Il castello errante di Klavier

di ChrisAndreini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** La maledizione ***
Capitolo 3: *** Il castello ***
Capitolo 4: *** Il mercato ***
Capitolo 5: *** Il palazzo ***



Capitolo 1
*** L'incontro ***


Il castello errante di Klavier

L’incontro

 

Klavier non riusciva a respirare. Non riusciva a pensare. Non riusciva a muovere nessun muscolo.

L’unica cosa che riusciva a fare al momento era provare dolore, un dolore che non aveva mai provato in vita sua, come se ogni fibra del suo corpo fosse in fiamme.

Si sentiva mangiato, consumato, da una forza molto più grande di lui, che lo stava lentamente privando di energia vita.

Sentiva, solo vagamente, il battito forsennato del suo cuore, come amplificato nel petto. E il crepitio del fuoco che circondava tutto ciò che era intorno a lui.

Ma non erano solo le fiamme quelle che vedeva intorno a sé. La sua mente era pervasa da ricordi, immagini, illusioni. Tutte reali, e tutte false, che gli giravano nella mente come una giostra forsennata.

Klavier voleva che tutto smettesse.

Voleva che ogni cosa intorno a lui scomparisse.

Che lui stesso cessasse di esistere.

Così che anche il dolore sarebbe presto cessato.

Il dolore stesso di esistere, che da anni ormai per Klavier aveva raggiunto il punto di rottura.

-Resisti ancora un po’, ragazzo- sentì una voce incoraggiarlo, che sembrava provenire dalle fiamme stesse, ma Klavier non credeva di riuscire a seguire ciò che diceva.

Era troppo stanco, sentiva troppo dolore. Voleva solo arrendersi, e svanire nel nulla.

Le illusioni tutte intorno a lui si facevano sempre più vorticose e nauseanti, il fuoco divampava più brillante, mangiando ogni cosa nel raggio di chilometri, trasformando tutto in cenere, compreso il suo corpo martoriato.

Il battito del suo cuore ormai era talmente rapido e forte che non sembrava più provenire dal suo petto, ma da tutto intorno a lui.

Come se le fiamme stesse fossero il suo cuore.

Era terrificante.

-Klavier!- sentì qualcuno urlare nella sua direzione.

Un’altra illusione, sicuramente.

Era una voce maschile, una voce sconosciuta.

-Klavier! Tieni duro!- la voce si fece più forte, più reale. Klavier socchiuse lentamente gli occhi. Non sembrava un’illusione. 

-Klavier! Resisti! Non arrenderti!- la voce continuò a parlare. Davanti ai suoi occhi, Klavier un giovane uomo, dai corti capelli castani da cui sembravano spuntare due piccole corna. Si avvicinava con difficoltà, come se combattesse contro molto più che le fiamme, ma un vento impetuoso, una forza incontrollabile.

La sua immagine era evanescente, sembrava apparire e sparire, ma sebbene fosse chiaramente una semplice illusione, un’immagine falsa, Klavier non riusciva a distogliere lo sguardo da lui. Il suo dolore, sebbene ancora atroce, sembrò affievolirsi appena. Si agganciò, anima e cuore, a quella immagine, a quell’uomo che stava cercando in tutti i modi di raggiungerlo.

-Ti aiuterò! Te salverò! Cercami nel futuro!- ormai l’uomo era a pochi passi da lui. Klavier riusciva a vederlo negli occhi, scuri, ma che sembravano allo stesso tempo brillare come rubini, forse riflettendo il fuoco che sebbene intorno a lui non sembrava scalfirlo.

Klavier provò a sollevare la mano verso di lui.

Voleva raggiungerlo, voleva credergli. E salvarsi.

E vivere.

-Klavier!- le loro dita si sfiorarono, per un istante, un singolo istante, e Klavier vide qualcosa. Qualche immagine, sfocata, impossibile da distinguere rispetto a tutte le altre che gli vorticavano in testa.

Una sola cosa era certa. Quel ragazzo era reale. Era lì.

Klavier poteva percepire la sua essenza.

Poi il vento che lo stava spingendo via si fece più forte, l’uomo venne trascinato via, incapace di avvicinarsi maggiormente.

Klavier provò ad afferrarlo, ma non era abbastanza forte, e il dolore, le fiamme, la disperazione continuavano a consumarlo.

Ma si era aggiunta anche una briciola di speranza, in mezzo a tutte le altre emozioni.

-Ti salverò! Te lo prometto!- urlò il ragazzo, prima di essere trascinato via, prima di sparire dalla sua vista.

Prima di lasciare Klavier da solo a combattere con i suoi demoni e il suo dolore.

***

 

Apollo Justice odiava lavorare alla mensa, dove le battaglie di cibo erano all’ordine del giorno e i suoi capi lo guardavano storto se solo osava pensare di dare un bis a qualcuno degli orfani già tenuti a stecchetto.

Ma era il suo lavoro, e l’unico modo per avere un tetto era compierlo bene e non lamentarsi.

E un tetto, a quei tempi, era davvero difficile da ottenere.

-Hai sentito le ultime notizie? Sembra che la guerra stia diventando così aspra che von Karma stia radunando anche stregoni pericolosi per vincere- un gossip interruppe i suoi pensieri cupi. Le sue colleghe stavano chiacchierando più di quanto lavoravano, rallentando parecchio la fila.

Apollo si affrettò a prendere i loro posti.

-Ho sentito, ho sentito. Pare che anche la Farfalla Velenosa abbia ricevuto un invito- continuarono a spettegolare, facendosi da parte per rendere più semplice ad Apollo sostituirle.

Lui fece del suo meglio per non lanciare loro un’occhiataccia. Alla fine non gli costava molto, e prima finiva, prima poteva andarsene. Aveva un impegno quel pomeriggio.

Un impegno che lo spaventava parecchio.

-La Farfalla Velenosa? E chi sarà il prossimo, Klavier?- continuò la prima, alzando gli occhi al cielo, orripilata.

-Oh, non sia mai! Quel tipo mi spaventa. Dicono che rapisca i bambini e ghermisca il cuore delle donne- la collega rabbrividì, e si ritirò su sé stessa.

-Non lo so, però, sai? Dicono che sia l’uomo più bello di tutti i regni. Mi piacerebbe vederlo almeno una volta- si aggiunse una terza ragazza, appena arrivata per il suo turno.

-Ma sei matta?! Vuoi che ti mangi il cuore?- 

-Dubito che metterebbe gli occhi su di lei-

-Dai, ragazze! Non fate le antipatiche!-

Apollo alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. 

Lì in orfanotrofio Klavier era lo stregone più temuto e allo stesso tempo più ammirato. Gli ultimi sette anni si erano sentite tantissime storie su di lui, il mago di fuoco, così potente che neanche lo stregone supremo Miles Edgeworth era riuscito a tenerlo a freno, e lo combatteva con forza e senza successo.

Voci giravano per quei corridoi di come rapisse i bambini e ghermisse il cuore di tutte le belle donne che incrociava, facendole innamorare e poi mangiando loro l’anima per essere più forte.

Apollo non aveva nessuna opinione né su quelle storie, né su Klavier in generale. 

Dopotutto dubitava fortemente che lui, la persona più ordinaria e meno interessante del regno, potesse mai avere a che fare con maghi, stregoni e incantatori di alcun genere, soprattutto con qualcuno come Klavier. 

Dopotutto era ormai adulto, era una maschio, ed era, appunto, molto ordinario, sia di aspetto che di personalità.

Un urlo interruppe la quiete della mensa, e le chiacchiere delle tre giovani ragazze.

-Il castello! Il castello! Si vede il castello fuori dalla finestra!- gridò una bambina, terrorizzata, indicando un punto fuori dalla finestra.

Tutti quanti, nonostante gli ammonimenti della direttrici, si ammassarono contro le finestre, cercando di individuare in lontananza il castello in movimento che veniva sempre associato alle visite di Klavier.

Girava per le lande desolate senza una meta precisa, portando con sé superstizioni, scomparse misteriose, ma principalmente tanta agitazione immotivata.

Apollo sospirò, finì di servire gli ultimi bambini con una porzione leggermente più abbondante del solito, e si tolse il grembiule, senza dare la minima attenzione al castello errante di Klavier.

-Apollo, Apollo, dove stai andando?- chiese preoccupata una ragazza, Vera, prossima a passare nella maggiore età. Timida e gentile.

Raramente parlava, ma sembrava molto affezionata ad Apollo.

-Ho il pomeriggio libero, sto uscendo- rispose lui, con gentilezza, prendendo il cappello e il soprabito prima di uscire. Erano entrambi parecchio rovinati, soprattutto il soprabito… meglio andare senza. Non aveva molto altro dopotutto. E per fortuna non sembrava fare tanto freddo.

-Ma c’è Klavier in città. Può essere pericoloso- lo mise in guardia Vera, stringendo nervosamente il blocco da disegno.

-Dubito che qualcuno come Klavier possa decidere di avvicinarsi ad una persona come me- scosse la testa, pre niente preoccupato, e sorridendole rassicurante, prima di uscire.

Dopotutto il suo impegno era piuttosto importante, e sciocche superstizioni su uno stregone potente non lo avrebbero dissuaso dall’uscire.

Infatti il suo migliore amico, Clay, stava per partire per la guerra.

Una lunga, stupida e insensata guerra, cominciata due anni prima, quando la principessa Maya Fey, del regno accanto, era scomparsa poco prima della sua incoronazione, e la colpa era stata data al re Manfred von Karma. La verità, che tutti sapevano ma nessuno diceva, era che la scomparsa della principessa era stata solo una scusa, perché minacce di una futura guerra erano presenti già da tempo, nei due regni rivali da generazioni. Von Karma era un monarca collerico, dittatoriale, e alla costante ricerca di potere, sia metaforico che letterale. E i Fey erano la famiglia con maggior potere spirituale in circolazione.

Apollo non sapeva che fine aveva fatto la principessa Maya, ma era certo che il responsabile poteva essere chiunque, sia re Manfred, che gli stessi Fey, per incoraggiare una guerra prima che i von Karma raggiungessero un potere troppo forte.

Qualunque fosse la verità, ad Apollo non importava, perché nella sua opinione la guerra non era che un inutile spreco di energie, ed era uno dei pochi ragazzi della sua età a non essersi arruolato.

Clay Terran, il suo migliore amico da praticamente tutta la vita, non vedeva la situazione nello stesso modo, e inutili erano stati i tentativi di Apollo a convincerlo a non partire, ora che aveva raggiunto l’età giusta, era deciso a fare la sua parte.

Diventando solo l’ennesimo pezzo sacrificabile sulla scacchiera di Manfred von Karma. 

Per certi versi, in realtà, non lo biasimava. Diventare un soldato regalava vantaggi non indifferenti nel grande schema, e gli orfani avevano più da guadagnare che da perdere nell’arruolarsi, dato che una volta usciti dal sistema, la morte li attendeva comunque in ogni anno, che fosse sul campo di battaglia o in mezzo alla strada dove venivano gettati.

Apollo era riuscito a trovare impiego nello stesso orfanotrofio anche dopo aver compiuto la maggiore età, ma anche il suo lavoro si reggeva sul filo del rasoio, e non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscito a tirare avanti in quella situazione.

Lo considerava comunque meglio di andare a morire per una guerra che non supportava, ma solo leggermente.

E almeno, in quel caso, avrebbe avuto Clay al suo fianco.

Camminando per le strade della città e seguendo le indicazioni per il centro di reclutamento che il suo migliore amico gli aveva scritto pochi giorni prima, Apollo imboccò un vicolo che dava su parecchi pub in cui non era mai stato, e che sperava che a quell’ora del pomeriggio, così vicini al pranzo, fossero vuoti o quantomeno pieni di persone intente a mangiare, e non a bere fino a diventare privi di coscienza.

Purtroppo per lui, quello non era il suo giorno fortunato, perché nel momento stesso in cui girò l’angolo nel viale più angusto e pericoloso, per poco non andò a sbattere contro due uomini di mezza età, con divise da soldati e guance troppo rosse per essere solo accaldati. Sembravano fratelli, entrambi portavano gli occhiali, e l’unica differenza tra loro era nei capelli.

Infatti il più giovane aveva un fluente ciuffo che gli ricadeva sugli occhi, mentre il maggiore portava un palese riporto sul capo stempiato.

-Ehi, tu, bada a dove metti i piedi!- lo riprese lo stempiato, ritirandosi irritato.

Apollo non l’aveva neanche toccato, ma non era il caso di mettersi a litigare con dei soldati anziani, quindi si limitò ad abbassare il capo e a provare a superarli.

Purtroppo bloccavano completamente la strada.

-Chiedo perdono, se permettete dovrei passare- provò a superarli con garbo, ma i due continuavano a fissarlo con espressioni poco gentili.

-Ma guarda chi abbiamo qui, un ragazzino che puzza ancora di latte e si permette di guardarci dall’alto in basso. Sai chi siamo noi?- il più giovane gonfiò orgoglioso il petto e bloccò ancora di più la strada ad Apollo, che non capì se volesse solo darsi delle arie, o cominciare una vera e propria rissa per dimostrare la sua forza.

In entrambi i casi, Apollo non aveva tempo da perdere con loro. Quello sarebbe stato uno dei giorni più stressanti della sua vita, voleva passare con Clay più tempo possibile.

-Non voglio mancare di rispetto a due alti ufficiali del vostro calibro, ma dovrei davvero andare- provò ad uscire da quella situazione in modo rapido e cortese, ma probabilmente la sua fretta e la sua irritazione crescente si esternarono con un sarcasmo fin troppo marcato, che persino due sciocchi soldati ubriachi riconobbero.

-Ma lo senti, Winston? Continua a mancarci di rispetto! Gli vogliamo dare una lezione?- il giovane si rivolse all’anziano iniziando già a sollevarsi le maniche.

-Mi sembra gusto, Gaspen!- gli fece eco il fratello.

Apollo fece un passo indietro, ma non aveva intenzione di scappare.

Anche se due contro uno, e soprattutto due soldati contro un semplice orfano, non faceva ben sperare.

Strinse i pugni, ma cercò ancora di uscire da quella situazione senza spargimenti di sangue.

-Non ho intenzioni di mancarvi di rispetto, voglio solo…- 

-Ah, eccoti qui!- una voce alle sue spalle lo interruppe, e prima che Apollo potesse girarsi, per chiedere aiuto o per approfittare del nuovo arrivato per scappare discretamente, sentì una mano circondargli le spalle, e si irrigidì di scatto, sorpreso.

-Ti ho cercato dappertutto- continuò la voce, ora al suo fianco, e Apollo si girò verso di lui, ritrovandosi faccia a faccia con l’uomo più bello che avesse visto in vita sua.

La sua pelle abbronzata rifletteva la luce del sole, i lunghi capelli biondi gli ricadevano dolcemente sulla spalla tenuti insieme da una treccia, e gli occhi… i suoi occhi azzurri sembravano brillare di luce propria, come degli zaffiri.

Per un istante, Apollo si dimenticò persino di dove fosse, nell’osservare con bocca semiaperta quella specie di quadro che aveva preso vita, ma si riscosse abbastanza presto, e cercò di ritirarsi dalla sua presa.

-Tu gira al largo, se non vuoi finire peggio del tuo amico!- lo minacciò Gaspen, collerico.

-Già! Noi siamo guardie scelte del re, non vi conviene farci arrabbiare- Winston gli diede man forte.

Apollo aprì la bocca per ribattere, ormai troppo irritato per mantenersi composto, ma lo sconosciuto lo anticipò, in tono cordiale.

-Non è meglio se dimenticate questa storia e tornate a bere una pinta prima di entrare in servizio?- suggerì, con un grande sorriso.

Certo, come se due ubriachi si mettessero a sentire la logica invece di approfittare dell’occasione per una rissa.

-Non venire a dirci cosa dobbiamo fare!- si lamentò Winston, avvicinandosi minaccioso.

Ecco, appunto…

Ma a scapito delle loro parole e dei loro gesti arrabbiati, le loro gambe iniziarono a camminare, come animate di vita propria, verso il pub.

Cosa?!

Apollo guardò i due uomini con grande stupore, poi lanciò un’occhiata preoccupata verso l’uomo bellissimo, che sorrideva pacificamente, e i cui occhi sembravano brillare più di prima.

Infine guardò il braccio ancora intorno alle sue spalle, e notò che il dito si muoveva come il bastone di un direttore di orchestra, a ritmo con i movimenti inconsulti dei due uomini, che in pochi secondi erano fuori dalla portata di vista.

Si irrigidì, con il cuore che iniziava a battere furiosamente.

Non aveva mai assistito a niente di magico prima d’ora, ma quello che era successo non poteva essere spiegato con nient’altro che magia.

Ed era spaventoso.

Era finito dalla padella alla brace.

E voleva solo salutare Clay prima che partisse, era chiedere troppo?!

-Perdonali, con qualche bicchiere di troppo anche le persone più innocue possono creare problemi. Dove sei diretto? Se vuoi ti posso accompagnare- senza perdere il sorriso, e ormai con il problema più urgente fuori dai piedi, lo sconosciuto rivolse ad Apollo tutta la sua attenzione.

Il ragazzo provò a ricambiare il sorriso, ma gli uscì solo una smorfia spaventata e parecchio falsa.

-Non si preoccupi, non ho bisogno di aiuto, sto solo andando all’ufficio di reclutamento- declinò l’offerta cercando di togliersi discretamente dalla sua presa.

Meglio scappare e procedere con la sua vita senza passare troppo tempo con un mago qualsiasi.

Lo sconosciuto capì l’antifona e lo lasciò andare, ma gli rimase accanto, e lo guardò incuriosito. Anzi, sembrava quasi preoccupato.

-Vuoi partire per la guerra?- chiese, molto poco convinto.

Apollo si sentì quasi offeso dal suo sguardo.

-No!- si mise subito sulla difensiva, ma poi si disse che era meglio non dare troppe informazioni su di sé -Non sono affari suoi, mi sembra, non la conosco!- recuperò la compostezza, e cominciò a camminare a passo più svelto diretto verso l’ufficio… forse… Apollo non aveva ancora la più pallida idea di dove fosse. Probabilmente si era perso per le vie della città.

Il sorriso sul volto dello sconosciuto tornò, più brillante e sincero di prima.

Ridacchiò appena.

-Mi sembra giusto. Bisogna essere cauti a parlare con estranei, con i tempi che corrono- gli diede ragione… contraddicendosi poiché continuava a seguirlo come uno stalker.

Apollo non capiva minimamente da dove nascesse quell’interesse nei suoi confronti.

Non aveva qualche bella ragazza da importunare, o qualche magia da fare di nascosto, o qualche bambino da rapire… un momento, perché pensava a lui come se fosse Klavier? Non poteva essere Klavier! 

-Esatto. Siamo in guerra, non ci si può fidare del primo che passa- provò a distanziarsi da lui maggiormente, e dopo qualche passo, lo sconosciuto che sicuramente non poteva essere Klavier perché Klavier non si sarebbe mai interessato ad Apollo, si fermò.

E per qualche motivo che non capì neanche lui, anche Apollo, dopo un altro passo, si fermò a sua volta, e si girò verso di lui, confuso, e avvertendo una strana energia.

Lo sconosciuto, infatti, si era irrigidito, e sembrava aver sentito qualcosa.

Si voltò preoccupato.

-Che succede?- chiese Apollo, preoccupandosi a sua volta e guardandosi intorno.

Inconsciamente, fece un altro passo verso lo sconosciuto affiancandolo.

Lui gli sorrise nuovamente, questa volta in maniera più tirata.

-Niente, continua a camminare- provò a rassicurarlo, ma era palese che stesse mentendo. Il bracciale di Apollo, unico cimelio di famiglia rimastogli, sembrò stringersi contro il suo polso.

Ma nonostante la sfiducia e la paura di finire coinvolto in qualcosa di magico e pericoloso, Apollo ascoltò il suo consiglio, e continuò a camminare, al suo fianco, come se niente fosse.

Lo sconosciuto lo prese sottobraccio, e affrettò il passo.

-Temo di averti coinvolto, chiedo perdono- gli sussurrò all’orecchio.

Apollo sgranò gli occhi.

-Che cosa?!- chiese, in tono acuto, affrettando il passo a sua volta, e notando che dietro di loro delle misteriose e spaventose creature violacee li stavano inseguendo.

Erano terrificanti!

-A mia discolpa posso dire che non mi ero reso conto che mi avessero già trovato- nonostante la situazione, lo sconosciuto sembrava tranquillo, e parlava come se nulla fosse. Apollo avrebbe voluto tirargli un pugno. Uno stregone potente, e non si accorgeva di creature così spaventose che lo seguivano?! E poi perché continuava ad accollarsi ad Apollo in quel modo!

Le creature erano veloci, molto più veloci di loro, e iniziavano a venire da tutte le parti, strisciando come serpenti violetti.

Apollo e lo sconosciuto stavano praticamente correndo.

-Tranquillo, li superiamo- provò a rassicurarlo lo sconosciuto. Il suo tempismo era davvero assurdo, perché proprio in quel momento i mostri di palesarono anche davanti a loro.

-Dubito fortemente che riusciremmo…- iniziò ad obiettare Apollo, stringendosi inconsciamente al suo braccio.

Ma prima che potesse finire la frase sarcastica e impanicata, lo sconosciuto, rivelandosi ormai un mago senza lasciar spazio a nessun dubbio, lo afferrò per la vita, fece un salto, e volò in aria portandolo via con sé, e seminando le creature che, fortunatamente, non sembravano in grado di volare.

A dieci metri da terra, con gli edifici ormai minuscoli, e le creature un lontano ricordo, Apollo si strinse maggiormente al mago, terrorizzato.

Aveva una grandissima paura delle altezze.

E quella era in assoluto l’esperienza più fuori dall’ordinario che avesse vissuto nella sua vita.

E considerando che il primato precedente era appartenuto al giorno in cui lui e Clay avevano mangiato una fetta di torta di nascosto, si poteva dire che non era affatto abituato a niente che superasse la soglia dell’ordinarietà più assoluta.

-Tranquillo, continua a camminare- senza scomporsi neanche un secondo, il mago gli lasciò andare la vita e lo prese semplicemente per le mani, incoraggiandolo a camminare accanto a lui, come se stessero semplicemente facendo una passeggiata di piacere.

Dopo un tentennamento iniziale, Apollo eseguì, e nonostante stringesse le mani del mago con forza, con il vento che rischiava di togliergli il cappello, e osservano le persone sotto di lui, piccole e vivaci, iniziò a prenderci lentamente la mano.

Sembrava quasi naturale, ed estremamente… liberatorio.

Un uccello per poco non gli volò dritto in faccia, facendolo scontrare contro il mago per evitarlo.

Lui ridacchiò.

-Stai andando benissimo, sei parecchio naturale- si complimentò, con un occhiolino.

Apollo gli lanciò un’occhiataccia.

-Se avessi avuto scelta, sarei rimasto con i piedi per terra- mise il muso, continuando però a camminare.

-Mi dispiace, ma in questo modo arriverai alla tua destinazione molto prima- lasciandogli una mano, che all’improvviso si fece molto fredda e vuota, il mago indicò un imponente edificio ad una certa distanza, che corrispondeva alla descrizione fornita ad Apollo da Clay.

-Oh…- disse solo, abbandonando leggermente i modi ostili.

Ritornare indietro sarebbe stato ancora più difficile, ma almeno non avrebbe fatto tardi all’appuntamento con Clay.

E poi la vista, obiettivamente, era mozzafiato.

Senza più preoccuparsi troppo di dove metteva i piedi (dato che li stava mettendo sul nulla, quindi non rischiava di inciampare su qualcosa) iniziò a guardarsi meglio intorno.

Le nuvole in cielo sembravano particolarmente vicine, come zucchero filato.

Erano molti gli uccelli, piccoli e grandi, che volavano proprio accanto a loro.

Nessuno però rischiò di andare nuovamente loro addosso. Che fosse un altra magia del mago misterioso? Sembrava abbastanza potente da permettersi questo tipo di incantesimi.

Non che Apollo si lamentasse. Ora che la paura e l’agitazione per la novità stava scemando, iniziava a trovare meravigliosa quell’esperienza.

Liberatoria ed estremamente affascinante.

Lì su, nel cielo, circondati dal vento, dagli uccelli e per il resto soli, non esistevano le sicuramente terribili conseguenze che lo attendevano una volta giunto a terra.

-Ti trovi bene qui in aria?- chiese lo sconosciuto, speranzoso, avvicinandosi appena ad Apollo, che però si allontanò, e lo squadrò con sospetto.

-Mi divertirei di più se non fossi finito in aria a causa di creature magiche spaventose- gli ricordò della minaccia.

In effetti, se abbassava lo sguardo, vedeva ancora i mostri per le strade, che li cercavano ma non potevano raggiungerli.

Li stavano lentamente seminando, ma la preoccupazione di Apollo non scemava facilmente.

-Chiedo ancora scusa per questo inconveniente. Non mi ero proprio accorto che mi avessero già trovato- lo sconosciuto sorrise imbarazzato, e aumentò appena la velocità dello loro viaggio alato.

-Porti qui in cielo tutte le persone che salvi e metti poi in peggior pericolo?- lo provocò Apollo, per fare conversazione e cercando di indagare sulla pericolosità dell’uomo accanto a lui.

-Oh, no! Di solito salvo parecchie ragazze ma non ne metto in pericolo alcuna e le lascio andare libere per la propria strada- si vantò l’uomo.

Apollo roteò gli occhi, per niente impressionato.

-Si può dire che questa è la prima volta che mi succede una cosa del genere, e che salvo un ragazzo… che coincidenza, vero?- il mago gli fece un occhiolino.

-Forse se mi avessi lasciato per la mia strada invece di inseguirmi…- osservò Apollo, sperando, pregando con tutto il cuore di non essere arrossito.

Non doveva soccombere al fascino di un tipo così pericoloso che sicuramente usava quelle frasi con tutte le persone che incontrava e che aveva l’ardire di salvare da chissà quali sciocchi pericoli.

Prima che il mago rispondesse e mettesse ulteriormente a rischio l’istinto di auto-conservazione di Apollo, arrivarono finalmente sul tetto dell’edificio che Apollo cercava di raggiungere.

Perdendo quota, il mago fece scendere Apollo in un balcone dell’ultimo piano.

Il ragazzo ebbe una certa difficoltà a riprendere equilibrio e riabituarsi alla forza di gravità.

-Aspetta qualche minuto prima di scendere. Io torno giù e li distraggo- ancora a mezz’aria, il mago gli sorrise… affettuosamente?

Sicuramente Apollo stava male interpretando le sue espressioni. Colpa di quel sorriso splendente e degli occhi brillanti.

-Portali lontani, eh- si fece assicurare, cercando di non arrossire e incapace di guardarlo negli occhi.

Il mago ridacchiò.

-Promesso! Spero di rivederti, Forehead- gli mandò un bacio, e si gettò dal balcone prima che Apollo potesse realizzare completamente quello che aveva detto e ribattere.

Si limitò ad arrossire vistosamente, portarsi una mano sulla fronte, e sperare, con tutto il cuore, non vedere mai più quell’affascinante sconosciuto magico e flirtante!

…ma di che si preoccupava, era ovvio che l’ordinario Apollo non l’avrebbe rivisto mai più.

E non era affatto deluso da questa consapevolezza, nossignore!

 

-Si può sapere cosa ci facevi sul balcone del palazzo di reclutamento?! Come ci sei salito?- Apollo era sceso dopo parecchi minuti, per stare sicuro, ma non aveva fatto i conti con le varie guardie appostate all’interno dell’edificio, accessibile solo alle persone arruolate.

Apollo sperava di incontrare nuovamente il mago antipatico solo per insultarlo.

Anche se era anche colpa sua, che non aveva pensato a quel piccolo ma importante dettaglio, troppo occupato a fissare gli zaffiri che quell’uomo aveva al posto degli occhi.

-È un’ottima domanda di difficile risposta, ma non sono una spia nemica, né uno stregone. Voglio solo salutare un amico prima che parta per il fronte- Apollo cercò di cambiare argomento e apparire il più innocuo possibile, impresa piuttosto facile, vista la sua bassezza e i pochi muscoli.

Purtroppo quella guardia sembrava brava nel suo lavoro, al contrario dei due che Apollo aveva incrociato davanti a pub.

-Finché non mi dici come sei salito fin qui non ti muovi, giovanotto!- gli ordinò, minaccioso.

Apollo alzò le mani in segno di resa.

-È un po’ lunga da spiegare…- Apollo non sapeva neanche da dove cominciare.

Che poteva dire, dopotutto? Due soldati mi stavano importunando e un mago li ha mandati via e poi qualcuno lo stava inseguendo quindi mi ha trascinato in aria? Era una storia che per quanto vera poteva trascinarlo in parecchi guai.

-Apollo!- per fortuna la voce di Clay interruppe la difficile spiegazione.

-Conosci costui?- chiese la guardia intransigente, mentre Clay correva nella loro direzione, preoccupato.

-Certo! È il mio migliore amico! Cosa è successo? Da dove sei entrato? Ti stavo aspettando all’ingresso!- Clay si affrettò a controllare le condizioni dell’amico, che si sentì quasi un bambino ispezionato dalla madre. Non era una bellissima sensazione, considerando che era più grande di Clay di qualche mese, ma in quel caso lo accettò. Tutto per togliersi quella guardia impicciona di dosso.

-È molto lunga da spiegare…- disse di nuovo. Aveva messo in conto di dire tutto a Clay, ma non voleva farlo davanti ad altri.

-Me lo spiegherai con calma nella mia stanza. Solomon, garantisco io per lui, qualsiasi cosa sia successa- Clay si rivolse al soldato, con cui fortunatamente sembrava avere confidenza. Lui sospirò, ma li lasciò andare.

Prendendo Apollo per il polso, Clay lo trascinò verso la camera che di lì a poco avrebbe lasciato.

-Allora, cosa è successo?- chiese non appena si furono messi comodi sul letto. Clay leggeva benissimo Apollo, sapeva perfettamente capire se qualcosa non andava.

E Apollo sapeva per certo che Clay era forse l’unica persona di cui si potesse fidare abbastanza da parlargli di quello che era successo.

Solo che davvero non sapeva da dove cominciare.

Gli eventi di quel pomeriggio sembravano un sogno ad occhi aperti. Gli sembrava inconcepibile che fossero avvenuti davvero. 

Rimase in silenzio per qualche secondo valutando le parole da utilizzare, poi la realtà sembrò colpirlo come un pugno nello stomaco, e si girò verso Clay, sconvolto.

-Uno stregone mi ha fatto volare a dieci metri d’altezza!- esclamò, ricordandosi improvvisamente della sua paura delle altezze.

-Un cosa ha fatto cosa?!- chiese Clay, sobbalzando vistosamente e aprendo la bocca fin quasi a slogarsi la mascella.

Apollo spiegò con più particolari possibile l’incontro appena avuto, cercando di non concentrarsi troppo su quanto brillanti fossero gli occhi del mago, sulla lucentezza dei suoi capelli, la sua pelle soffice e la sua presa dolce e…

-Santo cielo, Apollo! Ti sei preso una cotta per uno stregone?!- a fine racconto, la mascella di Clay ormai raggiungeva il pavimento, e aveva iniziato ad andare avanti e indietro, agitato e rischiando di scavare una fossa nel pavimento per quante volte lo percorresse.

Apollo scattò in piedi, sulla difensiva.

-Ma che dici?! Ovviamente no! Era estremamente irritante! E mi ha messo in pericolo! Perché mai avrei dovuto prendermi una cotta per lui?!- le sue parole erano contraddette dalle sue guance rosse. A dire  il vero cercava soprattutto di convincere sé stesso, ma di certo non convinsero Clay, che lo guardò scuotendo la testa, ma non insistette, perché sapeva bene che Apollo avrebbe testardamente negato tutto fino alla morte.

-Meglio così! Gli stregoni sono pericolosi. Quelli controllati da Edgeworth sono già in guerra, quindi chiunque tu abbia incontrato è sicuramente fuorilegge- notando che Clay aveva smesso di supporre, Apollo tornò seduto, sollevato che non premesse sull’argomento.

-Ci sono voci che dicono che Klavier sia in città…- continuò a dire Clay, poi si mise sull’attenti, impallidendo -Non era Klavier, vero?! Ti prego, dimmi che non era Klavier!- si avvicinò ad Apollo e iniziò a scuoterlo in cerca di risposte.

-Non ho la più pallida idea di chi fosse, non si è presentato. Ma dubito fortemente fosse Klavier. Sanno tutti che rapisce i bambini e conquista le ragazze. Che interessi potrebbe mai avere verso uno come me?- Apollo alzò le spalle, rassicurando Clay e buttandosi giù, come spesso faceva.

-Quelle sono voci. Magari vuole espandere i suoi orizzonti, che ne sai? Uff…- Clay si abbandonò nuovamente sul letto, sospirando preoccupato -Spero proprio non sia Klavier. Alcuni soldati dicono che da queste parti è stata vista anche la Farfalla Velenosa… era un ragazzo, vero?- chiese Clay, per sicurezza.

-Era senz’altro un ragazzo, fidati- lo rassicurò Apollo. Malgrado la sua autodichiarata indifferenza, aveva impresso nella mente ogni singolo dettaglio del giovane affascinante mago.

-Oh… di che misure parliamo?- lo provocò Clay, prendendolo un po’ in giro e facendolo arrossire parecchio.

-Se devi cominciare a fare così me ne torno in orfanotrofio- Apollo si rialzò e minacciò di andarsene, indicando la porta.

-No, no, dai, resta qui! Tra un’ora me ne andrò! Passiamo un po’ di tempo insieme. Potrebbe essere l’ultimo- Clay lo prese per un braccio, e lo convinse a sedersi nuovamente accanto a lui.

Ad Apollo venne un groppo in gola.

-Non dire neanche per scherzo una cosa del genere- lo prese per le spalle e lo guardò negli occhi, per trasmettergli tutto il desiderio che aveva che stesse bene e tornasse a casa.

Clay abbozzò un sorriso triste e un po’ spaventato, ma si riprese immediatamente.

-Io tornerò senz’altro. Sei tu quello che potrebbe finire rapito nel tempo che io passerò in guerra. Da stregoni affascinanti. Promettimi solo che aspetterai il mio ritorno prima di sposarti. Voglio essere il tuo testimone!- Clay lo prese in giro, tornando allegro e cercando di stemperare la tensione.

Apollo lo fece fare.

Era felice di passare tutto il tempo possibile con il suo migliore amico. Anche se una parte della sua mente non riusciva a smettere di pensare all’incontro avuto con lo stregone senza nome.

Non erano molti i maghi non classificati, e ancor meno erano coloro che non seguivano fedelmente la dottrina di Miles Edgeworth, almeno non in da quelle parti.

Più Apollo ci pensava, più iniziava a credere che fosse davvero Klavier colui che aveva incontrato.

Ma non aveva senso, perché mai uno stregone con quel potere e quella terribile fama avrebbe dovuto salvare Apollo. 

Dubitava che avrebbe trovato risposte.

In realtà dubitava che ci sarebbe stato un seguito a quella storia.

Purtroppo, o per fortuna, quello non era che l’inizio della sua tortuosa avventura magica.

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Capitolo 2
*** La maledizione ***


La maledizione

 

Quando Apollo tornò in orfanotrofio, perdendosi parecchie volte per strada ma fortunatamente non incontrando più nessuno di strano, magico o minaccioso, era ormai sera, e dato che aveva perso il secondo turno nelle cucine, fu mandato dritto dritto al bancone per il turno di notte.

-Assicurati che non entri nessuno e controlla se i bambini vanno fuori dal letto!- gli avevano ordinato le padrone prima di andare beate a dormire.

Apollo non si era lamentato e aveva accettato l’ordine a testa bassa. Dopotutto aveva senso che fosse obbligato a fare gli straordinari, e ne era valsa la pena, dato che era riuscito a vedere Clay prima che partisse, e chissà quanto tempo sarebbe passato prima di rivederlo.

…sempre se l’avesse rivisto.

No, Apollo, non fare pensieri negativi!

Tutto sarebbe andato bene! La guerra sarebbe finita presto, e Clay sarebbe tornato a casa ricco, importante, e soprattutto vivo.

E magari sarebbe stato lui a portare Apollo fuori da quel posto orrendo.

Anche se bisognava ammettere che una cosa positiva c’era nell’orfanotrofio: era così insignificante che passava del tutto inosservato, e non era mai capitato che qualcuno provasse ad entrare di notte, o rubare, o altro.

Certo, era successo che dei bambini venissero abbandonati davanti alla porta, o delle madri incinte fossero entrate chiedendo un aiuto, ma erano eventi rari in una piccola cittadina come quella, e Apollo voleva credere che quella notte, dopo la giornata più assurda e inusuale della sua vita, tutto sarebbe stato normale. Nessun altro imprevisto, nessuna strana situazione, di certo nessun mago dagli affascinanti occhi azzurri, e nessun…

Apollo sentì la porta aprirsi, e sollevò di scatto la testa dall’abbiocco nel quale era sprofondato senza accorgersene, troppo stanco per restare del tutto sveglio.

Si ritrovò ad osservare quella che sembrava una ragazzina appena maggiorenne, chiaramente non incinta, decisamente non povera e sicuramente che non necessitava aiuto, visti i suoi abiti pregiati e il sorrisino sicuro di sé.

-Ha bisogno di aiuto?- Apollo cercò comunque di essere cortese, alzandosi in piedi e offrendo la propria assistenza.

Aveva però un pessimo presentimento, e un nodo allo stomaco.

-Questo posto è orrendo. Polvere, bambini urlanti che starebbero meglio per strada, e un personale davvero insignificante- commentò la ragazza, guardandosi intorno con aria di superiorità e roteando tra le mani il parasole chiuso di stoffa. Sembrava avere disegnata una strana fantasia, ma da quella distanza Apollo non riusciva a capire cosa fosse, e non gli interessava più di tanto.

Chi si credeva di essere quella donna per entrare di notte in un orfanotrofio e mettersi ad insultarlo?!

-Se non ha bisogno di nulla dovrebbe andarsene, i bambini dormono e non è il caso di svegliarli se non li vuole sentire urlare- commentò sarcastico, indicando irritato la porta.

La donna posò gli occhi su di lui, e sorrise divertita.

Un sorriso inquietante, che fece rabbrividire Apollo.

C’era qualcosa di davvero strano in lei. Forse avrebbe dovuto chiamare qualcun altro, perché iniziava a credere che non sarebbe riuscito a cacciarla via con molta facilità.

-Coraggioso da parte tua rivolgerti così alla Farfalla Velenosa- ridacchiò la ragazzina, aprendo il parasole e mostrando chiaramente la fantasia che riprendeva centinaia di farfalle viola.

Apollo sgranò gli occhi, e fece un passo indietro, sorpreso.

Non uno, ma due maghi! Nell’arco dello stesso giorno?! Quello era proprio il suo giorno super mega iper sfortunato.

Forse avrebbe dovuto arruolarsi anche lui. Avrebbe rischiato meno la vita. Clay, sto arrivando!

-La… Farfalla Velenosa?- ripeté, in un sussurro, incredulo.

Doveva necessariamente chiamare qualcuno.

Adocchiò la porta che conduceva alle camere del personale più anziano, chiedendosi se sarebbe riuscito a raggiungerla abbastanza in fretta.

Ma la strega sembrò accorgersi del suo piano, perché alzò il proprio ombrello e lo girò una volta, creando quello che sembrava una bolla di energia dalla quale, Apollo ne era certo, non sarebbe riuscito ad uscire, e dalla quale non sarebbe neanche uscito alcun suono all’esterno.

Non aveva mai visto magia, escludendo quella di quella mattina, ma per qualche strano motivo riusciva a prevedere con assoluta certezza gli effetti.

-Non più tanto coraggioso, adesso, eh?- ridacchiò la donna, avvicinandosi e guardandolo dalla testa sudata alle gambe tremanti.

-Cosa… cosa vuoi da me?- chiese Apollo, cercando di mantenere la compostezza ma parecchio impanicato.

-Mi sembri così insignificante- borbottò la Farfalla Velenosa, tra sé. Poi rimase qualche secondo in silenzio, come se stesse ascoltando qualcosa.

Apollo si guardò intorno e tese le orecchie, sperando nell’arrivo imminente di un aiuto esterno, ma non era così fortunato.

-Oh, beh, suppongo che sia meglio stare sicuri- tornando a guardarlo, la strega sollevò nuovamente l’ombrello e questa volta lo puntò verso Apollo, con un sorriso psicopatico.

-Sono la persona più ordinaria del mondo, non c’è bisogno di…- Apollo provò a salvarsi la pelle, ma non fu abbastanza convincente o rapido.

-Salutami tanto Klavier, quando lo rivedrai!- fu l’ultima cosa che disse la donna, prima di lanciargli un raggio di luce viola.

Apollo non aveva margine di fuga, e chiuse di scatto gli occhi, preparandosi alla sua imminente morte, ma dopo qualche secondo, sentendosi ancora tutto intero, li riaprì, e fu come se non fosse successo assolutamente nulla.

Niente cupola magica, niente donna inquietante, e gli sembrava di avere ancora tutte le ossa al suo posto.

Uff… era un sogno!

Si era sicuramente addormentato e a causa di tutto quello che era successo quella mattina aveva sognato la Farfalla Velenosa. Comprensibile. E gli aveva parlato di Klavier, che sicuramente non era quel misterioso sconosciuto conosciuto quel pomeriggio, era solo l’inconscio di Apollo che temeva fosse così.

Ma non era la verità!

Anzi, forse anche quell’incontro era stato solo un sogno.

Sì, era sicuramente così! Aveva sognato tutta la giornata strana, e ora si era svegliato e la sua vita sarebbe proceduta come da copione.

Apollo si diresse nuovamente al bancone (sicuramente era in piedi solo perché era sonnambulo), e provò a risedersi, ma quando il suo sguardo si posò sulla propria mano che aveva appena afferrato la sedia, il suo sangue si gelò nelle vene.

Perché la sua mano, teoricamente esile, magrolina, e dalla pelle un po’ screpolata ma fondamentalmente sana, era rugosa, nodosa, e dalle vene sporgenti.

Apollo fissò con attenzione entrambe le mani, entrambe molto vecchie, e poi controllò il resto del suo corpo, con un’analisi tattile molto più approfondita.

Mano a mano che controllava, iniziava ad accorgersi del mal di schiena, delle gambe affaticate, e delle ginocchia che rischiavano di cedere ogni secondo.

Si sedette per non rischiare di cadere, e cercò con mani tremanti lo specchietto che tenevano sempre nel primo cassetto del bancone, nel caso qualcuno dovesse rifarsi o sistemarsi il trucco in tutta fretta.

Ma quando si vide allo specchio, Apollo non si riconobbe.

Sicuramente stava ancora dormendo.

E stava avendo l’incubo peggiore della sua vita!

Perché era improvvisamente diventato vecchio, con il volto rugoso, i capelli bianchi, e la pelle piena di macchie.

-Ughhhh- si lasciò sfuggire una lamentela sconvolta, e notò che anche la sua voce era molto più rauca. Tossì appena, e provò a svegliarsi con un pizzico sul braccio.

…non si svegliò.

-No, no, non è possibile- provò a convincersi di quello che era ormai piuttosto chiaro.

Ma non era possibile, per davvero! Non era concepibile che da un momento all’altro si fosse trasformato in un vecchio dopo essere finito nel mirino di una strega potentissima perché aveva fraternizzato con un altro stregone che lo aveva salvato da due ubriachi che lo avevano importunato mentre cercava di raggiungere Clay per salutarlo.

…a saperlo, al diavolo Clay, l’avrebbe fatto andare in guerra senza neanche un saluto.

Si controllò allo specchio circa dieci volte, si alzò e si risedette un numero ancora maggiore di volte, e alla fine decise semplicemente di ignorare i suoi doveri e mettersi a dormire, sperando di svegliarsi da quell’incubo.

Perché non era possibile! Non era assolutamente possibile!

Purtroppo sognò solo il suo incontro con il biondino dagli occhi azzurri, e la strega al suo fianco, che si godeva la scena con malevolo divertimento, e che sembrò rivolgersi direttamente a lui.

-Oh, mi sono dimenticata. Non pensare di rivolgerti a qualche stregone per farti spezzare la maledizione. Non sarai in grado di parlarne con nessuno. Acqua in bocca, nonnino- gli fece cenno di stare in silenzio, con un occhiolino, e scomparve dall’agitato sonno.

 

Quando Apollo si era svegliato, la mattina seguente, aveva ormai constatato che era diventato vecchio, era stato maledetto, ed era completamente fregato.

Alla luce dell’alba che ora lo illuminava molto meglio, davanti ad uno specchio che non lasciava spazio ad alcun dubbio, Apollo si era vestito in tutta fretta, e scappò dall’orfanotrofio prima che chiunque potesse accorgersi di quello che gli era successo, lasciando un breve biglietto che sperava potesse giustificare la propria assenza.

“Mi sono arruolato insieme a Clay, e sono partito per il fronte!”

Sì, era una scusa stupida, ma non poteva certo dire che era stato maledetto e doveva trovare qualcuno che gli spezzasse la maledizione. Almeno, una volta tornato dalla sua presunta permanenza in guerra l’avrebbero accolto senza prenderlo a bastonate, ma forse persino con un briciolo di rispetto.

Era quindi uscito alle prime luci dell’alba, aveva preso un po’ di pane e formaggio dalle cucine per prepararsi al viaggio, e aveva iniziato a dirigersi verso… non lo sapeva neanche lui.

Non aveva la più pallida idea di dove andare e di cosa fare della sua vita in quel momento.

Seduto su una panchina nel parco cittadino, Apollo ponderò le scelte che gli si paravano davanti.

Non aveva soldi per permettersi di prendere il treno, non conosceva nessuno esperto di magia che potesse aiutarlo, e l’unica persona con la quale avrebbe potuto rivolgersi in generale era partita proprio il giorno prima, lasciandolo completamente solo.

Le sua ossa erano deboli, la schiena iniziava già a fargli male, e di camminare quindi non se ne parlava proprio, se non voleva morire.

Forse poteva farsi assumere in un bar a lavorare, mettere da parte qualche soldo, prendere un treno e dirigersi alla capitale dove poi chiedere aiuto allo stregone supremo Miles Edgeworth, l’unico mago di cui fidarsi.

O almeno uno dei suoi studenti. Si diceva che la capitale fosse un luogo pieno di stregoni pieni di talento, qualcuno in grado di identificare e sciogliere la maledizione di Apollo ci sarebbe stato senz’altro.

Sì, l’idea di andare alla capitale non era male, ma la faccenda del lavoro per mettere da parte dei soldi era poco fattibile. Prima di iniziare a lavorare per l’orfanotrofio, dopotutto, Apollo aveva cercato impiego ovunque lì in città, senza trovarne alcuno. Era un luogo troppo piccolo, dove si conoscevano tutti, non c’era modo per Apollo di trovare lavoro senza sollevare domande.

Doveva quantomeno dirigersi nella città più vicina, ad una decina di chilometri oltre le lande desolate.

Luogo di stregoni crudeli, demoni e mostri vari.

Una passeggiata…

Letteralmente, una passeggiata. Perché Apollo non avrebbe mai trovato qualcuno disposto ad accompagnarlo gratis fino a lì, quindi sarebbe dovuto andare a piedi.

Sospirò, rassegnato al suo triste fato, e si alzò con difficoltà per iniziare la lunga e sicuramente mortale camminata diretto alla città più vicina, sperando di avere un passo abbastanza buono da raggiungere la città prima di sera.

Si rese presto conto che così non sarebbe stato quando raggiunse il limite della città che era già mattina inoltrata, e si era dovuto fermare già sei volte a riprendere fiato.

Era proprio dura la vecchiaia, molto più di quanto pensasse. E faceva un caldo bestiale sotto quel sole. Fortuna che aveva un cappello, altrimenti si sarebbe senz’altro preso un’insolazione.

Anche se forse sarebbe stato meglio soccombere al caldo piuttosto che rischiare l’incontro con qualche mostro pericoloso, o un altro stregone.

Certo, incontrare la Farfalla Velenosa o il misterioso mago dagli occhi azzurri che Apollo ancora non era convinto fosse Klavier sarebbe stato l’ideale, in quelle condizioni, perché aveva così poco da perdere che non ci avrebbe pensato due volte a dare ad entrambi un pugno sul naso, nonostante la prima fosse una donna, e il secondo non gli avesse fatto effettivamente nulla di male in prima persona.

Ma era alterato, e stanco, e depresso, e accaldato, e pertanto anche molto molto vendicativo.

Non era neanche ad un chilometro fuori dalla città che iniziò ad essere immerso dalla nebbia. Non era una sensazione del tutto spiacevole, e non durò neanche così tanto. Solo qualche metro, abbastanza fitta da non mostrare nulla davanti e dietro essa, ma non abbastanza da creare problemi ad Apollo. Sembrò quasi di entrare in un portale magico, come una porta che divideva due mondi. Chissà, forse la foschia perenne delle lande era davvero un qualche incantesimo, ma Apollo non aveva avvertito nulla di strano intorno a sé.

Ma forse era distratto dal dolore alla schiena e dalle gambe sempre più incapaci di sostenere il passo che sperava di avere.

Un bastone gli avrebbe fatto davvero comodo.

Si guardò intorno in cerca di un bastone, di un ramo, o di un albero, ma la landa era desolata, e non sembrava esserci nulla all’orizzonte.

Così procedette con una certa tranquillità, aguzzando l’udito ormai provato dall’età, e la vista leggermente annebbiata.

Trovò il primo albero a circa due chilometri dalla città.

Un albero nodoso, ed enorme, dall’aria antica, e dimora di qualche uccellino, che cinguettava tra i suoi rami.

Apollo si avvicinò per cercare un ramo che potesse fargli da bastone, ma presto notò che gli uccelli non stavano svolazzando allegramente, ma sembravano intenti ad attaccare in massa un usignolo che aveva a stento trovato rifugio in una piccola cavità del ramo, e rischiava di finire preda di un manipolo di corvi e gazze, intenti a combattere anche tra loro per raggiungerlo.

Che scena assurda! E incredibilmente ingiusta.

Nonostante l’età e i dolori ai muscoli, Apollo trovò un bastone per terra, e iniziò ad agitarlo in aria per cercare di disperdere lo stormo.

Buona notizia: smisero di attaccare l’usignolo.

Cattiva notizia: iniziarono ad attaccare Apollo.

Ecco cosa succede a fare una buona azione.

Apollo si ritirò su sé stesso agitando il bastone per aria. Era diventato decisamente troppo vecchio per queste cose, e cercò di coprire soprattutto gli occhi da quell’attacco che si era andato a cercare.

Venne salvato dall’improvviso verso di un’aquila, che si gettò dal cielo verso i corvi, disperdendoli e dando occasione ad Apollo di allontanarsi il più possibile.

Si sedette a qualche metro di distanza, riprendendo fiato.

Si aspettava di venire ucciso da qualche mostro assetato di sangue, non da un gruppo di corvi assassini.

Neanche il tempo di recuperare il fiato, che passò dalla padella alla brace, perché l’aquila volò verso di lui, e Apollo fu convinto di essere ormai spacciato.

Poi l’aquila si trasformò a mezz’aria in un usignolo… nell’usignolo che Apollo aveva provato a salvare, e gli si appoggiò affettuosamente sulla spalla.

Apollo lo scansò, irritato.

-Se potevi trasformarti in un’aquila perché non l’hai fatto prima?- chiese, ben consapevole che non avrebbe risposto.

Infatti l’usignolo si limitò a cinguettare e appoggiarsi sul suo cappello.

Apollo sospirò, e decide che era arrivato il momento di fare pausa pranzo.

Troppe emozioni tutte insieme.

Prese il pane e il formaggio e iniziò a banchettare, iniziando a pensare di aver agito decisamente male a quella maledizione. Probabilmente l’idea migliore sarebbe stata restare lì, spiegare la situazione, e chiedere un biglietto di sola andata per la città dove spezzare la maledizione.

Anche se… nel sogno, la Farfalla Velenosa gli aveva detto che non poteva dire nulla a nessuno, quindi sarebbe stato ancora più difficile provare a chiedere aiuto.

Ugh, che pessima situazione.

E che stanchezza.

Non era neanche a metà strada e iniziava già a farsi tardi.

L’uccellino che aveva salvato prima gli iniziò a volare intorno, adocchiando il pane.

Apollo roteò gli occhi, e spezzò qualche briciola, che gli offrì, sperando che poi si allontanasse perché non aveva la minima voglia di farsi inseguire da un uccello magico.

L’usignolo mangiò con gioia, e gli si rimise sul cappello, dando prova di non volersi allontanare tanto presto.

Apollo sospirò.

-Senti, tu? Non hai qualcosa di meglio da fare? Non ho molto altro da offrirti, non saprei neanche dove dormire stanotte, puoi trovare un anziano migliore da importunare- gli spiegò, sentendosi davvero stupido a parlare con un uccello, ma con sua grande sorpresa, l’usignolo si rimise in volo, gli roteò intorno, e trasformandosi in un pappagallo colorato e visibile se ne andò.

Apollo fu felice che avesse capito, finì di mangiare e si rialzò con difficoltà per continuare la sua camminata, nella direzione opposta a quella in cui era sparito l’uccello.

Due minuti dopo, il pappagallo tornò, gli girò nuovamente intorno, e riprese la direzione.

Apollo rimase qualche istante in confusione, chiedendosi il perché di quel gesto, ma continuò per la sua strada come se nulla fosse.

Al ché, il pappagallo tornò per l’ennesima volta, si trasformò in gazza, gli prese il cappello, e tornò nella direzione intrapresa precedentemente.

-Ehi! Quello è mio!- Apollo iniziò con difficoltà ad inseguirlo, ma mentre il sole calava all’orizzonte, decise che non aveva tempo da perdere dietro uccelli magici, ed era molto meglio abbandonare il cappello.

La gazza tornò un’ultima volta verso di lui, gli rimise il cappello in testa, e cominciò a volargli davanti al viso per attirare la sua attenzione.

-Cosa c’è?- chiese Apollo, seccato, sollevando il bastone per cacciarlo via. La gazza si trasformò in un tucano e si poggiò su di esso, iniziando a indicare con il lungo becco la direzione che aveva intrapreso più e più volte.

Apollo finalmente capì.

-Vuoi che ti segua?- chiese, confuso. Perché un uccello magico avrebbe voluto che Apollo lo seguisse da qualsiasi parte?

Ma soprattutto perché Apollo, maledetto da una strega perché uno stregone gli aveva dato interesse, avrebbe dovuto seguire un uccello magico?! Non ne poteva più di magia.

Il tucano annuì.

-Perché?- chiese Apollo, ormai rassegnato a parlare con l’uccello, che per tutta risposta si trasformò in un gabbiano e si coprì la testa con le ali.

-Un posto per… dormire?- suppose Apollo, confuso.

L’uccello annuì di nuovo.

-E perché dovrei fidarmi?- chiese Apollo parecchio incerto.

Il gabbiano si trasformò nuovamente diventando l’uccellino più piccolo, tenero e innocuo del pianeta, per convincere Apollo che non rappresentava alcuna minaccia.

Apollo l’aveva visto trasformarsi in un’aquila gigante, quindi dubitava che fosse privo di minacciosità, ma il gesto lo fece comunque ridacchiare, e alla fine non aveva granché da perdere.

-Va bene, tanto morirei comunque- borbottò, facendo dietro front e iniziando ad avviarsi nella direzione presa dall’uccello.

Entusiasta, esso si trasformò nuovamente in un pappagallo, probabilmente per essere riconoscibile, e gli indicò la strada.

Apollo capì di aver fatto la scelta sbagliata abbastanza presto.

All’inizio vedeva solo il fumo sollevarsi all’orizzonte, e pensò ci fosse una casetta isolata, ma mano a mano che si avvicinava, l’enorme figura del castello errante di Klavier si fece sempre più nitida all’orizzonte, e Apollo sempre più scoraggiato dal continuare la traversata.

Purtroppo le prime ombre della sera si stavano già abbattendo sulle lande, e Apollo aveva disperato bisogno di un alloggio, dato che insieme alla notte, stava sopraggiungendo anche il freddo, e una soffocante stanchezza.

Alla fine se vedeva Klavier e confermava che fosse l’uomo responsabile della sua maledizione, sebbene in maniera indiretta, poteva benissimo tirargli lo schiaffo che tanto agognava di tirargli da quella mattina.

E poi dubitava fortemente che un tipo come Klavier avrebbe mangiato il cuore di un uomo tanto vecchio.

Certo, c’erano più contro che pro, ma la stanchezza vince sempre su tutto, quindi alla fine, contro ogni buon istinto di autoconservazione, Apollo entrò, seguendo il pappagallo colorato, nel casello errante di Klavier, al momento fermo sul posto.

L’interno era buio, ad eccezione di un fuoco che scoppiettava pigramente nel camino, e non sembrava esserci nessuno in casa. Il pappagallo si mise su un trespolo, vicino al fuoco, e aprì le ali per riscaldarsi, prima di tornare ad essere un usignolo.

Apollo si avvicinò al fuoco, guardandosi intorno lentamente e pronto a correre di nuovo alla porta, anche se era certo che non ci sarebbe arrivato abbastanza presto, visto quanto fosse stanco e acciaccato.

La stanza era un vero porcile, pieno di polvere, libri sparsi ovunque, e piatti sporchi.

Ew, come poteva qualcuno con dei poteri vivere così?! Se Apollo avesse avuto dei poteri magici, la prima cosa su cui li avrebbe usati sarebbe stato mantenere sempre tutto pulito e in ordine.

Avrebbe volentieri dato una spazzata, ma era troppo stanco, e non era casa sua, quindi si avvicinò al fuoco, e si sedette davanti ad esso, sollevando le mani per riscaldarsi, e iniziando a sentire la stanchezza prendere possesso di lui.

Lo scoppiettare del fuoco era piacevole, anche se i suoi occhi, uno azzurro e l’altro marrone, erano leggermente inquietanti.

Un momento…

Il fuoco aveva gli occhi?!

Apollo sobbalzò, ora improvvisamente sveglio, e fissò il fuoco con più attenzione, notando che non solo aveva gli occhi, ma anche una bocca, che si aprì lentamente.

-Jove?- chiese il fuoco, sorpreso e parecchio confuso.

Qui il confuso era Apollo.

-Il fuoco parla?!- chiese tra sé, allontanandosi leggermente.

Non doveva più stupirsi, ormai, probabilmente, ma non si aspettava di vedere un fuoco parlante, poco ma sicuro.

Dopotutto l’uccello magico non parlava, perché doveva farlo un fuoco?

-Chi sei tu?- chiese il fuoco, più attivo, e squadrandolo dalla testa ai piedi.

-Chi è Jove?- chiese Apollo, che non aveva mai sentito quel nome, ma che lo trovava comunque stranamente familiare.

-Uh? Niente! Nessuno. Chi sei tu? Chi ti ha fatto entrare?- chiese il fuoco, rigirando la domanda e guardando l’usignolo che si era messo a dormire sul trespolo.

-L’uccello mi ha fatto entrare. Mi chiamo Apollo- si presentò lui, tranquillo, e indicando l’usignolo.

Dentro di sé stava esplodendo, ma aveva raggiunto il limite di assurdità per la giornata, quindi un fuoco parlante all’improvviso era diventato la cosa più normale del mondo.

Il fuoco lo guardò per un attimo sorpreso, brillando più forte, poi dopo qualche istante di silenzio, tornò a scoppiettare pigramente.

-Capisco… prima volta che vieni maledetto?- chiese, con nonchalance.

-Probabilmente anche l’ultima- rispose Apollo, sbadigliando e mettendosi più comodo sulla sedia.

Dopotutto dubitava che sarebbe sopravvissuto ancora a lungo in quel clima.

-Possiamo fare un accordo e posso aiutarti a scioglierla, se vuoi?- propose il fuoco, con uno scintillio nell’occhio marrone, che divenne rosso per un attimo.

O forse era solo il bagliore del fuoco.

Apollo lo guardò poco convinto.

-Tu chi sei?- chiese, sospettoso.

Dubitava fosse Klavier… a meno che non si fosse sbagliato su tutto e lo stregone che aveva conosciuto fosse qualcun altro e non Klavier.

-Sono Phoenix, il demone fenice. Al tuo servizio e pronto a sciogliere la tua maledizione. Oh, e l’uccello che ti ha portato qui è May, anche lei qui nel tentativo di spezzare la propria maledizione. Puoi fidarti di me- il fuoco, Phoenix, gli fece un occhiolino rassicurante.

Apollo si fidava molto meno di prima.

-No grazie, non bisogna mai fare un patto con un demone- era tipo la base della vita. Una delle prime cose che insegnavano all’orfanotrofio -Accetterò di passare la notte qui ma domani tornerò in viaggio- affermò con sicurezza -Grazie dell’ospitalità- aggiunse poi, cercando di essere cortese per non farsi cacciare fuori.

-Capisco…- il demone sembrava parecchio deluso dalla risposta di Apollo -…posso almeno chiederti quali sono i tuoi programmi? No, anzi, fammi indovinare…- Phoenix era in vena di chiacchiere.

Apollo in vena di dormire, ma rimase comunque ascoltarlo, con un solo occhio aperto.

-…vuoi andare alla capitale e chiedere aiuto a Miles Edgeworth il grande stregone, vero?- suppose, con sguardo indefinibile.

-E se anche fosse?- Apollo non capiva dove volesse andare a parare.

-Beh, ti darò una dritta, ragazzo. Non puoi dire della tua maledizione a nessuno, neanche a Edgeworth, e ora che sei entrato in contatto con me, fidati che non potrai neanche entrare a palazzo senza essere interrogato e imprigionato. Pensi davvero che ti aiuterebbero durante una guerra?- Il fuoco si mosse come a scuotere la testa.

-E dovrei fidarmi di un demone?- Apollo non riuscì a capire se bluffasse. Ma doveva ammettere che per essere un demone sembrava parecchio tranquillo.

-Ehi, non sto chiedendo in cambio la tua anima o qualcosa del genere, vorrei solo… senti, ragazzo, il mio accordo è semplice: tu spezzi la mia maledizione, e una volta privo di vincoli, io spezzerò la tua- propose Phoenix, brillando più forte per un secondo.

-Aspetta, sei stato maledetto anche tu?- chiese Apollo, sorpreso. Potevano essere maledetti i demoni.

-Beh, più che una maledizione, il mio è un contratto, e non ne posso parlare nel dettaglio, ma se tu riuscirai a capire come spezzarlo, io poi toglierò la tua maledizione, e sarà una vittoria per entrambi, senza che anime ci finiscano in mezzo, che dici?- propose Phoenix.

Forse era il sonno a parlare, ma sembrava parecchio convincente.

Poteva farsi assumere per pulire quel porcile, e restare per sciogliere il contratto che legava Phoenix a… probabilmente Klavier.

Probabilmente senza un demone che lo supportasse, Apollo sarebbe riuscito a tirargli uno schiaffo senza venire poi ucciso.

Era davvero tentato.

-Va bene, io sciolgo il tuo contratto con Klavier e tu sciogli la mia maledizione- accettò infine, chiudendo gli occhi, e sprofondando nel mondo dei sogni.

 

In un personale castello non errante, la Farfalla Velenosa era intenta al suo solito trattamento di bellezza, del tutto indifferente a qualsiasi cosa stesse succedendo alla sua ultima vittima.

-Concentrati, Dahlia- la riprese una voce che esisteva solo nella sua testa.

-Su cosa, scusa?- chiese lei, restando ad occhi chiusi con la maschera sul viso.

-Dobbiamo lavorare costantemente se vogliamo localizzare Phoenix. Quel ragazzino maledetto può darci solo una piccola spinta nella direzione giusta, e non riesci neanche a capire da che parte sta- la rimproverò la voce.

Dahlia sbuffò, e aprì un occhio, lanciando un’occhiata al suo ombrello aperto, che mostrava immagini confuse di Apollo durante il suo viaggio quella mattina, fino all’incontro con gli uccelli.

-La supervisione si ferma lì?- chiese, guardando fuori dalla finestra, dove si era fatta ormai notte inoltrata.

-Le lande sono sempre difficili da seguire, e un’altra magia ha interferito con la tua. Se fossi più concentrata…- 

-Non è colpa mia se non sei abbastanza potente, Kristoph- si lamentò Dahlia, alzandosi e chiudendo l’ombrello.

La voce rimase in silenzio, toccata dall’accusa, e Dahlia poteva sentire che fosse anche fumante di rabbia.

-Bada a come parli ragazzina, posso toglierti ciò che ti ho dato in ogni momento, e lasciarti senza nulla- la minacciò.

Dahlia strinse i pugni, ma non si lasciò abbattere.

-Sappiamo entrambi che hai bisogno di me tanto quanto io ho bisogno di te, quindi non minacciarmi, e ricarichiamoci. Domani inizieremo a localizzare Phoenix- i suoi occhi brillarono di malizia al pensiero.

Quel demone era tutto ciò che cercavano, e il suo patto con Klavier l’aveva reso, per la prima volta da secoli, estremamente vulnerabile.

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Capitolo 3
*** Il castello ***


Il castello 

 

Un bussare frenetico alla porta destò Apollo dal sonno profondo che l’aveva accompagnato l’intera notte. 

Per un secondo, un piacevole singolo istante, non si ricordò della disavventura del giorno precedente, e credette che qualcuno lo stesse chiamando per il suo turno alla mensa.

Poi il dolore alla schiena, ai muscoli e al corpo in generale, dovuto anche all’aver dormito seduto su una sedia, oltre che alla scampagnata del giorno precedente, lo riportarono alla realtà.

Anche se… com’era possibile che qualcuno bussasse alla porta nel mezzo delle lande desolate?! 

Sollevando appena la testa e lanciando un’occhiata confusa alla porta, venne sorpreso dalla voce profonda del fuoco del giorno prima, che urlò in modo da farsi sentire anche ai piani superiori.

-Truce, la città portuale!- disse a qualcuno che Apollo non conosceva, e sentendo degli affrettati passi sulle scale, finse di stare ancora dormendo, per non incorrere immediatamente a domande sconvenienti tipo come era entrato lì nel mezzo della notte, e cercare di capire meglio la situazione.

-Arrivo!- sentì una voce femminile raggiungere la sala, piena di energia, e avvertì la ragazza alla quale apparteneva fermarsi di scatto proprio davanti a lui.

-E questo nonnino da dove spunta fuori?- chiese, sorpresa, avvicinandosi così tanto che anche con gli occhi chiusi Apollo sentì il suo sguardo tagliente e la sua vicinanza pericolosa.

Rischiò quasi di tradirsi, ma venne salvato da Phoenix.

-Meglio se ci pensi dopo, continuano a bussare- le ricordò, divampando in direzione della porta.

-Giusto! Giusto!- Trucy lasciò perdere Apollo, e prese un mantello e un cappello, che indossò diventando un omone di mezza età molto più alto.

Aprì la porta, e Apollo osò lanciare un’occhiata in quella direzione per capire cosa stesse succedendo.

C’erano due uomini in divisa, e lo scenario dietro di loro non sembrava affatto quello delle lande, ma quello di una città marittima.

Okay, questo era strano.

Che si fossero spostati durante la notte? Ma così tanto? Le lande erano molto distanti dal mare. E le principali città marittime erano nel regno di Kurain, governato dai Fey.

-Mastro Wright è in casa?- chiese una delle due guardie, in tono ufficiale.

-È fuori al momento. Di cosa avete bisogno?- chiese quella che fino a poco prima era una ragazzina, ma al momento aveva aspetto e voce di un uomo di mezza età.

-La guerra è alle sue fasi più dure, e serve il sostegno di ogni mago e strega in circolazione. Preghiamo che Mastro Wright possa offrirci il suo aiuto- rispose la seconda guardia, in tono esaltato, porgendo verso la ragazzina-uomo una lettera sigillata dalla ceralacca reale della famiglia Fey.

…un momento… i Fey?! Ma la famiglia reale di quel posto erano i von Karma.

Apollo cercò di osservare meglio, e, con sua grande fortuna, nonostante l’età la sua ottima vista era rimasta.

…sì, quello era il marchio Fey.

-Informerò Mastro Wright della visita- promise la ragazzina, prendendo la lettera e mettendola in una tasca interna al mantello.

Rendendosi conto che probabilmente nel giro di pochi istanti si sarebbe voltata e l’avrebbe beccato, Apollo provò a fingere nuovamente di stare dormendo, ma quando diede le spalle alla porta e tornò in direzione del camino, si rese conto che il suo piano non poteva funzionare, perché il fuoco, Phoenix, lo guardava fisso, con espressione che sembrava proprio dirgli “So che sei sveglio, non ci provare”.

Con un silenzioso sbuffo, Apollo finse di stiracchiarsi e di essere ancor assonnato, e quando l’uomo di mezza età chiuse bruscamente la porta e tornò ragazzina, sobbalzò nel notare che fosse sveglio.

-Ohh! Hey! Ben svegliato, nonnino! Come sei entrato?- chiese, avvicinandosi a lui e gettando la lettera verso il fuoco.

Phoenix si scansò appena in tempo, e con riflessi invidiabili, May, che Apollo non si era nemmeno accorto si fosse svegliata, intercettò la lettera al volo e la portò sul suo trespolo, tenendola con attenzione nel becco.

-Trucy! Non puoi bruciare un richiamo ufficiale dei Fey- il fuoco rimproverò la ragazza, che si sedette accanto a lui e lo guardò con occhi da cucciolo.

-Ma dai, sappiamo entrambi che Klavier non accetterà mai l’invito! Lui odia le guerre- si difese la ragazza, sicura di sé. Sembrava essersi dimenticata dell’intruso.

Apollo avrebbe potuto stare zitto, fermo e non farsi notare, ma gli venne spontaneo annuire.

-La guerra è una faccenda orrenda- borbottò tra sé, attirando l’attenzione dei tre soggetti nella stanza.

-Infatti… tu chi sei?- Trucy ritornò a torchiarlo, avvicinandosi e squadrandolo attentamente. I suoi occhi azzurri divennero rossi. Apollo si sentì parecchio in soggezione.

-Mi chiamo Apollo… mi ha fatto entrare May- rispose, con la massima sincerità, indicando l’uccello, che posò la lettera da un lato e si librò in volo per atterrare sul suo cappello, per confermare ciò che aveva detto.

Si preparò ad ulteriori domande, indagini, magia usata contro di lui, e adocchiò la porta chiedendosi se la fuga fosse ancora un’opzione.

Ma la ragazzina sorrise, e i suoi occhi tornarono azzurri.

-Okay! Benvenuto, Apollo! Resti solo oggi o ti unisci a noi? Sappi che dovrai lavorare per ottenere vitto e alloggio!- spiegò, sollevando un dito.

Sembrava lei il capo del castello.

-Uh…- Apollo fu in procinto di rifiutare l’offerta e rimettersi in viaggio verso il paese più vicino, ma poi incrociò gli occhi eterocromatici di Phoenix, ed esitò.

Avevano un patto, dopotutto, non poteva andarsene.

La difficile risposta venne interrotta da un bussare frenetico alla porta.

Trucy si alzò, e riprese cappello e mantello, ritornando l’uomo di mezza età.

-Kingsbury- la informò Phoenix.

Trucy si avviò alla porta e girò una manopola posta sul pomello. Quando l’aprì, il mare era sparito, e altre due persone, sempre della guardia reale, erano sull’uscio.

-Mastro Gavin è in casa?- chiese una delle guardie, in tono duro.

-È fuori ma potete riferire a me- rispose Trucy versione adulto.

-La guerra procede inarrestabile, e il sostegno di maghi e stregoni è fondamentale. Il re chiede personalmente aiuto- la seconda guardia diede un’altra lettera a Trucy, questa volta con il marchio dei von Karma.

Okay… cosa stava succedendo in quella casa?!

Dov’erano?!

Apollo si alzò, e si avviò alla finestra, per controllare il panorama.

E rimase senza parole.

Era alla capitale. La capitale dei von Karma. Riusciva addirittura a vedere il castello in lontananza. Poteva essere la sua via più veloce per spezzare la maledizione.

Come… com’erano arrivati fin lì?!

Trucy afferrò la lettera, fece qualche convenevole per liberarsi delle guardie, e poi richiuse la porta e si tolse il travestimento.

-Questa almeno posso bruciarla? Dubito fortemente che se anche Klavier decidesse di partecipare alla guerra parteciperebbe con i von Karma!- Trucy tornò verso il fuoco agitando la lettera e pronta a gettarla dentro.

-Purtroppo temo che se fosse obbligato a partecipare alla guerra, opterebbe per farlo dalla parte dei von Karma. Gli è molto più difficile rifiutarsi- commentò Phoenix, in tono misterioso.

Trucy sbuffò, e mise la lettera dentro un enorme volume.

Era tutto talmente disordinato che Apollo dubitava fortemente l’avrebbe in futuro ritrovata.

In effetti in quel castello serviva proprio qualcuno che facesse le pulizie.

Anche se… più cose vedeva lì dentro, meno aveva voglia di essere immischiato in tali faccende.

Magia, demoni, persone maledette, Klavier… e anche tradimento. In qualche strano modo quei tipi intrattenevano affari sia con i von Karma che con i Fey… Apollo non voleva rischiare di finire in troppi guai. Gli bastava essere stato maledetto dalla Farfalla Velenosa.

Prima che potesse elaborare una strategia per scappare, o che Trucy ritornasse a torchiarlo, la porta bussò nuovamente per la terza volta quel giorno.

-Città portuale- avvertì Phoenix, Trucy sbuffò, riprese nuovamente cappello e mantello, e tornò alla porta.

Apollo era ancora alla finestra, e finalmente capì il trucco.

Perché quando Trucy girò la manopola accanto alla maniglia, il panorama cambiò con essa, tornando la piccola città marittima che probabilmente si trovava a Kurain.

Apollo era a bocca aperta.

Non si erano spostati, semplicemente potevano raggiungere tre destinazioni con il giro di una maniglia.

Quindi il palazzo del re era a completa disposizione di Apollo in ogni momento.

Così come il mare… e le lande, e… c’erano quattro possibili destinazioni sulla maniglia, chissà dove portava la quarta.

-Sono venuta per la pozione per mio padre- nel frattempo Trucy aveva aperto, e aveva accolto una ragazza molto allegra dei capelli neri legati in una coda alta e vispi occhi verdi.

-Oh, ciao Kay! Certo, te la prendo subito, aspetta qui- Trucy la fece accomodare poco oltre l’uscio e iniziò a cercare in mezzo a tutto il ciarpame che occupava la stanza.

C’era proprio bisogno di un uomo delle pulizie.

-Tu sei uno stregone?- chiese Kay, incuriosita.

Apollo scosse violentemente la testa.

-Assolutamente no!- ci tenne a specificare. Lui odiava gli stregoni, la magia e tutta quella roba. Non voleva averci niente a che fare e non per spezzare la sua maledizione. Poi sarebbe tornato a casa, avrebbe ripreso quel brutto lavoro all’orfanotrofio, e sarebbe rimasto lì il resto della sua vita… sembrava una prospettiva orrenda.

Ma almeno avrebbe avuto un resto alla sua vita, che in quel corpo anziano non sarebbe durata molto.

-E allora cosa fai qui? Chiedi un incantesimo?- chiese Kay, continuando ad essere piuttosto curiosa.

-No- Apollo non voleva dare troppe informazioni personali.

-Quanti anni hai?- Kay però aveva una gran parlantina.

Apollo le lanciò un’occhiataccia.

-Non sono domande molto educate da fare- le fece notare.

-Essere curiosi non è una cosa negativa. La curiosità porta alla verità!- Kay gli fece un occhiolino.

-Sono l’uomo delle pulizie- si lasciò sfuggire alla fine Apollo, cercando di trovare una giustificazione alla sua presenza lì e allo stesso tempo evitare le domande più sconvenienti.

Trucy, Phoenix e May si voltarono di scatto verso di lui, sorpresi dalla sua affermazione.

Probabilmente Apollo non avrebbe dovuto deciderlo da solo, ma era bravo a fare pulizie, lì ne avevano chiaramente bisogno, e Apollo sapeva che sarebbe dovuto restare in quel castello a causa del patto stipulato con Phoenix.

-Senza offesa, ma non mi sembra tu stia facendo un ottimo lavoro- osservò con estrema maleducazione Kay, ridacchiando e guardandosi intorno.

-È il mio primo giorno! Non ho ancora iniziato!- si difese Apollo, estremamente offeso da quella mancanza di rispetto per gli anziani.

Il fuoco scoppiettò allegro nel camino, e sebbene gli occhi e la bocca fossero tornati nascosti subito dopo la reazione all’iniziativa di Apollo, il ragazzo capì che stava chiaramente ridacchiando tra sé.

Se Apollo avesse avuto il potere di tornare indietro nel tempo, non avrebbe mai stipulato un patto con lui!

-Oh, capisco… allora buon lavoro per il futuro!- la ragazzina si recuperò con un grande sorriso, e prima che Apollo potesse ribattere, Trucy tornò con una pozione dallo sgargiante color verde.

Non sembrava molto salutare, ma Kay la prese con occhi brillanti, e tirò fuori un paio di monete d’oro dalla sua borsa a tracolla.

-Oh, no, lascia, offre la casa- Trucy rifiutò il pagamento e aprì nuovamente la porta per congedare la ragazza, che ringraziò una decina di volte e uscì fuori salutando tutti con energia.

Trucy si tolse cappello e mantello, e sospirò, stancamente.

-Tre visite e non ho neanche fatto colazione- si lamentò, facendo il muso -Nonnino, cosa vuoi per colazione?- chiese poi ad Apollo, recuperando all’improvviso tutta l’energia.

Apollo rabbrividì a sentirsi chiamare nonnino. Era vecchio, è vero, ma nell’animo era ancora un ragazzo di 21 anni.

-Ti prego chiamami Apollo- sussurrò, avviandosi al tavolo che probabilmente era utilizzato per il pranzo ma che al momento era stracolmo di roba -E per la colazione… va bene tutto- aggiunse poi, adocchiando il cibo riposto in un angolo. A differenza di tutto il resto sembrava ben organizzato.

Era abituato a pasti piuttosto modesti, pappa d’avena, pane e un po’ di formaggio. Neanche ricordava l’ultima volta che aveva mangiato della carne. Lì ce n’era parecchia davvero appetitosa.

Trucy, che aveva già preso del pane e del formaggio, sembrò notare la direzione del suo sguardo, e un sorriso furbetto le apparve sul volto.

Si voltò verso il fuoco, che sembrava essersi distratto e scoppiettava pigramente nel camino.

Quando notò l’attenzione di Trucy indirizzata verso di lui, divampò più energicamente.

-No, Trucy, sai bene che solo Klavier può usare il fuoco!- la intimò, mentre lei iniziava ad avvicinarsi con uova e pancetta.

-Dai, ti prego, solo questa volta!- lo sguardo furbetto lasciò posto a due occhioni da cucciolo che avrebbero sciolto anche la più intransigente delle governanti dell’orfanotrofio di Apollo. E quelle donne non si erano mai fatte sciogliere da nessun bambino nei ventuno anni che Apollo era rimasto lì, quindi gli occhi da cucciolo di Trucy erano davvero notevoli.

-No, Trucy, non posso!- Phoenix probabilmente era abituato a tale attacco letale, o forse estremamente leale al suo padrone, ma resistette con determinazione d’acciaio.

-Dai, papà, non vuoi fare un favore alla tua figlia preferita?! Abbiamo anche un ospite anziano che ha bisogno di una calda e abbondante colazione!- Trucy insistette, e fu accompagnata da Maya, che divertita dalla situazione che si era andata a creare, si trasformò in un piccolo gufo dai grandi occhi dolcissimi e iniziò a darle man forte nella sua quest per convincere Phoenix a farle cucinare.

Apollo rimase come spettatore, e tutto ciò che lo colpì di quello scambio, fu che Trucy aveva chiamato il fuoco “papà”… come era possibile? Era una mezza demone? Era stata adottata? Ma chi mai avrebbe voluto avere un demone come padre? Beh, Trucy era magica, a quanto Apollo aveva capito, quindi forse anche lei aveva fatto un patto con il demone, per ottenere quei poteri.

Apollo ci capiva davvero troppo poco di queste cose per averne la certezza, ma a prescindere da ciò che Trucy era o dai poteri che aveva, sembrava davvero una brava ragazza. E Apollo era suo malgrado toccato che stesse facendo tutto quel teatrino solo per lui.

Sorrise tra sé, e aprì la bocca per dire alla ragazza di non preoccuparsi, che gli andava davvero bene tutto, ma il fuoco lo anticipò, brillando con molta meno intensità all’improvviso, e sollevando una nuvola di fumo, come se avesse appena sospirato.

-Va bene! D’accordo! Mi avete convinto. Cavolo, non riesco ancora a resistere a quegli occhioni- cedette… davvero molto in fretta, nell’opinione di Apollo, e si mise a disposizione per diventare il fuoco da cucina.

Trucy saltellò sul posto, felice di averlo convinto, e Maya le passò una padella che mise prontamente su un reticente Phoenix, che però non si lamentò ulteriormente.

Apollo si alzò, e si avvicinò.

-Posso aiutare in qualche modo?- offrì la propria disponibilità. Dopotutto, se doveva restare lì, era il caso di mettersi d’impegno fin da subito.

-Alla cucina ci penso io, non preoccuparti, nonnino. Ma se riesci a pulire qualche piatto e posata… sai… temo siano tutte sporche- ammise, indicando la pila di piatti luridi accumulati su un bancone.

Apollo aveva visto di peggio, quindi si avviò nella zona e iniziò ad esplorare i dintorni per capire anche come pulire non solo i piatti, ma anche poi tutto il resto.

Alla fine non era niente di infattibile, anche se con quel corpo anziano e acciaccato avrebbe dovuto fare parecchie pause durante la pulizia.

Iniziò a lavare i piatti in un angolo. Chissà quanti ne servivano. Di umani erano solo loro due, e dubitava che a May servisse una forchetta, anche se un piatto era meglio prepararglielo. Apollo iniziò a pensare che si stesse dimenticando di un dettaglio importante.

-Che dici, papà, Klavier tornerà per la colazione? Ne faccio una porzione anche a lui?- chiese Trucy al fuoco, facendo irrigidire Apollo.

Giusto, Klavier!

Quello non era un posto normale, Apollo era nel castello di Klavier! Doveva stare attento a lui e ai suoi scagnozzi, per quanto amichevoli e amabili potessero sembrare. Apollo era finito dalla padella ad un letterale fuoco, e doveva mantenere la mente lucida se voleva sopravvivere.

Sperò con tutto il cuore che Klavier non tornasse presto.

Purtroppo, mentre Phoenix sembrava in procinto di rispondere, la maniglia della porta girò da sola, attirando l’attenzione di tutti, e pochi istanti dopo la porta si aprì facendo comparire l’ultima persona che Apollo avrebbe voluto rivedere nella sua vita.

I dubbi che ancora non credeva del tutto possibili vennero confermati, quando nel castello fece il suo ingresso il magico e attraente quadro vivente dagli occhi di zaffiro responsabile della sua tremenda ordalia.

Ma non era ancora certo che fosse Klavier, giusto?

-Klavier!! Sei tornato!- lo accolse Trucy, sorridendo allegra e lasciando perdere per un attimo la cucina per accoglierlo.

…sì, quello era Klavier. Ovvio… naturale… e Apollo non poteva neanche tirargli un pugno in quel bel faccino che sembrava essere scolpito sul marmo. Che vita ingiusta.

Apollo cercò di farsi piccolo e invisibile, e si nascose dietro una pila di piatti ancora da lavare, sperando di essere notato il più tardi possibile.

-Ciao Trucy! Come sta la mia assistente preferita?- chiese Klavier, sorridendo alla ragazzina e scompigliandole i capelli con affetto.

-Mi sta usando per cucinare!- si lamentò Phoenix, dal focolare.

Klavier osservò la scena piuttosto sorpreso per qualche secondo, poi scoppiò a ridere.

-Beh, non posso biasimarla. L’odorino che sta uscendo è ottimo, ce n’è anche un po’ per me?- chiese, avvicinandosi e iniziando a cucinare al posto di Trucy, che ne approfittò per andare nel luogo dove aveva riposto una delle lettere di reclutamento. May sembrò accorgersi di ciò che voleva fare e prese la seconda lettera che aveva riposto nel suo nido.

-Sono arrivate queste, mentre eri via. Sia per Wright che per Gavin- spiegò Trucy, porgendo le lettere.

Apollo, dal suo nascondiglio, non riuscì a vedere bene Klavier, ma il suo tono di voce non sembrò affatto contento dei due inviti.

-Oh, capisco- sembrava fredda. Bastò a mettere i brividi al ragazzo trasformato.

-Ho provato a bruciarle seduta stante, soprattutto quella di von Karma, ma papà ha detto che dovevo dartele- Trucy, al contrario, era in piena visuale di Apollo, che la vide scuotere la testa e alzare le spalle.

Poi la vide immobilizzarsi e guardarlo strano, e Apollo intuì che Klavier avesse intascato le lettere, o quantomeno non le avesse bruciate.

-Purtroppo Phoenix ha ragione… meglio non bruciarle per il momento- sentì Klavier dire, in tono rigido ma che cercava di essere rilassato.

-Vuoi… stai valutando l’idea di andare in guerra?- chiese Trucy. Appariva devastata alla prospettiva.

Qualsiasi replica di Klavier venne interrotta dalla voce di Phoenix, che cambiò bruscamente argomento.

-Oltre alle lettere, Trucy oggi ha regalato una pozione a Faraday- fece la spia, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della presunta figlia.

-Ehi, non guardarmi così! Da contratto devo dirgli tutto!- si difese Phoenix, chiaramente dispiaciuto.

Klavier ridacchiò.

Wow… che bella risata.

…CONCENTRATO, APOLLO!

Il ragazzo iniziò a muoversi lentamente dietro la pila di piatti nel tentativo di vedere meglio lo stregone.

Non perché volesse bearsi della sua straordinariamente attraente faccia, ma per capire, magari, dalla sua espressione, cosa potesse passargli per la testa in quel momento.

-Capisco il voler aiutare le persone, Trucy, ma non possiamo fare beneficenza. Siamo pur sempre tre bocce da sfamare… quattro, se contiamo il costo del legno per Phoenix. E il cibo non possiamo crearlo dal nulla con la magia- spiegò, in tono paterno.

Apollo finalmente riuscì a scorgerlo. Guardava Trucy con affetto, come un fratello verso una sorellina. Era affascinante. Apollo si perse appena ad osservarlo. La sua esistenza sembrava un incantesimo. Non poteva essere così di natura!

-A proposito di questo…- Trucy cominciò probabilmente ad introdurre la quinta bocca da sfamare appena giunta, ma Apollo fece un lavoro migliore di lei perché, distratto dalla faccia innaturale di Klavier, non si accorse di essersi appoggiato troppo ai piatti in bilico, ed essi caddero a terra sfracellandosi al suolo, mostrando Apollo, e attirando l’attenzione di tutti quanti nella stanza.

Ci furono parecchi secondi di silenzio sbigottito, dove tutto fissavano Apollo con confusione e preoccupazione… forse. In realtà Apollo era troppo occupato a fissare Klavier negli occhi, in quegli zaffiri lucenti, che lo guardavano del tutto increduli, confusi, e preoccupati. Era senza parole, immobile e congelato sul posto. Così come Apollo, che se non fosse stato così scosso, sicuramente si sarebbe nascosto nuovamente dietro un’altra fila di ciarpame per distogliersi da tanta attenzione.

Trucy fu la prima a riprendersi.

-Nonnino, non ti muovere! Rischi di farti male con tutti i cocci di vetro! Aspetta lì!- prendendo le redini della situazione, impose ad Apollo di restare fermo, poi sollevò le mani e i piatti rotti iniziarono a muoversi lontano da lui.

Apollo distolse lo sguardo da Klavier per fissare la magia. Ormai sarebbe dovuto essere abituato agli incantesimi, maledizioni, demoni e quant’altro, ma rimase comunque un po’ spaventato dal fatto che agisse così vicino a lui.

Inconsciamente, fece un passo indietro, rischiando di mettere il piede su un coccio bello grosso.

Ma prima che ciò potesse capitare, Klavier schioccò le dita, e sia Apollo che i cocci iniziarono a fluttuare a mezz’aria.

Apollo venne immediatamente trasportato accanto a Trucy, che sorpresa dall’improvvisa magia del suo capo ritirò le mani al petto e lo osservò confusa.

I cocci, invece, iniziarono ad andare l’uno verso l’altro, riformando i piatti, che tornarono nella stessa identica posizione di prima, impilati, e sporchi, l’uno sull’altro.

Una volta che il pericolo fu scampato, e tutto tornò normale, l’attenzione si rivolse nuovamente verso Apollo, che arrossì, senza sapere bene come giustificarsi per il terribile errore. Non era proprio un bel modo di cominciare il lavoro.

-Sapete… la schiena… la vecchiaia è una brutta bestia- cercò di atteggiarsi nella parte di un anziano inerme.

Klavier aggrottò le sopracciglia, ma Trucy fu più veloce a parlare, e prese Apollo per un braccio, pronta a sostenerlo nel caso fosse caduto di nuovo.

-Mi dispiace, nonnino! Ti ho chiesto troppo? Hai bisogno di riposo? Ah, è perché non hai mangiato, vero? Siediti, ti porto subito la colazione, tanto hai già pulito abbastanza piatti!- Trucy lo fece sedere e si avviò nuovamente verso il fuoco, che però le fece cenno verso Klavier.

Lui infatti sembrava in procinto di chiamarla, anche se continuava a fissare Apollo, che al contrario cercava di guardare ovunque tranne che il mago.

-Ah, giusto!- Trucy nuovamente lo anticipò, capendo i segnali del demone, e si rivolse a Klavier con gli stessi occhi da cucciolo mostrati poco prima verso Phoenix -Lui è Apollo, un nuovo membro della nostra famiglia, e l’uomo delle pulizie. Ne abbiamo parecchio bisogno! Ed è stato raccomandato da May, non possiamo mica lasciarlo in mezzo alla strada- Trucy fece ottima pubblicità verso Apollo, che accennò un sorrisino impacciato, senza avere la minima idea di cosa stesse passando nel volto impassibile del mago che fino a pochi giorni prima era solo uno spauracchio per incoraggiare i bambini a comportarsi bene. Un mostro che Apollo era convinto che non avrebbe incontrato mai, e che ora aveva visto già due volte… e avrebbe visto ancora di più se iniziava davvero a vivere e lavorare lì.

Sicuramente non l’aveva riconosciuto… Apollo sperò con tutto il cuore che non lo avesse riconosciuto. Non voleva rispondere a domande sul perché fosse invecchiato di sessant’anni nel giro di un giorno. Soprattutto perché non poteva rispondere a tale domanda. E poi avrebbe rischiato di dire il motivo per il quale era rimasto lì, ovvero il patto con Phoenix, e dubitava che Klavier volesse rompere il contratto che aveva con Phoenix.

-No, certo che no. Sai che non chiudo mai la porta in faccia a chi ha bisogno di aiuto, soprattutto se è stato raccomandato da May- Klavier accettò la supplica di Trucy, e accarezzò la testa dell’uccellino, che gli vorticò intorno e poi si appollaiò sul cappello di Apollo, con una certa soddisfazione.

Lo sguardo impassibile di Klavier si aprì in un sorriso gentile, ed estese la mano verso Apollo.

-Piacere di conoscerti, Apollo- lo accolse.

Quindi, alla fine, non l’aveva riconosciuto.

Meglio così! Molto meglio così! Meglio ripartire su nuove basi!

Perché però il suo cuore sembrava essere appena sprofondato nel petto?

Apollo cercò di reprimere quella sensazione, e si alzò per stringere la mano del suo nuovo datore di lavoro e persona alla quale un giorno avrebbe tirato un pugno per tutto quello che gli aveva provocato.

-Il piacere è mio- mentì, sperando che la voce non fosse uscita troppo tremante.

-Benvenuto in famiglia, nonnino!- Trucy gli porse un piatto di pancetta e uova davanti, e lo abbracciò da dietro con affetto, lasciandolo non poco spiazzato.

-Uh? Che?- borbottò, confuso.

-Trucy, presenta la famiglia- la incoraggiò Phoenix, dal camino, divertito dalla confusione evidente sul volto di Apollo.

Anche Klavier ridacchiò, e tornò a cucinare ciò che rimaneva della colazione per tutti gli altri.

-Giusto! Non sai ancora nulla della gerarchia. Allora… io sono la figlia minore, a proposito, ho quattordici anni, e sono la giovane strega più promettente di Kurain!- si presentò Trucy, con entusiasmo.

-Tra qualche anno mi supererà- la complimentò Klavier, che aveva usato la propria magia per evocare degli effetti speciali atti ad esaltare meglio la sua presentazione.

-E sono io il capo della baracca, anche se tutti dicono il contrario- continuò Trucy, in tono solenne.

Klavier, Phoenix e anche May annuirono.

-Poi Klavier è il mio fratellone, ed è il finto capo della baracca, solo una facciata- indicò lo stregone, che salutò Apollo con un affabile sorriso.

Apollo evitò nuovamente il suo sguardo. Quel sorriso era troppo accecante per lui!

-Phoenix è il papà, anche se più mio che di Klavier. E May è la zia, sorella del papà- continuò la presentazione Trucy, indicando i due.

-Scusate se lo chiedo, ma… siete davvero tutti… insomma…- era una famiglia parecchio singolare, e non si somigliava nessuno, ma ad Apollo venne spontaneo chiedersi se fossero davvero una famiglia, o se fosse solo un gioco creato per accontentare Trucy.

-Siamo una famiglia per scelta, Apollo! E tu sei il nonno!- Trucy confermò che era una specie di gioco, e Apollo impallidì.

-Non potrei essere il simpatico maggiordomo e basta?- chiese, cercando di allontanarsi dalla possibilità di essere il padre di Phoenix.

-Suvvia, non devi sentirti a disagio! Ora… vuoi essere il padre di Phoenix, o il suocero?- chiese Trucy, che non sembrava voler accettare un no come risposta.

Apollo aveva tantissime obiezioni da fare, ma non riuscì a farne uscire fuori alcuna.

Perché il suo cuore aveva iniziato a battere fortissimo all’idea di essere finalmente parte di una famiglia.

Non ne aveva mai avuta una prima, oltre a Clay, che comunque era stato più che altro il suo migliore amico, e il pensiero di essere entrato a far parte di quella di Trucy, per quanto costretto, era terrificante e allo stesso tempo meravigliosa.

Non obiettò ulteriormente, e mangiò la sua colazione godendosi l’atmosfera festosa che si respirava al tavolo.

Altro che castello inquietante, quella era una reggia accogliente.

 

…una reggia accogliente e lurida!

Subito dopo colazione, i membri del castello si erano dispersi, e Apollo aveva cominciato il proprio lavoro di pulizia.

E aveva sottovalutato quanto sporco fosse quel castello.

Solo l’ingresso avrebbe impiegato l’intera mattinata.

Per fortuna, dopo aver mangiato, Apollo si era sentito molto meno acciaccato rispetto al giorno precedente, e aveva abbastanza energia per lavorare senza interrompersi troppe volte.

E May, la sua salvatrice alata, si era messa subito a disposizione per aiutarlo un po’, principalmente passandogli oggetti che gli servivano o spostando quelli che Apollo non riusciva a raggiungere.

Sembrava divertirsi parecchio a stargli vicino. Apollo non credeva di essere così interessante, ma era ben felice del suo aiuto.

Era molto meglio di quello di un fuoco di sua conoscenza, che al contrario non faceva altro che scoppiettare immobile nel camino e commentare di tanto in tanto.

-Lì hai mancato un punto!-

-Secondo me sarebbe più utile pulire prima la zona cibo e poi pensare alle pozioni-

-Ah, no, effettivamente le pozioni potrebbero mischiarsi con il cibo, quindi è meglio mettere le pozioni al sicuro per prime-

Apollo cominciava a non sopportarlo più.

-Se sei così bravo perché non lo fai tu?- sbottò all’ennesima provocazione, mentre sistemava tutti i libri ammassati in un angolo spolverandoli e rimettendoli in ordine alfabetico.

-Ehi, sto cercando di essere d’aiuto. Ti aiuterei anche ma sono bloccato qui- si difese Phoenix, occupando tutto lo spazio disponibile con il proprio fuoco per mostrare i propri limiti.

-Che razza di demone non può spostarsi a piacimento?- Apollo indagò, suo malgrado incuriosito da tali limiti. Non aveva mai avuto la possibilità di studiare i demoni, o gli stregoni, o in generale la magia.

Non avrebbe voluto farlo in ogni caso, ma ora che ci si trovava, era meglio cercare di imparare qualcosa.

-Un demone che deve assicurarsi che questa casa resti in piedi, si muova, ed esista contemporaneamente in tre luoghi fisici e uno…- la spiegazione di Phoenix venne interrotta quando si rese conto che iniziava a dare troppe informazioni, e guardò Apollo con un certo sospetto.

Apollo decise di non chiedere dove portasse la quarta manopola della porta, e in ogni caso non l’avrebbe chiesto, perché era troppo occupato a restare a bocca aperta da tutto il resto.

-Aspetta, tu ti occupi della casa? Tipo… sei tu che la fai muovere?- chiese, sorpreso.

-Duh… movimento, struttura, protezione da qualunque mago o strega voglia entrare…- spiegò Phoenix, dandosi parecchie arie.

Apollo aveva abbandonato l’espressione irritata per lasciar posto ad un vero fascino nei confronti del fuoco davanti a lui.

-Wow… ammirevole!- ammise, con occhi brillanti.

-A dire il vero non ho ancora capito come tu sia riuscito ad entrare, ma suppongo che il fatto che sia stata May a portarti abbia contribuito…- Phoenix si fece pensieroso, e lanciò un’occhiata all’uccello, che nel frattempo si era trasformato in un pavone e stava spolverando i libri con la grande coda piumata.

Sollevava più polvere che altro, ma si stava divertendo almeno.

-Beh, suppongo sia perché non sono un mago- gli fece notare Apollo, con ovvietà, tornando poi a lavoro.

Aveva finito di sistemare i libri, quindi era il momento di lavare.

Sollevò le maniche della camicia per evitare di bagnarle, e sobbalzò quando il fuoco divenne enorme all’improvviso.

-Cosa c’è?!- chiese, sorpreso.

-Dove l’hai preso quello?- chiese Phoenix, allarmato, indicando il polso di Apollo, dove indossava un bracciale dorato dai particolari disegni.

Apollo lo strinse con fare protettivo.

-È l’unica cosa che ho della mia famiglia, perché?- chiese Apollo, avvicinandosi al fuoco. Se l’aveva riconosciuto, forse sapeva qualcosa della famiglia di Apollo. Certo, lui dubitava potesse essere coinvolta con demoni, ma magari i demoni sapevano cose in generale, e Apollo avrebbe potuto ricevere risposte.

Phoenix fissò il bracciale senza dire una parola per parecchi secondi, ma dal colore del fuoco, che passò dal rosso, all’arancione, al viola fino a raggiungere un forte giallo, una persona che lo conoscesse bene avrebbe potuto intuire cosa gli stesse passando per la metaforica testa.

Apollo non capiva affatto.

E May era troppo occupata a spolverare per interessarsi alla loro conversazione e dare ad Apollo qualche dritta su come interpretare il mistico fuoco demoniaco.

Alla fine, Phoenix tornò rilassato e al normale pigro scoppiettio.

-Niente… ho sbagliato- mentì, era chiaro come il sole che stava mentendo.

-Cosa sai di questo bracciale?- Apollo insistette, indicandoglielo con forza.

Phoenix si ritirò come scottato… cosa alquanto impossibile dato che era un fuoco letterale.

-Cosa sai del mio contratto che mi tiene ancorato a Klavier?- rigirò la frittata, facendo ritirare Apollo.

-In che senso?- stavano parlando della sua famiglia, perché all’improvviso Phoenix chiedeva del loro contratto.

-Nel senso che se spezzi il mio contratto, ti darò anche le risposte che cerchi sulla tua famiglia-  spiegò Phoenix, aggiungendo una nuova clausola al contratto che i due avevano stipulato.

-Ehi, ma non è giusto! Avevamo già il nostro accordo!- si lamentò Apollo, irritato.

-E ti sto offrendo un’informazione in più. Dovresti ringraziarmi, papà- Phoenix non sembrava intenzionato a cedere, e Apollo non aveva gli occhi da cucciolo di Trucy, quindi difficilmente sarebbe riuscito a convincerlo.

-…suocero!- obiettò Apollo, che non voleva essere imparentato con lui neanche per finta.

-Anche se in effetti penso che tu sia più in lizza per il ruolo di figlio, a questo punto- borbottò tra sé Phoenix, pensieroso.

-Cosa?- Apollo si avvicinò.

-Nulla… non dovevi pulire? È quasi ora di pranzo!- Phoenix lo rimise a lavoro, e Apollo obbedì, anche se avrebbe voluto indagare ulteriormente.

Suppose che avrebbe avuto tempo in seguito.

Il resto della pulizia continuò senza troppi problemi. Apollo si sentiva meno vecchio mentre faceva una cosa alla quale era davvero abituato, e dopo pranzo Trucy si unì a lui nei piani superiori, aiutandolo con un po’ di magia e parlando un po’ di lei.

Apollo provò a chiederle come fosse finita nel castello di Klavier, ma Trucy rispose solo che era la sua apprendista, e il ragazzo decise di non insistere.

Klavier non si fece vedere per tutto il giorno, e la sua camera fu l’unica che Apollo non riuscì a pulire.

Non che se ne lamentasse, voleva avere a che fare con Klavier il meno possibile, ma doveva ammettere di essere curioso circa le sue attività.

Fu solo al tramonto, mentre Apollo e Trucy stendevano i panni nelle lande aiutati da May versione aquila gigante, che Klavier uscì nuovamente da casa.

-Il castello non sembra neanche lo stesso. Sei davvero un portento, Apollo- sorrise affabile al ragazzo trasformato in vecchio, e si avvicinò al trio.

-Ci serviva proprio! E il nonno è pieno di energie! Davvero una bella aggiunta al gruppo!- esclamò Trucy, con entusiasmo.

-Ti prego, chiamami Apollo- sussurrò Apollo, anche se si stava ormai arrendendo ad essere diventato nonno.

Klavier allargò il sorriso.

-Già… la nostra piccola famiglia si fa sempre più numerosa, ne sono felice- accarezzò il capo di May, e si sistemò meglio il mantello sulle spalle.

-Stai uscendo?- chiese Trucy, intuendo il perché di quel gesto.

Klavier annuì.

-Ho degli affari da sbrigare. Trucy, assicurati che Phoenix abbia legna in abbondanza, e cercate di non rientrare troppo tardi. Le lande diventano pericolose di notte- Klavier spiegò la situazione senza spiegarla del tutto. Più Apollo lo vedeva interagire con gli altri, più gli sembrava freddo. Gentile, sì, ma finto.

Eppure, quando l’aveva salvato dalle guardie ubriache era sembrato così autentico nelle sue emozioni.

Strano…

-Sarà fatto. Lo sai che sono in gamba!- Trucy mise le mani sui fianchi, orgogliosa di sé, e Klavier le scompigliò i capelli.

-Dovrei tornare stanotte. Vedrò di prepararla io la colazione, domani- promise, salutando sia Trucy che May con dei cenni, e poi rivolgendosi ad Apollo.

I loro sguardi si incrociarono solo per un istante, poi Klavier distolse i propri occhi.

-Spero ti riposerai bene, stanotte- gli disse, stringendogli leggermente la spalla per offrire sostegno, prima di rientrare nel castello.

Il cuore di Apollo aveva saltato un battito a quella stretta. Sentiva proprio una strana energia provenire da quell’uomo.

Decise di non pensarci, aveva del lavoro da fare!

 

Nel bel mezzo della notte, dopo una missione di ricognizione piuttosto ardua, Klavier tornò al castello dalle lande. Stanco, sporco, e con un occhio color cremisi che ci avrebbe messo qualche ora a tornare azzurro.

-Stai usando troppa magia, ultimamente- gli fece notare Phoenix, a bassa voce, accogliendolo in casa con un cipiglio severo.

-Scusa, papà- ribatté Klavier, sarcastico, avvicinandosi al fuoco e sedendosi davanti a lui, molto provato.

Phoenix sospirò, sollevando una nuvoletta di fumo.

-Lo dico solo perché mi preoccupo per te. Lo sai che ci sono certi limiti che è meglio non superare quando si fa un patto con un demone- gli ricordò. Klavier annuì, tenendo bene a mente le sue parole.

-La guerra là fuori è orrenda- commentò poi, ripensando a ciò che aveva visto. Il mare di fuoco, tutti quei soldati feriti, e per cosa?! Per il delirio di onnipotenza di due persone ai lati opposti che nel frattempo restavano al sicuro nei propri castelli protetti da centinaia di incantesimi.

Klavier aveva tentato di evitare i maggiori danni alla popolazione, ma ora che i regnanti di entrambi i regni avevano iniziato a reclutare maghi senza scrupoli nei loro ranghi, era diventato difficile intervenire senza farsi notare.

-Forse dovresti solo… lasciare che la guerra proceda e restare lontano- provò a suggerire Phoenix, anche se non sembrava molto convinto neanche lui all’idea.

Klavier tirò fuori le lettere ricevute quella mattina.

Avrebbe voluto poterle bruciare senza esitazioni, ma sapeva di non poterlo fare.

Lanciò un’occhiata verso May, che dormiva della grossa sul suo trespolo, e lanciò verso Phoenix la lettera dei Fey, che bruciò in pochi istanti.

Poi osservò quella di von Karma, senza osare aprirla, ma tenendola stretta tra le mani tremanti.

-Credi che Edgeworth sappia che sono io?- chiese a Phoenix, preoccupato all’idea che Edgeworth l’avesse trovato nonostante gli incantesimi di protezione.

-Sì, ma conoscendolo ti darà qualche giorno per incoraggiarti a venire a palazzo di persona. Temo che non potrai rifiutarti- gli fece presente Phoenix, ben poco incoraggiante.

Klavier sospirò, e intascò la lettera di reclutamento, troppo stanco per pensare ad un modo di evitare il destino.

Si alzò e si avviò verso le scale per andare a fare una doccia.

Si fermò quando notò il volto di Apollo illuminato appena dal fuoco che passava oltre le tende che coprivano il suo giaciglio di fortuna. Avrebbe dovuto presto includere una nuova stanza da letto per farlo dormire più comodamente.

Klavier lo osservò qualche secondo, rapito da quanto in pace sembrasse in quel momento, profondamente addormentato, e con la maledizione che aveva abbandonato del tutto il suo corpo per quelle poche ore di sonno.

Avrebbe voluto poterlo aiutare, ma sapeva di non avere il potere di farlo.

Klavier non si era mai sentito così in colpa nei confronti di qualcuno. L’aveva cercato per sette anni, e l’aveva condannato con una sola conversazione. Avrebbe dovuto stargli alla larga, incoraggiarlo ad andarsene da quel castello finché era in tempo, portando Trucy e May con sé per permettere a tutti e tre di ricominciare la propria vita. Ma non ce la faceva. Era così bello poterlo vedere così, anche se da lontano.

E per quel poco che a Klavier rimaneva, ora che Edgeworth l’aveva finalmente trovato, desiderava goderselo il più possibile.

E sperare, in fondo al cuore, che un giorno avrebbe mantenuto la sua promessa.

 

 

 

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Capitolo 4
*** Il mercato ***


Il mercato 

 

Quasi una settimana era passata da quando Apollo era entrato a far parte della famiglia del castello, e non riusciva a capacitarsi da quanto in fretta si fosse ambientato.

Forse per via del fatto che una famiglia non l’aveva mai avuta, forse perché tutti i membri del castello erano piuttosto amabili, Phoenix escluso, ma si trovava molto meglio di quanto si sarebbe mai aspettato.

Nonostante il suo corpo anziano non gli facesse godere appieno l’esperienza.

Ma iniziava in parte ad abituarsi anche ai dolori della vecchiaia, che stavano diventando quasi accettabili, e meno invadenti di prima.

Che fosse un segno che la maledizione si stesse indebolendo da sola, o solo una conseguenza della forte abilità di Apollo di adattarsi, questo l’orfano non lo sapeva, anche se temeva che se si fosse abituato troppo, sarebbe stato più difficile tornare ad essere quello che era prima.

…non che la sua vita fosse poi così grandiosa, prima di entrare al castello, ma almeno sarebbe stata un po’ più lunga da vivere piuttosto che restare lì invecchiato… forse.

A dire il vero, Apollo non ne era poi così certo. La guerra continuava senza sosta, e il castello, grazie a Phoenix, era forse il luogo più sicuro che ci fosse.

Apollo cercava di non pensare troppo. Non aveva neanche abbastanza tempo per pensare alle cose, dato che tra il lavoro come domestico, Trucy che si esercitava con la magia con lui, May che adocchiava sempre il suo cibo durante i pasti e i commenti irritanti di Phoenix ogni volta che Apollo si trovava in stanza con lui, di tempo ne aveva davvero poco per pensare.

E per indagare sul contratto che legava Klavier a Phoenix.

Anche perché Klavier si faceva vedere ben poco, al castello.

Di solito durante i pasti, e ogni tanto aiutava Trucy con delle pozioni da dare a vari clienti.

Apollo non aveva avuto molte occasioni di parlare con lui, ma un paio di volte l’aveva notato intento ad osservarlo da lontano, e il suo cuore aveva perso un battito.

Che fosse per la paura di essere scoperto come impostore, o perché quegli occhi color zaffiro erano davvero affascinanti, anche qui Apollo non avrebbe saputo definirlo, ma una cosa era ormai piuttosto certa, dopo averlo osservato così a lungo: Klavier era una brava persona.

Era chiaro che non fosse crudele neanche un decimo di quanto dicessero i rumors, e sebbene Apollo ancora non sapesse esattamente cosa era successo ai membri della “famiglia” per finire lì, era chiaro come il sole che Klavier stava solo cercando di aiutare tutti, e vivere libero, al sicuro, lontano dalla guerra e dagli altri stregoni.

Insomma, nonostante i misteri, Apollo iniziava davvero a sentirsi parte del gruppo, e persino Phoenix iniziava a far breccia nel suo spesso strato di esasperazione verso i suoi commenti.

Al momento, Apollo e Trucy erano al mercato, in compagnia di May, che era appollaiata sul cappello della streghetta trasformata in uomo di mezza età.

-Quando sei vestita così più che mia nipote sembri un mio eventuale figlio- aveva commentato Apollo quando l’aveva vista così prima di uscire. Si era ormai abituato ad essere chiamato nonnino dalla ragazzina, ma non voleva essere chiamato tale anche dalla sua versione adulto, o si sarebbe sentito un centenario.

-No, nonnino! Se fossi figlio e nipote insieme la faccenda si farebbe troppo imbarazzante!- aveva obiettato Trucy, ridacchiando e preparandosi all’uscita.

-Ricordatevi di restare sempre insieme. Soprattutto tu, Apollo, non allontanarti!- si era fatto promettere Phoenix, in tono serio.

Apollo gli sentiva dire talmente tante cose, che non aveva badato molto al suo avvertimento.

Anche se, ora che era effettivamente fuori con Trucy versione Shadi, come si era chiamata durante il travestimento, stava notando che la ragazza non gli lasciava un momento di libertà, ma lo teneva per il braccio come ad evitare che scappasse via.

Apollo non ne aveva la minima intenzione, e cercò di ignorare la cosa. Probabilmente lo teneva d’occhio perché lo credeva un anziano e voleva assicurarsi che stesse bene. Era una ragazzina molto attenta a queste cose. 

Per la prima ora, lo shopping andò piuttosto bene. Comprarono cibo, legna di buona qualità, e materiali per le pozioni e gli incantesimi di Klavier.

-Il fratellone adorerà queste pietre curative!- commentò Trucy, mostrando con orgoglio ad Apollo due zaffiri appena acquistati.

-Sembrano i suoi occhi- borbottò Apollo, osservandoli ammirato.

-…quasi sempre- aggiunse Trucy, rabbuiandosi appena, e mettendo le pietre in tasca.

-In che senso?- Apollo la guardò confuso. Gli occhi di Klavier erano sempre azzurri come zaffiri, o almeno Apollo li aveva sempre visti così.

-Niente… andiamo! Dobbiamo ancora comprare del mangime per May!- Trucy gli riprese il braccio e indicò uno stand poco distante.

May, che aveva volteggiato intorno a loro tutto il tempo, si abbandonò sul cappello di Apollo, e iniziò a punzecchiarlo con il becco.

-Che c’è?- chiese Apollo, confuso.

May si limitò a lamentarsi.

-Credo che non le piaccia il mangime per uccelli- indovinò Apollo, rendendo Trucy partecipe dell’informazione.

-Ma ad un uccellino non fa bene mangiare sempre bacon! Devi alternare almeno un po’- la riprese Trucy, lanciandole un’occhiataccia.

Apollo aveva ormai intuito che May non poteva essere davvero un uccello, però concordava con Trucy sul mantenere la dieta come se fosse davvero tale. Dopotutto il corpo che aveva era quello.

Così come Apollo aveva dovuto rinunciare ad alcuni cibi a causa della sua vecchiaia.

Anche se gli zuccheri gli mancavano.

-Andiamo, May! Se fai la brava e mangi il tuo mangime, prometto che la prossima volta che faccio degli hamburger te ne do un pezzo!- Trucy provò a prendere l’uccello in mano, ma May iniziò a volare via, e facendo alzare gli occhi al cielo alla bambina travestita da uomo.

-Torna qui, dai! May!- Trucy iniziò a seguirla, e Apollo cercò di stare al passo, anche se la sua stamina non era granché con il corpo che si ritrovava.

-Ragazze, pensate all’anziano!- provò a richiamarle, in tono autoritario. 

La sua autorità purtroppo era di dieci spanne inferiore a quella di Trucy e May, nonostante fosse teoricamente il più vecchio tra di loro.

Solo teoricamente.

Anche se praticamente era più vecchio almeno di Trucy. Non che questo servisse a qualcosa, dato che era lei il capo di tutto.

Ma comunque sperò che si fermassero ad aspettarlo, dato che Phoenix aveva insistito tanto per non allontanarsi mai l’uno dall’altro durante quell’uscita in città.

Stranamente, non che se ne lamentasse, sembrava riuscire a tenere abbastanza il passo, e le due rimasero sempre a portata di vista, pur lontane.

O almeno, lo rimasero finché Apollo non decise di fermarsi, di sua spontanea volontà, allertato da un caos improvviso della folla, che iniziò ad avviarsi contemporaneamente al porto.

Apollo si girò per controllare il motivo di tale agitazione collettiva, e il cuore gli sprofondò nel petto quando notò che una nave da guerra era tornata, e portava appresso a lei un’altra nave da guerra, più piccola, appartenente alla flotta avversaria.

Al momento Apollo era nella città portuale di Kurain, nel regno dei Fey, il ché significava che la nave avversaria era dell’esercito di von Karma.

…Clay era arruolato con von Karma.

Apollo dimenticò Trucy, May e la promessa fatta a Phoenix di non allontanarsi, e si avviò in direzione del porto, preoccupato dalla possibilità che il suo più vecchio amico, e unica persona che aveva considerato come una famiglia crescendo, potesse essere ferito… o peggio.

Ricordava il numero della nave che Clay aveva preso, il giorno in cui era partito per la guerra. Forse… se si avvicinava abbastanza…

Apollo provò ad andare più vicino, ma si sentì bloccato sul posto, e iniziò ad essere trascinato da una forza invisibile lontano dalla nave.

Non aveva mai provato niente del genere. Era come se il suo braccio, quello con il bracciale di sua madre, avesse una corda piuttosto resistente, ma invisibile, che lo trascinava lontano dal luogo che voleva raggiungere, verso il mercato, lontano dalla folla.

Forse Apollo avrebbe dovuto seguire quella forza e lasciar perdere. Conoscere la verità non gli serviva a niente se tanto comunque non poteva fare nulla per cambiare le cose.

Ma Clay era tutto ciò che aveva avuto per molto, molto tempo.

Con la poca forza che aveva, provò a liberarsi della presa invisibile, con uno strattone, e il filo si spezzò di netto, con inaspettata facilità, rischiando di far cadere l’anziano a terra.

Ma Apollo si tenne in equilibrio per un pelo, e si avvicinò alla nave, proprio mentre l’equipaggio scendeva, tutto tronfio, con una schiera di prigionieri, legati e acciaccati, al seguito.

Apollo perse un battito, ma cercò di non concentrarsi su di loro, e si avviò il più in fretta possibile alla nave ormai quasi distrutta.

HAT-2

…oh no!

Il suo sguardo tornò ai prigionieri, cercando una familiare chioma scura, pregando con tutto il cuore che Clay fosse lì in mezzo a loro, ma non sembrò notarlo da nessuna parte.

La folla era estremamente compatta, e per Apollo fu estremamente difficile superare tutti e raggiungere i prigionieri, ma doveva farlo, a tutti i costi.

Forse se riusciva a parlare con uno di loro, avrebbe potuto chiedere chiarimenti.

Era rischioso, ma che altro poteva fare?!

Non avere la minima idea di cosa fosse successo a Clay era terrificante.

-Hey, tu! Nonnino! Cosa pensi di fare? Sta indietro!- provò a fermarlo uno dei soldati di Kurain, ma Apollo neanche badò a lui, e si avvicinò all’ultimo dei prigionieri, un ragazzo dallo sguardo perso nel vuoto. Sembrava terrorizzato e allo stesso tempo completamente assente.

-Cosa è successo al resto dei soldati?- chiese nel panico, prendendolo per un braccio e facendolo sobbalzare.

-L’angelo della morte!- esclamò lui, con sguardo spiritato.

-Cosa?- Apollo si ritirò, sorpreso da tale veemenza, e ancora più preoccupato per Clay. 

Si guardò nuovamente intorno per controllare, in un disperato tentativo di ignorare la realtà, se il suo migliore amico fosse tra i prigionieri, ma non c’era… non era da nessuna parte.

-L’angelo… della morte?- ripetè, in un sussurro, sperando non significasse ciò che temeva.

-Un enorme uccello di fuoco è piombato sulla nave, e ha preso tutti quelli che ha potuto. L’angelo della morte. Un demone dagli inferi…- continuò l’uomo, afferrando Apollo a sua volta e rischiando di farlo cadere.

Un uccello… di fuoco?

Quindi… un qualcosa di reale, non era una metafora!

…non che fosse poi tanto meglio.

-C’era fuoco dappertutto… la nave affondava…- aggiunse il prigioniero prima di lui, in un sussurro che Apollo riuscì a malapena a recepire.

-Lui li ha presi tutti! Li ha presi tutti quanti!- continuò l’ultimo della fila.

Il cuore di Apollo batteva così forte nel petto che era certo stesse per scoppiare da un momento all’altro.

Aprì la bocca per chiedere ulteriori chiarimenti, ma la voce non sembrava uscirgli.

Le unghie del prigioniero, che gli serravano il braccio, iniziavano a fargli del male.

Prima che potesse riprendersi e indagare, venne violentemente strappato via dalla sua presa da un soldato di Kurain, che quasi lo gettò a terra.

-Cosa credi di fare?!- chiese, puntandogli l’arma contro.

Apollo alzò le mani.

-Io… mi dispiace… sono…- cercò una scusa al volo da rifilare per giustificare il suo essersi buttato sui prigionieri a fare domande, ma non trovava niente di realistico, o quantomeno non riusciva a pensarci al momento.

La sua mente era troppo occupata a farsi prendere dal panico e dalla disperazione alla ormai quasi totale certezza che il suo più vecchio amico non c’era più.

…un uccello di fuoco… fuoco… Apollo sentiva che c’era qualcosa di importante in quella descrizione.

Ma non riusciva a pensarci, non riusciva a pensare a nulla.

Riusciva solo a tremare e a trattenere a stento le lacrime mentre borbottava scuse incomprensibili.

Non aveva più nessuno… non aveva più assolutamente nulla. Se fosse morto lì, con un colpo di fucile da parte di un soldato di Kurain, non se ne sarebbe accorto nessuno. Non avrebbe avuto alcuna importanza.

Chiuse gli occhi, aspettando il colpo.

-Nonnino!- venne salvato da una voce alle sue spalle, la voce spaventata e tremante di una ragazzina, e Apollo riaprì gli occhi di scatto, sorpreso.

Sia lui che il soldato, così come gran parte dei curiosi attorno a loro, si voltarono nella direzione dalla quale la voce era venuta, e prima ancora di scorgere l’immagine di Trucy, che correva nella sua direzione, Apollo sentì qualcosa posarsi sul suo cappello, quasi con violenza, rischiando di farglielo cadere via. Era May, trasformatasi in usignolo. 

-Questo vecchio è con te?- chiese il soldato a Trucy, tornata normale, una volta che lei fu giunta davanti a loro.

-Sì… è mio nonno! La prego, lo lasci andare- Trucy si mise davanti ad Apollo, proteggendolo dal poco amichevole soldato.

Il ragazzo maledetto era senza parole.

Non si aspettava minimamente che le due sarebbero venute a salvarlo. 

Per un attimo, seppellito dalla sua disperazione, si era persino dimenticato di essere venuto al mercato con loro.

Rimase immobile a fissare la scena davanti a lui, senza ancora riuscire a proferire alcuna parola, semplice spettatore.

-Ha iniziato a fare domande ai prigionieri del nemico! Dobbiamo portarlo dalla regina per interrogarlo!- obiettò il soldato nemico. Apollo sentì May tremare sul suo cappello, parecchio vistosamente.

-Oh no, la prego. È solo un vecchio matto. Sa, ha parecchi problemi di salute. Anni fa è stato maledetto da uno stregone e da allora ha delle allucinazioni. Ha partecipato alla guerra anni e anni fa. Chiuda un occhio questa volta, la imploro!- Trucy si inventò in fretta una storia piuttosto credibile, e il tremare di Apollo, ancora sconvolto da tutto quello che stava succedendo intorno a lui, convinse il soldato a lasciar stare, per quella volta.

Rinfoderò l’arma, e fece cenno ai tre di allontanarsi in fretta da lì.

Trucy ringraziò sentitamente, poi prese Apollo per un polso, e lo trascinò il più lontano possibile dalla nave, dai prigionieri, e dalla folla di curiosi.

Apollo la fece fare, completamente incapace di obiettare. Non che avesse voluto farlo, dato che probabilmente era vivo solo grazie a lei.

Per la prima volta da quando era stato maledetto, si sentiva davvero addosso l’età che dimostrava.

Ed era stanco, stanchissimo.

-Come ti è saltato in mente di allontanarti così?! Ti abbiamo cercato ovunque. Non dovevamo separarci per nessun motivo!- una volta fuori dalla portata d’orecchio, e isolati, Trucy si rivolse ad Apollo, in tono combattivo.

Apollo sobbalzò vistosamente, come svegliato da un sogno.

Ed in effetti la sua mente era come in un sogno, perché continuava ad immaginare scenari dove Clay veniva afferrato e brutalmente ucciso da un demone di fuoco.

Non la cosa migliore a cui pensare.

-Mi dispiace- borbottò, poco sentitamente. A sua discolpa, non riusciva proprio a restare ancorato alla realtà.

Trucy non sembrò accorgersi del pessimo stato emotivo del suo presunto nonno, perché a sua volta sembrava estremamente agitata.

La mano che teneva il polso di Apollo tremava vistosamente, e si guardava intorno preoccupata, come se fosse braccata.

-Come hai potuto allontanarti così tanto?!- continuò il rimprovero. Anche se più che un rimprovero sembrava una vera e propria domanda.

Come era riuscito ad allontanarsi così tanto?! 

Apollo si mise sulla difensiva.

-Siete voi che siete scappate via di corsa. Sono anziano, anche provando non sarei riuscito a starvi dietro- provò a giustificarsi, anche se effettivamente si era allontanato di sua spontanea volontà, e non si era semplicemente perso.

Trucy si fermò e si girò di scatto verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.

-Sì invece! Ti bastava seguire….- si interruppe di scatto, e scosse la testa -Non importa! Dobbiamo tornare immediatamente a casa- gli diede nuovamente le spalle, e tornò a trascinarlo verso l’ingresso della casa nella città marittima.

Seguire… cosa?

Apollo ripensò alla corda invisibile sul suo polso, e un fastidioso dubbio iniziò a rosicchiargli il cervello.

Ma non aveva tempo di pensare anche a questo.

Aveva già troppi pensieri negativi in testa.

-Che caratterino…-borbottò tra sé, cercando di stare al passo, anche se la schiena era alquanto provata da quella velocità.

-Perché tanta fretta?- chiese poi, molto confuso riguardo alla situazione.

Trucy gli lanciò un’occhiata sospettosa.

-Perché vuoi prenderla con calma?- rigirò la domanda.

-Mi fa male la schiena- rispose Apollo, con ovvietà.

Trucy, effettivamente, rallentò appena.

Ma riprese in fretta velocità.

-Dovevi pensarci prima di spezzare il vincolo!- si lamentò, più tra se che rivolta espressamente ad Apollo.

-Il… cosa?- era impossibile ormai ignorare quel pensiero.

La corda non era stata un’illusione, ma un vero e proprio incantesimo, messo sicuramente da Trucy, per evitare che si allontanasse. Per tenerlo letteralmente al guinzaglio, come un cagnolino.

-Lascia stare! Dobbiamo tornare a casa!- Trucy interruppe sul nascere ogni possibile discussione.

Anche May, ancora appollaiata sul cappello di Apollo, fece un verso di urgenza, e beccò appena la fronte del ragazzo-nonno per scoraggiarlo dal fare altre domande, e seguire semplicemente il flusso.

Apollo era piuttosto seccato.

O lo trattavano come fosse un vecchio, o come fosse un bambino, ma non era nessuna delle due cose, e se anche lo fosse stato, meritava di sapere cosa stesse succedendo.

-Trucy, sul serio, perché tutto questo…?- provò a chiedere, seccato che lo stessero tenendo all’oscuro di tutto.

-Non c’è tempo di spiegarti! Dobbiamo…- ma la replica ancora più seccata di Trucy venne interrotta da una voce alle loro spalle, dolce e melliflua.

-Finalmente! Sono giorni che cerco di rintracciarti- 

Trucy si fermò di scatto, e il tremore della sua mano si fece più evidente.

Anche Apollo si sentì piuttosto teso.

Perché avrebbe riconosciuto quella voce tra mille, dopo quello che gli aveva fatto.

Si girò di scatto, ritrovandosi faccia a faccia con la Farfalla Velenosa.

Ombrello alla mano, farfalle tutte intorno.

Sembrava la donna più innocente del mondo, ma allo stesso tempo irradiava potere malvagio.

Quella non era proprio la giornata di Apollo.

-Oh no…- sentì Trucy sussurrare alle sue spalle. Gli tenne il polso con più forza, chiaramente spaventata a sua volta dalla visione.

-Mi hai portato esattamente dove volevo che mi portassi. Sei stato davvero bravissimo- continuò la Farfalla Velenosa, guardando fisso verso Apollo, con estrema soddisfazione.

Apollo era confuso. A chi si stava riferendo? Forse a May, sul suo capo? Non poteva chiaramente parlare di lui… vero?

-Apollo… che significa questo?- Trucy si rivolse a lui con tono chiaramente accusativo, e allo stesso tempo estremamente ferito.

Apollo la fissò incredulo.

Era come se nella sua testa ci fossero alcuni pezzi di puzzle che non riuscivano in alcun modo ad incastrarsi tra di loro, perché gliene mancavano troppi altri.

E aggiungendoci la consapevolezza che Trucy gli aveva posto un vincolo, e l’incertezza se il suo migliore amico fosse vivo o morto, Apollo era convinto che presto la sua mente sarebbe esplosa.

-Significa, mia cara Trucy Enigmar, che adesso tu verrai con me, e spera di essere abbastanza importante per Phoenix- la Farfalla Velenosa le puntò l’ombrello contro, e Trucy si irrigidì.

-Mi chiamo Trucy Wright!- obiettò, prima di attaccare.

Apollo non ebbe il tempo di pensare, di parlare, di riflettere o anche solo di capire cosa stesse succedendo, che si ritrovò nel mezzo di un vero e proprio scontro tra streghe.

Gli occhi di Trucy si fecero rossi, e iniziò a lanciare palle di fuoco, che vennero schivate e bloccate senza alcuna difficoltà dalla donna davanti a lei e dal suo ombrello magico.

Ci volle meno di un minuto per capire l’estrema disparità tra le due combattenti: Trucy ci metteva la massima forza possibile, mentre la Farfalla Velenosa ridacchiava e si sforzava al minimo.

Neanche l’intervento di May, trasformatasi in un condor gigantesco e minaccioso, riuscì ad aiutarla. Infatti in poco tempo venne lanciata in un angolo con un “Non metterti in mezzo, cugina!” che Apollo proprio non capì.

Apollo avrebbe voluto raggiungerla per controllare che stesse bene, ma era sparita alla vista, e in ogni caso, lui era completamente bloccato sul posto, immobile e incapace di fare altro che cercare di tenersi fuori portata dalla magia.

Odiava la magia!

Non gli aveva portato altro che guai!

Perché la Farfalla Velenosa si accaniva così contro di lui?!

Anche se… non si stava accanendo contro di lui.

Voleva Trucy.

Per arrivare a Phoenix.

E a Klavier.

Il suo intento era sempre stato quello di arrivare a Klavier.

E aveva detto che…

Un momento!

Sebbene Apollo non avesse tutti i pezzi del puzzle, con un’illuminazione, riuscì a mettere insieme i pochi che aveva, che formarono una figura davvero preoccupante.

Le rassicurazioni di Phoenix sul non allontanarsi.

Il vincolo.

La preoccupazione di Trucy, che continuava a guardarsi intorno.

La stessa maledizione contro di lui, proprio dopo essere stato salvato da Klavier quel giorno fatale, quando tutto era iniziato.

Per tutto questo tempo, la Farfalla Velenosa aveva cercato di usarlo per rintracciare Klavier, e Apollo era stato protetto dalla vicinanza di Trucy e May, forse con un incantesimo, forse solo stando loro vicino in quanto avevano uno scudo intorno.

Una cosa era certa: se al momento Trucy era in pericolo, era solo colpa sua.

Non poteva permettere che Trucy venisse rapita a causa sua.

Certo, la conosceva da poco, ma si era enormemente affezionato a lei, sempre così energica, ed entusiasta per tutto. Trattava Apollo come se fosse parte della sua famiglia, sentimento al quale Apollo non era affatto abituato.

Non aveva armi da usare contro la Farfalla Velenosa, ma doveva comunque provare ad affrontarla, distrarla, proteggere Trucy.

Si guardò intorno, in cerca di qualcosa da utilizzare.

-Com’è possibile?! Non dovresti essere così potente- Trucy era già stremata, sebbene lo scontro procedesse da ben poco.

La Farfalla Velenosa invece sembrava fresca come una rosa. Abbassò l’ombrello e si avvicinò a lei, facendolo roteare tra le mani giocosamente.

-Un conto è prendere un minimo di supporto magico da un demone. Un conto è stringere un patto con esso. Non mi potrai mai battere, ragazzina. Neanche con il potere prestato del demone del fuoco- la donna agitò i capelli, soddisfatta. Poi si irrigidì e rabbuiò.

-Dico quello che mi pare, non sei il mio capo- borbottò tra sé qualche secondo dopo, rispondendo ad una voce che nessun altro poteva sentire.

Apollo decise di approfittare della sua distrazione per tentare il tutto per tutto, e le lanciò contro un sasso trovato per terra, cercando di attirare la sua attenzione e permettere a Trucy di scappare.

Non la colpì neanche di striscio, ma l’attenzione della strega venne attirata.

Non fu una gran cosa.

-Oh, vero, mi ero dimenticata di te. Fuori dai piedi- la Farfalla Velenosa fece un gesto con la mano, e Apollo venne sbalzato via, come prima era accaduto per May.

Batté violentemente la schiena contro la strada piena di sassi, ma non si fece fermare dal dolore, e cercò di rialzarsi più in fretta possibile, per quanto glielo permettessero le ossa da anziano.

Buona notizia, era alle spalle della Farfalla Velenosa, che si era nuovamente dimenticata di lui, o quantomeno era convinta di averlo messo KO definitivamente.

Cattiva notizia, il suo tentativo di salvare Trucy aveva finito per distrarla, quindi era a pochi secondi dall’essere rapita, e Apollo non aveva tempo per pensare ad un modo intelligente per uscire da quella situazione.

Così agì di istinto.

E afferrò l’ombrello che la Farfalla Velenosa stava per usare contro Trucy.

Per un secondo, un singolo istante pieno di ottimismo, la strega sembrava in procinto di lasciare l’ombrello, troppo sorpresa per tenerlo stretto.

Poi, l’ombrello stesso scottò la mano di Apollo, che fu sbalzato nuovamente all’indietro.

-Per essere un vermiciattolo maledetto, sei fastidiosamente resiliente- borbottò la Farfalla Velenosa, concentrandosi nuovamente su di lui.

Apollo era terrorizzato, ma cercò di mantenere viva quell’attenzione, e fece un cenno a Trucy di allontanarsi da lì, sperando lo cogliesse.

La ragazzina era incredula e senza parole, ma non perse tempo, e iniziò ad indietreggiare discretamente.

-Tu mi hai maledetto! E mi hai usato! Non ho intenzione di fartela passare liscia!- si lamentò Apollo, sperando che la sua voce non fosse uscita troppo tremante.

Sebbene fosse spaventato da quella pericolosa donna, era anche furioso per tutto quello che stava sopportando a causa sua. Se doveva morire, preferiva morire affrontandola con coraggio, e salvando nel frattempo anche Trucy.

-Grandi parole provenienti da un vecchietto. Ora che non mi sei più utile, posso anche ucciderti- la Farfalla Velenosa non sembrò affatto colpita dal suo coraggio, e sollevò l’ombrello verso di lui, preparando un incantesimo.

Per la seconda volta in quel giorno sfortunato, Apollo si trovò in procinto di venire ucciso.

Sollevò di riflesso le mani davanti al volto, come a proteggersi, anche se sapeva fosse inutile, e chiuse di scatto gli occhi, affatto desideroso di vedere la morte in faccia.

Non sarebbe venuto nessuno a salvarlo, questa volta.

Ma per fortuna, Trucy era riuscita a scappare, e sicuramente a quell’ora era tornata nel castello, al sicuro insieme a Phoenix, May e Klavier.

…Klavier.

Apollo era finito in tutta quella situazione solo a causa sua, eppure non riuscì a non rammaricarsi di non poterlo vedere un’ultima volta.

Lui e quei meravigliosi occhi azzurri.

…Apollo non voleva morire.

No! Non voleva morire!

Non sarebbe morto così!!

Sentì una strana energia circondarlo, come un formicolio che gli attraversò completamente il corpo, e temette fosse l’incantesimo mortale che lo stesse lentamente uccidendo.

Poi sentì la voce della strega.

-….cosa? Come è possibile?- Apollo riaprì di scatto gli occhi, e osservò una confusa ed estremamente contrariata Farfalla Velenosa, che lo guardava, ancora con l’ombrello puntato su di lui, ma senza aver lanciato nessun incantesimo. O se l’aveva lanciato, non aveva funzionato come voleva.

Improvvisamente, Apollo si sentiva stanco, e il bracciale che aveva al polso glielo stava stringendo con forza, facendogli male.

Cosa stava succedendo?

-Dici che è stato Klavier? Ma non dovrebbe potergli offrire un supporto, finché la mia maledizione è in atto- si lamentò la donna, rivolta a nessuno in particolare, o forse a qualcuno di invisibile che esisteva solo nella sua mente.

Apollo non capì a cosa si riferisse, ma ora che Trucy era ufficialmente al sicuro, era il momento giusto per provare a scappare a sua volta.

Purtroppo venne afferrato per la gola da una forza invisibile, e trascinato più vicino alla strega.

-Visto?! Posso usare la magia su di lui!- ella continuò a litigare con l’essere invisibile.

-Aspetta, in che senso “la ragazzina è scappata”!- poi si girò nella direzione dove Trucy avrebbe dovuto trovarsi, ed impallidì notando che non c’era più.

Seguirono alcuni secondi di silenzio sbigottito, poi la Farfalla Velenosa tornò a concentrarsi su Apollo, sempre tenuto a mezz’aria da una forza invisibile.

-Tutto a posto, possiamo usare lui. Dopotutto, se Klavier è riuscito a proteggerlo, significa che ci tiene, per qualche motivo- cercò di mantenere la calma, anche se sembrava in procinto di esplodere di rabbia, e aveva un vistoso tic all’occhio.

Apollo dubitava fortemente che quello fosse il caso. Klavier non aveva alcun interesse verso di lui, avevano a malapena parlato, quei giorni.

-Perdi il tuo tempo. Klavier non verrà mai a salvarmi- affermò con convinzione, e una certa delusione alla realtà dei fatti.

-In tal caso ti ucciderò definitivamente, sia perché non mi sei più utile, che come vendetta per avermi tolto la possibilità di rapire quella sciocca ragazzina- la Farfalla Velenosa si avvicinò a lui, con l’ombrello puntato, pronta a fare una qualche nuova maledizione.

-Perché sei così fissata con Klavier?- Apollo cercò di indagare e darsi un po’ di tempo per trovare una soluzione. Non credeva sarebbe venuto qualcuno a salvarlo, ma era sempre meglio di niente.

Non gli dispiaceva vivere qualche minuto in più.

-Non è a quel buono a nulla che aspiro, ma al demone. Cerchiamo Phoenix da anni. Con il suo potere diventeremo inarrestabili- la donna sorrise malefica al pensiero.

-Diventerete? Tu e chi? Il demone con il quale hai fatto un accordo?- Apollo continuò a farla parlare.

-Credi davvero che ti darei un’informazione simile? …non adesso, sto facendo un monologo da cattiva!- sebbene non avesse risposto, Apollo intuì senza problemi che sì, il “noi” si riferiva a lei e alla voce nella sua testa con la quale continuava a parlare. Ed evidentemente era un altro demone.

Se Apollo fosse uscito vivo da quella situazione, non avrebbe mai più voluto avere a che fare con streghe, maghi, demoni e quant’altro. 

Aveva raggiunto il limite.

-Non importa! Tu ora vieni con me! E vediamo se Klavier si deciderà a farsi vedere!- la Farfalla Velenosa lo afferrò per un braccio, liberandolo dalla presa magica, e iniziandolo a trascinare con sé.

-Se hai così tanto desiderio di parlarmi basta mandare un messaggio, non c’è bisogno di rapire i membri della mia famiglia- una voce proveniente dall’alto fece sobbalzare entrambi, Apollo più della strega, che dopo un secondo di sorpresa, si aprì ad un enorme sorriso.

Afferrò Apollo con più forza e gli puntò l’ombrello contro, tenendolo completamente sotto scacco.

-Ho provato a mandarti dei messaggi, l’ultimo abbastanza recentemente, ma sei sempre troppo codardo per presentarti- obiettò, stringendo Apollo con forza e facendolo irrigidire per il dolore.

Klavier scese davanti a loro, impassibile, ma allo stesso tempo spaventoso.

Apollo non l’aveva mai visto così. Non credeva possibile che il tranquillo e a volte quasi irritante stregone, che abbozzava davanti alla piccola Trucy, avesse in sé la capacità di irradiare una tale furia.

-Non è codardia, è che non ho assolutamente nulla da dirti. Lascia andare Apollo, se non vuoi che questa conversazione si faccia molto meno amichevole- la minacciò, con la sicurezza di qualcuno che ha il coltello dalla parte del manico, anche se era chiaro che in quel caso, ad avere la situazione dalla sua, era la Farfalla Velenosa, con tanto di ostaggio.

-Mi piacciono le conversazioni poco amichevoli- il sorriso della donna si allargò, e attaccò con l’ombrello Klavier.

Di nuovo, lo scontro si trasformò in fretta in un combattimento ad armi tutt’altro che pari, ma questa volta il coltello era effettivamente dalla parte del manico per Klavier, che evitò senza alcun problema il primo attacco, e approfittò della distrazione per allontanare con un movimento della mano Apollo e metterlo al sicuro, fluttuante in aria e lontano dallo scontro.

Iniziò poi ad attaccare a sua volta la strega, e prima che Apollo potesse controllare cosa stesse effettivamente succedendo, una nuvola di polvere si alzò ovunque, isolando lo scontro e impedendogli di vedere alcunché.

Durò pochi minuti di ansia totale, poi qualcosa di ancora più spaventoso si dipanò oltre la polvere: un enorme uccello infuocato dagli occhi rossi. L’immagine che Apollo non riusciva a togliersi dalla testa da quando aveva sentito i racconti dei prigionieri, che sembrava appena uscita dai suoi incubi ad occhi aperti.

L’uccello di fuoco si diresse velocemente verso Apollo, prendendolo al volo e iniziando a volare via da lì, diretto non si sapeva dove.

-Lasciami! Lasciami immediatamente!- gridò il ragazzo, con voce rauca dall’anzianità indotta e dai singhiozzi che non riusciva a trattenere per la paura.

Non era così che voleva morire! Non era pronto a rivedere Clay in questo modo.

L’uccello sembrò sentire le sue suppliche disperate, perché lo guardò dritto negli occhi, e rallentò il volo, tenendolo con più delicatezza, ma non lasciandolo andare.

Se Apollo non fosse stato troppo occupato ad essere terrorizzato, probabilmente avrebbe apprezzato non poco quel volo magico, in mezzo alle nuvole e libero nel cielo, lontano dei problemi a terra.

Ma non ebbe il tempo di abituarsi a quella sensazione, o calmare il suo animo inquieto, perché prima di quanto si aspettasse, ma ugualmente troppo tardi per i suoi gusti, l’uccello di fuoco iniziò a planare, verso le lande, che aveva raggiunto senza che Apollo se ne rendesse conto. Vicino al castello errante.

Posò delicatamente Apollo a terra, e riprese il volo prima che egli potesse riprendere del tutto l’equilibrio e le facoltà mentali.

…onestamente, Apollo ci mise così tanto a riprendere l’equilibrio e le facoltà mentali, che la creatura mostruosa avrebbe potuto fare un pisolino accanto a lui e giocherellare lì in giro prima che Apollo riuscisse a fargli qualche domanda, o accusa, o ritirarsi spaventato da lui.

Perché il ragazzo maledetto rimase a terra, tremante, ancora confuso da tutto ciò che era successo quel giorno, e incapace di rialzarsi e tornare al castello.

Soprattutto perché… voleva davvero tornare al castello? 

Dopo tutto quello che era successo, dopo essere stato usato da entrambe le parti per quella guerra personale che non aveva niente a che fare con lui, dopo aver scoperto che qualunque fosse la natura della creatura di fuoco, sicuramente l’assassino di Clay lavorava per Klavier… o era anche Klavier stesso…

Apollo voleva davvero restare invischiato con quelle persone?

Certo, sembravano gentili, all’apparenza, e lo avevano accolto come nessuno aveva fatto prima.

Inoltre aveva un accordo con Phoenix.

Ma… poteva davvero fidarsi di loro? Di persone che continuavano a tenerlo all’oscuro, e gli avevano posto un vincolo senza neanche chiedere il suo consenso?

Lentamente, mentre la sua mente tornava ad essere leggermente più attiva, Apollo iniziò a massaggiarsi il polso con il bracciale, ancora dolorante senza che ne capisse il motivo, e sobbalzò nel rendersi conto che la pelle subito a contatto con il cimelio di famiglia era scottata.

Un dolore inspiegabile, acuto, che sembrava espandersi lungo tutte le zone adiacenti come un veleno.

Cosa diamine gli stava succedendo?!

Quante altre cose strane dovevano succedergli quel giorno?!

Il castello era a pochi metri di distanza. Apollo riusciva quasi a vedere i confini magici che lo tenevano al sicuro. Sembravano brillare in modo più nitido, ma più Apollo sforzava la vista, più il polso gli faceva male, quindi cercò di ignorare la magia nell’aria.

Ma si rese conto che era ai confini della zona.

Qualche passo più avanti, e sarebbe stato fuori.

Fuori dai segreti, fuori dalla guerra magica, fuori da accordi con demoni, maghi e streghe.

…non fuori dalla maledizione. E avrebbe lasciato Trucy, May e… Klavier. Inoltre, la Farfalla Velenosa poteva rintracciarlo in ogni luogo, avrebbe rischiato di essere ancora più in pericolo, e di mettere nuovamente in pericolo tutti gli altri. Insomma, era un topolino in trappola, qualsiasi cosa avesse scelto.

Il peso di tutto quello che gli stava capitando divenne troppo da sopportare, e amare lacrime iniziarono a scendergli lungo le guance, troppo fitte e numerose perché Apollo potesse in qualche modo fermarle o asciugarle.

Quindi si limitò ad assecondare il fiume in piena, e cominciò a singhiozzare, raggomitolandosi su sé stesso come un bambino e sfogandosi.

Non aveva mai avuto la possibilità di sfogarsi in questo modo, prima. Era orfano fin dalla primissima infanzia, aveva sempre dovuto badare a sé stesso, crescere in fretta, senza nessun aiuto, o supporto.

Era così impegnato a piangere, che non si rese minimamente conto che qualcuno lo avesse raggiunto, almeno finché non sentì una mano sulla sua spalla.

A quel punto sobbalzò vistosamente, e il suo istinto primordiale da combatti o fuggi gli fece tirare un pugno alla cieca verso lo sprovveduto che aveva avuto il coraggio di avvicinarsi all’anziano emotivamente instabile.

-S_scusa! Volevo solo… offrirti un fazzoletto!- sprovveduto che si rivelò essere Klavier, che si affrettò a fare un passo indietro e sventolare il fazzoletto bianco che teneva in mano come una bandiera di pace.

Era così diverso dal minaccioso stregone che aveva affrontato la Farfalla Velenosa che Apollo non riusciva a credere fossero la stessa persona.

Il suo cuore cominciò in ogni caso a battere furiosamente nel petto, forse per la paura, o forse per altri motivi.

A prescindere da quali fossero i suoi sentimenti per Klavier, non voleva farsi vedere così vulnerabile, così gli diede le spalle, e provò ad asciugarsi le lacrime.

Resosi conto che gli unici lembi di tessuto che poteva usare erano già fradici, si girò un attimo verso Klavier e gli prese con uno strattone il fazzoletto, facendogli spuntare fuori un timido sorriso intenerito, e dandogli implicitamente il permesso di restare lì con lui, visto che aveva accettato la richiesta di pace.

-Sai… non ti biasimo se non vuoi più fare parte della nostra famiglia- dopo alcuni secondi di silenzio, Klavier cominciò a parlare, sedendosi a terra, ma ad una considerevole distanza, per dargli i suoi spazi.

Apollo sobbalzò appena. Gli aveva per caso letto nel pensiero?! Come faceva a sapere che Apollo voleva andarsene?!

-Ma prima che tu prenda una decisione, meriti una spiegazione, riguardo al vincolo che Trucy ha imposto su di te. Non l’abbiamo messo perché non ci fidiamo delle tue buone intenzioni. Ma non eravamo certi che Dahlia ti tenesse d’occhio, e non volevamo preoccuparti, quindi abbiamo preferito provare a tenerti al sicuro accanto a noi, dove la Farfalla Velenosa non poteva rintracciarti. È stato rischioso, me ne rendo conto. Non avevo idea che la tua maledizione avrebbe in qualche modo spezzato il vincolo- si scusò, iniziando ad offrire informazioni.

Apollo gli lanciò una breve occhiata. Fissava il cielo con occhi carichi di tristezza e sincerità.

Erano i soliti zaffiri, ma avevano una luce particolare, e brillavano con meno intensità.

Come corrotti da una forza pericolosa.

Ma completamente diversi dai pozzi rossi del mostro di fuoco che l’aveva portato in salvo… e probabilmente ucciso Clay.

Apollo era estremamente combattuto.

Senza contare che… Klavier aveva appena ammesso che sapeva della maledizione di Apollo, quindi sicuramente l’aveva riconosciuto da quando l’aveva salvato, la prima volta, con la sua vera età.

-Mi dispiace che sei finito in questo disastro a causa mia, Apollo- Klavier continuò, con un sospiro carico di rammarico -Non ho mai avuto intenzione di metterti in pericolo, volevo solo…- si interruppe, e abbassò lo sguardo.

Apollo lo osservò, chiedendosi cosa mai potesse volere uno stregone così potente e affascinante da una nullità come lui.

O forse… era stato solo gentile la prima volta, e poi lo aveva accolto perché si sentiva in colpa. Non aveva alcun interesse personale verso Apollo come persona.

-…non ha importanza. Per farmi perdonare, posso offrirti qualche moneta d’oro, e il passaggio verso la capitale del re. Miles Edgeworth ascolterà il tuo caso e sono certo che sarai al sicuro da Dahlia dentro le mura del palazzo- Klavier non diede ulteriori spiegazioni, ma gli offrì una soluzione, con un grande e allo stesso tempo triste sorriso.

Per la prima volta da quando aveva visto le navi rientrare al porto, Apollo sentì un briciolo di speranza farsi largo nel suo cuore.

Poteva accettare quel salvagente, e lasciarsi alle spalle quello scontro, e quelle persone.

Non c’era certezza che lo stregone supremo Edgeworth lo avrebbe aiutato, ma poteva essere meglio l’incertezza piuttosto che la certezza di morte, in un modo o nell’altro.

Apollo non rispose, intento a riflettere sulla risposta.

Klavier si alzò in piedi.

-Prenditi il tempo che ti serve. E se vuoi allontanarti dal castello… non c’è niente che ti blocca questa volta. Te lo prometto- lo salutò, e iniziò ad avviarsi verso la casa.

Apollo osservò le lande desolate.

Ripensò ai momenti passati in compagnia dei membri della famiglia del castello.

May che lo aiutava a pulire, Trucy che lo chiamava nonnino. Persino i commenti non richiesti di Phoenix. E il sorriso di Klavier, silenzioso ma presente e con troppi pesi sulle sue spalle.

Apollo era combattuto, diviso in due e incapace di rendersi conto di quale dei due piatti della bilancia fosse più pesante, se i lati positivi dell’esperienza, o quelli negativi.

Non poteva ancora escludere che il suo migliore amico fosse morto a causa di qualcuno in quella casa.

Eppure…

Apollo si girò, per dare un’occhiata al castello, e tutti i suoi dubbi volarono via come uccelli dopo aver sentito uno sparo.

Perché nel suo percorso verso la porta, Klavier procedeva a passi pesanti, tenendosi il petto dolorante.

-Klavier…- Apollo sussurrò, osservandolo incredulo e alzandosi con difficoltà in piedi.

Era forse rimasto ferito? Per proteggere lui?

Prima che potesse indagare ulteriormente, lo vide accasciarsi a terra, e una forza che non credeva più di avere lo fece correre verso di lui, per soccorrerlo.

-Klavier!- gridò, preoccupato, controllando le sue condizioni. Non aveva ferite esterne, ma la bocca era circondata di sangue, che gli aveva sporcato le mani. Il suo volto era pallido, e sembrava aver perso i sensi.

La decisione di Apollo poteva aspettare.

Al momento la salute di Klavier era più importante.

Lo mise in spalla per quanto gli permettesse il suo corpo minuto e anziano, e rientrò nel castello errante, che, lo sapeva già, gli sarebbe stato molto difficile lasciare.

Ormai era in ballo, e avrebbe ballato.

 

Nel suo personale castello, non errante, la Farfalla Velenosa era furente.

-È tutta colpa tua! Sei stato tu a suggerirmi questa strategia!- gridava rivolta alla voce nella sua mente, che al contrario manteneva un’apparente calma.

-Se avessi assorbito il potere della piccola strega, saresti stata abbastanza potente da sconfiggerlo- le fece notare.

-Se tu fossi anche solo la metà di quanto credi, a quest’ora avremmo già sconfitto quel demone e la sua marionetta! Sono stanca di farmi comandare a bacchetta da te e dai tuoi piani fallimentari!- si lamentò, accusandolo di essere il solo responsabile del proprio fallimento.

-I miei piani sono perfettamente programmati, il vero problema è la tua abitudine per le scenate e per l’improvvisazione!- continuò ad accusarla Kristoph.

-La mia capacità di seguire il flusso è ciò che mi ha permesso di sopravvivere tutti questi anni!- ormai Dahlia stava urlando a pieni polmoni, per far capire il suo punto.

-Ah! Sopravvivere! Questa è buona! Guardati allo specchio, e ricorda a chi devi la tua “sopravvivenza!” Senza di me non saresti nessuno in questo momento!- le ricordò il demone, iniziando ad irritarsi a sua volta.

La sua voce fino a quel momento impassibile tradì un fremito di irritazione.

-Tsk. Ti trattieni, questa è la verità. Per via di Klavier!- lo accusò, scuotendo la lunga chioma, e prendendo in mano una lettera che le era arrivata qualche giorno prima.

Era stanca di essere legata a quel demone deludente, e di rincorrere a ragazzini per arrivare all’immenso potere che aveva ricercato per tutta la vita. 

Ma forse c’era un modo per ottenere quello che voleva senza ricorrere a scialbi trucchetti demoniaci.

Un alleato con il suo stesso obiettivo, e secoli di esperienza.

Magari era il momento di fare una visita al palazzo del re.

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Capitolo 5
*** Il palazzo ***


Il palazzo

 

Quando Apollo aprì gli occhi, ci mise qualche secondo a rendersi conto di dove fosse, e capì di essersi addormentato accanto al letto di Klavier, dove l’aveva portato insieme a Trucy aspettando che si svegliasse dopo il suo tracollo.

Subito alzò la testa per osservare Klavier, che con suo sommo sollievo si era svegliato, e lo stava fissando con sguardo indefinibile.

Rendendosi conto di essere stato beccato, il mago si affrettò a distogliere lo sguardo, arrossendo appena.

-Klavier, stai bene?- chiese Apollo, preoccupato, alzandosi e controllando le sue condizioni.

-Sì, sì, non preoccuparti- Klavier sorrise rassicurante, lanciandogli brevi occhiate che però non si soffermavano su di lui per più di qualche istante -…sei rimasto- osservò poi, piuttosto sorpreso.

Apollo aggrottò le sopracciglia.

-È ovvio che io sia rimasto! Sei crollato davanti a me, che razza di persona sarei stata se ti avessi lasciato lì! Mi hai fatto preoccupare- Apollo si risedette accanto al letto, abbandonandosi contro lo schienale. Era stato veramente brutto vedere Klavier così. La preoccupazione di Trucy e May, appena l’aveva portato dentro, era stata ancora più spaventosa. Se non ci fosse stato Phoenix a rassicurare tutti che Klavier aveva solo bisogno di riposo e che si sarebbe rimesso sicuramente, probabilmente a quest’ora sarebbero stati tutti nell’agitazione più totale.

E Apollo era ancora piuttosto agitato.

-Potevi anche andartene dopo avermi soccorso, non c’era bisogno che restasse qui tutta la notte- osservò Klavier, con una punta di tristezza.

Apollo lo guardò storto.

-Se vuoi me ne vado- fece per alzarsi, intuendo che Klavier lo volesse cacciare, e piuttosto infastidito dalla cosa.

-No! No! …cioè… se vuoi puoi andare, ma non è che io lo voglia, anzi…- Klavier si affrettò a fermarlo, mettendosi più dritto, e poi prendendosi la testa, come se gli girasse. Sospirò.

-Ho poco tempo, Apollo- ammise, in un sussurro.

Il cuore del ragazzo trasformato in vecchio perse un battito.

-Cosa?- chiese, sperando di aver capito male.

Klavier sembrò rendersi conto dello stato di agitazione crescente sul volto del suo interlocutore, perché si affrettò a tornare sui suoi passi.

-Non sto morendo!- ci tenne a sottolineare -…forse- aggiunse poi, un po’ tra sé.

-COSA?!- Apollo scattò in piedi e gli si avvicinò, il cuore che iniziava a battere sempre più forte a causa dell’ansia crescente.

-No, cioè…  calmati, Apollo- Klavier lo incoraggiò a sedersi nuovamente. Apollo non eseguì.

-Che ti è successo lì fuori? Ti prego, dimmelo, magari posso aiutarti. So di non essere buono a nient’altro che a fare le pulizie, e mettermi nei guai, ma tu mi hai salvato la vita, non posso…- Apollo era combattuto, a dire il vero.

Da un lato voleva fidarsi, con tutto il cuore, di quell’uomo che gli aveva salvato la vita, offerto una casa, e trattato con gentilezza e rispetto.

Dall’altro, l’immagine dell’uccello di fuoco continuava a girovagare nella sua mente, insieme a quella di Clay. Non riusciva proprio a togliersi dalla testa l’immagine di Clay ucciso da quella creatura inquietante. Creatura che, d’altra parte, l’aveva salvato.

Era così complicato!

-Apollo…- Klavier gli prese delicatamente le mani tra le sue, distogliendolo dai suoi pensieri.

C’era una differenza abissale tra le delicate mani dello stregone, dalle lunghe dita affusolate, e quelle rugose e rovinate di Apollo. E il ragazzo dubitava fosse solo a causa della maledizione. Erano di due mondi completamente diversi, a prescindere. E Apollo si sentì uno stupido per aver pensato davvero che sarebbe riuscito ad aiutarlo.

-…tu sei molto più incredibile di quanto ti dai credito. Sei un gran lavoratore, sei intelligente, coraggioso e sveglio, ma non potrei mai chiederti di risolvere i miei problemi- continuò lo stregone, con voce triste.

Il cuore di Apollo cominciò a battere con molta più intensità, a sentire quelle parole. Sebbene sapesse fossero immeritate.

Non capiva perché Klavier lo considerasse così importante, non aveva il minimo senso.

Apollo voleva ribattere, mettersi a totale e completa disposizione, ma si trattenne.

Perché sapeva ancora troppe poche cose per farsi una visione del tutto chiara della faccenda.

-Klavier… ti prego, spiegami cosa è successo- Apollo gli strinse le mani, e lo guardò dritto negli occhi.

Klavier distolse lo sguardo.

-È… un mio problema. Non preoccuparti, non ha a che fare con te- provò a tirarsi indietro dal fornirgli spiegazioni.

-In famiglia ci si sostiene a vicenda, e in ogni caso se ti accadesse qualcosa saremmo tutti in pericolo, quindi spiega!- Apollo insistette, avvicinandosi fino ad essere a pochi centimetri di distanza dal suo volto.

Ignorò il rossore che aveva tinto le guance del mago perché c’erano cose più importanti a cui pensare, ma sperò con tutto il cuore di non non essere nelle stesse condizioni.

Alla fine Klavier cedette, e sospirò, stanco.

-Ho un vincolo che limita la mia magia. Grazie a Phoenix sono riuscito ad indebolirlo, ma se uso troppa magia lo stregone supremo ne viene a conoscenza e può fermarmi o limitarmi parecchio- spiegò, senza che Apollo capisse poi molto.

-Miles Edgeworth?- chiese, confuso.

-Sì, lui… è il mio maestro. Io e mio fratello eravamo suoi allievi. E quando vieni ammesso alla scuola di magia di Miles Edgeworth devi fare un giuramento sull’essere sempre fedele a lui e al re, Manfred von Karma. Ed è un contratto vincolante dal quale è veramente difficile scappare. Miles Edgeworth mi ha trovato, e mi ha mandato un messaggio per incoraggiarmi a tenere fede ai miei doveri, e più mi ribello, più la sua presa su di me si fa serrata- Klavier andrò più nel dettaglio, anche se sembrava costargli molto ammettere la cosa. Era chiaro che non volesse che Apollo si preoccupasse.

-Devi partecipare alla guerra? È questo il tuo dovere?- indovinò Apollo, iniziando a collegare i puntini. 

-Devo prendere le parti di von Karma, sì- ammise Klavier, la voce ridotta un sussurro.

-E invece stai aiutando i Fey?- suppose Apollo, indurendo lo sguardo, e a denti stretti.

Klavier sobbalzò, sorpreso e ferito da quell’accusa, e dall’amarezza nella voce di Apollo, che non riusciva a pensare ad altro che all’uccello di fuoco che aveva posto fine alla vita del suo migliore amico e unica persona che aveva considerato una famiglia.

Più otteneva informazioni, più si rendeva conto che l’uccello di fuoco non poteva essere altri che Klavier.

-No…- la risposta di Klavier fu come una scossa nel suo cuore.

-No?- il ragazzo non stava capendo più nulla. 

-No, io… non prendo parte alla guerra, da nessuna parte. Detesto questo conflitto insulso, vorrei solo poter vivere libero con le persone che amo- si spiegò Klavier, deciso.

La sensazione di malessere che Apollo aveva provato per tutta la conversazione iniziò ad acquietarsi. Ma non era ancora del tutto convinto. Quanti uccelli di fuoco ci sono al mondo, dopotutto?

-Quindi non… non sei mai stato su un campo di battaglia?- chiese per stare sicuro.

Klavier era confuso dal tono di Apollo, così preoccupato e sospettoso.

Sospirò.

-Sì, ci sono stato- ammise dopo qualche secondo di esitazione, abbassando lo sguardo -L’ordine era di attaccare le navi dei Fey, che avevano quasi del tutto distrutto una parte della flotta di von Karma, ma… ho preferito recuperare quante più persone possibili dei soldati nelle navi infuocate, e portarli al sicuro- spiegò, come se stesse ammettendo qualcosa di sbagliato -Non volevo interferire, ma non potevo lasciare tutte quelle persone a morire. Probabilmente se non avessi usato tanta magia sarei stati più veloce nell’aiutare te e Trucy- rifletté, con rammarico, ma senza pentirsi, in fondo al cuore, del suo gesto eroico.

-Hai… hai salvato le persone dalle navi infuocate?- ripetè Apollo, in un sussurro.

-Sì, le altre sono state prese come prigioniere. Ho portato i superstiti al porto più vicino nel territorio di von Karma, e spero possano tornare a casa quanto prima…- Klavier si spiegò meglio, sollevando lo sguardo su Apollo per controllare la sua reazione. Sgranò gli occhi nel vedere le sue condizioni -Apollo? Apollo, tutto bene?- chiese, sporgendosi verso di lui, preoccupato.

Apollo non si era accorto di aver iniziato a piangere, ma il suo corpo era stravolto dai singhiozzi. Mai nella sua vita si era sentito così sollevato e grato verso qualcuno. Ogni dubbio nella sua mente, ogni contraddizione nei suoi sentimenti era stato appena sciolto e sentiva un enorme peso essere stato sollevato dal suo petto.

Il senso di colpa di provare affetto verso il possibile assassino di Clay non aveva più senso di esistere. Klavier lo aveva salvato. Klavier, che aveva protetto Apollo, aveva anche salvato la vita di Clay. Era davvero buono come Apollo credeva che fosse.

Prese dei profondi respiri, cercando di calmarsi.

Klavier lo fissava preoccupato, temendo di aver fatto qualcosa di male.

-Il mio migliore amico era su una di quelle navi- spiegò, dopo essersi ricomposto abbastanza da parlare senza che la voce gli si spezzasse.

…la voce gli si spezzò.

Klavier lo fissò ad occhi sgranati, sorpreso dalla rivelazione.

-Grazie… di averlo salvato. Mi dispiace che tu ti sia indebolito per farlo- Apollo provò ad esprimergli tutta la sua gratitudine, abbozzando un sentito sorriso, sebbene ancora circondato di lacrime.

Klavier sollevò una mano per asciugargliele. Il contatto provocò dei brividi lungo tutta la spina dorsale del ragazzo.

Klavier non rispose. Non c’era molto che potesse dire, e non era necessario che parlasse. L’aria tra loro grondava di comprensione reciproca. Si limitò a ricambiare il sorriso, e accarezzargli dolcemente la guancia.

-Dimmi cosa posso fare per aiutarti- Apollo interruppe il momento sentito con determinazione nello sguardo.

Klavier aveva fatto per lui più di quanto potesse ripagare, e aveva intenzione di dare tutto sé stesso per aiutarlo a sciogliere il vincolo.

Klavier ritirò la mano come se si fosse scottato.

-No, Apollo. Non potrei mai chiederti una cosa del genere. Sarebbe troppo pericoloso- scosse la testa, rifiutando l’idea.

-Più pericoloso di fare da esca per una strega?- Apollo gli ricordò quello che era successo poche ore prima, come se niente potesse essere peggio di finire nel mirino della Farfalla Velenosa.

-Enormemente- rispose Klavier senza alcuna esitazione.

…okay, poteva essere pericoloso.

Ma ad Apollo non importava. 

-Ma ci dovrà pur essere un modo per rompere quel giuramento. Ogni contratto ha un cavillo legale- disse come un vero avvocato. Non che fosse un avvocato in questo universo, ma l’essenza resta.

-Il giuramento è conservato nel palazzo reale, e nessun mago può entrare nel castello a meno che non sia invitato all’interno, e in ogni caso la magia non funziona lì, tranne quella autorizzata. È il territorio di Miles Edgeworth, e non è chiamato lo stregone supremo per niente- spiegò Klavier, pessimista, scuotendo la testa.

Apollo iniziò a riflettere sulla cosa.

-In realtà potrei entrare senza farmi notare, grazie all’artefatto dei Gramarye, ma non è così potente, e a meno che non ci sia qualcuno a distrarre Miles Edgeworth, si accorgerebbe in fretta della mia presenza illecita- continuò Klavier, scuotendo la testa con sempre maggiore sicurezza, e cercando di scoraggiare ogni possibile tentativo di Apollo di aiutarlo.

Purtroppo, invece di scoraggiarlo, gli diede un’idea.

-Perfetto, lo distraggo io!- esclamò infatti il ragazzo maledetto.

-…cosa?!- Klavier sobbalzò allertato.

-Hai detto che nessun mago o strega può entrare a meno che non sia invitato. Io non ho alcun tipo di magia. Posso entrare fingendo di voler chiedere aiuto per la mia m…- la bocca di Apollo si chiuse di scatto, impedendogli di rivelare di essere stato maledetto. Dopo qualche secondo di attesa, riuscì a disincastrarla -…insomma, di quella cosa di cui soffro che conosci. Gli chiedo aiuto, lo distraggo, fingo di dargli qualche informazione su di te per tenerlo buono e nel frattempo potremmo… inviare May all’interno per recuperare il contratto- propose Apollo, soddisfatto dalla sua idea, e dal fatto che non mettesse in pericolo Klavier in prima persona.

-May non può entrare a palazzo neanche con la collana dei Gramarye. La sua maledizione le impedisce di mettere piede all’interno. Sono anni che ci prova senza successo- Klavier bocciò il primo piano, in tono triste.

-Beh, allora puoi intrufolarti tu con la collana. Mi offrirei io di rubarlo ma…- Apollo voleva spiegare di come non avesse la più pallida idea di come fosse un contratto del genere, e soprattutto di come orientarsi in quel palazzo gigante, ma Klavier non lo fece neanche finire.

-Non ci pensare nemmeno! Sarebbe davvero troppo pericoloso!- 

-Appunto, ma come esca posso tirarmi indietro in ogni momento. Mi hai offerto l’opportunità di andare comunque dallo stregone supremo, quindi la mia scusa è fattibile. Fingerò di averti tradito e nel frattempo farò il doppiogiochista- Apollo era sempre più convinto della sua idea. 

Era determinato, e si sentiva meno inutile. Era così convinto della sua idea che, senza che se ne rendesse conto, i segni della sua età iniziavano a svanire dal suo volto, riflettendo la sua sicurezza e giovinezza interiore.

-Apollo, se dovessero scoprire il tuo bluff…- Klavier provò a lamentarsi, ma questa volta fu il ragazzo a non lasciarlo finire.

-Sono un grande nel bluff, e il rischio vale la candela. Mi hai salvato così tante volte, Klavier, e mi hai donato una cosa che non avevo mai avuto prima: una famiglia. Io voglio aiutarti. Anzi, no, non lo voglio e basta, lo farò. Ti aiuterò, ti salverò. Te lo prometto!- Apollo sorrise incoraggiante, i suoi occhi ebbero un guizzo rosso.

Il suo entusiasmo si smorzò appena quando notò la reazione di Klavier alle sue parole.

Lo stregone aveva sgranato gli occhi, si era ritirato, e lo fissava come se avesse appena visto un fantasma.

Sollevò la mano come a toccare nuovamente il volto di Apollo, esitante, come se temesse che toccandolo sarebbe svanito in una nuvola di fumo, ma cambiò idea a metà strada, e ritirò la mano al petto.

-No!- scosse la testa, distogliendo lo sguardo per restare fermo sui suoi ideali, anche se sembrava sul punto di cedere.

-Klavier…!- Apollo provò ad insistere, ma lo stregone serrò gli occhi, deciso a non farsi nuovamente incantare da quella visione angelica.

-È troppo pericoloso. Ho deciso, non te lo permetterò! No! Non c’e assolutamente nulla che potrà convincermi del contrario!- esclamò, categorico.

 

-Allora, ricorda che il potere della collana è imperfetto, quindi devi essere rapido. Entra quando qualcun altro sta entrando così si noterà meno. Io e May resteremo nelle lande tutto il tempo nell’eventualità che accada il peggio e… nonno, se succede qualcosa di strano, corri il più velocemente possibile via, okay? Buttati anche dalla finestra, se necessario. Tanto poi il fratellone ti afferra al volo e andrà tutto bene!- era ormai il giorno successivo, e Trucy controllava i due che sarebbero presto partiti per la missione: Apollo, sempre anziano ma con una luce giovanile e determinata negli occhi; e un imbronciato Klavier a braccia incrociate e mimetizzato con un incantesimo che non era ancora convinto del piano, ma era stato praticamente obbligato a parteciparvi da Apollo, Trucy e dallo stesso Phoenix. Anche May si era messa a svolazzare in giro entusiasta quando il piano era stato proposto, e al momento era appollaiata sul cappello che Apollo non aveva ancora indossato, ed era nei panni di un minuscolo colibrì.

Sembrava molto agitata, ma Apollo non avrebbe saputo dire se fosse per ansia o per eccitazione. Sperò la seconda opzione. Avere almeno una persona ottimista nel gruppo faceva comodo, dato che sebbene Apollo avesse insistito, era molto molto in ansia all’idea di fare nuovamente da esca. Soprattutto perché non stava andando contro una streghetta da quattro soldi in un vicolo nascosto, ma contro lo stregone supremo nel palazzo reale, circondato da centinaia di guardie armate.

E la faccia terrorizzata di Trucy, affatto mascherata dalle sue parole incoraggianti, e il colorito blu del fuoco di Phoenix non facevano ben sperare per la riuscita della missione.

-Preferirei non si arrivasse mai a quel punto, ma okay- Apollo provò a rispondere, con la gola secca.

-Siamo sempre in tempo per non…- provò a suggerire Klavier, con nonchalance.

-NO!- fu la risposta decisa dei tre altri membri della famiglia, insieme ad un cinguettio irritato di May che somigliò molto ad un “NO!” a sua volta.

Klavier borbottò qualche lamentela, ma non obiettò oltre.

I due erano ormai pronti a partire.

-Ti accompagno fino ai confini del palazzo, poi sarai da solo. Io entrerò quando sarò certo che Miles Edgeworth è distratto- Klavier prese delicatamente Apollo per le spalle e lo incoraggiò ad uscire dalla casa.

Apollo annuì, e si infilò distrattamente il cappello sulla testa, dimenticandosi che May fosse appollaiata in cima ad esso fino a pochi secondi prima.

Ma non c’era più, quindi suppose fosse rientrata nel castello errante.

-Mi sembra un buon piano-  Apollo cercò di recuperare la determinazione che aveva assunto il giorno prima quando aveva proposto l’idea, anche se tremava parecchio per la tensione.

-È un piano, questo è certo- borbottò Klavier irritato.

-Hey, andrà tutto bene. Meriti la tua libertà, e la otterremo- Apollo gli sorrise, prendendogli una mano tra le sue e facendolo arrossire appena.

-Sì… sì…- Klavier iniziò a rigirarsi la collanina di Trucy con la mano libera, mentre si dirigevano verso il palazzo del re Manfred von Karma.

-Posso chiedere come funziona quella collana?- chiese ad un certo punto Apollo per fare conversazione.

-È un artefatto. Apparteneva alla madre di Trucy. I Gramarye sono una potente famiglia di stregoni, che eccellono soprattutto nell’inganno, nella difesa, e nell’occultamento della magia. Questa collana è piuttosto debole per gli standard della famiglia, ma fa comunque il suo lavoro. Altri artefatti può potenti potrebbero nascondere la magia più forte dell’universo così bene che neanche lo stesso mago si accorgerebbe di possederla- spiegò Klavier, felice di potersi distrarre.

-Wow… mi sembra difficile da concepire. La magia è così potente, e a volte sembra anche completamente incontrollabile- Apollo pensò a ciò che aveva visto in quei giorni. Tutti i maghi che aveva conosciuto usavano la magia con tale naturalezza che sembrava impossibile immaginare che potessero vivere la loro intera vita senza sapere neanche di possederla.

-Dipende da chi la usa e da che uso ne fa. Ma quegli artefatti sono ugualmente potenti. I Gramarye lavoravano per i Fey, ma il loro compito era praticamente quello di controllare i maghi, a volte arrivando perfino a privarli della loro magia se osavano disobbedire- Klavier continuò la spiegazione.

-Un po’ come Edgeworth sta facendo con te?- chiese Apollo, interessato.

-In modo ancora più efficace. I Gramarye erano potentissimi. Avrebbero potuto probabilmente conquistare il trono con il loro potere, ma per loro sfortuna, i Fey non hanno magia, ma potere spirituale, e contro il potere spirituale la magia non ha lo stesso impatto- Klavier diede i dettagli.

-Erano?- Apollo indagò l’uso del passato.

-Trucy è l’ultima. Ed è viva per miracolo- Klavier pensò di dire di più, ma scosse la testa, e decise di tenere le informazioni per sé.

Apollo non indagò ulteriormente. Sapeva quanto personale fosse quel tipo di argomento.

Sperò che un giorno sarebbe stato così unito a Trucy che la ragazza avrebbe deciso di confidargli la sua triste storia, ma non si sarebbe lamentato se avesse deciso di tenerla per se e pensare solo ad andare avanti.

Era quello che provava a fare Apollo da anni, dopotutto.

Per qualche motivo, gli venne spontaneo girarsi il bracciale sul polso. 

-Ecco, siamo arrivati- in men che non si dica giunsero davanti all’area del palazzo.

Era immenso, elegante, e molto poco amichevole visto da lì.

Apollo tirò un profondo respiro, e cercò di placare il tremore.

-Apollo… andrà tutto bene. Non permetterò che ti accada nulla di male- gli sussurrò Klavier all’orecchio, provocandogli parecchi brividi lungo la spina dorsale.

Fu abbastanza per restituirgli la determinazione.

Fece un passo, ed entrò nel territorio del castello, superando la linea anti-stregoni.

Ovviamente non fu drammatico, dato che Apollo non era uno stregone, ma doveva ammettere che all’inizio si sentì quasi spingere via, come se dovesse attraversare un portale di melassa.

Riuscì comunque a raggiungere l’altra parte senza troppissime difficoltà, e quando si girò per controllare se Klavier era ancora lì, rimase piuttosto deluso nel confermare che non ci fosse più.

La missione cominciò.

E la prima parte andò secondo i piani. Apollo spiegò il motivo per cui era lì, e una guardia impassibile lo portò in una specie di sala d’attesa per aspettare che Edgeworth si liberasse in modo da occuparsi di lui.

Di quei tempi erano tante le persone che chiedevano il suo aiuto per faccende magiche, quindi Apollo era solo uno dei tanti. E per fortuna quel giorno non c’era nessuno prima di lui, quindi sarebbe rimasto in quella stanza il meno possibile.

Mentre aspettava, si tolse il cappello per rispetto, e sentì subito un cinguettio spaventato.

Apollo sobbalzò, e si guardò intorno, sorpreso, agitando la testa velocemente.

Il cinguettio aumentò, e Apollo si tastò la testa e per poco non schiacciò un uccellino conosciuto che aveva avuto l’ardire di nascondersi lì senza farsi notare. 

Ecco perché May sembrava così agitata prima del piano.

-May? Che ci fai qui?- chiese Apollo, sorpreso e preoccupato, prendendola in mano per guardarla negli occhi. Era consapevole che non gli avrebbe risposto, ma i due avevano un buon rapporto, e l’uccello era molto espressivo, non era difficile capire cosa le passasse per la testa.

May si spalmò contro la sua mano, come se stesse soffrendo parecchio a stare lì, ed evitò il suo sguardo.

Non rispose neanche con un cinguettio.

Apollo ricordò le parole di Klavier: May voleva a tutti costi entrare a palazzo ma non ci riusciva mai.

Forse dato che Apollo non era magico, in qualche modo la proteggeva dall’essere notata. Probabilmente era a causa sua se aveva avvertito tutta quella resistenza, entrando nell’area del palazzo.

-May, è rischioso. Potrebbero pensare che sono un mago in incognito- si lamentò lui, guardandola storto.

May si lamentò, irritata.

-Okay, okay… non posso prendermela con te quando sei così dolorante. Se ti fa così male stare attaccata a me puoi sempre volare via dalla finestra- provò a suggerire, provando a posarla sul cornicione della finestra più vicina.

Non riuscì a staccarsi da lei, come se fossero incollati.

-Okay… questo è molto strano- ammise, sorpreso.

May per tutta risposta si infilò nella sua camicia, come se potesse proteggerla, e facendo il solletico al ragazzo, che cercò in tutti i modi di non ridere.

-Ma com’è che siamo così uniti e amici in questo AU? Nel canon non interagiamo neanche un po’, almeno non nei giochi che ha giocato Chris- si lamentò, temendo che la presenza imprevista potesse rovinare il piano.

Per tutta risposta, May gli beccò sotto mio ordine il braccio, facendogli emettere un verso di dolore.

Non siamo su iLove, Apollo! Questa è una storia seria e non puoi rompere la quarta parete come ti pare e piace!

Dopo questo siparietto comico che denota la mia stanchezza interiore, Apollo riuscì a trovare una sistemazione a May di nuovo sotto il suo cappello, e la scena tornò seria e preoccupante quando un nuovo arrivo giunse in sala d’attesa, facendo impallidire Apollo per il terrore.

Tale arrivo si rivelò, infatti, nientepopodimeno che la Farfalla Velenosa in persona, elegante e disinteressata.

Apollo si alzò di scatto e prese la prima cosa che gli capitò sottomano, ovvero una sedia, da usare come eventuale arma.

In quel posto la magia non funzionava, quindi era in vantaggio.

La Farfalla Velenosa lo fissò come se fosse una formica che non sapeva se schiacciare o no.

-Oh… tu sei quel tipo che ho maledetto per arrivare a Phoenix- ricordò poi, sorridendo soddisfatta per esserci arrivata.

-Ci… ci siamo visti ieri. Mi hai quasi ucciso!- le rammentò Apollo, offeso di essere stato dimenticato con tale facilità.

Era stata un’esperienza piuttosto traumatica per lui.

E lo era stato anche per me scrivere quella scena.

-Tendo a dimenticare subito i fallimenti, soprattutto se non sono a causa mia. Quel piano era tutta un’idea di Kristoph- borbottò la Farfalla Velenosa, sedendosi in attesa e non sembrando per niente intenzionata ad attaccare.

Apollo non si fidò, poteva benissimo fingere e poi tendergli un agguato approfittando che avesse abbassato la guardia.

Rimase con la sedia in mano, pronto ad utilizzarla per qualsiasi evenienza.

-Non hai intenzione di uccidermi o prendermi come ostaggio?- chiese, per stare sicuro, anche se comunque dubitava lei gli avrebbe risposto.

-Non oggi, sei fortunato. E di certo non nel palazzo del re, prima del mio colloquio con Miles Edgeworth- la donna agitò i lunghi capelli rossi.

Apollo abbassò la sedia, ma rimase in allerta, e provò ad approfittare dell’occasione per ottenere altre informazioni.

Sembrava in vena di chiacchiere. Si era già lasciata sfuggire un nome, dopotutto: Kristoph.

Poteva condividere l’informazione con Phoenix e Klavier e magari poteva essere loro utile.

-Perché vuoi ottenere Phoenix così tanto?- chiese, con nonchalance, cercando di non risultare sospetto.

-Stai cercando di ottenere informazioni, ragazzino? Guarda che non sono nata ieri, li conosco questi trucchetti psicologici… ho inventato io questi trucchetti psicologici!- la donna capì subito il suo trucco, ma Apollo non demorse.

Alzò le spalle, posò del tutto la sedia, e finse indifferenza a sua volta.

Non aveva mentito, con Klavier. Era un esperto di bluff. Era fondamentale saper mentire quando si cresce in un orfanotrofio tremendo, soli al mondo.

-Nah, non sto più con loro. Sono qui proprio per chiedere aiuto a Edgeworth in cambio di informazioni su Phoenix e Klavier- spiegò il piano fittizio che avevano elaborato per guadagnare la fiducia dello stregone supremo e distrarlo.

Dahlia sembrò interessata.

-E cosa ti ha spinto a tradire la tua nuova famigliola?- chiese, poco convinta ma intrigata.

Apollo la guardò eloquente.

-Il tuo attacco, ovviamente. E il fatto che mi hanno solo usato, mentito e manipolato- spiegò, incrociando le braccia e mentendo molto bene.

Probabilmente perché una parte di lui era ancora infastidita dal vincolo che gli avevano posto senza avvertirlo.

Anche se capiva bene le loro ragioni, ormai, e soprattutto incolpava maggiormente la Farfalla Velenosa per la minaccia che rappresentava per la famiglia.

-Ma su cosa devi chiedere aiuto a Edgeworth?- chiese Dahlia, interessandosi maggiormente ma proprio confusa su cosa Apollo, il ragazzo che aveva maledetto, potesse volere da uno stregone famoso per sciogliere le maledizioni delle persone.

Apollo la guardò storto.

-La tua…- cominciò, indicandosi, ma la bocca gli si incollò nuovamente, impedendogli di parlare.

-Ohhhh, giusto! La mia maledizione. Sì, suppongo che Edgeworth possa aiutarti. Che informazioni pensavi di dargli su Phoenix e Klavier? Se le condividi con lui potresti farlo anche con me- Dahlia lo guardò ammiccante. Apollo si allontanò, ma poi ci ripensò.

Erano informazioni che poteva dare. Certo, non voleva offrire a quella donna orribile neanche una briciola di pane, ma magari se in cambio otteneva qualcosa di importante…

-Sei capace di sciogliere la mia…- la bocca gli si incollò nuovamente e fu una buona cosa perché altrimenti gli sarebbe uscita fuori una brutta parolaccia subito dopo.

Dahlia si morse il labbro inferiore.

-Nah… adoro scagliare maledizioni, ma non ho mai imparato come si sciolgono, ops. C’è altro che potrei offrirti?- la strega si rivelò più inutile del previsto.

Ma Apollo non si lasciò abbattere, anche se… beh… ci aveva sperato, doveva ammetterlo.

-Perché vuoi ottenere Phoenix così tanto?- ripetè la domanda di prima.

-Se non sai questo, le tue informazioni non valgono nulla. Phoenix è un vero, potentissimo demone. Uno dei più forti in circolazione, almeno tra quelli che interagiscono con gli umani. Assorbire il suo potere mi renderebbe l’essere più potente dell’universo. E grazie allo stregone supremo, che lo conosce meglio di chiunque altro… annienterò completamente lui e Klavier e otterrò entrambi i loro poteri. Anche se quello di Klavier è un granello di polvere rispetto a quello di Phoenix- la Farfalla Velenosa si leccò le labbra pregustando il potere che avrebbe potuto ricevere.

Apollo si trovò con più dubbi che risposte ottenute. Era piuttosto inquietato da quell’obiettivo.

Assorbire il potere di un demone così potente non sembrava faccenda da poco. 

E in che senso Edgeworth conosceva Phoenix più di chiunque altro?

Che passato ci poteva essere tra i due?

Prima che potesse indagare, o che Dahlia potesse insistere sulle informazioni di Apollo, la Farfalla Velenosa venne chiamata in udienza da Edgeworth da una guardia di sicurezza molto massiccia con una benda sulla guancia e l’aria stranamente amichevole nonostante la sua stazza.

-Un momento, io ero prima di lei- provò a lamentarsi il ragazzo maledetto, temendo i due potessero fare un accordo che rendesse vani gli sforzi di Apollo, e mettesse maggiormente in pericolo Klavier e Phoenix.

-Io però sono stata invitata- obiettò la Farfalla Velenosa, con un occhiolino sicuro di sé, prima di seguire la guardia all’interno.

Apollo non dovette aspettare poi molto, perché circa dieci minuti dopo, la guardia massiccia ritornò, e con un sorriso incoraggiò Apollo a seguirlo.

Apollo sentiva May tremare sotto il suo cappello, ma lui cercò di farsi forza, e seguì la guardia nei corridoi del castello, fino ad arrivare in una sala dalle grandi finestre e centinaia di libri e pozioni magiche.

Era esattamente una stanza da stregone, come ti vengono in mente appena immagini il mestiere.

Ma Edgeworth, beh, non aveva l’aspetto da stregone supremo che Apollo si era immaginato.

Sì, aveva i capelli grigi, ma Apollo se l’era sempre visto come un tipo dai capelli lunghi, la barba bianca che gli arrivava ai piedi, il cappello a punta e delle vesti con delle stelle.

Miles Edgeworth… sembrava un normalissimo uomo sulla trentina con corti capelli, viso pulito, e vestito con uno smoking color borgogna e degli occhiali da lettura squadrati.

Era seduto su una poltrona di velluto rossa, davanti ad una scacchiera, e ne muoveva i pezzi concentrato, con la sola imposizione del pensiero. Non sembrava necessitare di un bastone o di un ombrello per utilizzare i propri poteri, come al contrario faceva la Farfalla Velenosa.

Era chiaramente molto più potente di lei.

Apollo iniziò a temere di essere entrato volontariamente nella tana del lupo. Adocchiò la grande finestra. Erano molto in alto nel palazzo, ma forse se si gettava abbastanza lontano sarebbe finito oltre il campo di forza magico e Klavier sarebbe stato in grado di trasformarsi in uccello di fuoco e portarlo via da lì.

-Forza, siediti- senza distogliere lo sguardo dalla sua scacchiera, Miles Edgeworth incoraggiò Apollo ad avvicinarsi, e il ragazzo eseguì, stringendo il cappello sulla testa e mettendosi seduto su un divanetto di velluto uguale a quello di Edgeworth, ma blu e posizionato davanti a lui.

-Ehm… salve, grande stregone supremo. Il mio nome è…- Apollo provò a presentarsi. Lo stregone supremo sollevò un attimo lo sguardo verso di lui, e sgranò gli occhi.

-Jove?- chiese, sorpreso, ritirandosi appena.

Apollo rimase interdetto.

Aveva già sentito quel nome.

Un momento… anche Phoenix l’aveva chiamato così la prima volta che si erano visti.

Prima che potesse chiedere chiarimenti, o negare di essere quel fantomatico Jove, Miles Edgeworth recuperò la compostezza, e scosse la testa.

-No, non è possibile. Chiedo scusa, stavi dicendo?- chiese, formale, incoraggiandolo a presentarsi.

-Mi chiamo Apollo- il ragazzo finì di presentarsi, decidendo con parecchia difficoltà di non indagare ulteriormente sul nome che aveva udito già due volte riferito a lui.

Inconsciamente portò una mano al bracciale che aveva al polso, e lo nascose meglio sotto la manica della camicia. Fu completamente automatico, come se il suo corpo stesse agendo al posto suo.

-E perché sei qui, Apollo?- indagò lo stregone supremo, lasciando perdere la scacchiera per concentrarsi su di lui.

Incuteva un certo timore avere la sua totale attenzione, ma Apollo cercò di mantenere il sangue freddo.

Aveva un demone come genero, uno stregone supremo non doveva fargli paura.

-Volevo chiederle aiuto per spezzare la mia…- la bocca gli si incollò prima che potesse pronunciare la parola magica, e ci mancò poco che non tirasse un pugno contro qualcosa.

-…maledizione- Miles finì per lui -E sei venuto da me nonostante tu abbia un contratto ancora vincolante con Phoenix, come mai?- chiese poi, fissandolo con sguardo penetrante come se riuscisse a leggere all’interno della sua anima.

-Non volevo stringere un accordo con lui! E non voglio più avere a che fare con Phoenix, e Klavier e tutto il resto. Ho rischiato la vita perché sono stato usato come pedina contro di loro, e voglio soltanto tornare alla mia vita di prima. Sono una persona normale, priva di qualsivoglia potere o abilità. Se mi aiuta con la… con il mio problema…- questa volta Apollo si fermò in tempo prima di farsi incollare la bocca -…posso fare quello che vuole. Posso fornirle informazioni su Phoenix, o su Klavier, o portarlo da lei, in qualche modo- Apollo cercò di vendersi al meglio che poté, anche se era molto incerto al riguardo.

Si era preparato il discorso con sicurezza, ma al momento non ricordava una parola, quindi andò a braccio, con panico crescente.

Edgeworth lo fissò impassibile.

-Non ho bisogno di informazioni lacunose di un uomo delle pulizie. E so con assoluta certezza che quel demone avrebbe spezzato l’accordo con te se avessi davvero deciso di non collaborare più con loro. Tsk, Phoenix, dopo tanti anni continua ancora a sottovalutarmi- Miles scosse la testa, ma un sorrisino gli arricciò le labbra, come se fosse intrigato da una sfida imminente.

Il cuore di Apollo perse un battito.

-Io voglio spezzare l’accordo! Se Phoenix non l’ha spezzato probabilmente è per cercare di tenermi al guinzaglio!- provò a fare la parte della vittima di un demone crudele.

Il sorrisino dello stregone si incrinò, e guardò Apollo offeso.

-Da che parte credi che stia?- chiese, inarcando un sopracciglio.

-Huh… contro… Phoenix?- Apollo era convinto, anche se nessuno l’aveva esplicitato, che Miles Edgeworth volesse il potere di Phoenix e di Klavier per sé, per usarlo per la guerra, per offrirlo a von Karma, e che non si sarebbe fermato davanti a nulla pur di ottenerlo.

Forse per via di ciò che gli aveva detto Dahlia poco prima, ma era anche piuttosto certo che Miles e Phoenix non fossero in buoni rapporti, ma quell’espressione e quella domanda suggerivano il contrario.

-Per essere un ragazzino mandato ad offrirmi informazioni fallimentari, sai veramente poco di quello che sta succedendo. Forse dovresti davvero abbandonare il lato di Phoenix e Klavier e unirti a me. Posso spezzare la tua maledizione, scogliere il tuo accordo con il demone, e insieme potremmo salvare Phoenix e Klavier- propose Edgeworth, cercando di trovare un punto di incontro.

Apollo fu preso completamente in contropiede dalla proposta.

Sì, era lì per fingere di voler fare proprio quello, ma Edgeworth sembrava aver capito tutto il piano, ma cercare comunque di portare Apollo dalla sua parte.

E poi… “salvare” Phoenix e Klavier?

Non li voleva controllare e schiavizzare?

-In che senso?- provò ad indagare, cercando di non tradire la sua pagliacciata.

Edgeworth sorrise, soddisfatto dall’aver ottenuto la sua attenzione.

-Io non ho alcuna intenzione di sconfiggere o assorbire il potere di Phoenix, al contrario. Il mio intento è quello di liberarlo- spiegò, e sembrò sincero nella sua esposizione.

Apollo non era convinto, ma continuò ad ascoltarlo.

Forse… forse Miles Edgeworth era davvero dalla loro parte, dopotutto. Avere un alleato così potente poteva fare loro comodo.

-Dopo anni di studio e ricerca ho trovato un modo di spezzare legami che uniscono demoni e stregoni in maniera artificiale. Può essere un po’ rischioso per lo stregone a seconda del tipo di contratto, ma è certo che Klavier ne uscirebbe esattamente com’è ora, esclusa la magia di Phoenix che usa al momento- spiegò, convincendo Apollo sempre di più.

Anche se… poteva sempre bluffare. Forse era abile quanto Apollo a fingere.

Il ragazzo si irrigidì.

-Perché dovrei fidarmi della sua parola?- chiese, scuotendo la testa poco convinto.

-Perché poco fa ho fatto entrare una strega il cui unico intento era quello di assimilare i poteri di Phoenix per diventare più potente, uccidendolo nel mentre, e… beh… vedi tu stesso- Miles schioccò le dita, e le porta di una stanza alle spalle dello stregone si aprirono, facendo entrare, trascinata da una forza invisibile, la Farfalla Velenosa, o meglio, una copia terrorizzata, confusa e dai capelli neri della Farfalla Velenosa, che venne trascinata ai piedi di Apollo, che la fissò interdetto.

-Cosa… cosa le ha fatto?- chiese, ritirandosi spaventato.

La donna si ritirò a sua volta, stringendosi su sé stessa.

-L’ho esorcizzata, ho spezzato il suo legame con il demone che la teneva in vita intrappolata nel corpo di sua sorella gemella, e ho liberato Phoenix, Klavier e il resto della famiglia che si sono creati, da una nemica che poteva essere piuttosto fastidiosa- spiegò Miles, brevemente.

-C_cosa?!- Apollo era molto confuso -Lei chi è quindi?- chiese poi rivolto alla donna che evidentemente non era la Farfalla Velenosa, anche se era identica a lei di aspetto, e appariva anche parecchio invecchiata.

-Il mio nome è Iris- si presentò lei, molto incerta.

-Il punto è che ho neutralizzato un nemico, e la scissione che ha funzionato per Iris, funzionerà anche per Klavier, e Phoenix sarà libero. Ho solo bisogno del tuo aiuto per portarli qui e convincerli a sottoporsi all’incantesimo- Miles tornò al dunque, in tono pratico.

Sembrava… un buon piano.

Migliore di qualsiasi cosa avrebbe mai potuto escogitare Apollo.

Dopotutto Apollo non aveva magia, non aveva conoscenze di maledizioni, ed era completamente inerme in quel corpo anziano. Miles Edgeworth aveva più esperienza, più potere, e un’idea ben precisa di cosa bisognava essere fatto.

Ma c’era un dubbio che tormentava la mente di Apollo come un tarlo velenoso.

-E quando Klavier sarà separato da Phoenix… cosa ne sarà di lui?- chiese, ricordando il contratto stipulato con von Karma che erano lì per rubare.

Miles aveva specificato che sarebbe stato Phoenix ad essere libero. Sembrava che il suo maggiore interesse forse verso il demone, più che verso il mago al quale era legato. E poi Iris non sembrava tanto in forma, dopo essere stata sottoposta a quell’incantesimo. Continuava a guardarsi intorno come se non avesse alcuna idea di dove fosse.

-Il motivo per il quale è disorientata è che non era cosciente mentre la sorella abitava il suo corpo. Klavier è perfettamente consapevole di cosa sta facendo, ed è vivo, a differenza di Dahlia. E dopo averlo scisso da Phoenix, lo riprenderò come mio allievo alla scuola di magia. Non posso esimermi dal mandarlo in guerra, ovviamente, dato che ha firmato un contratto vincolante con von Karma, ma almeno tornerà ad avere una vita pressappoco normale, e con la magia che continuerà ad avere faremo enormi progressi in poco tempo- rispose lo stregone, come se le sue parole fossero incoraggianti.

-Lo costringerete a partecipare alla guerra?- Apollo si infiammò, per niente contento della risposta.

-Ha firmato un contratto!- insistette Edgeworth, con ovvietà, e come se avesse le mani legate sulla faccenda.

-Anche con Phoenix, ma quello non esita a spezzarlo. Non è giusto che Klavier partecipi ad una guerra nella quale non crede solo per le ambizioni di un re che non esce neanche da palazzo. Vuole che Phoenix sia libero, ma non ha pensato neanche per un secondo a quello che vuole Klavier, vero?- Apollo finalmente capì perché la proposta di Miles era troppo bella per essere vera, e cosa non lo convincesse dall’inizio di quella assurda conversazione.

L’unica cosa che Miles voleva era aiutare Phoenix, ma non aveva alcun interesse nei confronti di Klavier. L’incantesimo di scissione avrebbe potuto avere effetti collaterali su Klavier, lo avrebbe privato della libertà, di buona parte della sua magia, e non batteva ciglio nel farlo.

Era esattamente come la Farfalla Velenosa, in fin dei conti: avrebbe fatto di tutto per arrivare a Phoenix!

E sebbene gli intenti fossero diversi, non cambiavano i modi, e i modi rendevano Klavier una pedina sacrificabile.

-Bada alle tue accuse, giovanotto. Sto offrendo un salvagente ad entrambi, e se non limitassi la magia di quel giovane a quest’ora potrebbe non esserci più niente da salvare- spiegò lo stregone, deciso a difendersi.

-Limiti, sempre limiti, vincoli, contratti. Non è giusto che Klavier viva la sua vita in questo modo. Io non l’aiuterò con il suo giochetto mentale. Non permetterò che Klavier diventi uno schiavo del sistema come lei, costretto a servire un re folle- Apollo era così arrabbiato che non badò minimamente alle sue parole.

-Ricorda che sei all’interno del palazzo di tale re- gli fece presente Edgeworth, indurendo lo sguardo.

-Un dittatore, non un re. Se pensa che i suoi sudditi sono solo stupide pedine del suo stupido gioco di scacchi!- Apollo si alzò in piedi, e con una manata ribaltò la scacchiera davanti a Edgeworth, che non si scompose di una virgola.

-Klavier non è un altro pezzo del tuo gioco, o del gioco del re, o del gioco della Farfalla Velenosa. Non è una pedina per arrivare a Phoenix. È un ragazzo buono, e pieno di sogni, e desiderio di libertà, e non ti aiuterò mai a provare a limitarlo, anche se dovrò restare un vecchio per tutta la vita, o se lui dovrà restare attaccato a Phoenix. Perché almeno sarà libero, e in pace!- continuò Apollo, infervorandosi parecchio, senza rendersi conto che con la forza della sua determinazione la sua età era nuovamente diminuita, facendolo tornare il ragazzo di ventun anni che era in realtà.

Iris sobbalzò, sorpresa.

Edgeworth non si scompose di una virgola.

-Scelta pericolosa e insensata proveniente da un ragazzo che ama Klavier così tanto- commentò solo, in tono freddo.

Apollo si sentì come se gli avessero appena sparato un colpo al cuore, perché perse un battito, sgranò gli occhi impallidendo, e fece un passo indietro come se si fosse appena scottato, tornando dell’età che aveva mostrato fino a pochi secondi prima.

-Cosa?!- chiese, in tono acuto.

Lui non era innamorato di Klavier. Non poteva esserlo! Era solo… grato, tutto qui. E Klavier meritava la felicità, e la libertà. Ma non era amore… giusto?

-Speravo davvero che sarei riuscito a giungere ad un accordo, e che avresti fatto venire Klavier davanti a me di sua spontanea volontà, ma non posso rischiare che tu non lo faccia. Direi che sono stato distratto abbastanza- senza perdere la compostezza, Miles Edgeworth sospirò, schioccò le dita, e dal nulla Klavier venne teletrasportato direttamente nella stanza, apparendo a mezz’aria, e cadendo ai piedi di Apollo, che sobbalzò vistosamente, mentre un fastidioso nodo allo stomaco gli faceva presente che erano stati beccati.

Il piano non aveva funzionato. E a giudicare dalle parole di Edgeworth, sapeva di tale piano fin dall’inizio.

Klavier era vestito da guardia reale, ma il travestimento magico era sparito, mostrando il suo vero e bellissimo aspetto.

No, Apollo! Non è il momento dei pensieri poco etero!

Siete stati beccati, è finita!

-Maestro- Klavier si rimise in piedi, posizionandosi davanti ad Apollo come a proteggerlo, e accennando un sorrisino nervoso -Come sta? Sono venuto per una visita di cortesia- provò a non mostrare i suoi intenti criminali.

-Cercavi questo?- chiese Edgeworth, andando dritto al sodo, e tirando fuori un foglio di carta dall’interno della giacca.

Dall’espressione preoccupata di Klavier, Apollo intuì fosse il fantomatico contratto magico.

-Non è distruggendo questo contratto che risolverai i tuoi problemi. Anzi, sappiamo entrambi che se non fosse per questo foglietto e per me, la magia di Phoenix ti avrebbe già soffocato- continuò Edgeworth, intascando nuovamente il foglio, che però spuntava appena fuori.

Con una mano lesta, Apollo avrebbe potuto rubarlo.

Ma voleva davvero farlo?

-Klavier…- si rivolse al mago, preoccupato che Edgeworth non avesse poi tutti i torti sulla potenza del potere di Phoenix.

Il tremore del ragazzo non faceva ben sperare.

-Apollo…- la voce di Klavier era un sussurro, sembrava in una profonda crisi interiore.

-Vuoi fare la fine di tuo fratello, Klavier? Accetta l’aiuto che ti sto offrendo. Sia tu che Phoenix sapete di non avere poi molto tempo- Edgeworth provò ancora a portarli dalla loro parte.

Klavier esitò, era chiaramente spaventato.

Faceva saettare lo sguardo da una parte all’altra della stanza, cercando una via di fuga.

Sembrava in procinto di cedere alla pressione, ma era chiaro l’avrebbe fatto solo per la forza della disperazione.

-Ti prometto che al tuo ragazzo non verrà fatto alcun male, e sarà libero di andare una volta finito qui. Anche le persone nel tuo castello saranno al sicuro- Edgeworth continuò l’opera di manipolazione.

Ma non ottenne l’effetto sperato, perché Klavier scosse la testa.

-No! Non posso. Non voglio- provò ad allontanarsi, stringendosi forte ad Apollo, e portando una mano alla collana, come se avesse un piano.

Lo stregone supremo sembrò accorgersene. 

-Ho provato ad ottenere collaborazione, ma non significa che tu abbia scelta al riguardo- sollevò la mano verso di loro, e Klavier lasciò andare la collana, come scottato.

Lo stregone non diede ulteriori informazioni, non diede loro tempo di pensare, di parlare, o di elaborare una strategia di fuga. Si limitò a focalizzarsi al massimo con le mani verso Klavier, che un secondo dopo era in ginocchio sul pavimento, tenendosi la testa.

-Klavier!- Apollo si affrettò ad inginocchiarsi verso di lui per aiutarlo, ma era bollente, e fu costretto ad allontanarsi per evitare di essere bruciato. Non aveva alcun potere contro quella situazione.

-Miles, smettila!- gridò Klavier… solo che non aveva la voce di Klavier.

Ma quella di Phoenix.

Edgeworth ebbe una leggera esitazione.

-Lo sto facendo per il tuo bene, Phoenix!- provò a convincerlo. Il suo tono era infinitamente più gentile, improvvisamente.

-Non voglio! Non così!- la voce che uscì da Klavier, terrorizzata e nel panico, era di nuovo quella di Klavier.

-Miles, non hai idea di quello che stai facendo! Di quello che gli stai togliendo!- anche la voce di Phoenix era estremamente agitata. 

-Continui a sottovalutarmi, nonostante tutti gli anni passati- provò a difendersi lo stregone supremo, continuando quello che stava facendo.

La stanza intorno a loro era mutata, diventando un concentrato di colori intensi, piccoli fuochi, una casa in fiamme… Apollo era congelato sul posto, incapace di farsi venire una qualsiasi idea su come risolvere la situazione. Iris, accanto a lui, tremava come una foglia, e gli si era aggrappata come se temesse che altrimenti sarebbe stata sbalzata via dalla potente forza magica che stava inghiottendo tutto quanto.

-Non è questione di sottovalutarti, Miles. Ma non sai tutta la storia. Ho un motivo per non volermi separare da lui così. Ti prego- Phoenix continuò a supplicare l’amico, circa, che però era deciso.

-Se continui così morirete entrambi. È questo che vuoi?!- la voce dello stregone era agitata a sua volta, ma determinata.

-Phoenix, non resisto!- continuava a lamentarsi Klavier, la voce molto più sottile di quella del demone, e che trasmetteva immenso dolore.

-Se è quello che vuole Klavier…- anche la voce di Phoenix era un sussurro, amaro, ma rassegnato -…io ho vissuto abbastanza, dopotutto- 

-Ho paura- disse pochi istanti dopo la voce di Klavier, disperato, quasi in contemporanea con quella del demone con il quale aveva stretto un accordo.

Sia Edgeworth che Apollo, all’unisono, sobbalzarono come colpiti da una freccia al cuore.

Miles scosse la testa, Apollo si alzò in piedi.

-Basta adesso!- urlò lo stregone, lanciando l’ultima magia divisoria, nel momento stesso in cui Apollo si frapponeva tra lui e Klavier, deciso a proteggerlo, anche se sapeva di non avere il potere di farlo. 

Probabilmente quell’incantesimo avrebbe dovuto dividerlo in due, o spezzare la sua maledizione, o semplicemente ucciderlo, ma non fece nulla di tutto questo, perché sembrò rimbalzare su Apollo, e per poco non venne rispedito al mittente.

-C_cosa?!- Miles Edgeworth lo guardò sorpreso. La stanza tornò come prima, e Klavier ricominciò a respirare, ormai non più dolorante come prima, ma sentendo ancora i fantasmi della scissione quasi del tutto effettuata su di lui.

-Spostati!- ordinò lo stregone supremo, rivolto ad Apollo, che però scosse la testa.

-Non è questo il modo giusto!- esclamò con enfasi e voce tremante. Le mani sollevate in un goffo tentativo di proteggere lui e Klavier.

Non sapeva come fosse stato possibile quello che era appena successo, ma il polso gli faceva male, e si sentiva improvvisamente debole, proprio come quando aveva affrontato la Farfalla Velenosa, quando lei aveva provato ad ucciderlo con un incantesimo.

-Levati di mezzo!- Miles provò a scansarlo con una magia, ma Apollo rimase fermo sul posto.

Edgeworth provò ancora, provò a spostare Klavier, a prendere Iris, ma la sua magia sembrava non funzionare più su di loro.

Allora prese i pezzi degli scacchi dal terreno, che si sollevarono senza alcun problema, e provò a scaraventarli contro di loro, ma rimbalzarono contro un muro invisibile.

Apollo rimase completamente immobile. Era convinto che se si fosse mosso, la magia sarebbe finita, perché non aveva la più pallida idea di cosa e chi stesse reggendo in piedi quel muro.

Iris sicuramente no, Klavier si stava riprendendo per un pelo, anche se stava un tantino meglio, e si era messo seduto più composto, tenendosi ancora la testa ma respirando regolarmente.

Che fosse May, ancora sotto il suo cappello.

Per qualche motivo, Apollo dubitava fosse il caso.

Ma non poteva essere lui, vero?

Il suo polso scottava sempre di più. Faceva un male incredibile, e più Edgeworth continuava ad attaccarli, più doleva e si stringeva, incandescente, sul suo polso. Fino a sciogliere la camicia che lo stava nascondendo.

E quando Miles Edgeworth lo vide, smise di attaccare, e lo fissò incredulo.

-Gramarye… Jove… Justice…- sussurrò, a voce troppo bassa perché Apollo riuscisse a capirlo -No!- esclamò poi, facendo due più due nella sua testa, e guardando Apollo con altri occhi.

Prima che Apollo potesse cercare di capire cosa stesse succedendo, di nuovo lo stregone supremo si ricompose, e si rivolse verso la porta.

-Guardie! Venite immediatamente!- avvertì la cavalleria, optando per la forza bruta che molto probabilmente sarebbe riuscita più della magia a scalfire quella corazza traballante.

Ad entrare nella stanza, però non furono delle guardie, ma una giovane donna dai capelli azzurri e l’aria combattiva, con una frusta in mano.

-Fratellino, che succede?- chiese, osservando il trio confuso e dolorante.

-Ho chiamato le guardie, non te!- si lamentò Edgeworth, alzando gli occhi al cielo.

-Ero nei paraggi e ho deciso di intervenire. Chi è il tuo obiettivo?- chiese la donna, stringendo la frusta tra le mani.

-Non ti riguarda, Franziska, è fuori dalla tua area di competenza- insistette lo stregone supremo.

-Sarò anche una principessa, ma sono molto più competente di quei fannulloni!- si lamentò la ragazza.

-Apollo, dobbiamo andare- la mano di Klavier sulla spalla di Apollo, e la sua voce gentile e provata all’orecchio, per poco non spezzarono la protezione magica, ma in qualche modo Apollo riuscì a mantenerla, e ad annuire, facendosi trascinare verso la finestra, approfittando della distrazione dei due.

-Il mio obiettivo è Klavier! Non farlo scappare!- Miles sembrò rendersi conto del piano di fuga, perché mise da parte le dispute fraterne per indicare il suo obiettivo.

Ma era ormai troppo tardi, perché erano alla finestra, e Klavier aveva portato nuovamente la mano all’artefatto che ancora aveva intorno al collo.

Praticamente erano salvi.

…se non fosse che proprio in quel momento il cappello di Apollo si tolse, mostrando May al mondo. E mostrando il mondo a May.

L’uccellino si guardò intorno spaesata, ancora appiccicata addosso ad Apollo come se non ne potesse fare a meno.

-Lo prendo subito!- Franziska nel frattempo aveva fatto volare la frusta, diretta verso Klavier, che si scansò per un pelo.

E a quel punto May notò la ragazza.

E si trasformò improvvisamente in un enorme airone che per poco non schiacciò Apollo, e lo fece completamente deconcentrare.

Iniziò a gracchiare in direzione della donna, cercando di volare nella sua direzione, e trascinando Apollo con sé.

-Apollo!- gridò Klavier.

-May!- Apollo rimproverò l’uccello.

-May?- chiese Franziska, osservando l’uccello ad occhi sgranati.

-Franziska!- Edgeworth si mise tra l’uccello e la sorella, e Apollo gli finì addosso.

Ci fu un singolo secondo di ghiaccio.

Poi fu il caos più totale.

-Dammi immediatamente quell’uccello!- il focus di Franziska cambiò completamente, e la sua determinazione triplicò.

-Apollo dobbiamo andare!- Klavier afferrò con fermezza Apollo, e si mise una mano alla collana.

-Non osare!- Miles provò a fermarlo, ma venne scansato via da Apollo, che usò tutte le proprie forze per avvinghiarsi il più possibile a Klavier, nonostante May fosse poco collaborativa, e cercasse di raggiungere la donna con la frusta.

Poi Klavier si tolse la collana, e venne praticamente sbalzato via dal palazzo, gettato fuori come una palla di cannone, alla massima velocità e portando Apollo, May, e una Iris che si era aggrappata all’ultimo, con sé.

Probabilmente si trasformò a mezz’aria in un uccello di fuoco, pronto a portarli al sicuro, ma Apollo non lo avrebbe mai saputo con certezza.

Perché era troppo occupato a svenire per la stanchezza e per l’insopportabile dolore al polso.

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