The Proposal

di Little Firestar84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Donne & Guai ***
Capitolo 2: *** Piccoli Problemi Burocratici ***
Capitolo 3: *** La prima notte ***
Capitolo 4: *** Bring me to the temple ***
Capitolo 5: *** Addii (...al celibato e nubilato!) ***
Capitolo 6: *** Queste nozze... ***
Capitolo 7: *** False Partenze ***



Capitolo 1
*** Donne & Guai ***


Il forte rumore di qualcuno che bussava alla porta dell’appartamento con forza ed insistenza destò Ryo dal suo giusto sonno; ancora rimbambito dalle poche ore passate a letto, e soprattutto dalle troppe bevute fatte con il compare Mick la notte precedente, mentre se la spassavano per localini equivoci, lo sweeper scese dal letto col piede sbagliato, solo in boxer, furibondo con chiunque avesse avuto la malsana idea di andarlo a disturbare a quell’ora, Python in mano pronta a servire la sua vendetta.

“SI PUÒ SAPERE CHE CAVOLO VOLETE A QUEST’ORA!?” Tuonò appena aprì la porta, senza troppi indugi; non avvertiva pericoli, tuttavia sentiva chiaramente la presenza di Saeko, e che la poliziotta era… preoccupata? Sì, però c’era chiaramente qualcos’altro - era nervosa, più che altro.

“Saeko. A cosa debbo questo onore?” le domandò, incrociando le braccia e lasciando che la sua amata Magnum, compare di tante avventure, rimanesse in bella vista. Squadrando la donna dall’alto in basso con un’espressione interrogativa,  solo allora lo sweeper si rese conto che la bella poliziotta non era sola. Con lei c’era un ometto, piccolo, mezzo pelato, così magro da sembrare patito e con una pessima cera, talmente pallido che probabilmente non aveva mai visto il sole in tutta la sua vita. Aveva inoltre un paio di occhiali così piccoli che davano al suo viso la conformazione della testa di un topo.

Lo sweeper non disse nulla; si limitò a lanciare un’occhiata molto eloquente alla donna, come a dirle che lo aveva capito che la sua visita avrebbe nuovamente significato rogne per la premiata ditta City Hunter… con lei erano sempre problemi, ma quando riusciva ad appioppargli clienti maschi le cose andavano ancora peggio, perché se le donne si lasciavano incantare dalla sua aria da bel tenebroso, gli uomini finivano per innamorarsi, tutti, di Kaori.

Unico lato positivo di tutta quella faccenda che certamente avrebbe portato guai: il tipo era orrendo, quindi, fosse ben finito a  correre dietro a Kaori come tutti gli altri, la bella rossa ci avrebbe pensato due volte prima di accettare le avances di un tipo del genere.

Aveva gusto, lei, in fatto di uomini, come dimostrato dal fatto che fossero anni che era pazza di lui.

“Ehm, Ryo, sono qui per lavoro… cioè, non solo!” la donna ammise, entrando forzatamente nello spazioso appartamento, seguita dall’ometto che continuava a sistemarsi gli occhiali su quegli occhietti malefici, squadrandolo con un’aria a dir poco rancorosa. Senza aspettare che lui dicesse o facesse qualcosa, Saeko prese Ryo a braccetto, e lo trascinò verso la zona cucina, lasciando l’ometto a sedere sul divano da solo, la ventiquattr’ore di logora pelle tenuta compostamente sulle ginocchia quasi fosse un trofeo o un prolungamento di quell’essere.

Una volta trovatasi faccia  a faccia con Ryo, Saeko prese a controllare che l’ometto non li stesse guardando né stesse origliando la loro conversazione, dopodiché, prese a sbattere i suoi grandi occhi con fare sensuale, nella speranza di addolcire qualunque pillola stesse per lanciargli. Ryo, che aveva capito che tirava male e che sentiva la puzza di rogne lontano un miglio, la guardava risentito e nervoso, talmente seccato che non ci aveva nemmeno provato con lei.

Non tirava aria, ed era decisamente meglio che la donna lo capisse.

Continuarono a guardarsi, ma Ryo sentiva che Saeko faceva fatica a mantenere il contatto visivo; inoltre, non aveva ancora spiaccicato mezza parola, tutte chiare indicazioni che la donna non aveva il coraggio di dirgli qualcosa di a dir poco fondamentale.  Cosa aveva combinato stavolta? In che guai li aveva cacciati? Per un attimo il cuore dello sweeper fu attanagliato dal panico più profondo…. Dov’era Kaori? La sera prima lei, a cena, gli aveva detto qualcosa, ma dopo le parole Ryo, ricordati che domani lui aveva solo finto di prestare attenzione, preferendo concentrarsi (nascostamente) sulla porzione di pelle lasciata in bella vista dalla scollatura. Cosa gli aveva detto? Era importante? Dov’era finita? Le era forse capitato qualcosa? Prese a guardarsi intorno alla ricerca di indizi, ma nulla, cercò di ricordare cosa gli avesse detto ma nella sua mente c’era solo un grosso buco nero.

Saeko, quasi avesse compreso lo stato d’animo del vecchio amico, mise le mani avanti per tranquillizzarlo, assicurandolo, con un tenero sorriso quasi materno, che la sua visita non riguardava la sua socia.

“Tranquillo Ryo, non sono qui per Kaori. La questione è un po’ delicata ma riguarda te. Vedi, il fatto è che ultimamente mi hai aiutata parecchio nelle indagini, ed inoltre il contributo di City Hunter è stato cruciale nel risolvere la delicata questione dell’Union Teope ma anche per quel che riguarda il tentato colpo di stato nella Ratuania.” La donna sospirò. Incrociando le braccia, si poggiò a uno dei mobili della cucina, guardando, risoluta e determinata, Ryo: era lampante come il suo comportamento di poco prima fosse stato messo in atto a beneficio del piccolo burocrate da strapazzo che occupava il salotto. “Purtroppo però in questo modo il tuo operato non ha più potuto passare inosservato come faceva un tempo, e mio padre per primo si stava insospettendo per le tue intromissioni nei casi della polizia, in più ricordati che adesso lui ti conosce direttamente, dopo quello che è successo con Yuka. Per questo, con l’aiuto del Professore, abbiamo creato una vera identità ufficiale a Ryo Saeba, inserendolo nel libro paga della questura di Tokyo in qualità di consulente investigativo.”

“Ufficiale o no,” Ryo le si avvicinò, mettendole il broncio nemmeno fosse stato un bimbo di tre anni, il suo comportamento l’opposto di quello serio di Saeko. “Io pretendo i pagamenti in natura! Con arretrati! Ed interessi! Chiaro?” Le sibilò contro. Saeko sospirò, scuotendo lieve il capo: Ryo non sarebbe mai cambiato, forse aveva un po’ affievolito i bollenti spiriti dopo il matrimonio di Miki e Falcon di poco più di un mese prima, ma Saeko immaginava che ci fossero alcune cattive abitudini ormai così radicate nello sweeper che sarebbe stato davvero difficile fargliele perdere. Inutile dire che considerava Kaori a dir poco una santa, e che ogni martellata che l’uomo si prendeva era più che meritata.

“Ma vuoi smetterla sì o no e farmi finire il discorso?!” La donna gli coprì la bocca con le mani, spingendolo letteralmente in un angolo mentre continuava  lanciare occhiate furtive all’omino, che si era messo a controllare l’orologio e muovere ritmicamente il piede, in preda al nervoso e probabilmente stufo di starsene in disparte ad aspettare i porci comodi dei due. “Ryo, ascolta, hai litigato col Professore? Gli hai fatto qualche torto?”

Lo sweeper ci pensò su. Lui ed il professore in linea di massima andavano d’amore e d’accordo, il buffo ometto era stato, dopotutto, un mentore ed una sorta di padre putativo, e se Shin gli aveva insegnato a sparare, il vecchietto gli aveva insegnato tutto il resto. Ma, effettivamente, alcune settimane prima c’era stato un piccolo inghippo, subito dopo il matrimonio di Umi e Miki. Ryo aveva insistito perché Kaori si facesse dare una controllata, e casualmente, mentre il vecchio stava provando a palparla, a lui era partito un colpo dalla Python, che aveva portato via una delle poche ciocche di capelli ingrigiti dagli anni che il satiro aveva ancora in testa.

Effettivamente, quella volta gli aveva promesso che se la sarebbe legata al dito.

“Ehm… perché?” Aveva paura a chiederlo. Sudava freddo e dentro si sentiva tremare, avvertiva i guai che era certo si stessero avvicinando pericolosamente con ogni parola della donna, pronti a travolgerlo e sconvolgere la sua esistenza.

Tuttavia, doveva sapere: era una questione di professionalità, era imperativo che uno sweeper fosse sempre al corrente di ogni minaccia, di ogni pericolo alla sua persona, poco importava se, per l’ennesima volta, l’attacco proveniva da qualcuno a lui vicino- a lui caro. Socchiudendo gli occhi, Ryo prese un profondo respiro, pronto ad affrontare il tradimento. Sarebbe stato difficile, più doloroso forse della sofferenza inferta da Kaibara, ma avrebbe fatto in modo di farsela passare. Come tutte le altre volte.

“Quando ha creato il tuo file, il Professore ha insistito perché la tua nazionalità non fosse solo Giapponese, secondo lui non era plausibile. Secondo i dati che ha falsificato, sei nato in Colombia da madre Colombiana e padre Giapponese, ma dato che non hai risieduto a Tokyo fino all’età adulta non hai mai chiesto la doppia cittadinanza,  limitandoti ad ottenere un permesso di soggiorno temporaneo.”

Ryo ingoiò a vuoto, sudando copiosamente, dopo aver udito quella parola. Temeva dove Saeko stesse andando a parare, e non era certo che gli piacesse – per nulla- e se l’aria affranta della donna significava qualcosa, voleva dire che lo stesso valeva anche per lei.

“Ryo, io non so cosa tu abbia fatto al Professore per farlo arrabbiare così, ma quel vecchio babbeo ti ha messo alle calcagna l’immigrazione, e se non ti inventi qualcosa subito…” La donna gli sbraitò contro a bassa voce, afferrandolo per il collo e dandogli una bella scrollata perché capisse la gravità della situazione.

“ISPETTORE NOGAMI, ADESSO BASTA!” L’ometto saltò in piedi, ringhiando, rosso in volto che quasi pareva fosse un palloncino che si apprestava ad esplodere; sbatté i piedi a terra, quasi a voler sottolineare la sua impazienza, e di  quanto fosse stufo di quel comportamento che lui vedeva come a dir poco infantile ed al limite della legalità. “Vorrei ricordarle che è estremamente poco professionale appartarsi con il signor Saeba per discutere i particolari del suo caso!”

“Ma, ma no signor Shinsato, cosa dice,” la donna impallidì, e ridacchiando mise le mani avanti. “Il signor Saeba ed io stavamo discutendo di un vecchissimo caso, sa, tanto lavoro, a volte la memoria fa cilecca, eh, eh…”

“Ancora peggio! Senza un permesso di soggiorno valido se il Signor Saeba lavora per lei dietro compenso economico si tratta di un crimine punibile con fino a sette mesi di reclusione ed una sanzione pecuniaria per il datore di lavoro!”

“Compenso? Questa sono anni che non salda nemmeno mezzo conto, ha un debito arretrato lungo un chilometro, altro che lavorare dietro compenso, ma non scherziamo!” Sbuffò Ryo, grattandosi la testa. “Allora, si può sapere cosa devo fare per rinnovare il mio… permesso di soggiorno? Dove devo firmare?”

“Signor Saeba!” L’ometto sibilò, avvicinandosi allo sweeper con espressione minacciosa e decisa, quasi letale, la valigetta che aveva in mano un’arma forse più pericolosa delle automatiche che  Ryo si era trovato ad affrontare nel corso della sua tumultuosa vita.

La burocrazia, il vero nemico dell’umanità.

“La sua situazione non è così semplice. In questi mesi, mentre era sprovvisto di un permesso di soggiorno valido, mi risulta che lei abbia anche lasciato il paese in almeno due occasioni, ed inoltre, c’è anche la questione dei documenti non presentati. Mi vedo quindi costretto a chiederle di fare immediatamente i bagagli cosicché la possa imbarcare sul prossimo volo e deportarla nel  suo paese natale.”

Ryo sbatté le palpebre mentre un vento gelido attanagliava il suo intero essere: non aveva la benché minima intenzione di tornarsene in Sud America, lì era dove tutto era iniziato, dove la sua vita aveva cominciato ad andare a rotoli ed era stato privato della possibilità di vivere un’esistenza simile a quella di tutti gli altri bambini. E comunque, da quelle parti c’era ancora parecchia gente che ce l’aveva con lui per il suo irruento passato da guerrigliero: andare in Colombia significava gettarsi nella fossa del leone con la piena intenzione di farsi divorare.

“De… deportarmi?” Balbettò, gli occhi sgranati.

“Per almeno un anno, sì. Passati dodici mesi sia lei che il suo attuale datore di lavoro, ovvero il Dipartimento di Polizia di Tokyo, potrete appellarvi alla mia decisione, ma, come le ho detto, è imperativo che lei lasci il paese al più presto se non desidera peggiorare ulteriormente la sua situazione.”

L’ometto si sistemò gli occhialini sul viso, e guardò Ryo con un’espressione di trionfo, che lo rendeva alquanto sinistro e minaccioso, e che rese ancora più consapevole lo sweeper di come il vero nemico dell’umanità fosse la burocrazia ed i suoi ufficiali, e non folli generali governativi che tentavano golpe a destra e manca e poi rapivano manesche donzelle dai capelli rossi nel giorno del matrimonio della loro migliore amica, quando si presupponeva che suddetta donzella afferrasse il bouquet, per poterla prendere in giro prima e chiederle scusa poi, rubandole magari anche un bacio o due.

Ed intanto, mentre l’ometto sghignazzava sotto ai baffi che non aveva, una miriade di domande presero piede nella mente di Ryo, mentre sentiva risuonare nel cervello, come un martello pneumatico, la vocina stridula di quel burocrate da quattro soldi pieno di complessi: cosa ne sarebbe stato di City Hunter? E chi avrebbe vegliato sugli abitanti di Shinjuku? I vecchi nemici sarebbero corsi a fare la pelle ai suoi alleati, ai suoi amici – la sua famiglia- per fargliela pagare? E Kaori… cosa sarebbe successo a Kaori? Tutti quelli che credevano fosse la sua donna, o che comunque sapevano quanto lui tenesse a lei, che lei era l’altra metà di City Hunter, sarebbero accorsi per prendersela con la giovane, colpendola per distruggere il grande Ryo Saeba?

E lui, con tutti i nemici che ancora aveva in Sud America, quanto sarebbe durato? Sarebbe sopravvissuto, senza nessuno a guardargli le spalle, senza una vera ragione per svegliarsi la mattina?

No. Doveva inventarsi qualcosa. Trovare un modo di rimanere in Giappone, ma come?

Lui e l’ometto si stavano fronteggiando, in una lotta fatta di letali sguardi silenziosi, quando, lentamente, la porta d’ingresso si aprì, con un sinistro cigolio che sembrava preannunciare la fine del mondo, e fu esattamente così che Ryo si sentì quando intravide i disordinati capelli rossi fare capolino nella stanza.

“Ryo, mentre tornavo dall’aeroporto sono passata da Marie a prendere i croissant che ti piacciono tanto, e ho preso un po’ della miscela di caffè che preferisci e…”  Vedendo la scena davanti a lei, Kaori si impietrì, ed arrossì lievemente- vedere Ryo a petto nudo, nonostante ormai si conoscessero da una decina d’anni, le faceva sempre e comunque un certo effetto, provocandole un rimescolio nel basso addome. Era così concentrata su quei muscoli ben delineati e scolpiti che ci mise un attimo a vedere che c’era anche Saeko nella stanza, e con lei un buffo ometto- in una parola, guai. “Oh, vedo che abbiamo ospiti! Ehm… ho preso un paio di brioches in più… desiderate favorire?” domandò, ridacchiando imbarazzata.

Ryo la guardò per bene, lanciandole un’occhiata quasi imbarazzata, e l’uomo, forse per la prima volta da quando lo conosceva, arrossì; lentamente le si avvicinò, senza mai distogliere gli occhi dal viso di Kaori, che sosteneva, le gote arrossate, lo sguardo del partner. Ryo prese le mani di lei nelle sue, stringendole con delicatezza, e, lentamente, si voltò verso la polizotta e l’agente governativo.

“Signor Shinsato, sono consapevole della sgradevole situazione in cui io stesso mi sono cacciato, ma, tuttavia, credo che ci sia qualcosa che lei debba sapere prima di prendere una decisione definitiva…” Ryo parlò in tono serio, deciso, mentre Kaori sgranava gli occhi e sbatteva le palpebre, non comprendendo pienamente cosa stesse accadendo.

“Vede, Kaori… ehm, la signorina Makimura ed io ci stiamo per sposare!” Lui affermò, con voce tonante e portamento fiero, quasi avesse appena fatto giuramento.

“Che… ma… ma Ryo, si può sapere cosa diavolo stai dicendo?” Sibilò la rossa, la voce stridula indice di quanto fosse furibonda. Poco più di un mese dal matrimonio dei loro migliori amici, da quando lui le aveva dichiarato il suo amore, ed era già tanto se Ryo era stato un po’ più gentile con lei, un po’ meno cretino con tutte le altre donne, ma non era ancora mai successo nulla, non si erano nemmeno mai scambiati un vero bacio. E adesso… lui la voleva sposare? Com’era possibile? Gelide stalattiti, come spilli, trafissero il cuore della donna, che temette di essere nuovamente vittima dei giochi sciocchi ed immaturi, delle prese in giro, dell’amato partner.

Ryo si voltò verso di lei, e la guardò facendole intendere con uno sguardo che aveva bisogno che lei stesse al gioco- e che si trattava di una cosa seria. Kaori arrossì, e, facendo cenno di sì col capo, emise un flebile sospiro dalle labbra socchiuse, a cui Ryo rispose con un tenero sorriso dolce, carico di affetto e stima.

“Eravamo reticenti ad ammettere davanti ai nostri amici questa relazione perché  sappiamo di essere molto diversi, e temevamo che le cose potessero andare male tra di noi. Tuttavia, col tempo abbiamo capito che queste differenze invece di allontanarci ci aiutavano a compensarci a vicenda. Sappiamo che la vita è dura ed il nostro un mestiere pericoloso.” Il burocrate alzò un sopracciglio, scettico, chiedendosi cosa del lavoro di consulente comportasse un simile pericolo. “…E che per tipi come noi l’amore è un lusso, ma siamo arrivati ad un punto in cui non ci è più stato possibile nascondere i nostri sentimenti, ed abbiamo dovuto affrontare la realtà: non esistiamo l’uno senza l’altra. PER QUESTO ABBIAMO DECISO DI SPOSARCI!

Saeko quasi volle battergli le mani e fare i complimenti- Ryo era davvero bravo in quanto ad improvvisazione. Certo, si disse con un sorrisetto, buona parte di quello che l’amico stava dicendo doveva essere effettivamente quello che lui provava per Kaori, ma la donna sapeva che, non avesse potuto fingere che fosse tutto una finta, non avesse avuto un muro di scuse dietro cui trincerarsi, lo sweeper non avrebbe mai fatto una simile ammissione.

L’ometto sospirò, e si avvicinò a Kaori, guardandola dal basso verso l’alto con quegli occhietti da topo, che dietro alle spesse lenti sembravano brillare rossi quasi inumani. La donna fece un mezzo passo all’indietro, e se non ci fosse stato Ryo a sorreggerla, sarebbe di certo caduta.

Quell’ometto le metteva i brividi.

“Vedo che ha anche l’anello di fidanzamento, uhm… certo che il suo fidanzato si è sprecato, paccottiglia… non fatico a credere che la Polizia non paghi mai il suo onorario se alla donna che ama regala roba del genere…”

Kaori si guardò, stupita, la mano sinistra, pronta a dare del cretino cieco all’ometto, quando però vide che sì, effettivamente aveva un anello all’anulare sinistro: giallo, una pietra rossa, era l’anello regalatole dalla madre alla sua nascita, identico a quello di Sayuri, che la donna aveva sperato di veder loro indossare alle rispettive nozze. Kaori lo aveva indossato quella mattina prima di andare in aeroporto a prendere la sorella ed il fidanzato Peter. Lo aveva messo, come sempre, alla mano destra, ma Ryo doveva aver fatto uno dei suoi giochetti di prestigio quando le aveva preso le mani, rendendo così la loro pagliacciata più credibile.

E comunque, come osava quel tipo definire il suo anello paccottiglia? Aveva idea di quanti sacrifici fosse costato, quante rinunce? Mica erano tutti così fortunati da starsene seduti dietro a una scrivania tutto il giorno e ricevere tutti i mesi, ogni mese, lo stipendio, indipendentemente da quanto si fosse fatto!

“Vi aspetto domani mattina nel mio ufficio, per chiarire le vostre posizioni rispetto a questa… faccenda.” L’ometto sibilò, chiaramente sospettoso riguardo a quell’inatteso sviluppo che sembrava non piacergli per nulla. Aprì leggermente la valigetta, e come per magia produsse due plichi di documenti tenuti insieme da piccole graffette argentate. “Li voglio vedere compilati.”

L’ometto si voltò verso Saeko prima, e Kaori poi, facendo loro piccoli inchini, e poi, scusandosi, alzò le tende; non appena la porta si chiuse alle sue spalle, un rombo di tuono risuonò nelle mura del palazzo, che tremarono per l’inaudita potenza della scossa tettonica, facendo alzare dai palazzi circostanti stormi di uccelli grigi che decisero che migrare era meglio di rischiare la pelle in quella che temevano potesse essere una zona di guerra.

Ed invece, era stato solo un martello, da cento tonnellate, che aveva fatto piantare saldamente Ryo nel muro dell’appartamento.

“Si può sapere che diavolo vai blaterando, brutto idiota maniaco che non sei altro?” gli ringhiò contro Kaori, pronta a colpirlo nuovamente una volta che si fosse alzato, brandendo il suo fedele martello. Le mani sudate, stringeva il manico tra le mani con tale forza che le nocche erano divenute bianche, e le braccia le tremavano per lo sforzo, ma tuttavia il suo animo non avvertiva quella sensazione di spossatezza che seguiva ai suoi attacchi, sovrastata sopra ogni cosa da una rabbia cieca.

Un mese. Una dichiarazione d’amore. E niente corte, baci, coccole, sesso manco a morire… e lui adesso aveva il coraggio di uscirsene con quella ridicola storia per… per cosa, uscire ancora una volta dai guai? Come osava giocare con i suoi sentimenti in quel modo così freddo e razionale? Non capiva quanto questa cosa la facesse star male- quanto lei lo odiasse quasi, l’essere consapevole che lui la voleva solo quando gli tornava utile?

No, stavolta non ci stava, questa era la classica goccia che faceva traboccare il vaso.

“Ascoltami bene, Ryo Saeba, io non ho la benché minima intenzione di sposarti solo per farti rimanere in Giappone! Non ho intenzione di aggiungere un altro crimine alla lunga lista di reati che abbiamo già commesso!” Gli urlò contro, il martello appoggiato alla fronte dell’uomo, che aveva provato a rialzarsi. “Il matrimonio è una cosa seria, e io non insozzerò un’istituzione sacra per unirmi ad uomo che di donne e di me non ne capisce nulla!”

“Unirsi a te? E che si vuole unire a te! Tu sei l’unica donna che non riesce ad eccitarmi, io non la voglio una virago mezza uomo come moglie!” Le sbraitò contro, sputacchiando, senza rendersi conto di cosa avesse detto e del tono usato, bisbetico, petulante ed infantile e cattivello, ormai troppo abituato a dire quelle parole, usarle ad oltranza nella speranza di ingannare tutti, sé stesso in primis.

Mentre l’ennesima martellata lo scaraventava al piano di sotto, Saeko sospirava, coprendosi il volto per non vedere quella scena patetica: quei due non sarebbero mai cambiati, ma se Ryo non voleva rischiare di essere deportato e finire nella lista nera dell’immigrazione, avrebbero fatto meglio a darsi una bella regolata ed imparare a convivere e comportarsi non solo in modo civile, ma come due perfetti  innamorati.

Sconsolata, scavalcò la voragine con una falcata sui suoi svettanti tacchi a spillo. Ryo e Kaori i sentimenti li avevano, il problema era che avevano bisogno di imparare a seguirli, a viverli, ed avevano solo ventiquattro ore di tempo per trasformarsi da coppia in affari in coppia in amore. Ne sarebbero stati capaci? Su questo non aveva alcun dubbio. Quello che la preoccupava era Ryo: per l’amore verso il suo lavoro, la sua città, i suoi amici- e soprattutto Kaori- sarebbe stato in grado di resistere agli allettanti corpi femminili che lo circondavano in continuazione, alle avances delle fanciulle che chiedevano, disperate, di essere soccorse dal grande City Hunter?

Diede una scrollata di spalle, con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.

Qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe di certo stata uno spettacolo!

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Capitolo 2
*** Piccoli Problemi Burocratici ***


L’ufficio dell’immigrazione era pieno, cosa che stupì Kaori quando vi mise piede la mattina dopo: non si era mai resa conto di quanti stranieri potessero vivere nella sola Tokyo, ma forse, dato che la città era il fulcro economico del paese ed il  sempre maggior numero di affari che venivano condotti con l’estero per macchinari, veicoli e tecnologia, non c’era da stupirsi.

Sconsolata, appena vide la fila, sospirò: ci avrebbero messo come minimo tutta la mattina, lei avrebbe dovuto rinviare quello che doveva fare al pomeriggio, e alla sera, quando si sarebbe dovuta vedere con Sayuri ed il fidanzato a cena, sarebbe stata stanca morta. Stava già meditando quale scusa passibile inventarsi per posticipare di anche sole ventiquattro ore quell’incontro, quando Ryo, dall’alto del suo metro e novanta e passa scrutò la folla, e prendendola per mano passò bellamente davanti a tutti, trascinandola davanti al banco dell’accettazione.

“Vieni, andiamo!” le disse, sorridendo sornione e facendole perdere un paio di battiti del cuore, mentre se la tirava dietro, tenendola per mano come fossero davvero una coppietta. Lei era imbarazzatissima, Ryo invece distribuiva sorrisi a destra e manca, seduttore invece che maniaco per una volta, col risultato che nessuna donna aveva il coraggio di dirgli nulla, vittime del suo innato fascino da bel tenebroso, mentre gli uomini se ne stavano zitti e buoni intimoriti da quel marcantonio alto e muscoloso.

Kaori sospirò. Quando faceva così non sapeva se amarlo ancora di più o detestarlo, e dopo il tiro mancino che le aveva tirato lo capiva ancora più difficilmente. Non era certa di come avesse fatto a convincerla ad accompagnarlo lì… preghiere di Ryo, preghiere di Saeko, la richiesta di riflettere su cosa dirgli di no avrebbe implicato, su cosa la scomparsa di City Hunter avrebbe significato per la città, di farlo per la memoria del suo compianto fratello…

Alla fine, si era lasciata convincere, se non altro per quell’incontro, poi si sarebbe visto, avrebbero studiato qualcosa, sperando di dover evitare di sposarsi per un motivo simile: lo amava, ormai erano anni che lo sapeva, nonostante lui invece si fosse rivelato spesso e volentieri quasi altalenante nel dimostrarle cosa veramente provasse. Ma, se quel sogno di ragazza si fosse davvero avverato, lei avrebbe voluto che fosse per amore, e non certo perché lui aveva bisogno della residenza.

“Buon giorno, brav’uomo, avrei bisogno di presentare questa domanda per un visto temporaneo per fidanzamento…” Ryo fece un sorrisetto a trentadue denti, spaparanzandosi sul tavolo, sperando di poter irretire anche l’addetto, maschio, che, copia perfetta di Shinsato, neanche fosse stato il suo clone, lo guardò di traverso.

“Saeba, e… Makimura, eh?” L’uomo sogghignò, ghignando come il cattivo di un anime di serie C mentre leggeva i loro nomi sui documenti, e poi, plico in mano, si allontanò. “Seguitemi, il signor Shinsato vi sta aspettando.”

Kaori di nuovo si lasciò trascinare da Ryo; aveva un brutto presentimento, quella storia non le piaceva, si sentiva che, presto o tardi, qualcosa di orribile sarebbe successo, come se quell’avventura fosse stata in grado di stravolgere le loro intere esistenze molto più di qualsiasi cosa avessero affrontato in passato- e forse era così. Dopotutto, si era lasciata convincere da Ryo e da Saeko a piegarsi a quella messinscena “per il bene di tutti, Shinjuku compreso”, e adesso rischiava seriamente di dover smettere di essere Kaori Makimura e divenire Kaori Saeba, e Ryo non sembrava minimante turbato dalla cosa, anzi: si stava comportando come suo solito. Possibile che non ci fosse nulla che lo potesse smuovere, turbare?

Vennero fatti entrare in un angusto stanzino, riempito di fascicoli fino al soffitto, buio, dove l’odore stantio di chiuso regnava sovrano, quasi le finestre non fossero state aperte da mesi, se non anni; facendo attenzione a non far cadere a terra i mille mila fascicoli sparsi ovunque in equilibrio precario,  il duo si sedette davanti alla scrivania di Shinsato, che senza dire una parola faceva scorrere veloce gli occhi sui documenti che la sera prima Kaori aveva compilato - fosse mai che Ryo si occupasse di cose burocratiche- prima di chiudere il faldone sbattendoci sopra il pugno. I due sweeper si irrigidirono e sudarono freddo, leggermente agghiacciati da quella visione che non si aspettavano, mentre, intorno a loro, le cartelle prendevano a cadere ed i fogli a volare, scossi da quel movimento simile-tellurico. 

“Allora, sembrerebbe tutto a posto,” iniziò il burocrate, schiarendosi la voce e sistemandosi gli occhialini. “tuttavia devo porvi una domanda di rito: state forse mettendo in atto una frode per permettere al Signor Saeba di rimanere nel Paese?”

“MA… MA È RIDICOLO!” Ryo sbottò, teatrale, alzandosi e sbattendo i piedi per terra come un bimbo di tre anni mentre sbraitava, lo spostamento d’aria che faceva volare altri fogli e altre cartelline, che caddero in grembo a Kaori. “Chi osa insinuare una cosa del genere?”

“In realtà abbiamo avuto un paio di segnalazioni…” disse loro con un sorrisetto compiaciuto sbattendo una cartellina decisamente spessa sulla scrivania, in cui c’erano ben più di un paio di segnalazioni. Aveva sentito le voci secondo cui Saeba era un dongiovanni scapestrato: tipi così non si sarebbero mai sistemati, mai avrebbero trovato una donna disposta a tollerare le loro effusioni maniacali verso altre donne, poco importava quanto fossero innamorati, e quelle segnalazioni erano prova che quei due stavano tramando qualcosa. “Una signorina Reika Nogami, un’altra da una certa signorina Kasumi Aso, e… uhm, in realtà sono tutte donne tranne due…”

Ryo alzò gli occhi al cielo: a quanto sembrava, Saeko aveva già messo in giro la voce del loro fidanzamene, per rendere forse la “messinscena” più credibile. Ryo poteva pure immaginare da chi venissero quelle segnalazioni… uno dei due uomini doveva essere il professore, che doveva essere davvero parecchio arrabbiato stavolta, se stava perseverando nel suo proposito di vendetta. E tutto per un cavolo di ciocca di capelli!

“Quelle serpi sono tutte ex deluse che io non mi sia mai voluto concedere loro, troppo preso dalla mia cucciolotta,” Ryo si limitò a dire indicando Kaori con un dito, spaparanzato sulla sedia come nulla fosse, incapace di cogliere la rabbia di Kaori, che non tollerava come lui stesse prendendo alla leggera quella delicata situazione. “Uno dei due uomini invece mi gioco la testa che è tale Mick Angel, che ce l’ha con me perché Kaori ha preferito il sottoscritto a lui. A proposito, Mick Angel è Californiano, fossi in lei farei qualche domandina in giro… non vorrei che fosse il suo di visto ad essere scaduto… o peggio… che stesse usando un visto turistico nonostante faccia l’investigatore privato e il reporter percependo quindi un reddito nel nostro beneamato Paese…”

Mentre Kaori gli pestava il piede con il tacco, furibonda che lui stesse mettendo in piazza gli affari degli amici per salvarsi la pelle, Ryo si morse la lingua per non sbraitare: se Shinsato avesse visto che litigavano, avrebbe avuto sentore che qualcosa non andava.

Il burocrate alzò gli occhi al cielo, sentendo puzza di bruciato lontano un miglio, poi prese un profondo respiro.

“Allora, adesso vi spiego come procederemo: per prima cosa vi chiuderemo in due stanze separate e vi metteremo sotto torchio ponendovi domande a cui solo due persone in una relazione effettiva saprebbero rispondere. Poi indagherò nella vostra vita di tutti i giorni, per assicurarmi che non siate due semplici coinquilini… chiederò ai vostri amici, vicini, conoscenti, parenti, tutti quanti per farmi un’idea chiara della situazione, e se dovessi avere il benché minimo sospetto che state cercando di truffarmi, giuro signor Saeba che la metterò io stesso sul primo aereo per la Colombia, mentre lei, signorina…” sghignazzò, indicando Kaori. “sarà accusata di un reato punibile con una multa di ventisette milioni e mezzo di Yen e cinque anni di prigione.”

Fissando il burocrate, Kaori ingoiò a vuoto, mentre stringeva la mano di Ryo con una tale forza che quasi gli spezzò le dita.

Non aveva la benché minima intenzione di marcire in galera per cinque anni. Era giovane, carina, aveva tutta la vita davanti, e poi sì, forse era leggermente brutale con Ryo, ma sotto sotto aveva un buon carattere, docile e timido, e in galera quelle come lei faceva tutte una brutta fine.

Le ossa scricchiolarono mentre lei continuava, imperterrita, a stringere in quella morsa letale la mano dello sweeper, e gli lanciava un’occhiata a dir poco infuocata, che fece tremare Ryo di paura più di un’armata.

Forse quella farsa non era stata l’idea brillante che gli era sembrata all’inizio.

“Allora… avete qualcosa da dichiarare? I documenti non sono stati ancora formalmente presentati, quindi tutto quello che direte rimarrà tra di noi e non uscirà mai da questa stanza.” L’ometto, coi brillanti occhi da topo, incrociò le mani sotto al mento, gongolando. “ Se ammetterete qui ed ora che avevate intenzione di commettere una frode non sarete perseguitati.”

“NON ABBIAMO NULLA DA DIRE!” Proruppe Kaori, alzandosi in piedi e stringendo i denti; leonessa che difendeva il suo branco, Ryo non sapeva se essere terrorizzato da quella disarmante forza, lusingato oppure semplicemente eccitato dal fuoco che le scorreva nelle vene. “Chieda pure a tutte le nostre ex clienti, ai nostri amici, le diranno tutti che sono anni che Ryo ed io ci giriamo intorno all’idea di una relazione. Gli uomini le diranno che smettevano di tentare di sedurmi perché capivano che non c’era competizione, le donne si arrendevano perché comprendevano che Ryo era troppo dedito a me. Lo stesso signor Angel le dirà che è da quando ho sedici anni che vado dietro a q-questo…” Kaori indicò Ryo, tremando leggermente, alla ricerca del termine adatto, mentre il socio la guardava con un sopracciglio alzato, curioso di sentire con cosa se ne sarebbe uscita.

Un insulto?

Un delizioso nomignolo come il suo cucciolotta per lei?

“…quest’uomo!” disse lei infine, dopo un attimo di esitazione, le guance imporporate. Ryo sbuffò leggermente, deluso: si era aspettato qualcosa di un po’ più personale, francamente, da lei, ma probabilmente quella era stata una scelta quasi auto-difensiva, dettata dal desiderio di non esporsi troppo proprio con lui. “E per quello che riguarda le nostre famiglie… beh, Ryo praticamente ha solo me, mentre io ho una sorella biologica che ho ritrovato recentemente, Sayuri Tachiki…”

Mentre la presa di Kaori tornava a farsi forte sulla sua mano, Ryo si morse la guancia, pensieroso, alla menzione di Sayuri. Aveva la netta impressione che ci fosse qualcosa di importante da ricordare, che Kaori gli avesse detto qualcosa della sorella... ma cosa? Avevano parlato alcuni giorni prima, mentre lei stava cucinando e canticchiando, ma lui non l’aveva ascoltata, preso com’era a fissare quel delizioso sederino strizzato in una minigonna da urlo, fingendo che il palesato interesse del suo amichetto nelle parti basse fosse dovuto alle sue letture culturali… e poi quella sera, un paio di giorni prima, a cena… lei gli aveva detto che doveva ricordarsi… cosa? Ancora non lo ricordava: non l’aveva ascoltata perché aveva approfittato della distrazione di Kaori per fissarle quell’invitante scollatura, che lasciava intravedere quella deliziosa valle che la giovane aveva tra quei bei seni sodi. Lui si era messo a chiedersi se avesse il reggiseno o meno quella sera, e tutto il resto era diventato rumore bianco…

“Ed era lei che ieri ero andata a prendere all’aeroporto, non so se si ricorda che glielo avevo accennato. Lei ed il suo fidanzato, in realtà. Sa, mia sorella è redattore capo del Weekly News, la sezione internazionale…” Kaori continuò, un po’ petulante, sottolineando molto bene la professione della sorella, quasi quel lavoro (ed un premio Pulitzer) potesse valere degli immaginari punti nel tabellone tenuto da quel burocrate da strapazzo. “Ed è tornata a Tokyo per qualche giorno perché ci teneva davvero tanto a sposarsi con il rito tradizionale. E dato che comunque sono solo un paio di mesi che Ryo ed io abbiamo formalizzato la nostra relazione, avevo pensato che fosse meglio attendere che lei, la sorella maggiore, si fosse sposata, sia mai che creda che le voglia rubare le luci della ribalta. Ma tutto sommato credo che lei abbia ragione e parlarne anche a lei sia la cosa migliore. E comunque Sayuri ha sempre saputo che tra me e Ryo c’era del tenero.? Me lo aveva pure detto una volta all’aeroporto… che non aveva cuore di chiedermi di seguirla perché sapeva che lo amavo troppo e che sarebbe stato terribilmente ingiusto” Te lo ricordi, vero tesoruccio caro?”

Le ultime due parole suonarono, all’orecchio di Ryo, come un sinistro sibilo continuo, mentre Shinsato strinse quegli occhietti malefici, certo che quei due non gliela stesero raccontando giusta; nella sua testa si stava già formando un piano ben preciso, aveva in mente tutte le domande che avrebbe fatto, si sarebbe studiato la cosa per bene… e poi li avrebbe fatti capitolare.

Saeba sarebbe finito espatriato all’estero, Makimura dietro le sbarre e lui avrebbe finalmente avuto la tanto agognata promozione, e soprattutto, dopo quei due disastrosi casi che gli erano capitati – l’editor Cinese di una casa editrice Giapponese che si era messa con il suo segretario, e quel pagliaccio Irlandese che se la faceva con la sua capa- tutti all’ufficio avrebbero finalmente smesso di ridergli dietro, e capito di che pasta era davvero fatto Abe Shinsato!

“Bene, allora ci vediamo lunedì prossimo alle undici, va bene?” sogghignò, mentre porgeva alla coppia un minuscolo post-it con una scritta appena visibile, foglietto che Ryo afferrò seccatamente ficcandoselo in tasca della giacca insieme al quintale di robaccia che teneva lì dentro- accendino, mentine, sigarette, ricevute varie, appunti sparsi, volantini – prima di alzare le tende.

La coppia uscì in strada, dove lo sweeper, leggermente incurvito, le mani nelle tasche dei jeans neri, prese a calci una lattina vuota di Coca Cola, lanciandola dentro un cestino dei rifiuti con la sua solita perfetta mira.

“Porca miseria, non mi aspettavo che ci mettessero sotto torchio! E adesso cosa facciamo?” Lui se ne uscì, seccato; tuttavia il suo tono sembrava sottolineare come quella fosse una minima seccatura, e non un grave e reale problema.

Di questo suo pressapochismo, Kaori ne aveva, francamente, abbastanza.

“Che facciamo? Te lo dico io cosa facciamo, emerito imbecille!” gli sibilò contro, disperatamente cercando di non attirare troppo l’attenzione dei passanti, e temendo che quel topo li stesse spiando dalla finestra per studiarsi ogni loro possibile mossa. “Per prima cosa, Sayuri e Peter lasceranno il loro albergo e verranno a stare da noi nella stanza degli ospiti, e io vengo a dormire nella tua stanza e tu te ne dormirai per terra nel futon. Noi due ci comporteremo come una perfetta coppia di sdolcinati innamorati. Tu mi tratterai bene, non insulterai né me né la mia cucina, ti comporterai come un normale essere umano e non un porco pervertito perennemente con le fregole, non salterai addosso a nessuna donna, non tenterai di pretendere pagamenti in natura da Saeko né da nessun’altro elemento di sesso femminile, e soprattutto terrai le tue luride manacce lontano da mia sorella!”

“Andiamo, Kaori, dai….” Pugni stretti lungo ai fianchi, Kaori prese a camminare verso Ryo, che con ogni passo della donna indietreggiava, immaginandosi le peggio punizioni, disperatamente cercando di metterla sul ridere: ma Kaori non sembrava condividere il suo senso dell’umorismo.. “Perché non ti calmi un po’? Mi sembri leggermente nervosa, eh, eh, eh..”

“Ryo…” Kaori alzò un sopracciglio, il suo tono serio, ma distaccato e freddo, tipico di chi si stava limitando ad enumerare dei banali fatti. “Non so se hai ascoltato bene cosa quel tipetto ci ha detto, ma io rischio una multa milionaria e di finire in galera. Ora, un conto è finire in galera perché combiniamo casini per aiutare chi ha bisogno, ma farlo perché tu hai litigato per chissà che motivo col professore, quello no, quindi…”

Guarda che tu non lo sai ma io difendevo il tuo onore, cocca, Lo sweeper bofonchiò, sbuffando- cosa che fece venire un mancamento alla donna.

Non la stava prendendo sul serio. Lui rischiava l’espulsione, avrebbero potuto doversi sposare per forza, lei rischiava la galera e una multa astronomica… e lui continuava a fare il cretino. Sconsolata, Kaori scosse il capo, piagnucolando, in preda alla depressione più cupa, chiedendosi, non per la prima volta da quando lo aveva incontrato sedicenne, come diavolo potesse Ryo essere così in gamba e così cretino allo stesso tempo. E soprattutto, cosa avesse fatto lei di male nella vita per finire innamorata di un caso umano del genere.

“Quindi?” Ryo sudò freddo, la schiena contro un lampione, Kaori a braccia consorte davanti a lui che lo guardava con una cruda determinazione negli occhioni color nocciola.

Quindi, visto che proprio dobbiamo andare avanti con questa farsa, esigo almeno una dichiarazione ed una proposta di matrimonio. Fatte per bene, perché non ho intenzioni di permetterti di dire in giro che me lo hai chiesto solo per portarmi a letto o mentre mi palpavi il sedere, chiaro?”

Ryo si grattò il capo, sbattendo le palpebre. Guardò di nuovo Kaori, ma nulla: la donna continuava ad essere impassibile.

Era seria. Voleva una dichiarazione d’amore ed una proposta di matrimonio, in piena regola. Fatte per bene. Lì, seduta stante.

“Ah.” Grattandosi il mento, Ryo prese a guardarsi intorno e pensare, riflettere. Era chiaro che Kaori desiderasse umiliarlo e farlo strisciare ai suoi piedi, e tutto sommato aveva anche ragione- stava, come al solito, rischiando grosso per lui, dopotutto. E forse avrebbe potuto portare a casa la pelle senza umiliarsi troppo. Quindi, continuo a riflettere, cosa volevano sentirsi dire le donne quando un uomo si dichiarava- e soprattutto, cosa avrebbe potuto desiderare Kaori? Avrebbe forse voluto una ripetizione di ciò che, meno di due mesi prima, le aveva detto nella radura, o forse qualcosa di più diretto? Avrebbe preferito della sana, candida onestà o, visto che quella era una farsa, avrebbe dovuto mentire, e dire le solite cose che gli uomini dicevano in quelle occasioni?

Alzò lo sguardo verso di lei, ed i loro occhi si incontrarono. Kaori si morse le labbra ed arrossì lieve, e Ryo avvertì una sensazione al petto a cui non riusciva a dare un nome, ma che lo faceva sussultare in un modo a lui sconosciuto. Sì sentì timido ed impacciato come un ragazzino, ma guardando la sua socia, la sua partner- l’amore della sua vita- capì che non poteva, né voleva fingere.

Forse sarebbe stato solo un finto matrimonio all’inizio, grazie ai sentimenti che Ryo sapeva entrambi nutrire l’uno per l’altra, improvvisamente fu colto dal desiderio che col tempo la loro unione potesse divenire reale.

Molto probabilmente, quella sarebbe stata l’unica volta in cui avrebbe potuto realizzare il suo segreto sogno, quel desiderio inatteso, di chiedere a Kaori di sposarlo.

Forse, quella sarebbe stata l’unica volta in cui lei gli avrebbe detto senza alcuna esitazione.

Doveva essere onesto: lo doveva ad entrambi. Poco importava se lei non gli avesse creduto: lui, in cuor suo, avrebbe saputo la verità.

Prese la mano sinistra di Kaori e le tolse l’anello, facendole l’occhiolino con un sorrisetto furbo, dopodiché, sotto gli occhi stupiti ed interessati dei passanti, si mise in ginocchio.

“Kaori….” Iniziò, leggermente imbarazzato, schiarendosi la voce, tenendo la sinistra della donna nella sua. “So che ti ho sempre detto che con questo lavoro proteggere un’altra persona…o…o… o magari anche un…un…un bambino mi sarebbe stato impossibile, ma….” Ingoiò, mentre si passava nervoso una mano tra i capelli, incapace di mantenere lo sguardo di Kaori, troppo imbarazzato per cosa le stava finalmente ammettendo: alla fine, quella battuta che aveva fatto un giorno a Saeko, sull’essere un ragazzo timido, si era rivelata veritiera.

“Vedere Miki e Umi che si sono sposati  mi ha fatto riflettere, e, ecco, vedi, da quando tuo fratello ti ha affidato a me, io è da allora che mi chiedo se fosse meglio per te rimanere al mio fianco o convincerti a vivere una vita normale, e ho vissuto nell’indecisione fino ad ora, facendoti soffrire. Ma adesso ho capito che… che voglio vivere per rimanerti accanto e proteggerti perché…”

Ingoiò a vuoto, quella parola che di uscire dalla sua bocca non ne voleva proprio sapere, ma poi fece l’errore di guardare Kaori, e rimase incantato dall’innocenza e dalla dolcezza che vide nel suo sguardo, carico di emozione.

Ritrovò la voce, le parole che gli venivano dritte dal cuore.

“Io ti amo, Kaori, e sarei onorato….sarei l’uomo più felice del mondo se tu volessi passare il resto della tua vita accanto a me!” Con espressione leggermente imbronciata, lo sguardo di un bambino che cercava di trasmettere ai genitori lo smanioso desiderio di possedere quel determinato oggetto, senza cui la sua vita sarebbe stata rovinata, Ryo guardò la giovane donna negli occhi, mentre faceva ritmicamente scorrere sulla pelle delicata il pollice ruvido. “Kaori, vuoi sposarmi?”

Il cuore di Ryo perse un battito: Kaori aveva le lacrime agli occhi, ed in quell’istante comprese che, se lui era stato onesto in quella confessione, dicendo parole che gli provenivano dal profondo dell’animo, lei in quell’istante lo era nel rispondergli.

Lo voleva. Tanto quanto lui voleva lei. Perché, allora, non potevano ammetterlo l’un con l’altra?

“Io….” La donna arrossì, ed abbassò, timida, gli occhi. “Sì.”

Col sorriso sulle labbra e negli occhi- un vero sorriso svolta, non sornione, non fascinoso, senza ombra di manipolazione- Ryo infilò l’anellino all’anulare sinistro della partner, e alzandosi in piedi la trascinò nel proprio abbraccio, e la strinse. Ragazzine applaudivano, donne sospiravano, qualcuno faceva foto, in tanti applaudivano quel romantico gesto e qualcuno lo spronava a comportarsi da uomo e baciarla.

Ryo però non dette ascolto a questi ultimi; guardò Kaori, che imbarazzata, ma col sorriso, si stringeva a lui, e come aveva fatto tanti anni prima, quando lei gli aveva dato un compleanno, felice e spensierato, leggero, le lasciò un delicato bacio sulla fronte.

Nulla di spinto, nulla di sensuale: era un contatto casto, veloce, eppure… eppure emozionò Kaori proprio come quel giorno anni prima, facendola stringere ancora di più al suo uomo, mentre, timida e impacciata, nascondeva il viso nell’incavo del collo di Ryo.

Intenerito, lui lasciò un altro bacio sulla delicata pelle della fanciulla, facendosi una solenne promessa: forse quel matrimonio sarebbe nato come una menzogna, con un secondo fine, ma lui non le avrebbe mai fatto mancare nulla. Lui l’avrebbe resa felice, trasformando quel matrimonio che lei credeva d’interesse in un vero matrimonio d’amore.

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Capitolo 3
*** La prima notte ***


Erano tornati a casa camminando a braccetto, su insistenza di lui che aveva ribadito come quell’ometto perverso e malevolo potesse avere spie ovunque; la cosa aveva sconvolto e non poco Kaori,  che, le gote arrossate, aveva alternativamente guardato, rigida, davanti a sé oppure i suoi piedi, mentre invece Ryo si era goduto nascostamente ogni secondo di quel contatto, e aveva più volte lasciato cadere lo sguardo allupato nella scollatura della semplice camicetta bianca che Kaori indossava quel giorno. Appena rientrati, lei aveva telefonato alla sorella in albergo, dicendole che avrebbe voluto che lei e Peter andassero da lei e Ryo, che dovevano parlare, e che anzi, prendessero armi e bagagli che avrebbero passato i giorni seguenti insieme.

Sayuri non aveva protestato, ma aveva guardato la cornetta del telefono quasi fosse stata una creatura indemoniata, meravigliandosi di quell’improvvisa richiesta di Kaori- anzi, imposizione, a dirla tutta- ma si era limitata a sospirare, lasciandosi cadere sul letto abbracciata al suo uomo. Da quello che ricordava la camera degli ospiti era quella di Kaori; quindi, dove avrebbe dormito Peter? L’immagine del fidanzato spaparanzato sul letto di Ryo, dei due uomini in mutande avvinghiati nelle coperte di prima mattina, abbracciati al cuscini, la fece scoppiare a ridere, e Peter si limitò a guardarla come fosse una mezza pazza, chiedendosi per la prima volta se facesse bene a sposarla; poi però, contagiato da quel suono argentino, era scoppiato a ridere anche lui, e aveva finito col baciarla e fare l’amore, e a nessuno dei due era interessato più il perché dell’improvvisa scelta di Kaori. 

La rossa, da parte sua, si era messa subito a lavorare di buona lena; aveva imposto a Ryo la “sanificazione” della camera da letto di lui, intendendo con questo termine la rimozione di poster erotici, di riviste e film pornografici e di tutto ciò che non era consono ad un uomo felicemente fidanzato; poi aveva spostato un po’ della sua roba, mettendo l’eccedenza nella stanza davanti a quella di lui, che nel corso degli anni era rimasta perennemente vuota. 

Le cose più importanti, però, Kaori le aveva prese, e portate con sé in quella che, Dio solo sapeva per quanto tempo, sarebbe stata la sua –loro- camera da letto, e tra questi effetti personali c’erano due fotografie, una di lei col fratello e una di lei e Ryo. Si era guardata intorno, una volta entrata nella ripulita stanza del compagno, cercando un posto adatto dove metterle, stringendole al petto come il tesoro a lei più caro, e leggendo la sua esitazione, forse il suo imbarazzo, lui le aveva strappate dalle mani della giovane, alzando gli occhi al cielo, e sistemate nel luogo più adatto- la piccola libreria che faceva da testiera al suo letto, accanto alla foto di Ryo e di Maki. 

Kaori gli sorrise, emozionata. 

La loro famiglia, unita. I loro passati, ed il loro presente. Era, in un certo senso, poetico, e mentre la rossa metteva a posto i suoi capi di abbigliamento, mescolando la sua esistenza a quella di Ryo in un modo ancora più intimo di quanto già non fossero legati, l’uomo si chiese per l’ennesima volta cosa diavolo fosse passato per la testa del migliore amico quando gli aveva affidato Kaori. 

Voleva che si prendesse cura di lei? Desiderava che la proteggesse… o che la amasse? Possibile che in quei pochi giorni in cui avevano condiviso tutti e tre la loro esistenza, Maki avesse visto, nei loro battibecchi, nelle sue punzecchiature verso Kaori, qualcosa di profondo, che stava timidamente sbocciando? Che, con le sue battute acide sulla cucina della giovane, fosse sembrato come quei bambini che tiravano le trecce alle compagne di cui erano infatuati?

Chissà. Forse.

Non aveva mai avuto risposta a quell’interrogativo, e dubitava che ne avrebbe mai avuta una- anche se il fatto che l’amico non lo avesse ancora fulminato nonostante i tanti pensieri impuri che faceva  sulla sua adorata sorellina era un semplice miracolo. 

“Ah, senti, prima che me ne dimentichi…” le disse lui, mentre guardava con la coda dell’occhio Kaori che infilava nell’armadio, accanto ad una sua camicia, un grazioso vestitino, un gesto così semplice, ma che eppure lo emozionò come se lei gli avesse fatto un dono meraviglioso e grande, forse perché, dentro di lui, aveva sempre creduto che nulla del genere sarebbe mai potuto realmente accadere, e di non meritarla. O peggio, che un giorno Kaori si sarebbe stancata del loro eterno gioco dell’oca e avrebbe fatto le valige. 

“Sì?” 

Ryo la guardò, dimenticando per un attimo cosa le stesse per dire, poi però lei continuò a fisarlo con insistenza, e lui, grattandosi il capo, rammentò. 

“Ah, sì, mi sono procurato un paio di questionari standard dell’immigrazione,” un po’ imbarazzato, le porse i plichi azzurrini. “E Saeko mi ha dato una copia del mio file che hanno creato lei ed il professore. Ho pensato che potremmo darci un’occhiata magari stanotte, mentre tua sorella ed il fidanzatino non sono tra i piedi…”

Alzando un sopracciglio, Kaori fece velocemente scorrere le pagine del questionario. “Allora, vediamo, la buona notizia è che dubito che ci sia qualcosa che non so di te, perciò dovrebbe essere abbastanza semplice, devo solo studiarmi le cavolate che Saeko si è inventata, tipo tutti quei tuoi fantomatici viaggi all’estero come contractor... Nessuna allergia, niente tatuaggi, uhm, cicatrici, chissà se hanno abbastanza tempo da sentire l’elenco completo, relazioni passate, questo lo so, quest’altro lo so, questo pure…” chiuse il volumetto, e lo porse nuovamente a Ryo. “Sinceramente, fossi in te io mi preoccuperei più per te. Hai solo quattro giorni per imparare tutto di me.”

“Io so già tutto di te! Che credi, che non porga attenzione ad una persona con cui vivo da otto anni!?” le sibilò contro mentre le prendeva dalle mani il fascicolo con il questionario standard e leggeva le domande, guardando di tanto in tanto Kaori trionfante. “Le tue misure sono 86-58-88, sei alta uno e settantadue, non hai allergie, hai le mestruazioni ogni ventotto giorni esatti, la tua biancheria è suddivisa per un buon cinquanta-cinquanta in lingerie sexy e mutandine di cotone, hai la cicatrice dell’operazione all’appendicite come la mia,  tatuaggi, sì, ne devi avere almeno uno… uhm… fatto nell’ultimo anno se non mi sbaglio perché tutte le volte che ti ho vista in costume da bagno non l’ho notato… un fiore, credo, conoscendoti… sulla schiena?”

“Co…. Come sai del tatuaggio?” gli domandò, balbettante, rossa come un pomodoro maturo pronto da cogliere; nonostante lei non gli avesse mai rivelato la presenza di quel piccolo fiore di loto sulla schiena, all’altezza della spalla sinistra, Ryo era riuscito da solo a giungere alle sue conclusione, e solo perché la conosceva bene. Lui si limitò a guardarla come se la sue parole fossero dei semplici dati di fatto, deduzioni logiche a cui qualunque persona sarebbe giunta. 

“Ah, beh, nell’armadietto del bagno ho visto un tubetto di crema da mette dopo aver fatto un tatuaggio, usato… mio non era di certo, quindi, se due più due fa sempre quattro, deve essere tuo per forza….” Scrollò le spalle con nonchalance, mostrando uno dei suoi soliti sorrisi sornioni misti ad un po’ di arroganza, che alle donne tanto piacevano- a tutte, tranne forse che a Kaori; Ryo stava infatti per aggiungere qualcosa, ma nulla uscì però dalla sua bocca, perché l’uomo, avvertendo l’ombra in un martello avvicinarsi, si zittì, ma non servì a nulla: Kaori lo aveva spiaccicato nell’armadio che era ancora aperto. 

“Brutto porco, lo sapevo che mi spii! Ah, e così io non sarei abbastanza attraente per te, eh?” Il campanello suonò, e lei, alzando gli occhi al cielo, denti stretti, si ripulì le mani, battendole leggermente tra di loro. “Arrivo subito!” Cinguettò, mentre saltellò verso l’ingresso al piano inferiore, emozionata, sapendo già chi ci fosse, lasciando Ryo piantato nel mobile. 

E infatti, appena aprì la porta, Sayuri le si lanciò addosso, abbracciandola con foga, gli occhi, uguali a quelli di Kaori, colmi di lacrime. Ryo, ripresosi dal colpo, aveva sceso le scale, e guardava con un’espressione dolce e felice- quasi contenta – la scena davanti a lui, le due sorelle che dopo tanto tempo si ritrovavano. Non riusciva a comprendere come avesse potuto avere dubbi sul fatto che Sayuri fosse davvero imparentata con Kaori: non era solo il loro bel caratterino, ma anche le loro aure erano simili, come pure i lineamenti, che sembravano confondersi.

“Lei deve essere Peter Day, vero?” Quieto, si avvicinò, e schiarendosi la gola offrì la mano all’uomo. “Sono Ryo Saeba, il…”

“Oh, il partner di Kaori!” L’uomo, esuberante e pieno di vita, prese la mano di Ryo, e la strinse con entrambe le sue, felice come una pasqua. Sebbene non fosse un belloccio, doveva essere un bel tipo, e soprattutto, aveva dalla sua un carattere che sembrava amichevole e gioviale. E, cosa non da poco, faceva sorridere Sayuri. “Peter va benissimo, e possiamo darci del tu? Ho sentito così tanto parlare di te che mi sembra di conoscerti da sempre, e poi a occhio e croce avrai una quarantina d’anni anche tu!”

“Ah, se lo dici tu…” Ryo lanciò un’occhiataccia a Kaori, che lo guardò colpevole. Dopo un attimo però la rossa tornò a prestare attenzione alla sorella, decidendo che il fidanzamento le aveva fatto bene; Sayuri era divenuta molto più espansiva ed aperta, solare. Sembrava ringiovanita, ed emanava una nuova luce. 

“Allora, metto i bagagli nella stanza in cui ho dormito la volta scorsa?” Sayuri saltellò, felice. “Oh, che bello, un pigiama party con mia sorella…. ti sembrerà stupido, ma sono così emozionata! Ma… Peter dove dormirà? Avevo scordato di chiedertelo!”

“Beh, ecco, vedi…” Kaori iniziò, leggermente imbarazzata. Stava cercando di trovare le parole giuste, quando Ryo la afferrò per la spalla e la trascinò contro di sé, la schiena contro il suo solido petto. Attraverso strati di vestiti,  Ryo poté avvertire quanto la giovane stesse avvampando per quel semplice contatto.

“Tu e Peter dormirete nella stanza degli ospiti, Sayuri,” le spiegò, stringendo sempre con maggior determinazione e forza Kaori a sé. “Mentre invece Kaori dormirà con me. Perché… perché… perché noi ci amiamo e stiamo per sposarci!”

“Co… cosa?” Sayuri guardò la sorella; incredula, si sentiva leggermente ferita perché Kaori non aveva condiviso quelle confidenze, i palpitanti segreti del suo cuore innamorato; poi però si fermò a riflettere un attimo, e rammentò come nelle ultime settimane le loro chiamate fossero state tutte incentrate su sé stessa e le prossime nozze, su Peter… raramente Kaori aveva interferito, o l’aveva fermata. Forse non aveva potuto dirglielo, ma, più facilmente, non aveva voluto farlo, desiderando che Sayuri fosse la protagonista assoluta in quei tiepidi giorni di fine estate. 

E comunque, lei lo aveva sempre saputo: Kaori e Ryo si amavano, di un amore profondo  e puro, nato lentamente, e cresciuto ed accudito dalle delicate mani della fanciulla. Che quello fosse il degno epilogo di tanti anni di patimenti era un sogno che la giornalista sperava si sarebbe avverato.

Guardò la mano sinistra di Kaori, e la prese nella sua: entrambe, come anello di fidanzamento, indossavano il dono della loro madre. 

“Sono felice per voi, era ora che Ryo mettesse la testa a posto e facesse di te una donna onesta! Sei stata fin troppo paziente con lui, sai!” Sayuri le sorrise, e la lasciò, andando ad abbracciare Ryo, che arrossì, faccia allupata per un attimo, mentre il seno sodo premeva contro il suo torace d’acciaio. “Benvenuto in famiglia, cognato caro!”

“Ma, ma, cognato, addirittura, Sayuri, adesso non esageriamo, siamo solo fidanzati, eh, eh, eh…”

“E con questo cosa vorresti dire, che dato che siamo solo fidanzati hai ancora tempo di cambiare idea  e di mollarmi?” Kaori gli sibilò contro, mano ai fianchi, incombendo su di lui con la furia di una tempesta perfetta, e lo sguardo di Sayuri non era meno letale; l’unico che pareva divertirsi era Peter, che trovava tutta quella situazione a dir poco esilarante. Aveva pensato che Sayuri avesse scherzato quando gli aveva parlato del complicato rapporto tra Kaori e Ryo, e di quanto lui fosse strambo, ma adesso capiva che era stata onesta- anzi, poteva pure essere che avesse sminuito un po’ le cose per non farlo correre via a gambe levate!

“Ma, ma no cara, cosa dici, lo sai che io ora amo solo te, che finalmente ho messo la testa a posto, e anche prima, faceva tanto lo scemo ma andavo sempre in bianco perché io volevo solo te, eh, eh, eh…”

“Sarà meglio per te!”  sbottò Kaori, stizzita, prendendo una della valigie della sorella. “Venite, vi accompagno in camera! Il letto è un po’ stretto ma se volete potete benissimo aprire il divano!”

“Anche stretti staremo benissimo, grazie mille Kaori!” Peter rispose col sorriso sulle labbra, posando una delicata mano sulla spalla di Sayuri, che lo guardò con gli occhi colmi d’amore. A Kaori il cuore rallentò i battiti, mentre avvertì una stretta di gelosia e senso di colpa, non solo per la menzogna, me perché si chiese se stesse sprecando la sua vita con Ryo. Dopo la radura non era accaduto nulla, ed adesso, questo, un falso fidanzamento che sarebbe facilmente potuto trasformarsi in un falso matrimonio… cosa avrebbe significato per loro?

Sospirò, lanciando un’occhiata micidiale a Ryo. “Ryo, tesoruccio, potresti prendere le valigie di Sayuri e Peter e portarle nella loro stanza?” gli chiese con una voce leggermente velenosa. “Su, dai, mica vorrai far faticare i nostri ospiti… a pochi giorni dal loro matrimonio, poi!”

“Ma….” Iniziò lui, ma Kaori, fiera e severa, alzò lo sguardo, decisa, e con finta nonchalance prese a picchiettare con un dito sull’anello di fidanzamento: che si ricordasse del favore che lei gli stava facendo, e che quindi, per cortesia, si comportasse di conseguenza. L’uomo sbuffò, si passò una mano nei capelli ma alla fine, seppure recalcitrante, acconsentì alla richiesta, e carico come un mulo si diresse verso la stanzina che fino a poche ore prima era stata di Kaori. Appena posò le borse a terra e la vide vuota gli venne un mezzo collasso, perché solo in quel momento capì pienamente cosa sarebbe successo da lì a poche ore. 

Lui e Kaori, nella stessa stanza da letto. Da soli, insieme ad un letto matrimoniale.

Quella camera ed il poligono erano stati a lungo i suoi unici rifugi, adesso cosa avrebbe fatto? Come avrebbe potuto sfuggirle? Non si era reso conto che, nel tentativo di rendere la loro falsa relazione più plausibile e veritiera agli occhi dei loro amici, conoscenti e famigliari, avrebbe dovuto smettere di sfuggire alla bella rossa del suo cuore. 

Condividere la camera con lei… addio momenti di solitario sollazzamento, di proibite fantasticherie, avrebbe perfino smesso di dormire, preoccupato com’era di tradirsi nel sonno, di ammettere troppo apertamente cose per cui non era ancora pienamente pronto… o peggio! E se da addormentato le fosse saltato addosso nel tentativo di… di farla sua? Kaori era una tenera vergine, meritava di meglio dei perversi approcci di un maniaco addormentato come prima volta!

Solo con Kaori. Non poteva farlo. Non ancora. Più a lungo avesse rimandato quell’istante, meglio sarebbe stato. 

Lasciando cadere le borse a terra, si girò verso la coppia, afferrando saldamente quelle di Peter nelle sue mani. “Peter, vecchio mio, ho un’idea… perché stasera non usciamo tutti insieme? Anzi, sai che ti dico? Vi porto al Cat’s Eye, il locale dei nostri amici, così potrete conoscere tutta la nostra cricca e potremo presentare Sayuri ufficialmente come sorella di Kaori!” Si mise a ridacchiare, di una risata sciocca e falsa. “Su, su, andiamo, mica vorrete far cucinare Kaori dopo che ha lavorato tutto il giorno a mettere a posto casa, vero? Su, andiamo, offro io!”

    

    Varcata la soglia del Cat’s Eye, dove amici e colleghi li attendevano dopo la telefonata improvvisata dell’ultimo minuto, le dita di Ryo presero a pizzicare, le gambe sembravano volersi muovere di vita propria. Tutto lo attirava verso la bella Miki, sposina novella, il suo primo istinto era quello di gettarsi tra le sue dolci grazie, ma l’uomo sapeva che ormai questo non gli era più permesso. 

Agli occhi del mondo, lui sarebbe dovuto essere il fidanzato di Kaori, il dongiovanni che aveva lasciato le nottate bollenti alle spalle abbracciando con gioia la monogamia che una relazione con la focosa rossa gli offriva.

Il desiderio di essere sé stesso, dimenticare i problemi era forte, ma avrebbe resistito. 

Quella era la sua casa, quella era la sua famiglia: avrebbe fatto di tutto per non perdere niente e nessuno. Anche reprimere i suoi bassi istinti primordiali. 

“Dì un po’, com’è che lasci in pace mia moglie?” Falcon gli domando, sbattendo un pugno sul bancone, minaccioso. “Stai forse tramando qualcosa, Saeba?”

Ryo mise le mani avanti, cercando di giustificarsi, mentre, seduta al suo solito sgabello, con Sayuri al suo fianco, Kaori alzava gli occhi al cielo e presentava la famiglia a Miki; la rossa stava gesticolando, spiegando qualcosa alla mercenaria, quando lo sguardo della sposina novella si congelò all’istante, non appena vide cosa Kaori stesse indossando alla mano sinistra: era sì il suo anello, ma era alla mano sbagliata, quella dove non lo metteva mai…. Miki guardò Ryo, poi Kaori, che arrossì,  ed infine Sayuri, che le fece un’espressione inequivocabile, come a dire che finalmente i due piccioncini erano giunti al punto: non erano solo voci o pettegolezzi come aveva creduto, era successo davvero, finalmente.

Saeko non aveva mentito quando aveva detto che Ryo stesso le aveva raccontato di averle fatto la proposta!

“Oh mio Dio, ma è bellissimo!” esclamò, battendo le mani e saltellando sul posto. “Oh mio Dio, tesoro, hai visto? Ryo ha finalmente chiesto a Kaori di sposarlo! Oh, sono così felice per voi! E io che credevo che Saeko stesse mentendo!”

Piattini e tazzine caddero a terra, lacrime furono versate, mentre i presenti assorbivano la notizia e capivano che non era uno scherzo o un piano elaborato per chissà che motivo, ma era tutto vero: Ryo e Kaori si stavano davvero per sposare. 

“No, Kaori, perché hai preferito lui a me! Sei ancora in tempo!” Appena accorso nel locale, l’ex sweeper americano si attaccò alla gamba della rossa, piagnucolando, stringendola forte, come se quasi non avesse più voluto lasciarla andare. Kaori si imbarazzò, tentennando nei suoi tentativi di liberarsi dell’americano, e fu solo perché Ryo lo afferrò per il bavero della giacca, e Kazue gli dava una martellata sulla testa, che la giovane si liberò della morsa di quel dongiovanni da strapazzo. 

“Ahia … Accidenti, certo che la mia bella ci è andata giù più pesante del solito….” Mick si lamentò, massaggiandosi l’enorme bernoccolo che gli stava spuntando in testa. “Dì un po’, fratello caro, com’è che ho dovuto scoprilo così che ti sposi, eh? Cos’è, avevi paura della concorrenza?” Lo prese in giro, avvicinandosi all’ex socio. Gli uomini si erano seduti ad un tavolino appartato, e Ryo aveva già tirato fuori le sue amate sigarette mentre guardava altrove, pensieroso, alla ricerca della risposta giusta. 

Poteva mentire a tutti, ma non a Mick: lui non ci sarebbe mai cascato, conosceva troppo bene sia lui che Kaori e avrebbe capito che qualcosa non quadrava.

“Beh, immagino che tu l’abbia scoperto da Saeko che mi sposo… e forse ha anche accennato al fatto che lei ed il professore mi hanno creato un’identità…” sbuffò, leggermente seccato, mentre strapazzava la sigaretta che aveva in mano. “Peccato che per quelle dannate carte io non sia giapponese, quindi adesso mi trovo l’immigrazione che mi tiene il fiato sul collo e l’unica cosa che mi è venuta in mente è stata quella di, sai…un matrimonio di interesse, diciamo.”

Mick alzò gli occhi al cielo, mentre rubava occhiate furtive alla coppia di amici. Kaori era emozionata, anche se sembrava provare sentimenti contrastanti, mentre Ryo era imbarazzato, e questo voleva dire una cosa soltanto: col cavolo che quello era solo un matrimonio di interesse, specie per lui. 

“Ma non è che usi la scusa del matrimonio di interesse per poterla legare a te, vero? Nella speranza di poterlo trasformare in un vero matrimonio d’amore, con tanto di luna di miele, nottate di fuoco e pargoletti quando finalmente riuscirai ad aprire quella tua maldetta bocca e dirle la verità?” Mick continuò, alzando un sopracciglio mentre parlava con tono soddisfatto, e Ryo appariva sempre più colpevole e piccolo: aveva fatto centro su tutta la linea. “Porca miseria Ryo, ma quanto sei complicato! Non potevi dirle subito la verità? Kaori ti amo… sono tre parole, cosa c’è di così complicato nel dirle dopo tutto questo tempo che ci girate intorno?”

“E secondo te lei ci avrebbe creduto? Dopo che le ho raccontato balle, dopo che non mi sono più fatto avanti dopo il matrimonio di Umi…” Ryo sbuffò, occhi bassi, passandosi una mano fra i capelli; sul tavolino, la sigaretta era a pezzi. “No, serve una strategia, ecco, graduale. Devo sedurla. Conquistarla. Ma come cavolo facevo se mi sbattevano fuori dal paese, eh?”

Mick scosse il capo, ormai consapevole che per Ryo non ci fosse più speranza: era un vero dilettante quando si trattava di questioni di cuore. Proprio come quando Kaori lo aveva sfidato per difendere la vita del partner, Ryo era incapace di finire quella frase. Tre parole, semplici, io, ti e amo, ma che allo sweeper erano così estranee che era ancora lontano dal comprenderne  pienamente il significato profondo- e soprattutto di ripeterle ad alta voce.

“Allora ragazzi, volete raccontarci come sono andate le cose? Come ti ha fatto la proposta?” Miki domandò, eccitata come una bambina. 

Nonostante fosse stata una festa improvvisata per Sayuri, l’attenzione era tutta su Ryo e Kaori.

“Sì, sai, dicono che come un uomo fa la dichiarazione alla sua donna dica molto di lui!” Kazue continuò; nonostante avesse Mick, una parte di lei era seccata di non essere stata la donna che aveva impalmato lo sweeper, ma ormai, su Saeba, lei aveva messo una pietra sopra da tempo- sapere però che anche Kaori non sarebbe più stata disponibile le toglieva un peso dal petto, rendendola pienamente consapevole che il biondo americano non avrebbe più potuto né voluto fare il galletto, ora che i sentimenti degli amici si erano palesati in un tale modo. 

“Ma, ma no, cosa dite…” Kaori si imbarazzò, ed il cuore prese a batterle pazzamente nel petto, messa di fronte  a quella richiesta, un dettaglio che avevano scordato di concordare. “Ehm, andiamo, mia sorella si deve sposare, mica vorrete che le rubi la scena, eh, eh, eh!”

“No, Kaori, ti prego!” Sayuri, reporter, quindi curiosa di natura, afferrò al volo l’occasione. Si voltò verso Kaori e strinse le mani della sorella saldamente, guardandola negli occhi con una luce di amore, affetto e speranza e gioia. “Voglio saperlo anch’io! Dopo che me ne sono andata ho capito il perché tu sia voluta rimanere qui, ma tu e Ryo non eravate ancora una coppia, e adesso voglio sapere tutti i particolari!”

“Sayuri ha ragione, Ryo, perché non ci raccontate come sono andare le cose, eh?”  Mick lo prese in giro, sogghignando malevolo, godendo di come stava mettendo l’ex socio in imbarazzo… ed in crisi. Decisamente, i piccioncini non avevano ancora fatto i compiti!

“Ehm…. Ecco….. Kaori la racconta meglio di me! Sì, sì, lei è molto più brava di me in queste cose!” Ryo ridacchiò, grattandosi il collo. “Cucciolotta, perché non la racconti tu?”  Continuò, mentre Falcon alzava un sopracciglio al sentire quel ridicolo nomignolo, facendogli presagire guai e capire che quei due non la stavano raccontando giusta.

“Ma… ma….” Kaori prese a balbettare e pensare. Immaginava che Ryo avesse preferito lasciare a lei la storia onde evitare di dire cavolate, cose assurde o maialate – lui sarebbe stato capace di dire che le aveva chiesto la mano durante un focoso amplesso o perché quel focoso amplesso lo voleva tanto - ma cosa inventarsi? Gli occhi dei presenti erano puntati su di lei, che stava seduta con le mani in grembo, arrossendo.

“Beh, ecco, lo sapete che Ryo ed io ci siamo avvinati piano, piano… ma, ma dopo il tuo matrimonio, Miki, Ryo ha iniziato a pensare che forse anche noi avremmo potuto avere una cosa così… cioè, una vera relazione e… e anche io, e ci siamo avvinanti sempre più, e abbiamo deciso, di, insomma, provarci, solo che non volevamo vedervi delusi nel caso le cose non avessero funzionato e allora abbiamo deciso di tenerlo ancora un po’ per noi… ma poi, era il nostro primo mese insieme, e…” la giovane avvertì un nodo in gola; le guance arrossate, si stava torturando le dita con le unghie alla ricerca di una plausibile storia che fosse sì romantica, perché lei il romanticismo se lo meritava eccome, ma al contempo si sposasse col peculiare carattere di Ryo.

“E Kaori ha capito che stavo nascondendo qualcosa, e abbiamo avuto una bruttissima litigata perché pensava stessi tornado a fare lo scapolo impenitente.” Ryo continuò, arrivandole in soccorso quando avvertì che Kaori stesse avendo le prime difficoltà, non sapendo bene cosa inventarsi. Cercando di apparire sofferente, amplificava la sua performance all’inverosimile, come avesse desiderato attirare la pena altrui. Intanto, era tornato accanto a Kaori, e aveva sfiorato le dita della donna con le sue. 

Teneva gli occhi bassi, però, incapace di guardare in faccia i suoi amici. Tutti stavano congratulandosi con loro, erano felici, emozionati, e lui e Kaori stavano portando avanti una farsa: si vergognava, e non aveva il coraggio di dire a nessuno dei presenti che, nonostante desiderasse passare il resto della vita accanto a lei, quel matrimonio sarebbe partito sulle basi sbagliate; in più lo sguardo di Kaori sembrava quasi gridare timidezza, sconforto… 

Neanche a farlo apposta, stavano rendendo più credibile quella farsa.

 “E allora ho… eh, pensato di fare una piccola caccia al tesoro… le ho lasciato tutta una serie di indizi e cose da fare, e alla sera ci siamo trovati tutti agghindati in un bel localino dove una band stava suonando musica jazz soffusa…” 

Guardando altrove, arrossendo, Ryo cercò le dita di Kaori,  strinse la mano della donna  nella sua. La ragazza si morse le labbra, e rimase in silenzio, poi gli sguardi curiosi di alcuni, truci di altri, la spronarono ad andare avanti con la loro messa in scena. Socchiuse gli occhi, e sulle sue labbra apparve un piccolo, delicato sorriso, mentre immaginava, sognava- e osava ingannare tutti, anche se stessa, che quello che desiderava da anni era effettivamente accaduto, e che stava finalmente per sposare il suo primo amore.

“Sono entrata nel locale e tolta la band non sembrava esserci nessuno, poi Ryo mi ha chiamata per nome. Mi sono voltata e me lo sono trovata lì, in smoking, con in mano una singola rosa rossa. Me l’ha offerta, e poi, mettendosi in ginocchio, mi ha detto come non potesse più fingere con nessuno che io fossi solo una delle tante, una ragazza comune, e che desiderava sposarmi e…”

“E lei ha accettato, basta, fine della storia!” Ryo quasi sbraitò; ingoiò a vuoto mentre guardava Umi, che lo squadrava da cima a piedi facendogli comprendere come lui avesse capito tutto, che quel racconto era troppo sdolcinato per essere davvero accaduto a Ryo Saeba; era lampante che quella era stata una fantasia di Kaori: lo sweeper era più tipo da dire ad una donna che l’amava tra un bacio e l’altro, o durante dei normali momenti di pace, senza fronzoli e abbellimenti vari- dopotutto, lui era l’antitesi del Principe Azzurro delle favole.

(Mentre erano seduti a tavola insieme, o anzi: mentre prendevano il caffè. Lui glielo avrebbe detto così, se solo avesse avuto il coraggio.)

“Oh, che storia dolce! Sapevo che non potevi essere il buzzurro che apparivi, Ryo!” Sayuri singhiozzò, asciugarsi le lacrime col pungo chiuso. “Adesso ci vorrebbe un bacio!”

“Un… un bacio?” Kaori impallidì, poi arrossì, poi impallidì di nuovo mentre sudava freddo e diventava dura come una roccia, non dissimile da quello che stava accadendo a Ryo al suo fianco. 

Aveva fatto fatica ad accettare che lui avesse potuto desiderare baciarla nei panni di Cenerentola, e di quello che era successo sulla nave di Kaibara, di come le loro bocche si fossero cercate disperatamente attraverso il vetro: lei non gli aveva mai detto di aver ricordato tutto, e Ryo non aveva mai ammesso di sapere che la memoria le era tornata dopo pochi giorni. 

E adesso… adesso, dopo ciò che le aveva detto nella radura, dopo i piccoli passi, avrebbero dovuto baciarsi così, davanti a tutti, prima che entrambi fossero emotivamente pronti a compiere quel passo? 

“Ma, ma no, Sayuri, ai giapponesi baciarsi in pubblico non piace, siamo timidi noi!” tentò di convincerla, ma non servì a nulla: nel giro di un attimo tutti gli avventori del locale, sia quelli che li conoscevano che quelli che non avevano la più pallida idea di chi fossero, stavano battendo le mani incitandoli a scambiarsi quel tanto agognato gesto d’amore. 

Si voltarono l’uno verso l’altra, timidi come ragazzini, imbarazzati e rigidi; senza nemmeno sfiorarla con un dito, le labbra di Ryo si poggiarono con un tocco delicato e veloce sulle sue, ma nel momento in cui lei si stava ritraendo, qualcosa scattò in lui: mani alle spalle della donna, si riappropriò di quella succulenta bocca appena truccata, e la divorò letteralmente, sfiorando le labbra con la punta della lingua per chiedere alla bella Kaori di approfondire il bacio. Lei, occhi socchiusi, sospirò, e gettandogli le mani nei capelli, facendolo mugolare contro la bocca di piacere e serenità, prese a dargli quanto chiedeva, restituirgli tutto ciò che lui le stava dando. Per interi minuti, sotto gli occhi stupiti dei loro amici, increduli davanti a tanta audacia, la coppia continuò quello scambio d’aria, stringendosi l’uno all’altra, fino a che qualcuno non si schiarì la gola riportandoli alla realtà, e Ryo e Kaori si separarono, volgendo, timidi e stupiti e sconvolti nel loro intimo, gli occhi altrove.

Fu solo l’abbraccio di Miki prima e quello di Sayuri poi a convincerli a guardarsi di nuovo negli occhi ed avvicinarsi nuovamente, le loro mani che sembravano cercarsi di loro spontanea volontà: e mentre Ryo guardava Kaori emozionato come un ragazzino che aveva finalmente ammesso con la fidanzatina il suo amore, Saeko li guardava ridacchiando e scuotendo il capo, sollevata che le cose si stessero mettendo meglio del previsto.

 

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Capitolo 4
*** Bring me to the temple ***


            Ryo era coricato nel futon per terra, mani incrociate dietro alla testa, quando Kaori, i loro ospiti profondamente addormentati, lo raggiuse nella camera da letto. Finse di dormire, ma come un gatto aprì leggermente un occhio, rubando un’occhiata allo slanciato corpo femminile, e quasi rimase secco nel momento in cui la vide sedersi sul letto per mettersi due gocce di profumo sui polsi.

Sì, il pigiama era a pois, come tanti altri suoi.

Sì, aveva i pantaloni lunghi, come la maggioranza dei capi da notte di Kaori, e non era certamente scollato; era una casacca, con le maniche corte, eppure…

Ryo digrignò i denti, trattenendosi dall’emettere un grugnito di disperazione mista ad un accecante desiderio, che diede la carica alle sue parti bassi con cui l’uomo prese ad avere una strenua battaglia mentale. Perché non poteva essere un pigiamone di pile o altro, cosa le era passato per la testa di indossare un delicato e sensuale capo di satin lucido, che, leggero come seta, le accarezzava l’epidermide, il rosa scuro che sembrava risonare con la pelle lattea della fanciulla, accarezzando ogni singola curva?

Il pomo di Adamo di Ryo prese a ballare nell’oscurità: aveva la netta impressione che sotto a quella sottile casacca Kaori non indossasse il reggiseno, e le sue mani ardevano dal bisogno urgente di scoprire se fosse davvero stato così, ma soprattutto di capire il perché: che avesse deciso di sedurlo, di compiere lei quel primo passo verso cui lui si stava rivelando ancora una volta riluttante ed impaurito? Voleva semplicemente stuzzicarlo, attizzare il suo desiderio per lei? Oppure, aveva scelto quel capo semplicemente perché temeva di incontrare la sorella od il futuro cognato magari in corridoio, e voleva sembrare la smaliziata fidanzatina innamorata col costante desiderio di far piacere, e piacere, al suo uomo?

Dio, aveva sempre saputo di non capire davvero a fondo le donne, che i loro animi erano un mistero per lui, ma con Kaori era sempre stato ancora più difficile, forse perché lui stesso era profondamente compromesso nei sentimenti che nutriva per lei.

“Starai mica guardando, eh?” Lei gli domandò, con tono di accusa, e Ryo fece cenno di no col capo, talmente velocemente che temeva avrebbe subito un colpo di frusta. “Meglio per te! Buonanotte!”

E così dicendo, la donna si coricò; ma la notte non fu semplice da passare per nessuno dei due…

 Kaori, che aveva indossato quel capo regalatole da Eriko con la speranza di smuovere qualcosa in Ryo, desiderava che lui trovasse il coraggio di abbattere quella barriera che si erano costruiti da soli, e la raggiungesse nel letto, facendola sua, ma al contempo si chiedeva cosa avrebbe significato, nel loro rapporto, se finalmente avessero avuto il coraggio di essere davvero sinceri l’uno con l’altra e avessero fatto l’amore in quel letto.

Ryo intanto lottava contro il desiderio di raggiungerla e sfiorarla, svegliarla con un sapiente tocco delle sue dita nei punti più erogeni del corpo di una donna, baciarla fino a che le loro bocche non si fossero consumate, e finalmente fare l’amore con lei, e capire che cosa fosse meglio, se il sogno o la realtà. Eppure, temeva la reazione della partner, che Kaori potesse sentirsi usata, che potesse credere che lo facesse per dare più credibilità a quella relazione o semplicemente per togliersi uno sfizio. La voleva, il desiderio di compiere una delle sue visite notturne era forte, quasi impellente, ma sapeva che con lei non si sarebbe potuto comportare come aveva fatto in passato con le altre. Doveva attenersi al suo piano - conquistarla, sedurla, mostrarle che poteva fidarsi di lui. E soprattutto, doveva trattenersi, almeno fino alla loro prima notte di nozze, poi le avrebbe detto la verità, le avrebbe aperto fino in fondo il suo cuore e solo allora, se lei avesse deciso di fargli dono della sua purezza, della sua castità, si sarebbe arreso all’istinto e al desiderio, e avrebbe accettato di consumare il loro rapporto.

Se l’avesse sfiorata adesso, se l’avesse tenuta tra le braccia nel suo letto, permettendo alla bella Kaori di accoccolarsi contro il torace nudo,  non avrebbero mai potuto dormire, e lui avrebbe finito col prenderla selvaggiamente e lei glielo avrebbe permesso… forse c’erano ancora profondità del cuore di quella donna che faticava a comprendere – o forse accettare – ma Ryo sapeva che erano entrambi ancora profondamente turbati da quel bacio che avevano immaginato casto  e leggero, ma che aveva spalancato loro le porte dell’inferno con quel calore passionale che aveva sprigionato, avvolgendoli nelle fiamme della lussuria che avevano sfiorato i loro esseri.

L’ardente desiderio che bruciava loro dentro, unito alle voci divertite provenienti dalla strada sottostante e dalle luci al neon che filtravano dalle veneziane, ed i rispettivi respiri, di cui erano entrambi molto, troppo consapevoli, non permisero loro di trovare riposo quella notte. Appena suonata la sveglia, Kaori saltò giù dal letto come una molla, praticamente correndo fuori dalla stanza a gambe levate, e Ryo sospirò, quasi sollevato: finalmente poteva rilassarsi un attimo. Sorrise mentre prese a tamburellare con le dita sullo stomaco, permettendo al suo amichetto di, finalmente, palesare la propria prorompente presenza, mentre con faccia da ebete pervertito il proprietario di tanta virilità si cullava in piccanti fantasie in cui ricreava la notte precedente in versione decisamente erotica ed a luci rosse.

 Solo una buona mezz’ora dopo si palesò in cucina, e nonostante quelle fantasticherie faticava a rimanere sveglio, disabituato a quegli orari. Sia lui che Kaori si trascinavano  per casa quasi come cadaveri, occhi gonfi, occhiaie profonde, quasi affogando nel caffè nella speranza di placare quella molesta sonnolenza, incapaci di trattenere a lungo lo sguardo dell’altro, le gote arrossate e gli occhi sfuggenti, i cuori palpitanti mentre passavano il tempo a rubarsi occhiate furtive per saggiare l’uno la reazione dell’altra, chiedendosi come sarebbe stato baciarsi di nuovo, ma provare a farlo per davvero, da soli, solo perché andava loro di farlo, e non perché amici impiccioni fischiavano loro alle spalle.

Ma nessuno dei due aveva il coraggio di allungare la mano a sfiorare quella dell’altro, né erano tanto arditi da lanciarsi in ardenti abbracci che funzionassero da preludio a ben più peccaminose e gustose situazioni, entrambi titubanti e temendo lei il rifiuto o una reazione sfrontata, lui la sua capacità di trattenere il suo ardente desiderio. Due ragazzini innamorati alla prima cotta: ecco come si comportavano, entrambi incerti riguardo a quelle sensazioni, nuove per entrambi, nonostante Ryo fosse ben più grande di lei.

“Oh eccola qui la mia sorellina ed il mio futuro cognato!” Sayuri cinguetto, bella sveglia e pimpante di prima mattina, nonostante non avesse ancora toccato una sola goccia di caffè; dietro di lei il fidanzato si trascinava, sguardo cadaverico, occhiaie talmente profonde da toccare terra, sbadigliando malamente senza coprirsi la bocca, bellamente mostrando le sue tonsille ai presenti. “Peter, vergognati! Cosa penserà la mia famiglia di te!” la donna lo redarguì, in un modo così simile a quello che aveva usato anni prima quando aveva incontrato Ryo che lo sweeper fu mosso a pietà verso quel povero Cristo che stava compiendo l’estremo sacrificio di sposare quella donna dal carattere così forte e deciso e dai modi di comandante di brigata.

“Penseranno che io se dormo in un letto diverso dal mio passo la notte in bianco, ecco cosa pensano! Noi uomini siamo creature abitudinarie e ci piace il comfort!” L’uomo borbottò mentre si versò una tazza di caffè nero fumante, bello amaro. “E scommetto che Ryo la pensa come me, non è vero amico mio?”

Il giornalista terminò la farse dando una sonora pacca sulla spalla a Ryo, a cui andò di traverso il biscotto che stava spiluccando, causandogli un colpo di tosse ed un leggero senso di soffocamento. Guardò l’americano ridere sguaiatamente, sospirando. Lo invidiava. Stanco morto, eppure aveva voglia di ridere e scherzare. Lui non ne aveva la benché minima voglia, e a malapena si trattenne dal dargli una piccata rispostaccia del tipo Quando dormi con un occhio aperto nel bel mezzo di una guerra, anche una pietra ti è comoda per dormire, quindi Ryo finse di sorridere- anche se la sua espressione parve più un ringhio – e mugugnò un “Già” a denti stretti.

La coppietta di innamorati non afferrò il suo sarcasmo.

“Oh, come siete carini insieme… scommetto che avete passato la nottata a farvi le coccole…. Oh, com’è bello essere giovani ed innamorati ed in quella fase dell’amore in cui non si riesce a tenere le mani a posto! Ti ricordi com’eravamo noi i primi tempi, tesoruccio?” Sayuri continuò, con sguardo sognante, mentre Ryo e Kaori la guardavano scettici: potevano capire aver ingannato il tipo dell’immigrazione, ma Sayuri, premio Pulitzer per il giornalismo investigativo… com’era possibile che una donna così intelligente si fosse lasciata incantare da due paroline dolci ed un bacio? Davvero non lo capivano. “L’ho sempre saputo che prima o poi Ryo avrebbe messo la testa a posto e avrebbe fatto di te una donna onesta e anzi, a questo proposito, avrei pensato che…”

Qualsiasi cosa volesse dire, la donna non poté finire la frase che il campanello suonò; Ryo grugnì, prevedendo rogne: negli ultimi giorni era giunto alla conclusione che tutte le volte che qualcuno bussava o suonava alla sua porta, arrivavano i guai.

Ed infatti, quando andò ad aprire la porta, Kaori si trovò davanti l’agente Shinsato, tutto pimpante e con un ghigno malefico, neanche fosse stato certo di averli colti in castagna.

“Signorina Makimura, buongiorno!” esclamò lui, accarezzando sensuale e malevolo la sua ventiquattro ore che pareva di pelle di serpente, un connubio, con quelli occhietti da ratto malevolo delle fogne, che lo rendevano non dissimile da una creatura diabolica il cui primo compito e scopo ultimo nella vita era la distruzione della vita umana. 

Kaori ingoiò, rabbrividendo leggermente alla vista del burocrate. Quell’uomo, la cui arma era la penna ed un timbro ufficiale, in qualche modo la terrorizzava più dei decerebrati armati di bazooka e armi automatiche con cui negli anni si erano trovati ad avere a che fare.

“Si-signor Shinsato!” la donna balbettò, quasi fosse incapace di dire altro. Senza attendere oltre, l’uomo si accomodò nell’ampio appartamento, sistemandosi tronfio la cravatta, pregustando lo scatto di carriera che sgamare quei due gli avrebbe garantito. Vedendo Sayuri ed il compagno, si mise davanti a loro, impettito, squadrandoli dall’alto in basso con sinistra curiosità.

“Sayuri, la famosa sorella, e lei invece deve essere il signore… Day, giusto? “ sorrise crudele, come la strega cattiva delle favole, sistemandosi i polsini inamidati della camicia immacolata. “Permettetemi di presentarmi: sono Abe Shinsato, sono l’ufficiale dell’immigrazione a cui il caso del Signor Saeba è stato affidato.”

“Immigrazione?” Sayuri domandò, sbattendo le lunghe ciglia di quegli occhioni color nocciola identici a quelli della sorella minore. “Ryo non è Giapponese?”

“Il signor Saeba,” Shinsato continuò, sistemandosi stavolta gli occhialini, che brillarono colpiti dalla luce del sole di tarda estate. “Tecnicamente è colombiano, e nonostante sia di padre Giapponese, risultando nato all’estero, non avendo mai richiesto la naturalizzazione, è un cittadino straniero, quindi di competenza del mio dipartimento.”

Peter alzò un sopracciglio, stranamente interessato, il suo istinto di segugio dedito agli scoop sentiva che nell’aria c’era qualcosa di appetitoso; Sayuri invece sbatté di nuovo quelle ciglia lunghe, anche se stavolta stava fissando Ryo. Shinsato invece guardava Kaori, quasi a ricordarle che era ancora in tempo a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, ed ammettere che quel matrimonio non era null’altro che una messa in scena.

“Sì, e ho pensato che potrei passare la giornata con i signori, capire come vivono, approfondire la mia…” fece schioccare la lingua contro il palato, osservando, viscido, la giovane dai capelli rossi. “conoscenza di questa deliziosa coppietta di innamorati.”

“Sì, ha ragione, Ryo e mia sorella sono davvero adorabili insieme… e glielo dice una persona che li conosce da anni! Sapere che finalmente sono stati capaci di vincere la loro timidezza e ammettere il loro amore reciproco mi riempie il cuore di gioia!” Sayuri eruppe, mani incrociate davanti al cuore, occhi socchiusi che piangevano lacrime di gioia.

 Kaori la guardò, il cuore che le si spezzava nel petto: per quanto il suo amore per Ryo fosse reale, e sapesse quanto lui anche fosse affezionato a lei, le basi su cui stavano costruendo le imminenti nozze erano fasulle, forse, non fosse successo quel patatrac, non avrebbero mai e poi mai preso in considerazione l’idea di ufficializzare quel loro peculiare rapporto, trovare quel punto di partenza di cui Miki aveva parlato alle sue nozze.

Sayuri era convinta che ci fosse l’amore alla base di quel matrimonio, ed era felice ed eccitata per la sua sorellina…  ma loro le stavano mentendo. Si sentì orribile, ed per un attimo la folle e malsana idea di dire la verità le balenò per la mente, ma  poi incontrò lo sguardo di Ryo, enigmatico ed indecifrabile come sempre.

Se avesse detto la verità, forse sarebbe stata perdonata, forse non sarebbe finita in galera… ma lo avrebbe perso. Lei, come tutte le persone che si fidavano di lui, che si affidavano allo sweeper per trovare sicurezza e giustizia.

Semplicemente, non poteva farlo.

“Beh, non so Ryo cosa abbia intenzione di fare, ma io ho promesso a mia sorella di accompagnarla al tempio di Hanazono a parlare col sacerdote, per mettere a punto gli ultimi dettagli della cerimonia di domani!.”  Disse, e a sentire questo, Sayuri  prese per mano la sorella, e le sorrise.

“In realtà, Peter ed io saremmo felici se anche Ryo venisse con noi. Stanotte ne abbiamo parlato, e, ecco, noi…” la donna arrossì, timida, così simile a Kaori che allo sweeper scappò un sorriso dolce-amaro. “Avevamo pensato di chiedere al sacerdote se…. Se per lui fosse un problema sposare due coppie invece di una!”

“CO-COSA?” fu ciò che uscì da tre bocche- quella di Kaori, di Ryo e di Shinsato. Non c’era alcun bisogno di chiedere chi fosse l’altra coppia: era chiaro a tutti che Sayuri voleva condividere le nozze con la sua dolce sorellina minore ed il suo innamorato…

“Ma… ma domani è così presto!” Lo sweeper provò a dire, sudando freddo, occhi sgranati fissi su Kaori le cui gambe stavano per cedere per la tensione. “E poi, tua sorella è così romantica, Sayuri, vorrà scegliere il vestito perfetto, organizzare tutto per bene, con le amiche e…”

“E sua sorella maggiore!” Sayuri sbottò, battendo i piedi per terra, bambina petulante, le guance gonfie mentre con sguardo truce sfidava Ryo a darle torto. Si voltò verso la sorella, le mani ancora nelle sue, guadandola con gli occhi lucidi di lacrime che non si faceva troppi problemi a versare. “Kaori, io oggi sono qui, ma chissà cosa accadrà nel futuro! Potrei dover partire per un lungo viaggio, oppure potrei rimanere incinta e non poter raggiungerti nel giorno più bello della tua vita. Ti scongiuro sorella cara, tentare non costa nulla… e poi, la tua amica Eriko ieri sera mi ha detto che sono anni che tiene da parte per te due vestiti da sposa, uno occidentale ed un bellissimo Shiromoku* ricamato con fili di seta!”

[*Lo Shiromoku è l’abito tradizionale da sposa del rito Shintoista nella cultura Giapponese. Si tratta di un kimono bianco, ricamato con motivi (floreali o rondini) anch’essi bianchi, accompagnato da un capellino di carta di riso oppure da un cappuccio rigido di seta. Il bianco rappresenta la purezza della sposa, la verginità, ma secondo le tradizioni più antiche, rappresentava anche l’idea che la sposa prendesse, nel matrimonio, i “colori” della famiglia del consorte, i suoi usi e costumi.]

Kaori guardò Ryo, chiedendogli cosa dovesse fare.

Ryo guardò Shinsato, chiedendosi cosa passasse per la testa di quel burocrate bacucco.

Shinsato guardava tutti loro, pensando a dove avrebbe trascorso le prossime ferie ora che stava per avere la beneamata promozione grazie a quella banda di imbecilli. Giappone o estero? I Caraibi, magari? O forse l’Europa: aveva sempre desiderato prendere il sole spaparanzato sulle spiagge di quella continente, e la Spagna non era male, specie le isole… o magari avrebbe atteso il Carnevale e se la sarebbe spassata a Rio de Janeiro, dividendosi tra spiagge, strade, locali e fascinose donnine coperte da poco o nulla.

Ryo guardò Kaori, e nel medesimo istante fecero entrambi un flebile cenno col capo, mantenendo, fermi e decisi, il cuore in gola, l’uno lo sguardo dell’altra, mente Shinsato stava per scoppiare a ridere dalla soddisfazione.

Non lo avrebbero mai fatto. Non avrebbero osato tanto!

Si stavano per tradire, lui li avrebbe scoperti e la sua vita sarebbe finalmente cambiata in meglio!

“Bene,” borbottò l’uomo. “Allora, sarò clemente, dato che c’era l’intento della truffa ma la truffa vera e propria non è avvenuta penso proprio che potrei...”

“Noi… ne saremmo molto onorati, Sayuri.” Kaori disse, parlando sopra il burocrate da quattro soldi, a cui Ryo mandò un’occhiataccia tronfia, gongolante e trionfante. “Sì, accettiamo!”

“CO-CO-COSA????” Il burocrate urlò, piagnucolando mentre cadeva a terra, in ginocchio, ed alzava le mani verso il cielo, come a supplicare un miracolo.

“Beh, signor Shinsato, se proprio vuole passare la giornata con noi…” Con sguardo soddisfatto, Ryo si avvicinò a Kaori, e  mise una mano intorno alle spalle di quella che ora era, a tutti gli effetti, la sua fidanzata e futura moglie. Una mano in tasca, si voltò verso il piccolo burocrate dagli occhi di topo. “Credo proprio che dovrà sopportarci mentre organizziamo il nostro matrimonio! Spero che le piaccia il tempio, perché è lì che siamo diretti!” 

 

“Non saprei, è alquanto curiosa come cosa…” il sacerdote, inginocchiato a terra sul parquet, si portò una mano sotto al mento, e prese a pensare mentre Sayuri lo guardava con occhi luccicanti pieni di speranza- era una manipolatrice nata quella donna, Ryo e Peter lo dovevano ammettere - e Shinsato se ne stava leggermente in disparte, anche lui inginocchiato, ma digrignando i denti come un cane rabbioso a cui era appena sfuggita la sua beneamata preda - trovava quello sviluppo alquanto deprecabile, soprattutto al fine del suo avanzamento di carriera.

Il gruppo fissò il sacerdote - vestito in abiti civili, che lo facevano sembrare più giovane della sua età, e trasmettevano un senso di spensieratezza e vicinanza - con una certa insistenza ed apprensione. Ryo e Kaori, seduti l’uno accanto all’altra, si stringevano la mano con forza, e sembrava quasi che la giovane donna avesse paura a lasciare andare quella dell’uomo; certo, se anche il sacerdote non avesse accettato quella curiosa richiesta avrebbero potuto benissimo andare la settimana dopo in comune e sposarsi, ma avevano la netta sensazione che anche solo il più piccolo ritardo avrebbe messo sul chi va là quel piccolo burocrate.

“E gli invitati non cambierebbero? Sarebbero gli stessi? Non sarebbe consono accomodare troppe persone, sapete, la tradizione del amtrimonio Shintoista richiede pochi invitati, e normalmente si tratterebbe della famiglia…” Il religioso, serio ma affabile, domandò, braccia incrociate, fissando le future spose. Sayuri gli aveva brevemente esposto la questione, spiegato che temeva che le sarebbe stato complicato raggiungere la sorella quando fosse giunto il momento. Inoltre, lei aveva solo Kaori al mondo, e quel matrimonio era stata l’occasione per far incontrare le due famiglie di Kaori, quella biologica e quella putativa. Un’unica cerimonia sarebbe solo servita a consolidare maggiormente il legame tra sorelle.

“Naturalmente, ricevereste offerte anche da parte nostra,” Ryo si premurò di dire, facendo un leggero inchino verso l’uomo. Non moriva dalla voglia di sposarsi con un rito pseudo-religioso, lui non era mai stato esattamente credente; non giurava che non ci potesse essere nulla dopo la morte, ma a lui cambiava comunque poco: il nulla o l’inferno, c’era qualche differenza? Ne dubitava. Ma, conosceva Kaori - la conosceva davvero. Cresciuta in un ambiente cinico, tra criminalità e violenza e morte, aveva saputo mantenere un cuore puro e romantico.

Desiderava arrivare pura alle nozze. E desiderava che quelle nozze avvenissero nel tempio che aveva frequentato fin da ragazzina, mentre lei indossava l’abito bianco tradizionale.

Lei, in virtù dell’amore e dell’affetto che nutriva per lui, si stava sacrificando, velocizzando quelle nozze che forse sarebbero comunque arrivate, o forse no. Fatto stava che Ryo sapeva che stava stravolgendo i piani della giovane, e che quindi, darle quello che desiderava era il minimo. Avrebbe svuotato il suo conto in banca, dato fondo alle risorse che teneva per i tempi bui, nascoste nel materasso, ma le avrebbe dato quel matrimonio, costasse quel che costasse.

“Siete sicuri di riuscire ad organizzare tutto in tempo per domani, figliolo?” l’uomo chiese, guardando serio Ryo, che col sorriso sulle labbra fece segno di sì col capo, eccitato, mentre gli occhi di Kaori e Sayuri, la cui somiglianza diventava giorno dopo giorno più evidente, erano velati di lacrime di gioia a quella romantica prospettiva. “E così sia! Ci vediamo domani mattina qui, tutti insieme, per le vostre nozze! Ditemi, sapete già cosa fare?”

Sayuri coprì la mano della sorella con la sua, sorridente. “Non si preoccupi, ci penseremo Peter ed io ad istruire a dovere questi due piccioncini!”

Dietro di loro, quel piccolo burocrate da strapazzo si stava rodendo il fegato per la rabbia: se non avesse fatto qualcosa, quelle galline dalle uova d’oro gli sarebbero scappate… e lui non aveva la benché minima intenzione di fallire per la terza volta!

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Capitolo 5
*** Addii (...al celibato e nubilato!) ***


A/N: Causa di forza maggiore, le risposte alle recensione attendono i prossimi giorni, ma prometto a chi ha recensito lo scorso capitolo che mi farò sentire, promesso!

            Dopo la chiacchierata col prete, le coppie si erano divise; Sayuri aveva preso la sorella per un braccio, trascinandola via con la scusa che si trattasse di cose da donne, mentre Ryo e Peter- ed il piccolo burocrate brontolone che li seguiva con il muso lungo e gli occhi bassi, piagnucolando – erano andati in direzione del Cat’s Eye per prendersi un caffè; le ragazze avevano camminato per un breve tratto, finendo poi… davanti all’atelier di Eriko, che le accolse a braccia aperte, saltellando tutta eccitata come una bimbetta in preda ad una overdose di zuccheri.

“Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo che prima o poi quello zuccone avrebbe ceduto!” continuava a ripetere mentre volava da una parte all’altra dell’atelier prendendo abiti di cui si caricava le esili braccia, quasi pesassero nulla. Dopo dieci minuti buoni di sano trotterellare, la stilista tornò dalle due donne, e posò sull’elegante tavolo di marmo, davanti a Kaori, una selezione di capi casual, tutta tronfia.  “Oh, sono così eccitata! Mi sento come la fata madrina, come se fossi stata io con quell’appuntamento che vi ho organizzato a farvi mettere insieme!”

A Kaori si strinse il cuore.

Quell’appuntamento non era mai servito a nulla: Ryo non aveva mai saputo di trovarsi di fronte la sua socia, troppo cieco e preso dal desiderio di provare a farsi la sconosciuta di una notte. Si erano quasi baciati, quella notte: o meglio, Ryo aveva quasi baciato la sua Cenerentola, perché, se non fosse stato per questa farsa… di baci, tra di loro, forse non ce ne sarebbero stati mai.

È tutta una farsa….. non sarà mai davvero mio, non del tutto. Pensò Kaori stringendosi le mani al cuore, mentre, sotto lo sguardo attonito di Sayuri, Eriko di nuovo spariva per tornare con una confezione, parecchio grande, di cartone lucido dai colori pastello. La aprì, delicatamente, scostando la velina, e rivelando tessuto bianco, candido come la neve… Sayuri sorrise, mentre alla sorella mancò il respiro, il cuore che le martellava nel petto.

“Ma… ma Eriko….” La ragazza domandò, cercando gli occhi dell’amica. Erano entrambe emozionate, e sembrava che alla stilista stessero venendo le lacrime agli occhi, chiara dimostrazione che era più romantica di quanto non volesse sembrare.

“Chiamami sciocca, chiamami romantica, ma ho sempre immaginato che fosse questo quello che desideravi, e quando ci siamo ritrovate, mi sono messa a lavorarci. Ero certa che prima o poi tu e Ryo avreste capito che eravate fatti per stare insieme.” Occhi che scintillavano con un tremolio, Eriko posò una mano sulla spalla di Kaori, che la giovane prontamente coprì, stringendola con affetto e calore. “Ci ho lavorato piano, piano, per parecchio tempo, quando avevo dei piccoli momenti di buco. Anche per dimostrare a me stessa che non sono brava solo nel campo moderno, anzi!”

Dita tremanti, Kaori prese con delicatezza il capo, sollevandolo con una cura tale che sarebbe potuto essere di porcellana e rischiare di cadere, frantumandosi in mille pezzi: lo guardò, stupita, le gote arrossate, il cuore a mille.

Era perfetto.

Il punto di bianco era quello della cosiddetta tonalità “assoluta”, ed era decorato con ricami di gru in volo e fiori, tono su tono come voleva la tradizione – nessuna nota di colore. A completare l’outfit c’era un paio di sandali zori, bianchi anch’essi, il tessuto non dissimile da quello dell’abito, ma soprattutto il wataboshi, il classico cappuccio in tessuto rigido.

Sayuri le diede una gomitata, facendole l’occhiolino. “Ehi, sei fortunata ad avere un’amica che è la miglior sarta e stilista di tutta Tokyo, se ci fossero dei problemi ci metterà un secondo a sistemarlo!”

“Oh, per favore, sai quante volte tua sorella ha sfilato per me? Tante! Conosco le sue misure alla perfezione! Fidati, non hai bisogno di provare questo. Piuttosto, sarà meglio dare un’occhiata al campionario per la luna di miele…” sogghignò, con una luce sinistra negli occhi. “Mi sa che Ryo ti ha tenuta così occupata che non hai nemmeno avuto tempo di fare shopping, bricconcella, ma non ti preoccupare, ci penso io! Mio personalissimo regalo… e non fare obiezioni, che tanto è roba delle vecchie collezioni che non potrei vendere comunque, va bene?”

Kaori non disse nulla, fece un timido segno di consenso col capo, arrossendo, mentre sua sorella però si portava una mano al mento: c’era qualcosa che non le tornava.

“Ma, Eriko, il regalo di nozze dovrebbe servire a tutti e due, no? Non solo alla sposa…”

“Perché, secondo te,” la stilista sghignazzò, sollevando con un dito un capo di intimo di pizzo nero, fatto di poche strisce di tessuto, e così sottili che parevano del filo interdentale: solo a vederlo le gote di Kaori andarono in fiamme. “Ryo non godrà dei benefici di questa cosuccia?”

Le due donne scoppiarono a ridere: Kaori invece voleva solo sparire, perché improvvisamente, nella mente, le erano apparse le nozioni dei libri di storia letti da ragazza, e per un attimo, si immaginò Shinsato che, con la sua ventiquattrore ore pitonata,  con tanto di registratore, si sedeva placido ed annoiato in un angolo della camera di Ryo per controllare se il matrimonio venisse consumato o meno…. Da un tipo come quello, c’era da aspettarsi pure di peggio…

“Su, su, dai, Kaori, non andrai a fuoco per così poco, con un fidanzato che chiamano lo Stallone di Shinjuku!” Eriko continuò a prenderla in giro. “Comunque Tranquilla, non dovrai metterti questo al matrimonio…”

La donna continuò, facendo prendere un sospiro di sollievo alla futura sposina di convenienza.

“Ma bensì questo! Non è un amore?” Kaori guardò con gli occhi spalancati quello che adesso l’amica teneva in mano, un capo che Sayuri pareva guardare con invidia: un reggiseno a bustino senza spalline, realizzato con un pizzo delicato ma intricato al tempo stesso, etereo, quasi trasparente, con tanto di micro slip coordinati e soprattutto… Un reggicalze. Con tanto di calze bianche di seta. Kaori arrossì, ingoiando a vuoto mentre si immaginava vestita di quella mise, che era certa il partner avrebbe adorato, e soprattutto mente si chiedeva cosa avrebbe pensato Ryo, se avrebbe fatto uno dei suoi soliti commenti idioti o se così sarebbe davvero apparsa femminile e vogliosa… “Logicamente le calze le metterai dopo la cerimonia, una volta che ti metterai degli abiti casual e smetterai il kimono, quindi adesso amica mia vediamo di darci una mossa e scegliamo cosa fa per te, va bene?”

Kaori, con le lacrime agli occhi, fece cenno di sì col capo, e il silenzio piombò sulle donne, che si guardarono emozionate, tutte giunte ad un punto delle loro vite che solo pochi anni prima non avrebbero creduto possibile: Sayuri e Kaori presto si sarebbero sposate, l’una reticente ai legami, fredda e distaccata, che si ricordava fin troppo bene del tragico matrimonio dei genitori, l’altra innamorata di un farfallone con tendenze da maniaco sessuale che fino alla settimana prima nemmeno sapeva di esistere davvero, ed Eriko stava ricevendo richieste per i suoi capi anche dal Londra, Parigi e Milano.

“Oh, aspetta, mi stavo dimenticando!” Sayuri proruppe, rompendo quel delicato ed intimo silenzio, pregno di significato, che era calato tra le tre donne. Eccitata, prese dalla tasca della giacca un sacchettino, che svuotò nel palmo di Kaori: era un ciondolo d’oro, rettangolare, dall’aria antica, su cui era stilizzato un fiume che scorreva sotto ad un castello.

Sayuri lo chiuse intorno al palmo di Kaori, guardando la sorella ritrovata negli occhi.

“Questo ciondolo è nella famiglia di nostra madre da oltre cent’anni,” spiegò, chiaramente emozionata. “Il nostro trisnonno lo diede alla sua futura sposa alla vigilia delle loro nozze. Sembra che ci fosse stato uno scandalo, perché lei veniva dalla Cina, e all’epoca i nostri paesi erano in piena guerra… lui era stato ferito, e lei lo aveva trovato, moribondo, e lo aveva raccattato. Si era presa amorevolmente cura di lui, senza permettere a nessuno della sua famiglia di dirle il contrario: disse che lui aveva bisogno di lei, che era un essere umano e che la vita andava salvaguardata. Col passare dei mesi si innamorarono, e quando lui tornò al suo paese, alla fine della Prima Guerra[La prima Guerra Sino Giapponese, 1º agosto 1894 al 17 aprile 1895], la portò con sé, e combatté con le unghie e con i denti perché fosse riconosciuta come la sua legittima sposa.”

 “Sayuri, non posso accettarlo…” Kaori protestò, ma la sorella scosse il capo, mettendole al collo il ciondolo.

“Tu sei proprio come Mei, e anche la storia tra te e Ryo… ricorda molto quella tra lei ed il nonno. Sono certa che le sareste piaciuti, sai?” la donna scrollò le spalle, e con il pugno asciugò alcune lacrime. “Insisto, Kaori. Voglio che lo abbia tu, è il mio dono di sorella.”

“Ma… ma io non ho nulla per te… solo la mia busta…” La rossa arrossì, abbassando il capo, lievemente imbarazzata di avere solo la tradizionale offerta da regalare alla sorella maggiore. Ma Sayuri prese le mani di Kaori tra le sue, stringendole.

“Ci sposiamo insieme, ed è quello che sognavo da bambina. Quasi non mi sembra vero, sai?”

Sayuri la abbracciò, e Kaori strinse forte i denti, desiderosa di piangere, ma conscia che quella farsa le impedicava di farlo. La sola idea di mentire in quel modo alla sorella la distruggeva, ma non poteva renderla complice di quel crimine di cui lei e Ryo – e Saeko, che li stava coprendo – si stavano rendendo responsabili.

E poi, anche se era da poco che si erano ritrovate, la amava, di un amore puro e sincero, spontaneo, che le nasceva da dentro e le scaldava le giornate: darle una delusione sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe fatto.  Kaori ricambiò quell’abbraccio, stringendo la mano a pugno intorno al cimelio di famiglia: per il suo bene, Sayuri non avrebbe mai dovuto sapere la verità.

“Oh, ragazze, andiamo, mi fate piangere!” Eriko ammise, tirando su con il naso in maniera poco elegante, e pulendo con una candida manica i grossi lacrimoni che le scendevano sul viso, lasciando sbaffi di mascara ed eyeliner ovunque. “Oh, ma guarda che disastro! Su, smettetela, ricomponiamoci ed andiamoci a divertire!”

“Di-divertire?” Kaori domandò, col cuore in gola, impallidendo.

Non era ciò che aveva detto Eriko, quanto il tono che aveva usato per dirlo: non preannunciava nulla di buono.

“Ma certo!” L’amica le rispose dandole una sonora pacca sulla spalla, scoppiando nuovamente in una fragorosa risata che sembrava quella di un cattivo di un film di serie C-2. “Questa è la tua ultima serata da single, dobbiamo festeggiare a dovere!”

Kaori sbatté gli occhioni, la bocca leggermente aperta in un’espressione di terrore.

Sì, le parole di Eriko le facevano sempre più paura…

           

            Non erano riusciti a scrollarsi Shinsato di dosso.

Dopo l’incontro con il sacerdote, Ryo ed il futuro cognato- per quanto gli facesse strano, stava iniziando ad abituarsi a chiamare così quell’ometto simpatico – erano andati a fare un giro. L’uomo e la sua futura sposa avevano organizzato tutto tramite agenzia, che appena sbarcati in Giappone aveva fatto trovare loro in albergo gli abiti da cerimonia, che adesso erano al sicuro in quello che fino a pochi giorni prima era stato l’armadio di Kaori. Ryo, però, si ritrovava sguarnito.

Appoggiandosi ad un paio di vecchie conoscenze, a tipi a cui non era lui a dovere favori, ma il contrario, ed ad altri a cui Ryo aveva promesso che avrebbe permesso di lasciar cadere, molto casualmente, il suo nome de guerre nelle conversazioni – avere la protezione del fantomatico City Hunter faceva comodo – lo sweeper era riuscito a procurarsi ciò che gli serviva. Aveva poi riportato tutto a casa, ma poi erano arrivati Mick ed un reclutante Falcon, che tuttavia non la smetteva di lanciargli sorrisetti maliziosi e stupidi, quasi a volerlo sbeffeggiare, e lo avevano trascinato in giro a “fare baldoria per l’ultima volta”.

Shinsato aveva continuato a seguirli, standogli alle spalle con in mano quel suo dannato taccuino, occhi bassi dietro quelle spesse lenti,  perennemente intento a prendere appunti, e Ryo ingoiò a vuoto, percorso da un irrazionale brivido di terrore, immaginandolo che spuntava chissà quali voci da una lista immaginifica, decurtandogli punti.

Allo zero, lo avrebbe portato a forza su uno stramaledetto aereo.

Lo sweeper prese a guardarsi intorno, con fare frenetico, mani in tasca dello spolverino nella speranza di apparire normale, calmo e pacato, sebbene fosse lungi dal provare quei sentimenti in quel preciso istante. Gli occhi gli ricaddero sulle schiene di Mick e Peter che, davanti a lui, già amiconi,  conversavano in inglese, sghignazzando, tenendosi a braccetto.

Erano già mezzi sbronzi.

Lanciò un’occhiata furtiva a Shinsato, che però avvertì lo sguardo dello sweeper su di sé e ricambio con un disarmante sorriso di mesta soddisfazione, che non fece altro che far aumentare una volta di più il groppo che Ryo aveva in gola. Non vedeva l’ora di essere sposato con Kaori: gli uomini avrebbero smesso di girarle intorno e si sarebbero tolti di torno quel microbo rompiscatole.

“Allora vecchio mio, cosa ne dici? Andiamo a farci un giro in un locale di spogliarelli? Offriamo noi stasera, amico mio!” Mick esultò, afferrando Ryo per il collo, decisamente alticcio. “Anzi, sai che ti dico? Li giriamo tutti! Quelle povere conigliette hanno bisogno di consolarsi un’ultima volta prima che lo stallone venga imbrigliato! Ah, ah, ah, ah!”

Con il rombo di un tuono, la penna venne fatta scattare, e pese  a lasciare segni sulla carta; Ryo sapeva che non poteva udire nulla, ma era come se   qualcuno stesse trascinando le unghie su una lavagna, un suono raccapricciante che gli fece venire la pelle d’oca.

Guardo il piccolo burocrate, che ghignava soddisfatto, certo di averlo in pugno: se lui aveva una vita dissoluta, di certo non poteva essere felicemente fidanzato, quindi era tutta una falsa, ergo aveva un posto in economica riservato sul prossimo volo per la Colombia.

Una goccia di sudore, lenta, gli scese dalla tempia, mentre Ryo combatteva contro la sua stessa natura, i muscoli tesi e doloranti, per fare ciò che era giusto, nonostante la forte tentazione che i giovani corpi semi nudi delle sue adorate conigliette rappresentavano.

“Mick, non scherzare. Io una cosa così a Kaori non la faccio! Solo a pensare di vedere una donna nuda che non è lei… no, no guarda…. Senti, andiamo a casa, ci facciamo un bicchiere, e poi tutti a nanna, che domani è una giornata pesante e così importante… voglio dire, ci pensi? Dopo tanti anni che ci amiamo, finalmente Kaori e io ci sposiamo! Non sei contento? Non dovrai più consolarla, perché ci sarò io per lei!”

Ryo sogghignò, sporgendosi verso l’ex socio, la mano non molto nascostamente a sfiorare il calcio della Python nella fondina celata dalla sottile giacca azzurra.

Il messaggio era chiaro: sarà solo un matrimonio di convenienza per adesso, ma vedi di stare alla larga dalla mia donna!

Mick ingoiò, recependo fin troppo bene il messaggio, e fece cenno di sì col capo, mentre, Falcon che sghignazzava tutto contento per come stavano andando le cose e per la nuova vita da monogamo serio di Saeba, giravano sui tacchi e se ne tornavano verso casa Saeba-Makimura, pronti a passare l’addio al celibato seduti sul divano a bere un bicchierino e guardare nel vuoto.

Che tristezza: si sentiva vecchio solo al pensiero!

Con un sorrisetto un po’ malinconico, Mick guardò Ryo: almeno stava iniziando a fare sul serio il monogamo; sarebbe stato di buon auspicio per la sua nuova vita con Kaori. Perché ne era certo: quei due potevano raccontarsi tutte le balle che volevano, ma quel matrimonio lo avrebbero preso sul serio, e già lo facevano, senza nemmeno rendersene conto o volerlo ammettere. Non sarebbe stata solo una finta per loro, mai.

Eh fratello mio, hai finito di fare il playboy, ma vedrai… una volta sposato, ogni cosa che credevi potesse avere senso da scapolo perderà ogni valore, e tu avrai occhi solo più per lei!

 

            Kaori se ne stava seduta al tavolino del locale rigida, impettita, tremando come una foglia, con il profondo desiderio di scappare o piangere. Fiumi di sakè, birra e cibo spazzatura giravano tra i tavoli, mentre, un velo da sposa sul capo, Kaori guardava le amiche e la sorella sghignazzare come delle oche giulive, già brille.

Che ci fosse anche quel donnone di Erika, con il suo vistoso vestito rosso stile Jessica Rabbit, il trucco pesante e il boa di piume di struzzo, e che le stesse dando delle sonore pacche sulle spalle facendo marcatissime allusioni sessuali sulle prestazioni di Ryo non aiutava, anzi. L’unica cosa positiva che era venuta fuori da quell’uscita assurda, che non lasciava presagire nulla di buono, era che, come regalo di nozze, e solo perché era con la cara, dolce ma forte Kaori che Ryo si sposava, Erika aveva deciso di annullare tutti i passati debiti di Ryo (e, guardando Kazue, aveva sottolineato più e più volte che si trattava solo di quelli di Ryo, e che quindi Angel doveva pagare, e pure presto, e che con loro due, avessero deciso di sposarsi, non sarebbe stata così magnanima).

La ragazza tirò un sospiro di sollievo: un debitore in meno da pagare!

“Oh, Kaori, tesoro, spero che tu sia pronta per la sorpresa che Reika ti ha preparato!” Erika cinguettò, senza notare lo sguardo assassino che la sweeper mandò all’ex rivale, che sbatteva le ciglia finte con la stessa maestria della sorella.

Le luci si abbassarono, e mentre una musica dalla caricaturale carica erotica partiva in sottofondo, un faro illuminò il centro del palco, dove un tizio mingherlino, vestito con quello che sembravano pezzi di smoking, ballava in un modo osceno: non per le pose erotiche, perché quelle erano caricaturali, ma semplicemente perché era chiaro come il sole che non sapesse fare un bel nulla.

L’aura di Kaori continuò a tingersi di scuro, il desiderio omicida che le saliva dentro. C’erano stati momenti in cui aveva creduto che Reika non fosse il pessimo soggetto che Miki le dipingeva, da cui la metteva in guardia, ma adesso si rendeva conto che l’amica aveva avuto ragione da vendere. D'altronde, cosa aspettarsi, dato che era una delle donne che aveva cercato di mettere in guardia quel piccolo burocrate rompiscatole, andandogli a raccontare che era impossibile che Ryo la volesse come sua compagna di vita?

Quella strega, vuole vendicarsi perché non le ho permesso di mettere le mani su Ryo… ma se pensa di imbarazzarmi si sbaglia di grosso!

“Oh, Kaori cara, sei così fortunata ad avere Ramon! Lui è il mio unico ballerino maschio! Sapessi che difficoltà convincerlo a esibirsi stasera… lui normalmente fa solo uno spettacolo alla settimana!” Kaori sgranò gli occhi, non faticando a crederlo: se Ramon si fosse esibito più volte, di sicuro Erika non avrebbe avuto più clienti.

Quel tizio era terribile… eppure sembravano stravedere tutte per lui, gli lanciavano banconote, reggiseni, gioielli… era una cosa da pazzi! Certo che il loro quartiere, quanto a intrattenimento per il gentil sesso, doveva essere davvero messo bene se quello era il massimo che c’era- e le donne erano pure entusiaste!

Kaori fece una risatina, mentre Ramon – che era latino quanto lo era lei, ovvero allo zero percento - si strappava di dosso i vestiti, rimanendo solo in boxer aderentissimi. Nascondendo la risata dietro una mano, Kaori lanciò un’occhiataccia colma di scherno all’amica/nemica, che la guardava con uno sguardo interessato, quasi attendesse il momento in cui Kaori sarebbe fuggita a gambe levate dal locale…

Sono quasi dieci anni che devo sorbirmi le nudità oscene di quel pezzo di idiota, se pensi che un tizio in boxer mi possa mettere in soggezione, caschi male, cocca…

Ramon, “danzando”, se così si poteva dire, al ritmo della musica dance anni settanta, trotterellò verso il loro tavolo con un ghigno infido e lascivo, disgustoso, sul viso- e trottare era proprio il verbo giusto, perché fingeva di essere a cavallo di un fantomatico ronzino, neanche fosse stato un bambino di tre anni.

Quando arrivò al tavolo e le sorrise, mostrando un paio di denti mancanti, il resto giallo, la leggera pancia da bevitore di birra, Kaori non poté più trattenersi, e sotto gli sguardi allibiti delle presenti, scoppiò a ridere, nascondendo il viso sul tavolo.

Non ce la faceva, quella situazione era troppo comica e surreale: quel tipo sembrava uscito da un western di Sergio Leone, con quell’aspetto ridicolo!

Reika guardò Kaori con fare sdegnato, piccato: aveva sperato almeno di imbarazzarla, renderle quella giornata un po’ più dura, ma nisba: la rossa sembrava avere la meglio su di lei su tutti i fronti. Si voltò a guardarla, un po’ mogia, arsa da una leggera invidia, ma all’improvviso, vedere come tutti ridevano e scherzavano con Kaori, come Saeko stessa, spesso fredda e distaccata, perfino con le sue stesse sorelle a meno che non fosse per rimproverarle, le fece sentire qualcos’altro.

Forse Kaori non sarebbe mai stata sua amica, anche causa della forte infatuazione che l’ex poliziotta aveva nutrito a lungo verso Ryo, e che ancora albergava, come una spina, nel profondo del suo animo: ma Kaori era un’anima troppo buona per volerle davvero male, per odiarla… lei era il cuore di quello sgangherato gruppo di amici, di quella famiglia improvvisata nata dal caso e non dal sangue.

Reika, sorridendo e ridendo sguaiatamente, diede una pacca sul sedere del ballerino, facendolo arrossire come un peperone e mettendolo in imbarazzo, e lasciandogli un bel gruzzoletto nelle mutande, lo congedò. Sotto lo sguardo tutto sommato grato di Kaori e la delusione totale delle femmine del locale…

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Capitolo 6
*** Queste nozze... ***


            Rumore convulso di passi, chiacchiericcio, risate: i suoni si stavano avvicinando sempre più.

Mentre un pallido raggio di sole filtrava dalle veneziane, Ryo aprì un occhio, e acuì il suo fine udito, allenato ad avvertire anche il più flebile rumore a qualsiasi distanza, proprio come un letale felino pronto ad azzannare la sua preda.

La maniglia si abbassò.

Con un calcio, nascose il futon sotto al letto, mentre lui si gettò sotto alle lenzuola, solo in boxer, e prendeva tra le braccia Kaori. Il primo istinto della donna fu quello di dargli una gomitata nello sterno, una martellata, un calcio, qualsiasi cosa, ma il socio le coprì la bocca con una mano, mentre con l’altra la attirò a sé, pelle contro pelle.

Kaori sgranò gli occhi.

Ryo bruciava- non del calore febbrile, ma di quello sensuale, del desiderio. Socchiuse gli occhi, trattenendo un gemito, lottando con tutta sé stessa per non abbandonarsi a quel contatto, sentendosi forse per la prima volta in vita sua creatura sensuale col desiderio di sedurre; Ryo la guardò stralunato, il pomo di Adamo che gli danzava nel collo, abbassandosi ed alzandosi al ritmo del cuore ormai impazzito, e la donna, la mente ancora annebbiata dal sonno, ne fu incantata. Mentre lui si allontanava, onde evitare spiacevoli incidenti, lei lo seguiva, lo cercava, stregata, desiderosa di posare le sue labbra e sentire sotto alla bocca il sangue che scorreva.

La rossa stava già sospirando, languida, quando accadde: la porta si spalancò, Sayuri e Peter entrarono come un uragano e lei si svegliò del tutto, trovandosi avvinghiata a Ryo. Arrossendo, cercò istintivamente di allontanarsi da quel forte e solido corpo maschile, ma lui, le mani celate dalle lenzuola, la trattenne a sé, il fondoschiena della donna che premeva contro il davanti dei boxer- e qualcosa di molto grande, molto duro, e decisamente molto sveglio.

“Oh ma come siete carini…. Siete così dolci, dopo tutto questo tempo vi desiderate ancora!” la giornalista piagnucolò. Kaori guardò la sorella leggermente incredula, chiedendosi se Sayuri non fosse preda degli ormoni, dato quel comportamento così insolito- le fregole di Ryo avevano scatenato le sue ire in passato, mentre adesso lo trovava dolce  e romantico: Sayuri non era decisamente normale, quindi, molto probabilmente, se mai avesse avuto dei dubbi… forse non lo era nemmeno lei. Non del tutto, almeno.

“Vi abbiamo portato la colazione!” Peter strillò la voce così acuta da far venire il mal di testa anche a chi, diversamente dalla coppia di sweeper, la sera prima, non aveva alzato il gomito. L’uomo si fece largo nella stanza senza chiedere nulla, e posò in grembo alla coppia,  sorridendo compiaciuto a Ryo che accarezzava dolce i capelli profumati della sua bella, con lo sguardo da trota lessa tipico degli uomini innamorati, assaporando il delicato profumo della sua amata.

“Ehm, che cari, ma non era il caso!” lo sweeper provò a stemperare la tensione e l’imbarazzo. “Voglio dire, siete ospiti, toccherebbe a noi…”

“Niente scuse, Saeba! Siamo una famiglia, e questo è il genere di cose che fa una famiglia, chiaro?” Sayuri tuonò, mani sui fianchi, prima di trascinare via dalla stanza il fidanzato, chiudendo la porta alle loro spalle con un colpo assordante che fece muovere i muri. “Sbrigatevi e poi preparatevi… e ricordati Ryo che non puoi vedere Kaori vestita da sposa, devi andare al tempio per primo con Peter!” Sbraitò dalle scale.

La coppia ricadde sul materasso, tirando un sospiro di sollievo- eppure, erano ancora abbracciati, il capo di Kaori appoggiato al petto di Ryo, le labbra che, avesse fatto un minimo movimento, avrebbero sfiorato la sua giugulare. Sotto di lei, Ryo si mosse leggermente per accomodarsi meglio, e fu allora che Kaori ricordò cosa aveva avvertito quando Sayuri era entrata prepotentemente in camera, e cosa stava ancora  avvertendo.

“Ryo!” Sibilò lei a bassa voce, arrossendo.

“Beh, è mattina, e questa non è certo la prima volta che incontri il mio Mokkori mattutino, no? Mi ricordo quando eri appena diventata la mia assistente, una mattina non mi volevo svegliare e tu mi sei praticamente seduta a cavalcioni, senza renderti conto che così il mio amichetto sarebbe finito proprio sotto quella gonnellina corta e aderente che avevi indosso…” Lui sorrise sornione, dando una semplice alzata di spalle, mentre un rivolo di bava iniziava a scendergli dalla bocca. “Mm… mi ricordo ancora la perfetta visuale che avevo su quelle tue belle tettine!”

Rossa come un peperone, fumante, Kaori, conscia dei rischi, che da lì a poche ore sarebbero divenuti marito e moglie, decise di essere magnanima: non lo prese a martellate.

Si limitò a mandarlo fuori dalla stanza a calci nel sedere, mentre Ryo, grattandosi il capo, se la rideva della grossa: quel matrimonio avrebbe riservato loro delle belle sorprese, ne era assolutamente certo!

 

            Peter e Ryo avevano lasciato al vecchio sacerdote e alle sue Miko, tutti agghindati nei loro abiti tradizionali, le buste con le offerte, mentre era stata Miki a raccogliere quelle degli invitati, riservate agli sposi, come da tradizione; quelle riservate a Sayuri ed il suo futuro sposo erano state più piccole, mentre per Ryo e Kaori i loro amici avevano  chi messo qualcosa in più, chi si era limitato a lasciare note in cui avevano scritto che i debiti della coppia (ma soprattutto di Ryo) venivano azzerati.

Ryo, non molto a suo agio nell’abito tradizionale, si grattò il capo, sospirando, quasi intimidito dalla mole di persone accorse per celebrare il suo matrimonio, forse anche perché lui e Kaori non avevano delle vere e proprie famiglie di sangue : c’era davvero parecchia gente lì, a festeggiarli, amici, conoscenti, colleghi, ex clienti… persone che volevano loro bene, e che erano felici per lui e per Kaori. Persone che loro stavano ingannando con quella farsa. C’era anche il professore, che sogghignava in una maniera quasi sinistra…. Ryo lo fulminò con lo sguardo, chiedendosi cosa stesse tramando il vecchio, se la sua vendetta non fosse stata quella- farlo accasare, fargli dire addio alla sua vita sballata da lussurioso scapolo impenitente…

Lo sweeper alzò un sopracciglio, con un sinistro luccichio negli occhi che fece ingioiare a vuoto al vecchio: neanche lo sapeva, eppure gli aveva fatto un favore.

Più si avvicinava il fatidico istante, più lui si sentiva in colpa, verso quelle persone ma soprattutto verso Kaori; parte di lui avrebbe voluto tirarsi indietro, ma uno sguardo al piccolo burocrate nell’angolo gli fece capire che avrebbe fatto meglio a tacere se non voleva trovarsi in guai seri.

Ingoiò a vuoto, mentre tornò a guardare davanti a sé; guardò Peter, che rideva e scherzava, il contrario dell’uomo serio e pacato che aveva immaginato per Sayuri, e scherzò con lui; poi l’uomo si zittì all’improvviso, ed il suo volto si illuminò di un sorriso di pura gioia mentre i due uomini attendevano, davanti alla scalinata in cemento, l’arrivo delle loro donne.

Come al rallentatore, Ryo si voltò, e le vide.

Davanti, c’era Sayuri; era vestita di bianco, ma il suo kimono aveva degli accenti di rosso, dandogli una nota di modernità; capelli raccolti secondo la tradizione, portava un cappellino bianco di carta, secondo l’uso di molte spose.

Ma non fu lei a fargli mancare il fiato in gola, ma Kaori.

La sua socia incedeva lenta verso di lui, vestita interamente di bianco, il colore della purezza, della verginità, il capo basso. I capelli fulvi celati dal pesante wataboshi, Ryo poteva tuttavia intravedere le gote arrossate, le labbra laccate di rosso.

Era una sposa, emozionata al suo stesso matrimonio: una sposa che arrivava casta e pura alle sue stesse nozze. Erano anni che Ryo si era chiesto cosa farne di lei, perché Maki gli avesse affidato la sorella… l’aveva tenuta con sé, allontanata, ripresa, allontanata di nuovo, le aveva dato speranze, poi le aveva strappate solo per illuderla, ancora e ancora e ancora.

E adesso, lei camminava verso di lui, pronta a dargli la mano perché la accompagnasse all’altare, e diventassero una famiglia, una coppia vera almeno agli occhi del mondo.

Mentre camminavano vero l’entrata del tempio ed il sacerdote, le Miko che reggevano gli ombrelli cerimoniali sui loro capi, lo sweeper avvertì una morsa al petto; ad ogni passo avvertiva gli sguardi degli amici su di sé, e guardava i volti di quelle persone che stavano ingannando, persone che erano felici per loro.

Il sacerdote li benedì, come da tradizione, poi entrarono nel tempio e si inginocchiarono davanti a lui, Sayuri e Peter da una parte, Ryo e Kaori al loro fianco. Il sacerdote iniziò la cerimonia, partendo come tradizione voleva dalla coppia più anziana; ringraziò gli avi e la divinità del tempio, Inari, Dio della fertilità, chiedendogli di benedire l’unione delle coppie e di dare loro molti eredi sani e forti, e poi, come da tradizione, offrì, prima allo sposo e poi alla sposa, la tradizionale coppa di sakè.

E poi, come fosse stato un matrimonio Occidentale, giunse il momento dei voti e dello scambio degli anelli. 

Peter prese la fede d’oro, emozionato, con le mani che tremavano, e  mentre la metteva al dito della donna, che versava lacrime di felicità e risplendeva di gioia allo stato puro, ripeté la formula tradizionale in cui prometteva di esserle fedele, rispettarla, e tutto il resto. Dopo fu il turno di Sayuri, che ripeté gli stessi gesti, le stesse parole… e fu allora che, col cuore in gola, ed un lama che pareva trapassargli il cuore, Ryo guardò Kaori.

Era… ferita. O forse quella non era la parola adatta, la parola giusta. L’ombra che si celava sul bel volto sembrava essere quella della gelosia.

Soffriva perché si sposava senza amore- o comunque con un amore in parte falso, malato, mai veramente vissuto, alimentato da anni di angherie, menzogne, dieci passi avanti e quaranta indietro. Kaori era pronta a mentire davanti ai suoi avi, ad i suoi amici, alla sua famiglia, per lui, per salvargli la faccia e la pelle.

Arrivava a quelle false nozze pura e casta, mantenutasi vergine nella segreta speranza di poter un giorno consumare l’unione con l’unico uomo che avesse mai veramente amato: lui.

Ryo lo sapeva: non avrebbe mai potuto resisterle. La amava troppo, la desiderava in modo smodato, e una volta ufficializzata la loro relazione, una volta che questa fosse stata consacrata, non avrebbe più avuto motivo di celare i suoi istinti, il suo desiderio, e avrebbe finito per farla sua e raccogliere il frutto proibito.

Ma il loro matrimonio avrebbe funzionato, alla lunga? E se uno di loro si fosse stufato, o semplicemente, si fossero resi conto, nel lungo termine, che non era cosa per loro? Kaori sarebbe stata macchiata, impura, non avrebbe più potuto donarsi ad una persona realmente degna del suo amore.

E sarebbe stata solo colpa sua.

Non poteva farlo- anche se significava fuggire, andarsene, rinnegare tutto ciò che era stato fino ad allora: era un piccolo sacrificio, se significava salvare l’anima di Kaori… e non ingannare i loro amici, quella loro pazza famiglia che continuava a sceglierli ogni sacrosanto giorno.

Inginocchiato davanti al sacerdote, Ryo a malapena notò la tazza di ceramica che l’uomo gli porse, mentre recitava la formula di rito, chiedendogli  se acconsentisse a prendere Kaori come sua sposa. Pugni chiusi sulle ginocchia, denti stretti, muscoli così tesi che fremevano sotto alle pelle, la voce di Ryo, con quella singola parola, risuonò nel silenzio del tempio, sotto agli sguardi attoniti dei presenti.

“No.”

Shinsato, che fino a quel momento se n’era stato mogio in un angolo, testa bassa, piagnucolante all’idea di tutto ciò a cui avrebbe dovuto rinunciare senza la promozione, ma soprattutto immaginandosi già gli sberleffi dei colleghi, avvertì un brivido di eccitazione improvviso appena udì quella sillaba. Con occhi colmi di lacrime di gioia, balzò in piedi, e sogghignando percorse i pochi passi che lo dividevano da Ryo e Kaori, e mise una mano sulla spalla dell’uomo, artigliandola nemmeno fosse stato uno spietato avvoltoio che si gettava sul corpo ferito del povero agnellino.

Lo sapeva. Saeba è troppo un dongiovanni per cedere alle lusinghe di una sola donna, le voci erano vere!

Kaori si tolse il cappuccio di seta, e stringendo i denti, le gote arrossate non per la timidezza ma per la rabbia, fulminò l’omuncolo e poi Ryo, che con sguardo triste si fissava i piedi. 

“Ryo, ma si può sapere cosa diavolo stai dicendo?” gli domandò, cercando di mascherare l’irritazione e la preoccupazione sempre crescenti. Ryo si limitò a scuotere il capo e, alzandosi in piedi, si voltò verso tutti i presenti, facendo un piccolo inchino, come a volersi scusare.

“Io…. Devo fare una confessione. Vedete, il signor Shinsato è un ufficiale dell’immigrazione, e… e per la legge io non risulto essere un cittadino Giapponese, ed era, ed è, sua intenzione deportarmi.” Ammise, grattandosi il collo, chiaramente imbarazzato; Saeko si portava una mano al cuore, come per calmarlo, rendendosi conto di cosa l’amico stesse facendo, mentre Kaori a malapena tratteneva le lacrime, anche se lei stessa faticava a capire perché piangesse: rabbia, dolore, delusione? Tutti quei sentimenti albergavano nel suo cuore nel medesimo istante.. “Ma io non volevo andarmene da quella che per me è da ormai oltre quindici anni casa, e quindi… quindi ho costretto Kaori a piegarsi a questa farsa.”

“Ryo, no!” La donna sospirò, col pianto che le moriva in gola, alzandosi, e posando una mano sulla spalla dell’uomo, le labbra strette in una perfetta linea retta, e lacrime che le rigavano il viso, disfando il trucco e macchiandolo del nero del Kajal.

Ryo si limitò a scuotere il capo.

“Vi abbiamo mentito, a tutti voi, vi abbiamo fatto credere di essere una coppietta di fidanzatini pronta a sposarsi. Credevo di poter sposare Kaori e comportarmi come nulla fosse, di potervi mentire, a voi, a Sayuri, ma… ma non posso.  Non dopo aver visto quanto tenete a noi. Cosa voglia dire davvero amare qualcuno.”

“Ma… Ryo…” Kaori singhiozzò, ma lui, di nuovo, scosse il capo, e con un sorriso mesto si limitò a darle un leggero bacio sulla fronte, un bacio in cui le trasmise tutto il suo amore, dolce e profondo, un amore che nasceva dal profondo del cuore e che per anni gli era scorso dentro, nutrendolo quasi fosse stato linfa vitale.

“Sarai sempre la persona più importante della mia vita, Kaori.” Le disse, prima di voltarsi e andarsene, seguito dal burocrate che fin dal principio aveva capito che cosa stessero tramando quei due scapestrati. Arrivato alla porta del tempio, però, si fermò, posando una mano sulla spalla di Falcon, che era vicino a Mick e le loro compagne. “Vi affido Kaori, prendetevi cura di lei.”

In un attimo, lunghissimo ed interminabile, Ryo fu lontano dalla loro vista – ma non dal loro cuore. Kaori finalmente fu in grado di reagire, e cessò di piangere. La delusione lasciò spazio alla rabbia, e la sua aura si macchiò, divenendo ardente come il fuoco infernale, mentre la donna stringeva i denti, e sotto gli occhi attoniti dei presenti, stringeva un pugno, fiera.

Adesso?” Sibilò. Senza attendere oltre, sollevando la gonna del kimono, gettando gli scomodi sandali in un angolo, marciò fuori dalla stanza, afferrando Mick per la cravatta e lo trascinò fuori. “Adesso mi dice che tiene a me? Che sono la persona più importante della sua vita? Ma chi… chi diavolo si crede di essere quell’emerito idiota?! Ah, ma gliela faccio vedere io! Se lo può scordare di lasciarmi all’altare! Nessuno fa una cosa del genere a Kaori Makimura! Mick, prendi la macchina e portami all’aeroporto, subito! Se pensa che lo lascerò partire senza avergliene dette quattro si sbaglia di grosso!”

L’ex Sweeper sbatté le palpebre, incredulo: quei due erano fuori di testa, ma chissà, forse proprio per quello erano perfetti l’uno per l’altra. Scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo, mentre si incamminava verso la sua macchina con Kaori che lo precedeva, camminando spedita a passo marziale, con tutto il loro folto gruppo di amici che alla fine si aggregò, ognuno sulla propria auto.

Destinazione: Aeroporto di Haneda!

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Capitolo 7
*** False Partenze ***


Vestiti casual addosso, raccattati al duty free, mani in tasca, una sacca con il minimo indispensabile, Ryo e Shinsato erano al gate dell'aeroporto, pronti per l’imbarco dello sweeper, destinazione Sud America.

La mano di Ryo andò al petto, dove mancava la fondina e la Python, senza il cui peso e la presenza si sentiva nudo. Aveva freddo, Ryo: si sentiva gelare, ma soprattutto avvertiva un senso opprimente di solitudine, e aveva la netta impressione che non sarebbe stato mai più felice - non senza i fratelli Makimura nella sua vita, senza i suoi amici, senza la famiglia che negli anni si era creato, quelle persone che, nonostante tutti i suoi tanti difetti, le sue stranezze, nonostante conoscessero il suo passato e le colpe di cui si era macchiato, avevano scelto di rimanergli accanto negli anni e supportarlo nelle sue scelte, spingendolo a crescere.

“Avrebbe dovuto cedere fin dal principio, signor Saeba,” Shinsato sogghignò, apparendo perfino più tronfio di quello che effettivamente era: Stava fiero, impettito nemmeno fosse un pavone, mettendo il petto in bella vista, senza nemmeno accorgersi di cosa l’uomo al suo fianco effettivamente provasse: lui aveva raggiunto il suo obiettivo, e tanto bastava, chiunque avesse incontrato lungo il suo cammino si meritava di essere schiacciato o peggio. “Beh, almeno si è fermato in tempo, e la sua amichetta non subirà ripercussioni… sono un uomo d’onore, io!”

Ryo non gli dette la benché minima attenzione, perso nell’imprimere nella memoria ogni più piccolo particolare della sua vita in Giappone, gli anni passati accanto a Kaori, la sua bellezza quel giorno, la perfezione assoluta di quella creatura che sembrava più divina che umana in quel giorno che sarebbe dovuto essere uno dei più belli della sua vita- delle loro vite. Tirando un sospiro profondo, preparandosi psicologicamente al lungo volo, Ryo per un attimo rimpianse di aver parlato, e di averla lasciata andare, di non essere stato abbastanza uomo da piegarsi al bruciante desiderio che per anni lo aveva attanagliato.

Farla sua, non per una notte ma per una vita intera.

Essere il suo uomo- l’unico, il solo a conoscere il piacere che quel corpo divino avrebbe potuto dare e ricevere e provare. Essere suo maestro, insegnarle che non era meno delle altre donne, anzi, valeva dieci volte di più della migliore delle altre, e cosa significasse essere femmina fertile colma di desiderio, un desiderio per cui non aveva da nutrire pudore e vergogna, perché totalmente naturale.

Ma non avrebbe mai insegnato a Kaori cosa significasse essere la sua amante.

La sua sposa.

Sua moglie.

La madre dei suoi figli.

Adesso, era tutto finito. Lui se ne sarebbe andato, col tempo Kaori lo avrebbe dimenticato, sarebbe tornata a vivere la sua vita, una vita normale, da persona comune, lontana dal mondo della criminalità, degli sweeper e dei mercenari e delle organizzazioni malavitose come la Union Teope. Aveva sempre pensato che quella fosse la scelta giusta: adesso aveva trovato il coraggio di compiere quel passo e lasciarla andare, libera.

Non lo sapeva ancora, appena ferita nel cuore e nell’orgoglio, ma un giorno lo avrebbe ringraziato, magari avrebbe chiamato come lui il suo primogenito… o forse no. Magari un giorno avrebbe deciso che dimenticare quella parentesi crudele, fatta di insulti e cattiverie e violenza sarebbe stato molto meglio, e lui sarebbe stato solo qualcuno a cui il suo pensiero andava, fugace, di tanto in tanto.

Lui, invece, non l’avrebbe dimenticata mai.

La piccola Sugar Boy che lo aveva fatto riflettere su cosa volesse dire essere uno sweeper,  e mettersi al servizio degli altri.

L'irruenta Kaori, che gli aveva insegnato fino a che punto un partner era disposto ad andare per il proprio compagno.

L’innocente Cenerentola che gli aveva fatto battere il cuore.

La sua Sugar, che gli aveva insegnato il significato della famiglia, dell’amicizia… dell’amore.

No, lui, Kaori Makimura, non se la sarebbe tolta dalla testa fino a che avesse avuto anche un solo alito di vita in corpo.

“Ryo, aspettami!” Lo sweeper sorrise, facendo un passo avanti, un altro passo che lo portava più vicino al paese dove era cresciuto, e più lontano dalla sua Kaori, scuotendo leggermente il capo: adesso, così concentrato su di lei, aveva perfino le allucinazioni uditive, e immaginava che lei lo chiamasse, con quella dolce voce rotta dal pianto, dal bisogno…

Dannazione, Ryo, vuoi fermarti e girarti, brutto zuccone? Guarda che se non mi aspetti giuro che ti lancio dietro uno dei miei martelli!” Ryo sollevò il capo e alzò un sopracciglio, chiedendosi se fosse impazzito del tutto: continuava a sentirla che chiamava il suo nome e lo minacciava di prenderlo a martellate... quanto gli sarebbero mancate! Ormai era da parecchio che lo sciocco con le donne lo faceva solo per attirare l’attenzione, le ire e la gelosia di Kaori, conscio che quello era il modo maldestro della sua donna di marcare il territorio, una versione scenografica della semplice frase Ryo, mio!

Però poi Ryo vide Shinsato alzare gli occhi al cielo, e grugnire in tono lamentoso, e capì, quando ancora e ancora sentì quella voce squillante chiamare il suo nomee minacciarlo, che non si stava immaginando tutto: Kaori era davvero andata a riprenderselo!. Lei lo aveva raggiunto: aveva avuto il coraggio di fare qualcosa che a lui non sarebbe mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello, codardo com’era nelle questioni di cuore.

Ryo lasciò cadere il borsone a terra e le corse incontro, prendendola tra le braccia quando lei gli si gettò addosso, braccia intorno al collo,  il viso macchiato di trucco nascosto nella spalla del partner. Ryo la strinse, sorridendo, sentendo il suo cuore che finalmente riprendeva a battere, il suo corpo che si riscaldava, e come un fiore a primavera, tornava a vivere grazie alla carezza della presenza della sua amata.

“Non saresti dovuta venire qui…” le disse, senza tuttavia esserne veramente convinto, perché in cuor suo sapeva che l’avrebbe aspettata per l’eternità se fosse stato necessario. “Sciocchina, adesso quest’ometto cosa dirà?”

“Dica quel che vuole, non mi importa, l’importante è che tu senta quello che ho da dirti, Ryo, perché tu non puoi dirmi che sono la persona più importante della tua vita e poi andartene così, dandomi le spalle, affidandomi a Mick come se fossi un pacco postale… tu hai detto la tua al tempio, e adesso lasci parlare me, perché io sono una donna adulta, brutto idiota che non sei altro, non sono più la ragazzina che hai incontrato tanti anni fa o quella che il tuo migliore amico ti ha affidato!” Proclamò la donna, scostandosi da Ryo, e asciugando due grossi lacrimoni con la manica dell’abito da sposa, che rimase irrimediabilmente macchiato.

Tirando su con il naso, la giovane abbassò il capo, le sue gote coperte di trucco bianco che si coloravano di rosso per l’emozione. “Ryo, io… quello che ho detto quel giorno all’ufficio dell’immigrazione… è tutto vero. Ti amo da tanti anni, e vorrei solo che tu potessi mantenere la promessa che mi avevi fatto, che avremmo festeggiato tutti i nostri prossimi compleanni insieme. Per questo ho accettato di sposarti, non perché fosse una tua imposizione o chissà che, ma perché… ti voglio, e basta. Non voglio vivere senza di te, perciò se te ne vai… io ti seguo, perché sono stufa che tu scelga per me!”

Proprio come quel giorno in cui si erano scambiati quella promessa, si presero per mano, e lui la trascinò nel suo caldo, sicuro abbraccio, respirando a pieni polmoni il profumo dell’incenso che aveva riempito il tempio, la pelle calda di lui che contrastava con la freschezza delicata della seta dell’abito da sposa.

Erano sotto gli occhi di tutti, ma per una volta, a Ryo non importava: che lo avesse sentito anche il mondo intero che Kaori era la sua donna, che si amavano, da quel giorno l’avrebbe sempre difesa, costasse quel che costasse, nessuno si sarebbe più potuto mettere sulla strada della loro felicità, mafiosi, killer, burocrati, si sarebbe occupato di tutti loro, in un modo o nell’altro.

Avrebbe difeso Kaori. La sua famiglia. Quella che già c’era… e quella che sarebbe arrivata nel futuro, se il destino lo avesse voluto: renderla madre sarebbe stato la coronazione del loro sogno d’amore, la sua dolce Kaori, cuore della loro famiglia, era nata per avere un figlio in grembo, nella sua vita, crescerlo ed amarlo.

“Sei davvero sicura di volermi, di voler stare con me?” le domandò, cercando gli occhi bellissimi della fanciulla, che mai mancavano di fargli battere il cuore all’impazzata, emozionarlo come quel primo giorno di tanti anni prima. “La tua vita sarebbe molto più semplice se io non ci fossi, lo sai, vero?”

“Forse, ma se avessi voluto la semplicità,” gli rispose scrollando le spalle, e alzando gli occhi per incontrare quelli di lui. “me ne sarei andata quando Hide è morto, non avrei aspettato così tanto tempo. Ryo, io, io non voglio un’altra vita, perché questa mi piace, mi piace viverla appieno con te, giorno per giorno, anche se è piena di inconvenienti e avventure a volte senza senso. Perché la mia vita senza di te non avrebbe senso… sarebbe solo un inferno senza fine.”

Sorridendole, Ryo le portò le mani al viso, sollevandolo, e si chinò su di lei; chiusero gli occhi nel medesimo istante, e mentre Kaori si mordicchiava il labbro, la bocca di Ryo scese sulla sua in un bacio caldo e profondo che sapeva  di amore e di casa, e che la scaldò da capo a piedi, rendendoli sordi al mondo esterno, a tutte le persone che fischiavano, sussurravano, spettegolavano, applaudivano e facevano pure loro delle foto, quasi fossero stati delle celebrità - e forse non lo erano, ma mentre stavano l’uno tra le braccia dell’altra, apparivano come i protagonisti di una moderna fiaba, non solo per la bellezza dei loro corpi, ma anche per quella delle loro anime che sembravano illuminare tutto.

Staccatosi da lei, Ryo, con quel suo sorriso sornione, un po’ birichino, che sembrava non voler preannunciare nulla di buono, si mise in ginocchio, tirando fuori dalla tasca una scatolina di velluto nero che aprì con maestria, con una sola mano, prima di gettarla in un angolo, infischiandosene di dove sarebbe finita. La sinistra di Kaori nella sua, teneva tra pollice e indice un anello, semplice, una vera d’oro con un piccolo brillante, con una decorazione semplice.

“Ma, ma, Ryo…” Kaori si portò una mano al viso, cercando di nascondersi per l'imbarazzo. “Tu mi hai già chiesto di sposarti…”

“Dai, socia, lasciamelo fare per bene, e stavolta sul serio… hai avuto una proposta immaginaria, una finta… la terza sarà la volta buona!” Le fece l’occhiolino, il sorriso che non ne voleva sapere di lasciare le sue labbra.

“Kaori, sono ormai tanti anni che sei al mio fianco, nel lavoro… e nella vita. Tu col tempo sei diventata come un membro della mia famiglia. Ti amo, e sono abbastanza uomo da ammetterlo… e se lo vorrai, desidero che tu diventi parte a tutti gli effetti della mia famiglia…. per sempre.” Le sorrise, sincero ed onesto; un sorriso raro, di quelli che Ryo non dispensava a destra e manca, e che proprio per questo erano tanto cari a Kaori, che quasi sempre li riceveva. “Kaori, lo so che non sono perfetto, che ho tanti difetti, che il mio passato è tutt’altro che fulgido, ma se starai al mio fianco, cercherò di fare del mio meglio per essere degno di te... mi vuoi sposare?”

La donna fece cenno di sì col capo, il viso solcato da lacrime di gioia, e dopo averle fatto scivolare l’anello al dito, Ryo si alzò in piedi; la abbracciò, prima di catturare la sua bocca in un focoso bacio, a cui fecero da sfondo gli applausi di tutti i presenti.

Di tutti, tranne di uno… Shinsato, che mogio sospirava, prevedendo la mole di lavoro che avrebbe avuto nei giorni seguenti. Quando avrebbe dovuto rifare tutte le interviste sul caso Saeba… conscio,  stavolta, che non si trattava più di una farsa, ma della realtà.

Gettato il fascicolo alle sue spalle, se ne stava andando, mani in tasca, la sua amata ventiquattrore dimenticata in un angolo, quasi fosse stata  solamente la vestigia di un passato ormai da dimenticare, quando si sentì chiamare per nome.

Era l’Ispettore Nogami.

Svogliatamente, cercando di apparire il più arcigno possibile, si diresse verso la donna, squadrandola con sguardo truce- uno sguardo che non durò, perché lei gli sorrise, disarmante, e lui alzò gli occhi al cielo, sbuffando.

“E adesso cosa vuole, Nogami?”

“Beh, stavo pensando, che magari potrebbe fare a tutti noi un grandissimo favore…” da dietro la schiena, la donna produsse un foglio, che l’uomo le strappò di mano e studiò attentamente: era un certificato di matrimonio, a cui mancavano solo quattro firme: quelle degli sposi, dell’ufficiale che li avrebbe sposati e di un testimone.

Sbuffando come un toro inferocito, Shinsato strinse tra le mani il foglio, spiegazzandolo. Davvero quella donna credeva… ma si rendeva conto di cosa gli stesse chiedendo? Ma poi, come si permetteva? Essere così sfacciata, così audace, e così plateale…. Poteva essere più palese il fatto che quella donna maledetta avesse già organizzato tutto fin dal principio, previsto tutti i vari scenari possibili?

E adesso osava chiedere, proprio a lui,  di rendersi loro complice?

“Lei vorrebbe che io…” sibilò a denti stretti, senza finire nemmeno la frase. Gli occhietti arcigni si fecero quasi rossi, e Saeko vide effettivamente la somiglianza con certi ratti di cui Ryo aveva parlato.

Saeko batté gli occhioni e le ciglia, mettendo il broncio come una bimbetta, tentando di apparire il più civettuola possibile mentre si avvicinava all’uomo, quasi strofinandosi a lui.

“…Io vorrei tanto che lei facesse firmare a Ryo e Kaori questo documento che guarda caso avevo con me, così da formalizzare la loro posizione… lei dopotutto nelle sue vesti di ufficiale governativo può farlo… e qui ha tutti i testimoni che vuole..” continuò, civettuola, passandogli una mano sul petto, seducente e manipolatrice.

“Ma… ma io, veramente…” L’ometto fece un passo all’indietro, tentò di mettere distanza tra lui e la bella ispettrice, ma lei non sembrava volerne sapere. Anzi: quasi sembrava che lei continuasse a cercarlo ancora di più, insistente nel suo approccio.

“Il fatto è che sarebbe un tale peccato sprecare altro tempo… Kaori e Ryo si amano così tanto, e lei è all’antica, e non credo che Ryo resisterà ancora a lungo senza  toccarla… non so se ha capito cosa intendo..” Gli fece l’occhiolino, e l’uomo arrossì; alle sue spalle, sentendo quelle parole, Ryo, che aveva ancora tra le braccia Kaori, prese a sbavare, solo a ricordare cosa era successo quella mattina, la sensazione di stringere Kaori con quel pigiama di seta addosso, avvertire sotto alle sue dita ogni curva… e far sentire a lei cosa fosse il vero desiderio, quanto lei lo accendesse e lo eccitasse.

Senza aspettare che gli venisse dato il via, Ryo strappò le carte di mano all’uomo e le firmò, spingendole poi in mano alla sua sposa perché le firmasse anche lei. Un po’ mogia, la donna guardò i fogli, poi guardò lui, e poi prese a lamentarsi, con sguardo truce.

“Certo che tu il romanticismo nemmeno sai dove sta di casa, eh?” Kaori sbuffò, tuttavia, mentre parlava, la mano si muoveva veloce sulla carta, lasciando segni precisi e leggibili al suo passaggio. Una volta che ebbe finito, Ryo le strappò di mano il foglio, e lo passò prima a Saeko, per farla firmare in veste di testimone, e poi a Shinsato, che, lasciando  anche lui la sua firma, alzò gli occhi al cielo, e mettendo poi il documento nella tasca della giacca, dato che non aveva la più pallida idea di dove, in quel bailamme, la sua valigetta fosse finita.

“Per il potere conferitomi dallo Stato del Giappone e dalla città  e dalla Procura di Tokyo, vi dichiaro marito e moglie. Può baciare….”

Occhi sgranati, il burocrate sbatté le palpebre mentre vedeva Saeba letteralmente divorare la bocca della sua sposa, prendendola in braccio, prima di caricarsela in spalle, quasi fosse stata un sacco di patate, e correre fuori dall’aeroporto senza degnare nessuno dei presenti con un saluto, un grazie, o qualsiasi altro segno di civiltà: aveva decisamente fretta.

Evidentemente, le storie che gli avevano raccontato su quanto la mente dell’uomo fosse incanalata ossessivamente verso un solo pensiero erano vere: Ryo Saeba aveva il sesso in testa ventiquattro ore su ventiquattro sì, ma non con tutte, solo con la sua donna. Alla fine aveva avuto torto, e quei due squinternati si amavano davvero alla follia. Certo, li avrebbe visti ancora per sistemare le ultime pratiche del caso, ma ormai era evidente che si sarebbe dovuto scordare per l’ennesima volta la promozione.

“Mah, Ryo! Mettimi giù, so camminare da sola!” La donna squittì, arrossendo vistosamente in volto- sembrava essere una sua caratteristica peculiare, arrossire sempre, per qualsiasi cosa. “E poi è da maleducati lasciare così gli ospiti!”

“Eh no eh, Kaori, guai a te se ti lamenti!” Ryo sbuffò mentre, donna in spalla, usciva dall’aeroporto, attraendo le occhiate curiose degli spettatori, che si immaginavano essere su una Candid Camera. “Sono anni che mi tengo dentro tutta questa smania e tengo al guinzaglio il mio mokkori con te, fino adesso ho fatto il bravo… volevi arrivare pura al matrimonio? Ci sei arrivata! Ma adesso guardiamo di rifarci del tempo passato, va bene socia?”

Kaori non arrossì, ma stringendosi a lui, e accomodandosi meglio nel caldo e protettivo abbraccio di Ryo, gli sorrise, e lui le lasciò un delicato bacio sulla fronte, che sapeva di amore, casa e futuro, promesse che stavolta Ryo Saeba aveva ogni intenzione di mantenere - erano finiti i tempi dei passi indietro.

“Non socia, Ryo,” gli disse lei, lasciando un delicato bacio sul collo dell’uomo, occhi sognanti e una voce delicata, e per la prima volta Ryo avvertì chiaramente quanto Kaori in realtà non fosse più una ragazzina, quella giovane da lui incontrata tanti anni prima, ma donna, vera, reale, tangibile, dolce e sensuale, tra le sue braccia.

“Hai ragione, Kaori, adesso non posso più chiamarti socia, dato che sei stata promossa…” Le fece l’occhiolino, sorridendo sornione e fascinoso, ma tanto, tanto innamorato. “Ti va bene… Moglie?”

All’aeroporto, Shinsato li guardò salire su un taxi e  allontanarsi verso la loro oasi di felicità e lussuria, mentre lui rimaneva lì col magone e le mani vuote: addio vacanza, addio promozione, poteva scordarsi un appartamento in un quartiere decente.

Fece un ultimo, disperato, tentativo, e corse dietro alla macchina, rimanendo in mezzo alla strada mentre si metteva a gridare a squarciagola.

“VI ASPETTO GIOVEDÌ ALLE SEDICI NEL MIO UFFICIO, NON PENSATE CHE SIA FINITA QUI, IO DEVO ANCORA INTERROGARVI!”

Tuttavia, lasciò ricadere le braccia, lunghe, ai alti del corpo: ormai lo sapeva, quei due avrebbero passato il test, avrebbero superato qualsiasi prova che lui o il governo avesse messo loro davanti.

“Eh già, sono proprio una bella coppia, eh?” L’uomo che lo aveva raggiunto domandò, retorico, stringendo una bella brunetta tra le braccia.

Shinsato si voltò a guardarlo, ed un sorriso maligno, degno del migliore-o forse peggiore - diavolo tentatore si dipinse sul suo volto.

“Michael Angel, se non erro….” Shinsato sogghignò, facendosi sempre più vicino al biondo americano. “Sa, mentre investigavo sui signori Saeba, mi sono imbattuto in alcune carte che la riguardavano molto da vicino, e ho pensato che avremmo potuto discutere della sua posizione nel nostro beneamato Paese a cose fatte…” eruppe in una risata sinistra, mentre ormai Mick si trovava, letteralmente, con le spalle al muro, ed il piccolo ed insulso burocrate davanti al viso, incutendogli terrore come e più di tutti i micidiali killer affrontati nella sua lunga carriera di sweeper. “Tra l’altro, mi saprebbe spiegare come mai risulta deceduto sul volo 512 della Japan Airlines? Sono proprio curioso di sapere che cosa si inventerà!”

Grazie a Brume per la fan-art di accompagnamento a questo capitolo! firestars

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