When the snow falls

di Napee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Giovedì ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Martedì ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Venerdì ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Domenica ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Lunedì ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Martedì ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Giovedì ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Lunedì ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Martedì ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Venerdì ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Domenica ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Mercoledì ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Venerdì ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Sempre venerdì ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Sabato ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Martedì ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Sabato ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Ancora sabato ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Lunedì ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - Sempre lunedì ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - Martedì ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Un mercoledì di molti anni prima ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - Un giovedì di molti anni prima ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - Un sabato di molti anni prima ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - Sempre martedì ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 - Giovedì ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 - Sempre quello snervante giovedì ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 - Venerdì ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 - Sabato ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 - Domenica ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 - Un sabato di molte settimane dopo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Giovedì ***






When the snow falls
 





Capitolo 1 - (535 parole)
 

Giovedì 

 
C’era un caffè piccolo e intimo, molto anonimo che si affacciava sulla piazza principale della città passando quasi inosservato fra le altre vetrine colorate e imponenti.
Al suo interno c’erano giusto una manciata di persone: tre ragazzi dell’università con la testa affondata nei libri che dividevano un tavolo e consumavano con rapidità delle enormi tazze di caffè nero lungo. Un giovane padre con la figlioletta che dividevano una fetta di torta al cioccolato e due ragazze che sorseggiavano qualcosa di caldo dividendo le auricolari e muovendo la testa a ritmo di musica. Talvolta si scambiavano occhiate languide quanto struggenti proprio come un’altra coppia di anziani seduti ad un tavolo insieme. Lui le teneva la mano mentre sorseggiava una bevanda calda e lei gli sorrideva di quando in quando fra un pasticcino e l’altro.
Infine c’era un ragazzo solitario che leggeva in silenzio e sorseggiava il suo caffellatte.
L’attenzione di Katsuki venne calamitata su di lui, i suoi occhi si nutrirono avidi della sua figura fin quasi a saziarsene.
Aveva dei capelli spettinati di un verde davvero improbabile. Erano molto scuri, tanto quasi da sembrare neri e molto ricci. Pensò subito che ricci così fossero indomabili e che il ragazzo avesse volutamente scelto di tenerli in disordine rinunciando a quella che sembrava a tutti gli effetti una battaglia persa in partenza contro la spazzola. Questo particolare lo fece sorridere leggermente. Non aveva mai visto capelli così particolari. Sembravano molto soffici e vaporosi, gli sarebbe piaciuto affondarci la mano dentro per sentire se avevano la stessa consistenza delle nuvole.
Ma non erano quelli che avevano chiamato il suo interesse. Non solo quantomeno.
La spruzzata di lentiggini che gli copriva il naso era la cosa più bella, infantile e tenera che gli occhi di Katsuki avessero mai visto. Erano così piccole e numerose che disseminate sulla sua pelle chiara apparivano quasi come un’enorme macchia colorata sul suo viso. Un po’ come se avesse sempre le guance arrossate.
Gli erano sempre piaciute le lentiggini per chissà quale motivo. Ricordava di un ragazzino all’asilo che le aveva ed era certo di essere stato geloso di lui per questo stupido motivo.
Sopra al naso piccolo e appuntito, il ragazzo indossava un paio di occhiali dalla montatura nera lucida. Non sembravano spessi o importanti, forse li teneva solo per leggere per non affaticarsi la vista, ma quel piccolo particolare infastidì Katsuki quando si rese conto che gli stavano celando i suoi occhi. Il libro che teneva fra le mani aveva catturato la sua più totale attenzione e non sembrava vi fossero motivi validi affinché alzasse la testa verso di lui e gli mostrasse il suo viso.
Sbuffò una densa nuvola di fiato mentre un brivido gli corse lungo la schiena.
Quel ragazzo aveva un’aria familiare, ma non ricordava proprio dove lo avesse già visto. Non pensava di conoscerlo, quella faccia lentigginosa non gli diceva proprio niente dopotutto.
Si strinse maggiormente nella giacca e strofinò le mani guantate fra loro nel tentativo di scaldarle. Vano tentativo, dato lo strato di neve che copriva le strade ed il gelido inverno che aveva deciso di abbattersi sulla città.
Prima sarebbe rincasato e prima avrebbe smesso di tremare.
Riprese a camminare prima e se ne andò via.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Martedì ***




capitolo 2 - (550 parole)



Martedì 


 
Quella mattina non faceva eccezione: le previsioni avevano annunciato neve per un’intera settimana e così era.
Aveva sempre detestato profondamente la stagione invernale, preferendo invece una ben più mite primavera a quel gelo che s’insinuava quasi nelle ossa.
Avrebbe preferito anche restarsene a casa al calduccio, magari con qualcosa di caldo da sorseggiare e con il fondoschiena piazzato sul divano a vedere la partita, piuttosto che uscire di casa, sfidare le intemperie che quella stagione aveva da offrire solo per accontentare le stupide manie di sua madre.
Fosse stato per lui, il regalo di compleanno a suo padre lo avrebbe ordinato comodamente su internet facendolo recapitare al diretto interessato dal corriere. Gli avrebbe scritto un bel messaggio di auguri - o forse lo avrebbe chiamato – e non si sarebbe mai congelato in giro per i negozi del centro con quella megera della sua vecchia.
Ancora non aveva compreso a piano per quale strano scherzo del destino aveva deciso di accettare ed accompagnarla. Forse aveva preso una bella botta in testa ed era rincretinito d’improvviso. Era sempre così con lei: gli sbraitava contro, gli chiedeva di aiutarla con  quel tono maledettamente autoritario e arrogante al tempo stesso e puntualmente – quando stava per riattaccarle il telefono in faccia – udiva sempre suo padre in sottofondo che lo pregava di essere buono e paziente perché sua madre aveva davvero un brutto carattere ma in fondo era buona.
E cedeva. Acconsentiva alla tortura solo e unicamente per sua gentile concessione, assecondando il volere di quella megera perché era suo padre a chiederglielo. A lui non aveva mai saputo negare niente in verità. Aveva quel modo tutto suo di interagire con lui, quel modo di fare pacato, quel tono calmo e accondiscendente… sembrava quasi che sapesse esattamente cosa dire e come dirla al momento giusto per allentare i suoi nervi tesi perennemente.
Con le mani piene di borse da shopping, un grugno scazzato sul viso e la voglia di uccidere qualcuno – sua madre per prima – si ritrovava di nuovo nel bel mezzo della piazza principale della città. La neve scendeva a fiocchi talmente grandi che avrebbe potuto catturarne uno con la mano e questo non si sarebbe sciolto per un bel po’.
“Non sono certa che a papà possano piacere le cose che gli abbiamo comprato.” Esordì sua madre con un sospiro stanco e vagamente sconsolato.
Katsuki sentì in quel momento crescere la consapevolezza che lo sterminio di massa che stava progettando sarebbe partito esattamente in quel momento e esattamente con lei.
“Se tu avessi avuto in mente qualcosa di specifico invece di svaligiare quattro fottuti negozi magari.”
“Erano cose che mi piacevano per lui, ma non sono certa che possano piacergli.”
“Potevi anche pensarci un po’ prima, no?!” Sua madre lo liquidò con un gesto insofferente della mano e proseguì oltre.
Passarono davanti al piccolo caffè che aveva attirato l’attenzione di Katsuki qualche giorno prima. Era sempre intimo e nascosto dalle altre vetrine imponenti, ma quella mattina sembrava più movimentato del solito. I clienti si susseguivano sulla porta in un entra-esci quasi frenetico.
Come se si aspettasse di vederlo lì, gli occhi di Katsuki si posarono sul terzo tavolo dalla porta - proprio al centro dell’enorme vetrata – e un tiepido senso di delusione lo avvolse quando non trovò il ragazzo dell’altra volta seduto a leggere.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Venerdì ***



Capitolo 3 - (554 parole)
 


Venerdì 


Il lato negativo del lavoro di Hero era la ronda durante il turno notturno. Soprattutto d’inverno, con una mezza bufera in corso e la neve che non la smetteva proprio di voler scendere dal cielo.
La ronda era il compito più noioso del suo lavoro e Katsuki avrebbe volentieri venduto l’anima al diavolo pur di non farla. Inoltre il turno notturno era una piaga che infestava la sua vita da diversi anni a quella parte e ancora non era riuscito a liberarsene. Non solo si perdeva le partite della sua squadra preferita, ma era costretto a rinunciare a rinvigorenti ore di sonno in favore di otto noiosissime ore di niente all’orizzonte. 
Di notte, appunto, non accadeva quasi mai niente di rilevante. Quantomeno, niente che i novellini non potessero sbrigare da soli. La sua presenza come Hero esperto serviva più da supporto ai suddetti novellini che per necessità vera e propria. La combo letale era capitata proprio quel pomeriggio, quando Red Riot aveva deciso di sfracassarsi un braccio in uno scontro ravvicinato con un Villain proprio ad inizio turno. Era stato trasportato all’ospedale per prassi, ma quando lo aveva sentito per telefono gli aveva assicurato di stare bene. Non si era preoccupato troppo per il suo amico dopo. Si era rammaricato – e molto anche – quando l’agenzia lo aveva contattato per coprire il turno notturno lasciato scoperto da Eijirou ferito.
Dunque si era ritrovato in pieno inverno, con la neve che gli gelava le ossa, a camminare per le strade di una città deserta e dormiente da solo come un povero coglione.
Avvolto nella sua divisa invernale da eroe, imbottito sotto strati di tute riscaldanti pronte a farlo grondare di sudore se necessario, Katsuki camminava per le strade del centro con il suo tipico broncio incazzato e lo sguardo scorbutico.
Avrebbe desiderato essere dovunque meno che lì a fare la ronda. Di quando in quando sbuffava nuvolette di fiato dense che si raggelavano a contatto con il freddo tempo.
Girovagando per le vie, arrivò nella piazza principale della città, dove i flutti della fontana erano cristallizzati nella stessa identica posa da più di una settimana a quella parte.
Non solo la neve copriva tutto con il suo morbido candore, ma il ghiaccio insidioso e pericoloso ammantava i marciapiedi bagnati di notte.
I suoi occhi, come consuetudine quando si trovava lì, vennero catturati dal piccolo locale intimo e nascosto che chiudeva. Era circa mezzanotte e in giro non c’era quasi più nessuno. Quantomeno nessuno così stupido da volersi congelare le chiappe fuori al gelo se non strettamente necessario.
Katsuki si avvicinò al locale guardandovi dentro. Gli occhi gli caddero sul solito posto, il terzo dalla porta proprio al centro della vetrata. Immaginò di rivederlo lì, con gli occhiali sul naso e gli occhi incollati a quel libro. Ogni tanto sfogliava le pagine e Katsuki immaginò il fruscio di queste. Cercò di rievocare l’immagine che da molti giorni custodiva gelosamente nei meandri della sua mente. Cercò di richiamare a sé la composizione delle efelidi sul suo viso o quel tono così peculiare di verde dei suoi capelli o l’indomita e selvaggia indipendenza con la quale s’innalzavano verso il cielo sfidando la forza di gravità.
Sospirò una nuvola di fiato che appannò il vetro ghiacciato per qualche secondo prima di voltarsi e andarsene per continuare la ronda.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Domenica ***


Capitolo 4 - (537 parole) 


Domenica

 
Era una domenica come tante e un giorno come un altro. La neve aveva smesso di scendere e un timido sole faceva capolino di quando in quando attraverso la coltre candida che ammantava il cielo.
L’aria era sempre fredda e pungeva il suo viso arrossandone l’epidermide con sferzate simili a morsi. Nonostante il tempo avesse risparmiato la città dall’ennesima nevicata, le temperature imperterrite continuavano ad essere prossime allo zero o comunque fin troppo vicine ad esso per i gusti di Katsuki che mal sopportava il freddo.
Congelato fin nelle ossa, Katsuki camminava a passo spedito dritto verso la metropolitana. Come ogni giorno quando staccava da lavoro, attraversava la piazza principale della città a passo di marcia, proprio come un robot che non vedeva l’ora di tornarsene a casa al calduccio.
Ogni giorno, quando attraversava un preciso punto della piazza, qualcosa in lui sbocciava come un fiore in primavera. Una curiosità genuina o forse un fastidioso bisogno di sapere. Di vedere.
Come se i muscoli del suo corpo non avessero alcun bisogno dell’impulso nervoso per muoversi, il viso di Katsuki emergeva dalla sciarpa. Il suo collo ruotava di circa novanta gradi e i suoi occhi si facevano impazienti e famelici.
Il più delle volte a dirla tutta, sul suo viso fioccava il ghigno del più amaro disappunto quando trovava quella sedia vuota o occupata da altri.
E purtroppo era stato così per diversi giorni a quella parte ormai.
Il ragazzo che aveva catturato la sua attenzione con così tanta insistenza, sembrava essere scomparso nel nulla.
Fu mentre la sua lingua si preparava ad articolare un verso di stizza che qualcuno gli urtò la spalla.
Katsuki ringhiò rissoso in automatico, proprio come un cane al quale viene pestata la coda.
Era già pronto ad inveire a voce verso quel goffo malcapitato che aveva avuto la sfortuna di urtarlo proprio quando era di pessimo umore (come se ci fossero giorni in cui era il contrario), quando un paio di occhioni verdi si tuffarono nei suoi senza dargli via di scampo.
Poi una spruzzata di lentiggini piccole e fitte proprio sotto alle lunghe ciglia. E delle guance candide sporcate di efelidi che andavano via via arrossandosi.
Poi una bocca perfetta, piccola e sottile che si muoveva articolando parole di scuse. E dei denti che si intravedevano mentre parlava, poi ancora un timido sorriso di scuse.
Katsuki balbettò qualcosa, grugnì una risposta e lo vide allontanarsi avvolto in un cappotto rosso che sembrava volerlo inghiottire. Aveva un cappello nero a celare la massa informe di capelli alla sua vista e un po’ se ne rammaricò.
Però quel viso… quegli occhi…
Quegli occhi gli si conficcarono nel cervello come quella che aveva a tutti gli effetti intenzione di diventare una vera e propria ossessione. Quel tono di verde era così bello, luminoso e splendente che gli ricordava il colore dell’erba in campagna al mattino. Erano così grandi ed espressivi, così veri e sinceri che era un peccato che li avesse nascosti dietro quegli spessi occhiali l’altro giorno.
Rimase imbambolato in mezzo alla strada finché non lo vide entrare nel solito caffè e sedersi al solito posto proprio al centro di quella vetrina che gli era sembrata spoglia nei giorni precedenti senza di lui.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Lunedì ***



Capitolo 5 - 636 parole


Lunedì 


 
Senza neppure interpellarsi sul motivo delle sue azioni, Katsuki spinse la maniglia gelida della porta del caffè con un cipiglio infastidito stampato in faccia.
Era innegabile quanto odiasse il freddo e quanto questo lo mettesse di cattivo umore. Delle volte ci aveva pure pensato di fermarsi dopo il lavoro in quel piccolo caffè a scaldarsi un po’ e prendere qualcosa di caldo. Il fattaccio era che non si era mai fermato in quel locale in vita sua e aveva deciso di farlo proprio quel giorno solo e unicamente perché c’era lui.
Il caldo del locale gli carezzò le guance arrossate del viso e Katsuki percepì all’istante il calore benefico scivolargli dentro in un abbraccio confortevole.
Con la coda dell’occhio andò a spiarlo in segreto. Era seduto al solito tavolo di sempre con un libro fra le mani e la testa bassa affondata fra le pagine.
Non ci voleva un genio per capire quanto fosse effettivamente preso dalla lettura.
La barista gli diede il benvenuto con un caldo sorriso gentile e Katsuki si avvicinò alla cassa con il portafoglio in mano, ma senza avere una vaga idea di cosa ordinare.
“Desidera?” Lo incalzò la ragazza dopo qualche secondo di un silenzio piuttosto imbarazzante.
Katsuki si schiarì la gola e guardò per la prima volta il menù a lavagna posto sul muro dietro alla barista.
Non conosceva la quasi totalità delle proposte. Non era mai stato un grande frequentatore di caffè e le cose dolci non gli erano mai piaciute troppo. Preferiva di gran lunga il piccante come sapore.
Poi l’occhio gli cadde sulla specialità del giorno: cioccolata calda fondente piccante.
Sembrava quasi un segno del destino che gli indicava di restare.
“Prendo la specialità del giorno.” Esordì curioso porgendo i soldi. La ragazza gli restituì il resto insieme ad un sorriso ampio e luminoso.
Katsuki decise di sedersi al primo tavolo sulla sinistra, quello più lontano dalla porta. Il fatto che fosse libero non era l’unico motivo valido. A dirla tutta, da quell’angolazione, aveva una vista perfetta del ragazzo dai capelli improbabili.
Si spogliò del giaccone, della sciarpa e dei guanti prima di stravaccarsi sulla sedia che offriva la vista verso la vetrina.
Il ragazzo sfogliò una pagina e si morse l’unghia del pollice nervoso. Era davvero molto preso dalla lettura e Katsuki si scoprì curioso di sapere cosa andavano narrando quelle parole per emozionarlo tanto.
L’arrivo della barista con la sua ordinazione lo colse di sorpresa facendolo brutalmente tornare alla realtà.
La ringraziò con un grugno sottovoce e bevve un sorso della specialità del giorno. Era davvero buona. Non troppo dolce, anzi forse più amara di quanto pensasse, e lasciava infine un tiepido retrogusto di piccante che gli piaceva molto. Non era piccante quanto sperava, ma almeno era buono e godibile.
Si leccò le labbra e decise di estrarre il cellulare dalla tasca. Magari fingendo di giocare a qualcosa avrebbe potuto continuare a guardare il ragazzo senza apparire inquietante o molesto.
Quel libro che aveva fra le mani era una vera e propria calamita per la sua attenzione. Aveva gli stessi occhiali neri sul naso e, con la mano, se li sistemava quando gli scivolavano sulla punta. Indossava dei jeans scuri e delle scarpe rosse davvero appariscenti. Si domandò come avesse fatto a non vederle fino a quel momento. Erano… davvero inusuali. Per non dire di cattivo gusto.
Prese un altro lungo sorso della sua bevanda e finse di scrivere qualcosa digitando a caso sullo schermo.
Nel frattempo il rumore di una pagina che veniva voltata attirò la sua attenzione e gli occhi tornarono affamati su di lui. Aveva delle mani grandi e pallide sulle quali spiccavano un sacco di cicatrici.
Katsuki corrugò le sopracciglia confuso. Quei segni sulle mani li aveva già visti da qualche parte. Gli rimandavano sensazioni strane, di disagio, rabbia e rammarico.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Martedì ***


capitolo 6 - (730 parole)


Martedì 


I segni delle cicatrici che aveva visto il giorno prima sulla mano del ragazzo non abbandonarono la sua mente per tutto il giorno.
Era certo di averle già viste, di conoscerle bene, ma non riusciva a ricordare dove. Inoltre, quel tumulto di sensazioni che lo avevano sconvolto appena le aveva notate, era stato abbastanza allarmante da spingerlo a pensarci e ripensarci.
Erano vivide nella sua mente e gli rimandavano un senso di familiarità così frustrante e insolito che il suo perenne malumore sembrò aumentare in quei giorni.
Con la testa affollata di pensieri in cui cercava di riesumare ricordi fumosi e frammentati nella sua testa, Katsuki si trascinò per le vie della città affrontando il gelido inverno e le sue intemperie.
Non nevicava più da tre giorni, ma il vento soffiava come non mai ed aveva fatto molti danni purtroppo. Tanti eroi erano stati mobilitati per alberi caduti e tetti distrutti. Altri invece, con quirk idonei, erano stati spostati momentaneamente nelle cittadine situate sulla costa, dove mareggiate spaventose avevano trasportato detriti ovunque e l’acqua aveva invaso le strade prossime alla costa.
Katsuki non era rientrato fra gli eroi che erano stati trasferiti, ma Mina sì e ancora si ricordava quella lunga e interminabile telefonata durante la quale lo supplicava – letteralmente - di prendersi cura del suo piccolo Eijirou con il braccio malandato. E Katsuki aveva accettato di buon grado. Primo dei motivi fra tutti, il più valido e convincente, era evitarsi le lagne telefoniche che Mina gli avrebbe riservato se non avesse accettato subito. Il secondo motivo era il nuovo Call of duty che Kirishima aveva comprato e che Katsuki non aveva avuto ancora modo di provare.
Così, stravaccato sul divano di casa Ashido-Kirishima, con i piedi sul tavolo da fumo in salotto e un joystick fra le mani, Katsuki ghignava trionfante facendo letteralmente il culo a strisce al suo migliore amico.
Dopo l’ennesimo headshot, Eijirou abbandonò il gioco dichiarandosi ufficialmente sconfitto asserendo pure qualcosa riguardo alla sua dignità mentre prendeva la sua birra dal tavolo e ne trangugiava qualche sorso.
Katsuki lo imitò senza abbandonare però quel sorrisetto impertinente che ormai faceva parte della sua faccia.
“Ridi così solo quando riesci a vincere contro di me ai videogiochi.” Esordì Eijirou spiando la sua reazione di nascosto mentre prendeva un altro sorso di birra.
“Farti il culo mi mette sempre di buon umore.”
“Sai che soddisfazione, non riesco ancora a muovere bene la mano…”
“È questa la tua nuova scusa adesso? Dovresti accettare il fatto che sei una mezza sega e basta.”
Il giocoso vaffanculo con cui lo apostrofò subito dopo aveva un sapore di scherzo e complicità che a Katsuki un po’ era mancato. Con il lavoro e gli impegni personali, non avevano più molto tempo da passare insieme e di questo entrambi se ne rammaricavano un sacco.
Eijirou era stato il suo vero amico fin dal primo anno delle superiori. L’unico di cui si fidava e di cui si era fidato prima. Avevano condiviso molto insieme, gioie e dolori, successi e sconfitte e questo li aveva uniti negli anni sempre di più.
Ed era stato un vero miracolo per una persona dal carattere scorbutico e scontroso come Katsuki. Aver trovato qualcuno che riuscisse a stargli dietro nonostante il suo burbero modo di fare non era affatto scontato. Ma questo era ovviamente un’arma a doppio taglio. Per quanto fosse stato così fortunato da trovare un’anima affine con la quale condividere parte della sua vita, Eijirou gli era stato così vicino che, negli anni, aveva imparato a conoscerlo meglio di sé stesso.
“Allora, che hai che non va?” Esordì con tono di chi sapeva già, di chi domandava per pura formalità ma aveva già la risposta in tasca. Katsuki non era certo di volergliene parlare. Un po’ perché neanche lui sapeva cosa gli stesse succedendo ultimamente e soprattutto perché non sapeva come spiegare l’influenza del ragazzo del caffè su di lui.
Alzò le spalle come se la domanda non avesse toccato nervi scoperti. Trangugiò un altro sorso di birra e ghignò nascondendo i suoi sentimenti dietro quell’espressione.
“Mi gira ancora il cazzo per aver dovuto coprire il tuo turno di notte.” Abbozzò la prima cosa che gli venne in mente e riprese a giocare alla play. Lo sguardo di accondiscendenza che gli rivolse Eijirou gli fece intuire che per il momento quella scusa del cazzo gli andava bene come risposta.
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Giovedì ***



capitolo 7 - 422 parole 


Giovedì

Era il suo giorno libero e fuori pioveva come se la città si fosse trovata proprio sotto ad una cascata. Il freddo inverno non aveva ceduto di un grado e quell’acquazzone gelido sembrava neve sciolta a contatto con la sua pelle.
Non aveva in programma di uscire quel giorno. Anzi, a dirla tutta l’idea di starsene con il culo sul divano non era affatto male. Aveva un certo non so che di affascinante.
Ma. C’era un ma. E quel ma aveva i capelli ricci e vaporosi e un paio d’occhi color smeraldo.
Era al limite dell’ossessione uscire di casa solo per incontrare casualmente uno sconosciuto e fissarlo. Era al limite della psicosi restarne affascinato come se stesse guardando un’opera d’arte.
E Katsuki iniziava a sospettare che una bella visita da uno psicologo non sarebbe stata poi tanto male.
Insomma, aveva largamente compreso che gli piacesse quel ragazzo. Tanto anche. Ma quello che non riusciva a comprendere a pieno era quel vago ma presente senso di familiarità che la sua persona gli rimandava.
Quelle cicatrici, in particolare, erano divenute la sua ossessione fin dal giorno in cui le aveva notate.
Avrebbe potuto disegnarle. Ne avrebbe tracciato delle linee frastagliate e incerte sulla pelle, ma precise al millimetro.
Entrò nel solito caffè chiudendo l’ombrello e riponendolo nel porta ombrelli che la barista aveva opportunamente preparato a fianco alla porta.
Girò la testa e controllò subito il tavolo: terzo dalla porta, proprio al centro della vetrina.
Era vuoto.
In generale sembrava non vi fossero molti clienti in quel giorno piovoso e Katsuki avrebbe dovuto immaginarselo.
Si sedette al suo tavolo, quello più distante da quello al quale era solito sedersi il ragazzo, e ordinò di nuovo la cioccolata fondente piccante.
Due cioccolate, quindici livelli superati del suo nuovo giochino sul telefono più tardi, Katsuki decise che il suo livello di autostima era ufficialmente sceso da schifo patetico e levare le tende sembrava l’unica opzione perseguibile per recuperare punti con sé stesso.
Aveva atteso pazientemente uno sconosciuto per tutto il pomeriggio e c’era pure rimasto male.
Sulla strada del ritorno, quando il cielo era si era ormai tinto di blu per accogliere la luna, Katsuki si ritrovò a grugnire frustrato inveendo contro sé stesso e la sua immensa stupidità. Insomma, chi mai avrebbe assecondato quegli stupidi sentimenti per poi restarne ferito? Si sentiva stupido e umiliato e la cosa peggiore era che aveva fatto tutto per conto suo.
Se la sua autostima era colata a picco, in compenso il suo masochismo era schizzato alle stelle.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Lunedì ***



capitolo 8 - 513 parole


Lunedì 

 
Il malumore perenne che in quei giorni aleggiava su Katsuki come una nuvola di sventura, si abbatté funesto e implacabile su ogni individuo che aveva avuto la sfortuna di incontrarlo.
Di fatto, quella mattina a lavoro, aveva cazziato ben sette dei dodici novellini appena assunti dall’agenzia. Chi per aver compilato male un modulo, chi perché si era lamentato dei turni sfiancanti a voce non troppo bassa e chi per aver sorriso troppo dandogli il buongiorno. Nessuno era sfuggito alla sua voglia di urlare e incazzarsi. Persino i suoi superiori giravano a largo senza incrociare il suo sguardo. C’era poco da fare, quando Katsuki era di pessimo umore, il grattacielo intero dell’agenzia riusciva a sentirlo. Letteralmente. La ronda di mattina cadde proprio a fagiolo. Voleva stare da solo, aveva un sincero bisogno di stare da solo perché ogni minima quisquilia lo infastidiva terribilmente. Non sopportava in particolar modo girovagare per le strade di giorno, soprattutto poi se qualcuno dei suoi fan lo assillava per una foto o un autografo proprio mentre stava lavorando. Confidava nel fatto che, essendo l’alba, avrebbe incontrato molte meno persone rispetto al turno di pomeriggio dove diventava pressoché impossibile passare inosservati.
E così si era ritrovato nel bel mezzo della piazza cittadina, con un grugno incazzato, i pugni stretti lungo i fianchi e lo sguardo arcigno indirizzato verso quel piccolo e anonimo caffè. Croce e giubilo dei suoi giorni.
Erano già tre minuti buoni che fissava il tavolo al centro della vetrina con una certa insistenza e, se solo avesse potuto, lo avrebbe incenerito all’istante.
Odiava vederlo vuoto e questa cosa era arrivata a condizionare la sua vita e il suo umore in un modo spaventosamente totalizzante.
“M-mi scusi…” una timida vocina pigolò alle sue spalle e Katsuki era già pronto a grugnire qualcosa di molto maleducato, quando quei due stessi occhi verdi che aveva sperato di rivedere si piantarono dinanzi a lui con decisione.
E anche le lentiggini c’erano. Anche i capelli vaporosi e quelle scarpe davvero orribili.
Il malumore di Katsuki sublimò all’istante.
“Posso chiederle una foto?” Azzardò il ragazzo e le sue guance sfumarono in un timido e delizioso rosso ciliegia.
Katsuki acconsentì annuendo, incapace di dire alcunché. Il ragazzo gli sorrise grato sprizzando gioia da tutti i pori e l’eroe si nutrì di quell’espressione gioiosa come se ne fosse a digiuno da mesi.
Si accostarono per fare la foto insieme: il ragazzo sorrideva eccitato allo schermo e Katsuki non riusciva a staccare gli occhi dalla sua immagine. Gli circondò le spalle con il braccio e cercò di assumere un’espressione che non sembrasse quella di un cane pronto ad attaccare alla gola.
Dopo il click della foto, il ragazzo si allontanò da lui ringraziandolo con un inchino e filando via, verso il caffè. Katsuki rimase ad osservarlo finché non lo vide sedersi al solito tavolo proprio al centro della vetrina con una tazza fumante fra le mani. A quel punto se ne andò tornando a dedicarsi al suo lavoro, ma con un piacevole formicolio a petto ogni volta che ci ripensava.
Aveva davvero un bel sorriso.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Martedì ***



Capitolo 9 - 450 parole


Martedì

Il fatto che stesse coprendo il turno pomeridiano di uno dei novellini che aveva ben pensato di prendersi l’influenza nell’unico giorno di sole che il tempo offriva, non era poi una tragedia così ingestibile.
Insomma, quando aveva ricevuto la chiamata dall’agenzia non l’aveva pensata così proprio subito. C’erano voluti diversi minuti si grugnii e borbottii pregni d’imprecazioni prima che riuscisse a farsi andare bene la cosa.
Fattore scatenante del suo insolito e inconsueto buonumore era in buona parte l’avvicinarsi dell’ora di tornarsene a casa, ma soprattutto il fatto che lui fosse lì. Quel ragazzo che stava diventando ogni giorno parte integrante del suo cervello, con quelle deliziose lentiggini, i capelli vaporosi pieni di ricci e quelle scarpe improponibili che si ostinava ad indossare. 
Solito caffè. Solito posto e solito libro fra le mani. Ormai, dopo tanti giorni di appostamenti ed incontri più o meno casuali, Katsuki era giunto alla conclusione che quel ragazzo fosse un animale maledettamente abitudinario. Il fatto di riuscire a spiare quel piccolo rituale di leggere nel caffè, aveva fatto sentire l’eroe un po’ più vicino a lui. In un modo strano e contorto e forse non era neppure così, ma l’idea di essere riuscito a divenire uno spettatore di quella frazione delle sue giornate lo faceva sentire privilegiato.
D’un tratto lo vide sorridere con commozione. Le labbra distese in un gioviale sorriso e gli occhi chiusi assaporando un’immagine tutta sua che le parole gli avevano evocato. Katsuki non leggeva molto invece. In realtà leggeva solo se costretto e non era mai riuscito ad appassionarsi davvero.
Da quando aveva iniziato a fare lo stalker di quel ragazzo come secondo lavoro, doveva ammettere che un filo di curiosità su che cosa stesse leggendo gli era venuta. Soprattutto era sinceramente interessato a scoprire cosa aveva il potere di catturare il suo sguardo e il suo interesse con tanto coinvolgimento.
Era così preso dalla lettura che non si era neppure accorto che la sua ordinazione giaceva sul tavolo già da un pezzo. Doveva essersi già freddata, ma sembrava che non gli importasse affatto.
I suoi occhi erano così presi, così catturati che sarebbe potuto cadergli il mondo accanto e non si sarebbe accorto di niente.
Vedeva i suoi lineamenti tesi e concentrati, contratti in smorfie a seconda di cosa narrava la storia.
Faceva un po’ ridere ad essere sinceri. Qualche volta lo aveva visto addirittura sobbalzare sul posto. Chissà, magari aveva appena letto di un bel colpo di scena, uno di quelli che il lettore proprio non si aspetta.
Sospirò un sorriso e proseguì nella sua ronda con gli occhi e la mente pieni di quel ragazzo osando sperare anche lui in un bel colpo di scena alla sua storia.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Venerdì ***


 
Capitolo 10 - 604 parole 


Venerdì 

Il caffè era poco frequentato a quell’ore tarda di sera. La maggior parte dei tavoli erano vuoti e i clienti presenti erano già stati serviti tutti. Il bel tempo soleggiato era durato sì e no due giorni appena e poi la pioggia era tornata a bagnare tutto e ovattare i rumori con il suo incessante scroscio. 
Le temperature erano di nuovo scese a picco e la sciarpa che Katsuki aveva messo sull’attaccapanni per pochi giorni, era tornata prontamente intorno al suo collo. Il caldo della cioccolata era una vera e propria mano santa in quelle occasioni. Il calore gli scaldava la gola scacciando via i brividi di freddo che gli accapponavano la pelle.
Era già passata una buona mezz’ora e Katsuki non aveva osato togliere gli occhi dal ragazzo con i ricci vaporosi. Era seduto al solito tavolo di sempre e con lo sguardo incollato al libro. Era davvero grazioso mentre leggeva e quell’opinione non se la sarebbe levata dalla testa tanto presto.
Ormai quel ragazzo popolava la sua testa sia di giorno che di notte. Nei suoi sogni, gli sorrideva in un modo diverso, sofferente quasi e non ne capiva il motivo. Era sempre lui, con quelle scarpe improponibili e quei ricci indomiti che si stagliavano verso tutte le direzioni. Era sempre lo stesso, ma diverso. Ogni volta cambiava sempre qualcosa, qualche piccolo dettaglio che Katsuki non riusciva ad individuare. Una cosa però era sempre quella: le sue mani, nei suoi sogni, non aveva quelle brutte cicatrici. 
Il tintinnio della campanella sulla porta fu un rumore di sottofondo ai suoi pensieri.
“Katsuki?” Il suo nome che veniva pronunciato dal nuovo cliente invece ebbe su di lui lo stesso effetto di una sveglia dopo una nottataccia di sogni tormentati.
Sobbalzò sul posto grugnendo qualcosa di scontroso all’indirizzo di Eijirou che, con un braccio ancora fasciato, si apprestava a pagare la sua ordinazione.
“Che ci fai qui a quest’ora? Tornatene a casa prima che quell’isterica di Mina si accorga della tua assenza.” Borbottò con un ghigno fastidioso stampato sul viso.
In risposta Eijirou gli mostrò il dito medio e si sedette con lui al tavolo.
Katsuki grugnì una maledizione soffocandola fra i denti quando il suo migliore amico prese posto proprio dinanzi a lui, oscurandogli la vista sul terzo tavolo dalla porta.
“Stanotte copre il turno di un collega malato e pensavo di portarle un caffè. Tu invece che ci fai qui a quest’ora?” Domandò ingenuamente Eijirou, senza sapere di star toccando un argomento piuttosto delicato per la psiche di Katsuki.
Preferì non rispondere ammiccando con il mento all’indirizzo della sua tazza di cioccolata ormai quasi vuota.
“Qui la fanno buona.” Abbozzò come scusa, la prima che gli era passata di mente.
“Da quando ti piace la cioccolata?”
“Da-…”
“Vado a casa, Hana-chan, buonanotte!” La voce del ragazzo entrò nelle sue orecchie come un campanello d’allarme. Di colpo deviò lo sguardo verso la porta giusto in tempo per vederlo mentre scrutava qualcosa nella sua stessa direzione. Per pochi istanti i loro occhi furono uniti da un filo invisibile che Katsuki avrebbe preservato con cura affinché non si spezzasse mai.
Poi la bolla di misticismo che li aveva inghiottiti si ruppe nel momento in cui il ragazzo abbassò lo sguardo. Le sue guance si erano colorate di un tiepido rossore e le lentiggini risaltavano ancora di più.
Uscì e il tintinnio della porta che veniva chiusa sembrò assumere un suono più tetro, come se avesse portato via molto di più con sé.
Eijirou lo fissò per minuti interminabili con un ghigno dipinto sul viso che Katsuki gli avrebbe volentieri strappato via.
“La cioccolata insomma…”
“Ma vaffanculo.”

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Domenica ***


Capitolo 11 - 452 parole 


Domenica

Dopo un estenuante ronda mattutina, Katsuki si sentiva pronto per una sana e vigorosa sessione di cazzeggiamento davanti al canale sportivo. La partita sarebbe iniziata fra meno di venti minuti e faceva giusto in tempo ad andare a casa, infilarsi una tuta comoda e accendere la tv.
In quel primo pomeriggio, come per tutta la mattina, il cielo era scuro e preannunciava una tempesta che ormai prometteva da fin troppo tempo.
Quindi, a rigor di logica, avrebbe fatto bene ad aumentare il passo se non a correre proprio. Oltretutto era pure sprovvisto di ombrello, dunque diventava quasi un imperativo correre a casa.
E in un primo momento aumentò pure il passo! Ma galeotta fu quella piazza così come galeotta fu quella vetrina di quel caffè intimo e anonimo. Ormai era divenuta una consuetudine voltare la testa in quella direzione e cercare con lo sguardo il terzo tavolino dalla porta, proprio al centro esatto della vetrina.
E lui era lì. Con i suoi ricci vaporosi e le sue lentiggini spruzzate sulla pelle chiara, ma senza il solito libro fra le mani.
Senza neppure accorgersene, i piedi di Katsuki avevano cambiato direzione andando dritti verso la porta del caffè.
Il solito tepore gli scaldò le membra infreddolite e la barista lo accolse con il consueto sorriso di benvenuto. Ordinò la solita cioccolata e si sedette al solito posto. Stavolta mise le cuffie alle orecchie e fece partire la telecronaca della partita, ma ben presto la voce del giornalista perse il suo interesse catturato invece da quel ragazzo che continuava ad essere al centro dei suoi pensieri. Aveva le cuffie anche lui. Le sue orecchie erano nascoste dalla matassa di riccioli, ma il filo bianco che le collegava al cellulare sul tavolo era ben visibile sulla sua felpa nera. Sorseggiava qualcosa di caldo soffiandoci sopra di quando in quando. Ogni volta che corrugava le labbra, la sua bocca creava un cuore perfetto con il labbro superiore. Un cuore così bello e invitante, un cuore che gli parve familiare.
Scosse la testa scacciando quel pensiero fastidioso che gli si era insinuato nella mente. Come un sibilo, un fischio acuto e graffiante, strideva nella sua testa come se cercasse di aggrapparsi a qualcosa che Katsuki non conosceva.
Un rombo di un tuono squarciò il placido silenzio dal quale era avvolto il locale. Qualche cliente sobbalzò per la violenza del fragore compreso il ragazzo.
Katsuki lo osservò mentre si toglieva una delle cuffiette e restava in attesa del rumore della pioggia. Chiuse gli occhi come per guastarsi a pieno il momento quando il suono delle gocce d’acqua che si abbattevano sul terreno divenne una melodiosa canzone.
Poi sorrise e Katsuki capitolò ancora una volta dinanzi a quelle labbra floride.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Mercoledì ***



Capitolo 12 - 527 parole 


Mercoledì 

Erano già tre giorni che appena staccava dal lavoro si precipitava lì, nel solito piccolo e intimo caffè a bere cioccolato fondente piccante e forse avrebbe davvero dovuto smettere. Non che i suoi addominali scolpiti iniziassero a risentirne! Anzi, grazie ai duri allenamenti da eroe avrebbe potuto mangiare schifezze da fast food per secoli e non sarebbe ingrassato di mezzo etto. 
Il motivo per cui avrebbe dovuto smettere di frequentare quel locale era anche lo stesso per cui ne varcava la soglia ogni giorno: lui.
Ormai erano settimane che i suoi occhi lo scrutavano nutrendosi della sua figura. Ormai erano settimane che anelava un suo sguardo, anche scioccamente di sfuggita. E ormai erano settimane che quel senso di familiarità associata a lui non riusciva ad abbandonarlo. Era frustrante, snervante e quantomeno assurdo che un perfetto sconosciuto avesse il privilegio di mandargli di traverso le giornate con così poco come la sua assenza.
Ma nonostante tutto la speranza di rivederlo era sempre lì in agguato, coltivata con la migliore dedizione e costanza che Katsuki dedicava ad ogni sua sega mentale. E si odiava per quella insensata fissazione nei confronti di quel ragazzo. Era raccapricciante quello che faceva e presto o tardi si sarebbe beccato una bella denuncia di sicuro, ma la voglia di rivederlo lo portava sempre lì, con il culo sulla sedia di quel caffè a bere cioccolato.
Il tintinnio della porta che si apriva attirò la sua attenzione. Quasi lo sentì arrivare. Il suo corpo si tese come una corda di violino. Le vibrazioni nell’aria cambiarono, l’atmosfera stessa assunse connotati diversi. Tutto sembrava diverso in quel locale pur restando identico a prima quando lui faceva il suo ingresso.
La ripetitività dei suoi gesti era un qualcosa che Katsuki non riusciva a smettere di spiare. Le sue mani martoriate, per esempio, che si muovevano alla ricerca del portafoglio. O le sue dita che sfogliavano le banconote prima di pagare.
Si passò una mano sulla faccia decretandosi ufficialmente senza speranza. Settimane di osservazione e ancora non era riuscito a capire se fosse gay o meno.
Sbuffò sconfitto dalla battaglia fra la sua testa e le sue emozioni e dichiarandosi come unica e sola vittima di quella carneficina.
Poi una risatina entrò nelle sue orecchie. Sembrò quasi una campanellina al vento tanto era squillante e deliziosa.
Alzò lo sguardo d’improvviso sul terzo tavolo dalla porta e lì lo trovò, con il suo solito libro fra le mani, gli occhiali neri sul naso e un sorriso divertito ma timido e impacciato rivolto a lui e solamente a lui.
Ricambiò con uno appena accennato stentando a credere che stesse succedendo realmente.
Furono attimi preziosi, infiniti ma fugaci che Katsuki avrebbe preferito non finissero mai. I loro sguardi si fusero assieme, si chiamarono e si ascoltarono. Dialogarono insieme in melodiosi fraseggi sconosciuti finché la timidezza del ragazzo non ebbe la meglio. Le sue guance si colorarono di un delizioso rossore e i suoi occhi caddero fra le pagine del suo libro incapaci di sostenere ancora quel momento.
Katsuki ghignò tronfio, conscio di essere riuscito a turbare l’animo del ragazzo almeno un decimo di quello che lui gli provocava senza neppure esserne cosciente.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Venerdì ***



capitolo 13 - 511 parole 


Venerdì 

 
Il venerdì sera avrebbe dovuto passarlo per locali a bere e divertirsi. Il venerdì sera era stato creato da Dio in persona affinché le persone uscissero a rimorchiare.
Il venerdì sera era il momento catartico della storia di un uomo single, l’unico momento della settimana che aveva per riuscire a portarsi a casa qualcuno e svuotarsi le palle.
Il venerdì sera era tante cose, ma sicuramente non avrebbe dovuto passarlo in quel caffè a bere cioccolata e sperare che quel ragazzo varcasse la soglia di nuovo. Si sentiva come un cagnolino fedele che aspetta pazientemente il ritorno del padrone: patetico.
Il tintinnio della porta che si apriva lo fece scattare sull’attenti e spalancare gli occhi. Non si aspettava però di vedere Eijirou e Mina con un sorrisetto diabolico stampato sulle labbra e una strana luce negli occhi.
“Che cazzo ci fate qui?” Berciò irritato sentendo la pazienza fluire via dal suo corpo.
Mina ordinò due cappuccini alla barista ignorandolo completamente. Eijirou si sedette con lui spostando la sedia al suo fianco mentre gli propinava una scusa del cazzo sulla solidarietà fra amici.
“Mi stai prendendo per il culo?”
“Ma no! Siamo qui per supportarti nelle tue imprese amorose.”
“Non ho imprese amorose.”
“Questo perché non ci hai ancora parlato!” Rispose Mina con un sorrisetto malizioso mentre portava al tavolo i cappuccini.
“Allora, è nel locale?” Domandò sorseggiando la sua bevanda calda.
Katsuki grugnì un vaffanculo.
“No, non lo vedo. È un bel ragazzo, sarà difficile farlo interessare a questo scaricatore di porto!” Rispose Eijirou dandogli una pacca sulla spalla con il braccio buono.
Katsuki però si sentì sopraffare da quell’intrusione. Quel caffè, quel momento mentre lo guardava, era solo suo. Privato. Unico. Non tollerava spettatori o impiccioni e non aveva intenzione di farseli andare bene, nemmeno se questi erano i suoi migliori amici.
Si alzò in piedi e li mandò a fanculo imboccando la porta a passo di marcia e a testa bassa.
Quello che non vide, troppo occupato a imprecare contro i suoi amici, era che la porta del locale si stava aprendo e il ragazzo stava entrando.
Lo travolse come un treno in corsa, inciampando sui suoi piedi e rovinandogli addosso finché il pavimento del locale non frenò la loro caduta.
“Ma che cazzo!” Berciò Katsuki massaggiandosi la testa. Era piuttosto certo di aver battuto una craniata degna di nota contro qualcosa di davvero molto duro.
“S-scusami… non volevo, io ermm… non so come sia successo…” tentennò timidamente il ragazzo. Katsuki solo in quel momento realizzò contro chi si era scontrato. I suoi occhioni dispiaciuti e le sue guance rossissime per la vergogna erano una vista splendida.
“Non preoccuparti.” Sentenziò infine cambiando tono. La rabbia e l’irritazione sublimate via.
“Permetti che ti offra da bere per scusarmi.” Propose il ragazzo, con un sorriso sincero davvero bello e invitante. Katsuki capitolò subito distogliendo lo sguardo e annuendo in silenzio.
Eijirou e Mina sorrisero soddisfatti.
“Il nostro lavoro qui è concluso, tesoro.” Esordì Mina sorseggiando il suo cappuccino.
“Era tutto pianificato?”
“No, non tutto. Lo scontro non era previsto.”

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Sempre venerdì ***


capitolo 14 - 594 parole


Sempre venerdì 

 
La sua seconda cioccolata fondente piccante aveva un sapore diverso pur essendo la stessa. Seduto al terzo tavolo dalla porta, proprio al centro della vetrina, Katsuki si sentiva nervoso davvero per la prima volta nella sua vita.
Finalmente aveva una possibilità con l’oggetto dei suoi pensieri (tormenti e sbalzi d’umore) e lo sentiva scivolare via dalle dita come sabbia.
Il ragazzo era semplice e composto, timido e impacciato esattamente come gli era sembrato. Le sue guance erano adornate da un tenue rossore che inghiottiva le sue lentiggini. I suoi occhi vispi e verdissimi guizzavano da una direzione all’altra con nervosismo. Le sue mani martoriate tormentavano la ceramica della tazza senza sosta, come se non riuscissero a stare ferme.
“Di solito leggi a quest’ora.” Le parole gli sfuggirono dalla bocca senza che Katsuki se ne accorgesse. Era stato un pensiero, una constatazione sua privata, dunque per quale strambo motivo lo aveva espresso ad alta voce? Praticamente gli aveva pure confessato di averlo spiato per tutto questo tempo.
Il ragazzo però rise garbato estraendo il tomo dalla tracolla ed esibendolo sul tavolo. Adesso che ci faceva caso, era bello spesso. Almeno cinquecento pagine o forse anche di più.
“Già…la mia coinquilina è molto rumorosa e qui trovo l’atmosfera giusta per rilassarmi.” Confessò il ragazzo carezzando la copertina rigida. Gli occhi di Katsuki caddero su quelle cicatrici scure e frastagliate che gli solcavano il dorso della mano. Gli provocavano uno strano effetto di fastidio immotivato.
“Tu invece a cosa giochi con il telefono di solito?” Gli domandò a sua volta e Katsuki alzò la testa di scatto tornando a fissare il suo viso angelico. Era così innocente, nei suoi occhi leggeva chiaramente una dolcezza sconfinata. Realizzò solo in un secondo momento che quella domanda implicava che anche quel ragazzo lo avevesse notato.
“Ho scaricato questo giochino stupido dove un’orda di zombie invade la città e ne sono ossessionato.”
“Ma dai! Sembra divertente.”
“Vuoi provare?” Esordì estraendo il cellulare e allungandoglielo facendolo strisciare sul tavolo.
Gli occhi del ragazzo s’illuminarono di trepidazione.
“N-non sono molto bravo con i giochi virtuali… non vorrei rovinare il tuo punteggio.” confessò abbassando lo sguardo, ma Katsuki non si fece scoraggiare e anzi, colse al volo l’opportunità per avvicinarsi maggiormente a lui aggirando il tavolo con la sedia. Adesso le loro spalle si sfioravano e i suoi capelli ricci vaporosi gli carezzavano il viso di quando in quando. Il profumo che emanavano sembrava fruttato e dolce. Delizioso.
“Tranquillo, ti aiuto io.” Esordì dopo attimi di catatonia. Non che fosse particolarmente spigliato quando rimorchiava, ma quel ragazzo lo rendeva un perfetto imbecille anche solo per una conversazione stupida e banale.
E, cosa più strana, quel senso di familiarità non lo abbandonò neppure per un istante. Ogni minima informazione che acquisiva su di lui, era come se già la conoscesse e l’avesse archiviata da qualche parte nel suo cervello. Era strano e inusuale. Non gli era mai capitato di sentirsi così frastornato e confuso, ma volle accantonare la cosa in favore del tempo che passavano insieme.
Un’ora e quindici minuti dopo, passata fra risate divertite e maledizioni lanciate contro i creatori del gioco, Katsuki tornò a casa con un sorriso ebete sulla faccia e la testa leggera. Non si era neppure reso conto di quando Mina e Eijirou se ne erano andati tanto era preso dal ragazzo e dalle sue lentiggini.
Si batté una mano forte contro la fronte quando realizzò che, dopo tutta la serata passata a ridere e scherzare, non solo non gli aveva chiesto il numero, ma neppure il nome.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Sabato ***



capitolo 15 - 450 parole 

Sabato

 
Quel pomeriggio il turno a lavoro sembrava non terminare mai così come l’inverno. La neve ammassata per le strade pareva congelata lì, ferma in quell’attimo come cristallizzata dal freddo che era tornato più rigido e agguerrito. Il gelo aveva donato alla città soltanto pochi giorni di sole, poi le nubi scure avevano inglobato ogni raggio di luce facendo regnare sovrana di nuovo l’oscurità.
Katsuki aveva scelto di indossare la divisa autoriscaldante quel giorno. Non era mai riuscito a sopportare il freddo e crescendo la cosa non era affatto migliorata. Anzi, la stagione invernale era divenuta oggetto di maledizioni e malumori vari. Odiava ammetterlo, soprattutto perché stava a significare che sua madre aveva ragione su di lui, ma d’inverno era estremamente più scontroso e irritabile del solito.
La ronda era quasi giunta al termine e Katsuki si incamminò verso la piazza principale della città diretto alla sede dell’agenzia di eroi. Le sue labbra si tesero automaticamente in un tiepido sorriso al sol ricordo della sera precedente passata in sua compagnia. Era stato bello parlarci, scherzarci e constatare che fosse realmente una pippa ai videogiochi come già aveva annunciato. Per tutto il tempo si era sentito felice, sereno, la sua classica irritazione sublimata via in un baleno, come se tutte quelle settimane passate ad osservarlo di nascosto fossero infine servite a qualcosa. Ma per ogni singolo momento passato in sua compagnia, quel senso di familiarità non lo aveva abbandonato mai.
Anzi si era fatto acuto e pressante come se cercasse di ricordare un qualcosa di ormai dimenticato da tempo.
Ogni suo gesto, ogni suo sorriso, era stato come se li avesse già visti e dimenticati. Già vissuti e poi persi.
Attraversò la piazza volgendo lo sguardo verso il piccolo caffè in quella che ormai era divenuta una vera e propria consuetudine.
E lì lo vide. Seduto al terzo tavolo dalla porta, con il libro fra le mani e la mente assorta dalla storia che quelle parole narravano.
Una parte di lui avrebbe voluto andare lì, entrare, sedersi al suo tavolo e parlargli, scoprire ancora cose su di lui, cosa gli piaceva, i suoi interessi, cosa lo teneva sveglio la notte e cosa lo spingeva ad alzarsi al mattino.
Avrebbe divorato ogni granello di quello che gli avrebbe detto, avrebbe scoperto molto di più di quel misero frammento che gli aveva mostrato. Si sarebbe dissetato, come un vagabondo nel deserto, e avrebbe conosciuto la storia di quelle brutte cicatrici finalmente.
E per un attimo cedette. Compì un passo, un solo misero e singolo passo verso di lui. Se ne pentì l’istante dopo, quando una ragazza dai capelli color cioccolato lo salutò con un abbraccio caloroso e si sedette al tavolo con lui.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Martedì ***



capitolo 16 - 555 parole 


Martedì 
 
La dimora Ashido - Kirishima era ciò che più si avvicinava per lui al concetto di casa inteso come calore familiare, conforto e accettazione. Neppure il suo appartamento gli rimandava quelle sensazioni benché adorasse con tutto il suo essere il suo appartamento. Dopotutto lo aveva pur sempre comprato!
Capitava raramente (però capitava)  che il suo animo sentisse il bisogno di ricevere compagnia, dunque trascinava le sue membra stanche e provate a casa dei suoi migliori amici armato di pizza e birre e si piazzava sul loro divano. Uno strano allineamento degli astri volle favorire quell’evento più unico che raro benedicendoli con la coincidenza dei loro turni lavorativi. Di fatto, Mina era a casa dal lavoro, Katsuki aveva appena terminato il turno di mattina e Eijirou era sempre convalescente per il braccio.
Così, con la televisione sintonizzata sul canale sportivo, la pizza smembrata e dilaniata sul tavolinetto da fumo e una birra in mano, Katsuki, Mina e Eijirou blateravano del più e del meno senza un apparente nesso logico. Le parole fluivano senza sosta, passavano da un argomento all’altro con la naturale confidenza di chi condivide tutto senza remore e Katsuki sentì la tensione abbandonare il suo corpo provato.
“Uraraka è tornata l’altro giorno dalla missione a Tirana.” Esordì Mina ed Eijirou annuì confermando.
“L’ho vista l’altro giorno, sembra che abbia fatto uno splendido lavoro con quell’organizzazione criminale. Come si chiamavano?”
“Sunrises.” Rispose Katsuki con indifferenza sorseggiando la sua birra.
“Pare fossero pericolosi.” Aggiunse Mina.
“Niente che da sola non poteva risolvere.” Sminuì il suo operato con una punta d’invidia mista a insofferenza. Uraraka gli era sempre stata sulle palle fin dai tempi della scuola.
“Poi com’è andata con il tizio del caffè?” Chiese Eijirou voltando lo sguardo nella sua direzione. Mina,  distesa fra loro con la testa poggiata sulle gambe del fidanzato e i piedi sulle cosce di Katsuki, alzò la testa per puntare i suoi occhioni neri sul diretto interessato.
Katsuki si concesse un lungo sorso di birra. Non voleva parlarne. Non era andato da loro per quel motivo, ma proprio per l’esatto opposto: dimenticare e andare avanti perché dell’autocommiserazione ne era già fin troppo stufo.
Alzò le spalle poi fingendo indifferenza, come se il solo pensiero di lui non lo avesse punto sul vivo come una ferita aperta nella quale viene gettato del sale.
“Non è andata. Non era un gran che.” Minimizzò.
“Sembravate in sintonia.” Tornò alla carica Eijirou e Katsuki dissentì con un grugnito e un altro sorso di birra.
Gli occhi di Mina invece non lo mollarono un secondo. Lo braccarono come lupi famelici con un coniglio inerme.
“Davvero?” Chiese perentoria, con una voce che non ammetteva menzogne. Katsuki ingoiò la sua birra con forza, come se gli costasse fatica.
“Sì.” Confermò infine, ponendo fine alla discussione, impadronendosi del telecomando e cambiando canale. Davano uno stupido quiz a premi, uno di quelli che Eijirou adorava con tutto sé stesso e infatti non ci volle molto affinché s’infiammasse urlando le risposte esatte alla tv come se il concorrente potesse udirlo.
Mina si issò seduta prendendo posto fra i due ragazzi. Si sporse in avanti e catturò uno dei superstiti triangoli di pizza.
“Non mi piace quando mi racconti cazzate.” Sibilò melliflua. Sinuosa e elegante, mordeva come un serpente quando voleva ferire.
Katsuki non ebbe altra scelta che incassare il colpo e soccombere.
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Sabato ***


capitolo 17 - 593 parole 

Sabato

 
Da qualche giorno, Mina era strana con lui. Lo guardava sempre con sospetto, con una strana luce negli occhi scuri e un vago accenno di sorriso che gli metteva letteralmente i brividi. Katsuki non era molto ferrato in fatto di donne. Le sue uniche interazioni con il gentil sesso si limitavano a sua madre e Mina appunto. Con la prima aveva coltivato un rapporto bellicoso di rispetto e insofferenza. Non era stata la madre dell’anno, ma aveva comunque fatto degnamente il suo lavoro genitoriale e Katsuki gli era segretamente grato per averlo allevato come l’uomo che era.
Mina, invece, l’aveva conosciuta alle superiori, al corso di eroi. La sua dinamicità, il suo frizzante buonumore e il suo sorriso gioioso avevano catturato da subito l’interesse del suo migliore amico Eijirou e così l’asociale Katsuki si era ritrovato a dover socializzare con una persona con la quale non avrebbe mai voluto farlo.
Non che avesse qualcosa contro di lei al tempo, solo che era troppo confuso e incazzato per perdere tempo a fare amicizia con la fidanzata del suo migliore amico.
In lei però, inaspettatamente, aveva trovato un’amica preziosa e una confidente discreta. Non a caso, i dubbi sulla sua sessualità li aveva confidati a lei in un delirio alcolico molto prima rispetto ad Eijirou.
Con gli anni il loro affiatamento si era andato ad intensificare pur restando sempre distaccato nonché avveduto. Avevano imparato a conoscersi e a rispettare i limiti che il carattere di uno imponeva all’altra e viceversa. Così, quando la telefonata di Mina gli giunse appena finito il turno di lavoro, Katsuki storse il naso con un certo non so che di scetticismo.
Non era casuale. Con lei mai niente lo era. E non era un caso neppure il fatto che quella sera, con la neve che cadeva morbida dal cielo in fiocchi grandi come batuffoli di cotone, gli avesse chiesto quasi in lacrime di incontrarsi in quel piccolo caffè.
Katsuki ci era cascato con tutte le scarpe, conscio di star andando verso una trappola sordidamente ingegnata dalla sua amica. E non dovette sorprendersi più di tanto quando la vide seduta al terzo tavolo dalla porta con lui, vantando una confidenza sfacciatamente studiata per farlo innervosire.
Si era unito a loro quasi digrignando i denti quando lei lo aveva chiamato a gran voce sventolando la mano come se stesse mandando indicazioni ad un elicottero.
Aveva preso posto a testa bassa, strascicando la sedia sul pavimento in uno stridio raccapricciante e ci si era seduto con un tonfo sordo.
Il grugno infastidito non aveva abbandonato la sua faccia nemmeno per un secondo, neppure quando gli occhi verdissimi del ragazzo erano capitati nei suoi. Gli aveva sorriso come cenno di saluto e il locale sembrava essere divenuto più luminoso.
“Che volevi?” Borbottò in direzione di Mina. Quest’ultima ampliò il suo sorriso ferino.
“Prendere un caffè con il mio migliore amico gay e il mio nuovo amico.” Rispose con parole studiate prima di fingere una telefonata improvvisa e correre via lasciandoli soli.
Il ragazzo sorseggiò il suo cappuccino riempiendo il silenzioso vuoto di tensione che si era andato a creare. Katsuki sbuffò nervoso.
“E da quando sareste amici?” Grugnì scontroso. Il ragazzo deglutì a fatica sviando lo sguardo.
“Da qualche giorno. Una sera si è seduta al tavolo con me e ha iniziato a parlare.” Spiegò e Katsuki immaginò la scena trovandola perfettamente plausibile nonché diabolicamente studiata. Quella donna lo spaventava seriamente giorno dopo giorno sempre di più.
“N-non… non ci siamo ancora presentati.” Iniziò il ragazzo tentennante.
“Mi chiamo Izuku Midoriya.”
“Katsuki Bakugo.”

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Ancora sabato ***



capitolo 18 - 622 parole 


Ancora Sabato

 
Il fatto che quel ragazzo adesso avesse un nome, non cambiava affatto le cose.
Punto primo, Katsuki aveva ancora quel senso strano di familiarità a tormentarlo. Di già visto, di già vissuto che proprio non voleva sapere di andarsene, anzi, si intensificava ogni volta sempre di più dopo ogni sua parola.
In secondo luogo, Katsuki era certo che quella situazione improvvisata da Mina non avrebbe condotto da nessuna parte. E il motivo principale per il quale ne era assolutissimamente convinto aveva un adorabile sorriso, guanciotte paffute e un caschetto castano.
Starsene seduto al tavolo con lui, in quel momento, con la consapevolezza che niente sarebbe andato come voleva e forse non sarebbe cambiato niente, donava a quei minuti un sapore di agrodolce consapevolezza.
Da una parte c’era il tormento dei suoi sentimenti che bussavano con impazienza. Negare l’evidenza ormai non aveva più senso: erano settimane che era cotto di quel Midoriya e prima sarebbe sceso a patti con questo, prima avrebbe fatto pace con il suo cervello.
Dall’altra parte invece regnava incontrastata la rassegnazione più buia dal vago sentore della disperazione. E, annessa a questa, si susseguivano una serie di vergognose elucubrazioni che terminavano sempre in un vittimismo spicciolo e nella più assoluta sicurezza di essere fregato.
Per questi ed altri motivi, Katsuki non riusciva a stare fermo sulla sedia tremando dal nervosismo. E se la situazione si era fatta tesa dopo che Mina aveva spiattellato in faccia a Midoriya il suo orientamento sessuale, Katsuki non faceva niente per alleggerirla. Tantomeno assecondare il blaterare continuo del ragazzo in evidente stato di panico.
Una piccola parte di sé rimpianse quella loro prima volta a giocare con il telefono a quello stupido gioco di zombie. C’era stata una serenità assoluta, una complicità spensierata che avevano spinto Katsuki a rilassarsi e non a chiudersi a riccio come stava evidentemente facendo in quel momento.
Si domandò per un millisecondo della sua esistenza, se Midoriya avesse intuito qualcosa del suo interessamento dopo la rivelazione di quella maledetta della sua migliore amica.
La domanda nacque e morì nello stesso istante. Fu Katsuki ad ucciderla a sangue freddo reprimendola nei meandri del suo subconscio senza donarle una risposta appropriata.
“Scusami, ho parlato troppo. Ti sto annoiando, vero?” Gli domandò con un sorriso imbarazzato davvero splendido e Katsuki ci mise un po’ ad elaborare che si stesse realmente riferendo a lui e si aspettava una risposta. Aveva passato ben venti minuti a guardarlo parlare con la testa altrove senza ascoltare neanche una delle sue parole.
“No, mi sono solo distratto un attimo.” Mentì cambiando posizione sulla sedia. Accavallò le gambe e per sbaglio gli diede un piccolo colpo al ginocchio.
Non si scusò però. Midoriya invece lo fece e per un secondo gli sembrò normale. Una stilettata gli falciò il cranio e un brivido corse lungo la sua schiena nel momento esatto in cui realizzò che era sempre il solito nerd educato e per bene.
Agguantò il tavolo come se stesse per scappare e stesse cercando di trattenerlo. Midoriya dinanzi a lui, sobbalzò colto alla sprovvista.
“Tutto bene? Stai male, Kac-… Bakugo…?” tentennò per un istante che parve un secolo. Katsuki alzò lo sguardo nel suo, tuffandocisi dentro e leggendo uno sconcerto forte e dissestante tanto quanto quello che lui stava subendo.
“Come…?” gracchiò con voce instabile e roca. Le parole non gli venivano alla bocca e anzi sembrava non volessero proprio nascere.
Midoriya scosse forte la testa facendo ondeggiare i suoi ricci vaporosi. Quando fermò la testa, i suoi occhi verdissimi gli rimandarono lacrime dal profumo del pentimento.
Si alzò scusandosi con un lieve inchino e se ne andò, abbandonandolo lì con quel mal di testa paralizzante e gli occhi degli altri clienti come fari puntati verso di lui.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Lunedì ***



capitolo 19 - 630 parole 

Lunedì 

 
Di primo mattino Katsuki si era sottoposto volontariamente ad una scrupolosa visita medica. Non pensava di averne realmente bisogno, insomma, era in forma e piuttosto in salute, dunque perché perdere tempo con una cosa del genere?
La verità era che quel sibilo che aveva percepito nei meandri del suo cervello e il successivo mal di testa, non gli erano piaciuti neanche per scherzo. Non aveva idea di cosa stesse succedendo al suo corpo, non aveva idea del perché avesse avuto una reazione psicosomatica così forte per un solo sciocco pensiero. L’unica cosa che sapeva invece era che non era stata una reazione normale. Non era normale quello che gli era successo proprio come non era stata normale la reazione di Midoriya. C’era qualcosa che non tornava, che non quadrava. Troppe domande affollavano la sua mente tormentata, troppi interrogativi aleggiavano intorno a quel ragazzo e Katsuki era del tutto intenzionato a svelare quei segreti che gli parevano così imprescindibili.
Per questo si trascinò nell’ufficio del Cervellone con una confezione maxi di patatine fritte da fast food e due bibite gassate.
Sapeva che, senza quei due argomenti convincenti, il Cervellone non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi al computer centrale del database.
“Buongiorno Bakugo, come posso aiutarti?” Domandò una vocina squillante e deliziosa. Janny era la responsabile dell’archivio contenente tutti i rapporti delle missioni mondiali nella quali era custodita una parte privata riportante i dati di ogni civile anche solo vagamente coinvolto in una delle missioni. Che fosse una scaramuccia fra adolescenti o un attacco terroristico su larga scala, se era intervenuto un qualsiasi Hero, aveva stilato sicuramente un rapporto della missione. Era la procedura e Katsuki se ne era lamentato spesso perché lui e la compilazione di scartoffie non erano mai andati d’accordo. E, per logica, se mai Midoriya avesse avuto a che fare con un Hero o anche se solo l’avesse incrociato per sbaglio mentre calmava gli animi di una riunione di condominio troppo agitata, sarebbe comparso nel database e Katsuki avrebbe potuto accedere al suo file.
Per una serie incalcolabile di motivi però, c’erano altrettante incalcolabili regole che vietavano in maniera assoluta l’accesso a quelle informazioni a qualcuno che non fosse il Cervellone, cioè Janny.
Katsuki ghignò sfoderando il suo sorrisetto più accattivante. Janny era, per sua fortuna, facilmente corruttibile data la sua passione sfrenata per le patatine fritte.
“Lasciami una mezz’ora con il computer.” Snocciolò lasciando cadere la confezione di patatine sulla scrivania. A Janny brillarono gli occhi e si fece tesa all’improvviso.
“Sai che è contro le regole. Cosa vorresti fare?”
“Ho avuto un incidente imbarazzante durante una missione con Mina e quella stronza ha scritto tutto nel rapporto. Voglio modificarlo prima che i capi lo leggano.”
Janny sembrò scrutarlo per sondare la veridicità delle sue parole. Katsuki mantenne lo sguardo e aggiunse alle patatine anche le bibite gassate sulla scrivania.
“Che genere di incidente imbarazzante?” Domandò lei, controllando la tipologia di bibita che Katsuki le aveva comprato.
“Non dovresti farti i cazzi tuoi?”
“E tu non dovresti essere qui.”
Katsuki ringhiò astioso squadrandola truce. Poi sbuffò e cedette.
“Con il suo acido del cazzo mi ha corroso la tuta e non me ne sono accorto. Per farla breve ho fatto vedere le mie mutande a mezza Nerima.”
“Non mi sembra tanto grave. Almeno, non sembra che ti interessi davvero mettere le mani su quel file, altrimenti non mi avresti portato solo una confezione maxi.” Ammiccò lei con un sorrisetto malizioso. Katsuki ruotò gli occhi al cielo nel momento esatto in cui si rese conto di essersi fregato da solo andando da lei.
“Fanculo.” Digrignò i denti e sputò quelle parole con astio prima di andarsene. Quindici minuti dopo, con ben tre confezioni maxi di patatine fritte, il Cervellone gli concesse la sua mezz’ora con il computer.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - Sempre lunedì ***



capitolo 20 - 632 parole 


Sempre lunedì 

 
Le dita si mossero leste sui tasti. Katsuki non aveva nessuna intenzione di perdere neppure un secondo di quella mezz’ora che il Cervellone gli aveva concesso.
Aveva immaginato di dover spulciare uno o due file. Tre al massimo e soprattutto poco dettagliati con la fortuna che aveva.
Midoriya non gli sembrava il tipico cretino che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Era molto calmo, abitudinario, il classico tipo che passa inosservato. Dubitava fortemente che avesse preso parte ad una rapina se non come ostaggio.
Nel momento esatto in cui premette invio però, il database gli rimandò una sfilza infinita di file. Per la maggior parte provenienti dall’estero, ma qualcuno più recente era locato in Giappone.
Poggiò le spalle allo schienale della poltrona percependo solo in quel momento quanto ardua e ripida fosse la salita che si era appena imposto di scalare. Per un istante, un vago senso di sconforto lo investì e gli venne quasi voglia di desistere. Poi però iniziò a scartabellare i risultati dei file che aveva sott’occhio ed erano tutti del noto Hero americano Deku.
Era strano. Era davvero molto strano che avesse ottenuto così tanti risultati del solito eroe e per di più straniero.
Ne aprì uno a caso. L’ultimo, ovvero il più recente. Lesse avidamente ogni parola, cercando indizi, cercando di capirci qualcosa in quel mare di informazioni che si era trovato fra le mani. Il nome di Midoriya non comparve mai nel rapporto dell’Hero Deku e questo impensierì ulteriormente Katsuki. Se Midoriya non aveva avuto niente a che fare con quella missione, come mai il database la rimandava come risultato se aveva cercato il suo nome? Non aveva senso… non vi era alcun nesso logico eppure…
Aprì un altro file, uno a caso di una missione in America.
Deku era stato assegnato alla squadra di ricerca persone disperse dopo il disastro a New York e si era imbattuto nell’ennesima bomba piazzata dai terroristi. Stando al rapporto, non aveva esitato un momento e si era lanciato sui civili proteggendoli con il suo corpo dall’esplosione. Katsuki provò una forte stima per lui. Deku era famoso in tutto il mondo per aver scalato la classifica mondiale degli Hero a velocità spaventosa. Quel suo altruismo e devozione al sacrificio poi avevano fatto il resto. I media andavano pazzi per lui, per i suoi modi semplici e gentili e per la sua disponibilità.
Fece due più due. Una lampadina di accese nel suo cervello e illuminò la risposta che a lettere intermittenti svettava chiara e limpida: Deku era Midoriya. Non c’era altra spiegazione. Era così semplice e chiaro che si stupì della sua ingenuità nel non averlo capito subito.
C’era anche il referto medico in allegato al rapporto. La conferma la ebbe leggendolo, quando la grafia elegante e precisa della firma del paziente riportava il nome Izuku Midoriya.
Sogghignò soddisfatto. Non lo avrebbe mai detto che sotto a quei capelli indomabili e dietro a due occhioni angelici si potesse celare uno degli Hero più grandi degli ultimi anni.
Scorse ancora fra i file risalendo al periodo giovanile, quando aveva iniziato con il tirocinio e poi risalì alle prime missioni da professionista in Giappone prima di partire per l’America.
Ne aprì qualcuna e la spulciò per semplice curiosità. Lesse dei suoi sbagli da novellino alle prime armi e gli venne da ridere. Lesse delle sue missioni più famose, quelle da appena ventenne, quando sbaragliò una delle più grandi organizzazioni criminali di tutti i tempi. Poi gli occhi gli caddero per caso su un file dove c’era riportato anche il suo nome da Hero: Dynamite.
Non ricordava di aver lavorato con lui. Anzi, era certo di non averlo fatto, altrimenti se ne sarebbe ricordato! Non era così idiota, cazzo!
Aprì il file e quello che lesse fu come una doccia fredda.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - Martedì ***



capitolo 21 - 593 parole 

Martedì 

 
Aveva atteso quel momento per tutto il giorno. Aveva rischiato il posto di lavoro corrompendo il Cervellone per ottenere risposte e adesso che quel plico di fogli bruciava fra le sue mani, non vedeva l’ora di ottenerle tutte.
C’era sempre stato qualcosa che non quadrava, c’era sempre stata, con lui, quella vaga sensazione di conosciuto che si era intensificata pian pianino con il passare dei giorni. Era stato come assuefarsi ad una tossina: prima l’aveva lasciata entrare dentro di sé, l’aveva assaporata e gli era piaciuta al punto da divenirne dipendente.
Lo aveva cercato per settimane intere, quando attraversava la piazza, guardando in quella vetrina e sperando di vedere i suoi capelli scarmigliati. Aveva cercato la sua tossina personalissima nei volto della gente, nei passanti, aveva pensato a lui in ogni momento della sua esistenza e proprio adesso che non poteva più farne a meno, tutto sembrava crollargli addosso.
Andò verso il caffè a passo di marcia e non si stupì affatto di vederlo lì, al solito tavolo, con lo sguardo rivolto verso l’esterno e i lineamenti del viso contratti in una smorfia di tensione.
I suoi occhi brillarono di un verde smeraldino quando lo riconobbe. Ma durò solo un secondo, poi il buio nervoso inglobò le sue iridi in una nuvola scura.
Katsuki entrò nel caffè e marciò dritto da lui. Scostò la sedia rumorosamente e vi si sedette poggiando il plico di documenti sul tavolo, proprio in mezzo a loro.
“Sono qui per avere delle cazzo di risposte.” Abbaiò Katsuki. Midoriya si strinse nelle spalle e fece un respiro profondo. Poggiò le mani sul tavolo e gli rivolse uno sguardo apparentemente calmo ma dal sapore della rassegnazione.
“Sono qui per questo. Chiedi.”
“Che cazzo è successo a Kobe?” Domandò ringhiando percependo il nervosismo divenire impazienza.
Le labbra di Midoriya si strinsero in una linea dura e sottile.
“Kobe è stata la mia ultima missione prima di partire per l’America.” Iniziò con un sospiro. Poi una pausa e un sorriso mesto dal retrogusto triste. Sembrava che stesse cercando le parole per confessare ciò che ancora non era pronto a raccontare.
“Stavo dando la caccia ad un cattivo evaso di prigione: Tightrope. Avevo avuto la soffiata che si stesse nascondendo a Kobe, al mercato del pesce adiacente al porto e mi sono diretto lì pronto a stanarlo.”
“La missione la so già, ho letto il rapporto.” Intervenì Katsuki puntando l’indice sul plico di documenti.
“Voglio sapere perché in questi cazzo di documenti viene fuori il mio nome fra le vittime collaterali.” E non era una domanda, ma un’imposizione inequivocabile.
Midoriya abbassò lo sguardo sul tavolo e Katsuki fu certo che stesse trattenendo le lacrime. Non aveva modo di vederlo in faccia, ma lo sapeva. Qualcosa dentro di lui aveva riconosciuto quel modo di rifuggire ai suoi occhi come qualcosa di allarmante e non voluto. Sentiva di averlo già visto sul punto di piangere un sacco di volte e che ogni volta fosse a causa sua, come una maledizione infinita.
“Tu… non dovevi trovarti lì, a Kobe.” Confessò Midoriya. Katsuki notò che gli stavano tremando le mani.
“Avevo raccolto un sacco di informazioni su Tightrope, abbastanza da non farmi fregare dal suo quirk.” Un altro sospiro. Un altro momento di esitazione e poi tornò ad alzare lo sguardo pregno di lacrime nel suo. Katsuki si sentì vacillare. Era come se lo avesse visto in quello stato un sacco di volte, ma quella fosse comunque la prima.
“Quello che non sapevo era che anche lui aveva raccolto informazioni su di me… anzi, su di noi.”

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - Un mercoledì di molti anni prima ***


capitolo 22 - 783 parole 

Un mercoledì di molti anni prima 

 
Il turno a lavoro era stato sfiancante e Izuku trascinava i piedi per le scale diretto al suo appartamento. Aveva ancora molte cose da fare, da scrivere il rapporto di fine turno, da mettere la lavatrice e provare a smacchiare la felpa azzurra di Kacchan da quella temibile salsa messicana che sembrava essersi avvinghiata al tessuto con le mani.
Girò le chiavi nella toppa ed entrò. L’appartamento era inondato di un sole caldo e accogliente che gli scaldò le membra stanche ed intorpidite. Nell’angolo in fondo, proprio accanto alla porta che dava sul terrazzo, svettava il divano come premio meritatissimo per il suo duro lavoro. Gli sembrava così invitante che ci sarebbe morto sopra fino all’ora di cena se solo Kacchan non lo stesse già occupando.
“Bentornato.” Gli disse senza staccare gli occhi dalle lettere che si rigirava nervoso fra le mani. Izuku si sfilò le scarpe e gli andò incontro sedendosi sul bracciolo e cingendo l’altro sulle spalle con un braccio. Attese pazientemente ed in silenzio finché il biondo non si decise a rivolgere lo sguardo verso di lui donandogli la sua completa attenzione.
Sorrise felice Izuku, unendo le loro labbra in un casto e tenero bacio.
“Cosa cerchi?” Gli domandò sbirciando le lettere e Kacchan s’irrigidì gonfiando le spalle.
“Stavo guardando se fosse arrivata quella lettera.” Rispose a denti stretti alzandosi dal divano come un’automa e andando verso il frigo. Izuku non lo guardò, non ebbe bisogno dell’ennesima conferma perché lui sapeva benissimo che quando si toccava quell’argomento Kacchan si buttava sull’alcol come difensiva. Non si stupì di sentire il rumore di una lattina di birra che veniva aperta.
“Non puoi continuare a logorarti così, Kacchan.” Sospirò facendogli notare quello che nessuno sulla faccia della terra aveva il coraggio di fare. Non si meravigliò del grugnito rissoso che gli arrivò come risposta.
“Sembra che tu la viva benissimo invece, cazzo.”
Si voltò a contrastarlo, pronto ad essere usato come sfogo per le sue frustrazioni come da prassi nella loro relazione ormai.
“Sto male come te, in ansia tanto quanto te, ma almeno cerco di contenermi e non affogare i miei nervi nella birra.” Col senno del poi, la lattina che per poco non lo prese in faccia avrebbe dovuto aspettarsela.
“Non fare quello dal rigore morale eccelso, brutto coglione ipocrita che non sei altro.” Gli sibilò con il braccio ancora a mezz’aria squadrandolo truce.
“Todoroki mi ha detto che ti stai ammazzando in palestra e hai chiesto al reparto di ingegneria una stanza con la gravità aumentata per allenarti. Se vuoi ammazzarti di allenamento, fai pure, ma non venirmi a cagare il cazzo su quanta birra mi scolo per annientare lo stress.” Gli abbaiò contro con occhi di fuoco. Anche solo quelli sarebbero bastati a Izuku divenire cenere.
Si alzò dal divano colto di sorpresa e preso in flagrante. Non pensava che lo avrebbe tradito così… quando Todoroki aveva sentito per errore la sua chiacchierata con l’ufficio di ingegneria, non aveva pensato minimamente al pericolo che rappresentava una soffiata a Kacchan.
“Hai ragione… sono un’ipocrita.” Confessò mettendo le mani avanti alla ricerca di un terreno comune. Kacchan però non si fece abbindolare e rimase sulla difensiva. Prese anche un’altra lattina fra le mani da bere. O forse da lanciare come proiettile, ma Izuku non si lasciò intimidire da quell’ipotesi.
“N-non ho scusanti, davvero… non dovevo dirti niente, quello che fai sono affari tuoi, solo che è tutto così frustrante! Non dovrebbero darci uno stupido permesso per creare una famiglia solo perché siamo entrambi Hero!” Si sfogò Izuku sentendo gli occhi pizzicare parola dopo parola. Era dolorosamente facile aprirsi con la persona che amava e purtroppo la vulnerabilità non era una caratteristica richiesta fra gli Hero.
Si accasciò sul divano prendendosi la faccia fra le mani, ma i singhiozzi che gli scuotevano le spalle erano un chiaro spoiler sul suo stato d’animo.
Improvvisa, una mano calda gli si poggiò fra i ricci ribelli in una carezza rude e impacciata.
“Sei sempre il solito piagnone…” aggiunse poi come condimento a quel gesto. Un tiepido tentativo di consolazione che il cuore di Izuku abbracciò entusiasta.
“Stasera ti preparo il Katsudon.” Lo informò Kacchan ed Izuku gli sorrise fra le lacrime. Apprezzava quel goffo tentativo di conforto, davvero, ma l’ansia scatenata dal fatto che il governo potesse impedirgli di adottare per colpa del lavoro che avevano sempre sognato lo distruggeva tassello dopo tassello.
Anche per Kacchan era così. Ne era certo. Lo sentiva nell’aria, dal suo modo nervoso di muoversi, dal suo continuo agitarsi nel sonno, dalla sua lattina di birra sempre in frigo come se si autorigenerasse lì senza passare dal supermercato.
Erano tempi difficili in attesa di un responso che avrebbe anche potuto straziarli.
 
{Scusate per il ritardo, ma oggi avevo la prima medicazione dopo l’operazione e mi hanno fatto un male boia. Mi sono ripresa giusto ora 🥲}

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - Un giovedì di molti anni prima ***



capitolo 23 - 691 parole 

Un giovedì di molti anni prima


 
L’evasione di Tightrope fu la notizia più devastante che l’agenzia ricevette. Criminali come lui, efferati, famigerati e senza scrupoli, erano ciò che più impensieriva Izuku. Nel corso della sua carriera, aveva avuto a che fare con molti cattivi e tutti erano accumunati dalla voglia spasmodica di ottenere qualcosa. Tutti erano pronti a perseguire vie poco etiche per ottenere ciò che desideravano, ma c’era un sottile confine che segnava una linea netta di demarcazione oltre la quale era sconsiderato addentrarsi.
Tanti cattivi erano disposti a sacrificare molto di loro, ma non tutto. C’era ancora qualcosa alla quale tenevano, qualcosa che li manteneva ancorati al mondo con i piedi ben saldi per terra. Una sorta di casa ideologica che non volevano sacrificare ma per la quale avrebbero sacrificato.
Poi c’erano quei criminali come Tightrope che invece avevano oltrepassato quella linea di demarcazione molto tempo fa e continuavano ad addentrarsi in territori bui e nefasti.
Izuku aveva avuto a che fare con lui durante il suo primo anno da Hero professionista. Era stata una cattura difficile sia fisicamente che psicologicamente. Aveva visto la morte in faccia quel giorno e aveva conosciuto la vera crudeltà di quell’uomo. Aveva toccato con mano la bassezza di quell’essere e era rimasto intriso del suo putrido viscidume. Di fatti, dopo averlo assicurato alla giustizia, aveva iniziato ad andare in terapia per affrontare e superare l’accaduto.
Restare vittima del quirk di Tightrope era un’esperienza micidiale e mortale al tempo stesso. Izuku non ricordava con precisione quali suggestioni avesse creato nella sua mente, ma ricordava alla perfezione il senso di impotenza che aveva provato. Ricordava benissimo la sua voglia di combattere e ribellarsi che veniva annientata dalle visioni che quell’uomo creava appositamente per distruggerlo.
Aveva faticato tanto per riuscire a superare quell’esperienza ed era pronto a faticare e sacrificarsi ancora e ancora pur di non far provare a nessuno quello che aveva passato lui.
Per questo motivo e tanti altri, aveva iniziato a raccogliere informazioni su informazioni su Tightrope. Gli Hero infiltrati nelle organizzazioni criminali erano una fonte preziosa per lui e con cadenza regolare di almeno due settimane, Izuku incontrava i suoi informatori in luoghi sempre diversi per non destare sospetti.
Quella sera, dopo che aveva avuto la soffiata di dove si stesse nascondendo Tightrope, si recò a Kobe con una squadra di Hero d’assalto pronto a riportare quel bastardo dietro alle sbarre.
Quello che non si aspettava, era che all’ingresso del mercato del pesce adiacente al porto ci fosse anche Kacchan.
“Kacchan, che ci fai qui?” Gli domandò attirandolo da una parte, dietro una baracca fatiscente che puzzava di pesce marcio.
Katsuki ringhiò in collera.
“Non ho la minima intenzione di farmi fottere l’arresto da te, nerd!” Berciò in risposta il biondo, incurante di quanto fosse delicato e precario quel momento prima che la squadra d’assalto facesse irruzione.
“Vuoi arrestare Thighrope? Ma l’agenzia aveva detto che si trattava di una mia esclusiva…” chiese Izuku confuso scuotendo la testa. Kacchan non riuscì neppure a rispondere e smentire dicendo che no, non era a Kobe per Tightrope ma bensì per Medusa e che la sua caccia all’uomo l’aveva condotto fin laggiù. Ma non riuscì a fare assolutamente niente di ciò, quando alle spalle di Izuku iniziò a delinearsi una figura sinuosa dalle tenebre con due occhi luminosi come quelli di un serpente. Appena incrociò il suo sguardo, sentì il suo corpo sfuggire al suo comando e divenire improvvisamente rigido e pesante.
Per quanto volesse muoversi, per quanto volesse reagire a quello stupido quirk, non riusciva a contrastarlo subendolo totalmente.
Per fortuna Izuku si accorse della situazione e reagì di conseguenza. La squadra d’assalto irruppe al mercato cercando Tightrope e Medusa in ogni dove. Izuku restò al fianco di Kacchan fin quando gli fu possibile. Sapeva che la paralisi di Medusa era provvisoria e non permanente, ma non aveva idea di quanto sarebbe durata.
Quando però una schiera di serpi verdi lo attaccarono improvviso, Izuku fu costretto ad allontanarsi dal corpo immobile del suo compagno per difendersi dagli attacchi dei capelli velenosi di Medusa.
Quello che non sapeva, era che Thigtrope non aspettava altro che quel preciso momento per uscire allo scoperto.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 - Un sabato di molti anni prima ***


capitolo 24 - 541 parole 

Un sabato di molti anni prima

 
Erano passati più di due mesi da quel giorno. I media avevano raccontato l’accaduto al mercato del pesce come una vittoria schiacciante del bene sul male, un trionfo assoluto dell’eroe Deku che non solo aveva coordinato le mosse della squadra d’assalto, ma vi aveva anche partecipato sbaragliando il nemico e assicurandolo alla giustizia.
Izuku però non era affatto d’accordo con loro. Sì, la missione era riuscita e Thigtrope e la sua complice Medusa erano stati arrestati, ma il mercato del pesce e il porto di Kobe erano stati letteralmente rasi al suolo e delle venti persone che componevano la squadra d’assalto, nove avevano perso la vita e altre quattro erano rimaste vittima dei quirk di medusa e Thigtrope combinati insieme. Incluso Kacchan.
Con una stima di ben tredici Hero fra vittime effettive e collaterali e mezza città distrutta, Izuku non si sentiva affatto un vincitore. Un cattivo dietro alle sbarre non rendeva compiuta al meglio una missione. E questo lo sapeva bene. Aveva passato i mesi successivi all’accaduto a ripeterlo ai parenti delle vittime mentre portava loro la tragica notizia.
Da quel giorno, dopo aver terminato i suoi doveri da Hero, si era letteralmente trasferito in ospedale per accudire Kacchan e aiutarlo nella sua riabilitazione. Un team di psicologi e psichiatri altamente specializzati avevano preso a cuore i casi dei quattro Hero vittime collaterali e passavano giorno e notte a cercare di aiutarli e guarirli dagli strascichi delle visioni di Thigtrope.
Con il passare del tempo però, la situazione andò sempre peggiorando senza che nessuno potesse farvi alcunché. Il primo passo verso lo sfacelo, fu il fatto che nessuno dei soggetti avesse riscontrato miglioramento effettivi a livello psichico. Sembravano catatonici, come se fossero ancora vittima de quirk di Thigtrope e non riuscissero ad uscire dal loop di visioni.
Poi iniziarono gli attacchi violenti. I soggetti passavano improvvisamente dal sonno ad attaccare violentemente chiunque gli si avvicinasse. Avevano rischiato di uccidere una dottoressa e due infermieri se solo Izuku non fosse intervenuto.
Era stato sfiancante e doloroso vederli reagire così, soccombere al quirk piano piano senza combattere o riuscire a superare il trauma.
Izuku era stremato sia fisicamente che psicologicamente. Vedere il suo compagno inerme e vittima di sé stesso era qualcosa che non era pronto ad affrontare e forse mai lo sarebbe stato.
Poi iniziarono gli atti di autolesionismo. Uno ad uno gli Hero iniziarono ad usare i propri quirk contro di sé gridando disperati alla ricerca di una liberazione che non avrebbero mai ottenuto.
E dopo tre decessi per suicidio, quando restava solo Kacchan come paziente superstite, il team di medici propose una soluzione definitiva quanto devastante.
L’evento traumatico non riusciva ad abbandonarli, si erano chiusi in esso vivendolo come se fosse la realtà e credendo alle menzogne che Thigtrope aveva deciso di far vedere loro. L’unica soluzione a quel punto sembrava la rimozione dell’evento traumatico dalla loro memoria e di tutto ciò che lo riguardava.
Per Kacchan significava la completa rimozione dei ricordi di Izuku e della loro vita insieme.
Era stata la decisione più difficile della sua vita, la più sofferta e la più sacrificata. Ma la vita di Kacchan era la cosa più importante e Izuku avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvarlo. E così aveva fatto.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 - Sempre martedì ***


capitolo 25 - 774 parole 

Sempre martedì

 
“E questo è quanto.” Concluse Midoriya asciugandosi frettoloso una lacrima. Una delle tante che aveva versato raccontandogli la storia più dolorosa della sua vita. Anzi, della loro vita.
Katsuki rimase impassibile, i pugni stretti dalla rabbia e la voglia di far esplodere qualcosa. Era incazzato, sì, ma non poteva esserlo con lui. Non del tutto per lo meno. Gli aveva salvato la vita in fondo, avrebbe dovuto essergli grato, anche se in realtà si sentiva derubato. Alla fine, Izuku aveva acconsentito affinché il team di psicologi usassero un quirk cancella memoria su di lui che non aveva rimosso solo il necessario, ma per sicurezza, aveva rimosso una parte intera della sua vita.
E per quanto raffazzonata gliel’avesse raccontata, sembrava una vita bella, felice e piena di quel qualcosa che negli anni Katsuki aveva sempre cercato e mai aveva trovato.
“Se vuoi chiedermi qualcosa, fai pure… non ti negherò alcuna risposta.” Disse Midoriya interrompendo il suo fiume di pensieri silenziosi. Katsuki lo squadrò male sentendo l’impulso impellente di fargli esplodere qualcosa addosso. Il tavolo magari.
Invece si riaccomodò sulla sedia cercando le parole migliori per esprimere quello che aveva in testa.
“Sei una merda.” Ecco, questo rendeva bene l’idea.
Midoriya sobbalzò sul posto, ma incassò annuendo come se un po’ se lo aspettasse e un po’ se lo meritasse. Non replicò e lasciò all’altro spazio per continuare.
“Hai cancellato i miei ricordi, non avevi alcun diritto di autorizzare una cosa del genere. Erano i miei ricordi… miei, cazzo. Era la mia stracazzo di vita.”
“La nostra vita, Kacchan!” Replicò Midoriya punto sul vivo.
“Ho sacrificato tutto quello che avevamo per te e lo rifarei mille altre volte perché ti amavo… e ti amo ancora.”
Stavolta il tavolo sembrò semplicemente troppo invitante e Katsuki lo fece esplodere creando il panico fra gli altri clienti.
Midoriya però rimase impassibile e mentre gli altri scappavano spaventati. Rimase seduto immobile a guardarlo negli occhi con un cipiglio combattivo che sapeva tanto di autodistruzione.
“Mi hai derubato e te ne sei andato senza preoccuparti di un cazzo!” Berciò in risposta Katsuki, accusandolo e sentendo quella rabbia che aveva cercato di lasciare latente, montare nel suo petto.
“Ho dovuto farlo! I medici avevano detto che rivederci dopo poco tempo avrebbe annullato gli effetti del quirk cancella memoria!”
“Per questo sei andato via per anni lasciandomi solo con mille domande delle quali solo tu avevi le risposte?!” Urlò Katsuki graffiandosi la gola. Ormai il locale era stato sgomberato divenendo il loro personalissimo palcoscenico.
“Non avevo altra scelta!”
“Sì invece! Avresti potuto cercarmi in qualche modo e dirmi che i primi sei anni dopo il diploma li avevo passati costruendomi una cazzo di famiglia con te!” Stavolta le parole di Katsuki sembrarono andare a fondo e ferirlo davvero. Midoriya rimase immobile a guardarlo con le lacrime che gli rigavano gli occhi ma senza più quella luce battagliera ad illuminarli. Era spento. Spezzato. Distrutto. E Katsuki odiò con tutto sé stesso quella sensazione di familiarità che provava nel vederlo in quello stato.
Deglutì, Midoriya, abbassando poi lo sguardo sulle schegge di legno che restavano del tavolo.
“Hai ragione.” Pigolò piano, quasi come se temesse di essere udito.
“Ho sbagliato a scappare per quasi cinque anni. Non so perché l’ho fatto, ma gettarmi a capofitto nel lavoro è stata l’unica cosa che mi ha dato conforto.”
“Perché sei tornato adesso?” Non si risparmiò di chiedere. Stavolta i toni più calmi e pacati suggerivano una resa stremata di entrambi. Vittime e carnefici inconsapevoli l’uno dell’altro.
Midoriya alzò le spalle rassegnato, poi estrasse dalla tasca una lettera spiegazzata e gliela porse.
Katsuki la prese come se si trattasse di una reliquia sacra. Non aveva idea del contenuto, ma qualcosa dentro di lui lo spingeva a riporre in quel pezzo di carta un mare di sogni e aspettative.
L’aprì e al suo interno trovò la foto di una bambina dai ricci corvini e la pelle color ebano. I suoi occhi erano scuri, la stessa tonalità del cioccolato fondente. Doveva avere circa tre anni o poco più e sorrideva entusiasta all’obbiettivo mostrando fieramente l’ultimo pupazzo di Deku in commercio.
Alzò lo sguardo verso Midoriya in cerca di risposte. Il suo cervello ne aveva elaborate un paio, ma non era certo che corrispondessero alla verità.
“A New York non sono riuscito a salvare tutti gli ostaggi nello scontro contro Sisma.” Esalò sconfitto. Katsuki vide chiaramente il peso della sua colpa gravargli sulle spalle.
“I suoi genitori sono morti schiacciati sotto alle macerie e lei è rimasta orfana finché il governo non ha acconsentito all’adozione.”
“Che-… che cazzo stai dicendo?”
“Lei è Ethel, mia figlia. Nostra figlia per il governo.”

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 - Giovedì ***


capitolo 26 - 667 parole  

Giovedì 

 
Non era stato facile. Ascoltare quello che aveva da dire, ascoltare i pezzi fumosi e mancanti della sua vita era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto.
E come rivelazione finale, quasi come se attendesse di chiudere in bellezza, Midoriya aveva sganciato la bomba più allucinante che avesse mai udito.
Non solo adesso Katsuki si ritrovava con un mal di testa martellante da due giorni, non solo era incazzato come una iena rabbiosa, no, adesso doveva fare i conti pure con una nuova realtà che gli era letteralmente piombata addosso.
La foto l’aveva tenuta. Sul retro c’era scritto l’indirizzo dove abitavano Midoriya e… sua figlia.
Si erano lasciati in malo modo, con parole ringhiate cariche di rancore e risentimento. Le sue almeno. Midoriya era sconfitto. Nell’anima e nel corpo. Sembrava quasi un cadavere che camminava e Katsuki si domandò quanto gli fosse costato tutto quello, quanto avesse sacrificato per salvarlo. Ma quella domanda attraversò la sua mente una frazione di secondo soltanto. L’attimo dopo era di nuovo incazzato, pieno di rabbia, rancore, domande e curiosità.
Gli aveva fornito anche il numero dello psichiatra che aveva effettuato la rimozione dei suoi ricordi. Lo aveva chiamato subito il giorno stesso, incurante dell’orario, e si era fatto raccontare tutto. Ogni cosa. Per filo e per segno. Quasi come se dubitasse delle parole di Midoriya.
Quando aveva ricevuto l’ennesima conferma, la rabbia era montata di nuovo e avrebbe fatto volentieri esplodere il cellulare se solo il medico non gli avesse raccomandato degli psicofarmaci per evitare che i ricordi e il trauma tornassero a galla.
In pratica aveva passato due giorni interi a rimuginare e rimuginare, a bere acqua frizzante (perché con i farmaci non gli era concesso alcol) e a drogarsi con quelle pillole di merda.
Poteva affermare con sicurezza matematica che da quando lo aveva visto per la prima volta, la sua vita aveva iniziato ad andare sempre più a scatafascio. Una cosa dopo l’altra erano colate a picco senza che lui potesse fare alcunché. Soprattutto perché per qualche masochistico motivo, continuava, perseverava con incuranza a volerlo vedere. Nonostante la rabbia, nonostante il rancore, gli mancava. E gli costava da matti ammetterlo, ma era drammaticamente vero. Il campanello che suonava lo distolse dai suoi pensieri. Si alzò e andò alla porta convinto che fosse il corriere con il nuovo CoD con il quale aveva promesso a sé stesso di passare le giornate.
Quando l’aprì però, vi trovò davanti un Kirishima Eijirou dal sorriso nervoso e una Mina Ashido dallo sguardo birichino che teneva in mano il suo ultimo acquisto.
“Se lo vuoi, facci entrare.” Lo aveva minacciato liberamente, incurante del fatto che avrebbe potuto farli esplodere seduta stante e ritirare il suo acquisto dalle ceneri di un cadavere carbonizzato.
“Fottetevi.”
“Amico, dai… Sappiamo che hai bisogno di noi.”
“Non ho bisogno di un cazzo nessuno, andatevene a fanculo tutti!”
“Oh insomma!” La voce acuta, puntigliosa e infastidita di sua madre s’intromise come un tarlo nel cervello che, scavando, aveva trovato l’epicentro della sua rabbia.
I suoi genitori si rivelarono: si erano nascosti proprio dietro l’angolo per aspettare il momento migliore per saltare fuori. Di suo padre se ne stupiva. Da sua madre avrebbe dovuto aspettarsi un trucchetto simile.
“Non è questa l’educazione che ti ho insegnato, Katsuki!” Berciò la donna avanzando trionfante come un vincitore sul campo di battaglia.
Katsuki squadrò malissimo i suoi amici.
“Avete stretto alleanza con il nemico?” Domandò sorpreso e sconcertato dall’accaduto.
Eijirou alzò le mani a mo’ di resa, ma Mina sorrise soddisfatta e questo lo fece incazzare a livelli stratosferici. Quella donna era una vera piaga… così come l’unica altra donna della sua vita del resto.
“Quanto sei melodrammatico!” Rincarò la dose sua madre, prendendo sotto braccio Mina e avanzando in casa.
“Servici qualcosa da bere e dei pasticcini, siamo ospiti dopotutto.”
Katsuki ignorò il commento di sua madre che rimbalzò dritto sui suoi nervi tesi. Squadrò i due uomini rimasti sulla soglia promettendogli con lo sguardo una morte lenta e dolorosa.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 - Sempre quello snervante giovedì ***



capitolo 27 - 607 parole 

Sempre quello snervante giovedì

 
I pasticcini in casa non li aveva, ma aveva tutto l’occorrente per servire ai suoi ospiti degli stuzzichini salati. Prese il pane per toast, prosciutto e un po’ di formaggio, assemblò il tutto insieme e servì in tavola dei mini tramezzini. Condì il tutto con dei cetriolini sottaceto, dei salatini e sei lattine di birra. Sua madre sembrava giudicare silenziosamente con lo sguardo, quasi come se Katsuki fosse sotto esame.
Gli altri ospiti invece gradirono molto il cibo offertogli, soprattutto Eijirou che si era avventato sui tramezzini come se non mangiasse da mesi.
“Scusate, ma Mina non cucina poi così bene.” Aveva asserito come scusa con la bocca piena, guadagnandosi una bella gomitata fra le costole dalla diretta interessata.
Seduti intorno al suo tavolo, Katsuki attendeva che i suoi ospiti parlassero. Gli avevano preso in ostaggio il salotto, il minimo era spiegargli il motivo.
“Abbiamo parlato con Midoriya.” Iniziò Mina rompendo il ghiaccio. Eijirou si voltò a guardarla con gli occhi sbarrati, come se avesse appena mandato in frantumi quello che si erano preparati prima.
“Come stai, figliolo?” Domandò suo padre con il suo tono calmo e conciliante che profumava di promesse rassicuranti, fiori e arcobaleni.
Katsuki alzò le spalle con indifferenza, ma era innegabile che la voce del genitore avesse sortito un effetto calmante sul suo animo in tempesta.
“Amico, davvero…” lo pregò Eijirou con voce cantilenante di chi aveva sentito la puzza di menzogna ad un chilometro di distanza.
“Come cazzo volete che stia?” Sbottò rissoso Katsuki. Fanculo alla calma che gli aveva indotto suo padre. Lui era una tempesta, era un uragano, era una calamità naturale con disperato bisogno di sfogare la sua frustrazione.
“Ho scoperto di avere una cazzo di memoria cancellata! Ho scoperto che proprio l’uomo che amo me l’ha fatta cancellare e che tutte le persone della mia vita mi hanno mentito tenendomelo nascosto! Oh sì, e sono anche padre di una ragazzina che non ricordo di aver mai voluto!” Sbatté le mani sul tavolo urlando, si alzò facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento finché questa non si ribaltò.
“Sono molte informazioni da dover processare insieme, capisco che tu ti senta sopraffatto, figliolo.” Lo assecondò suo padre, coccolandolo con quelle parole di conforto.
“Non avevamo altra scelta, così come non ce l’aveva Midoriya…” era stata Mina a parlare, ma stavolta aveva lasciato da parte il suo tono pimpante in favore di uno più giustificativo.
Eijirou gli poggiò una mano sull’avambraccio, ma Katsuki lo spostò in malo modo.
“Non toccarmi, cazzo!”
La mani di sua madre che sbattevano furenti sul tavolo fecero ammutolire tutti i presenti. In effetti non aveva ancora aperto bocca e Katsuki non ci aveva neppure fatto caso tanto era preso dal suo delirio.
“Hai finito di frignare come un cazzo di moccioso?” Berciò la donna pregna di rabbia.
“Sei un adulto, Katsuki, prenditi le tue responsabilità e affronta la situazione senza continuare a piangerti addosso!”
“Cara…” s’intromise suo padre cercando i calmare i toni quando notò i palmi di Katsuki fumare.
Stavolta toccò a Katsuki sbattere le mani sul tavolo.
“Non mi sto piangendo addosso, è che non so come affrontare tutto!”
“Inizia con il parlare con Midoriya prima, senza magari far esplodere un cazzo di tavolo in un bar!”
“Se non te lo ricordi, è proprio quello stronzo ad avermi cancellato la memoria! Col cazzo che voglio rivederlo, lo odio quel coglione!”
“Ma davvero? Eppure ricordo distintamente di averti sentito dire che lo ami fra le tante altre cazzate da bimbo frignante.”
Katsuki raramente restava senza parole, senza sapere come controbattere. Odiava quelle rare situazioni e ancora di più se era quella megera ad averlo messo sotto scacco.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 - Venerdì ***



capitolo 28 - 653 parole 


Venerdì 

 
Il suo personale mal di testa da amnesia non era scemato neanche di una virgola. La sorpresa delle allegre comare del giorno prima non aveva fatto altro che farglielo aumentare. Almeno però erano riusciti nel loro intento: scuoterlo dall’apatia e convincerlo a muovere il culo.
Dopo che li aveva congedati sbattendoli a calci fuori da casa sua, si era preso del tempo per riflettere sulle sue azioni, sulle sue prossime mosse e su come affrontare quel fardello di irrisolto che gli pesava sulla testa. Ma ogni piano elaborato, ogni strategia e ogni mossa collimavano tutte su un primo step indispensabile: parlare con Midoriya.
Così aveva deciso di contattarlo. Si erano dati appuntamento a casa sua perché per Katsuki era ancora troppo presto per affrontare Ethel: prima il coglione che amava, poi la figlia che non ricordava di volere.
Midoriya arrivò puntuale come un orologio svizzero e Katsuki lo detestò già per quello. Inoltre qualcosa gli andava suggerendo che in realtà fosse una persona sempre in anticipo ma che aspettava l’ora accordata per presentarsi.
Scosse la testa. No, non poteva essere… quello non poteva essere un ricordo… nessuno al mondo è così coglione da attendere fuori da una porta chiusa che aspetta solo lui per essere aperta.
Sì squadrarono sulla soglia. Occhi negli occhi in un turbinio di sensazioni nuove eppure familiari. Come era da sempre stato con lui dopotutto.
“Hai aspettato fuori dalla porta?” Domandò senza riuscire a trattenere la curiosità.
Midoriya incassò la testa nelle spalle e sorrise colpevole come un bambino beccato con le mani nella busta dei biscotti.
Le sue guance si tinsero di rosso e le efelidi su di esse vennero inghiottite dal colore più scuro.
“L-lo sai che lo faccio sempre…” pigolò piano, un suono flebile e balbettante che a Katsuki era mancato nonostante lo conoscesse appena.
“Accomodati. Ci vorrà un bel po’.” 
Presero posto sul divano. Midoryia continuava a torturarsi le mani nervoso e a Katsuki cadde l’occhio sulle cicatrici che gli segnavano la pelle.
“Come te le sei fatte?” Domandò indicandole con mento. Midoriya sorrise nostalgico.
“Quando ho ereditato il One for All non ero affatto in grado di gestirlo e il mio corpo non sopportava un utilizzo eccessivo del quirk.”
“Quindi è un po’ come se ti fossi autodistrutto?” Domandò e Midoriya annuì piano una volta sola. Katsuki ghignò divertito.
“Solo un coglione potrebbe farlo…” la considerazione offensiva gli uscì dalle labbra con naturalezza, ma la sorpresa prese il sopravvento quando Midoriya si voltò a guardarlo con gli occhi sbarrati pieni di speranza.
“Cos’hai detto?” Domandò. Sembrava più una richiesta imperativa che una domanda.
Katsuki non capì.
“Che sei un coglione.”
“E basta? Non ti ricorda niente questo? Queste esatte parole?”
“N-no… dovrebbe? Che cazzo vuoi dire?” Sbottò irritato sentendo la rabbia pervaderlo.
Midoriya parve ridimensionarsi e divenire microscopico sul divano.
“Niente, lascia perdere…” sospirò. Scosse la testa come per voler cacciare via troppi pensieri.
“Di cosa volevi parlarmi?” Domandò invece, come per tornare al l’argomento principale.
“Di tutto.” Sospirò. Non era facile manco per il cazzo. Non aveva idea di come avesse fatto a pensare il contrario.
“Penso che quello che avevamo prima, non possa tornare più. Io non sono il Katsuki di un tempo… non mi ricordo di niente e sono stanco di provare a farlo. Però non posso negare che sento qualcosa per te… non ho idea se sia per qualche ricordo del cazzo o che ne so… ma non voglio rinunciare.” Confessò tutto di un fiato, lasciando che le parole fluissero via dalla sua bocca senza pensarci troppo.
Le lacrime sul viso di Midoriya avrebbe dovuto aspettarsele, così come il sorriso smagliante e quell’abbraccio spontaneo che sapeva di familiare ma in un modo che a Katsuki piaceva molto.
Non seppe come, ma il suo corpo si mosse quasi da solo. Approfittò della vicinanza, tuffò una mano fra i capelli ribelli di Midoriya e lo trascinò nel loro primo ed ennesimo bacio.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 - Sabato ***


capitolo 29 - 592 parole 

Sabato

 
Si erano accordati per vedersi quel pomeriggio. Un’uscita senza troppi pensieri, un modo per conoscersi e riconoscersi. Niente aspettative. Niente pressioni. Solo due persone che si piacciono e vogliono passare del tempo insieme.
Questa almeno era la premessa.
In videochiamata con Mina e Eijirou, Katsuki si andava provando nervosamente tutti i vari outfit contenuti nel suo armadio senza essere in grado di decidere. Le sue personalissime cheerleaders inneggiavano a qualcosa di comodo, ma elegante e d’effetto. Eijirou lo avrebbe fatto uscire di casa come un metallaro incazzato e Mina come un sommelier. Alla fine aveva fatto come meglio credeva e aveva chiuso la chiamata.
Erano rimasti d’accordo che Midoriya sarebbe passato a prenderlo appena dopo aver lasciato Ethel a sua madre. E Katsuki onestamente si aspettava di vederlo arrivare con una monovolume, un’auto molto da famiglia, sicuramente non con una moto nera fiammante che ruggiva di vita. Ne era rimasto impressionato, inutile negarlo. Non lo faceva proprio un tipo da moto. Gli aveva lanciato il casco e lo aveva salutato con una leggera provocazione.
“Sali o hai paura?” Katsuki fu certo che si sarebbe divertito da impazzire quel pomeriggio.
Passarono la giornata a passeggiare sulla spiaggia, con le onde del mare che di quando in quando s’infrangevano sugli scogli creando una suggestiva melodia di sottofondo. Non nevicava più da qualche giorno e la neve accumulata sulla spiaggia andava via via sciogliendosi sempre di più. Si sedettero su una panchina con una confezione di takoyaki fra le mani.
Midoriya non aveva smesso un attimo di parlare, gli aveva raccontato qualsiasi cosa gli passasse per la testa, qualunque cosa lo riguardasse e questo aveva aiutato Katsuki a sciogliere un po’ di quella tensione che sentiva premergli sullo stomaco.
In realtà avevano trascorso una giornata piacevole. Era stato stranamente naturale passare il tempo in sua compagnia e non avrebbe cambiato proprio niente di quella giornata.
“Le tue cicatrici.” Iniziò il discorso. Sentiva che c’era di più, molto di più, soprattutto per come aveva reagito ieri e per come gli avevano brillato gli occhi pieni di aspettativa.
“Perché… cosa c’è sotto? Ti sei comportato in modo strano ieri.” Midoriya sorrise rassegnato a alzò le spalle.
“Ieri mi hai detto che solo un coglione si autodistruggerebbe. Ecco, sono state le esatte parole che hai detto prima di baciarmi.” Sospirò con aria sognante e la mente immersa fra i ricordi.
“Eravamo all’ultimo anno di superiori e… stavamo litigando. Lo facevamo spesso, ma quella volta era differente perché mi ero appena dichiarato e stavamo litigando per quello. Poi tu mi hai dato del coglione e mi hai baciato.”
“Cazzo… speravo almeno di essere stato il primo a dichiararsi l’altra volta…” imprecò Katsuki alleggerendo ulteriormente un’atmosfera già spensierata di per sé.
Midoriya rise divertito e lo spintonò piano. Aveva davvero una bella risata.
Finirono i takoyaki e poi Midoriya lo riaccompagnò a casa.
Non era previsto che salissero entrambi, così come non era previsto che passassero la notte insieme.
Ma era successo. Naturale e spontaneo come respirare. Il corpo di Midoriya era ciò che di più bello avesse mai visto. Scivolare su di lui, bearsi dei suoi gemiti e soffocarli sulle sue labbra era stata la sensazione più estatica che avesse mai provato. Non era stato sesso. Non aveva pensato nemmeno per un istante che lo sarebbe stato.
Midoriya era speciale. Le sue mani che gli circondavano i fianchi e poi si univano alle sue. Tutto di lui sapeva di per sempre e promesse mantenute, persino il modo in cui lo tenne stretto a sé per tutta la notte.
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 - Domenica ***


capitolo 30 - 663 parole 

Domenica

 
La ronda pomeridiana non era mai stata così piacevole. Non gli importava niente se era domenica pomeriggio, se si stava perdendo il match del secolo, se la sua squadra del cuore stesse vincendo o meno quella che era la partita decisiva per la vittoria del campionato.
Non poteva fregargliene di meno se a lavoro, mentre camminava fra le vie della città, Midoriya era al suo fianco con un sorriso smagliante sulle labbra e le guance sempre sfumate di rosso.
Non avrebbe mai pensato che condividere qualcosa fosse così appagante. Katsuki aveva avuto una vita piuttosto solitaria e selettiva. Anche prima di scoprire degli anni che non ricordava, si era sempre definito una persona chiusa e introversa. Solo pochi eletti potevano ambire a conoscere le elucubrazioni del suo cervello e, prima di Midoriya, credeva che il numero dei prescelti fosse incredibilmente basso.
Midoriya invece era stato come un’esplosione nucleare nel suo sistema chiuso e autorigenerativo.
Non solo gli si era insinuato sotto la pelle come nessuno, ma era riuscito a scombussolare il suo personalissimo modo di vivere. Sapeva che, presto o tardi, anche la piccola Ethel gli avrebbe cambiato la vita, ma per il momento le cose sembravano andare così bene che accelerarle sembrava una mossa incauta.
Di fatto, Midoriya era uscito da casa sua quella mattina presto senza dirgli una parola, senza accennare nulla o lasciargli un biglietto. Ma Katsuki sapeva benissimo dove fosse e la cosa non lo aveva lasciato indifferente. Anzi, in lui era nato un sottile quanto effimero senso di inadeguatezza quando una domanda molto nobile e responsabile si era affacciata alla sua mente: dovrei andare anche io da lei? Perché per quanto avesse cercato di piroettare intorno all’argomento “figlia” per tutto il loro appuntamento, non si era potuto esimere dal pensarci con una certa insistenza.
Forse era per questo, o forse era per via che stessero costeggiando un parco giochi e la faccia di Midoriya gridava “ce la porterò quando farà meno freddo”,  che Katsuki si concesse di scoperchiare il vaso di Pandora.
“Perché non hai fatto domanda per conto tuo?” Chiese senza guardarlo in faccia. Dire che si sentisse pronto a fare il genitore, sarebbe stata una menzogna bella e buona. Inutile negare, anche Midoriya se ne era sicuramente accorto.
Non ci fu bisogno di specificare, non ci fu bisogno di essere più chiaro a riguardo. Quando gli occhi di Midoriya gli avevano punto la guancia guardandolo come se avesse appena detto una bestemmia blasfema, aveva sentito tutta la sua delusione divenire consistente. Come una persona di carne e ossa.
“L’ho fatta. Il Governo però ha accettato la prima presentata insieme, anche se era stata fatta anni prima.” Spiegò l’eroe numero uno in un sospiro. Sembrò accartocciarsi su sé stesso per un momento e che il mondo fosse appena crollato su di lui. Non voleva deluderlo, Katsuki, l’ultima cosa che voleva fare era disintegrare le sue aspettative per un futuro insieme che aveva sempre sognato e che finalmente sembrava tangibile.
“Dammi tempo.” Lo supplicò. Katsuki non aveva mai pregato nessuno in vita sua. In realtà non aveva mai neppure chiesto qualcosa gentilmente. In tutta la sua fiera e burbera esistenza, il rapportarsi con il prossimo era sempre stato un’atto sopravvalutato e fatto solo per estrema necessità.
E quella volta non faceva eccezione. Non era pronto per Ethel, inutile negarlo, ma la volontà di costruire una vita che gli era stata tolta insieme all’uomo che amava era forte e dominante in lui. E se essere genitore fosse stato l’evolversi naturale della loro storia appena sbocciata, perché no?
Ma aveva bisogno di tempo per metabolizzarlo. Tempo e pazienza. Non pensava sarebbe stato un padre eccezionale per una bambina di tre anni che aveva già conosciuto tanto dolore, ma avrebbe fatto di tutto per provare ad essere almeno un genitore decente.
 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 - Un sabato di molte settimane dopo ***


capitolo 31 - 504 parole 

Un sabato di molte settimane dopo

 
Eijirou glielo aveva ripetuto fino alla nausea che sarebbe andato tutto bene e che Ethel non era affatto mostro che avrebbe devastato la sua esistenza con pannolini sporchi e pappette brodose.
Inutile negare però che non lo aveva ascoltato neppure per un secondo. Non era certo di essere pronto per conoscerla. Non era certo che “fare il padre” sarebbe stata la sua missione più onorevole, ma voleva conoscerla. Lo voleva davvero tanto, con tutto il cuore. Era stanco di essere solo il “fidanzato di papà”, come gli aveva raccontato Midoriya. Non voleva più avere quel soprannome per lei. Essere spaventato era normale. Non solo stava per conoscere una persona importante, ma la sua stessa figlia! Colei che avrebbe dovuto crescere e proteggere ad ogni costo. E per la seconda già si sentiva più che pronto.
Una volta, qualcosa come due o tre settimane prima, mosso dalla curiosità e dall’impazienza, aveva deviato il percorso concordato dall’agenzia per la ronda ed era passato dall’asilo che frequentava. Uno stuolo di genitori attendevano i propri pargoli all’ingresso e fra loro aveva riconosciuto subito una massa di capelli vaporosi e scuri fin troppo familiare. Quando i bambini iniziarono ad uscire accompagnati dalla maestra, non aveva avuto alcun dubbio su chi fosse la sua Ethel. Prima di tutto, quelle scarpe orribilmente rosse che Midoriya le aveva tramandato erano un campanello d’allarme piuttosto esagerato. Urgeva il suo intervento il prima possibile. Quando poi la bimba si avvicinò maggiormente emergendo dalla massa di marmocchi, Katsuki notò subito i suoi occhioni lucidi e il labbro inferiore tremolante tipico di chi è prossimo al pianto. Il suo cuore si era stretto in una morsa d’ansia. Aveva saettato lo sguardo subito verso Midoriya, trovandolo nelle sue stesse identiche condizioni: in preda al panico e alla preoccupazione.
Non avrebbe mai immaginato che si sarebbe sentito così coinvolto e responsabile. Non al primo sguardo quantomeno.
E adesso, in anticipo di dieci minuti buoni al parco giochi che avevano concordato come luogo d’incontro, Katsuki tremava dall’ansia e dall’aspettativa.
Il suo cuore martellava nel petto in maniera innaturale, quasi come se volesse sfondargli la cassa toracica e andarsene via.
“Kacchan!” La voce di Midoriya attirò la sua attenzione. Si voltò e i suoi occhi li videro mentre si avvicinavano verso di lui tenendosi la mano. In quel momento, ringraziò il sé stesso di qualche giorno prima che aveva espresso la volontà di volerla conoscere.
Lo raggiunsero trotterellando e Katsuki s’inginocchiò subito per dedicarle tutta la sua attenzione. In barba a Midoriya che non aveva ricevuto neppure un saluto distratto.
“Ciao, io sono Katsuki.” Esordì allungando la mano verso di lei. Ethel lo guardò con i suoi occhioni grandi color cioccolato come se lo stesse studiando. Poi sorrise e la tensione nel cuore di Katsuki parve sciogliersi e divenire un piacevole tepore.
“Io sono Ethel. Tu sei il mio nuovo papà?” Le sorrise complice, Katsuki, sentendo finalmente di trovarsi nel posto perfetto per lui e con le persone perfette. Era presto per chiamarla “famiglia”, ma quello che sentiva in quel momento non poteva descriversi con una parola diversa.
 
Fine.

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