The secret of the reign

di cancerianmoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La sfera e la bambola ***
Capitolo 2: *** Il medaglione ***
Capitolo 3: *** Il libro magico ***
Capitolo 4: *** La seconda sfera-Son Gohan ***
Capitolo 5: *** Inseguimento-Tenshinhan ***
Capitolo 6: *** Luna rosso sangue ***
Capitolo 7: *** Atterraggio sull’isola-Crilin ***



Capitolo 1
*** La sfera e la bambola ***


Premessa: L'idea per questa storia ce l'avevo già da tempo. Ho guardato parecchi video su diverse piattaforme che spiegavano dei punti di vista sulla possibilità che fosse stato Vegeta, invece che Goku, ad essere spedito sulla Terra quando era bambino, e tutte si rifacevano(giustamente) alla storia originale, in cui Vegeta viene raccolto da nonno Gohan e poi incontrato da Bulma che sta cercando le sfere del drago. 
Qui, non solo la storia è stata completamente st
ravolta, ma anche la locazione dei personaggi, alcune delle loro età ed il modo in cui si scopre dell'esistenza delle sfere, sono diversi. Spero che l'apprezzerete lo stesso. 

~~
Capitolo 1°
La sfera e la bambola

 
 

Era di un colore scintillante e vivo, quasi come un’arancia matura. Se non fosse stato che era di un materiale talmente duro da poter addirittura infrangere il diamante che aveva trovato nel portagioie di sua madre, e che aveva quattro stelline di colore rosso scuro sul davanti. 

Era un oggetto affascinante, mai visto prima: all’inizio la ragazza, dopo averlo raccolto da terra, aveva pensato che si potesse trattare di uno degli esperimenti di suo padre, ma era impossibile che il suo vecchio potesse mettersi a creare oggetti di quel tipo, senza alcuno scopo pratico o tecnologico: e poi, come avrebbe potuto un semplice scienziato poter ideare un materiale addirittura più duro del diamante? 

Doveva trattarsi di uno strano minerale non molto conosciuto, di un prodotto della natura altamente raro che, per puro caso, si trovava in uno degli scantinati di casa sua. Ma come poteva esistere, in natura, una roccia così precisamente levigata a forma di sfera? E soprattutto, in quali tipi di ambienti si sarebbe potuta sviluppare una cosa del genere? 

Era proprio per questo che, l’astuta e brillante ragazza dai capelli turchini, spinta dal suo innato spirito di curiosità ereditato proprio da suo padre, si era chiusa all’interno di uno dei laboratori, sedendosi al computer e compiendo qualche ricerca, ma non arrivando assolutamente a niente di rilevante.

Sul web c’era chi sosteneva che si trattasse di oggetti divini che rappresentavano l’imminente arrivo dell’apocalisse, o c’era addirittura chi li descriveva come anime perdute degli angeli. Ma tutte queste teorie, non avevano alcuna prova a loro carico. 

Prese in mano la strana sfera, stringendola quanto bastava per potersela rigirare tra gli arti, osservandola nel dettaglio, e cercando di captare qualche indizio che la portasse ad una conclusione definitiva.

«Che cosa diavolo sei, eh?» 

 

«Bulma? Sei lì dentro? Accidenti, è tutto il giorno che ti cerco!»

 

Il bussare continuo alla porta e la voce squillante della sua migliore amica la distrasse da ciò che stava facendo, costringendola a posare nuovamente la strana sfera sul tavolo per poter andare ad aprire. 

Aveva trovato quell’oggetto la sera prima, e quella mattina, per poterlo studiare più affondo, aveva deciso di saltare la scuola: probabilmente la sua amica se n’era accorta e, come faceva di solito, le era venuta a fare una lavata di testa sulle responsabilità e sui doveri di uno studente, non volendola veder sprecare il grande ingegno che aveva per quella che lei definiva “svogliatezza mascherata da voglia di sperimentare”. 

 

«Ah! Finalmente ti sei decisa!» esclamò la corvina che, con ben poco riguardo, piombò nella stanza a passo impettito «Ma insomma! Stamattina dovevamo presentare il progetto di biologia, e mi hai lasciata tutta da sola! Hai la minima idea di cosa è significato per me dover spiegare tutti i tuoi ragionamenti controversi a parole mie?!»

Accidenti, il progetto di biologia! 

Avrebbe dovuto presentarsi a scuola per lo meno per tirare fuori la sua migliore amica dai guai, e invece, con la smania di pensare a quella strana scoperta, se n’era completamente dimenticata.

«Oh mio Dio, scusami, Chichi!» esclamò, sinceramente pentita e sbattendosi una mano in fronte, imbarazzata dalla sua stessa sbadataggine «È che... Dio, non immagini che cosa ho trovato!»

«No, aspetta, perché non ho ancora finito!» la interruppe lei, decisamente agitata «Visto che tu non c’eri, mi hanno mandata a chiamare quello sbruffone di tuo fratello! Sai com’è stato umiliante venir surclassata da uno del secondo anno?! È due anni più giovane di noi e ha saputo spiegare quel progetto meglio di me! Mi hanno riso dietro le spalle per tutto il giorno!»

Forse Bulma non avrebbe dovuto ridere a quell’affermazione, ma quando Chichi si arrabbiava era così buffa che non poté farne a meno: diventava tutta rossa, e sembrava che i suoi capelli si drizzassero tutti all’insù.

«Non c’è proprio un cavolo da ridere!»

«Scusa, è che... davvero?! Mio fratello?! Quello non saprebbe fare gioco di squadra neanche se gli resettassimo il cervello da zero! E poi, il fatto che tu all’asilo avessi una cotta per lui mica aiuta a non farti prendere un po’ in giro!»

La corvina arrossì copiosamente, sentendosi violentemente presa in causa «Io non avevo affatto una cotta per lui! Lo usavo soltanto per poter utilizzare le sue penne colorate!»

«Sì, va bene...» tagliò corto la turchina, superando l’amica con tutta l’aria di avere qualcosa di decisamente più interessante di cui parlare «Mi perdonerete entrambi, quando scoprirete che cosa sono stata capace di scovare, te l’assicuro. Intanto, tu va ad avvertire tuo padre che ti fermi a dormire da me: avremo un bel po’ di lavoro da sbrigare.»

«Eh?! Ma io non ho un cambio, non mi sono portata niente! E mio padre non può certo staccare dal lavoro per portarmi le mie cose!»

La turchina le fece un occhiolino «Mi dispiace, tesoro, ma domattina non andremo a scuola. Probabilmente ci sarà una festa nazionale in onore della tua prima assenza.»

«Cos-Bulma!»

 

Ma la ragazza non poté mai finire la frase di disappunto che stava per urlare in faccia alla propria amica, perché quest’ultima, spinta dalla fretta e dalla voglia di avere qualcuno che la aiutasse a fare le sue ricerche, l’aveva afferrata per il braccio, trascinandola con sé fino al piano di sopra dove, intenti ad infilarsi le scarpe da ginnastica in salotto, avevano trovato altri due possibili candidati.

Suo fratello non perdeva mai i suoi allenamenti: andava in palestra letteralmente ogni giorno e, nel giro di soltanto pochi anni di lavoro, era riuscito a diventare il migliore del suo corso di arti marziali, partecipando addirittura ad incontri in televisione con combattenti famosi in tutto il mondo. Insomma, in quel campo era una star, e francamente, la turchina si chiedeva da chi avesse preso, dato che nessuno della sua famiglia brillava in prestanza fisica. 

Ma lei era una star nel suo, di campo, e se Bulma diceva di aver fatto una scoperta interessante, allora voleva di certo dire che era così.

«Potresti evitare di cambiarti le scarpe in soggiorno?» incalzò, disgustata, avvicinandosi al ragazzo dai capelli corvini che rispondeva al nome di suo fratello «Non ho voglia di fare le mie maratone su un divano che puzza dei tuoi piedi andati a male.»

«E io non ho voglia di dover presentare i tuoi stupidi progetti al posto tuo quando ho di meglio da fare. Adesso siamo pari.»

Il migliore amico del minore tra i due, seduto a pochi centimetri di distanza da quest’ultimo, sorrise alle ragazze, facendo un cenno di saluto «Ciao, Bulma!»

Lei ricambiò il sorriso, arrossendo copiosamente «Ciao, Yamcha, sei carino!»

«Beh, grazie!» nonostante si conoscessero da anni ed il suo migliore amico di una vita avesse una sorella in casa ed una che ormai era addirittura sposata, il ragazzo dalla lunga coda di cavallo non aveva ancora imparato come rapportarsi alle donne e, impacciato, decise di ricambiare il complimento «E tu sei molto sexy!»

E quel complimento imbarazzato ricevette non solo un sorriso a trentadue denti da parte della turchina, ma anche uno sguardo glaciale e fulminante, che colpì più forte di una scarica di mille coltelli sul petto «E io sono il fratello della molto sexy. Come la mettiamo?»

Lei sbuffò «Non abbiamo tempo per questo.» e, detto ciò, si sedette accanto all’unico suo parente presente in quella stanza, prendendogli una delle scarpe dalle mani per evitare che terminasse la sua opera e sfrecciasse fuori di casa per il resto del pomeriggio «E tu non hai tempo di andare in palestra. Dobbiamo lavorare.»

«No, tu devi farlo. Io non perdo i miei allenamenti per le tue stronzate.»

«Oh, andiamo, non mi hai neanche fatto spiegare!» si alzò, lanciando la scarpa a Chichi che, nonostante fosse assolutamente contraria a tutta quella situazione, si ritrovò costretta ad afferrarla al volo «Neanche la paghi, l’iscrizione! La palestra è della Capsule Corporation!»

«Hey, tu, moretta.» neanche la stava a sentire «Dammi quella scarpa.»

«No, non ci provare neanche, prima devi starmi a sentire! Senti... se l’idea non ti incuriosisce neanche un po’, allora ti lascerò andare, ma prima stammi a sentire! Dai, per favore!»

Lui, come suo consueto, rimase immobile ad aspettare che la maggiore continuasse il suo discorso per poter andarsene al più presto, incrociando le braccia al petto e tornando a sedersi, sbuffando esasperatamente. A volte sua sorella sapeva essere una vera scocciatrice, ma c’era da dire che la maggior parte del tempo si inventasse anche delle cose formidabili che finivano inevitabilmente per catturare la sua attenzione.

«Andiamo ai laboratori, abbiamo ancora un bel po’ di tempo prima che papà torni a casa e ci becchi a trafficare tra le sue cose!»

Nessuno commentò, e tutta la combriccola si ritrovò a seguire la ragazza giù per le scale, costretti tutti quanti ad una curiosità che soltanto Bulma avrebbe potuto insinuare nelle loro menti di normali adolescenti non figli di scienziati famosi.

Soltanto Chichi ebbe il coraggio di aprire bocca: «Sento che finiremo nei guai...»

 

Luccicava come una pietra preziosa soltanto se lievemente esposta alla luce più bassa che potesse mai impostare, e non si scalfiva con nulla: Bulma aveva provato ad usare un coltello, la punta del diamante che aveva rotto poco tempo prima ed aveva persino tentato di colpirla con un martello, ma niente era servito a romperla o anche solo a farci sopra un graffio. Quella strana sfera aveva spezzato e rotto qualsiasi cosa tentasse di colpirla o scalfirla; era come se fosse coperta da uno strato di copertura elettromagnetico.

«Che cosa diavolo è?» chiese ad un certo punto Yamcha, seduto alla destra della ragazza, con gli occhi color ebano puntati sull’oggetto del giorno.

«È quello che sto cercando di scoprire.» rispose lei «Ragazzi, non ho mai visto niente di simile! È incredibile, è riuscita addirittura a ridurre in briciole un diamante!»

«Ma dove l’hai trovata?» fu la domanda di Chichi. 

«Ieri sera, sono andata nello scantinato a cercare un mio vecchio portatile. Volevo apportargli delle modifiche per poterlo riutilizzare senza farlo finire nella spazzatura, e allora l’ho vista: era incastrata in mezzo alle travi di legno del pavimento! Era lì da chissà quanto tempo, e nessuno se n’era mai accorto! Ragazzi, questa è la scoperta del secolo! Se scoprissimo di che materiale è fatta, potremmo costruirci qualsiasi cosa: è praticamente indistruttibile!» 

Gli occhi azzurri della maggiore si puntarono immediatamente in quelli di ossidiana del minore, con uno sguardo che soltanto lui, dopo anni di esperienza con la ragazza, avrebbe mai potuto decifrare: lo stava implorando di darle una mano, di scoprire che cosa fosse ciò che aveva appena trovato, di starle accanto e di evitare di farla finire nei casini con i loro genitori. Non che lui avesse mai fatto la spia, ma quella sarebbe davvero potuta diventare una cosa grossa: se davvero il materiale con cui era stata costruita quella sfera era indistruttibile, allora l’azienda di suo padre sarebbe cresciuta ancora di più e loro avrebbero avuto il merito di aver scoperto un materiale ancora più duro del diamante. Non era una cosa da poco, e non si trattava neanche di un capriccio come molti avrebbero pensato: come lui, Bulma aveva una vocazione; come lui, Bulma non si sarebbe mai arresa davanti a niente per raggiungere i propri scopi; e come lui, Bulma aveva voglia di scoprire qualcosa di più su quello strano oggetto, arrivati a quel punto. E in fondo, anche i loro compagni non desideravano davvero tirarsi indietro: poteva capirlo dalle loro espressioni. 

Così il ragazzo, sospirando, annuì con il capo, dandole in quel modo tutto il suo appoggio. 

E lei, raggiante come non mai, saltò in piedi, sorridendo a trentadue denti e battendo felicemente le mani «Ah, Vegeta! Sei il fratello migliore del mondo, lo sai?»

«Sì, ma come facciamo a scoprire di che cosa si tratta?» fu la sua risposta secca «Hai detto tu stessa che non hai saputo trovare niente su internet.»

«Ma come? Lo sai benissimo più di me che abbiamo un piano della casa interamente dedicato alla biblioteca di papà!»

Lui sospirò esasperato «Vuoi davvero cercare lì dentro? Ci metteremo tutto il giorno.»

«Beh, potrebbe essere divertente!» si era improvvisamente intromessa Chichi, da sempre amante della lettura e di luoghi sconfinati in cui trovare i volumi più belli ed introvabili; e la biblioteca dei Brief era proprio il posto che faceva per lei «Se ci dividiamo i compiti, magari sarà più facile!»

 

La biblioteca del dottor Brief era ciò che uno studioso od un semplice lettore appassionato avrebbero sempre desiderato: si estendeva tutta sul quinto piano dell’abitazione, ed era completamente diversa da tutte le altre stanze, caratterizzate dalla bellezza del nuovo e del moderno che la signora Brief tanto amava nell’arredamento; quel luogo aveva il sapore di antico, di storico... un sapore che soltanto un intellettuale avrebbe potuto ammirare ed apprezzare nella sua interezza. Ed il tutto si esprimeva attraverso il mobilio di legno pregiato e l’odore di carta che si sprigionava lungo tutta la cabina dell’ascensore dal quale i ragazzi uscirono per recarsi lì. 

«Questo posto è così affascinante...» fu il commento della corvina che, per prepararsi alla lunga ricerca, raccolse la sua lunga cascata di capelli lisci in una coda di cavallo, per poi riprendere a guardarsi intorno «Ogni volta che ci entro, mi sento davvero a casa.»

«Sì, sì, non abbiamo tempo per questo!» la sua migliore amica la spinse verso un lato dell’immensa stanza, che rappresentava la dimora di milioni e milioni di volumi sulla ricerca dei minerali «Tu sei l’addetta a questo genere di libri. Sono impilati in ordine alfabetico, quindi comincia pure dalla lettera che preferisci, ma mi raccomando: passali in rassegna tutti quanti. Non tralasciarne nemmeno uno.»

 

Vegeta non era il tipo da starsene per troppo tempo fermo in un punto: gli piaceva muoversi, sudare, sentire i muscoli dolere e lo stress scivolare via dai pori della pelle. Eppure, quel giorno, era stato delle ore intere sdraiato sul pavimento, a giocherellare con quella strana sfera color arancio vivo, mentre leggeva attentamente ogni paragrafo di ogni capitolo di ogni libro che si trovava su quella libreria, immagazzinando talmente tante informazioni che persino il suo cervello, racchiuso in una calotta cranica piuttosto ampia per uno della sua età, sembrava stesse per colare fuori dalle proprie orecchie.  

Fortunatamente, era arrivato a buon punto e, una volta raggiunto l’ultimo volume della lettera “S”, notò fin da subito che qualcosa non andava, in quel libro: era completamente diverso dagli altri, molto più sottile, e la copertina era completamente consumata, tanto che non si riusciva più a leggere il titolo completo: le uniche tre lettere che si potevano intravedere erano, appunto, la “S” iniziale e le prime due lettere di un’altra parola: “Dr”.

«Hey, ragazzi.» sibilò, attirando l’attenzione dei propri compagni che, come lui, portavano sulle facce le espressioni più stanche ed orrende che avessero mai potuto avere «Penso di aver trovato qualcosa.»

«Ma è più vecchio di mia nonna!» esclamò Yamcha, sdraiato di schiena accanto a lui, con un libro poggiato sul petto «Non si legge neanche il titolo!»

«Appunto. È strano che mio padre tratti così male un libro: questo era sicuramente di qualcun altro, prima di finire qui dentro.»

E, detto questo, aprì finalmente il volume alla prima pagina, leggendone il titolo sul foglio ingiallito dal tempo ed impolverato dal poco utilizzo: «”Sfere del drago: storie ed utilizzi di una leggenda”.»

«Sfere del drago? Che diavolo sono?» 

Ma la domanda del suo migliore amico gli scivolò addosso come acqua perché, sulla pagina immediatamente successiva, il ragazzo poté ammirare un’illustrazione chiaramente allusiva alla strana sfera che sua sorella aveva trovato in cantina. Non c’erano disegnate soltanto le sfere in sé, ma un grosso drago dal colore verde smeraldo, con occhi rossi e lunghi baffi che, ergendosi su una strana piazzola in marmo, teneva tra le zampe, simili a quelle di un dinosauro e con lunghe unghie affilate, delle sfere arancioni. E a quel punto, era chiaro che finalmente i ragazzi avessero trovato ciò che stavano cercando.

«Oh mio Dio!» esclamò esaltata la turchina «L’abbiamo trovato! Abbiamo trovato quello che ci serviva! Sei grande, fratellino!»

Senza ulteriori indugi, il giovane dai capelli a forma di fiamma cominciò a leggere il primo capitolo: «”Sulle sfere del drago c’è poco e tanto da dire. Nessuno sa da chi siano state create, né tantomeno quali siano i loro reali scopi, ma la leggenda parla chiaro: si narra che secoli fa, una divinità discese sulla Terra, creando sette sfere indistruttibili, che sarebbero servite ad evocare un drago mitologico che, fornito dalla divinità di poteri paranormali, sarebbe stato in grado di esaudire qualsiasi desiderio il suo padrone sarebbe stato in grado di porgli. Nessuno è mai riuscito a conoscere l’identità del Dio che ha deciso di fare questo regalo agli esseri umani, ma si dice che egli viva in un palazzo invisibile all’occhio umano, e che vegli su di noi dai tempi dei tempi. Ma qualcuno, come ad esempio gli individui di cui questo libro ha narrato le gesta e le testimonianze, è riuscito a trovare tutte e sette le sfere, evocando in tal modo il mitico drago magico: questi leggendari oggetti sono sparsi in giro per il mondo, nei luoghi più impensabili, ed il coraggioso che deciderà di mettersene alla ricerca dovrà probabilmente affrontare diverse peripezie, ma si dice che, se incaricato di farlo, il drago sia in grado perfino di assicurare l’immortalità all’essere umano che l’ha evocato. Una volta utilizzate, le sfere si spargeranno nuovamente in giro per il mondo in un ordine casuale, trasformandosi in pietra per un anno finché, passato quest’ultimo, non torneranno nuovamente a brillare e, in questo modo, anche a funzionare”.»

Un drago magico che avrebbe potuto esaudire qualsiasi desiderio? Certo, era uno spunto interessante per un libro fantasy, ma la verità era che a Vegeta, tutta quella storia sembrava soltanto una bella favola su cui ispirarsi per diventare famosi. Forse una leggenda del folklore cinese, a giudicare dalle sembianze del drago raffigurato nel dipinto, ma nulla di più; e così, aveva inevitabilmente buttato via un pomeriggio produttivo per quella stupidaggine. Che perdita di tempo.

«Che stronzata.» si ritrovò a commentare, chiudendo il libro e buttandolo a terra insieme alla pila che aveva tirato fuori dagli scaffali poco prima «È stata solo una stupida perdita di tempo.»

Ma sua sorella, da sempre curiosa ed assolutamente non scettica e riflessiva come il minore, non la pensava affatto così «E chi ti dice che non sia tutto vero? Dopotutto, questo libro è qui nella biblioteca di papà! Dovrà pur significare qualcosa!»

«Se davvero esistesse una cosa del genere, tutto il mondo starebbe cercando queste sfere.» fu il suo botta e risposta «È impossibile, Bulma.»

Detestava quel suo modo di fare. Vegeta era fatto così: molto spesso, si fermava alle apparenze, credendo che la sua stupida logica ed i suoi stupidi ragionamenti potessero portarlo alla verità assoluta, quando nel mondo c’era ancora così tanto da scoprire. Era dannatamente orgoglioso, e non sopportava né di avere torto, né tantomeno che si smentisse ciò che sosteneva.

Così la ragazza, conoscendolo alla perfezione, decise di ribattere con il solo metodo che potesse accendere in lui un minimo di dubbio su tutta quella faccenda: una sfida. Suo fratello aveva un debole, per le sfide; gli veniva voglia di vincere e, pur di farlo, era disposto a tutto... persino a rinunciare a qualcosa a cui teneva, certe volte.

E allora, gli tese la mano: «Allora, che ne dici di un accordo? Io approfondirò questa storia delle sfere a modo mio, e partirò a cercarle... ma tu dovrai venire con me. 

Nel caso in cui non dovessimo trovarne neanche una nel giro di due settimane, allora torneremo a casa, ed avrai ragione tu. Ma nel caso contrario, continueremo la ricerca, e una volta trovatole tutt’e sette, faremo apparire il drago ed esprimeremo un desiderio. Uno qualunque. Non m’importa che cosa desidereremo, ma solo trovare il drago e verificare la sua esistenza.»

Lui era rimasto con le braccia conserte, ad osservare la sicurezza con la quale la sorella continuava a sostenere che tutta quella storia delle sfere del drago non fosse soltanto una pura e semplice leggenda. Ma d’altronde, che cos’aveva da perdere? L’aveva detto lei: se non avessero trovato neanche un’altra sfera nelle due settimane successive, sarebbero tornati indietro e quella ricerca sarebbe diventata soltanto un ricordo, e lui avrebbe dimostrato di avere ragione. Ma nel caso in cui davvero esistesse qualcosa del genere, allora avrebbero potuto desiderare qualsiasi cosa gli passasse per la testa. Lui ci avrebbe guadagnato in entrambi i casi, no? 

Così, sospirando esasperato, allungò la mano verso quella della ragazza di fronte a sé, per poi stringergliela, mentre Yamcha, eccitato al pensiero di poter partire per un avventura, spezzò l’accordo come testimone e come amico. Nel profondo, sperava davvero che le sfere del drago esistessero e che il drago avrebbe potuto esaudire un suo desiderio, ma in verità, credeva soltanto che Bulma non volesse ammettere di avere torto.

Ma almeno si sarebbe fatto una vacanza di due settimane, quindi perché rifiutarsi?

«Allora i patti sono questi.» incalzò di nuovo lei, per poi voltarsi verso la propria migliore amica con sguardo speranzoso «Tu sei dei nostri?»

Chichi, d’altro canto, non credeva di sentirsi davvero pronta a rinunciare alle proprie responsabilità per partire per un viaggio di due settimane, o addirittura più lungo, nel caso in cui quella leggenda si fosse rivelata vera. Ma come avrebbe potuto guardare la propria amica, la sorella che non aveva mai avuto, negli occhi, e dirle che non l’avrebbe appoggiata? Si sarebbe sentita davvero una persona spregevole, se non l’avesse fatto. E così annuì, arrendendosi all’idea che suo padre si sarebbe dovuto abituare alla sua assenza per un po’.

«Bene, si parte domani, appena avrò finito.»

«Avrai finito di fare cosa?» le domandò Yamcha, incuriosito.

«Ho una mezza idea. Voi... occupatevi soltanto di distrarre papà: parlateci... non so, di macchine o cose del genere, e tenetelo lontano per un po’ dal laboratorio. Ho bisogno di prendere alcuni pezzi.»

 

*

 

Le macerie di quel luogo riportavano alla mente di chi c’era sopra ciò che era successo ormai anni prima, quando quel pianeta era ancora una terra fertile e rigogliosa, quando il loro regno dominava incontrastato su metà della galassia... quando ancora non esisteva la remota possibilità che potesse esistere qualcuno in grado di surclassare la potenza della loro popolazione. Nessuno di loro aveva mai pensato alla crudeltà come qualcosa di moralmente sbagliato, fin quando non l’avevano subita sulla loro pelle... e allora, tutto era stato rivoltato: tutti i loro credi, le loro convinzioni, tutto ciò su cui avevano da sempre fondato la loro civiltà era stato mandato in pezzi.

Forse se l’erano meritato. Forse, quel cumulo di polvere e macerie sovrastato dal cielo cupo ed inquietante della notte, era ciò che avevano ricevuto in cambio della malefatte compiute durante i loro anni d’oro.

Il più giovane dei guerrieri aveva stretto i pugni, guardandosi attorno: se solo non fossero stati così sicuri di loro stessi... se solo avessero anche soltanto pensato ad ergere delle barriere protettive intorno al pianeta o anche solo intorno alla città, forse a quel punto avrebbero avuto ancora una possibilità. Forse sarebbero sopravvissuti più di soli tre di loro. 

A terra, impolverata e usurata dal tempo, la testa di una bambola. I suoi capelli erano ancora intatti, ed il solo occhio rimastole attaccato li fissava con insistenza, come ad implorarli di salvare l’insalvabile, di vendicare tutto quel sangue versato... di non rendere vana la morte della sua piccola proprietaria.

Il giovane la raccolse da terra, rigirandosela tra le dita. Così piccola e fragile che si sarebbe potuta polverizzare da un momento all’altro... così tragica da fungere da simbolo di quella carneficina. 

«Sono... passati diciassette anni.» mormorò tra sé e sé, mentre posava la bambola su un macigno a pochi metri da lì, come a volerle dare un trono, una poltrona comoda su cui continuare il suo riposo «Mi dispiace... non sono riuscito a fare nient’altro, per te.»

Sentì una mano possente e callosa posarglisi sulla spalla, spronandolo a spostarsi da lì, a muoversi a cercare ciò per cui erano atterrati su quello che un tempo era il loro pianeta d’origine. La mano di suo fratello.

«Andiamo.» 

Un ultimo sguardo. Un ultimo scambio di occhi con quel piccolo oggetto, mai invecchiato, esattamente come la bambina che un tempo lo teneva tra le braccia, sognando di diventare una guerriera forte e valorosa... come la loro razza comandava.

Ma era davvero così importante?

Davvero, per colpa della loro superbia, avevano rinunciato per sempre a ciò che era veramente importante?

Il giovane guerriero dai capelli corvini se lo chiedeva ogni giorno. Da anni, ormai. 

«Siamo qui per una missione, ragazzi.» li spronò il più vecchio tra i tre, ormai vicino all’età in cui, nella loro vecchia civiltà, un guerriero si ritirava per passare la vecchiaia in pace ed insegnando alle nuove reclute dell’esercito del re; ma ormai, le cose erano cambiate, ed anche lui era costretto a combattere ancora, per poter ridare a quel regno lo splendore di un tempo «Non dimenticatelo. E tu, Kaharoth, cerca di non distrarti.»

 

Continua... 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Il medaglione ***


Capitolo 2°
Il medaglione 

 

«Dobbiamo prepararci per il viaggio. Questa notte, prepareremo le borse con tutto l’occorrente necessario ed incapsulerò tutti gli oggetti che potrebbero tornarci utili in queste due settimane: non voglio certo dormire sotto un ponte o in boschi infestati da animali inferociti! Nel frattempo, voi ragazzi avvertite le vostre famiglie che passerete un po’ di tempo qui da me. Non sarà di certo un problema per i vostri genitori bersi la storiella del lavoro di gruppo per la scuola.

Io e Vegeta, intanto, parleremo a papà del viaggio che stiamo per intraprendere: non sono sicura sulla mamma, ma lui di certo capirà i motivi per i quali ce ne andremo per un po’.»

 

Avevano seguito alla lettera le direttive di Bulma che, come al solito, si era auto-proclamata leader della compagnia e organizzatrice; era nella sua natura, e d’altronde, anche Vegeta era fatto così.

Dopotutto, erano fratello e sorella.

Però quest’ultimo, nonostante avesse accettato il patto della maggiore, non poteva evitare di sentire una strana sensazione: era sicuro che, come loro, anche altre persone fossero nel tempo venute a conoscenza dell’esistenza delle sfere del drago, e di certo, non si trattava in tutti i casi di semplici ragazzi alla ricerca del brivido. Di sicuro, quella storia era finita in mano anche a malviventi e criminali pronti a tutto pur di avere nelle loro mani un potere così grande come quello di desiderare la vita eterna.

E nonostante lui fosse molto forte e Yamcha non fosse da meno, le ragazze non avevano nessuna esperienza in materia di combattimento... sua sorella in particolare.

Chichi, in passato, aveva partecipato a delle lezioni di arti marziali, e conosceva le tecniche: inoltre, per essere così minuta, aveva una forza notevole. Ma ciò non toglieva che, di fronte ad un malvivente grande e grosso, lei non avesse poi tante speranze. Quindi, la vera responsabilità ricadeva su loro due.

E se qualcuno avesse fatto del male a sua sorella, lui non credeva che sarebbe stato capace di rispondere di sé stesso.

 

«Ragazzi... sono sfinita!» 

 

La voce di Chichi, che era appena entrata nella stanza gettandosi sul letto, lo aveva distratto dalle sue elucubrazioni, riportandolo con i piedi per terra. 

 

«Ho dovuto raccontare a mio padre una marea di stupidaggini! Mi sento così spregevole! Lui non ha nessuno, oltre me! Si sentirà così solo!»

«Oh, mio Dio!» la canzonò allora il ragazzo dai capelli a fiamma, facendole il verso «Un omone grande, grosso e single tutto solo nella sua villona in cima alla montagna! Come farà a sopravvivere?! 

Credimi, tesoro, averti fuori dai piedi è il sogno della sua vita!»

A quelle battute poco carine, la ragazza si alzò in piedi impettita, lanciando al proprio compagno d’avventura uno dei cuscini che, inevitabilmente, finì per incastrarsi in quella capigliatura così singolare che lo contraddistingueva da letteralmente tutto il resto della popolazione mondiale, forse «Ma perché devi essere sempre così antipatico?! Capisco benissimo perché tuo padre acconsenta a questo viaggio: perché ti tiene lontano da casa!»

Ma chi voleva prendere in giro... si sentiva così stupida. Lui non la vedeva neanche come una donna, eppure, non riusciva a smettere di sperare che un giorno quel ragazzo così tenebroso la smettesse di vederla soltanto come la migliore amica secchiona di sua sorella e cominciasse ad avere un’idea diversa sul suo conto.

Ma forse, quel giorno non sarebbe mai arrivato; e Chichi se ne accorse nel momento in cui Vegeta, con una nonchalance che gli apparteneva sin dal giorno della sua nascita, si era sfilato il cuscino dai capelli e, senza neanche voltarsi nella sua direzione, gliel’aveva lanciato dritto in faccia. Vendetta.

Yamcha, testimone oculare di quel quadretto, scoppiò in una fragorosa risata «Accidenti, ci sarà proprio da divertirsi! Effettivamente, era dai tempi delle elementari che noi quattro non ci facevamo una scampagnata tutti quanti insieme!»

«Scampagnata?» sibilò Vegeta, alzandosi da terra e rovesciando sul pavimento tutto il cassetto del comodino, alla ricerca disperata di qualche arma di difesa nel caso in cui le sue mani non fossero bastate «A me sembra più che altro una tortura.»

Ma tra i due, il ragazzo dalla coda di cavallo era quello che sapeva tirar fuori lo spirito festaiolo che, era sicuro, si nascondesse in fondo all’animo di quel burbero del suo amico e, senza scoraggiarsi, gli mise un braccio intorno alle spalle «Oh, andiamo, fratello! Vedila come... una pausa! Sì! Una pausa dalla routine!»

Ma l’altro, scrollandoselo di dosso, fece soltanto finta di non sentirlo. 

Sì, quella era decisamente una tortura bella e buona: non tanto per Yamcha, perché negli anni era riuscito ad accettare quella sua aria così allegra ed ottimista, ma tanto perché avrebbe dovuto condividere una delle casette incapsulate da Bulma insieme proprio a quest’ultima e a quell’oca giuliva della sua amichetta che, per inciso, non gli staccava gli occhi di dosso da che ne avesse memoria.

E, proprio nel momento in cui il gruppetto era sul punto di prepararsi per la notte, ecco che la giovane turchina, di tutto punto, fece irruzione nella stanza.

«Ma volete andarvene a dormire?!» sbraitò Vegeta, cercando di sottolineare il fatto che quella fosse la sua camera, e che avrebbe gradito un po’ di pace prima di doversi sottoporre a quel supplizio. 

Prese Chichi di peso sulle spalle e, ignorando le sue continue proteste, la lanciò verso l’uscio, facendo cenno a sua sorella di seguire il suo esempio ed andarsene, prima che sbattesse fuori anche lei.

«Hey, calmati Godzilla.» lo canzonò invece lei, inarcando un sopracciglio «Mamma e papà vogliono parlare in privato con te.»

 

*

 

Il discorso che aveva affrontato con i suoi figli non le era piaciuto neanche un po’.

Bunny Brief sapeva perfettamente che, un giorno, quel momento sarebbe arrivato, ma non immaginava che avrebbe davvero dovuto soffrire così presto... che avrebbe dovuto sentirsi in colpa così in anticipo rispetto a quanto preventivato.

Non avevano potuto fermarli, semplicemente non potevano farlo. E non avrebbero mai potuto neanche evitare che, un giorno, i loro amati bambini avrebbero trovato quella sfera del drago. 

Aveva pregato suo marito fino all’ultimo, anni prima, affinché portasse quell’oggetto via da casa sua, ma lo scienziato non aveva voluto sentire ragioni: non avrebbe lasciato che qualche criminale venisse in possesso di tutte e sette le sfere da loro utilizzate, ed aveva ben pensato che, tenendone nascosta una, nessuno avrebbe mai potuto esaudire desideri guidati dalla malvagità. 

Non avevano rivelato a Bulma il fatto che loro avessero usato le sfere, non volevano che lei sapesse. Ma Vegeta... Vegeta meritava di conoscere la verità, e di questo, la biondissima donna appoggiata alla ringhiera del balcone a consumare la primissima sigaretta dopo dieci lunghi anni dall’ultima, ne era perfettamente consapevole.

Ma era un essere umano anche lei... e gli esseri umani sanno essere veramente egoisti, a volte.

«Non voglio dirglielo, tesoro.» asserì, cercando di ributtare indietro le lacrime che, prepotenti, cercavano costantemente di fuoriuscire dai suoi grandi occhi azzurri «Non voglio che ci odi. Non voglio che il mio bambino mi veda come una brutta persona, non lo sopporterei!»

Lo scienziato dai capelli color glicine, ormai brizzolati qua e là, raggiunse la propria signora fuori all’aperto, e la prese per i fianchi, stringendola a sé. Era l’amore della sua vita, ed insieme avevano cresciuto tre fantastici figli... ma a volte, i suoi sentimenti sapevano di gran lunga superare la sua ragione, rendendola schiava di un’emotività troppo forte. 

Era per questo che non l’aveva mai lasciata; non voleva che sua moglie si lasciasse sopraffare dalla sua sensibilità troppo elevata... voleva spalleggiarla, darle una mano, concederle un po’ della sua razionalità, per evitare che si perdesse in un mare di lacrime. 

«Cara... ormai non è più un bambino.» mormorò dolcemente, prendendole la sigaretta dalla mano e lanciandola fuori dal balcone «Ha raggiunto un’età in cui conoscere la verità è fondamentale. Non può rimanere all’oscuro di tutto per l’eternità, questo lo sappiamo entrambi.»

«Sì... sì, questo lo so.» i suoi occhi color del cielo avevano cominciato a luccicare nuovamente, mentre la prima lacrima le solcava la guancia lattea «Ma se... se una volta raccolte le sfere del drago desiderasse di tornare per sempre da dove venne all’epoca? Se decidesse di lasciarci?! Questo non lo sopporterei, Hakase, non lo sopporterei!»

«Oh, tesoro, ma questo non succederà. La vera famiglia è quella che, nella vita, ti da amore ed un tetto sopra la testa. Non certo quella che ti abbandona in una terra sconosciuta per poi non cercarti mai più! Vegeta ti vuole bene, Bunny. Tuo figlio non ti tradirà mai.»

E di questo, il dottor Brief ne era sicuro al cento per cento. Nonostante i suoi modi un po’ bruschi, suo figlio era in realtà un ragazzo d’oro, una persona affidabile che, nei confronti della propria famiglia, aveva sempre dimostrato fedeltà ed affetto; lui sapeva che suo figlio, il ragazzo che aveva cresciuto, non avrebbe mai desiderato di tornare indietro dalle persone che lo avevano abbandonato. Forse conoscere la loro storia, sapere il motivo del suo abbandono... forse quello sì; ma andarsene per sempre? No. Quello non sarebbe stato in grado di farlo.

Eppure... neanche lui era poi così tanto convinto di rivelargli tutta la verità, così, di getto, come se fosse qualcosa di cui discutere con un caffè di fronte ad un camino acceso: “Oh, giusto! Figliolo, in realtà non siamo i tuoi genitori biologici, ma ti abbiamo trovato in mezzo ai boschi durante un’escursione!”. No, quello non era di certo il metodo adatto.

Ma, mentre l’uomo era assorto nei propri pensieri, la sua consorte aveva tirato fuori dal portagioie un oggetto che aveva tenuto custodito per tutta la vita, come un tesoro prezioso, e glielo aveva mostrato.

«Te lo ricordi?» 

«Certo... certo che me lo ricordo.»

Il ciondolo che il loro bambino aveva al collo al momento del ritrovamento. L’unico oggetto che aveva con sé, oltre a quella strana incubatrice nella quale era stato chiuso. 

 

«Oh, tesoro! Non lo trovi delizioso?»

La giovane donna dai capelli biondi teneva in braccio quel fagottino da ore, ormai. Non aveva idea di cosa avesse passato quel piccolino, ma doveva essere stato terribile per lui essere abbandonato in mezzo ai boschi, dove animali feroci avrebbero potuto attaccarlo da un momento all’altro. Quale razza di madre lascerebbe il proprio figlio appena nato in un luogo del genere?! Nel mondo, esistevano delle persone veramente spregevoli. 

«Guarda che bei capelli!» esclamò poi, carezzandogli i ciuffi ribelli che gli ricadevano sulla fronte «Li ha già così folti!»

Il bambino, a quelle attenzioni così accentuate, rispose con un verso incomprensibile e, con nonchalance, afferrò i capelli dello scienziato che, in quel momento, stava cercando di tradurre la scritta che si recava sul retro di quello strano medaglione.

La donna rise «Caro! Sembra proprio che tu già gli piaccia!»

Lui, in risposta, si girò nella direzione della moglie e, prendendo il bimbo in braccio, si rivolse poi a lei «Sembra proprio che su questo medaglione ci sia scritto “Vegeta”.»

«Ooh! È così che ti chiami?» Bunny Brief gli carezzò amorevolmente la testa «Vegeta? Allora Vegeta sia!»

 

Quel ricordo, così dolce e così vivido nelle menti di entrambi, causò un grande senso di nostalgia nel cuore del dottore che, asciugandosi una lacrima solitaria, invitò la propria consorte a sedersi accanto a lui sul bordo del letto.

«Ascolta, caro... perché non gli diamo soltanto questo, per il momento?» propose lei «Sarebbe un duro colpo per lui, se gli raccontassimo la storia tutta d’un fiato. Ma se... se indorassimo la pillola poco alla volta, sono sicura che presto comprenderà ogni cosa!»

Lo scienziato, dapprima diffidente, ma sempre più convinto del fatto che la sua signora potesse sul serio avere ragione, alla fine si ritrovò ad annuire «E va bene... faremo così.»

 

«Che volete?»

 

La voce profonda e piatta del giovane dai capelli a forma di fiamma fece scattare sul posto i due genitori che, sudando freddo, per un attimo credettero che il loro figlio avesse potuto aver ascoltato tutta la loro precedente conversazione.

Ma poi, a giudicare dall’espressione rilassata del ragazzo, entrambi si ritrovarono a tirare un sospiro di sollievo: Vegeta non era certo il tipo da mettersi a origliare, soprattutto se le conversazioni che immaginava due persone avessero in intimità non gli interessavano, e fortunatamente, non si era mai smosso dalle proprie opinioni. 

«Figliolo!» suo padre gli fece cenno di avvicinarsi «Entra. Vieni a sederti.»

Francamente, Vegeta non capiva: da quando i suoi genitori intrattenevano discussioni in privato con i loro figli? Da che ne ricordasse, avevano sempre parlato con lui e Bulma-e, quando ancora viveva in quella casa, anche Tights- tutti insieme. Non era mai successo che uno dei fratelli venisse escluso da qualsiasi tipo di argomento.

Era per questo che, mentre si sedeva sulla sedia della toeletta di sua madre, rivolse ad entrambi uno sguardo più che confuso «Che c’è?»

Fu Bunny Brief ad aprire la conversazione, avvicinandosi a lui e prendendogli entrambe le mani con l’espressione più materna che gli avesse mai rivolto «Tesoro... stai crescendo, ormai. Non sei più un bambino.»

Lui inarcò un sopracciglio. Continuava a non capire.

«Ed ora, tu e tua sorella avete deciso di intraprendere un viaggio molto rischioso ed importante. E noi, in quanto genitori, vogliamo che questo viaggio possa essere anche illuminante: deve diventare un pretesto per crescere, per imparare nuove cose e, soprattutto, per imparare a collaborare fra di voi.»

Non aveva mai, ed era pronto a rettificare, mai, sentito sua madre parlare con quel tono così serio: lei era sempre stata un po’ svitata, forse alle volte addirittura ingenua, ed i suoi discorsi erano per lo più incentrati sulla pace nel mondo e sui pony colorati. Mai aveva assistito ad un discorso così accorato, così serio, così... da persona normale. E la cosa lo mandò ancora di più in confusione.

Poi... la donna di fronte a sé gli mise tra le mani un medaglione; un ciondolo che non gli sembrava di aver mai visto. Eppure... aveva un’aria piuttosto famigliare.

«Prendi questo, per il momento.» gli disse sua madre «Sono sicura che ti tornerà utile.»

Il ragazzo strinse il piccolo oggetto tra le mani, per poi lasciarlo ciondolare di fronte ai suoi occhi, quasi come un pendolo: era di un materiale molto simile all’oro, di forma ovale, ed al centro era incastonata una strana pietra molto brillante, di colore blu intenso, che formava uno stemma; forse lo stemma di qualche Paese straniero, o di una famiglia antica. Sul retro, una strana scritta, incisa a fuoco, in una lingua che non conosceva.

Dove diavolo aveva visto, quell’affare? Perché non gli sembrava affatto qualcosa di nuovo? 

«Consideralo un portafortuna!» esclamò il suo vecchio, rompendo il silenzio che si era venuto a creare «Ed ora vai a riposare, ragazzo. Domani mattina ti aspetta una partenza!»

 

*

 

Le grida di quella gente erano strazianti. 

Stavano disperatamente cercando di salvarsi da qualcosa, o da qualcuno, ma lui non riusciva a capire di cosa si trattasse... aveva la testa e gli occhi rivolti verso il soffitto, ed in quel momento non riusciva a veder altro che quello. Quando provava a guardarsi intorno, vedeva soltanto i lati di una culla; la sua culla? 

Cercava di parlare, di urlare, di emettere qualsiasi tipo di suono, ma sembrava che le corde vocali gli fossero state strappate via; non riusciva a farsi sentire, non riusciva a sentire neanche sé stesso.

Poi, un paio di braccia lo sollevarono, togliendolo dal calore di quella culla ed avvolgendolo in una coperta calda.

«Figlio mio... devi salvarti. Almeno tu, ti salverai.»

 

Si svegliò di soprassalto, quasi urlando, e facendo cigolare pericolosamente il letto. 

Yamcha, addormentato nel sacco a pelo alla sua destra, sembrava non aver sentito nulla e, semplicemente, emise uno strano mugolio, per poi rigirarsi su sé stesso.

Quel luogo... che cosa diavolo era? Perché avrebbe dovuto sognare una cosa simile?

Sentiva delle grida, nel sogno, delle grida assolutamente nitide e spaventose; ma la voce della donna che gli aveva parlato, gli era parsa ovattata e lontana dalla sua prospettiva, nonostante lo stesse tenendo in braccio.

Appoggiandosi svogliatamente al davanzale della finestra alla sinistra del suo letto, Vegeta sospirò rumorosamente: era stato soltanto uno stupido sogno, non c’era assolutamente bisogno di arrovellarsi tanto il cervello. Eppure, quella strana sensazione che aveva provato fin dal momento in cui era andato a dormire, sembrava non volerlo lasciare.  

Si voltò verso il proprio migliore amico, felicemente addormentato nel suo sacco a pelo di Superman, che si ostinava a voler usare nonostante fosse di dieci anni prima e fosse assolutamente troppo piccolo per far sì che il suo corpo ci entrasse tutto. 

“Io ci sto comodissimo!” affermava Yamcha ogni volta, con la sua solita aria da menefreghista fannullone. Sì, certo, comodo come lo sarebbe uno su un letto di spilli. 

«Tu non ti preoccupi di niente, eh?» mormorò con ironia, rivolto al proprio amico «Dannazione, vorrei tanto essere nato con il tuo stesso cervello di gallina.»

 

*

 

Non tirava neanche un filo di vento, e quel silenzio inquietante cominciava a diventare pesante persino per tipi come loro. 

Era doloroso dover camminare su quel suolo, dopo tutti quegli anni, dopo ciò che avevano dovuto subire... ma come tirarsi indietro, dopo che per quasi due decenni avevano soltanto aspettato di essere fuori dal campo visivo dei rivelatori dei nemici per poter uscire allo scoperto? 

Il palazzo reale era proprio di fronte a loro, usurato dal tempo e quasi completamente in macerie: ma nonostante tutto, sembrava li stesse guardando, sembrava li stesse guidando. Nonostante tutto, il palazzo del loro re splendeva di orgoglio... orgoglio di una razza guerriera che non si sarebbe mai arresa, neanche nelle situazioni più gravi e pericolose.

Era per questo che, gli unici tre superstiti di una stirpe ormai estinta, erano decisi e determinati a trovare il modo di sconfiggere coloro che avevano causato tanta distruzione e sofferenza, e vendicare le loro famiglie, il loro re, il loro popolo.

Vendicare la bambina che, un tempo, reggeva tra le braccia quella bambola con un occhio solo. 

«Ci siamo.» incalzò il più anziano tra i tre, muovendo i primi passi all’interno del palazzo reale, facendo attenzione a non muoversi troppo bruscamente per evitare che gli crollasse qualcosa in testa.

«Nappa, hai la minima idea di dove ci stai portando, oppure stai andando alla cieca come tuo solito?» gli domandò il mezzano del gruppo, alludendo all’evidente stupidità del compagno.

«So benissimo cosa sto facendo.» rispose lui «Dobbiamo entrare nella biblioteca del re. Dobbiamo trovare il modo di rompere quel sigillo.»

 

Continua...





Note autrice
Ciao ragazzi! È un piacere essere tornata così presto. Avrei voluto aggiornare la storia settimanalmente come in realtà prevedo di fare da questo capitolo in poi, ma dato che ho notato(con molta sorpresa e piacere) che qualcuno si è già interessato a questa long, mi sarei sentita una persona spregevole a non pubblicare un aggiornamento dato che ne ero già in possesso ^^ 
Non mi sarei mai aspettata che questa storia attirasse tanta curiosità, considerando anche che ormai è raro che qualcuno si concentri sulla "vecchia generazione" di Dragon Ball; ma devo confessarvi che io ci sono molto affezionata: non fraintendetemi, adoro Trunks, Goten, Gohan e tutti i figli che sono spuntati fuori nelle ere più recenti, ma trovo la vecchia generazione molto più vicina al mio cuore. 
Spero che questo secondo capitolo abbia chiarito qualche dubbio: d'altronde, era piuttosto strano il fatto che Vegeta si chiamasse così nonostante sia cresciuto sulla Terra insieme ai terrestri. Beh, adesso sapete per quale motivo ha mantenuto il suo nome originale. La stessa cosa non si può dire riguardo alle piccole parentesi sui saiyan, che ancora navigano in un alone di mistero, ma non preoccupatevi: presto, tutte le spiegazioni verranno a galla. 
Ringrazio col cuore le persone che si sono prese del tempo per lasciare delle recensioni e mi scuso in anticipo per non aver risposto subito, ma risponderò il prima possibile. Spero che continuerete a seguirmi ^^ 
Alla prossima settimana!

-cancerianmoon

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Capitolo 3
*** Il libro magico ***


Capitolo 3°
Il libro magico

 

Dopo lo strano episodio del sogno, Vegeta non era più riuscito a chiudere occhio.

Era perfettamente consapevole del fatto che probabilmente avesse esagerato nell’essersi tanto impressionato per un semplice, stupidissimo sogno, ma per qualche strano motivo, quella notte era stato piuttosto irrequieto.

Così, fino alle prime luci dell’alba, era uscito fuori in giardino ad allenarsi e, una volta sorto il sole, si era precipitato in casa, pronto a farsi una doccia e a scendere in cucina per una bella colazione; purtroppo, si sarebbe dovuto tenere sveglio, ed il caffè era l’unica cosa che avrebbe desiderato al drago, se gli fosse apparso di fronte in quel momento. 

Il fatto che la sera prima i suoi genitori si fossero comportati in quel modo tanto strano, proprio non riusciva a toglierselo dalla testa: era sicuro al cento per cento che gli stessero nascondendo qualcosa, ed una volta tornato da quello stupido viaggio, si sarebbe ripromesso di saperne di più... non gliela stavano raccontando giusta, nessuno di loro due.

Dapprima, nella mente del ragazzo si era insinuata l’idea che gli stessero silenziosamente chiedendo di convincere Bulma a rinunciare a quell’avventura, ma era assolutamente fuori discussione che sua madre, per chiedergli una cosa del genere, usasse quel tipo di sotterfugi: insomma, quella donna non ne era assolutamente capace! Se lo fosse stata, allora era stato cresciuto da un clone stupido e fissato con la pace e con i pony colorati, e pensandoci bene, conoscendo suo padre, non sarebbe stata neanche troppo impossibile un’opzione del genere.

Abbassò per un attimo lo sguardo, osservando il medaglione che portava al collo e concentrandosi sulla pietra blu incastonata nel mezzo: blu, eh? Era un colore che non gli dispiaceva. Il colore della nobiltà e del bello... insomma, un colore da reali; non sapeva perché, ma era come se quella pietra lo chiamasse. Come se stesse cercando di inviargli un messaggio... ma di che messaggio si trattasse, questo il ragazzo non riusciva proprio a capirlo.

«Dio... la carenza di sonno è veramente mia nemica...» si massaggiò stancamente le tempie, dando la colpa di quei pensieri strani al fatto che non avesse dormito bene e, una volta finito il caffè, ripose la tazza nel lavandino, appoggiandosi a quest’ultimo e sospirando stancamente.

Proprio in quel momento, la presenza di un individuo alle sue spalle lo costrinse a mettersi in allerta: i suoi passi si facevano sempre più vicini, ed il suo respiro era facilmente udibile, grazie al silenzio che a quell’ora regnava in casa.

Prontamente, il giovane si voltò nella direzione dell’intruso, mettendosi in guardia ed aspettando che il nemico attaccasse.

E attaccò.

Oh, eccome se lo fece.

«Hah! Buongiorno!»

Sua sorella era in piedi esattamente di fronte a lui, già vestita di tutto punto nel suo vestitino rosa con su sopra il suo nome stampato e la sua coda di cavallo, e se sua sorella era già sveglia e vestita di tutto punto a quell’ora, poteva significare soltanto due cose: aveva avuto un’idea geniale, oppure lo stava facendo apposta per dare delle noie a lui. 

Probabilmente, in quel caso, si trattava di entrambe le cose.

Lui sbuffò «Che vuoi?»

«Guarda un po’ cos’ho qui!» ed alzò la mano destra, nella quale impugnava, grande quanto il suo palmo, un orologio da taschino dal display verde, ancora spento e che non segnava neanche l’ora.

Pensava che lo avrebbe impressionato oppure era soltanto stupida?

«Un orologio rotto?»

Lei sorrise beffarda «Sapevo che l’avresti detto! Beh, mio caro, questo è un dragon radar, o se preferisci, un radar cerca-sfere: mi è bastata qualche ora di lavoro per idearlo ed ultimarlo, e adesso abbiamo un apparecchio in grado di rilevare la presenza di una sfera del drago anche a decine di chilometri di distanza! Ah, che cosa non farei senza la scienza!»

Vegeta inarcò un sopracciglio, parzialmente stupito dalla capacità di quell’oca di costruire tali oggetti partendo da zero. Ma una cosa gli era poco chiara: se quel radar avesse segnalato esattamente sette sfere in totale, inclusa quella che era già in loro possesso, allora ciò avrebbe voluto dire che le sfere del drago fossero reali, il che sarebbe stato incredibile, sì, ma anche dannatamente surreale.

«Lo so cosa stai pensando.» lo schernì sua sorella, allargando il sorriso beffardo sulle sue labbra, per poi premere il pulsante d’accensione di quell’arnese, che cominciò inevitabilmente ad emettere degli interminabili bip «Fa così perché segnala una sfera nelle vicinanze, che ovviamente è quella che abbiamo noi, ma se muoviamo il display, possiamo osservare che la sfera più vicina oltre questa è a cinquanta chilometri da qui. Questo significa che tu avevi torto, e che le sfere del drago esistono davvero!»

Era a dir poco incredibile: le sfere del drago erano davvero sette, e che esistessero non v’era alcun dubbio. Ma francamente, il ragazzo ancora stentava a credere che, se riunite tutte in un unico punto, potesse apparire dal nulla un drago. Dannazione, un drago!

Non si stava parlando di anatre o di cani, o di qualsiasi altro animale quantomeno realistico, ma di un drago; ed era un drago enorme, a giudicare da ciò che diceva quello stramaledetto libro. Un drago con poteri magici, oltretutto! Non poteva esistere al mondo una cosa del genere, non ci avrebbe creduto finché non l’avesse visto con i propri occhi.

Ed ecco perché adesso, Vegeta era ancora più determinato ad arrivare fino in fondo. 

«Adesso mi spieghi che cosa volevano mamma e papà?» cambiò poi discorso lei, avvicinandosi alle credenze per poter prendere la propria colazione ed afferrando una merendina confezionata. Sapeva benissimo che quella roba facesse ingrassare e facesse anche piuttosto male, ma quella mattina non aveva assolutamente voglia di preparare una colazione salutare, e allora, suo padre non se la sarebbe di certo presa, se lei avesse rubato una delle sue merendine al cioccolato.

Suo fratello, d’altro canto, le si sedette vicino, poggiando i gomiti sul tavolo ed assumendo un’espressione pensierosa.

«In realtà niente di che...» sibilò a denti stretti; non era completamente sicuro del fatto che i suoi gli volessero davvero regalare un portafortuna, e poi, se così fosse stato, avrebbero dovuto regalarne uno anche a Bulma, invece non gli sembrava proprio che sua sorella avesse addosso qualcosa di diverso dal solito.

Però non era neanche troppo sicuro del fatto che gli stessero nascondendo qualcosa, effettivamente; quindi, per il momento forse sarebbe stato meglio evitare di raccontare alla ragazza ciò che i loro genitori gli avevano detto la sera scorsa.

 

«Buongiorno, mattinieri!» 

 

La voce squillante ed allegra di Yamcha, nel suo pigiamone con su disegnate delle anatre, li distrasse dai loro discorsi, costringendoli a volgere lo sguardo proprio sugli anatroccoli rosa disegnati sullo sfondo giallo della tutina di flanella che il loro amico portava addosso.

 

«Che c’è?!» chiese allora, facendo spallucce «Era un regalo di mia madre!»

«Ti odia davvero così tanto?» lo canzonò il suo migliore amico, ghignando soddisfatto a quella visione così imbarazzante «Non le è bastato evitare che il tuo cervello si sviluppasse?»

«Si può sapere perché sei ancora in pigiama?!» sbraitò Bulma, mostrando al ragazzo le chiavi dell’elicottero che avrebbero pilotato da quel giorno in poi «Vedi di andarti a preparare, e anche alla svelta.»

«Ma... ero venuto a fare colazione!»

«Hah!» a quel punto, la ragazza prese dalla credenza una seconda merendina e, dopo averla scartata, la infilò in bocca al povero Yamcha che, temendo di soffocare se ne avesse ingoiato anche solo un altro pezzo senza masticare, tossì copiosamente, fino a correre su per le scale, scampando a quell’ira funesta.

 

*

 

Ci era voluto più tempo del previsto e, come si sarebbero tutti aspettato, era stata Chichi la più incline all’essere indecisa e lenta: la ragazza, infatti, aveva preparato una decina di valigie, nascondendosi dietro al fatto che sarebbero stati via per un bel po’, e che nonostante il loro viaggio, lei non avrebbe rinunciato ai libri e allo studio. Non poteva di certo permettere che i suoi voti si abbassassero di colpo, una volta tornati! 

A niente erano servite le lamentele della turchina, che spingeva in continuazione sul fatto di voler partire al più presto, perché la sua migliore amica non aveva voluto sentire ragioni: voleva che l’accompagnasse in quella follia fuori dal normale? Bene, allora avrebbe dovuto sopportare il fatto che lei fosse una persona altamente organizzata e prudente.

 

Vegeta, d’altro canto, era stato colui che aveva portato il meno peso possibile: nella remota possibilità che avessero dovuto abbandonare l’elicottero per cause di forza maggiori, come avrebbe fatto poi a salvare tutto ciò che riteneva importante?

Il suo zaino di scuola marchiato Capsule Corporation era più che sufficiente per quel viaggio; aveva fatto incapsulare a sua sorella dei vestiti, quindi sarebbe stato tutto più facile. Ma non c’erano capsule sufficienti a raccogliere tutta la roba che quella svitata aveva deciso di portarsi, quindi se ne sarebbe dovuta occupare da sola. 

 

«Bene, ragazzi!» li incalzò Bulma, sedendosi accanto a Yamcha, al posto del pilota «Stando a quanto dice il radar, la sfera più vicina dovrebbe trovarsi nei pressi del monte Paoz! Non è molto distante, e i miei lo conoscono molto bene: ecco perché ho rubato una delle loro piantine!»

 

*

 

La biblioteca del re... quel luogo in cui soltanto pochi eletti sarebbero potuti entrare; e Nappa, come suo consigliere di corte, ne era assolutamente capace. Era per questo che i due giovani guerrieri si stavano affidando al proprio compagno: lui era l’unico che potesse conoscere alla perfezione le stanze del sovrano, ed era anche l’unico che potesse sapere dove si trovasse il libro che tanto stavano cercando. 

A differenza del resto del pianeta ed anche del palazzo, quella era l’unica sala ad essere stata risparmiata dalla furia del mostro, come se fosse stata coperta da una sorta di incantesimo protettore di cui loro non erano assolutamente a conoscenza. 

«È rimasta intatta...» fu il commento del più giovane dei tre, che si ritrovò a guardarsi intorno con aria stupefatta, ammirando la bellezza e la raffinatezza di quella sala sconfinata «Tu sai perché, Nappa?»

«No.» fu la sua risposta «Ma non siamo qui per questo.»

 

Lui, di tutta risposta, avrebbe tanto voluto mandarlo in quel posto, e farlo anche alla svelta, ma non lo fece. Nappa era il più anziano di loro e, in quanto tale, meritava il massimo rispetto; a volte, però-anzi, la maggior parte delle volte- lo trattava come se fosse ancora un bambino... come se non fosse in grado di gestire le situazioni e fosse soltanto un peso per il loro tanto ridotto gruppo.

Così rimase in silenzio, seguendo gli altri due all’interno di quei corridoi che sembravano non finire mai, fino ad arrivare proprio al centro della costruzione a forma di cupola, in cui un libro, forse proprio quello che stavano cercando, ed anche molto diverso da tutti gli altri, era riverso a terra, aperto. 

Era forse da lì, che i nemici avevano trovato il modo di soggiogare la loro popolazione e poi distruggerla? 

Quando lo raccolsero, il ragazzo poté osservare meglio il suo aspetto: era rilegato in metallo prezioso puro, ed un bassorilievo al centro della copertina luccicante come un cristallo spiccava, rappresentante lo stemma della famiglia reale. Di quella famiglia che, probabilmente, era stata sterminata per prima. 

«È lui?» gli venne poi spontaneo chiedere.

«Sì. È lui.»

Forse era arrivato il momento.

Forse, finalmente, avrebbero trovato le risposte che stavano cercando. 

Eppure i tre, timorosi che tutta quella fatica alla fine si sarebbe rivelata vana, stavano esitando. Esitavano perché, essendo gli unici tre rimasti in vita di tutta la loro razza, si erano sempre sentiti in dovere di vendicarla... avevano sempre pensato che il destino gli avesse riservato un posto in prima linea, nonostante continuassero a chiedersi perché proprio loro. Perché proprio a loro era stato affidato quel compito tanto arduo.

E poi, quando finalmente il più anziano dei tre trovò il coraggio di aprirlo... fu lì che quel libro, dapprima inanimato, si alzò fluttuando in volo, sprigionando una luce di una potenza mai vista prima. Tanto che i tre furono costretti a coprirsi gli occhi con gli avambracci. 

Poi... ecco che iniziò a parlare. 

 

«Chi osa disturbare il mio riposo?» 

 

Fu quella la domanda che il libro pose al ristretto gruppo di guerrieri. Una domanda a cui loro non riuscirono a rispondere perché il libro, dopo qualche secondo, ricominciò a proferire parola.

 

«Riesco a sentire la vostra rabbia, miei giovani guerrieri. Riesco a sentire il rancore che portate sepolto nei vostri cuori.» fece una piccola pausa «Ditemi, allora. Cos’è che vi porta al mio cospetto?»

Fu il mezzano fra i tre, Radish, a prendere la parola: «Siamo venuti per scoprire come sconfiggere il nemico, e come togliere il sigillo. Tu puoi aiutarci?»

«Io posso tutto, mio coraggioso amico. Sono stato creato con lo scopo di custodire i segreti scritti in me, e tutte le storie che il re desiderava tener nascoste.»

«Allora dicci! Dicci... come? Come possiamo noi vendicare la fine del nostro popolo?»

E fu dopo quest’accorata domanda, che il libro smise di emettere quella grande luce, ed enormi immagini simili a degli ologrammi iniziarono a vorticare in maniera confusa intorno a loro, come se il potere di quell’oggetto li stesse portando indietro nel tempo, fino al momento in cui, per la loro razza, erano cominciati i guai.

«Oltre cinquant’anni fa, veniva incoronato re Vegeta III, discendente di colui che aveva portato la fioritura per il popolo dei saiyan, figlio del grande Vegeta II, colui che aveva portato la propria razza a prevalere sulla galassia... colui che diede inizio alla Grande Colonizzazione.» cominciò a narrare il libro, mentre di fronte ai loro occhi, l’immagine di un giovane Vegeta III durante le nozze con la sua amata regina, si palesò «Suo figlio non voleva soltanto eguagliare il proprio predecessore, ma voleva addirittura superarlo, arrivando ad estendere i suoi domini non solo in tutta la galassia, ma entro i confini dell’universo conosciuto. È stato con questa premessa che i saiyan, da popolo di soli guerrieri uomini, si è evoluto, maturando l’ideologia di cui voi sicuramente siete già a conoscenza... quella di una razza guerriera indistruttibile ed invincibile, in modo tale che il nuovo re potesse creare l’esercito più preparato e più potente che l’universo avesse mai conosciuto.»

Perché gli stava raccontando tutte quelle cose, quel maledetto libro? Non era per ascoltare la storia del loro popolo, che i tre saiyan erano arrivati al suo cospetto. Non volevano rivivere ricordi dolorosi, ma soltanto arrivare ad una conclusione; quei tre valorosi guerrieri... volevano soltanto una risposta. Avevano soltanto bisogno di una lieve, semplice speranza che ciò che era stato mandato in fumo potesse risorgere dalle proprie ceneri.

«E così, servendo fedelmente il proprio sovrano, l’esercito del pianeta Vegeta riuscì ad estendere i domini del regno fino alla Galassia Centrale, dove il re, finalmente, trovò l’alleato che stava cercando.»

Occhi rossi. 

Occhi rossi e languidi apparvero di fronte agli sguardi attoniti dei tre che, vedendo quel volto, non poterono trattenere un brivido lungo la schiena.

«Il principe Freezer, figlio del grande sovrano Cold, re del popolo di coloro che tutto l’universo conosce come “i demoni del ghiaccio”, era così tanto assetato di potere che, dopo essere andato al cospetto del padre, aveva ottenuto il permesso di creare una propria colonizzazione sotto il suo nome... e lui trovò nei saiyan un buon punto d’appiglio, un buon alleato da sfruttare a suo piacimento nel suo piano di dittatura assoluta.

Re Vegeta III era estasiato dalla potenza di quell’individuo e dall’influenza che la sua razza aveva sulle altre popolazioni, e così accettò di unire le forze e creare un regno in cui Freezer e i saiyan avrebbero governato fianco a fianco. Mai si sarebbe aspettato, che quella sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, per il nostro popolo.

In poco tempo, Freezer si guadagnò la fiducia del sovrano, che gli permise di alloggiare tra le mura di questo castello ogni qualvolta ne sentisse il bisogno. È stato proprio così che lui, spinto da puri istinti malvagi, è riuscito a trovarmi.»

I tre guerrieri rimasero a bocca aperta, quando appresero quella verità: il temibile Freezer, il tiranno che aveva guidato l’assalto al loro pianeta, aveva scoperto il modo di distruggerlo tramite quel libro. Tramite il libro che loro stessi gli avevano permesso di trovare e di utilizzare! 

Era stato il re. Lui si era fidato di Freezer, lui, con la sua stupidità, aveva lasciato che quel tiranno mettesse a punto il suo piano diabolico... ed in quel momento, la visione delle cose, per i tre saiyan, cominciò a distorcersi pericolosamente.

«Grazie alle informazioni trovate nelle mie pagine, Freezer riuscì ad organizzare il suo attacco al pianeta, mietendo molte, molte vittime... ed alla fine, confinando tutto ciò che era rimasto della nostra gente in un antro oscuro, una dimensione a cui non è ammesso accedere. Freezer usò il sigillo per confinare per sempre il popolo dei saiyan nel limbo, facendo così in modo che nessuno di loro potesse mai più liberarsi... il Sigillo Oscuro. È quella la chiave con cui Freezer ha potuto compiere la sua missione.»

Ed eccola lì. Quella lieve speranza che loro stavano tanto aspettando... quella remota, lontana possibilità, che tutto potesse tornare alla lucentezza di un tempo, che tutto si potesse aggiustare. 

Ma per poterlo fare, i tre erano sicuri che dovessero prima sconfiggere Freezer. E non ce l’avrebbero mai fatta, senza un aiuto concreto e realizzabile... e questo, voleva soltanto dire che quella speranza sarebbe potuta svanire da un momento all’altro.

«Questo vuol dire... che i nostri fratelli non sono morti?» fu Kaharoth, il più giovane dei tre, a fare quella domanda «Vuol dire che c’è un modo per salvarli? Per far tornare questo pianeta quello di un tempo?»

«Purtroppo, molti dei vostri fratelli sono caduti nel tentativo di contrastare l’esercito di Freezer... ma sì, coloro che sono riusciti a scampare alla morte, sono dispersi nell’oscurità, intrappolati dal Sigillo Oscuro.» 

«E non c’è un modo di salvarli?! Non esiste il modo di togliere quel sigillo? Come?! Come possiamo farlo? Parla, libro!»

«Oh, sì che esiste.» fu la sua risposta «Ma temo che nessuno di voi tre abbia le abilità per farlo: soltanto chi possiede sangue reale è in grado di togliere quel sigillo, e nessuno di voi è un discendente del re. Ma esiste un erede.»

Non era possibile. Gli unici sopravvissuti della razza erano loro tre, non poteva esistere un quarto saiyan, o quel giorno, quando erano fuggiti dal pianeta, l’avrebbero incontrato. E se non fosse successo quel lontano e triste giorno, sarebbe sicuramente capitato più avanti... ma nessun erede del re si era mai mostrato ai loro occhi: erano sempre stati da soli. Soltanto loro tre. 

«La nostra amata regina, quel giorno, ebbe un figlio: il principe, colui che un giorno sarebbe stato destinato a diventare re. Ma durante l’attacco, lei riuscì a correre lontano, e lo chiuse in una capsula, spedendolo via dal pianeta prima che qualcuno riuscisse a trovarlo, o ad individuarne la presenza. Il nostro principe è ancora vivo, ed è cresciuto su un altro pianeta, lontano dagli orrori di questa realtà.»

Il principe.

La loro regina aveva dato luce ad un erede, ed il fatto che loro non ne fossero a conoscenza, era proprio perché quello stesso erede era nato il giorno in cui l’armata di Freezer aveva attaccato Vegetasei. 

In quel momento, negli occhi color cenere dei tre compagni, si riaccese la speranza: la speranza che non tutto era perduto, e che sarebbe tornato a essere. Che il loro pianeta, il loro popolo, il loro sovrano, potessero davvero essere salvati. 

E a quel punto, fu Nappa a prendere finalmente la parola: «Dove possiamo trovarlo?»

«Su un pianeta chiamato... Terra.»

 

*

 

«Bene, bene... mi sa che è ora di andare.»

 

 

Continua... 

~~~

Note autrice
Ciao a tutti! Spero abbiate passato un buon weekend, dato che è stato il primo di vero caldo estivo dopo un maggio freddo e piovoso, e spero stiate tutti bene ed in salute :) 
Eccomi tornata con il terzo capitolo di questa long, che spero vi piacerà: dal punto di vista dei nostri protagonisti, si può appurare soltanto che Yamcha ha un pigiama ridicolo e che sono pronti a partire, mentre per quanto riguarda la "side-story" dei saiyan, si scoprono decisamente molte più cose interessanti. Su quel famoso sigillo, su Freezer e sulla sorte che è toccata al pianeta Vegeta e ad i suoi abitanti. 
Ma sarà davvero così facile spezzare quel sigillo? In fondo, il libro ha solo dato indicazioni molto generali, senza entrare troppo nel dettaglio. Probabilmente, si rivelerà tutto molto più difficile del previsto: e questo perché io sono sadica e mi piace entrare nell'angst e mettere in difficoltà i personaggi il più possibile. Ihihihih 😈
Ho deciso che pubblicherò i capitoli a cadenza settimanale, ogni lunedì e, quando mi sentirò di farlo e vorrò "sorprendervi", anche il venerdì, quindi aspettatevi almeno un capitolo a settimana.
Detto questo, vi ringrazio tantissimo per le recensioni positive, e ringrazio anche tutti i lettori silenziosi(ragazzi, vi vedo, siete fantastici) e vi mando un grosso bacio ;) 
Al prossimo capitolo!

-cancerianmoon

 

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Capitolo 4
*** La seconda sfera-Son Gohan ***


Capitolo 4°
La seconda sfera-Son Gohan

 

I Monti Paoz si estendevano lungo tutto l’orizzonte, oltre il mare, ed erano di un verde così brillante da mozzare quasi il fiato. Non c’erano segni di civiltà: soltanto qualche baita qua e là, ma per la maggior parte disabitate, e la fauna locale era felicemente libera di correre per i boschi e per le praterie che la natura le offriva. 

Era un luogo affascinante: Vegeta non si stupì per niente del fatto che i suoi genitori amassero così tanto fare delle escursioni da quelle parti. 

L’aria che si respirava era totalmente diversa da quella della città a cui erano abituati: si sentiva odore di muschio, e della salsedine del mare, e dei fiori che la primavera aveva portato con sé; l’erba ancora umida di rugiada brillava alla luce del sole come una miniera di diamanti, ed una volpe solitaria attraversò il sentiero sul quale il gruppo di avventurieri stava camminando, seguendo la piantina ed i bip assordanti del dragon radar.

Qualche metro più avanti, una casetta dall’aria accogliente, completamente isolata rispetto alle baite che avevano incontrato durante il loro cammino, e perfettamente localizzata nei pressi di un laghetto in cui i pesci si potevano veder saltare. A differenza di tutte le altre catapecchie, sembrava che qualcuno ancora ci abitasse: sui cavi appena fuori dall’uscio, infatti, vi era appeso il bucato, e dalla cappa del camino usciva del fumo. 

«A quanto pare...» prese la parola Bulma, puntando il dito proprio sulla piccola struttura di fronte a loro «La sfera si trova dentro quella casa.»

Dentro? Questo significava che, chiunque ci abitasse, stesse cercando anche lui le sfere del drago? Quello sì, che era un bel problema.

Il primo a muovere un passo verso quell’abitazione fu Yamcha che, fiducioso che non ci potesse certo vivere un malfattore ma piuttosto una dolce vecchina, li rassicurò con una risata «Andiamo, ragazzi! Chiunque sia, non penso proprio che lì dentro ci sia qualcuno con cattive intenzioni! Gli chiederemo la sfera con gentilezza e ce ne andremo!»

Dannazione, quel ragazzo era veramente un imbecille «E tu pensi davvero che ce la darà? Dannazione, Yamcha, si tratta di roba che esaudisce desideri.»

Ma, proprio nel momento in cui i due stavano per incominciare un dibattito-per quanto di dibattito si trattasse, considerando che uno dei due fosse un totale idiota-, ecco che, dalla porticina della casa, uscì un anziano signore vestito in abiti molto modesti, intento a mettere i panni asciutti in una cesta. Dapprima, i ragazzi pensavano non li avesse anche notati ed erano propensi ad andarsene, ma poi il vecchio fece un cenno di saluto in loro direzione, invitandoli a raggiungerlo.

Non sembrava un individuo poco raccomandabile, e d’altronde si trattava soltanto di un povero vecchio: a chi avrebbe potuto nuocere, nel caso? 

 

L’interno della casa era modesto almeno quanto il proprio esterno, e a giudicare dallo stile di vita di quell’uomo, era plausibile che fosse così. Sembrava vivesse da solo: nessuna moglie, niente figli, nessuna foto di famiglia; ma, buttati in una vecchia cesta a fianco del vecchio divano, si recavano mucchi e mucchi di riviste pornografiche. 

Accidenti, erano appena entrati in casa di un pervertito con due ragazze considerevolmente carine e giovani al loro seguito!

«Scusate il disordine... era da parecchio tempo, che non ricevevo delle visite.» furono le sue parole, mentre gli sorrideva cordialmente «Ma prego, sedetevi. Non vedo altre persone da anni, ormai, e voi mi sembravate piuttosto smarriti.»

A quell’invito, Vegeta fu l’unico che sembrò approfittarne per guardarsi un po’ intorno, alla ricerca di qualche oggetto che per lo meno somigliasse alla fantomatica sfera che stavano cercando; ma, almeno in quella stanza, sembrava non essercene alcuna traccia. Certo, avrebbe benissimo potuto chiedere dove fosse il bagno per curiosare un po’ in giro, ma dubitava fortemente, dalla puzza di ascelle che si sentiva in quella casa, che quel vecchio possedesse dei sanitari.

«Gradite un po’ di tè?» sorrise di nuovo l’anziano signore, palesemente squadrando da capo a piedi le due ragazze.

Fu Chichi la prima a prendere la parola «A dire il vero, signore, noi...» 

«Oh, non fate complimenti, vi prego!» la interruppe lui «Era da tantissimo tempo che non vedevo visi di altre persone, la vostra compagnia mi farebbe davvero piacere!»

«Oh, andiamo, ragazzi! Questo signore è stato così gentile, cerchiamo di non comportarci da maleducati!» li spronò allora Bulma, alzandosi dalla sedia sulla quale si era precedentemente seduta per potersi avvicinare al proprio riluttante fratello, soltanto per poter abbassare il tono di voce «Smettila di comportarti come un criminale e vieniti a sedere. Possiamo approfittarne per chiedergli dove si trova la sfera.»

Il vecchio si era poi volatilizzato in cucina, per poi riapparire con un vassoio con su cinque tazze ed una teiera, posandolo cordialmente sul proprio tavolo impolverato. Non sembrava affatto vergognarsi del modo in cui viveva: probabilmente, quel suo isolarsi dal mondo in una casa non curata era stata una scelta. 

«Allora... ditemi, ragazzi.» li incalzò quindi l’uomo «Come mai siete da queste parti? So che, qui vicino, molti turisti vengono a fare delle escursioni, ma voi siete i primi che incontro proprio fuori dalla mia casa.»

Il ragazzo dai capelli a fiamma, seduto esattamente di fronte al vecchio, evitò arbitrariamente di rispondere a quella domanda: che il suo modo di fare così gentile ed ospitale fosse in realtà tutta una recita per fargli credere di essere un povero vecchio pervertito che giocava a fare l’eremita fra le montagne? 

«Ragazzo...» fu in quel momento, che l’uomo incontrò lo sguardo di cenere del giovane di fronte a sé, studiandolo con aria di saggezza «Sento che tu sei ostile, nei miei confronti. Ti assicuro che non ho brutte intenzioni, e non sto cercando di raggirarvi. Io sono Son Gohan, ti aiuta conoscere il mio nome?»

Incredibile.

Come diavolo aveva fatto a capire che stesse sospettando della sua gentilezza? Eppure, non lo stava neanche guardando con troppa insistenza: lui evitava sempre errori del genere. Era impossibile che se ne fosse accorto osservando soltanto il modo in cui evitava di rispondere: dannazione, essere taciturni non significava mica essere per forza ostili! 

«Sai, la tua aura era a riposo, prima che entrassi in casa mia. Ma adesso si trova in una posizione di allerta, e perciò...» si interruppe, sorridendogli improvvisamente «Come ti chiami, figliolo?»

«Vegeta!» esclamò la turchina, prima che suo fratello potesse anche soltanto aprire bocca per parlare: ogni volta che quell’antipatico aveva a che fare con dei convenevoli, finiva sempre per creare dei disastri «È mio fratello! Mi scuso per i suoi modi un po’ bruschi e maleducati, è chiaro che non ha preso da me. Ma le assicuro, signor Son, che non ce l’ha con lei! È... diciamo il suo modo di porsi, ecco.»

«Oh, non devi assolutamente scusarti, mia cara!» il vecchio stava parlando con Bulma, ma i suoi occhi color pece erano fissi su Vegeta «Essere un po’ diffidenti non fa mai male!

Dunque... ditemi, che cosa ci fanno dei ragazzi così giovani da queste parti?»

Certo che essere diffidenti non fa mai male, ma non potevano di certo perdere tutto il pomeriggio a girarci intorno in casa di uno sconosciuto. E non potevano fermarsi per troppo tempo, comunque: avrebbero dovuto trovare al più presto un buon posto in cui accamparsi. 

Così la turchina, nonostante la mancanza di fiducia da parte di suo fratello, tirò fuori dal suo marsupio l’oggetto del loro desiderio, mostrandolo all’uomo seduto di fronte a loro «Questa è una sfera del drago. Non so se lei ne abbia mai sentito parlare, ma si tratta di un oggetto speciale, ed è molto importante per noi!»

«Ooh!» Son Gohan sembrava non saperne assolutamente nulla a primo acchito, ma poi, guardandola meglio, si ritrovò a strabuzzare gli occhi «Ma sì, certo! Ne ho una esattamente identica, qui da qualche parte!»

Quelle parole, pronunciate con tanta spontaneità e leggerezza, accesero una luce nei grandi occhi color del mare di Bulma che, alzandosi dalla sedia di colpo, con tanta foga da farla cadere in terra, gli prese entrambe le mani, esclamando: «Davvero?! Oh mio Dio, questo fa di lei il mio migliore amico! Dove la tiene? Dove?!»

Il vecchio Son Gohan sembrò scrutarla con sguardo confuso ed imbarazzato: certo, non aveva avuto molti contatti umani nella sua vita e, oltre alla sua povera defunta moglie, le uniche donne che avesse mai guardato erano quelle delle riviste che si faceva arrivare per posta dalla città più vicina, ma non si sarebbe mai aspettato che una ragazza di quell’età potesse essere tanto loquace.

E soprattutto, non capiva davvero che cosa significasse una semplice pallina di nessun valore per quel gruppo di ragazzi; non sembravano certo tipi di campagna o di montagna, quelli venivano sicuramente dalla città: e così, si erano fatti tutti quei chilometri per una semplice sfera arancione? Certo che i giovani erano davvero complicati.

Il problema era che lui, smemorato com’era, non si ricordava affatto dove diavolo avesse messo quell’oggetto «Ehm... allora, vediamo...»

A quel punto, fu Chichi a prendere la parola, togliendo dal marsupio della propria migliore amica il radar cerca-sfere che aveva costruito lei stessa la notte precedente, e del quale in quel momento si sembrava completamente scordata «Non hai bisogno di torturare questo povero signore. Abbiamo il radar.»

La turchina, a quell’affermazione, arrossì in volto come un pomodoro maturo, maledicendosi silenziosamente per la propria maleducazione: aveva ridicolizzato suo fratello per essersi comportato da burbero, e poi lei era quasi saltata in braccio ad un povero vecchietto che era stato così ospitale «Santo cielo, mi scusi tanto!»

Ma lui le sorrise gentilmente «Non importa, cara, non preoccuparti: mi piace la tua esuberanza, mi ricordi molto la mia povera moglie.»

 

Avevano trovato la sfera a tre stelle nella camera da letto di Son Gohan, buttata malamente in uno dei cassetti e nascosta sotto quintali di biancheria ancora da lavare. Al contatto con la sfera dalle quattro stelle che già possedevano, questa brillò di una luce fortissima, reagendo alla vicinanza con la propria gemella... era uno spettacolo mai visto prima, una scoperta veramente intrigante, e l’avevano fatta loro! Era a dir poco incredibile.

La turchina se la rigirò tra le mani per qualche secondo, ammirandone lo scintillio e la bellezza, per poi tirare fuori dal proprio marsupio la propria sfera, mostrandole entrambe al vecchio Son Gohan, che osservava affascinato quel bagliore color dell’arancia.

«Vede?» lo incalzò allora Bulma «Queste sono due sfere del drago. Scintillano perché sono venute a contatto fra di loro; e noi le stiamo cercando per...»

Stava per rivelare il loro piano al vecchio: qualche secondo in più, e gli avrebbe raccontato che quelle sfere erano sette, e che erano in grado di esaudire dei desideri; quando, proprio alle spalle dell’anziano, suo fratello le fece un cenno con la testa, costringendola a bloccarsi. E probabilmente, era decisamente stato meglio così.

«Per... collezionarle! Sì, siamo dei collezionisti di oggetti rari!» prese la parola la mora, che nel frattempo era arrivata alla stessa conclusione di Vegeta, ovvero quella di non rivelare troppo a nessuno «E se non le dispiace... sa...»

Il vecchio non sembrò affatto abboccare all’amo, anzi, a quell’affermazione storse la bocca in un segno di dubbiosità; ma d’altronde, aveva quell’oggetto buttato nel cassetto della biancheria da anni, e non gli era mai tornato utile. Quindi, arrivati a quel punto, perché tenerselo? 

«Non preoccupatevi, prendetela pure. L’ho trovata in un vecchio tempio sconsacrato qui vicino, e ho pensato che si trattasse di un cimelio religioso interessante: ma si direbbe che voi siate di gran lunga più appassionati di me, quindi ve la cedo volentieri!»

 

Uscirono da lì che il cielo si stava tingendo di arancione, lasciando spazio ad un tramonto meraviglioso: il sole, dominatore del giorno, stava sparendo dietro le alte montagne per poter finalmente lasciare la scena alla sua sorella più vicina e più lontana, che quella sera sarebbe stata piena e luminosa. Ed i ragazzi, impressionati da quello spettacolo mai visto prima dalla città, rimasero per un po’ ad ammirare i colori di quel fenomeno naturale tanto spettacolare che Madre Natura aveva deciso di donargli.

Vegeta, dal canto suo, non credeva di essersi mai fermato a guardare il tramonto: era qualcosa che, nella Città dell’Ovest, perdeva il suo splendore, coperto da grandi palazzi e dalla foschia dello smog delle automobili; ma lì, sugli altipiani dei Monti Paoz, quel momento della giornata assumeva tutt’un altro sapore. Un sapore nuovo che, prima di quel viaggio, nessuno di loro aveva mai potuto assaggiare, troppo impegnati nelle proprie routine giornaliere scandite da studio e passatempi.

Si appoggiò ad un albero nei dintorni, incrociando le braccia al petto ed osservando da quella distanza i suoi tre compagni di viaggio, così stralunati e goffi, ma che gli avevano teso la mano quando gli altri voltavano la testa dall’altra parte. Non glielo diceva mai, non era nella sua natura, ma voleva un gran bene a quel gruppo mal assortito di squinternati, e non avrebbe mai lasciato che qualcuno gli facesse del male.

 

«Hey, ragazzo.»

 

La voce spontanea ed ancora squillante del vecchio Gohan lo aveva distratto dai suoi pensieri, portandolo a voltarsi nella sua direzione e lanciargli una spassionatissima stilettata: non c’era niente di personale, quello era ovvio, ma detestava quando un completo sconosciuto si prendeva la libertà di dargli una confidenza che non si meritava. 

 

«Posso parlarti un minuto?»

 

«Tsk.» fu la sua risposta, mentre si staccava dal tronco del melo a cui si era poggiato e si avvicinava al proprio interlocutore, in maniera strascicata e svogliata.

Non sapeva che cosa volesse, ma probabilmente se non gli avesse dato retta la sua situazione sarebbe peggiorata, perciò sperò soltanto che quel vecchio avrebbe ristretto il più possibile il proprio discorso.

«Sai... tu mi ricordi tantissimo il mio povero figlio.» cominciò lui «Si chiamava Goku, è morto molto tempo fa. Anche lui aveva quest’atteggiamento ostile nei confronti degli estranei... ed era molto forte, una promessa della lotta, a parer mio.»

Goku? Che nome idiota. Probabilmente quell’imbecille si era ammazzato per sbaglio andando a sbattere contro una porta di vetro.

«Mi sento in colpa ancora oggi, per aver lasciato che una simile tragedia accadesse. Aveva soltanto vent’anni... aveva tutta la vita di fronte a sé; e poi, nel giorno del mio compleanno, mi volle far felice portandomi in un’escursione insieme alla mia amata moglie. Un mostro ci attaccò, sai? Un mostro dalle fattezze di una scimmia. Soltanto io riuscii ad uscirne vivo, e dopo quindici anni, il senso di colpa continua a torturarmi.»

 

La luna sembrava chiamarlo. Sembrava voler assiduamente che lui alzasse lo sguardo verso di essa, ammirandone la luminosità e la bellezza che possedeva.

Pareva una dea: una dea venuta direttamente dal cielo ad illuminare la loro strada nel buio, a guidarli laddove nessuno avrebbe potuto aiutarli.

E allora il bambino, curioso e giocherellone, alzò finalmente lo sguardo: alzò lo sguardo, e poi, l’oscurità si fece largo nella sua mente, cancellando ogni ricordo di ciò che quella notte tanto serena aveva portato.

L’ultima cosa che poté udire, nel buio, furono le urla spaventate di sua madre.

 

Il giovane dai capelli corvini avvampò di colpo, infastidito dal fischio assordante che le proprie orecchie stavano emettendo, quasi come se volessero perforargli il cervello.

Perché una visione tanto assurda avrebbe dovuto venirgli in mente proprio adesso? 

Un mostro dalle fattezze di una scimmia, aveva detto il vecchio. Ma che stupidaggine, probabilmente era stata una bestia feroce ad attaccarli, e la paura aveva offuscato il suo giudizio.

Ma allora, perché quelle parole continuavano a rimbombargli nella testa?

«Fino ad oggi, non avevo mai sentito un’aura così portentosa.» continuò Son Gohan «Soltanto mio figlio era riuscito a portare il proprio spirito ad un tale livello, e ci era riuscito attraverso il duro allenamento. Ma tu... non sembri neanche far parte di questo mondo.

Sai, quella sfera... l’ho trovata facendo una gita insieme ad un caro amico, il mio maestro. In realtà ce n’erano due: ne prendemmo una per uno, l’altra la ha lui. 

Quando lo vedrai, ti piacerebbe chiedergli di allenarti?

Il suo nome è Muten. L’eremita della tartaruga.»

 

Continua...

~~~

Note autrice

Ciao ragazzi, eccomi tornata qui con un nuovo capitolo!
Finalmente è ufficialmente iniziata la ricerca delle sfere, e non potevo stavolta non attendermi almeno un po' alla storia originale, facendo incontrare i nostri protagonisti con niente poco di meno che Son Gohan, l'uomo che nel primo Dragon Ball ha cresciuto Goku :,) mi viene ancora la lacrimuccia se penso a quanti anni siano passati da quel primo episodio. 
Come avete letto voi stessi, qui, il nostro amato nonno Gohan aveva un figlio di nome Goku ed una moglie(e io ho sempre pensato che avesse deciso di allevare il piccolo saiyan proprio perché avesse in qualche modo perso la sua famiglia in una qualche tragedia), e i due sono stati uccisi da un mostro scimmia! Parecchio famigliare, non trovate? 
Stranamente, in questo capitolo non si parla dei saiyan che sono nel frattempo in missione, ma presto se ne parlerà di nuovo, anch'io sento la loro mancanza(lol) 
Beh, spero che questa prima piccola avventura vi sia piaciuta, e vi mando un grosso bacio ed un grandissimo GRAZIE per le recensioni che mi lasciate e per il supporto che state dando a questa long! Veramente, lo apprezzo più di qualsiasi altra cosa! 
Al prossimo capitolo <3 

-cancerianmoon

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Capitolo 5
*** Inseguimento-Tenshinhan ***


Capitolo 5°
Inseguimento-Tenshinhan

 

Il cielo era così vicino, rispetto a come se lo ricordava: riusciva a vedere le chiome degli alberi soltanto guardando in basso, dove le figure dei suoi genitori sembravano quasi formiche. Formiche da schiacciare e lasciare a morire riverse al suolo. 

Poi, più avanti, ecco che tre individui sconosciuti si avvicinavano al loro accampamento. E da quel momento in poi, tutto ciò che la sua mente corrotta riuscì a comunicargli, fu l’istinto di ignorare le urla sconcertate e spaventate di sua madre ed i richiami del suo vecchio, e di correre verso quelle tre figure non famigliari.

Tutto ciò che il suo corpo riuscì a percepire, da quel momento in poi, furono le grida d’aiuto di quelle persone innocenti, ed il rumore di ossa spezzate, ed il sapore di carne e sangue tra le sue fauci spalancate e sproporzionatamente enormi. 

 

Si era svegliato quasi urlando, emettendo un ruggito rimbombante e sbattendo violentemente la testa contro il letto superiore al suo mentre si alzava di scatto, svegliando così irrimediabilmente anche il proprio povero compagno di stanza.

Per tutta la sua vita, non aveva mai ricordato niente di ciò che sognava: il suo sonno era sempre stato così profondo, che ciò che succedeva durante quest’ultimo, dal momento in cui si svegliava fino a quello in cui andava a dormire, diventava soltanto mera fuffa.

Ma ultimamente, i suoi sogni erano così vividi e così maledettamente spaventosi, che quasi non sembravano frutto della sua immaginazione: era come se fossero dei ricordi, come se il suo subconscio stesse cercando di comunicargli qualcosa... ma di che cosa si trattasse, Vegeta proprio non riusciva a capirlo. 

Tirò fuori dal colletto della propria t-shirt consumata che utilizzava come pigiama il medaglione regalatogli dai suoi: era da quando aveva quell’affare al collo, che quegli strani pensieri gli facevano compagnia durante la notte. Che fosse quell’oggetto il motivo di tutto?

«Tsk.» lo ributtò all’interno della maglietta, alzandosi a sedere e massaggiandosi le tempie con insistenza, pregando affinché quel maledetto mal di testa passasse. Ma che diavolo andava a pensare? Era soltanto una stupida collana, e lui era stressato e stanco... tutto qui. 

«Fratello...» lo incalzò Yamcha, affacciandosi dal bordo del proprio letto per poterlo guardare con occhi assonnati e velati da un minimo di preoccupazione «Ti senti bene?»

 

Lui non rispose. Si limitò ad alzarsi dal letto e a dirigersi in bagno, dove una lunga e rigenerante doccia bollente avrebbe cancellato quegli stupidi pensieri e la sua giornata sarebbe iniziata come sempre. 

Quel giorno, si sarebbero dovuti dirigere a sud, nei pressi di una piccola isola, dove la prossima sfera del drago li attendeva per potersi finalmente donare alle loro grinfie.

Quel giorno, avrebbe sicuramente incontrato la persona che il vecchio Gohan voleva che incontrasse: il maestro Muten, l’eremita della tartaruga.

Gli aveva detto che quel tizio avrebbe potuto allenarlo, che lui aveva il potenziale per poterlo affrontare e che la sua aura sembrava provenire da un altro mondo.

Quel vecchio pazzo gli voleva forse far chiedere che fosse in grado di leggere le aure? Che scemenza.

Eppure, c’era una piccola parte di sé che voleva capirne di più, che era incuriosita dall’incontro che avrebbe fatto con quel maestro; c’era quella minuscola parte del suo subconscio che gli imponeva di credere, di credere che ci fosse dell’altro, oltre a quello che già conosceva. Che le sfere magiche erano soltanto la punta dell’iceberg, e che oltre quelle, il mondo fosse ricco di molte altre cose che i comuni mortali come loro probabilmente non conoscevano per ovvie ragioni.

Ma se Son Gohan aveva parlato con lui, allora questo voleva soltanto dire che, in quel caso, lui non fosse affatto un comune mortale.

Era uscito dalla doccia con decisamente più dubbi di prima: quel risveglio non era stato affatto dei migliori, e la cosa peggiore era che mancavano cinque sfere all’appello; e qualcosa gli diceva pure che non sarebbe stato sempre così facile come con Son Gohan, che avrebbero incontrato molti più ostacoli di quanto pensassero inizialmente.

 

*

 

Il pianeta Terra si trovava nella via Lattea, ed era l’unico pianeta abitato di quel sistema solare: un piccolo puntino azzurro in mezzo ad un universo decisamente più grande di esso. 

Il livello di combattimento generale degli abitanti di quel pianeta era piuttosto basso: si aggirava, infatti, intorno alle 3 e le 5 unità. Non sarebbe stato difficile, quindi, individuare il loro principe: essendo un saiyan, avrebbe di sicuro avuto un livello di combattimento di gran lunga superiore al resto di quel branco di inutili amebe.

E considerando le parole che gli aveva rivolto il libro, neanche Freezer era riuscito a rintracciare la presenza del loro principe: avevano ancora la speranza di arrivare prima di lui e di coglierlo impreparato. Quella battaglia sarebbe stata decisiva, ed era vietato sbagliare; ed anche se il principe si fosse rifiutato di aiutarli nella loro missione, lo avrebbero implorato fino alla fine di prenderne parte... se fosse stato necessario, erano pronti anche a ricattarlo, scavalcando così anche le regole della scala gerarchica imposte dalla loro cultura.

  

«Sei sicuro che la rotta è giusta?» 

«Sì che ne sono sicuro, imbecille. Ora ti conviene trovarti qualcosa da fare, perché il viaggio sarà piuttosto lungo.»

 

Quello che Kaharoth teneva di più, di tutto il fulcro di quella missione, era che i suoi compagni, spinti da un istinto saiyan che a lui non apparteneva totalmente, potessero avere l’impulso di deconcentrarsi dal loro obbiettivo ed uccidere persone innocenti.

Era successo più volte, durante il loro viaggio alla ricerca di una risposta, che Nappa perdesse il senno ed attaccasse gli abitanti di altri pianeti, spinto dal proprio istinto di combattente che gli era stato impresso dalla cultura della loro popolazione. Non credeva che fosse totalmente colpa sua, era impossibile d’altronde che un guerriero anziano perdesse la propria ideologia così facilmente, ma spargere del sangue innocente non era ciò che aveva imparato Kaharoth, così giovane ed inesperto quando i suoi genitori caddero sotto le grinfie dell’impero di Freezer. 

Suo padre, generale dell’esercito del re, non gli aveva ancora insegnato nulla, e suo fratello l’aveva portato via da Vegetasei prima che accadesse il peggio.

A volte, quando chiudeva gli occhi, poteva ancora sentire le proprie grida; grida che chiamavano incessantemente il nome di sua madre.

 

«Non possiamo lasciarla qui!» aveva gridato il bambino, correndo verso la propria abitazione andata in pezzi «Radish! Aiutami! Dobbiamo portare la mamma con noi!»

Ma suo fratello non pareva udirlo. Anzi, suo fratello pareva addirittura ignorare le sue preghiere, mentre il giovanissimo saiyan tentava in tutti i modi di combattere contro il soldato che si era messo tra lui e sua madre, sepolta sotto il cumulo di macerie che una volta era casa sua. 

«Cosa intendi fare, moccioso?» lo schernì il grassone dalla pelle bulbosa e rosa, mentre gli bloccava il braccio, pronto a spezzarglielo in una semplice e concisa mossa «Si direbbe che tu voglia proprio morire!» 

Prima che l’osso del proprio avambraccio potesse emettere un sonoro ‘crack’, il ragazzino guardò in direzione della donna che gli aveva dato la vita: i suoi occhi scuri erano aperti, fissi su di lui, e lo stavano pregando di lasciarla morire, di scappare e mettersi al sicuro.

Poi, sentì il proprio corpo venire sbattuto violentemente a terra, schiena contro terreno, mentre il guerriero dalla pelle rosa scuro si avvicinava pericolosamente alla sua mamma, pronto a scagliare il colpo di grazia: una sfera di energia che, una volta lanciata, avrebbe colpito la donna dritta sulla nuca, non dandole via di scampo.

«No! Lasciala! Lasciala stare! Mamma!»

«Kaharoth!» le braccia possenti di suo fratello lo avevano sollevato da terra, e lui era inevitabilmente finito su una delle spalle del maggiore, in una presa troppo stretta che gli impediva non soltanto di muoversi, ma perfino di respirare «Dobbiamo andarcene di qui!»

«Ma non possiamo! La mamma è-»

«Radish!» furono queste le ultime parole uscite dalla bocca della donna, mentre lacrime disperate di sconfitta fuoriuscivano dai suoi grandi occhi color della pece «Portalo via! Porta via tuo fratello! Andatevene di-» 

E poi, soltanto un grido. Un ultimo, terribile grido.

E sua madre, la donna che aveva amato di più al mondo, colei che gli aveva insegnato la pietà, colei che non credeva negli ideali del loro popolo, non c’era più.

E lui non aveva potuto fare nulla per evitarlo. Lui, quel maledetto incapace.

«NO! MAMMA!»

 

*

 

La casa incapsulata di Bulma, dopo l’utilizzo di quella notte, era tornata tranquillamente nella scatola che la turchina teneva nel marsupio: l’invenzione delle capsule era stata certamente rivoluzionaria, e soprattutto di prestigio per l’azienda di suo padre, che ne era l’inventore. L’impero della Capsule Corporation era partito proprio da quei piccoli ed utilissimi oggetti colorati che si erano portati dietro per il viaggio, e di questo, la giovane aspirante scienziata ne andava assolutamente fiera.

Il dragon radar segnalava la terza sfera in un raggio di alcuni chilometri a sud dei Monti Paoz, su un’isoletta nel bel mezzo dell’oceano, molto piccola e quindi molto facile da perlustrare: in fondo, gli stava andando meglio del previsto.

«Credo che sia disabitata.» aveva asserito la turchina, mentre salivano sul loro fedele elicottero «È piccolissima. Saranno pochi metri quadrati di terreno.»

«Un’isola grande come un appartamento?» era stato il commento di Yamcha «Tra quella e il vecchio, non so quale delle sfere sia più facile da prendere!»

«Io non dico che sarà così facile, ragazzi...» prese la parola Chichi, che nel frattempo stava tenendo d’occhio il radar «C’è una sfera in movimento a pochi chilometri da qui, proprio sui Monti Paoz.»

Una sfera in movimento. Quella sì che era una scocciatura. 

A quelle parole, la turchina lanciò in direzione del fratello un paio di capsule contenenti due moto, sulle quali si sarebbero mossi tutti e quattro per poter inseguire chiunque stesse cercando di portare via la loro sfera del drago. Arrivati a quel punto, era una questione di principio: sarebbero stati loro a raggrupparle tutt’e sette, e non avrebbero permesso a nessun altro di appropriarsene.

 

«Beh, amico!» aveva esclamato Yamcha, salendo sulla propria motocicletta con la turchina al seguito, rallegrata dal fatto che potesse abbracciarlo e reggersi a lui «Pare proprio che questa sarà una gara!»

«Dovresti proprio tornare all’asilo!» lo schernì l’altro «Vedi di non farmi rallentare troppo: stai al passo, pivello!»

E, detto questo, il ragazzo dai capelli a forma di fiamma era partito a tutta velocità, costringendo la sua povera e paranoica amica a strillare spaventata, aggrappandosi ai lembi della sua maglietta e chiudendo gli occhi sperando che quell’inferno finisse il prima possibile.

E, qualche chilometro più avanti, ecco che intravidero quello che stavano cercando: una moto con a bordo due persone, un ragazzo e una ragazza, stava sfrecciando a tutta velocità sul terreno sterrato delle montagne: a giudicare dal dragon radar, erano proprio loro a possedere la sfera che si stava muovendo sul monitor.

«Sono quelli laggiù!» gridò Bulma, indicando i loro rivali con un braccio «Vegeta, tagliagli la strada!»

E lui non poté non ubbidire ad un ordine così accorato, soprattutto quando quell’ordine imponeva a lui di divertirsi: allontanandosi dagli altri due, il ragazzo sterzò verso un gruppo fittissimo di alberi, nel bel mezzo dei quali si trovava un sentiero che portava dritto dritto verso il dirupo che sovrastava la strada dei due motociclisti di fronte a sé.

La polvere dietro la ruota posteriore si alzava, mentre lui continuava ad accelerare copiosamente, sterzando poi verso la fine del piccolo sentiero, arrivando proprio sul ciglio del burrone che si affacciava sulla strada sottostante.

«Non vorrai mica saltare da qui?!» aveva sbraitato la povera Chichi, quasi sull’orlo del voltastomaco, mentre tossiva fuori dai polmoni tutta la polvere che aveva inalato. Ma non ricevette risposta, perché il ragazzo seduto davanti a lei accelerò ancora di più, saltando giù dallo strapiombo ed atterrando proprio di fronte ai loro nuovi rivali, che furono costretti a frenare improvvisamente, ritrovandosi fuoristrada e con le spalle al muro.

Ma lei, seduta alla guida, saltò immediatamente giù dal mezzo, parandosi di fronte a Vegeta con aria di sfida: in mano teneva una mitragliatrice, ed il fatto preoccupante era che non si trattasse affatto di un’arma giocattolo.

Ed anche il fatto che gliela stesse puntando addosso, effettivamente, non aiutava per niente.

«Sei pazza?!» urlò la mora, nascondendosi istintivamente dietro il proprio compagno «Metti giù quell’affare! Non vorrai mica ucciderci sul serio?!»

Ma la giovane bionda non si fece affatto scrupoli a lanciarle una stilettata, senza assolutamente togliere le mani dall’arma letale che teneva ben salda «Tu che ne dici?»

In men che non si dica, anche la moto guidata da Yamcha li raggiunse qualche istante dopo, dando il tempo a lui e alla turchina di raggiungere di corsa i propri amici, notando anche la pazzoide che gli stava puntando addosso una Browning M1919. Fortunatamente il suo compagno, dopo averla raggiunta, le fece abbassare in modo pacato l’arma, facendo un passo verso di loro. Era un ragazzo alto, senza capelli, e con lo sguardo di pece fissato verso il gruppo di amici: di certo non sembrava nulla di buono neanche lui, ma almeno non aveva un mitra in mano.

«Che cosa volete?» chiese minaccioso, incrociando le braccia al petto.

Fu Vegeta a prendere la parola, iniziando a girargli intorno come un avvoltoio gira intorno ad una carcassa «Credo che tu abbia qualcosa che ci appartiene, amico. La sfera del drago in vostro possesso viene con noi.»

La bionda pensava non se ne fosse neanche accorto, tanto impegnato a lanciare stilettate nei confronti del proprio compagno di viaggio, e così puntò nuovamente la sua Browning in direzione di quello che considerava nientemeno che un nemico da schiacciare; e sarebbe stata pronta a sparare, se soltanto lui, con uno scatto felino, non le fosse corso addosso, costringendola ad alzare il braccio verso il cielo e deviando il colpo, per poi lanciare quel fucile lontano dal loro raggio visivo. Ora, la biondina era disarmata e sistemata. 

Non avrebbe mai combattuto contro una donna, ma se suddetta donna si fosse poi rivelata un avversario pericoloso, non si sarebbe fatto scrupoli a metterla a tappeto. 

«Ten!» esclamò lei, diretta verso il proprio complice «Vai!»

 

E improvvisamente, a quel richiamo, il ragazzo senza capelli aveva cominciato a saltare di ramo in ramo. Segno che i due avessero come piano di riserva quello di separarsi, in modo che metà del gruppo inseguisse l’uno e l’altro affrontasse l’altra che, tirando fuori dalla cintura una pistola, sparò in direzione del radar cerca-sfere, colpendolo proprio nel centro del monitor e costringendo Bulma a lasciare la presa.

«È con quello che riuscite a localizzare le sfere, vero?» ghignò lei «E adesso come farete a scoprire chi dei due la ha?»

«Dannazione!» la turchina corse verso la propria creazione, tirandola su da terra e constatando il danno che aveva provocato il proiettile «L’hai rotto! Giuro che questa me la paghi, bionda finta!»

«Vegeta, Yamcha!» Chichi si era legata i capelli, assumendo un’espressione carica di sfida nei confronti della ragazza di fronte a sé «Inseguite lui, qui ci pensiamo noi. In guardia, tesoro! Scommetto che senza i tuoi stupidi giocattoli, non saresti capace di far del male neanche a una mosca!»

«Hah!» di tutta risposta, lei buttò a terra la pistola che aveva appena usato, mettendosi immediatamente in guardia «Mi spiace deluderti, ragazzina, ma sono stata campionessa di lotta libera, e non ho intenzione di farmi soffiare la sfera da una stupida racchia come te!»

«Oh, questo lo vedremo!»

 

Prendendo la rincorsa, la giovane dai capelli corvini caricò un pugno in direzione della propria avversaria, che prontamente schivò, colpendola con un calcio al fianco che la fece barcollare. 

«Tutto qui quello che sai fare?» la schernì la bionda.

Ma lei non demorse: erano anni che non partecipava ad un vero combattimento, ma gli insegnamenti di suo padre le erano sempre tornati utili in qualche modo; e non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da una ciarlatana con delle pistole in tasca. 

Sfoderando tutta la sua determinazione, sferrò una scarica di colpi in direzione dell’avversaria, colpendola infine sul petto, spingendola all’indietro. Ma lei rispose con un secondo calcio, stavolta mirato alla testa, che però Chichi parò con l’avambraccio, per poi afferrare la sua caviglia con l’altra mano, lanciandola con forza sul terreno, facendola sbattere col fianco sulla terra umida. Così, la bloccò a terra con un piede, spingendo sul suo stomaco, mentre la bionda, con la forza di entrambe le mani, cercava di smuoverla afferrandola per il polpaccio, ma senza troppi risultati.

Allora la corvina si abbassò al suo livello, tirandola nuovamente su da terra ed afferrandole entrambe le braccia per potergliele tirare dietro la schiena, bloccandola nuovamente, mentre con l’altro braccio le stringeva la gola.

«Chiamami un’altra volta racchia e giuro che ti strangolo per davvero.» ringhiò al suo orecchio, stringendo leggermente di più la gola dell’avversaria «Dov’è la sfera del drago?»

Lei rise divertita, tossendo per il troppo sforzo «Ti faccio i miei complimenti: sei forte. Ma mi dispiace per te: la sfera non ce l’ho io. E dubito che contro Ten quei vostri amici abbiano qualche speranza.»

 

*

 

Lo avevano inseguito fino a sopra la cima della montagna, arrampicandosi di albero in albero e di roccia in roccia. Quel tizio era davvero veloce: chissà dove aveva imparato ad essere così agile. 

Ma comunque, anche loro due avevano i propri assi nella manica, e non si sarebbero fatti mettere i piedi in testa da uno spilungone palestrato imbottito di steroidi. 

Una volta arrivati sulla cima, in una grossa prateria isolata, videro il proprio avversario togliere dalla casacca che si portava dietro un oggetto sferico dal colore arancio brillante, mostrandoglielo con orgoglio e con un ghigno soddisfatto.

«È questa che stavate cercando?» li schernì con divertimento «Quando io e Lunch ci siamo messi in viaggio, immaginavamo che ci sarebbero state altre persone alla ricerca delle sfere del drago leggendarie.»

«Ooh...» Vegeta si avvicinò lentamente a lui, ghignando mestamente e con tono sarcastico «Ma pensa! Non me ne frega un cazzo! Ora dammi quella sfera.»

«Perché invece non facciamo un patto?» fu la risposta del pelato «Tu battiti con me. Se vinci tu, ti darò la sfera del drago e potrai farci quello che ti pare, ma se vinco io, la sfera resta qui dov’è. E mi dovrai dare tutte quelle che hai già raccolto. Che ne dici, nanetto?»

«Ah, e cosa vorresti desiderare con le sfere? Dei capelli nuovi?»

«Ma quanto siamo simpatici...» e, detto questo, lanciò la sfera a Yamcha, che la afferrò al volo «Abbiamo un accordo?»

Certo, avrebbe potuto benissimo dire a Yamcha di scappare via con la sfera, ma quello spilungone lo stava tentando non poco: in fondo, le sfide gli piacevano dannatamente, e sapeva benissimo di avere più di una possibilità di vincere. Quindi perché non giocare pulito?

In fondo, nel caso in cui il pelato avesse deciso di barare, lui avrebbe benissimo potuto prendere la sfera ed andarsene.

«Sì.» si mise in guardia, sorridendo beffardo «Ce l’abbiamo.»

 

«Scusate...» il povero Yamcha, con in mano la sfera del drago, li stava osservando attonito «Ma perché io non sono stato affatto preso in causa?!»

 

Saltando in direzione dell’avversario, Vegeta attaccò per primo con un avvitamento che sfociò in un calcio sferrato esattamente al collo dell’avversario che, dopo aver incassato il colpo, si rimise immediatamente in piedi roteando su sé stesso e lanciandosi immediatamente verso di lui, sferrando un pugno che il ragazzo dai capelli a fiamma parò con entrambe le braccia, incrociandole di fronte al viso e puntando i piedi sul terreno.

La forza di quello spilungone era piuttosto notevole: probabilmente, quello era il primo avversario valido che gli fosse mai capitato davanti, e questo era eccitante; non sapeva perché, ma l’adrenalina che scaturiva da uno scontro era tutto ciò che lo manteneva vivo, e l’eccitazione di trovarsi davanti a dei validi combattenti gli faceva trovare la determinazione che gli era sempre mancata nella ricerca di quelle stupide sfere.

Era diventata una questione di principio.

«Notevole.» commentò il pelato, sorridendogli ironicamente «Ma non riuscirai a sconfiggermi così facilmente!»

Detto questo, lo colpì allo stomaco con un montante, per poi ricevere in risposta un destro esattamente al centro del naso, che lo costrinse ad indietreggiare un minimo. Probabilmente, quel tizio non si aspettava che lui potesse essere alla sua altezza, se non addirittura superiore.

Poi, Vegeta vide il proprio avversario mettersi in una strana posizione, con le mani parate di fronte al viso, e chiudere gli occhi «Colpo del sole!»

Inizialmente, il giovane dai capelli corvini pensò che fosse impazzito ma poi, improvvisamente, un fascio di luce tanto accecante da oscurare la sua vista si palesò di fronte a lui, costringendolo a portarsi entrambe le mani sugli occhi, strofinandoli copiosamente. Che cosa diavolo gli aveva appena fatto?! 

Sentì poi un grosso colpo allo stomaco, sferrato con decisione, talmente improvviso da fargli sputare una grossa quantità di saliva. 

L’accecamento durò qualche istante, poi la vista riuscì finalmente a tornare e, in quel momento, il ragazzo si rialzò, balzando in aria il tanto necessario da poter caricare un calcio proprio sul centro del cranio dell’avversario, bloccandolo a terra.

Ma la curiosità per ciò che quel pazzo gli avesse appena fatto rimaneva: come diavolo era riuscito a creare dal nulla quello che sembrava un attacco energetico? Avrebbe tanto voluto farselo spiegare, ma il pelato si rialzò di colpo, afferrandogli la caviglia e ribaltando le posizioni, bloccandogli un piede tra le costole per evitare che si rialzasse.

«Oh, no.» sibilò Vegeta fra i denti «Non mi avrai.»

E, detto questo, gli afferrò entrambi i polsi, rialzandosi da terra e facendolo roteare un paio di volte prima di lanciarlo nel vuoto. E proprio quando pensava che il proprio nemico fosse sul punto di andare a sbattere contro una parete rocciosa, ecco che questo si bloccò a mezz’aria, mostrando un suo nuovo quanto sorprendente potere: quel bastardo stava levitando! 

«Oooh, forse il povero ragazzino non è in grado di volare?» lo canzonò il pelato «Mi dispiace... e dire che pensavo che tu fossi alla mia altezza!»

Volare. Quel maledetto voleva fargli credere che esistesse un modo per gli esseri umani di volare? Era assurdo, eppure... quel tizio stava volando per davvero.

Esistevano davvero quel tipo di poteri? Era di questo che aveva parlato il vecchio Gohan, quando gli aveva parlato di allenamento? Il maestro dell’isola avrebbe potuto insegnargli tutte quelle cose?

E in quel momento, le sue orecchie ricominciarono a fischiare, ed una voce femminile e calda risuonò nella sua testa, costringendolo a distrarsi dal combattimento in corso.

 

«Tu lo sai già fare. Concentrati, giovane guerriero, e sconfiggerai il tuo avversario. Concentrati sul potere che tieni nascosto nel tuo corpo... esso è più forte di quanto tu possa immaginare.

Concentrati sul tuo obbiettivo e colpisci!»

 

Non sapeva a chi appartenesse quella voce, e non sapeva nemmeno se fosse improvvisamente impazzito e se la stesse soltanto sognando o fosse reale, ma in qualche modo, quelle parole accesero in lui un’energia che fino a quel momento non aveva mai neanche creduto di possedere: sentiva un valore immenso pervadere il suo corpo, mentre il mondo intorno a sé diventava sempre più distante, e la sua mente si concentrava pienamente sull’avversario che doveva sconfiggere e sull’energia che saliva indiscriminata, mentre le piccole rocce intorno al suo corpo iniziavano a fluttuare, ed il terreno sotto i suoi piedi si spaccava pericolosamente.

 

«Ora... libera i tuoi poteri. Usa la potenza dell’aura, e mettilo al tappeto!»

 

In un gesto meccanico, Vegeta portò entrambe le mani sul fianco destro, l’una sopra all’altra, mentre una grossa sfera d’energia dalla luce argentata si veniva a creare, diventando ogni secondo più grande. E nel momento in cui riuscì a percepire la potenza arrivare al proprio culmine... fu allora che scagliò un enorme fascio di energia in direzione dell’avversario che, preso alla sprovvista, non riuscì a schivare, e finì inevitabilmente colpito e scaraventato contro la montagna dietro le proprie spalle, crepandola e facendo crollare con il suo corpo anche una grande parte di parete rocciosa.

Per un attimo, il ragazzo credette di averlo davvero ammazzato.

Yamcha, che nel frattempo aveva assistito al combattimento con occhi sbarrati e con grande stupore, si voltò dapprima in direzione del proprio amico, e poi in quella del povero tizio riverso a terra in mezzo alle macerie rocciose della montagna. 

Sembrava completamente privo di sensi.

«Oh, merda!» esclamò, correndo verso di lui «Mi sa che l’hai ucciso davvero!»

 

Oh, dannazione. Adesso, se davvero avesse potuto esprimere un desiderio con le sfere del drago, avrebbe dovuto sprecarlo per riportare in vita quel mammalucco: congratulazioni, Vegeta! Ancora una volta sei riuscito a non controllare la tua forza!

Ma come fosse riuscito a creare quella palla d’energia, proprio non riusciva a capirlo: prima di allora, non sapeva neanche che roba del genere esistesse, e adesso quella voce, e quell’attacco, e tutti quegli strani sogni che stava facendo in quell’ultimo periodo... era come se qualcuno, o qualcosa, stesse cercando di comunicare con lui attraverso dei ricordi.

Ricordi che, però, non sembravano affatto i suoi.

Ma mentre correva appresso al proprio migliore amico, si rese improvvisamente conto che quello non fosse affatto il momento di pensare a quelle stronzate: aveva appena ammazzato una persona, maledizione! 

Con l’unica eccezione che, però, quell’energumeno non fosse affatto morto: infatti, non appena li vide avvicinarsi, il pelato si alzò debolmente a sedere, massaggiandosi la testa probabilmente dolente.

Ma di che diavolo era fatto, quello? Di cemento armato?!

 

«Accidenti...» commentò, spaesato, sorridendogli con una vena di ammirazione «Allora ce l’avevi, un asso nella manica!»

Già. Peccato che non sapesse neanche di averlo, vero? 

«Beh, congratulazioni.» si alzò in piedi, seppur dolorante, dimostrando una grande forza d’animo «La sfera è tua, come da accordi. Però, ti assicuro che la prossima volta vincerò io: non mi farò di certo battere da un ragazzino!»

Forse, involontariamente, aveva fatto in modo di dosare la sua forza proprio per non ucciderlo. O forse, aveva avuto soltanto fortuna; chissà... tutto ciò sembrava così irreale che si chiese, per un attimo, se non si trattasse soltanto di un sogno. 

«Io sono Tenshinhan.» gli tese la mano, aspettando che lui gliela stringesse; e lo fece: in fondo, era stato pur sempre un degno avversario «È un piacere conoscere un combattente così dotato.»

«Vegeta.»

«Già, e io sono Yamcha!» esclamò il ragazzo con in mano la sfera, circondando le spalle del suo amico con un braccio «Il piacere è tutto mio!»

Ma il grosso ragazzo dalla testa calva sembrò ignorare totalmente l’esuberanza di quest’ultimo, rivolgendosi ancora e solamente a colui che l’aveva appena battuto «Spero di vederti al torneo Tenkaichi di quest’anno. Sarà lì che ti batterò. 

Per il momento, ti saluto... Vegeta.»

 

E si era librato in volo, andando via verso l’orizzonte.

 

Continua... 


~~~~

Note autrice 

Buongiorno a tutti e buon inizio settimana! Spero abbiate avuto un buon weekend e spero stiate bene: finalmente anche in Italia abbiamo fatto un passo avanti, e da oggi alcune restrizioni saranno abolite grazie all'impegno dei lavoratori ai vaccini! E quale modo migliore di festeggiare se non con un capitolo nuovo di zecca?
La scorsa settimana abbiamo conosciuto Son Gohan, oggi conosciamo finalmente Tenshinhan. Come ho detto, non ignorerò completamente la storia originale ed i suoi personaggi, li stravolgerò e basta. E questo è proprio quello che è successo con il nostro triclope preferito.
Come avete notato, anche Lunch era presente, e finalmente si è assistito al primo combattimento della long, al quale anche Chichi ha preso parte! In fondo, durante la prima stagione, lei ha sconfitto Goku, quindi sconfiggere Lunch è soltanto un giochetto per la nostra ragazzona ;) 
Vegeta ha sentito una voce nella sua testa, che l'ha spronato a ritrovare delle capacità che credeva di non avere: ma chi è questa persona che sta cercando di mettersi in contatto con lui? Presto o tardi, tutti i nodi verranno al pettine, e la storia si srotolerà come un pezzo di pergamena, ma fino ad allora, godetevi questo quinto capitolo, ed i nostri eroi ora sono alla volta dell'isola del Genio come da programma! Ma voi ce lo vedreste Vegeta ad imparare la Kamehameha? xD 
Vi ringrazio tantissimo del supporto che state dando a questa long e, mi raccomando, se avete delle teorie su come si svolgerà la storia e su chi era la voce che il principino ha sentito, non esitate a parlarmene nelle recensioni: sarei veramente curiosa di sapere che cosa ne pensate in merito ^^
Alla prossima!

-cancerianmoon

 

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Capitolo 6
*** Luna rosso sangue ***


Capitolo 6°
Luna rosso sangue 

 

La dimensione dei draghi era sempre stata un grande mistero, persino per le divinità.

Non si riusciva a capire dove iniziasse e dove finisse quel mondo, e tutti coloro che ci abitavano erano al servizio dei draghi magici, frutto della magia divina che, una volta presa la vita, aspettavano in quel luogo che qualcuno li invocasse per prostrarsi di fronte ai mortali. 

La loro città era sconfinata, e il tempo e lo spazio non esistevano: a est c’era il sole, mentre a ovest era costantemente notte; ed era lì, solitamente, che si recavano i draghi: dove la vita notturna continuava imperturbata ed i loro vizi potevano essere soddisfatti in qualsiasi momento. 

La donna dai lunghi capelli argentati che era appena entrata in quella dimensione non poteva di certo passare inosservata, in un mondo in cui esseri con fattezze umanoidi non osavano addentrarsi; ma lei doveva assolvere ad un compito, e se non lo avesse fatto, l’universo in cui tutti loro vivevano sarebbe stato distrutto per sempre. E con esso, anche tutti i suoi abitanti. 

Così si era diretta verso quello che in un mondo terreno si sarebbe chiamato locale, ed era entrata alla ricerca del drago con il quale avrebbe dovuto parlare; e l’aveva trovato, seduto accanto ad un suo simile, a bere un liquido probabilmente inibitore di cui creature come lui andavano pazze. 

Il drago Shenron, frutto della creazione del Supremo della Terra e drago protettore del pianeta, che esaudiva i desideri dei suoi abitanti. 

 

«Era da parecchio che non vedevo una faccia amica.» l’aveva accolta l’essere dalla pelle squamosa e verde, portando i suoi grandi occhi rosso fuoco sulla figura alta e snella della bellissima donna di fronte a sé «A cosa dobbiamo la visita di una divinità?»

«Drago Shenron... noto con piacere che non hai intenzione di smettere con i tuoi vizi.» gli aveva tolto dalle zampe lunghe ed ossute il bicchiere che teneva in mano. Aveva bisogno di parlargli, sì, ma in un luogo appartato ed in cui sarebbero stati completamente da soli. 

Così, facendo ammenda ad i suoi poteri, aveva sciolto l’illusione, ritrovandosi, insieme ad esso, in uno spazio infinito e coperto dal candido colore della neve: uno spazio che, grazie alla magia dei draghi, veniva trasformato nella grande città in cui quelle creature amavano vivere e divertirsi. Ma che era soltanto una mera illusione, un bel sogno, quello che le creature terrene avrebbero chiamato una fregatura

«Ebbene, possente Dea che illumini la via nelle notti più oscure. Che cosa ti porta nella nostra umile dimensione?»

«Il risveglio di Calene è vicino, Drago Shenron. Il tiranno Freezer è in possesso del Sigillo Oscuro, e grazie ad esso le sta donando il suo potere per far sì che risorga dal suo sonno.» 

«Oh, capisco, il Sigillo Oscuro...» il drago aveva un’aria canzonatoria, quasi di antipatia nei confronti della divinità che aveva dinnanzi, come se non ne avesse affatto timore «Questo è il prezzo da pagare, quando si da la propria fiducia a degli esseri inferiori come i mortali... questo dovresti saperlo anche da sola. Ebbene? Che cosa desideri da me, un umile e semplice drago?»

«Ho bisogno che tu mi restituisca i ricordi di una persona: l’unica persona che ha la possibilità di salvare quest’universo: se al risveglio di Calene, non ci sarà nessuno ad affrontare l’impero di Freezer e a prendere il controllo sul Sigillo, tutti i sistemi solari collasseranno sotto la tirannia di quel mostro e della Dea a cui ha giurato fedeltà. Ci stiamo avvicinando ad un’era oscura, e se il Caos trionferà, neanche voi draghi esisterete più.» 

«Sei una grande oratrice, Selene.» la canzonò nuovamente Shenron «Ma, in questo momento, io sono nella mia dimensione, e ti ricordo che finché sarò qui nulla potrà uccidermi. E nel caso in cui tu non ci fossi ancora arrivata, non ho alcuna intenzione di ridarti i ricordi sottratti ad un mortale: va contro il regolamento, e tu sai come noi draghi siamo fiscali con certi dettagli... temo che dovrai sbrigartela da sola.»

I draghi... che creature subdole ed egoiste: forse i mortali li vedevano come sorta di divinità, ma le divinità autentiche non li consideravano altro che miseri insetti. Insetti da schiacciare al momento opportuno. 

Shenron in particolare, credeva di essere tanto furbo da scappare da ogni situazione spiacevole, e lei era lì di fronte a lui proprio per far crollare ogni sua misera convinzione.

«Hai ragione: finché sei qui, neanche io posso ucciderti, nemmeno se ti colpissi col più forte dei miei poteri, o ti trapassassi il petto con una spada. Ma il tuo creatore... lui potrebbe mettere fine alla tua esistenza con soltanto la forza del pensiero; e io sono più in alto di lui, quindi basterebbe una mia richiesta affinché acconsentisse a farlo.» non amava ricorrere alle minacce, e non amava neanche l’aria rarefatta che si respirava in quel luogo, ma quei ricordi erano troppo importanti, e lei doveva recuperarli in un modo o nell’altro «Allora, Drago Shenron... prendi una decisione: mi consegni i ricordi che tieni nascosti in quelle sfere di vetro, oppure me li vengo a prendere con la forza?»

 

*

 

Dormire in una navicella spaziale era sempre stato scomodo, ma dormire in una navicella spaziale mentre fuori infuriava una tempesta di meteoriti era ancora peggio: nessuno di loro era preoccupato per le innate capacità di Radish di pilotare e di tenere a bada quei fenomeni atmosferici, ma le turbolenze avrebbero reso impossibile il sonno a chiunque. Persino a Nappa, che quando dormiva, non sarebbe riuscito ad accorgersi neanche di un attacco da parte dell’esercito di Freezer.

Nessuno di loro, però, si sarebbe mai aspettato che, proprio in quel momento, nella loro nave apparisse un’ospite inaspettata, bellissima nel suo abito argentato e con gli occhi grigi puntati proprio nei loro, così scuri se confrontati ad i suoi. Non l’avevano mai vista di persona, ma ne avevano sentito parlare: d’altronde, chi non avrebbe sentito parlare di una divinità, nel corso della propria vita? 

Immediatamente, i due guerrieri non impegnati nel pilotaggio della nave si misero in guardia, aspettandosi che quella donna fosse venuta per combatterli, ma lei alzò le mani, mostrandosi totalmente disarmata e con nessuna intenzione di attaccarli. 

«Oh, non abbiate paura di me… io sono dalla vostra parte.» asserì serena «Non farei mai del male ad un essere vivente, va contro i miei principi. Noi divinità esistiamo per proteggere i mortali, non per dare inizio a delle guerre.»

Eppure, nei grandi libri di storia, i tre saiyan avevano letto che fossero state proprio delle divinità a causare le guerre che erano scoppiate in mezzo ai mortali. Le religioni erano state la causa di molti spargimenti di sangue.

«Cosa siete venuta a fare?» chiese Nappa, avvicinandosi minacciosamente e dimostrando di non aver alcun timore di attaccarla qualora fosse stato necessario farlo «Per quale motivo la Dea della luna dovrebbe venire a parlare con noi?»

«Sono venuta ad aiutarvi: so che siete alla ricerca del vostro principe, e so che vorrete convincerlo a combattere Freezer e a liberare il vostro popolo dalla disgrazia che si è abbattuta su di esso. Ma convincerlo a farlo non sarà facile.»

Fu Kaharoth, allora, a prendere la parola: lui aveva già abbassato la guardia. In fondo, non potevano niente contro un essere divino, e lui si fidava di quella donna; il popolo dei saiyan aveva sempre venerato la luna, e Selene era una figura molto importante nella loro cultura: era colei che proteggeva tutte le lune dell’universo, la guardiana della luce lunare e dei poteri che da essa derivavano… e qualcosa gli diceva, che quella donna non fosse affatto in grado di mentire.

«Perché lo pensate? Perché il nostro principe non dovrebbe aiutarci?»

«Perché non possiede più nessun ricordo su chi veramente è: non sa di essere un saiyan, e non conosce neanche la loro storia. Quei ricordi gli sono stati sottratti molto tempo fa, sotto volere dei genitori che l’hanno cresciuto, e sono stati in possesso di una creatura magica fino ad oggi.» e, detto questo, fece apparire sulla propria mano la sfera di cristallo nella quale erano custoditi quei preziosi ricordi «Ma io sono riuscita a recuperarli. Finora ho cercato di mettermi in contatto con lui attraverso dei sogni, delle visioni di ciò che è successo quel maledetto giorno, ma tutto ciò che ho ottenuto è stato confondere fino allo sfinimento quel povero ragazzo. E io non posso scendere sulla Terra a parlarci di persona: noi guardiani esistiamo soltanto per osservare dall’alto la nostra gente, non possiamo parlarci direttamente, va contro le regole.»

«E allora perché adesso state parlando con noi?»

Lei sorrise a quell’ingenua domanda: vedeva una luce particolare negli occhi di quel giovane saiyan. Una luce che non era stata in grado di vedere in nessun altro della sua specie; quel giovane guerriero non aveva sangue innocente sulle proprie mani, e questo perché il pianeta era stato attaccato prima ancora che lui potesse essere costretto a combattere per la colonizzazione del re. Era di lui che si sarebbe fidata più di chiunque altro, in quella missione.

«Questo perché non ci troviamo su nessun pianeta. Questa è una navicella spaziale, e nessuna regola mi impedisce di venire a parlare con persone che non si trovano nel territorio di un altro guardiano.»

«Ma se voi parlaste con il guardiano della Terra, lui capirebbe! Come possiamo noi, senza nessun tipo di potere, far tornare i ricordi nella mente del nostro principe?»

«Non posso parlare con il Supremo della Terra, perché per ottenere ciò che ho adesso ho infranto una regola: la creatura magica che mi ha consegnato i ricordi, secondo la legge che regola la sua dimensione ed il suo potere, non era assolutamente tenuta a farlo. E se adesso confessassi il mio peccato, verrei punita e perderei il potere di aiutarvi… non posso rischiare. Ma se voi, impavidi guerrieri scampati alla disfatta, incontraste il principe e lo aiutaste a ritrovare le sue memorie perdute, allora lui ricorderebbe chi è, ed assolverebbe al suo compito. Voi siete gli unici in grado di farlo.» si avvicinò al più giovane dei tre e, con delicatezza, gli mise la sfera tra le mani, affidandogliela «Sarai tu. Tu assolverai a questo incarico… puoi farlo per me?»

«Ma io, qui, sono il più debole. Non ho la preparazione e l’esperienza che hanno i miei compagni, non sono in grado-»

«Ragazzo mio, io posso vedere il destino che ti attende. Forse ora non capisci il motivo della mia scelta, ma presto o tardi ci arriverai da solo… e allora, vedrai che tutto sarà più chiaro per tutti. 

Conserva questi ricordi come un tesoro: non devono andare persi, altrimenti anche la più piccola speranza di far tornare tra voi il principe svanirà.»

«Ma io come faccio a capire come fagli tornare la memoria? Come devo comportarmi?»

La donna sorrise nuovamente «Lo capirai.»

E, così com’era venuta, era sparita nel nulla, lasciando di sé soltanto una flebile luce che si estinse in pochi istanti. 

Kaharoth strinse fra le dita quella fragile sfera di cristallo: la Dea Selene gli aveva appena affidato un incarico, a lui, alla nullità del gruppo, al saiyan più inutile che la storia avesse mai concepito. Ma si sarebbe fatto onore, avrebbe aiutato il suo principe, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto; e questa volta, non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da nessuno. Neanche dal vecchio e scontroso Nappa.

 

*

 

La dimensione lunare, quel giorno, era più bella che mai: le nozze della sua amata sorella erano alle porte, e la giovane dai lunghi capelli d’argento non poteva che essere felice che colei che rappresentava la sua famiglia avesse trovato il vero amore. Lei era bellissima nel suo abito bianco, ed i suoi lunghi capelli scuri, raccolti in un’acconciatura tradizionale, mettevano in risalto il suo viso meraviglioso.

«Oh, sorella mia, sei bella come la luna nuova…»

Calene e Qhuros si erano incontrati per puro caso: lei, Dea del cosmo, e lui, Dio del cielo, avevano fatto fronte ad una tremenda tempesta di meteoriti che avrebbe distrutto un pianeta, ed insieme, avevano salvato quella gente. Era lì, tra le preghiere di quel popolo e la felicità che avevano preservato, che era nato il loro amore… era destino, in fondo, che la luna ed il cielo avessero un legame, ed ora i due regni si sarebbero uniti, creando un reame meraviglioso che avrebbe difeso l’universo con ancora più forza.

«Grazie, Selene. Ti voglio così bene, piccola mia… sarai la guardiana della luna più saggia e più potente che i cieli abbiano mai conosciuto, e troverai anche tu qualcuno che ti ama come Qhuros ama me.»

Selene non glielo aveva ancora detto, nonostante fosse la sua più stretta confidente, ma lei aveva già trovato qualcuno che l’amava. Anche se le cose, a volte, non potevano andare sempre per il meglio com’era successo per sua sorella: l’uomo che amava non era un Dio, e non era neanche immortale, e se questo fosse arrivato alle orecchie di sua madre, la guardiana dalla quale avrebbe ereditato il potere, sarebbe di certo bastato per diseredarla ed esiliarla nel mondo dei mortali. Ed anche se il suo più grande desiderio era quello di stare per sempre con lui, non era pronta a dare alla sua amata madre un dolore simile.

«Sì… ne sono certa. Ora, però, devi finire di prepararti: è il giorno più bello della tua vita, e tu devi essere impeccabile! Ci vediamo al tempio.»

 

Quel pianeta era il più bello che Selene avesse mai visto: il grande palazzo di marmo sovrastava una città sconfinata, e dietro la montagna grandi boschi e lunghe distese d’acqua si estendevano lungo tutto il territorio. Tre soli dominavano il cielo di quel luogo, e tramontavano tutti e tre insieme, lasciando spazio alla grande luna, fonte di energia di tutti gli abitanti, che ottenevano il loro più grande potere grazie alla sua luce. Era uno spettacolo meraviglioso; uno spettacolo che dalla sua dimensione, la Luna Suprema, non avrebbe mai potuto ammirare… nel suo regno non esistevano il giorno e la notte, tutto era costantemente dominato dal bagliore lunare, ed il cielo era argentato esattamente come i suoi lunghi capelli. 

Amava la sua casa, ma il suo più grande desiderio era quello di vivere felice insieme all’uomo che amava, di poter esercitare i suoi doveri di divinità e di guardiana senza doversi per forza nascondere.

Ma la legge non permetteva queste libertà. Il guardiano di quel pianeta era suo padre, il più saggio ed autorevole Dio dell’universo, e lui non le avrebbe mai permesso di cambiare la legge seguendo soltanto il suo cuore… anche se al cuore non si comandava.

«Selene… sei venuta.»

Sentendo quella voce così famigliare, la giovane si era voltata in direzione della persona alla quale avrebbe dedicato la propria vita, se solo avesse potuto: quel meraviglioso uomo dai capelli corvini e dalla possente muscolatura, vestito nei suoi abiti di corte e con il suo stupendo mantello rosso indosso la stava guardando con gli occhi dell’amore; gli stessi occhi con i quali lei guardava lui.

«Korn!» gli si era lanciata al collo, stringendolo come soltanto lei sapeva fare, e poi lo aveva baciato con tutta la passione che aveva in corpo, circondandogli il viso con i palmi delle mani «Non resterò a lungo, mia sorella si sta per sposare. Ma dovevo assolutamente dirti una cosa… è importante.»

«Ebbene, parla! Non lasciarmi sulle spine!»

Aveva abbassato lo sguardo, portandosi una mano sul ventre: non avrebbe mai pensato, prima di quel giorno, che il frutto del loro amore sarebbe arrivato così presto. Lei non era ancora una Dea, era molto giovane, e lui non era da meno: suo padre era ancora il re, e lui stava ancora soltanto imparando a governare un regno.

Ma non considerava quell’evento una disgrazia: lei credeva profondamente che tutto ciò potesse portare a un cambiamento, che li avrebbe aiutati a vivere finalmente il loro amore in libertà.

«Aspetto un figlio…» mormorò, sorridendogli dolcemente «Tuo figlio. Nostro figlio. So che è una notizia improvvisa, non me lo aspettavo neanch’io, ma lui è qui… è proprio qui, e sta crescendo dentro di me.»

«Oh…» il giovane uomo porto il proprio palmo contro il dorso della mano della propria amante, stringendogliela subito dopo e ricambiando il suo fiero sorriso «Io… Selene, è una notizia meravigliosa. Aspettiamo un figlio, ti rendi conto di cosa significa? Possiamo scappare insieme! Io rinuncerò alla corona, e tu alla tua immortalità, e potremo essere una famiglia! Potremo crescere il nostro bambino in un’altra terra! Insieme!»

«E cosa farai con la tua futura sposa? È lei che hanno scelto come tua regina…»

Lui l’abbracciò, stringendola al proprio petto «Sai che non la amo: il mio cuore appartiene soltanto a te. Selene… quando il bambino nascerà, noi ce ne andremo. Né tuo padre né il mio riusciranno a fermarci: il nostro amore… è più potente di qualsiasi altra cosa. 

E adesso va’: tua sorella ti sta aspettando.»

 

Era tornata nella propria dimensione felice come non mai: non le importava della sua immortalità, e non le importava neanche del prestigio di Korn. A lei importava soltanto del loro amore, e del bambino che stava arrivando; e se lui era pronto a rinunciare a diventare re soltanto per poter vivere insieme a lei, allora anche lei era pronta a rinunciare a tutto.

Avrebbe aspettato che il bambino nascesse e, a quel punto, avrebbe confessato tutto a suo padre e a sua madre, e li avrebbe pregati di cambiare la legge, di non lasciare che il piccolo non avesse una famiglia. In quel modo, non avrebbero dovuto rinunciare a nulla: le loro famiglie si sarebbero unite, ed il piccolo principino sarebbe cresciuto nella pace e nell’amore dei suoi genitori e dei suoi nonni; avrebbe dato a suo figlio la vita che meritava, e gli avrebbe insegnato ad essere gentile e forte, e a difendere i più deboli. Avrebbe cambiato per sempre le carte in tavola, avrebbe rivoluzionato tutto, e avrebbe vissuto felice!

«Bene, bene… ma guarda un po’ chi si vede!»

Qhuros, appoggiato contro una delle colonne portanti dell’ingresso del palazzo, la stava guardando con un ghigno sul volto: dal suo atteggiamento, sembrava quasi che la stesse aspettando. Non credeva di averlo mai visto con quell’espressione in viso.

«Cognato…» gli si era avvicinata, con aria piuttosto scura e preoccupata «Che ci fai qui? Non sei completamente pronto per l’occasione…»

Ed effettivamente, il futuro sposo di sua sorella non aveva indosso il mantello che suo padre gli aveva donato in occasione di quell’evento. Era una tradizione, per gli uomini della famiglia, indossare quel mantello nel giorno del matrimonio: era stato tramandato di generazione in generazione, e la sua famiglia credeva che fosse simbolo di buon auspicio.

«Finirò di prepararmi più tardi.» rispose secco lui «Ma ora parliamo di te… e del tuo tenero sodalizio con quel mortale.»

Lei sbiancò improvvisamente, ascoltando quelle parole «L’hai scoperto…»

«Mia cara, l’ho sempre saputo. Credi che io non mi sia accorto che scappi sempre nel mondo dei mortali? Ormai sono mesi che ti osservo con lui: sembrate molto affiatati. Ed ora avrete addirittura un bambino!»

«Ti scongiuro, cognato, non farne parola con nessuno! Se sapessero…»

Si fidava di suo cognato: in fondo, stava per sposare sua sorella, e lei era sempre stata una persona affidabile. Non si sarebbe mai innamorata di qualcuno che agiva alle spalle degli altri, lei la conosceva meglio di chiunque. 

«Oh, non ho intenzione di farlo, Selene.»

A quelle parole, la giovane futura Dea tirò un sospiro di sollievo. Credeva che Qhuros avesse capito, credeva che avrebbe tenuto la bocca chiusa e che gli avrebbe offerto la sua amicizia.

Ma quando ascoltò ciò che lui avesse in realtà da dire, capì immediatamente quanto l’idea che avesse di quel mascalzone fosse sbagliata. Quanto l’idea che tutti avevano di lui fosse sbagliata.

«Ho intenzione di uccidere tuo figlio.» 

«Cosa?! Ma che stai dicendo?!»

Lui le sorrise sghembo «Sai… io adoro tua sorella: è così ingenua e gentile che mi fa venire la nausea. Ma era l’unico modo per ricevere prestigio, e per dimostrare ai miei superiori che non sono soltanto il debole ed inutile guardiano dei cieli che non sa neanche controllare la pioggia che scende da essi. E così, se avessi sposato la Dea del cosmo, la mia famiglia si sarebbe unificata con quella più potente che ci sia in tutto l’universo, e sarei diventato importante. Molto più importante di tutti coloro che hanno osato prendersi gioco di me. Ma era a te che puntavo in realtà.»

«A me?» Selene era sconvolta: quel maledetto si era fatto strada nella sua famiglia, si era guadagnato la fiducia di suo padre, aveva scoperto tutti i segreti che gli sarebbero serviti per poter attuare il suo piano.

«Ma certo, mia cara. Tu stai per diventare la guardiana di tutte le lune, colei che controlla la più forte fonte d’energia dell’universo, e tua madre ti ha dato in custodia l’oggetto più potente che possa esistere. E se tu ora non mi consegni quell’oggetto e non diventi la mia sposa… tuo figlio non vedrà mai la luce del giorno.»

E, detto questo, l’aveva afferrata per i fianchi, stringendola tanto da poterle lasciare i segni delle sue languide e gelide dita. E per quanto lei fosse forte e si dimenasse, lui la teneva salda vicino a sé, guardandola dritta negli occhi «Dove si trova la Pietra Lunare?»

«E ti aspetti che io te lo dica? Sei soltanto un vigliacco!»

«Sei bellissima, Selene…» gli aveva accarezzato i capelli, avvicinando pericolosamente il proprio viso a quello della donna che stava ricattando, per poi allungare le labbra e baciarla con ardore, spingendola con la schiena contro la colonna e costringendola a socchiudere le labbra, facendo in modo che la sua lingua potesse entrare e fare il suo lavoro. 

E non erano bastati i tentativi di resistenza da parte di lei: Qhuros aveva una forza fisica immensa, molto superiore alla sua, e l’unica cosa che poteva fare in quel momento era aspettare che quel supplizio avesse fine il prima possibile.

Ma l’entrata in scena della sposa le aveva appena fatto capire che, in realtà, quel supplizio era soltanto appena iniziato.

«No…» 

Se non fosse stato impossibile, Selene poteva giurare di aver sentito il cuore della giovane donna immobile di fronte a loro spezzarsi. I suoi occhi color magenta si erano riempiti di amare lacrime, e le sue labbra stavano tremando. Era delusa, ferita, arrabbiata… e questo spezzò anche il cuore della sua sorella minore che, staccandosi finalmente dal pazzo che la stava baciando fino a poco prima, si avvicinò alla propria sorella, la sua famiglia, la sua migliore amica.

«Calene! Ascolta, io-»

«Non toccarmi!» la colpì con un’onda di energia, facendola andare a sbattere contro una delle colonne «Come hai potuto?! Eri mia sorella, io mi fidavo di te!»

Accecata dalla rabbia, si avvicinò al proprio promesso sposo, prendendolo per la gola e sollevandolo da terra, con tutta l’intenzione di fargli del male.

«No! Calene, ferma!» la minore cercò di alzarsi da terra ma, usando i suoi poteri, l’altra la scaraventò nuovamente via, allontanandola da lei e da quello che sarebbe dovuto diventare suo marito.

«Adesso farò al tuo cuore quello che tu hai fatto al mio.» sibilò a denti stretti, per poi, con un solo colpo della mano, sfondare il petto di Qhuros, stringendo il suo cuore con il pugno; e incurante dei rantoli di dolore di lui, glielo strappò dal petto, spezzandolo in due con solo un colpo dell’unghia, per poi lasciare che sia il cuore sia il proprietario di esso rimanessero riversi sul pavimento, ad aspettare soltanto che il Dio dei cieli esalasse il suo ultimo respiro.

Selene era ginocchia a terra, ad osservare esterrefatta quella scena: sua sorella, la sua amata sorella, sembrava star diventando un’altra persona. Il cielo, improvvisamente, assunse un colore diverso dal solito, diventando scuro, e grandi nuvole presero il posto del grande cielo argentato che aveva da sempre dominato la dimensione lunare. Una tempesta stava per avvicinarsi, e questa volta, probabilmente nessuno sarebbe riuscito a fermarla.

Doveva fare in modo che Calene non arrivasse alla cripta di famiglia: se ci fosse entrata, avrebbe preso la Pietra Lunare, e con quella sarebbe stato impossibile fermarla. Il dolore aveva preso il sopravvento su di lei, ed ora che aveva addirittura ucciso qualcuno, l’oscurità si sarebbe fatta largo nel suo animo… era un processo impossibile da evitare. Così la giovane Dea, alzandosi da terra, corse verso il retro del palazzo; l’unico modo per salvare la Pietra Lunare era quello di nasconderla… nasconderla in un luogo in cui sua sorella non avrebbe mai pensato di cercare.

Una volta arrivata all’interno della cripta, fu lì che la vide. La Pietra Lunare brillava di luce propria, una luce argentata in grado di donare un grande potere a chiunque ne fosse in possesso; Selene sapeva che un oggetto così potente non sarebbe mai dovuto finire nelle mani dei mortali, ma di sicuro, era peggiore il fatto che un’anima macchiata del sangue di qualcun altro potesse toccarla… l’energia buona di quella pietra si sarebbe trasformata in pura oscurità, e allora tutti i loro sforzi per mantenerla al sicuro da occhi indiscreti sarebbero stati vani. 

 

Era scesa nuovamente sull’unico pianeta nel quale vivesse qualcuno di cui si fidava.

Il suo Korn si sarebbe preso cura del suo cimelio, lo avrebbe tenuto al sicuro… lei ne era certa. 

I saiyan non avevano la fama di essere un popolo pacifico, né di essere guerrieri con animo puri, ma il suo amore… lui era diverso; lei era convinta che il suo animo non fosse macchiato del sangue di innocenti, lui glielo aveva promesso: le aveva promesso che non avrebbe mai ucciso nessuno. Certo, l’abilità di leggere negli animi le era ancora impossibile, non era ancora diventata una Dea, e quel potere non poteva appartenerle, ma la fiducia… era quella che mandava avanti l’universo; lei doveva fidarsi del suo Korn.

«Selene!» le stava correndo incontro, sgattaiolato via da una cena di corte con la propria famiglia, soltanto per poter vedere lei «Ho ricevuto il tuo messaggio! Che succede?»

Lei si voltò, alzando gli occhi al cielo «Guarda la luna…»

Quel satellite meraviglioso, che illuminava la notte con la propria luce chiara, adesso si stava colorando di un rosso vivo: il rosso del sangue delle vittime che un’anima corrotta stava versando in quella dimensione. Se qualcuno non l’avesse fermata, anche la luna avrebbe perso ogni suo potere, e tutto sarebbe collassato… l’universo come lo conoscevano tutti non sarebbe più esistito.

«Che diavolo sta succedendo?» chiese lui, preoccupato «Dimmi che tu e il bambino state bene!»

«Sto bene, ma non c’è tempo per le spiegazioni.» tirò fuori dalla propria sacca la Pietra Lunare, stringendola nel palmo della mano e riscaldando entrambi i loro corpi con la sua luce accogliente «Ecco. Questa… voglio che tu la custodisca.»

Lui osservò quell’oggetto con ammirazione e stupore «Questa è…»

«Sì. Ascolta, io mi fido di te. Devi tenerla al sicuro, ma ti prego, non usarla per nessun motivo: la Pietra Lunare va utilizzata solo in momenti di assoluta emergenza, e soltanto per fare del bene. Non uccidere mai nessuno, non macchiarti del sangue di nessuno, altrimenti il suo potere svanirà! Questa è l’unica speranza che abbiamo!»

 

 

Si era svegliato di soprassalto. Di nuovo.

Quei sogni stavano iniziando a perseguitarlo sempre di più: e la voce di quella donna… la sua voce era perfettamente identica a quella che aveva sentito nella propria testa durante il suo combattimento contro Tenshinhan. 

Ma chi era quella persona? Perché aveva cominciato a parlargli e ad apparire nei suoi sogni? 

Osservò nuovamente il medaglione che gli avevano donato i suoi genitori: qualcosa gli diceva che non si trattasse più di un semplice oggetto di famiglia; anzi, probabilmente quell’oggetto non apparteneva neanche alla sua famiglia. I suoi genitori gli stavano nascondendo qualcosa, e quel medaglione era probabilmente soltanto la punta dell’iceberg.

Quei sogni così vividi… non poteva trattarsi soltanto di prodotti della sua fantasia: sembravano i ricordi di qualcuno, di qualcuno che stava cercando disperatamente di comunicare con lui. E forse, a quel punto, sapeva che cos’avrebbe chiesto al drago una volta evocato.

Quella sera, la luna era luminosa come non mai. Non credeva di averla mai vista così grande e così vicina: era magnetica, quasi ipnotica. 

Il pensiero di ciò che fosse successo quel pomeriggio, mentre combatteva contro Tenshinhan, continuava a tormentarlo: non aveva mai creduto che potesse possedere delle abilità così particolari, e ad essere sincero, non credeva neanche che certe abilità potessero esistere. 

Eppure, era riuscito a lanciare contro il proprio avversario una sfera d’energia... una sfera d’energia che non lo aveva neanche ucciso, ma soltanto acciaccato un po’: che davvero esistessero degli esseri umani con poteri speciali? Che davvero quel vecchio pazzo che aveva incontrato sui Monti Paoz, allora, potesse sentire davvero le aure come millantava di poter fare?

Non riusciva a smettere di pensare alla voce che aveva sentito: non credeva di averla mai udita in vita sua, eppure gli sembrava così famigliare, ipnotica quasi quanto la luna che stava guardando; anzi, se quella luna avesse avuto una voce, probabilmente sarebbe stata proprio quella della donna che gli aveva parlato, e che gli era apparsa in sogno.

Vegeta non sapeva perché, ma da quel pomeriggio in poi, aveva avuto costantemente l’impressione di essere osservato.

E proprio mentre si perdeva nelle proprie elucubrazioni, ecco che all’orizzonte apparve l’isola che stavano cercando, ed in cui era nascosta la terza sfera: era molto piccola, ed ospitava soltanto una casetta, qualche sdraio e delle palme. Chiunque ci vivesse, si trattava certamente di un eremita peggiore di quanto non lo fosse il vecchio Gohan; e questo, considerando il fatto che secondo quel pazzoide quel tizio fosse il suo maestro, era più che plausibile. 

Sperava soltanto che non avrebbero incontrato altre spiacevoli sorprese, e che la persona in possesso della sfera non facesse resistenza: dopo quel pomeriggio, non aveva alcuna voglia di sperimentare nuovamente di che cosa i suoi poteri fossero capaci, ed il fatto che Tenshinhan fosse sopravvissuto a quell’attacco avrebbe benissimo potuto essere una coincidenza. Amava combattere, ed era tutto ciò che lo manteneva vivo, ma uccidere? Uccidere era tutt’altra cosa.

 

«Siamo arrivati!» esclamò Yamcha, indicando l’isoletta ed iniziando la fase di atterraggio «E la luce è accesa. Chiunque ci viva, devono essere ancora tutti svegli.»

«Quindi addio effetto sorpresa… fantastico.» ironizzò Chichi «Non potremmo allontanarci un po’ ed aspettare che vadano tutti a dormire?» 

«I vermi che hai in testa devono aver consumato tutto ciò che rimaneva del tuo cervello…» prese la parola il ragazzo dai capelli a fiamma, dando due pacche sulla spalla alla corvina «Il rumore dell’elicottero l’hanno già sentito, genio. Ci conviene atterrare adesso e vedere che succede.»

 

 

Continua…

~~~

Note autrice:

Buongiorno dragonballiani!
Oggi è venerdì, e come vi avevo già detto, pubblico ogni lunedì ma, se ne sento la voglia, vi regalo un capitolo anche il venerdì. Ed è quello che ho fatto oggi! Questo capitolo svela molte cose e, per una volta, mi sono presa una pausa dalla ricerca delle sfere del drago per potervi indorare un po' la pillola della verità. 
A dire il vero, per scrivere tutto questo mi sono MOLTO ispirata alla battaglia degli dei, ma senza Beerus, senza Whis e senza gli dei della distruzione, ma mi sono ispirata alla mitologia greco-romana e a quella zodiacale. Ed infatti la protagonista di questo capitolo è niente poco di meno che Selene, la dea della luna, che è andata nella dimensione dei draghi dal drago Shenron per potergli rubare i ricordi estrapolati dalla mente del nostro Vegeta. A quanto pare, anche Freezer ha una dea dalla sua parte, e questo potrebbe risultare un problema per i nostri protagonisti(ihihihih)
La dimensione dei draghi l'ho immaginata ispirandomi alla storia di Eeva, una delle mie autrici preferite su questa piattaforma e che mi ha lasciato anche qualche recensione a questa storia(e ne sono oltremodo onorata!). La long in questione è After All, e vi consiglio caldamente di andare a darci un'occhiata, non ve ne pentirete affatto! È in assoluto la mia storia preferita nel fandom di Dragon Ball. Ovviamente la mia idea di dimensione dei draghi è molto diversa, ma spero che vi piaccia lo stesso.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e, per l'ennesima volta(ma non mi stancherò mai di ripeterlo), GRAZIE per tutte le recensioni e per il supporto, e chiedo umilmente scusa per non rispondere sempre. Non perché non ne abbia voglia, anzi, ma perché proprio nel momento in cui penso di farlo il mio istinto di procranizzazione mi porta a farmelo passare di mente(sono un Cancro, e non so se sapete cosa vuol dire esserlo ma siamo i sovrani del procrastinare) 
Ci tengo a dirvi che in questa storia i riferimenti zodiacali saranno molteplici, come ulteriore distacco dalla storia originale... ma che vogliamo farci, sto letteralmente riscrivendo Dragon Ball da zero e devo metterci anche un po' della mia creatività ^^
Grazie di nuovo, e alla prossima!

-cancerianmoon

 

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Capitolo 7
*** Atterraggio sull’isola-Crilin ***


Capitolo 7°
Atterraggio sull'isola-Crilin

 

Il rumore di un elicottero: questo aveva sentito, il ragazzo che si trovava all’interno della casa, mentre si accingeva a cominciare i propri allenamenti notturni. 

Da quando viveva con il proprio maestro, era stato molto raro che quest’ultimo ricevesse delle visite, e solitamente i suoi ospiti non erano così… sofisticati; doveva per forza trattarsi di qualche intruso.

Il vecchio dormiva ancora, ma questo non gli impediva di certo di difendere quella casa come aveva sempre fatto da ormai due anni a quella parte: il suo maestro lo stava allenando bene, e di certo chiunque fosse stato il nemico, se la sarebbe dovuta vedere con lui.

Così si era infilato la sua casacca arancione e, una volta vestito di tutto punto, era uscito dalla casetta nella quale alloggiava ormai da tempo, ritrovandosi di fronte proprio a quello che sembrava un grosso mezzo di ultima generazione proveniente da qualche grande città.

Che quegli intrusi fossero dei pretendenti per la scuola della tartaruga?

Ma no… chi diavolo avrebbe potuto sentire, in città, dell’esistenza di Muten? In fondo, c’era un motivo se veniva chiamato Eremita della Tartaruga. In pochissimi conoscevano il suo nome, e quei pochi eletti non provenivano di certo dal mondo civilizzato.

Il ragazzo dalla testa calva si era immediatamente messo sulla difensiva, assumendo la propria posizione di combattimento e preparandosi ad un eventuale attacco da parte degli intrusi che osavano disturbare il sonno del suo maestro nel cuore della notte. C’è da dire che rimase piuttosto sorpreso quando, dal grande elicottero giallo, vide scendere un gruppo di ragazzi che sembravano avere più o meno la sua età, che non possedevano alcuna arma e che non avevano affatto l’aria di essere dei poco di buono. 

 

«Fermi dove siete, o dovrete vedervela con me!» esclamò impettito, lanciando stilettate nei confronti degli strani invasori cittadini «Chi siete, e che cosa siete venuti a fare qui?!»

 

Sul serio? Il proprietario di quella casa aveva addirittura una guardia del corpo?

E dire che il vecchio Gohan gli aveva raccontato che quel tizio fosse un povero eremita completamente estraneo alla vita mondana. 

La cosa che stupì di più Vegeta, però, era il fatto che quel mingherlino non avesse affatto l’aria minacciosa che probabilmente credeva di possedere: anzi, la sua statura e i suoi grossi occhioni a palla lo avrebbero reso ridicolo persino di fronte a una lumaca senza guscio.

Certo sarebbe stato più che pronto a dargliele di santa ragione-se solo avesse avuto il completo controllo della sua forza, cosa che a quanto pareva non aveva affatto-, ma in quel momento la priorità del gruppo era la sfera del drago, e la sua… beh, la sua era scoprire che cosa sarebbe stato in grado di insegnargli il vecchio maestro di Son Gohan, se solo avesse avuto l’occasione di incontrarlo.

Quindi, forse, partire col piede di guerra non sarebbe stata l’idea migliore del mondo, o almeno per il momento.

Così lasciò che fosse la più diplomatica della combriccola a prendere la parola, e sua sorella non perdeva mai troppo tempo prima di dimostrare le proprie abilità di leader.

 

«Calmo, non siamo qui per far del male a nessuno!» lo esortò la turchina ad abbassare la guardia, mentre gli si avvicinava con sicurezza «Io sono Bulma, e loro sono i miei amici. Non cerchiamo guai, siamo solo finiti qui a causa… della nostra missione.»

«E che cosa ti fa pensare che io ti creda?! Non penserai mica che io sia uno stupido, spero!»

Lei alzò entrambe le mani, mostrando di non avere alcuna arma con sé e sorridendogli amichevolmente «Puoi anche perquisirmi! Non ho cattive intenzioni, davvero! Semplicemente la nostra mappa ci ha condotti fino a qui, nient’altro!»

Fu solo a quel punto che il piccolo ragazzo dalla testa pelata abbassò la guardia, avvicinandosi sospettoso alla turchina e girandole intorno con fare circospetto «E dimmi, di che missione si tratterebbe, se posso?»

«Non è che ti stai prendendo troppe confidenze, amico?!» era stato Yamcha, a quel punto, a prendere la parola: quello scricciolo stava girando attorno a Bulma come un avvoltoio gira intorno alla preda, e di certo non le stava guardando il fondoschiena per controllare se avesse delle armi «Se la smetti di minacciarci e ci inviti ad entrare, forse potremmo anche raccontarti i motivi che ci hanno spinto fino a qui, non credi?»

«Oh, io vorrei, amico…» non si era neanche voltato verso il ragazzo, mentre parlava; il suo sguardo da piccolo maniaco era puntato solo ed esclusivamente verso il corpo tutto curve della turchina «Ma vedi, al mio maestro non piace essere disturbato mentre dorme.»

Oh, quello però era veramente troppo.

Andava bene atteggiarsi da gran duro e da guardiano di quella stupida isoletta; ciò che non andava affatto giù a Vegeta era il fatto che quel nanetto stesse continuando a fissare i punti delicati di sua sorella senza neanche pensare di avere delle conseguenze. 

E delle conseguenze le avrebbe avute eccome, se non avesse smesso di fare il galletto. 

Così il ragazzo dai capelli a fiamma, senza neanche pensarci, era scattato in direzione della seconda zucca pelata del giorno, battendolo in riflessi e velocità ed afferrandolo per la collottola, sollevandolo da terra con ben poco sforzo. Giocare con l’incolumità delle ragazze non era un bell’atteggiamento a prescindere, ma giocare con l’incolumità di sua sorella era come firmare la propria condanna a morte, e forse quel moccioso non aveva idea contro chi si stesse mettendo in quel momento.

«Oh, e immagino che al tuo maestro non faccia piacere neanche vedere il proprio allievo con la gola tagliata, sbaglio?» sibilò tra i denti, mentre lo spingeva contro una delle colonne portanti del portico di quella casetta, che probabilmente sarebbe crollata alla sola minima pressione fatta dal proprio pugno «Avvicinati ancora a mia sorella in quel modo e giuro sul mio nome che ti cambio i connotati, fratellino. E adesso vedi di farmi entrare.»

«Una fortuna che non avevate brutte intenzioni…» commentò lui, con la voce strozzata dal collo della sua stessa casacca «Pensa se le aveste avute.»

Arrivati a quel punto, Vegeta si sentì in dovere di spostare la propria stretta dai vestiti al collo minuto del suo piccolo avversario, stringendo a tal punto da far cambiare in poco tempo colore al suo visetto già pallido. Non era mai stato uno che ci andava piano, ma quando qualcuno osava toccare o anche solo guardare Bulma senza che lei o chi per lei avesse dato il permesso di farlo, diventava tutto scuro ed era parecchio difficile riuscire a controllarsi; aveva mandato della gente all’ospedale per molto meno. L’unica cosa che lo aveva tenuto lontano dal carcere minorile? Il fatto che, quelle cause, la sua famiglia non le avesse neanche mai dovute affrontare, visto il prestigio ed il conto in banca di cui disponeva il suo vecchio. 

«Ti conviene non scherzare con me, nano da giardino. Mi basterebbe stringere solo un altro po’, e non avrai neanche più il fiato da dare alla tua boccaccia larga.»

Ciò che lo fermò da ciò che stava facendo, e che lo costrinse a lasciare la presa sul collo del ragazzo, fu proprio la mano di sua sorella che, dopo essersi posata irruentemente sulla sua spalla, lo aveva strattonato con arroganza, distraendolo dalle sue minacce verso quel poveraccio.

Poveraccio che, per inciso, una volta col sedere per terra, si prese qualche istante per riprendere fiato e per tossire via la stretta che la mano del tizio che lo stava minacciando fino a poco prima gli aveva lasciato sulla gola, prima di riprendere a parlare «Ma chi diavolo sei tu?! Una specie di psicopatico?!»

«Mio fratello è giusto un po’ protettivo nei miei confronti. E questo spiega il perché io non abbia mai avuto un ragazzo che durasse più di ventiquattr’ore.» si giustificò la turchina, aiutandolo ad alzarsi «Mi dispiace per il suo comportamento. Che ne diresti di ricominciare tutto da capo? Magari, questa volta, senza starmi troppo appiccicato? Guarda che lo dico per il tuo bene!» 

«E di’ un po’, a King Kong della tua amica interessa qualcosa?» fu la domanda del pelato che, questa volta, stava puntando il proprio languido sguardo sulla povera Chichi che, arrossendo come un pomodoro maturo, si era portata entrambe le mani a coprire le proprie sporgenze, nascondendosi dietro il corpo di Yamcha. 

Ma con chi diavolo stavano avendo a che fare, con una specie di molestatore?!

«Sai, fratello, devi imparare ancora un sacco di cose sulle donne.» fu il commento del ragazzo dalla coda di cavallo, mentre rassicurava la propria amica con delle pacche sulla testa.

 

*

 

«E così, il principe dei saiyan è ancora vivo.» 

 

Era nell’ombra, seduto sulla propria poltrona, mentre l’enorme nave spaziale sulla quale viaggiava si dirigeva a tutta velocità verso le coordinate segnalate dalla propria cimice. Non avrebbe mai pensato che trovare quel piccolo scocciatore sarebbe stato così difficile: la sua mammina aveva fatto proprio un ottimo lavoro a far sparire le sue tracce, tanto da mandarlo in una galassia così lontana da non permettere neanche a localizzatori spaziali e scouter di scoprire la sua reale posizione. Aveva sempre odiato i modi di fare di quella donna: era fin troppo furba, per i suoi gusti, ed i suoi poteri superavano di gran lunga la sua scala di tolleranza. 

Ma presto, anche la sua esistenza sarebbe stata soltanto un vano ricordo: una volta sconfitto l’erede, niente e nessuno gli avrebbe impedito di stringere nel proprio pugno l’universo intero; aveva già fatto piegare intere galassie ad i suoi voleri, e presto tutto l’universo sarebbe stato nelle sue mani. 

D’altronde… anche lui aveva un Dio dalla sua parte. 

 

«Beh, ti avevo detto che presto o tardi Selene si sarebbe fatta viva. O forse sbaglio, mio caro Freezer?» la sua prigioniera gli stava sorridendo languida da dietro le sbarre «Quello che mi chiedo, però, è fino a quando hai intenzione di tenermi rinchiusa qui dentro. Non ti ho forse già dimostrato abbastanza la mia fedeltà?»

«Pazienta, mia adorata. Non posso di certo lasciarti andare a piede libero… in fondo, chi mi assicura che non ruberai il Sigillo Oscuro e non scapperai da me?»

Lei aveva portato le proprie lunghe e sensuali dita al di fuori delle sbarre, sfiorando con una certa insistenza il viso del proprio alleato, il quale le aveva sorriso con malizia «Come potrei tradire un sovrano forte, attraente e potente come te? Sarei una sciocca. E poi, il solo fatto che tu mi abbia promesso la disfatta di mia sorella, mi rende un completo burattino nelle tue mani.»

Ed anche il fatto che fin quando Freezer avrebbe avuto tra le mani il Sigillo Oscuro, lei non avrebbe potuto fare molto per liberarsi da quella cella o dalle catene che la tenevano ancorata al terreno, essendo state fabbricate con la stessa materia di cui era fatto proprio lo stesso Sigillo. Ma questo dettaglio, nessuno dei due osava nominarlo. 

«Credimi, non c’è nessuna donna nell’intera galassia che io voglia al mio fianco più di te.» l’aveva rassicurata il tiranno, dopo essere entrato nella cella ed aver stretto a sé il sensuale corpo della propria prigioniera «Presto dominerò l’universo, e tu sarai al mio fianco. La morte di tua sorella e del suo inutile ragazzino segnerà la disfatta dell’antico potere della Pietra Lunare… tutto ciò che rimarrà di quel potere sarà la completa oscurità del Sigillo.»

 

*

 

Secondo tè offerto della giornata.

Con tutta quell’assunzione di teina in sole ventiquattr’ore, probabilmente non avrebbero dormito per un bel po’. 

Il che per il ragazzo dai capelli a fiamma seduto sul davanzale della finestra, forse sarebbe stato più che un bene: per lo meno, senza dormire, non sarebbe stato schiavo di tutti quegli strani sogni. 

Il problema di quel tè? A differenza di quello alle erbe aromatiche preparato da Son Gohan, quello faceva piuttosto schifo.

 

«Una sfera, dite?»

Il ragazzo dalla testa pelata che rispondeva al nome di Crilin stava avendo una conversazione a cuore aperto-ed anche a una decina di metri di distanza- con la turchina, che gli aveva spiegato senza problemi il motivo per cui fossero atterrati proprio su quell’isola. 

«Sì. Vedi, siamo partiti per questo viaggio con il solo obbiettivo di trovare sette sfere. Sono oggetti molto rari, e noi siamo dei collezionisti… ed il radar che ho costruito segnala la presenza di una di queste sfere proprio su quest’isola: forse tu, o il tuo maestro, potreste aiutarci a capire dove si trova.»

«Beh, dipende.» fu la risposta del pelato «Io non ho mai sentito parlare di queste sette sfere, e comunque non credo sia qualcosa che mi interessa. Ma il mio maestro potrebbe saperne di più… dovremmo aspettare che si svegli, in modo da parlarne direttamente con lui.»

A quel punto, fu Vegeta a prendere la parola, avvicinandosi al tavolo sul quale erano seduti tutti i componenti di quel gruppo mal assortito «E per quale motivo dovremmo fidarci di qualcuno che ha minacciato di ucciderci?»

Il più basso dei due si era grattato la nuca in un gesto di imbarazzo «Già… senti, mi dispiace, ok? Io faccio soltanto il mio lavoro di apprendista, niente di più. Al maestro non piace che dei visitatori non attesi vengano qui, soprattutto se succede nel cuore della notte.»

Era un maestro. Era il maestro di quel piccolo combattente da quattro soldi: come avrebbe mai potuto pensare, lui, di chiedere a quel tizio di allenarlo, se quel tizio aveva preso come apprendista un principiante del genere? 

Cominciava a pensare che si trattasse soltanto di un gruppo di ciarlatani. 

«Tu, piuttosto…» aveva continuato Crilin «Hai una forza notevole! Anzi, sei assolutamente incredibile! Il maestro sarebbe contento di conoscere qualcuno di così promettente: ti chiederebbe di sicuro di diventare suo allievo!»

«Oh, non me ne parlare…» il sarcasmo nella sua voce era più che palpabile «Sai, a me non piace perdere tempo. Soprattutto, non mi piace quando mi si chiede di aspettare i comodi altrui.»

«Non mi sembri una persona molto paziente, effettivamente.» lo aveva canzonato il piccoletto «Ma ti toccherà aspettare: non oso mai svegliare il maestro tartaruga, soprattutto se a cercarlo è solo un gruppo di collezionisti. Ma se a cercarlo è un combattente valido che lui considererebbe di allenare, allora è tutta un’altra storia.

Era da tempo che stavamo cercando qualcuno che allargasse la nostra scuola, soprattutto in vista del prossimo torneo di arti marziali: se mi prometti che prenderai in considerazione l’idea di entrare nella scuola della tartaruga, allora io andrò subito a svegliare Muten.»

 

*

 

Non aveva dato ascolto alle parole di quel drago. D’altronde, non aveva altra scelta se non quella di ignorarlo.

Aveva consegnato i ricordi di suo figlio a colui che gli sembrava il più adatto per svolgere quel ruolo, e poi se n’era tornata sulla luna della Terra a vegliare su colui che aveva perso per sempre anni addietro: il suo amato principe non avrebbe mai conosciuto l’amore che lei avrebbe potuto dargli, né sarebbe mai venuto a conoscenza della sua esistenza; e questo faceva male, sì, doleva come nient’altro nell’universo potesse fare.

Ma quel ragazzo così giovane eppure già così potente era cresciuto ugualmente, nell’amore di una famiglia che gli aveva dato tutto ciò che non gli avrebbe mai potuto dare lei: una quotidiana e semplice normalità. 

 

«In questi ricordi non c’è solo la memoria perduta di un principe, mia cara.» le aveva detto Shenron, mentre con fare sconfitto le consegnava la sfera di cristallo con all’interno l’oggetto dei suoi desideri «C’è anche l’oscurità e la malvagità intrinseca dei guerrieri saiyan: quell’oscurità ereditata da suo padre, lo stesso saiyan che ti ha tradita anni or sono. Una volta recuperati i ricordi, starà al principe decidere se soccombere a tutta quell’oscurità, oppure domarla e farne quello che più desidera; senza i suoi ricordi, i suoi poteri sono nettamente diminuiti, ma una volta riacquistata la memoria, lui riacquisterà anche tutto il potere derivante dalla stirpe della sua famiglia. E quei poteri potrebbero essere la rovina di tutti coloro che hanno cercato di aiutarlo fino a questo momento.»

Ma lei aveva tenuto la testa alta e lo sguardo fiero, pronta a rispondere con tutti gli attributi a quella bestia verde con le corna «Se mio figlio assomiglia anche soltanto un po’ a me, sarà in grado di sopportare tutto questo. Se l’erede non riacquista i propri ricordi e i propri poteri, l’universo sarà perduto.»

«Questo è ciò che c’è scritto sulla profezia, sì.» il drago le aveva consegnato la sfera, lanciandogliela tra le mani «Ma una divinità dovrebbe ben sapere che il destino a volte è incerto. Se ancora non te ne sei resa conto, allora lo imparerai a tue spese… ma ricorda, sei stata avvisata.»

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Note autrice:
BUONASERA LETTORI E LETTRICI E PERDONATEMI PER L'ASSENZA INGIUSTIFICATA!
Mi ero presa una piccola pausa da questa long, colpevoli il mio compleanno(che c'è stato il 5 di questo mese) e la preparazione al test d'ingresso dell'Università che mi sta facendo letteralmente impazzire >.<
Pensavate che fossi sparita, eh? E INVECE NO! Sono tornata e sono più forte di prima!
Altro capitolo di conoscenza di un personaggio: finalmente entra in scena il nostro caro amico Crilin! E non è stato molto amichevole all'inizio(proprio come nella storia originale d'altronde), e ovviamente ha messo subito gli occhi su Bulma e Chichi... come volevasi dimostrare, l'influenza del maestro Muten non è mai troppo buona xD 
Nel frattempo, fa la sua comparsa il nemico principale di questa long: Freezer. Che a quanto pare ha un tenero sodalizio con una misteriosa prigioniera/alleata... ma di chi si tratterà? E che cosa intendeva Freezer quando parlava di una "cimice"? 
Queste sono tutte domande che troveranno risposta nei prossimi capitoli, quindi non abbandonatemi e continuate a seguire: prima o poi, tutti i nodi verranno al pettine.
Al prossimo capitolo(e prometto che questa volta aggiornerò presto)!

-cancerianmoon

 

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