Through the Storm

di Wolstenholme
(/viewuser.php?uid=1111789)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. prologue ***
Capitolo 2: *** II. chapter one ***
Capitolo 3: *** III. chapter two ***



Capitolo 1
*** I. prologue ***


Through the Storm

 I. prologue



Grande Atene, 429 a.C.


La città di Atene non era mai stata così gelida in quel periodo dell'anno. Il fischio incessante del vento risuonava nell'aria, infiltrata fino in profondità nel copricapo morbido di Rieleen.

Nonostante fosse originaria dell'Attica, più precisamente di una delle numerose zone a nord nella regione greca, non ricordava temperature così ostili. Magari, il fatto che fosse fuggita in tenera età su di una barca da quattro soldi dal timone traballante forniva una valida risposta a quell'iniziale stupore.

Fobos correva veloce tra la vegetazione appena fuori le alte mura della città, il profumo familiare dell'erba incolta, del grano e del fuoco. Le sue mani fredde e insensibili erano salde sulla vita dell'uomo davanti a lei che, con accurata abilità, conduceva il destriero su e giù per il mondo; delle alte montagne della Macedonia alle rigogliose Isole dei Pirati affittando una nave in alcuni dei porti più economici.

Erano in viaggio da giorni e non rammentava il suo nome, poco male, pensò. Qualche centinaia di metri e, con ogni probabilità, non l'avrebbe più rivisto. Dopotutto, da ciò che le aveva raccontato una notte in una valle di cactus della Messara, era lì per racimolare qualche dracma extra per fare ritorno in Laconia. Ovviamente.

Finalmente, qualche centinaia di metri e avrebbe potuto gustare con avidità del buon cibo cucinato dai mercanti locali. Lo stomaco brontolava e la stanchezza attanagliava ogni fibra del suo corpo.

In un modo che non pareva reale, adesso Atene era dietro l'angolo sul serio.

Niente e nessuno le avrebbe impedito di dormire per un intero giorno, neppure tutte le dracme dell'Universo, men che meno Zeus.


Una volta superato uno degli ingressi principali, sorvegliato da quei cani ateniesi in costante allerta - che non evitarono di rivolgerle uno sguardo obliquo -, non poté fare a meno di scrutare l'ambiente circostante, per il prima volta dopo molti anni. 

Atene non era cambiata granché. In un certo senso, l'aria che si respirava era ancora pesante, ancor di più ora che la feroce guerra con Sparta era alle porte. Nonostante ciò, le persone gironzolavano ancora rilassate e, apparentemente, senza pensieri.

Forse credevano che Pericle avrebbe garantito protezione a vita ai suoi abitanti, se non contro gli dèi, almeno contro i rivali assetati di vittoria.

I conflitti erano sempre più frequenti, dopotutto.

In mare come sulla terraferma.

Comunque, i mercati erano ancora floridi, le mura intatte e il Partenone ancora imponente come di consueto. 

Sbuffò, notando Alexios appoggiato ad una delle forti colonne del monumento ideato dal generale ateniese, non senza la disapprovazione di Cleone.

Sembrava impaziente, la sua espressione era quella di sempre, però: seria e tirata, ma con lo sguardo perso adagiato su alcuni abitati e la mente immobile a chissà quale ricordo del passato.


«Ombra dell'Aquila, finalmente.» mormorò Rieleen smontando dal fedele cavallo. «Dovresti addestrare di più il tuo quadrupede, è lento.» 

Alexios sorrise, alzando gli occhi il cielo. «Be', potevi sempre arrivare fin qui sulle tue gambe, avrei risparmiato un bel po' di dracme in effetti.»

«Spilorcio.» commentò la giovane. «Comunque, paghiamo questo qui e andiamo, ho fame.»

«Spartani, tutti uguali.» 

«Bada a come parli. Dai, Alexios.» concluse, mollandogli un affettuoso pugno sul braccio.


Il misthios le rivolse un'ultima occhiata, per poi consegnare la ricompensa all'uomo, che fino a quel momento non aveva emesso un fiato.

Abbandonò le briglie di Fobos al suo legittimo proprietario e, flemmatico, voltò le spalle a entrambi, perdendosi in fretta tra la folla.

«E il tuo debito, adesso, ammonta a…»

«Ti sopporto da anni, sai? Sei ampiamente ripagato per almeno altri dieci anni.» ribatté. «Se ci arriverai tutto intero, almeno.»

«Non sei cambiata affatto, Reileen.»

«Che t'aspettavi, non ci vediamo da tre mesi, non da un'eternità.»

«Raccontami. Che è successo a sud?» 

«Ah, ti racconterò ogni dettaglio davanti ad una buona ciotola di riso con le olive.»

«E sia.» esclamò, incamminandosi verso il cuore pulsante del mercato.


Seduto pigramente sotto ad un tendone nell'agorà, Alexios la osservò, mentre divorava la seconda scodella di riso. Aveva una gran voglia di raggiungere la sua nave per avvertire l'equipaggio. Il viaggio verso Mykonos non sarebbe stato breve e, in mare aperto, non avrebbe potuto distrarsi nemmeno per un secondo. Le flotte ateniesi popolavano le acque, per non parlare dei banditi e dei pirati sempre pronti a nuovi scontri a cui non aveva intenzione di partecipare; oltre a perdere tempo, ciò avrebbe potuto arrecare seri danni all'imbarcazione.

Era perfino sorpreso non avesse ingurgitato l'intera baracca dagli stendardi blu, ancora stranito dell'idea di lavorare di nuovo insieme dopo tre lunghi mesi trascorsi agli angoli opposti dei confini greci.

Certo, non strano quanto aver avuto una spalla per moltissimi anni della sua esistenza, fin dai tempi di Cefalonia e Marco con i suoi assurdi vigneti fallimentari. Fai dai tempi della piccola Febe.

Non era cambiata, no.

Alexios poté ancora notare la lieve sfumatura chiara dei suoi lunghi capelli mossi scomposti e in disordine in una coda bassa; sosteneva sempre che slegati gli davano un enorme fastidio.

Inoltre, gli occhi verdi e attenti non avevano perso la loro scintilla, nonostante la guerra e la devastazione.


«Quindi, uhm… la Messara…» intavolò, posando uno sguardo vigile sulle sue armi sistemate a lato del tavolo, in particolare alla sua lancia di Leonida.

«Sì.» rispose Rieleen, afferrando la caraffa d'acqua piovana con la mano destra. «Insomma, un luogo davvero di merda.» proseguì, osservando il misthios sbuffare.

«In ogni caso, la regione è vulnerabile. Ho scoperto chi è il loro capo. Non è stato facile, ma dovrebbe essere fuggito a nord, i suoi uomini non hanno più intenzione di proteggerlo. Ha perso credibilità.»

«Bene.»

«Non reggeranno un attacco, questo è certo.»

«Gli ateniesi pagherebbero migliaia di dracme per stabilirsi a sud.»

«Ce li vedi a un simposio tra le rocce, Alexios?»

«Non è un mio problema e non sono pagato per questo.»

«Siamo.» lo corresse, mettendo da parte la ciotola completamente vuota. «Siamo pagati, noi due.»

«Be', prima dovremmo fare un'altra tappa.»

«Dove?»

«Mykonos.» esalò d'un fiato, spostando lo sguardo sul proprietario del posto.

«È… uno scherzo?»

«No.»

«Mykonos e quell'altra dannata isola… abbiamo giurato di non metterci più piede un anno fa.»

«I ribelli sono ancora in difficoltà. È un miracolo che il contratto sia arrivato fino a me.»

«Quindi, lo facciamo per i ribelli, di nuovo

«Sì, partiremo questa notte, quindi preparati.»

«Oh, malaka.» mormorò. «Non potevi proprio avvertirmi prima? Almeno mi sarei data alla macchia fin quando ne avevo l'occasione.»

«Non c'è tempo, Reileen, ma ti assicuro che l'Adrestia è abbastanza comoda.»

«Pregherò Poseidone per tutto il viaggio, Alexios, contaci.»

«Non credevo che qualche ateniese mingherlino sarebbe stato un problema per te.»

«Gli ateniesi sono sempre un problema.»


~


Muoversi per la città era una novità.

Rieleen cercò di non darci un peso eccessivo, ma l'intero tragitto verso l'Adrestia fu colmo di malinconia e di un silenzio poco confortevole.

Perfino la zona di città allagata era ancora… allagata, esattamente come rimembrava.

Calciò un sassolino che, per poco, non finì contro l'esile gamba di un civile; era tutto dannatamente uguale all'ultima volta.

«Alexios… quindi, credi che lui…» iniziò, tenendo gli occhi sulle sue calzature.

«Non lo so.»

«Era diretto a Sparta, vero?»

«Un anno fa il piano era quello. Gli ordini erano quelli, ma…»

«Cosa c'è scritto sul contratto?»

«È firmato da un comandante che non conosco. Probabilmente è tutto diverso, lì.»

«Forse.» mormorò, ricordando ancora perfettamente ciò che era successo. «Non so cosa pensare, Alexios.»

«Non pensare. Facciamo il nostro lavoro.» decretò severo, facendola annuire. «Sì, hai ragione.»


~


Riposare fu un'impresa, anche se il mare non era così agitato come se lo era immaginato prima di salpare. Il giaciglio era tutt'altro che comodo e l'idea di condividere lo spazio con il resto dell'equipaggio non era il massimo. Alexios doveva aver assunto nuove persone, perché non riconosceva nessuno dei vecchi volti. Sospirando, decise di alzarsi e tornare in superficie. La brezza salina le avrebbe schiarito le idee, magari. Rischiò di inciampare varie volte prima di scorgere la botola che l'avrebbe condotta all'aria aperta.

Barnaba era ancora sveglio, se ne stava in disparte a osservare silenzioso la mappa disegnata sulle travi di legno dell'Adrestia. Le fece un veloce cenno del capo e non disse nulla.

Con gli avambracci appoggiati alla protezione esterna della nave e la schiena leggermente ricurva, c'era Alexios.


«Pensi davvero troppo forte, Ombra dell'Aquila.» esclamò la giovane, con i capelli mossi dal leggero vento. Faceva un gran freddo, lì fuori. 

Erano in mare aperto, ora; l'acqua scura e torbida fitta di squali e altri animali affamati, pronti a ghermire qualsiasi preda.

«Scusa, non volevo svegliarti.» rispose il misthios voltandosi appena, per poi tornare alla precedente posizione.

«Non stavo dormendo bene, ma non è colpa tua. Sei praticamente immobile.» mormorò, prendendo posto al suo fianco. «L'Adrestia è esattamente come la ricordavo, equipaggio a parte.»

«Il mare ha questo potere e Poseidone sembra clemente questa notte, arriveremo molto prima a destinazione.»

«Allora il mare non fa abbastanza per te.»

«Mi aiuta. Rifletto meglio, tra le onde.»

«Pensi ancora a lui?» domandò Rieleen a bruciapelo, lo sguardo fisso all'orizzonte.

Alexios sospirò in risposta prima di ribattere, il suo tono di voce più duro di prima.

«Penso che questo sarà un buon giorno per Sparta, di nuovo.»

«Credevo non ti importasse molto di Sparta e della sua gloria.» 

«Sono un misthios, mi importa di chi mi paga e, spesso, pagano profumatamente. Dovresti fare lo stesso.»

«D'accordo, va bene, Ombra dell'Aquila.»

«Felice di riaverti a bordo, Reileen.»

«Puoi dirlo forte. In effetti, la mia vita con quell'insulso guerriero era noiosa.» disse. «Sembrava più un ateniese che uno spartano.»

«In che senso?»

«Gli ateniesi ti riempiono la testa di tanti discorsi inutili. Gli spartani danno ordini.» decretò, facendo ridere Alexios e inspirando a pieni polmoni il profumo della libertà, l'intenso profumo di casa. Per il momento, almeno.


«E che dire di Atene?»

«Cosa dovrei dire?»

Alzò un sopracciglio. «Lo sai.»

«È stato… strano. Ancora adesso non comprendo come tu abbia potuto inviare il tuo stupido uccello così lontano solo per darmi appuntamento lì.»

«Icaro non è stupido. È una guida eccellente.» precisò, quasi offeso. «In ogni caso, io ero già lì. Il Porto del Pireo è molto più comodo per arrivare a Mykonos.»

«Che facevi ad Atene?»

«Alcibiade aveva bisogno di un favore.»

«Malaka. Non parlarmi di lui.»

«Non l'hai ancora perdonato, Reileen?»

«Dovrei? Ha cercato di convincermi a partecipare al suo stupido… qualunque cosa stesse facendo in quella stanza alla villa di Pericle.» 

«Lo sai com'è fatto.» disse Alexios sorridendo, perso anche lui in quei vecchi ricordi: non poteva certo dimenticare uno dei suoi primi simposi al fianco di quel matto di Alcibiade.

«E preferisco non scoprire altro, evitare di ricordare quei giorni e allontanarmi il più in fretta possibile dall'Attica.» concluse, alzando gli occhi al cielo notturno.


Trascorse qualche minuto ancora sul ponte, gettando uno sguardo veloce al mare e poi alle stelle luminose, prima di congedarsi da Alexios e tornare sottocoperta.

Era stanca, ma in qualche modo la mente ancora non le lasciava tregua. Era stata una pessima idea, pensò tra sé e sé. Forse, quella era niente altro che la rivincita del suo Io interiore ancora legato ai ricordi; dopotutto, mentre lottava non aveva certo tempo materiale da destinare alla memoria e altre assurde situazioni del passato. Quando non era impegnata a destreggiarsi tra una lama e una freccia appuntita, però, era tutto diverso.

Atene era stata la sua casa, molto tempo fa.

Quelle strade erano le vie su cui correva e giocava con gli altri bambini, quei mercati gli stessi dove la sua famiglia acquistava quel delizioso pane croccante, quelle mura le stesse che per diverso tempo aveva solo sognato di scavalcare.

Adesso, invece, era il più delle volte schierata con la fazione rivale. La stessa fazione per cui combatteva Alexios, nonostante gli avesse voltato le spalle in passato, nel modo peggiore possibile.

In realtà, combatteva con chiunque le garantisse la sopravvivenza, un po' qui e un po' lì, ovunque gli dèi volessero condurla con la loro saggezza.

Almeno, aveva l'opportunità di osservare l'intero mondo.


fine


 


È strano pubblicare qualcos'altro con così poca distanza, soprattutto su un fandom nuovo ma, in ogni caso, sono contenta. Soprattutto per me stessa e che questo possa in qualche modo rappresentare un inizio.
In ogni caso, penso che questa storia sarà una mini long. Ovviamente thalexios, con l'aggiunta di un mio personaggio originale che volevo inserire da un po'. La trama cercherà di essere abbastanza fedele all'originale, almeno per quanto riguarda gli eventi principali e l'ordine cronologico. Probabilmente non sarà accurata al 100% anche per mancanza di dati.
Riguardo al resto, la maggior parte delle scene sarà di mia totale o parziale invenzione.
Sperando possa piacervi, ci vediamo al prossimo capitolo. Grazie a chi leggerà.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II. chapter one ***


Through the Storm

 II. chapter one



Isola di Mykonos, 429 a.C.


Scelta saggia avrebbe preso Zeus se avesse deciso di fulminarlo appena messo piede a Mykonos. Con ancora più accurata precisione, non appena aveva dato ordine al suo equipaggio di assassine specializzate nell'arte della furtività di ormeggiare l'Adrestia e riposare per qualche ora, prima di controllare e sistemare l'imbarcazione per qualsiasi evenienza; Alexios era appena approdato sulla grande Isola d'Argento e, svelto come un leone sulle montagne della Macedonia, avvertiva già i primi segnali di disagio e pentimento.

Inoltre, la missione in questione, gli avrebbe sottratto tempo prezioso alla complessa ricerca della sua famiglia. Parte di essa, almeno. Myrrine era al sicuro in un piccolo villaggio ai margini della Beozia, mentre Nicolao - il grande Lupo di Sparta -, probabilmente vagava ancora senza una meta, dichiarato oramai morto dalla sua patria.

Il suo compito era tutt'altro che giunto al termine, anzi, Alexios aveva così tante cose da fare, così tanti chilometri da percorrere, così tanti cacciatori di taglie da sconfiggere che una pausa, per quanto breve, non era affatto contemplata.

In più, mettere piede a Sparta era una follia e non ne era affatto entusiasta. Sapeva, tuttavia, quanto la Fenice di Nasso desiderasse fare ritorno alla loro piccola e modesta casa in periferia, teatro dei ricordi più belli e brutti della sua vita.

Desiderio ancora astratto, considerando che prima avrebbero dovuto convincere i due Re a concedergli la cittadinanza, di nuovo.

Ma almeno l'aveva trovata. Viva, come una vera guerriera era sopravvissuta nonostante il dolore e la perdita della famiglia, nonostante il tradimento e la cieca devozione alle implacabili leggi spartane.

La sabbia bianca e fine era tiepida, infiltrata tra le dita nei suoi sandali consumati. Una sensazione familiare quanto scomoda allo stesso tempo.

La temperatura era più mite lì ed era grado di scaldare Alexios fin dentro le ossa, soprattutto dopo quegli ultimi lunghi giorni trascorsi in balia delle intemperie. Il profumo dei fiori era quasi invadente, più di quanto ricordasse. Mykonos era un'isola meravigliosa, non c'erano dubbi, così come lo era la vicina Delo. Lì, ogni vita sembrava in pace ora, dai contadini ai pescatori sulle rive, dagli animali selvatici comuni in quel luogo paradisiaco ai floridi mercati e le feste serali al chiaro di luna; era difficile credere che gli abitanti e i nativi avessero ancora bisogno dell'aiuto di un mercenario e, possibilmente, anche dell'esercito.

Sulla spiaggia e sulla fresca erba a margine regnavano alcuni petali di rosa. In verità, sapeva quanto la gente del posto li amasse. Ogni cosa a Mykonos era ricoperto da fiori, petali inebrianti e alberi rigogliosi. Quelle terre non avevano nulla a che vedere con la moltitudine di altri luoghi dove aveva soggiornato negli ultimi anni.

E, per questo, detestava trovarsi lì; per quanto fosse un luogo incantevole alla vista, avrebbe preferito camminare sulle spine aguzze dei cactus di Pefka.

Avrebbero causato meno dolore. 

Forse, nulla era cambiato sul serio.


Scosse la testa per scacciare quel flebile pensiero dalla mente - non era arrivato fin lì per lasciarsi guidare dalle emozioni, era un misthios per gli dèi -, e cercò con lo sguardo Rieleen, trovandola intenta a discutere con un membro dell'equipaggio mentre affilava la sua spada dall'impugnatura ricamata.

«Possiamo evitare di battere la fiacca?» 

«Alexios Ombra dell'Aquila, dovresti farmi fare davvero un tour di questa splendida isola. Forse potresti scalare il costo della gita dalle dracme che mi spettano.» rispose la giovane con un'ironia sprezzante, prima di alzarsi e atterrare sul suolo polveroso con un agile balzo, l'arma ora riposta nel fodero allacciato al fianco sinistro, assieme all'arco e alla faretra posizionata sulla schiena.

«Oh, ti prego.»

«Con più precisione, cosa dobbiamo fare?»

«Da quello che c'è scritto sul contratto, sembra che i pirati abbiano iniziato ad affondare alcune navi locali adibite ai rifornimenti, avvicinandosi sempre più alle coste.» 

Rieleen spostò lo sguardo sulla vasta distesa blu oltre l'Adrestia. «Non sembrano essere un grosso problema, né per loro né per noi.» 

«No, ma… Cira pensa possa essere opera di Cosmos o, forse, dei seguaci di Ares, chi lo sa.»

«Be', ma Podarce è morto. Abbiamo dato fuoco al suo corpo un anno fa.»

«Podarce era solamente uno dei tanti, Ri.»

«Va bene. Dove andiamo, allora?»

«Da Cira. Ora vive nel palazzo che, una volta, apparteneva a suo padre.»

«Pensavo vivesse in una grotta, da vera ribelle.»

«È passato molto tempo, immagino.» mormorò pensieroso Alexios. «Non perdiamo altro tempo, vorrei restare su quest'isola il meno possibile.»

«Siamo d'accordo su qualcosa, allora. Andiamo.»


Rieleen conosceva la via per la vecchia casa di Podarce, anche se avrebbe preferito esserne estranea.

Ora era consapevole che giurare di non tornare più in un luogo non significava nulla. Il destino evidentemente giocava a scombussolare ogni suo piano, ogni qualvolta ritrovava la serenità.

Che fosse apparente o meno, poco le importava.

Vagare qua là per il mondo era la sua vita, l'aveva accettato ed era perfino diventata una necessità per fuggire, ma se era certa di qualcosa era proprio che alcuni luoghi, alcune póleis, erano vietate.

Le poneva dei limiti, anche in termini economici e di agio, ma preferiva di gran lunga riposare sul pavimento di una squallida baracca e mangiare pesce cucinato alla bell'e meglio che sottomettersi alla dracme facili di città come Atene.

Eppure, ciò non si era rivelato corretto; gli dèi sicuramente ne erano divertiti.

Per quanto procedesse lentamente e senza la minima voglia di rivedere la faccia tirata di Cira, arrivarono a destinazione in meno di mezz'ora.

Senza ombra di dubbio, la nuova leader s'era data da fare e, in un anno, aveva fatto ristrutturare buona parte dei punti d'interesse dell'isola, rimasti vittime della guerra.

Ora, ogni traccia del passaggio degli ateniesi sembrava insabbiata.


Icaro volava nei dintorni dell'immensa villa. Era un'abitudine ormai consolidata da molti anni quella di avvertire Alexios di eventuali pericoli nei paraggi.

Fin da quando era bambino, Icaro era stato al suo fianco. Non ricordava esattamente il momento in cui quell'aquila aveva iniziato a seguirlo - sicuramente dopo gli eventi di Sparta -, ma era sempre stata una presenza utile. 

All'inizio, semplicemente come vedetta e poi come qualcosa più simile a un vero amico, in effetti l'unico amico.

Lo stridore dell'aquila sopra le loro teste riportò Alexios alla realtà, constatando che la via era libera. Infatti, all'ingresso, vi era un solitario nerboruto tipicamente spartano di guardia.

Non trovava saggia la presenza di una sola persona, ma senz'altro era vero che nessuno sano di mente avrebbe dato il via a una strage entrando comodamente dall'entrata più in vista, sicché aveva un senso; ragionevolmente non era l'unico soldato nel complesso, ma era certo non avrebbero ostacolato il loro passaggio; in verità, nessuno di loro ne sarebbe stato in grado, pur volendo.


«Bussiamo alla loro porta o facciamo ciò che ci viene meglio fare?» domandò Rieleen, spostando lo sguardo furbo su Alexios. 

«Se ce ne sarà occasione. Mi sono arrampicato su questi muri e finestre già una volta.» rispose, dirigendosi a passo spedito verso il soldato che non tardò a reagire.

«Chi sareste, voi due? Allontanatevi e nessuno si farà male.» borbottò, estraendo per precauzione la sua spada corta.

«Chi saresti tu, non noi. Facci passare, adesso.» Rieleen era sulla difensiva, teneva ora la mano sul fodero per qualsiasi evenienza. 

«Ragazzina, chi è che ha il coraggio di minacciare uno spartano?»

«Questa non è Sparta.» ribatté seccata a un passo di distanza dall'altro.

«Le sue leggi sono valide ovunque, viandante. Ti esorto a rispettarle un'ultima volta.»

«Maláka. Ti sembro una viandante, eh?» continuò, alzando il tono di voce.

«Calma, calma. Dobbiamo solo incontrare Cira.» intervenì Alexios, estraendo il contratto inviato dalla leader a mo' di prova. «Ecco.»

La guardia sbuffò, sistemando nuovamente l'arma per leggere ogni singola parola del foglio di pergamena arrotolato. «La prudenza non è mai troppa di questi tempi, misthios. Seguitemi, in silenzio. Non voglio problemi.»

Rieleen alzò gli occhi al cielo. Quella missione si stava rivelando un grattacapo.

E ciò non era altro che l'inizio, pensò.


~


«Alexios, Rieleen. È un piacere rivedervi.» pronunciò Cira, invitando le sue guardie personali a lasciare la stanza. «Così tanto tempo è passato, sembra che mio padre sia morto da una vita.»

Ottima considerazione.

«Non staremo a Mykonos per molto.» mormorò Rieleen incrociando le braccia al petto, riempiendo l'aria del tintinnio delle punte acuminate delle frecce dentro la faretra ancora allacciata sulla schiena.

«Oh, certo. Potremmo parlare dei nuovi problemi di queste isole questa sera, a cena» propose la leader dei ribelli. «Che ne dite?»

Rieleen osservò Alexios. La sua espressione era seria, imperturbabile, ma sapeva quanto la sua fosse esclusivamente una dura facciata costruita ad arte durante gli anni bui della sua sofferenza.

«In realtà, abbiamo prenotato una stanza giù al porto per poche dracme. Staremo lì.» mentì lei, senza preoccuparsi di mostrarsi convincente; non le doveva nulla.

«Del buon vino non si rifiuta mai, ragazzi miei.» insistette. «Almeno, in onore dei bei vecchi tempi. Ci sarà anche Erodiano. Scommetto che a Barnaba farebbe piacere allietarlo con qualche sua storia da marinaio.»

Alexios sbuffò, prima di replicare. «Ci penseremo, va bene?»

«Stasera, in questa casa. Le guardie non vi daranno problemi.» continuò, avvicinandosi con passo lento e calcolato a lui. «E… Alexios?» 

Rieleen le lanciò uno sguardo sospettoso e aggrottò la fronte. 

Non era cambiata affatto. Non capiva proprio come Alexios avesse potuto accettare l'incarico.

Certo, era un misthios da praticamente tutta la sua vita, fin dai tempi di Cefalonia e di Marco.

Riflettendoci, per quanto l'uomo fosse discutibile, aveva allevato Alexios fin all'età adulta. Obiettivo in cui entrambi i genitori avevano fallito con risultati catastrofici. E, certo, un misthios che si rispetti non recide le promesse, non decide di scappare prima di aver concluso il suo lavoro e aver intascato un bel po' di dracme dorate, però... «Ci sarà anche lui, ma non dire che te l'ho confessato.»


Se qualcuno avesse chiesto ad Alexios di identificare il momento in cui la sua anima aveva fatto crack, avrebbe indicato esattamente quell'istante. Se non fosse stato impossibile, avrebbe giurato addirittura di percepirlo chiaramente nel suo petto.

Sentì un calore fastidioso raggiungere le sue guance decorate da un sottile strato di barba, il battito cardiaco accelerato e un nodo che non avrebbe ingoiato facilmente alla gola.

«Andiamocene.» sbottò Rieleen, rubandolo dal suo avido torpore, afferrandogli il polso con le dita esili e trascinandolo fuori, seguita dalla voce contrariata di Cira in sottofondo.

Era furiosa. «Non ci posso credere, lo sapeva! Malàka

Alexios non emetteva un fiato, era assente mentre la ragazza al suo fianco procedeva a tirarlo di nuovo verso il porto a passo spedito, verso l'Adrestia, verso casa. «Con che faccia tosta!» continuò, l'animo infuocato come quello del suo arco di Ade.

«Proprio lei che è stata parte del problema!» disse, ancora. «Ce ne andiamo, ora.»

Fu in quel frangente che Alexios si fermò, facendo sbilanciare la giovane. «Che c'è?»

«Non mi tiro indietro, lo sai. Ho accettato questo incarico e lo porterò a termine.» dichiarò con voce fredda e distaccata. Lo conosceva così bene.

«Alexios…» 

«Non preoccuparti Rieleen, non andremo alla sua festa.»

«Oh, grazie agli dèi. Mi hanno ascoltato una volta tanto.» esalò, sbuffando alla testardaggine del mercenario.

«In ogni caso, finiremo il nostro lavoro e dopodiché, queste isole svaniranno dalla nostra mente, perfino dalla mappa intagliata sull'Adrestia.»

«Non potrei essere più d'accordo.» rispose l'altra, scuotendo il capo. «Va bene. Andiamo a prenotare sul serio una stanza.»


~


La locanda dove alloggiavano era silenziosa, così come il sentiero appena sotto l'unica finestra della stanza, ma dormire sarebbe stata comunque un'impresa eroica degna di nota, compromettendo con certezza l'energia che la nuova alba avrebbe richiesto.

Rieleen riposava già da ore, gli dava la schiena e, nonostante la poca luce, era evidente che stesse tenendo una mano sulla sua arma favorita.

Questa, così come quella riguardante Icaro, era diventata in fretta un'abitudine.

Quando sei in fuga, quando rinneghi la tua città natale, devi essere pronto a qualsiasi evenienza, così come faceva Rieleen.

Il rituale serale era il medesimo ogni giorno, dopo il tramonto e appena prima di immergersi nel buio: le armi venivano adagiate sul lato destro della stuoia e le varie componenti dell'armatura semplice e sottile che era solita indossare appoggiate con ordine alla parete.

Non accadeva di rado di svegliarsi di soprassalto con il cuore in gola e dover saltare dalla finestra in appena una manciata di secondi; almeno, questo era necessario se si teneva alla propria pelle attaccata alle ossa.

Quella, tra le altre, era una capacità vitale, una capacità che doveva necessariamente svilupparsi fino a divenire un automatismo.

Dormire, ma con un occhio aperto, era questo il mantra da tenere bene a mente.


Alexios, d'altro canto, guardava il soffitto scolorito della camera. All'interno del piccolo abitacolo c'erano ancora alcune candele accese, che gli ricordavano la sua vecchia casa abbandonata, scovata durante un giro di ricognizione nell'entroterra di Cefalonia.

Soprattutto, Alexios e Rieleen non erano così diversi, affatto. Alexios era sempre stato convinto che per poter fare fronte a ogni insidia avrebbe dovuto conoscere a menadito l'isola. Fu proprio lì che, all'età di quasi quindici anni, decise di varcare per l'ultima volta la soglia della casa di Marco per stabilirsi altrove. Non aveva scelta, se voleva sopravvivere in quella giungla intrisa di crudeli profezie.

La casa abbandonata - mantenne questo nomignolo -, era vuota da anni e, per molto tempo, si domandò chi l'avesse abitata prima del suo arrivo, perché se ne fosse andato e cosa avessero udito quei vecchi muri.

Fece in fretta a rivendicarla come sua.

Fu sufficiente un letto improvvisato, qualche coperta e cuscino e alcune candele consumate.

Ben presto si procurò la legna e anche una piccola rastrelliera per le armi che, via via, collezionava grazie al fabbro di Sami che aveva iniziato a ripagarlo per alcuni piccoli favori che Alexios svolgeva quando non era intento ad allenarsi.

Quella, non era altro che una semplice casa abbandonata, tuttavia era la sua casa, per la seconda volta nella sua vita. Era solo lì, ma ciò non gli impedì mai di cominciare a muovere i primi passi nel mondo.

Tutto ciò era estremamente naturale per lui e ricordava ancora con un sorriso quando comunicò a Marco la volontà di diventare un forte guerriero.

Lo sapeva già, sì, non poteva certo scampare al ricordo degli intensi allenamenti con suo padre, anche se a tratti era come se avesse archiviato quella parte della sua vita una volta sfuggito alla morte ai piedi del monte Taigeto, insanguinato e con un largo taglio obliquo sulla guancia.


Ci vollero mesi prima d'essere trovato con le mani nel sacco da un importatore locale.

Era molto abile e precoce, soprattutto nel furto; era questo che l'agoghé insegnava, a Sparta.

Più di una volta l'avevano picchiato, una volta scoperto, e non tanto per il furto in sé quanto per essersi fatto scoprire. Rimembrava ancora perfettamente gli interi giorni e notti trascorsi in balia dei lupi, per ritornare a casa o vincitore oppure morto.

Oltretutto, il DNA del guerriero era insito in lui, in tutta la sua famiglia.

Scappare dal destino sarebbe stato un suicidio, assecondarlo avrebbe fatto male in ogni caso, ma era solamente un bambino di sette anni e aveva sofferto a sufficienza.


Pensare e perdersi nelle fantasiose forme astratte create dalle fiammelle sul soffitto lo conduceva dritto verso Taleta e la sua dedizione per Sparta che aveva distrutto ogni cosa; perché questo era quello che la città faceva.

Quell'ultima notte sulla spiaggia, le giornate intere trascorse all'archegesion di Delo nelle sacra terra di Artemide, la scia di petali di rosa con cui Taleta l'aveva conquistato, mettendo in dubbio le sue capacità con un sorriso furbo stampato sulle labbra.

Avevano lottato - contuso, sanguinante o spezzato, non arrenderti mai, gli aveva detto quel giorno -, e poi qualcosa era scattato.

Qualcosa che lo inseguiva da quando Alexios aveva messo piede sull'isola, da quando avevano abbattuto insieme e coperti di sangue quegli sporchi cani ateniesi.

Alla fine, Taleta gli aveva voltato le spalle.

L'abbandono che così l'aveva fatto soffrire era stata ancora una costante, un fardello sulle spalle.

Senza una casa, un luogo degno di portare quel nome, senza una famiglia, un padre, che aveva preferito abbandonarlo in nome della legge, con il rimorso della sua sorellina che, ancora avvolta in un telo bianco, andava incontro alla morte.

Era un misthios e in quanto tale il suo compito era viaggiare per l'intero mondo greco per guadagnarsi da vivere con qualche contratto a nome di persone bisognose, a volte fragili, a volte corrotte.

Era paradossale. Più forniva il suo aiuto al prossimo e più si sentiva solo, più perdeva interesse nel mettere finalmente le radici da qualche parte. 

Il peso d'essere costantemente fuori posto, in mille luoghi meravigliosi e in mare aperto che, però, non gli appartenevano davvero.

Quella stessa sera, Taleta gli aveva confessato i suoi sentimenti - era arrossito e aveva spostato lo sguardo dal Generale spartano -, e poi… quella ferita bruciava ancora.

Essere di nuovo a Mykonos a distanza di un anno sarebbe stato deleterio per la sua anima, ne era consapevole. E se solo gli dèi gliene avessero dato occasione se ne sarebbe andato, di nuovo.

Al diavolo Cira, al diavolo Taleta, al diavolo quei dannati petali setosi e morbidi contro la pelle sensibile.

 

Chiuse gli occhi, costretto ancora a inebriare il profumo gentile della candela che saturava l'aria, rassegnato all'idea di non poter dormire serenamente.

In realtà, da quando il contratto era giunto tra le sue mani, non aveva quasi chiuso occhio.

Farlo, significava nient'altro che rivedere quel viso che tanto aveva amato, sfiorato, baciato.

Comunque, la festa alla villa di Cira con ogni probabilità era ancora in corso e, infine, non comprendeva affatto il suo atteggiamento.

Era una provocazione, una qualche forma di vendetta per ciò che era accaduto?

Taleta aveva scelto lei, aveva detto di dover partire per Sparta, ma poi era rimasto lì.

Dannazione, era rimasto lì con lei dopo avergli detto che lo amava.

Non l'aveva seguito sull'Adrestia, non avevano bevuto vino forte fino a raccontarsi i loro più oscuri segreti.


Sospirò rumorosamente e, una volta essersi girato e rigirato per un'altra dozzina di volte, decise di alzarsi e uscire fuori. Aveva bisogno d'aria e, quasi inconsciamente, in un attimo si ritrovò in spiaggia.

La brezza notturna gli fece venire la pelle d'oca e gli scompigliò i capelli castani, ancora legati.

Afferrò uno dei petali tra le dita - possibile che fossero letteralmente ovunque? -, e inspirò ancora una volta il loro profumo, perdendosi nei ricordi brucianti. 

Icaro l'aveva intercettato come sempre, non tardando a posarsi sulla sua spalla.

Così, seduto e con le gambe strette al petto, richiuse gli occhi e lasciò ancora che il vento marino lo trascinasse a sé.

Se si concentrava a sufficienza, e non senza sforzo, riusciva a percepire la sua presenza, come se quell'anno non fosse mai trascorso.

Come se fosse ancora lì, al suo fianco, la sua armatura lucente, la sua lancia e quella treccia tipica dei Generali spartani ad adornargli il capo.


Dire che la sua anima sarebbe andata in frantumi proprio lì tra quei granelli di sabbia e quei petali rosati, era un eufemismo.


fine


 


Oh, che bella cosa, finalmente sono riuscita a pubblicare un secondo capitolo. Più che altro, a trovare il tempo per revisionare il tutto e mettere nero su bianco le mie idee (spesso è un'impresa.)
In verità, grazie a questo gioco, sono riuscita a riprendere in mano la scrittura senza ansia e senza obblighi: una libertà che non assaporavo da moto tempo ormai. È ancora strano per me che sia tornata ad essere un piacere.
Quindi, eccomi qui, mi sono persa abbastanza tra i pensieri di Alexios mentre buttavo giù quelle righe, ma sono abbastanza soddisfatta e, poverino, ne vedrà ancora delle belle.
Detto questo, spero possa piacervi. Pubblicare proprio oggi era una necessità.
Grazie a chiunque abbia letto fino a qui, in silenzio e non. Alla prossima.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III. chapter two ***


Through the Storm

 III. chapter two



Grande Atene, 439 a.C.


Il Partenone di Atene dominava l’intera polis dall’alto dell’acropoli assieme alla statua dell’imponente dea Atena. Ormai la primavera era alle porte, motivo per cui il mite venticello di quel pomeriggio scuoteva le piccole foglie degli alberi piantati con cura e faceva danzare armoniosamente gli orli dei costosi e raffinati abiti indossati dalle poche donne di spicco dei ranghi più in vista dell’organizzazione della città-stato.

Lì, ad Atene, se eri una persona abbastanza intrepida da porgere domande scomode agli abitanti non potevi certo pretendere risposte diverse da: “Sono donne così fortunate” o “Quanto vorrei essere come loro!” pronunciate con occhi sognanti e voce carica di invidia bruciante. 

Rieleen, per quanto avesse sempre avuto l’occasione di calpestare i ciottoli grigi dell’acropoli e osservare il cielo blu sopra l’elmo in bronzo della vergine dea della guerra, non era dello stesso avviso; era un dato di fatto che il sesso femminile, nella polis più democratica dell’antica Grecia, godesse di ben pochi diritti.

Fondamentalmente l’apparente lusso di alcuni dei quartieri più in voga di Atene altro non era che una tetra facciata di una società che ambiva a essere la migliore, con scarsi risultati.

Le belle e adorate donne dagli indumenti finemente ricamati che - non senza l’imbarazzo ad adornare le loro guance rosse - lasciavano esposta la pelle chiara delle braccia erano semplici e comuni ragazze, mogli, madri, etere o concubine; che fossero altro era pura illusione. 

Atene era una città magnifica, non vi erano dubbi; potenzialmente, soddisfava ogni genere o quasi di ingenuo desiderio terreno e non. Rieleen, tuttavia, anelava a qualcosa che neanche ogni particella del potere immenso di Pericle poteva - voleva - realizzare.

Rifletteva sovente su un grande fardello, con le gambe ossute a penzoloni dal tetto spiovente della sua casa oppure con le dita immerse nella sabbia e tra le pietre smussate trasportate dal mare nel bacino del Porto del Pireo. Era un concetto assai semplice quanto vitale e importante: il mondo non aveva la capacità di restare immobile solamente perché qualche suo abitante, per qualsiasi motivo, non riusciva a destreggiarsi fra le difficoltà dell’esistenza. Sicché, questo era un reale dilemma, che così di frequente affollava la mente della giovane, ogni giorno più del precedente: quanto tempo avrebbe impiegato per rimettersi in sesto, quanta forza avrebbe richiesto tale impresa e, soprattutto, ne valeva davvero la pena?

Mandare tutto ciò al diavolo era fin troppo facile, per gli dèi.

Solo che… la mera sopravvivenza non era vita.


«Mater»

«Figlia mia,» pronunciò una donna alta e con un velo azzurro sulla testa a nascondere i ribelli ciuffi color biondo scuro. Osservava con severità la ragazzina in piedi di fronte a lei, i pugni chiusi dietro la schiena e la testa china sui piedi nudi. «Cosa devo fare con te, mh? Quante volte dovrò ancora insegnarti le buone maniere?»

Athanasia, sua madre, vagava disperata all’interno del piccolo abitacolo - se possibile ancora più opprimente del solito -, che ospitava l’area svago della casa; in verità, così come Atene nascondeva l’oscurità, quella stanza faceva altrettanto con le regole non scritte della famiglia. Lì, le punizioni - le stesse che erano considerate un bene, un valido aiuto - venivano inflitte con maggiore intensità. «Alypios ha bussato alla nostra porta, di nuovo.» proseguì.

«Rieleen, ascoltami. Io… Ho bisogno di capire. Hai raggiunto un’età in cui dovresti essere sposata con un uomo influente. Io e tuo padre ti abbiamo cercato e presentato decine e decine di persone adeguate a te, ma tu fai fuggire chiunque, perché?» 

Non aveva una risposta a quello, in realtà. Desiderava davvero poter essere in grado di rendere sua madre orgogliosa di lei, ma la verità era che Rieleen non aveva il lusso di poter spiegare apertamente alla famiglia ciò che provava, ciò che voleva, non quando ogni altra ragazza sua coetanea viveva già fuori dalle mura domestiche, con un uomo di almeno vent’anni in più, con due figli e una piccola casa da accudire.

No, non era questa la sua vita.

Non rispose, in ogni caso. Deglutì a vuoto e pregò quel momento finisse in fretta.

«Alypios mi ha riferito di averti confiscato un’arma, una lancia, è vero?» domandò con voce ferma, lo sguardo duro e senza alcuna traccia d’amore. «È vero?»

Sospirò, fregando le mani sudate tra loro. «Sì, mater.»

«Chi te l’ha data, figlia mia? Rispondi. Adesso.»

«Nessuno...» mormorò a bassa voce, tirando il labbro inferiore tra i denti. «L’ho trovata al Porto.»

«Perché?» continuò implacabile. «Ci stai facendo esasperare.»

«Io… Nel caso in cui…» 

«Nel caso in cui, cosa? Cosa ti manca? Cosa ti facciamo mancare, Rieleen?»

«Potrei aver bisogno di difendermi, un giorno! Di difendere questa casa, voi!»

Athanasia rise con evidente disprezzo a tale assurdità. Il suo occhio intimidatorio non lasciava la figura della figlia. «Tu non ne hai alcun bisogno, non hai bisogno di difenderti. Ci sono gli uomini che svolgono questo compito e nessuna donna vorrebbe fare il loro lavoro. Siamo ad Atene, non corriamo alcun pericolo.» decretò con convinzione, prima di continuare. «Rieleen, io e tuo padre vogliamo solo il meglio per te, ma… per fare questo è necessario che tu ti comporti come una vera donna ateniese, come tua madre e tutte le tue amiche. Lo sai, vero, che Clio ha sposato un famoso generale? E chi credi l’abbia permesso, mh?»

«Sì, mater. Lo so.»

Certo che lo sapeva, non facevano che ripeterglielo dal mattino alla sera da almeno dieci anni. Rieleen conosceva molto bene la realtà della città, gli obblighi imposti così come la scarsità dei diritti. Non era complesso; era sufficiente posare uno sguardo distratto su sua madre per rendersi conto della persona che sarebbe dovuta diventare per poter vivere in armonia.

«Non costringerci a farlo di nuovo.» minacciò, riprendendo a camminare qua e là per l’ambiente.

«No, mater.»

«Bene. E ricorda, questa non è Sparta.» esclamò, trattenendosi a stento. Era curioso che sua madre avesse tanto coraggio da alzare il tono tra le quattro mura quanta una poco velata ipocrisia tra le vie della città. «Là, le donne non sono vere donne. Fanno cose da uomini e non è saggio, per non dire altro.»

«Sì, mater.»

«D’accordo, puoi andare ora. Domani andrai da Alypios e gli dimostrerai che sei pentita.»


Alypios era un precettore, o così gli piaceva presentarsi alle famiglie.

Rieleen sapeva cosa volesse dire dimostrargli pentimento e la cosa peggiore era senz’altro che ogni abitante di Atene ne era ampiamente a conoscenza.

Tuttavia, ciò non era affatto un problema, tutt’altro; le famiglie pagavano fior fior di dracme per assicurarsi una bella e adeguata immagine. Erano disposte a tutto, i segni sulla pelle dei corpi dei bambini e delle bambine ne erano la prova e non ricevevano alcuna attenzione.

Paradossalmente erano perfino un buon presagio: un ragazzino che esibisce i lividi della frusta è un ragazzino disposto a imparare come comportarsi nel migliore dei modi, a qualsiasi costo. Esibire le percosse, ad Atene così come in altre città - Sparta compresa -, significava aver raddrizzato un bambino che, prima di essere affidato alle cure degli educatori, non era avvezzo al rispetto della disciplina e della sottomissione.

I precettori riscuotevano somme elevatissime, infatti. Ottenevano da loro ciò che più agognavano e, maggiore era l'insubordinazione dello studente, maggiore era il profitto finale.


Quella stessa notte, con indosso una vecchia tunica sbiadita, Rieleen uscì di casa senza farsi notare dalla sua famiglia che, beatamente e ignara di tutto, dormiva.

Era piuttosto abile, essere minuta aveva i suoi vantaggi o forse nessuno era così interessato a controllare i suoi spostamenti, eccetto per quanto riguardava il matrimonio forzato con uno di quegli uomini mollicci e senza spina dorsale; immaginarsi nella piccola cucina di uno di loro, nel ruolo di moglie e madre, le faceva salire il vomito in gola.

Tirò il cappuccio consumato sopra i capelli lunghi fino alle spalle e, in pochi minuti di cammino, infiltrata tra gli stretti vicoli della polis, giunse fino a casa di quello che riteneva il suo migliore amico e, senza ombra di dubbio, l’unico per cui valesse la pena scappare dalla piccola finestrella della sua stanza.

Come di consueto, mise il piede scalzo su uno dei rami del grosso albero di fronte a lei, appena a ridosso del lato est dell’impenetrabile muro che proteggeva la città, e si arrampicò fino al secondo piano, balzando dentro la camera senza esitazione. 

Tutt’al più avrebbe incontrato la persona sbagliata e, in un lampo, sarebbe tornata da dove era venuta prima ancora che qualcuno potesse individuarla e chiedere aiuto alle autorità.

Il giovane in questione, suo coetaneo, dormiva profondamente su di una pila di cuscini colorati e coperte decorate con motivi tipici ateniesi.

L’ambiente era scarsamente arredato e la brezza marina filtrava dal drappeggio sistemato sulla finestra. Il bagliore della luna illuminava fiocamente la stanza e rifletteva la sua luce fredda sul viso del ragazzo che, ingenuo e troppo fiducioso, teneva un braccio attorno a una piccola bambola. La stessa bambola che avevano costruito insieme l’estate precedente con qualche legnetto raccolto fuori dalle mura, della stoffa rossa sottratta a sua madre e tre spille smussate acquistate per poche dracme al mercato dell’agorà.

Sorrise, avvicinandosi a lui di soppiatto. Dopodichè, posò una mano sulla sua spalla per poi scuoterlo con energia.

Non aveva più molto tempo.


«Petro, svegliati.» sussurrò, stringendo di più la presa sulla pelle scoperta dell’altro che, in un lampo di terrore, balzò seduto sul cuscino.

«Rieleen, per gli dèi! Mi hai spaventato!»

«Scusami, non sapevo come altro fare. Sei fortunato, se fosse stato un mercenario?»

«Ehm, ad esempio entrare dall’ingresso principale? E poi non ho nulla che possa volere un mercenario.» ribatté con un sorriso a tirargli le labbra, ancora confuso dal risveglio improvviso. I capelli castano chiaro gli ricadevano scomposti sulla fronte e le sua gote erano rosate. Gli occhi profondi, seppur stanchi a causa della dura vita che conduceva al mercato del pesce. 

«Con il rischio di incontrare tuo padre in tenuta da notte?»

«E va bene, che succede?» chiese serio, facendo cenno alla ragazza di sedersi al suo fianco. «Allora?»

«Questa è… l’ultima volta che mi vedrai.» esalò d’un fiato, evitando lo sguardo sorpreso dell’amico. «Che? Cosa?»

«Sono seria, Petro. Non potevo non avvertirti, chissà cosa avresti pensato.»

«Non ci credo, insomma, ne abbiamo discusso per anni! Fai sul serio?»

«Si, pare sia arrivato il momento. Sembrava così astratto quando eravamo piccoli, vero?»

«Quando l’hai deciso?»

«Oggi, in realtà.» rispose, alzando le spalle. 

Prima di fuggire, aveva raccattato solamente qualche pezzo di pane abbrustolito, una minuscola coperta e una vecchia caraffa per poter raccogliere l'acqua piovana e, così, evitare di morire di sete.

L'essenziale che le avrebbe garantito la sopravvivenza, almeno. 

«Cos’è successo?»

«Petro… non posso più vivere qui, lo capisci? Questa vita non fa per me. Mia madre mi ha minacciata di nuovo.»

«Lo so, Ri. Lo so. Io… dove andrai?»

«Non lo so, lontano da questa città. Forse prenderò una barca al Pireo.»

«Perchè, ne sai usare una?»

«Naturalmente.» sorrise ironica. «Ho abbastanza soldi, per un po’.»

«Guadagnati con onore, eh?» 

«Hai dubbi?»

«Non posso crederci…»

«Che vuoi farci… Almeno, non dirlo a nessuno.»

Il ragazzo annuì, seppur con poca convinzione.

Teneva lo sguardo sul pavimento, le sopracciglia aggrottate e un sospiro che premeva per fuoriuscire dalle labbra screpolate.

«Sei sicura di quello che fai?»

«No,» mormorò. «ma devo farlo. Potrei andare a Sparta, in effetti. Mia madre dice che lì le donne non sono donne, proprio come me.»

«Oh bè, non credo che accoglierebbero con entusiasmo un ateniese tra le loro file.»
«Non lo sarò più, dopo stanotte.»
«Rieleen… dèi.»

«Mi dispiace, Petro.»

«Vorrei avere il tuo coraggio. Forse, Sparta ti si addice molto di più.»

«Già, ma… non voglio più dovermi adeguare a niente e nessuno.»

«L’hai mai fatto?» domandò scoppiando in una risata, moderando il tono per evitare di allarmare la sua famiglia. «Ricordi quando ci siamo intrufolati a casa di Alypios?»

«Come dimenticare! Lui e quelle sue strambe manie segrete!»

«Bleah, che schifo.» disse. «Allora… tornerai mai?»

«Forse. Se un branco di lupi decide di non banchettare con il mio corpo, oppure se non mi faccio scovare dai soldati fuori dalle mura.»

«Non so in cosa sperare, Rieleen. Prego solo che Atena ti assista.»

«Non fare così. Forse le nostre strade si incroceranno di nuovo, Petro. Sii forte.»

«Anche tu.»


Rieleen lo abbracciò con forza, quasi senza rendersene conto in una delle manifestazioni più vere e sincere degli ultimi anni.

Con la testa appoggiata alla spalla dell'altro, chiuse gli occhi. Non seppe quanto tempo trascorse, ma Petro non sembrò esserne dispiaciuto. 

Anzi, per quanto sulle sue, aveva trovato il coraggio di spostare la sua mano su quella della giovane.

Fu intenso, così come fu intenso il bacio veloce che Rieleen gli diede sulle labbra. Le mani premute sul suo viso e gli occhi chiusi prima di svanire, abbandonando Petro con una strana sensazione nel petto.

Giungere fino al Pireo non fu facile, ma riuscì infine a saltare su una piccola barca diretta su un'isola di cui non aveva mai sentito parlare prima.

Aveva contrattato con il viandante e per appena duecento dracme le aveva concesso di sistemarsi a bordo. Rieleen non aveva mai viaggiato, mai via mare. Vomitò sulla sua coperta qualche minuto più tardi, ma nessuno sembrò badarci e ciò era un sollievo. Per una volta, a nessuno importava alcunché del futuro.


Lasciò Atene alle sue spalle senza voltarsi e col magone, seppur sentì subito il petto alleggerirsi dopo aver trattenuto il respiro per anni.


#



Isola di Mykonos, 429 a.C.


Scomodo su un fianco, Alexios dormiva profondamente.

Le prime e tiepide luci dell’alba gli illuminavano il volto, in parte nascosto nell’incavo del gomito. Rieleen lo osservava di tanto in tanto, perlopiù impegnata a perdersi nei raggi dorati del sole riflessi sullo specchio d’acqua a pochi metri da loro. 

Seduta e con le ginocchia al petto fece finta di non udire un fastidioso rumore di sandali attutito dalla vasta spiaggia.

«Alla buon’ora, posso sapere che fine avete fatto?»

Cira era alle sue spalle e, pur non prestandole l’attenzione che anelava, poteva indovinare la posizione assunta dalla ribelle: braccia incrociate al petto e un'espressione contrariata: classico.

«Scusami?» ribatté senza spostarsi, la mano destra immersa nella sabbia bianca intenta a giocherellare con i granelli, così piccoli e ruvidi da sfuggirle a ogni tocco.

«Oh, mi hai sentita, lo so!» esclamò, non badando a moderare il suo tono di voce.

«Non ho sentito proprio nulla, mi dispiace.»

«Ascolta,» iniziò, sospirando rumorosamente. «non ti vado a genio, l’ho capito. Era così anche un anno fa, mh?»

«Mmm…» 

«Ho davvero bisogno del vostro aiuto, Rieleen.»

«Un po’ comodo, Cira.» rispose seccata. «Perché non chiedi aiuto all’esercito?»

«L’esercito? In verità, insomma, già lo fanno.»

«Che c’è, non sono alla tua altezza?»

«D’accordo, senti… Alexios non rifiuta mai un contratto, quindi che tu lo voglia o no-»

«Hai del coraggio, non mi stupisce affatto…»

«No?»

«No, ma sicuramente non ho bisogno di rivangare il passato, vero?»

Cira alzò gli occhi al cielo esasperata. «Non stiamo più insieme, se è questo che vuoi sapere.»

«Oh. Hai la mia attenzione.»

«Possiamo parlarne in privato?» chiese, osservando nervosa la figura di Alexios.

«No.»

«Bene, Rieleen. Non è durata che un paio di mesi.» mormorò. «Lui… non sono così ingenua, sai?»

«Bè, la ribelle di Mykonos non può certo esserlo.»
«Ogni sera,» iniziò. «Vedevo che lui usciva da casa mia. Una notte l’ho seguito, era esattamente qui.» continuò, indicando il porticciolo. «Era qui e abbiamo litigato, ma la sua mente era altrove. Scrutava l’orizzonte, Sparta lo richiamava a sé.»
Rieleen la osservò, seria. 

«E’ successo una notte.» dichiarò. «Il suo nome era come un mantra, credo che una parte di lui sia rimasta sull’Adrestia, quel giorno.»

«Capisco.»

«Mi dispiace, sono stata scorretta.»
«Non ti dirò cos’ho visto in Alexios, ma… perché l’hai fatto?»

«Non lo so, immagino. E’ stato difficile lasciarlo andare, ma poi è tornato.»
«E’ uno spartano, che ti aspettavi?»

«So che non è tornato per me.» disse. «Lascia stare, sei troppo giovane.»
«E questo che senso ha? Abbiamo la stessa età.»

«Sicuramente non hai alcuna esperienza in merito.»
«Non sei cambiata affatto, Cira. Sei così infelice che credi tutto il mondo debba ruotare attorno a te, per Zeus.» sbuffò sconsolata.

«Ri…-»

«Vattene, Cira. E’ meglio così. Se non ti dispiace, abbiamo del lavoro da svolgere.

Noi, almeno. Chaire.» concluse, facendo stronfiare l'altra.

«Tieni allora, questo è il piano. Ci vediamo.»


Cira alzò i tacchi e se ne andò a passo spedito, mentre Rieleen la seguì con la coda dell'occhio finché non svanì dietro un edificio, per poi srotolare il rotolo di pergamena tra le sue mani e dargli un'occhiata.

Il piano ideato dalla ribelle era piuttosto breve e questo significava che se ne sarebbero andati via presto. Avrebbe lavorato giorno e notte pur di accelerare i tempi, dannazione.

Alexios aprì gli occhi poco più tardi. Aveva delle profonde occhiaie a segnargli il viso, i capelli scompigliati e l'impronta della sabbia sulla guancia destra.

«Buongiorno, Ombra dell’Aquila.»

«Rieleen?»

«Probabilmente sei crollato, mi sono svegliata e sono venuta a cercarti.» spiegò, volgendo di nuovo lo sguardo all'orizzonte. «Peccato, speravo che i pirati avessero deciso di farti fuori. Sappi che non avrei gettato a Poseidone tutta la tua roba.»

Alexios alzò gli occhi al cielo e si mise a sedere. «E’ successo qualcosa, in queste ore?»

«No,» rispose. «niente di eclatante. Ho ricevuto queste istruzioni e ho molta fame. Sai quanto la fame mi faccia diventare suscettibile, vero?»

«Come non saperlo…»

«Ottimo! Ne discuteremo più tardi, allora.»


Rieleen gli sorrise, prima di arrotolare di nuovo la pergamena e porgere una mano ad Alexios, che non rifiutò l'aiuto. Era esausto, ma presto avrebbe completato il suo incarico e sarebbe tornato a solcare gli infiniti mari dell'Egeo, giusto?


#


Il sapore acre del vomitò le salì in gola e quella spiacevole e disgustosa sensazione durò per tutto il viaggio in mare aperto. Poseidone quel giorno non era affatto magnanimo.

Barnaba sosteneva fosse perché nessun membro dell'equipaggio aveva donato alle acque un animale in sacrificio prima della partenza. Per gli dèi, era proprio così necessario?

Il vecchio fece promettere a ognuno di loro - Alexios compreso - di portare con sé un paio di capre al ritorno.

Rieleen si chiese dove diamine avrebbero trovato delle capre in mezzo al Mar Egeo, non avendo alcuna intenzione di attraccare su qualche isola vicina. Fobos non era un'opzione, però.

«Dimmi ancora perché lo stiamo facendo.» borbottò la giovane, sforzando le corde vocali per sovrastare il rumore della tempesta, la mano sinistra a difendere gli occhi socchiusi.

«Dracme?»

«Per gli dèi, avrei preferito rubarle!» esclamò Rieleen, tenendosi saldamente al corrimano per evitare d'essere sbalzata via dal vento e dalle onde che si riversavano incessantemente sulla nave.

«Non mi dire che tutto questo non ti era mancato.»

«No, Alexios, diamine no.» sbottò ancora, i capelli zuppi di acqua e i vestiti incollati al corpo che la rendevano sempre meno agile e scattante.


Dalla discussione con Cira era trascorso un altro giorno. Un giorno in cui per fortuna non avevano più avuto modo di rivederla. Rieleen ne era entusiasta e Alexios non si poneva domande.

Dopotutto, avevano in mano il loro piano, confrontarsi con lei prematuramente era del tutto superfluo.

Le navi dei pirati erano abili in mare aperto, anche se non quanto la flotta ateniese che regnava incontrastata in tutto il mondo greco.

Rischiarono perfino di attirare la loro attenzione più di una volta, ma riuscirono a restare a distanza di sicurezza da quelle imbarcazioni enormi e corazzate, come mai se ne vedevano in giro.

In ogni caso, l'Adrestia era forte. Spezzava gli scafi delle navi rivali con estrema facilità e, per quanto fosse sempre in inferiorità numerica, riusciva senza intoppi a gettare tra le fiamme di Ade i nemici.

Durante la battaglia navale, Alexios e Rieleen riuscirono anche a balzare su qualche imbarcazione danneggiata irrimediabilmente, facendo razzia di tesori e di qualunque bene prezioso e non i pirati deceduti avessero nascosto 

nelle loro tasche; per quanto discutibile, quella era la guerra e così funzionava.

Mentre navigavano verso il prossimo obiettivo, Rieleen pensò fosse strano essere tornati a uccidere insieme. Il sangue sugli abiti, le mani indelebilmente macchiate di rosso, un rosso che andava via troppo difficilmente.

E poi ancora, combattere fianco a fianco, schiena contro schiena: il rumore metallico della lancia rotta di uno unito al veloce sibilo di una freccia dalla punta acuminata dell'altro.

Quella era musica per le sue orecchie.

Era l'avventura che le era mancata in quei mesi, anche se tendeva a negarlo, l'adrenalina che così tanto aveva bramato nella Grande Atene che la voleva schiava e poi la scarica di energia che in Messara riusciva solamente a sognare.

Il mare rendeva liberi, l'Adrestia era casa.

«Abbiamo finito?» domandò Alexios d'un tratto, facendola tornare bruscamente alla realtà. «Rieleen?»

«Eh? Sì, direi di sì. Quegli stronzi saranno in fondo al mare, a quest'ora.» rispose, osservando l'equipaggio che via via gettava in acqua gli ultimi corpi rimasti sul ponte; la pioggia incessante sembrava non disturbarli minimamente.

«Bene!» annuì l'altro, prima di spostare la sua attenzione agli uomini. «Giù le vele!»


Il viaggio di ritorno si rivelò molto più semplice.

La tempesta scemò rapidamente così com'era arrivata; era quella una particolarità del mare aperto: un attimo prima pioveva e rischiavi di cadere in acqua e un attimo più tardi spuntava il sole a riscaldare gli animi.

Lasciarono ad asciugare gli strati superficiali dei vestiti e l'armatura sopra il corrimano dove era alloggiato il timone e, in un silenzio confortante, remarono per tornare a Mykonos.

Barnaba borbottava ancora riguardo il sacrificio mancato, ma nessuno gli diede più retta.

Alla fine, si limitò a canticchiare e sistemare la stiva della grossa nave; nonostante tutto, Poseidone aveva deciso di risparmarli.

Giunsero in territorio deliano in poche ore poi, così come la furia della tempesta poteva cambiare le sorti dei navigatori in pochi istanti, anche sulla terraferma nulla era scontato e lineare.

Sorridere e lasciarsi andare a qualche risata sollevata era la norma in questi casi, ma certo nessuno di loro si sarebbe aspettato una simile accoglienza

Con un residuo di divertimento sul volto, Alexios gettò un veloce e disinteressato sguardo alla spiaggia dove solamente poche ore prima s'era appisolato.

Fu così improvviso che il sorriso svanì dalle sue labbra e le ginocchia rischiarono di non reggere più il peso del mercenario.

Spostò gli occhi castani su Rieleen.

La sua mente si divertiva a giocargli brutti scherzi, ora? No, l'espressione aggrottata della giovane al suo fianco parlava da sé.


Taleta era lì, a poche centinaia di metri dal porticciolo; era pressoché uguale all'ultima volta, la treccia classica spartana, l'armatura lucente, la postura fiera e le mani sui fianchi come un vero Generale che guida un esercito.

Come aveva potuto non vederlo prima?

L'accampamento era circondato da alcuni stendardi e tre tende già montate. Gli scudi con la lettera lambda tipica di Lacedemone risaltavano.

Non era una novità che gli spartani fossero a Mykonos. Oltretutto, Cira non aveva perso occasione per lanciargli una poco velata frecciatina acida, eppure era quasi paradossale.

Se Alexios era riuscito a resistere al pericoloso ondeggiare del mare in tempesta, quella di sicuro era l'occasione buona per svuotare il contenuto del suo stomaco a riva.


Il vecchio Barnaba non aveva poi tutti i torti, dopotutto.

Gli dèi erano molto volubili e Alexios non faceva loro offerte da molto tempo.

Se la situazione fosse stata diversa, se quello di fronte a lui non fosse stato affatto Taleta, avrebbe alzato gli occhi al cielo imprecando contro l’uomo di mare e le sue credenze infondate. Ma quella, doveva essere necessariamente una punizione divina. Prima che potesse notarlo - e con ogni probabilità l'aveva già fatto, considerando le dimensioni dell'Adrestia, gli voltò le spalle e tornò al comando.

«Barnaba, invertiamo la rotta.» mormorò a bassa voce verso l'uomo che lo guardò sorpreso con l'occhio sano spalancato. Rieleen non disse nulla e, come era sua abitudine fare, tirò il cappuccio a coprire buona parte del volto.


Maláka.


fine


 


Ma salve.
Finalmente, dopo un’eternità riesco a pubblicare il seguito di questa storia. Il tutto, mentre ho un altro progetto in corso sempre su Odyssey.
Onestamente, credevo che questo capitolo non avrebbe visto la luce, soprattutto per quanto riguardava la revisione… ma eccomi qui. Stiamo entrando un po’ più nel vivo della trama e sicuramente ci saranno altri flashback sul passato, per quanto l’idea fosse quella di scrivere ben pochi capitoli. Finisce sempre così, eh?
Scherzi a parte, sono felice di avercela fatta in questo periodo completamente folle della mia vita. Detto questo, grazie a chi ha letto fino a qui. Spero possa piacervi.
Alla prossima.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3973810