Il suo movimento ribelle sarebbe continuato, debole e senza leader, combattendo fino all’ultimo respiro prima della sua sconfitta definitiva...

Era esattamente la realizzazione del suo peggiore incubo.

"perché?" chiese Boruto. La sua voce uscì rotta e disperata, e Boruto si odiò per questo. "Perché? Perché tradirmi? Perché adesso?! Quando sono così vicino alla vittoria?! Perché fermarmi adesso che stavo per portare la Pace in tutto il mondo?! Avevi detto che eravamo amici!"

Il suo corpo fece una pausa. "...Perché," rispose Sentoki dopo un momento, parlando ad alta voce. "Sei diventato esattamente ciò che avevi giurato di distruggere, Boruto. Sei diventato la cosa che odio di più al mondo."

Temari lo guardò in modo strano mentre parlava. Hagoromo scrollò le spalle. "Sei diventato Vrangr, Boruto," disse gravemente. "La sperimentazione umana e il tuo disprezzo per la vita di innumerevoli persone ti ha portato alla follia, proprio come ha fatto con quel drago. Lo sterminio del clan Nara? Uguale alla distruzione che Vrangr ha causato in diversi mondi. So che sei contrario al sistema Ninja, ragazzo mio, ma quello che stai facendo è sbagliato. Tu non stai cercando di distruggere il vecchio sistema per portare la pace nel mondo… stai solo costruendo un nuovo sistema totalitario per riuscire a controllarlo."

Boruto tremò di una rabbia a malapena repressa. "Io non sono affatto come Vrangr!" gridò furiosamente. "Quello che faccio è necessario! Sto costruendo un mondo migliore! Un mondo che nessun altro tranne me potrebbe costruire!"

"...sono sicuro che anche quel drago abbia pensato di essere nel giusto, quando ha iniziato a percorrere il sentiero della follia," ribatté lentamente Hagoromo. “Dovresti saperlo meglio di chiunque, giovane Boruto. La strada per l’Inferno è lastricata da buone intenzioni.”

Come una candela che bruciava troppo intensamente, così la mente di Boruto bruciò di rabbia e dolore, mentre il suo Destino gli crollava prepotentemente sulle spalle. Era impotente, solo, e sconfitto; e non poteva fare altro che guardare il suo corpo e Temari che continuavano la loro marcia costante verso il Villaggio. Verso la fine. Verso la sconfitta.

E, lentamente, come un vulcano pronto all’eruzione, la sua rabbia crebbe e crebbe, senza sosta. E dove un tempo c'era stata una cupa accettazione, adesso nacque una nuova resistenza. Era ardente, furiosa, possente; qualcosa di feroce e determinato che sbocciava nel suo petto come un fuoco indomabile… e Boruto sentì che il suo cuore sarebbe scoppiato se non avesse agito. Perciò, in un ultimo atto disperato, il giovane guerriero fece l’unica cosa che poteva fare in quel momento di terrore e sconfitta totale.

Reagì con tutto sé stesso.

Chiuse gli occhi, e si raccolse per un'ultima carica. Un'ultima spinta, un ultimo tentativo, un’ultima resistenza. Una resistenza che sarebbe finita nella sua libertà o nella sua morte. Tutto ciò che era venne messo in moto: ogni speranza e sogno, ogni paura e ogni amore, ogni vittoria e ogni sconfitta… tutto. Tutto ciò che era venne messo assieme per quest’ultima carica. Agì con tutto quello che aveva dentro. Usò il suo chakra e la sua forza di volontà, la sua collera e la sua decisione; forgiando la sua determinazione in una lama affilata e guidandola poi in profondità nella barriera della sua mente, escludendola dal corpo.

La barriera si frantumò come una lastra di vetro. E come quando ci si getta contro una lastra di vetro per piombare nel vuoto, così Boruto ruzzolò fuori nel mondo, la sua anima libera e incontrastata ancora una volta. Solo… che non era il mondo che conosceva. Era un mondo feroce, sfocato e indistinto. Un mondo vuoto, con un vento eterno e ululante. Un mondo in cui non poteva vedere a più di una manciata di piedi davanti a lui. Un mondo in cui la pioggia turbolenta scendeva di lato con una forza pungente.

Ed era un mondo bellissimo, dipinto di oro e luci abbaglianti.
 

. . .
 


02 Febbraio, 0022 AIT
Terra del Fuoco
Tempio del Fuoco
12:30

Era passato molto tempo da quando i Cinque Abbati si erano riuniti, pensò Erit, mentre si inginocchiava davanti al tavolo basso su cui erano seduti tutti gli altri. Ovviamente, però, non erano tutti e cinque presenti. L'Abbate del Tempio del Vento, Benkei, era ancora assente, incapace di riprendere i suoi doveri mentre la sua Nazione era assediata dall’Impero. Così, toccava a lui e ai suoi fratelli continuare a sostenere i valori della Confraternita fino a quando non fosse riuscito ad unirsi a loro.

"Non credo che sarebbe saggio per noi unirci a questa Guerra," disse Inei, Abbate del Tempio della Terra. Era un uomo di corporatura e statura media agli occhi di Erit, con la testa priva di capelli e gli occhi di un marrone caldo e gentile. Ironia della sorte, era un amante della pace, alquanto diverso dalla precedente Tsuchikage, feroce e combattiva.

"Sono d'accordo," disse Tajima, Abbate del Tempio dell'Acqua, con un saggio cenno del capo. Era il più anziano tra loro – fisicamente, comunque – alto e flessuoso con una barba bianca come la neve che gli arrivava al ventre. Tuttavia, quegli occhi azzurri come il ghiaccio che li fissavano sotto palpebre cadenti parlavano di una forza di volontà che Erit aveva visto solo raramente. "Non sono convinto che questo nuovo arrivato sia la grave minaccia di cui parla il vecchio Sentoki."

Erit sospirò interiormente. Tajima, proprio come la gente della sua patria, seguiva il flusso dell’indifferenza, e Erit aveva sperato che sarebbe stato in grado di convincerlo a votare per l’intervento nella guerra che imperversava in tutto il continente.

"Comunque," borbottò Meishu, Abbate del Tempio del Fulmine. "La Confraternita è rimasta inattiva per troppo tempo. Non importa se questo Boruto Uzumaki sia o meno un falso utilizzatore del Ninshū. Noi non possiamo permetterci di continuare a lasciarlo agire indisturbato, permettendogli di fare a pezzi il mondo. Gli spiriti sono irrequieti, fratelli miei. Sicuramente anche voi l’avrete sentito, no?"

Erit era certo che Meishu fosse l'uomo con cui meno avrebbe voluto combattere. L'Abbate del Tempio del Fulmine era un modello del suo popolo: alto e corpulento, con la pelle abbronzata e le braccia larghe quanto la vita di un uomo muscoloso. Sembrava che potesse spezzare a metà un uomo con un solo braccio. Dei cinque di loro, era stato l'unico a scegliere di non radersi la testa. Aveva una lunga criniera di capelli biondo grano. Storicamente, poi, era il più forte degli Abbati, avendo combattuto in molte grandi battaglie nel corso di quasi due secoli.

Ed era anche, prevedibilmente, un sostenitore della guerra. Era su questo fattore che Erit faceva più affidamento. Insieme, loro due avrebbero potuto convincere Tajima ad unirsi nel voto per andare in guerra.

Erit si schiarì la gola. "Per favore, fratelli miei," disse. "Vi supplico, se non vi fidate delle mie parole, fidatevi del mio spirito. Guardate Boruto come l'ha visto Sentoki, comprendetelo come lo comprese lui. Allora, e solo allora, vedrete la verità."

Inei, Tajima e Meishu chiusero gli occhi, le teste ciondolanti, e Erit si unì a loro, protendendosi con il suo spirito mentre tutti e quattro diventavano uno. Erit si concentrò sulla battaglia, su quanto ferocemente combatterono Sentoki e Boruto, su quanto Sentoki avesse surclassato Boruto, e poi su come – lentamente – la battaglia si era trasformata, su come il cacciatore divenne preda, su come Boruto iniziò a capire Sentoki nel modo in cui Sentoki lo capiva: un guerriero affamato di anime, una persona affamata di connessione, desiderosa di attaccarsi a qualsiasi anima sfortunata che osasse vagare troppo vicina a lui.

Aprirono gli occhi all'unisono e i loro volti cupi rispecchiavano quello di Erit. "Ora lo comprendete, vero?" chiese a bassa voce.

"Q-Questo è molto... angosciante," disse Inei.

"Una ragione in più per andare in guerra," ringhiò Meishu.

"Sono... d'accordo," disse Tajima, portandosi finalmente al loro fianco.

Erit sorrise. Il più del lavoro era stato fatto. "Credo che sarebbe meglio se offrissimo la nostra alleanza alla Foglia," suggerì alla fine. "Insieme a loro, ci sarebbe ben poco che l'Impero potrebbe fare per sfidare-"

Le parole morirono sulle labbra di Erit non appena un'increspatura solenne prese ad echeggiare nell'eternità, pizzicando le corde che collegavano ogni anima e creando un doloroso canto di disperazione e risentimento. Erit trasalì, così come tutti gli altri Abbati, e guardò nell'abisso sbadigliante, chiedendosi cosa potesse aver turbato in tale modo gli spiriti.

"…una distorsione spirituale?"  mormorò Tajima, pensieroso.

"Un novizio," lo schernì Meishu. "Si sta trasmettendo a chiunque abbia un minimo di consapevolezza spirituale. Uno dei tuoi allievi, presumo, Inei?"

Inei ignorò la battuta e scosse la testa. "No, non è uno dei miei," disse. "Nessuno dei miei noviziati è ancora al livello necessario per poter eseguire un cammino spirituale."

"Neanche uno dei miei," aggiunse Tajima, accarezzandosi la barba.

Erit impallidì. Anche lui doveva ancora insegnare ai suoi studenti la disciplina e la consapevolezza spirituale necessarie per tentare in sicurezza una Tecnica avanzata e pericolosa come il cammino spirituale, quindi sapeva che non poteva essere uno dei suoi novizi. E, a giudicare dallo sguardo di Meishu, non era nemmeno uno dei suoi. Ma allora...

"…chi è?" chiesero all'unisono tutti e quattro gli Abbati.

Quella, pensarono tutti, era proprio una bella domanda.
 


. . .
 


Boruto incespicò alla cieca attraverso il mondo dorato, le braccia tenute davanti al viso e le mani davanti agli occhi per proteggersi dal vento ululante e dalla pioggia pungente. Era perso, solo e terrorizzato dalla paura dell'ignoto e dalla rabbia per il tradimento dell’Eremita. E più si addentrava nella tempesta, più si perdeva dentro di essa, e più Boruto sapeva che se non fosse fuggito presto si sarebbe perso e avrebbe ceduto agli elementi. Aveva bisogno di trovare un percorso, un modo per guidarsi attraverso la tempesta. Una destinazione.

Ma, in cuor suo, il ragazzo sapeva di essersi perso in un modo molto più grave di quanto pensasse l'ambiente circostante. Poteva sentirlo, in qualche modo – non sapeva come – ma Boruto sapeva di non essere nel suo corpo fisico. No, era... da qualche altra parte. Esisteva come... qualcos'altro. E questo era ciò che era più allarmante. Boruto temeva che se si fosse allontanato troppo si sarebbe perso per sempre. Perso in un modo più sinistro rispetto che al perdersi in qualche foresta.

Vagò per quelle che sembrarono ore con nient'altro che il vento lamentoso come unica compagnia. E ad ogni passo, Boruto diventava sempre più esausto, fino a quando mantenere in movimento un piede dopo l'altro divenne quasi impossibile.

Alla fine il suo "corpo" – per mancanza di una parola migliore – cedette, ed il giovane non poté più camminare. Era vuoto, bruciante per la stanchezza, esausto, arrabbiato, solo e spaventato. E, soprattutto, aveva paura. Paura del fallimento, paura di essere imprigionato, paura della sconfitta dopo tutto quello che aveva fatto e sacrificato. Paura che il suo sogno non si sarebbe realizzato mai, paura della morte, paura di non rivedere mai più i suoi amici, paura di non rivedere mai più Mikasa e Sora…

…c'era molta paura in lui, si rese conto Boruto.

Sospirò, e chiuse gli occhi, sdraiandosi. Il vento e la pioggia gli lambivano la pelle e Boruto lasciò vagare la sua mente mentre pensava a Mikasa e Sora, a Urahara e Toneri, a Gray e Juvia, a Shirou e Kairi, a Mitsuki e Kumo, e a Lucy. Pensò alla sua famiglia, ai suoi amici, a tutti coloro che lo seguivano e credevano in lui.

Fino a quando, per qualche motivo, accadde qualcosa.

"Non mi piace, ragazzi," disse Mikasa. L’occhio sinistro di Boruto si aprì di scatto. "Qualcosa non va."

Boruto balzò in piedi, con l’occhio spalancato, e si ritrovò in piedi in una delle arene di addestramento sotterranee dell'Occhio della Tempesta. Shirou stava lottando contro Sora e Gray, le sue mani che stringevano saldamente l'elsa di una spada, mentre Kairi e Juvia li osservavano assieme a Toneri. Più in disparte, Mikasa camminava nervosamente avanti e indietro.

"Mikasa! Ragazzi!" gridò il biondo, felice.

Nessuno dei suoi amici lo sentì. Sora continuò ad allenarsi con Gray e Shirou, e Mikasa continuò a camminare avanti e indietro. Boruto calmò il suo cuore che gli batteva freneticamente nel petto e corse davanti alla sua ragazza. Adesso il mondo era diverso, notò, e la tempesta dorata era passata. Boruto si rese conto di essere più distinto. Si sentiva solido, reale, ancorato in un modo che non aveva mai sentito prima. E libero dalla tempesta, si rese anche conto che l’aria e il cielo non erano le uniche cose dipinte d'oro. Lo era anche lui. Si guardò le mani, incorporee ed eteree, con un sottile velo di luce dorata che brillava sotto la pelle traslucida.

Il Nukenin ammiccò, confuso, ma non ebbe tempo per riflettere sulla sua nuova esistenza. In qualche modo, per qualche strano motivo, aveva trovato un'opportunità per salvarsi e non aveva intenzione di perdere tempo a pensare. "Mikasa!" gridò, avvicinandosi a lei. "Aiutami!"

"Se vi ha detto di restare qui, avrà avuto i suoi motivi," disse Shirou, mentre si muoveva per evitare un pugno di Gray.

"…lo sappiamo," sibilò Sora. "Ma dovremmo comunque essere con lui. Sapete com’è fatto Boruto..."

Boruto si lanciò in avanti e afferrò Mikasa per le spalle. Le sue mani attraversarono completamente le sue vesti e la sua pelle, trapassandola in modo innocuo, anche se il suo occhio la vide tremare come se avesse freddo. Mikasa lanciò uno sguardo acuto verso di lui, come se stesse cercando un avversario invisibile, e un'idea sbocciò nella mente del Nukenin. "Mi spiace se questo ti farà male, tesoro," le sussurrò. "Ma ho davvero bisogno di te. Ora più che mai."

Poi, senza più esitare, il biondo le affondò i pugni nel petto e Mikasa si ritrasse visibilmente. "Mikasa!" gridò, imprimendo quanta più urgenza possibile nella sua voce. "Aiutami!"

La nera sembrò riscuotersi, allarmata. "Qualcosa non va," disse di nuovo lei. Tutti si voltarono a guardarla. "Qualcosa non va. Me lo sento."

Boruto la guardò mentre correva fuori dalla stanza e lanciò un grido vittorioso, prima di inseguirla a sua volta. Sora, Shirou e Gray la guardarono, ammiccando, e presero a seguirla a ruota assieme a Kairi, Juvia e Toneri, allarmati.

La cavalleria stava arrivando, e questa cosa portò un sorriso sulle labbra di Boruto.

Mikasa si fece strada attraverso le tortuose sale del castello finché non arrivò al piano dedicato agli alloggi dell’Organizzazione. Urahara aveva la camera più lontana da tutti loro, tranne Kumo che sostanzialmente viveva nei laboratori.

La nera bussò alla porta. "Sensei!" gridò, sbattendo un pugno contro il legno rinforzato dal Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli). "Sensei! Apri! È importante!"

Quando Mikasa – che aveva un'enorme forza fisica – picchiava su qualcosa, bisognava essere sordi per non sentirla. Ma Urahara non rispose, e Mikasa, come anche Boruto e tutti, comprese immediatamente che qualcosa non andava. La ragazza fece un passo indietro, inspirò con forza e poi buttò giù la porta con un calcio. La porta, rinforzata dai sigilli, resistette, ma il muro di pietra a cui era attaccata non fu così fortunato. La porta e il muro di cinta furono lanciati a razzo nella stanza di Urahara per quasi mezzo piede. Boruto annuì, impressionato, e prese nota di risolvere quel difetto in un secondo momento.

L'interno della stanza era buio e puzzava di marcio. Boruto arricciò il naso. Mikasa s’inginocchiò accanto a Urahara che giaceva in coma sul suo letto. Le sue mani brillarono di chakra verde cristallino mentre le faceva scorrere sul corpo dell'uomo. "Veleno," annunciò agli altri che indugiavano vicino alla porta, tutti tesi ed in guardia. "Una neurotossina della Terra del Fuoco. Posso curarlo."

Juvia si fece avanti. Estrasse un antidoto da uno dei sigilli di stoccaggio che si era tatuata sui palmi delle mani e lo costrinse nella gola di Urahara. L'uomo dai capelli spettinati tossì e sputò, ma Boruto poté vedere un po' di colore tornare e il suo pallore innaturale svanire quasi immediatamente. Mikasa mise un palmo sulla fronte del suo maestro e lasciò che il Palmo Mistico facesse il suo lavoro. Dopo alcuni lunghi, agonizzanti secondi, gli occhi dell’uomo si aprirono. Erano annebbiati dal dolore, ma coscienti.

"Urahara!" sibilò Toneri, teso come non mai. “Che cosa è successo?”

“N-Non lo so,” esalò affannosamente lui, tossendo e tremando. “I-Il mio corpo… mi è stato rubato.”

Kairi e Juvia impallidirono. Gray si fece subito avanti. “Che stai dicendo?”

Urahara fece due rapidi respiri affaticati prima di rispondere. “Q-Qualcuno ha preso il controllo del mio corpo,” spiegò, ansimando. Tutti quanti trattennero il respiro all’udire ciò. “Mi… Mi ha costretto a lasciare le prigioni e bere u-un veleno che avevo nascosto in camera. C-Credo che abbia fatto lo stesso con Kumo e Mitsuki. Se ne sono andati prima di me per qualche motivo, prima che il mio corpo mi venisse rubato.”

Quella notizia li fece riscuotere di colpo. Toneri si voltò immediatamente verso gli altri. “Gray!” urlò.

Il Signore del Gelo annuì prontamente. “Io e Shirou andremo a controllarli!” esclamò, scattando assieme al samurai verso le altre stanze.

Mikasa serrò ferocemente i denti, voltandosi verso la ragazza alla sua destra. "Kairi, ho bisogno che controlli immediatamente la posizione di Boruto. Penso che sia successo qualcosa di terribile. Presto!" ordinò con urgenza.

Kairi annuì, chiudendo gli occhi, e Boruto sentì qualcosa indugiare su di lui, prima che la sensazione passasse velocemente. "È... vicino al confine della Terra del Fuoco," esclamò con orrore. "Si sta dirigendo verso Konoha! Ed è con... Temari Nara... e... un altro?"

Mikasa sbatté un pugno nel terreno vicino al letto di Urahara e la pietra andò in frantumi. Toneri assunse un’espressione gelida.

"Fanculo!" imprecò a gran voce Juvia. "Boruto non avrebbe mai preso Temari e qualcun altro al nostro posto. Men che mai per dirigersi al Konoha. Ciò significa..."

"-che anche lui è caduto in una trappola," realizzò Sora con rabbia. Boruto sorrise. Se c'era una cosa che il suo fratello odiava di più, questa era un combattimento disonorevole. Da parte dei nemici, ovvio. "Ma com'è possibile?! Come hanno fatto a raggiungerci qui?"

Mikasa fece dei rapidi respiri irregolari per calmare il suo tumulto interiore. Adesso non era il momento delle domande. "Merda. Okay. Sensei, ascoltami," disse velocemente, con urgenza. "Starai bene. Ti abbiamo già dato l'antidoto e ho prestato il primo soccorso. Toneri resterà qui ad aiutare te, Mitsuki e Kumo, e io e gli altri andremo a salvare Boruto. Resta qui e riposati, okay?"

L’uomo solitamente allegro annuì debolmente e chiuse gli occhi, addormentandosi, anche se Boruto poteva ancora sentire lo sguardo spettrale di qualcosa – o qualcuno – fissato su di lui. O meglio, sul suo chakra.

"Io raggiungo gli altri!" gridò allora Toneri, correndo per il corridoio e lasciando da soli Mikasa, Sora, Juvia e Kairi. "Voi usate gli anelli e teletrasportatevi vicino al confine della Terra del Fuoco. Boruto è nei guai!"

I suoi amici annuirono e Boruto allungò una mano per afferrare Mikasa. La vide rabbrividire di nuovo, guardandosi freneticamente da una parte all'altra. Il biondo sorrise affettuosamente e la accarezzò in modo rassicurante. Un attimo dopo, furono teletrasportati in un piccolo villaggio agricolo che si affacciava su una foresta tentacolare. Insieme, tutti e quattro iniziarono a correre verso Nord, verso la direzione dove avrebbero dovuto incontrare il Villaggio. Boruto li seguì a sua volta, e poté solo sperare e pregare che potessero raggiugerlo in tempo prima che l’Eremita e Temari lo consegnassero alla Foglia.

Il Nukenin li seguì, anche se più a lungo correvano e più durava il silenzio, più il mondo diventava sfocato e indistinto. Poteva sentire di nuovo il vento ululante di prima, e questa cosa gli faceva battere pesantemente il cuore nel petto, come un uccello in gabbia spaventato di tornare a perdersi nella tempesta.

Raggiunsero la cima di una collina dopo un paio di minuti. In lontananza, Boruto poteva vedere due ciuffi di capelli dorati muoversi attraverso la campagna. Mikasa scattò alla carica come un razzo, Sora subito dietro di lei con Juvia e Kairi al suo fianco; e Boruto li inseguì. La sua esistenza – qualunque cosa fosse – non sembrava essere veloce come il suo corpo fisico in carne e ossa, quindi Boruto era a pochi passi di distanza quando i suoi amici irruppero in un boschetto di alberi, entrando in una piccola radura. D'altra parte, però, i suoi occhi avevano una vista abbastanza eccellente. Perciò riuscì chiaramente a vedere il momento in cui Mikasa si impennò e sferrò un pugno sul suo corpo con quella che, secondo la sua stima, era una buona parte della sua forza. Il suo corpo, stravolto e allibito, volò in aria e andò a sbattere contro il tronco di un grande albero, frantumandone la corteccia, prima di cadere esanime a terra. Nel frattempo, Sora si avventò su Temari con rabbia, inchiodandola al terreno mentre Kairi la intrappolava in un Genjutsu (Illusione).

Boruto si portò vicino a Mikasa. Vide un fumo sottile ed invisibile che scivolava fuori dalle labbra del suo corpo e lo guardò mentre esso iniziava a disperdersi rapidamente nell’aria. Mikasa lanciò inutilmente un pugno alla nuvola di fumo, prima di rendersi conto che avrebbe fatto poco o nulla. Juvia la raggiunse, inspirò dalle labbra e sputò fuori un'ondata d'acqua che catturò alcuni ciuffi di fumo ma poco altro. L'acqua assorbì quel poco fumo che era rimasto, appiattendolo e facendolo affondare sotto la terra.

Boruto esalò un sospiro. Sperò che questo potesse essere sufficiente per allontanare l’Eremita e la sua influenza, ma aveva poca fiducia di ciò. Probabilmente avevano solo annullato il controllo della Tecnica, e nient'altro.

Mikasa imprecò ad alta voce e si precipitò al suo fianco. "Boruto? Boruto!" esclamò, inginocchiandosi e scuotendolo dolcemente per la spalla. Le sue mani brillarono di verde per la seconda volta nello stesso giorno. "Andiamo, Boruto. Svegliati! Non ti ho colpito così forte! Torna da me..."

Fu in quel momento che il Nukenin si rese conto di una cosa. Stava fissando il proprio corpo dall’esterno, e non aveva idea di cosa avrebbe dovuto fare per... rientrarvi.

"Beh… merda," mormorò.

"Non si sta svegliando..." notò Sora, teso.

Boruto girò intorno a Mikasa e al suo corpo mentre si scavava il cervello in cerca di una soluzione. Il suo ricordo di ciò che aveva fatto prima di inciampare nella tempesta d'oro era caotico nella migliore delle ipotesi. Non era sicuro di poter replicare la stessa impresa per ripetere il processo, figuriamoci poi invertirlo per tornare al suo corpo. Fino ad adesso aveva pensato di aver – in qualche modo – sciolto il suo chakra dal corpo fisico. Ma ora, stando in piedi davanti al suo corpo, Boruto poteva sentire il ronzio elettrico del suo chakra appena fuori dalla sua portata. Quindi no, non era quello il caso.

Una seconda opzione era che in qualche modo, per puro istinto, avesse eseguito una Tecnica simile a quelle del clan Yamanaka. Tuttavia, Boruto non sapeva molto di quel clan, e non aveva mai sentito parlare di un qualche Yamanaka – per non parlare di altri Ninja in generale – in grado di proiettare la loro mente così lontano dal corpo senza che si disfacesse come una corda sfilacciata.

Ma questa consapevolezza era... per quanto ridicolo ed estraneo suonasse... un'opzione valida. In mancanza di una parola migliore, Boruto aveva "rigurgitato" la sua anima fuori dal suo corpo. Questa cosa era strana. Decisamente strana. Aveva letto in diverse pergamene antiche di Tecniche che discutevano sulla natura del chakra e dell’anima. Il chakra era la fusione delle energie Yin e Yang. L’energia Yang, come quasi tutti i rotoli erano d'accordo nel descrivere, proveniva dal corpo fisico. Sull’energia Yin, invece, c'era dissenso. Alcuni saggi teorizzavano che provenisse dalla mente, che fosse la sensibilità che diede vita al chakra. Sostenevano la loro argomentazione affermando che gli umani, in quanto creature più senzienti del normale, avevano un chakra più potente, mentre le creature meno senzienti, come ad esempio i cani Ninja del clan Inuzuka, avevano un chakra meno potente. Altri invece sostenevano che l'energia Yin fosse l'energia dell'anima, dello spirito; immortale, immateriale e indistruttibile.

Il dibattito infuriava da innumerevoli secoli. Ma, fino ad ora, a Boruto non era mai importato particolarmente. In passato, la sua unica preoccupazione era stata studiare quei temi per capire cosa poteva fare con il suo chakra. Ma, tra le due, era sempre stato portato a credere che la teoria secondo cui l’energia Yin era derivante dalla sensibilità fosse quella più probabile. Ora, data la possibile prova del contrario e le esperienze passate con la sua "Luce", non ne era più così sicuro. Ma di certo detestava considerare la nozione di "fantasmi", e la possibilità che la sua attuale esistenza potesse essere descritta come tale. Doveva esserci una spiegazione logica.

"Andiamo, Boruto..." sussurrò Mikasa, sempre più tesa e disperata.

Un’idea gli balenò in testa. Facendo un atto di fede – letteralmente – Boruto scrollò le spalle e balzò in avanti, veleggiando nell'aria, prima di cadere pesantemente nel suo corpo privo di sensi.

I suoi occhi si sgranarono di colpo. Il Nukenin barcollò e si raddrizzò di scatto, la sua fronte che sbatteva contro il mento di Mikasa. I due sibilarono per il dolore e si ritrassero inconsciamente, ma Boruto non riuscì ad impedire ad una risata vittoriosa di sfuggirgli dalle labbra mentre il dolore gli ricordava che era tornato nuovamente nel suo corpo. E, cosa ancora più importante, ne aveva il controllo.

I suoi occhi si riempirono di lacrime di sollievo.

"Boruto!" esclamò Mikasa, abbracciandolo immediatamente. "Stai bene? Cos'è successo?!"

Il biondo riusciva a malapena a risponderle tra gli esilaranti scoppi di risate che lo squassavano. Poi, tuttavia, si ricordò quello che era successo. "Hagoromo," sibilò, balzando in piedi.

Ci fu un rumore di passi nella boscaglia e tutti e cinque si voltarono verso la fonte del rumore mentre Lucy, accompagnata dal corpo senza vita di Danzo Shimura – una delle marionette di Kumo – irruppe nella radura a sua volta. Lucy era arrossata e aveva il respiro affannoso, ma sembrava estremamente sollevata di vederlo sano e salvo. Lo Sharingan del burattino di Kumo, invece, scrutava la radura con diffidenza.

“Kumo e Mitsuki stanno meglio,” riferì alla fine la marionetta umana con la sua voce profonda. “Toneri e gli altri li hanno trovati. Hanno subìto lo stesso trattamento di Urahara.”

Boruto serrò i pugni con rabbia. “Quel dannato Otsutsuki!” ringhiò ferocemente. “Ha osato ferire me, il mio maestro ed i miei amici! Giuro che gliela farò pagare, un giorno!”

Sora lo guardò con preoccupazione. “Aspetta, è stato l’Eremita delle Sei Vie a causare tutto questo?” domandò.

Boruto annuì. “Non so come abbia fatto, ma si è impossessato dei nostri corpi per riuscire a liberare la prigioniera e consegnarmi alla Foglia,” spiegò, fissando con odio l’orizzonte verso la direzione del Villaggio. "Voglio che venga trovato," aggiunse alla fine, rivolgendosi alla marionetta. "Spargi la voce in lungo e in largo. Contatta l'associazione dei cacciatori di taglie della Nebbia e dì loro che l'Impero offre un miliardo di Ryo per la testa dell’Abbate Sentoki. Voglio il suo nome e la sua faccia in ogni Libro Nero dei Ricercati, dalla Terra dell'Acqua alla Terra del Vento!"

La marionetta di Danzo annuì, avvicinandosi lentamente. "Ti chiedo scusa," disse invece Lucy, la voce bassa e roca per la vergogna. "Non sapevo quale fosse la situazione e ho agito in ritardo..."

"Va tutto bene," la rassicurò il biondo. “È finita, per adesso. Ora faremmo meglio a fuggire da qui prima che il Settimo o qualche sensore della Foglia ci scopra.”

Detto ciò, con un cenno collettivo del capo, tutti loro assieme a Temari scomparvero in una nuvola di fumo.







 

Note dell’autore!!!
 
Questo capitolo è un pò più diverso dal solito. In esso ho inserito degli accenni a spiegazioni che vi ho già mostrato in passato, sul Ninshū e sull’immortalità dell’anima. Ovviamente, col tempo verranno approfonditi sempre più. Però non dateci troppo peso. Non saranno informazioni molto rilevanti per il futuro o per lo sviluppo della storia, né ho intenzione di rendere la vicenda estremamente complicata o contorta. Volevo solo dare approfondimento a domande lasciate in sospeso nei capitoli precedenti e a questioni accennate in passato, per essere preciso e completo.

La scena degli Abbati riuniti assieme è più una piccola parentesi secondaria che un’evoluzione seria degli eventi. I monaci Ninja avranno poco da dire nella storia e nella guerra. Prendete quella scena semplicemente come una curiosità per gli appassionati, e nient’altro.

Detto questo, come avete visto Boruto l’ha rischiata grossa, oggi. Il Ninshū ha delle abilità davvero pericolose dalla sua parte – abilità tra l’altro citate anche nei film di Shippuden e quindi non inventate da me – e volevo assolutamente inserirle nella mia storia. La Tecnica usata dall’Eremita è una di queste. Ma Hagoromo e il suo Ninshū non saranno l’unico ostacolo che Boruto dovrà superare durante la Guerra. Vedremo presto che cosa significa.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Semmai ci fossero degli errori, vi prego di farmeli notare così da poterli correggere quanto prima. Grazie a tutti in anticipo.

A presto!

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Capitolo 34
*** Complicazioni Inattese ***


COMPLICAZIONI INATTESE




03 Febbraio, 0022 AIT
Confine tra la Terra dell’Erba e la Terra del Fuoco
Canyon Grande Cicatrice
PONTE DEL CIELO E DELLA TERRA
11:00

Il motivo per cui, nei secoli passati, la Terra della Pioggia era stata scelta come campo di battaglia tra il Paese del Fuoco, quello della Terra e quello del Vento invece dei campi più diretti della Terra delle Valli e dell'Erba era uno solo: le barriere naturali. La Terra delle Valli era costellata da fiumi serpeggianti, fitte foreste e valli insidiose che si rivelavano mortali per tutti tranne che i loro abitanti. La Terra dell'Erba, invece, era difesa da quella che molti chiamavano la "Grande Cicatrice": un immenso canyon che si estendeva per tutta la lunghezza del confine, così profondo e oscuro che non si poteva vederne il fondo nemmeno con l'aiuto di un Dojutsu (Arte Oculare). Numerosi ponti collegavano la Terra del Fuoco alla Terra dell'Erba, e ciascuno di essi rappresentava un'importante struttura per il commercio e i viaggi. In passato erano state combattute diverse guerre per il loro possesso, e Boruto sperava che non ne iniziasse un'altra oggi. Almeno, non senza una buona ragione.

Il Ponte del Cielo e della Terra, come era giustamente chiamato quello più lungo, colmava uno dei più grandi spazi vuoti nella Cicatrice, e la Foglia lo aveva scelto come punto d'incontro per il loro scambio di trattative. Infatti, mentre Boruto osservava il paesaggio con il suo Jougan, poteva chiaramente vedere la fazione nemica sul lato opposto del canyon. Là, insieme all’immensa figura del Rokubi (Esacoda), c'erano sua sorella – che lo stava osservando allo stesso modo col Byakugan – Sarada, e gli ultimi due membri del clan Nara rimasti al mondo: Shikamaru e suo figlio.

E, cosa più importante, il Settimo Hokage e Sentoki non si vedevano da nessuna parte. Anche se, senza dubbio, stavano schiumando dalla rabbia e dalla voglia di intervenire. Ma Boruto sapeva che non l’avrebbero fatto. Non ci sarebbero stati negoziamenti, altrimenti. Non dopo quello che era successo il giorno prima. Il Nukenin puntava sul fatto che la Foglia confermasse la riuscita delle trattative e tenesse lontano da lui sia l'ex Hokage che quel falso monaco, come promesso. Altrimenti, le conseguenze di questa promessa infranta sarebbero state pesanti, giurò.

I suoi occhi si assottigliarono. Inizialmente, solo Shikamaru avrebbe dovuto essere presente per effettuare lo scambio e i negoziamenti. Ma adesso c’erano anche altri con lui. Questo non era certo un problema, ma…

…ma, rifletté mentre osservava la forma sinuosa del Rokubi, era un rischio che valeva la pena correre. I suoi occhi superarono la mostruosa forma del Demone codato e si posarono sulla guarnigione che difendeva Shikamaru: Shikadai e Himawari. Una strana scelta come gruppo di guardia, pensò Boruto. Himawari poteva comprenderlo, sì, ma Shikadai? Al suo posto, lui avrebbe fatto mettere Sarada, viste le abilità quasi onniscienti del suo Sharingan Ipnotico.

Evidentemente, però, la Foglia aveva altri piani.

I suoi pensieri vennero interrotti dalla voce di Lucy. "Ebbene?" domandò lei, con impazienza.

Boruto sospirò. "…sono lì, come pensavo," rispose lui, gli occhi eterocromi puntati ancora una volta sul lato opposto del canyon. Sua sorella teneva a sua volta gli occhi su di lui, sussurrando qualcosa a Shikadai e suo padre. "Sembra che saremo in tre ad incontrarci sul ponte. Shikamaru e due guardie, ed io ed altri due. Il resto delle nostre forze ci guarderà le spalle a vicenda."

"Io vengo con te!" dichiarò Lucy, facendo un passo in avanti mentre raddrizzava le spalle e alzava il mento con aria di sfida.

"Seguiremo i tuoi comandi, Boruto," disse a sua volta Shirou.

Mikasa rimase in silenzio, ma si mosse per stargli più vicino. Non aveva bisogno di dire niente. Sora e Gray non dissero niente a loro volta, ma per una ragione completamente diversa. Coi loro occhi, stavano aiutando Kairi e Kumo a setacciare le terre circostanti con le marionette e le abilità sensoriali. Juvia li teneva d’occhio entrambi per difendergli le spalle, tenendo ferma con le mani una Temari rabbiosa ed imbavagliata.

"No, tu resterai qui, Lucy," iniziò a dire Boruto. "Andremo io, Mikasa e Sora..."

"Che cosa?!" strillò acutamente la bionda. "No! Assolutamente no! Questa è la vendetta di Shizuma per cui stiamo negoziando, e non verrò lasciata qui a guardare! Me lo devi, Boruto!"

Il Nukenin poté vedere il fuoco nei suoi occhi, e sapeva che nessun ragionamento o discussione l'avrebbe convinta a desistere da quella decisione. Quindi, le opzioni erano due. Poteva trattenerla con la forza – cosa che era restio a fare, vista la loro ritrovata amicizia – o lasciare che lo accompagnasse come una delle sue guardie. Boruto chiuse gli occhi e sospirò. "…va bene," sussurrò alla fine. "Ma dovrai stare zitta. Lascia parlare me. Niente lamentele o esplosioni di rabbia, capito?"

Lucy si accigliò furiosamente ma annuì.

"Mikasa, verrà con me," continuò lui, rivolgendosi a tutti. "Voialtri resterete a guardia del ponte. Se le trattative falliscono, distruggete il canyon con un’esplosione. Mikasa, Lucy ed io scapperemo e lasceremo morire la prigioniera. Kumo, voglio che tu sia preparato per richiamarci subito all'Occhio della Tempesta. Ordina alle tue marionette esplorative di sorvegliare la foresta circostante alla ricerca di trappole anti-evocazione."

L’Organizzazione Kara si affrettò ad eseguire i suoi ordini e Boruto annuì. Poi fece alzare rudemente da terra Temari, togliendola dalle grinfie di Juvia, prima di iniziare a dirigersi verso il ponte. Il vecchio sentiero per cervi che scendeva attraverso la foresta era stretto e quasi indistinguibile per via della vegetazione circostante, ma era molto più facile da seguire rispetto che al vagare alla cieca tra i cespugli. Mikasa lo seguì da vicino, aiutandolo a tenere d'occhio Temari, mentre Lucy saltellava sulle punte dei piedi con un sorriso maniacale in previsione dell'arrivo dei negoziamenti.

Nel momento in cui uscirono dalla foresta ed entrarono sulla strada che precede il ponte, tutti gli occhi si voltarono per fissarli. L'enorme forma demoniaca del Rokubi si profilava in alto, e i suoi due occhi da lumaca lo scrutarono immediatamente con uno sguardo bestiale, come un predatore che segue la sua preda. Sarada e il resto della guardia indugiarono vicino al Bijuu ad una manciata di piedi di distanza. Invece, Boruto osservò da vicino Shikamaru, Shikadai e Himawari mentre si avvicinavano a loro senza fretta, preparandosi a negoziare.

Il biondo sorrise. Con un respiro deciso, avanzò a sua volta, con Temari al seguito e Mikasa e Lucy alle sue spalle. Shikamaru e Shikadai apparvero contemporaneamente sollevati e furiosi alla vista di Temari.

Boruto si fermò ad un paio di metri dai nemici e scosse ironicamente la testa, guardando tra i Nara e la donna ammanettata. "Credo che abbiate perso qualcosa," disse senza preamboli.

Con grande merito dei Nara, nessuno dei due sembrò abboccare alla frecciatina. Boruto sorrise debolmente. "Sei ferita, Temari?" chiese invece Shikamaru.

Temari scosse la testa, mordendo il bavaglio che Boruto le aveva legato intorno alla bocca. Niente più morsi, di questo si era assicurato. "Al sicuro e illesa," confermò il Nukenin con tono gelido. "A differenza di qualcuno, io so come trattare i miei prigionieri."

Shikadai sembrò essere stato colpito allo stomaco e Himawari sussultò visibilmente. Bene, pensò Boruto. Adesso conoscevano la loro posizione. Erano stati loro a torturare e uccidere un prigioniero di guerra, non lui. "Dunque, mettiamoci al lavoro," enunciò allora senza perdere tempo. "Io ho qualcosa che voi volete. E voi avete qualcosa che io voglio. Per cui, facciamo uno scambio."

Shikamaru strinse i denti. "E cosa sarebbe ciò che vuoi?" domandò.

Boruto sorrise e lasciò che il suo sguardo si spostasse verso il cielo, cadendo sulla forma sinuosa e incombente del Rokubi (Esacoda) in lontananza.

Shikamaru, astuto come sempre, capì immediatamente. "Assolutamente no!" ribadì subito. Boruto poté ammirarlo, in quel momento. Bisognava avere dei nervi d’acciaio per trovarsi faccia a faccia con la propria moglie catturata e dire all'uomo che la teneva prigioniera che non avrebbe scambiato un mostro per lei. La sua voce non vacillò nemmeno.

"Oh? E perché mai?" canticchiò il biondo, amaro. "Perché preoccuparsi di difendere un Bijuu? Essi sono solamente Demoni. Ammassi di chakra senza logica e senza scopo. Pensa a quante persone sono state uccise per colpa dei Cercoteri, che sia stato per loro spontanea volontà o per ordine di qualcuno. Sei davvero disposto a difendere un mostro simile invece che riavere tua moglie?"

"...i Bijuu sono entità sono troppo pericolose perché un uomo solo possa controllarli tutti," ringhiò Shikamaru. "I miei sentimenti personali non hanno nulla a che fare con questo. Temari non vorrebbe mai che la salvassi a costo di condannare centinaia di migliaia di vite."

Boruto inarcò un sopracciglio, rivolgendo uno sguardo a Temari. Gli occhi della donna brillavano di lacrime non versate, ma la sua schiena era dritta, il mento sollevato e le spalle squadrate. "…capisco," rifletté. "Siete Shinobi d’onore, dunque. Ma l’onore vi servirà a ben poco, in questa circostanza."

"Un mostro come te non potrebbe mai capire, Boruto!" ringhiò Shikadai, tremando con tutto il corpo. Era quasi sul punto di saltargli addosso per strozzarlo. Fu solo grazie ad Himawari che lo trattenne per la spalla che le trattative non si interruppero in quel momento.

"Molto bene," Boruto scrollò le spalle. "Allora sentite questo: il vostro esercito sta bloccando i confini della Terra del Vento. Voglio che ritiriate le vostre forze a Sud del confine e che le teniate lì senza fare nulla. E nel frattempo, né voi né nessun’altra forza delle Nazioni Alleate attaccherà il mio Impero, i miei uomini e la mia gente fino a quando non saranno trascorsi quattro mesi a partire da oggi. Confido che questa proposta sia più accettabile, no?"

Shikamaru strinse un pugno così forte che le sue nocche schioccarono udibilmente. "Vuoi che ce ne restiamo in disparte mentre conquisti un'altra Nazione?!" sputò con odio.

"Beh…" canticchiò Boruto, le sopracciglia falsamente aggrottate in pensiero. "Sì. Questo è il punto, sostanzialmente."

Temari scosse violentemente la testa. Il Nukenin la fissò torvo, esasperato. "Suvvia," sospirò. "È la Terra del Vento! A nessuno piace la Terra del Vento! È infestata da ogni sorta di criminalità da quando il Kazekage è morto, e il recente governo della Sabbia non ha più legami diplomatici e commerciali con la Foglia, ora che anche voi siete entrati in guerra. L'unica cosa che sto chiedendo è che vi facciate da parte. Nessuno dovrà morire, in questo modo."

Shikamaru, Himawari e Shikadai lo fissarono con rabbia dopo quelle parole. Ci fu un lungo, teso, e rabbioso silenzio che sembrò perpetrarsi in maniera innaturale. Alla fine, dopo un’eternità, Shikamaru parlò. "...questo è tutto quello che vuoi?" chiese con voce roca.

Boruto sorrise. Scambiare una donna inutile per una Nazione intera? Una che all’anno produceva più uomini, più Shinobi e più soldati rispetto che al resto del mondo intero? Questo sì che era un affare. "Sì," sibilò.

Ma a qualcuno, invece, la cosa non andava bene.

"Che cosa?!" Lucy, a quanto pareva, aveva finalmente raggiunto il suo limite. Si sporse più vicino a lui, sibilandogli nell’orecchio. "E che ne è della mia vendetta?" chiese con rabbia, quasi ad alta voce.

Boruto gemette internamente. Ecco perché non aveva voluto portarla con sé. Non c'era modo di riuscire a convincere Shikamaru o Temari di rinunciare a loro figlio per vendicare Shizuma. Assolutamente nessuna possibilità. Era inutile persino chiederlo. Ma Lucy sembrava non riuscire a capirlo. "Ci sarà un tempo e un luogo preciso per la punizione di Shikadai. Ma non è adesso," sibilò in risposta, sottovoce. "L'eredità di Shizuma consisterà nel dare all'Impero la Terra del Vento."

"Non è abbastanza!" ringhiò invece Lucy. "Lui…" indicò con rabbia Shikadai. "...ha ucciso il mio amico! Se pensi che me ne andrò via senza vederlo soffrire, allora sei più pazzo di quanto pensassi!"

Boruto lanciò un'occhiata a Shikamaru e vide un fuoco riflesso nei suoi occhi. Aveva visto la discordia nel loro gruppo, e l'avrebbe usata a suo vantaggio se avesse potuto. "Non ora," ordinò il biondo a bassa voce. "Tu eseguirai i miei ordini, Lucy. Stai ferma e taci. Avrai la tua vendetta, ma non oggi."

Mikasa – il giovane la benedì mentalmente – si avvicinò a Lucy e le impose silenziosamente di tacere, la sua volontà ferrea e la sua aura pericolosamente più minacciosa del solito. Boruto fece un respiro profondo prima di tornare a parlare. "Allora," dichiarò. "Abbiamo un accordo?"

Lentamente, ma inesorabilmente, Shikamaru annuì. Temari grugnì qualcosa attraverso il suo bavaglio, scuotendo la testa, e Shikamaru distolse lo sguardo, incapace di incrociare i suoi occhi.

"Eccellente," esclamò allora Boruto con un cenno del capo. Mise una mano tra le scapole della donna e la spinse in avanti, lanciandola tra le braccia in attesa di suo marito e suo figlio. Tutti e tre avevano le lacrime agli occhi mentre si abbracciavano di nuovo. Accanto a lui, Lucy tremava con una rabbia a malapena repressa. Le chiese silenziosamente di comportarsi bene finché non si fossero ritirati.

"Beh, è stata un'esperienza piacevole," disse allora il Nukenin, camminando lentamente all'indietro e costringendo Mikasa e Lucy a seguirlo. "Spero che manterrai la tua parte dell'accordo, Shikamaru. Resterei davvero deluso se i nostri negoziamenti civili dovessero fallire."

Era sorprendente, davvero, quanto la Guerra fosse simile ad un gioco. Il biondo l’aveva imparato da poco. Come un gioco, infatti, spesso la Guerra veniva portata avanti più da entrambi i giocatori che si incontravano e accettavano un accordo reciprocamente vantaggioso che dal combattere una lunga e sanguinosa battaglia. Era solo quando quei giocatori smettevano di essere civili e di accordarsi che iniziava la vera Guerra.

Fece cinque passi verso la libertà, forse sei, prima che Lucy esplodesse. "No!" gridò ancora, spingendolo via. "Non me ne andrò finché quel bastardo non sarà morto! Mi hai promesso vendetta, Boruto!"

Il Nukenin vide rosso. Afferrò saldamente la bionda per il polso e lei sussultò di dolore per la forza della sua presa. Poi, la ragazza ringhiò come un cane rabbioso, e la sua pelle iniziò lentamente a brillare di un opaco bagliore rosso-bianco che annunciava l’attivazione della sua Armatura Esplosiva. Dagli alberi in lontananza, il suono del legno che si spezzava scattò alla vita mentre il resto dei Ninja della Foglia balzava in avanti e si preparava per la battaglia. Lingue di chakra rosso-arancio leccarono la pelle di Sarada, mentre lacrime di sangue le scorrevano lungo le guance.

Boruto deglutì. "Non qui, non ora," disse con urgenza. "Per favore. Fidati di me, Lucy."

La bionda fece per rispondere, quando qualcuno la batté sul tempo.

"Sono stata io!" la voce di sua sorella, Himawari, echeggiò attraverso il ponte alle sue spalle, forte e chiara. "Non è stato Shikadai ad uccidere il vostro amico. Sono stata io. L'ho fatto io. Io ho ucciso Shizuma!"

Boruto sentì il suo cuore smettere di battere per un secondo. "Che cosa?!" esclamò mentalmente, allentando la presa su Lucy mentre si voltava per fissare sua sorella. Himawari lo guardava a sua volta con mento alto, orgogliosa, in quel tentativo di apparire coraggiosa anche quando sapeva di essere terrorizzata a morte. Boruto ammiccò con le palpebre, attivando il Jougan, studiandola con uno sguardo gelido e allibito. Ma per quanto la osservasse, non riuscì a trovare nemmeno una sola traccia di falsità nel suo corpo. Per quanto lo odiasse, stava dicendo il vero.

Era stata lei ad uccidere il loro amico.

Eppure, una parte di lui non riusciva a crederlo. Non poteva crederlo. Non voleva crederlo. Sua sorella aveva un carattere forte, vero, ma era pur sempre dolce, gentile e premurosa. Himawari non era una guerriera, non era un soldato. Non aveva combattuto nessuna grande battaglia, non aveva mai versato così tanto sangue da non riuscire più a togliersi il profumo metallico dal naso come lui. Himawari… non poteva uccidere qualcuno. Non era quello che era. Sua sorella non poteva torturare a morte una persona. Non aveva un briciolo di cattiveria nel suo corpo.

Non poteva essere vero.

Lucy ringhiò, liberandosi dalla sua presa, ed avanzò verso la ragazza. Shikadai si mise tra lei e Himawari. "L'ha fatto su mio ordine!" abbaiò duramente. "Ero io in carica, e ho dato io l'ordine! Se vuoi incolpare qualcuno, incolpa me!"

"Boruto!" Mikasa gli sibilò nell'orecchio e Boruto, finalmente, si liberò dall’immobilità che lo aveva travolto.

Si lanciò in avanti, afferrando Lucy per la spalla e tirandola indietro. Aveva imparato dalle esperienze passate: se fosse esploso un combattimento, i suoi nemici avrebbero vinto. Lui non aveva modo di battere Sarada. Non ancora. Non adesso. Lei lo aveva sopraffatto, lo aveva sconfitto, e lui non aveva ancora escogitato un modo per aggirare la sua abilità di Preveggenza. Inoltre, aveva dato l'ordine di far esplodere il canyon in caso di lotta. Combattere non era un’opzione. Non qui. Non ora.

"Non cambia nulla!" gridò Himawari. "Conoscevo i rischi quando ho cercato di rimuovere il chakra di Shizuma! Solo perché mi è stato ordinato, questo non assolve le mie azioni! Se devi incolpare qualcuno per la sua morte, incolpa me!"

"Allora sistemiamo questa disputa!" ringhiò a sua volta Lucy, spingendosi contro Boruto con tutte le sue forze. "Io e te, un duello all'ultimo sangue! Senza nessun altro che interferisca!"

Il Nukenin non lo avrebbe permesso. "Lucy!" sibilò con forza, supplichevole. "Non farlo. Per favore. Per favore, ascoltami. Te lo prometto, te lo giuro, vendicheremo il nostro amico. Ma non farlo. Per favore. Non qui. Non ora. Non quando siamo così vicini alla vittoria."

Alcune delle sue parole dovettero raggiungerla, perché il giovane vide il fuoco negli occhi della ragazza che veniva temperato. Lucy riprese a rivolgere più attenzione a lui invece che a sua sorella e Shikadai. Ma non era abbastanza, Boruto poteva vederlo. Poteva vedere il dolore, la rabbia, la tristezza, la solitudine nel suo sguardo. Poteva vedere quanto fosse schiacciante la sua sete di vendetta, quanto l'avesse spezzata, e quanto Lucy fosse persa e ferita, e non voleva nient'altro che il dolore se ne andasse.

Boruto non sapeva come avrebbe potuto far sparire il suo dolore, ma sapeva che doveva provarci. Se non l’avesse fatto, tutto ciò per cui aveva lavorato, per cui aveva sanguinato, e per cui si era sacrificato sarebbe stato distrutto qui ed ora. "Per favore, fidati di me," la esortò piano, desiderando che obbedisse.

Gli occhi di Lucy indugiarono sui suoi, prima di sfrecciare oltre la sua spalla, dove senza dubbio sua sorella, Sarada e i Ninja della Foglia erano pronti e più che disposti a combattere se fosse arrivato il momento. I suoi occhi tornarono sui suoi. "L-Lei è… è tua sorella," sussurrò Lucy, oltraggiata, le labbra tremanti e gli occhi che versavano lacrime di rabbia. "La… La stai proteggendo! La stai proteggendo perché è tua sorella!" sibilò.

Boruto fece un respiro profondo e si avvicinò alla bionda. "Sì," ammise. "Sì, è mia sorella. E sì, per quanto detesti ammetterlo, una parte di me ancora ci tiene a lei, proprio come tu ci tieni a Shizuma. Proprio come io ci tengo a te. E ti prometto che farò giustizia per la morte del tuo amico. Ma Himawari non è l'unica responsabile. Lo sai, Lucy. Lo sai benissimo. Io ho ucciso molte persone, no? Molte più con le parole che con i fatti. Le loro famiglie potranno anche odiare l'assassino della loro persona amata, ma la colpa è mia! La responsabilità dell’atto ricade su di me! Colui che odiano davvero non è l’assassino! Loro odiano me!"

Lucy respirava pesantemente, tremava, ma stava ascoltando. Boruto voltò lo sguardo. "Guardali," disse, inclinando la testa verso gli ultimi tre membri del clan Nara. "Guardali negli occhi. Lo vedi? Vedi il loro risentimento? Il loro odio? Ma non sei tu che odiano, vero? Sono io. Tu eri lì, ed hai ucciso più membri del loro clan rispetto a me, ma sono stato io a dare l'ordine. Sono io che ho orchestrato le loro morti."

Boruto si fermò, senza fiato, e pregò. Pregò che le sue parole potessero raggiungerla. Che potessero forzarla a ragionare, a vedere di nuovo la luce.

Passarono diversi e lunghissimi momenti di silenzio. Momenti in cui non era sicuro che le sue parole sarebbero riuscite ad arrivare al cuore della ragazza. Era testarda, combattiva e arrabbiata, e quelle tre qualità non erano mai una buona combinazione in nessuno. Boruto parlò di nuovo. "Himawari è mia sorella. Ed io… ci tengo a lei, che sia mia ​​nemica o meno. Pensa a come ti sei sentita dopo la morte di Shizuma. Vuoi davvero farmi provare quel dolore? Vuoi davvero ripagarmi con la loro stessa moneta?” chiese a bassa voce.

Lucy sussultò come se fosse stata schiaffeggiata, gli occhi sgranati a dismisura.

"Per favore," insistette il guerriero. "Guarda la verità. Himawari è stata la spada, ma Shikadai era colui che la brandiva davvero. Perciò, ti prego… non fare a me quello che loro hanno fatto a te."

E lì, lentamente, i suoi occhi videro i muscoli di Lucy rilassarsi mentre l’odio e la rabbia la abbandonavano. La bionda abbassò il mento e annuì, e Boruto vide una lacrima cadere lungo la sua guancia. Tirò un sospiro di sollievo e accompagnò Lucy indietro, lontano da sua sorella e dalla battaglia. Una battaglia che le sarebbe sicuramente costata la vita. E lui non aveva intenzione di perderla. Lucy era un guerriero potente, certo, ma era in primo luogo un’amica. Non poteva perderla dopo tutto ciò che avevano passato.

"…andiamo," ordinò, spingendola in avanti.

Lucy obbedì, seguendolo a tesa bassa assieme a Mikasa. Però, purtroppo, uno dei nemici non aveva intenzione di lasciarli andare senza prima dire la sua.

"Il conflitto viene prima della caduta," li schernì Shikamaru Nara. Boruto lo fissò con odio. "Stai perdendo il controllo, Boruto, proprio come ogni tiranno prima di te. Proprio come ogni tiranno che verrà dopo di te. Mi divertirò molto a guardare il tuo Impero crollare alla fine della guerra."

Boruto si voltò di scatto sull'uomo, la rabbia che gli bruciava nelle vene come un incendio ineluttabile, ma Sarada, fortunatamente, lo batté sul tempo. Afferrò brutalmente Shikamaru per la sua casacca da Jonin e lo strattonò con forza prima di tirarlo indietro. "Sta' zitto!" sibilò, con una lacrima di sangue che le solcava la guancia.

Il Nukenin li fissò con uno sguardo odioso e infestato, ma lasciò che la sua rabbia si esaurisse mentre si voltava e se ne andava, seguendo Mikasa e allontanando Lucy da sua sorella. Si chiese cosa, esattamente, avesse visto Sarada coi suoi occhi da costringerla ad intervenire in quel modo.

Alla fine, però, non importava. Boruto aspettò un paio di secondi per vedere se la scintilla sarebbe esplosa. Ma non accadde. Suo padre non si precipitò da loro, i nemici non lo attaccarono quando voltò loro le spalle, e il Rokubi non andò su tutte le furie in un impeto di rabbia demoniaca. Le trattative erano state un successo.

Eppure, lui non si sentì per niente vittorioso.

Si riunì agli altri Kara in silenzio, con un’imbronciata Lucy dietro di lui ed una stoica Mikasa al suo fianco, e tutti quanti furono immediatamente riportati alla sicurezza e la pace dell'Occhio della Tempesta.

Presto, molto presto, si sarebbe vendicato. Ma non oggi. Dopotutto, ora aveva un'invasione da pianificare.

La Terra del Vento era sua da conquistare.
 


03 Febbraio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza del Settimo Hokage
16:30

“Cioè, fammi capire bene,” Naruto esitò, facendo un respiro profondo per calmarsi, prima di tornare a fissare il monaco davanti a lui, nervosamente seduto sul divano del suo soggiorno. “Hai provato ad impossessarti del corpo di mio figlio tramite un’abilità del Ninshū… ed hai fallito?”

Sentoki annuì, abbassando gli occhi a terra con vergogna. Naruto sentì il suo sangue raggelare nelle vene. Accanto a lui, Hinata osservava nervosamente la scena in silenzio, incerta su cosa pensare.

L’ex Hokage sentì il suo corpo tremolare. “…che cosa cazzo ti è saltato in mente?” sibilò, trattenendo a malapena la propria furia. “Come hai potuto attuare un attacco del genere senza prima consultare Konohamaru? Senza prima consultare me?!”

Il monaco appassì visibilmente. “Le chiedo scusa, Hokage-sama. Ma non ho avuto scelta. Ciò che suo figlio ha compiuto… temevo potesse accadere di nuovo. Ho agito in nome della preoccupazione,” ammise, lento e pentito.

Naruto sentì la sua rabbia diminuire dinanzi alla tristezza nel volto dell’anziano. Sembrava sinceramente sconfortato dalla svolta che avevano preso gli eventi. E nemmeno lui poteva negare che ciò che aveva fatto era stato a fin di bene. Suo figlio, che lui lo volesse o meno, andava fermato se volevano riportare la pace, l’ordine e la stabilità nel loro mondo. Senza contare, poi, gli Otsutsuki. E prima fossero riusciti a catturarlo, meglio era. Per cui, poteva comprenderlo, davvero. Ma il fatto che avesse tentato di catturarlo senza dire niente a nessuno non era qualcosa che poteva ignorare.

Scambiò un’occhiata silenziosa con sua moglie. Hinata gli fece un cenno col capo, spingendolo a ritentare. “…Sentoki,” iniziò allora a dire, calmandosi e passandosi una mano sulla faccia. “Come… Come hai fatto? A scovare Boruto ed impossessarti di lui, intendo.”

L’anziano sospirò pesantemente. “Shikamaru le ha già spiegato a grandi linee come funziona il Ninshū, vero? Esso è la capacità di percepire e leggere la possente rete spirituale che ci collega tutti tramite il chakra. Ci permette di capirci l’un l’altro ad un livello che non può essere descritto in questa o in nessun’altra lingua. Non c’è separazione di sé in questo livello spirituale. Quando raggiungi l’essenza di te e ti connetti al Cerchio, ti connetti con le altre anime, e di conseguenza… ti capisci. Raggiungi la consapevolezza di te stesso e degli altri. I loro pensieri diventano i tuoi pensieri, e le loro emozioni diventano le tue emozioni. Questo gliel’aveva già detto, no?”

Naruto annuì, esitante. Shikamaru gli aveva riferito, a grandi linee, delle sue chiacchierate filosofiche con Sentoki durante la loro missione nella Terra del Ghiaccio. Ma lui non era mai stato un grande pensatore, né una mente brillante, quindi aveva dato poco peso a quella faccenda così astratta. Il fatto che Boruto potesse usare il Ninshū, invece, lo aveva preoccupato non poco.

“Ciò che ho fatto, è stato semplicemente connettermi a questa immensa rete che ci collega tutti,” continuò il monaco. “In essa, nessun essere vivente è completamente isolato. Come le ho già detto, siamo tutti uniti assieme – collegati – dal Cerchio. Per cui, mi è semplicemente bastato passare da un sussurro di coscienza all’altro, da un’anima all’altra, per arrivare a Boruto. E così è stato,” concluse, semplicemente, come se fosse la cosa più scontata del mondo.

Il biondo lo guardò a bocca aperta, completamente perso. Sapeva a grandi linee il modo in cui funzionava il Ninshū e la sua applicazione – lui stesso in passato, durante la Quarta Guerra Mondiale, lo aveva usato per salvare Guy-sensei dalla morte grazie alle abilità curative dell’Arte Eremitica – ma non aveva mai avuto realmente idea di cosa fosse o di come fosse organizzato. E quella spiegazione non gli aveva certo reso più chiare le idee. Forse le speculazioni e i discorsi astratti non facevano per lui, semplicemente.

Hinata s’intromise nervosamente. “Ma, ecco, com’è possibile?” domandò, le sue mani unite assieme come ai vecchi tempi. “Una cosa del genere è…”

“Impossibile?” Sentoki le sorrise affettuosamente, con gli occhi chiusi. “Oh, Hinata-sama, lei e suo marito siete ancora giovani. Certo, avete vissuto molto, e siete convinti di conoscere molte cose, ma il Ninshū richiede anni di rigoroso esercizio e meditazione per essere a malapena intuito; e molto più tempo ancora per poterne concepire una vaga forma di comprensione. Ci vuole una conoscenza di sé quasi perfetta per poterne anche solo iniziare a scrutare le basi, glielo assicuro.”

Naruto sospirò. “Indipendentemente da questo, puoi rifarlo ancora?” chiese, serio.

Sentoki comprese immediatamente a cosa si stava riferendo con quella domanda. Il suo sorriso cadde all’istante. “Purtroppo no. Ormai Boruto avrà sicuramente innalzato le sue difese mentali dopo il mio precedente tentativo di sottometterlo. Non si farà cogliere impreparato di nuovo,” rispose.

“Ma sei riuscito a capire dove si nasconde, almeno?” domandò ancora l’ex Hokage. “Hai visto in che dimensione si sono rifugiati lui e i suoi amici?”

Il monaco assunse un’espressione solenne. “Più o meno,” ammise, lento. “In base a quello che ho intravisto mentre avevo il controllo del suo corpo, la dimensione in cui Boruto e i Kara si nascondono non è normale. Non è semplicemente lontana dalla Terra, come lo era la Luna. È più complessa, più distante e corazzata, ed è difesa da invisibili barriere di protezione, più numerose di quanto potessi mai immaginarmi. Non sarà facile raggiungerla, nemmeno col Rinnegan di Sasuke Uchiha. Se non fosse stato per il legame che unisce le nostre anime nel Cerchio, nemmeno io avrei potuto accedervi,” spiegò.

Hinata e Naruto rimassero spiazzati. “C-Com’è possibile?” chiese la donna.

Sentoki scrollò le spalle. “Probabilmente, Boruto si è preparato dopo la caduta dell’Astro Celeste,” dedusse. “Per evitare di essere nuovamente scoperto, ha innalzato le barriere e le difese della sua nuova dimensione, per impedirne a chiunque l’accesso. Anzi, l’ha resa addirittura invisibile. Se non fosse stato per le abilità del Ninshū, nemmeno io sarei riuscito a scovarla.”

“E quindi… non possiamo raggiungerla di nuovo, come hai fatto tu?” sussurrò ancora Naruto, abbattuto, mentre la sua speranza spariva.

Il monaco esitò. “…no,” rispose alla fine. L’anziano si rattristò molto nel vedere le espressioni sconfortate dei due coniugi. I loro occhi lampeggiavano letteralmente di dolore e rassegnazione. “Non come ho fatto io, almeno. Forse però, quando Sasuke tornerà sulla Terra, avremo modo di scovare una falla nelle difese nemiche. Al momento, tuttavia, mi è impossibile dirlo.”

Ma ne dubito, visto che non posso raggiungerla nemmeno io col mio Rinnegan,” aggiunse mentalmente.

Naruto e Hinata annuirono, sconfitti, prima di sospirare pesantemente. Per come stavano le cose, era evidente che fosse impossibile riuscire a raggiungere Boruto. Non così, non adesso, senza qualcuno che potesse viaggiare tra le dimensioni. Ma Sasuke era ancora lontano, e non aveva più fatto sapere sue notizie da molto tempo. E questa cosa, per quanto Naruto cercasse di essere ottimista al riguardo, lo preoccupava molto. Sapeva che Sasuke era forte, ma le minacce fuori dal loro mondo erano innumerevoli, e nessuno poteva dire con sicurezza cosa sarebbe potuto succedere. Non c’era certezza, insomma.

Per cui, il Settimo poté solo pregare che il suo migliore amico stesse bene. E che potesse tornare quanto prima.

“Però… c’è una cosa che non mi convince,” disse ancora Naruto. I suoi occhi azzurri si posarono di nuovo su Sentoki. “Tu… come fai a sapere tutto questo? Come fai a conoscere il Ninshū, ad essere così forte, e a riuscire a tenere testa a Boruto anche da solo? Nessun monaco Ninja, per quanto esperto possa essere, potrebbe possedere Tecniche e poteri così avanzati. Ed è da un po' di tempo che non riesco a smettere di percepire qualcosa in te… qualcosa di sinistro e sospetto. Perciò, come fai, insomma?”

Sentoki s’irrigidì dopo quelle parole, fissandolo con attenzione.

Naruto lo guardò con gelido sospetto. “Sentoki… chi sei tu, veramente?”

Passarono cinque secondi di silenzio. Poi, con sommo stupore di Naruto e Hinata, il monaco sorrise. “Credo che nascondervelo oltre sarebbe solo controproducente,” sussurrò alla fine, ilare. “Avrei voluto restare anonimo per un altro pò, ma… viste le circostanze, credo che sia giunto il momento di dire anche a voi la verità.”

L’Hokage e sue moglie si fecero rigidi come non mai, ma non ebbero il tempo di pensare altro. Di colpo, senza nessun preavviso, il corpo del monaco iniziò ad illuminarsi, avvolgendosi in una luce bianca accecante che investì ogni cosa. Naruto strinse le palpebre e si portò le mani davanti al volto, schermandosi bruscamente dalla luce, similmente a Hinata. Poi però, quando il buio ritornò e la luce smise di accecarli, la persona che si trovavano dinanzi aveva mutato completamente aspetto. Davanti ai loro occhi non c’era più un vecchio calvo e raggrinzito vestito di stracci, ma una figura solenne e divina. Un vecchio vestito di bianco e nero, con una lunga barba grigia e due occhi viola concentrici. Alle sue spalle, nove piccole sfere di chakra nero levitavano attorno a lui, mentre i suoi piedi non toccavano mai terra, facendolo volteggiare nel vuoto mentre reggeva un lungo bastone scuro in mano.

Naruto e Hinata trattennero il fiato.

"Questo è il mio vero aspetto, miei giovani amici," disse Hagormo Otsutsuki, sorridendo con magnanimità. “E visto il vostro stupore, immagino di dovervi delle spiegazioni.”
 


05 Febbraio, 0022 AIT
Villaggio della Sabbia, Terra del Vento
15:00

Boruto sorrise feralmente.

Seguito dalla moltitudine di soldati dell’esercito – oltre che dai suoi fedelissimi Kara – restò immobile dinanzi ai cancelli del Villaggio della Sabbia, fissando con uno sguardo deciso le porte che venivano sfondate dai suoi uomini a colpi di Jutsu e testate d’ariete. Poi, dopo quasi un minuto o due di attesa, i cancelli vennero sfondati e l’esercito entrò nella città senza problemi.

Il giovane sorrise di trionfo. Non dovette nemmeno combattere. Non ce n’era bisogno. Gli bastò superare i cancelli, solenne e imperioso, per eliminare qualsiasi sorta di resistenza e opposizione. Il Villaggio della Sabbia era un Villaggio modesto, più piccolo e meno evoluto rispetto a quelli delle Cinque Grandi Nazioni – ormai completamente distrutte – ma non per questo meno importante. La Terra del Vento, nonostante l’economia scarsa ed il clima ostile che la flagellavano, era principalmente famosa per le sue immensa dimensioni, e per l’immensa popolazione che la caratterizzava. Era una Nazione povera, certo, ma che sfornava migliaia e migliaia di uomini all’anno. Soldati, Ninja e combattenti, tutti pronti e desiderosi di unirsi ad un esercito. Era sempre stata una Nazione combattiva, sin dall’alba della sua fondazione, e basava la sua economia sul commercio, viste le scarse risorse che possedeva.

Proprio per questo, Boruto aveva faticato tanto per conquistarla. Aveva tentato innumerevoli volte di sottomettere la Terra del Vento, anche prima di finire su Eldia. Era stata nei suoi piani di conquista sin da quando aveva spinto la Roccia ad entrare in guerra, ormai più di due anni prima. E adesso, alla fine, ce l’aveva fatta. Per quanto avessero resistito, per quanta ribellione avessero messo su gli Shinobi di questa Terra, alla fine c’era riuscito. Il Vento ed il Villaggio della Sabbia erano infine suoi. Erano stati dei bravi combattenti, delle spine nel fianco resistenti e fastidiose. Ma come tutti coloro che avevano inutilmente osato opporsi a lui, ormai avevano fallito. La Terra del Vento era sua per la conquista.

Certo, non tutti si erano arresi dopo l’accordo di tregua con Shikamaru e la Foglia. La maggior parte dei Ninja della Sabbia, ad esempio, non avevano preso di buon grado l’idea di finire sottomessi all’Impero. E quindi, com’era prevedibile da parte loro, avevano fatto esattamente ciò che Boruto si era aspettato che facessero: abbandonare la nave. Se n’erano andati. Comandati dal temporaneo Kazekage, Ittan, tutti gli Shinobi della Sabbia avevano abbandonato il Villaggio, fuggendo in fretta e furia verso la Terra del Fuoco; e lasciando la loro patria spoglia, priva di difese e di governo. E, soprattutto, pronta per essere conquistata da lui.

Una mossa poco onorevole, certo, ma Boruto sapeva di non poterli biasimare. L’onore non si addiceva ad una Guerra Mondiale. Ciò che contava, invece, era sopravvivere. Sopravvivere e combattere per un nuovo giorno. E la Sabbia, esattamente come la Nebbia, era più che intenzionata a resistere fino alla fine. Per questo gli uomini di quelle due Nazioni si erano ritirati nella Terra del Fuoco. Per unirsi alla Foglia, ed evitare una battaglia che si sarebbe – inevitabilmente – conclusa con la distruzione di altri due Villaggi Shinobi e la devastazione di due Paesi interi.

Boruto poteva rispettarli per questo.

Ma la loro resistenza era inutile. Il Ninja traditore sorrise sotto i baffi a quel pensiero. Ormai le sue gesta ed il suo potere lo avevano reso temuto dal mondo intero. Era evidente che i suoi nemici fossero incapaci di combattere contro di lui. Talmente tanto incapaci da dover necessariamente fuggire per sopravvivere. Questa cosa, già di per sé, era una vittoria ben più grande di qualsiasi battaglia di conquista. Boruto era diventato talmente potente da costringere il mondo intero a piegarsi sotto al suo volere. Nessuno poteva negargli ciò che voleva, insomma.

Tuttavia, però, non mancavano certo le proteste. Il Nukenin se le aspettava. E fu per questo che, una volta entrato nella Sabbia, evitò casualmente un pugno sferratogli da un coraggioso Jonin rimasto che tentò di impedire la sua avanzata nella città, ricambiando la cortesia con un fendente che lo centrò nel collo. L’uomo cadde a terra in un istante, con la sua testa recisa e rotolante, calpestato dalle fila del suo esercito in marcia.

Il Jonin fu l’unica eccezione alla regola. Nessun altro osò frapporsi tra lui ed il suo esercito e l’edificio più grosso del Villaggio. La Torre del Kazekage. Era lì, lui lo sapeva, che si trovavano gli ultimi Ninja rimasti nel Paese. L’ultima linea di dissenso rimasta senza fuggire. Boruto non sapeva nemmeno perché non fossero andati nella Foglia, come i loro compagni. E, se doveva essere sincero, non gli interessava nemmeno. Ciò che voleva era portare a compimento la missione il prima possibile, per poi tornare a pianificare la sua prossima mossa. Non aveva intenzione di perdere tempo. Dopotutto, aveva un piano in mente.

Un piano che doveva mettere in atto al più presto.

Le guardie all’interno dell’edificio erano di un altro parere. Appena lui ed i Kara misero piede nell’edificio, tentarono di assaltarli per proteggere la loro casa. Sora ne smantellò una decina da solo, con un singolo getto di terra e fango che li sommerse completamente, immobilizzandoli e rendendoli innocui. Nello stesso istante, un paio di uomini vestiti con le casacche della Sabbia tentarono di assalire Gray, ma lui li trafisse al cuore con delle lance di ghiaccio, uccidendoli in un batter d’occhio. Il Nukenin sorrise a quella scena. I Kara erano abituati a combattere contro di lui e la sua impareggiabile velocità. Questi avversari, per quanto coraggiosi, erano lenti come formiche al suo confronto. Non avevano la minima possibilità di vittoria.

Le sale dell’edificio risuonarono di urla e grida di terrore e panico. Le guardie sbraitavano ordini ad alta voce, solo per poi essere immediatamente silenziate dai portentosi getti d’acqua di Juvia o tranciati a metà dai fendenti di Shirou. Le pareti tremarono e il pavimento fremette per la potenza dei colpi di Mikasa, mentre le porte vennero sfondate come niente al loro passaggio, come se fossero fatte di carta. Boruto ed i suoi amici avanzarono imperterriti, senza ostacoli.

Mikasa sfondò la grossa porta dell’ufficio del Kazekage con un semplice pugno. I cardini e il metallo delle giunture si spezzarono come se fossero fatti di plastica, scagliando la porta per tre metri in avanti e permettendo ai giovani di entrare nell’ufficio con passo lento e solenne. Una volta dentro, tutti e sette i giovani si guardarono attorno con attenzione, alla ricerca di trappole o esplosivi nascosti per la stanza.

Non ne trovarono. L’ufficio era vuoto e spoglio, completamente privo di vita. Solo una semplice donna si trovava al suo interno, una segretaria, buttata a terra col volto pallido ed un’espressine congelata dalla paura e dal terrore. Se ne stava nascosta dietro la scrivania abbandonata del Kazekage, e teneva le mani unite assieme in un gesto di supplica o, dedusse Boruto, preghiera. E a giudicare dal volto pallido e gli occhi sgranati e ricolmi di lacrime, era terrorizzata a morte. Una visione veramente patetica.

Il biondo la guardò con sufficienza. “La Terra del Vento appartiene all’Impero, adesso,” dichiarò, freddo e solenne come una lama. “Se ci tieni alla tua vita, sottomettiti e sparisci dalla mia vista.”

La donna divenne ancor più pallida di prima, annuendo freneticamente prima di risollevarsi e scappare da lì come un animale terrorizzato.

Kairi, i suoi occhi chiusi, si guardò attorno con gli occhi della mente. “Non è rimasto nessun altro,” riferì, abbozzando un sorriso mentre scandagliava tutta la città coi suoi sensi. “L’intero Villaggio è sotto il nostro controllo.”

Lo sguardo di Boruto si fece solenne. “E così ne rimane solo uno...”
 


05 Febbraio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
19:26

Konohamaru intrecciò nervosamente le dita assieme. Indossare il Cappello era più stressante di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Soprattutto adesso che la Foglia era, essenzialmente, coinvolta in una Guerra Mondiale. Si era sempre chiesto, negli anni passati, perché Naruto non fosse mai riuscito a destreggiarsi tra l'essere Hokage e l'essere padre. Ma adesso che si era finalmente messo nei suoi panni… poteva comprenderlo appieno.

Ma per il giovane Sarutobi, una cosa stava diventando sempre più chiara: il figlio di Naruto non si sarebbe placato. Boruto non si sarebbe accontentato di sedere sul trono e governare il suo piccolo angolo di mondo. La Foglia ed il mondo intero erano stati degli sciocchi nel restare fermi e sperare il meglio. Ora, Konohamaru aveva solo due opzioni: agire, o lasciare che l'Impero Shinobi Unito crescesse ancora in forza e dimensioni, diventando una minaccia ancor più grande di quanto non fosse già.

Il suo piede sobbalzò nervosamente su e giù mentre guardava l'orologio. Konohamaru non era mai stato in guerra. L’esperienza più vicina ad una guerra che aveva mai vissuto era stata la battaglia contro una delle Sei Vie di Pain, quando l'Akatsuki aveva attaccato il Villaggio. E non c'era paragone neanche tra la Guerra di allora e quella che stava devastando il mondo adesso. Una cosa era combattere un'orda di mostri disumani come gli Zetsu. Era stato facile. Non sembravano umani, non sanguinavano, non gridavano mentre venivano uccisi, e non c'era terrore nei loro lineamenti appena morivano. Ma questa? Questa era una vera Guerra – una Guerra Mondiale – tra uomini e donne. E se c'era una cosa che Konohamaru aveva imparato negli ultimi vent'anni, era che i veri mostri non erano quelli che si potevano vedere dall'esterno, come gli Zetsu, ma quelli che non si potevano vedere subito. Quelli che si nascondevano dietro ad un volto umano.

Quelli come Boruto Uzumaki.

Un lieve bussare alla porta echeggiò nella stanza. Konohamaru si schiarì la gola. "Entrate," ordinò.

Naruto sorrise debolmente mentre conduceva Mei – o meglio, la Mizukage – e il suo successore, Kagura Karatachi, nel suo ufficio. Dietro di loro c’erano anche Yurui e il comandante Ittan, seguiti a ruota da Shikamaru Nara. A Konohamaru non sfuggirono affatto gli sguardi invidiosi che Kagura e Ittan rivolsero al Nara. Shikamaru era tornato sano e salvo dall’incontro coi Kara e aveva riottenuto sua moglie rapita. Non tutti avevano avuto la sua stessa fortuna.

Il loro obiettivo di oggi? Riuscire a capire come sconfiggere una Nazione che si estendeva per quasi la metà dell’intero continente.

"Allora," sussurrò Konohamaru. "Qualcuno ha qualche idea brillante?"

Shikamaru fece una pausa, guardando i Kage nella stanza, prima di iniziare a parlare quando nessuno si decise ad esprimere la propria opinione. "Se mi permettete... io che l’ho," disse, con un ghigno diabolico stampato in faccia.

"Spero che la tua idea non comporti la resa di un’altra Nazione all'Impero,” sibilò sarcasticamente il Kazekage Ittan, acido. Non aveva preso per niente bene il fatto di dover cedere la sua casa al nemico solamente per la salvezza di Temari. “Se tua moglie venisse rapita di nuovo, finiremmo a corto di Paesi da barattare."

Shikamaru si accigliò fragorosamente. Yurui – il futuro Raikage – lo trattenne con una mano. "Che lei ci creda o no," ringhiò. "Non ho chiesto di portare i vostri uomini fuori dalla Terra del Vento solo per la sicurezza di mia moglie. E per la cronaca, Kazekage, questi scambi sono l'unica cosa che mantiene in stallo questa guerra. Una volta che una fazione inizierà ad infrangere le regole, l'altra avrà vinto. Non avevamo scelta.”

Ittan brontolò, ma rimase in silenzio.

Yurui sospirò. "Cosa facciamo, dunque? Attacchiamo l’Impero?" chiese con una scrollata di spalle.

"Non possiamo," disse Mei Terumi, lentamente. "Non adesso, almeno. La differenza tra noi e l’Impero è che Boruto tiene per la gola tutto ciò che amiamo e che possedevamo in precedenza. Attaccarlo adesso sarebbe un suicidio."

Yurui borbottò qualcosa di incomprensibile.

Shikamaru continuò. "Per fortuna, però, sembra che Boruto sia contento di continuare a giocare secondo le regole, per ora. Questo ci fa ben sperare per le battaglie future. Ci dà del tempo per organizzarci, insomma. Quattro mesi di tempo," disse in tutta serietà.

Kagura ammiccò. "Battaglie future?" ripeté, cauto.

Shikamaru annuì. "Come vi ho detto, ho un piano," sorrise. "Senza più il Vento e la Nebbia, le uniche Nazioni rimaste fedeli a noi e che ci sostengono sono la Terra delle Cascate, quella delle Valli e quella del Ferro. La Terra degli Orsi non ha più Shinobi, quindi non conta. Io ho detto a Boruto che la Foglia si sarebbe ritirata dalla Terra del Vento, e così è stato. Ma nel mentre, Sarada ed io abbiamo organizzato un piano per riprendercela tra quattro mesi. Abbiamo nascosto una parte dell’esercito nei confini della Terra del Suono. Al suo comando, oltre a Sarada, ci sono Sakura, Himawari e Shikadai. E fra quattro mesi, se iniziamo già da adesso a mobilitare un esercito che dia loro supporto nella Terra del Suono, mobiliteremo un contrattacco combinato in diversi Paesi per conquistare la Terra del Vento. E dopo di essa, anche il Suono, il Vapore e la Pioggia."

Konohamaru rimase a bocca aperta. Guardò la mappa spiegata sulla sua scrivania, e poi di nuovo Shikamaru. "Questo... potrebbe funzionare," esalò.

Shikamaru annuì. "Boruto è molte cose, ma non è un tattico efficiente," spiegò. "È un ottimo comandante, glielo concedo, ma la sua visione del campo di battaglia è limitata. Si sofferma sulla conquista imminente, come ha fatto con la Nebbia e la Sabbia, ma non pensa che le nostre forze sono ancora in campo tra i suoi ranghi. E anche se lo sapesse, non può attaccarci di nuovo come prima. Non con tutti e tre i nostri eserciti riuniti nella Terra del Fuoco. Sarebbe un suicidio, persino per lui.”

“E quindi, cosa dovremmo fare?” chiese Ittan, impaziente. Se c’era un modo per riuscire a fermare l’Impero, non potevano perdere altro tempo. Dovevano iniziare a prepararsi per ricambiare il nemico con la sua stessa moneta.

Il Nara li guardò uno per uno. “Potenziamo l’esercito,” rispose. “Mobilitiamo le nostre forze – TUTTE le nostre forze – per un assalto su larga scala mirato alla riconquista dei Paesi che abbiamo perso. E quando la tregua finirà, fra quattro mesi, colpiremo con tutta la potenza di cui siamo capaci. È l’unica opzione che ci rimane se vogliamo riottenere il controllo delle Nazioni.”

Tutti i Kage si guardarono per diversi secondi. L’idea non era priva di merito.

“E dove stanzieremo questo esercito?” chiese allora Mei Terumi. “Di certo non qui, nella Foglia.”

Fu Konohamaru a rispondere. “No, qui non possiamo,” ammise seriamente. “Il Villaggio non ha lo spazio, né le risorse umane, per gestire una quantità tale di soldati per quattro mesi di fila. Dobbiamo posizionarlo nella Capitale.”

Yurui annuì. “La Capitale del Fuoco,” sussurrò, pensieroso. “Ma come faremo a difendere l’esercito? La Capitale dista più di cento chilometri da Konoha.”

“Affideremo la gestione e la difesa dell’esercito a voi Kage esterni,” rispose Shikamaru. “Dopotutto, siete quelli più coinvolti nella Guerra. Avete perso le vostre case per colpa dell’Impero. Perciò, avete il diritto di gestire in prima fila l’organizzazione dell’esercito e la pianificazione della riconquista, no?”

Mei, Kagura, Ittan e Yurui si lanciarono degli sguardi d’intesa. Poi annuirono tutti e quattro. “Partiremo per la Capitale tra tre giorni,” disse allora il Raikage. “Nel frattempo, faremmo meglio a discutere del piano di armamenti e formulare una strategia concreta.”

Tutti i presenti annuirono.

La discussione andò avanti per diverso tempo. I minuti passarono e divennero ore, fino a quando fu notte fonda e la stanchezza iniziò a farsi sentire per tutti. Lo stress e l’ansia che provavano in questo periodo di guerra faceva questo effetto anche a loro, dopotutto. Perciò, fu quando la mezzanotte era già alle porte che Konohamaru mise fine all’incontro. I Kage si scusarono e si ritirarono nei loro alloggi per la notte, e nell’ufficio rimasero solamente Shikamaru, Naruto e l’Hokage.

“Beh, faremmo meglio a smettere per oggi,” disse Shikamaru, accendendosi una sigaretta. “Di questo passo saremo colti dall’esaustione.”

“Già, dobbiamo essere pronti ad un’emergenza in qualsiasi momento. Sei d’accordo, Naruto?” chiese Konohamaru.

Il biondo non rispose.

L’Ottavo Hokage e Shikamaru si scambiarono un’occhiata. “…Naruto?” ripeté il Nara.

L’Uzumaki trasalì con tutto il corpo, risollevando lo sguardo da terra. “E-Eh? Oh, sì, sì! Certo, sono d’accordo,” esalò, ridacchiando nervosamente.

Gli altri due lo guardarono con sospetto. Naruto non era solito essere così silenzioso davanti a loro. Era sempre energico e pronto a dire la sua, ma oggi sembra particolarmente… calmo. Riflessivo, quasi. Anche durante la riunione aveva parlato pochissimo, ed era rimasto quasi sempre sulle sue, con la testa bassa e lo sguardo perso nel vuoto. Come se fosse immerso nei suoi pensieri. E questo era strano. Decisamente strano. Naruto non era il tipo da restarsene immerso nei pensieri. Era una rarità, insomma.

“Ti senti bene?” chiese Shikamaru. “Sei strano.”

Naruto annuì. I suoi occhi non lo incontrarono nemmeno. “Sto bene, non preoccupatevi. È solo… sono solo stanco, davvero,” disse, la sua voce bassa. Poi rivolse loro un piccolo sorriso. “Farò meglio ad andare, ora.” Detto ciò, senza aggiungere altro, uscì in silenzio dall’ufficio e non si fece più vedere.

Konohamaru e Shikamaru ammiccarono confusamente.

Il Sarutobi poté solo sperare che il suo amico e mentore stesse davvero bene come diceva.
 


06 Febbraio, 0022 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione

Città Capitale di Rikubetsu
08:00

Boruto sapeva di non avere più tempo. Con la recente annessione della Terra del Vento e quella dell’Acqua al suo Impero, le cose sembravano finalmente essere tornate in suo vantaggio. Ma non era così, affatto. Il giovane era arrogante, non stupido. Sapeva che, in realtà, la situazione era ben lungi dall’essere sicura come sembrava. Le minacce per il suo Impero ed il suo popolo erano ancora vive e libere di agire indisturbate a sua insaputa. E lui non poteva permettere una cosa del genere. Non più. Non visti i precedenti fallimenti.

Per cui, doveva agire.

Si rialzò di scatto, facendo trasalire Galatea ed Annie sedute affianco a lui nella sala delle riunioni. Il suo occhio sinistro si assottigliò, osservando il rotolo a cui stava lavorando da diverse ore. Il progetto era ancora in fase di lavorazione e studio, chiaramente incompleto, ma presto doveva essere completato efficacemente. Era una necessità che non poteva più evitare, visto ciò che era successo nei giorni passati. Doveva farsi una mossa.

“Ehi,” la voce di Galatea lo riscosse dai suoi pensieri. “Va tutto bene?”

Il Ninja traditore annuì distrattamente. “Galatea, prendi Jigen con te e dirigetevi dai comandanti dell’esercito. Raddoppiate le sessioni di addestramento per le reclute,” ordinò. “Per i prossimi tre mesi, voglio che i guerrieri siano sempre e costantemente occupati ad allenarsi.”

La cerulea annuì, incerta, esitando visibilmente nel vedere la freddezza nel volto del loro leader.

Annie lo guardò con attenzione. “È successo qualcosa?” domandò.

Il biondo richiuse la pergamena con gesto rapido. “È ora di agire.”

Non aggiunse altro. Si voltò rapidamente e diede le spalle alle due donne, uscendo in fretta e fura dalla sala del castello di Rikubetsu. I suoi passi non risuonarono nemmeno per le ombre dei corridoi tanto velocemente si muovevano le sue gambe. Tutti coloro che lo incrociavano si fecero da parte, inchinandosi rispettosamente al suo cospetto.

Il Nukenin non badò loro. Sapeva molto bene che stava facendo un azzardo. Ciò che aveva in mente di fare, il suo nuovo piano, era pieno di falle e rischi. E tuttavia, era certo di non poter più aspettare. Se lo avesse fatto, se avesse rimandato ancora, qualcosa dentro di lui sentiva che le cose sarebbero inevitabilmente peggiorate. Che ne avrebbe pagato amaramente le conseguenze ancora una volta. Per cui, non poteva più esitare. Doveva accelerare il processo, e dare inizio alla sua opera prima di quanto aveva pianificato in precedenza.

Ciò che era successo negli ultimi giorni ne era stata la prova. Sarada, l’Hokage e Hagoromo rappresentavano una minaccia che lui e l’Impero non potevano più ignorare come prima. Questi ultimi due, soprattutto, si stavano rivelando più pericolosi di quanto si fosse mai aspettato. Boruto non sapeva come fosse successo, ma era certo che se l’Eremita delle Sei Vie avesse tentato di catturarlo come aveva fatto prima, allora lui sarebbe stato inevitabilmente sconfitto. Ne era certo. Lo aveva visto. Hagoromo aveva preso il controllo del suo corpo, ferito i suoi amici, e liberato Temari sotto al suo stesso naso, e lui era stato letteralmente incapace di reagire. E nonostante fosse riuscito a sistemare tutte le cose alla fine – Urahara, Kumo e Mitsuki stavano bene adesso, e Temari era stata efficacemente consegnata al nemico – una cosa del genere non poteva ripetersi una seconda volta. Era inammissibile.

Per cui, doveva fare qualcosa. Hagormo Otsutsuki doveva essere eliminato, e il Settimo Hokage assieme a lui. Erano entrambi una minaccia incalcolabile. E in quanto tale, dovevano essere annientati il prima possibile.

Il suo occhio cadde sulla pergamena che stringeva in mano. Non aveva ancora l’arma necessaria per abbatterli, certo, ma c’era un altro modo per mettere fuori gioco quei due. Un altro metodo. Un piano B – Boruto aveva sempre un piano di riserva – ideato appositamente in caso in cui le cose fossero precipitate prima del previsto. E adesso era giunto il momento di attuarlo.

Ma non era così semplice. Per farlo, per poterci riuscire, era necessario compiere un azzardo. Una mossa piena di pericoli ed incertezze. Era un rischio, Boruto lo sapeva, ma un rischio necessario. Non avrebbe avuto modo di raggiungere e colpire a dovere quei due se non avesse osato spingersi al limite delle sue capacità. Ed ora, viste le esperienze recenti, la situazione era cambiata, ed il suo piano per eliminarli doveva essere messo in moto prima del previsto.

Il suo Jougan pulsò di una rabbia ed una determinazione indomabili.

Boruto Uzumaki non sarebbe stato sconfitto.
 


07 Febbraio, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
23:00

Mitsuki alzò lo sguardo dal suo lavoro, sorpreso di vedere Boruto arrivare nei laboratori ad un’ora così tarda. Le sue labbra si incurvarono inconsciamente nel suo sorriso indecifrabile di sempre. "Ehi, Boruto," lo salutò allegramente.

"Mitsuki," disse quello, avanzando verso di lui. L’albino si accigliò, notando chiaramente le borse scure sotto agli occhi dell’Uzumaki. Non ci mise molto a capire quello che era successo. Quel biondino si era rimesso a studiare e pianificare con più forza e dedizione di prima negli ultimi giorni. "Vedo che stai lavorando sodo. Come procede il controllo del Demone artificiale?"

Il giovane scienziato sorrise, compiacendosi di poterne, finalmente, parlare. Per quanto Kumo fosse geniale e talentuoso come pochi, quell’uomo non parlava molto. Era sempre calmo, silenzioso e inflessibile, intento a macchinare e pensare in disparte. Boruto era l'unico con cui Mitsuki poteva intrattenere una conversazione intelligente e scientifica. "Oh, va a gonfie vele, davvero," dichiarò, toccandosi il sigillo sull’addome. "Ho appena finito gli ultimi ritocchi sul Sigillo. Di questo passo, presto il mio Demone e quelli delle cavie saranno in grado di lanciare Tecnica di classe S come la Bijuudama (Sfera dei Bijuu). Con il tuo aiuto, potremmo riuscire ad avere risultati soddisfacenti in meno di una settimana."

Ovviamente, potenziare e stabilizzare il chakra dei Demoni che avevano creato non era semplice. Quelle bestie erano entità mostruose e prive di senno, ma l’albino era certo che con una buona dose di controllo e potere da parte della Forza Portante, l’idea sarebbe stata possibile.

Boruto annuì. "Ottimo lavoro come sempre, Mitsuki," si complimentò. "Tuttavia, stasera non sono qui per parlare dei Demoni Artificiali."

L’albino si illuminò. "Oh! Un nuovo progetto, dunque?" sorrise speranzosamente.

"Sì," rispose l’altro. "Hai ancora le cellule clonate dal cadavere di Danzo Shimura?"

Mitsuki annuì, indicando una parete ricolma di tubi e contenitori sulla sua destra. "Certo che sì," rispose succintamente. "Sono in crio-stasi, in attesa di essere usate. Esattamente come avevi ordinato."

Boruto sorrise all’udire ciò, e Mitsuki rabbrividì. Il sorriso del biondo era ferale, animalesco. Lupino, quasi. Gli porse una pergamena, e l’albino la prese e la dispiegò rapidamente.

I suoi occhi si sgranarono.

Questo era il motivo per cui aveva scelto di seguire Boruto Uzumaki. Questo era ciò che il suo cuore bramava più di ogni altra cosa. Nessun altro essere vivente al mondo era pronto ad offrirgli – figuriamoci ad incoraggiare – la possibilità di far avanzare la scienza tanto quanto Boruto. Il biondo, invece, dava sempre a Mitsuki progetti interessanti, promettenti, strabilianti. Progetti talmente ambiziosi da togliere il fiato e fargli chiedere se la scienza fosse davvero in grado di fare qualcosa per attuarli. Mitsuki adorava questa sensazione.

Questo era sicuramente qualcosa da cui uno scienziato normale si sarebbe lavato le mani.

Ma Mitsuki, invece, non era uno scienziato normale. Nella scienza, credeva, non poteva esserci posto per la moralità.

"Ho chiamato questo progetto la 'Spada Muramasa'," disse Boruto.

Mitsuki ammiccò con meraviglia. "Una lama demoniaca capace di dividere l’anima stessa di un Demone," mormorò, allibito. Non poteva esserci nome più appropriato. "Ma, se posso chiedere, con chi hai intenzione di usare questo progetto?"

Boruto sorrise, snudando i denti.

"Il Kyuubi (Enneacoda)."

 





 

Note dell’autore!!!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. In esso sono successe diverse cose. Spero che l’intreccio possa essere stato di vostro gradimento.

Come vedete, a causa di ciò che ha passato per colpa dell’Eremita, il nostro Nukenin ha intenzione di agire. Ha in mente un piano, un piano a cui aveva pensato – e a cui anch’io ho pensato – da molto tempo, ma che adesso si ritrova costretto ad attuare prima del previsto. In Guerra, queste cose capitano. Lo vedrete nel prossimo capitolo. Vi dico solo che qualcosa di grosso sta per accadere.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Se ci sono errori nel capitolo, vi chiedo gentilmente di farmeli notare così da poterli correggere quanto prima. Grazie a tutti in anticipo.

A presto!

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Capitolo 35
*** La Calma Prima della Tempesta ***


LA CALMA PRIMA DELLA TEMPESTA




10 Febbraio, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
20:30

Mikasa osservò la scena dinanzi a lei con occhi attenti. C’erano proprio tutti. Boruto, Sora, Kairi, Gray, Juvia e Shirou stavano, ovviamente, seduti assieme a lei attorno ad un tavolo pieno di mappe, grafici e relazioni dettagliate, talmente numerose da far impallidire le montagne di carta con cui l’Hokage aveva a che fare ogni giorno nel suo ufficio. Assieme a loro, Toneri e Urahara erano radunati a loro volta attorno al tavolo, intenti a guardare con attenzione il loro leader, in attesa che prendesse parola, mentre Kumo e Mitsuki stavano invece seduti sulla destra, intenti a studiare dei rotoli pieni di caratteri in codice. Lucy, infine, se ne stava un po' più in disparte rispetto a tutti, con un’espressione mista alla noia e alla tristezza tutt’assieme.

La nera la osservò con sospetto per diversi secondi. Tra tutti, Lucy era quella che sarebbe stata più problematica da gestire, da oggi in poi. Ne era certa. Dopo tutto quello che era successo tra lei, Boruto e Himawari… era nata una sorta di tensione nel gruppo. Mikasa temeva che quella bionda potesse fare una pazzia e disobbedire agli ordini che le sarebbero stati dati. Tuttavia, non ebbe il tempo di pensarci oltre. Nemmeno un secondo dopo averlo pensato, infatti, la discussione per cui si erano radunati ebbe finalmente inizio.

“Abbiamo ricevuto notizie che la Foglia ed i suoi alleati stanno assemblando un esercito,” disse Boruto, prendendo parola per primo. Le sue dita indicarono una mappa inviatagli dalle sue spie nascoste a Konoha. “Secondo le nostre fonti, lo stanno mobilitando nella Capitale del Fuoco.”

I Kara e tutti gli altri si scambiarono un’occhiata. “Questo… è un problema,” sospirò Toneri. “Se le Nazioni Alleate finissero per assemblare quest’esercito, non avremmo più occasione per attaccare i nostri obiettivi. Non con una quantità tale di nemici riunita in un solo luogo. Saremmo costretti alla difensiva, e dovremmo aspettare… chissà quanto tempo prima di poter concludere l’unificazione del pianeta.”

“Già,” rifletté anche Mitsuki. “L’Impero è vasto, ma non avrebbe speranza difronte alla potenza combinata della Foglia, della Sabbia e della Nebbia riunite assieme come un esercito solo. Finiremmo per perdere ogni battaglia.”

Il biondo annuì, la sua espressione gelida. “Esattamente,” confermò. “Come avete appena detto, gli eventi recenti hanno dimostrato quanto, in realtà, siamo esposti e vulnerabili dinanzi all’offensiva nemica. Ma questo non è l’unico problema. Ciò che più allarmante è il fatto che ci sono troppi avversari da cui siamo costretti a difenderci. Avversari talmente potenti da essere pericolosi persino per me. Fino a due anni fa, solamente il Settimo Hokage e Sasuke Uchiha erano gli unici che potevano metterci i bastoni tra le ruote. Ma adesso, a causa dell’inaspettato intervento di Hagoromo Otsutsuki, anche Sarada ed i suoi compagni sono diventati una minaccia più che consistente per l’Impero. E questa situazione di svantaggio è inaccettabile.”

Juvia lo fissò acutamente dopo quelle parole. “E quindi cosa vuoi fare, biondino?” domandò. “Dubito che tu non abbia già pensato ad una contromisura.”

Il morale di tutti si risollevò non appena Boruto sorrise feralmente. Mikasa sogghignò mentre lo osservava di sbieco. Il suo biondino era astuto e sagace, e questa era una delle cose che più amava di lui. Anche se in svantaggio, anche se accerchiato da avversari immensamente più potenti di lui, Boruto non smetteva mai di pensare, pianificare, ed orchestrare strategie per ribaltare la situazione. Per mettere i suoi nemici in svantaggio ed uscirne vincitore. Era sempre così con lui.

“La Quinta Guerra Mondiale che abbiamo condotto fino ad ora non può continuare in queste condizioni,” spiegò Boruto lentamente. “Le Nazioni Alleate non possono vincere perché noi ci rifiutiamo di combatterle direttamente sul campo di battaglia, e l’Impero e la Rivoluzione non possono vincere perché il nemico sta recuperando i danni che gli abbiamo inflitto e assemblando un esercito immenso per ripagarci con la stessa moneta. Per cui, l’Organizzazione Kara dovrà spronare di nuovo la Guerra verso la sua conclusione.”

Il Nukenin prese tempo per fissare i suoi amici negli occhi. Uno per uno. “Dovremo accelerare il processo,” dichiarò, solenne. Vide un fuoco ardente di determinazione ardere nei loro cuori. Finalmente avevano l’occasione per tornare in campo ancora una volta. “E anche se l’idea originale era attendere fino alla fine della Guerra, il recente sviluppo della situazione ha dimostrato che non possiamo più attendere. Se vogliamo costringere i nostri nemici alla resa, allora dobbiamo colpire per primi e colpire duro.” Poi si fermò, e fece un respiro profondo prima di continuare. “Pertanto, a partire da oggi… mi vedo costretto a dare ufficialmente il via all’operazione ‘Kara’,” dichiarò solennemente.

Le sue parole vennero accolte dal silenzio più totale. Tutti quanti i presenti, dopotutto, sapevano benissimo in che cosa consistesse quell’operazione. Poi, com’era prevedibile, la determinazione venne rimpiazzata dallo stupore.

Mikasa, Sora, Urahara e tutti i presenti rimasero a bocca aperta.

“S-Sei impazzito?” esclamò Gray, riscuotendosi furiosamente di colpo.

“È una follia!” dichiarò anche Kairi.

Sora annuì freneticamente. “È troppo presto, Boruto! Non siamo ancora pronti per farlo!” esalò.

“Potremmo finire ammazzati!” esclamò anche Juvia.

Mikasa esitò nervosamente. Nemmeno a lei piaceva molto quella decisione. I suoi occhi neri si posarono subito sul volto di Boruto, il quale era intento a fissarli a sua volta uno per uno, attentamente e forzatamente. “Lo so,” rispose lui. “Proprio per questo dovremo sfruttare al massimo questi quattro mesi di tregua che ho richiesto alla Foglia. Li useremo per allenarci, per prepararci, per migliorarci. E allo stesso tempo, per pianificare nel dettaglio lo sviluppo e l’attuazione dell’operazione ‘Kara’. Questa decisione è finale.”

Il silenzio riecheggiò nella sala per diverso tempo appena il loro leader finì di dire quelle cose. Nessuno di loro, nemmeno Mikasa, osò fiatare dopo quella dichiarazione.

“...ne sei convinto?” Urahara fu il primo a ritrovare la sua voce. Gli occhi di Mikasa e di tutti si posarono su di lui. “Sei davvero certo che convenga attuare quel piano adesso?”

Mikasa vide Boruto sospirare dinanzi alla domanda decisiva del loro maestro. “Sì,” rispose il Ninja traditore. “Ne sono certo. Se esitassimo ancora, i nostri nemici crescerebbero in forza, difese ed organizzazione, e noi finiremmo inevitabilmente per subire ingenti danni a causa della loro potenza combinata. L’impero non può permettersi altre sconfitte, sensei. Perderemmo credibilità, sostegno e morale se lo facessimo. L’unico modo per evitare tutto questo è colpire per primi il nemico, quando meno se l’aspetta, distruggendo le loro speranze e facendo a pezzi tutto ciò che hanno ottenuto.”

I presenti esitarono ancora un po'. Poi Gray sospirò rumorosamente. “Quindi… stiamo per farlo davvero, eh? L’operazione ‘Kara’…”

“È davvero l’unica opzione che ci rimane?” tentò ancora Kairi. “La Guerra punta ancora a nostro vantaggio, no?”

“Un vantaggio che durerà poco,” la incalzò Boruto con solennità. “Fidatevi di me. Ne sono certo.”

Mikasa e Sora si scambiarono un’occhiata silenziosa. Sapevano benissimo in cosa stavano per cimentarsi, e non era una scelta facile da intraprendere. La nera si fece avanti con la sedia. “Allora il momento è finalmente giunto,” sussurrò infine.

Boruto la guardò negli occhi. “Sì,” disse, parlando a lei e a tutti. “Dobbiamo distruggere il Villaggio della Foglia.”

L’intera Organizzazione Kara e tutti i presenti rimasero impietriti come statue.

“…come hai intenzione di farlo?” domandò eventualmente Lucy.

Mikasa vide il suo ragazzo raddrizzarsi con la schiena. “Divideremo l’Organizzazione Kara in tre divisioni,” spiegò loro. “La prima – la divisione principale – fungerà da fanteria e squadra d’assalto che raderà al suolo il Villaggio. La seconda – la divisione di supporto – avrà invece il compito di colpire ed abbattere alcuni obiettivi secondari mentre la Foglia sarà assaltata. Infine, la terza divisione – quella di difesa – dovrà restare qui nell’Occhio per assicurare agli altri una via di fuga in caso qualcosa vada storto.”

Urahara ammiccò dopo quella spiegazione. “Obiettivi secondari?” ripeté.

Il Nukenin annuì. “Non possiamo attaccare Konoha con tanta leggerezza,” spiegò in tutta serietà. “Non più, ormai. Dopo tutto quello che è successo nella Guerra, limitarci a colpire il Villaggio sarebbe solamente un suicidio. Per questo, mentre alcuni di noi devasteranno Konoha, gli altri si occuperanno – in contemporanea all’assalto – della cattura del Rokubi (Esacoda) e del Nanabi (Eptacoda).”

I giovani del gruppo trasalirono per la sorpresa. Persino Mikasa sgranò gli occhi a quella rivelazione.

Toneri invece sorrise maliziosamente. “Ora capisco… vuoi puntare a dividere le forze nemiche assaltando tre fronti diversi,” dichiarò. Tutti quanti si voltarono a fissarlo mentre l’Otsutsuki parlava. “Per distruggere qualsiasi tentativo di difesa, un attacco su più fronti è la mossa più conveniente. Costringerebbe il nemico dividere le sue forze, diminuendo sostanzialmente la loro capacità offensiva. Saranno divisi, terrorizzati, pressati… e costretti a difendere più obiettivi nello stesso arco di tempo. Questa mossa ci permetterebbe di abbatterli del tutto senza che possano riuscire ad organizzare una difesa efficiente. Un piano astuto, non c’è che dire.”

Mikasa trattenne il suo orgoglio crescente mentre realizzava a sua volta quella verità. Vide il suo amato Boruto annuire con decisione. “È così, sostanzialmente. Se non possiamo permetterci di affrontare tutte le forze nemiche riunite assieme, allora dobbiamo costringerle a difendersi su più fronti. Solo così avremo qualche possibilità di successo, in fondo.”

“…wow,” esclamò Sora con euforia e trepidazione. “Potrebbe davvero funzionare.”

“Funzionerà,” disse invece Mitsuki, sorridendo col suo sorriso indecifrabile di sempre. “Non può non funzionare. Abbiamo un precedente storico che lo dimostra. In passato, l’Akatsuki era quasi riuscita a distruggere Konoha durante il suo assalto. L’unico motivo per cui ha fallito è perché ha deciso di attaccare su un fronte solo, forzando Pain a combattere frontalmente contro il Settimo Hokage. Ma se avessero puntato a più obiettivi, costringendo il nemico a dividersi, le cose sarebbero sicuramente andate in modo diverso.”

“Ma questo porta alla domanda più importante di tutte: cosa fare con il Settimo Hokage?” dichiarò seriamente Urahara, fissando Boruto coi suoi occhi più freddi del solito. “Combatterlo frontalmente sarebbe difficile, se non impossibile. E con la presenza dell’Eremita delle Sei Vie e di Sarada… possiamo davvero farcela come credi?”

Per tutta risposta, l’Uzumaki sorrise velenosamente. “Non dovremo preoccuparci del Settimo Hokage, e nemmeno dell’Eremita,” rispose con decisione. “Di questo posso assicurarvi. Sono consapevole che quei due sono nemici ancora al di fuori della nostra portata, specialmente uniti assieme come adesso. Perciò, ho ideato un piano speciale per riuscire ad allontanarli. Quando attaccheremo la Foglia, farò in modo che non possano intervenire in nessun modo, indipendentemente da tutto. Questo ve lo giuro sul mio nome.”

Tutti quanti si scambiarono degli sguardi perplessi all’udire ciò. Poi però annuirono lentamente. Era palese che Boruto avesse un piano in mente, e sia Mikasa che tutti gli altri avevano imparato a fidarsi delle sue parole. Se diceva che poteva gestire quei due da solo, loro gli avrebbero creduto. Non aveva mai deluso la loro fiducia prima d’ora, e Mikasa era pronta a scommettere la sua stessa vita pur di dimostrare che non avrebbe certo iniziato a farlo oggi.

“E con Sarada, invece?” premette ancora Urahara. Boruto aveva detto di potersi occupare dell’Hokage e di Hagormo. L’Uchiha, invece, non l’aveva proprio menzionata.

Mikasa vide Boruto puntare a Toneri con un cenno del capo dopo quella domanda. L’Otsutsuki annuì e prese parola. “Secondo le mie osservazioni recenti, le abilità di Previsione dell’Uchiha sono quasi onniscienti,” spiegò l’uomo dai capelli bianchi. “Boruto mi aveva chiesto di cercarne un’eventuale debolezza, tempo fa, ma temo di non averne ancora trovata alcuna. Tuttavia, se i miei ragionamenti sono corretti, c’è ancora un modo per riuscire ad aggirare le sue abilità oculari.”

Shirou si sporse in avanti. “E quale sarebbe?”

L’essere celeste sorrise. “La mia ipotesi è che per essere in grado di prevedere le mosse dell’avversario, bisogna avere delle conoscenze approfondite su di esso,” rivelò seriamente, sollevando un dito. “Sarada conosce alla perfezione Boruto. Sa ogni cosa su di lui: quello che pensa, quello che vuole, il modo in cui combatte… tutto. È per questo che è riuscita a sopraffarlo l’ultima volta. Ma se si trovasse ad affrontare un nemico sconosciuto, invece? Un avversario di cui non sa niente di niente, e con cui non ha mai avuto nulla a che fare? Allora le sue abilità oculari sarebbero, a mio parere, inutili. Quelle di Previsione, almeno.”

I ragazzi sgranarono gli occhi per lo stupore. “Ne sei certo?” chiese Juvia.

Toneri annuì. “Quasi sicuramente. Ogni Potere, per quanto formidabile, possiede delle debolezze. E in base a quello che abbiamo visto ed osservato su Sarada negli ultimi tempi… questa conclusione è l’unica che abbiamo ottenuto fino ad ora. Vale la pena tentare.”

Sora inarcò un sopracciglio. “Quindi dobbiamo far combattere Sarada contro una persona che non ha mai visto lottare prima d’ora,” rifletté ad alta voce. “Ma chi? Sarada ha praticamente affrontato o visto combattere tutti noi, in passato! L’unica eccezione sei tu, Toneri, che non puoi lasciare questo posto, e Kumo, che non è abbastanza forte per affrontarla.”

“No, invece,” lo corresse immediatamente Boruto. Mikasa e gli altri si voltarono a guardarlo. “A parte lui, c’è un altro di noi che quell’Uchiha non ha mai visto lottare, e con cui non ha mai avuto alcun tipo di rapporto. E quella persona… è Urahara-sensei.”

Gli occhi di tutti caddero sull’uomo col cappello. Boruto lo osservò col suo occhio sinistro mentre quest’ultimo sorrideva maliziosamente. “Voglio che sia tu a combattere Sarada, sensei. Sei l’unico a cui posso chiederlo, e sei anche l’unico di noi abbastanza forte da poterle tenere testa in uno scontro frontale. Pensi di poterlo fare?”

Urahara allargò il suo sorriso. “Ragazzo mio, per chi mi hai preso?” ribatté casualmente, ironico. “Certo che posso farlo. Per te, questo e altro!” dichiarò con allegria.

Boruto annuì, sorridendo a sua volta. “Allora tu sarai a capo della seconda divisione. Assieme a te, ci saranno anche Mitsuki e Kumo. Avrete il compito di attaccare e catturare i due Cercoteri difesi dalle forze della Foglia. Vi affiderò i tre anelli dell’Akatsuki che ci sono rimasti prima della missione.”

Tutti e tre gli interessati annuirono con enfasi, i loro occhi che ardevano di decisione.

“La prima divisione, quella che assalterà il Villaggio, sarà invece composta dall’originale Organizzazione Kara,” continuò a dire il guerriero. “Per cui, i suoi membri saranno: Mikasa, Sora, Gray, Juvia, Kairi, Shirou, ed io. Gli obiettivi di questa divisione sono due: localizzare e recuperare tutti gli anelli dell’Akatsuki che abbiamo perso due anni fa e che sono nascosti nella Foglia; e subito dopo radere al suolo l’intera città, eliminando e distruggendo qualsiasi nemico oserà opporsi a noi.”

Mikasa, Sora e i Kara sfoggiarono dei sorrisi decisi e pieni di ardente ferocia.

Lucy assottigliò gli occhi. Il suo nome non era stato ancora menzionato. “E la terza divisione?” domandò.

Mikasa vide Boruto voltarsi verso di lei con un’espressione combattuta. “La terza divisione sarà composta da te e Toneri,” rispose alla fine. “Voi due resterete nell’Occhio della Tempesta, e vi assicurerete che tutti gli altri possano ritornare qui in caso di pericolo, prima di poter essere catturati dal nemico.”

La bionda non la prese per niente bene. “Che cosa?!” esclamò furiosamente. “Vuoi farmi restare qui mentre voialtri distruggete Konoha?! Col cavolo, non se ne parla! Non ho intenzione di restarmene a guarda-”

Un piccolo arco di elettricità guizzò fuori dai capelli di Boruto, ma fu l’unico avvertimento che ricevette. Il getto di fulmine attraversò Lucy con prepotenza, zittendola all’istante mentre le parole venivano sostituite da sibili di dolore. Mikasa provò un po' di compassione per lei, dato che sapeva esattamente quanto fosse frustrante l’idea di doversene restare lontani dalla battaglia, ma provava anche un minuscolo piacere perverso nel vederla soffrire. Se lo meritava, nella sua opinione, dopo tutto quello che era successo con Shikadai, suo padre ed Himawari a causa sua.

Lucy si afflosciò sulla sedia, ansimando, mentre la scossa elettrica svaniva dal suo corpo. Toneri la aiutò a restare diritta con un braccio. “Devo forse ricordarti cosa è successo durante la tua ultima esplosione di rabbia?” ribatté Boruto con un tono di voce freddo e potente. “La tua incapacità di obbedire agli ordini, alimentata dalla tua rabbia e dalla tua sete di vendetta, sono ciò che devi biasimare per questa mia decisione. Io ti ho promesso vendetta una volta, e non lo nego, ma ciò che hai fatto di recente mi ha dimostrato che è stato un errore darti ciò che volevi. Non posso più, in buona fede, lasciarti agire come vuoi. Per questi motivi, oltre che per la salvaguardia della missione e della tua stessa vita, mi ritrovo costretto ad escluderti dalla battaglia. Kumo e Mitsuki prenderanno il tuo posto ed affiancheranno Urahara nella cattura dei Demoni codati, e questo è quanto.”

Lucy ansimò e fece per parlare, ma l’altro non le diede il tempo. “Non fraintendermi,” dichiarò solennemente Boruto, con tono gelido. Si alzò in piedi di scatto, fissandola dall’alto in basso, mentre lei si rimpiccioliva sotto la sua figura, terrorizzata e vergognosa più che mai. “L’unico motivo per cui non ti ho punita maggiormente è perché ci tengo a te. Tu sei una mia amica, Lucy. Io ti voglio bene. Ma non posso lasciarti combattere dopo aver visto quanto le tue abilità ed il tuo giudizio siano offuscati dalla rabbia. La tua inutile sete di vendetta potrebbe costarti la vita in battaglia, ed io non voglio perderti. Nonostante quello che hai fatto, io ci tengo a te. Per cui, dovrai restare qui.”

La ragazza tremolò ed abbassò la testa. Mikasa vide delle piccole scie di lacrime colarle lungo le guance.

“Sono stato chiaro?” domandò lentamente Boruto, più pacato rispetto a prima.

Lucy si limitò ad annuire in silenzio, tremando per la rabbia.

Boruto sospirò, tornando a focalizzare la sua attenzione su tutti gli altri. “Adesso,” cominciò a dire allora. “Il nostro allenamento inizierà domani mattina è sarà obbligatorio per ognuno di voi. Abbiamo quattro mesi di tempo per prepararci al meglio prima della missione. Voglio che raddoppiate la vostra capacità di lotta e la vostra conoscenza di Tecniche. Svilupperò anche delle contromisure per permettervi di contrastare i membri più potenti dell’esercito nemico. E nel mentre, inizierò anche i preparativi per allontanare l’Eremita ed il Settimo Hokage dalla Foglia prima di dover scendere in campo per davvero.”

Mikasa e tutti gli altri annuirono. Boruto aveva ovviamente un piano in mente, anche se non voleva rivelarlo ad alta voce. Ma loro si fidavano di lui, per cui lo avrebbero lasciato fare. I loro sguardi si riempirono di solennità ed ardente determinazione.

Il Nukenin guardò tutti i presenti. “Altre domande?” Nessuno osò fiatare. “Molto bene. Potete andare.”
 


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28 Febbraio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto del clan Hyuuga
16:41

"Ah!” esclamò Hanabi, inviando una raffica di colpi verso il suo avversario.

Hinata mantenne la sua base forte, affondando i piedi a terra, e schiaffeggiò abilmente ogni palmo che tentava di colpirla. Il viso di sua sorella si contorse in un sorriso; un sorriso che emanava ammirazione, gioia e tristezza in parti uguali. Hinata sapeva bene il perché di quelle emozioni. In battaglia, le persistenti tracce di dolore, sia fisico che emotivo, che la infestavano… sparivano. Sparivano completamente. Combattere era uno dei pochissimi momenti in cui la moglie dell’Hokage si permetteva di dimenticare quanto la sua famiglia fosse spezzata e piena di dolore. E se doveva essere sincera, non sapeva se fosse un bene o un male.

Il sessantaquattresimo colpo di palmo gli venne incontro e lei lo respinse con un grido. Hanabi rise, cadendo all'indietro, crollando sulla schiena ed allargando le braccia e le gambe. Hinata sorrise, mettendosi a sedere mentre il suo petto si sollevava su e giù per lo sforzo. "B-Ben fatto, sorellona," ansimò sua sorella, sedendosi accanto a lei. “Stai migliorando a vista d’occhio. Cavolo, ricordo ancora quando eri così debole da non riuscire a resistere nemmeno ad una sola raffica dei miei colpi…”

Hinata ridacchiò. Era vero. Quando era giovane, era sempre stata debole ed incapace di combattere per davvero. Persino sua sorella Hanabi, che era più giovane di diversi anni, era stata più forte di lei, tanto da doversi assumere il titolo di erede del clan al suo posto. Ma adesso? Le carte in tavola venivano finalmente ribaltate.

I suoi occhi si disattivarono, posandosi verso il cielo. Era una bella giornata, quella di oggi. Calda, con un leggero venticello fresco che rinfrescava le membra accaldate. Le piccole zone verdi ed i boschetti radi attorno al distretto degli Hyuga erano ancora verdi, nonostante fosse ancora inverno. E gli edifici del clan erano gli stessi di un tempo. Hinata lasciò che i ricordi la pervadessero mentre li osservava. Era bello allontanarsi dalla sua abitazione, ogni tanto. Lì, i ricordi e il dolore della sua famiglia spezzata la tormentavano ogni giorno. Ma quando il suo amato Naruto non c’era, uscire e tornare alle mura del suo vecchio clan la faceva sentire meglio.

Hanabi le fece scorrere una mano sulla frangia per liberarle un ciuffo di capelli dagli occhi. "Ti senti bene?"

Hinata annuì leggermente con la testa. "Sto bene," la rassicurò, fissando il cielo. "Mi stavo solo perdendo nei ricordi."

Sua sorella strinse le labbra. "Non ti fa bene vivere nel passato, sorellona," disse seriamente. "Non sei ancora completamente guarita dalla depressione. Devi concentrarti sul presente e combattere per un nuovo futuro, ricordi?"

Hinata sospirò. Era la millesima volta che sua sorella le faceva quel discorso. "Hanabi, so che sei preoccupata per me, ma mi sento meglio, davvero," ribadì ancora una volta. Aveva parlato a lungo, nel corso delle ultime settimane, sia con Shizune che con Ino. Le due donne si prendevano cura di lei da tempo e cercavano di aiutarla a superare la depressione. Si fidava di entrambe, e loro le avevano raccomandato di non sforzare troppo i suoi ricordi. "Il ricordo di ciò che ho fatto mi perseguita ancora, ma... l’ho accettato. Ho imparato a conviverci, ormai."

Sua sorella non disse niente, limitandosi a fissarla. Poi annuì, mentre delle piccole lacrime iniziavano ad accumularsi nei suoi occhi. Le allontanò ammiccando le palpebre e girando la testa in modo da non fargliele vedere. Ma Hinata le vide, e sentì il suo cuore spezzarsi un po’. Sapeva quanto sua sorella fosse preoccupata per lei, ma son sapeva cosa dirle. Non sapeva cosa fare. Perciò, si limitò ad accarezzare la sua sorella più giovane, sorridendole amorevolmente.

Rimasero lì, ferme e unite assieme, per un po'.

"C-Come fai, sorellona?" chiese ad un certo punto Hanabi. "Come fai ad avere ancora tutta questa forza, e a sperare? A sperare che… lui… torni a casa da te? Da noi?"

Hinata fece un sorriso triste, chiudendo gli occhi con pesantezza. Questa era una domanda che anche lei si era posta molte, molte volte. Ma non l'avrebbe mai ripetuta ad alta voce, nemmeno sotto minaccia di morte. Perché lei l’aveva visto. Aveva visto il mostro che suo figlio era diventato. Aveva visto chiaramente il modo in cui era stato spezzato; spezzato così tanto da trasformarlo in qualcosa – qualcosa, non qualcuno – che non poteva nemmeno definirsi umano, ormai. Perciò, riusciva a capire appieno il dolore, la rassegnazione e l’incredulità di Hinabi.

Eppure, per qualche motivo, nonostante riuscisse a comprenderle… lei non poteva accettarle.

C’era qualcosa, dentro di lei, che non voleva arrendersi. Qualcosa che la faceva sperare. Qualcosa che si rifiutava di accettare quello che il mondo le stava dicendo ogni giorno senza parole: ovvero che suo figlio era ormai un mostro irrecuperabile. E questo qualcosa, Hinata lo sapeva, era l’amore che provava per lui. L’amore che solo una madre prova per suo figlio. Quell’amore puro, dolce e disinteressato che non ha logica e motivo d’esistere; ma che c’è, e che non se ne può mai andare davvero. Quell’amore unico e gratuito, che gode semplicemente del fatto che suo figlio è vivo, e che esiste, e che questo basta ed avanza per lei. E questa cosa, per quanto illogica fosse, era l’unica cosa che le importava.

A volte, però, Hinata sentiva la sua rabbia ribollire dentro di lei. Nei confronti di Boruto. Nei confronti di sé stessa. E lei sapeva che questa rabbia era dovuta dal suo fallimento. Lei era sua madre. Aveva un dovere nei confronti del figlio. Un dovere che, purtroppo, non era riuscita ad adempiere per la maggior parte della sua vita, facendo soffrire tutta la sua famiglia a causa di questo. E adesso, mano a mano che i giorni e i mesi passavano, le possibilità di rimediare a questo errore diminuivano sempre di più.

Ma non per questo lei si arrendeva. No, lei non doveva arrendersi. Non poteva arrendersi. Non poteva, perché aveva chiaramente visto il dolore, l’esitazione e lo smarrimento che Boruto stava provando dentro di lui. Li aveva visti, chiaramente, senza nessuna possibilità di dubbio. Li aveva visti assieme a Naruto, quel fatidico giorno in cui si erano scontrati tutti e tre nella Valle della Fine. E dopo averlo visto esitare e piangere prima che potesse ucciderla, lei ne era diventata certa. Quella era stata la prova che le serviva per essere certa che ci fosse ancora speranza. E che questa speranza non sarebbe mai morta.

Eppure, Hinata sapeva che, per quanto Boruto fosse ferito e spezzato, aveva allo stesso modo ferito e spezzato anche la sua famiglia. Aveva ferito e spezzato lei, Naruto, ed Himawari. E questa cosa andava risolta al più presto. Le cose tra di loro non potevano continuare così in eterno. Boruto era la luce e l’amore nella loro vita. E adesso, quella luce stava tremolando pericolosamente, minacciando di spegnersi per sempre. Lei non poteva permetterlo.

"Sorellona?" chiese Hanabi, fissandola con evidente preoccupazione. I suoi occhi privi di pupille erano brillanti di lacrime.

Hinata sospirò. "Non lo so, Hanabi," rispose, la sua voce sommessa. "Boruto… non è forte come sembra. Anche lui è triste come noi. È solo che lo nasconde meglio di altri, penso," fece una pausa. "Penso che cerchi di essere crudele perché ha paura. È in questo che lui e Naruto sono diversi. Naruto sta cercando di essere forte e di fermarlo per dimostrargli che si sbaglia. Per dimostrargli che tutti noi lo amiamo ancora oggi. Che per noi non è un mostro come lui crede di essere."

Di questo, la Hyuuga era certa. Non importa quanto a fondo nel buio e nella crudeltà potesse cadere, lei, Naruto ed Himawari avrebbero sempre amato Boruto come prima. Non avrebbero mai potuto voltargli le spalle. Non più. Non ancora. Non di nuovo.

"E Boruto?" insistette Hanabi.

Hinata esitò. "E Boruto... credo che per lui valga il contrario. Cerca di essere crudele perché ha paura di essere rifiutato di nuovo. Perché tenta disperatamente di considerarsi libero dal trauma che gli abbiamo lasciato. Ciò che gli abbiamo fatto, Hanabi, il modo in cui lo abbiamo trattato… è stato disumano,” la donna ammiccò un paio di lacrime a quel punto. “P-Penso che sia stato questo a spezzarlo definitivamente. Lo abbiamo reso incapace di vedere l’amore del mondo, e questo lo ha trasformato in quello che è oggi," concluse Hinata.

Hanabi non parlò, incerta su cosa dire. Poi annuì, e loro due non dissero nulla, restando in silenzio per diverso tempo, limitandosi ad ascoltare il canto degli uccelli ed il vento che soffiava nel cielo.

"Pensi che riuscirete a riportarlo indietro?" chiese alla fine, dopo pochi minuti.

Hinata guardò sua sorella con un sorriso deciso. "Certo," rispose, come se fosse scontato. E lo era. Lo era davvero, per lei. Perché lei doveva farlo. Doveva riportarlo indietro. Per il suo bene, per quello di Naruto, di Himawari, e del mondo intero. Doveva tenere viva la speranza. La speranza che la loro famiglia spaccata possa essere riparata ancora una volta. "Naruto-kun ed io ci stiamo preparando proprio per questo."

Sua sorella ammiccò con confusione. “Preparando? Cosa vuoi dire?” sussurrò. “A che state tramando tu e tuo marito?”

La donna si limitò a sorridere innocentemente.
 


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01 Marzo, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Campo di Addestramento n°14
09:00

Naruto sapeva che doveva darsi una mossa.

Dentro di lui, nell’angolo più oscuro e remoto della sua mente, l’ex Hokage si costrinse a ricacciare indietro l’ansia che lo assaliva. Eppure, per quanto tentasse, non riusciva ad eliminarla. E non era la prima volta che succedeva. Negli ultimi tempi anzi, sin da quando Sentoki – o meglio, Hagoromo Otsutsuki – aveva rivelato a lui e sua moglie la sua vera identità, le cose non avevano fatto altro che degenerare per lui. Talmente tanto da costringerlo a prendersi letteralmente una pausa dai suoi obblighi di consigliere per Konohamaru. Dopotutto, però, Naruto sapeva di aver preso la decisione giusta. Chi poteva biasimarlo, in fondo?

Venire a sapere che suo figlio, lo stesso sangue del suo sangue, si era attirato non solo le ire della Foglia e del mondo, ma anche del leggendario Eremita delle Sei Vie non era una cosa che si poteva digerire subito.

Il biondo represse un sospiro. Aveva sempre saputo che Boruto era importante, e non solo per lui, ma per il mondo intero. Era stato evidente. Tutto ciò che aveva causato, tutto ciò che aveva costruito seguendo la sua strada di sangue… era semplicemente troppo da poter ignorare. Che lui lo volesse o meno, che gli piacesse o meno, il nome di suo figlio sarebbe stato per sempre ricordato nella storia del loro popolo. Esattamente come il suo, tra l’altro. Anche se, in un certo senso, in un modo più macabro e oscuro di quanto gli piacesse ammettere.

Ma Naruto non sapeva se esserne felice o meno. Boruto era un personaggio importante, ovvio, ma era diventato estremamente ingombrante nell’insieme delle cose. Si era ribellato al mondo intero, all’Unione, a tutto ciò che lui e Sasuke avevano costruito con anni di sacrifici e lotte; distruggendo ogni cosa e rimpiazzando la precedente pace con un’Impero totalitario più vasto di qualsiasi altra Nazione esistita prima di lui. Era, come dire, sconcertante. Più ci pensava, più sembrava impossibile ai suoi occhi. Eppure era così, e niente poteva negarlo, nemmeno lui.

Ma la cosa peggiore non era questa. No, affatto. Per quanto fosse brutto da dire, Naruto si era quasi completamente abituato a convivere con l’idea che suo figlio fosse un mostro ed un criminale. Era una storia che andava avanti da più di otto anni, in fondo. Quindi, no. Non era questa la cosa che lo faceva soffrire di più. La cosa veramente insopportabile era la nuova consapevolezza che aveva avuto su di lui.

La consapevolezza che suo figlio stava diventando una minaccia non solo per la Terra, ma per moltissimi altri mondi.

L’ex Settimo Hokage non sapeva, sinceramente, cosa pensare al riguardo. Non sapeva cosa fare per assimilare completamente quell’informazione. Non c’era nulla, per meglio dire, che poteva fare per riuscire a digerire questa cosa in maniera sana. Era per questo che da quando l’Eremita gli aveva detto la verità, il precedente Hokage della Foglia aveva completamente rischiato di impazzire per lo stupore. E chi poteva dargli torto? Venire a sapere che suo figlio stava rischiando di causare la distruzione del loro mondo non era una notizia che si poteva accettare facilmente. E poi, onestamente, Naruto non era mai stato una persona molto brava ad assimilare le cose con calma.

Per cui, la sua ansia era prevedibile. Era comprensibile. Hagoromo stesso glielo aveva detto. Eppure, né lui, né tantomeno Hinata riuscivano ancora a scendere a patti con questa realtà. Dopotutto, se quello che diceva l’Eremita era effettivamente vero… allora c’erano solo due modi in cui potevano finire le cose: con la cattura di Boruto, o con la sua morte.

Hagoromo era stato estremamente chiaro su questo. Se Boruto avesse continuato a guidare l’umanità attraverso questa strada di sangue e totalitarismo che aveva intrapreso, allora la popolazione mondiale sarebbe giunta alla sua estinzione. O per mano sua, o per mano degli Otsutsuki. Per cui, doveva essere necessariamente fermato. Con le buone, o con le cattive.

E le buone, per quanto fosse terribile ammetterlo, non stavano funzionando con suo figlio. Boruto non era affatto intenzionato a smettere di conquistare il mondo. Non si sarebbe fermato, Naruto ne era certo, fino a quando lui e tutti gli Shinboi esistenti non sarebbero stati sconfitti e sottomessi a lui. Non c’era possibilità di tregua, nessun accordo da poter raggiungere. E la colpa di tutto questo… era sua. Era stato lui il vero responsabile del cambiamento di suo figlio. Era stato lui a forzarlo a mutare, a spingerlo ad intraprendere questa strada oscura e distorta che lo aveva spezzato e trasformato in mostro.

Quindi, la responsabilità di tutto ciò che era successo per colpa di Boruto… era anche sua.

Così come era sua la responsabilità di riuscire a fermarlo una volta per tutte.

Era per questo che, nel corso di quest’ultimo mese, il Settimo Hokage aveva ripreso – dopo quasi vent’anni d’inattività – ad allenarsi ancora una volta. Sotto la guida e la costante presenza di Sentoki/Hagoromo, aveva rafforzato la sua decisione e si era messo a studiare il Ninshū per imparare ad utilizzarlo. La sua speranza: riuscire a trovare un modo per raggiungere suo figlio come aveva fatto Sentoki e forzarlo a mettere fine alla Quinta Guerra Mondiale. Più facile a dirsi che a farsi, vero?

Ma se c’era una cosa che Naruto era incapace di fare, essa era arrendersi. Per cui, si era messo d’impegno e aveva iniziato ad allenarsi con più forza e costanza che mai per tutto il corso di quest’ultimo mese. E il vecchio Hagoromo, ancora sotto le sembianze di Sentoki, aveva giurato di aiutarlo nella sua impresa.

Il Settimo non sapeva ancora cosa pensare di quell’essere. Certo, era felice di sapere finalmente la verità su di lui, ma la sua figura lo metteva un po' a disagio. Non capitava certo tutti i giorni di incontrare una figura che era stata – letteralmente – una leggenda. Lui e Hagoromo si erano già incontrati in passato, durante la Quarta Guerra Mondiale, ma quello era stato tanto tempo fa. Adesso che era tornato di nuovo... per colpa di suo figlio, per di più… era una sensazione strana. Naruto non sapeva descriverla bene, a parole.

Se non altro, Kurama era rimasto estremamente felice di questa inaspettata svolta degli eventi. L’Eremita delle Sei Vie era colui che aveva generato lui e tutti gli altri Bijuu. Era come un padre per loro – oh, se solo la maggior parte dei Demoni codati non fossero già stati catturati – per cui, il fatto di poterlo rivedere era qualcosa di cui si rallegrava molto. E questo, già di per sé, era qualcosa. La Palla di Pelo raramente si rallegrava per qualcosa, se non mai. Per cui, era stato solamente grazie a Kurama che Naruto aveva deciso di fidarsi di Sentoki, come anche Hinata.

Ed era proprio per questo motivo che anche oggi, così com’era stato per tutte le recenti mattine, lui ed il falso monaco se ne stavano ancora una volta seduti nel bel mezzo di un campo di addestramento, intenti a meditare in silenzio per riuscire a padroneggiare il Ninshū e le sue abilità.

Ma i risultati, com’era prevedibile, erano molto scarsi.

“Bah! È impossibile, non ce la faccio!”

Seduto a gambe incrociate davanti a lui, Naruto vide l’anziano essere sorridere. Anche senza un braccio –braccio che aveva perso per colpa di suo figlio, si ricordò il biondo – sembrava solenne e insondabile come un tempo. Nelle ultime sessioni, Hagoromo lo aveva forzato a meditare per ore ed ore nel tentativo di insegnargli ad allargare la sua aura, ad allentare la sua coscienza e la sua anima per guidarle fuori dal corpo. Il problema era che, per quanto l’Hokage si sforzasse di farlo, non ce la faceva mai.

Era estremamente frustrante. Naruto non si era più sentito così irritato sin dai tempi in cui era stato un ragazzino, quando si era allenato per padroneggiare l’Arte Eremitica dei Rospi. Era stato frustrante già all’epoca, ma adesso? Adesso che era un adulto? Un adulto con un mandato da Hokage alle spalle? Era infinitamente più frustrante. Per quanto chakra e padronanza di sé possedesse, ogni volta che provava a meditare ed allentare la sua anima come l’Eremita, finiva sempre per fallire. Come se la sua anima venisse improvvisamente colpita da un muro invisibile che gli impediva di uscire, e per questo si rifiutava di superare quel punto.

Era immensamente fastidioso. “Non capisco, perché non funziona?” domandò. Dopo tutti questi giorni di tentativi inutili, stava seriamente iniziando ad essere frustrato da quell’intera faccenda.

Sentoki/Hagoromo aprì semplicemente un occhio per guardarlo. “Queste cose richiedono pazienza, giovane Naruto. L’estensione di sé è uno dei passi più difficili della comprensione del Ninshū. Una volta che avrai iniziato a comprendere come fare, le cose cominceranno a farsi più semplici,” lo rassicurò.

Naruto sospirò, frustrato. “Lo so, lo so. È solo che non ho fatto un singolo progresso fino ad ora. Hai idea del motivo per cui non sto migliorando?”

Quello scosse la testa. “No,” rispose semplicemente.

Il biondo inarcò un sopracciglio, visibilmente irritato. Una risposta così secca non se l’era aspettata. “Davvero? Niente di niente? Non hai nemmeno un solo consiglio da darmi?” ritentò ancora.

“Non posso dirti molto,” ribatté l’anziano con un sorriso. “Te l’ho detto: la comprensione del Ninshū avviene in maniera diversa per ognuno di noi. Io non sono te, e tu non sei me, quindi le nostre abilità di comprensione sono diverse. Il motivo per cui stai fallendo così tante volte è semplicemente perché non sei abituato ad usare il Ninshū. Fino ad ora hai sempre fatto affidamento su Kurama e sulle tue abilità empatiche nella lotta. Per cui, se dovessi azzardare il motivo per cui hai problemi, esso è che sei troppo abituato a combattere senza avere, effettivamente, pieno controllo di te.”

Naruto rimase di sasso, completamente imbarazzato da quella dichiarazione. “Keh! Parole sante!” sghignazzò la Volpe dentro di lui. “Fai così tanto affidamento su di me che ormai saresti quasi incapace di lottare senza il mio chakra.”

“Ehi! Non è vero!” protestò lui.

Sentoki sospirò. Aveva chiaramente visto l’imbarazzo nel suo volto. “Forza, mio giovane amico. Ritenta di nuovo,” lo esortò ancora.

Naruto brontolò sottovoce, ingoiando il suo orgoglio ferito. “Come diavolo fa Boruto ad essere in grado di usare il Ninshū se nemmeno io ci riesco?” borbottò.

L’anziano essere sorrise con affetto. Poteva capire appieno la sua frustrazione. “Boruto è estremamente diverso da te,” decise di rispondere. Naruto si voltò immediatamente per osservarlo dopo quella dichiarazione. La sola menzione di Boruto lo aveva catturato all’istante. “Nel campo della lotta interiore, non c’è quasi nessuno che possa tenergli testa, nemmeno tu. Ha pieno controllo di sé, delle sue emozioni, dei suoi pensieri, e del suo chakra; ed è estremamente abituato ad osservare e percepire ciò che accade attorno a lui. Tutto questo, assieme alle esperienze terribili e frenetiche che ha vissuto nella sua giovane vita, lo hanno reso estremamente sensibile al Cerchio e a ciò che lo circonda. È per questo che è in grado di usare il Ninshū, anche solo inconsciamente.”

L’ex Hokage esitò. “…stai dicendo… che Boruto ha più controllo di sé rispetto a me?” esalò.

Sentoki annuì. “Più controllo di sé stesso, sicuro. E anche del suo chakra. L’ho visto coi miei occhi, giovane Naruto. Tuo figlio è ben consapevole di ciò che è e quello che fa. Proprio per questo è diventato così pericoloso. È convinto delle sue azioni, e non c’è niente di più pericoloso di un folle che crede di essere nel giusto.”

“Quindi, se io avessi più controllo del mio chakra, potrei iniziare a raggiungere il suo livello?” dedusse il biondo.

“Non proprio,” lo corresse l’altro. “Forse è in questo che sbagli. Non riesci a comprendere il Ninshū perché lo stai inconsciamente paragonando al chakra. Ricorda, non sono la stessa cosa. Il chakra si controlla con l’abitudine e coi Sigilli a mano, l’energia spirituale no. È un’estensione di sé. Tutto quello che devi fare è sentirla e guidarla a tuo piacimento. Ma devi fare attenzione, specialmente quando avrai a che fare con l’oscurità dentro di essa. Devi essere tu a guidarla, e non a lasciarti guidare da essa. Mantieni sempre la mente lucida o sarai controllato dal buio… a volte senza nemmeno rendertene conto.”

Naruto esitò, incerto su cosa pensare. Non ci aveva capito molto, se doveva essere sincero. I ragionamenti astratti, eterei, e la filosofia non erano decisamente il suo campo. Tuttavia annuì, decidendo di ritentare ancora una volta. Anche se non riusciva a comprendere per bene quel discorso, lui non avrebbe di certo smesso di tentare a migliorarsi. Lui era Naruto Uzumaki, e Naruto Uzumaki non si arrendeva mai. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riuscire a riprendersi suo figlio, e al diavolo le difficoltà. Niente e nessuno poteva opporsi a lui, nemmeno questo stupido Ninshū incomprensibile.

Il Settimo Hokage sentì un fuoco deciso ardere dentro al suo cuore.

Non si sarebbe arreso per nessuna ragione al mondo.

Né ora, né mai.
 


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31 Marzo, 0022 AIT
Terra dei Fiumi, Valle senza Nome
Nascondiglio Segreto di Saiken e Chōmei
14:13

Sarada si avviò tra gli alberi mentre correva attraverso la foresta, allontanandosi dal nuovo nascondiglio del Rokubi (Esacoda) e del Nanabi (Eptacoda). Era diventata una specie di routine per lei. Ogni volta che aveva bisogno di allenarsi o di restare da sola rispetto al resto del gruppo, le sue gambe finivano sempre per condurla nella foresta ad Est della valle, in un luogo sperduto e solitario, dove poteva trovare silenzio e pace.

Era un bel posto, pensò la corvina. Un fiume piccolo e lento serpeggiava attraverso la campagna, con foreste che si dispiegavano in ogni direzione per miglia e miglia, tranne che per una piccola radura su entrambi i lati del fiume. Più avanti nella foresta c'erano diversi alberi secolari, ottimi per arrampicarsi ed allenarsi col chakra. Erano una rarità nella Terra dei Fiumi. La radura era ben conservata, e non c’era traccia di alcuna forma di vita ostile. L’unico difetto era l'erba alta. In questa Nazione, infatti, le piante e gli arbusti crescevano alti dopo tutti questi decenni in cui nessuno li aveva mai calpestati, se non qualche animale selvatico. Ma per il più delle cose, era un posto piacevole dove restare.

Sarada sorrise saltando su una grande fossa nel suolo della foresta. La riconobbe come la conseguenza di un potente colpo potenziato dal chakra. La terra si era frantumata sotto la forza dell'attacco ed era crollata su sé stessa. Nessuno si era preso la briga di rattopparla. Evidentemente, anche sua madre aveva preso l’abitudine di venire ad allenarsi qui. Avrebbe riconosciuto i segni della sua distruzione anche ad occhi chiusi. L'intera foresta portava le cicatrici dell’addestramento che Sakura aveva iniziato a fare per sfogarsi durante tutti questi lunghi e noiosissimi mesi di guardia ai Bijuu.

Ma adesso non c’era tempo di pensare. Sarada iniziò il suo allenamento quotidiano come aveva sempre fatto. Si esercitò nel lancio di shuriken e kunai, usando i trucchi che le aveva insegnato suo padre. Erano piuttosto semplici da capire, ma non altrettanto da effettuare: usare uno shuriken per deviarne un altro e fargli colpire un albero che non poteva vedere. Quando ebbe finito le armi da lancio, la giovane passò al Ninjutsu (Arte dei Ninja). Sputò diverse sfere di fuoco, mandando ondate di fiamme a cascata sul fiume che scorreva. Mandò raffiche di fuoco anche nell'aria in rapida successione, riducendo il tempo tra i respiri mentre procedeva.

Quando le sue labbra furono coperte di vesciche per il calore, iniziò a praticare il suo secondo elemento: il Fulmine. Evocò col pensiero un Chidori (Mille Falchi); ricoprendo le sue mani di chakra e permettendogli di trasformarsi da energia a fulmine elettrico. Il suo pugno crepitò mentre aumentava l'intensità della Tecnica. Le labbra di Sarada si incurvarono in un sorriso dopo aver modellato e riformato la Tecnica tre volte.

Anche allora, non si concesse una pausa. Il prossimo passo era il Taijutsu (Arte della Lotta). Facendo un grosso respiro, si fermò davanti a tre tronchi di alberi secchi ed iniziò a picchiarli con pugni e calci. Eseguì i movimenti nello stile di lotta del clan Uchiha: una combinazione di scatti corpo a corpo e forza bruta che aveva ereditato da sua madre. Tutti e tre i tronchi vennero obliterati dopo mezzo minuto, come se non fossero mai esistiti.

Sarada cadde in un silenzio soddisfatto. Il suo corpo si muoveva istintivamente mentre lasciava vagare la mente. La ragazza pianificò e tramò, pensando ai prossimi combattimenti futuri. Con le sue nuove Abilità Oculari, era certa di poter tenere testa a Boruto ancora una volta. Era riuscita sopraffarlo, ma negli ultimi tempi le sue abilità di Previsione non le stavano mostrando più niente. Sarada era abbastanza certa che fosse una cosa preoccupante. Ciò significava che il suo compito era diventato doppiamente difficile: non solo doveva essere abbastanza forte da battere il suo vecchio amico; ma doveva anche escogitare qualcosa per affrontarlo senza poterne prevedere appieno le mosse.

Non era certa di poterci riuscire, in tutta onestà. Boruto era forte, maledettamente più forte di quanto volesse ammettere, e non c’era uomo sulla Terra che non avrebbe avuto timore di affrontarlo.

Ok, no. Stava divagando. Una cosa alla volta, si ricordò Sarada. Prima l’allenamento, poi il timore. Aveva bisogno di migliorarsi ed essere cauta se voleva scovare i punti deboli del suo avversario. Lei conosceva Boruto più di chiunque, e non c’era nessun altro che potesse vantarsi di questo; nessuno che potesse prendere il suo posto. Fermarlo, perciò, era una sua responsabilità. E la giovane Uchiha era pronta a mettere in gioco la sua stessa vita pur di riuscirci.

Gli occhi di Sarada diventarono rossi quando il suo Sharingan si manifestò. Lei sapeva che doveva migliorarsi. Doveva essere più veloce, più forte, più decisa. Doveva essere in grado di evitare qualunque offensiva che Boruto potesse lanciarle. Ora che lo aveva affrontato così tante volte, una cosa l’aveva imparata: la miglior difesa era non essere colpiti. Doveva trovare un modo per assicurarsi di prevederne ancora le mosse. Per essere in grado di leggere e simulare i suoi pensieri, le sue azioni, i suoi intenti. Doveva letteralmente essere pronta a ricevere qualsiasi sua mossa. Era l’unica in grado di farlo.

Il suo nuovo Potere era ciò che serviva. La Tecnica della Realtà Condivisa che l’Eremita le aveva concesso era la chiave di volta per riuscirci. Ma non poteva usarla con tanta leggerezza, e lei lo sapeva. La sua vista, dopo questo continuo ed incessante utilizzo dello Sharingan Ipnotico, ne stava pagando le conseguenze a caro prezzo. Ormai, Sarada lo sapeva, aveva già perso diversi gradi di vista solamente nel corso di questi ultimi due mesi. Sua madre la stava controllando giornalmente per aiutarla al meglio delle sue possibilità, ma non c’era rimedio alla deteriorazione dei suoi occhi. Di questo passo, se avesse continuato, sarebbe diventata cieca.

Sarada non poteva permetterlo.

Per questo doveva allenarsi. Doveva migliorarsi così da non dover fare affidamento sempre e solo sui suoi occhi. C'era ancora spazio per migliorarsi in altri campi, dopotutto. Poteva assimilare più chakra, aumentare la densità delle sue Tecniche, duplicarne il voltaggio. Lasciarsi andare e smettere di allenarsi sarebbe stato un gesto suicida nella situazione di costante pericolo in cui si trovavano lei ed i suoi compagni.

La corvina contrasse le dita. Un fulmine le coprì la mano destra all’istante. Poi, un cinguettio acuto echeggiò nella radura mentre balzava in avanti ed affondava il braccio un albero grosso il doppio di lei.

Il suo braccio si impigliò nel legno. Il Raikiri (Taglio del Fulmine) infuriò all'interno del ceppo, bruciandolo dall'interno verso l'esterno. Sarada mise la mano libera sulla corteccia e spinse con tutte le sue forze, cercando di liberarsi. Dopo pochi secondi, l’intera pianta cadde all'indietro mentre cenere e carbone si gonfiarono dalla ferita che aveva inflitto al tronco.

Sarada rimase lì, in ginocchio, ansimando pesantemente. La radura era inondata dalla calda luce arancione del sole del pomeriggio. Era davvero molto bello. Una volta che il suo respiro si fu stabilizzato ed il suo cuore cessò di battere furiosamente, Sarada si alzò in piedi. Un piccolo corvo stava appollaiato accanto a lei, intento a fissarla coi suoi occhi neri. La ragazza lo fissò con attenzione. Il volatile rimase semplicemente lì e la guardò per alcuni minuti, perso nei suoi pensieri, prima di gracchiare furiosamente e volare via.

In un improvviso attacco di rabbia, gli occhi iniziarono a pulsarle. Sarada sibilò, colta alla sprovvista, cercando disperatamente di non pensare. Si portò le mani sul volto, stringendo i denti, tentando inutilmente di abbandonare il flusso di pensieri e ricordi che le inondava la mente. Come al solito, però, fallì, e la sua mente continuò a vagare e ricordare imperterrita. Pensò, ricordò e rammentò, pensando a Boruto e ricordandosi di tutto ciò che era successo tra di loro negli ultimi tempi. Sarada si odiò per questo. Il dolore durò per un tempo che parve infinito, prima che i suoi occhi smettessero finalmente di dolere. Quando lo fecero, Sarada si tolse le mani dal volto.

Come al solito, le sue dita tornarono macchiate di sangue.

L’Uchiha serrò i denti in un moto di impotente frustrazione. Alzò entrambe le mani al cielo e strillò ferocemente mentre le sbatteva a terra. La sua forza potenziata dal chakra fece sì che la terra si frantumasse ed esplodesse, sradicando diverse piante e seppellendole sotto le macerie. Balzando via verso il fiume, Sarada si concentrò sul calmarsi mentre si lavava il volto con l’acqua.

Un ramoscello si spezzò nella foresta dietro di lei e Sarada si girò all’istante. Himawari uscì fuori da dietro un albero. "Scusa," le sussurrò. "Non tornavi da diverso tempo, ed ero preoccupata."

Ecco, proprio l'unica persona che non voleva incontrare. La corvina maledisse la sua fortuna. Himawari era talmente simile a Boruto che vederla bastò a farle pulsare nuovamente gli occhi. Notò, tuttavia, che la sorellina del suo amico era visibilmente triste e depressa. Il suo volto era un miscuglio di vergogna e rammarico. Probabilmente aveva visto il suo dolore di prima.

Quella consapevolezza la fece calmare un pochino. "Stavo solo... sfogandomi un po'," esalò Sarada. Guardando la radura parzialmente distrutta, la sua spiegazione sembrava inutile.

Himawari annuì. "Volevo allenarmi anch’io nello stile del Pugno Gentile. Ma dato che hai distrutto tutti gli alberi qui intorno… ti va di allenarci insieme?" chiese debolmente.

Sarada sentì le sue guance diventare calde. "Certo," concordò. Si diresse velocemente al centro della radura, lontano dalle piante in rovina. La giovane Uzumaki la seguì a ruota.

"Hai avuto altre previsioni su mio fratello?" chiese improvvisamente Himawari.

La speranza nella sua voce fece stringere il petto di Sarada in maniera dolorosamente preoccupante. La corvina esitò. "Io... no. Non ancora," rispose nervosamente alla fine. Non poteva mentirle su questo.

La ragazza più giovane annuì debolmente, abbassando gli occhi. "…cosa credi che succederà da adesso in poi?" chiese ancora con voce rotta. “Io… sono diversi giorni che ho un brutto presentimento. Anche se non so perché.”

La preoccupazione e il timore nella sua voce erano così forti che Sarada non poté resistere. Con riluttanza, si costrinse ad attivare il suo Sharingan. "Qualunque cosa abbia in mente, noi saremo pronti a fermarlo," dichiarò, forte, cercando di suonare più decisa di quanto non si sentisse realmente.

Himawari scosse la testa. "Mio fratello è il Ninja più forte dell’intero pianeta. Non c’è nessuno a parte mio padre che potrebbe avere speranza contro di lui," ribatté Himawari con riluttanza. Poi i suoi occhi si attivarono a loro volta, diventando di un colore pallido e arrabbiato. "Nessuno, a parte me!" aggiunse con decisione, un leggero sorrisetto sulle labbra che mostrava quanto lo intendesse veramente.

Sarada sorrise. Almeno adesso aveva trovato un po' di determinazione. "Oh, davvero?" ridacchiò con finto sarcasmo. Doveva puntare su quell’atteggiamento se voleva spingerla al massimo. "Ho già battuto tuo fratello una volta, e ho intenzione di rifarlo ancora. E poi, il Ninja più forte del pianeta è l’Hokage, ed io ho intenzione di essere Hokage, un giorno," dichiarò.

Himawari allargò il suo sorriso, facendolo sembrare più ferale. "Nessuno riuscirà a sconfiggere Boruto a parte me," affermò di nuovo con aria di sfida, mentre guardava Sarada dall’alto in basso, giudicandola silenziosamente.

L’Uchiha non cedette, raddrizzandosi con la schiena. "Perché non me lo dimostri? Hai detto che volevi allenarti, no?"

Himawari aggrottò seriamente la fronte ed assunse la posizione di base del Pugno Gentile, abbassando il suo centro di gravità. I suoi occhi si concentrarono e Sarada poté vedere le vene intorno ad essi pulsare visibilmente. Il Byakugan era davvero inquietante quando lo si osservava così da vicino.

Con tacito accordo, le due ragazze si scontrarono. Himawari era più giovane di Sarada, ma non si muoveva affatto come se fosse più debole, o inesperta. I suoi movimenti erano rapidi e precisi, potenti e feroci; per niente paragonabili a quelli di una Kunoichi senza esperienza. No, questi erano i colpi di una Maestra nell’Arte Eremitica, e di una persona che si era allenata personalmente con il Settimo Hokage. I colpi di una persona con talento. Anche Boruto era proprio così, pensò Sarada. Anni e anni di lotte ed addestramenti avevano plasmato fratello e sorella in due pericolosissime macchine da guerra.

L’unica differenza tra i due? Boruto ne era consapevole. Himawari no.

Sarada si chinò e si mosse sapientemente mentre sentiva il vento che le sfiorava il viso per via dei colpi a palmo aperto di Himawari. La corvina si vendicò con pugni e calci veloci, stando attenta a non essere colpita per non farsi bloccare i punti di uscita del chakra.

Poi, Sarada inciampò sul terreno irregolare che aveva creato in precedenza. Himawari si lanciò in avanti, il suo dito indice teso, mentre la pungolava delicatamente nell'addome. L’Uchiha sussultò e saltò all'indietro, ma il suo stomaco si sentiva come se fosse stato legato in un nodo. Nonostante la statura più bassa, quella ragazzina era veloce. Le due sfidanti si fissarono l'un l'altra mentre i loro occhi cominciavano a pulsare, rabbiosi e decisi a vincere.

Il loro secondo scontro andò in vantaggio di Sarada. Adesso che si era abituata alla velocità, con il suo Sharingan poteva seguire più facilmente i movimenti del Pugno Gentile. Se non poteva essere toccata, quello stile di lotta non era pericoloso. L’Uchiha schivò un ampio calcio basso e prese a calci Himawari nello stomaco, facendola allontanare con un salto. Quest’ultima le saltò di nuovo addosso in un istante, lo sguardo nei suoi occhi più determinato che mai. Era un po' spaventoso, in un certo senso. Il Byakugan aveva un aspetto più innaturale dello Sharingan.

Himawari si allontanò di colpo da lei, inspirando profondamente mentre intrecciava dei Sigilli con le mani. Gli occhi di Sarada lessero i sigilli al rallentatore mentre la ragazza più giovane balzava verso il fiume vicino al quale combattevano. Proprio mentre stava per immergere i piedi nell’acqua, un muro di fiamme ruggì dalle sue labbra. Le fiamme ruggirono e si agitarono sul pelo dell’acqua, e Sarada le evitò mentre sputava a sua volta delle lance di fuoco che bruciarono l'erba e illuminarono la radura.

Himawari danzò nel vuoto, schivandole tutte. Anche quando era di spalle, sapeva dove si trovavano i suoi attacchi grazi alla vista a 360° del Byakugan. Sarada si rifugiò sotto il fiume mentre Himawari le scagliava contro una manciata di shuriken. La corvina schizzò fuori dall'acqua e scattò in una corsa mentre Himawari le alitava addosso un altro muro di fuoco. Ritirò due kunai ed incanalò il suo chakra in essi. I coltelli brillarono di fulmini mentre li scagliava contro l’Uzumaki.

La principessina degli Hyuuga li schivò, come Sarada si aspettava. Ma la mossa l’aveva costretta a smettere di sputare fuoco. Allora, Sarada creò un clone col pensiero e lo lanciò contro il suo avversario con la sua forza potenziata, rendendolo più veloce di quanto lei stessa potesse correre. Con il suo Sharingan, vide gli occhi violacei di Himawari assottigliarsi per la rabbia mentre abbatteva il clone con un solo colpo di palmo. Sarada le scattò addosso a mezz'aria, spingendo fuori la gamba per un calcio. Guardò Himawari inginocchiarsi, tessendo dei sigilli mentre faceva.

Entrambe le sue mani toccarono il suolo ed un muro di terra fu eretto tra lei e la corvina. Il calcio di Sarada polverizzò il muro all’istante, trasformandolo in una polvere sottile che inondò qualsiasi cosa. L’Uchiha tossì, la sua vista offuscata, e lottò per riprendere la concentrazione. La polvere l’aveva momentaneamente accecata.

Ma così non fu così per Himawari e il suo Byakugan. Sarada sussultò quando sentì che due indici la centravano in pieno, facendola sobbalzare, uno alla vita e l'altro sulla spalla. "Hakke Sanjūni: Shō! (Tecnica degli Otto Trigrammi: Trentadue Palmi)" udì urlare Himawari. Un istante dopo, sentì altri innumerevoli colpi di palmo collegarsi a lei con una rapidità disumana, e la giovane ringhiò di dolore. Il suo chakra pulsò, divenendo di colpo pesante e ingombrante, facendola restare senza fiato. Sarada si agitò, sibilando, mentre cercava di reagire, ma non ci riusciva. Il suo corpo non rispondeva più ai suoi comandi.

Per fortuna, però, i colpi si fermarono. La polvere si diradò ed una Himawari molto orgogliosa e arrogante guardò Sarada dall'alto in basso. "Te l'avevo detto," dichiarò. "Solo io posso battere mio fratello."

La corvina sibilò, il suo corpo dolorante, mentre tratteneva a stento un sorriso. Aveva volutamente deciso di non usare il suo Sharingan Ipnotico e le sue abilità di Previsione durante lo scontro, ma preferì non dirglielo. La giovane Uzumaki era davvero diventata più forte, anche senza la Modalità Eremitica. "Sei stata fortunata," si limitò a dire, ironica, mentre la più giovane le rilasciava i punti del chakra.

Himawari sorrise di trionfo. "Pronta per il secondo round?" chiese allora.

Sarada annuì, rimettendosi in piedi.
 


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05 Aprile, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
23:00

"Prendi nota," gracchiò Kumo. Dietro di lui, Mitsuki stava osservando la crescita cellulare dei campioni in lampada dallo schermo di un computer, annotando fedelmente le sue parole ed i dati che ottenevano. Dopotutto, il lavoro che stavano svolgendo era decisivo più che mai. "I campioni sette e ventinove sono biologicamente morti. Divisione cellulare fallita. Dobbiamo usare la riga successiva: i campioni ottant’otto e ventidue. Le reazioni precedenti sembravano particolarmente promettenti."

“Agli ordini,” disse Mitsuki. Poi, allungando casualmente un braccio, l’albino tirò fuori dagli incubatori le fiale contenenti il rizoma elencato. Poi, con una semplice trazione delle dita, gli incubatori vennero sterilizzati e i campioni inceneriti come niente. Kumo annuì, accigliandosi per la mancanza di successo che lui e il suo compagno stavano ottenendo con il loro compito. Le cellule del braccio destro di Danzo Shimura erano notevolmente difficili da usare per il progetto di Boruto, ma la Spada Muramasa ne aveva decisamente bisogno.

Mitsuki stava anche lavorando per migliorare la potenza e la distruttività dei Demoni artificiali che avevano creato in precedenza. E proprio come lui, Kumo non poteva prendersi una pausa dopo il loro recente fallimento. Era da diverse ore che non lasciavano il laboratorio, e le uniche volte che lo avevano fatto era stato solo per cimentarsi nell’addestramento che Boruto aveva impartito loro. 

Ma, ancora, la loro vera forza stava nella ricerca. Il progresso che stavano ottenendo era lento, ma importante. Con la conversione del cadavere di Danzo in una marionetta umana, avevano a disposizione l’arma perfetta per catturare i Bijuu rimasti. Sarebbe bastato qualche giorno in più al massimo. Poi, grazie agli Sharingan recuperati dal cadavere e appositamente modificati, il loro piano sarebbe andato a gonfie vele. Lui e Mitsuki avevano messo molto impegno in questo compito così importante. Boruto ne sarebbe stato decisamente contento.

Era bello, pensò Kumo, avere delle persone a cui importava del loro lavoro. Boruto e i Kara erano decisamente la famiglia di cui aveva bisogno.

Iniziò a dare gli ultimi ritocchi alla matrice interna delle cellule mentre Mitsuki digitava i dati nel computer a parete. Muoveva le braccia in maniera irreale, allungandole per premere tasti e leve talmente distanti che nemmeno lui coi suoi fili di chakra avrebbe potuto raggiungere. Una rapida contrazione delle sue dita dimostrò che tutto funzionava normalmente e in modo ottimale. Poi, Kumo ammiccò quando uno dei suoi burattini gli portò un vassoio con acqua e qualche bicchiere.

"Prendi nota," gracchiò di nuovo, offrendo un bicchiere a Mitsuki. "Servono altre due infusioni. La parete cellulare dei campioni è debole."

L’albino scarabocchiò frettolosamente l’informazione. Kumo annuì a sé stesso e andò verso il tavolo dove il cadavere di Danzo era stato adagiato. Il suo occhio destro, quello originale, mancava completamente. Questo forniva loro l'opportunità di impiantagli un occhio meccanico superiore che potesse funzionare meglio di uno organico. Non aveva nemmeno bisogno di mascherarlo, dal momento che Danzo portava spesso bende su quel lato del viso. Kumo aveva svolto diverse ricerche approfondite per impersonare in modo più accurato l'ex anziano della Foglia.

Tese la mano e Mitsuki gli porse subito un grosso trapano. Il marionettista lo posizionò sopra la cavità oculare vuota e perforò la parete cerebrale dietro di esso. Uno spruzzo di carne polposa, sangue nebbioso e frammenti d'osso lo ricoprì dalla testa ai piedi. Kumo si asciugò furiosamente il viso. "Strano," notò Mitsuki. "Le cellule del Primo Hokage hanno preservato il flusso sanguigno."

Kumo annuì. Usò una provetta sterile per conservare i resti di materia grigia conservati all'interno del cranio. Poi accese una luce, illuminando il cadavere. Notò che c'era molto spazio inutilizzato all’interno del corpo. "Interessante," sussurrò. "Potremmo inserire un’arma tecnologica nella cavità cranica. Qualcosa per sparare Jutsu a distanza, per esempio."

Successivamente, le ossa potevano essere sostituite con qualcosa di più denso, più robusto. Un amalgama di acciaio temprato dal chakra. Sì, suonava bene. Gli organi potevano anche essere eliminati per fare spazio a strumenti e armi. Un lanciafiamme, ad esempio. Danzo possedeva chakra del Vento. Inserire il Fuoco avrebbe creato una potente combinazione. Forse un po' di veleno nelle armi, anche, per fare contenta Mikasa. Lame nascoste negli avambracci, o artigli nelle nocche e nelle unghie, o fori per aghi nei palmi delle mani, con etichette esplosive fuori dalle gambe e catene sigillanti fuori da petto. Le possibilità erano innumerevoli, e le funzionalità altrettanto grandi. Forse poteva-

"Ragazzi?" fece la voce di Sora.

Kumo e Mitsuki non si voltarono nemmeno. Avevano percepito il suo arrivo diversi secondi prima. "Sì?" risposero entrambi, in coro.

"Boruto mi ha chiesto di venirvi a controllare," spiegò lentamente il moro. Sembrava esitante, quasi. "Sono passate... otto ore da quando vi abbiamo lasciato in pausa."

I due scienziati ammiccarono. Si scambiarono un’occhiata. "Ah," dissero con un cenno del capo. Poi scrollarono le spalle, tornando al loro lavoro. Era necessario rinforzare la colonna vertebrale e la cassa toracica per difendere meglio le matrici di tenuta...

Sora li afferrò entrambi per la spalla, trascinandoseli con sé. "Ciò significa," disse con un sospiro esasperato. "Che avete bisogno di dormire. Non siete marionette. Dovete andare a letto."

Kumo aggrottò la fronte e Mitsuki ammiccò, ma si arresero comunque alle parole del moro. Sì, supposero, un po' di sonno sarebbe stato utile per entrambi.

"Va bene," concordarono insieme.
 


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30 Aprile, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
19:55

“Come sta procedendo?”

Urahara vide Boruto voltarsi di scatto verso di lui, abbandonando i rotoli e i fogli su cui stava scarabocchiando da diverse ore. Il suo occhio sinistro era sgranato per lo stupore, come quello di un animale selvatico colto alla sprovvista, e con una borsa scura sotto di esso. Quella visione lo fece preoccupare. Era stato talmente immerso nel suo lavoro da trascurare il sonno, e per la stanchezza non si era nemmeno reso conto del suo arrivo. “Tutto bene, Boru-kun?” chiese ancora.

Boruto annuì una volta. Poi due. Poi tre. Poi emise un sospiro lacero dalle labbra. “Sì,” esalò, passandosi una mano sull’occhio stanco. “È solo che sto cercando di migliorare il Sigillo che ci impedisce di essere percepiti. Voglio renderlo ancora più efficiente di prima.”

L’uomo col cappello inarcò un sopracciglio. Sapeva molto bene quanto fosse geniale il suo studente, ma che bisogno c’era di modificare ulteriormente quel Sigillo? Andava già bene così com’era, no? L’Hokage e l’Eremita non potevano comunque percepirli in nessun caso. “E per quale motivo?” domandò, curioso.

Il biondo non rispose. Urahara ridusse gli occhi a due fessure. Vide chiaramente l’ombra dell’esitazione aleggiare nel suo volto, e non gli piacque per niente. “Stai tramando qualcosa, non è vero?” dedusse immediatamente. Le sue labbra assunsero un sorriso divertito. “E sono pronto a scommettere che abbia a che fare con quel tuo misterioso piano per allontanare dalla Foglia l’Hokage e l’Eremita.”

Gli occhi di Urahara si assottigliarono ulteriormente non appena videro il biondo esitare visibilmente. Sospirò, scuotendo la testa con stanchezza. “Boruto, che cosa hai intenzione di fare?” domandò alla fine, scegliendo di essere diretto.

“…non posso dirtelo,” rispose lui. “Se lo facessi, le cose potrebbero degenerare.”

Quella rispose non gli piacque. Perché non poteva dirglielo? Non aveva senso. Boruto non lo teneva mai all’oscuro di qualcosa. Mai. Le rare volte che era successo era stato solamente perché aveva avuto in mente qualcosa di terribilmente… Oh. Ecco perché. “Hai in mente di fare qualcosa di pericoloso, vero?” sospirò ancora lui.

Il sorriso che Boruto gli rivolse era tutt’altro che rassicurante. “Diciamo di sì,” ammise il ninja traditore.

Urahara scosse la testa, ma sapeva che non c’era niente che potesse dire o fare per fargli vuotare il sacco. Quando quel biondino si metteva in testa qualcosa, era impossibile farlo ragionare o desistere. Gli Uzumaki erano teste estremamente dure. Si limitò a scrollare le spalle prima di dirigersi verso la porta. “Almeno puoi dirmi quando hai intenzione di attuare questo piano?” chiese improvvisamente, fermandosi sull’uscio.

Il Nukenin guardò la pergamena su cui stava scrivendo, il suo sguardo distante. “…tra un mese esatto,” rispose.

L’uomo col cappello non disse niente, limitandosi ad annuire.
 


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15 Maggio, 0022 AIT
Terra dell’Erba
Villaggio di Krest
08:00

Izuku sorrise, fissando gli sguardi tesi e nervosi di Uraraka e Trunks con occhi decisi e allegri. Se doveva essere sincero, non sapeva nemmeno lui da dove gli venisse tutta questa determinazione che provava. Semplicemente… c’era. Era lì, dentro di lui, solenne e ardente come un fuoco indomabile, e niente e nessuno poteva riuscire a farla vacillare. Se lo sentiva dentro.

Dopotutto, però, come poteva non sentirsi così? Aveva finalmente capito cosa doveva fare. E niente e nessuno sarebbe riuscito a farlo desistere adesso.

“Ne sei davvero sicuro?” la voce della signorina Kira lo fece ridestare dai suoi pensieri.

Il bambino allargò il suo sorriso, voltandosi verso il volto incerto della donna ed annuendo col capo. “Sì,” rispose, con assoluta convinzione. La sua voce non vacillò per niente. “Ho preso questa decisione, e ora devo farlo. Me lo sento dentro.”

“Ma… perché?” esclamò Trunks, completamente perso.

Deku abbassò lo sguardo, ma il suo sorriso non cadde. Quella era la vera domanda, vero? Perché? Ma se doveva essere sincero, non sapeva nemmeno questo. Non lo sapeva. Non c’era una risposta precisa. Semplicemente se lo sentiva, con una certezza sconcertante e cristallina, talmente forte come nessun’altra emozione che avesse mai provato prima di allora. “Non lo so. Me lo sento e basta. Devo farlo,” fu tutto ciò che riuscì a dire.

La sua risposta non parve piacere ai suoi due amici. Trunks sbruffò con fastidio e Uraraka esitò visibilmente. Il sorriso di Izuku si fece più triste. La signorina Kira sospirò alla sua destra. “Forse dovresti pensarci ancora un po',” disse lei, cercando di essere ragionevole. “Dopotutto, non c’è fretta. Uscire dal Villaggio è pericoloso, e anche se la nostra Nazione è finalmente in pace grazie all’Impero, non è detto che non ci siano pericoli in agguato da qualche parte.”

Il piccolo annuì. “Lo so. Non ho intenzione di andare subito. Ma la mia decisione è presa.”

Trunks lo guardò negli occhi. “Quindi è così?” sussurrò. La sua voce non era accusatoria, né arrabbiata. Solo… triste. Come se stesse cercando di capire il suo ragionamento, ma non ci riusciva. “Quel tipo ti manda una seconda lettera e tu senti l’irrefrenabile bisogno di metterti in viaggio per trovarlo? Perdonami, ma è decisamente stupido.”

Deku ridacchiò con imbarazzo. “Ahaha… immagino di sì,” ammise anche lui. “Ma è così che stanno le cose. Non posso più ignorare quello che provo. Devo fare chiarezza. E l’unico modo per riuscirci… è andare a fondo della questione.” Vide che i suoi amici stavano per parlare, ma non diede loro il tempo. “Devo farlo, ragazzi. Devo avere le risposte. Devo trovare quell’uomo,” ripeté, fissandoli con due occhi carichi di fermezza.

Uraraka e Trunks esitarono visibilmente dinanzi alla sua determinazione. Mai prima di quel giorno il loro amico era stato così deciso, così convinto. Così irremovibile su una sua decisione. Era sempre stato incerto ed esitante, pauroso e prudente; ma adesso… sembrava un’altra persona, quasi. Una persona certa, che sa fino in fondo quello che vuole. Una persona matura. E questa cosa li spaventava.

I due bambini si scambiarono uno sguardo. Poi annuirono tutti e due prima di farsi avanti.

“Deku…” Uraraka si porto dinanzi a lui, le sue mani unite nervosamente insieme. “…io e Trunks veniamo con te.”

Quella dichiarazione lo fece trasalire. Deku la guardò con comprensione, il suo sorriso triste. “Ragazzi, non dovete farlo se non volete. So che qui state bene. Non dovete necessariamente abbandonare il villaggio per seguire m-”

“Non spetta a te deciderlo,” lo incalzò saccentemente Trunks, sospirando con pesantezza. Si passò con forza una mano nei capelli viola. “Veniamo anche noi, e questa decisione è finale. Accettalo.”

Uraraka annuì. “Siamo sempre rimasti assieme, no?” disse con un sorriso. “E continueremo a farlo sempre.”

“E poi, senza di noi finiresti sicuramente per perderti,” aggiunse l’altro prima che Deku potesse aprir bocca. “Perciò verremo con te, e ci assicureremo che tu rimanga fuori dai guai.”

Deku esitò, incerto su cosa dire, mentre sentiva le sue guance farsi più calde. Ma in quel momento, vedendo la certezza che brillava nei loro occhi, il piccolo bambino sentì un’incommensurabile senso di affetto e gratitudine crescergli nel cuore. Cavolo, quei due erano davvero la sua famiglia. Anche nonostante la sua decisione insensata, erano decisi a seguirlo lo stesso fino in capo al mondo. Era davvero fortunato ad averli incontrati. “…grazie,” disse, con le lacrime agli occhi. “Vi voglio bene.”

La bambina dai capelli color cioccolato lo abbracciò subito dopo, senza la minima esitazione. Trunks si unì a lei borbottando sottovoce, ignorando il sorriso affettuoso che la signora Kira stava rivolgendo loro. E Deku si sentì il bambino più fortunato al mondo.

Ora, la sua missione poteva cominciare.

Doveva trovare Boruto Uzumaki.
 


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01 Giugno, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Cancelli
10:00

Le sue labbra si incurvarono in un sorriso privo di emozione.

Boruto esitò, restando immobile sopra un ramo in alto tra gli alberi che circondavano il Villaggio della Foglia. Con il suo Jougan, poteva chiaramente vedere la barriera di chakra che circondava l’intero villaggio. Un Jutsu interessante, non poteva negarlo. Una combinazione tra una barriera invisibile ed un circuito ad onde magnetiche. Doveva essere stato aggiunto subito dopo la sua ultima ‘visita’ al distretto del clan Nara. E in base alla struttura e al tipo di onde di suggellamento che emetteva quella barriera, il giovane poteva chiaramente determinarne lo scopo come se fosse stato scritto su un foglio di carta: monitorare ogni persona che entrava ed usciva dalla città.

Ed era anche ingegnoso. Coloro che superavano la barriera venivano riconosciuti e filtrati tramite un Sigillo nascosto sui loro coprifronte, mentre chiunque fosse stato registrato senza identificazione finiva tempestivamente immobilizzato dal chakra invisibile. Ingegnoso, poteva ammetterlo. Davvero ingegnoso.

Il suo sorriso divenne ferale. Boruto suppose che il Dipartimento di Difesa avesse, in qualche modo, cercato di prepararsi in caso di un secondo attacco da parte sua. Ma questa patetica barriera non era abbastanza. Boruto non era un maestro del Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) senza un motivo. Il suo nuovo Sigillo Maledetto che lo rendeva immune alla percezione nemica lo avrebbe schermato senza alcuna difficoltà. Di questo era sicuro.

Lasciando che il suo occhio destro si richiudesse, Boruto saltò giù dal suo trespolo e camminò casualmente verso i cancelli del Villaggio. Gli sarebbe piaciuto vedere cosa sarebbe successo se la barriera lo avesse identificato, ma era meglio tenere un profilo basso. Almeno, per il momento. Due Jonin facevano la guardia al piccolo edificio che fungeva da check-in per le persone in arrivo. Lo fissarono con evidente incredulità, i loro occhi sgranati che guizzavano freneticamente tra il suo viso ed un muro che Boruto non poteva vedere. C’era senza dubbio la sua fotografia da ricercato attaccata lì. Fece loro un cenno di saluto e le due guardie impallidirono con terrore.

Era ora di attuare il suo piano.
 
 
 




 
 

ATTENZIONE!!! IMPORTANTE!!!

Ciao a tutti, lettori e lettrici. Oggi ho una richiesta per voi.

Negli ultimi tempi, molte persone hanno iniziato a scrivermi in privato per farmi domande, chiedermi chiarimenti sulla storia e/o raccontare meglio qualche dettaglio che interessava loro. E per quanto questa cosa mi faccia immensamente piacere ed io sia grato a tutti voi per l’interessamento che mostrate, le domande che ho ricevuto da parte vostra sono decisamente troppe. Per cui, mi è venuta un’idea che vorrei mettere sotto vostro giudizio.

Se per voi va bene, posso fare un capitolo aggiuntivo fatto interamente con le vostre domande. Un capitolo dove io riporterò le vostre domande, una per una, e risponderò nel dettaglio a qualsiasi curiosità, chiarimento e quesito che voi mi mandate. L’idea mi è venuta perché i messaggi, davvero, sono troppi. Non ce la faccio a rispondere a tutti con gli impegni che ho. Non subito, almeno. Ma se invece riunissi assieme tutte le domande in un unico capitolo aggiuntivo e rispondessi lì allora potrei farcela con un po' più di tempo. Può essere anche l’occasione per coloro che non mi hanno ancora fatto domande e che vorrebbero sapere qualcosa, non ci sono problemi. Ma la mia è soltanto un’idea.

A questo punto vorrei che mi faceste sapere il vostro parere. Secondo voi conviene? Vi va bene che io faccia un capitolo a parte per rispondere a tutte le vostre domande? Vi interessa? Oppure preferite che io risponda privatamente, mettendoci più tempo? Vi chiedo il favore di farmi sapere le vostre opinioni, di dirmi cosa ne pensate. Io sono aperto a qualunque tipo di proposta, per cui deciderò in base a quello che preferite voi.

Detto questo, quest’ultimo capitolo funge da introduzione e prologo al prossimo. In esso, vedremo qualcosa di inaspettato. Dopotutto lo avete visto: Boruto sta per compiere qualcosa. Non posso fare spoiler, ma vi consiglio di prepararvi a qualcosa di grande.

Vi chiedo ancora una volta di farmi sapere cosa nel pensate della faccenda. Non siate timidi, ve ne prego. Grazie mille a tutti in anticipo e a presto!

Saigo

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Capitolo 36
*** Attacco a Sorpresa ***


ATTACCO A SORPRESA




01 Giugno, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Campo di Addestramento n°14
10:15

Naruto tenne gli occhi chiusi, spingendo i suoi sensi all’esterno. Anche questa volta, com’era abituato da sempre grazie alla sua Modalità Eremitica, riuscì perfettamente a percepire ciò che lo circondava. Sentì la presenza degli uccelli. Sentì la presenza delle piante. Sentì persino la presenza degli insetti nell’erba. Ogni forma di vita attorno a lui, senziente o meno, non poté sfuggire alla sua abilità di percezione. Ed in mezzo a tutto quel mare di energia silente, i suoi sensi non poterono fare a meno di sentire una particolare segnatura di chakra che si stava profilando accanto a lui.

L’Eremita delle Sei Vie.

“Ancora,” intonò Hagoromo, picchiettandolo sulla spalla con il suo bastone nero.

Il biondo emise un brontolio di dispiacere, ma obbedì. Era la decima volta, quel giorno, che tentava di espandere la propria anima verso l’esterno. E come tutti i tentativi precedenti, stava fallendo miseramente. La sua frustrazione stava raggiungendo il limite. Forse era una causa persa. Forse era semplicemente incapace di usare il Ninshū, pensò. Ma col cavolo che si sarebbe arreso per una ragione del genere.

Anche con gli occhi chiusi, riuscì chiaramente a sentire l’anziano Otsutsuki che annuiva per la sua determinazione. Il loro obiettivo era troppo importante per mollare. Naruto sospirò, liberando la mente, e riprese a distribuire la sua energia verso l’esterno. Un respiro alla volta, uno dopo l’altro. Smettere di pensare, smettere di ragionare. Chiudere la mente, liberare la coscienza.

Li sentì, ancora una volta. Una farfalla stava svolazzando attorno a lui. Un cervo si abbeverava ad un corso d’acqua lì vicino. Gli steli d’erba si piegavano sotto al soffio della brezza. L’energia del mondo, l’energia della vita, stava pulsando come sempre attorno a lui. Nulla era cambiato rispetto a prima.

L’Eremita batté il bastone sul terreno, facendolo trasalire.

Naruto aprì gli occhi di scatto, sorpreso da quel gesto, e lo guardò di sbieco. Hagoromo stava sudando. I suoi occhi si accigliarono nervosamente. “Che succede?” domandò.

L’anziano essere non rispose, il suo volto pallido e gli occhi sgranati. Naruto esitò, incerto su cosa pensare, quando all’improvviso sentì i peli sul suo collo rizzarsi per il terrore.

Fu allora che notò che qualcosa non andava.

Di colpo, la foresta attorno a lui era diventata silenziosa. Troppo silenziosa. Sparite erano le farfalle, e anche i cervi, e gli insetti. Le piante erano silenziose, l’aria stagnante, e gli animali fuggiti per un qualche motivo. Un soffio di vento gelido lo squassò. I suoi occhi tornarono su Hagoromo. Stava tremando, adesso. Naruto seguì lo sguardo dell’anziano. Seguì il flusso della coscienza. Seguì il suo istinto allenato che lo spinse a girarsi e guardare verso un albero dietro di lui.

E lo vide.

“…no,” pensò con orrore. “Non può essere!”

L’intruso stava seduto lì, sopra il ramo di una quercia. Casualmente, quasi. Una gamba penzolava giù dal ramo, e l’altra lo reggeva in equilibrio con una casualità meschina e burbera. Le sue braccia erano incrociate sotto ad un mantello scuro, mentre il busto s’inclinava in avanti, dondolando come un fanciullo. Naruto vide la sua cappa ondeggiare al vento, nera come la notte e minacciosa come il buio della tempesta. Li fissava, dall’alto verso il basso, con un solo occhio gelido ed un sorriso predatorio che gli incurvava le labbra. Poi, in meno di un secondo, scese dall’albero, cadendo verso il terreno. Sembrava una creatura ultraterrena. Il suo mantello si gonfiò, e i suoi piedi toccarono il suolo senza il minimo accenno di rumore.

Vedendolo così da vicino, il Settimo Hokage rabbrividì, mentre il nuovo ospite prese ad avvicinarsi a loro con passo lento. “Bene, bene, bene,” disse loro Boruto Uzumaki. “Guarda chi si vede finalmente lontano dalla Torre dell’Hokage.”

Naruto e Hagoromo sembrarono riscuotersi alla vita di scatto. In meno di un secondo, i loro corpi si mossero per balzare lontano dall’intruso, posizionandosi uno accanto all’altro. Non fecero nemmeno in tempo a battere ciglio che vennero istantaneamente rivestiti dalle loro cappe energetiche, una dorata e fiammeggiante e l’altra bianca e fluttuante. Naruto sentì le sue emozioni cominciare a ribollire furiosamente: rabbia, sorpresa, stupore, e molto altro ancora; talmente forti da svuotargli la mente e fargli perdere la ragione. Il suo respiro stava diventando sempre più affannoso.

Suo figlio si trovava finalmente dinanzi a lui.

“Boruto Uzumaki,” disse allora l’Eremita. Afferrò il biondo accanto a lui per la spalla, trattenendolo dal fare mosse azzardate. “Perché sei qui?”

Naruto sentì un brivido freddo percorrergli la schiena mentre suo figlio sorrideva. Il suo corpo stava diventando sempre più insensibile. “Sono venuto solo per parlare, davvero,” rispose il Nukenin. Li fissò entrambi per un paio di secondi, prima di riprendere a parlare. “Anche se devo ammettere di essere sorpreso. Non mi aspettavo di trovarvi entrambi qui. Beh, meglio così. Questo mi farà risparmiare molto tempo.”

“C-Come hai fatto a venire qui?” sussurrò l’ex Hokage. La sua mente stava faticosamente lottando per ritrovare un minimo di lucidità. “La barriera avrebbe dovuto-”

“Per favore,” lo schernì il suo primogenito. “Come se non fossi in grado di aggirare le vostre inutili difese. Non la credevo così ingenuo, Settimo Hokage.”

Naruto sentì l’ansia azzannargli lo stomaco. Questo… Questo era impossibile. Cosa stava succedendo? Come diavolo aveva fatto suo figlio a raggiungerli così all’improvviso? A raggiungerli qui, nel Villaggio? Senza farsi scoprire, per di più. Cazzo, questa cosa era grave! Immensamente, orribilmente, indescrivibilmente grave! Konohamaru e Shikamaru avevano aumentato le misure di sicurezza dopo il massacro del clan Nara. Ma adesso, adesso non erano servite a nulla! Era una cosa inquietante! Come diavolo aveva fatto Boruto ad entrare nei confini della Foglia senza destare l’allarme? Era letteralmente impossibile!

“Cosa? Voi avete potuto raggiungermi mentre ero nascosto nella mia umile dimora e adesso pretendete che io non faccia lo stesso?” domandò sarcasticamente Boruto. Era come se gli avesse letto nel pensiero. Il Settimo Hokage snudò i denti in un ringhio mentre lo vedeva avanzare imperterrito, sorridendo con ironia.

Naruto sentì Kurama iniziare a ringhiare nella sua mente. Fece un minaccioso passo in avanti. Le sue braccia tremarono per lo sforzo di trattenersi dal saltargli addosso. Se suo figlio era qui, se era riuscito a raggiungerli senza farsi notare, allora tutto il Villaggio era in pericolo. Doveva fare qualcosa. Boruto era riuscito ad avvicinarsi senza farsi percepire nemmeno da lui e l’Eremita. Era… Era una cosa mostruosa. Non sapeva come fosse possibile, ma doveva darsi una mossa ed allertare gli altri. Sarebbe bastata una sola pulsione di chakra diretta a Shikama-

“Ah, ah, ah! Niente mosse azzardate,” li richiamò subito il Ninja traditore, schioccando la lingua. Fissò lui e l’Eremita al suo fianco con uno sguardo freddo e minaccioso, sollevando una mano ed incrociando le dita come per farle schioccare. “Ho piazzato una bomba a distanza nel distretto centrale del Villaggio. Se tenterete di fuggire o allertare qualcuno, la farò detonare all’istante.”

Hagoromo e Naruto esitarono, impallidendo di colpo. Boruto sorrise maniacalmente. “Questo è l’unico avvertimento che vi concedo,” dichiarò.

Passarono diversi secondi di silenzio teso e assoluto. Naruto iniziò a sudare freddo, sbiancando come un morto. Il suo corpo tremò violentemente per la rabbia, pronto a balzare all’attacco, ma l’Eremita lo tenne saldamente fermo con la sua presa irremovibile. Si scambiarono un’occhiata. Il Rinnegan dell’Otsutsuki era solenne e serio mentre fissava i suoi occhi sgranati, e gli stava silenziosamente ordinando di trattenersi. Naruto esitò di colpo quando finalmente riuscì a leggere le parole contenute nel suo sguardo.

Se uno di loro due avesse fatto qualche mossa azzardata, migliaia di vite sarebbero state perse all’istante.

Quella consapevolezza gli fece raggelare il sangue come se la sua temperatura corporea fosse calata drasticamente. Naruto trattenne la sua furia crescente, serrando i denti in un moto di impotente frustrazione. Guardò il volto ghignante di suo figlio con un ringhio ferale, alimentato dalla rabbia di Kurama. Quell’espressione che Boruto stava facendo… la odiava immensamente. Oh, quanto la odiava. Era feroce, inflessibile, malvagia. Un’espressione di vittoria talmente cupa e oscura da fargli agitare le viscere. Quell’espressione che faceva sempre quando sapeva di aver già vinto, quando sapeva di averli messi sotto scacco prima ancora di dover muovere un solo dito.

Era immensamente irritante.

L’ex Hokage vide Hagoromo iniziare a levitare sul terreno. “Che cosa vuoi?” domandò l’anziano Otsutsuki, cauto, fissando il giovane dinanzi a lui con uno sguardo solenne e calmo.

Boruto – con sommo stupore di entrambi – scrollò le spalle in un moto disinvolto, abbassando la mano con le dita pronte a schioccare. Il suo sorriso, tuttavia, si fece più sottile e malvagio di prima. “Ve l’ho detto, voglio solo parlare,” rispose, canticchiando allegramente. Allargò le braccia sotto il suo mantello scuro, cercando di apparire innocuo. “Non ho intenzione di iniziare un assalto contro di voi. Non ancora, perlomeno.”

Naruto assottigliò gli occhi con evidente sospetto dopo quella risposta. Non riuscì a percepire nessuna falsità in lui, nemmeno tramite le abilità empatiche di Kurama. E a giudicare dall’espressione sorpresa dell’Eremita, anche lui doveva aver raggiunto la sua stessa conclusione. Suo figlio stava dicendo la verità. Ma perché? Qual era il suo obiettivo, allora?

“…smettila di prenderci in giro!” esclamò ancora lui, cercando di riprendere il controllo della situazione. Raddrizzò leggermente la schiena, aumentando l’intensità della sua cappa fiammeggiante. L’erba attorno a lui iniziò a bruciare per il calore che stava emettendo. “Perché sei venuto qui, davvero? Per parlare?! Non dire assurdità! Di che cosa vorresti mai parlare arrivati a questo punto?”

Boruto lo ignorò bellamente, come se non avesse proprio aperto bocca. Fissò l’Eremita con un sopracciglio incurvato, studiandone il Rinnegan con uno sguardo privo di emozione. “Vedo che finalmente hai deciso di rivelare la tua identità, vecchio,” si limitò a dire tranquillamente, con un tono da conversazione. Fece un sorriso ironico con le labbra. “Devi davvero essere arrivato sull’orlo della disperazione per decidere di compiere una mossa simile. Stanco di recitare ancora la parte del monaco?”

Naruto sentì una vena pulsargli rabbiosamente sulla fronte. “OHI!”

“Non sei stato certo un avversario facile da prevedere, mio caro giovane,” ribatté Hagoromo, sorridendo a sua volta. La sua espressione non tradì nessuna emozione se non divertimento. “Viste le tue ultime azioni, ho pensato che rivelarmi a tuo padre fosse la soluzione migliore.”

Boruto annuì. “Beh, almeno mi farà risparmiare tempo,” ammise lentamente.

“EHI, SMETTETELA DI IGNORARMI!” urlò rabbiosamente Naruto, fissandoli entrambi con un uno sguardo misto tra l’irritazione e l’esasperazione. Come diavolo potevano conversare così tranquillamente tra di loro? Possibile che non si rendessero conto della situazione? La Volpe dentro di lui non poté fare a meno di ridacchiare con sarcasmo.

Boruto si voltò verso di lui, fissandolo con superficialità e disappunto. “Stia calmo,” sospirò, scuotendo la testa. “Mantenere la calma dovrebbe essere una regola primaria per qualsiasi Ninja. Onestamente, a volte non mi capacito proprio di come lei abbia fatto a diventare Hokage, Settimo.”

Naruto rimase a bocca aperta, ferito nell’orgoglio. Suo figlio, un criminale, lo stava rimproverando di essere impulsivo? Cazzo, questa non se l’era aspettata. Persino l’Eremita delle Sei Vie lo stava guardando con un sorriso pieno di compassione dopo quella scena, scuotendo la testa in un gesto affettuoso. “NON TI CI METTERE ANCHE TU!” gridò, fissandolo con imbarazzo. Se non fosse stato per la cappa fiammeggiante che lo rivestiva, sarebbe certamente diventato paonazzo per la vergogna.

Un guizzo elettrico inaspettato mise fine a quella farsa in meno di un millisecondo. Naruto e Hagoromo si riscossero di colpo, prima di trasalire fisicamente non appena videro Boruto emettere una minuscola scarica elettrica verso il terreno. L’erba ed il suolo ai suoi piedi vennero bruciati all’istante.

“Basta giochetti,” intonò gelidamente il Nukenin. Sollevò nuovamente la mano destra, unendo assieme il dito indice e il medio. “Se non volete che mezza Konoha salti in aria, state zitti ed ascoltatemi.”

Il Settimo fece per protestare, ma l’Eremita gli mise di nuovo una mano sulla spalla, facendolo trasalire. “Fermo, giovane Naruto,” ordinò.

L’ex Hokage lo fissò con sconvolgimento. “Cosa?” sussurrò, incredulo. “Sei impazzito? Vuoi davvero assecondare la sua richiesta?”

L’anziano essere tenne gli occhi sempre puntati sul nemico. “…non abbiamo scelta,” ribatté. “Se rifiutassimo, tuo figlio farebbe esplodere la bomba nel Villaggio. Non possiamo rischiare la morte di innumerevoli innocenti per così poco. Dobbiamo lasciarlo fare.”

Naruto serrò impotentemente i denti, combattuto. Anche se si era ritirato dalla carica, il suo precedente mandato da Hokage gli imponeva ancora adesso di assicurarsi della sicurezza del Villaggio. Ed una minuscola parte di lui, quella più emotiva, gli stava silenziosamente ordinando di ascoltare suo figlio per potergli parlare. Per poter tentare ancora una volta di fermarlo e mettere fine a questa Guerra. Questa… Questa era un’occasione unica. L’occasione perfetta per riuscire a fargli abbassare la guardia e catturarlo. Non poteva lasciarsela sfuggire.

Hagoromo e Naruto esitarono, sudando copiosamente mentre riflettevano in silenzio. La situazione in cui erano finiti era decisamente poco piacevole. Erano stati messi sotto scacco. Non potevano fare altro che assecondarlo, arrivati a questo punto. Con riluttanza, perciò, fecero entrambi un cenno col capo per spingerlo a continuare.

Boruto sorrise a quella visione. “Questa Guerra… non può continuare in questo modo,” iniziò allora a dire il giovane, la sua voce bassa e priva di emozione. Fissò suo padre e l’anziano essere con uno sguardo perforante. “Il mio Impero sta diventando sempre più forte ogni giorno che passa. Ma per quanto io mi sforzi, per quanto impegno stia mettendo nel consolidare e stabilizzare le fondamenta del nuovo governo, le cose non andranno comunque come dovrebbero. Il mio esercito è forte, ma lo è anche il vostro.”

Il Settimo sbiancò improvvisamente. Possibile che Boruto sapesse…

“Sì, ne sono a conoscenza,” lo incalzò ancora lui, leggendo le sue intenzioni come se gli fossero scritte in faccia. “So che state assemblando un esercito nella Capitale, Nanadaime. E la conclusione a cui sono giunto è esattamente uguale alla vostra. Se i nostri eserciti dovessero scontrarsi in battaglia, le perdite umane da entrambi i lati sarebbero numericamente disastrose.”

Naruto fece un passo in avanti, minaccioso, ringhiando. “E di chi credi che sia la colpa?” esclamò. “Tutto questo si sarebbe potuto evitare se tu non avessi-”

“Se io, cosa?” ribatté prontamente il guerriero, sfidandolo col suo occhio gelido. Naruto serrò i denti con rabbia. “Crede che abbia avuto scelta, Hokage? Non potevo lasciare che la Rivoluzione e la mia gente crollassero definitivamente. La nostra è l’unica speranza che rimane al mondo per riuscire finalmente a sovvertire il vostro sistema corrotto e antiquato. Un sistema che ci sta lentamente portando tutti alla morte. Per cui, era inevitabile. Io dovevo fare ciò che ho fatto. Il fatto stesso che la gente mi sostiene nonostante le mie azioni dimostra che ho ragione.”

Naruto fece per parlare, ma Hagormo lo batté sul tempo. “No, ragazzo mio, ti sbagli,” disse seriamente. Levitò leggermente sopra il terreno, tenendo sempre una mano salda sulla spalla di Naruto. “Sei tu che stai portando alla morte questo mondo. Te l’ho già detto: se non poniamo fine a questa guerra, una volta che gli Otsutsuki ci raggiungeranno non avremo speranza di sopravvivere. L’umanità si estinguerà per sempre, ed il tuo sogno di un mondo unito e privo di conflitti resterà solamente un sogno. Ne sei consapevole, vero?”

L’ex Hokage rimase completamente in silenzio mentre osservava il volto di suo figlio che si contraeva. Fece una smorfia mista tra l’irritazione e il divertito. “…non posso negarlo,” ammise lentamente. “Ma è proprio per questo che sono venuto qui, oggi. Per cercare un accordo.”

Sia Naruto che l’Eremita delle Sei Vie trasalirono dopo quelle parole. “Un… accordo?” ripeté il biondo.

Boruto annuì, il suo movimento veloce come quello di un uccello. “Un accordo,” confermò. “Ve l’ho già detto, in fondo. Le vostre Nazioni Alleate non possono vincere perché noi ci rifiutiamo di combattervi direttamente sul campo di battaglia, ed il mio l’Impero non può vincere a sua volta perché state recuperando i danni che vi abbiamo inflitto ed assemblando un esercito immenso. Per cui, se vogliamo evitare una strage, l’unica soluzione che ci rimane è scendere a compromessi.”

“E quale sarebbero questi compromessi?” domandò seriamente Naruto, la sua faccia una maschera di rabbia. Ancora adesso non sapeva se poter effettivamente credere o meno alle sue parole.

Suo figlio allargò le braccia, sorridendo feralmente verso di loro. “Uniamoci assieme!” rispose. “Se vogliamo riuscire a portare davvero la Pace nel mondo, allora l’unico modo per riuscirci è unire assieme le nostre forze! Possiamo mettere fine a questa guerra qui ed ora, se lo vogliamo! Tutto ciò che dobbiamo fare è allearci!”

Naruto e Hagoromo esitarono per diversi secondi, pallidi ed incerti su cosa pensare. Si scambiarono una lunga occhiata dopo quelle parole. Ciò che il Nukenin stava dicendo… era vero? O era soltanto una farsa? Non c’era modo di dirlo veramente. Ma qualunque fossero realmente le sue intenzioni, si sbagliava di grosso se credeva di poterli abbindolare con le mere parole.

“Stai dicendo,” dichiarò lentamente l’Eremita. “Che vuoi farci alleare con l’Impero?”

Come avevano dedotto, Boruto annuì di nuovo. “In un certo senso,” rispose con un sorriso strano. Fece due passi in avanti, portandosi ancora più vicino a loro. Naruto e Hagoromo riallungarono la distanza facendone altri due all’indietro. “La soluzione che vi sto proponendo è singolare, ma efficace: se accetterete di unirvi all’Impero e di giurare fedeltà alla mia causa, allora la Quinta Guerra Mondiale terminerà seduta stante. Ogni conflitto cesserà, e la nostra gente verrebbe unificata una volta per tutte. Sicuramente anche voi riuscite a vedere i vantaggi che questa scelta porterebbe alla salvaguardai del mondo, non trovate?”

Naruto non si lasciò fregare. “E che ne sarà dei Kage, e delle Nazioni che hai ingiustamente conquistato?” ribatté, solenne. “Che cosa succederà se decidessimo di allearci con te?”

“Ogni Kage verrà rimosso dalla sua posizione ed ogni Nazione verrà messa sotto al mio controllo, questo è ovvio,” rispose Boruto, come se fosse scontato. “So che non vi piacerà, ma non possiamo evitarlo. La vostra inutile burocrazia e l’arroganza dei Kage sono un ostacolo che deve necessariamente sparire se vogliamo unire davvero il mondo. Ma né voi, né nessun altro Shinobi verrà combattuto ed ucciso se accetterete questo compromesso finale. Ve lo assicuro.”

Il Settimo sentì la sua rabbia crescere come un inferno ineluttabile. Poteva chiaramente percepire l’intento negativo che si celava dietro le belle parole di suo figlio mentre parlava. Non si sarebbe lasciato abbindolare. “Stai mentendo,” ringhiò. I suoi occhi bestiali lo fissarono con una rabbia ed un disappunto a malapena contenuti. “Se credi di poterci ingannare con queste menzogne ti consiglio di lasciar perdere, Boruto. Ciò che vuoi realmente non è la pace del mondo, ma la sua conquista! Non ti permetterò di continuare a devastare la pace con le tue azioni!”

L’Eremita annuì. “Tuo padre dice il vero, ragazzo. Ormai il tuo giudizio è ottenebrato dall’odio. Non possiamo rischiare la salvaguardia del mondo per causa tua. Ma non è ancora troppo tardi per rimediare. Puoi ancora arrenderti e consegnarti alla giustizia, se lo vuoi. Non devi necessariamente percorrere questo sentiero, Boruto,” dichiarò.

L’occhio sinistro del giovane si assottigliò pericolosamente. Li fissò entrambi con uno sguardo pieno d’odio e gelida furia. “Non siete disposti a cedere, dunque?” domandò.

“Mai!” rispose prontamente Naruto. Si fece alto e solenne, la sua cappa fiammeggiante che ardeva con più forza ed energia di prima. “Figlio mio, per quanto detesti ammetterlo, tu sei diventato qualcosa che non può più essere ignorato. Se vuoi davvero mettere fine a questa guerra, allora consegnati a noi senza opporre resistenza. Non è ancora troppo tardi. Se lo farai, ti prometto che organizzeremo un accordo con l’Impero per mettere fine al conflitto ed assicurare la pace. Nessuno dei tuoi amici verrà giustiziato, e ci penserò io in persona ad assicurarmi della vostra sicurezza. Ma tu ed i Kara dovete pagare, che sia con l’esilio o con la prigionia. Questa storia deve finire, o il mondo non avrà alcuna speranza di resistere all’invasione degli Otsutsuki. Non abbiamo altra scelta.”

Hagoromo vide il volto di Boruto riempirsi di collera, ma non gli diede tempo di parlare. “Arrenditi, ragazzo,” disse con tono condiscendente. “Non hai speranza di vincere, a questo punto. Non ci alleeremo mai con te, ed io e tuo padre siamo troppo potenti. Non puoi vincere contro di noi. E anche se dovessimo cadere, Sarada ci sarà sempre per riuscire a fermarti. Perciò, se vuoi davvero farci raggiungere un accordo, se vuoi davvero salvare il pianeta, allora consegnati a noi, e tu e i tuoi amici avrete salva la vita.”

Naruto serrò i pugni con forza non appena vide il corpo di Boruto iniziare a tremare. Lo sguardo di suo figlio stava diventando sempre più ferale e animalesco, abbandonando ogni precedente traccia di umanità. L’Ex Hokage si preparò immediatamente a reagire, anche quando suo figlio abbassò la testa verso il suolo, coi suoi capelli che gli oscuravano il volto.

“Non è ancora troppo tardi,” udì parlare ancora l’Eremita alla sua destra. “Per favore. Non devi farlo per forza. Non devi necessariamente diventare un mostro come Vrangr.”

Passarono diversi secondi di silenzio. La radura e la foresta divennero silenziose e ferme come non mai.

Poi, ancora una volta, il Nukenin riprese a parlare.

“E qui, vecchio Eremita, è dove ti sbagli,” sussurrò il giovane. Aprì il Jougan di scatto, il suo volto una maschera d’odio e furia incontenibili. “Io sono un mostro. Un mostro che avete messo alle strette, e che per riuscire a sopravvivere dovrà ricorrere a misure drastiche!” ruggì ferocemente.

Quelle parole bastarono a frantumarlo completamente.

Naruto scattò in azione, liberandosi dalla presa di Hagoromo.

Il tempo delle parole era finito.

Si mosse in meno di un battito di ciglia, scattando verso il giovane con una rapidità inaudita. Lasciò perdere la bomba, lasciò perdere le minacce, lasciò perdere tutto. Suo figlio era lì, in quel momento, davanti a lui; ed era l’unica occasione che aveva per riuscire a fermarlo. Poteva farcela. Poteva bloccarlo prima che riuscisse a schioccare le dita. Nessuno poteva sperare di scappare da lui a quella distanza. Poteva catturarlo e mettere fine a questa Guerra. Poteva-

“Naruto! No!” udì gridare l’Eremita con sgomento.

L’ex Hokage non ebbe il tempo di rendersi conto dell’errore che aveva commesso.

Si voltò di scatto, sconvolto. In meno di un millisecondo, più veloce di quanto lo avesse mai visto muoversi prima di allora, suo figlio era completamente scomparso dal punto in cui si trovava prima, riapparendo alle spalle di Hagoromo. Quest’ultimo, ancora sorpreso dallo scatto d’ira dell’Hokage, non poté fare altro che sgranare gli occhi con sorpresa mentre Boruto gli afferrava ferocemente la braccia con le mani, tenendolo fermo. Poi aprì l’occhio destro a dismisura, snudando il Jougan con un moto più animalesco che umano.

E poi, ancora, appena l’Eremita si mosse per liberarsi, un vorticoso portale di chakra, simile ad un buco nero, guizzò improvvisamente alla vita sopra al suo volto, risucchiando Hagoromo al suo interno prima che potesse anche solo aprire le labbra per parlare. Naruto guardò, sconvolto e impotente, mentre il buco nero assorbiva l’anziano Otsutsuki con un sibilo minaccioso ed assordante, facendolo scomparire alla vista in meno di un battito di cuore. Poi, come se non fosse mai esistito, il buco nero si richiuse su sé stesso, svanendo completamente.

E nella foresta rimasero solo lui e suo figlio.

Naruto vide Boruto ghignare di trionfo. “Meno uno,” ansimò, sudando copiosamente. Il suo Jougan elettrico si posò allora su di lui. “Ora tocca a lei.”

Il Settimo Hokage ruggì rabbiosamente.

Non perse neanche un secondo. Le sue gambe balzarono immediatamente all’indietro, allontanandosi rapidamente da suo figlio. Ancora una volta, era stato troppo cieco ed emotivo per riuscire a leggere le vere intenzioni del Nukenin. Boruto non aveva mai avuto intenzione di parlare con loro per raggiungere un accordo. Il suo obiettivo era sempre stato riuscire a dividerli per catturarli. Li stava ripagando con la loro stessa moneta.

Non poteva permetterglielo. Non poteva lasciarsi cogliere impreparato una seconda volta. Non ancora, non di nuovo. Se il suo obiettivo era catturarlo, allora lui non lo avrebbe affrontato. Sarebbe scappato alla massima velocità, raggiungendo il Villaggio ed allertando tutti i suoi compagni del pericolo che stava-

‘Naruto!’ ruggì improvvisamente Kurama. ‘Voltati, moccioso!’

Il biondo sgranò gli occhi, ubbidendo, ma ormai era troppo tardi. Un secondo Boruto, un clone – o forse il vero Boruto che si era nascosto fino ad ora? Non c’era modo di dirlo – era misteriosamente apparso alle sue spalle, avvolto da una cappa elettrica e col volto contratto in un sorriso maniacale. Naruto trattenne il fiato e fece per attaccare, ma suo figlio era troppo vicino, e lo afferrò prima che potesse saltargli lontano o colpirlo.

Finì tra le sue braccia aperte ed in attesa come un allocco.

“Scappare? Davvero?” ridacchiò Boruto con disgusto. “Onestamente, lei è fin troppo prevedibile, Hokage!”

Naruto gridò, ancora sconvolto da ciò che era successo in meno di cinque secondi. Non sapeva come fosse possibile, ma suo figlio era letteralmente diventato immune alle sue abilità di percezione. Era riuscito a fregarlo, ancora una volta, muovendosi in accordo alle sue previsioni per poterlo catturare come in passato. Era stato un allocco!

L’ultima cosa che Naruto vide fu il Jougan di suo figlio che lo fissava con superiorità, prima che un secondo vortice oscuro gli comparisse dinanzi in meno di un millisecondo, risucchiandoli entrambi all’interno del suo centro. Poi, la sua vista venne oscurata ed i suoi occhi non videro più nulla.

Ed il mondo venne avvolto dal buio.
 


Tempo Sconosciuto
Luogo Sconosciuto

Hagoromo sussultò, atterrando pesantemente su un terreno sporco e maleodorante. Si rimise in piedi in un secondo, facendo leva sul suo unico braccio rimasto, e mosse la testa in tutte le direzioni per osservare ciò che lo circondava. E quando lo fece, la visione che lo accolse non gli piacque per niente.

Il mondo in cui si trovava non era decisamente la Terra. No, niente affatto. Era completamente diverso per poter anche solo essere paragonato alla Terra. Per pro, era più silenzioso, più calmo. Non si udiva nemmeno una forma di vita in mezzo a quel silenzio totale. Per contro, invece… era oscuro e marcescente, perennemente rivestito da una palude melmosa e puzzolente come una fogna. Per quanto lontano i suoi occhi riuscissero a vedere, c’erano solo alberi morti e spogli, pozzanghere di catrame bollente e immense pianure di melma nera per tutto l’orizzonte.

Non era decisamente una visione gradevole agli occhi di nessuno. L’anziano Otsutsuki si risollevò, rendendosi conto soltanto adesso di essersi completamente rivestito di melma maleodorante a causa della caduta. Le sue labbra emisero un sospiro rassegnato. Ancora una volta, Boruto aveva dimostrato di essere più veloce e astuto di quanto si fosse aspettato. Il suo Rinnegan non era nemmeno riuscito a percepire il suo movimento a causa della distrazione con Naruto, esattamente com’era successo in passato su Eldia. E a causa di questo, quel giovane ribelle era riuscito a fregarlo ancora una volta.

“Molto astuto, giovane Boruto. Molto astuto,” ridacchiò, rimproverandosi mentalmente.

Hagoromo si fissò la mano con amarezza. Avrebbe dovuto essere più cauto. Avrebbe dovuto aspettarsi una mossa del genere. Boruto non aveva mai avuto intenzione di trattare assieme a loro. Il suo unico intento era stato dividerli e confinarli in un’altra dimensione sin dall’inizio. Era per questo che aveva percepito tanta negatività in lui mentre parlava. Avrebbe dovuto aspettarselo.

Sospirò una seconda volta. Con tutta probabilità, anche il giovane Naruto aveva fatto la sua stessa fine, a quest’ora. Ma, a differenza sua, non sarebbe stato in grado di fuggire una volta intrappolato. Per cui, doveva trovarlo. Doveva agire in fretta e spostarsi da una dimensione all’altra fino a quando non l’avesse percepito, riconducendolo sulla Terra.

Sarebbe stato un processo lungo. Boruto era stato maledettamente furbo ad attuare questo piano. Sapeva che il flusso temporale non scorre nello stesso modo da un mondo all’altro – era stato lui stesso a rivelarglielo, in fondo – e dividere lui e Naruto in questo modo gli avrebbe fornito diverso tempo per agire indisturbato sulla Terra. Li aveva consapevolmente separati tra un mondo all’altro per fare in modo che potesse terminare ciò che aveva iniziato, senza che loro due potessero intralciarlo di nuovo. Una mossa maledettamente astuta, doveva ammetterlo.

Ma l’Eremita non si diede per vinto. L’unica cosa che gli restava da fare era rintracciare Naruto per riportarlo a casa. Non poteva fare altro, adesso. Questa dimensione in cui Boruto lo aveva mandato non era sicuramente in contatto diretto con le dimensioni vicine alla Terra. Boruto se n’era accertato quasi sicuramente. E in questo caso, non sarebbe stato possibile tornare lì con la stessa rapidità con cui era stato mandato qui. Era stato un viaggio di sola andata, senza ritorno. E poi, anche se avesse cercato di raggiungere direttamente la Terra, la Tecnica per spostarsi da un pianeta all’altro richiedeva molto chakra. Sarebbe comunque stato incapace di combattere Boruto se lo avesse raggiunto in quelle condizioni.

Per cui, sì… era stato fregato.

Hagoromo fissò quel mondo paludoso con sguardo solenne. Dal punto di vista dei terrestri, ci sarebbero voluti diversi giorni per ritornare sulla Terra. Settimane, anche, se voleva trovare Naruto. Non aveva tempo da perdere. Doveva darsi una mossa ed iniziare…

I suoi occhi pulsarono di colpo. L’anziano essere esitò, voltandosi immediatamente, puntando subito lo sguardo verso la direzione in cui aveva sentito quella pulsione di chakra. I suoi occhi si assottigliarono immediatamente. Non poteva essersela immaginata. Era certo di averla sentita. Scrutò l’orizzonte in lungo e in largo coi suoi sensi ed i suoi occhi, fino a quando non trovarono quello che stava cercando.

Eccola là.

Era a circa settanta chilometri di distanza, in mezzo alla melma e al fango. Una minuscola pulsione di chakra. Era sottile, debole, sfuocata. A malapena percepibile, come se fosse quasi ad un passo dallo spegnersi completamente. Un ultimo bagliore di vita prossimo alla morte. Eppure, era estremamente familiare. Hagoromo non sapeva come, non sapeva dove, ma era certo di aver già sentito quel particolare timbro di energia vitale. Era così… nostalgico. Così… familiare. Così simile al suo e a quello di Naruto, in effetti.

Ma questo era impossibile. Non aveva alcun senso. Non poteva essere. Non era in alcun modo contemplabile. Dopotutto, quel particolare tipo di chakra era appartenuto solo… non avrebbe avuto senso… non c’era spiegazione… era completamente irrazionale pensare che fosse…

…non poteva essere davvero… Indra…?

L’Eremita delle Sei Vie esitò per diversi secondi. Poi, i suoi occhi si sgranarono a dismisura.

La sua mente realizzò con orrore chi era colui che stava percependo.

“N-Non può essere!” esclamò, senza fiato. “Sasuke!”
 


Tempo Sconosciuto
Luogo Sconosciuto

Naruto atterrò con uno scroscio di tuono che gli fece sbattere una raffica d'aria sul volto, ottenebrandogli momentaneamente i sensi. Si riscosse dopo un paio di secondi, ansimando e rimettendosi furiosamente in piedi. La vista che lo accolse, non appena riaprì gli occhi, per poco non bastò a fargli esplodere il cuore dall’orrore.

Il luogo che lo circondava era letteralmente mozzafiato. Era buio, oscuro, silenzioso. Nessun suono si udiva nel mezzo di quel silenzio assoluto. Non c’era niente attorno a lui, se non migliaia e migliaia di strutture quadrangolari simili a cubi immensi che formavano delle colonne di diverse dimensioni e altezza che circondavano ogni cosa. Erano ovunque. Alla sua destra, alla sua sinistra, in basso, in alto, e persino sotto i suoi piedi. Queste colonne quadrangolari erano bianche, completamente diverse rispetto all’oscurità che regnava sovrana in quel luogo. L’aria, poi, era fredda e secca, e Naruto riusciva a vedere intense nuvolette di vapore uscire dalle sue labbra ad ogni respiro che faceva.

“D-Dove siamo? Che posto è questo?” esclamò, osservandosi attorno con circospezione.

Il suono di una risata sommessa lo fece trasalire. L’ex Hokage si voltò di scatto, assottigliando lo sguardo. Suo figlio era sempre davanti a lui, e lo stava guardando con uno sguardo vittorioso ed oscuro. Lo fissava con quel suo occhio strano, scrutandogli l’anima con quella pupilla fosforescente ed elettrica, mentre un sorriso crudele e ferale gli contornava i lineamenti.

“Le dò il benvenuto nella mia dimensione personale, Settimo Hokage,” disse, aprendo le braccia ed indicando lo spazio e l’oscurità che li circondavano. “Questo è il mio mondo: il Mondo Distorto!” dichiarò solennemente.

Naruto esitò. “…una dimensione personale,” dedusse, guardandosi attorno con stupore e circospezione. “Proprio come quella di Kakashi-sensei quando aveva lo Sharingan.” Fece del suo meglio per trattenere l’ansia che gli attanagliava le viscere. Francamente, era immensamente sorprendente vedere che suo figlio fosse riuscito a tenere nascosta un’arma del genere per tutto questo tempo. Nessuno aveva mai scoperto che fosse in grado di evocare una dimensione propria e personale. Era… un colpo di scena inaspettato.

Ancora una volta, suo figlio dimostrava di essere ben più imprevedibile di quanto si era aspettato.

Boruto annuì lentamente. “Esatto. Tuttavia, questa dimensione non è normale come potrebbe pensare. Non siamo più sulla Luna, dove l’avevo confinata in passato,” il Settimo si voltò di nuovo verso di lui dopo quelle parole. “Questo mondo è speciale. Chiunque entri al suo interno viene visto come una… minaccia, diciamo. Soltanto la mia presenza viene accettata da questo mondo.”

L’Uzumaki represse un brivido d’inquietudine all’udire ciò. “Che vuoi dire?” domandò, furente.

Il suo primogenito si limitò a sorridere. Poi però, prima che Naruto potesse aprire bocca per parlare di nuovo, i suoi sensi allenati gli urlarono di mettersi al riparo. Un attimo dopo, il suo corpo sentì qualcosa serrargli con una potenza smisurata le braccia e le gambe. Sgranando gli occhi, il Settimo Hokage lanciò un urlo di sorpresa e si guardò freneticamente attorno mentre degli strani tentacoli bianchi gli avvolgevano completamente gli arti, serrandogli il corpo con una stretta dolorosa e opprimente.

Il biondo impallidì, fissando quei tentacoli sinuosi e macabri con uno sguardo accigliato. “C-Che diavolo sono questi?” esclamò, inorridito.

Suo figlio ridacchiò crudelmente. “Gliel’ho detto: questo mondo vede tutti coloro che vi entrano come una minaccia,” spiegò solennemente, fissandolo con uno sguardo freddo e impassibile mentre lui si contorceva nei tentacoli. “Quei tentacoli assorbono il chakra di chiunque vi poggi piede a parte me. Non è possibile fermare questo processo. Essi continueranno ad apparire ed attaccarla per sempre. Non importa quanto a lungo lotterà, non importa quanto a lungo proverà a resistere, loro continueranno ad apparire ancora, e ancora, e ancora e ancora… fino a quando non le sarà rimasta nemmeno una sola goccia di chakra.”

Naruto rimase a bocca aperta, completamente travolto dall’orrore.

Boruto lo fissò coi suoi occhi eterocromi crudeli. “Questa è la maledizione del Mondo Distorto,” dichiarò. “E la mia più potente arma contro di lei!”

Il Settimo Hokage sentì la rabbia della Volpe inondargli la mente. Con un mero scatto delle braccia, tutti i tentacoli che lo avvolgevano vennero abbattuti dalla furia di Kurama, esplodendo in nebbiosi ammassi di carne e sangue. “Ci vuole ben altro per sconfiggermi, Boruto,” dichiarò solennemente. “Una trappola simile non basterà a fermarmi.”

Il biondo vide suo figlio inarcare un sopracciglio. “Lei crede?” esalò con divertimento. “Non mi stupisce. Lei è l’uomo più forte del mondo. E quel vecchio Otsutsuki di prima è in grado di viaggiare tra le dimensioni esattamente come me. Per cui, per quanto sia duro ammetterlo, non rimarrei troppo stupito se nemmeno questo piano riuscisse ad intrappolarla per sempre come speravo.”

“Lui dov’è? Dov’è l’Eremita?” domandò furiosamente Naruto.

Boruto scrollò le spalle con disprezzo. “Sinceramente? Non ne ho idea,” rispose, ridendo di gusto nel vedere la sua espressione stralunata dopo quell’affermazione. “Ho fatto in modo che quel portale lo conducesse nel mondo più lontano possibile da noi. In questo modo, ci metterà un bel po' di tempo prima di riuscire a trovarla, Hokage, ed io sarò libero di continuare a portare avanti la mia opera senza che voi due mi mettiate ancora i bastoni tra le ruote. Ingegnoso, non è vero?”

Naruto s’irrigidì di colpo all’udire ciò. Fissò il volto crudele di suo figlio con un misto d’incredulità e orrore. “N-No, non può essere! Che cosa vuoi dire? Che hai intenzione di fare?!” urlò, diventando sempre più frenetico di secondo in secondo.

“Il tempo non scorre alla stessa maniera in tutti i mondi, sa?” replicò allegramente il Nukenin. “Anche se l’Eremita riuscisse a trovare questo mondo grazie al suo Rinnegan, ci metterà comunque un bel po' prima di raggiungerlo. Secondo i miei calcoli… una settimana o due, circa. Forse anche di più, se sarò fortunato. Un bel po' di tempo per permettermi di agire indisturbato, non trova anche lei?”

Il biondo si bloccò, completamente a bocca aperta. Una settimana o due? Non poteva essere. Non poteva essere vero. Se suo figlio lo avesse lasciato lì, anche solo per un giorno, le cose sulla Terra sarebbero sicuramente precipitate in maniera indescrivibile! Avrebbe potuto compiere una strage, o abbattere il loro esercito, o persino distruggere il Villaggio della Foglia in una sola ora di tempo! Non doveva permetterlo! Non poteva restare rinchiuso qui! Doveva fermarlo! Doveva riuscire a fuggire e tornare a casa! Doveva trovare-

Un ennesimo tentacolo gli avvolse il braccio in quel momento. Naruto imprecò, liberandosi con una furibonda contrazione dell’arto. Subito dopo, con un comando mentale, la cappa di fiamme che lo avvolgeva aumentò d’intensità all’improvviso, e nove piccole sfere di chakra oscuro guizzarono alla vita dietro di lui. I tentacoli che lo avvolgevano avvizzirono ed esplosero mentre attivava la Modalità Eremitica delle Sei Vie in tutta la sua potenza. Davanti a lui, il biondo vide suo figlio attivare a sua volta la sua Scia di Fulmini per fuggire.

“Non farlo, Boruto!” urlò allora emotivamente. Doveva fermarlo. Doveva trovare un modo per convincerlo a ripensarci. Fece un passo in avanti, abbattendo un’ennesima ondata di tentacoli con una singola pulsione di chakra. “Ti prego, ti supplico, figlio mio! Fermiamo questa follia! Possiamo ancora rimediare! Possiamo mettere fine a questa guerra senza dover più spargere altro sangue!”

Quello lo fissò con i denti snudati in un ringhio velenoso. “Siete stati voi a rifiutare la mia offerta. Non ci saranno altre trattative!” sibilò.

“Se lo farai, il mondo ti odierà per sempre!” continuò a dire suo padre. “La gente avrà per sempre terrore di te! Ti prego, Boruto, non farlo! Non peggiorare ancora le cose! Per una volta nella tua vita, cerca di ascoltarmi! La Foglia ed il mondo non possono permettersi un’altra guerra! Perciò non farlo, figlio mio! Torna a casa da me! Torna dalla tua famiglia!”

Suo figlio esitò dopo quelle parole. Incredibilmente. Miracolosamente. Inaspettatamente. Si bloccò di colpo, irrigidendosi come una statua ed abbassando la testa. Naruto sgranò gli occhi, scioccato da quella reazione, ed osservò il giovane davanti a lui mentre il suo corpo tremolava ed i suoi occhi iniziavano a versare lacrime di rabbia e dolore. Ma suo figlio non sembrò curarsene, non sembrò nemmeno accorgersene.

Il Settimo Hokage fece per parlare.

“Lei è veramente patetico,” sputò invece Boruto, zittendolo all’istante. Naruto sentì il suo cuore contorcersi di dolore a quelle parole. “Un verme. Un parassita. Senza la Volpe sarebbe meno di niente! Il Kyuubi (Enneacoda) è l’unico motivo per cui è diventato Hokage! L’unico motivo per cui lei è amato nel Villaggio è per via della Volpe sigillata dentro al suo corpo!” urlò, cercando disperatamente di farlo soffrire.

Naruto esitò, sentendo il suo cuore gemere ad ogni singola parola che suo figlio gli lanciava. Divenne solo vagamente consapevole del fatto che aveva iniziato a piangere ad un certo punto.

“Se ci tiene così tanto alla Foglia,” continuò a gridare suo figlio. “Allora la distruggerò! Forse allora capirà di chi avrebbe dovuto veramente preoccuparsi in passato, bastardo!

Il Settimo trattenne pesantemente il fiato all’udire ciò, versando lacrime di dolore e disperazione. D-Distruggere la Foglia? Che cosa voleva dire? Non poteva essere vero! Non poteva intenderlo per davvero! Non poteva!

“Boruto! NO!” gridò emotivamente.

Ma fu tutto inutile. Boruto salì verso il cielo con salto, schizzando all’aria come un missile ed allontanandosi rapidamente da lui, più simile ad una forza della natura che ad un uomo. Naruto imprecò, spingendo all'istante in avanti una della Sfere dei Desideri ed usandola come piattaforma volante per dargli la caccia. Ricacciò indietro le sue lacrime, ignorando i sussurri di dolore, mentre si concentrava unicamente ad inseguire suo figlio. Non poteva dare voce al suo dolore. Non qui, non ora. Quello era esattamente il piano di Boruto. Doveva raggiungerlo e fermarlo a tutti i costi.

Naruto poté sentire l’aria gelata di questo mondo lambirgli la sua carne esposta mano a mano che saliva nel cielo. Tuttavia, continuò a dare la caccia senza fermarsi. Boruto continuava a volare imperterrito, tuonando nel cielo oscuro, dritto come una freccia e veloce come un fulmine. Ora che aveva la possibilità di vederlo coi suoi occhi, Naruto riusciva chiaramente a vedere perché suo figlio fosse tanto temuto dal mondo. Era veloce, estremamente veloce. Nessuno poteva tenergli testa con quella cappa elettrica che lo avvolgeva. Se non fosse stato per la sua Modalità Eremitica delle Sei Vie, persino lui avrebbe avuto difficoltà a seguirne i movimenti.

Boruto cambiò direzione all'improvviso, passando da una traiettoria verticale ad una orizzontale. Naruto strinse i denti, esortando la sua piattaforma ad inseguirlo più velocemente. Non avrebbe avuto alcuna possibilità di raggiungerlo se avesse volato da solo. Ma con il chakra delle Sfere... stava guadagnando terreno. Il paesaggio a cubi di quel mondo divenne una sfocatura sotto di lui, ed i suoi sensi aumentati dal chakra persero completamente ogni tipo di orientamento. Questo mondo, qualunque cosa fosse, era completamente uguale e immutabile ovunque i suoi occhi guardassero.

Improvvisamente, come prima, Boruto cambiò direzione. Tornò perfettamente verticale, guadagnando rapidamente quota. L’ex Hokage imprecò, le parole che gli furono strappate dal vento impetuoso, e seguì ancora il suo figlio ribelle. Boruto non aveva intenzione di fermarsi o rallentare. Se non altro, invece, andò ancora più veloce. Naruto si sforzò di eguagliarlo. 

Nonostante il momento terrificante, una risata inaspettata gli uscì fuori dalla gola. Questa scena era molto simile ai loro vecchi inseguimenti di un tempo, quando Boruto era piccolo e loro due giocavano insieme a nascondino. Quei tempi erano ormai perduti, ma la sua mente non poté fare a meno di ricordarli ancora con affetto. E quel pensiero bastò a rafforzare la sua determinazione.

Non avrebbe permesso a suo figlio di distruggere Konoha. Per nessuna ragione al mondo.

L’inseguimento proseguì per quella che parve un’eternità. Più in alto salivano, più l’aria diventava fredda. Naruto ammiccò con le palpebre, osservando le nuvole oscure di questo mondo che si avvicinavano rapidamente, e si preparò ad attraversarle con una rinnovata determinazione. Poi, non appena si immerse nella loro coltre nera, lo spettacolo che lo accolse gli tolse l’aria dai polmoni.

Era una vista mozzafiato. Una visione talmente bella che Naruto non ne aveva mai sperimentato una simile prima di allora. Il cielo era diventato di una tonalità blu scura, simile a quella dello spazio profondo; l'aria era gelida e sottile, e le nuvole catturavano la luce delle stelle prima che potesse toccare il suolo. Fu vedendo quella scena che Naruto realizzò perché quel mondo fosse sempre così buio. Senza un sole od una stella ad illuminarlo, la luce non riusciva a passare tutta quella coltre di nubi che avvolgevano il pianeta, gettandolo in una perenne desolazione di freddo e buio totali.

Ma non era tempo di soffermarsi a pensare. Naruto immise più energia nelle sue Sfere dei Desideri, aumentando la velocità della sua andatura. Boruto se ne accorse ed accelerò a sua volta, divenendo quasi un fulmine incorporeo che danzava tra le nuvole verso Est. Il Settimo poteva vedere la scia bluastra che era suo figlio mentre danzava furiosamente in mezzo alle nubi. Lo colpì, allora, quanto stessero andando veramente veloci sia lui che il suo primogenito. Tuttavia non poteva arrendersi, e per questo si esortò ad andare ancora più veloce. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso quando colse una vaga occhiata da parte di suo figlio e percepì il fastidio puro che irradiava il suo corpo.

Boruto accelerò il ritmo.

Se Naruto aveva pensato che stessero andando veloci prima, non era niente in confronto a quanto stessero tuonando attraverso i cieli adesso. Un tuono rimbombò in mezzo alle nubi, annunciando il loro passaggio, e Boruto fu avvolto in un velo di nebbia che si trascinò dietro di lui mentre si scagliava attraverso il cielo come nient'altro che un lampo di fulmine.

Naruto non si sarebbe permesso di perdere. Si spinse ancora più veloce, e poi ancora, e ancora, e ancora e ancora; sempre più veloce. Stranamente, ad un certo punto, il cielo sembrò perdere il suo colore blu scuro e la sua brillantezza. Ma comunque, Naruto stava guadagnando terreno su suo figlio. Se solo fosse riuscito ad andare un po' più veloce...

Boruto salì ancora, andando in verticale, e suo padre non esitò ad inseguirlo. Il cielo si fece ancora più scuro, passando dal blu al nero, e l'aria divenne fredda come il ghiaccio e secca come il deserto. Boruto stava ancora spingendo, stava andando ancora più veloce, e Naruto fece lo stesso. Il cielo sbiadì dal nero al grigio pallido, come se una fitta nebbia si fosse introdotta davanti a lui, oscurandogli la vista. L’ex Hokage scosse la testa, sostenendosi con un braccio alla piattaforma che aveva evocato dalle Sfere ed asciugandosi gli occhi con l'altro.

Ma la nebbia grigia che sbiadiva ogni colore rimase, e Boruto volò sempre più in alto. Le stelle divennero sempre più visibili, sempre più scintillanti in mezzo al cielo. Naruto si spinse più forte, ancora e ancora e ancora, sempre più veloce, iniziando di nuovo a guadagnare terreno su suo figlio.

‘-uto!’ ruggì una voce profonda e arrabbiata. Il biondo sbatté le palpebre, i bordi della sua visione che si restringevano pericolosamente. ‘Naru...o!’ ululò furiosamente Kurama.

"Cos-?" esalò l’Hokage, le sue parole rubate dal vento mentre le pronunciava.

‘Smettila con questa follia, moccioso! Il tuo corpo non può sopportare uno sforzo simile!" ruggì Kurama.

Il fulmine che era suo figlio schizzò in orizzontale, saettando ancora più veloce per i cieli. Stava scappando. Naruto non poteva permettere che accadesse. Più veloce! Doveva andare più veloce!

‘-aru-o!’

Naruto non si arrese. Esercitò il massimo del suo potere sulla Sfera che lo stava reggendo e la spinse il più velocemente possibile, fino a quando l’aria divenne rarefatta ed il suo corpo sembrò pesare mille volte più del normale. Il mondo apparve perduto per lui, la sua vista offuscata e grigia, e la sua mente non divenne altro che un pensiero concentrato esclusivamente su Boruto. Subito dopo, l'oscurità iniziò a insinuarsi nella sua visione. In lontananza, una furiosa voce bestiale stava ruggendo minacce a non finire, ma lui non riuscì a capirne le parole.

Suo figlio era vicino, così vicino. Non più di poche decine di metri. Se solo potesse avanzare un po' di più, se solo potesse fare in modo che una delle sue Sfere libere schizzasse in avanti-

Il mondo si oscurò di botto e Naruto cadde verso il basso.
 


Boruto sorrise mentre saettava in mezzo ai cieli del Mondo Distorto. Come un lampo, più veloce di un tuono, il suo corpo era letteralmente diventato Fulmine. Etereo, intoccabile, inflessibile. Niente e nessuno poteva raggiungerlo a questa velocità, nemmeno quell’inutile Hokage che lo inseguiva da decine di minuti. Era inarrivabile. Grazie al Potere del Risveglio, era diventato l’essere più veloce della Terra!

Niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo.

Il suo Jougan sentì immediatamente il cambiamento repentino. Boruto esitò mentre percepiva il chakra di suo padre tremolare, voltando la testa all’indietro verso il suo inseguitore. L’Hokage era completamente privo di sensi, e le lingue oro-arancio della sua cappa energetica si stavano consumando mentre il disco di chakra nero su cui volava si dissolveva nel nulla. Cadde, in mezzo al vento e al ghiaccio, precipitando verso il suolo alla massima velocità. I secondi passarono e l’Hokage non si mosse. “Andiamo, vecchio idiota,” ridacchiò Boruto, le sue parole che rimbombavano come un tuono nel cielo oscuro. “Quello è il trucco più vecchio del mondo! Pensa davvero che ci possa cascare?”

Suo padre continuò a cadere senza dare segni di coscienza. Il panico iniziò a farsi sentire dentro di lui. Se quell’uomo fosse morto prima che il Kyuubi potesse essere estratto dal suo corpo, ci sarebbero voluti decenni prima che il Demone si ricostituisse. Boruto sarebbe potuto essere già morto a quel punto, o peggio ancora, troppo vecchio e debole per riuscire a combattere e sconfiggere il Bijuu. E oltre a tutto questo… una piccola parte di lui non voleva che suo padre morisse. Non qui, non ora. Non prima di avere avuto la sua vendetta.

Boruto ululò, frustrato. “Maledetto vecchio bastardo! Come ha fatto un inetto come lei a generare qualcuno di grande come me!” gridò rabbiosamente al cielo.

Boruto dissolse gli effetti del Potere del Risveglio, restando avvolto solamente con la sua Scia Scattante di Fulmini. In un istante, l’aria sottile e gelida della termosfera gli tolse il fiato dai polmoni e lo raggelò fino alle ossa. Scattò in basso alla massima velocità, scendendo verso terra senza fermarsi mai. Dentro di lui, sapeva che se non si fosse dato una mossa nessun tipo di cure mediche lo avrebbero salvato. Creò un clone con una contrazione delle dita, lo afferrò per le gambe e lo scagliò verso suo padre con tutta la forza che riuscì a generare. Il suo clone raggiunse l’Hokage in un batter d’occhio, afferrandolo con le braccia e puntandogli una mano sopra il cuore. Poi, senza perdere più tempo, gli investì una piccola scarica elettrica nel corpo per riscuoterlo dal torpore.

Il Ninja traditore pregò che quella scarica potesse bastare a risvegliare suo padre prima che si sfracellasse al suolo. Con o senza la Volpe dalla sua parte, una caduta del genere avrebbe sicuramente ucciso qualsiasi essere umano. Senza contare poi i tentacoli…

Poi, qualcosa accadde. Boruto sibilò mentre percepì l’aria diventare improvvisamente bollente. Il suo clone esplose all’istante, carbonizzato fino all’osso, mentre una spessa pelliccia rossa ed ustionante iniziò a generarsi attorno al corpo privo di sensi di suo padre. La pelliccia aumentò, crescendo di dimensioni e divenendo sempre più spessa e aderente, e Boruto osservò con soggezione mentre la Volpe a Nove Code si faceva carne ancora una volta. Il Demone prese possesso del corpo dell’Hokage e scatenò un terribile ululato, seguito da un’esplosione di chakra che infiammò i cieli di colore rosso, giallo e arancio.

“Stupidi, incoscienti e testardi umani senza senno!” ruggì il Kyuubi con furia disumana, scatenando la propria rabbia in mezzo al cielo. “Metterò fine a questa farsa per entrambi!”

Boruto sorrise. “Non oggi, schifosa bestia,” pensò tra sé e sé. Non era ancora completamente sicuro di poter sconfiggere suo padre o la Volpe in uno scontro frontale. Non senza i suoi amici e la Spada Muramasa, almeno. Per cui, combattere adesso non era un’opzione. Ci avrebbe pensato il Demone a garantire la sopravvivenza di quell’allocco da adesso in poi.

Perciò, incanalando le ultime energie che gli restavano nel Jougan, Boruto proiettò un altro portale oscuro sotto di lui, cadendoci dentro e fuggendo lontano dalla sua dimensione personale.
 


01 Giugno, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
11:50

Ovviamente, nella fretta del momento, la sua mente sbagliò i calcoli di arrivo.

Boruto grugnì mentre cadeva di peso sopra al tetto del castello dell’Occhio, sfondandolo completamente col suo corpo e schiantandosi nel bel mezzo della sala principale. Sentì le sue ossa e i suoi muscoli gemere, mentre il pavimento si incrinava per la forza dell’impatto. Il tonfo echeggiò nelle sue orecchie per quelle che parvero ore, prima di essere sostituito dal fragore delle tegole che cadevano e dal rumore di cristalli infranti. Poi, il silenzio benedetto tornò a regnare su ogni cosa.

La sua cappa di fulmini si dissolse come fumo, lasciandolo spoglio e vuoto più che mai. Boruto ansimò pesantemente. Rimase fermo e immobile, giacendo con le braccia e le gambe aperte sopra al pavimento. Dopo un paio di secondi di esitazione, un piccolo sorriso gli incurvò le labbra. Poi, il sorriso si allargò, fino a diventare un ghigno dentato e trionfante.

Poi, il giovane scoppiò a ridere.

Quando smise di ridere e riaprì gli occhi, Mikasa, Sora e tutti gli altri si erano radunati attorno a lui. La sua ragazza era inginocchiata sopra di lui, passandogli le mani rivestite di energia verde sopra al corpo per cercare di curarlo. Le sue risate ripresero a squassargli il petto, facendolo lacrimare.

Gray, Juvia e Toneri lo guardarono come se fosse impazzito. “Che cosa è successo?” domandò Urahara.

Boruto riprese fiato, trattenendo le risatine persistenti. “È… È fatta!” dichiarò, ancora incredulo.

I suoi amici si scambiarono un’occhiata. “Che cosa?” chiese Mikasa.

Il biondo rivolse loro un sorriso a trentadue denti. “Mi sono liberato dell’Eremita e dell’Hokage.”

Il distintivo sguardo di stupore e – il biondo se ne compiacque – trepidazione nel volto dei suoi cari fu immensamente gratificante da vedere. Boruto si rimise lentamente in piedi, aiutato dal sostegno di Mikasa.

“Possiamo dare inizio all’operazione ‘Kara’,” ordinò.
 





 
 

Note dell’autore!!!

Ve l’avevo detto che questo capitolo sarebbe stato diverso dal solito. È un po' un tributo alla Battaglia di Eldia, per me, poiché si svolge durante un unico e breve lasso di tempo, esattamente come accadeva quasi sempre nei capitoli di quella storia. Spero che sia stato di vostro gradimento. Se ci sono errori di grammatica o ortografia, vi prego di farmelo sapere.

Il Mondo Distorto è la dimensione personale di Boruto, accessibile grazie al Jougan, già mostrata ne ‘Il Pianto del Cuore’ al capitolo 61 e citata anche ne ‘La Battaglia di Eldia’.

Vorrei chiarire meglio, per chi avesse dei dubbi, quello che è successo a Naruto in questo capitolo: Naruto è stato vittima di un fenomeno fisico che esiste realmente e che ho studiato in passato. In sostanza, ha sperimentato la cosiddetta Perdita di Coscienza indotta dalla Forza G – anche detta G-LOC (G-force induced Loss Of Consciousness) in inglese. Essa può verificarsi quando un pilota si sottopone ad una manovra che prevede un'accelerazione troppo elevata per il suo fisico. Questo provoca l'assenza di ossigeno a causa della mancanza di un corretto flusso di sangue al cervello, provocando un black-out momentaneo (la cosiddetta "visione nera") che in volo può rivelarsi fatale.

Questo è il motivo per cui Naruto ha perso conoscenza durante il suo inseguimento con Boruto. Stava letteralmente andando così veloce che il suo sangue era diventato troppo pesante affinché il suo cuore potesse pomparne abbastanza al cervello e fornirgli ossigeno. Invece Boruto, che ovviamente è un maestro del Fulmine e del Vento e pesantemente addestrato ed abituato alle velocità eccessive, non ha avuto questo problema, anche grazie al Potere del Risveglio. Naruto sarà potente, certo, ma ha comunque bisogno di ossigeno per vivere. Per cui, il risultato è quello che avete letto.

Il prossimo capitolo sarà l’ultimo prologo prima dell’esplosioni finale. L’assalto al Villaggio della Foglia si avvicina.

Oh, e grazie a tutti coloro che mi hanno scritto in questi giorni per farmi sapere le loro opinioni riguardo alla domanda dello scorso capitolo. Non ho ancora finito di leggere tutti i messaggi, ma appena ci riesco vi farò sapere la mia decisione.

A presto!

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Capitolo 37
*** Operazione Kara ***


OPERAZIONE KARA




01 Giugno, 0022 AIT
Terra dei Fiumi, Valle senza Nome
Nascondiglio Segreto di Saiken
08:03

Due ore prima dell’inizio del capitolo precedente

Nonostante l’estate fosse ormai vicina, la pioggia cadeva incessantemente sopra di lei. Himawari la accolse in silenzio, senza nemmeno tentare di mettersi al riparo. Dopotutto, lei per prima dubitava che quest’alluvione tropicale potesse lavare via l'atmosfera intricata e disperata che attanagliava lei ed i suoi amici.

Alzando lo sguardo in alto, posò i suoi occhi azzurri sotto al cielo scuro e cinereo.

Nonostante l’aria attorno a lei fosse calma e silenziosa, un certo sentimento persistente le attanagliava l’anima da diverso tempo.

La sensazione di essere osservata.

Himawari ne era certa. Non sapeva perché, non sapeva come, ma ne era certa. Nel momento in cui era uscita dall’accampamento, i suoi sensi allenati avevano percepito un distintivo paio di occhi puntarsi su di lei. All'inizio aveva pensato che fosse solo una paranoia… ma mano a mano che il tempo passava e i suoi sensi si estendevano, il suo animo diventava sempre più sensibile allo sguardo, fino a convincerla definitivamente della sua esistenza. Qualcuno, da qualche parte e in qualche modo, la stava osservando.

Ma chi?

La sensazione che si sentiva addosso non era per niente piacevole. Era feroce, malevola, opprimente. Una sensazione che sapeva di rabbia e di vendetta. Qualcosa di molto più oscuro e feroce di quanto non avesse mai percepito prima, nemmeno nello sguardo oscuro ed infestato di suo fratello. Questo, questo era molto peggio.

E questa cosa la spaventava.

Rimase ferma in mezzo alla foresta, il suo corpo completamente immerso sotto la pioggia. Aveva pensato che allontanandosi dal campo si sarebbe sentita meglio, che sarebbe riuscita a trovare un attimo di respiro, ma così non era. La sensazione non cessava. Lo sguardo puntato su di lei non diminuiva. E lei se lo sentiva dentro con una certezza indomabile.

Con un ringhio di frustrazione, si allontanò dalla foresta e si diresse nuovamente all’accampamento.

Poi, di colpo e all’improvviso, si fermò.

Dopo aver fatto a malapena cinque passi verso il luogo dove si trovavano i suoi amici, i suoi occhi vennero accolti da uno spettacolo inaspettato.

Sopra al ramo di un abete secolare, fradicio di pioggia ma apparentemente incurante dell’acqua, un gufo nero e delle proporzioni immense stava appollaiato in attesa di qualcuno. La cosa inquietante?

Gli occhi gialli del volatile erano puntati su di lei.

La ragazza esitò, prima di fare un respiro profondo ed avvicinarsi tentativamente all’animale. Due secondi dopo, come se le avesse letto nel pensiero, il gufo emise un suono sordo dal suo becco, sollevandosi dal ramo e svolazzandole dinanzi in mezzo alla pioggia.

Himawai sgranò gli occhi con stupore. "Che cosa diavolo...?"

Una lettera nera era legata alla zampa del gufo.
 


.

.

.
 


01 Giugno, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Campo di Addestramento n°14
12:00

Shikamaru fece una smorfia mentre sentiva il sapore amaro del tabacco sulla lingua. La sigaretta che stava fumando era stretta tra i suoi denti talmente forte che si stava schiacciando. Respirò meccanicamente, dentro e fuori, ad un ritmo costante, perché sapeva che se non lo avesse fatto avrebbe inconsapevolmente respirato a malapena fino a quando non avesse perso la pazienza in un impeto di rabbia.

La situazione era tesa. La guerra puntava a favore del nemico, e come se questo non fosse stato abbastanza, adesso era persino successo l’impensabile. Naruto e Sentoki erano scomparsi. Erano svaniti nel nulla. La loro presenza e la loro segnatura di chakra erano completamente scomparse. E questo non poteva significare nulla di buono.

“Sei sicuro che sia questo il luogo?” domandò nervosamente.

Accanto a lui, l’Ottavo Hokage annuì, fissando il campo di addestramento e la natura che li circondava con sguardo attento. I suoi occhi, solitamente neri e scuri come la notte, adesso erano diventati gialli e dalle pupille allungate, con le palpebre avvolte da chiazze di energia color arancio. Gli ANBU e i Jonin presenti perlustravano i dintorni con la massima serietà mentre il neo Hokage scandagliava il campo con la sua Modalità Eremitica dei Rospi, allungando i sensi alla ricerca della più piccola pulsione di chakra.

“Non ci sono dubbi,” rispose Konohamaru. “La strana interferenza energetica che abbiamo percepito poco fa proveniva da qui. Così come il chakra di Naruto e Sentoki.”

Il Nara posò lo sguardo verso tutto ciò che gli capitava sott’occhio. “Ma non sono più qui?” pressò ulteriormente.

“Non sono più qui,” confermò l’Ottavo. Serrò le dita mentre la sua fronte cominciava a sudare copiosamente. In meno di un battito di ciglia, si voltò di scatto e prese a sbraitare ordini ai loro uomini affinché comunicassero lo stato d’allerta per tutto il Villaggio. Se Naruto e Sentoki erano scomparsi – Naruto e Sentoki, tra tutti – allora l’intera Konoha era in pericolo.

Ecco perché Shikamaru era alle prese con la rabbia e il terrore in quel momento. Conosceva Naruto da una vita, e dopo tutte le esperienze passate con Sentoki, sapeva che quel vecchio monaco era una persona di cui poteva fidarsi. Per cui, se quei due erano scomparsi, la situazione era grave. Non avrebbero mai potuto andarsene dal Villaggio senza una valida ragione, men che mai senza avvertire nessuno. Non così, non in questo modo. E la strana pulsione di energia oscura che Konohamaru aveva percepito pochi minuti fa non faceva altro che alimentare i suoi sospetti.

Era successo qualcosa. Qualcosa di terribile. Su questo, Shikamaru era pronto a scommetterci.

Konohamaru si voltò nervosamente verso di lui. “…credi che sia opera di Boruto?” domandò, facendo la fatidica domanda.

“Indubbiamente,” sibilò il Nara. Mentre rispondeva, fece del suo meglio per trattenere la rabbia che gli incendiava il cuore. Non c’erano dubbi nella sua mente sul fatto che all’origine della scomparsa del Settimo Hokage e dell’Abbate del Tempio del Fuoco ci fosse lo zampino del Kurokage. Nessuno al mondo poteva essere tanto folle da colpire quei due se non lui. Naruto e Sentoki non solo erano potenti, ma erano anche gli unici al mondo capaci di fronteggiare Boruto senza timore di perdere la vita. Per cui, se erano scomparsi, se erano stati in qualche modo costretti ad abbandonare il Villaggio, non poteva che essere opera sua.

Il Sarutobi appassì visibilmente. “Che cosa possiamo fare, Shikamaru?”

Shikamaru lo guardò con tristezza. Quella domanda gli era uscita fuori con un tono di voce basso e disperato, come se fosse completamente perso. E lui non poteva biasimarlo per la sua tensione. Konohamaru, giovane com’era, era in realtà un buon leader. Che fosse per via del suo retaggio, per via dei suoi predecessori, o per via di chi avesse finalmente deciso di essere; era un buon Hokage. Shikamaru lo sapeva, e lo stava vedendo sempre di più. Lui e Konohamaru avevano a cuore le stesse cose, e quest’ultimo era molto più propenso ad agire e ragionare a mente fredda rispetto a quanto lo fosse stato Naruto. Eppure a volte, proprio come adesso, il Sarutobi faticava molto sotto al peso della leadership, probabilmente a causa dell’inesperienza.

L’unica cosa che poteva fare era restargli accanto e consigliarlo al meglio delle sue possibilità. Shikamaru lo sapeva. Era il suo dovere di consigliere, di amico, e di tutore. Konohamaru era, dopotutto, il nipote del Terzo Hokage, nonché di Asuma, il suo vecchio sensei. Un uomo che per lui era stato un secondo padre in tutto, e che gli aveva insegnato il significato vero di ciò che rappresentava essere uno Shinobi. Per cui, non poteva abbandonare questa responsabilità.

“Allertiamo la Divisione di Sicurezza,” enunciò il Nara. “Raddoppiamo i turni. Mobilitiamo gli ANBU e il Dipartimento di Tortura. Tutti gli Shinobi del Villaggio – o almeno tutti quelli dal rango Chuunin in su – devono sapere ciò che è successo. Devono sapere che siamo in pericolo.”

Konohamaru annuì. Ritornò ad assumere un’espressione solenne, proprio come si addiceva al suo ruolo di Ottavo Hokage. “Manderò un messaggio anche agli altri Kage. Ormai sono partiti tutti per la Capitale assieme all’esercito, ma faremmo ugualmente meglio a dire loro la verità. Se Naruto è scomparso, prevedo brutte cose per tutti noi.”

Shikamaru sospirò, sputando a terra la sua sigaretta. “Dovremo avvisare anche Hinata ed il clan Hyuuga. Hanno il diritto di sapere,” aggiunse.

Il neo Hokage lanciò un’occhiata alle guardie che li circondavano. Il silenzio cadde ancora una volta mentre tutti gli ANBU svanivano nel nulla, affrettandosi ad ubbidire agli ordini. Una volta rimasti da soli, Konohamaru posò ancora una volta gli occhi sul suo consigliere. “E Sakura?” domandò a quel punto. “Dobbiamo avvisare anche lei?”

I denti di Shikamaru si serrarono ancora di più. Per quanto odiasse ammetterlo, ciò che era appena successo era più preoccupante di quanto potesse sembrare. “Sì,” rispose. “Inviamo immediatamente un falco messaggero. Sakura, Sarada, Himawari e mio figlio devono sapere a loro volta. Non possiamo rischiare, arrivati a questo punto.”

“E se decidessero di tornare?” chiese ancora l’altro.

“Non lo faranno,” dichiarò il Nara, deciso. “Glielo ordineremo espressamente. Forse Sakura deciderà di tornare lo stesso, visto il suo carattere, ma se gli altri abbandonassero i Bijuu per tornare al Villaggio, i Kara non esiterebbero a catturarli come hanno fatto in passato. Non possiamo rischiare una cosa del genere. Devono restare lì, per quanto io stesso detesti quest’idea. E così dovranno fare anche i Kage.”

Konohamaru trasalì come se fosse stato colpito. “V-Vuoi che Mei, Yurui e tutti gli altri continuino a restare nella Capitale?!” esclamò. “Ma perché?”

Un rivolo di sudore cadde lungo la fronte di Shikamaru. “È solo una mera ipotesi, ma se durante l’assenza di Naruto e Sentoki Boruto dovesse giungere qui… è meglio tenere lontano da lui l’esercito e i nostri alleati. Non possiamo rischiare di perdere anche loro.”

Gli occhi dell’Ottavo si sgranarono a dismisura. La sua mente non ci mise molto a realizzare cosa stava implicando il Nara con quelle parole. “Vuoi dividere le nostre forze,” sussurrò, serio. “Così da avere comunque un fronte di difesa nel caso in cui Boruto decidesse di attaccare Konoha. Ma… Ma questo è-”

“Non abbiamo scelta, Konohamaru,” disse lui, amaro.

“Come puoi dirlo? Vuoi letteralmente usare il Villaggio come esca! Non possiamo mettere in pericolo gli abitanti della Foglia!”

“E cos’altro possiamo fare?” ribatté il Nara, secco e deciso. L’Ottavo Hokage esitò dopo quella risposta brusca, restando in silenzio mentre l’altro continuava a rispondergli a tono. “Non lo capisci? Senza Naruto e Sasuke non abbiamo speranza di resistere all’Impero. Non c’è nessun altro capace di tenere testa a Boruto. Sarada potrebbe farcela, forse, ma non possiamo chiederle di tornare qui ed abbandonare il Rokubi (Esacoda) e il Nanabi (Eptacoda) al loro destino. Perciò, se vogliamo resistere, se vogliamo salvare l’unica speranza che ci rimane per vincere questa guerra, dobbiamo tenere l’esercito lontano dal nemico. Se cadesse anche quello siamo fottuti, Konohamaru!”

Il giovane Sarutobi strinse i pugni con così tanta forza da far quasi fuoriuscire il sangue. “E i civili? Non possiamo metterli in pericolo,” dichiarò a denti stretti.

Shikamaru annuì. Sapeva bene anche questo, ovviamente. “È per questo che mobiliteremo lo stato d’allerta. In questo modo i civili e tutti coloro che non fanno parte del Corpo di Difesa potranno abbandonare il Villaggio. Possono trovare rifugio nella Capitale, o nelle città più vicine. È la mossa più sicura che ci rimane se vogliamo proteggerli davvero.”

Konohamaru serrò impotentemente i denti. “Non è abbastanza,” sibilò. “Non ci sono garanzie. Non sappiamo nemmeno se Boruto attaccherà il Villaggio o meno. Cazzo, per quanto ne sappiamo, potrebbe benissimo prendere di mira la Capitale o qualsiasi altra città della Terra del Fuoco!”

“Non lo farà,” ribadì invece Shikamaru, senza perdere la calma. “Fidati di me, lo so per certo. Ciò che Boruto vuole si trova nella Foglia, e lo sa anche lui. Per cui, se dovesse attaccare davvero… lo farà qui.”

L’Hokage esitò dopo quelle parole, visibilmente colto alla sprovvista. Ciò che Boruto vuole si trova nella Foglia? Che cosa voleva dire Shikamaru con quella frase? Che cosa stava nascondendo?

Incerto su cosa pensare, Konohamaru non riuscì a proferire parola. Si limitò ad annuire, abbassando la testa con rabbia, le sue braccia che tremavano letteralmente per la furia che gli scorreva nelle vene.

Shikamaru sospirò, ingoiando il suo panico. Tirò fuori dalla tasca il suo pacchetto di sigarette. “Andiamo,” disse allora, accendendone una con moto disinvolto. “Dobbiamo escogitare un piano di difesa. Non possiamo lasciarci cogliere impreparati.”

Il Nara poté solo pregare affinché tutto potesse andare per il meglio.
 


01 Giugno, 0022 AIT
Terra dei Fiumi, Valle senza Nome
Nascondiglio Segreto di Saiken
15:15

"...e questo è probabilmente quello che sta pensando il nemico."

Sarada, Sakura, Himawari, e tutti gli altri membri della guardia dei Cercoteri ascoltarono in silenzio mentre Shikadai finiva di leggere ad alta voce il contenuto della lettera. Una lettera scritta in fretta e furia, appena inviata dal Villaggio della Foglia meno di due minuti fa. Si erano radunati tutti attorno a lui, nervosi e solenni, il loro accampamento posizionato come sempre vicino alla tana del Rokubi (Esacoda), nel bel mezzo di una valle immersa nella foresta tropicale. Dietro di loro, le immense e possenti figure di Saiken e Chōmei – per la prima volta riuniti fisicamente assieme – torreggiavano a loro volta, fissandoli dall’alto in basso con attenzione mentre discutevano delle notizie appena apprese.

“Probabilmente, i Kara useranno la scomparsa del Settimo e Sentoki come occasione per tentare di assaltare il Villaggio,” concluse amaramente il giovane Nara. Non mancò di notare nessuna delle espressioni gelide che i suoi compagni gli stavano rivolgendo. “Ma secondo mio padre, quest’azione potrebbe anche essere un diversivo per attaccare i Bijuu. L'importante, perciò, sarà prestare attenzione a ciò che sta accadendo nella direzione opposta a Konoha… ovvero qui."

Ora che la notizia era arrivata, la tensione e la rabbia invasero tutti i presenti come un fiume in piena. I volti di tutti erano freddi, tesi e spaventati, illuminati solo dai fasci di luce filtrati dalle fronde degli alberi che circondavano l'accampamento. E non appena Shikadai finì di riferire il contenuto della lettera, un brusio nervoso iniziò ad aleggiare tra i loro ranghi.

"Ehi, Shikadai… pensi davvero che dovremmo ubbidire agli ordini questa volta?" chiese a quel punto Inojin, fissandolo con uno sguardo aspro.

"Siamo di cattivo umore?" esalò Chocho.

"Piantala di scherzare, Chocho! La situazione è seria!"

Il giovane Nara guardò Inojin mentre rispondeva a tono verso la ragazza, ma anche se il suo sguardo era fisso sui suoi compagni di Team, pronunciò le parole successive pensando solo a Sarada e Himawari, le quali erano rimaste completamente in silenzio fino ad ora.

“Non abbiamo altra scelta. Se Boruto e i Kara dovessero davvero assaltare Konoha, ci penseranno mio padre e l’Ottavo a gestire la situazione. Conoscendo il mio vecchio, a quest’ora avrà già escogitato un piano di difesa ed evacuazione per i civili e la sicurezza. In ogni caso, il nostro compito è chiaro: dobbiamo proteggere Saiken e Chōmei,” i suoi occhi guizzarono verso i due Demoni codati alle sue spalle. “Dovremo affidare la salvezza della nostra casa agli adulti, e per quanto il solo pensiero di ciò sia, per me in primis, terribile… questa volta non possiamo correre alcun rischio. Vi prego di esserne consapevoli."

Himawari e Sarada, che avevano entrambe visto la rabbia di Boruto durante lo scambio di Temari coi Kara, sembrarono credere che sarebbe stato difficile.

Seduta accanto a sua figlia, la matriarca del clan Uchiha sospirò e fece schioccare le dita. "La questione puzza, ma fondamentalmente è la scelta più logica. Non possiamo mettere a rischio la sicurezza di Konoha, quella dei Bijuu e quella delle nuove generazioni tutte in un colpo solo. Per cui, voi dovrete restare qui."

Tutti quanti si voltarono verso la donna con uno sguardo allibito. Solo Sarada, con sommo stupore di Shikadai, non sembrò per niente sorpresa dalla dichiarazione di sua madre.

Fu Sumire a dare voce allo stupore generale. “Sakura-san… lei vuole tornare indietro?” domandò.

Sakura annuì. “Ho già visto la mia casa venire distrutta una volta. Non permetterò che accada di nuovo,” rispose, fissando il mondo con rabbia. I suoi occhi verdi erano aggrottati e pieni di gelida e muta furia. “Esattamente come Shikamaru, affiderò a voi giovani la difesa dei Bijuu. Siete la speranza di questo mondo, e non possiamo mettere a rischio anche voi. Non dopo tutto ciò che è successo.”

“Ma… una cosa del genere-”

“Sarada sarà con voi,” dichiarò con forza la rosa, mettendo una mano sulla spalla di sua figlia ed interrompendo qualsiasi cosa Shikadai stesse cercando di dire. “Se è riuscita a tenere testa a Boruto, sono certa che non avrà difficoltà a gestire qualsiasi situazione. Per quanto io sia preoccupata, mi fido di lei, e so che in circostanze estreme come questa non c’è posto per i sentimenti personali. Perciò, mi fiderò di lei, e mi fiderò anche di voi. La mia decisione è presa.”

Shikadai e Himawari si scambiarono un’occhiata. Poi il Nara posò lo sguardo su Sarada e, vedendola annuire a sua volta con decisione, sentì la sua risposta morirgli in gola. Sapeva che non c’era nulla che potesse dire o fare per convincere Sakura a cambiare idea. Quella donna era letteralmente imprevedibile, anche se avrebbe dovuto aspettarselo. Non solo era stata l’allieva di Tsunade Senju, ma era anche il terzo membro dell’originale Team 7 della Foglia. Vivere fianco a fianco con dei mostri della natura come Naruto e Sasuke avrebbe reso indomabile lo spirito di qualunque persona, indubbiamente.

“…d’accordo,” sospirò allora Shikadai. “Allora noi resteremo qui, come ha richiesto mio padre. Lei invece, Sakura… si prenda cura della situazione laggiù.”

Sakura gli rivolse un sorriso feroce. "Non temete, andrà tutto bene. Lasciate a noi adulti il compito di proteggere Konoha da Boruto. Non possiamo lasciargli fare quello che vuole."

Sarada, Shikadai e gli altri le risposero con un sorriso ironico.

“Comunque, non ci sono prove certe del fatto che il Villaggio sarà attaccato,” soggiunse a quel punto Inojin. “L’Impero ha già i suoi occhi su di noi. Boruto potrebbe usare tutta questa situazione come diversivo per prendere di mira noi giovani e i Bijuu al posto della Foglia."

Shikadai esitò, ma ritrovò il suo coraggio non appena vide Himawari, Sumire e Chocho aggrottare la fronte con orrore. Sarada e sua madre, invece, non reagirono. “Non c’è modo di dirlo, ma se c’è una cosa di cui siamo certi è che Sarada può tenere testa a Boruto," disse allora con decisione. “La sua abilità di previsione è stata indispensabile durante l’ultima battaglia, per cui dovremmo stare sul sicuro. Dubito fortemente che Boruto sia riuscito a trovare un modo per sopraffarla in così poco tempo. Attaccarci di nuovo adesso… non avrebbe senso. Non così, perlomeno.”

"Ma è comunque rischioso... non è vero?" domandò la diretta interessata, i suoi occhi neri che ardevano ferocemente.

“Lo è. Ma come ha già detto tua madre, non abbiamo altra scelta," rispose il Nara in assoluta serietà.

All'improvviso, Chocho parlò come se avesse appena ricordato qualcosa. "A proposito, sei sicuro che difendere Saiken e Chōmei contemporaneamente sia la scelta giusta?” chiese con circospezione. Gli occhi di tutti si posarono sul Rokubi (Esacoda) e sul Nanabi (Eptacoda) che torreggiavano su di loro. “Non sarebbe stato meglio tenerli divisi come prima?"

Shikadai scosse la testa. “Ciò avrebbe diviso inutilmente le nostre forze. Se il nemico riuscisse a sopraffare anche solo una delle nostre linee di difesa, sarà tutto finito. Per cui, farli ricongiungere qui e unire le nostre forze assieme a loro è la scelta migliore."

I due Demoni annuirono solennemente in assenso con le loro teste animalesche. Un gesto che, francamente, non si addiceva per niente al loro aspetto bestiale. “Sono d’accordo.” disse Saiken. “Non temete. Potremo difenderci meglio se saremo insieme. È la scelta migliore per tutti.”

“Il piccolo umano dice il vero,” aggiunse anche Chōmei, la sua voce grave. “I nostri fratelli sono caduti in mano al nemico perché erano da soli. Boruto è riuscito ad isolarli, e per questo li ha colti di sorpresa ed ha avuto la meglio. Noi non commetteremo lo stesso errore.”

Uno ad uno, i giovani annuirono. Se anche i Demoni codati la pensavano così, allora si sarebbero fidati. Avrebbero collaborato assieme per difendersi, e per liberare i loro fratelli intrappolati. Di questo erano certi.

“Più di ogni altra cosa, però, non dobbiamo abbassare la guardia,” riprese a quel punto Shikadai. “Boruto è astuto e pericoloso. Anche se lo abbiamo sconfitto una volta, non possiamo lasciarci cogliere impreparati. Ciò che ha fatto al mio clan… dovrebbe bastare a dimostrare quanto sia pericoloso e spietato,” la sua voce rischiò quasi di spezzarsi, ma il giovane riprese il contegno subito dopo. “Aspettatevi sempre il peggio, e tenete gli occhi aperti.”

Alla menzione della strage del clan Nara, l'umore nella aria divenne teso all’istante. Inojin e Chocho aggrottarono le sopracciglia, e persino Himawari si irrigidì. Shikadai fu il primo a notarlo.

"…mettiamocela tutta," disse alla fine la giovane Uzumaki. Era la prima volta, finalmente, che apriva bocca durante l’incontro. "Di questo passo mio fratello... diventerà ancora più forte. Dobbiamo riuscire a sconfiggerlo."

Ogni membro della guardia posò lo sguardo su di lei.

Le sue parole esprimevano ciò che tutti loro avevano già intuito da sempre.

Boruto stava diventando sempre di più un mostro. E quel mostro doveva essere fermato ad ogni costo.

Shikadai e tutti gli altri deglutirono con nervosismo.

"Non temere, Himawari. Fermeremo tuo fratello anche se fosse l'ultima cosa che facciamo,” annunciò solennemente Sakura, sorridendole con decisione. “Abbi fiducia in noi. Ed abbi fiducia anche in tuo padre. Ovunque sia finito, sono certa che è vivo e vegeto. Niente al mondo potrebbe fermare quello zuccone. Fidati di me, lo so per certo.”

Himawari annuì, abbozzando un sorriso, ma i suoi occhi azzurri tradirono un velo di preoccupazione immenso. Le sue mani e le sue braccia tremolarono sommessamente. Shikadai la osservò in silenzio. Era come se fosse incerta su qualcosa. Anzi no, non incerta. Distratta. Ecco, quella era la parola giusta. Era distratta. Come se la scomparsa di suo padre e la minaccia di suo fratello non fossero ciò a cui stava pensando. Come se la sua mente non fosse realmente posata su ciò di cui stavano discutendo, ma su qualcosa di interamente diverso.

Shikadai assottigliò gli occhi mentre osservava il sorriso falso sulle labbra della sua ragazza.

La faccenda puzzava. E lui voleva vederci chiaro.

Che cosa stava nascondendo Himawari?
 


02 Giugno, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
11:00

"Abbiamo sei possibili vie di accesso al Villaggio," disse solennemente Boruto, il suo occhio sinistro puntato solo ed unicamente alla mappa posata sul tavolo dinanzi a lui. Assieme a lui, Urahara, Toneri e l’intera organizzazione Kara – tranne Lucy, che non era presente per ragioni ovvie – erano radunati tutt’attorno al tavolo, intenti ad osservare ed ascoltarlo.

Dopo aver ottenuto quante più informazioni possibili sul Villaggio della Foglia e sistemato temporaneamente l’Hokage e l’Eremita, il Nukenin aveva diligentemente copiato con cura su una pergamena la mappa completa dell’intera città. La stessa mappa che adesso era stata stesa sul tavolo in modo che il giovane potesse usarla per spiegare il piano ai suoi amici.

"Secondo le nostre spie e le marionette umane di Kumo – oltre che alle informazioni che ci ha fornito Annie-sensei – ci sono sei ingressi principali nella Foglia. Questi ingressi, ovviamente, si trovano tutti al di là della zona centrale e del distretto commerciale. Gli ingressi sono rispettivamente a Nord-Est, Nord-Ovest, Ovest, Sud-Ovest, Sud-Est ed Est,” riferì, con un dito guantato che tracciava la mappa mentre si spostava di porta in porta. Mikasa, Sora e gli altri rimasero immobili, fissando la mappa.

"Il piano è semplice: entreremo in ciascuna di queste sei porte e ci dirigeremo separatamente verso il Distretto Centrale. E nel mentre, ovviamente, dovremo sfondare tutte le difese nemiche che tenteranno di ostacolarci."

"Con 'sfondare' intendi quello che penso?" chiese Gray, la sua voce che grondava di anticipazione e brama di sangue.

Il biondo annuì. "Sì," rispose. “Shikamaru e l’Ottavo Hokage stanno rafforzando le loro difese. Non appena metteremo piede lì dentro, probabilmente non saremo in grado di evitare uno scontro diretto, se non per pochi minuti al massimo."

Un pesante silenzio di tomba cadde sul gruppo di giovani a quel punto.

Urahara, Toneri, Mitsuki e Kumo rimasero ugualmente zittiti. Nonostante loro quattro non avrebbero partecipato all’assalto, dato che avevano un altro obiettivo a cui puntare, sapevano bene quanto fosse pericolosa la missione dei Kara. Boruto ed i suoi amici condividevano un terrore unanime mentre immaginavano l'imminente combattimento che sarebbe esploso, e ne avevano piene ragioni. Il Villaggio della Foglia era stato sin da sempre il loro obiettivo finale. L’ultimo ostacolo che sapevano di dover sormontare per porre fine all’egemonia degli Shinobi. L’unica, sola e terribile calamità che impediva al loro Impero di prendere possesso e controllo del mondo. L’ultimo ostacolo alla loro Pace.

Perciò, la loro ansia era giustificata, in un certo senso.

"...se abbiamo intenzione di farlo davvero, allora per prima cosa dobbiamo prendere il maggior numero di precauzioni possibili,” dichiarò lentamente Juvia, i suoi occhi puntati sulla mappa. “Senza contare i Ninja e gli Shinobi, la mossa più saggia sarebbe prendere di mira i civili e gli innocenti.

Mikasa guardò Boruto di sbieco. “È questo quello a cui stai pensando, Boruto?”

Il loro leader annuì. "Esatto," confermò. “Come ha suggerito Juvia, se vogliamo dividere le linee di difesa del nemico e seminare il panico tra i loro ranghi, colpire i civili sarebbe la mossa più azzeccata. Questa tattica forzerebbe i nostri avversari a focalizzarsi su di loro e li metterebbe sulla difensiva, permettendoci di mantenere la scala dei combattimenti il più piccola possibile. Inoltre, la bomba che ho piazzato ieri mattina nel Villaggio è ancora in posizione. Potremo sfruttarla per generare panico e confusione.”

“Questo, ovviamente, solo fino a quando non avremo recuperato ciò che cerchiamo, vero?” esalò Shirou, mortalmente serio.

Boruto e tutti gli altri annuirono solennemente.

“Ma funzionerà davvero?” chiese a quel punto Sora. Boruto si voltò verso di lui, trovandosi faccia a faccia con gli occhi azzurri del suo migliore amico. “Sei certo che ciò che cerchiamo sia davvero nelle mura di Konoha?”

Con loro enorme sollievo, il Ninja traditore li rassicurò con un sorriso. “Sì, potete starne certi. Annie me lo ha confermato personalmente. Inoltre, non abbiamo ricevuto alcuna informazione sulla loro posizione… il che ovviamente non fa altro che rafforzare la mia ipotesi,” confermò con certezza.

Kairi fissò la mappa con uno sguardo penetrante. “Gli anelli dell’Akatsuki sono nascosti là dentro,” sussurrò.

I giovani si scambiarono qualche occhiata tra loro, restando nervosamente in silenzio. Recuperare quegli anelli era un obiettivo prioritario per loro. Non potevano in nessun caso evitare di riprenderseli. Non solo perché erano uno strumento indispensabile per la salvaguardia del Sigillo dell’Occhio della Tempesta e dei Bijuu confinati al suo interno; ma anche perché erano un valore simbolico per loro. Quegli anelli erano andati perduti durante l’attacco del Settimo Hokage e di Sasuke Uchiha all’Astro Celeste. Erano il simbolo, la prova, il ricordo schiacciante della loro sconfitta per mano del nemico. Recuperarli, perciò, avrebbe finalmente dimostrato la loro rinascita come famiglia, come Organizzazione, e come Impero. Avrebbe dimostrato il loro nuovo inizio ai loro nemici, ai loro seguaci, e al mondo intero.

Simbolicamente e non.

Alla fine, però, Boruto scrollò le spalle ed emise un sospiro. “Comunque sia, vi invito nuovamente a tenere gli occhi aperti durante questa missione,” li esortò, fissandoli uno ad uno. “La maggior parte dei civili verrà inevitabilmente evacuata tra oggi e domani, il che ci lascerà meno libertà d’azione di quanto potremmo pensare. Una volta dentro, dovremo essere estremamente cauti. I Ninja della Foglia… sono pericolosi. Non dobbiamo sottovalutarli.”

Mikasa, Sora e tuti gli altri annuirono.

Boruto si rivolse alla sua ragazza. “Anche tu, Mikasa,” disse ancora, parlandole senza giri di parole. “Sei il secondo in comando, quindi dovrai essere estremamente attenta. Potrai usare il tuo Potere da Titano, ma solo se sarà estremamente necessario.”

La nera gli rivolse un sorriso deciso. “Starò attenta. Lo prometto,” giurò.

Il guerriero annuì, abbozzando a sua volta un sorriso, prima di tornare immediatamente serio. “Adesso che questo è stato messo in chiaro, passiamo a voi,” disse allora, rivolgendo la sua attenzione a Urahara, Mitsuki e Kumo.

I tre in questione si fecero solenni all’istante.

Boruto li fissò con serietà. "Ne abbiamo già discusso, ma voglio che anche voi stiate attenti durante la vostra missione. Anche se non saremo fisicamente assieme, i nostri obiettivi sono complementari. Senza di voi la nostra missione potrebbe fallire, così come potrebbe fallire la vostra senza di noi.”

“Lo sappiamo, Boruto,” lo rassicurò Mitsuki con un cenno del capo.

Quello annuì, prima di rivolgersi al suo maestro. “Sensei, specialmente tu. Il tuo compito sarà indubbiamente il più arduo di tutti.”

“Ragazzo mio, non temere,” ridacchiò allegramente l’uomo col cappello. “Fidati di me, andrà tutto bene.”

“Sai che mi fido di te, ma voglio essere assolutamente chiaro. Il tuo compito è distrarre Sarada Uchiha," continuò imperterrito il Nukenin, serio come la morte. “Data la tua situazione attuale, sei il più adatto a questo ruolo. E vorrei che facessi quanta più attenzione possibile. Non devi combatterla, non devi affrontarla seriamente, ma solo distrarla. La sua Abilità Oculare è pericolosa persino per me, per cui dovrai essere estremamente cauto. Posso contare su di te?"

Gli occhi di tutti erano puntati sullo spadaccino. Urahara annuì, sentendo i suoi palmi farsi viscidi per il sudore.

"Te lo prometto, Boru-kun. Non mi lascerò cogliere impreparato."

"…molto bene. Mi fido. E per favore, cerca di non esagerare."

Urahara fece uscire una risata dalle labbra mentre Mikasa, Sora e gli altri membri della sua famiglia continuavano a guardarlo. Poi annuì di nuovo, allargando le spalle con moto deciso.

Boruto posò la sua attenzione su gli altri due. “Per il resto, Mitsuki e Kumo si occuperanno di Shikadai, Himawari ed i loro compagni,” dichiarò infine l’Uzumaki, la sua voce bassa e priva di emozione come sempre. “Con le vostre abilità non dovreste avere problemi contro di loro. Tuttavia, Shikadai e mia sorella sono degli avversari pericolosi. Non dovrete in nessun modo permettere loro di avere la meglio. Intesi?”

I due scienziati grugnirono un assenso.

“Tuttavia, ciò che conta davvero per la riuscita della missione è quella marionetta umana,” aggiunse a quel punto Toneri, grattandosi il mento con disinvoltura. I suoi occhi indecifrabili si posarono sul volto scarno di Kumo. “Presumo dunque che sia tutto pronto, vero?”

Il Ragno della Sabbia annuì meccanicamente. “Affermativo. Il corpo di Danzo Shimura è pronto e funzionale ad entrare in scena in qualunque momento,” gracchiò con voce roca. “Così come i suoi Sharingan.”

Il Nukenin annuì. “Bene. Molto bene. Il vostro obiettivo è la cattura del Rokubi (Esacoda) e del Nanabi (Eptacoda). Perciò, fintanto che Urahara terrà occupata Sarada e voi mettiate gli altri fuori gioco, non dovreste avere problemi a sottomettere quelle bestie grazie allo Sharingan.”

Mitsuki sorrise, fissando l’anello di Zetsu posto lungo il suo anulare sinistro. “Non falliremo, Boruto. È una promessa,” disse a sua volta.

Boruto sentì le sue labbra tirarsi in un sorriso invisibile. “Molto bene. Allora iniziamo a prepararci.”
 


02 Giugno, 0022 AIT
Terra dei Fiumi, Valle senza Nome
22:30

Himawari rimase immobile, i suoi piedi radicati completamente al terreno. Accanto a lei, il suo coprifronte giaceva immobile a terra, brillando sotto la luce della luna. Si era persino dimenticata di indossarlo, a dirla tutta. Ma ormai non aveva più importanza, a quel punto.

Le nuvole alla deriva e la luce argentea della luna la illuminarono debolmente dall’alto.

E la lettera di carta nera che aveva ricevuto ieri mattina restava stretta tra le sue mani.

"Hima."

Era Shikadai.

Il giovane Nara, il suo ragazzo, la persona che aveva scoperto di amare forse più di qualsiasi altra cosa al mondo era comparso alle sue spalle. Era preoccupato. La stava osservando. Fissava il suo viso seminascosto dalla frangia di capelli bluastri.

Himawari sentì il suo cuore stringersi di dolore nel petto.

"Va tutto bene?"

"…Sì."

Rispose svogliatamente alla sua domanda, anche se sapeva che sarebbe stato inutile. Il suo ragazzo era scaltro. Sapeva che stava mentendo. Forse aveva già capito cosa aveva in mente. Forse, pensò ancora, l'aveva capito addirittura sin da quella mattina, prima della riunione. Qualunque fosse la realtà, tuttavia, non aveva importanza.

La principessa degli Hyuuga non disse nient'altro.

Il giovane non parlò a sua volta. Rimase fermo a fissarla per diverso tempo, in silenzio. Anche senza voltarsi a guardarlo, Himawari sapeva che era combattuto. I suoi occhi stavano nervosamente guizzando tra lei, il suo coprifronte a terra, e la lettera nelle sue mani. Avanti e indietro. Avanti e indietro.

Andò avanti per diversi minuti.

Poi, sommessamente, lo udì sospirare.

“Se c’è qualcosa che devi fare… non ti fermerò.”

Himawari esitò. Sentì un groppo inspiegabile serrarle d’improvviso la gola.

Shikadai rimase fermo a fissarla, prima di voltarsi a sua volta e dirigersi verso l’accampamento.

"…torna sana e salva," disse semplicemente, con voce spenta.

La ragazza sentì le lacrime colarle inspiegabilmente dagli occhi. Le sue labbra tremolarono. "…lo farò. Grazie, Shikadai. Ti amo."

Quello si fermò di colpo, esitò un paio di secondi, e serrò i pugni con forza. Abbozzò un sorriso triste con le labbra. “Ti amo anch’io, Himawari,” disse con dolcezza, prima di andarsene e lasciarla da sola in mezzo alla foresta.

L'immobilità scese ancora una volta attorno a lei.

Rimasta senza nessuno, la ragazza fece a pezzi la lettera che reggeva tra le mani. Poi alzò lo sguardo verso il cielo notturno e si asciugò le lacrime dalle guance.

“Metterò fine a questa storia.”
 


02 Giugno, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
22:30

La sua vita era sempre stata un puzzle. Un puzzle di cui Lucy non aveva mai posseduto tutti i pezzi. In effetti, il più delle volte sembrava che stesse usando pezzi di un puzzle che non appartenevano al suo. Lei e Shizuma erano sempre stati diversi rispetto agli altri Kara. Erano sempre stati strani. Quasi... fuori posto, davvero. Annoiati in modo schiacciante dal mondo cupo e spoglio che li circondava. Era stato solo nel furore della battaglia, nella frenesia dell’essere avvolti nel fuoco, nel sangue, nell'acciaio e nella morte che lei ed il suo amico defunto si erano semplicemente... dimenticati della noia.

Ma adesso, nemmeno la prospettiva della battaglia le bastava come un tempo. Le alleviava il dolore, certo, ma non la assolveva. Il dolore, aveva imparato Lucy, era diventato un pilastro della sua vita. Il dolore per la perdita della sua famiglia. Il dolore per la perdita di Shizuma. Il dolore di un amore non corrisposto. Il dolore di una vendetta negata. Il dolore di vivere. Non c'era da stupirsi che Boruto si fosse quasi soprannominato "Pain" a questo punto, come il leader dell'Akatsuki. Lucy aveva pensato che quel titolo fosse decisamente eccessivo. Ma ora? Ora... non ne era più così sicura.

Non era più sicura di niente, in realtà.

Era iniziata come una cotta, una qualsiasi cotta infantile da ragazzina. Le piaceva che i suoi uomini fossero più forti di lei. E questa cotta era cresciuta quando Boruto aveva arruolato lei e Shizuma. Dopotutto, come avrebbe potuto non provare quei sentimenti? Boruto li capiva. Era stato l’unico a leggere dentro al loro cuore e a vedere ciò che desideravano di più. A descrivere con parole esatte la sensazione di discordia e noia che Lucy e Shizuma avevano provato per tutta la loro vita: erano nati troppo tardi. E su questo ci aveva azzeccato in pieno. Poi, Shizuma era morto e Boruto era entrato ancora di più nella sua vita, come un cavaliere dall'armatura scintillante, l'unico che poteva capire il suo dolore perché anche lui aveva una sorella minore da cui era stato costretto a separarsi. E poi, infine, quella cotta era cresciuta ancora, e ancora e ancora, fino a trasformarsi da una semplice cotta infantile in qualcosa... di più.

Lucy sorrise amaramente. La sua speranza non era corrisposta. Era stata troppo cieca per riuscire a vedere che quelle di Boruto erano state solo belle parole e falsi sorrisi. Bugie, dalla prima all’ultima. Avrebbe dovuto capirlo sin dal momento in cui era venuto a confortarla. Avrebbe dovuto rigettargli in faccia le sue bugie. Avrebbe dovuto dirgli che era solo un approfittatore meschino, e che non avrebbe mai potuto capire il suo dolore perché era stata sua sorella ad uccidere Shizuma.

Lucy si era illusa fino a quel momento. Si era illusa di credere che Boruto l'avrebbe scelta. Che le avrebbe dato la vendetta di cui aveva disperatamente sete. Che le avrebbe dato il suo amore. Che avrebbe portato via la noia e reso la sua vita sopportabile.

Era stata una stupida.

Boruto non avrebbe mai scelto lei al posto di Himawari.

Boruto non avrebbe mai scelto lei al posto di Mikasa.

Boruto non le avrebbe mai dato la vendetta che cercava a costo del suo potere.

E ora, Lucy vedeva la verità attraverso le bugie. Ora, finalmente, vedeva il mostro che Boruto era diventato. Vedeva il mostro che lei stava diventando per colpa sua.

Non più, giurò.

Era solo… stanca. Così stanca. Il dolore che provava era insopportabile. La vita era tornata ad essere desolata, incolore, proprio come un tempo. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo che passava, Lucy si sentiva come se fosse ad un passo dal collassare. Era stanca. Disperatamente stanca. E adesso, dopo tutto questo, più di ogni altra cosa, voleva riposarsi e trovare pace.

Ma non ancora, giurò Lucy.

"Ci rivedremo presto, Shizuma," sussurrò.

Aveva una promessa da mantenere.

E ancora molte miglia da percorrere prima di poter dormire.
 


03 Giugno, 0022 AIT
Terra del Ghiaccio
Tundra Abbandonata
07:00

Himawari strinse i pugni mentre camminava nella neve. Sebbene fosse quasi estate, il freddo in quella regione era gelido e pungente come d’inverno. Le era entrato nelle ossa. Le faceva intorpidire la pelle e battere i denti. Tuttavia, doveva continuare a muoversi. Doveva continuare ad andare avanti. Non poteva fermarsi, non adesso. Non quando le cose stavano andando così male. Non quando doveva necessariamente fare qualcosa per migliorarle.

Se doveva lottare per portare a termine tutto questo... l'avrebbe fatto.

Himawari si fermò in mezzo ad un campo di ghiaccio circondato da raffiche di neve.

Aveva fatto l’impensabile pur di giungere qui. Aveva disubbidito agli ordini. Aveva disertato il compito di proteggere i Demoni codati. Aveva abbandonato Shikadai, Sarada, ed i suoi amici, fuggendo di nascosto dall’accampamento. Aveva abbandonato il suo dovere di Shinobi.

E adesso, adesso ne avrebbe inevitabilmente dovuto pagare le conseguenze.

Ma non le importava.

Perché difronte a lei, c'era il suo nemico.

Era stata una sciocca a pensare che Lucy Heartphilia l'avrebbe perdonata per la morte del suo amico.

E ora, dopo la minaccia di un assalto al clan Hyuuga per via di quella donna, Himawari stava finalmente pagando il prezzo della sua scelta.

Lucy le sorrise velenosamente.
 


.

.

.
 


03 Giugno, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco.
08:00

Il sole fece capolino dalle cime delle montagne. Boruto prese fiato. Non si poteva tornare indietro adesso. Era finita. Nuotare, o affondare; non c’erano altre scelte. Questo… Questo che stava per compiere sarebbe stato l’apice della sua gloria. La più grande pagina di storia decorata con il suo nome. Solo il tempo avrebbe potuto dire se sarebbe stata una pagina che lo ricordava come un eroe, un salvatore… o come un cattivo, un distruttore.

E dopo tutti i Villaggi e le vite che aveva distrutto fino ad ora… era quasi una sensazione di dejà vu, in realtà.

Adesso il mondo sarebbe cambiato per sempre. Boruto sapeva che era inevitabile. Questa sarebbe stata la sua opera definitiva. La sua tanto agognata ascesa al potere come Pain, come successore e portatore della pace sognata dall’Akatsuki. La sua dichiarazione ufficiale come leader dell'Organizzazione Kara, della Rivoluzione e dei Guerrieri, dell’Impero, e del mondo intero.

La barriera di chakra che circondava il Villaggio sbrilluccicò per un secondo mentre si dissolveva. Dietro di lui, i suoi amici e compagni erano tesi e trepidanti. "Avete tutti i vostri compiti," disse loro con decisione. “Distruggete tutto. Non lasciate nessuno in vita.”

Annuirono tutti quanti, tirandosi i mantelli sulle spalle ed indossando i cappucci oscuri sul volto.

Erano pronti.

Boruto indossò a sua volta il cappuccio ed aprì il Jougan. "Non deludetemi," disse semplicemente. Poi, insieme, i sette giovani si fecero avanti alla luce del giorno.

Era ora di iniziare.

I suoi occhi eterocromi fissarono i volti degli Hokage scavati nella montagna.
 
 








 
 

Note dell’autore!!!

Salve a tutti. Innanzitutto vi chiedo umilmente perdono per non aver più aggiornato la storia durante questi mesi. Davvero, mi dispiace con tutto il cuore, e posso solo sperare che riusciate a perdonarmi. Purtroppo sto vivendo un periodo pieno di fatica ed impegni. Anche nonostante le vacanze imminenti e la situazione di caos che stiamo vivendo in Italia, lo studio e il lavoro mi tengono impegnato quasi sempre dalla mattina alla sera, soprattutto quando sono a casa, e sto facendo sempre più fatica a trovare tempo per scrivere e portare avanti i miei programmi personali.

Vi chiedo di avere pazienza. La storia continuerà, come ha sempre fatto e come sempre farà, ma non so dirvi quando sarò in grado di aggiornarla di nuovo. Spero davvero di riuscirci prima della fine dell’anno, ma non posso garantirvi nulla. Io ce la metterò tutta come sempre, ma non so sinceramente dirvi se sarò in grado di farcela. Perdonatemi.

Il prossimo capitolo mostrerà, finalmente, l’evento che molti di voi aspettavano da tempo: l’attacco al Villaggio della Foglia. Come avete visto, ci sono molte cose in ballo, e molti personaggi avranno da mostrare qualcosa nei prossimi capitoli, e spero veramente che possiate apprezzare quello che ho in mente di mostrarvi. I prossimi capitoli sono qualcosa che avevo progettato da anni di inserire nella storia, e mi auguro davvero che possiate gradirli appena avrò tempo di concluderli e pubblicarli. Sappiate solo che saranno un vero e proprio caos, nel senso letterale del termine.

Ancora una volta, vi chiedo scusa per l’attesa che vi ho fatto sorbire. Cercherò di pubblicare il prima possibile, promesso, ma non so dirvi quando riuscirò a farcela. In caso, vi chiedo scusa in anticipo.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Se ci sono errori di grammatica nel capitolo, vi invito a farmelo notare così da poterli correggere quanto prima. Grazie mille a tutti, soprattutto a coloro che mi stanno supportando nonostante il periodo difficile che sto vivendo. Avete tutta la mia stima ed il mio affetto. E nel caso non riuscissi a pubblicare in tempo, auguri di buon Natale a tutti! Vi voglio bene!!!

Saigo il SenzaVolto

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Capitolo 38
*** La Strada per l'Inferno (1) ***


LA STRADA PER L’INFERNO (1)
 

 


THIS IS WAR
(Thirty Seconds to Mars)
 
A warning to the people,
The good and the evil:
This is War.
To the soldier, the civilian,
The martyr, the victim:
This is War.
 
It's the moment of truth, and the moment to lie.
The moment to live and the moment to die.
The moment to fight, the moment to fight.
To fight! To fight! To fight!
 
To the right, to the left!
We will fight to the death!
To the edge of the earth!
It's a brave new world!
From the last to the first!
To the right, to the left!
We will fight to the death
To the edge of the earth!
It's a brave new world!
It's a brave new world!
 
A warning to the prophet,
The liar, the honest:
This is War.
To the leader, the pariah,
The victor, the messiah:
This is War.
 
It's the moment of truth, and the moment to lie.
The moment to live and the moment to die.
The moment to fight, the moment to fight.
To fight! To fight! To fight!
 
To the right, to the left!
We will fight to the death!
To the edge of the earth!
It's a brave new world!
From the last to the first!
To the right, to the left!
We will fight to the death!
To the edge of the earth!
It's a brave new world!
It's a brave new world!
 
I do believe in the light.
Raise your hands into the sky.
The fight is done, the war is won.
Lift your hands toward the sun.
 
To the right, to the left!
We will fight to the death!
To the edge of the earth!
It's a brave new world!
From the last to the first!
To the right, to the left!
We will fight to the death!
To the edge of the earth!
It's a brave new world!
It's a brave new world!
 
A brave new world!
Un messaggio per la gente,
Per i buoni e per i cattivi:
Questa è Guerra.
Per il soldato, per il civile,
Per il martire, e per la vittima:
Questa è Guerra.
 
È il momento della verità, ed il momento per mentire.
Il momento per vivere ed il momento per morire.
Il momento di combattere, il momento di combattere.
Combattere! Combattere! Combattere!
 
A destra, a sinistra!
Combatteremo fino alla morte!
Fino ai confini della terra!
È un nuovo mondo!
Dal primo all’ultimo!
A destra, a sinistra!
Combatteremo fino alla morte!
Fino ai confini della terra!
È un nuovo mondo!
È un nuovo mondo!
 
Un messaggio per il profeta,
Per il bugiardo, per l’onesto:
Questa è Guerra.
Per il leader, per il pariah,
Per il vincitore, per il messia:
Questa è Guerra.
 
È il momento della verità, ed il momento per mentire.
Il momento per vivere ed il momento per morire.
Il momento di combattere, il momento di combattere.
Combattere! Combattere! Combattere!
 
A destra, a sinistra!
Combatteremo fino alla morte!
Fino ai confini della terra!
È un nuovo mondo!
Dal primo all’ultimo!
A destra, a sinistra!
Combatteremo fino alla morte!
Fino ai confini della terra!
È un nuovo mondo!
È un nuovo mondo!
 
Io credo nella luce.
Alzate le mani verso il cielo.
La battaglia è finita, la guerra è vinta.
Alzate le mani verso il sole.
 
A destra, a sinistra!
Combatteremo fino alla morte!
Fino ai confini della terra!
È un nuovo mondo!
Dal primo all’ultimo!
A destra, a sinistra!
Combatteremo fino alla morte!
Fino ai confini della terra!
È un nuovo mondo!
È un nuovo mondo!
 
È un nuovo mondo!
 


03 Giugno, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
07:00

Toneri sfondò la porta con un calcio, buttandola giù da cardini e staccandola prepotentemente dal telaio. Con un cipiglio preoccupato, entrò subito nella stanza, correndoci praticamente dentro, in effetti. Una volta entrato, si guardò attorno con occhi sgranati e ricolmi di tensione, studiando ogni singolo oggetto a partire dalla scrivania, al letto, al televisore, fino alla libreria intoccata. Ed i sospetti che avevano iniziato ad insinuargli la mente sin da quella mattina, a quella visione, si rivelarono fondati.

La stanza di Lucy era vuota.

I suoi pugni si serrarono con forza non appena i suoi palmi iniziarono a sudare copiosamente. Dietro di lui, le marionette adibite alla sicurezza del Castello erano già pronte e in posizione, con le armi sguainate in caso di pericolo. Ma, ormai, era troppo tardi.

Lucy era scomparsa.

Gli occhi di Toneri si aggrottarono furiosamente.

“…dannazione.”
 


03 Giugno, 0022 AIT
Terra del Ghiaccio
Tundra Abbandonata
07:00


BATTAGLIA IN NOME DELLA VENDETTA
 
L’Energia Naturale del mondo iniziò a scorrerle furiosamente nelle vene. Himawari respirò profondamente, bloccando le sue emozioni e fissando il suo avversario con occhi da rospo. All’improvviso, il freddo smise di gelarle le ossa, ed i suoi sensi sbocciarono e coprirono tutta la vastità del campo di battaglia innevato. Era la brezza gelida del vento, era la montagna inflessibile e insormontabile, era il fiume impetuoso che scorreva nel ghiaccio. Era ovunque, e da nessuna parte. Contemporaneamente. Non c’era più limite alla percezione dei suoi sensi, in quel momento.

Lucy Heartphilia, invece, era avvolta in una cappa di fuoco ribollente. Himawari poteva vedere gli echi degli insegnamenti di suo fratello nella posizione di attacco e nell’Armatura Esplosiva del suo avversario. Tuttavia, quella giovane avrebbe ben presto ricevuto una sonora lezione se pensava seriamente di essere anche solo lontanamente paragonabile a suo fratello. Himawari aveva combattuto Boruto solo una volta, quando era piccola. Non aveva mai combattuto contro il Dio del Fulmine in persona, se non brevemente durante gli eventi del Summit. Ma grazie a suo padre e ai suoi insegnamenti, la sua Modalità Eremitica era migliorata in maniera indescrivibile rispetto a quel giorno. Non avrebbe più ceduto come allora. Questa volta sarebbe stata inflessibile. Questa volta ne sarebbe uscita vincitrice.

E questa era una promessa.

Himawari si lanciò in avanti. Lucy allungò una mano e fece schioccare le dita. La giovane Uzumaki poté letteralmente sentire il modo in cui l'aria prese a scoppiettare e sibilare orribilmente mentre veniva separata ed infusa di chakra, innestando una scintilla esplosiva. Grazie alla Modalità Eremitica dei Rospi, poteva percepire il cambio drastico nell’aria come una raffica di vento sulla sua stessa pelle. Himawari si abbassò, schivando abilmente la scintilla di fuoco, e da qualche parte dietro di lei l’aria esplose, illuminando il campo di battaglia innevato con una raffica di luce e calore.

La successiva raffica di esplosioni arrivò con una velocità allarmante. Fu un susseguirsi di esplosioni dopo esplosioni, senza tempo per respirare. Alla fine, Himawari non ebbe più spazio per schivare. La prima esplosione la colpì di sbieco, lasciandole la pelle arrossata e piena di vesciche, facendola volare all’aria. Non poteva vedere, non poteva distinguere la differenza tra alto e basso, tra sinistra a destra, fino a quando non colpì violentemente il terreno. La neve face poco e nulla per alleviare il bruciore della sua pelle ustionata o ammorbidire la caduta. Tuttavia, Himawari si alzò in un istante. Non doveva fermarsi, pensò, non doveva rallentare mai. Doveva essere infinita, sconfinata, inflessibile; proprio come l’Energia Naturale nel suo corpo. Come un fiume che solca la roccia, incanalò rapidamente il chakra della Terra nella sua pelle, indurendola, rinforzandola.

Lucy stava urlando furiosamente, spezzata dalla rabbia, dal dolore e dall'euforia, scatenando innumerevoli esplosioni che stavano mano a mano cambiando sempre di più il paesaggio. Quello che era stato fino ad ora un campo di battaglia innevato, adesso divenne rapidamente un deserto in rovina di macerie rovesciate e pozze d'acqua gelida.

Himawari scattò in avanti, le braccia sollevate in una guardia rozza mentre resisteva all'assalto e si lanciava alla carica. Lucy era implacabile, incapace di trattenersi, felice di continuare a scatenare la sua ira. Di questo passo, la principessa degli Hyuuga sapeva che avrebbe dovuto porre fine al combattimento il prima possibile. Dopotutto, Lucy era stata scelta da suo fratello in persona per far parte della sua crociata contro il mondo. Era forte. Indiscutibilmente forte. Himawari non si aspettava niente di meno da lei. Se voleva sopravvivere, doveva finirla in fretta. 

Quando fu abbastanza vicina al bersaglio, Himawari inalò. L'aria nelle narici le ardeva per via del calore delle esplosioni, ma il fuoco nei suoi polmoni era ancora più forte. Esalò una potente vampata di fuoco, intrisa di Energia Naturale, dieci volte più calda di qualsiasi fiamma normale. Scoppiettava, sibilava e bruciava con un'intensità ardente e risoluta. Il muro di fiamme le oscurò gli occhi, ma non fece nulla per nascondere Lucy alla vista del suo Byakugan. La giovane criminale esitò per un momento mentre scagliava esplosioni alla cieca, prima che Himawari irrompesse tra le sue fiamme con un ruggente grido di battaglia.

Lucy guardò in alto, con gli occhi spalancati, e ci fu un guizzo di astuzia che balenò nei suoi occhi affogati in un mare di rabbia. Quando Himawari si scagliò verso di lei con un palmo aperto tipico del Pugno Gentile, rimase sinceramente scioccata nel vedere la giovane avversaria attaccarla a sua volta, deviando il suo assalto con una rozza ma ancora riconoscibile imitazione dello stile di lotta del suo clan. Sembrava che Boruto le avesse insegnato molto più della sua semplice Armatura Esplosiva.

Ma anche se l’imitazione di Lucy era visibilmente grezza, la ragazza riuscì ugualmente a sferrare un pugno. Nel punto in cui i loro pugni si scontrarono per il più breve degli istanti, un'esplosione scoppiò immediatamente dopo; grande e terribile, che fece ruotare entrambe all'indietro mentre un pennacchio di fuoco e fumo s’innalzava verso il cielo. Himawari scrollò via il suo dolore e si rialzò in piedi. Doveva sfruttare il vantaggio, lo sapeva. Lucy non poteva essere resistente come lei. Dopotutto, a differenza sua, non aveva la Modalità Eremitica a proteggerla.

Himawari saltò attraverso il fumo e trovò la sua avversaria che si rialzava barcollando. Non era a terra, non era fuori gioco, neanche per sogno, e la sua armatura esplosiva ribolliva più furiosamente che mai. Unì assieme i palmi delle mani, formando una sfera di chakra tra le dita, e Himawari trattenne un respiro quando si rese conto di quanto a fondo dovesse impegnarsi per riuscire a sconfiggere quella donna assoldata da suo fratello. Lucy urlò, agitandosi selvaggiamente e scagliandole contro un’ennesima esplosione ronzante nel tentativo di allontanarla.

Ma la giovane Uzumaki non si arrese. Himawari portò entrambe le mani in avanti, guidata dall'istinto e dalla Modalità Eremitica, e spinse rapidamente in avanti la sua Tecnica, spingendola contro l’esplosione avversaria. “SENPOU: Oodama Rasengan!” (Arte Eremitica: Rasengan Gigante) urlò furiosamente.

Le due Tecniche di Fuoco si collegarono con un terribile scoppio esplosivo ed un fragore di fuoco. L'aria le venne violentemente tolta dai polmoni mentre le fiamme la divoravano, e Himawari divenne cieca al mondo mentre si perdeva in un vuoto di luce bianca e blu. L'unica consolazione che aveva era che poteva ancora sentire il dolore – il che significava che non era morta – fino a quando il pensiero reale della morte e della conseguente perdita di Boruto e Shikadai la costrinsero a riaprire gli occhi.

Il campo di battaglia era stato cancellato da una colossale esplosione. Fuoco liquido lambiva la roccia esposta del terreno, adesso divenuta quasi fusa e levigata. Solo uno stretto cono di terra nella sua direzione era rimasto relativamente indenne. Il resto era saltato all’aria in maniera quasi terrificante. Himawari espirò bruscamente, realizzando con orrore che la potenza eccessiva del suo Rasengan esplosivo era stata l’unica ragione per cui era riuscita a resistere alla Tecnica dell’avversario.

Eppure, Lucy si stava rialzando, di nuovo, con la mano destra che cullava un braccio sinistro ustionato pieno di vesciche e quasi carbonizzato in alcuni punti. I suoi occhi erano selvaggi e l'astuzia che Himawari aveva visto prima in essi adesso era scomparsa completamente. In mezzo a quelle iridi piene di rabbia e di dolore... apparve qualcosa. Qualcosa di nuovo. Una stanchezza, uno sfinimento improvviso. E non appena la vide, di colpo, Himawari sentì tutto il fuoco che ardeva dentro al suo cuore attenuarsi. Lucy non era solo un misero nemico, non era solo una persona che minacciava di portarle via suo fratello ed il suo clan. Era... Era come lei. Una ragazza che stava soffrendo. Una ragazza che aveva perso una persona cara. Una ragazza che aveva perso suo fratello. Himawari conosceva bene quel dolore. Conosceva benissimo quanto fosse straziante per l’animo.

Le sue labbra si mossero da sole. "Io... m-mi dispiace così tanto," provò a dire, deglutendo nervosamente. "N-Non riuscirò mai ad esprimere davvero quanto sia addolorata per averti portato via Shizuma. Io… Io non volevo ucciderlo. Credimi, se potessi riportarlo indietro, lo farei. Ma non posso. E non posso neanche permetterti di attaccare e distruggere il mio clan e la mia famiglia."

Himawari sperò, pregò con tutto il cuore di riuscire a toccarla. Di riuscire a trovare un modo per porre fine alla loro faida senza dover spargere altro sangue. Ma le sue parole caddero nel vuoto. Il fuoco della rabbia bruciò ancora una volta negli occhi di Lucy, e un urlo di rabbia senza parole le sfuggì dalle labbra mentre il suo chakra esplodeva intorno a lei. Scintille di energia saettarono avanti e indietro in modo casuale e caotico. Dove caddero le scintille, non rimase altro che fumo e vapore.

Himawari corse via, scegliendo di concentrarsi sulla percezione dell'assalto con le sue abilità da Eremita ed abbandonando ogni pretesa di attacco. Lucy stava letteralmente bruciando le sue riserve di chakra ad un ritmo allarmante, senza esitazione. Se avesse continuato in questo modo, sarebbe... sarebbe di sicuro…

Sarebbe morta, si rese conto Himawari, sgranando gli occhi con orrore. Quella donna aveva lanciato la sua sfida con solo due risultati in mente: la vittoria; o la morte. Era pronta a dare la vita, a spendere ogni singola goccia del suo chakra alla ricerca della sua vendetta. Lucy si fermò nel suo assalto, un animalesco ringhio sulle sue labbra, e sollevò entrambe le braccia verso il cielo mentre una sfera ronzante di chakra esplosivo si fondeva sulla sua testa.

Himawari si morse la lingua, rafforzò la sua decisione, ed iniziò a formare un secondo Rasengan. Non poteva rischiare di essere colpita da un altro attacco del genere, o sarebbe morta di sicuro. Il suo chakra iniziò a fondersi perfettamente con l’Energia Naturale del mondo, formando una miscela di chakra ancora più forte, e ne alterò la composizione, evocando un fuoco primordiale. Prese vita nel palmo della sua mano con un sibilo ruggente e focoso, ardente di un colore rosso arancio e scintillante come una stella. L'aria attorno ad esso brillò di luce, ed Himawari riversò quanto più chakra poté nella sua Tecnica. La sentì divorare la sua energia e, proprio come l'elemento che imitava, il fuoco crebbe e crebbe e crebbe mano a mano che la sua fame veniva saziata.

Poi, con un ruggito ricolmo di dolore e determinazione, Himawari scagliò il suo attacco in avanti. “KATON: Rasengoen!” (Arte del Fuoco: Rasengan Esplosivo)

Passarono due secondi di silenzio. Poi, In un colossale lampo di luce, calore e pressione, le due varianti della Tecnica del Quarto Hokage si scontrarono con un boato gigantesco.

La giovane Himawari strinse furiosamente gli occhi mentre il suo Jutsu esplodeva, illuminando il paesaggio distrutto con un caldo bagliore più accecante del sole. Sul terreno, quella poca neve che era rimasta iniziò a trasformarsi in vapore bollente, e la pietra e la roccia divennero entrambe di un colore rosso ciliegia. Le esplosioni detonarono tutt'intorno a lei, illuminando il cielo come i fuochi d'artificio nella notte di Capodanno. L'aria divenne insopportabilmente calda, come respirare acqua bollente. Himawari soffocò, trattenendo il fiato. Non riusciva a vedere dove fosse Lucy, né se fosse ancora viva.

Poi, un’ennesima esplosione la colpì al petto ed Himawari sentì la sua pelle gemere e rischiare di squarciarsi. E sarebbe sicuramente successo, se l’Energia Naturale non l’avesse protetta. Urlò, rimasta completamente senza fiato per il dolore, con la vista accecata e resa bianca dall'agonia. Poi, alla fine, crollò a terra contorcendosi, quasi scottandosi per via del calore intollerabile della pietra fusa sotto di lei.

Ma Himawari resistette. E dopo quella che parve un’eternità di dolore, la luce svanì e la sua vista tornò a strisciare nei suoi occhi. La giovane grugnì affannosamente, rialzandosi in piedi, trasalendo a malapena quando sentì le ultime vestigie della Modalità Eremitica dissolversi dal suo corpo. Con un respiro affannoso, si rimise lentamente in piedi e marciò in avanti per cercare il suo avversario.

La trovò dopo due minuti di ricerche. Lucy era ancora viva. Come? Himawari non lo sapeva. E, sinceramente, non aveva nessuna intenzione di saperlo. Stentava a crederci lei stessa. Ma non poté evitare di provare una fitta di dolore e compassione dinanzi allo spettacolo che la accolse a quella visione.

L’aspetto bello e aristocratico di Lucy era stato completamente rovinato. Sparita era la sua bellezza precedente, con la sua pelle – solitamente bianca e liscia come la porcellana – adesso grottescamente insanguinata e rossa, piena di ustioni e macchie nere di cenere e fumo. I suoi capelli, una volta lunghi e fluenti, erano ora bruciati e carbonizzati, ridotti a poco più di qualche ciuffo e ciocco annerito. Tuttavia, nonostante quell’aspetto, Lucy stava sorridendo; con le labbra incurvate in un ghigno, anche mentre cercava di risollevarsi goffamente da terra usando un braccio grondante di sangue.

Himawari trattenne un respiro nello sforzo di guardarla. Era… dura, se doveva essere sincera. Questa, questa era la prima volta in cui si ritrovava in una situazione del genere. La prima volta in cui era costretta a fare i conti con le conseguenze delle sue azioni. Aveva sconfitto un avversario, lo aveva sconfitto in battaglia… e ne aveva causato quasi la morte. Con Shizuma era stato simile, certo… ma questo era diverso. Prima, era stata un’azione involontaria. Adesso, invece, doveva vivere con la coscienza di aver causato volutamente la morte di un nemico.

Perché, se doveva essere sincera, era assolutamente impensabile che Lucy potesse sopravvivere in quelle condizioni.

Eppure, nonostante tutto, Himawari si meravigliò a quel pensiero, sfoggiando un piccolo e cupo sorriso di soddisfazione. Lucy poteva essere forte, ma c'era una differenza immensa tra lei ed Himawari. E questo dimostrava che era diventata più forte. Che i suoi sacrifici non erano stati vani. Che era ancora più vicina a poter raggiungere suo fratello e riportarlo a casa. Certo, Boruto era sempre e comunque su un piano di forza completamente diverso. Aveva un livello tutto suo. Era un disastro naturale in carne ed ossa… ma c’era speranza.

E questo pensiero bastò a rinfrancarla.

Lucy smise di combattere, crollando a terra e tossendo penosamente. Senza più il chakra della sua Armatura Esplosiva a proteggerla, il dolore che aveva ignorato fino a quel momento tornò a perseguitarla ancora una volta. Himawari sentì i suoi occhi prudere quando la udì emettere un gemito affranto di dolore. Si morse la lingua, cercando disperatamente di non piangere. Doveva essere forte. Doveva tenere alta la testa. Non poteva pentirsi delle sue azioni. Non più ormai.

"È finita..." sussurrò lentamente Lucy. Una piccola risata sommessa le uscì fuori dalle sue labbra spaccate. "Finalmente è finita."

Himawari si inginocchiò accanto a lei e le rimase vicino.

"S-Speravo di poter rivedere un’ultima volta Boruto… ma immagino che dovrò accontentarmi di te," scherzò ancora la bionda, la sua voce grondante più di sangue che di sarcasmo.

“M-Mi dispiace. Io non-“

“Non dirlo,” la interruppe lei, tossendo sangue dalla bocca. Ansimò per diversi secondi prima di riprendere a parlare. “È… È stata una mia scelta. V-Volevo andarmene… col botto…”

Himawari annuì, senza aggiungere altro, guardandola con gli occhi pieni di lacrime mai versate. Tentativamente, le mise una mano sopra la spalla nella speranza di trasmetterle le sue emozioni. Non funzionò, ma il sorriso privo di vita della giovane bastò a calmare il suo senso di angoscia crescente.

“…va’, adesso,” sussurrò Lucy, senza fiato, socchiudendo appena le palpebre. “T-Tuo fratello… si trova nella Foglia. Fermalo… prima che faccia troppi danni…”

La giovane Uzumaki trattenne il fiato all’udire ciò.

"Prendilo… a calci… anche per me…" esalò ancora Lucy, fissandola di sbieco con dolore.

Himawari sentì le lacrime iniziare a colarle furiosamente sulle guance. Le sue spalle tremolarono per la fatica di trattenere i singhiozzi. Poi, senza aggiungere altro, si alzò di scatto e prese a correre alla massima velocità lontano da lì, diretta verso il Villaggio della Foglia. Scomparve alla vista dopo un paio di secondi, senza mai voltarsi indietro neanche una volta.

La giovane morente chiuse gli occhi con un sorriso.
 


. . .
 


Il suono di piccoli passi leggeri la risvegliò dopo un po' di tempo.

“Ehi… Lucy.”

La ragazza sorrise. I suoi occhi si riaprirono a fatica.

“…Toneri…”

“…”

“…”

Il silenzio si protrasse per diversi minuti.

“…m-mi dispiace…”

“Lo so.”

“…heh… come sei dolce…”

L’essere bianco non parlò per diverso tempo.

“Non posso fare niente per salvarti, Lucy. Il tuo corpo-”

“…lo so… è quello che volevo… non dire niente…”

“Ok.”

“…ok…”

“…”

“…”

“…”

“…”

“…Toneri...”

“Hmh?”

“…ho… ho paura…”

"..."

Un paio di braccia forti la raccolsero dolcemente da terra.

“Starò con te, fino alla fine.”

Lucy chiuse gli occhi.

“Te lo prometto.”

Lucy sorrise.

"…grazie..." esalò con un sospiro. "…questo è…  bello…"

La stanchezza ed il buio la reclamarono per sempre.
 


.

.

.
 


.

.

.
 


ASSALTO AL VILLAGGIO DELLA FOGLIA

03 Giugno, 0022 AIT
08:05


Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto Nord
Ufficio e Segreteria del Dipartimento di Intelligence e Tortura


Shizune sapeva che la situazione era critica.

Era stata una settimana lenta e tranquilla, pensò con rammarico, fino a quando la notizia non era andata in onda. La scomparsa del Settimo Hokage e l’improvviso stato d’allerta imposto da Konohamaru avevano messo in subbuglio ogni cosa. L’intero Villaggio era piombato nel caos, ed un impressionante numero di Shinobi e soldati erano stati richiamati in servizio. Tra questi ultimi c’era anche lei. Shizune sapeva che la cosa era preoccupante.

Solamente negli ultimi due giorni infatti, intere orde di civili e di persone di ogni età avevano lasciato la Foglia sotto espresso ordine dell’Hokage. La donna provò una fitta acuta di dolore a quel pensiero. Non poteva nemmeno immaginare come si sentisse tutta quella povera gente, costretta da un giorno all’altro ad abbandonare le loro case, il loro lavoro, la loro vita di sempre e trovare rifugio presso la Captale. Eppure, la parte più razionale della sua mente sapeva che era stata la cosa giusta da fare. Senza Naruto a difendere il Villaggio, era solo questione di tempo prima che i Kara e l’Impero decidessero di assaltare Konoha. Per cui, la salvaguardia della popolazione e dell’esercito delle Nazioni Alleate era la priorità assoluta, per tutti. Il Villaggio poteva anche cadere, ma la sua gente no.

Perché fino a quando la gente fosse rimasta, la Foglia non sarebbe mai morta.

La donna serrò i denti, sfogliando rapidamente le innumerevoli risme di rapporti compilati nelle ultime ventiquattr’ore. Konohamaru e Shikamaru avevano raccolto e condiviso ogni minima informazione sul piano di difesa a tutte le forze Ninja attualmente in servizio nel Villaggio. La Foglia era stata quasi completamente sgomberata dai civili, diventando letteralmente un campo militare, e adesso… adesso si stava a preparando a divenire un campo di battaglia.

I suoi occhi si assottigliarono. Stava cercando di pensare a qualcosa, qualunque cosa, per aiutare Konohamaru a gestire questa situazione allarmante. Com’era stato con Lady Tsunade prima di lui, era suo dovere aiutare l'Hokage, adesso più che mai.

Shizune emise un sospiro stanco. Per quanto si scervellasse, non riusciva a trovare nulla di buono. "Vado a prendere un'altra scatola," disse a Ino con pesantezza. Organizzò rapidamente i rapporti, li mise in ordine nella loro scatola e si diresse verso il piano inferiore della struttura. Era lì che il Dipartimento di Intelligence e Tortura teneva al sicuro i registri privati del Villaggio, nascosti sotto terra in un caveau ampio e ben difeso.

Shizune inciampò sull'ultimo gradino delle scale. Dannazione. Poi si accigliò nervosamente quando vide un po' di polvere cadere dal soffitto. Strano. Si trovava almeno a trenta metri sotto terra. Le vibrazioni della superficie non avrebbero dovuto protrarsi così in basso. Shizune si strinse nelle spalle ed annotò mentalmente di chiedere ad una delle guardie se qualcosa non andava. Girò la maniglia della porta ed entrò in un lungo corridoio che portava alla prima di molte volte messe in fila.

Un brivido gelido le attraversò improvvisamente la schiena.

Si fermò di botto, con gli occhi spalancati ed una paura gelida e torbida nello stomaco. Era un terrore così viscerale da sembrare come se fosse stata pugnalata al ventre da una spada di ghiaccio. Due persone erano in piedi in fondo al corridoio, proprio davanti alla porta chiusa a chiave che dava alla sezione successiva delle volte. Un giovane alto e corpulento ed una ragazza minuta, più bassa e più snella rispetto al compagno. Entrambi avevano i volti coperti da un cappuccio scuro, ed entrambi indossavano le vesti scure ed ammantate tipiche dell’Organizzazione Kara.

Ma furono i loro occhi celati sotto a quei cappucci neri che le inondarono la testa di terrore. Shizune poteva già sentire la mano fredda e gelida della paura che le stringeva il cuore con la sua stretta micidiale. Le ricordava l'agonia e l’ansia che aveva provato da giovane, quando non era altro che una bambina, abbandonata a sé stessa e costretta a cibarsi di spazzatura. Le ricordava l'abisso insondabile del vuoto che aveva sperimentato prima che Tsunade-sama la trovasse e la prendesse sotto la sua ala, salvandola da una vita in mezzo alla strada.

Ed entrambi gli intrusi la stavano guardando minacciosamente. "Ci penso io, Kairi," disse il maschio in tono trepidante.

La ragazza più piccola semplicemente abbassò la testa in segno di riconoscimento e continuò a giocherellare con la porta. Shizune sentì i suoi occhi sgranarsi ulteriormente quando realizzò che stava annullando il Sigillo che teneva chiusa la porta del caveau.

"Buongiorno..." iniziò a dire il giovane, ma lei non gli diede tempo di fare altro. Shizune corse. Corse come non aveva mai corso prima in vita sua. Lasciò cadere la scatola, girò l’angolo da cui era venuta, uscì dalla porta in fondo al corridoio e raggiunse le scale. Fece un gradino, poi cinque, poi dieci, raggiungendo il secondo piano e-

Shizune si gettò di lato mentre una raffica di frecce di ghiaccio squarciò l'aria alle sue spalle. Si premette contro il muro, maledicendosi da sola per non aver portato con sé i suoi strumenti Ninja. "No. No!" gridò freneticamente. Dietro di lei, i passi del nemico si fecero sempre più vicini.

"Non è stato molto carino," sogghignò il membro dei Kara con quella sua voce sprezzante.

Poi, una vocina alle spalle del nemico cominciò a canticchiare. Shizune non sapeva perché, e non voleva nemmeno scoprirlo. Invece, iniziò a tessere alcuni rapidi segni con le dita, e le sue mani iniziarono a brillare di chakra... verde? Si lanciò in avanti, confusa, superando la distanza tra lei e l’intruso in un istante, e mirò al collo dell'intruso. Quest’ultimo si piegò all'indietro, evitando con disinvoltura l'attacco, mentre quella voce continuava a canticchiare una strana melodia che riecheggiò nella sua mente.

Shizune vide le sue mani brillare ancora di verde. Poi guardò in alto per vedere un muro di aria gelata partire dai piedi dell'intruso ed andare a sbattere contro di lei. Sollevò entrambe le braccia sul viso e sul petto, bloccando il colpo peggiore, ma sentì comunque delle lame di ghiaccio che le tagliavano le gambe, lo stomaco e le braccia.

Mentre crollava a terra in preda al dolore, la ragazza più bassa di prima apparve in fondo al corridoio, intenta a canticchiare sommessamente. "Non essere impulsivo, Gray," disse, rivolgendosi al suo compagno.

I denti di Shizune si strinsero per il dolore. Gray Fullbuster e Kairi Uzumaki: questi erano i loro nomi. Ora, le loro capacità. Il primo possedeva il rarissimo Hyoton (Arte del Ghiaccio) e probabilmente anche un altro Elemento nascosto se era alla pari degli altri membri Kara, e sembrava avere una particolare propensione per gli attacchi a distanza. La seconda invece era la rinomata figlia dell’Uzukage del Vortice, e sembrava possedere tutte le abilità nel Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) tipiche del loro clan. Shizune fece un respiro profondo per calmarsi. Nonostante il dolore, sentì la porta alla fine del corridoio dietro di lei aprirsi e capì che erano arrivati ​​i rinforzi.

Ino e Sai apparvero nel suo raggio visivo, accompagnati da tre guardie. Dal pallore della loro pelle, Shizune capì che erano rimasti scioccati quanto lei nel trovare due membri dell’Organizzazione Kara nelle viscere dell’edificio del Dipartimento di Intelligence e Tortura. "F-Fate attenzione," disse ai suoi compagni di squadra, indicando le abilità dei nemici con dei gesti meccanici delle dita.

Per tutto il tempo, Kairi Uzumaki continuò con quel suo mormorio inquietante di prima. Ino, a quanto pareva, sapeva cosa stava facendo. "Fermatela! Sta per attivare un Genjutsu! (Illusione)"

Sai sfilò un grande rotolo bianco dalla schiena e scarabocchiò frettolosamente un disegno ad inchiostro che prese vita in un secondo. Ma prima che la sua creazione potesse balzare fuori dalla pergamena, l’uomo avversario lanciò in avanti una mano e fece schioccare le dita. Sai trascinò il suo pennello sulla pagina, ma fu tutto inutile. La bestia che ne uscì era deformata e zoppicava su gambe instabili. Poi, subito dopo, scoppiò in una pioggia d'inchiostro mentre una raffica di aghi ghiacciati lo lacerava dalla testa ai piedi.

Una seconda raffica di aghi li investì subito dopo. Shizune premette il suo corpo ferito contro il muro, aiutata da Ino, mentre Sai balzò fino al soffitto e vi si aggrappò tramite il chakra. Una delle guardie riuscì a sfrecciare attraverso il corridoio fino al muro di fronte a lei, ma l'altra non fu così fortunata. Venne infarcita da decine di aghi e cadde sul pavimento mentre si contorceva ancora. Le altre due guardie rimaste si misero prontamente sulla difensiva.

Un attimo dopo, dall'oscurità venne fuori una massa pesante, un burattino umano, con arti sottili come ramoscelli. La sua mascella si mosse su e giù e riempì tutta l'aria con un inquietante chiacchiericcio metallico. Degli strani pannelli lungo il suo petto si aprivano e chiudevano continuamente, rivelando un macchinario nascosto all'interno, pronto a lanciare aghi e kunai contro di loro.

Altri suoni metallici riempirono l'aria subito dopo. "Merda," imprecò Ino, abbastanza forte da far preoccupare Shizune. Altre tre marionette umane erano apparse nel corridoio.

Shizune sentì i suoi occhi diventare pesanti. Ammiccò lentamente le palpebre. Che cosa stava... Giusto. La lotta. I Kara. Formulò dei Sigilli con le mani ed esalò una nuvola viola di gas nocivo. Nei recessi della sua mente, sentì la voce di Sai che urlava freneticamente qualcosa. "Shizune! Fermati!"

Perché aveva bisogno di fermarsi? Il nemico era proprio lì e... e i suoi alleati non erano resistenti al veleno come lo erano lei e Lady Tsunade! C-Come aveva fatto a dimenticarsene? Shizune sentì i suoi occhi prudere e le sue palpebre farsi sempre più pesanti. Era così stanca. La sua vista stava diventando verde. Aspetta, verde? No, non aveva senso. Avevo solo... avevo solo bisogno di...

Shintenshin no jutsu!” (Tecnica del Trasferimento Mentale) gridò Ino accanto a lei. Shizune la fissò, completamente confusa. Ino si afflosciò e cadde a terra, ma fu solo per un momento. Si svegliò di scatto e lanciò all’aria un gemito acuto.

"Ino!" urlò Sai, abbattendo uno dei burattini con una spada prima di andare in aiuto di sua moglie. Shizune cercò di alzarsi, cercò di aiutare, ma scoprì ben presto che le sue gambe sembravano essere diventate di piombo. Cadde in avanti e cercò di strisciare a terra. C-Che cosa le stava succedendo? Come si chiamava questa Tecnica? Qualcosa a che fare con le sue mani, sì... un’illusione? No, non era giusto. C'era un po' di... luce – chakra, non luce, chakra – coinvolta. Era... viola? No, non viola. Blu? Blu! No, aspetta, quello era chakra normale. Questo doveva essere...

"N-Non è umana! Quella ragazza non è umana!" Ino stava urlando freneticamente, indicando la giovane intenta a canticchiare alla fine del corridoio.

"Verde!" gridò vittoriosamente Shizune. Verde! La Tecnica aveva reso le sue mani verdi! Questo avrebbe aiutato! Questo era utile!

La sua vista si oscurò non appena pronunciò quella parola. Udì un suono costante di urla e grida frenetiche, assieme alle voci di Ino e Sai che urlavano verso di lei, ma in quel momento non era nelle condizioni di curarsene. Si sentiva letargica, come se si fosse appena svegliata dopo un lungo pisolino in un pomeriggio caldo. Poi, dopo quella che parve un’eternità, silenzio. Silenzio benedetto.

"Dovremmo inseguirli?" sentì dire la voce profonda di Gray alle sue spalle. Era importante! Shizune sapeva che era importante! Semplicemente non sapeva perché! Perché stavano interrompendo il suo pisolino?

"No," rispose Kairi con una voce morbida e musicale. "Non sono loro il nostro obiettivo. Ma faresti meglio a sbarazzarti della donna."

L’altro brontolò visibilmente. Shizune aprì gli occhi per spiarlo. “Tsk. Come sei noiosa. Juvia almeno mi avrebbe permesso di sfogarmi un po'.”

Shizune si guardò alle spalle mentre i due intrusi la ignoravano e tornavano ai livelli inferiori di... di cosa? Non importava. Le loro vesti le erano stranamente, sinistramente, familiari. Mantelli neri e cappucci oscuri. Lei… Lei conosceva quelle vesti. Le aveva già viste da qualche parte. Ne era certa. Forse un vecchio dipinto che le aveva mostrato Lady Tsunade? O forse-

I suoi occhi videro una saetta bianca piovere improvvisamente verso di lei. Poi, rosso. Tanto, tantissimo rosso.

Shizune sorrise e si raggomitolò su sé stessa. Poi chiuse gli occhi e tornò al suo sonnellino.
 


03 Giugno, 0022 AIT
08:10


Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto Centrale
Torre dell’Hokage

 
Shikamaru aveva appena finito di compilare gli ultimi moduli di dimissioni che Naruto avrebbe dovuto completare otto giorni prima. Davvero, persino adesso, in questa situazione di merda in cui si trovavano, il Nara rimase stupito mentre si chiese per l’ennesima volta come avesse fatto Naruto a diventare Hokage in passato. Era estremamente qualificato in modo unico sia in forza che nel carisma, ma tristemente inadeguato quando si trattava di strategia, astuzia e perseveranza nel finire le scartoffie e i docume-

Il terreno iniziò a vibrare rumorosamente.

I suoi occhi si sgranarono all’istante. Fece per precipitarsi fuori dall’ufficio, ma fu allora che iniziarono le esplosioni. Il cuore prese a martellargli nel petto mentre si alzava di scatto dalla sedia, nascondendosi istintivamente sotto alla scrivania e lontano dalla finestra. Un istante dopo, un muro di fuoco e fiamme squarciò il vetro rinforzato della stanza e riempì l’ufficio come una marea avrebbe fatto con un canale. L’aria calda e le fiamme inondarono ogni cosa dall’esterno, colpendo tutto con un muro invisibile di aria ustionante che per poco, veramente poco, non lo fece morire soffocato.

Tossendo furiosamente, Shikamaru riprese fiato e riaprì gli occhi. Vetri rotti, legno bruciato e metallo fuso accolsero la sua visione. Il fuoco aveva invaso completamente la stanza, distruggendo quasi del tutto l’ufficio ed incenerendo la maggior parte dei dannati moduli che aveva appena compilato.

"…che seccatura," sibilò sottovoce. Non sarebbe stato assolutamente piacevole spiegare a Konohamaru e Naruto che l’ufficio dell’Hokage e tutti i documenti al suo interno erano ora poco più che cenere.

Shikamaru sbirciò sopra i resti carbonizzati della scrivania che aveva servito la Foglia sin dalla sua fondazione. Era stata creata dal legno di una quercia secolare, piantata e curata personalmente dal Primo Hokage in persona. Ora, invece, era ridotta ad una misera maceria di legno bruciato e fumante. Un vero peccato, le sarebbe mancata. Al di là della scrivania, invece, non c'era altro che aria. Una bella, anche se ampia e ventosa, finestra vuota che dava sulla Foglia. Poteva vedere le nuvole, bianche e prive di pioggia, molto al di sopra nel cielo. Shikamaru le preferiva così, bianche e soffici. Ancora, in lontananza, i suoi occhi videro un'ondata di fuoco liquido consumare e distruggere un ristorante che piaceva tanto a Choji.

In quel momento, la logica e la ragione lo raggiunsero ancora una volta.
 
Un'ondata di fuoco liquido aveva consumato un ristorante che piaceva a Choji = Qualcuno aveva appena bombardato la Torre dell'Hokage = Il Villaggio era sotto attacco...

MERDA!

Shikamaru si ritrovò a respirare affannosamente ed avvinghiarsi il petto con una mano. La sua mente si riordinò in un istante mentre si malediceva da solo per essersi lasciato cogliere impreparato nonostante avesse previsto un’eventualità del genere da giorni. Ma adesso non era tempo di insultarsi da solo. Doveva pensare, doveva ragionare, doveva reagire, esattamente come aveva pianificato per tutto questo tempo.

Fase uno: identificare gli aggressori. Alzò lo sguardo. Non alle nuvole, ma all’oggetto che volava molto al di sotto di loro. Un uccello molto più grande di qualsiasi altro che avesse mai visto, con un piumaggio del colore del sangue. Sul suo dorso c'era una donna vestita con un mantello nero ed una cappa oscura... una veste dell’Organizzazione Kara.

Il giovane consigliere trattenne l’istinto di imprecare a quella visione. Fase due: raccogliere più informazioni. Moegi e Udon irruppero nella stanza con le armi sguainate. Ah, bene. Tempismo perfetto. "Udon! Trovami Choji e Ino! Moegi, organizza una squadra di assalto e ricognizione con qualunque ANBU rimasto ancora nella Torre! Devo sapere contro cosa abbiamo a che fare!"

I due sottoposti si affrettarono ad obbedire senza perdere un solo secondo. Era fatta. Fase tre: capire quante e dove fossero le forze nemiche. Al momento, era impossibile dirlo. Fase quattro: Massima operazione. Bisognava trovare Konohamaru. Era lui che avrebbe dettato le linee di azione successive e avrebbe deciso se dare priorità ai civili non ancora evacuati e alle forze non combattenti, o allo stesso tempo organizzare un gruppo di assalto scelto per colpire e tenere occupate le forze nemiche mentre i civili continuavano ad evacuare...

Shikamaru non ce la fece più a trattenersi. Imprecò con forza. "Che cazzo di seccatura!" Era attualmente impossibile riuscire a fare tutto. Come cazzo avevano fatto i Kara ad apparire così velocemente e senza preavviso? Anche se possedevano i mezzi per aggirare la barriera di difesa che circondava il Villaggio, avrebbero almeno dovuto segnala-

In quel momento, Udon tornò nella stanza con un gruppo al seguito. Il Nara sospirò di sollievo quando vide tra di loro sua moglie, Choji, Rock Lee e diversi ANBU esperti e veterani.

"Shikamaru!" esclamò Temari mentre correva verso suo marito, pronta a controllare se fosse ferito.

"Sto bene," la rassicurò lui senza esitazione. Choji gli fece un cenno teso col capo. Dietro di lui, sua moglie Karui tremava per la rabbia e il timore in egual misura. Tra i ranghi degli altri Ninja presenti, il consigliere vide molti giovani che stavano tremando a loro volta, con occhi cauti che saettavano avanti e indietro per il nervosismo. Shikamaru si sentì immensamente dispiaciuto per tutti loro. Aveva sperato, pregato, che i loro figli e le giovani generazioni non dovessero mai vivere il tipo di combattimento che lui ei suoi amici avevano vissuto in passato. Purtroppo però, sembrava invece che quel desiderio non si sarebbe avverato.

Moegi arrivò subito dopo con altri volti più familiari. "Konohamaru," sussurrò Shikamaru, ringraziando il cielo che fosse arrivato così presto. Qualcuno lassù aveva ascoltato le sue preghiere. Suo padre e Asuma, molto probabilmente. Dietro Konohamaru, il Nara notò subito che c'era anche Mirai. Shikamaru non voleva vederla in pericolo, ma sapeva che non c’era altro modo. Senza l’esercito riunito e sicuro nella Capitale – esercito che al momento non potevano usare a meno che non volessero condannare Mei Terumi, Yurui e la salvaguardia delle Nazioni Alleate – loro erano le ultime forze rimaste nel Villaggio, e l’unico fronte di difesa che la Foglia poteva utilizzare. Con mani tremanti, Shikamaru ritirò una sigaretta e l'accese col vecchio accendino del suo sensei. Un lungo tiro gli calmò immediatamente i nervi.

"Okay," iniziò allora Shikamaru. "Konohamaru, tu sei l’Hokage, e in quanto tale devi essere tu a decidere. Cosa facciamo?”

L’Ottavo Hokage, con suo grande merito, non palesò nessuna traccia di esitazione dopo quelle parole. Neanche quando gli sguardi di tutti caddero unicamente sulla sua figura. “Proprio come sospettavamo, il nemico ci ha infine raggiunti per distruggerci,” dichiarò con rabbia e decisione. “Dobbiamo impedire loro di riuscirci e tenerli a bada, almeno fino a quando i civili ancora rimasti nella città non saranno evacuati. Fino a quando tutto il personale non combattente verrà messo in salvo, questa è la nostra sola ed unica priorità.”

Il consigliere lo guardò con orgoglio. “Molto bene. In quanto Hokage, il tuo dovere è difendere il Villaggio in prima linea per garantire la sicurezza dei civili. Perciò, ho bisogno che tu prenda una squadra di ANBU d’élite e vi dirigiate contro il nemico: l’Organizzazione Kara.” vedendo l’espressione decisa del Sarutobi durante quel discorso, si arrischiò a continuare. “Ho visto almeno due fronti di attacco nemico prima dell’esplosione. Una di queste era a dorso di una cavalcatura volante in mezzo al cielo. Le posizioni degli altri sono, attualmente, ancora da localizzare."

"…se abbiamo a che fare con l'Impero e i Kara, non possiamo farci cogliere impreparati,” disse a quel punto Temari. “Dobbiamo presumere che stiamo affrontando il meglio del meglio. Non possiamo correre rischi."

Konohamaru annuì. "Prenderò Mirai e le squadre Due e Tre e vedrò cosa posso fare," disse risolutamente.

Shikamaru annuì a sua volta. "Prendi anche Moegi e Udon. Temari, Choji e Karui — voi siete con me. Come stabilito dal protocollo Delta indetto ieri, dobbiamo aiutare con le evacuazioni il prima possibile," ordinò acutamente. Choji e tutti gli altri coinvolti annuirono in risposta.

L’Ottavo Hokage si fece solenne. "Abbiamo notizie di Ino, Sai e Sakura?" domandò subito dopo.

Rock Lee scosse la testa. "Ino e Sai stavano aiutando Shizune, ma Sakura dovrebbe essere ancora all’ospedale..."

"Diamine," imprecò Konohamaru, praticamente masticando la sua rabbia mentre cercava di mantenere il controllo. Si rivolse direttamente ai suoi sottoposti. "Moegi, Udon, andate a cercarli, immediatamente! E mandate anche una squadra di stanza al Distretto Nord. Saranno un obiettivo prioritario se..."

Un'esplosione improvvisa squarciò il suolo sotto di loro. Shikamaru urlò quando il pavimento scomparve sotto i suoi piedi. Poi si ricordò che se non avesse fatto nulla sarebbe caduto in una fossa di fuoco scoppiettante e sarebbe morto. Così, d’istinto, balzò via e si lanciò fuori dalla finestra. Con la coda dell’occhio, vide Konohamaru e tutti gli altri seguire il suo esempio e lanciarsi via da lì in tutte le direzioni.

Atterrò in mezzo ad un mare di macerie e delirio. La Foglia si era trasformata in un campo di battaglia. Letteralmente. Il membro dei Kara che volava in aria aveva attaccato alle ali del suo volatile lunghe file di pergamene che si trascinavano dietro di esso, le quali facevano puntualmente piovere etichette esplosive sulla città. Il Nara dovette stringere i denti con rabbia a quella visione. C'erano diverse pozze di lava che si stavano formando nelle strade, e molti edifici erano già stati distrutti completamente o schiacciati sotto lastre di roccia vulcanica. Innumerevoli esplosioni scuotevano regolarmente la città, interrotte solo dalle urla dei feriti e dei civili non ancora evacuati.

Mantenendo la calma e dando una rapida occhiata, il Nara vide che il nemico aveva preso di mira gli edifici più alti. Shikamaru non riusciva a vedere alcun danno agli edifici più piccoli. Probabilmente un attacco in linea di vista. Forse basato su un Rilascio del Fuoco che-

Un momento…

Rilascio di Fuoco... Esplosioni continue... Distruzione su scala immensa... Potere immenso...

A parte Boruto, c’era solo un’altra persona nei ranghi dei Kara capace di compiere una strage del genere: Mikasa Ackerman. Doveva essere così. Non poteva che essere così. Shikamaru imprecò sottovoce. Quei maledetti bastardi si stavano rivelando più subdoli, crudeli e stronzi del solito.

Choji atterrò accanto a lui con un tonfo pesante. "Shikamaru! Stai bene?"

"Sì. Sto bene," lo rassicurò lui. Sua moglie e Karui arrivarono subito dopo, fissando la distruzione con occhi sgranati ed increduli. Shikamaru si ritrasse dai suoi pensieri. "Abbiamo ricevuto i nostri ordini. Dobbiamo andare!" disse solennemente. "Facciamo pentire a questi bastardi di aver invaso la nostra casa!"

Choji si accigliò furiosamente. Karui annuì con decisione. Temari sfoggiò un cipiglio che grondava di sete di vendetta.

Dovevano darsi una mossa ad evacuare i civili per poter passare il prima possibile al contrattacco.
 


03 Giugno, 0022 AIT
08:17


Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto Centrale
Via Principale

 
Crunch. Crunch. Crunch. Clang. Clang. Clang.

Crunch. Clang.

Caos. Urla. Esplosioni. Caos. Panico. Terremoto. Caos.

Silenzio. Buio. Silenzio. Buio. Buio. Buio. Buio.

Rumore! Rumore forte. Forte. Più forte, più forte, più forte! Altre esplosioni. Altre urla. Altro caos.

Crunch. Clang.

“Bastardi!”

Juvia uccise l’ennesimo ANBU assalitore con una contrazione delle dita, ignorando l’incessante susseguirsi di urla e rumori perenni dei combattimenti. Si era ormai abituata da tempo all’ebbrezza del caos e del panico causati dalla guerra. E la guerra, aveva imparato sin da piccola nella Nebbia, la guerra era una costante nel loro mondo. Non c’era modo di evitarla, non c’era modo di sfuggirle. Potevi odiarla, potevi rifuggirla e cercare di nasconderti come volevi, ma essa sarebbe arrivata ugualmente. La natura umana ricercava lo scontro, e non c’era modo di sfuggire al destino dell’uomo.

Le sue lance d’acqua pressurizzata impalarono una ventina di Shinobi alle sue spalle. Juvia li guardò con superiorità mentre morivano affogati nel loro stesso sangue. I loro volti erano schiumanti di rabbia e terrore, anche nell’istante prima della loro morte. Uno spettacolo veramente patetico. Non capivano che era tutto inutile? Non capivano che si sforzavano invano? La loro fine era giunta, il loro momento terminato. Avrebbero fatto meglio ad arrendersi, almeno per mantenere integra la loro dignità.

Ah, giusto. Questi erano Shinobi. Erano Ninja. Uomini e donne d’onore, dediti unicamente alla loro casa e ai loro ideali. Non c’era modo di convincerli ad arrendersi. Non avevano dignità. Sarebbero morti, si sarebbero sacrificati fino alla fine, incuranti di tutto e tutti. Molto bene, allora. Lei li avrebbe accontentati. Juvia aveva ricevuto ordini precisi, dopotutto. Il loro biondino era stato espressamente chiaro con loro.

“Uccideteli tutti. Non lasciate nessuno in vita.”

Juvia era più che contenta di eseguire gli ordini alla lettera. Senza nemmeno formulare sigilli, con un semplice comando mentale, l’acqua nascosta nel sottosuolo guizzò alla vita attorno a lei, inondando le strade come una marea improvvisa. Per diversi secondi, solo il boato delle onde si udì per tutta l’aria. Innumerevole vite vennero travolte in meno di un istante. Shinobi e civili indistintamente, investiti ed affogati da un maremoto improvviso. Ai fianchi delle strade principali, colpiti dalle onde e dalle scosse, i palazzi e gli edifici più piccoli caddero a pezzi in un susseguirsi di crolli e terremoti senza fine.

Sangue denso e coagulante prese a macchiare l’acqua attorno a lei. Sì, sangue. La cerulea poteva vederlo, poteva sentirne l’odore metallico nelle narici. Così vicino, così pesante. Sangue non suo. Uomini, donne, bambini, nessuno venne risparmiato dalla marea che aveva evocato. Innumerevoli corpi stavano galleggiando a questo punto attorno a lei. I sopravvissuti, quei pochi che erano rimasti, stavano urlando freneticamente per il terrore, correndo all’impazzata per le vie allagate. Juvia non li avrebbe risparmiati, non avrebbe mostrato pietà. Li avrebbe uccisi. Li avrebbe uccisi tutti.

Questi erano Shinobi. Questi erano nemici. Inutili, patetici oppressori e conformisti incapaci di accettare il cambiamento e la pace portati dal loro Impero. Non avevano diritto d’esistere, da ora in poi.

Una raffica di vento sibilò alle sue spalle. Juvia uccise un’altra dozzina di uomini con un getto d’acido alla sua destra, e fece appena in tempo a voltarsi per vedere un’ondata elettrica guizzare minacciosamente verso di lei. Sorrise. Non aveva nemmeno bisogno d’intervenire. Infatti, come aveva previsto, un muro di terra e fango schizzò improvvisamente fuori dall’acqua che aveva evocato, schermandola dall’esplosione cinguettante che scoppiò subito dopo. Alle sue spalle, sui tetti dei palazzi, le voci furiose dei nemici urlavano al vento la loro rabbia e la loro frustrazione.

La ragazza sorrise al suo salvatore appena apparso sulla sinistra. “Ti devo un favore, Sora.”

Il moro si limitò a sfoggiarle un ghigno, facendola ridacchiare. Onestamente, non aveva idea di come facesse Sora a restare sempre così allegro e spensierato, anche nel bel mezzo di una battaglia. Persino mentre abbatteva un’altra ondata di assalitori con lance d’acqua e getti di fango continuava a tenere un sorriso cupo sulle sue labbra. Juvia lo aiutò ad attaccare, tranciando il busto di una donna che aveva provato ad avvicinarsi a loro con una lama di acqua perforante. Subito dopo, in meno di un istante, i nemici nascosti sopra i tetti vennero travolti da una raffica di esplosioni.

“Non abbassare la guardia,” la ammonì il suo compagno. Mentre parlava, il suo bastone da battaglia aveva già decapitato un ANBU con un movimento istintivo. “I Ninja della Foglia sono potenti. Molto presto questa farsa giungerà a termine, e i nostri veri avversari usciranno allo scoperto.”

Juvia trattenne un ghigno, uccidendo a sua volta un altro Ninja alla sua destra. “Che vengano pure. Saranno potenti quanto vogliono, ma senza il Settimo e l’Eremita non sono più niente contro di noi.”

“La falsa arroganza non ti si addice, Juvia.”

“Heh, non c’è gusto a scherzare con te. Avremmo dovuto mantenere i gruppi originali. Almeno mi sarei divertita di più se fossi rimasta con Gray,” sospirò la cerulea.

Sora ridacchiò amaramente. “Il nostro leader ha deciso così, e sai bene quanto me quanto siano astuti i suoi piani. Limitiamoci a svolgere i nostri compiti, e tutto andrà per il meglio. Dopotutto, ricordati, abbiamo un dio dalla nostra parte.”

Le labbra di Juvia si tirarono in un sorriso crudele a quelle parole. Non potevano negarlo. Boruto era un dio nel campo di battaglia. Un dio malevolo, certo. Un dio crudele, spietato e inarrestabile, anche. Ma pur sempre un dio. E la sua parola, il suo volere, erano legge. Né lei, né nessun altro nei Kara o nell’Impero avrebbe mai pensato di andare contro al suo volere. Non solo perché era potente, ma perché era loro amico. Era il loro leader. Si fidavano di lui. E se il loro leader aveva deciso così, era così e basta.

E ben presto, questo stesso dio sarebbe sceso in campo a sua volta. Sarebbe disceso sul piano mortale, onorando i loro nemici con la sua presenza ed investendo ogni cosa col suo dono fatto di dolore ed agonia. Juvia non vedeva l’ora di assistere a quella scena.

Sora sputò un getto di catrame dalle labbra, abbattendo un palazzo di almeno venti piani. Innumerevoli vite vennero travolte dal crollo e l’esplosione. “Tieni gli occhi aperti,” le disse semplicemente. Poi, rapido com’era venuto, si librò in aria con un balzo, precipitandosi verso una via secondaria e continuando a fare strage coi suoi attacchi elementali.

La ragazza scosse la testa, evitando casualmente un kunai esplosivo con uno scudo d’acqua compatta. Il suo aggressore venne tranciato da una dozzina di proiettili liquidi prima che potesse anche solo ammiccare. I suoi pensieri tornarono su Sora. Pur essendo stata la sua casa, di certo quel tipo non si faceva problemi a distruggere il Villaggio come niente. Beh, meglio così. Non che a lei importasse, ovvio. La Foglia era solo un ostacolo come un altro per lei. Uno degli ultimi ostacoli, per di più. Con la sua scomparsa, gli unici nemici rimasti da abbattere sarebbero stati i Kage nella Capitale ed il loro esercito alleato. Niente che il loro leader o Mikasa da soli non potessero gestire.

Per cui, la loro vittoria era vicina. E niente e nessuno poteva fermarli arrivati a questo punto.

Juvia sorrise feralmente.

Gatsūga!” (Zanne Perforanti)

I suoi occhi si sgranarono all’istante. La cerulea grugnì appena due… due cose – non c’era altro modo di descriverle – le si schiantarono letteralmente addosso con una potenza disarmante. Delle trombe d’aria rotanti dalla forza indescrivibile sbucate fuori dalle sue spalle. Juvia serrò i denti, resistendo al meglio delle sue capacità ai danni grazie alla sua abilità di mutare il proprio corpo in acqua, ma non poté evitare di essere completamente travolta dalla Tecnica a causa della sua inaspettata comparsa. Venne prepotentemente fatta esplodere in un ammasso di liquido e schizzi confusi, riformandosi dopo pochi secondi nei pressi di una fontana zampillante.

Mentre il suo corpo si riformava, la ragazza vide i suoi aggressori con nitida chiarezza. Un uomo incappucciato e dai capelli bruni, assieme a quello che sembrava essere in tutto e per tutto un vecchio e grosso cane ninja. La stavano fronteggiando alla sua sinistra, snudando le zanne e fissandola con occhi bestiali.

“Avete commesso un errore ad attaccare la mia casa,” ringhiò feralmente l’uomo, chiaramente un membro del clan Inuzuka. “Adesso la pagherete cara!”

Juvia non lo degnò di una risposta. Invece, puntò una mano in avanti ed una gigantesca lancia d’acqua scrosciante coagulò dinanzi alle sue dita, prima di schizzare alla massima velocità verso i due bersagli. L’uomo sgranò i suoi occhi sottili e bestiali e balzò lontano dalla traiettoria. “Schiva, Akamaru!” urlò al suo compagno a quattro zampe.

Il grosso segugio emise un ringhio e, nonostante la sua stazza pesante e l’età palesemente avanzata, saltò prontamente a sua volta, atterrando al fianco del suo padrone con le zanne tirate in un ringhio perenne. Juvia fissò il duo con occhi accigliati, uccidendo nel mentre una coppia di giovani Chuunin che stavano tentando di colpirla alle spalle con un semplice schiocco di dita ed un’esplosione di acido corrosivo. I due caddero a terra, gemendo e straziandosi le membra fumanti e corrose oltre ogni salvezza.

I suoi avversari sembrarono infuriarsi ancora di più a quella scena. “Jūjin: Bunshin no Justu!” (Arte Selvaggia: Moltiplicazione Selvatica) sibilò l’uomo con occhi selvaggi. Poi, nemmeno un attimo dopo, sia lui che il segugio vennero improvvisamente avvolti da una nuvola di fumo, e Juvia osservò con sguardo interessato mentre dalla coltre di nebbia sbucarono fuori due copie esatte dell’uomo, ma con occhi, artigli e fattezze molto più animalesche di prima.

Le sue labbra si tirarono in un sorriso sarcastico. “Patetico,” si limitò a dire.

Le due copie assottigliarono gli occhi e latrarono come cani, prima di balzarle addosso con una rapidità inaudita. Tuttavia, Juvia non si mosse, continuando a sorridere senza curarsene. Esattamente come aveva dedotto, i membri del clan Inuzuka erano molto prevedibili. La loro mente veniva sempre alterata dalle Tecniche Selvagge che utilizzavano assieme ai loro cani, e per questo erano vulnerabili agli impulsi e agli scatti istintivi tipici degli animali. In altre parole: facevano troppo affidamento sulle cariche selvagge e non sull’astuzia.

Proprio per questo motivo, fu estremamente facile per lei ingannarli. Mentre erano quasi riusciti a raggiungerla, infatti, il corpo di Juvia esplose ancora una volta in un ammasso di liquido, svanendo completamente alla vista. I due arrestarono di colpo il loro assalto, confusi e intenti a fiutare l’aria per cercare di individuarla, ma si accorsero troppo tardi del gigantesco drago d’acqua che la cerulea aveva evocato col pensiero alle loro spalle, restando impreparati quando esso si abbatté su di loro con tutta la potenza e l’ineluttabilità di un maremoto.

La Via Principale del Villaggio venne inondata a causa dell’esplosione che susseguì la Tecnica immediatamente dopo. L’aria, le strade, i palazzi e tutte le persone che si trovavano nelle vicinanze vennero completamente travolte da un’esplosione di acqua inarrestabile, distruggendo ogni cosa e facendo tremare tutta la parte orientale della città per un raggio di almeno settecento metri. Quando le cose iniziarono a calmarsi, ormai più della metà del distretto era rimasta distrutta quasi del tutto.

Juvia riapparve dopo un paio di secondi nel mezzo di una pozzanghera, fissando la distruzione che la circondava con un sorrisetto soddisfatto. A causa dell’impatto improvviso e del peso dell’acqua di prima, la strada si era completamente spaccata a metà, creando un dislivello di diversi gradi di profondità per tutta l’estensione della Via Principale. Mentre si osservava attorno, i suoi occhi notarono immediatamente il cane ninja di prima, accasciato a terra vicino a lei ed intento a guaire di dolore, sputando acqua delle sue fauci semiaperte. Dall’altra parte della strada semi-distrutta, il suo compagno umano stava cercando invano di riprendersi e rimettersi in piedi, accerchiato da diversi cadaveri che galleggiavano inerti in pozze d’acqua accumulate nelle fosse.

La cerulea non perse tempo. Mise fine alle sofferenze dell’animale con una mera contrazione delle dita. Una lancia d’acqua trafisse in pieno il cane, centrandolo proprio sopra il cuore. La povera bestia emise un guaito sommesso, prima di spirare silenziosamente con un’ultima contrazione delle zampe.

L’uomo non la prese per niente bene. Iniziò ad urlare come un forsennato. “No, Akamaru! NO! Malede-”

Una seconda lancia d’acqua lo colpì alle spalle, perforandogli il petto mentre stava ancora parlando. I suoi occhi si sgranarono con orrore, prima di abbassarsi per osservare il foro zampillante che gli si era formato sullo sterno, boccheggiando come un animale. Dietro di lui, Sora apparve alle sue spalle e lo finì con un colpo di bastone in piena testa. L’uomo cadde di peso in una pozza di sangue, il suo cranio spaccato a metà e la sua espressione congelata nell’istante prima della morte.

“Ehi! Chi ti ha detto di interferire?” brontolò Juvia al nuovo arrivato.

Sora la guardò con un cipiglio, limitandosi a rinfoderare il suo bastone insanguinato. “Stavi perdendo troppo tempo,” si limitò a spiegare.

“Volevo solo divertirmi un po',” si difese schiettamente lei.

Sora scosse la testa. Poi posò lo sguardo verso Ovest, assottigliando gli occhi oltre le macerie. “Dovremmo muoverci. Riesco a percepire i miei cloni e quelli di Boruto e Mikasa a poca distanza da qui. Stanno iniziando ad entrare in azione. Muoviamoci, prima che facciano detonare la bomba,” ordinò con disinvoltura.

Juvia lo osservò in silenzio mentre scompariva di nuovo, dirigendosi verso i tetti degli edifici rimasti per continuare la sua missione di distruzione. Poi sorrise, tramutando il suo corpo in acqua e svanendo a sua volta dentro ad un tombino.
 


03 Giugno, 0022 AIT
08:30


Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Margine del Confine Orientale
Distretto Popolare (Interno)

 
Shino sentì una gelida goccia di sudore colargli dal viso. L’intera squadra di ricognizione rimase nascosta dietro il vicolo, le loro dita strettamente attaccate ai manici delle loro armi. Anche così, nessuno riusciva a placare il tremore delle loro braccia, a parte lui. La tensione e il panico nell’aria erano quasi tangibili, accompagnate dalle raccapriccianti urla di dolore dei malcapitati e dal suono acuto dell’acciaio che trancia e cozza contro il metallo.

I suoi occhi nascosti dagli occhiali scoccarono un’occhiata frenetica di lato, senza staccare la schiena dalla parete dietro cui era nascosto. Ebisu e la sua squadra di Jonin erano di posizionati sul fianco sinistro della strada, mentre il Comandante Ibiki Morino e gli altri ANBU stavano coprendo il fianco destro. Sulla strada, al centro del viale, una quantità incalcolabile di civili stava correndo all’impazzata, cercando inutilmente di sfuggire alla morte incombente sotto alle frenetiche direttive dei Chuunin che tentavano di guidarli verso i punti di evacuazione. Tra di essi, anche la sua anziana Sensei – Kurenai – ed il vecchio Iruka Umino si stavano dando da fare nonostante l’età, correndo a loro volta e guidando quante più persone possibili verso le uscite segrete. Shino poté solo sperare e pregare per il loro successo.

Il giovane Aburame sentì la rabbia invadergli il corpo, scorrendo nelle sue vene come fuoco liquido. Innumerevoli cadaveri erano già ammassati lungo i bordi delle vie, carbonizzati, lacerati o ridotti a brandelli. Il pianto delle donne e dei bambini era assordante come il tuono. Mai, ma proprio mai, avrebbe desiderato rivedere la Foglia, la sua casa, la sua gente, attaccate e distrutte dal nemico. Nei suoi meri trentotto anni di vita era già successo una volta, e adesso stava avvenendo di nuovo. Quel pensiero per poco non lo fece piangere.

Shino chiuse gli occhi e si ritrasse dal mondo. Ignorò la rabbia, ignorò il dolore, e si concentrò sul proprio obiettivo. Con un pensiero, la sua mente tornò a focalizzarsi sui suoi insetti posizionati lungo tutto il distretto. Gli comunicarono silenziosamente col chakra, inviandogli le informazioni che necessitava. “Un solo bersaglio. Maschio. Estremamente potente,” riferì a bassa voce, comunicando ai suoi alleati in posizione. “Indossa una veste strana. Una forma di Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) che non mi permette di studiare il suo chakra. Posizione: trecentoventitre metri, direzione Nord-Est,” disse, ancora con gli occhi chiusi.

Dall’altra parte della strada, Ibiki ed Ebisu annuirono nervosamente. I loro uomini sguainarono le armi.

Un’esplosione improvvisa squassò l’aria ed il suolo. Ci furono altre urla agghiaccianti, seguite da una folata di vento caldo che investì la strada come un fiume in piena, sbalzando i fuggitivi e i cadaveri buttati a terra senza distinzione. Il palazzo su cui poggiava si crepò visibilmente. Shino trasalì per lo spavento quando vide il cadavere di un Jonin crollargli davanti, la sua faccia insanguinata contorta in una smorfia di sgomento. In alto, sopra la sua testa, altri cadaveri stavano volando all’aria come uccelli che migrano.

Il Comandante Ibiki ed il suo squadrone sbucarono fuori dal vicolo con dei ruggiti di rabbia e furia, caricando frontalmente con le armi sguainate. Shino li vide correre lungo la strada, svanendo oltre il bordo dell’edificio, verso l’inferno e le fiamme. Solo pochi ANBU rimasero nel suo raggio visivo, le loro mani che s’intrecciavano in Sigilli mentre sputavano fiamme, vento e fulmini verso la posizione del nemico. Nei recessi della sua mente, il giovane Aburame sapeva che non avrebbero avuto effetto.

Tuttavia non si diede per vinto. Facendosi coraggio, unì assieme le mani ed infuse chakra nel suo sistema. “Kikaichū no Jutsu!” (Tecnica degli Insetti Devastatori) sibilò.

Gli artropodi reagirono al suo comando. Uno sciame incommensurabile di insetti sbucò dalle vesti che indossava, strisciando fuori dalle sue maniche, dal suo colletto, dai pantaloni, e persino dai suoi occhiali. Si riversarono per le strade, formando un ammasso compatto e in continuo movimento, fino ad assumere la forma di un gigantesco animale a quattro zampe, composto interamente da invertebrati. Poi, con un cenno delle sue dita, la formazione vivente di insetti spiccò il volo con una rapidità inaudita, sfrecciando verso il bersaglio con un ronzio assordante simile a quello dei calabroni.

L’attacco frontale si rivelò fallimentare. Shino riuscì chiaramente ad udire il nemico in fondo alla strada mentre inalava aria nei polmoni, prima di sputare una gigantesca sfera di fuoco che investì ogni cosa. Jonin, ANBU, insetti… tutto ciò che si trovava nella sua traiettoria venne prontamente investito e carbonizzato senza pietà. Shino sentì il suo chakra dimezzarsi mentre tutti gli insetti cadevano a terra in fiamme, morti stecchiti. Quelli ancora in vita, quelli nascosti per le strade, presero ad allontanarsi prontamente alla vista delle fiamme.

Poi, la sfera di fuoco esplose, ed il mondo venne abbagliato da lampi accecanti di fuoco, bianco e calore. Quando si riscosse, Shino posò gli occhi nascosti dagli occhiali verso l’artefice di tale distruzione: Shirou Emiya, il secondo spadaccino dell’Organizzazione Kara. Vestito con la solita cappa scura dei Kara, se ne restava fermo in fondo al viale principale, reggendo in mano una lunga katana da samurai correntemente conficcata nel petto di un ANBU mascherato. Era immobile, con uno sguardo solenne in volto, ed apparentemente illeso dalla raffica che lo aveva investito fino ad ora. Attorno a lui, un mare di cadaveri fatti a brandelli e sviscerati grottescamente erano buttati in mezzo alla strada.

Tra di essi, Ebisu era presente, con il corpo senza braccia ed il volto affondato nel fango.

Shino deglutì nervosamente. Alla sua sinistra, vide un trio di giovani Chuunin che tentarono di attaccarlo, ma fecero una brutta fine. Ebbero appena il tempo di raggiungere il nemico prima di essere letteralmente affettati dalla lama del samurai con un movimento istantaneo, facendoli a brandelli tutti e tre contemporaneamente. La testa di uno di loro rotolò per la strada fino ai suoi piedi, e Shino serrò impotentemente i pugni mentre osservava il volto privo di vita del giovane.

Si fece coraggio, sbucando fuori dal suo nascondiglio e fronteggiando l’invasore con forza e determinazione.

“Non ti permetterò di andare oltre,” disse seriamente l’Aburame, richiamando a sé i suoi insetti. Sfidò il suo avversario a testa alta, anche mentre sentiva il sudore colargli copiosamente dalle tempie. “Perché? Perché hai invaso e distrutto la mia casa. Hai ucciso i miei fratelli ed alleati. Un crimine del genere non può restare impunito.”

“…non sono io il tuo avversario,” ribatté Shirou con noncuranza, rinfoderando la sua spada.

Le urla del resto della squadra di ricognizione e degli ANBU gli trafissero le orecchie come un rombo di tuono. Shino si voltò di scatto, stravolto, puntando gli occhi verso la direzione delle urla: i tetti. Lassù, i suoi occhi riuscirono a vedere intere orde di Shinobi morti piovere verso il basso, coi corpi fulminati, fumanti ed ustionati in maniera orribile. Caddero sul terreno ciottoloso della strada, macchiandolo irrimediabilmente di rosso. Mano a mano che cadevano, l’odore del sangue impregnò sempre di più l’aria con il suo tanfo metallico.

E il responsabile di quella strage era ben in vista: un giovane incappucciato e minaccioso, intento a stringere una mano attorno al collo spasimante del Comandante Ibiki.

Shino sentì il panico e l’orrore inondarlo come un fiume in piena. “No! Non farlo!” urlò disperatamente.

Il nemico non lo ascoltò. Con uno schiocco secco, il possente corpo di Ibiki smise di agitarsi sotto la presa dell’uomo incappucciato, per poi essere subito dopo buttato senza ritegno in mezzo alla strada. E quella fu la fine del Comandante del Dipartimento di Intelligence e Tortura. Un ennesimo corpo in mezzo ad un mare crescente di cadaveri. L’Aburame sentì la bile risalirgli lentamente su per la gola.

“Shino-sensei,” disse gelidamente il nuovo arrivato, atterrando a sua volta in mezzo al viale in fiamme. “Che sorpresa trovarla qui. Mi dispiace di averle fatto assistere ad una scena del genere.”

I suoi occhi si sgranarono dietro gli occhiali. Shino impallidì visibilmente. Aveva riconosciuto all’istante quel tono di voce. “B-Boruto,” esalò, cercando di mantenere la calma dinanzi allo stesso giovane che un tempo – durante un passato che sembrava ormai essere infinitamente lontano – era stato uno dei suoi allievi migliori e più brillanti dell’Accademia.

Il giovane Uzumaki non si rimosse il cappuccio, fissandolo con il suo volto nascosto dall’oscurità. “Mi dispiace,” ripeté di nuovo. Shino non aveva modo di dire se fosse, effettivamente, dispiaciuto o meno. “Non ho mai avuto niente di personale contro di lei, e le sono sinceramente grato per tutto ciò che mi ha insegnato durante la mia infanzia. È un vero peccato doverla affrontare così come nemico, stando su due fazioni completamente opposte.”

“Non avrei mai immaginato di vedere uno dei miei studenti migliori diventare un mostro,” dichiarò a sua volta Shino. Un sorriso privo di luce gli contornò le labbra. “Ma immagino che questa sia la vita. Non c’è altro di cui discutere con un criminale.”

Il sorriso del biondo era percepibile anche senza essere visibile. “…saggio ed irremovibile fino alla fine, eh?” la sua voce suonò, incredibilmente, triste mentre parlava. “Come desidera, dunque. Le concederò una fine rapida ed indolore da parte del mio fidato Shirou.”

Il suono di una spada che si sguainava lentamente alle sue spalle lo fece trasalire. Shino si voltò di scatto, restando a bocca aperta appena vide lo spadaccino dei Kara scattare verso di lui con una rapidità indescrivibile a parole. Reagì istintivamente, portando una mano in avanti ed accumulando chakra alla massima velocità. “Mushi Kame no Jutsu!” (Tecnica dell’Entomosfera)

Un esercito di Kikaichu ronzò alla vita attorno a lui, avvolgendolo completamente e formando uno scudo difensivo e ronzante per proteggerlo. Ma, purtroppo, fu tutto inutile. Shirou si limitò ad avvolgere la sua spada con una coltre di fuoco – l’unica, vera debolezza degli insetti del clan Aburame – tranciando completamente il suo scudo vivente di artropodi e dissolvendolo con un’esplosione di fiamme e luce.

Shino ebbe a malapena il tempo di ammiccare, prima di ritrovarsi disteso a terra in una pozza di sangue cremisi, con il petto lacerato da uno squarcio profondo e zampillante. Lottò faticosamente per mantenere le palpebre aperte, notando solo dopo un secondo che i suoi amati occhiali non erano più sulla sua faccia, ma bensì buttati a terra accanto a lui, lasciandolo completamente scoperto per la prima, e ultima, volta in tutta la sua vita.

Non riuscì più a vedere nulla. Non sentì nemmeno dolore. Solo, un attimo prima era sveglio e lucido, e quello dopo tutto il suo mondo era diventato nero e confuso. Tuttavia, prima che l’oscurità lo avvolgesse completamente, delle voci ovattate risuonarono debolmente alle sue orecchie.

“Bel lavoro, Shirou,” a giudicare dal tono, doveva essere Boruto.

La risposta dell’altro arrivò dopo un solo secondo. “Stai indossando il cappuccio. Questo vuol dire che sei uno dei cloni.”

Shino non riusciva a vederlo, ma aveva la distinta sensazione che il biondo fermo davanti al suo corpo morente stesse annuendo sotto al suo manto oscuro.

“L’originale è quasi in posizione. Mikasa, Sora ed io abbiamo sparpagliato i cloni per tutti i Distretti principali. Una volta recuperati gli anelli, entreremo in azione.”

“…capisco.”

“Adesso dirigiti verso il prossimo obiettivo. Sai cosa fare. E tieni gli occhi aperti, Shirou. Gli Hyuuga non sono avversari da sottovalutare.”

“Come desideri, Boruto.”

Non si udirono più altre voci a quel punto. Solo silenzio, ed il rumore delle esplosioni e delle fiamme che echeggiavano in lontananza. Passarono diversi secondi di immobilità assoluta. Poi, infine, tutti i suoi sensi vennero recisi completamente.

Shino sorrise, abbandonandosi al sonno eterno.
 


03 Giugno, 0022 AIT
08:39


Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Zona Esterna al Confine Occidentale
Foresta del clan Nara

 
Shikamaru si passò una mano tremante tra i capelli. I suoi occhi si stavano sgranando a dismisura mentre osservavano la distruzione che stava avvenendo nel centro della città. Anche dalla sua posizione attuale non era difficile intuire l’enormità dei danni e della distruzione che stava intravedendo così da lontano. I palazzi e gli edifici in lontananza stavano crollando uno ad uno, e la terra era scossa sempre più da terremoti e scosse incessanti. L’aria era ormai pervasa incessantemente dalle urla e dal suono delle esplosioni. E come se non bastasse, in alto nel cielo, appena al di sotto delle nuvole, quel maledetto uccello rosso di prima continuava a bombardare ogni cosa, incurante della devastazione che lui ed il suo padrone stavano causando sopra la città.

Il giovane consigliere sentì ogni fibra del suo essere tremare per la rabbia dinanzi a quella scena. Questa, questa era la sua casa, la sua gente. I Kara ed il loro leader le stavano letteralmente calpestando come niente… di nuovo. Prima il suo clan, e adesso il suo Villaggio. Questo era inammissibile. Ovunque guardasse, per quanto lontano il suo sguardo si perdesse oltre le fronde degli alberi, il paesaggio fino a poco fa pacifico e familiare del Villaggio della Foglia stava venendo sempre più rimpiazzato da un’immensa estensione di macerie ed edifici distrutti. Nient’altro che macerie ed edifici distrutti.

Shikamaru si chiese dove cazzo fossero Naruto, Sasuke e Sentoki, ora più che mai. Era certo che sarebbero esplosi dalla rabbia ad una visione del genere.

“Ehi! Non distrarti, Shikamaru! Datti una mossa!”

Il Nara si riscosse all’udire la voce di sua moglie. Veloci com’erano arrivati, i suoi dubbi vennero immediatamente rimpiazzati dalla determinazione, e la sua mente tornò a posarsi sul compito che doveva svolgere in quel momento: evacuare quante più persone poteva fuori dalle mura. Alle sue spalle, centinaia di civili e Shinobi lo stavano seguendo a ruota, tutti organizzati in file ordinate e con le espressioni miste tra l’orrore, la rabbia e il dolore. Assieme a lui, ovviamente, Temari, Choji, sua moglie e diversi Shinobi di ogni rango ed età erano presenti a loro volta, tutti intenti a dettare ordini ed istruzioni e a cercare di mantenere la calma nella folla di fuggitivi.

Le foreste del clan Nara che stavano attraversando erano silenziose come la tomba. Nessun uccello cantava sugli alberi, e nessun cervo si vedeva da nessuna parte. L’aria era perennemente scossa dalle esplosioni e dai tremori del suolo mentre Shikamaru guidava la sua gente verso una delle uscite segrete del Villaggio, correndo a passo spedito nel sottobosco. Persino gli alberi sembravano a malapena resistere all'impulso di gemere e ondeggiare, percossi da un vento incessante causato delle ondate calde delle esplosioni in lontananza.

Shikamaru deglutì la sua agitazione crescente. Di questo passo, era certo che la situazione sarebbe degenerata in un batter d’occhio. Non avevano ancora evacuato nemmeno la metà dei civili presenti nella città, e questo senza contare quelli già morti o andati perduti nelle esplosioni e nei crolli. E se c’era una cosa che il Nara aveva imparato osservando le stragi precedenti dei Kara, essa era che il nemico non si sarebbe fatto scrupoli a puntare gli occhi sugli indifesi per riuscire a distruggere lui e gli altri che li difendevano. Se volevano avere una chance di sopravvivenza, dovevano riuscire ad allontanare i civili da qui, il più in fretta possibile.

Choji e sua moglie Karui stavano furiosamente perlustrando il perimetro alla ricerca di eventuali nemici, ma fino ad ora senza successo. Il che era un bene, da una parte, ma dall’altra questa cosa lo preoccupava a morte. Se fosse improvvisamente successo qualcosa, se fossero cascati in un’imboscata inattesa, la situazione sarebbe precipitata rapidamente. C’erano innumerevoli varianti, diverse possibilità, e in mezzo ad un caos come questo era impossibile riuscire a trovare una soluzione efficace per tutti. E per quanto Shikamaru si stesse sforzando di ragionare sin dall’inizio dell’assalto, in quel momento non era nelle condizioni di poter-

“Shikamaru.”

Il Nara trasalì, voltandosi e trovandosi faccia a faccia con il volto pallido e sudato di Temari. Lo stava guardando dritto negli occhi. “Calmati. Fai un respiro profondo. Ti stai perdendo nuovamente nei tuoi pensieri,” gli sussurrò sua moglie, andando prontamente in suo soccorso.

Lui deglutì, annuendo ed imprecando. Ma Temari lo conosceva meglio di tutti e notò la sua tensione. Gli mise subito una mano sulla spalla. “Cerca di stare calmo. Mi sono sentita allo stesso modo quando quel folle ha attaccato il nostro clan. E proprio per questo ho fallito quella notte. Ma adesso non possiamo commettere gli stessi errori di prima. Non possiamo lasciarci accecare dalla paura. Questa volta deve essere diverso. Questa volta SARÀ diverso. Dobbiamo portare in salvo queste persone, allontanarle da qui. Sei con me?” domandò seriamente, cercando di trattenere il suo tumulto interiore.

Shikamaru annuì, cercando di sgomberare la mente. “Grazie, Temari,” la ringraziò sinceramente. Un sorriso determinato si diffuse sul suo volto. “Ce la faremo. Insieme.”

Sua moglie annuì e sorrise a sua volta. “Diamoci una mossa.”

Shikamaru aumentò il passo, guidando i civili e la sua gente verso l’uscita segreta.

“Konohamaru… cerca di resistere il più possibile.”
 


03 Giugno, 0022 AIT
08:40


Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto Centrale
Strada Secondaria per la Piazza Centrale

 
Nella sua breve vita, Konohamaru aveva già visto la Foglia cadere in rovina una volta, durante l’attacco di Pain. E ora, questa era la seconda. Ancora peggio: stava rivivendo una scena simile da adulto, e da Hokage. Da piccolo aveva sperato, pregato e supplicato il cielo di non rivedere mai più la sua casa in uno stato simile. Ma, ahimè, il Destino si stava rivelando, ancora una volta, un padrone crudele e senza alcuna compassione per lui e per la sua casa.

Era il caos. Puro e semplice caos. Le esplosioni e il fuoco stavano devastando tutto, generando nell’aria un odore di legno bruciato, metallo fuso, morte e cadaveri anneriti in decomposizione. Una sensazione opprimente di angoscia e terrore sembrava aleggiare nei cuori di tutti. E, per alcuni di loro, per quelli che non avevano mai visto una vera battaglia prima d’ora, quelle erano le uniche sensazioni che si potevano percepire tra i ranghi delle forze di difesa. Ma per tutti gli altri, per quelli come lui, questa visione era un orribile ricordo dei tempi passati. Un ricordo della Quarta Guerra Mondiale. Un ricordo della morte, del terrore, del dolore di quel giorno. Konohamaru certamente non avrebbe mai, mai potuto dimenticare quelle visioni passate.

Un'esplosione squassò l'isolato che stavano attraversando. Guardò il cielo attraverso i tetti delle due case che si stagliavano su entrambi i lati del vicolo attraverso cui lui e la sua squadra erano sgattaiolati. Il membro dei Kara che stava volando nel cielo a dorso dell'uccello – la stessa bestia che, ne era certo, aveva assaltato il Villaggio della Nuvola diversi anni prima – si sarebbe rivelato un problema. Nessuno di loro aveva la gittata e la portata necessaria per attaccarlo da terra, né la capacità di volare a differenza di Naruto. Fortunatamente però, chiunque fosse quel tipo, sembrava contento di far semplicemente piovere etichette esplosive su di loro senza fare altro. Konohamaru poteva occuparsene più tardi.

L'altra fonte delle esplosioni, invece, era ad un miglio e diversi isolati di distanza ad Est, nel Distretto Commerciale. Il problema? Una terra di nessuno, fatta di macerie e fuoco, si stagliava tra lui e quell’obiettivo. Era una trappola mortale, una che si era formata nel Villaggio in meno di pochi minuti a causa delle azioni dei Kara e dei bombardamenti continui. Fortunatamente, Rock Lee ed uno squadrone di Jonin erano diretti in quella direzione. Tenten possedeva e gestiva un negozio di armi in quella zona, e Konohamaru aveva abbastanza fiducia su loro due. Avrebbero potuto cavarsela da soli per un po', prima di dover mandare dei rinforzi.

Al momento invece, per lui erano più preoccupanti i brevi lampi di luce rossa e blu verso cui lui e Mirai si stavano dirigendo. Konohamaru aveva inviato la maggior parte della Squadra Due verso l’edificio del Dipartimento di Intelligence e Tortura. Shikamaru aveva ragione, dopotutto. Il quartier generale dell’Intelligence per la strategia militare della città sarebbe stato un bersaglio primario per i loro nemici. Inoltre, era abbastanza sicuro della sua forza e di quella della figlia di Asuma. Chiunque avessero incontrato da qui in poi, si sarebbe pentito amaramente di aver attaccato la Foglia.

"SHANNAROOOO!!!"

L’Ottavo Hokage sorrise. Avrebbe potuto riconoscere quella voce ovunque. Un suono simile a quello di un tuono rimbombò nell'aria subito dopo. Sbirciò dietro l'angolo dell'edificio. Sakura – il giovane Kage la benedì mentalmente – stava furiosamente sferrando dei pugni portentosi sopra ad una... una barriera scintillante di chakra rosso. La donna stava sfruttando la sua immensa forza per cercare di infrangerla. Sakura sbatté di nuovo un pugno contro la barriera, ma essa non cedette neanche un pò. Un altro fragore di tuono echeggiò nel vuoto quando un soffio d'aria si propagò verso l'esterno a causa dell'impatto.

Questo sarebbe stato un problema. Konohamaru non aveva mai combattuto contro un nemico che usava attivamente le Arti del Fuuinjutsu (Sigilli). Avrebbe dovuto adattarsi alla situazione ed improvvisare al volo. "Muoviamoci," sussurrò a Mirai. La ragazza annuì, i suoi occhi cremisi fissi sui loro nemici.

Mentre si muovevano in una posizione più vantaggiosa, l’Ottavo Hokage osservò il loro unico avversario in vista. Un giovane uomo, alto e muscoloso, con la tipica veste scura ed ammantata dell’Organizzazione. Indossava – stranamente – il suo cappuccio sopra la testa, rendendo impossibile scrutarne il volto, ma la sua aura di energia ed il potere oscuro che il suo corpo emetteva con la sua stessa presenza erano inconfondibili ai suoi occhi, anche senza la Modalità Eremitica. Chiunque avesse visto Boruto Uzumaki in carne ed ossa almeno una volta, non sarebbe mai più riuscito a dimenticare il suo aspetto, indipendentemente da tutto il resto. 

Per cui, il loro avversario sarebbe stato il leader stesso dell’Impero.

Intorno a loro, la città bruciava. Colonne immense di fumo e detriti si sollevavano verso il cielo mentre la terra tremava sotto le esplosioni. In mezzo alla strada, Konohamaru vide Boruto sputare dalle labbra una lama d'acqua verso Sakura. La madre di Sarada riuscì ad evitarla, ma essa continuò la sua traiettoria e tagliò i supporti di un palazzo alle spalle della donna. L’intero edificio crollò su sé stesso in pochi istanti. Konohamaru strinse furiosamente i denti e i pugni quando sentì le urla e le grida di terrore dei coinvolti. Non aveva il tempo né la capacità di salvarli, a differenza di Naruto. Avevano scelto di vivere nel cuore della Foglia, nel Distretto Militare, durante un tempo di guerra. Era un rischio che si erano presi consapevolmente. Eppure, lui era attualmente l’Hokage. Era suo dovere fare tutto il possibile per riuscire a salvarli.

Ma, a differenza di Naruto, lui non possedeva né il potere né l’esperienza necessari per colpire il nemico frontalmente. Per cui, se voleva fermare Boruto ed impedire una strage, doveva giocare d’astuzia.

Konohamaru si riscosse e condusse Mirai verso un cumulo di macerie che era stato incendiato delle fiamme. Stavano cercando di avvicinarsi il più possibile al combattimento senza essere visti. Poteva letteralmente sentire il suono dei pugni di Sakura che sbattevano rabbiosamente contro la barriera. L’Ottavo Hokage segnalò un codice a Mirai con un guizzo delle dita: agguato, fuoco, io, vento, tu. Mirai annuì con decisione. Insieme, i due Sarutobi agirono come una persona sola, tessendo una serie di Sigilli con le mani ed aggirando il cumulo di macerie. Konohamaru prese fiato ed esalò una ruggente ondata di fuoco dalle labbra. Di fronte a lui, Mirai espirò a sua volta una folata d'aria pressurizzata che alimentò il fuoco fino a raggiungere un livello di calore e potenza micidiale.

Boruto non si voltò nemmeno verso di loro. Il guerriero incappucciato sollevò semplicemente una mano verso l’attacco incombente, tenendo lo sguardo fisso e puntato su Sakura, che si era lanciata in avanti e aveva sbattuto un ennesimo pugno contro la barriera rossa. Il giovane Hokage vide l'aria brillare all’improvviso mentre un clone di Boruto apparve alla vita, evocando dalle mani una seconda barriera di chakra blu che entrò in funzione in quel momento. La loro Tecnica combinata si infranse sulla barriera blu come le onde fanno sopra le rocce, prima di appassire e morire senza scopo.

Konohamaru osservò le due barriere con gli occhi aggrottati. Probabilmente, realizzò, erano una coppia abbinata, un set unico: quella rossa per bloccare gli attacchi fisici, e quella blu per gli attacchi elementali.

Non ebbe modo di studiarle oltre. L’Hokage imprecò sottovoce quando fu costretto a schivare un improvviso proiettile d'acqua lanciatogli dal clone. Il vero Nukenin non si era nemmeno voltato verso di lui, eppure lo aveva già notato ed attaccato con una precisione sconcertante. Forse, realizzò in quel momento il Sarutobi, lo aveva notato sin dall’inizio grazie al suo Jougan, ancora prima di averlo attaccato con Mirai.

L’Ottavo trattenne l’impulso di ringhiare a quel pensiero. Era come combattere contro Naruto. O meglio, contro una versione più giovane, più crudele e più spietata di Naruto. Per quanto odiasse ammettere il solo pensiero di ciò, nessuno al mondo poteva negare che Boruto Uzumaki fosse uno dei Ninja più potenti mai esistiti sul loro pianeta. Ed il pensiero di doverlo affrontare adesso, nel bel mezzo della sua casa in fiamme, non era per niente allettante.

Il Nukenin rivolse la sua cappa oscura verso di lui mentre il clone si ritirava al suo fianco. “Vedo che finalmente ha deciso di unirsi alle danze, Ottavo Hokage,” disse, pronunciando quel termine con scherno e sarcasmo. Konohamaru e gli altri notarono che stava facendo qualcosa con la sua voce, probabilmente un Jutsu del Vento, per farla echeggiare meglio nell’aria. “Stavo cominciando ad annoiarmi qui.”

Il giovane Hokage sbucò fuori dalle macerie in fumo, solenne e imperioso. “…Boruto Uzumaki,” disse a sua volta, cercando di nascondere quanto fosse realmente nervoso. “Vorrei poter dire che è bello rivederti… ma sappiamo entrambi che non è così.”

Il sorriso crudele sulle labbra del biondo era percepibile anche senza essere visibile. “Il nostro disprezzo è reciproco, Sarutobi,” canticchiò.

Sakura sbatté un ennesimo pugno sulla barriera davanti al Ninja traditore, interrompendo il loro discorso. Come tutti gli attacchi precedenti, non fece alcun effetto. “Non riuscirai a scamparla dopo quello che hai fatto oggi,” ringhiò rabbiosamente la donna. “Ti ho già steso ben due volte in passato. Questa volta farò in modo che tu non possa nemmeno restartene in piedi dopo la batosta che stai per subire!”

“L’unico motivo per cui non ti ho ancora uccisa è perché Sarada e Sasuke-sensei non me lo perdonerebbero mai,” ribatté gelidamente il ragazzo, guardandola torvo da sotto al suo cappuccio. Gli occhi verdi della donna lampeggiarono di collera alle sue parole. “Ma non ho certo dimenticato il dolore che mi hai inferto. Stai sicura che oggi farò in modo di ricambiarti il favore, Uchiha.”

“Non farai niente di tutto questo, invece,” s’intromise nuovamente l’Ottavo, facendo un passo in avanti e parlando con tutta la forza e la decisone degne del suo titolo. Si portò più vicino a Sakura, affiancato alle spalle da Mirai e da una dozzina di ANBU e Shinobi dalle armi sguainate. “Hai invaso e ferito la Foglia... lo stesso Villaggio dove sei nato e cresciuto. Lo stesso Villaggio che è stata la tua casa per ben dodici anni! Pensi che un affronto del genere possa restare impunito?”

Il Nukenin incappucciato inclinò la testa verso di lui. “Pensi davvero di potermi minacciare, Sarutobi?” ridacchiò ironicamente. “Io ho già sconfitto il Settimo Hokage in battaglia… cosa pensa di poter fare un insetto come lei al confronto di quell’uomo?”

Quella dichiarazione fece raggelare il sangue a tutti quanti.

Konohamaru sentì il terrore più puro e acuto di sempre iniziare ad insediargli le ossa. Persino Sakura e Mirai trasalirono come se fossero state fisicamente colpite. S-Se quello che Boruto aveva appena detto era vero, allora Naruto… Naruto era…

Ma Boruto non aveva finito. “Inoltre, questo posto non è mai stata la mia casa,” continuò a dire, incurante come sempre. “La Foglia non rappresenta più niente per me e la mia gente, se non un ennesimo ostacolo da eliminare per riuscire ad unire il mondo e portare la pace sulla Terra.”

“Sei un maledetto e pazzo assassino!” sibilò un ANBU in mezzo alla calca.

“E voi un branco di insetti incapaci di adattarvi alle leggi della natura,” ribatté prontamente il clone, parlando per l’originale.

“…noi ti fermeremo, Boruto,” dichiarò ancora l’Ottavo Hokage. La sua voce suonò tremante, ma indiscutibilmente decisa e ferma persino nel suo terrore. “Non ci arrenderemo senza combattere.”

Il biondo incappucciato lo fissò col suo sguardo nascosto. “E come, di grazia, avreste intenzione di fermarmi? I vostri attacchi non sono riusciti neanche a scalfire le mie deboli barriere. Se non siete nemmeno in grado di superare un ostacolo del genere, allora la Foglia e tutta la sua gente cadranno molto prima di quel che pensate,” dichiarò senza un minimo di emozione.

Era vero. Konohamaru sapeva che era vero. Ma, nonostante tutto, il giovane Hokage nutriva una speranza in fondo al suo cuore. Nessuna Tecnica era impeccabile. Nessuna persona era priva di falle o limitazioni. Come tutte le Tecniche e tutte le cose esistenti, anche Boruto e i suoi Justu avevano delle debolezze. E Konohamaru era più che deciso a scoprire quali fossero per riuscire a fermarlo. Doveva farlo, come Ninja, come uomo, e come Hokage. Era il suo dovere. Doveva riuscire a fermarlo, per impedirgli di calpestare il sogno per cui Naruto, Kakashi e tutti gli altri Hokage prima di lui si erano sacrificati fino ad oggi. La sconfitta non era un’opzione.

Non ci furono altre parole dopo quello scambio di battute. Sprecare il fiato in mezzo ad una battaglia era inutile.

Il giovane Sarutobi fece un cenno con le mani. "Copritemi,” sussurrò ai suo compagni e subordinati. Mirai e Sakura annuirono, mentre la prima evocava le sue tipiche lame di chakra e la seconda faceva schioccare le dita. Alle sue spalle, gli ANBU e gli Shinobi al suo seguito lanciarono un grido d’assalto e partirono alla carica. Konohamaru si tuffò nella pietra e nuotò in avanti, nascosto sotto le macerie del Villaggio. Chiuse gli occhi ed iniziò ad accumulare Energia Naturale nel suo corpo. Se le sue stime fossero state corrette, allora l’unico modo per annullare le barriere era...

Mentre avanzava, sentì improvvisamente le sue dita sfiorare uno strano chakra estraneo. Era denso, come un liquido, e splendente di un blu brillante che illuminava il tunnel sotterraneo. Pulsava, inoltre, come se fosse vivo ed indipendente. Come se avesse un battito cardiaco tutto suo. Era... un ciclo di reazione. Konohamaru attivò la sua Modalità Eremitica dei Rospi e si tuffò di lato mentre una raffica di frecce acquose squarciava il terreno nel tentativo di eviscerarlo. Era difficile schivare sottoterra in modo efficace, quindi si ritirò frettolosamente verso la superficie. Lì, il neo Hokage saltò lontano dal raggio di attacco nemico e scagliò un kunai contro il bersaglio.

Una barriera di chakra rosso brillò nuovamente alla vita e fermò il proiettile. Un istante dopo, la bomba a gas invisibile attaccata all'elsa del kunai esplose silenziosamente. Konohamaru sorrise sotto i baffi. Anche se l’attacco sembrava aver fallito, i suoi occhi da rospo videro chiaramente il gas velenoso che attraversava la barriera con facilità.

Aggiunse mentalmente quell'informazione al conteggio nella sua testa. Le barriere erano permeabili all'aria e quella rossa, in particolare, permetteva il passaggio di gas velenosi inosservati.

L'unico problema era che Boruto ed il suo clone non sembravano preoccuparsene. Si limitarono a scrollarsi di dosso il gas senza fare alcuna mossa per evitarlo. Magari stavano trattenendo il respiro sotto al cappuccio, oppure stavano lentamente disperdendo il gas a sua insaputa. Konohamaru si accigliò a quel pensiero. La Foglia usava un particolare tipo di gas velenoso creato da poco, la cui composizione era stata classificata e rivelata solamente ai Kage e agli ANBU di alto livello. Se Boruto ne era davvero immune, significava che in qualche modo doveva averne scoperto l'antidoto. Che ci fossero delle possibili spie tra i loro ranghi? Il giovane Hokage non voleva intrattenere il pensiero che uno dei suoi amici, dei suoi compagni, avrebbe tradito consapevolmente la Foglia per allearsi con l’Impero. L’unico precedente era stato con Annie Leonhardt, e quello era successo più di tre anni prima.

"Sakura!" abbaiò allora Konohamaru, indicandole le sue intenzioni con un cenno delle dita. Un vecchio codice utilizzato esclusivamente dal Team 7 ed i suoi fedeli alleati. Sakura reagì all’istante, calpestando il terreno e sollevando una nuvola di detriti. Poi sbatté un pugno contro un masso grande quanto il suo cranio. Volò nell'aria con un sibilo udibile verso il clone del Nukenin che aveva appena evocato la barriera blu per difendersi dagli assalti incessanti degli ANBU.

Il secondo Boruto si voltò di scatto e creò di nuovo una barriera di chakra rosso per proteggere il clone. Konohamaru sorrise mentre schizzava fuori dal suo nascondiglio. Un guizzo di chakra azzurro gli attraversò il pugno mentre si lanciava in avanti, puntando il suo Rasenshuriken verso la schiena del clone, proprio sul punto dove c’era il cuore. Senza la barriera blu a difenderlo alle spalle, la Tecnica l’avrebbe colpito di certo, e non c'erano possibili schivate a questa distanza quando l'attacco proveniva da un punto cieco.

Perciò, quando i suoi occhi videro il clone chinarsi casualmente in avanti per permettere al suo Rasenshuriken di navigare innocuamente sopra la sua testa, il Sarutobi sentì qualcosa di freddo e appuntito iniziare ad agitarsi dentro al suo stomaco: terrore. Il tempo rallentò istantaneamente. Con grande riluttanza, Konohamaru alzò gli occhi per fissare il secondo Boruto appena apparso istantaneamente dinanzi a lui, talmente veloce da risultare invisibile. Lo stava fissando intensamente sotto a quel cappuccio oscuro. Poi, il neo Hokage grugnì di dolore quando uno stivale si collegò malamente alle sue costole.

Si schiantò pesantemente contro una casa o un negozio in rovina e l'edificio crollò tutt’intorno a lui. Konohamaru ansimò quando il suo istinto prese il sopravvento. Saltò lontano dalle macere appena un secondo prima che un'ondata d'acqua si abbattesse sull'edificio. Poi, i suoi sensi aumentati dalla Modalità Eremitica udirono il suono dell'elettricità urlante in lontananza. Poteva ancora sentire gli spruzzi d'acqua sul suo viso. Chiuse gli occhi, aspettandosi di essere colpito dal morso aspro del fulmine…

Ma non avvenne. Vide che Mirai stava danzando in cerchio attorno al clone di Boruto, assaltandolo con le sue lame sbrilluccicanti di chakra. Sakura, nel frattempo, stava facendo del suo meglio per schiacciare il secondo Boruto nascosto dietro alla barriera rossa e ridurlo in poltiglia. Era forte, ma non abbastanza veloce da tenergli testa, e di questo passo non sembrava che avrebbe fatto grandi progressi. Il Sarutobi tirò un sospiro di sollievo mentre si rassegnava ad effettuare una nuova strategia. Si riunì in fretta alla sua squadra, preparandosi a raddoppiare i suoi sforzi.

"Sakura!" gridò Konohamaru, osservandola ansimare dopo l’ennesima raffica andata a vuoto. "Fermati! Cercare di colpirli in questo modo è inutile."

Poté sentire il momento esatto in cui la madre di Sarada borbottò la sua imprecazione, allontanandosi di scatto dalla barriera. Fu soffocata da un feroce grido di battaglia mentre Mirai mandava un calcio rotante verso il clone di Boruto, mirando alla testa. La copia schivò abilmente l’attacco, ma un’ondata di vento generato dal colpo andato a vuoto lo fece sollevare da terra e lo scagliò all'indietro per diversi metri.

Konohamaru si spremette furiosamente il cervello alla ricerca di una strategia. Sapeva di non possedere né la forza, né la velocità e nemmeno l’abilità combattiva necessarie per tenere testa al loro avversario. Quindi, affrontarlo da solo in uno scontro diretto sarebbe stato un suicidio. Era un po' spaventoso, davvero, realizzare appieno il fatto che lo stesso ragazzo che un tempo sarebbe potuto essere un suo allievo era diventato infinitamente più potente di lui in meno di sette anni. Ma comunque, se voleva avere una chance di colpirlo, doveva trovare un modo per superare quelle maledettissime barriere.

Riflettendo, l’Ottavo Hokage ripensò a come Sakura avesse sferrato i suoi pugni sulla barriera rossa. Conoscendo quella donna, era improbabile che si fosse trattenuta molto negli attacchi, e quindi era ragionevole presumere che infrangere la barriera fosse quasi impossibile. E se la stessa forza doveva essere applicata anche alla barriera blu, ciò significava che nessun attacco basato sul chakra sarebbe stato in grado di distruggerla. Almeno, nessun attacco che Konohamaru era in grado di creare. Quindi, avevano bisogno di invertire le cose. Doveva provare a mettere Sakura contro la barriera blu ed attaccare lui stesso quella rossa.

Konohamaru intessé dei sigilli con le mani. Grazie al suo chakra, un muro colossale di terra venne improvvisamente eretto tra loro tre ed il Nukenin nemico. Il giovane Hokage scelse di immaginare che ci fosse uno sguardo di frustrazione sotto a quel cappuccio oscuro, ma sapeva che era improbabile. Tuttavia, aveva visto chiaramente il modo in cui l’originale ed il suo clone stessero costantemente girando intorno ai loro avversari per cercare di avvicinarsi l'uno all'altro. Volevano coprirsi a vicenda. Probabilmente, erano più forti insieme che separati. O, forse, stavano cercando di nascondere qualcosa.

Gli occhi arancioni del Sarutobi si assottigliarono con sospetto.

Il clone voltò il suo cappuccio oscuro a fissarlo. Konohamaru si lanciò all’attacco e spinse il braccio in avanti. Un piccolo Rasengan guizzò alla vita tra le sue dita ed urlò la sua furia, crescendo rapidamente.

Il suo bersaglio balzò via da lui, dirigendosi verso la cima del muro di terra. Konohamaru era proprio dietro di lui, altrettanto veloce, e stava già tessendo dei segni con le mani. Esalò un ruggente inferno di fiamme sul clone prima che quest’ultimo potesse piantare i piedi in cima al muro. Sperò e pregò mentalmente per un successo, ma non fu affatto sorpreso quando si ritrovò davanti ad un altro fallimento. L'uomo incappucciato alzò la testa e sputò un'ondata ribollente e schiumosa d’acqua senza nemmeno formulare sigilli. Fuoco e acqua si incontrarono in un'esplosione di vapore che appannò il campo di battaglia per diverse decine di metri.

Il giovane Sarutobi imprecò. Era proprio in momenti come questi che gli mancava davvero avere Shikamaru al suo fianco. Senza di lui e la sua astuzia, era ancora inesperto ed incapace di formulare un piano d’attacco decisivo. E senza il potere infinito del Kyuubi dalla sua parte, Konohamaru era ben consapevole di essere, in quel momento, un Hokage più debole del necessario rispetto a Naruto. Poteva praticamente sentire il sorriso di scherno che il suo avversario gli stava rivolgendo, sfidandolo nella sua debolezza. Attorno al campo di battaglia, l'aria del Villaggio sibilava mentre veniva squarciata dal rumore dell'acciaio, delle esplosioni e delle urla di battaglia.

Una potente folata di vento spazzò il campo di battaglia in quel momento. Konohamaru ammiccò con le palpebre mentre il mondo gli veniva di nuovo schiarito. Sakura era stata... letteralmente scagliata contro un pilastro di cemento. Mirai invece respirava affannosamente e si teneva le mani contorte nel Sigillo del Topo. E Boruto ed il suo clone erano, ancora una volta, in piedi uno accanto all’altro. Attorno a loro due, il resto degli ANBU e degli Shinobi della Foglia erano stati ridotti a brandelli.

Sakura e Mirai si unirono ancora una volta a lui per fronteggiare nuovamente il leader dell’Impero.

"C-Cosa facciamo?" chiese nervosamente Mirai. Stava stringendo le dita così forte attorno all’elsa dei suoi kunai che la pelle le era diventata bianca come la neve e le sue nocche stavano iniziando a schioccare.

"Sembra che non saremo in grado di separarli facilmente," mormorò Konohamaru. "Sono troppo intelligenti, troppo forti, per poterli sopraffare individualmente. Dobbiamo scoprire quale sia la loro debolezza. La barriera rossa blocca gli attacchi fisici, quella blu gli attacchi elementali. Proviamo a colpirle entrambe allo stesso tempo."

Sakura e Mirai annuirono. Konohamaru prese fiato e si preparò ad attaccare.
 


03 Giugno, 0022 AIT
09:07


Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Zona Periferica Sud-Est
Campo di Addestramento n°32

 
Ora che i civili erano stati evacuati, era ora della controffensiva.

Shikamaru trattenne il fiato, nascosto dietro il tronco di un abete, osservando di soppiatto i suoi bersagli: un ragazzo ed una ragazza, entrambi rivestiti dalle cappe dell’Organizzazione Kara e coi volti coperti, intenti a camminare lentamente nel bel mezzo del campo di addestramento, diretti verso il Distretto Commerciale.

I suoi occhi incontrarono il suo fidato compagno di squadra nascosto dall’altra parte della radura. Choji annuì silenziosamente, prima che lui ed un altro membro del suo clan – Chobee, si ricordò Shikamaru – iniziassero a crescere a vista d’occhio; diventando sempre più alti, sempre più pesanti, sempre più larghi. I loro muscoli s’incresparono sotto il loro tipico strato di grasso. Shikamaru rivolse loro un cenno del capo. Vedendolo, i due membri del clan Akimichi balzarono verso il cielo con sorprendente grazia e furtività, prendendo la mira verso il loro obiettivo designato senza fare nemmeno un singolo rumore.

Shikamaru scoccò un’occhiata alla destra. Temari stava preparando in fretta il suo ventaglio da battaglia, nascosta a sua volta dentro al tronco cavo di un pino secolare, mentre lui era intento a tenere le mani contorte nel Sigillo del Ratto. Shikamaru poteva sentire le ombre crescere e svanire ai suoi piedi mentre il suo chakra scorreva attraverso di lui, unendosi a quello di sua moglie. L'oscurità, il mondo delle ombre che rispecchiava quello fisico, rispose alla sua chiamata; esattamente come aveva fatto con ogni membro del suo clan sin da tempo immemorabile.

I suoi occhi sottili videro uno dei loro bersagli irrigidirsi e le sue orecchie lo udirono abbaiare un ordine. Un istante dopo, sia Choji che Chobee sbatterono i pugni – ora diventati più larghi di quanto fosse alto Shikamaru – sui due membri dell’Organizzazione, con una precisione quasi chirurgica.

Il ragazzo incappucciato reagì, veloce in una maniera quasi innaturale. Mosse la testa con uno scatto rapido come quello di un uccello, effettuando brevi raffiche di movimento che erano troppo difficili da seguire ad occhio nudo. Si dileguò dal luogo dell’impatto appena un secondo prima che Chobee potesse colpirlo, svanendo in mezzo ai detriti con una rapidità che era quasi spaventosa.

La ragazza? Non reagì rapidamente come il compagno, ma fece qualcosa di altrettanto terrificante. Gli Akimichi, nelle loro forme giganti, erano molto più forti degli uomini e delle donne normali. Fisicamente parlando, era quasi palese e scontato. Ma nonostante questo, la donna affondò i talloni nel terreno, si voltò di scatto e sferrò un pugno verso il cielo. Choji incontrò il pugno della donna con il suo, generando un boato fragoroso. Shikamaru ammiccò, aspettandosi di vedere il suo amico che aveva facilmente la meglio sull’avversario più piccolo e più debole in termini di forza.

Ma non accadde. Ci fu un rumore sordo e agghiacciante di ossa rotte che si spezzavano, seguito subito dopo da un urlo di dolore mentre le nocche di Choji si piegavano e si laceravano su loro stesse sotto la forza del colpo della ragazza. Il terreno sotto i suoi piedi venne completamente ricoperto di crepe. Shikamaru sentì la rabbia, calda e bollente e furibonda, ribollirgli nello stomaco. La sua ombra si scagliò, rispecchiata da quella di sua moglie.

"Schiva!” gridò il ragazzo, rivolgendosi alla sua compagna.

La ragazza – quella maledetta – abbandonò la sua gara di forza per saltare lontano dal percorso della sua ombra. Ma Shikamaru non aveva intenzione di abbandonare la sua preda così facilmente. Non dopo che aveva osato ferire Choji. La sua ombra scivolò in avanti, sfilacciandosi ai bordi e disfacendosi in molteplici tentacoli di oscurità, simili a serpenti con vita propria. I viticci balzarono in avanti con una densità tangibile mentre Shikamaru cercava di lanciarli contro il tronco di un albero per dirigerli verso il bersaglio. Questo era l’unico punto debole del saltare in aria: non potevi schivare.

La ragazza incappucciata sferrò un calcio all’aria che fu echeggiato da uno scroscio di tuono. La forza del calcio generò un’ondata di vento che la scagliò in salvo, ben fuori dalla portata delle sue ombre. 

…a quanto pareva, si poteva comunque schivare a mezz'aria. "Che seccatura," borbottò Shikamaru.

"Attento!" gridò Temari, allarmata.

Il Nara girò di scatto la testa. Poi imprecò. "Merda." L'altro membro dei Kara aveva completamente cancellato la distanza tra loro ed il punto in cui si trovava prima nello spazio di tempo tra un respiro e l'altro. Schivò abilmente ogni raffica di vento che sua moglie tentò di inviargli, puntando sempre e solo a lui come un treno che correva imperterrito sui binari.

Shikamaru mandò la sua ombra a trattenere l’assalitore mentre teneva d'occhio la ragazza che stava schivando tutti gli alberi ed i massi che Choji e Chobee stavano sradicando con grandi calci dei loro stivali. Il giovane consigliere deglutì nervosamente quando vide la ragazza prendere a pugni un macigno grande quanto un tavolo da cucina solo per ridurlo in polvere e ciottoli in meno di un secondo.

Alla fine, gli ANBU ed il resto dello squadrone rimasto in agguato uscirono fuori dai loro nascondigli e si unirono alla mischia. Due Jonin, alti il ​​doppio della sua altezza e con una muscolatura che avrebbe reso invidioso qualunque Raikage, emersero dal bosco e si lanciarono alla carica. Shikamaru lanciò al giovane nemico un sorriso sciatto quando lo vide vacillare a metà passo in mezzo a due ombre danzanti, mentre i due uomini giganti si schiantavano su di lui.

Uno dei Jonin sbatté un pugno verso il basso e non colpì nient'altro che aria e sporcizia. L'altro si scagliò in avanti con un calcio e sradicò un albero mentre il ragazzo incappucciato si chinava sotto all’attacco. Shikamaru comandò alla sua ombra di avanzare, soggiogare, intrappolare. Il nemico balzò via, ancora più veloce di prima, e si fermò slittando mentre travolgeva un gruppo di tre ANBU come se fossero miseri birilli in una gara di bowling. Subito dopo, Shikamaru sussultò e si gettò di lato mentre il membro dell'Organizzazione gli scagliava contro una raffica di shuriken con una tale velocità da essere impossibile da registrare ad occhio nudo. Riuscì ad evitarne quattro, ma gli ultimi due gli fecero guadagnare uno squarcio sulla guancia e sulla spalla.

D’improvviso, uno sciame di ANBU neri come l'inchiostro sgattaiolò fuori dal sottobosco. Shikamaru tirò un sospiro di sollievo. Con un comando mentale, lanciò un altro tentacolo di oscurità che strisciò via dalla sua ombra. Allungò una mano dietro la sua schiena, tirando fuori una lama di chakra da una sacca sulla cintura, prima di farla scivolare nell'ombra di un albero e serpeggiare nella foresta. Fu un gioco da ragazzi per lui far passare l'ombra dietro la schiena del giovane nemico, puntandogli la lama contro. Tuttavia, un getto di fuoco e fiamme – cortesia della ragazza di prima – lo fece desistere dall’idea di attaccare. La Tecnica di Fuoco avanzò oltre la sua ombra in attesa, tagliando in due lo squadrone di ANBU in carica mentre la giovane schivava un altro gigantesco pugno di Choji. Con un pensiero, Shikamaru ordinò alla sua ombra di colpire.

La lama di chakra veleggiò verso l'ombra del giovane incappucciato con un’etichetta esplosiva dietro di essa. Ci fu un lungo momento di silenzio, un momento in cui Shikamaru pregò qualunque divinità esistente affinché quella mossa potesse mettere fine al combattimento. Anche se avesse schivato la lama, era comunque estremamente difficile per la maggior parte delle persone normali evadere un’esplosione imprevista con così poco raggio di reazione. Tuttavia, il membro dell'Organizzazione si mosse con una prontezza non ancora manifestata in battaglia. Evitò con precisione la lama di chakra, e poi contorse il corpo in modo tale che la sua ombra fosse proiettata in una direzione diversa, bloccando l’etichetta prima che potesse esplodere. Shikamaru imprecò. Quel bastardo sembrava avere occhi anche dietro la testa. Non c’erano dubbi su quale fosse la sua identità, a questo punto.

Boruto – lui od un suo clone, era difficile dirlo senza poterlo vedere in faccia – balzò al sicuro su un ramo di un albero. "SUITON;" lo udirono esclamare. Shikamaru e Temari sgranarono gli occhi. "Dai Bakusui Shōha!" (Arte dell’Acqua: Grande Onda Esplosiva)

Un'ondata d'acqua imponente e schiumosa fu sputata in avanti. Era talmente grossa da eclissare persino il più alto degli alberi in mezzo a quella radura. "Operazione T-9!" ordinò Shikamaru mentre afferrava sua moglie per il braccio, scattando lontano dal loro nascondiglio e correndo al riparo. Una coppia di ANBU veterani corse davanti a loro ed iniziò a scarabocchiare furiosamente su due strani rotoli. Shikamaru lanciò un'occhiata all'indietro. "Adesso!" gridò, osservando mentre l'onda guadagnava terreno su di loro.

Gli ANBU reagirono all’istante. “Kuchiyose no Jutsu!” (Tecnica del Richiamo)

Dalle pergamene sbucò fuori una grande tartaruga color pece, alta almeno sette metri. Shikamaru spinse sua moglie in avanti e loro due balzarono contemporaneamente. Con una mano, aiutò i due ANBU a salire a bordo della loro evocazione proprio un istante prima che l'ondata potesse investirli. Il giovane Nara strinse i denti mentre la forza dietro la Tecnica avversaria minacciò di farlo cadere dal guscio della tartaruga, togliendogli l’equilibrio. Un'applicazione generosa di chakra alle sue gambe gli assicurò che i suoi piedi rimanessero ben piantati e fermi.

"Quanto cazzo di chakra hanno questi bastardi?!" imprecò Temari, reggendosi al guscio anche con le mani.

Shikamaru fece una smorfia mentre il nemico continuava a pompare altre ondate d'acqua senza nemmeno avere l'aiuto di una fonte d'acqua naturale. Ovviamente, Boruto Uzumaki si dimostrava essere tanto mostruoso quanto dicevano le leggende. “Se non di più,” pensò amaramente.

"Fate spazio!" gridò una voce familiare.

Shikamaru alzò lo sguardo quando sentì un'ombra proiettarsi su di loro. Choji cadde giù dal cielo, atterrando sull’enorme tartaruga assieme a suo zio Chobee che lo reggeva di peso. Era debole, insanguinato e contuso, ma Shikamaru poteva vedere il suo petto muoversi su e giù. Il suo amico atterrò allo stesso tempo in cui uno scroscio d'acqua esplosivo colpì la carne della tartaruga. Un'altra ondata d'acqua, creata dall’assalto nemico, si sollevò in avanti e capovolse la tartaruga senza pietà. Shikamaru chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.

Quando si riprese, la foresta del campo di addestramento era stata inondata da un lago e si era trasformata in un deserto paludoso. Niente più foresta, niente più alberi, niente più cervi. Temari, Choji, Chobee ed alcuni ANBU giacevano a terra a diversi metri da lui. Sembravano incolumi, e Shikamaru poteva vedere che stavano ancora respirando, ma non significava molto. Choji era tornato alle sue dimensioni normali e suo zio era in lacrime mentre si lamentava, cercando di sostenerlo. Il Nara strinse i denti e fece un Sigillo con la mano.

Il rumore di due paia di stivali che calpestavano l’acqua gli fece contrarre le orecchie. Il suo cuore iniziò a martellargli nel petto. I due membri dell'Organizzazione avanzarono a grandi passi, fianco a fianco, muovendosi sopra il fango e l’acqua con una facilità disarmante. Non si erano ancora tolti i cappucci delle teste, e Shikamaru assottigliò gli occhi a quella visione. Che senso aveva celare i loro volti, arrivati a questo punto? Era palese che fossero Boruto e Mikasa. Che ci fosse un qualche motivo dietro a quella scelta? Una Tecnica segreta? Una possibile-

La giovane donna incappucciata guardò il suo compagno di sbieco. "Vuoi che li uccida io?" chiese con voce monotona.

Il respiro di Shikamaru gli si bloccò in gola. No, non poteva permettere ai suoi amici di morire. Non poteva permetterlo per nessuna ragione al mondo. "Aspettate!"

Dietro la sua schiena, la sua mano continuò a contrarsi impercettibilmente.

"No," disse l'uomo, Boruto, parlando con voce solenne e priva di emozione. "Occupati di inseguire gli altri ancora nascosti. Qui ci penso io.”

La ragazza incappucciata annuì prima di svanire nel nulla, alla ricerca degli ANBU e degli Shinobi ancora in vita sparsi per tutta la radura ed intenti a cercare rinforzi.

Il volto oscuro di Boruto era insondabile sotto al suo cappuccio. “…Tu," Boruto lo guardò. Shikamaru deglutì nervosamente sotto a quello sguardo senza volto. "Tu, Shikamaru Nara, sei pericoloso. Troppo pericoloso per essere lasciato ancora in vita." Il Nara serrò i denti, cercando disperatamente di capire perché quel pazzo stesse continuando a nascondere il suo volto. "Perciò, in nome della Pace, devi morire qui ed ora."

Shikamaru ringhiò rabbiosamente. "Pazzo bastardo fastidioso." Non poteva permettersi di morire qui. Non così, non ancora.

"Addio," disse il Nukenin, spingendo una mano in avanti. Nemmeno un secondo dopo, una lancia di fulmini gli squarciò all’improvviso il petto.

E poi, il mondo di Shikamaru divenne completamente nero.
 


03 Giugno, 0022 AIT
09:22


Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto Commerciale
Negozio di Tenten

 
Rock Lee imprecò mentalmente mentre arrestava di colpo la sua corsa in mezzo alle strade distrutte. Con un respiro affannoso, assunse una posizione di difesa che consentiva una maggiore libertà di movimento. Non aveva senso cercare di bloccare fisicamente il fulmine o il vento. Schivare era semplicemente la scelta migliore. Accanto a lui, un anziano e spossato Gai-sensei lo rispecchiò nei movimenti, le sue gambe sorrette dalla prostesi che lo reggevano a malapena in piedi con forza tremante. Ma nonostante l’età e la situazione tesa, sfoggiava un piccolo sorriso orgoglioso sulle sue labbra. Quella visione bastò a rassicurarlo leggermente. Era da anni che non aveva più lottato fianco a fianco assieme al suo Sensei. Sembrava che oggi il momento fosse arrivato di nuovo, finalmente.

Tenten se ne restava in piedi dietro di loro, davanti alle rovine in fiamme del suo negozio, stringendo una grossa pergamena sotto ad ogni braccio. All'interno dei rotoli, Lee sapeva che c'erano migliaia e migliaia di armi e strumenti ninja pronti ad essere sfoderati.

I loro nemici, giovani e mostruosamente potenti, erano davanti a loro. Due ragazzi, i cui volti restavano stranamente nascosti sotto a delle cappe oscure, celando alla vista le loro fattezze. Ma sia lui che i suoi compagni avevano capito da tempo le loro identità: Boruto Uzumaki e Sora Hikari, Lee lo sapeva. Non potevano che essere loro due, viste l’impareggiabile velocità del primo e gli assalti elementali del secondo. Erano loro i responsabili della distruzione che stava avvenendo tutt’attorno a lui. Il loro potere era pari solo alla loro crudeltà.

Uno dei due – il leader, Boruto, senza ombra di dubbio – si asciugò un rivolo di sangue che gli scorreva lungo la mano. Sangue, pensò Lee con rimorso, non dovuto ad una ferita subìta, ma ad un attacco sferrato. La sua mano destra si mosse a tamponare lo squarcio che gli aveva aperto la spalla sinistra. Il figlio reietto di Naruto aveva quasi rischiato di impalarlo con un Raikiri (Taglio del Fulmine) appena un minuto fa. Rock Lee sapeva di non poter più abbassare la guardia, a questo punto. Un altro errore del genere sarebbe potuto essere fatale.

Boruto alzò un braccio in avanti e Lee assottigliò gli occhi. Accanto a lui, Gai-sensei e Tenten si irrigidirono a loro volta. Ma, invece di sferrare un attacco, la mano del Nukenin si limitò a formare il Sigillo del Toro. "Qui è B-3, boss," disse Boruto, rivolgendosi telepaticamente a qualcuno. La sua voce suonò stranamente più distorta e cupa del solito. "Obiettivo prioritario in vista. Richiedo di ricevere rinforzi," dichiarò, con un tono che sembrava grondare di un grande disgusto.

Di solito, Rock Lee sarebbe stato orgoglioso di questo. Costringere degli avversari potenti come i Kara a richiedere aiuto per sconfiggerlo non era da poco. Ma, in quel momento, Lee non ne era orgoglioso. Perché il figlio di Naruto non stava guardando a lui mentre pronunciava quelle parole.

Stava guardando a Tenten.
 






 

Note dell’autore!!!

Scrivere e revisionare questo capitolo è stato un vero e proprio parto per me. Sono un po' indeciso se esserne pienamente soddisfatto o meno, ma dopo diverso tempo speso a revisionarlo ho scelto di lasciarlo così. Spero che possa essere stato di vostro gradimento, davvero. In caso mi siano sfuggiti eventuali errori di grammatica e battitura, vi prego di farmelo sapere per correggerli quanto prima.

Come avete visto, le cose si stanno facendo decisamente movimentate. Lucy ci ha lasciati, anche se era palese sin dal capitolo precedente che la sua storia sarebbe inevitabilmente andata a finire così. La profezia di Himawari, dopotutto, si riferiva proprio a questa scelta: scegliere se rischiare di togliere il chakra a Shizuma per scovare Boruto, causandone involontariamente la morte (ed essere quindi la Spada citata nella profezia), oppure scegliere se lasciargli il chakra e risparmiargli la vita (ed essere invece lo Scudo). È stata una scelta indotta, e dal risultato decisamente inaspettato. Ma, in entrambi i casi, i risultati sarebbero stati comunque negativi a lungo andare. Era inevitabile. In questo caso, la morte di Shizuma per mano di Himawari ha portato alla rottura del personaggio di Lucy, e alla sua eventuale morte. Era una cosa che avevo ideato da molto tempo. Spero che la scena possa avervi suscitato qualche emozione.

Detto questo, il tanto atteso assalto al Villaggio della Foglia è finalmente iniziato. Kiba, Shino, Shizune e diversi altri volti familiari ci lasciano le penne… ma ovviamente questa è solo la prima parte dell’assalto. Ci sono altre due parti in arrivo, anche se non so dirvi quando. Ancora non abbiamo visto niente, e molti altri personaggi devono ancora fare la loro comparsa nell’assalto. Spero che la vicenda possa interessarvi da questo punto di vista. Succederanno un bel po' di cose (non tutte come potreste pensare).

A presto. Un abbraccio a tutti.
 

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