The Proposal di Little Firestar84 (/viewuser.php?uid=50933)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Donne & Guai ***
Capitolo 2: *** Piccoli Problemi Burocratici ***
Capitolo 3: *** La prima notte ***
Capitolo 4: *** Bring me to the temple ***
Capitolo 5: *** Addii (...al celibato e nubilato!) ***
Capitolo 6: *** Queste nozze... ***
Capitolo 7: *** False Partenze ***
Capitolo 1 *** Donne & Guai ***
Il forte rumore
di qualcuno che bussava alla porta dell’appartamento con
forza ed insistenza
destò Ryo dal suo giusto sonno; ancora rimbambito dalle
poche ore passate a
letto, e soprattutto dalle troppe bevute fatte con il compare Mick la
notte precedente,
mentre se la spassavano per localini equivoci, lo sweeper scese dal
letto col
piede sbagliato, solo in boxer, furibondo con chiunque avesse avuto la
malsana
idea di andarlo a disturbare a quell’ora, Python in mano
pronta a servire la
sua vendetta.
“SI
PUÒ SAPERE CHE CAVOLO VOLETE A
QUEST’ORA!?” Tuonò appena
aprì la porta, senza troppi indugi; non avvertiva pericoli,
tuttavia sentiva
chiaramente la presenza di Saeko, e che la poliziotta era…
preoccupata? Sì,
però c’era chiaramente qualcos’altro -
era nervosa,
più che altro.
“Saeko. A cosa debbo questo
onore?” le
domandò, incrociando le braccia e lasciando che la sua amata
Magnum, compare di
tante avventure, rimanesse in bella vista. Squadrando la donna
dall’alto in
basso con un’espressione interrogativa,
solo allora lo sweeper si rese conto che la bella
poliziotta non era
sola. Con lei c’era un ometto, piccolo, mezzo pelato,
così magro da sembrare
patito e con una pessima cera, talmente pallido che probabilmente non
aveva mai
visto il sole in tutta la sua vita. Aveva inoltre un paio di occhiali
così
piccoli che davano al suo viso la conformazione della testa di un topo.
Lo sweeper non disse nulla; si limitò a
lanciare un’occhiata molto eloquente alla donna, come a dirle
che lo aveva
capito che la sua visita avrebbe nuovamente significato rogne per la
premiata
ditta City Hunter… con lei erano sempre
problemi, ma quando riusciva ad appioppargli clienti maschi le cose
andavano
ancora peggio, perché se le donne si lasciavano incantare
dalla sua aria da bel
tenebroso, gli uomini finivano per innamorarsi, tutti, di Kaori.
Unico lato positivo di tutta quella
faccenda che certamente avrebbe portato guai: il tipo era orrendo,
quindi,
fosse ben finito a correre
dietro a
Kaori come tutti gli altri, la bella rossa ci avrebbe pensato due volte
prima
di accettare le avances di un tipo del genere.
Aveva gusto, lei, in fatto di uomini,
come dimostrato dal fatto che fossero anni che era pazza di lui.
“Ehm, Ryo, sono qui per
lavoro… cioè,
non solo!” la donna ammise, entrando forzatamente nello
spazioso appartamento,
seguita dall’ometto che continuava a sistemarsi gli occhiali
su quegli
occhietti malefici, squadrandolo con un’aria a dir poco
rancorosa. Senza
aspettare che lui dicesse o facesse qualcosa, Saeko prese Ryo a
braccetto, e lo
trascinò verso la zona cucina, lasciando l’ometto
a sedere sul divano da solo,
la ventiquattr’ore di logora pelle tenuta compostamente sulle
ginocchia quasi
fosse un trofeo o un prolungamento di quell’essere.
Una volta trovatasi faccia
a faccia con Ryo, Saeko prese a controllare
che l’ometto non li stesse guardando né stesse
origliando la loro
conversazione, dopodiché, prese a sbattere i suoi grandi
occhi con fare
sensuale, nella speranza di addolcire qualunque pillola stesse per
lanciargli. Ryo,
che aveva capito che tirava male e che sentiva la puzza di rogne
lontano un
miglio, la guardava risentito e nervoso, talmente seccato che non ci
aveva
nemmeno provato con lei.
Non tirava aria, ed era decisamente
meglio che la donna lo capisse.
Continuarono a guardarsi, ma Ryo
sentiva che Saeko faceva fatica a mantenere il contatto visivo;
inoltre, non
aveva ancora spiaccicato mezza parola, tutte chiare indicazioni che la
donna
non aveva il coraggio di dirgli qualcosa
di a dir poco fondamentale. Cosa
aveva
combinato stavolta? In che guai li aveva cacciati? Per un attimo il
cuore dello
sweeper fu attanagliato dal panico più profondo….
Dov’era Kaori? La sera prima
lei, a cena, gli aveva detto qualcosa, ma dopo le parole Ryo,
ricordati che domani lui aveva solo finto
di prestare attenzione, preferendo concentrarsi
(nascostamente)
sulla porzione di pelle lasciata in bella vista dalla scollatura. Cosa
gli
aveva detto? Era importante? Dov’era finita? Le era forse
capitato qualcosa?
Prese a guardarsi intorno alla ricerca di indizi, ma nulla,
cercò di ricordare
cosa gli avesse detto ma nella sua mente c’era solo un grosso
buco nero.
Saeko, quasi avesse compreso lo stato
d’animo del vecchio amico, mise le mani avanti per
tranquillizzarlo,
assicurandolo, con un tenero sorriso quasi materno, che la sua visita
non
riguardava la sua socia.
“Tranquillo Ryo, non sono qui per
Kaori. La questione è un po’ delicata ma riguarda
te. Vedi, il fatto è che
ultimamente mi hai aiutata parecchio nelle indagini, ed inoltre il
contributo
di City Hunter è stato cruciale nel risolvere la delicata
questione dell’Union
Teope ma anche per quel che riguarda il tentato colpo di stato nella
Ratuania.”
La donna sospirò. Incrociando le braccia, si
poggiò a uno dei mobili della
cucina, guardando, risoluta e determinata, Ryo: era lampante come il
suo comportamento
di poco prima fosse stato messo in atto a beneficio del piccolo
burocrate da
strapazzo che occupava il salotto. “Purtroppo però
in questo modo il tuo
operato non ha più potuto passare inosservato come faceva un
tempo, e mio padre
per primo si stava insospettendo per
le tue intromissioni nei casi della
polizia, in più ricordati che adesso lui ti conosce
direttamente, dopo quello
che è successo con Yuka. Per questo, con l’aiuto
del Professore, abbiamo creato
una vera identità ufficiale a Ryo Saeba, inserendolo nel
libro paga della
questura di Tokyo in qualità di consulente
investigativo.”
“Ufficiale o no,” Ryo le si
avvicinò,
mettendole il broncio nemmeno fosse stato un bimbo di tre anni, il suo
comportamento l’opposto di quello serio di Saeko.
“Io pretendo i pagamenti in
natura! Con arretrati! Ed interessi! Chiaro?” Le
sibilò contro. Saeko sospirò,
scuotendo lieve il capo: Ryo non sarebbe mai cambiato, forse aveva un
po’
affievolito i bollenti spiriti dopo il matrimonio di Miki e Falcon di
poco più
di un mese prima, ma Saeko immaginava che ci fossero alcune cattive
abitudini
ormai così radicate nello sweeper che sarebbe stato davvero
difficile fargliele
perdere. Inutile dire che considerava Kaori a dir poco una santa, e che
ogni martellata
che l’uomo si prendeva era più che meritata.
“Ma vuoi smetterla sì o no e
farmi
finire il discorso?!” La donna gli coprì la bocca
con le mani, spingendolo letteralmente
in un angolo mentre
continuava lanciare
occhiate furtive
all’omino, che si era messo a controllare
l’orologio e muovere ritmicamente il
piede, in preda al nervoso e probabilmente stufo di starsene in
disparte ad
aspettare i porci comodi dei due. “Ryo, ascolta, hai litigato
col Professore?
Gli hai fatto qualche torto?”
Lo sweeper ci pensò su. Lui ed il
professore in linea di massima andavano d’amore e
d’accordo, il buffo ometto
era stato, dopotutto, un mentore ed una sorta di padre putativo, e se
Shin gli
aveva insegnato a sparare, il vecchietto gli aveva insegnato tutto il
resto. Ma,
effettivamente, alcune settimane prima c’era stato un piccolo
inghippo, subito dopo il matrimonio
di
Umi e Miki. Ryo aveva insistito perché Kaori si facesse dare
una controllata, e
casualmente, mentre il vecchio
stava
provando a palparla, a lui era partito un colpo dalla Python, che aveva
portato
via una delle poche ciocche di capelli ingrigiti dagli anni che il
satiro aveva
ancora in testa.
Effettivamente, quella volta gli aveva
promesso che se la sarebbe legata al dito.
“Ehm…
perché?” Aveva paura a chiederlo.
Sudava freddo e dentro si sentiva tremare, avvertiva i guai che era
certo si
stessero avvicinando pericolosamente con ogni parola della donna,
pronti a
travolgerlo e sconvolgere la sua esistenza.
Tuttavia, doveva
sapere: era una questione di professionalità, era imperativo
che uno sweeper fosse sempre al corrente di ogni minaccia, di ogni
pericolo
alla sua persona, poco importava se, per l’ennesima volta,
l’attacco proveniva
da qualcuno a lui vicino- a lui caro. Socchiudendo gli occhi, Ryo prese
un
profondo respiro, pronto ad affrontare il tradimento. Sarebbe stato
difficile,
più doloroso forse della sofferenza inferta da Kaibara, ma
avrebbe fatto in
modo di farsela passare. Come tutte le altre volte.
“Quando ha creato il tuo file, il
Professore
ha insistito perché la tua nazionalità non fosse solo Giapponese, secondo lui non era
plausibile. Secondo i dati che
ha falsificato, sei nato in Colombia da madre Colombiana e padre
Giapponese, ma
dato che non hai risieduto a Tokyo fino all’età
adulta non hai mai chiesto la
doppia cittadinanza, limitandoti
ad
ottenere un permesso di soggiorno temporaneo.”
Ryo ingoiò a vuoto, sudando
copiosamente, dopo aver udito quella parola. Temeva dove Saeko stesse
andando a
parare, e non era certo che gli piacesse – per nulla- e se
l’aria affranta
della donna significava qualcosa, voleva dire che lo stesso valeva
anche per
lei.
“Ryo, io non so cosa tu abbia fatto al
Professore per farlo arrabbiare così, ma quel vecchio babbeo
ti ha messo alle
calcagna l’immigrazione, e se non ti inventi qualcosa
subito…” La donna gli
sbraitò contro a bassa voce, afferrandolo per il collo e
dandogli una bella
scrollata perché capisse la gravità della
situazione.
“ISPETTORE
NOGAMI, ADESSO BASTA!” L’ometto saltò
in piedi, ringhiando, rosso in
volto che quasi pareva fosse un palloncino che si apprestava ad
esplodere;
sbatté i piedi a terra, quasi a voler sottolineare la sua
impazienza, e di quanto
fosse stufo di quel comportamento che
lui vedeva come a dir poco infantile ed al limite della
legalità. “Vorrei
ricordarle che è estremamente poco professionale appartarsi
con il signor Saeba
per discutere i particolari del suo caso!”
“Ma, ma no signor Shinsato, cosa
dice,”
la donna impallidì, e ridacchiando mise le mani avanti.
“Il signor Saeba ed io
stavamo discutendo di un vecchissimo caso, sa, tanto lavoro, a volte la
memoria
fa cilecca, eh, eh…”
“Ancora peggio! Senza un permesso di
soggiorno valido se il Signor Saeba lavora per lei dietro compenso
economico si
tratta di un crimine punibile con fino a sette mesi di reclusione ed
una
sanzione pecuniaria per il datore di lavoro!”
“Compenso? Questa sono anni che non
salda nemmeno mezzo conto, ha un debito arretrato lungo un chilometro,
altro
che lavorare dietro compenso, ma non scherziamo!”
Sbuffò Ryo, grattandosi la
testa. “Allora, si può sapere cosa devo fare per
rinnovare il mio… permesso di
soggiorno? Dove devo firmare?”
“Signor Saeba!”
L’ometto sibilò,
avvicinandosi allo sweeper con espressione minacciosa e decisa, quasi
letale,
la valigetta che aveva in mano un’arma forse più
pericolosa delle automatiche
che Ryo si era
trovato ad affrontare nel
corso della sua tumultuosa vita.
La burocrazia, il vero nemico
dell’umanità.
“La sua situazione non è
così semplice.
In questi mesi, mentre era sprovvisto di un permesso di soggiorno
valido, mi
risulta che lei abbia anche lasciato il paese in almeno due
occasioni, ed inoltre, c’è anche la
questione dei documenti non
presentati. Mi vedo quindi costretto a chiederle di fare immediatamente
i
bagagli cosicché la possa imbarcare sul prossimo volo e
deportarla nel suo
paese natale.”
Ryo sbatté le palpebre mentre un vento
gelido attanagliava il suo intero essere: non aveva la
benché minima intenzione
di tornarsene in Sud America, lì era dove tutto era
iniziato, dove la sua vita
aveva cominciato ad andare a rotoli ed era stato privato della
possibilità di
vivere un’esistenza simile a quella di tutti gli altri
bambini. E comunque, da
quelle parti c’era ancora parecchia gente che ce
l’aveva con lui per il suo
irruento passato da guerrigliero: andare in Colombia significava
gettarsi nella
fossa del leone con la piena intenzione di farsi divorare.
“De… deportarmi?”
Balbettò, gli occhi
sgranati.
“Per almeno un anno, sì.
Passati dodici
mesi sia lei che il suo attuale datore di lavoro, ovvero il
Dipartimento di
Polizia di Tokyo, potrete appellarvi alla mia decisione, ma, come le ho
detto,
è imperativo che lei lasci il paese al più presto
se non desidera peggiorare ulteriormente
la sua situazione.”
L’ometto si sistemò gli
occhialini sul
viso, e guardò Ryo con un’espressione di trionfo,
che lo rendeva alquanto
sinistro e minaccioso, e che rese ancora più consapevole lo
sweeper di come il
vero nemico dell’umanità fosse la burocrazia ed i
suoi ufficiali, e non folli
generali governativi che tentavano golpe a destra e manca e poi
rapivano
manesche donzelle dai capelli rossi nel giorno del matrimonio della
loro
migliore amica, quando si presupponeva che suddetta donzella afferrasse
il
bouquet, per poterla prendere in giro prima e chiederle scusa poi,
rubandole
magari anche un bacio o due.
Ed intanto, mentre l’ometto sghignazzava
sotto ai baffi che non aveva, una miriade di domande presero piede
nella mente
di Ryo, mentre sentiva risuonare nel cervello, come un martello
pneumatico, la
vocina stridula di quel burocrate da quattro soldi pieno di complessi:
cosa ne
sarebbe stato di City Hunter? E chi avrebbe vegliato sugli abitanti di
Shinjuku? I vecchi nemici sarebbero corsi a fare la pelle ai suoi
alleati, ai
suoi amici – la sua famiglia-
per
fargliela pagare? E Kaori… cosa sarebbe successo a Kaori?
Tutti quelli che
credevano fosse la sua donna, o che comunque sapevano quanto lui
tenesse a lei,
che lei era l’altra metà di City Hunter, sarebbero
accorsi per prendersela con
la giovane, colpendola per distruggere il grande Ryo Saeba?
E lui, con tutti i nemici che ancora
aveva in Sud America, quanto sarebbe durato? Sarebbe sopravvissuto,
senza
nessuno a guardargli le spalle, senza una vera ragione per svegliarsi
la
mattina?
No. Doveva inventarsi qualcosa. Trovare
un modo di rimanere in Giappone, ma come?
Lui e l’ometto si stavano
fronteggiando, in una lotta fatta di letali sguardi silenziosi, quando,
lentamente, la porta d’ingresso si aprì, con un
sinistro cigolio che sembrava
preannunciare la fine del mondo, e fu esattamente così che
Ryo si sentì quando
intravide i disordinati capelli rossi fare capolino nella stanza.
“Ryo, mentre tornavo
dall’aeroporto
sono passata da Marie a prendere i croissant che ti piacciono tanto, e
ho preso
un po’ della miscela di caffè che preferisci
e…” Vedendo
la scena davanti a lei, Kaori si
impietrì, ed arrossì lievemente- vedere Ryo a
petto nudo, nonostante ormai si
conoscessero da una decina d’anni, le faceva sempre e
comunque un certo
effetto, provocandole un rimescolio nel basso addome. Era
così concentrata su
quei muscoli ben delineati e scolpiti che ci mise un attimo a vedere
che c’era
anche Saeko nella stanza, e con lei un buffo ometto- in una parola,
guai. “Oh,
vedo che abbiamo ospiti! Ehm… ho preso un paio di brioches
in più… desiderate
favorire?” domandò, ridacchiando imbarazzata.
Ryo la guardò per bene, lanciandole
un’occhiata quasi imbarazzata, e l’uomo, forse per
la prima volta da quando lo
conosceva, arrossì; lentamente le si avvicinò,
senza mai distogliere gli occhi
dal viso di Kaori, che sosteneva, le gote arrossate, lo sguardo del
partner.
Ryo prese le mani di lei nelle sue, stringendole con delicatezza, e,
lentamente, si voltò verso la polizotta e l’agente
governativo.
“Signor Shinsato, sono consapevole
della sgradevole situazione in cui io stesso mi sono cacciato, ma,
tuttavia,
credo che ci sia qualcosa che lei debba sapere prima di prendere una
decisione
definitiva…” Ryo parlò in tono serio,
deciso, mentre Kaori sgranava gli occhi e
sbatteva le palpebre, non comprendendo pienamente cosa stesse
accadendo.
“Vede, Kaori… ehm, la signorina Makimura ed io ci stiamo
per sposare!” Lui affermò,
con voce tonante e portamento fiero, quasi avesse appena fatto
giuramento.
“Che… ma… ma Ryo,
si può sapere cosa
diavolo stai dicendo?” Sibilò la rossa, la voce
stridula indice di quanto fosse
furibonda. Poco più di un mese dal matrimonio dei loro
migliori amici, da
quando lui le aveva dichiarato il suo amore, ed era già
tanto se Ryo era stato un po’
più gentile con lei, un
po’ meno cretino con tutte le altre
donne, ma non era ancora mai successo nulla,
non si erano nemmeno mai scambiati un vero bacio. E adesso…
lui la voleva
sposare? Com’era possibile? Gelide stalattiti, come spilli,
trafissero il cuore
della donna, che temette di essere nuovamente vittima dei giochi
sciocchi ed
immaturi, delle prese in giro, dell’amato partner.
Ryo si voltò verso di lei, e la
guardò
facendole intendere con uno sguardo che aveva bisogno che lei stesse al
gioco-
e che si trattava di una cosa seria. Kaori arrossì, e,
facendo cenno di sì col
capo, emise un flebile sospiro dalle labbra socchiuse, a cui Ryo
rispose con un
tenero sorriso dolce, carico di affetto e stima.
“Eravamo reticenti ad ammettere davanti
ai nostri amici questa relazione perché sappiamo
di essere molto diversi, e temevamo
che le cose potessero andare male tra di noi. Tuttavia, col tempo
abbiamo
capito che queste differenze invece di allontanarci ci aiutavano a
compensarci
a vicenda. Sappiamo che la vita è dura ed il nostro un
mestiere pericoloso.” Il
burocrate alzò un sopracciglio, scettico, chiedendosi cosa
del lavoro di consulente comportasse
un simile
pericolo. “…E che per tipi come noi
l’amore è un lusso, ma siamo arrivati ad un
punto in cui non ci è più stato possibile
nascondere i nostri sentimenti, ed
abbiamo dovuto affrontare la realtà: non esistiamo
l’uno senza l’altra. PER
QUESTO ABBIAMO DECISO DI SPOSARCI!”
Saeko quasi volle battergli le mani e
fare i complimenti- Ryo era davvero bravo in quanto ad improvvisazione.
Certo,
si disse con un sorrisetto, buona parte di quello che l’amico
stava dicendo
doveva essere effettivamente quello che lui provava per Kaori, ma la
donna
sapeva che, non avesse potuto fingere che fosse tutto una finta, non
avesse
avuto un muro di scuse dietro cui trincerarsi, lo sweeper non avrebbe
mai fatto
una simile ammissione.
L’ometto sospirò, e si
avvicinò a
Kaori, guardandola dal basso verso l’alto con quegli
occhietti da topo, che
dietro alle spesse lenti sembravano brillare rossi quasi inumani. La
donna fece
un mezzo passo all’indietro, e se non ci fosse stato Ryo a
sorreggerla, sarebbe
di certo caduta.
Quell’ometto le metteva i brividi.
“Vedo che ha anche l’anello di
fidanzamento, uhm… certo che il suo fidanzato si
è sprecato, paccottiglia… non
fatico a credere che la Polizia non paghi mai il suo onorario se alla
donna che
ama regala roba del genere…”
Kaori si guardò, stupita, la mano
sinistra, pronta a dare del cretino cieco all’ometto, quando
però vide che sì,
effettivamente aveva un anello all’anulare sinistro: giallo,
una pietra rossa,
era l’anello regalatole dalla madre alla sua nascita,
identico a quello di
Sayuri, che la donna aveva sperato di veder loro indossare alle
rispettive
nozze. Kaori lo aveva indossato quella mattina prima di andare in
aeroporto a
prendere la sorella ed il fidanzato Peter. Lo aveva messo, come sempre,
alla
mano destra, ma Ryo doveva aver fatto uno dei suoi giochetti di
prestigio
quando le aveva preso le mani, rendendo così la loro pagliacciata più credibile.
E comunque, come osava quel tipo
definire il suo anello paccottiglia? Aveva idea di quanti sacrifici
fosse
costato, quante rinunce? Mica erano tutti così fortunati da
starsene seduti
dietro a una scrivania tutto il giorno e ricevere tutti i mesi, ogni
mese, lo
stipendio, indipendentemente da quanto si fosse fatto!
“Vi aspetto domani mattina nel mio
ufficio, per chiarire le vostre posizioni rispetto a questa…
faccenda.” L’ometto
sibilò, chiaramente
sospettoso riguardo a quell’inatteso sviluppo che sembrava
non piacergli per
nulla. Aprì leggermente la valigetta, e come per magia
produsse due plichi di
documenti tenuti insieme da piccole graffette argentate. “Li
voglio vedere
compilati.”
L’ometto si voltò verso Saeko
prima, e
Kaori poi, facendo loro piccoli inchini, e poi, scusandosi,
alzò le tende; non
appena la porta si chiuse alle sue spalle, un rombo di tuono
risuonò nelle mura
del palazzo, che tremarono per l’inaudita potenza della
scossa tettonica,
facendo alzare dai palazzi circostanti stormi di uccelli grigi che
decisero che
migrare era meglio di rischiare la pelle in quella che temevano potesse
essere
una zona di guerra.
Ed invece, era stato solo un martello,
da cento tonnellate, che aveva fatto piantare saldamente Ryo nel muro
dell’appartamento.
“Si può sapere che diavolo
vai
blaterando, brutto idiota maniaco che non sei altro?” gli
ringhiò contro Kaori,
pronta a colpirlo nuovamente una volta che si fosse alzato, brandendo
il suo
fedele martello. Le mani sudate, stringeva il manico tra le mani con
tale forza
che le nocche erano divenute bianche, e le braccia le tremavano per lo
sforzo,
ma tuttavia il suo animo non avvertiva quella sensazione di spossatezza
che
seguiva ai suoi attacchi, sovrastata sopra ogni cosa da una rabbia
cieca.
Un mese. Una dichiarazione d’amore. E
niente corte, baci, coccole, sesso manco a morire… e lui
adesso aveva il
coraggio di uscirsene con quella ridicola storia per… per
cosa, uscire ancora
una volta dai guai? Come osava giocare con i suoi sentimenti in quel
modo così
freddo e razionale? Non capiva quanto questa cosa la facesse star male-
quanto
lei lo odiasse quasi, l’essere consapevole che lui la voleva
solo quando gli
tornava utile?
No, stavolta non ci stava, questa era
la classica goccia che faceva traboccare il vaso.
“Ascoltami bene, Ryo Saeba, io non ho
la benché minima intenzione di sposarti solo per farti
rimanere in Giappone!
Non ho intenzione di aggiungere un altro crimine alla lunga lista di
reati che
abbiamo già commesso!” Gli urlò contro,
il martello appoggiato alla fronte
dell’uomo, che aveva provato a rialzarsi. “Il
matrimonio è una cosa seria, e io
non insozzerò un’istituzione sacra per unirmi ad
uomo che di donne e di me non
ne capisce nulla!”
“Unirsi a te? E che si vuole unire a
te! Tu sei l’unica donna che non riesce ad eccitarmi, io non
la voglio una
virago mezza uomo come moglie!” Le sbraitò contro,
sputacchiando, senza
rendersi conto di cosa avesse detto e del tono usato, bisbetico,
petulante ed
infantile e cattivello, ormai troppo abituato a dire quelle parole,
usarle ad
oltranza nella speranza di ingannare tutti, sé stesso in
primis.
Mentre l’ennesima martellata lo
scaraventava al piano di sotto, Saeko sospirava, coprendosi il volto
per non
vedere quella scena patetica: quei due non sarebbero mai cambiati, ma
se Ryo
non voleva rischiare di essere deportato e finire nella lista nera
dell’immigrazione, avrebbero fatto meglio a darsi una bella
regolata ed
imparare a convivere e comportarsi non solo in modo civile, ma come due
perfetti innamorati.
Sconsolata, scavalcò la voragine con
una falcata sui suoi svettanti tacchi a spillo. Ryo e Kaori i
sentimenti li
avevano, il problema era che avevano bisogno di imparare a seguirli, a
viverli,
ed avevano solo ventiquattro ore di tempo per trasformarsi da coppia in
affari
in coppia in amore. Ne sarebbero stati capaci? Su questo non aveva
alcun
dubbio. Quello che la preoccupava era Ryo: per l’amore verso
il suo lavoro, la
sua città, i suoi amici- e soprattutto Kaori- sarebbe stato
in grado di
resistere agli allettanti corpi femminili che lo circondavano in
continuazione,
alle avances delle fanciulle che chiedevano, disperate, di essere
soccorse dal
grande City Hunter?
Diede una scrollata di spalle, con un
sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
Qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe
di certo stata uno spettacolo!
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Capitolo 2 *** Piccoli Problemi Burocratici ***
L’ufficio
dell’immigrazione era pieno, cosa che stupì Kaori
quando vi mise piede la
mattina dopo: non si era mai resa conto di quanti stranieri potessero
vivere
nella sola Tokyo, ma forse, dato che la città era il fulcro
economico del paese
ed il sempre
maggior numero di affari
che venivano condotti con l’estero per macchinari, veicoli e
tecnologia, non
c’era da stupirsi.
Sconsolata, appena vide la fila,
sospirò: ci avrebbero messo come minimo tutta la mattina,
lei avrebbe dovuto
rinviare quello che doveva fare al pomeriggio, e alla sera, quando si
sarebbe
dovuta vedere con Sayuri ed il fidanzato a cena, sarebbe stata stanca
morta.
Stava già meditando quale scusa passibile inventarsi per
posticipare di anche
sole ventiquattro ore quell’incontro, quando Ryo,
dall’alto del suo metro e
novanta e passa scrutò la folla, e prendendola per mano
passò bellamente davanti
a tutti, trascinandola davanti al banco dell’accettazione.
“Vieni, andiamo!” le disse,
sorridendo
sornione e facendole perdere un paio di battiti del cuore, mentre se la
tirava
dietro, tenendola per mano come fossero davvero una coppietta. Lei era
imbarazzatissima, Ryo invece distribuiva sorrisi a destra e manca,
seduttore
invece che maniaco per una volta, col risultato che nessuna donna aveva
il
coraggio di dirgli nulla, vittime del suo innato fascino da bel
tenebroso,
mentre gli uomini se ne stavano zitti e buoni intimoriti da quel
marcantonio
alto e muscoloso.
Kaori sospirò. Quando faceva
così non
sapeva se amarlo ancora di più o detestarlo, e dopo il tiro
mancino che le
aveva tirato lo capiva ancora più difficilmente. Non era
certa di come avesse
fatto a convincerla ad accompagnarlo lì…
preghiere di Ryo, preghiere di Saeko,
la richiesta di riflettere su cosa dirgli di no avrebbe implicato, su
cosa la
scomparsa di City Hunter avrebbe significato per la città,
di farlo per la
memoria del suo compianto fratello…
Alla fine, si era lasciata convincere,
se non altro per quell’incontro, poi si sarebbe visto,
avrebbero studiato
qualcosa, sperando di dover evitare di sposarsi per un motivo simile:
lo amava,
ormai erano anni che lo sapeva, nonostante lui invece si fosse rivelato
spesso
e volentieri quasi altalenante nel dimostrarle cosa veramente provasse.
Ma, se quel sogno di ragazza si
fosse
davvero avverato, lei avrebbe voluto che fosse per amore, e non certo
perché
lui aveva bisogno della residenza.
“Buon giorno, brav’uomo, avrei
bisogno
di presentare questa domanda per un visto temporaneo per
fidanzamento…” Ryo
fece un sorrisetto a trentadue denti, spaparanzandosi sul tavolo,
sperando di
poter irretire anche l’addetto, maschio, che, copia perfetta
di Shinsato, neanche
fosse stato il suo clone, lo guardò di traverso.
“Saeba, e… Makimura,
eh?” L’uomo
sogghignò, ghignando come il cattivo di un anime di serie C
mentre leggeva i
loro nomi sui documenti, e poi, plico in mano, si allontanò.
“Seguitemi, il
signor Shinsato vi sta aspettando.”
Kaori di nuovo si lasciò trascinare da
Ryo; aveva un brutto presentimento, quella storia non le piaceva, si
sentiva
che, presto o tardi, qualcosa di orribile sarebbe successo, come se
quell’avventura fosse stata in grado di stravolgere le loro
intere esistenze
molto più di qualsiasi cosa avessero affrontato in passato-
e forse era così.
Dopotutto, si era lasciata convincere da Ryo e da Saeko a piegarsi a
quella
messinscena “per il bene di tutti, Shinjuku
compreso”, e adesso rischiava
seriamente di dover smettere di essere Kaori Makimura e divenire Kaori Saeba, e Ryo non sembrava
minimante turbato dalla cosa, anzi: si stava comportando come suo
solito.
Possibile che non ci fosse nulla che lo potesse smuovere, turbare?
Vennero fatti entrare in un angusto
stanzino, riempito di fascicoli fino al soffitto, buio, dove
l’odore stantio di
chiuso regnava sovrano, quasi le finestre non fossero state aperte da
mesi, se
non anni; facendo attenzione a non far cadere a terra i mille mila
fascicoli
sparsi ovunque in equilibrio precario,
il duo si sedette davanti alla scrivania di Shinsato, che
senza dire una
parola faceva scorrere veloce gli occhi sui documenti che la sera prima
Kaori
aveva compilato - fosse mai che Ryo si occupasse di cose burocratiche-
prima di
chiudere il faldone sbattendoci sopra il pugno. I due sweeper si
irrigidirono e
sudarono freddo, leggermente agghiacciati da quella visione che non si
aspettavano, mentre, intorno a loro, le cartelle prendevano a cadere ed
i fogli
a volare, scossi da quel movimento simile-tellurico.
“Allora, sembrerebbe tutto a
posto,”
iniziò il burocrate, schiarendosi la voce e sistemandosi gli
occhialini.
“tuttavia devo porvi una domanda di rito: state forse
mettendo in atto una
frode per permettere al Signor Saeba di rimanere nel Paese?”
“MA…
MA È RIDICOLO!” Ryo sbottò, teatrale, alzandosi e
sbattendo i
piedi per terra come un bimbo di tre anni mentre sbraitava, lo
spostamento
d’aria che faceva volare altri fogli
e altre cartelline, che caddero in
grembo a Kaori. “Chi osa insinuare una cosa del
genere?”
“In realtà abbiamo avuto un
paio di
segnalazioni…” disse loro con un sorrisetto
compiaciuto sbattendo una
cartellina decisamente spessa sulla scrivania, in cui c’erano
ben più di un paio di
segnalazioni. Aveva sentito
le voci secondo cui Saeba era un dongiovanni scapestrato: tipi
così non si
sarebbero mai sistemati, mai avrebbero trovato una donna disposta a
tollerare
le loro effusioni maniacali verso altre donne, poco importava quanto
fossero
innamorati, e quelle segnalazioni erano prova che quei due stavano
tramando
qualcosa. “Una signorina Reika Nogami, un’altra da
una certa signorina Kasumi
Aso, e… uhm, in realtà sono tutte donne tranne
due…”
Ryo alzò gli occhi al cielo: a quanto
sembrava, Saeko aveva già messo in giro la voce del loro
fidanzamene, per
rendere forse la “messinscena” più
credibile. Ryo poteva pure immaginare da chi
venissero quelle segnalazioni… uno dei due uomini doveva
essere il professore,
che doveva essere davvero parecchio arrabbiato stavolta, se stava
perseverando
nel suo proposito di vendetta. E tutto per un cavolo di ciocca di
capelli!
“Quelle serpi sono tutte ex deluse che
io non mi sia mai voluto concedere loro, troppo preso dalla mia
cucciolotta,”
Ryo si limitò a dire indicando Kaori con un dito,
spaparanzato sulla sedia come
nulla fosse, incapace di cogliere la rabbia di Kaori, che non tollerava
come
lui stesse prendendo alla leggera quella delicata situazione.
“Uno dei due
uomini invece mi gioco la testa che è tale Mick Angel, che
ce l’ha con me
perché Kaori ha preferito il sottoscritto a lui. A
proposito, Mick Angel è
Californiano, fossi in lei farei qualche domandina in giro…
non vorrei che
fosse il suo di visto ad essere
scaduto… o peggio… che stesse usando un visto
turistico nonostante faccia
l’investigatore privato e il
reporter
percependo quindi un reddito nel nostro beneamato
Paese…”
Mentre Kaori gli pestava il piede con
il tacco, furibonda che lui stesse mettendo in piazza gli affari degli
amici
per salvarsi la pelle, Ryo si morse la lingua per non sbraitare: se
Shinsato
avesse visto che litigavano, avrebbe avuto sentore che qualcosa non
andava.
Il burocrate alzò gli occhi al cielo,
sentendo puzza di bruciato lontano un miglio, poi prese un profondo
respiro.
“Allora, adesso vi spiego come
procederemo: per prima cosa vi chiuderemo in due stanze separate e vi
metteremo
sotto torchio ponendovi domande a cui solo due persone in una relazione
effettiva saprebbero rispondere. Poi indagherò nella vostra
vita di tutti i
giorni, per assicurarmi che non siate due semplici
coinquilini… chiederò ai
vostri amici, vicini, conoscenti, parenti, tutti quanti per farmi
un’idea
chiara della situazione, e se dovessi avere il benché minimo
sospetto che state
cercando di truffarmi, giuro signor Saeba che la metterò io
stesso sul primo
aereo per la Colombia, mentre lei, signorina…”
sghignazzò, indicando Kaori.
“sarà accusata di un reato punibile con una multa
di ventisette milioni e mezzo
di Yen e cinque anni di prigione.”
Fissando il burocrate, Kaori ingoiò a
vuoto, mentre stringeva la mano di Ryo con una tale forza che quasi gli
spezzò
le dita.
Non aveva la benché minima intenzione
di marcire in galera per cinque anni. Era giovane, carina, aveva tutta
la vita
davanti, e poi sì, forse era leggermente brutale con Ryo, ma
sotto sotto aveva
un buon carattere, docile e timido, e in galera quelle come lei faceva
tutte
una brutta fine.
Le ossa scricchiolarono mentre lei
continuava, imperterrita, a stringere in quella morsa letale la mano
dello
sweeper, e gli lanciava un’occhiata a dir poco infuocata, che
fece tremare Ryo
di paura più di un’armata.
Forse quella farsa non era stata l’idea
brillante che gli era sembrata all’inizio.
“Allora… avete qualcosa da
dichiarare?
I documenti non sono stati ancora formalmente presentati, quindi tutto
quello
che direte rimarrà tra di noi e non uscirà mai da
questa stanza.” L’ometto, coi
brillanti occhi da topo, incrociò le mani sotto al mento,
gongolando. “ Se
ammetterete qui ed ora che avevate intenzione di commettere una frode
non
sarete perseguitati.”
“NON
ABBIAMO NULLA DA DIRE!” Proruppe Kaori, alzandosi in piedi e stringendo
i denti; leonessa che difendeva il suo branco, Ryo non sapeva se essere
terrorizzato da quella disarmante forza, lusingato oppure semplicemente
eccitato dal fuoco che le scorreva nelle vene. “Chieda pure a
tutte le nostre
ex clienti, ai nostri amici, le diranno tutti che sono anni che Ryo ed
io ci
giriamo intorno all’idea di una relazione. Gli uomini le
diranno che smettevano
di tentare di sedurmi perché capivano che non
c’era competizione, le donne si
arrendevano perché comprendevano che Ryo era troppo dedito a
me. Lo stesso
signor Angel le dirà che è da quando ho sedici
anni che vado dietro a
q-questo…” Kaori indicò Ryo, tremando
leggermente, alla ricerca del termine
adatto, mentre il socio la guardava con un sopracciglio alzato, curioso
di
sentire con cosa se ne sarebbe uscita.
Un insulto?
Un delizioso nomignolo come il suo cucciolotta
per lei?
“…quest’uomo!”
disse lei infine, dopo
un attimo di esitazione, le guance imporporate. Ryo sbuffò
leggermente, deluso:
si era aspettato qualcosa di un po’ più personale,
francamente, da lei, ma
probabilmente quella era stata una scelta quasi auto-difensiva, dettata
dal
desiderio di non esporsi troppo proprio con lui. “E per
quello che riguarda le
nostre famiglie… beh, Ryo praticamente ha solo me, mentre io
ho una sorella
biologica che ho ritrovato recentemente, Sayuri
Tachiki…”
Mentre la presa di Kaori tornava a
farsi forte sulla sua mano, Ryo si morse la guancia, pensieroso, alla
menzione
di Sayuri. Aveva la netta impressione che ci fosse qualcosa di
importante da
ricordare, che Kaori gli avesse detto qualcosa della sorella... ma
cosa?
Avevano parlato alcuni giorni prima, mentre lei stava cucinando e
canticchiando, ma lui non l’aveva ascoltata, preso
com’era a fissare quel
delizioso sederino strizzato in una minigonna da urlo, fingendo che il
palesato
interesse del suo amichetto nelle parti basse fosse dovuto alle sue
letture
culturali… e poi quella sera, un paio di giorni prima, a
cena… lei gli aveva
detto che doveva ricordarsi… cosa? Ancora non lo ricordava:
non l’aveva
ascoltata perché aveva approfittato della distrazione di
Kaori per fissarle
quell’invitante scollatura, che lasciava intravedere quella
deliziosa valle che
la giovane aveva tra quei bei seni sodi. Lui si era messo a chiedersi
se avesse
il reggiseno o meno quella sera, e tutto il resto era diventato rumore
bianco…
“Ed era lei che ieri ero andata a
prendere all’aeroporto, non so se si ricorda che glielo avevo
accennato. Lei ed
il suo fidanzato, in realtà. Sa, mia sorella è
redattore capo del Weekly News,
la sezione internazionale…” Kaori
continuò, un po’ petulante, sottolineando
molto bene la professione della sorella, quasi quel lavoro (ed un
premio
Pulitzer) potesse valere degli immaginari punti nel tabellone tenuto da
quel
burocrate da strapazzo. “Ed è tornata a Tokyo per
qualche giorno perché ci
teneva davvero tanto a sposarsi con
il rito tradizionale. E dato che comunque sono solo un paio di mesi che
Ryo ed
io abbiamo formalizzato la nostra relazione, avevo pensato che fosse
meglio
attendere che lei, la sorella maggiore, si fosse sposata, sia mai che
creda che
le voglia rubare le luci della ribalta. Ma tutto sommato credo che lei
abbia
ragione e parlarne anche a lei sia la cosa migliore. E comunque Sayuri
ha
sempre saputo che tra me e Ryo c’era del tenero.? Me lo aveva
pure detto una
volta all’aeroporto… che non aveva cuore di
chiedermi di seguirla perché sapeva
che lo amavo troppo e che sarebbe stato terribilmente
ingiusto” Te lo ricordi,
vero tesoruccio caro?”
Le ultime due parole suonarono,
all’orecchio di Ryo, come un sinistro sibilo continuo, mentre
Shinsato strinse
quegli occhietti malefici, certo che quei due non gliela stesero
raccontando
giusta; nella sua testa si stava già formando un piano ben
preciso, aveva in
mente tutte le domande che avrebbe fatto, si sarebbe studiato la cosa
per bene…
e poi li avrebbe fatti capitolare.
Saeba sarebbe finito espatriato
all’estero, Makimura dietro le sbarre e lui avrebbe
finalmente avuto la tanto
agognata promozione, e soprattutto, dopo quei due disastrosi casi che
gli erano
capitati – l’editor Cinese di una casa editrice
Giapponese che si era messa con
il suo segretario, e quel pagliaccio Irlandese che se la faceva con la
sua
capa- tutti all’ufficio avrebbero finalmente smesso di
ridergli dietro, e
capito di che pasta era davvero fatto Abe Shinsato!
“Bene, allora ci vediamo
lunedì
prossimo alle undici, va bene?” sogghignò, mentre
porgeva alla coppia un
minuscolo post-it con una scritta appena visibile, foglietto che Ryo
afferrò
seccatamente ficcandoselo in tasca della giacca insieme al quintale di
robaccia
che teneva lì dentro- accendino, mentine, sigarette,
ricevute varie, appunti
sparsi, volantini – prima di alzare le tende.
La coppia uscì in strada, dove lo
sweeper, leggermente incurvito, le mani nelle tasche dei jeans neri,
prese a
calci una lattina vuota di Coca Cola, lanciandola dentro
un cestino dei rifiuti con la sua solita perfetta mira.
“Porca miseria, non mi aspettavo che ci
mettessero sotto torchio! E adesso cosa facciamo?” Lui se ne
uscì, seccato;
tuttavia il suo tono sembrava sottolineare come quella fosse una minima
seccatura, e non un grave e reale problema.
Di questo suo pressapochismo, Kaori ne
aveva, francamente, abbastanza.
“Che facciamo? Te lo dico io cosa
facciamo, emerito imbecille!” gli sibilò contro,
disperatamente cercando di non
attirare troppo l’attenzione dei passanti, e temendo che quel topo li stesse spiando dalla
finestra per studiarsi ogni loro
possibile mossa. “Per prima cosa, Sayuri e Peter lasceranno
il loro albergo e
verranno a stare da noi nella stanza degli ospiti, e io vengo a dormire
nella
tua stanza e tu te ne dormirai per
terra nel futon. Noi due ci comporteremo come una perfetta coppia di
sdolcinati
innamorati. Tu mi tratterai bene, non insulterai né me
né la mia cucina, ti
comporterai come un normale essere umano e non un porco pervertito
perennemente
con le fregole, non salterai addosso a nessuna donna, non tenterai di
pretendere pagamenti in natura da Saeko né da
nessun’altro elemento di sesso
femminile, e soprattutto terrai le tue luride manacce lontano da mia
sorella!”
“Andiamo, Kaori,
dai….” Pugni stretti
lungo ai fianchi, Kaori prese a camminare verso Ryo, che con ogni passo
della
donna indietreggiava, immaginandosi le peggio punizioni, disperatamente
cercando di metterla sul ridere: ma Kaori non sembrava condividere il
suo senso
dell’umorismo.. “Perché non ti calmi un
po’? Mi sembri leggermente nervosa, eh,
eh, eh..”
“Ryo…” Kaori
alzò un sopracciglio, il
suo tono serio, ma distaccato e freddo, tipico di chi si stava
limitando ad
enumerare dei banali fatti. “Non so se hai ascoltato bene
cosa quel tipetto ci
ha detto, ma io rischio una multa milionaria e di finire in galera.
Ora, un
conto è finire in galera perché combiniamo casini
per aiutare chi ha bisogno,
ma farlo perché tu hai
litigato per
chissà che motivo col professore, quello no,
quindi…”
Guarda
che tu non lo sai ma io difendevo il tuo onore, cocca, Lo sweeper
bofonchiò, sbuffando- cosa che fece venire un mancamento
alla donna.
Non la stava prendendo sul serio. Lui
rischiava l’espulsione, avrebbero potuto doversi sposare per forza, lei rischiava la galera e una
multa astronomica… e lui
continuava a fare il cretino. Sconsolata, Kaori scosse il capo,
piagnucolando,
in preda alla depressione più cupa, chiedendosi, non per la
prima volta da
quando lo aveva incontrato sedicenne, come diavolo potesse Ryo essere così in gamba e così
cretino allo stesso tempo. E soprattutto, cosa avesse fatto
lei di male nella vita per finire innamorata di un caso umano del
genere.
“Quindi?” Ryo sudò
freddo, la schiena
contro un lampione, Kaori a braccia consorte davanti a lui che lo
guardava con
una cruda determinazione negli occhioni color nocciola.
“Quindi,
visto che proprio dobbiamo andare avanti con questa farsa, esigo almeno
una
dichiarazione ed una proposta di matrimonio. Fatte per bene,
perché non ho
intenzioni di permetterti di dire in giro che me lo hai chiesto solo
per
portarmi a letto o mentre mi palpavi il sedere, chiaro?”
Ryo si grattò il capo, sbattendo le
palpebre. Guardò di nuovo Kaori, ma nulla: la donna
continuava ad essere
impassibile.
Era seria. Voleva una dichiarazione
d’amore ed una proposta di matrimonio, in piena regola. Fatte
per bene. Lì, seduta
stante.
“Ah.” Grattandosi il mento,
Ryo prese a
guardarsi intorno e pensare, riflettere. Era chiaro che Kaori
desiderasse
umiliarlo e farlo strisciare ai suoi piedi, e tutto sommato aveva anche
ragione- stava, come al solito, rischiando grosso per lui, dopotutto. E
forse
avrebbe potuto portare a casa la pelle senza umiliarsi troppo. Quindi,
continuo
a riflettere, cosa volevano sentirsi dire le donne quando un uomo si
dichiarava- e soprattutto, cosa avrebbe potuto desiderare Kaori?
Avrebbe forse
voluto una ripetizione di ciò che, meno di due mesi prima,
le aveva detto nella
radura, o forse qualcosa di più diretto? Avrebbe preferito
della sana, candida
onestà o, visto che quella era una farsa, avrebbe dovuto
mentire, e dire le
solite cose che gli uomini dicevano in quelle occasioni?
Alzò lo sguardo verso di lei, ed i loro
occhi si incontrarono. Kaori si morse le labbra ed arrossì
lieve, e Ryo avvertì
una sensazione al petto a cui non riusciva a dare un nome, ma che lo
faceva
sussultare in un modo a lui sconosciuto. Sì sentì
timido ed impacciato come un
ragazzino, ma guardando la sua socia, la sua partner- l’amore
della sua vita-
capì che non poteva, né voleva fingere.
Forse sarebbe stato solo un finto
matrimonio all’inizio, grazie ai sentimenti che Ryo sapeva
entrambi nutrire
l’uno per l’altra, improvvisamente fu colto dal
desiderio che col tempo la loro
unione potesse divenire reale.
Molto probabilmente, quella sarebbe
stata l’unica volta in cui avrebbe potuto realizzare il suo
segreto sogno, quel
desiderio inatteso, di chiedere a Kaori di sposarlo.
Forse, quella sarebbe stata l’unica
volta in cui lei gli avrebbe detto sì
senza
alcuna esitazione.
Doveva essere onesto: lo doveva ad
entrambi. Poco importava se lei non gli avesse creduto: lui, in cuor
suo,
avrebbe saputo la verità.
Prese la mano sinistra di Kaori e le
tolse l’anello, facendole l’occhiolino con un
sorrisetto furbo, dopodiché,
sotto gli occhi stupiti ed interessati dei passanti, si mise in
ginocchio.
“Kaori….”
Iniziò, leggermente
imbarazzato, schiarendosi la voce, tenendo la sinistra della donna
nella sua.
“So che ti ho sempre detto che con questo lavoro proteggere
un’altra
persona…o…o… o magari anche
un…un…un bambino mi sarebbe stato impossibile,
ma….” Ingoiò, mentre si passava nervoso
una mano tra i capelli, incapace di
mantenere lo sguardo di Kaori, troppo imbarazzato per cosa le stava
finalmente
ammettendo: alla fine, quella battuta che aveva fatto un giorno a
Saeko,
sull’essere un ragazzo timido, si era rivelata veritiera.
“Vedere Miki e Umi che si sono sposati mi ha fatto riflettere, e,
ecco, vedi, da
quando tuo fratello ti ha affidato a me, io è da allora che
mi chiedo se fosse
meglio per te rimanere al mio fianco o convincerti a vivere una vita
normale, e
ho vissuto nell’indecisione fino ad ora, facendoti soffrire.
Ma adesso ho
capito che… che voglio vivere per rimanerti accanto e
proteggerti perché…”
Ingoiò a vuoto, quella parola che di
uscire dalla sua bocca non ne voleva proprio sapere, ma poi fece
l’errore di
guardare Kaori, e rimase incantato dall’innocenza e dalla
dolcezza che vide nel
suo sguardo, carico di emozione.
Ritrovò la voce, le parole che gli
venivano dritte dal cuore.
“Io ti amo, Kaori, e sarei
onorato….sarei l’uomo più felice del
mondo se tu volessi passare il resto della
tua vita accanto a me!” Con espressione leggermente
imbronciata, lo sguardo di
un bambino che cercava di trasmettere ai genitori lo smanioso desiderio
di
possedere quel determinato oggetto, senza cui la sua vita sarebbe stata
rovinata, Ryo guardò la giovane donna negli occhi, mentre
faceva ritmicamente
scorrere sulla pelle delicata il pollice ruvido. “Kaori, vuoi
sposarmi?”
Il cuore di Ryo perse un battito: Kaori
aveva le lacrime agli occhi, ed in quell’istante comprese
che, se lui era stato
onesto in quella confessione, dicendo parole che gli provenivano dal
profondo
dell’animo, lei in quell’istante lo era nel
rispondergli.
Lo voleva. Tanto quanto lui voleva lei.
Perché, allora, non potevano ammetterlo l’un con
l’altra?
“Io….” La donna
arrossì, ed abbassò,
timida, gli occhi. “Sì.”
Col sorriso sulle labbra e negli occhi-
un vero sorriso svolta, non sornione, non fascinoso, senza ombra di
manipolazione- Ryo infilò l’anellino
all’anulare sinistro della partner, e
alzandosi in piedi la trascinò nel proprio abbraccio, e la
strinse. Ragazzine
applaudivano, donne sospiravano, qualcuno faceva foto, in tanti
applaudivano
quel romantico gesto e qualcuno lo spronava a comportarsi da uomo e
baciarla.
Ryo però non dette ascolto a questi
ultimi; guardò Kaori, che imbarazzata, ma col sorriso, si
stringeva a lui, e
come aveva fatto tanti anni prima, quando lei gli aveva dato un
compleanno,
felice e spensierato, leggero, le lasciò un delicato bacio
sulla fronte.
Nulla di spinto, nulla di sensuale: era
un contatto casto, veloce, eppure… eppure
emozionò Kaori proprio come quel
giorno anni prima, facendola stringere ancora di più al suo
uomo, mentre,
timida e impacciata, nascondeva il viso nell’incavo del collo
di Ryo.
Intenerito, lui lasciò un altro bacio
sulla delicata pelle della fanciulla, facendosi una solenne promessa:
forse
quel matrimonio sarebbe nato come una menzogna, con un secondo fine, ma
lui non
le avrebbe mai fatto mancare nulla. Lui l’avrebbe resa
felice, trasformando
quel matrimonio che lei credeva d’interesse in un vero
matrimonio d’amore.
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Capitolo 3 *** La prima notte ***
Erano tornati a casa camminando a braccetto, su insistenza di lui che aveva ribadito come quell’ometto perverso e malevolo potesse avere spie ovunque; la cosa aveva sconvolto e non poco Kaori, che, le gote arrossate, aveva alternativamente guardato, rigida, davanti a sé oppure i suoi piedi, mentre invece Ryo si era goduto nascostamente ogni secondo di quel contatto, e aveva più volte lasciato cadere lo sguardo allupato nella scollatura della semplice camicetta bianca che Kaori indossava quel giorno. Appena rientrati, lei aveva telefonato alla sorella in albergo, dicendole che avrebbe voluto che lei e Peter andassero da lei e Ryo, che dovevano parlare, e che anzi, prendessero armi e bagagli che avrebbero passato i giorni seguenti insieme.
Sayuri non aveva protestato, ma aveva guardato la cornetta del telefono quasi fosse stata una creatura indemoniata, meravigliandosi di quell’improvvisa richiesta di Kaori- anzi, imposizione, a dirla tutta- ma si era limitata a sospirare, lasciandosi cadere sul letto abbracciata al suo uomo. Da quello che ricordava la camera degli ospiti era quella di Kaori; quindi, dove avrebbe dormito Peter? L’immagine del fidanzato spaparanzato sul letto di Ryo, dei due uomini in mutande avvinghiati nelle coperte di prima mattina, abbracciati al cuscini, la fece scoppiare a ridere, e Peter si limitò a guardarla come fosse una mezza pazza, chiedendosi per la prima volta se facesse bene a sposarla; poi però, contagiato da quel suono argentino, era scoppiato a ridere anche lui, e aveva finito col baciarla e fare l’amore, e a nessuno dei due era interessato più il perché dell’improvvisa scelta di Kaori.
La rossa, da parte sua, si era messa subito a lavorare di buona lena; aveva imposto a Ryo la “sanificazione” della camera da letto di lui, intendendo con questo termine la rimozione di poster erotici, di riviste e film pornografici e di tutto ciò che non era consono ad un uomo felicemente fidanzato; poi aveva spostato un po’ della sua roba, mettendo l’eccedenza nella stanza davanti a quella di lui, che nel corso degli anni era rimasta perennemente vuota.
Le cose più importanti, però, Kaori le aveva prese, e portate con sé in quella che, Dio solo sapeva per quanto tempo, sarebbe stata la sua –loro- camera da letto, e tra questi effetti personali c’erano due fotografie, una di lei col fratello e una di lei e Ryo. Si era guardata intorno, una volta entrata nella ripulita stanza del compagno, cercando un posto adatto dove metterle, stringendole al petto come il tesoro a lei più caro, e leggendo la sua esitazione, forse il suo imbarazzo, lui le aveva strappate dalle mani della giovane, alzando gli occhi al cielo, e sistemate nel luogo più adatto- la piccola libreria che faceva da testiera al suo letto, accanto alla foto di Ryo e di Maki.
Kaori gli sorrise, emozionata.
La loro famiglia, unita. I loro passati, ed il loro presente. Era, in un certo senso, poetico, e mentre la rossa metteva a posto i suoi capi di abbigliamento, mescolando la sua esistenza a quella di Ryo in un modo ancora più intimo di quanto già non fossero legati, l’uomo si chiese per l’ennesima volta cosa diavolo fosse passato per la testa del migliore amico quando gli aveva affidato Kaori.
Voleva che si prendesse cura di lei? Desiderava che la proteggesse… o che la amasse? Possibile che in quei pochi giorni in cui avevano condiviso tutti e tre la loro esistenza, Maki avesse visto, nei loro battibecchi, nelle sue punzecchiature verso Kaori, qualcosa di profondo, che stava timidamente sbocciando? Che, con le sue battute acide sulla cucina della giovane, fosse sembrato come quei bambini che tiravano le trecce alle compagne di cui erano infatuati?
Chissà. Forse.
Non aveva mai avuto risposta a quell’interrogativo, e dubitava che ne avrebbe mai avuta una- anche se il fatto che l’amico non lo avesse ancora fulminato nonostante i tanti pensieri impuri che faceva sulla sua adorata sorellina era un semplice miracolo.
“Ah, senti, prima che me ne dimentichi…” le disse lui, mentre guardava con la coda dell’occhio Kaori che infilava nell’armadio, accanto ad una sua camicia, un grazioso vestitino, un gesto così semplice, ma che eppure lo emozionò come se lei gli avesse fatto un dono meraviglioso e grande, forse perché, dentro di lui, aveva sempre creduto che nulla del genere sarebbe mai potuto realmente accadere, e di non meritarla. O peggio, che un giorno Kaori si sarebbe stancata del loro eterno gioco dell’oca e avrebbe fatto le valige.
“Sì?”
Ryo la guardò, dimenticando per un attimo cosa le stesse per dire, poi però lei continuò a fisarlo con insistenza, e lui, grattandosi il capo, rammentò.
“Ah, sì, mi sono procurato un paio di questionari standard dell’immigrazione,” un po’ imbarazzato, le porse i plichi azzurrini. “E Saeko mi ha dato una copia del mio file che hanno creato lei ed il professore. Ho pensato che potremmo darci un’occhiata magari stanotte, mentre tua sorella ed il fidanzatino non sono tra i piedi…”
Alzando un sopracciglio, Kaori fece velocemente scorrere le pagine del questionario. “Allora, vediamo, la buona notizia è che dubito che ci sia qualcosa che non so di te, perciò dovrebbe essere abbastanza semplice, devo solo studiarmi le cavolate che Saeko si è inventata, tipo tutti quei tuoi fantomatici viaggi all’estero come contractor... Nessuna allergia, niente tatuaggi, uhm, cicatrici, chissà se hanno abbastanza tempo da sentire l’elenco completo, relazioni passate, questo lo so, quest’altro lo so, questo pure…” chiuse il volumetto, e lo porse nuovamente a Ryo. “Sinceramente, fossi in te io mi preoccuperei più per te. Hai solo quattro giorni per imparare tutto di me.”
“Io so già tutto di te! Che credi, che non porga attenzione ad una persona con cui vivo da otto anni!?” le sibilò contro mentre le prendeva dalle mani il fascicolo con il questionario standard e leggeva le domande, guardando di tanto in tanto Kaori trionfante. “Le tue misure sono 86-58-88, sei alta uno e settantadue, non hai allergie, hai le mestruazioni ogni ventotto giorni esatti, la tua biancheria è suddivisa per un buon cinquanta-cinquanta in lingerie sexy e mutandine di cotone, hai la cicatrice dell’operazione all’appendicite come la mia, tatuaggi, sì, ne devi avere almeno uno… uhm… fatto nell’ultimo anno se non mi sbaglio perché tutte le volte che ti ho vista in costume da bagno non l’ho notato… un fiore, credo, conoscendoti… sulla schiena?”
“Co…. Come sai del tatuaggio?” gli domandò, balbettante, rossa come un pomodoro maturo pronto da cogliere; nonostante lei non gli avesse mai rivelato la presenza di quel piccolo fiore di loto sulla schiena, all’altezza della spalla sinistra, Ryo era riuscito da solo a giungere alle sue conclusione, e solo perché la conosceva bene. Lui si limitò a guardarla come se la sue parole fossero dei semplici dati di fatto, deduzioni logiche a cui qualunque persona sarebbe giunta.
“Ah, beh, nell’armadietto del bagno ho visto un tubetto di crema da mette dopo aver fatto un tatuaggio, usato… mio non era di certo, quindi, se due più due fa sempre quattro, deve essere tuo per forza….” Scrollò le spalle con nonchalance, mostrando uno dei suoi soliti sorrisi sornioni misti ad un po’ di arroganza, che alle donne tanto piacevano- a tutte, tranne forse che a Kaori; Ryo stava infatti per aggiungere qualcosa, ma nulla uscì però dalla sua bocca, perché l’uomo, avvertendo l’ombra in un martello avvicinarsi, si zittì, ma non servì a nulla: Kaori lo aveva spiaccicato nell’armadio che era ancora aperto.
“Brutto porco, lo sapevo che mi spii! Ah, e così io non sarei abbastanza attraente per te, eh?” Il campanello suonò, e lei, alzando gli occhi al cielo, denti stretti, si ripulì le mani, battendole leggermente tra di loro. “Arrivo subito!” Cinguettò, mentre saltellò verso l’ingresso al piano inferiore, emozionata, sapendo già chi ci fosse, lasciando Ryo piantato nel mobile.
E infatti, appena aprì la porta, Sayuri le si lanciò addosso, abbracciandola con foga, gli occhi, uguali a quelli di Kaori, colmi di lacrime. Ryo, ripresosi dal colpo, aveva sceso le scale, e guardava con un’espressione dolce e felice- quasi contenta – la scena davanti a lui, le due sorelle che dopo tanto tempo si ritrovavano. Non riusciva a comprendere come avesse potuto avere dubbi sul fatto che Sayuri fosse davvero imparentata con Kaori: non era solo il loro bel caratterino, ma anche le loro aure erano simili, come pure i lineamenti, che sembravano confondersi.
“Lei deve essere Peter Day, vero?” Quieto, si avvicinò, e schiarendosi la gola offrì la mano all’uomo. “Sono Ryo Saeba, il…”
“Oh, il partner di Kaori!” L’uomo, esuberante e pieno di vita, prese la mano di Ryo, e la strinse con entrambe le sue, felice come una pasqua. Sebbene non fosse un belloccio, doveva essere un bel tipo, e soprattutto, aveva dalla sua un carattere che sembrava amichevole e gioviale. E, cosa non da poco, faceva sorridere Sayuri. “Peter va benissimo, e possiamo darci del tu? Ho sentito così tanto parlare di te che mi sembra di conoscerti da sempre, e poi a occhio e croce avrai una quarantina d’anni anche tu!”
“Ah, se lo dici tu…” Ryo lanciò un’occhiataccia a Kaori, che lo guardò colpevole. Dopo un attimo però la rossa tornò a prestare attenzione alla sorella, decidendo che il fidanzamento le aveva fatto bene; Sayuri era divenuta molto più espansiva ed aperta, solare. Sembrava ringiovanita, ed emanava una nuova luce.
“Allora, metto i bagagli nella stanza in cui ho dormito la volta scorsa?” Sayuri saltellò, felice. “Oh, che bello, un pigiama party con mia sorella…. ti sembrerà stupido, ma sono così emozionata! Ma… Peter dove dormirà? Avevo scordato di chiedertelo!”
“Beh, ecco, vedi…” Kaori iniziò, leggermente imbarazzata. Stava cercando di trovare le parole giuste, quando Ryo la afferrò per la spalla e la trascinò contro di sé, la schiena contro il suo solido petto. Attraverso strati di vestiti, Ryo poté avvertire quanto la giovane stesse avvampando per quel semplice contatto.
“Tu e Peter dormirete nella stanza degli ospiti, Sayuri,” le spiegò, stringendo sempre con maggior determinazione e forza Kaori a sé. “Mentre invece Kaori dormirà con me. Perché… perché… perché noi ci amiamo e stiamo per sposarci!”
“Co… cosa?” Sayuri guardò la sorella; incredula, si sentiva leggermente ferita perché Kaori non aveva condiviso quelle confidenze, i palpitanti segreti del suo cuore innamorato; poi però si fermò a riflettere un attimo, e rammentò come nelle ultime settimane le loro chiamate fossero state tutte incentrate su sé stessa e le prossime nozze, su Peter… raramente Kaori aveva interferito, o l’aveva fermata. Forse non aveva potuto dirglielo, ma, più facilmente, non aveva voluto farlo, desiderando che Sayuri fosse la protagonista assoluta in quei tiepidi giorni di fine estate.
E comunque, lei lo aveva sempre saputo: Kaori e Ryo si amavano, di un amore profondo e puro, nato lentamente, e cresciuto ed accudito dalle delicate mani della fanciulla. Che quello fosse il degno epilogo di tanti anni di patimenti era un sogno che la giornalista sperava si sarebbe avverato.
Guardò la mano sinistra di Kaori, e la prese nella sua: entrambe, come anello di fidanzamento, indossavano il dono della loro madre.
“Sono felice per voi, era ora che Ryo mettesse la testa a posto e facesse di te una donna onesta! Sei stata fin troppo paziente con lui, sai!” Sayuri le sorrise, e la lasciò, andando ad abbracciare Ryo, che arrossì, faccia allupata per un attimo, mentre il seno sodo premeva contro il suo torace d’acciaio. “Benvenuto in famiglia, cognato caro!”
“Ma, ma, cognato, addirittura, Sayuri, adesso non esageriamo, siamo solo fidanzati, eh, eh, eh…”
“E con questo cosa vorresti dire, che dato che siamo solo fidanzati hai ancora tempo di cambiare idea e di mollarmi?” Kaori gli sibilò contro, mano ai fianchi, incombendo su di lui con la furia di una tempesta perfetta, e lo sguardo di Sayuri non era meno letale; l’unico che pareva divertirsi era Peter, che trovava tutta quella situazione a dir poco esilarante. Aveva pensato che Sayuri avesse scherzato quando gli aveva parlato del complicato rapporto tra Kaori e Ryo, e di quanto lui fosse strambo, ma adesso capiva che era stata onesta- anzi, poteva pure essere che avesse sminuito un po’ le cose per non farlo correre via a gambe levate!
“Ma, ma no cara, cosa dici, lo sai che io ora amo solo te, che finalmente ho messo la testa a posto, e anche prima, faceva tanto lo scemo ma andavo sempre in bianco perché io volevo solo te, eh, eh, eh…”
“Sarà meglio per te!” sbottò Kaori, stizzita, prendendo una della valigie della sorella. “Venite, vi accompagno in camera! Il letto è un po’ stretto ma se volete potete benissimo aprire il divano!”
“Anche stretti staremo benissimo, grazie mille Kaori!” Peter rispose col sorriso sulle labbra, posando una delicata mano sulla spalla di Sayuri, che lo guardò con gli occhi colmi d’amore. A Kaori il cuore rallentò i battiti, mentre avvertì una stretta di gelosia e senso di colpa, non solo per la menzogna, me perché si chiese se stesse sprecando la sua vita con Ryo. Dopo la radura non era accaduto nulla, ed adesso, questo, un falso fidanzamento che sarebbe facilmente potuto trasformarsi in un falso matrimonio… cosa avrebbe significato per loro?
Sospirò, lanciando un’occhiata micidiale a Ryo. “Ryo, tesoruccio, potresti prendere le valigie di Sayuri e Peter e portarle nella loro stanza?” gli chiese con una voce leggermente velenosa. “Su, dai, mica vorrai far faticare i nostri ospiti… a pochi giorni dal loro matrimonio, poi!”
“Ma….” Iniziò lui, ma Kaori, fiera e severa, alzò lo sguardo, decisa, e con finta nonchalance prese a picchiettare con un dito sull’anello di fidanzamento: che si ricordasse del favore che lei gli stava facendo, e che quindi, per cortesia, si comportasse di conseguenza. L’uomo sbuffò, si passò una mano nei capelli ma alla fine, seppure recalcitrante, acconsentì alla richiesta, e carico come un mulo si diresse verso la stanzina che fino a poche ore prima era stata di Kaori. Appena posò le borse a terra e la vide vuota gli venne un mezzo collasso, perché solo in quel momento capì pienamente cosa sarebbe successo da lì a poche ore.
Lui e Kaori, nella stessa stanza da letto. Da soli, insieme ad un letto matrimoniale.
Quella camera ed il poligono erano stati a lungo i suoi unici rifugi, adesso cosa avrebbe fatto? Come avrebbe potuto sfuggirle? Non si era reso conto che, nel tentativo di rendere la loro falsa relazione più plausibile e veritiera agli occhi dei loro amici, conoscenti e famigliari, avrebbe dovuto smettere di sfuggire alla bella rossa del suo cuore.
Condividere la camera con lei… addio momenti di solitario sollazzamento, di proibite fantasticherie, avrebbe perfino smesso di dormire, preoccupato com’era di tradirsi nel sonno, di ammettere troppo apertamente cose per cui non era ancora pienamente pronto… o peggio! E se da addormentato le fosse saltato addosso nel tentativo di… di farla sua? Kaori era una tenera vergine, meritava di meglio dei perversi approcci di un maniaco addormentato come prima volta!
Solo con Kaori. Non poteva farlo. Non ancora. Più a lungo avesse rimandato quell’istante, meglio sarebbe stato.
Lasciando cadere le borse a terra, si girò verso la coppia, afferrando saldamente quelle di Peter nelle sue mani. “Peter, vecchio mio, ho un’idea… perché stasera non usciamo tutti insieme? Anzi, sai che ti dico? Vi porto al Cat’s Eye, il locale dei nostri amici, così potrete conoscere tutta la nostra cricca e potremo presentare Sayuri ufficialmente come sorella di Kaori!” Si mise a ridacchiare, di una risata sciocca e falsa. “Su, su, andiamo, mica vorrete far cucinare Kaori dopo che ha lavorato tutto il giorno a mettere a posto casa, vero? Su, andiamo, offro io!”
Varcata la soglia del Cat’s Eye, dove amici e colleghi li attendevano dopo la telefonata improvvisata dell’ultimo minuto, le dita di Ryo presero a pizzicare, le gambe sembravano volersi muovere di vita propria. Tutto lo attirava verso la bella Miki, sposina novella, il suo primo istinto era quello di gettarsi tra le sue dolci grazie, ma l’uomo sapeva che ormai questo non gli era più permesso.
Agli occhi del mondo, lui sarebbe dovuto essere il fidanzato di Kaori, il dongiovanni che aveva lasciato le nottate bollenti alle spalle abbracciando con gioia la monogamia che una relazione con la focosa rossa gli offriva.
Il desiderio di essere sé stesso, dimenticare i problemi era forte, ma avrebbe resistito.
Quella era la sua casa, quella era la sua famiglia: avrebbe fatto di tutto per non perdere niente e nessuno. Anche reprimere i suoi bassi istinti primordiali.
“Dì un po’, com’è che lasci in pace mia moglie?” Falcon gli domando, sbattendo un pugno sul bancone, minaccioso. “Stai forse tramando qualcosa, Saeba?”
Ryo mise le mani avanti, cercando di giustificarsi, mentre, seduta al suo solito sgabello, con Sayuri al suo fianco, Kaori alzava gli occhi al cielo e presentava la famiglia a Miki; la rossa stava gesticolando, spiegando qualcosa alla mercenaria, quando lo sguardo della sposina novella si congelò all’istante, non appena vide cosa Kaori stesse indossando alla mano sinistra: era sì il suo anello, ma era alla mano sbagliata, quella dove non lo metteva mai…. Miki guardò Ryo, poi Kaori, che arrossì, ed infine Sayuri, che le fece un’espressione inequivocabile, come a dire che finalmente i due piccioncini erano giunti al punto: non erano solo voci o pettegolezzi come aveva creduto, era successo davvero, finalmente.
Saeko non aveva mentito quando aveva detto che Ryo stesso le aveva raccontato di averle fatto la proposta!
“Oh mio Dio, ma è bellissimo!” esclamò, battendo le mani e saltellando sul posto. “Oh mio Dio, tesoro, hai visto? Ryo ha finalmente chiesto a Kaori di sposarlo! Oh, sono così felice per voi! E io che credevo che Saeko stesse mentendo!”
Piattini e tazzine caddero a terra, lacrime furono versate, mentre i presenti assorbivano la notizia e capivano che non era uno scherzo o un piano elaborato per chissà che motivo, ma era tutto vero: Ryo e Kaori si stavano davvero per sposare.
“No, Kaori, perché hai preferito lui a me! Sei ancora in tempo!” Appena accorso nel locale, l’ex sweeper americano si attaccò alla gamba della rossa, piagnucolando, stringendola forte, come se quasi non avesse più voluto lasciarla andare. Kaori si imbarazzò, tentennando nei suoi tentativi di liberarsi dell’americano, e fu solo perché Ryo lo afferrò per il bavero della giacca, e Kazue gli dava una martellata sulla testa, che la giovane si liberò della morsa di quel dongiovanni da strapazzo.
“Ahia … Accidenti, certo che la mia bella ci è andata giù più pesante del solito….” Mick si lamentò, massaggiandosi l’enorme bernoccolo che gli stava spuntando in testa. “Dì un po’, fratello caro, com’è che ho dovuto scoprilo così che ti sposi, eh? Cos’è, avevi paura della concorrenza?” Lo prese in giro, avvicinandosi all’ex socio. Gli uomini si erano seduti ad un tavolino appartato, e Ryo aveva già tirato fuori le sue amate sigarette mentre guardava altrove, pensieroso, alla ricerca della risposta giusta.
Poteva mentire a tutti, ma non a Mick: lui non ci sarebbe mai cascato, conosceva troppo bene sia lui che Kaori e avrebbe capito che qualcosa non quadrava.
“Beh, immagino che tu l’abbia scoperto da Saeko che mi sposo… e forse ha anche accennato al fatto che lei ed il professore mi hanno creato un’identità…” sbuffò, leggermente seccato, mentre strapazzava la sigaretta che aveva in mano. “Peccato che per quelle dannate carte io non sia giapponese, quindi adesso mi trovo l’immigrazione che mi tiene il fiato sul collo e l’unica cosa che mi è venuta in mente è stata quella di, sai…un matrimonio di interesse, diciamo.”
Mick alzò gli occhi al cielo, mentre rubava occhiate furtive alla coppia di amici. Kaori era emozionata, anche se sembrava provare sentimenti contrastanti, mentre Ryo era imbarazzato, e questo voleva dire una cosa soltanto: col cavolo che quello era solo un matrimonio di interesse, specie per lui.
“Ma non è che usi la scusa del matrimonio di interesse per poterla legare a te, vero? Nella speranza di poterlo trasformare in un vero matrimonio d’amore, con tanto di luna di miele, nottate di fuoco e pargoletti quando finalmente riuscirai ad aprire quella tua maldetta bocca e dirle la verità?” Mick continuò, alzando un sopracciglio mentre parlava con tono soddisfatto, e Ryo appariva sempre più colpevole e piccolo: aveva fatto centro su tutta la linea. “Porca miseria Ryo, ma quanto sei complicato! Non potevi dirle subito la verità? Kaori ti amo… sono tre parole, cosa c’è di così complicato nel dirle dopo tutto questo tempo che ci girate intorno?”
“E secondo te lei ci avrebbe creduto? Dopo che le ho raccontato balle, dopo che non mi sono più fatto avanti dopo il matrimonio di Umi…” Ryo sbuffò, occhi bassi, passandosi una mano fra i capelli; sul tavolino, la sigaretta era a pezzi. “No, serve una strategia, ecco, graduale. Devo sedurla. Conquistarla. Ma come cavolo facevo se mi sbattevano fuori dal paese, eh?”
Mick scosse il capo, ormai consapevole che per Ryo non ci fosse più speranza: era un vero dilettante quando si trattava di questioni di cuore. Proprio come quando Kaori lo aveva sfidato per difendere la vita del partner, Ryo era incapace di finire quella frase. Tre parole, semplici, io, ti e amo, ma che allo sweeper erano così estranee che era ancora lontano dal comprenderne pienamente il significato profondo- e soprattutto di ripeterle ad alta voce.
“Allora ragazzi, volete raccontarci come sono andate le cose? Come ti ha fatto la proposta?” Miki domandò, eccitata come una bambina.
Nonostante fosse stata una festa improvvisata per Sayuri, l’attenzione era tutta su Ryo e Kaori.
“Sì, sai, dicono che come un uomo fa la dichiarazione alla sua donna dica molto di lui!” Kazue continuò; nonostante avesse Mick, una parte di lei era seccata di non essere stata la donna che aveva impalmato lo sweeper, ma ormai, su Saeba, lei aveva messo una pietra sopra da tempo- sapere però che anche Kaori non sarebbe più stata disponibile le toglieva un peso dal petto, rendendola pienamente consapevole che il biondo americano non avrebbe più potuto né voluto fare il galletto, ora che i sentimenti degli amici si erano palesati in un tale modo.
“Ma, ma no, cosa dite…” Kaori si imbarazzò, ed il cuore prese a batterle pazzamente nel petto, messa di fronte a quella richiesta, un dettaglio che avevano scordato di concordare. “Ehm, andiamo, mia sorella si deve sposare, mica vorrete che le rubi la scena, eh, eh, eh!”
“No, Kaori, ti prego!” Sayuri, reporter, quindi curiosa di natura, afferrò al volo l’occasione. Si voltò verso Kaori e strinse le mani della sorella saldamente, guardandola negli occhi con una luce di amore, affetto e speranza e gioia. “Voglio saperlo anch’io! Dopo che me ne sono andata ho capito il perché tu sia voluta rimanere qui, ma tu e Ryo non eravate ancora una coppia, e adesso voglio sapere tutti i particolari!”
“Sayuri ha ragione, Ryo, perché non ci raccontate come sono andare le cose, eh?” Mick lo prese in giro, sogghignando malevolo, godendo di come stava mettendo l’ex socio in imbarazzo… ed in crisi. Decisamente, i piccioncini non avevano ancora fatto i compiti!
“Ehm…. Ecco….. Kaori la racconta meglio di me! Sì, sì, lei è molto più brava di me in queste cose!” Ryo ridacchiò, grattandosi il collo. “Cucciolotta, perché non la racconti tu?” Continuò, mentre Falcon alzava un sopracciglio al sentire quel ridicolo nomignolo, facendogli presagire guai e capire che quei due non la stavano raccontando giusta.
“Ma… ma….” Kaori prese a balbettare e pensare. Immaginava che Ryo avesse preferito lasciare a lei la storia onde evitare di dire cavolate, cose assurde o maialate – lui sarebbe stato capace di dire che le aveva chiesto la mano durante un focoso amplesso o perché quel focoso amplesso lo voleva tanto - ma cosa inventarsi? Gli occhi dei presenti erano puntati su di lei, che stava seduta con le mani in grembo, arrossendo.
“Beh, ecco, lo sapete che Ryo ed io ci siamo avvinati piano, piano… ma, ma dopo il tuo matrimonio, Miki, Ryo ha iniziato a pensare che forse anche noi avremmo potuto avere una cosa così… cioè, una vera relazione e… e anche io, e ci siamo avvinanti sempre più, e abbiamo deciso, di, insomma, provarci, solo che non volevamo vedervi delusi nel caso le cose non avessero funzionato e allora abbiamo deciso di tenerlo ancora un po’ per noi… ma poi, era il nostro primo mese insieme, e…” la giovane avvertì un nodo in gola; le guance arrossate, si stava torturando le dita con le unghie alla ricerca di una plausibile storia che fosse sì romantica, perché lei il romanticismo se lo meritava eccome, ma al contempo si sposasse col peculiare carattere di Ryo.
“E Kaori ha capito che stavo nascondendo qualcosa, e abbiamo avuto una bruttissima litigata perché pensava stessi tornado a fare lo scapolo impenitente.” Ryo continuò, arrivandole in soccorso quando avvertì che Kaori stesse avendo le prime difficoltà, non sapendo bene cosa inventarsi. Cercando di apparire sofferente, amplificava la sua performance all’inverosimile, come avesse desiderato attirare la pena altrui. Intanto, era tornato accanto a Kaori, e aveva sfiorato le dita della donna con le sue.
Teneva gli occhi bassi, però, incapace di guardare in faccia i suoi amici. Tutti stavano congratulandosi con loro, erano felici, emozionati, e lui e Kaori stavano portando avanti una farsa: si vergognava, e non aveva il coraggio di dire a nessuno dei presenti che, nonostante desiderasse passare il resto della vita accanto a lei, quel matrimonio sarebbe partito sulle basi sbagliate; in più lo sguardo di Kaori sembrava quasi gridare timidezza, sconforto…
Neanche a farlo apposta, stavano rendendo più credibile quella farsa.
“E allora ho… eh, pensato di fare una piccola caccia al tesoro… le ho lasciato tutta una serie di indizi e cose da fare, e alla sera ci siamo trovati tutti agghindati in un bel localino dove una band stava suonando musica jazz soffusa…”
Guardando altrove, arrossendo, Ryo cercò le dita di Kaori, strinse la mano della donna nella sua. La ragazza si morse le labbra, e rimase in silenzio, poi gli sguardi curiosi di alcuni, truci di altri, la spronarono ad andare avanti con la loro messa in scena. Socchiuse gli occhi, e sulle sue labbra apparve un piccolo, delicato sorriso, mentre immaginava, sognava- e osava ingannare tutti, anche se stessa, che quello che desiderava da anni era effettivamente accaduto, e che stava finalmente per sposare il suo primo amore.
“Sono entrata nel locale e tolta la band non sembrava esserci nessuno, poi Ryo mi ha chiamata per nome. Mi sono voltata e me lo sono trovata lì, in smoking, con in mano una singola rosa rossa. Me l’ha offerta, e poi, mettendosi in ginocchio, mi ha detto come non potesse più fingere con nessuno che io fossi solo una delle tante, una ragazza comune, e che desiderava sposarmi e…”
“E lei ha accettato, basta, fine della storia!” Ryo quasi sbraitò; ingoiò a vuoto mentre guardava Umi, che lo squadrava da cima a piedi facendogli comprendere come lui avesse capito tutto, che quel racconto era troppo sdolcinato per essere davvero accaduto a Ryo Saeba; era lampante che quella era stata una fantasia di Kaori: lo sweeper era più tipo da dire ad una donna che l’amava tra un bacio e l’altro, o durante dei normali momenti di pace, senza fronzoli e abbellimenti vari- dopotutto, lui era l’antitesi del Principe Azzurro delle favole.
(Mentre erano seduti a tavola insieme, o anzi: mentre prendevano il caffè. Lui glielo avrebbe detto così, se solo avesse avuto il coraggio.)
“Oh, che storia dolce! Sapevo che non potevi essere il buzzurro che apparivi, Ryo!” Sayuri singhiozzò, asciugarsi le lacrime col pungo chiuso. “Adesso ci vorrebbe un bacio!”
“Un… un bacio?” Kaori impallidì, poi arrossì, poi impallidì di nuovo mentre sudava freddo e diventava dura come una roccia, non dissimile da quello che stava accadendo a Ryo al suo fianco.
Aveva fatto fatica ad accettare che lui avesse potuto desiderare baciarla nei panni di Cenerentola, e di quello che era successo sulla nave di Kaibara, di come le loro bocche si fossero cercate disperatamente attraverso il vetro: lei non gli aveva mai detto di aver ricordato tutto, e Ryo non aveva mai ammesso di sapere che la memoria le era tornata dopo pochi giorni.
E adesso… adesso, dopo ciò che le aveva detto nella radura, dopo i piccoli passi, avrebbero dovuto baciarsi così, davanti a tutti, prima che entrambi fossero emotivamente pronti a compiere quel passo?
“Ma, ma no, Sayuri, ai giapponesi baciarsi in pubblico non piace, siamo timidi noi!” tentò di convincerla, ma non servì a nulla: nel giro di un attimo tutti gli avventori del locale, sia quelli che li conoscevano che quelli che non avevano la più pallida idea di chi fossero, stavano battendo le mani incitandoli a scambiarsi quel tanto agognato gesto d’amore.
Si voltarono l’uno verso l’altra, timidi come ragazzini, imbarazzati e rigidi; senza nemmeno sfiorarla con un dito, le labbra di Ryo si poggiarono con un tocco delicato e veloce sulle sue, ma nel momento in cui lei si stava ritraendo, qualcosa scattò in lui: mani alle spalle della donna, si riappropriò di quella succulenta bocca appena truccata, e la divorò letteralmente, sfiorando le labbra con la punta della lingua per chiedere alla bella Kaori di approfondire il bacio. Lei, occhi socchiusi, sospirò, e gettandogli le mani nei capelli, facendolo mugolare contro la bocca di piacere e serenità, prese a dargli quanto chiedeva, restituirgli tutto ciò che lui le stava dando. Per interi minuti, sotto gli occhi stupiti dei loro amici, increduli davanti a tanta audacia, la coppia continuò quello scambio d’aria, stringendosi l’uno all’altra, fino a che qualcuno non si schiarì la gola riportandoli alla realtà, e Ryo e Kaori si separarono, volgendo, timidi e stupiti e sconvolti nel loro intimo, gli occhi altrove.
Fu solo l’abbraccio di Miki prima e quello di Sayuri poi a convincerli a guardarsi di nuovo negli occhi ed avvicinarsi nuovamente, le loro mani che sembravano cercarsi di loro spontanea volontà: e mentre Ryo guardava Kaori emozionato come un ragazzino che aveva finalmente ammesso con la fidanzatina il suo amore, Saeko li guardava ridacchiando e scuotendo il capo, sollevata che le cose si stessero mettendo meglio del previsto.
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Capitolo 4 *** Bring me to the temple ***
Ryo
era coricato nel futon per terra, mani incrociate dietro alla testa,
quando
Kaori, i loro ospiti profondamente addormentati, lo raggiuse nella
camera da
letto. Finse di dormire, ma come un gatto aprì leggermente
un occhio, rubando
un’occhiata allo slanciato corpo femminile, e quasi rimase
secco nel momento in
cui la vide sedersi sul letto per mettersi due gocce di profumo sui
polsi.
Sì, il pigiama era a pois, come tanti
altri
suoi.
Sì, aveva i pantaloni lunghi, come la
maggioranza dei capi da notte di Kaori, e non era certamente scollato;
era una
casacca, con le maniche corte, eppure…
Ryo digrignò i denti, trattenendosi
dall’emettere un grugnito di disperazione mista ad un
accecante desiderio, che
diede la carica alle sue parti bassi con cui l’uomo prese ad
avere una strenua
battaglia mentale. Perché non poteva essere un pigiamone di
pile o altro, cosa
le era passato per la testa di indossare un delicato e sensuale capo di
satin
lucido, che, leggero come seta, le accarezzava l’epidermide,
il rosa scuro che
sembrava risonare con la pelle lattea della fanciulla, accarezzando
ogni
singola curva?
Il pomo di Adamo di Ryo prese a ballare
nell’oscurità: aveva la netta impressione che
sotto a quella sottile casacca
Kaori non indossasse il reggiseno, e le sue mani ardevano dal bisogno
urgente
di scoprire se fosse davvero stato così, ma soprattutto di
capire il perché:
che avesse deciso di sedurlo, di compiere lei quel primo passo verso
cui lui si
stava rivelando ancora una volta riluttante ed impaurito? Voleva
semplicemente
stuzzicarlo, attizzare il suo desiderio per lei? Oppure, aveva scelto
quel capo
semplicemente perché temeva di incontrare la sorella od il
futuro cognato
magari in corridoio, e voleva sembrare la smaliziata fidanzatina
innamorata col
costante desiderio di far piacere, e piacere, al suo uomo?
Dio, aveva sempre saputo di non capire davvero a
fondo le donne, che i loro animi erano un mistero per lui, ma con Kaori
era
sempre stato ancora più difficile, forse perché
lui stesso era profondamente
compromesso nei sentimenti che nutriva per lei.
“Starai mica guardando, eh?”
Lei gli domandò,
con tono di accusa, e Ryo fece cenno di no col capo, talmente
velocemente che
temeva avrebbe subito un colpo di frusta. “Meglio per te!
Buonanotte!”
E così dicendo, la donna si
coricò; ma la notte
non fu semplice da passare per nessuno dei due…
Kaori,
che aveva indossato quel capo regalatole da Eriko con la speranza di
smuovere
qualcosa in Ryo, desiderava che lui trovasse il coraggio di abbattere
quella
barriera che si erano costruiti da soli, e la raggiungesse nel letto,
facendola
sua, ma al contempo si chiedeva cosa avrebbe significato, nel loro
rapporto, se
finalmente avessero avuto il coraggio di essere davvero sinceri
l’uno con
l’altra e avessero fatto l’amore in quel letto.
Ryo intanto lottava contro il desiderio di
raggiungerla e sfiorarla, svegliarla con un sapiente tocco delle sue
dita nei
punti più erogeni del corpo di una donna, baciarla fino a
che le loro bocche
non si fossero consumate, e finalmente fare l’amore con lei,
e capire che cosa
fosse meglio, se il sogno o la realtà. Eppure, temeva la
reazione della
partner, che Kaori potesse sentirsi usata, che potesse credere che lo
facesse
per dare più credibilità a quella relazione o
semplicemente per togliersi uno
sfizio. La voleva, il desiderio di compiere una delle sue visite
notturne era
forte, quasi impellente, ma sapeva che con lei non si sarebbe potuto
comportare
come aveva fatto in passato con le altre. Doveva attenersi al suo piano
-
conquistarla, sedurla, mostrarle che poteva fidarsi di lui. E
soprattutto,
doveva trattenersi, almeno fino alla loro prima notte di nozze, poi le
avrebbe
detto la verità, le avrebbe aperto fino in fondo il suo
cuore e solo allora, se
lei avesse deciso di fargli dono della sua purezza, della sua
castità, si
sarebbe arreso all’istinto e al desiderio, e avrebbe
accettato di consumare il
loro rapporto.
Se l’avesse sfiorata adesso, se
l’avesse tenuta
tra le braccia nel suo letto, permettendo alla bella Kaori di
accoccolarsi
contro il torace nudo, non
avrebbero mai
potuto dormire, e lui avrebbe finito col prenderla selvaggiamente e lei
glielo
avrebbe permesso… forse c’erano ancora
profondità del cuore di quella donna che
faticava a comprendere – o forse accettare – ma Ryo
sapeva che erano entrambi
ancora profondamente turbati da quel bacio che avevano immaginato casto e leggero, ma che aveva
spalancato loro le
porte dell’inferno con quel calore passionale che aveva
sprigionato,
avvolgendoli nelle fiamme della lussuria che avevano sfiorato i loro
esseri.
L’ardente desiderio che bruciava loro
dentro,
unito alle voci divertite provenienti dalla strada sottostante e dalle
luci al
neon che filtravano dalle veneziane, ed i rispettivi respiri, di cui
erano
entrambi molto, troppo consapevoli, non permisero loro di trovare
riposo quella
notte. Appena suonata la sveglia, Kaori saltò giù
dal letto come una molla,
praticamente correndo fuori dalla stanza a gambe levate, e Ryo
sospirò, quasi
sollevato: finalmente poteva rilassarsi un attimo. Sorrise mentre prese
a
tamburellare con le dita sullo stomaco, permettendo al suo amichetto
di,
finalmente, palesare la propria prorompente presenza, mentre con faccia
da
ebete pervertito il proprietario di tanta virilità si
cullava in piccanti
fantasie in cui ricreava la notte precedente in versione decisamente
erotica ed
a luci rosse.
Solo
una
buona mezz’ora dopo si palesò in cucina, e
nonostante quelle fantasticherie
faticava a rimanere sveglio, disabituato a quegli orari. Sia lui che
Kaori si
trascinavano per
casa quasi come
cadaveri, occhi gonfi, occhiaie profonde, quasi affogando nel
caffè nella
speranza di placare quella molesta sonnolenza, incapaci di trattenere a
lungo
lo sguardo dell’altro, le gote arrossate e gli occhi
sfuggenti, i cuori
palpitanti mentre passavano il tempo a rubarsi occhiate furtive per
saggiare
l’uno la reazione dell’altra, chiedendosi come
sarebbe stato baciarsi di nuovo,
ma provare a farlo per davvero, da soli, solo perché andava
loro di farlo, e
non perché amici impiccioni fischiavano loro alle spalle.
Ma nessuno dei due aveva il coraggio di
allungare la mano a sfiorare quella dell’altro, né
erano tanto arditi da
lanciarsi in ardenti abbracci che funzionassero da preludio a ben
più
peccaminose e gustose situazioni, entrambi titubanti e temendo lei il
rifiuto o
una reazione sfrontata, lui la sua capacità di trattenere il
suo ardente
desiderio. Due ragazzini innamorati alla prima cotta: ecco come si
comportavano, entrambi incerti riguardo a quelle sensazioni, nuove per
entrambi, nonostante Ryo fosse ben più grande di lei.
“Oh eccola qui la mia sorellina ed il
mio futuro
cognato!” Sayuri cinguetto, bella sveglia e pimpante di prima
mattina,
nonostante non avesse ancora toccato una sola goccia di
caffè; dietro di lei il
fidanzato si trascinava, sguardo cadaverico, occhiaie talmente profonde
da
toccare terra, sbadigliando malamente senza coprirsi la bocca,
bellamente
mostrando le sue tonsille ai presenti. “Peter, vergognati!
Cosa penserà la mia
famiglia di te!” la donna lo redarguì, in un modo
così simile a quello che
aveva usato anni prima quando aveva incontrato Ryo che lo sweeper fu
mosso a
pietà verso quel povero Cristo che stava compiendo
l’estremo sacrificio di
sposare quella donna dal carattere così forte e deciso e dai
modi di comandante
di brigata.
“Penseranno che io se dormo in un letto
diverso dal mio passo la notte in bianco, ecco cosa pensano! Noi uomini
siamo
creature abitudinarie e ci piace il comfort!”
L’uomo borbottò mentre si versò
una tazza di caffè nero fumante, bello amaro. “E
scommetto che Ryo la pensa
come me, non è vero amico mio?”
Il giornalista terminò la farse dando
una sonora pacca sulla spalla a Ryo, a cui andò di traverso
il biscotto che
stava spiluccando, causandogli un colpo di tosse ed un leggero senso di
soffocamento.
Guardò l’americano ridere sguaiatamente,
sospirando. Lo invidiava. Stanco
morto, eppure aveva voglia di ridere e scherzare. Lui non ne aveva la
benché
minima voglia, e a malapena si trattenne dal dargli una piccata
rispostaccia del
tipo Quando dormi con un occhio aperto
nel bel mezzo di una guerra, anche una pietra ti è comoda
per dormire, quindi
Ryo finse di sorridere- anche se la sua espressione parve
più un ringhio – e
mugugnò un “Già” a denti
stretti.
La coppietta di innamorati non afferrò
il suo sarcasmo.
“Oh, come siete carini
insieme…
scommetto che avete passato la nottata a farvi le coccole….
Oh, com’è bello
essere giovani ed innamorati ed in quella fase dell’amore in
cui non si riesce
a tenere le mani a posto! Ti ricordi com’eravamo noi i primi
tempi,
tesoruccio?” Sayuri continuò, con sguardo
sognante, mentre Ryo e Kaori la
guardavano scettici: potevano capire aver ingannato il tipo
dell’immigrazione,
ma Sayuri, premio Pulitzer per il giornalismo investigativo…
com’era possibile
che una donna così intelligente si fosse lasciata incantare
da due paroline
dolci ed un bacio? Davvero non lo capivano. “L’ho
sempre saputo che prima o poi
Ryo avrebbe messo la testa a posto e avrebbe fatto di te una donna
onesta e
anzi, a questo proposito, avrei pensato che…”
Qualsiasi cosa volesse dire, la donna
non poté finire la frase che il campanello suonò;
Ryo grugnì, prevedendo rogne:
negli ultimi giorni era giunto alla conclusione che tutte le volte che
qualcuno
bussava o suonava alla sua porta, arrivavano i guai.
Ed infatti, quando andò ad aprire la
porta, Kaori si trovò davanti l’agente Shinsato,
tutto pimpante e con un ghigno
malefico, neanche fosse stato certo di averli colti in castagna.
“Signorina Makimura,
buongiorno!”
esclamò lui, accarezzando sensuale e malevolo la sua
ventiquattro ore che
pareva di pelle di serpente, un connubio, con quelli occhietti da ratto
malevolo delle fogne, che lo rendevano non dissimile da una creatura
diabolica
il cui primo compito e scopo ultimo nella vita era la distruzione della
vita
umana.
Kaori ingoiò, rabbrividendo leggermente
alla vista del burocrate. Quell’uomo, la cui arma era la
penna ed un timbro
ufficiale, in qualche modo la terrorizzava più dei
decerebrati armati di
bazooka e armi automatiche con cui negli anni si erano trovati ad avere
a che
fare.
“Si-signor Shinsato!” la donna
balbettò, quasi fosse incapace di dire altro. Senza
attendere oltre, l’uomo si
accomodò nell’ampio appartamento, sistemandosi
tronfio la cravatta, pregustando
lo scatto di carriera che sgamare quei due gli avrebbe garantito.
Vedendo
Sayuri ed il compagno, si mise davanti a loro, impettito, squadrandoli
dall’alto
in basso con sinistra curiosità.
“Sayuri, la famosa sorella, e lei
invece deve essere il signore… Day, giusto? “
sorrise crudele, come la strega
cattiva delle favole, sistemandosi i polsini inamidati della camicia
immacolata. “Permettetemi di presentarmi: sono Abe Shinsato,
sono l’ufficiale
dell’immigrazione a cui il caso del Signor Saeba è
stato affidato.”
“Immigrazione?” Sayuri
domandò,
sbattendo le lunghe ciglia di quegli occhioni color nocciola identici a
quelli
della sorella minore. “Ryo non è
Giapponese?”
“Il signor Saeba,” Shinsato
continuò,
sistemandosi stavolta gli occhialini, che brillarono colpiti dalla luce
del
sole di tarda estate. “Tecnicamente è colombiano,
e nonostante sia di padre
Giapponese, risultando nato all’estero, non avendo mai
richiesto la
naturalizzazione, è un cittadino straniero, quindi di
competenza del mio
dipartimento.”
Peter alzò un sopracciglio, stranamente
interessato, il suo istinto di segugio dedito agli scoop sentiva che
nell’aria
c’era qualcosa di appetitoso; Sayuri invece sbatté
di nuovo quelle ciglia
lunghe, anche se stavolta stava fissando Ryo. Shinsato invece guardava
Kaori,
quasi a ricordarle che era ancora in tempo a dire la verità,
tutta la verità,
nient’altro che la verità, ed ammettere che quel
matrimonio non era null’altro
che una messa in scena.
“Sì, e ho pensato che potrei
passare la
giornata con i signori, capire come vivono, approfondire la
mia…” fece
schioccare la lingua contro il palato, osservando, viscido, la giovane
dai
capelli rossi. “conoscenza
di questa
deliziosa coppietta di innamorati.”
“Sì, ha ragione, Ryo e mia
sorella sono
davvero adorabili insieme… e glielo dice una persona che li
conosce da anni!
Sapere che finalmente sono stati capaci di vincere la loro timidezza e
ammettere il loro amore reciproco mi riempie il cuore di
gioia!” Sayuri eruppe,
mani incrociate davanti al cuore, occhi socchiusi che piangevano
lacrime di
gioia.
Kaori
la guardò, il cuore che le si spezzava
nel petto: per quanto il suo amore per Ryo fosse reale, e sapesse
quanto lui
anche fosse affezionato a lei, le basi su cui stavano costruendo le
imminenti
nozze erano fasulle, forse, non fosse successo quel patatrac, non
avrebbero mai
e poi mai preso in considerazione l’idea di ufficializzare
quel loro peculiare
rapporto, trovare quel punto di partenza di cui Miki aveva parlato alle
sue
nozze.
Sayuri era convinta che ci fosse
l’amore alla base di quel matrimonio, ed era felice ed
eccitata per la sua
sorellina… ma
loro le stavano mentendo.
Si sentì orribile, ed per un attimo la folle e malsana idea
di dire la verità
le balenò per la mente, ma
poi incontrò
lo sguardo di Ryo, enigmatico ed indecifrabile come sempre.
Se avesse detto la verità, forse
sarebbe stata perdonata, forse non sarebbe finita in galera…
ma lo avrebbe
perso. Lei, come tutte le persone che si fidavano di lui, che si
affidavano
allo sweeper per trovare sicurezza e giustizia.
Semplicemente, non poteva farlo.
“Beh, non so Ryo cosa abbia intenzione
di fare, ma io ho promesso a mia sorella di accompagnarla al tempio di
Hanazono
a parlare col sacerdote, per mettere a punto gli ultimi dettagli della
cerimonia di domani!.” Disse,
e a
sentire questo, Sayuri prese
per mano la
sorella, e le sorrise.
“In realtà, Peter ed io
saremmo felici
se anche Ryo venisse con noi. Stanotte ne abbiamo parlato, e, ecco,
noi…” la
donna arrossì, timida, così simile a Kaori che
allo sweeper scappò un sorriso
dolce-amaro. “Avevamo pensato di chiedere al sacerdote
se…. Se per lui fosse un
problema sposare due coppie invece di una!”
“CO-COSA?” fu ciò che
uscì da tre bocche- quella di Kaori, di Ryo e di Shinsato.
Non c’era alcun
bisogno di chiedere chi fosse l’altra coppia: era chiaro a
tutti che Sayuri
voleva condividere le nozze con la sua dolce sorellina minore ed il suo
innamorato…
“Ma… ma domani è
così presto!” Lo
sweeper provò a dire, sudando freddo, occhi sgranati fissi
su Kaori le cui
gambe stavano per cedere per la tensione. “E poi, tua sorella
è così romantica,
Sayuri, vorrà scegliere il vestito perfetto, organizzare
tutto per bene, con le
amiche e…”
“E sua sorella maggiore!”
Sayuri
sbottò, battendo i piedi per terra, bambina petulante, le
guance gonfie mentre
con sguardo truce sfidava Ryo a darle torto. Si voltò verso
la sorella, le mani
ancora nelle sue, guadandola con gli occhi lucidi di lacrime che non si
faceva
troppi problemi a versare. “Kaori, io oggi sono qui, ma
chissà cosa accadrà nel
futuro! Potrei dover partire per un lungo viaggio, oppure potrei
rimanere
incinta e non poter raggiungerti nel giorno più bello della
tua vita. Ti
scongiuro sorella cara, tentare non costa nulla… e poi, la
tua amica Eriko ieri
sera mi ha detto che sono anni che tiene da parte per te due vestiti da
sposa,
uno occidentale ed un bellissimo Shiromoku*
ricamato con fili di seta!”
[*Lo
Shiromoku è l’abito tradizionale da sposa del rito
Shintoista nella cultura
Giapponese. Si tratta di un kimono bianco, ricamato con motivi
(floreali o
rondini) anch’essi bianchi, accompagnato da un capellino di
carta di riso
oppure da un cappuccio rigido di seta. Il bianco rappresenta la purezza
della
sposa, la verginità, ma secondo le tradizioni più
antiche, rappresentava anche
l’idea che la sposa prendesse, nel matrimonio, i
“colori” della famiglia del
consorte, i suoi usi e costumi.]
Kaori guardò Ryo, chiedendogli cosa
dovesse fare.
Ryo guardò Shinsato, chiedendosi cosa
passasse per la testa di quel burocrate bacucco.
Shinsato guardava tutti loro, pensando
a dove avrebbe trascorso le prossime ferie ora che stava per avere la
beneamata
promozione grazie a quella banda di imbecilli. Giappone o estero? I
Caraibi,
magari? O forse l’Europa: aveva sempre desiderato prendere il
sole spaparanzato
sulle spiagge di quella continente, e la Spagna non era male, specie le
isole…
o magari avrebbe atteso il Carnevale e se la sarebbe spassata a Rio de
Janeiro,
dividendosi tra spiagge, strade, locali e fascinose donnine coperte da
poco o
nulla.
Ryo guardò Kaori, e nel medesimo
istante fecero entrambi un flebile cenno col capo, mantenendo, fermi e
decisi,
il cuore in gola, l’uno lo sguardo dell’altra,
mente Shinsato stava per
scoppiare a ridere dalla soddisfazione.
Non lo avrebbero mai fatto. Non
avrebbero osato tanto!
Si stavano per tradire, lui li avrebbe
scoperti e la sua vita sarebbe finalmente cambiata in meglio!
“Bene,” borbottò
l’uomo. “Allora, sarò
clemente, dato che c’era
l’intento
della truffa ma la truffa vera e propria non è avvenuta
penso proprio che
potrei...”
“Noi… ne saremmo molto
onorati,
Sayuri.” Kaori disse, parlando sopra il burocrate da quattro
soldi, a cui Ryo
mandò un’occhiataccia tronfia, gongolante e
trionfante. “Sì, accettiamo!”
“CO-CO-COSA????”
Il
burocrate urlò, piagnucolando mentre cadeva a terra, in
ginocchio, ed alzava le
mani verso il cielo, come a supplicare un miracolo.
“Beh, signor Shinsato, se proprio vuole
passare la giornata con noi…” Con sguardo
soddisfatto, Ryo si avvicinò a Kaori,
e mise una mano
intorno alle spalle di
quella che ora era, a tutti gli effetti, la sua fidanzata e futura
moglie. Una
mano in tasca, si voltò verso il piccolo burocrate dagli
occhi di topo. “Credo
proprio che dovrà sopportarci mentre organizziamo il nostro
matrimonio! Spero
che le piaccia il tempio, perché è lì
che siamo diretti!”
“Non saprei, è
alquanto curiosa come cosa…” il sacerdote,
inginocchiato a terra sul parquet,
si portò una mano sotto al mento, e prese a pensare mentre
Sayuri lo guardava
con occhi luccicanti pieni di speranza- era una manipolatrice nata
quella
donna, Ryo e Peter lo dovevano ammettere - e Shinsato se ne stava
leggermente
in disparte, anche lui inginocchiato, ma digrignando i denti come un
cane
rabbioso a cui era appena sfuggita la sua beneamata preda - trovava
quello
sviluppo alquanto deprecabile, soprattutto al fine del suo avanzamento
di
carriera.
Il gruppo fissò il sacerdote - vestito
in abiti civili, che lo facevano sembrare più giovane della
sua età, e
trasmettevano un senso di spensieratezza e vicinanza - con una certa
insistenza
ed apprensione. Ryo e Kaori, seduti l’uno accanto
all’altra, si stringevano la
mano con forza, e sembrava quasi che la giovane donna avesse paura a
lasciare
andare quella dell’uomo; certo, se anche il sacerdote non
avesse accettato
quella curiosa richiesta avrebbero potuto benissimo andare la settimana
dopo in
comune e sposarsi, ma avevano la netta sensazione che anche solo il
più piccolo
ritardo avrebbe messo sul chi va là quel piccolo burocrate.
“E gli invitati non cambierebbero?
Sarebbero gli stessi? Non sarebbe consono accomodare troppe persone,
sapete, la
tradizione del amtrimonio Shintoista richiede pochi invitati, e
normalmente si
tratterebbe della famiglia…” Il religioso, serio
ma affabile, domandò, braccia
incrociate, fissando le future spose. Sayuri gli aveva brevemente
esposto la
questione, spiegato che temeva che le sarebbe stato complicato
raggiungere la
sorella quando fosse giunto il momento. Inoltre, lei aveva solo Kaori
al mondo,
e quel matrimonio era stata l’occasione per far incontrare le
due famiglie di
Kaori, quella biologica e quella putativa. Un’unica cerimonia
sarebbe solo
servita a consolidare maggiormente il legame tra sorelle.
“Naturalmente, ricevereste offerte
anche da parte nostra,” Ryo si premurò di dire,
facendo un leggero inchino
verso l’uomo. Non moriva dalla voglia di sposarsi con un rito
pseudo-religioso,
lui non era mai stato esattamente credente; non giurava che non ci
potesse
essere nulla dopo la morte, ma a lui cambiava comunque poco: il nulla o
l’inferno, c’era qualche differenza? Ne dubitava.
Ma, conosceva Kaori - la
conosceva davvero. Cresciuta in un
ambiente cinico, tra criminalità e violenza e morte, aveva
saputo mantenere un
cuore puro e romantico.
Desiderava arrivare pura alle nozze. E
desiderava che quelle nozze avvenissero nel tempio che aveva
frequentato fin da
ragazzina, mentre lei indossava l’abito bianco tradizionale.
Lei, in virtù dell’amore e
dell’affetto
che nutriva per lui, si stava sacrificando, velocizzando quelle nozze
che forse
sarebbero comunque arrivate, o forse no. Fatto stava che Ryo sapeva che
stava
stravolgendo i piani della giovane, e che quindi, darle quello che
desiderava
era il minimo. Avrebbe svuotato il suo conto in banca, dato fondo alle
risorse
che teneva per i tempi bui, nascoste nel materasso, ma le avrebbe dato quel matrimonio, costasse quel che
costasse.
“Siete sicuri di riuscire ad
organizzare tutto in tempo per domani, figliolo?”
l’uomo chiese, guardando
serio Ryo, che col sorriso sulle labbra fece segno di sì col
capo, eccitato,
mentre gli occhi di Kaori e Sayuri, la cui somiglianza diventava giorno
dopo
giorno più evidente, erano velati di lacrime di gioia a
quella romantica
prospettiva. “E così sia! Ci vediamo domani
mattina qui, tutti insieme, per le
vostre nozze! Ditemi, sapete già cosa fare?”
Sayuri coprì la mano della sorella con
la sua, sorridente. “Non si preoccupi, ci penseremo Peter ed
io ad istruire a
dovere questi due piccioncini!”
Dietro di loro, quel piccolo burocrate
da strapazzo si stava rodendo il fegato per la rabbia: se non avesse
fatto
qualcosa, quelle galline dalle uova d’oro gli sarebbero
scappate… e lui non
aveva la benché minima intenzione di fallire per la terza
volta!
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Capitolo 5 *** Addii (...al celibato e nubilato!) ***
A/N: Causa di forza maggiore, le risposte alle recensione attendono i
prossimi giorni, ma prometto a chi ha recensito lo scorso capitolo che
mi farò sentire, promesso!
Dopo
la chiacchierata col prete, le coppie si erano divise; Sayuri aveva
preso la
sorella per un braccio, trascinandola via con la scusa che si trattasse
di cose
da donne, mentre Ryo e Peter- ed il piccolo burocrate brontolone che li
seguiva
con il muso lungo e gli occhi bassi, piagnucolando – erano
andati in direzione
del Cat’s Eye per prendersi un caffè; le ragazze
avevano camminato per un breve
tratto, finendo poi… davanti all’atelier di Eriko,
che le accolse a braccia
aperte, saltellando tutta eccitata come una bimbetta in preda ad una
overdose
di zuccheri.
“Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo che
prima o poi quello zuccone avrebbe ceduto!” continuava a
ripetere mentre volava
da una parte all’altra dell’atelier prendendo abiti
di cui si caricava le esili
braccia, quasi pesassero nulla. Dopo dieci minuti buoni di sano
trotterellare,
la stilista tornò dalle due donne, e posò
sull’elegante tavolo di marmo,
davanti a Kaori, una selezione di capi casual, tutta tronfia. “Oh, sono
così eccitata! Mi sento come la
fata madrina, come se fossi stata io con quell’appuntamento
che vi ho organizzato
a farvi mettere insieme!”
A Kaori si strinse il cuore.
Quell’appuntamento non era mai servito
a nulla: Ryo non aveva mai saputo di trovarsi di fronte la sua socia,
troppo
cieco e preso dal desiderio di provare a farsi la sconosciuta di una
notte. Si
erano quasi baciati, quella notte: o meglio, Ryo aveva quasi baciato la
sua
Cenerentola, perché, se non fosse stato per questa
farsa… di baci, tra di loro,
forse non ce ne sarebbero stati mai.
È
tutta una farsa….. non sarà mai davvero mio, non
del tutto. Pensò Kaori
stringendosi le mani al cuore, mentre, sotto lo sguardo attonito di
Sayuri,
Eriko di nuovo spariva per tornare con una confezione, parecchio
grande, di
cartone lucido dai colori pastello. La aprì, delicatamente,
scostando la
velina, e rivelando tessuto bianco, candido come la neve…
Sayuri sorrise,
mentre alla sorella mancò il respiro, il cuore che le
martellava nel petto.
“Ma… ma
Eriko….” La ragazza domandò,
cercando gli occhi dell’amica. Erano entrambe emozionate, e
sembrava che alla
stilista stessero venendo le lacrime agli occhi, chiara dimostrazione
che era
più romantica di quanto non volesse sembrare.
“Chiamami sciocca, chiamami romantica,
ma ho sempre immaginato che fosse questo quello che desideravi, e
quando ci
siamo ritrovate, mi sono messa a lavorarci. Ero certa che prima o poi
tu e Ryo
avreste capito che eravate fatti per stare insieme.” Occhi
che scintillavano
con un tremolio, Eriko posò una mano sulla spalla di Kaori,
che la giovane
prontamente coprì, stringendola con affetto e calore.
“Ci ho lavorato piano,
piano, per parecchio tempo, quando avevo dei piccoli momenti di buco.
Anche per
dimostrare a me stessa che non sono brava solo nel campo moderno,
anzi!”
Dita tremanti, Kaori prese con
delicatezza il capo, sollevandolo con una cura tale che sarebbe potuto
essere
di porcellana e rischiare di cadere, frantumandosi in mille pezzi: lo
guardò,
stupita, le gote arrossate, il cuore a mille.
Era perfetto.
Il punto di bianco era quello della
cosiddetta tonalità “assoluta”, ed era
decorato con ricami di gru in volo e
fiori, tono su tono come voleva la tradizione – nessuna nota
di colore. A
completare l’outfit c’era un paio di sandali zori,
bianchi anch’essi, il
tessuto non dissimile da quello dell’abito, ma soprattutto il
wataboshi, il classico cappuccio in
tessuto rigido.
Sayuri le diede
una gomitata, facendole l’occhiolino. “Ehi, sei
fortunata ad avere un’amica che
è la miglior sarta e stilista di tutta Tokyo, se ci fossero
dei problemi ci
metterà un secondo a sistemarlo!”
“Oh, per favore, sai quante volte tua
sorella ha sfilato per me? Tante! Conosco le sue misure alla
perfezione!
Fidati, non hai bisogno di provare questo. Piuttosto, sarà
meglio dare
un’occhiata al campionario per la luna di
miele…” sogghignò, con una luce
sinistra negli occhi. “Mi sa che Ryo ti ha tenuta
così occupata che non hai
nemmeno avuto tempo di fare shopping, bricconcella, ma non ti
preoccupare, ci
penso io! Mio personalissimo regalo… e non fare obiezioni,
che tanto è roba
delle vecchie collezioni che non potrei vendere comunque, va
bene?”
Kaori non disse nulla, fece un timido
segno di consenso col capo, arrossendo, mentre sua sorella
però si portava una
mano al mento: c’era qualcosa che non le tornava.
“Ma, Eriko, il regalo di nozze dovrebbe
servire a tutti e due, no? Non solo alla sposa…”
“Perché, secondo
te,” la stilista
sghignazzò, sollevando con un dito un capo di intimo di
pizzo nero, fatto di
poche strisce di tessuto, e così sottili che parevano del
filo interdentale:
solo a vederlo le gote di Kaori andarono in fiamme. “Ryo non
godrà dei benefici
di questa cosuccia?”
Le due donne scoppiarono a ridere:
Kaori invece voleva solo sparire, perché improvvisamente,
nella mente, le erano
apparse le nozioni dei libri di storia letti da ragazza, e per un
attimo, si
immaginò Shinsato che, con la sua ventiquattrore ore
pitonata, con tanto
di registratore, si sedeva placido
ed annoiato in un angolo della camera di Ryo per controllare se il
matrimonio
venisse consumato o meno…. Da un tipo come quello,
c’era da aspettarsi pure di
peggio…
“Su, su, dai, Kaori, non andrai a fuoco
per così poco, con un fidanzato che chiamano lo Stallone di
Shinjuku!” Eriko
continuò a prenderla in giro. “Comunque
Tranquilla, non dovrai metterti questo
al matrimonio…”
La donna continuò, facendo prendere un
sospiro di sollievo alla futura sposina di convenienza.
“Ma bensì questo! Non
è un amore?”
Kaori guardò con gli occhi spalancati quello che adesso
l’amica teneva in mano,
un capo che Sayuri pareva guardare con invidia: un reggiseno a bustino
senza
spalline, realizzato con un pizzo delicato ma intricato al tempo
stesso,
etereo, quasi trasparente, con tanto di micro slip coordinati e
soprattutto… Un
reggicalze. Con tanto di calze bianche di seta. Kaori
arrossì, ingoiando a
vuoto mentre si immaginava vestita di quella mise, che era certa il
partner
avrebbe adorato, e soprattutto mente si chiedeva cosa avrebbe pensato
Ryo, se
avrebbe fatto uno dei suoi soliti commenti idioti o se così
sarebbe davvero
apparsa femminile e vogliosa… “Logicamente le
calze le metterai dopo la
cerimonia, una volta che ti metterai degli abiti casual e smetterai il
kimono,
quindi adesso amica mia vediamo di darci una mossa e scegliamo cosa fa
per te,
va bene?”
Kaori, con le lacrime agli occhi, fece
cenno di sì col capo, e il silenzio piombò sulle
donne, che si guardarono
emozionate, tutte giunte ad un punto delle loro vite che solo pochi
anni prima
non avrebbero creduto possibile: Sayuri e Kaori presto si sarebbero
sposate,
l’una reticente ai legami, fredda e distaccata, che si
ricordava fin troppo
bene del tragico matrimonio dei genitori, l’altra innamorata
di un farfallone
con tendenze da maniaco sessuale che fino alla settimana prima nemmeno
sapeva
di esistere davvero, ed Eriko stava ricevendo richieste per i suoi capi
anche dal
Londra, Parigi e Milano.
“Oh, aspetta, mi stavo
dimenticando!”
Sayuri proruppe, rompendo quel delicato ed intimo silenzio, pregno di
significato, che era calato tra le tre donne. Eccitata, prese dalla
tasca della
giacca un sacchettino, che svuotò nel palmo di Kaori: era un
ciondolo d’oro,
rettangolare, dall’aria antica, su cui era stilizzato un
fiume che scorreva
sotto ad un castello.
Sayuri lo chiuse intorno al palmo di
Kaori, guardando la sorella ritrovata negli occhi.
“Questo ciondolo è nella
famiglia di
nostra madre da oltre cent’anni,”
spiegò, chiaramente emozionata. “Il nostro
trisnonno lo diede alla sua futura sposa alla vigilia delle loro nozze.
Sembra
che ci fosse stato uno scandalo, perché lei veniva dalla
Cina, e all’epoca i
nostri paesi erano in piena guerra… lui era stato ferito, e
lei lo aveva
trovato, moribondo, e lo aveva raccattato. Si era presa amorevolmente
cura di
lui, senza permettere a nessuno della sua famiglia di dirle il
contrario: disse
che lui aveva bisogno di lei, che era un essere umano e che la vita
andava
salvaguardata. Col passare dei mesi si innamorarono, e quando lui
tornò al suo
paese, alla fine della Prima Guerra[La
prima Guerra Sino Giapponese, 1º agosto 1894 al 17 aprile 1895], la portò con sé, e
combatté con le unghie e
con i denti perché fosse riconosciuta come la sua legittima
sposa.”
“Sayuri,
non posso accettarlo…” Kaori protestò,
ma la sorella scosse il capo, mettendole
al collo il ciondolo.
“Tu sei proprio come Mei, e anche la
storia tra te e Ryo… ricorda molto quella tra lei ed il
nonno. Sono certa che
le sareste piaciuti, sai?” la donna scrollò le
spalle, e con il pugno asciugò
alcune lacrime. “Insisto, Kaori. Voglio che lo abbia tu,
è il mio dono di
sorella.”
“Ma… ma io non ho nulla per
te… solo la
mia busta…” La rossa arrossì,
abbassando il capo, lievemente imbarazzata di
avere solo la tradizionale offerta da regalare alla sorella maggiore.
Ma Sayuri
prese le mani di Kaori tra le sue, stringendole.
“Ci sposiamo insieme, ed è
quello che
sognavo da bambina. Quasi non mi sembra vero, sai?”
Sayuri la abbracciò, e Kaori strinse
forte i denti, desiderosa di piangere, ma conscia che quella farsa le
impedicava
di farlo. La sola idea di mentire in quel modo alla sorella la
distruggeva, ma
non poteva renderla complice di quel crimine di cui lei e Ryo
– e Saeko, che li
stava coprendo – si stavano rendendo responsabili.
E poi, anche se era da poco che si
erano ritrovate, la amava, di un amore puro e sincero, spontaneo, che
le
nasceva da dentro e le scaldava le giornate: darle una delusione
sarebbe stata
l’ultima cosa che avrebbe fatto.
Kaori
ricambiò quell’abbraccio, stringendo la mano a
pugno intorno al cimelio di
famiglia: per il suo bene, Sayuri non avrebbe mai dovuto sapere la
verità.
“Oh, ragazze, andiamo, mi fate
piangere!” Eriko ammise, tirando su con il naso in maniera
poco elegante, e
pulendo con una candida manica i grossi lacrimoni che le scendevano sul
viso,
lasciando sbaffi di mascara ed eyeliner ovunque. “Oh, ma
guarda che disastro!
Su, smettetela, ricomponiamoci ed andiamoci a divertire!”
“Di-divertire?” Kaori
domandò, col
cuore in gola, impallidendo.
Non era ciò che aveva detto Eriko,
quanto
il tono che aveva usato per dirlo: non preannunciava nulla di buono.
“Ma certo!” L’amica
le rispose dandole
una sonora pacca sulla spalla, scoppiando nuovamente in una fragorosa
risata
che sembrava quella di un cattivo di un film di serie C-2.
“Questa è la tua
ultima serata da single, dobbiamo festeggiare a dovere!”
Kaori sbatté gli occhioni, la bocca
leggermente aperta in un’espressione di terrore.
Sì, le parole di Eriko le facevano
sempre più paura…
Non
erano riusciti a scrollarsi Shinsato di dosso.
Dopo l’incontro con il sacerdote, Ryo
ed il futuro cognato- per quanto gli facesse strano, stava iniziando ad
abituarsi a chiamare così quell’ometto simpatico
– erano andati a fare un giro.
L’uomo e la sua futura sposa avevano organizzato tutto
tramite agenzia, che
appena sbarcati in Giappone aveva fatto trovare loro in albergo gli
abiti da
cerimonia, che adesso erano al sicuro in quello che fino a pochi giorni
prima
era stato l’armadio di Kaori. Ryo, però, si
ritrovava sguarnito.
Appoggiandosi ad un paio di vecchie
conoscenze, a tipi a cui non era lui a dovere favori, ma il contrario,
ed ad
altri a cui Ryo aveva promesso che avrebbe permesso di lasciar cadere,
molto
casualmente, il suo nome de guerre nelle
conversazioni – avere la protezione del fantomatico City
Hunter faceva comodo –
lo sweeper era riuscito a procurarsi ciò che gli serviva.
Aveva poi riportato
tutto a casa, ma poi erano arrivati Mick ed un reclutante Falcon, che
tuttavia
non la smetteva di lanciargli sorrisetti maliziosi e stupidi, quasi a
volerlo
sbeffeggiare, e lo avevano trascinato in giro a “fare
baldoria per l’ultima
volta”.
Shinsato aveva continuato a seguirli,
standogli alle spalle con in mano quel suo dannato taccuino, occhi
bassi dietro
quelle spesse lenti, perennemente
intento a prendere appunti, e Ryo ingoiò a vuoto, percorso
da un irrazionale
brivido di terrore, immaginandolo che spuntava chissà quali
voci da una lista
immaginifica, decurtandogli punti.
Allo zero, lo avrebbe portato a forza
su uno stramaledetto aereo.
Lo sweeper prese a guardarsi intorno,
con fare frenetico, mani in tasca dello spolverino nella speranza di
apparire
normale, calmo e pacato, sebbene fosse lungi dal provare quei
sentimenti in
quel preciso istante. Gli occhi gli ricaddero sulle schiene di Mick e
Peter che,
davanti a lui, già amiconi,
conversavano
in inglese, sghignazzando, tenendosi a braccetto.
Erano già mezzi sbronzi.
Lanciò un’occhiata furtiva a
Shinsato,
che però avvertì lo sguardo dello sweeper su di
sé e ricambio con un disarmante
sorriso di mesta soddisfazione, che non fece altro che far aumentare
una volta
di più il groppo che Ryo aveva in gola. Non vedeva
l’ora di essere sposato con
Kaori: gli uomini avrebbero smesso di girarle intorno e
si sarebbero tolti di torno quel microbo rompiscatole.
“Allora vecchio mio, cosa ne dici?
Andiamo a farci un giro in un locale di spogliarelli? Offriamo noi
stasera, amico
mio!” Mick esultò, afferrando Ryo per il collo,
decisamente alticcio. “Anzi,
sai che ti dico? Li giriamo tutti! Quelle
povere conigliette hanno bisogno di consolarsi un’ultima
volta prima che lo
stallone venga imbrigliato! Ah, ah, ah, ah!”
Con il rombo di un tuono, la penna
venne fatta scattare, e pese a
lasciare
segni sulla carta; Ryo sapeva che non poteva udire nulla, ma era come se qualcuno stesse
trascinando le unghie su una
lavagna, un suono raccapricciante che gli fece venire la pelle
d’oca.
Guardo il piccolo burocrate, che
ghignava soddisfatto, certo di averlo in pugno: se lui aveva una vita
dissoluta, di certo non poteva essere felicemente fidanzato, quindi era tutta una falsa, ergo aveva
un posto in economica riservato sul prossimo volo per la Colombia.
Una goccia di sudore, lenta, gli scese
dalla tempia, mentre Ryo combatteva contro la sua stessa natura, i
muscoli tesi
e doloranti, per fare ciò che era giusto, nonostante la
forte tentazione che i
giovani corpi semi nudi delle sue adorate conigliette rappresentavano.
“Mick, non scherzare. Io una cosa
così
a Kaori non la faccio! Solo a pensare di vedere una donna nuda che non
è lei…
no, no guarda…. Senti, andiamo a casa, ci facciamo un
bicchiere, e poi tutti a
nanna, che domani è una giornata pesante e così
importante… voglio dire, ci
pensi? Dopo tanti anni che ci amiamo, finalmente Kaori e io ci
sposiamo! Non
sei contento? Non dovrai più consolarla, perché
ci sarò io per lei!”
Ryo sogghignò, sporgendosi verso
l’ex
socio, la mano non molto nascostamente a sfiorare il calcio della
Python nella
fondina celata dalla sottile giacca azzurra.
Il messaggio era chiaro: sarà
solo un matrimonio di convenienza per
adesso, ma vedi di stare alla larga dalla mia donna!
Mick ingoiò, recependo fin troppo bene
il messaggio, e fece cenno di sì col capo, mentre, Falcon
che sghignazzava
tutto contento per come stavano andando le cose e per la nuova vita da
monogamo
serio di Saeba, giravano sui tacchi e se ne tornavano verso casa
Saeba-Makimura, pronti a passare l’addio al celibato seduti
sul divano a bere
un bicchierino e guardare nel vuoto.
Che tristezza: si sentiva vecchio solo
al pensiero!
Con un sorrisetto un po’ malinconico,
Mick guardò Ryo: almeno stava iniziando a fare sul serio il
monogamo; sarebbe
stato di buon auspicio per la sua nuova vita con Kaori.
Perché ne era certo:
quei due potevano raccontarsi tutte le balle che volevano, ma quel
matrimonio
lo avrebbero preso sul serio, e già lo facevano, senza
nemmeno rendersene conto
o volerlo ammettere. Non sarebbe stata solo una finta per loro, mai.
Eh
fratello mio, hai finito di fare il playboy, ma vedrai… una
volta sposato, ogni
cosa che credevi potesse avere senso da scapolo perderà ogni
valore, e tu avrai
occhi solo più per lei!
Kaori
se ne stava seduta al tavolino del locale rigida, impettita, tremando
come una
foglia, con il profondo desiderio di scappare o piangere. Fiumi di
sakè, birra
e cibo spazzatura giravano tra i tavoli, mentre, un velo da sposa sul
capo,
Kaori guardava le amiche e la sorella sghignazzare come delle oche
giulive, già
brille.
Che ci fosse anche quel donnone
di Erika, con il suo vistoso
vestito rosso stile Jessica Rabbit, il trucco pesante e il boa di piume
di
struzzo, e che le stesse dando delle sonore pacche sulle spalle facendo
marcatissime allusioni sessuali sulle prestazioni di Ryo non aiutava,
anzi.
L’unica cosa positiva che era venuta fuori da
quell’uscita assurda, che non lasciava
presagire nulla di buono, era che, come regalo di nozze, e solo
perché era con
la cara, dolce ma forte Kaori che
Ryo
si sposava, Erika aveva deciso di annullare tutti i passati debiti di
Ryo (e,
guardando Kazue, aveva sottolineato più e più
volte che si trattava solo di
quelli di Ryo, e che quindi Angel doveva pagare, e pure presto, e che
con loro
due, avessero deciso di sposarsi, non sarebbe stata così
magnanima).
La ragazza tirò un sospiro di sollievo:
un debitore in meno da pagare!
“Oh, Kaori, tesoro, spero che tu sia
pronta per la sorpresa che Reika ti ha preparato!” Erika
cinguettò, senza
notare lo sguardo assassino che la sweeper mandò
all’ex rivale, che sbatteva le
ciglia finte con la stessa maestria della sorella.
Le luci si abbassarono, e mentre una
musica dalla caricaturale carica erotica partiva in sottofondo, un faro
illuminò il centro del palco, dove un tizio mingherlino,
vestito con quello che
sembravano pezzi di smoking, ballava in un modo osceno: non per le pose
erotiche, perché quelle erano caricaturali, ma semplicemente
perché era chiaro
come il sole che non sapesse fare un bel nulla.
L’aura di Kaori continuò a
tingersi di
scuro, il desiderio omicida che le saliva dentro. C’erano
stati momenti in cui
aveva creduto che Reika non fosse il pessimo soggetto che Miki le
dipingeva, da
cui la metteva in guardia, ma adesso si rendeva conto che
l’amica aveva avuto
ragione da vendere. D'altronde, cosa aspettarsi, dato che era una delle
donne
che aveva cercato di mettere in guardia quel piccolo burocrate
rompiscatole,
andandogli a raccontare che era impossibile che Ryo la volesse come sua
compagna di vita?
Quella
strega, vuole vendicarsi perché non le ho permesso di
mettere le mani su Ryo…
ma se pensa di imbarazzarmi si sbaglia di grosso!
“Oh, Kaori cara, sei così
fortunata ad
avere Ramon! Lui è il mio unico ballerino maschio! Sapessi
che difficoltà
convincerlo a esibirsi stasera… lui normalmente fa solo uno
spettacolo alla
settimana!” Kaori sgranò gli occhi, non faticando
a crederlo: se Ramon si fosse
esibito più volte, di sicuro Erika non avrebbe avuto
più clienti.
Quel tizio era terribile… eppure
sembravano stravedere tutte per lui, gli lanciavano banconote,
reggiseni,
gioielli… era una cosa da pazzi! Certo che il loro
quartiere, quanto a
intrattenimento per il gentil sesso, doveva essere davvero messo bene
se quello
era il massimo che c’era- e le donne erano pure entusiaste!
Kaori fece una risatina, mentre Ramon –
che era latino quanto lo era lei, ovvero allo zero percento - si
strappava di
dosso i vestiti, rimanendo solo in boxer aderentissimi. Nascondendo la
risata
dietro una mano, Kaori lanciò un’occhiataccia
colma di scherno
all’amica/nemica, che la guardava con uno sguardo
interessato, quasi attendesse
il momento in cui Kaori sarebbe fuggita a gambe levate dal
locale…
Sono
quasi dieci anni che devo sorbirmi le nudità oscene di quel
pezzo di idiota, se
pensi che un tizio in boxer mi possa mettere in soggezione, caschi
male, cocca…
Ramon, “danzando”, se
così si poteva
dire, al ritmo della musica dance anni settanta, trotterellò
verso il loro
tavolo con un ghigno infido e lascivo, disgustoso, sul viso- e trottare
era
proprio il verbo giusto, perché fingeva di essere a cavallo
di un fantomatico
ronzino, neanche fosse stato un bambino di tre anni.
Quando arrivò al tavolo e le sorrise,
mostrando un paio di denti mancanti, il resto giallo, la leggera pancia
da
bevitore di birra, Kaori non poté più
trattenersi, e sotto gli sguardi allibiti
delle presenti, scoppiò a ridere, nascondendo il viso sul
tavolo.
Non ce la faceva, quella situazione era
troppo comica e surreale: quel tipo sembrava uscito da un western di
Sergio
Leone, con quell’aspetto ridicolo!
Reika guardò Kaori con fare sdegnato,
piccato: aveva sperato almeno di imbarazzarla, renderle quella giornata
un po’
più dura, ma nisba: la rossa sembrava avere la meglio su di
lei su tutti i
fronti. Si voltò a guardarla, un po’ mogia, arsa
da una leggera invidia, ma
all’improvviso, vedere come tutti ridevano e scherzavano con
Kaori, come Saeko
stessa, spesso fredda e distaccata, perfino con le sue stesse sorelle a
meno
che non fosse per rimproverarle, le fece sentire
qualcos’altro.
Forse Kaori non sarebbe mai stata sua
amica, anche causa della forte infatuazione che l’ex
poliziotta aveva nutrito a
lungo verso Ryo, e che ancora albergava, come una spina, nel profondo
del suo
animo: ma Kaori era un’anima troppo buona per volerle davvero
male, per
odiarla… lei era il cuore di quello sgangherato gruppo di
amici, di quella
famiglia improvvisata nata dal caso e non dal sangue.
Reika, sorridendo e ridendo
sguaiatamente, diede una pacca sul sedere del ballerino, facendolo
arrossire
come un peperone e mettendolo in imbarazzo, e lasciandogli un bel
gruzzoletto
nelle mutande, lo congedò. Sotto lo sguardo tutto sommato
grato di Kaori e la
delusione totale delle femmine del locale…
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Capitolo 6 *** Queste nozze... ***
Rumore
convulso di passi, chiacchiericcio, risate: i suoni si stavano
avvicinando
sempre più.
Mentre un pallido raggio di sole
filtrava dalle veneziane, Ryo aprì un occhio, e
acuì il suo fine udito,
allenato ad avvertire anche il più flebile rumore a
qualsiasi distanza, proprio
come un letale felino pronto ad azzannare la sua preda.
La maniglia si abbassò.
Con un calcio, nascose il futon sotto
al letto, mentre lui si gettò sotto alle lenzuola, solo in
boxer, e prendeva
tra le braccia Kaori. Il primo istinto della donna fu quello di dargli
una
gomitata nello sterno, una martellata, un calcio, qualsiasi cosa, ma il
socio
le coprì la bocca con una mano, mentre con l’altra
la attirò a sé, pelle contro
pelle.
Kaori sgranò gli occhi.
Ryo bruciava- non del calore febbrile,
ma di quello sensuale, del desiderio. Socchiuse gli occhi, trattenendo
un
gemito, lottando con tutta sé stessa per non abbandonarsi a
quel contatto,
sentendosi forse per la prima volta in vita sua creatura sensuale col
desiderio
di sedurre; Ryo la guardò stralunato, il pomo di Adamo che
gli danzava nel
collo, abbassandosi ed alzandosi al ritmo del cuore ormai impazzito, e
la
donna, la mente ancora annebbiata dal sonno, ne fu incantata. Mentre
lui si
allontanava, onde evitare spiacevoli incidenti, lei lo seguiva, lo
cercava,
stregata, desiderosa di posare le sue labbra e sentire sotto alla bocca
il
sangue che scorreva.
La rossa stava già sospirando,
languida, quando accadde: la porta si spalancò, Sayuri e
Peter entrarono come
un uragano e lei si svegliò del tutto, trovandosi
avvinghiata a Ryo.
Arrossendo, cercò istintivamente di allontanarsi da quel
forte e solido corpo
maschile, ma lui, le mani celate dalle lenzuola, la trattenne a
sé, il
fondoschiena della donna che premeva contro il davanti dei boxer- e
qualcosa di
molto grande, molto duro, e decisamente molto sveglio.
“Oh ma come siete carini….
Siete così
dolci, dopo tutto questo tempo vi desiderate ancora!” la
giornalista
piagnucolò. Kaori guardò la sorella leggermente
incredula, chiedendosi se
Sayuri non fosse preda degli ormoni, dato quel comportamento
così insolito- le
fregole di Ryo avevano scatenato le sue ire in passato, mentre adesso
lo
trovava dolce
e romantico: Sayuri non era decisamente
normale, quindi, molto probabilmente, se mai avesse avuto dei
dubbi… forse non
lo era nemmeno lei. Non del tutto, almeno.
“Vi abbiamo portato la
colazione!”
Peter strillò la voce così acuta da far venire il
mal di testa anche a chi,
diversamente dalla coppia di sweeper, la sera prima, non aveva alzato
il
gomito. L’uomo si fece largo nella stanza senza chiedere
nulla, e posò in grembo
alla coppia, sorridendo
compiaciuto a
Ryo che accarezzava dolce i capelli profumati della sua bella, con lo
sguardo
da trota lessa tipico degli uomini innamorati, assaporando il delicato
profumo
della sua amata.
“Ehm, che cari, ma non era il
caso!” lo
sweeper provò a stemperare la tensione e
l’imbarazzo. “Voglio dire, siete
ospiti, toccherebbe a noi…”
“Niente scuse, Saeba! Siamo una
famiglia, e questo è il genere di cose che fa una famiglia,
chiaro?” Sayuri
tuonò, mani sui fianchi, prima di trascinare via dalla
stanza il fidanzato,
chiudendo la porta alle loro spalle con un colpo assordante che fece
muovere i
muri. “Sbrigatevi e poi preparatevi… e ricordati
Ryo che non puoi vedere Kaori
vestita da sposa, devi andare al tempio per primo con Peter!”
Sbraitò dalle
scale.
La coppia ricadde sul materasso,
tirando un sospiro di sollievo- eppure, erano ancora abbracciati, il
capo di
Kaori appoggiato al petto di Ryo, le labbra che, avesse fatto un minimo
movimento, avrebbero sfiorato la sua giugulare. Sotto di lei, Ryo si
mosse
leggermente per accomodarsi meglio, e fu allora che Kaori
ricordò cosa aveva
avvertito quando Sayuri era entrata prepotentemente in camera, e cosa
stava
ancora avvertendo.
“Ryo!” Sibilò lei a
bassa voce,
arrossendo.
“Beh, è mattina, e questa non
è certo
la prima volta che incontri il mio Mokkori mattutino, no? Mi ricordo
quando eri
appena diventata la mia assistente, una mattina non mi volevo svegliare
e tu mi
sei praticamente seduta a cavalcioni, senza renderti conto che
così il mio amichetto
sarebbe finito proprio sotto quella gonnellina corta e aderente che
avevi
indosso…” Lui sorrise sornione, dando una semplice
alzata di spalle, mentre un
rivolo di bava iniziava a scendergli dalla bocca.
“Mm… mi ricordo ancora la
perfetta visuale che avevo su quelle tue belle tettine!”
Rossa come un peperone, fumante, Kaori,
conscia dei rischi, che da lì a poche ore sarebbero divenuti
marito e moglie,
decise di essere magnanima: non lo prese a martellate.
Si limitò a mandarlo fuori dalla stanza
a calci nel sedere, mentre Ryo, grattandosi il capo, se la rideva della
grossa:
quel matrimonio avrebbe riservato loro delle belle sorprese, ne era
assolutamente certo!
Peter
e Ryo avevano lasciato al vecchio sacerdote e alle sue Miko, tutti
agghindati
nei loro abiti tradizionali, le buste con le offerte, mentre era stata
Miki a
raccogliere quelle degli invitati, riservate agli sposi, come da
tradizione;
quelle riservate a Sayuri ed il suo futuro sposo erano state
più piccole,
mentre per Ryo e Kaori i loro amici avevano
chi messo qualcosa in più, chi si era limitato
a lasciare note in cui
avevano scritto che i debiti della coppia (ma soprattutto di Ryo)
venivano
azzerati.
Ryo, non molto a suo agio nell’abito
tradizionale, si grattò il capo, sospirando, quasi
intimidito dalla mole di
persone accorse per celebrare il suo matrimonio, forse anche
perché lui e Kaori
non avevano delle vere e proprie famiglie di sangue : c’era
davvero parecchia
gente lì, a festeggiarli, amici, conoscenti, colleghi, ex
clienti… persone che
volevano loro bene, e che erano felici per lui e per Kaori. Persone che
loro
stavano ingannando con quella farsa. C’era anche il
professore, che sogghignava
in una maniera quasi sinistra…. Ryo lo fulminò
con lo sguardo, chiedendosi cosa
stesse tramando il vecchio, se la sua vendetta non fosse stata quella-
farlo
accasare, fargli dire addio alla sua vita sballata da lussurioso
scapolo
impenitente…
Lo sweeper alzò un sopracciglio, con un
sinistro luccichio negli occhi che fece ingioiare a vuoto al vecchio:
neanche
lo sapeva, eppure gli aveva fatto un favore.
Più si avvicinava il fatidico istante,
più lui si sentiva in colpa, verso quelle persone ma
soprattutto verso Kaori;
parte di lui avrebbe voluto tirarsi indietro, ma uno sguardo al piccolo
burocrate nell’angolo gli fece capire che avrebbe fatto
meglio a tacere se non
voleva trovarsi in guai seri.
Ingoiò a vuoto, mentre tornò
a guardare
davanti a sé; guardò Peter, che rideva e
scherzava, il contrario dell’uomo
serio e pacato che aveva immaginato per Sayuri, e scherzò
con lui; poi l’uomo
si zittì all’improvviso, ed il suo volto si
illuminò di un sorriso di pura
gioia mentre i due uomini attendevano, davanti alla scalinata in
cemento,
l’arrivo delle loro donne.
Come al rallentatore, Ryo si voltò, e
le vide.
Davanti, c’era Sayuri; era vestita di
bianco, ma il suo kimono aveva degli accenti di rosso, dandogli una
nota di
modernità; capelli raccolti secondo la tradizione, portava
un cappellino bianco
di carta, secondo l’uso di molte spose.
Ma non fu lei a fargli mancare il fiato
in gola, ma Kaori.
La sua socia incedeva lenta verso di
lui, vestita interamente di bianco, il colore della purezza, della
verginità,
il capo basso. I capelli fulvi celati dal pesante wataboshi,
Ryo poteva tuttavia intravedere le gote arrossate, le
labbra laccate di rosso.
Era una sposa, emozionata al suo stesso
matrimonio: una sposa che arrivava casta e pura alle sue stesse nozze.
Erano
anni che Ryo si era chiesto cosa farne di lei, perché Maki
gli avesse affidato
la sorella… l’aveva tenuta con sé,
allontanata, ripresa, allontanata di nuovo,
le aveva dato speranze, poi le aveva strappate solo per illuderla,
ancora e
ancora e ancora.
E adesso, lei camminava verso di lui,
pronta a dargli la mano perché la accompagnasse
all’altare, e diventassero una
famiglia, una coppia vera almeno agli occhi del mondo.
Mentre camminavano vero l’entrata del
tempio ed il sacerdote, le Miko che reggevano gli ombrelli cerimoniali
sui loro
capi, lo sweeper avvertì una morsa al petto; ad ogni passo
avvertiva gli
sguardi degli amici su di sé, e guardava i volti di quelle
persone che stavano
ingannando, persone che erano felici per loro.
Il sacerdote li benedì, come da
tradizione, poi entrarono nel tempio e si inginocchiarono davanti a
lui, Sayuri
e Peter da una parte, Ryo e Kaori al loro fianco. Il sacerdote
iniziò la
cerimonia, partendo come tradizione voleva dalla coppia più
anziana; ringraziò
gli avi e la divinità del tempio, Inari, Dio della
fertilità, chiedendogli di
benedire l’unione delle coppie e di dare loro molti eredi
sani e forti, e poi,
come da tradizione, offrì, prima allo sposo e poi alla
sposa, la tradizionale
coppa di sakè.
E poi, come fosse stato un matrimonio
Occidentale, giunse il momento dei voti e dello scambio degli anelli.
Peter prese la fede d’oro, emozionato,
con le mani che tremavano, e mentre
la
metteva al dito della donna, che versava lacrime di felicità
e risplendeva di
gioia allo stato puro, ripeté la formula tradizionale in cui
prometteva di
esserle fedele, rispettarla, e tutto il resto. Dopo fu il turno di
Sayuri, che
ripeté gli stessi gesti, le stesse parole… e fu
allora che, col cuore in gola,
ed un lama che pareva trapassargli il cuore, Ryo guardò
Kaori.
Era… ferita. O forse quella non era la
parola adatta, la parola giusta. L’ombra che si celava sul
bel volto sembrava
essere quella della gelosia.
Soffriva perché si sposava senza amore-
o comunque con un amore in parte falso, malato, mai veramente vissuto,
alimentato da anni di angherie, menzogne, dieci passi avanti e quaranta
indietro. Kaori era pronta a mentire davanti ai suoi avi, ad i suoi
amici, alla
sua famiglia, per lui, per salvargli la faccia e la pelle.
Arrivava a quelle false nozze pura e
casta, mantenutasi vergine nella segreta speranza di poter un giorno
consumare
l’unione con l’unico uomo che avesse mai veramente
amato: lui.
Ryo lo sapeva: non avrebbe mai potuto
resisterle. La amava troppo, la desiderava in modo smodato, e una volta
ufficializzata la loro relazione, una volta che questa fosse stata
consacrata,
non avrebbe più avuto motivo di celare i suoi istinti, il
suo desiderio, e
avrebbe finito per farla sua e raccogliere il frutto proibito.
Ma il loro matrimonio avrebbe
funzionato, alla lunga? E se uno di loro si fosse stufato, o
semplicemente, si
fossero resi conto, nel lungo termine, che non era cosa per loro? Kaori
sarebbe
stata macchiata, impura, non avrebbe più potuto donarsi ad
una persona
realmente degna del suo amore.
E sarebbe stata solo colpa sua.
Non poteva farlo- anche se significava
fuggire, andarsene, rinnegare tutto ciò che era stato fino
ad allora: era un
piccolo sacrificio, se significava salvare l’anima di
Kaori… e non ingannare i
loro amici, quella loro pazza famiglia che continuava a sceglierli ogni
sacrosanto giorno.
Inginocchiato davanti al sacerdote, Ryo
a malapena notò la tazza di ceramica che l’uomo
gli porse, mentre recitava la
formula di rito, chiedendogli se
acconsentisse a prendere Kaori come sua sposa. Pugni chiusi sulle
ginocchia,
denti stretti, muscoli così tesi che fremevano sotto alle
pelle, la voce di
Ryo, con quella singola parola, risuonò nel silenzio del
tempio, sotto agli
sguardi attoniti dei presenti.
“No.”
Shinsato, che fino a quel momento se
n’era stato mogio in un angolo, testa bassa, piagnucolante
all’idea di tutto
ciò a cui avrebbe dovuto rinunciare senza la promozione, ma
soprattutto
immaginandosi già gli sberleffi dei colleghi,
avvertì un brivido di eccitazione
improvviso appena udì quella sillaba. Con occhi colmi di
lacrime di gioia,
balzò in piedi, e sogghignando percorse i pochi passi che lo
dividevano da Ryo
e Kaori, e mise una mano sulla spalla dell’uomo,
artigliandola nemmeno fosse
stato uno spietato avvoltoio che si gettava sul corpo ferito del povero
agnellino.
Lo sapeva. Saeba
è troppo un dongiovanni per cedere alle lusinghe di una sola
donna, le voci erano vere!
Kaori si tolse il cappuccio di seta, e
stringendo i denti, le gote arrossate non per la timidezza ma per la
rabbia,
fulminò l’omuncolo
e poi Ryo, che con
sguardo triste si fissava i piedi.
“Ryo, ma si può sapere cosa
diavolo
stai dicendo?” gli domandò, cercando di mascherare
l’irritazione e la
preoccupazione sempre crescenti. Ryo si limitò a scuotere il
capo e, alzandosi
in piedi, si voltò verso tutti i presenti, facendo un
piccolo inchino, come a
volersi scusare.
“Io…. Devo fare una
confessione.
Vedete, il signor Shinsato è un ufficiale
dell’immigrazione, e… e per la legge
io non risulto essere un cittadino Giapponese, ed era, ed è,
sua intenzione
deportarmi.” Ammise, grattandosi il collo, chiaramente
imbarazzato; Saeko si
portava una mano al cuore, come per calmarlo, rendendosi conto di cosa
l’amico
stesse facendo, mentre Kaori a malapena tratteneva le lacrime, anche se
lei
stessa faticava a capire perché piangesse:
rabbia, dolore, delusione? Tutti quei sentimenti albergavano nel suo
cuore nel
medesimo istante.. “Ma io non volevo andarmene da quella che
per me è da ormai
oltre quindici anni casa, e quindi… quindi ho costretto
Kaori a piegarsi a
questa farsa.”
“Ryo, no!” La donna
sospirò, col pianto
che le moriva in gola, alzandosi, e posando una mano sulla spalla
dell’uomo, le
labbra strette in una perfetta linea retta, e lacrime che le rigavano
il viso,
disfando il trucco e macchiandolo del nero del Kajal.
Ryo si limitò a scuotere il capo.
“Vi abbiamo mentito, a tutti voi, vi
abbiamo fatto credere di essere una coppietta di fidanzatini pronta a
sposarsi.
Credevo di poter sposare Kaori e comportarmi come nulla fosse, di
potervi
mentire, a voi, a Sayuri, ma… ma non posso.
Non dopo aver visto quanto tenete a noi. Cosa voglia dire
davvero amare
qualcuno.”
“Ma…
Ryo…” Kaori singhiozzò, ma lui, di
nuovo, scosse il capo, e con un sorriso mesto si limitò a
darle un leggero
bacio sulla fronte, un bacio in cui le trasmise tutto il suo amore,
dolce e
profondo, un amore che nasceva dal profondo del cuore e che per anni
gli era
scorso dentro, nutrendolo quasi fosse stato linfa vitale.
“Sarai sempre la persona più
importante
della mia vita, Kaori.” Le disse, prima di voltarsi e
andarsene, seguito dal
burocrate che fin dal principio aveva capito che cosa stessero tramando
quei
due scapestrati. Arrivato alla porta del tempio, però, si
fermò, posando una
mano sulla spalla di Falcon, che era vicino a Mick e le loro compagne.
“Vi
affido Kaori, prendetevi cura di lei.”
In un attimo, lunghissimo ed
interminabile, Ryo fu lontano dalla loro vista – ma non dal
loro cuore. Kaori
finalmente fu in grado di reagire, e cessò di piangere. La
delusione lasciò spazio
alla rabbia, e la sua aura si macchiò, divenendo ardente
come il fuoco
infernale, mentre la donna stringeva i denti, e sotto gli occhi
attoniti dei
presenti, stringeva un pugno, fiera.
“Adesso?”
Sibilò. Senza attendere oltre, sollevando la gonna del
kimono, gettando gli
scomodi sandali in un angolo, marciò fuori dalla stanza,
afferrando Mick per la
cravatta e lo trascinò fuori. “Adesso mi dice che
tiene a me? Che sono la
persona più importante della sua vita? Ma chi…
chi diavolo si crede di essere quell’emerito
idiota?! Ah, ma gliela faccio vedere io! Se lo può scordare
di lasciarmi
all’altare! Nessuno fa una cosa del genere a Kaori Makimura!
Mick, prendi la
macchina e portami all’aeroporto, subito! Se pensa che lo
lascerò partire senza
avergliene dette quattro si sbaglia di grosso!”
L’ex Sweeper sbatté le
palpebre,
incredulo: quei due erano fuori di testa, ma chissà, forse
proprio per quello
erano perfetti l’uno per l’altra.
Scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo,
mentre si incamminava verso la sua macchina con Kaori che lo precedeva,
camminando spedita a passo marziale, con tutto il loro folto gruppo di
amici
che alla fine si aggregò, ognuno sulla propria auto.
Destinazione:
Aeroporto di Haneda!
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Capitolo 7 *** False Partenze ***
Vestiti casual addosso, raccattati al
duty free, mani in tasca, una sacca con il minimo indispensabile, Ryo e
Shinsato erano al gate dell'aeroporto, pronti per l’imbarco
dello sweeper,
destinazione Sud America.
La mano di Ryo andò al petto, dove
mancava la fondina e la Python, senza il cui peso e la presenza si
sentiva
nudo. Aveva freddo, Ryo: si sentiva gelare, ma soprattutto avvertiva un
senso
opprimente di solitudine, e aveva la netta impressione che non sarebbe
stato
mai più felice - non senza i fratelli Makimura nella sua
vita, senza i suoi
amici, senza la famiglia che negli anni si era creato, quelle persone
che,
nonostante tutti i suoi tanti difetti, le sue stranezze, nonostante
conoscessero il suo passato e le colpe di cui si era macchiato, avevano
scelto
di rimanergli accanto negli anni e supportarlo nelle sue scelte,
spingendolo a
crescere.
“Avrebbe dovuto
cedere fin dal principio, signor Saeba,” Shinsato
sogghignò, apparendo perfino
più tronfio di quello che effettivamente era: Stava fiero,
impettito nemmeno
fosse un pavone, mettendo il petto in bella vista, senza nemmeno
accorgersi di
cosa l’uomo al suo fianco effettivamente provasse: lui aveva
raggiunto il suo
obiettivo, e tanto bastava, chiunque avesse incontrato lungo il suo
cammino si
meritava di essere schiacciato o peggio. “Beh, almeno si
è fermato in tempo, e
la sua amichetta non subirà ripercussioni… sono
un uomo d’onore, io!”
Ryo non gli
dette la benché minima attenzione, perso
nell’imprimere nella memoria ogni più
piccolo particolare della sua vita in Giappone, gli anni passati
accanto a
Kaori, la sua bellezza quel giorno, la perfezione assoluta di quella
creatura
che sembrava più divina che umana in quel giorno che sarebbe
dovuto essere uno
dei più belli della sua vita- delle loro
vite. Tirando un sospiro profondo, preparandosi psicologicamente al
lungo volo,
Ryo per un attimo rimpianse di aver parlato, e di averla lasciata
andare, di
non essere stato abbastanza uomo da piegarsi al bruciante desiderio che
per
anni lo aveva attanagliato.
Farla sua, non
per una notte ma per una vita intera.
Essere il suo
uomo- l’unico, il solo a conoscere il piacere che quel corpo
divino avrebbe
potuto dare e ricevere e provare. Essere suo maestro, insegnarle che
non era
meno delle altre donne, anzi, valeva dieci volte di più
della migliore delle
altre, e cosa significasse essere femmina fertile colma di desiderio,
un
desiderio per cui non aveva da nutrire pudore e vergogna,
perché totalmente
naturale.
Ma non avrebbe mai insegnato a Kaori
cosa significasse essere la sua amante.
La sua sposa.
Sua moglie.
La madre dei
suoi figli.
Adesso, era
tutto finito. Lui se ne sarebbe andato, col tempo Kaori lo avrebbe
dimenticato,
sarebbe tornata a vivere la sua vita, una vita normale, da persona
comune, lontana
dal mondo della criminalità, degli sweeper e dei mercenari e
delle
organizzazioni malavitose come la Union Teope. Aveva sempre pensato che
quella
fosse la scelta giusta: adesso aveva trovato il coraggio di compiere
quel passo
e lasciarla andare, libera.
Non lo sapeva
ancora, appena ferita nel cuore e nell’orgoglio, ma un giorno
lo avrebbe
ringraziato, magari avrebbe chiamato come lui il suo
primogenito… o forse no.
Magari un giorno avrebbe deciso che dimenticare quella parentesi
crudele, fatta
di insulti e cattiverie e violenza sarebbe stato molto meglio, e lui
sarebbe
stato solo qualcuno a cui il suo pensiero andava, fugace, di tanto in
tanto.
Lui, invece,
non l’avrebbe dimenticata mai.
La piccola
Sugar Boy che lo aveva fatto riflettere su cosa volesse dire essere uno
sweeper, e mettersi
al servizio degli
altri.
L'irruenta
Kaori, che gli aveva insegnato fino a che punto un partner era disposto
ad
andare per il proprio compagno.
L’innocente
Cenerentola che gli aveva fatto battere il cuore.
La sua Sugar,
che gli aveva insegnato il significato della famiglia,
dell’amicizia…
dell’amore.
No, lui, Kaori
Makimura, non se la sarebbe tolta dalla testa fino a che avesse avuto
anche un
solo alito di vita in corpo.
“Ryo,
aspettami!” Lo sweeper sorrise, facendo un passo avanti, un
altro passo che lo
portava più vicino al paese dove era cresciuto, e
più lontano dalla sua Kaori,
scuotendo leggermente il capo: adesso, così concentrato su
di lei, aveva perfino
le allucinazioni uditive, e immaginava che lei lo chiamasse, con quella
dolce
voce rotta dal pianto, dal bisogno…
“Dannazione,
Ryo, vuoi fermarti e girarti,
brutto zuccone? Guarda che se non mi aspetti giuro che ti lancio dietro
uno dei
miei martelli!” Ryo sollevò il capo e
alzò un sopracciglio, chiedendosi se
fosse impazzito del tutto: continuava a sentirla che chiamava il suo
nome e lo
minacciava di prenderlo a martellate... quanto gli sarebbero mancate!
Ormai era
da parecchio che lo sciocco con le donne lo faceva solo per attirare
l’attenzione,
le ire e la gelosia di Kaori, conscio che quello era il modo maldestro
della
sua donna di marcare il territorio, una versione scenografica della
semplice
frase Ryo, mio!
Però poi Ryo vide
Shinsato alzare gli occhi al cielo, e grugnire in tono lamentoso, e
capì,
quando ancora e ancora sentì quella voce squillante chiamare
il suo nomee
minacciarlo, che non si stava immaginando tutto: Kaori era davvero
andata a riprenderselo!.
Lei lo aveva
raggiunto: aveva avuto il
coraggio di fare qualcosa che a lui non sarebbe mai passato nemmeno per
l’anticamera del cervello, codardo com’era nelle
questioni di cuore.
Ryo lasciò
cadere il borsone a terra e le corse incontro, prendendola tra le
braccia
quando lei gli si gettò addosso, braccia intorno al collo, il viso macchiato di
trucco nascosto nella
spalla del partner. Ryo la strinse, sorridendo, sentendo il suo cuore
che
finalmente riprendeva a battere, il suo corpo che si riscaldava, e come
un
fiore a primavera, tornava a vivere grazie alla carezza della presenza
della
sua amata.
“Non saresti
dovuta venire qui…” le disse, senza tuttavia
esserne veramente convinto, perché
in cuor suo sapeva che l’avrebbe aspettata per
l’eternità se fosse stato
necessario. “Sciocchina, adesso quest’ometto cosa
dirà?”
“Dica quel che
vuole, non mi importa, l’importante è che tu
senta quello che ho da dirti, Ryo, perché tu non puoi dirmi
che sono la persona
più importante della tua vita e poi andartene
così, dandomi le spalle,
affidandomi a Mick come se fossi un pacco postale… tu hai
detto la tua al
tempio, e adesso lasci parlare me, perché io sono una donna
adulta, brutto
idiota che non sei altro, non sono più la ragazzina che hai
incontrato tanti
anni fa o quella che il tuo migliore amico ti ha affidato!”
Proclamò la donna,
scostandosi da Ryo, e asciugando due grossi lacrimoni con la manica
dell’abito
da sposa, che rimase irrimediabilmente macchiato.
Tirando su con
il naso, la giovane abbassò il capo, le sue gote coperte di
trucco bianco che
si coloravano di rosso per l’emozione. “Ryo,
io… quello che ho detto quel
giorno all’ufficio dell’immigrazione…
è tutto vero. Ti amo da tanti anni, e
vorrei solo che tu potessi mantenere la promessa che mi avevi fatto,
che
avremmo festeggiato tutti i nostri prossimi compleanni insieme. Per
questo ho
accettato di sposarti, non perché fosse una tua imposizione
o chissà che, ma
perché… ti voglio, e basta. Non voglio vivere
senza di te, perciò se te ne vai…
io ti seguo, perché sono stufa che tu scelga per
me!”
Proprio come
quel giorno in cui si erano scambiati quella promessa, si presero per
mano, e
lui la trascinò nel suo caldo, sicuro abbraccio, respirando
a pieni polmoni il
profumo dell’incenso che aveva riempito il tempio, la pelle
calda di lui che
contrastava con la freschezza delicata della seta dell’abito
da sposa.
Erano sotto gli
occhi di tutti, ma per una volta, a Ryo non importava: che lo avesse
sentito
anche il mondo intero che Kaori era la sua donna, che si amavano, da
quel
giorno l’avrebbe sempre difesa, costasse quel che costasse,
nessuno si sarebbe
più potuto mettere sulla strada della loro
felicità, mafiosi, killer, burocrati,
si sarebbe occupato di tutti loro, in un modo o nell’altro.
Avrebbe difeso
Kaori. La sua famiglia. Quella che già
c’era… e quella che sarebbe arrivata nel
futuro, se il destino lo avesse voluto: renderla madre sarebbe stato la
coronazione del loro sogno d’amore, la sua dolce Kaori, cuore
della loro
famiglia, era nata per avere un figlio in grembo, nella sua vita,
crescerlo ed
amarlo.
“Sei davvero
sicura di volermi, di voler stare con me?” le
domandò, cercando gli occhi
bellissimi della fanciulla, che mai mancavano di fargli battere il
cuore
all’impazzata, emozionarlo come quel primo giorno di tanti
anni prima. “La tua
vita sarebbe molto più semplice se io non ci fossi, lo sai,
vero?”
“Forse, ma se
avessi voluto la semplicità,” gli rispose
scrollando le spalle, e alzando gli
occhi per incontrare quelli di lui. “me ne sarei andata
quando Hide è morto,
non avrei aspettato così tanto tempo. Ryo, io, io non voglio
un’altra vita,
perché questa mi piace, mi piace viverla appieno con te,
giorno per giorno,
anche se è piena di inconvenienti e avventure a volte senza
senso. Perché la
mia vita senza di te non avrebbe senso… sarebbe solo un
inferno senza fine.”
Sorridendole,
Ryo le portò le mani al viso, sollevandolo, e si
chinò su di lei; chiusero gli
occhi nel medesimo istante, e mentre Kaori si mordicchiava il labbro,
la bocca
di Ryo scese sulla sua in un bacio caldo e profondo che sapeva di amore e di casa, e che
la scaldò da capo a
piedi, rendendoli sordi al mondo esterno, a tutte le persone che
fischiavano,
sussurravano, spettegolavano, applaudivano e facevano pure loro delle
foto,
quasi fossero stati delle celebrità - e forse non lo erano,
ma mentre stavano
l’uno tra le braccia dell’altra, apparivano come i
protagonisti di una moderna
fiaba, non solo per la bellezza dei loro corpi, ma anche per quella
delle loro
anime che sembravano illuminare tutto.
Staccatosi da
lei, Ryo, con quel suo sorriso sornione, un po’ birichino,
che sembrava non
voler preannunciare nulla di buono, si mise in ginocchio, tirando fuori
dalla
tasca una scatolina di velluto nero che aprì con maestria,
con una sola mano,
prima di gettarla in un angolo, infischiandosene di dove sarebbe
finita. La
sinistra di Kaori nella sua, teneva tra pollice e indice un anello,
semplice,
una vera d’oro con un piccolo brillante, con una decorazione
semplice.
“Ma, ma, Ryo…”
Kaori si portò una mano al viso, cercando di nascondersi per
l'imbarazzo. “Tu
mi hai già chiesto di sposarti…”
“Dai, socia,
lasciamelo fare per bene, e stavolta sul serio… hai avuto
una proposta
immaginaria, una finta… la terza sarà la volta
buona!” Le fece l’occhiolino, il
sorriso che non ne voleva sapere di lasciare le sue labbra.
“Kaori, sono
ormai tanti anni che sei al mio fianco, nel lavoro… e nella
vita. Tu col tempo
sei diventata come un membro della mia famiglia. Ti amo, e sono
abbastanza uomo
da ammetterlo… e se lo vorrai, desidero che tu diventi parte
a tutti gli
effetti della mia famiglia…. per sempre.” Le
sorrise, sincero ed onesto; un
sorriso raro, di quelli che Ryo non dispensava a destra e manca, e che
proprio
per questo erano tanto cari a Kaori, che quasi sempre li riceveva.
“Kaori, lo
so che non sono perfetto, che ho tanti difetti, che il mio passato
è tutt’altro
che fulgido, ma se starai al mio fianco, cercherò di fare
del mio meglio per
essere degno di te... mi vuoi sposare?”
La donna fece
cenno di sì col capo, il viso solcato da lacrime di gioia, e
dopo averle fatto
scivolare l’anello al dito, Ryo si alzò in piedi;
la abbracciò, prima di
catturare la sua bocca in un focoso bacio, a cui fecero da sfondo gli
applausi
di tutti i presenti.
Di tutti,
tranne di uno… Shinsato, che mogio sospirava, prevedendo la
mole di lavoro che
avrebbe avuto nei giorni seguenti. Quando avrebbe dovuto rifare tutte
le
interviste sul caso Saeba… conscio,
stavolta, che non si trattava più di una farsa,
ma della realtà.
Gettato il
fascicolo alle sue spalle, se ne stava andando, mani in tasca, la sua
amata
ventiquattrore dimenticata in un angolo, quasi fosse stata solamente la vestigia di
un passato ormai da
dimenticare, quando si sentì chiamare per nome.
Era l’Ispettore
Nogami.
Svogliatamente,
cercando di apparire il più arcigno possibile, si diresse
verso la donna,
squadrandola con sguardo truce- uno sguardo che non durò,
perché lei gli
sorrise, disarmante, e lui alzò gli occhi al cielo,
sbuffando.
“E adesso cosa
vuole, Nogami?”
“Beh, stavo
pensando, che magari potrebbe fare a tutti noi un grandissimo
favore…” da
dietro la schiena, la donna produsse un foglio, che l’uomo le
strappò di mano e
studiò attentamente: era un certificato di matrimonio, a cui
mancavano solo
quattro firme: quelle degli sposi, dell’ufficiale che li
avrebbe sposati e di
un testimone.
Sbuffando come un toro inferocito,
Shinsato strinse tra le mani il foglio, spiegazzandolo. Davvero quella
donna
credeva… ma si rendeva conto di cosa gli stesse chiedendo?
Ma poi, come si
permetteva? Essere così sfacciata, così audace, e
così plateale…. Poteva essere
più palese il fatto che quella donna maledetta avesse
già organizzato tutto fin
dal principio, previsto tutti i vari scenari possibili?
E adesso osava chiedere, proprio a lui,
di rendersi loro
complice?
“Lei vorrebbe che
io…” sibilò a denti
stretti, senza finire nemmeno la frase. Gli occhietti arcigni si fecero
quasi
rossi, e Saeko vide effettivamente la somiglianza con certi ratti di
cui Ryo
aveva parlato.
Saeko batté gli occhioni e le ciglia,
mettendo il broncio come una bimbetta, tentando di apparire il
più civettuola
possibile mentre si avvicinava all’uomo, quasi strofinandosi
a lui.
“…Io vorrei tanto che lei
facesse
firmare a Ryo e Kaori questo documento che guarda
caso avevo con me, così da formalizzare la loro
posizione… lei dopotutto
nelle sue vesti di ufficiale governativo può
farlo… e qui ha tutti i testimoni
che vuole..” continuò, civettuola, passandogli una
mano sul petto, seducente e
manipolatrice.
“Ma… ma io,
veramente…” L’ometto fece
un passo all’indietro, tentò di mettere distanza
tra lui e la bella ispettrice,
ma lei non sembrava volerne sapere. Anzi: quasi sembrava che lei
continuasse a
cercarlo ancora di più, insistente nel suo approccio.
“Il fatto è che sarebbe un
tale peccato
sprecare altro tempo… Kaori e Ryo si amano così
tanto, e lei è all’antica, e non credo
che Ryo resisterà ancora a lungo
senza toccarla…
non so se ha capito cosa
intendo..” Gli fece l’occhiolino, e
l’uomo arrossì; alle sue spalle, sentendo
quelle parole, Ryo, che aveva ancora tra le braccia Kaori, prese a
sbavare,
solo a ricordare cosa era successo quella mattina, la sensazione di
stringere
Kaori con quel pigiama di seta addosso, avvertire sotto alle sue dita
ogni
curva… e far sentire a lei cosa
fosse
il vero desiderio, quanto lei lo accendesse e lo eccitasse.
Senza aspettare
che gli venisse dato il via, Ryo strappò le carte di mano
all’uomo e le firmò,
spingendole poi in mano alla sua sposa perché le firmasse
anche lei. Un po’
mogia, la donna guardò i fogli, poi guardò lui, e
poi prese a lamentarsi, con
sguardo truce.
“Certo che tu
il romanticismo nemmeno sai dove sta di casa, eh?” Kaori
sbuffò, tuttavia,
mentre parlava, la mano si muoveva veloce sulla carta, lasciando segni
precisi
e leggibili al suo passaggio. Una volta che ebbe finito, Ryo le
strappò di mano
il foglio, e lo passò prima a Saeko, per farla firmare in
veste di testimone, e
poi a Shinsato, che, lasciando anche
lui
la sua firma, alzò gli occhi al cielo, e mettendo poi il
documento nella tasca
della giacca, dato che non aveva la più pallida idea di
dove, in quel bailamme,
la sua valigetta fosse finita.
“Per il potere
conferitomi dallo Stato del Giappone e dalla città e dalla Procura di Tokyo,
vi dichiaro marito
e moglie. Può baciare….”
Occhi sgranati,
il burocrate sbatté le palpebre mentre vedeva Saeba
letteralmente divorare la
bocca della sua sposa, prendendola in braccio, prima di caricarsela in
spalle,
quasi fosse stata un sacco di patate, e correre fuori
dall’aeroporto senza
degnare nessuno dei presenti con un saluto, un grazie, o qualsiasi
altro segno
di civiltà: aveva decisamente fretta.
Evidentemente,
le storie che gli avevano raccontato su quanto la mente
dell’uomo fosse
incanalata ossessivamente verso un solo pensiero erano vere: Ryo Saeba
aveva il
sesso in testa ventiquattro ore su ventiquattro sì, ma non
con tutte, solo con
la sua donna. Alla fine aveva avuto torto, e quei due squinternati si
amavano
davvero alla follia. Certo, li avrebbe visti ancora per sistemare le
ultime
pratiche del caso, ma ormai era evidente che si sarebbe dovuto scordare
per
l’ennesima volta la promozione.
“Mah, Ryo!
Mettimi giù, so camminare da sola!” La donna
squittì, arrossendo vistosamente
in volto- sembrava essere una sua caratteristica peculiare, arrossire
sempre,
per qualsiasi cosa. “E poi è da maleducati
lasciare così gli ospiti!”
“Eh no eh,
Kaori, guai a te se ti lamenti!” Ryo sbuffò
mentre, donna in spalla, usciva
dall’aeroporto, attraendo le occhiate curiose degli
spettatori, che si
immaginavano essere su una Candid Camera. “Sono anni che mi
tengo dentro tutta
questa smania e tengo al guinzaglio il mio mokkori con te, fino adesso
ho fatto
il bravo… volevi arrivare pura al matrimonio? Ci sei
arrivata! Ma adesso
guardiamo di rifarci del tempo passato, va bene socia?”
Kaori non
arrossì, ma stringendosi a lui, e accomodandosi meglio nel
caldo e protettivo
abbraccio di Ryo, gli sorrise, e lui le lasciò un delicato
bacio sulla fronte,
che sapeva di amore, casa e futuro, promesse che stavolta Ryo Saeba
aveva ogni
intenzione di mantenere - erano finiti i tempi dei passi indietro.
“Non socia,
Ryo,” gli disse lei, lasciando un delicato bacio sul collo
dell’uomo, occhi
sognanti e una voce delicata, e per la prima volta Ryo
avvertì chiaramente
quanto Kaori in realtà non fosse più una
ragazzina, quella giovane da lui
incontrata tanti anni prima, ma donna, vera, reale, tangibile, dolce e
sensuale, tra le sue braccia.
“Hai ragione,
Kaori, adesso non posso più chiamarti socia, dato che sei
stata promossa…” Le
fece l’occhiolino, sorridendo sornione e fascinoso, ma tanto,
tanto innamorato.
“Ti va bene… Moglie?”
All’aeroporto,
Shinsato li guardò salire su un taxi e
allontanarsi verso la loro oasi di felicità e
lussuria, mentre lui
rimaneva lì col magone e le mani vuote: addio vacanza, addio
promozione, poteva
scordarsi un appartamento in un quartiere decente.
Fece un ultimo, disperato, tentativo, e
corse dietro alla macchina, rimanendo in mezzo alla strada mentre si
metteva a
gridare a squarciagola.
“VI
ASPETTO GIOVEDÌ ALLE SEDICI NEL MIO UFFICIO, NON PENSATE CHE
SIA FINITA QUI, IO
DEVO ANCORA INTERROGARVI!”
Tuttavia, lasciò ricadere le braccia,
lunghe, ai alti del corpo: ormai lo sapeva, quei due avrebbero passato
il test,
avrebbero superato qualsiasi prova che lui o il governo avesse messo
loro
davanti.
“Eh già, sono
proprio una bella coppia, eh?” L’uomo che lo aveva
raggiunto domandò, retorico,
stringendo una bella brunetta tra le braccia.
Shinsato si
voltò a guardarlo, ed un sorriso maligno, degno del
migliore-o forse peggiore -
diavolo tentatore si dipinse sul suo volto.
“Michael Angel,
se non erro….” Shinsato sogghignò,
facendosi sempre più vicino al biondo
americano. “Sa, mentre investigavo sui signori Saeba, mi sono
imbattuto in
alcune carte che la riguardavano molto da vicino, e ho pensato che
avremmo
potuto discutere della sua posizione nel nostro beneamato Paese a cose
fatte…”
eruppe in una risata sinistra, mentre ormai Mick si trovava,
letteralmente, con
le spalle al muro, ed il piccolo ed insulso burocrate davanti al viso,
incutendogli
terrore come e più di tutti i micidiali killer affrontati
nella sua lunga
carriera di sweeper. “Tra l’altro, mi saprebbe
spiegare come mai risulta
deceduto sul volo 512 della Japan Airlines? Sono proprio curioso di
sapere che
cosa si inventerà!”
Grazie a Brume per la fan-art di accompagnamento a questo capitolo!
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