FEARLESS HERO (Demo)

di Yurika2S
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 「Prefazione」 ***
Capitolo 2: *** 「Contatto I」 ***
Capitolo 3: *** 「Contatto II」 ***
Capitolo 4: *** 「Riunione」 ***
Capitolo 5: *** 「Raccolta Dati」 ***
Capitolo 6: *** 「Tana libera tutti」 ***
Capitolo 7: *** 「Percorso」 ***
Capitolo 8: *** 「Capolinea I」 ***
Capitolo 9: *** 「Capolinea II」 ***
Capitolo 10: *** 「File #99: Miwato Minami」 ***
Capitolo 11: *** 「File #113: Hatsuji Yurika」 ***
Capitolo 12: *** 「File #183: Hōdashi Akiko」 ***
Capitolo 13: *** 「File #191: Fuyumi Makoto」 ***
Capitolo 14: *** 「Senza paura」 ***
Capitolo 15: *** 「Ci rivedremo ancora」 ***
Capitolo 16: *** 「Appendice」 ***
Capitolo 17: *** Due parole dall'autrice & Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** 「Prefazione」 ***


Iperromanzo ad opera di:
Yurika 2S


 


FEARLESS HERO











 

「Prefazione」

 

Fin dagli albori del tempo ci si pongono le più svariate domande, sulla realtà e sul mondo che ci circonda. L'essere umano ha insito nel suo essere, il desiderio della ricerca e la curiosità della scoperta. Il voler andare oltre la materia per trovare da cosa sia composta, come questa può mutare, per arrivare a sperimentarne nuovi utilizzi; ma la sete di conoscenza umana non si ferma qui. L’uomo si è spinto oltre nel tempo, sviluppando la sua creatività e le sue idee, dando vita a nuovi elementi e risorse inesistenti in natura. Fu così che si giunse fino all'epoca delle grandi scoperte rivoluzionarie: dove intuizioni alle volte considerate deliranti ed inaccettabili, dettero invece una nuova spinta al progresso, lasciando il segno ed entrando a far parte della storia. Ed anche adesso, in questo stesso momento, uomini e donne in ogni angolo del mondo stanno ricercando, creando o scoprendo qualcosa di innovativo, immaginando qualcosa di mai visto... in grado di sconvolgere in un prossimo futuro le abitudini dell'essere umano moderno.


«Tutto ciò che puoi immaginare, è reale!» - Pablo Picasso


Partendo da questa breve citazione, vi inviterei quindi a porvi un quesito: "e se non fosse tutto qui?". Se le idee, i sogni e le intuizioni umane – dalle più banali, alle più strepitose – avessero un luogo in cui mostrarsi e prendere forma, ancor prima di essere realizzate dai geni, a cui sono state attribuite? Un luogo, dove tutto ciò che trascende la materia esistesse al di là del tempo. Potreste crederci?


«Eppur si muove!» - affermò Galileo Galilei di fronte all'inquisizione.


Qui vale lo stesso principio, inoltre come vedrete più avanti resteremmo in tema; in poche parole crederci o meno, non cambierà la natura delle cose. Esiste una sottile linea di confine, tra quella che viene definita comunemente "realtà", dove le persone passano circa due terzi del loro tempo totale, interagendo con la materia in ogni sua forma e dimensione, ed il luogo dove trascorrono invece la restante parte in uno stato di incoscienza. Ed è proprio lì dove ogni legge ed ogni convenzione può essere  spezzata, piegata e distorta, che ha inizio la magia.  Si sta parlando ovviamente, dell'ammontare di tempo dedicato al sonno. Quando dormiamo, il nostro cervello mette “in pausa” l’attività di percezione e quella della coscienza, per compiere una serie di operazioni come: riparazione dei tessuti, produzione di anticorpi, eliminazione di tossine dall'organismo, nonché la riorganizzazione delle informazioni che abbiamo appreso durante la veglia; lasciando inizialmente il cervello immerso in un piacevole stato di quiete, non definibile però come "inattività". Al contrario, il sonno è composto da varie fasi e momenti debitamente scanditi, ma questo non è certo un trattato di medicina! Vi basti sapere che superato il momento di quiete, il cervello passa anche attraverso momenti di forte eccitazione. Avvengono in una fase di sonno profondo, in cui si perde completamente il controllo sul proprio corpo. In questa particolare fase, alcune persone affermano di essersi sentite come separare dal proprio corpo e di aver fluttuato sopra di esso, per poi rientrarvici; altri di essere stati in grado di muoversi, compiendo un vero e proprio viaggio all’esterno avventurandosi in luoghi esotici, mentre altri ancora si sono ritrovati coscienti, ma incapaci di muovere anche un solo muscolo.


Queste condizioni conosciute come: “Proiezione Astrale”, “Viaggio Astrale” e “Paralisi del sonno” si possono sperimentare in varie condizioni e portano i soggetti coinvolti ad accedere inconsapevolmente ad un piano dell'esistenza, impossibile da raggiungere durante la veglia. Gli scenari potrebbero risultare davvero famigliari, eppure vi basterà rimanere per poco, per accorgervi di quanto siano sostanzialmente differenti. All’interno di tale dimensione sarà possibile vivere esperienze di ogni tipo, spesso impossibili se rapportate alla vita di tutti i giorni.


A tutti sarà capitato di fare sogni particolarmente vividi che sono rimasti impressi come fossero ricordi o di avere una sensazione di Dejà vù rispetto una situazione che si ricorda perfettamente di aver sognato. Anche in questo caso, ciò succede perché si è passato del tempo in questo piano dimensionale differente; tuttavia ricordare ciò che accade durante questi sogni o "viaggi", non è un'impresa affatto semplice. Ciò accade perché vivere esperienze non collegate alla nostra realtà materiale, richiede un grande sforzo di memoria, per cui per alla mente risulta difficile immagazzinare troppi dati, soprattutto durante la prima esplorazione. Può capitare infatti di avere avuto un sogno lucido, ma di non riuscire a ricordarlo perfettamente al risveglio, avendo solo la sensazione di aver vissuto qualcosa di straordinario e conservando dell’esperienza solo qualche vago frammento. La causa pare sia da attribuire al nostro lobo temporale che è impossibilitato a fissare ricordi di simili esperienze, con "poco preavviso". Tuttavia vi sono state e vi sono tutt’ora, persone particolarmente pratiche di questo non-luogo* , che grazie a visite ripetute e costante allenamento, imparano a ricordarsi in modo sistematico dei loro viaggi, diventando in grado di viverli al meglio, sfruttando le incredibili possibilità che sono in grado di offrire. Addirittura diversi nomi divenuti noti hanno affermato di essere riusciti a dar vita ad alcune delle loro meravigliose opere, trovandosi in uno stato alterato di coscienza e di aver poi trasposto nero su bianco, ciò che avevano visto o vissuto una volta di ritorno da una di queste esperienze oniriche. Personalità come: Salvador Dalì e Mary Shelley, giusto per citarne alcune.

Questo spazio e le esperienze ad esso collegate rimasero per gran parte sconosciute, anche se tenute costantemente sotto osservazione dalla scienza, che nel tempo ha finito con l'interessarsi al fenomeno, studiando le dinamiche di codesti viaggi, attraverso  il monitoraggio di alcuni volontari e delle esperienze vissute durante la loro permanenza nel mondo dei sogni. Portando alla luce anche interessanti elementi, come l'effettiva esistenza di un inconscio collettivo*, che sembrerebbe avere origine proprio dall'interazione della coscienza dell'individuo, con questa dimensione sopraelevata. Si dice che uno dei modi più diretti, nonché destabilizzanti per garantirsi un facile accesso, sia la privazione del sonno per un periodo prolungato di tempo. Tuttavia dati i rischi per la salute, questo metodo non è consigliato. Fin ora abbiamo chiamato questo luogo con diverse perifrasi, ma per maggiore chiarezza, ci riferiremo d'ora in poi alla dimensione non-materiale con il temine Piano Intermedio. Tale termine venne coniato da un noto scrittore inglese di nome Paul Jason Walker*, autore di numerosi saggi ammirati e stimati in tutto il mondo. Walker era tra i maggiori esponenti di una corrente di pensiero, che vede il tangibile come suddiviso in piani – o modi – di esistenza tra loro paralleli e che ne costituiscono la stratificazione. In particolare, nel suo ultimo saggio "La tripartizione del vero" pubblicato nel 2005, il teorico illustrò la sua visione per cui la realtà fosse appunto, suddivisa in tre piani di esistenza; descrivendoli nei seguenti termini:

 


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Questa è una versione Demo, ovvero un estratto dalla storia completa.
Se vuoi leggere la storia completa ed aggiornata, consulta questo link:
 https://yurikasroom.altervista.org/fearless-hero/

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Capitolo 2
*** 「Contatto I」 ***


「Contatto I」


Secondo le stime della compagnia ferroviaria reperibili online tramite app, l’Hakutaka Shinkansen sarebbe giunto alla stazione Ueno di Arashigoya, in pochi minuti. Una ragazza dai capelli biondi lunghi fino oltre le spalle, attendeva all’esterno della stazione con lo smartphone tra le mani, tamburellando le dita contro la cover rigida che avvolgeva il retro del dispositivo. Era evidente dovesse incontrare qualcuno. Per l’occasione aveva indossato un grazioso abitino color verde menta che giungeva fino a sopra il ginocchio, avente del tessuto increspato color panna, sul davanti a mo’ di motivo. Portava con sé l’immancabile borsa a tracolla marrone abbinata con degli stivaletti bassi dello stesso colore ed infine per chiudere con un tocco di semplicità, sfoggiava un cappello di paglia a falda larga, così da ripararsi dai prepotenti raggi del sole. Controllò ancora una volta il messaggio ricevuto quella mattina, dove la sua ospite la avvisava della partenza del convoglio da KAMĪZAWA STATION.


Messaggio da: Yurika-chan:

『Sono appena partita. Dovrei arrivare entro due ore e mezza.』7:00.
 

Non volendo rischiare di arrivare in ritardo, Akiko decise di presentarsi comunque sul posto con almeno mezz’ora d’anticipo. Yurika scese dal vagone del treno in perfetto orario, seguendo il flusso dei pendolari fino ad avviarsi verso l’uscita della stazione ed una volta fuori, rimase ferma fin quando la folla non si diradò abbastanza perché potesse cercare con lo sguardo, una testa dai capelli color del sole, in contrasto con quelle prettamente scure di gran parte dei connazionali. Nel compiere quell’analisi sistematica dei dintorni, fu attirata da una voce squillante e melodiosa.
 

«Yurika-chan!! Da questa parte!»
 

Incontrato lo sguardo l’una dell’altra, la ragazza dai capelli neri come la pece, la raggiunse ricambiando la sua luminosa espressione di gioia con un sorriso appena accennato, unico segno di turbamento in un viso cui altrimenti sarebbe sembrato scolpito nella porcellana; tipico da lei. In contrasto con colori pastello della bionda, lei vestiva una camicia bianca con un cardigan grigio ardesia, un paio di pantaloncini neri di jeans con al di sotto dei leggins e degli stivali del medesimo colore, mentre in spalla portava una borsa a zainetto, che sembrava intonarsi alla perfezione con il resto del suo abbigliamento, perché giocato sui toni scuri.


«Buongiorno Yurika-chan, è andato bene il viaggio?» - domandò immediatamente, infilando con un gesto il cellulare nella borsa, ora che non le era più di alcuna utilità.
 

«Buongiorno a te Akiko. Sì, è stato rilassante.» - replicò a sua volta l’altra nel solito tono tranquillo, quasi monocorde - «Piuttosto da quanto sei qui?»
 

Quella domanda poteva sembrare campata sul nulla, tuttavia riuscì nel suo intento di innervosire visibilmente la sua interlocutrice, la quale spostò lo sguardo altrove prima di rispondere.
 

«Ehm… non saprei. Forse un cinque... dieci minuti probabilmente. Ahahaha!»


«Quindi non hai controllato l’ora sullo smartphone quando sei arrivata? Eppure lo avevi in mano fino a poco fa… piuttosto impreciso da parte tua.»
 

«Be’ sai, alle volte capita, quando sei impaziente di vedere qualcuno dopo tanto tempo… sai com’è, si perde la cognizione del tempo.»


Mentre Akiko giocherellava con la tracolla della sua borsa, tradendo il proprio nervosismo, l’altra sollevò lievemente le spalle e liberò un lieve sospiro, per poi tornare ad alzare lo sguardo.
 

«Immagino che tu abbia ragione.»


Asserì la mora sollevando entrambi gli spallacci della borsa, facendo qualche passo in avanti con l’intento di suggerire che potevano benissimo muoversi da lì, adesso che si erano ricongiunte.


«Anche se mi è sembrato di vederti “in linea” verso le otto e un quarto, quindi potresti essere arrivata anche prima ed aver controllato il mio messaggio, per assicurarti di essere in orario… però questa è una mera speculazione. Potrei anche sbagliarmi.»


La bionda ingoiò a secco, non confermando né smentendo nulla. Seppure non ci fosse nulla di male in quelle sue azioni, riuscì a farla sentire in colpa, perché la sua piccola ed innocente bugia era stata smascherata nel giro di pochi istanti. Del resto non era la prima volta: le capitava spesso di immergersi in un disegno e di lavorarci per ore senza fare pause. Aveva preso quindi l’abitudine di inserire promemoria sonori, scrivere note per non dimenticare determinate azioni da compiere; in alcuni casi controllava fino a dieci volte notifiche e messaggi importanti, per essere assolutamente certa di ciò che avrebbe dovuto fare, oppure a quale orario avrebbe dovuto presentarsi ad un incontro, come in quel caso specifico. E proprio essendo a conoscenza di questa sua abitudine, Yurika tentò di dar forza alla sua teoria, rispetto a quei soli “dieci minuti” di anticipo.
 

«Quindi? Hai già un piano per caso? Ah... ho già fatto colazione ad una delle fermate, non preoccuparti per quello.»


La ragazza in verde allora cacciò una mano all'interno della sua borsetta, traendone fuori un fogliettino ripiegato più volte, che andò a spiegare portandolo di fronte a sé. In inchiostro blu vi erano segnati diversi punti a chiare lettere. Una vera e propria scaletta, il cui primo punto si sposava proprio con quanto le venne chiesto di evitare.
 

«Un vero peccato! Avevo scovato un bel posticino dove fanno ottimi frullati. Sarà per un’altra volta…! Passiamo quindi alla seconda destinazione...» - Akiko fece una piccola pausa per poi affermare con convinzione - «Il centro commerciale!»
 

La menzione di quello specifico luogo, fece socchiudere appena le palpebre della mora, la quale replicò in maniera secca - «Destinazione di riserva? Non ho bisogno di comprare vestiti al momento. E non mi convincerai ad indossare nulla di più luminoso di questa camicia.»
 

Comunicò il tutto con il mento lievemente rivolto verso l’alto, quasi fosse offesa dalla proposta appena fatta, mentre la bionda portò una mano alla fronte con aria drammatica.
 

«Ed il mio sogno di vedere Yurika-chan in un abitino pieno di balze e pizzo, non si avvererà mai!! Che crudeltà, non riesco a sopportarlo!»


«Decisamente… non lo sopporterei.» - replicò la diretta interessata.


«Non dobbiamo per forza comprare qualcosa. Almeno facciamo un giro giusto per passare il tempo, dobbiamo festeggiare! Oppure hai delle idee migliori? Se è così proponi pure!»


«Non proprio, se è solo guardare le vetrine allora mi va bene.»
 

«Questo è lo spirito e poi chissà, potresti anche trovare qualcosa d’interessante alla fine! Non si sa mai. ♪»


Con sguardo colmo di speranze, la bionda fece intendere di non aver affatto rinunciato al suo obbiettivo principale: fare un giro per negozi in compagnia, cosa che sapeva sempre rilassarla parecchio. Dal canto suo invece, la sua ospite non amava andare in giro per la via commerciale affollata alla ricerca di nuovi indumenti, a meno che non le fosse indispensabile. Anche se in fin dei conti, non era quello il motivo del loro incontro odierno, quindi mentre camminavano attraverso l’immenso attraversamento pedonale di Shinya, la liceale dai capelli scuri, alzò per qualche secondo lo sguardo verso il cielo terso e privo di nuvole, per poi ricercare di nuovo il volto dell’amica.


«Comunque... cosa vorresti festeggiare esattamente? Non l'ho ancora capito.»
 

Le parole di Yurika furono pronunciate con un tono ed un'espressione che parevano totalmente sterili, ma che celavano una buona dose di curiosità.


Akiko inizialmente socchiuse entrambe le palpebre, puntando l’indice contro la guancia dell'amica, mentre continuava a camminare a ritmo con il resto della folla.


«Non ricordi? In questo giorno più di sei mesi fa, ci siamo incontrate per la prima volta! Non sarai venuta fin qui oggi senza averne la minima idea, spero?! Uffa... alle volte mi chiedo se faccio bene a preoccuparmi di certe cose, quando c’è chi invece non le dà la minima importanza!»
 

Concluse la frase con una sorta di sbuffo esagerato. Notò dunque la mora abbassare lo sguardo come se stesse riflettendo, o peggio si fosse sentita improvvisamente in colpa, quindi si affrettò ad aggiungere - «Mah... non che me la sia presa davvero, avevo solo qualche piccola aspettativa. Nulla di cui tu debba preoccuparti.»


Non ricevendo però da parte sua nessuna reazione, decise di passare all’azione afferrandole la mano e velocizzando il passo. Lo scossone inaspettato infatti, riuscì a distogliere Yurika dal ricordo del loro primo incontro che si stava affacciando alla sua mente, proprio in quegli attimi.
 

«Andiamo Yurika-chan sta per scattare il semaforo! Non fa niente... anche se non hai pensato ci fosse un motivo in particolare, sei comunque venuta a trovarmi. Basta questo per rendermi felice!» - sorrise la bionda, rivolgendole un rapido sguardo con la coda dell'occhio - «Vedrai, farò l'impossibile per non darti tregua fino al tramonto!»


«Questa sembra tanto una minaccia...»


Furono le parole della ragazza dalle iridi viola, alle quali Akiko annuì.


«Puoi dirlo forte!»




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Capitolo 3
*** 「Contatto II」 ***


「Contatto II」


 

Nella zona est rispetto al grattacielo di fronte al quale si furono separate, Yurika decise di sfruttare le sue abilità per raggiungere più velocemente la fonte del suo avvistamento. Sotto le suole dei suoi stivali si generò una particolare fluorescenza – che si sposava perfettamente con i colori del suo vestiario –. Tramite l'attrito con il terreno ciò le permise di accelerare la sua velocità di movimento, permettendole di essere nel punto esatto in meno di una manciata di minuti. Con il manico della sua arma stretta in entrambe le mani, la ragazza dai fluenti capelli neri guardò verso l'alto. La creatura sfiorava all'incirca i tre metri d’altezza: si trattava di una figura indefinita e paragonabile ad una sorta di golem, costituito però non di argilla, bensì di pura energia spirituale; il suo colore oscillava tra il bianco-argentato e l'azzurro. Vantava braccia possenti, spalle poste a media distanza e gambe robuste. Anche se le dava alle spalle erano visibili in trasparenza delle zone rosse fisse sulla parte anteriore della protuberanza tondeggiante, che poteva ricordare una testa. Quei puntini rossi definivano il suo comparto visivo – talvolta costituita da una singola zona, caratteristica in grado di renderlo equiparabile ad un ciclope, altre volte quando le zone diventano due o superiori in numero – la cui visione poteva dirsi di tipo stereoscopico, come quella presente negli esseri umani. Un altro particolare che poteva saltare all'occhio era una distinta zona scura a livello del fegato della figura, poiché quella specifica Anomalia era stata generata da un sentimento di frustrazione, legato ad un impossibilità ad agire o riuscire ad ottenere efficacemente qualcosa.

Consapevole del fatto che avrebbe dovuto per forza di cose farsi notare, in modo da ingaggiare battaglia con l'Akuryō in questione, la mora chiuse gli occhi radunando la sua concentrazione, dopodiché prese la rincorsa e sfruttando nuovamente l'attrito con il suolo passò rapidamente in mezzo alle gambe della creatura in scivolata. Non ebbe neppure bisogno di muovere le braccia, perché la punta della sua falce scalfisse l'arto inferiore destro della creatura. Un gruppo di scintille di vario colore, si distaccarono dall'area colpita. Si trattava di un identificativo del danno inflitto, paragonabile ad una piccola quantità di sangue perso da un taglio superficiale; pur non avendo una bocca né corde vocali, la creatura emise un verso simile ad un urlo grave, cominciano poi a guardarsi intorno per comprendere cosa gli avesse provocato quel dolore.


Yurika era entrata ora nel suo campo visivo e l'Akuryō senza perdere tempo alzò il possente braccio sinistro per tentare di colpire come un insetto, quella figura comparsa all'improvviso. Le iridi violette della ragazza tennero sotto controllo il movimento dell'arto e quando questo discese rapidamente verso il suolo, lei spiccò un salto che crepò il terreno sotto i suoi piedi, anche ciò fu dovuto all'energia fluorescente che era in grado di manipolare. Si trattava niente meno che del diciottesimo elemento della Tavola Periodica: il gas nobile Argon presente all'interno dell'atmosfera, per meno dell'un percento. Anche se scientificamente inaccurato, quando si trovava a combattere contro queste creature, all'interno del Piano Intermedio era in grado di concentrare le particelle presenti nell'aria a livello del suolo, surriscaldarle così da fondere parzialmente l'asfalto e modificare quindi la formazione di piccole porzioni del terreno. Danni che potevano essere riscontrati in seguito, tramite piccole discontinuità del manto stradale. Evitò dunque abilmente l'attacco vibrando a mezz'aria un fendente con la sua arma. La possente lama d'acciaio liberò un'onda d'urto luminescente, che tranciò di netto l'arto superiore sinistro dell'Akuryō. L'emanazione si rimise dritta grugnendo di dolore, mentre la mora si ritrovò nuovamente con i piedi per terra. I suo avversario presto sarebbe tornato all'attacco per vendicare la perdita subita.
 

La ragazza allora liberò un sospiro, rinsaldando la presa attorno alla propria arma.


«Non preoccuparti... la prossima mossa, sarà quella decisiva.»


Ci fu un momento di stallo in cui la Chimera parve stordita. Questo perché il dardo scoccato poc'anzi nella sua direzione che la creatura si era adoperata per evitare, aveva causato una piccola serie di esplosioni nelle sue vicinanze, reagendo alla sua sola presenza. Il susseguirsi di urti sonori violenti furono abbastanza da rendere la creatura incapace di comprendere l'esatta posizione del suo nemico, Akiko ne approfittò per spostarsi ed avvicinarsi alla ragazzina ed all'animaletto che la piccola aveva tra le sue braccia.

«Coraggio. È il momento giusto per fuggire! Va' a nasconderti dietro un edificio lontano da qui. Sistemerò quella bestiaccia e ti riporterò a casa in men che non si dica.»


La ragazzina delle elementari annuì e sorrise nei confronti della misteriosa ragazza.


«D'accordo, grazie tante Onēsan!»
 

Akiko osservò la ragazzina correre via e sparire dietro un gruppo di palazzi non molto distanti- Una volta assicuratasi che fosse al sicuro tornò a prestare lo sguardo verso la Chimera, la quale aveva cominciato a riprendere coscienza dei suoi dintorni. La bionda fece battere la balestra sulla sua spalla destra, liberando un leggero sospiro.


«Molto bene! È giunta l'ora di ripulire l'area.»


La ragazza caricò con un'altra freccia alla sua balestra e si mise a correre per circumnavigare l'essere, mente quest’ultima si mise subito ad inseguirla con l'intento di farne il suo spuntino. Pur combattendole da qualche tempo, Akiko non aveva la minima idea di cosa accedesse ai malcapitati che finivano nelle grinfie di quelle bestiacce e di certo non voleva sperimentarlo sulla propria pelle. La ragazza corse a semi-cerchio, mentre la Chimera si gettò verso di lei in linea retta, ciò le avrebbe garantito una linea di tiro perfetta, non appena si fosse trovata sulla di congiunzione della traiettoria percorsa dalla bestia. Intanto la luce verdastra rappresentativa della sua energia, si stava accumulando ancora verso la punta di piombo della sua freccia, così come le vampe si stavano formando tra le fauci del mostro. In una corsa al fotofinish, le fiamme vennero liberate nei confronti della giovane, mentre lei premette il grilletto con qualche istante di differita. Il dardo dalla punta luminosa sfrecciò dritta verso le fiamme che subito dopo, andò a schivare gettandosi alla sua sinistra, rotolando al suolo per poi mettersi in guardia a pancia in giù, afferrando un altro dardo dalla faretra. Akiko attese in guardia il risultato della sua mossa: il mostro dalla testa leonina emise un forte ruggito di lamento prima di esplodere in mille scintille colorate decretando la fine della battaglia.
 

L'alone d'energia magica aveva avvolto l'oggetto, proteggendolo dall’azione di corruzione del fuoco che avrebbe finito per deteriorarla; andando a segno tra le fauci ancora roventi della belva, la punta di piombo aveva provveduto a sciogliersi avvelenandolo. L'esplosione venne causata dal tipo di freccia scagliata intrisa di una carica di mana maggiore rispetto al colpo precedente. Quell’effetto aveva anche l’intento di attirare Yurika dall’altra parte, segnalandole che aveva concluso il suo intervento.
 

Intanto la bambina rimase a sbirciare tutta l'azione nascosta dietro un palazzo, a qualche metro di distanza rimanendo a dir poco sbalordita. Gli occhietti azzurri si colmarono di meraviglia ed un sorriso traboccante di eccitazione le affiorò sulle labbra.
 

«Tamaya〜!» - esultò come era abitudine nipponica, durante gli eventi di fuochi d'artificio. Dopodiché sollevò per aria la piccola volpe dal pelo bianco cominciando a ridacchiare e saltellare in preda all'euforia - «Ahahahaha! C'è l'ha fatta, c'è l'ha proprio fatta! Incredibile non trovi anche tu Shiroki? Dev'essere una di loro, ne sono sicura! Uno di quegli eroi che aspettavo!»

La ragazzina continuò ad esultare, girando su sé stessa e tenendo la volpe per le zampine anteriori. Intanto l’animaletto subiva la sua gioia, emettendo qualche guaito acuto quasi volesse unirsi ai festeggiamenti. La bambina però non era l'unica persona a star osservando l'azione da debita distanza. Su di un lampione alle spalle dell'edificio dove si era rifugiata infatti, stazionava in piedi una figura femminile: dai capelli castano scuri tenuti fermi alla nuca, con un'ampia pinza avente l’effige di una farfalla, la sua figura era avvolta in un tradizionale kimono cremisi, ornato da farfalle di un blu tendente al nero, Obi di una tonalità più tenue sul rosato tenuto fissato da una cintura semi-rigida, ai piedi indossava calzini corti bianchi e sandali di legno. Sul fianco sinistro portava un fodero assicurato tramite una cordicella, facile da sciogliere, contenente la propria katana.

 

«Tamaya〜!!» - esultò ancora la bimba.


Di fronte a quella scena festosa assolutamente esagerata, la ragazza fece scattare in alto con il pollice della mano sinistra la lama della spada, avendo già la destra pronta sull'impugnatura, cominciando lentamente a sguainarla, con la stessa lentezza con cui un sorriso a trentadue denti, si fece pian piano spazio sul suo volto.


«Ka〜gi〜ya〜!» - pronunciò un’altra espressione tipica, connessa a quella esternata dalla bambina, scandendo ed allungando le sillabe in modo infantile per attirare la sua attenzione.

Difatti sentendo una voce alle sue spalle, la piccola si irrigidì e deglutì. La volpe puntò il muso verso l'alto come ad indicarle dove guardare e lei seguendone i movimenti, si voltò lentamente. I tratti della piccola si sconvolsero per la paura, quando incontrò con lo sguardo la figura che l’osservava dall'alto. Le pupille castano ambrate della spadaccina sembrarono luccicare di piacere di fronte a quella reazione.


«Ah... Ah...»
 

«Ti ho trovato... Bianconiglio.»

 


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Capitolo 4
*** 「Riunione」 ***


「Riunione」


 

La mattina seguente Akiko e Yurika – come concordato la sera prima tramite una video-chiamata con Makoto – si recarono in un Bar-Pasticceria di Shnya con dior esterno, presero la metropolitana per fare più in fretta. Controllando le reti sociali ed i giornali online, nessuno sembrava riportare la notizia di danni ad edifici oppure di dissesti stradali di origine ignota. Insomma, pareva come se le due non avessero neppure combattuto. Era una cosa positiva, ma si trattava comunque di una situazione fuori dalla norma. Solitamente quando ad innescare la comparsa del Piano e l’apparizione di un’Anomalia, i danni da lei causati si ripercuotevano – anche se in maniera lieve – su tutte le strutture da essa colpite. Al contrario, quando la protezione del Piano viene richiamata da individui esterni – per esempio una delle ragazze – il livello di isolamento diviene pressoché totale, proprio come nel caso di specie. La differenza derivava prettamente dall’intenzione: le Anomalie vengono mosse da un istinto di distruzione, mentre chi è intento a combatterle ha in cuor suo il desiderio di frenare quella distruzione. Che sia per proteggere degli innocenti, le opere pubbliche o più banalmente sé stesso dalla furia di quegli esseri. In tempi recenti finivano con l’essere costrette a forzarne l’attivazione, a causa di “sconfinamento” da parte delle Anomalie, le quali avevano cominciato a sbucare nel mondo fisico sempre più di frequente, non più solo nelle ore notturne.


Il pomeriggio precedente però, né Akiko, né Yurika avevano compiuto quell'azione, quindi era molto probabile fosse stata opera di una delle altre due ragazze sul posto.
 

«Be', dopotutto le incontreremo tra poco. Non dovremmo fare altro che chiederglielo.»
 

Aveva detto Akiko a tal proposito, quando le era stato posto il problema. Così come impostale dall'amica, Yurika si era fermata a dormire nel suo appartamento, con tutte le conseguenze del caso, ovvero finendo per dover contare sulle sue risorse, dato che fermarsi in città più di una mezza giornata non era in programma. Dovette dunque prendere in prestito un pigiama per la notte, come anche i vestiti che indossava in quel momento: una t-shirt nera con maniche a tre quarti con la sagoma stilizzata di un gatto in bianco, una gonna a quadri delineati da linee verdi su tessuto blu, calze parigine nere con un fiocco come motivo, posto sulla parte superiore frontale – proprio al centro dell'elastico morbido che ne avvolgeva la metà inferiore della coscia--. Mentre portava ai piedi le stesse scarpe della sera prima e la medesima borsa a zainetto in spalla. La bionda era felice di poter fare questo favore all'amica, anzi le aveva appositamente scelto l'abbigliamento, dopotutto era una cosa che la divertiva molto e che ammetteva apertamente. Akiko invece vestiva una maglietta bianca con balze sul colletto, un paio di shorts di jeans di colore verde, tenuti su da un paio di bretelle che s'incrociavano ad "X" dietro la schiena, calzini corti verdi con tessuto increspato sul bordo e sandali gladiatori con tacco in cuoio. Dopo essersi preparate, fecero una colazione leggera, presumendo di prendere qualcosa una volta assieme alle due colleghe ed uscirono subito dopo aver riordinato, così non avrebbero potuto fare tardi all'appuntamento.
 

Quando furono giunte nei pressi del locale indicato – chiamato “Blue Rose” – , le due rimasero subito colpite da trovare lì, già presenti le due ragazze dai capelli castani sedute ad uno dei tavolini esterni.


«Sono già qui...» - commentò Yurika - «Ed io che pensavo fossimo in anticipo.»


Per istinto la bionda afferrò la mano dell’amica ed accelerò il passo, sventolando la mano per aria per attirare la loro attenzione.


«Mako, Minami-chan! Buongiorno!»
 

Nel sentirsi chiamare, le due dettero uno sguardo nella direzione da cui proveniva la voce ed inquadrati i volti noti, la ragazza agli occhi azzurri replicò il gesto con un sorriso pieno sulle labbra. Il look casual della ragazza comprendeva una maglietta arancione chiara a mezze maniche con su stampato in lettere bianche “Chill”, jeans scoloriti tenuti da una cintura marroncina, una felpa legata in vita color panna, dalle maniche rosse, scarpe da corsa ed un berretto con visiera sul capo, mantenuto fermo dalla coda di cavallo passata all'interno del foro posto sulla parte posteriore. Minami che sembrava piuttosto nervosa, continuava a tamburellare con le dita smaltate e ben curate, sul piano del tavolo ed aveva indosso una camicetta rosata, una gonna magenta, calzini corti e degli eleganti sandali bianchi che si abbinavano alla borsetta a tracolla con rifiniture in ottone, colore ripreso anche per la cerniera.


«Benarrivate ragazze! Venite pure a prendere posto.» - la accolse Makoto.


«Già, datevi una mossa e concludiamo questa pagliacciata.» - asserì l'elegante Minami voltandosi si tre-quarti in modo da poter vedere quanto fossero distanti da loro.


Makoto non gradì quel commentò acido, per cui sospirò ad occhi chiusi, per poi voltarsi nella sua direzione - «Lo sai, Mina... chi è sempre così rigido come un tronco d'albero, finirà per piantare radici, te l'hanno mai detto?»


La ragazza tentò di creare una metafora, per dire una cosa sulla falsa riga del: "Se continui a comportarti così, non se ne esce più!". Le stava semplicemente chiedendo di rilassarsi un po', per non finire con il portare inutile tensione al resto del gruppo, in vista della loro chiacchierata; ma la bruna d'altro canto non afferrò esattamente il concetto, finendo con l'accigliarsi.

«Che cosa vorresti dire con questo? Non lo capisco.»

 

«Ah...» - sospirò nuovamente, questa volta rassegnata dal tono che sembrava essere quasi un atto di rimprovero - «Va be', non importa... te lo spiegherò un'altra volta.»
 

Intanto Yurika ed Akiko si sedettero rispettivamente di fronte a Makoto a Minami, attorno al tavolo quadrato bianco e liscio messo a disposizione dal locale, orientate verso sud rispetto alle altre due. Non appena presero pozione, la ragazza dalla coda di cavallo, porse loro un menù di ciò che il Bar aveva da offrire e con un ampio sorriso sulle labbra, come se fosse davvero su di giri, le esortò con dei movimenti della mano.


«Su su, ordinate pure tutto quello che preferite, offro io quindi non fate complimenti!»

Minami guardava a quelle azioni con sospetto, le sembrò tanto un modo per comprarsi la loro simpatia o qualcosa del genere, quindi non poté far a meno di guardarla di traverso. Aveva di fronte a sé un tè freddo alla pesca con cannuccia a cui dette uno sguardo, con aria quasi stizzita. Le era stato portato dietro ordine dalla ragazza con il berretto, non molto tempo prima dopo che avevano preso posto a quel tavolinetto. Non che la bevanda non le piacesse, ma il fatto che le venisse pagata da una perfetta estranea era quanto la indispettiva. Mentre Makoto aveva ordinato per sé solo una tazza di tè matcha ed un paio di Daifukumochi – un mochi ripieno con pasta di fagioli rossi azuki –, uno tradizionale ed uno con la fragola all'interno. Un perfetto abbinamento di specialità tipicamente nipponiche, si potrebbe dire.


«Aaa~! Davvero? Grazie mille!» - esclamò dunque Akiko esaltata, lasciando scorrere il dito lungo il menù - «Allora prenderò... vediamo... Eccola! Una fetta di torta di mele ed tè freddo al limone.»


Yurika si sporse appena alla propria destra, in modo da sbirciare il catalogo, senza che dovesse esserle passato tra le mani - «Dunque... Una porzione di cheesecake ai mirtilli ed una cioccolata calda... se possibile, con aggiunta di panna montata. Grazie.»


Davanti a quelle richieste, in uno scatto repentino Makoto si alzò dalla propria sedia e piegando il gomito destro portando il braccio e di conseguenza la mano rigida a puntare verso il proprio capo.


«Ryōkai! Andrò subito a somministrare i vostri ordini al barman.» - dettò ciò con il sorriso ancora stampato in volto, si allontanò verso l'interno del locale, lasciando sole le tre ragazze.

Non appena fu fuori dal loro campo visivo, la ragazza in rosa sospirò pesantemente - «Certo che siete proprio tranquille voi due, considerando che si tratta ancora di una sconosciuta.»

 

Incuriosita dall'affermazione della ragazza, Akiko poggiò i gomiti sul tavolo ed il mento sulle nocche, scrutando il volto imbronciato della ragazza - «Oh, quindi non ti fidi di lei, Minami-chan?»
 

«Proprio per niente!» - replicò istantaneamente la ragazza - «Secondo me, nasconde qualcosa ed ho i miei motivi per crederlo.»


«Posso capire come ti senti, tuttavia... non credi che con il tuo atteggiamento aggressivo, si risolva ben poco? Forse hai ragione, può sembrare che le stiamo dando confidenza un po' troppo in fretta, ma in fondo anche questo è un modo per ricavare informazioni.»

La ragazza dagli occhi verdi sorrise ad occhi chiusi, davanti ad un'espressione poco convinta, delineatasi sul volto dell'interlocutrice.


«Cioè in pratica, state fingendo di essere gentili? Siete alquanto diaboliche, sapete. Specialmente tu Hatsuji-san, dopo che ti sei ritrovata perfino ferita a causa sua...»
 

«Be’… io invece sono grata a Mako per essersi preoccupata della ferita di Yurika-chan, avrebbe potuto scappare e lasciarla lì, ed invece non l'ha fatto. Non penso sia una cattiva persona dopotutto, anche se mi piace non darle troppo credito in una volta; soprattutto dopo averci radunate qui sono molto curiosa di saperne di più.»


In coda ad Akiko, fu proprio la mora a dire la sua in proposito, dato che la questione la riguardava - «Anch'io penso abbia qualcosa di sospetto, ed è proprio per questo che sono qui. Per capire di cosa si tratti. In quanto al nostro scontro, sono stata io ad attaccar briga, non la biasimo per aver reagito. Se offrire un qualcosa è il suo modo per scusarsi allora, non sono nessuno per rifiutare. E puoi chiamarmi semplicemente Yurika.»
 

«C-Capisco...» - commentò Minami, quasi irritata dal livello di rilassatezza ostentato dalle due. Anche se riusciva a concordare su di un paio di punti.


«Piuttosto Minami sono sorpresa di trovarti qui. Da come te ne sei andata l'altra sera, non sembravi aver intenzione di partecipare.»


La ragazza ebbe una sorta di sussulto, nel sentirsi chiamare per nome con una confidenza tale che non aveva mai accordato alla mora, ma decise di soprassedere dato che lei di contro, le aveva dato il permesso di utilizzare il suo nome di battesimo.


«Sì... be', non ho avuto poi troppa scelta...» - bofonchiò la ragazza in rosa, spostando lo sguardo altrove.


«Sarebbe a dire?» - intervenne confusa Akiko che si sporse tentando di riacciuffare il contatto visivo con la controparte.


«Vedete quella moto parcheggiata laggiù?» - disse improvvisamente, puntando lo guardo verso la strada.


Alle spalle delle due, pochi metri più in là, era parcheggiata una motocicletta Yamaha – MT-09 – con parte del telaio dipinto in arancio metallizzato, si trattava di un modello coverless, per cui le altre componenti del veicolo erano in bella vista. Quando le due si voltarono annuendo, riprese dunque il discorso.


«È sua... Stamattina si è presentata a casa mia di buon ora. Praticamente quasi facendo irruzione, rapendomi, caricandomi a forza a bordo di quell'affare e costringendomi a venire qui. Ero a dir poco terrorizzata! Ma ve lo immaginate?! Non è totalmente assurdo?»


La bionda portò le iridi al cielo e tentò d'immaginare la situazione sotto una luce di una gag da cartone animato giapponese, con le due ragazze stilizzate e Makoto che portava via Minami prima in spalla e poi in sella alla sua moto, sparendo lungo il manto stradale e lasciandosi alle spalle una nuvola di polvere.


«Mah, in effetti...» - commentò poco dopo.


«Posso immaginare come sia venuta a conoscenza del mio nome completo...» - disse rivolgendo lo sguardo accigliato nei confronti di Akiko, che fece il più possibile finta di nulla, seppur apparisse colpevole anche solo dal sorrisetto sforzato presente sulle sue labbra - «Però risalire addirittura al mio indirizzo di casa?! Non sono certo cose che si possono reperire tranquillamente su internet! Non ho idea di quali genere di risorse abbia, ma non intendo giocare a fare l'amica, davanti ad una persona così pericolosa!»


Esclamò quasi con stizza alzando il mento ad occhi chiusi. Nel mentre un rumore di ceramica raggiunse le orecchie della spadaccina, immaginò fosse arrivato il cameriere a servire le due ragazze con i rispettivi ordini.


«Ah, è stato più facile di quanto immaginassi, a dire il vero.»


 

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Capitolo 5
*** 「Raccolta Dati」 ***


「Raccolta Dati」



Lasciandosi il traffico alle spalle, Makoto e Yurika potevano dire di essersi risparmiate mezz'ora di strada, ad Akiko e Minami non era stato concesso un lusso simile. Arrivarono ben oltre un'ora dopo essersi lasciate di fronte al bar. Yurika ancora seduta sulla moto della giovane militare, le vide arrivare dalla distanza in tutta fretta; la bionda aveva suggerito fare il tratto di camminata che separava il capolinea dalla zona dei magazzini portuali, di corsa così da risparmiare tempo. Non aveva però fatto i conti con l'oste: Minami benché fosse un tipo abbastanza atletico, non era granché in quanto a resistenza. Finì dunque con il rallentare la compagna in maniera mostruosa e per non perdere il ritmo Akiko mentre l'aspettava, insisteva a correre sul posto, spronandola ad andare più veloce. Il risultato finale fu disastroso. Minami giunse nei pressi delle altre barcollando come uno zombie, mentre Akiko aveva ormai il fiato corto per lo sforzo sostenuto quasi ininterrottamente.
 

«Ah... sono qui.» - mormorò la mora, mentre le due si avvicinavano.


«N-Non... farò più... ginnastica... per questa settimana!» - ansimò Akiko poggiando una mano contro uno dei fanali posteriori della motocicletta.
 

«Sono così stanca, mi fanno male i piedi...» - si lamentò invece la bruna in rosa.
 

«Q-Questo perché... porti quei trampoli ai piedi. B-Ben ti sta...!»


La ragazza dalla coda di cavallo cercò di trattenere le risate, mentre dette loro tutto il tempo necessario per calmarsi e riprendere fiato.


«Be' certo che vi siete fatte desiderare! Pensavo non arrivaste più»


«Taci! Facile per te parlare, hai guidato fin qui!» - sbottò Minami nei confronti di Makoto.


«Ah mi spiace, mi spiace, ma una moto può portare massimo due passeggeri. E tu non eri ferita; una camminata non ti avrà fatto certo male. Anzi, speravo ti avrebbe aiutata a rinfrescarti le idee.»
 

Ancora una volta il pungente sarcasmo della ragazza con il berretto fu l’arma in grado di mettere a tacere ulteriori lamentele. Non appena entrambe sembrarono essersi riprese, Makoto si mosse da vicino al suo veicolo e battendo le mani attirò l'attenzione del gruppo, affermando che all'interno della base avrebbero trovato acqua fresca con cui ristorarsi, quindi non avevano motivo di rimanere là fuori in preda alla fatica.

 

«Bene, in marcia. Vi faccio strada.»


Le tre ragazze dunque andarono dietro alla loro guida, accedendo al complesso di ampi magazzini per lo stoccaggio delle merci provenienti via mare. Da partite di pesce e molluschi importati dall'estero, a macchinari disassemblati e conservati. C'era di tutto in quel luogo, perfino la sede operativa di un nucleo sperimentale delle milizie statunitensi. che operava nell'ombra con il benestare del governo giapponese.
 

Makoto si fermò davanti ad uno dei magazzini che pareva essere più grande degli altri, poggiando le mani sui fianchi con un rumore secco. Il magazzino esternamente aveva un aspetto solido, le pareti erano in muratura ruvida di un freddo grigio chiaro. Sulla parte superiore della facciata spiccava un lucernario di forma rettangolare, mentre ad evidenziare l'entrata, era presente una grossa serranda dipinta di rosso.

 

«Eccoci qui!» - affermò rivolgendo lo sguardo verso l'edificio.


«Certo che... come sicurezza sembra un po' deboluccia» - commentò Yurika mentre si avvicinavano.

«In effetti, mi aspettavo almeno un paio di guardie a presidiare l'ingresso.» - convenne Minimi in tono quasi deluso.


«Se mettessimo guardie a presidio, darebbe troppo nell'occhio, no? Per fare le cose per bene basta qualche telecamera di sorveglianza ben piazzata ed un uomo all'interno. E le chiavi in caso si fosse incaricati di aprire il magazzino per il primo turno.»

 

«In effetti, ha un aspetto molto anonimo»


Anche Akiko si unì al coro delle esternazioni, nei confronti alla base operativa del gruppo di Makoto – anche se l’intenzione della bionda era quella di dare man forte alla ragazza –, che non poté far altro, se non liberare un rumoroso sospiro:


«Spiacente che la struttura non incontri i vostri standard. Secondo me avete visto un po' troppi film e poi come ho detto… siamo pesci piccoli e questo è un dislocamento. Abbiamo dovuto arrangiarci alla meglio, anzi oserei dire che sono stati fin troppo generosi con noi. Ad ogni modo, avrete modo di cambiare opinione una volta dentro.»


Makoto si avvicinò alla serranda e vi dette due energici colpi con la mano per attirare l'attenzione dell'uomo di guardia. Ai due lati della parete frontale superiore erano poste due telecamere di sorveglianza, non particolarmente evidenti dalla distanza, ed entrambe puntarono verso il basso. Nel giro di pochi secondi, Makoto recuperò il suo distintivo dalla tasca posteriore dei jeans, collocato all'interno di un astuccio in pelle, dov’era custodito anche l’ID che aveva mostrato alle ragazze. Lo aprì in un gesto puntandolo verso l'alto in modo che la telecamera potesse riprenderlo. Dall'interno, si sentì poi un suono come se un fermo fosse stato rimosso, fu allora che la serranda rossiccia cominciò a sollevarsi accompagnata dal rumore di un motorino che ne consentiva il movimento. Pian piano fu resa visibile la figura di un giovanotto dai tratti caucasici, capelli rasati corti, occhi scuri ed avvolto da una classica mimetica verde militare con berretto ed ai piedi scarponcini marroni provvisti di suola a carro armato. Il ritratto tipico di un membro delle forze armate statunitensi. Non appena la serranda fu abbastanza alta, il giovane irrigidì il braccio destro, puntando la mano verso la fronte.


«Bentornata, Capitano Anderson!» - salutò il soldato.


«Riposo Tenente Brown.» - la ragazza si voltò appena indicando con il braccio il gruppo delle tre ragazze - «Loro sono le ragazze di cui ho anticipato la visita al Colonnello, inseriscile nel nostro sistema, in modo che possano risultare tra i nostri collaboratori.»

«Signor sì signora!»


La ragazza in abiti casual rispetto al suo collega, gli passò il tesserino di Minami, ponendoglielo nel palmo della mano, per poi superarlo, non prima di avergli dato una leggera pacca sulla spalla destra. Il Tenente sembrò come rilassarsi dopo aver subito quel gesto, mostrando un leggero sorriso nei confronti del gruppo di ragazze.


«Prego accomodatevi all'interno e per favore fornitemi un documento. Un tesserino come questo, andrà benissimo.»


Le tre ospiti quindi si diressero all'interno dello stabile, mentre la serranda alle loro spalle, venne abbassata tramite la pressione di un tasto. Il pavimento piastrellato di bianco guidò le giovani attraverso un locale vasto. Vicino all'ingresso, sulla destra era presente una piccola scrivania munita di un desktop su cui erano mostrate le immagini restituite dalle telecamere e dove il Tenente Brown stava assolvendo il compito richiestogli. Sempre sullo stesso lato proseguendo era possibile notare la presenza di uno spazio rettangolare di dieci metri per quindici, dall'altezza di tre metri e mezzo, delimitato da pareti in vetro temperato con cerniere e rivestimenti esterni in acciaio sui bordi. La zona era ricoperta da una cupola in vetro sostenuta da capriate in ferro. Una porta a vetri permetteva l'accesso dal lato minore. Somigliava ad una sorta di serra fortificata di piccole dimensioni. Il pavimento in quello spazio era ricoperto da uno strato di erba sintetica. Poco lontano – oltre la struttura – sulla sinistra, era presente un'altra scrivania con un secondo computer connesso ad una serie di cavi, convogliati proprio all'interno di quello spazio. Ultimo dettaglio degno di nota – oltre alla postazione di controllo – era un ennesimo stanzino di forma rettangolare: dalle dimensioni di un ripostiglio ed avente la funzione di archivio, dove venivano riposti e catalogati i rapporti, posto dall’altra parte di una porta in legno dipinta di bianco, scolorita e rovinata. Sul lato opposto invece erano presenti due porte: la prima dall'ingresso era una semplice e piccola stanza per i colloqui. La saletta constava solo in un tavolo in legno levigato ed un paio di sedie, con un neon sul soffitto come in tutte le altre zone dell'edificio. Mentre l’ultima fungeva da spogliatoio, dove erano situati anche i servizi igenici.
 

Mentre le ragazze tentavano di ambientarsi, Makoto tornò da loro,con indosso la sua divisa militare con annesso berretto con visiera sul capo, con la lunga coda di cavallo che spuntava, come prima dal retro del cappellino. La ragazza era uscita dalla sala colloqui, – dove tenevano un minibar – reggendo in mano un paio di bottigliette d'acqua naturale che porse subito verso Akiko e Minami come promesso, con un sorriso lieve sulle labbra.
 

«Ecco, prendete ragazze.»


«Ah grazie Mako!»

 

Akiko non fece complimenti ed andò subito ad aprire il tappo in plastica distruggendo il sigillo di sicurezza, così da poter prendere delle sorsate abbondanti d'acqua, quasi come se non bevesse da giorni. Minami fu più elegante, ma una volta tanto non fece la ritrosa accettando quel dono immediatamente.


«Yurika se vuoi c'è n'è anche per te.»

 

«No, non ne ho bisogno...»
 

Rispose la ragazza dalle iridi violacee che era intenta a guardarsi intorno da un po'.
 

«Okay. Dunque, vi spiego come si svolgeranno le cose. Ci divideremo in due gruppi, a turno ognuna di voi verrà scortata da un mio superiore con cui sosterrete l'intervista. Non preoccupatevi, non è nulla di complesso. Vi verranno poste solo alcune domande sulle Anomalie che combattete e su come siete entrate in contatto con loro, non siete obbligate a fornire informazioni personali, potete limitarvi ai fatti. Concentratevi sulle Anomalie e su i metodi di eliminazione per voi più efficaci. Facile, no? Nel mentre che aspettano le altre entreranno una alla volta in quella stanza...» - asserì Makoto indicando loro con il braccio, lo spazio ampio e vuoto circondato dalle pareti di vetro - «Si tratta di uno spazio in cui vi cimenterete in una battaglia simulata contro l'Anomalia di vostra competenza, tramite un visore per la realtà virtuale. All'interno della stanza sono posizionate telecamere, microfoni e sensori, quindi potremmo avere ogni movimento registrato sia in termini di immagini che per variazioni di forza, concentrazione del peso e velocità.»


A quel punto Yurika alzò la mano, chiedendo il consenso a porre una domanda, Makoto quindi le fece un cenno con il capo - «Sì, qualcosa non ti torna?»


«No... mi chiedevo solo cosa ci impedisca di andare a sbattere contro il vetro, o di inciampare nei cavi mentre ci muoviamo. È una stanza grande, ma niente ci impedisce ad esempio, di finire a terra o impattare contro la parete, nello schivare un'azione nemica.»

 

Makoto esternò una piccola risatina, ma rispose con assoluta serietà al dubbio in questione - «Ah be', i sensori servono anche a quello. Se vi avvicinerete troppo ad un ostacolo comparirà sul visore un segnale di pericolo, inoltre in simulazione la zona sarà comunque limitata, non dovreste correre questo rischio troppo facilmente.»
 

Essendo pervenuta già una domanda, Minami ne approfittò per esporre la propria - «Piuttosto... come dovremmo fare? Non siamo nel Piano, non possiamo utilizzare le nostre abilità... dovremmo per caso fingerle o cose del genere?»
 

«Non hai mai provato un VR vero Mina? Quei cosi sono garantiscono un’esperienza di immersione intensa, non avrai bisogno di fingere. All'inizio pensavo anch'io che non avrebbe replicato le condizioni del Piano, ma vedrai funziona a meraviglia! Però sicuramente, le mie parole non basteranno a convincerti. Posso mostrarvene una prova.»
 

Makoto si spostò dunque verso la postazione accanto alla serra ed attivò il computer, digitando rapidamente la password. Dopodiché aprì con un doppio click una cartella posta sulla schermata principale, contenente una serie di video registrati in quella stanza, ciò lo si poteva evincere dall’anteprima che mostrava in piccolo sulla destra la stanza ripresa dall'alto. Non appena ebbe trovato una registrazione che la riguardava, la castana l'apri, mettendolo a schermo intero e le tre ragazze le si strinsero attorno in modo da poter assistere alla riproduzione. Il video conteneva due schermate acquisite in contemporanea: una ripresa in verticale, con visuale in prima persona di un vicolo ristretto, sorvolato dalla figura di una donna sospesa a mezz'aria; l’altra occupava più spazio in orizzontale e riprendeva l’interno della stanza di simulazione, con visuale dall’alto in modo da catturare l’intero spazio.


Makoto trascinò il cursore fino ad un punto preciso del video, dove sulla prima schermata a sinistra – in formato 1:1 – la figura femminile era intenta a scappare. Era giovane, pareva avere al massimo una ventina d'anni, capelli rossicci corti sino alle spalle, occhi scuri e carnagione pallida. Indossava un vestito d'epoca grigio-verde decorato con pizzi e merletti, guanti bianchi, delle scarpe eleganti con tacco, orecchini ai lobi e sul capo un cappellino a punta, in tinta con l'abito non troppo elaborato. Si trattava di una Strega che si muoveva volando, senza avere alcun supporto. Nella parte di schermata a destra invece – di risoluzione 4:3 –, era presente Makoto con in mano una replica di un'arma da fuoco, la medesima che si rifletteva nella visione del VR che fungeva da controller modificabile tramite l’applicazione di vari accessori che teneva in una borsa a tracolla. Nel video Makoto cominciò a sparare contro il suo bersaglio, il quale reagì portando le mani verso l'alto. Al centro del palmo di entrambe le mani si cominciarono ad accumulare scariche elettriche, al punto da generare una sfera d’energia davvero ampia che scaraventò con forza verso il terreno. La castana avente dei pattini ai piedi, scivolò all'indietro verso sud arrivando quasi in prossimità della porta d'ingresso, ed segnale triangolare in rosso, subito lampeggiò in alto rispetto alla schermata, avvertendola dell’imminente pericolo d’urto. Successivamente all'arma fittizia venne applicato un accessorio, divenendo così un lanciarazzi, che utilizzò per sparare appunto un razzo verso la Strega, nel tentativo di abbatterla. Arrivate a questo punto, Makoto premette la barra spaziatrice mettendo in pausa le immagini.
 

«Che ne pensate? È fattibile vi pare?»

 

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Capitolo 6
*** 「Tana libera tutti」 ***


「Tana libera tutti」


 

Una volta conclusa la sua simulazione – con risultati sorprendenti agli occhi di entrambi i Capitani, che non sfiguravano affatto a confronto con quelli delle altre – Akiko venne aggiornata sulle novità racimolate in sua assenza, dopodiché alle civili fu permesso di rincasare. Visti i nuovi sviluppi le due militari avevano molto a cui pensare, tra stendere i rapporti sulla mattinata e domandare i permessi per le loro attività future. Dunque alla fine, le tre ragazze si congedarono da Makoto; vennero ringraziate più volte della loro con l'augurio di poterle rivedere ancora alla base, in veste di collaboratrici. Quando la serranda del magazzino si chiuse definitivamente alle loro spalle, Minami si voltò per guardarsi indietro, mentre Akiko si sgranchì le braccia e le dita delle mani, unendole e portandole verso l'alto con un gemito di soddisfazione.

 

«Ah! È stato impressionante non credete? Collaborare con una vera unità militare… ed useranno anche un mio disegno per le ricerche di Hanako-chan! Devo assolutamente impegnarmi al massimo per fare un buon lavoro. Mi sento decisamente carica, per tutte queste responsabilità!»

 

«Sei piena di entusiasmo considerando che potremmo star facendo un gigantesco buco nell'acqua.» - commentò Yurika, voltandosi ad osservare l'amica, sorridente quasi come se avesse vinto un qualche tipo di riconoscimento importante.


«Uh? Che intendi dire Yurika-chan?» - domandò la bionda, la cui espressione andò a farsi seria a poco a poco.


«Mi sembra ovvio, che potremmo anche non trovarle affatto no?»


Minami lanciò quella bomba per poi cercare lo sguardo della mora mentre terminava la frase, come ad avere conferma che avessero avuto il medesimo pensiero.

 

«Dopotutto non sappiamo neanche se quelle due sono ancora—»

 

«Esatto, non possiamo saperlo.» - irruppe Yurika, anticipando ciò che sicuramente Akiko aveva intenzione di dire, se quel concetto fosse stato portato a compimento - «Ciò che volevo dire... è che non sappiamo neanche se Hanako, sia sparita veramente. Forse è meglio non crearci aspettative senza avere gli elementi per farlo. Tutto qui.»


La bruna in rosa allora ebbe un piccolo sussulto, incrociando le braccia al petto, in effetti nessuna della due poteva essere effettivamente certa che le fosse accaduto qualcosa, poteva anche essersi separata da quella creatura ed essere tornata a casa sana e salva ed a quest'ora starebbe vivendo una comune giornata come un'altra, probabilmente cercando con tutte le sue forze di dimenticarsi dello spavento preso.


«Cioè… per te staremmo facendo una cosa inutile?» - esplicitò Akiko, con un'aria abbastanza afflitta in volto.


L'idea di potersi rendere utile per qualcosa di così importante, utilizzando le sue abilità l'aveva del tutto sopraffatta. Una simile eventualità non le aveva attraversato neppure l'anticamera del cervello, per cui il ritrovarsi di colpo a confrontarcisi, le fece scemare tutto l'entusiasmo ostentato fino a poco prima.


«Non ho detto neppure questo.» - ribatté Yurika liberando un sospiro - «Non è inutile, fino a quando non abbiamo la conferma definitiva che sia sana e salva. Nella peggiore delle ipotesi, ci basterà scusarci per aver frainteso e tornare ognuna alla nostra vita di sempre.»

 

«Insomma cosa pensi che dovremmo fare?»

 

Minami si dimostrò davvero irritata da tutti quei giri di parole, quindi le venne spontaneo sbottare nei confronti della ragazza dai capelli neri, la quale di contro, mantenne un espressione sterile ed una compostezza invidiabile, nel risponderle senza dare alcun segno di essersi indispettita per il suo tono aggressivo.


«Faremo ciò che abbiamo deciso di fare. Niente di più e niente di meno. Makoto e gli altri sono dei professionisti, se pensano valga la pena battere una pista, allora noi non siamo nessuno per mettere in dubbio il loro lavoro. Almeno io non avevo intenzione di farlo, sin dall'inizio di questa conversazione.»


Minami si sentì toccata sul vivo, dunque spostò energicamente il viso dall'altro lato, sbuffando - «E va bene! Non è che volessi mettere in dubbio le competenze di nessuno. Comunque è una possibilità anche quella, per quanto non ci vogliate pensare.»

 

«È vero...» - annuì Akiko - «Fino ad allora però, non dobbiamo permetterci di abbassare la guardia! Farò un ritratto accuratissimo, da restare a bocca aperta!»

 

«Ti riprendi in fretta vedo...» - borbottò Minami.


E cercando di sciogliere la tensione dal proprio corpo, s'incamminò per uscire dall’area dei magazzini che piano piano cominciava a ripopolarsi di persone, evidentemente la loro visita aveva conciso proprio con un momento di poco traffico nella zona del porto, fosse per lo scarico di merci o per il passaggio di individui intenzionati ad affittare una barca per andare a pescare a largo, per motivi di lavoro o per piacere. Ancora una volta Akiko stirò le braccia verso l'alto prendendo un respiro profondo, intriso di salsedine e portando gli occhi verdi verso il cielo azzurro, dove il sole aveva raggiunto il suo apice.


«Ormai è ora di pranzo. Giusto, Yurika-chan vuoi andare a mangiare in qualche posto in particolare?» - domandò dunque la bionda voltandosi nei confronti dell’amica.

 

«Non proprio. Scegli tu Akiko.»


«Eeh? Di nuovo... Mmm. Va bene, ma davvero non hai nessuna preferenza?» - insistette la ragazza.

Questa volta fu Yurika ad alzare lo sguardo verso l’alto, pensando a cosa poter proporre - «Se proprio devo... Vorrei mangiare dei Takoyaki.»

 

«E allora Takoyaki sia! Visto? È bastato poco. Minami-chan ti unisci a noi?»


Akiko portò lo sguardo davanti a sé in cerca della ragazza scorbutica, ma di lei non c’era più alcuna traccia, come se si fosse dileguata magicamente nel nulla.


«Ma... è sparita?! Uffa ed io che stavo anche invitandola, certo che ci si impegna proprio a rendersi antipatica!» - sbuffò Akiko, piuttosto infastidita.

 

«Ed ora che ci penso, non ci siamo scambiate i contatti neppure stavolta.»

 

«Questo non è un problema, sono sicura che se chiedessimo a Mako, il problema sarebbe risolto.»

Nel dirlo Akiko parve molto fiduciosa, muovendo l'indice della mano sinistra da una parte all'altra, come a sottolineare non fosse qualcosa per cui valesse la pena preoccuparsi. Al che la mora socchiuse appena le palpebre, davanti a quella reazione non si sentì per nulla tranquilla, se quella ragazza era riuscita a stringere amicizia con la madre di Minami in quattro e quattr’otto, riuscendosi perfino a far dare il numero di telefono della figlia, non voleva provare ad immagine cosa sarebbe stata in grado di combinare, se si fosse messa in testa di fare dei controlli su di lei. Riusciva già a vederla in sella alla sua moto, posteggiata dinnanzi al suo vialetto di casa.


«Fortuna che abito in una prefettura differente. Quanto meno ci metterebbe un po’ a raggiungermi.» - pensò ad alta voce.


Le due ragazze dunque si misero alla ricerca di un locale che avesse nel suo menù le polpette di polpo e decisero che dopo aver pranzato, ognuna di loro sarebbe rincasata. Quanto a Minami, si era allontanata verso la fermata del bus – opposta rispetto a quella dove erano scese quella mattina – e stava armeggiando con il suo cellulare, avvisando sua madre di tenerle in caldo il pranzo, perché stava rientrando. Salì quindi sul primo autobus disponibile, che l'avrebbe riportata sulla via del ritorno. Yurika si separò da Akiko una volta terminato di pagare il conto, tra mille lamentele da parte dell'amica; doveva tornare a Kamīzawa in un orario consono, così da poter svolgere anche le proprie commissioni in tutta tranquillità. Le due si diressero dunque immediatamente al suo appartamento – situato in una palazzina di quattro piani in un quartiere periferico popolare di Arashigoya –, cosicché Yurika potesse restituirle i vestiti presi in prestito ed indossare nuovamente i propri. La padrona di casa della bionda era stata così gentile da includerli nel proprio cesto della biancheria, da portare in lavanderia quella mattina. Li ritrovarono piegati sul letto della stanza di Akiko, al loro ritorno. Non appena la bionda si chiuse porta alle spalle entrando nel suo ampio monolocale, fece una corsa per andare ad afferrare la tavoletta grafica, che teneva sulla scrivania posta nella zona soppalcata della stanza, proprio al di sotto del lucernario prendente sul tetto. Accese il proprio portatile e senza perdere un'istante si dedicò al ritratto. Non pensò neppure ad indossare qualcosa di più comodo, semplicemente si mise al lavoro. Quando entrava in quello stato di concentrazione, qualunque cosa le si dicesse non sembrava neanche potesse raggiungerla, dunque Yurika non tentò neppure di fare conversazione, sapeva che sarebbe stata solamente ignorata.


"La proprietaria è stata proprio carina, la prossima volta dovrei portarle qualcosa come ringraziamento" – pensò intanto tra sé.



 

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Capitolo 7
*** 「Percorso」 ***


「Percorso」


 

Anche se Rainer non riuscì a raggiungere il suo orologio, nel suo rotolare al suolo uno dei tasti a lato del quadrante finì con il rompersi. Fortuna volle si trattasse proprio del tasto per la chiamata di emergenza alla base. Ogni dispositivo della serie data in dotazione all’unità sperimentale, era fornito di un GPS integrato, cosicché una squadra di soccorso potesse accorrere immediatamente sul posto, in caso di bisogno. Spesso al lancio del segnale, seguiva una chiamata integrativa, in cui Il Maggiore Briggs domandava dettagli sulla situazione corrente. Accadde anche in questo caso come da procedura, ma non vi fu alcuna risposta dal Capitano dall’altra parte. Un paio di membri rientrati dalla ricognizione, venne dunque inviata sul luogo per controllare; trovarono la bruna dalla pelle scura priva di sensi e con segni di lotta sul corpo. Venne portata subito all’ospedale più vicino con una prognosi di una settimana di ricovero: non aveva subito ferite gravi, ma come raccontò al medico che l’aveva visitata, le faceva male la testa per questo si ritenne necessario tenere la giovane sotto osservazione per ogni evenienza. Era stata davvero fortunata, nonostante tutto.

 

Non appena Makoto rientrò e venne informata dell’accaduto, reagì tirando un forte pugno all’oggetto più prossimo,che in quel momento era il muro all’ingresso del magazzino. Mormorando con aria irritata di averla avvertita di non fare nulla di avventato. Volle subito conoscere l’indirizzo dell’ospedale per poterla raggiungere, ed in non meno di cinque minuti la castana aveva già inforcato il proprio motorino per dirigersi alla volta della struttura. Non appena arrivò, trovò i suoi compagni di squadra già sul posto, il più alto in grado, aveva ricevuto il permesso di visitare il Capitano ed all’arrivo di Makoto, tutti reagirono mettendosi sull’attenti.


«Riposo ragazzi. Rainer come sta?»


Uno dei sottotenenti un giovane sui diciotto anni dai capelli ramati corti a spazzola, fece un passo avanti - «Il tenente Shapard è dentro a conferire con il Capitano Rainer. Credo che possa interromperli Capitano Anderson...»


La castana sorrise appena, ma scosse la testa - «No, ma grazie per il pensiero. Che sia tra parigrado o meno, una testimonianza è una testimonianza. Non cambierà di certo la sua versione vedendo la mia faccia, Sottotenente White.»


Il gruppo rimase ad attendere finché il colloquio tra i due non si concluse e quando la porta della stanza si riaprì, lasciando fuoriuscire un uomo sui ventidue anni dal caschetto sfrangiato, Makoto dopo averlo salutato domandò a Shapard un aggiornamento, prima di accertarsi delle condizioni della collega personalmente.

 

In un paio di giorni Akiko terminò la sua illustrazione, con un risultato che impressionò specialmente Minami che avendo visto la ragazzina da vicino, poté constatarne la somiglianza impressionante. Fu richiesto da Makoto che ne venisse fatto un buon numero di copie così da poter tappezzare ogni angolo della città, Akiko e Minami si sarebbero occupate delle rispettive zone, mentre la castana avrebbe fatto un giro di vari quartieri chiedendo in special modo ai negozianti di esporre il ritratto della ragazzina. Il manifesto di una persona scomparsa risalta di più se alle spalle del cassiere da cui hai appena finito di fare acquisti o affisso nelle vicinanze di un banco molto frequentato al mercato, che non appendendone decine ai pali della luce oppure agli alberi. Anche le bacheche erano un buon punto di affissione. Essendo un indagine non ufficiale non poteva imporre ai suoi compagni di squadra di darle una mano, ma chiese comunque anche a loro di prendere con sé almeno un paio di copie del volantino, in caso andasse loro; al resto avrebbe pensato da sola, data l’indisposizione momentanea di Jessica, per la quale non poteva fare a meno di sentirsi in pensiero.

 

Ad una settimana circa dal suo ricovero, le condizioni della ragazza erano stabili. Fisicamente stava bene, ma venne richiesta per lei un’assistenza psicologica dalla frequenza maggiore, subire due traumi in così poco tempo di certo non l’avrebbe riportata ad essere efficiente ed operativa in un batter d’occhio. Ciò significava che a Makoto a maggior ragione sarebbe toccato fare il lavoro sporco, cosa a cui comunque era preparata. Inoltre Akiko e Minami, nel fine settimana si erano prese l’impregno di battere a tappeto le zone da loro abitualmente frequentate, nella speranza di poter ricavare qualche buona pista. Dunque come ogni mattina, la militare si recò alla base situata al porto, per cominciare con la propria ronda e proprio nei pressi del magazzino, alle sette spaccate con una pila di volantini stampati in mano, poté scorgere Yurika.

 

Trovandosi fuori dall’area metropolitana di Arashigoya, la soldatessa non aveva affidato alla mora una “missione” in particolare, dubitava infatti che a Kamīzawa ci potesse essere qualcuno in grado di aiutarle, fornendo informazioni utili riguardo ad una bambina vista l’ultima volta in un’altra prefettura – ed anche se ci fosse stato, le probabilità erano comunque esigue, tanto da rischiare di risultare una perdita di tempo –. Non appena vide la ragazza dai lunghi capelli scuri, in lontananza esternò una breve risatina, grattandosi la nuca e mormorando tra sé: “Ma guarda tu”, sistemando il suo fedele berretto abbinato alla divisa mimetica, mentre le andava incontro.


«Yo, Yurika! Non è un po’ presto per stare a fissare l’orizzonte?» - domandò la ragazza in tono scherzoso, per poi aggiungere - «Si può sapere che cosa ci fai qui?»

 

La ragazza con indosso una maglietta viola prugna cucita ai ferri, pantaloni marrone cioccolato, calze corte bianche, un paio di scarpe da ginnastica nere e la solita borsa zainetto in spalla, tirò su il plico di fogli tenuti assieme da una cordicella sottile, per farle intendere che era venuta ad aiutarla con l’affissione dei manifesti.


«No, fin lì ci arrivavo, sai… quello che ti sto chiedendo è “perché non sei a scuola?” Lo sai che è Mercoledì?! Non starai per caso usando la scusa dei volantini per battere la fiacca...»

Ipotizzò Makoto inarcando un sopracciglio, ed incrociando le braccia al petto, al che la mora sospirò socchiudendo poi leggermente le palpebre.


«Non lo farei, se fossimo in periodo di esame o se dovessimo sostenere qualche test prefissato. Le lezioni normali, posso tranquillamente recuperarle da sola facendomi passare le fotocopie dall’insegnante. Non è strano che mi assenti per qualche giorno, se dirò loro che ho dovuto sbrigare delle faccende per mio padre, non avranno nulla da obiettare.»

Makoto continuò a fissarla con aria poco convinta, nonostante il suo ragionamento sembrasse filare liscio.


«Non so se fosse tua abitudine startene a casa se non ti sentivi preparata per un test, ma sappi che non è il mio caso. Comunque, se non hai bisogno del mio aiuto, posso anche andarmene.»

Makoto fece qualche passo indietro portandosi una mano al centro del petto, come se fosse stata colpita da un dardo in pieno petto, nel rialzare lo sguardo però mostrò comunque un sorrisetto soddisfatto.

 

«Tsk… questo era davvero un colpo basso! Però d’accordo. Mi hai convinto, accompagnami nel mio giro.»


E detto questo, dopo aver avvisato la base si incamminarono fuori dall’area dei magazzini dov’era posteggiata la sua motocicletta, dove i volantini vennero messi al sicuro nel portapacchi.

«Da che parte andiamo?» - domandò Yurika dopo essere salita in sella ed aver messo il casco in testa.


«Zona sud-ovest della città. Vicino ai giardini Yajinoshi, vorrei controllare una cosa da quelle parti.»


«Pensi di trovare una traccia sulla bambina del video? Non è troppo tardi per sperare ci sia qualche indizio?»


Makoto tuttavia sorrise ed accelerò facendo slalom tra le auto che procedevano dinnanzi a loro.
 

«Potremmo anche non trovare nulla, ma potremmo anche scoprire se qualcuno sa qualcosa. Tanto vale togliersi il dente, tanto prima o poi avrei dovuto andare a tappezzare anche quell’area. Magari ora che ho un po’ d’aiuto, avrò anche più fortuna nelle ricerche, non credi?»

 

Nel sorreggersi a Makoto, la passeggera fece spallucce - «Non conta in quanti siamo, se nessuno ha visto nulla, la cosa non cambierà.»


«Ahia! Sei proprio una ragazza senza sogni eh? Mah, speriamo che le invece più di una persona possa aver notato qualche dettaglio importante. Possiamo anche scommettere su chi di noi aveva ragione, se ti va.» - asserì Makoto.


«Andata!»

Una volta arrivati al giardino Makoto si aggirò guardandosi attorno e percorrendone il perimetro. Specialmente dette un’occhiata dove erano poste le strisce perdonali, dove la ragazzina era stata ripresa per l’ultima volta. Come era ovvio, sul posto non c’era nulla da trovare, se ci fosse stato, l’avrebbero trovato molto prima. Dopotutto era stata condotta un’investigazione, anche facendo qualche domanda in giro, non riuscì a trovare nulla di realmente produttivo: senza dubbio quella ragazzina frequentava il parco giochi, ma del giorno della scomparsa, nessuno riuscì a ricordare se ci fosse qualcosa di “fuori posto” o di aver notato qualcuno di sospetto, aggirarsi nella zona. Semplicemente, la ragazzina si era allontanata senza essere più rivista. La ragazza con il berretto dunque tornò indietro, alla panchina dove aveva lasciato Yurika con le mani in tasca e lo sguardo basso.

«Be’, cosa posso dire… hai vinto la scommessa Yur...—»

 

Quando alzò lo sguardo, però non trovò la ragazza da nessuna parte ed aggiustando la sua visuale si rese conto che si trovava nei pressi di un altalena con un gruppetto di sei bambini: tre femminucce e tre maschietti, tutti di circa cinque anni che tentavano di strattonarla da una parte all’altra come in un tiro alla fune. Scena che in qualche modo la fece sorridere Makoto.

«Oh… che succede qui? State litigando ragazzi?» - domandò dunque avvicinandosi a loro.

«Mi hanno attaccato… senza preavviso.»


«Come “attaccato”?» - ridacchiò la castana per poi riproporre la domanda ai pargoli - «Allora? Lo chiederò di nuovo: che succede qui?»


Uno dei bambini, con i capelli arruffati e piuttosto paffuto rispose per primo alla domanda, con aria seccata - «Le bambine non lasciano in pace la signorina, ha promesso di fare da arbitro per la nostra partita di calcio!»


«Sei un bugiardo!» - ribatté una delle bambine, con capelli scuri acconciati in due treccine e con un paio di occhiali sul naso - «Onēchan ha detto che avrebbe tenuto la corda per farci saltare, siete voi che vi siete intromessi!»

 

Makoto ascoltò lo scambio di battute e guardò Yurika per domandarle conferma riguardo alla versione dei fatti e lei fece cenno, verso la ragazzina alla sua sinistra dunque la ragazza con berretto mimetico andò a richiamare i bambini all’ordine con un fischio, che subito smisero di tirare la liceale come se fosse un giocattolo conteso.


«Molto bene, ho capito com’è andata. Ho una proposta per voi.» - disse accovacciandosi all’altezza dei bambini che lasciarono la presa e le si avvicinarono per sentire meglio.

«Sentite io e lei stiamo svolgendo una missione super segretissima, per conto della polizia. Quindi non possiamo rimanere qui a lungo, però!» - Makoto tirò su l’indice, ammiccando verso il gruppo - «Se mi offrirete il vostro aiuto, in cambio vi prometto che lei giocherà con voi per un po’, che ve ne pare?»

 

«Oh davvero? Che forza!» - esclamò impressionata una delle bambine, con i capelli castani tagliati a caschetto ed un cerchietto in testa.


«Dicci cosa dobbiamo fare!» - disse uno dei bambini un po’ più paffuto e con i capelli neri ed ispidi.


Yurika era rimasta indietro, a sistemare la propria maglia, dunque non sentì cosa la ragazza avesse proposto ai bambini e non vi dette comunque molta importanza, unendosi a loro nuovamente. Makoto aveva tirato fuori lo smartphone dalla tasca, mostrandoli il disegno di Akiko inviato nella chat di gruppo.


«Conoscete per caso questa bambina? È mai venuta a giocare in questo parco?»

Tutti si strinsero attorno a Makoto osservando la foto con sguardo indagatore. Cinque di loro scossero la testa dicendosi dispiaciuti, ma non l’avevano mai vista né avevano mai giocato con lei. La ragazzina con le treccine e gli occhiali, però non rispose subito come gli altri, aveva abbassato lo sguardo e sembrava pensierosa a riguardo.

 

Yurika allora le si rivolse con tono pacato - «Ti è venuto in mente qualcosa? Non preoccuparti, va bene qualunque cosa. Anche se l’hai notata da lontano una volta…»


La ragazzina allora con esitazione alzò lo sguardo annuendo.


«Io… la conosco… cioè conosco una bambina che la conosce. Hanako- onēchan mi ha raccontato che si chiama Tachigami Yui e che non può stare troppo al sole perché rischia di scottarsi, quindi non può giocare molto fuori soprattutto d’estate.»


«”Hanako-onēchan” hai detto? Ne sei proprio sicura? Hanako... non è il nome della ragazzina nel disegno?» - domandò confusa Makoto, scrutando la piccola al di là delle lenti quadrate.

La ragazzina scosse la testa in maniera decisa, alzando la voce di colpo, quasi fosse offesa dal fatto che si dubitasse delle sue parole - «No no! Si chiama Yui! Sua zia vive in una casa non molto lontano da qui! E con Hanako-onēchan erano vincine di casa, si sono conosciute proprio perché andava a fare visita alla zia! Me lo ha raccontato lei.»


A questo punto Yurika intervenne, ponendo una domanda differente - «Posso sapere allora, se non è lei…» - disse indicando la foto - «Come è fatta Hanako? Puoi descrivercela?»

«È un po’ più grande di noi, va quasi alle scuole medie ed è più alta. Ha lunghi capelli neri ed occhi color ciliegia ed è davvero popolare, tutti vogliono giocare con lei… o almeno… lo volevano... prima che sparisse.»



 

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Capitolo 8
*** 「Capolinea I」 ***


「Capolinea I」


 

Verso le sei di quel pomeriggio, un messaggio venne notificato a tutti i componenti della chat di gruppo “HEROES”.


Makoto (@Captain):

『@Minami, @Hatsuji Yurika, @Aki〜. Che ne dite di una missione esplorativa? Fatemi sapere se ci siete.』18:13.


Per quell’ora immaginò che la mora avesse avuto modo di avvisare Akiko di quanto avessero scoperto in quella giornata, per quanto riguardava Minami l’aveva avvisata lei stessa tramite una telefonata a sorpresa, dandole invece una sintesi molto raffazzonata dei fatti – con la promessa che avrebbero approfondito il discorso più tardi – e facendola rassegnare al fatto che avrebbe dovuto unirsi alle altre per la serata.
 

Conclusa la chiamata rimase seduta sui gradini anteposti all’ingresso di una casetta squadrata, a due piani dall’esterno in muratura bianca con finestre e balcone a vista per le stanze da letto al piano superiore, mentre il resto della facciata lineare, era infossata nell’ingresso chiuso da solida porta blindata. Passarono diversi minuti, quando sul vialetto fece la sua comparsa una Toyota Verso dalla carrozzeria grigia, da cui scese una donna con i capelli castani raccolti in uno chignon scombinato, tenuto su da un elastico sottile sommerso dalla chioma, occhiali rettangolari con la montatura di colore nero sul naso e con indosso un tailleur grigio che ne evidenziava le forme, una camicia bianca e scarpe con tacco alto. La donna chiuse la portiera con un forza, aprendo poi quella dal sedile posteriore, recuperando una valigetta in pelle marrone con fibbia, chiudendo poi nuovamente lo sportello con un’energia tale da provocare un rumore sordo.


«Guarda che prendersela con la portiera non serve a nulla Kāsan!» - affermò la ragazza in tono divertito.
 

La donna dagli occhi castani si voltò nella direzione della voce, fulminando la figlia con lo sguardo, la ragazza allora scivolò sulla sinistra rispetto a dove si trovava, sia perché quell’occhiataccia cupa le aveva dato i brividi che per lasciare alla madre Fujiko, il modo di salire ed andare ad aprire la porta principale.
 

Contrariamente a quanto si aspettasse, decise invece di sedersi accanto a lei, sospirando in maniera pesante e raccogliendo il viso tra le mani.


«Lavorare come impiegato statale sarà una passeggiata, dicevano… Non faticherai e farai bei soldi, dicevano...» - borbottò la donna - «Di certo è un posto di lavoro sicuro, ma che non si fatichi, be’… chi l’ha detto deve ridarmi indietro tutte le energie che giornalmente consumo, solo per riuscire a tornare a casa non completamente esausta. Senza contare l’avere a che fare con i clienti che pensano qualunque pratica loro debbano sbrigare, possa essere pronta o inoltrata in uno schiocco di dita. Tutti abbiamo le nostre urgenze, io stessa se dovessi presentare un documento quanto prima, dovrei mettermi l’anima in pace ed aspettare un minimo. Ed io ci lavoro in quell’ufficio!»


Sbottò la donna dal viso rotondo ed i lineamenti aggraziati, tanto da farla sembrare più giovane della sua età effettiva; si sfilò gli occhiali chiudendo un astina e andando a far scivolare l’altra all’interno del collo sbottonato della camicetta riudendola, cosicché gli occhiali rimanessero ben fissi sul suo petto, poggiando sul suo voluminoso seno quasi fossero più un accessorio che una necessaria protesi per permetterle la guida, in quanto miope.

«Soprattutto, c’è questo signore anziano che viene in ufficio tutti i giorni, senza saltarne uno, chiedendomi perché la sua nuova tessera sanitaria non gli sia ancora stata recapitata. E non importa quante volte ripeta che c’è un tempo d’attesa fisso, continua a tornare.»

Makoto a labbra chiuse soffocò una risatina divertita - «Pff… Ahahaha. Non è che per caso, si è innamorato di te?»


«Ah-Ah! Molto spiritosa!» - commentò Fujiko, che comunque mostrò un sorrisetto sghembo - «Se solo potessi concludere qualcosa ed aiutarlo sarebbe un’ottima cosa, ma non potendo la cosa mi mette estrema pressione. Non sono uno sportello d’ascolto, se bado a questo signore, non posso lavorare come dovrei!»

 

«Che male c’è?» - fece spallucce la ragazza - «Tanto la paga rimane la stessa.»


Fujiko incontrò di nuovo gli occhi della ragazza, con aria rabbiosa finendo però con il ridacchiare, dopotutto in effetti era vero. Anche se da buona donna in carriera, non poteva accettare tale conclusione. Dopo quella risata liberatoria, la donna si alzò andando ad aprire la porta, mentre Makoto controllava il cellulare. Nel frattempo erano giunte le risposte delle altre.


Akiko (@Aki〜)

『Io e Yurika ci siamo!』18:19.


Minami (@Minami)

『È un seccatura, ma se avete una pista, verrò.』18:21.

『Quindi? Dove ci incontriamo?』18:21.

 

Makoto (@Captain):

『Vi mando la posizione della fermata di metro più vicina, così da lì saremo già a metà strada.』18:23.

 

La ragazza ricercò su internet la posizione e la inviò sul gruppo. Aggiungendo:

 

Makoto (@Captain):

『Una volta lì, vi spiegherò meglio.』18:26.

 

La castana si alzò dunque dai gradini esterni, mentre sua madre dopo essersi tolta i tacchi alti ed aver sistemato le proprie pantofole, andò a riaprire la porta vedendo che la ragazza non si era ancora degnata di entrare in casa, mentre il freddo della sera aveva cominciato a farsi sentire tanto da darle un brivido netto lungo la schiena. Si strinse dunque nelle spalle, affacciandosi sulla porta, con i capelli ora sciolti, ma ancora scompigliati che le giungevano fin oltre le spalle.

 

«Makoto? Non entri?»


«Scusami Kāsan, devo controllare una cosa.»
 

Non appena Fujiko osservò il viso della ragazza, nonostante tendesse a considerarla ancora una bambina, annuì fermamente rivolgendole un tiepido sorriso accostandosi totalmente alla porta ed appoggiandosi alla sua superficie.
 

«D’accordo. Fa’ attenzione, ti terrò in caldo la cena.»


«Sì, grazie mille!»

 

Makoto si precipitò quindi giù per i gradini e corse oltre il vialetto, verso il suo mezzo di trasporto posteggiato poco più indietro rispetto all’auto di sua madre. Dopo aver messo il casco ed averla messa in moto si rivolse con lo sguardo verso casa propria, ondeggiando per aria il braccio destro, dopodiché partì a tutta velocità con gli anabbaglianti accesi per farsi strada nel buio. La castana scese una volta raggiunta la fermata della metropolitana, preferì lasciarla lì, incatenandola ad un paletto, piuttosto che portarsi dietro il mezzo a mano; dunque attese l’arrivo delle ragazze che ci misero meno di un quarto d’ora a raggiungerla.

 

Circa una decina di minuti più tardi, una macchina a sei posti dalla carrozzeria nera lucida ed i vetri posteriori oscurati, si accostò poco lontano da lei sul marciapiede e quando la portiera si spalancò, ne vide uscire Akiko con indosso la propria divisa scolastica – composta da una camicia bianca, un maglioncino a maniche lunghe color grigio perla, una giacca nera, una gonna blu con trama quadrettata evidenziata da sottili linee azzurre, stesso motivo ripetuto sul fiocco blu che la ragazza indossava attorno al collo –, la militare sgranò gli occhi per la sorpresa. Mentre la bionda le si avvicinava, anche Yurika sbucò fuori dalla vettura e prima di chiudere lo sportello si rivolse al guidatore.


«Grazie infinite per averci accompagnate Ashida-san. Ti renderò il favore quanto prima.» - disse lei.


Al che una voce maschile replicò, con ironia - «Non preoccuparti Yurika-chan, piuttosto sarebbe utile se mettessi una buona parola con tuo padre, forse lui potrebbe farmi qualche bel favore, come aumentare di qualche yen il mio stipendio o qualcosa del genere.»

La ragazza accennò un sorriso replicando - «Vedrò cosa posso farei. Passi una buona serata e grazie ancora.»


«Grazie a te. State attente per strada e non fate troppo tardi. Anche Arashigoya quando scende la notte, finisce con il riempirsi di gentaglia poco raccomandabile.»
 

Dopo aver rassicurato l’uomo, la liceale chiuse la portiera e la macchina che si allontanò poi lungo la strada. Non appena si riunì al resto del gruppetto, Makoto la salutò con un cenno del capo.


«Però non lo avrei mai detto che avessi un’autista personale nascosto dentro al cilindro Yurika, né che fossi una borghese di tutto rispetto, questo sì che mi ha sorpreso.»

«Tanto per cominciare, non è il mio autista… Lavora per l’azienda in cui è impiegato mio padre, ed è un suo amico. Ogni tanto, se è libero e glielo chiedo mi fa di questi favori. E non sono neanche tanto abbiente. Mio padre lavora duro per mantenere quello che ha costruito, posso permettermi qualche lusso, ma non mi piace sprecare troppo del denaro che mi passa. Un autista sarebbe uno spreco se posso prendere i mezzi pubblici.»

Makoto rimase quasi senza parole, poiché dal tono si rese conto che la mora prendesse la cosa molto seriamente. Forse anche sul personale, quindi si portò istintivamente la mano alla nuca, come a scusarsi della sua battuta, prima di riprendere parola.

 

«Mah, capisco come la vedi, in questo caso allora perché non avete preso la metro?»

Tempestivamente Yurika replicò - «Ho fatto un tentativo, essendo una cosa importante ho pensato sarebbe stato meglio fare in fretta, quindi ho chiamato Ashida-san per sapere se era libero. Ed aveva appena finito il suo turno, quindi ho colto l’occasione.»


Makoto dunque annuì, ancora sorpresa da quanto accaduto poco prima. Nel frattempo, Minami era arrivata a destinazione ed era arrivata in cima alle scale, proprio durante lo scivolone del Capitano, rimanendo a contemplare la scena in silenzio come se stesse assistendo ad un bello spettacolo, giusto il tempo necessario prima di decidere fosse ora di farsi notare.

 

«Finalmente qualcuno ti fa abbassare la cresta.» - asserì la bruna muovendosi dall’ultimo gradino, procedendo in avanti.


La ragazza indossava a sua volta la propria divisa anch’essa alla marinara, ma di colore nero, con bordini bianchi a delineare il colletto ed i polsini e con il classico nastro appeso al collo di colore rosso, con un gilet a maniche lunghe marrone scuro a coprirla da sopra.

«Sembro così altezzoso?» - domandò immediatamente Makoto incrociando il suo sguardo, per sogghignare nei confronti della spadaccina - «Comunque, ha fatto bene a sgridarmi stavo fraintendendo tutto. D’altronde capita a tutti di sbagliare, vero? Ad esempio se tu non ti fossi lasciata scappare il tuo demone al primo incontro, non avresti bisogno di essere qui ora.»


La bruna sussultò, era stato un colpo basso, l’ennesimo da parte di Makoto, cosa che le fece sbottare nei suoi confronti - «Fa’ silenzio!! Non mettere bocca in questioni che non ti riguardano!»

«Certo che andate proprio d’accordo voi due...» - commentò Yurika a bassa voce.


L’argomento venne lasciato cadere nel giro di poche battute. Adesso che c’erano tutte, Makoto decise di non perdere altro tempo e di cominciare a fare strada alle ragazze. Aprì sul proprio smartphone il navigatore che le avrebbe condotte verso una destinazione precisa. Dopo qualche minuto di camminata in silenzio, notando che nessuno si stesse facendo domande su dove fossero dirette, Minami decise di rompere il silenzio con anche un po’ di fastidio dato dal fatto che dovesse essere proprio lei a dare inizio alla conversazione. Quasi come se fosse l’unica del gruppo a porsi delle domande.


«Ehi, si può sapere dove stiamo andando?»


Makoto le rivolse lo sguardo, con aria confusa - «Huh? Non te l’ho detto?»


Minami alzò gli occhi al cielo, sbuffando al che la militare fece spallucce, cominciando a spiegare - «Stiamo andando da uno psicologo.» - disse.


«Hmph, se per controllare se ci sia qualcosa che non vada in te, ti risparmio la fatica… c’è.»


Il commento sarcastico della spadaccina venne totalmente ignorato dalla giovane che proseguì nel suo discorso.


 


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Capitolo 9
*** 「Capolinea II」 ***


「Capolinea II」


 

All’esterno dell’edificio l’Akuryō generato da Yurika, stava immobile di fronte all’edificio, con lo sguardo fisso sulla figura femminile all’interno nonché alla sua creazione ancora incompleta. Un largo sorriso solcò le labbra della versione più giovane di sé stessa.

«Davvero... sorprendente.»


A quel punto la creatura si mosse. Le braccia afferrarono la superficie del vetro distrutta e fecero forza verso i lati del foro distruggendo totalmente la finestra; così lentamente riuscì ad uscirne, poiché grazie ad un paio di fiammate indirizzate sapientemente da Yūka, anche a quella figura vennero donate un paio di robuste gambe, sostenute da fianchi larghi ed un busto possente. Si fece poi prendere in spalla dalla propria proiezione come fece la sorella. In opposizione a quelli rossi intensi con sprazzi violacei di Yurika quelli dell’Akuryō della maggiore erano di blu brillante.


«Bene! I preparativi sono ultimati ♪ Possiamo finalmente giocare insieme Yurika-chan!» - disse in tono allegro la ragazzina.


«Fatti avanti...»


La mora non volle sprecare parole inutilmente, sapeva perfettamente si trattasse solo di un’esca, un diversivo per rallentare la sua scalata e distrarla dall’occuparsi di quella volpe che si trovava all’ultimo piano. Far andar avanti Akiko era stata la scelta migliore, soprattutto perché quella copia sbiadita di sua sorella maggiore, sembrava voler tirare per le lunghe quel siparietto di pessimo gusto. Yūka non gradì molto quella mancanza di entusiasmo quindi esternò un profondo sbuffo.


«Uffa… nonostante tu sia diventata grande non sei cambiata di una virgola, quando ti si chiede di giocare insieme fai sempre così! Mi sono sempre impegnata per coinvolgerti, ma poi arrivava questo tuo atteggiamento a rovinato tutto. Te ne rendi conto?»


«Non volevi giocare? Allora avanti giochiamo…» - replicò la ragazza, senza dare corda alla linea di discussione introdotta dalla controparte.

 

Voleva solo che quell’incubo terminasse al più presto, così da impedire ad altri brutti ricordi di affiorarle alla mente. Per cui, Yurika estese in avanti la propria mano destra. Il bracciale in metallo era tornato a cingere il polso della ragazza, segno che la falce era stata momentaneamente messa a riposo, dopotutto per quello scontro non le sarebbe servita.

«Se non hai intenzione di cominciare, allora...» - la ragazza portò all’indietro al di sopra della testa il braccio dominante chiudendo la mano a pugno, l’Akuryō copiò i suoi movimenti - «Ci penserò io.»


Portò dunque rapidamente il braccio in avanti, indirizzando un pugno deciso nei confronti dell’avversaria. Il pugno venne bloccato dalla mano del secondo Akuryō creando un contraccolpo udibile nell’aria e dando inizio ad una prova di forza tra le due, poiché Yūka restituì la medesima mossa. In questo modo lo scontro partì e si consolidò rapidamente in una situazione di stallo, che costrinse subito la gemella minore ad arretrare.


«Divertente! Vediamo chi resiste più a lungo?» - ridacchiò la maggiore.


«Sarebbe una seccatura.»

Benché fisicamente non avessero la pressione dell’una e dell’altra a premere sui propri arti, le ragazze potevano percepire tutto attraverso le rispettive proiezioni, dunque lottando contro la resistenza che sentiva, Yurika dovette spingere con maggiore energia nel tentativo di far traballare la presa, affondando con forza nella mano della proiezione e piegandone le dita all’indietro, fu un processo doloso che spinse Yūka ad urlare; solo allora quando la presa vacillò poté giungere ad afferrare il polso della gemella strattonandola.
 

«Aah mi fai male Yurika-chan… Per favore...»


La mora ignorò quella richiesta, avvicinandosi alla proiezione e ponendosi alle sue spalle, andando a bloccare il capo della creatura d’energia spingendone il capo verso il basso, con la mano aperta posta al centro della nuca. Ogni movimento, era generato da una movenza della ragazza, mentre la controparte ne subiva la pressione. In piedi in precario equilibrio sulla spalla larga del colosso d’energia, Yūka si ritrovò piegata in avanti, come se un masso enorme le stesse posando sulla schiena. I movimenti non erano stati rapidi per tanto avrebbe potuto intercettarla e liberarsi, tuttavia ciò non era avvenuto. Yurika la tenne ferma, fissando la ragazzina con sospetto. Poteva essere una tattica oppure una debolezza causata da uno scompenso: generare e mantenere una proiezione mentale di quelle proporzioni, dopotutto richiedeva uno sforzo non indifferente di concentrazione, soprattutto le prime volte. Ad ogni modo la mora non si lasciò distrarre troppo dai suoi pensieri, mentre imponeva alla sua avversaria quella scomoda posizione.

 

«Te lo chiederò una volta sola… Quali sono le tue intenzioni?»

 

«Non te l’ho detto prima? Voglio giocare con te, nient’altro.»


«Già, peccato che questo non sia affatto un gioco!»

 

«Ah no? Yurika-chan non giocasti a fare l’eroina, quella volta?» - ridacchiò la sua versione in miniatura - «Perché ora dovrebbe essere diverso… Quindi da brava.» - la ragazzina allungò il braccio sinistro puntandolo nella sua direzione – ovvero alle sue spalle – e la luce bluastra di poco prima, cominciò ancora una volta a radunarsi.


Comprendendo che volesse sfruttare la sua vicinanza per colpirla con un’altra fiammata, Yurika mollò la presa e con il braccio opposto, sospinse l’Anomalia all’indietro, scansandosi poi bruscamente, assestandole una gomitata allo sterno con destro, così da farla sbilanciare costringendola ad appoggiarsi alla facciata dell’edificio da cui erano uscite, con la parte superiore della schiena.

 

«Aaaah!»

Perdendo l’equilibrio Yūka scivolò sul braccio della propria Anomalia, riuscendo a sostenersi solo una volta giunta all’altezza della piega del gomito, sospirando di sollievo, dopodiché cominciò a disporre le manovre per rialzarsi. Nel mentre la vampata finì con l’annullarsi in cielo, non prima di passare molto vicina al capo della proiezione controllata da Yurika provocando uno sfrigolio leggero, al che ella alzo il braccio destro deviando ulteriormente le fiamme, impedendo così che queste colpissero gli edifici alle sue spalle. Lo sfrigolio si ripresentò identico, cosa che portò la mora ad un’importante realizzazione: quelle fiamme di colore bluastro erano calde.


Quando riportò lo sguardo verso la propria avversaria, quella era riuscita a rimettersi in piedi. Yurika sperò che l’impatto non avesse creato danni all’interno; ma non era ancora fuori pericolo, per tanto tornò a prestare la propria attenzione di fronte a sé. Massaggiandosi le spalle leggermente indolenzite dalla botta presa, l’avversaria prese parola dopo aver ridacchiato in maniera lieve.


«Non potrai evitarle per sempre, sono l’emblema del mio odio!»

 

Ancora una volta l’attacco a base infuocata venne scagliato nei suoi confronti, essendo il terzo tentativo quasi consecutivo immaginò seguisse lo stesso schema dei precedenti. Invece la ragazzina parve volerla sorprendere con una variazione, il fuoco questa volta non si accumulò in un punto preciso, bensì tutt’attorno al colosso da lei creato, cominciando a farlo zampillare di scintille, poteva percepirne il calore anche a distanza. Yurika non poté far a meno di pensare che questo non fosse per nulla da sua sorella. Una ragazzina così dolce com’era la gemella con cui era cresciuta, non si sarebbe assolutamente scaldata in quel modo, né tanto meno avrebbe provato del risentimento nei suoi confronti, era troppo pura di cuore per poter provare un sentimento tanto corrotto verso un’altra persona.

«In questo modo non potrai non accettarle, le conseguenze del tuo giocare a fare l’eroina…» - proseguì Yūka con un tono eccessivamente allegro - «Sto arrivando Yurika-chan! Tienti pronta!»


La mora prese un respiro profondo preparandosi allo scontro, sperando che questo “terzo round”, sarebbe stato quello decisivo.



 


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Capitolo 10
*** 「File #99: Miwato Minami」 ***


「File #99: Miwato Minami」


– Generalità:


Il soggetto all’epoca dei fatti aveva 11 anni. Di nazionalità nipponica, nata e cresciuta nella città di Arashigoya, il suo nome è Minami Miwato (身ワ徒 美波, Miwato Minami). Occhi a mandorla di colore castano-ambrati, capelli castano scuri, lisci e lunghi fino a sopra le spalle, naso piccolo e labbra sottili. Destrimana, di gruppo sanguigno A e del segno zodiacale dell’Ariete. Alta un metro e cinquantasette, per quarantasette chili di peso. Dal fisico snello ed atletico per la costante pratica dell’arte marziale del Kendō, fin dalla più tenera età. Caratterialmente si dimostra caparbia, facilmente irascibile ed incline alla negazione dei propri propositi o sentimenti. La sua famiglia gode di una certa rilevanza sociale, in quanto alla guida della prestigiosa scuola di Kendō di famiglia, di cui la giovane è intenzionata a prendere le redini da adulta, succedendo al nonno Chōjirō Miwato. Posizione rifiutata sia dalla figlia dell’uomo Sumika Miwato, in favore dell’apertura di una scuola di Ikebana, che dal nipote primogenito Yūichi intenzionato a studiare lingue per vivere all’estero. Quest’ultimo è il motore di questo incidente, suo malgrado. Infine come ultimo membro del nucleo, vi è il padre Yoshihiro Miwato di professione giornalista. Nonostante sia molto fedele alle tradizioni, Minami è affascinata dalle novità provenienti dall’occidente, in particolare ha un debole per vestiti e beni di lusso.

 

 

– Antefatto:

(Ricostruzione di quanto emerso da interrogatori e dichiarazioni dirette dei testimoni).


Le era stato detto già varie volte di lasciar perdere, che non valesse la pena impegnarsi tanto per quello che era un insulso torneo a carattere locale, se poteva puntare a qualcosa di più prestigioso. Come al solito però dall'alto della sua testardaggine, lei non avrebbe ascoltato. Piccoli o grandi che fossero, finché le iscrizioni erano aperte lei avrebbe partecipato, si sarebbe presentata difronte ai suoi avversari ed avrebbe vinto. Non avrebbe rinunciato alla gloria per nulla al mondo, poco importava che si trattasse di una dimostrazione di Ikebana oppure di un incontro di Kendō di bassa lega. Lei si sarebbe impegnata al massimo per vincere con orgoglio. Questa era la sua determinazione. Dopotutto, aveva fatto una promessa.


All’epoca aveva solo sei anni e lei e suo fratello maggiore, erano soliti allenarsi nel loro cortile con le spade di bambù. I due avevano appreso i fondamenti della disciplina fin da bambini ed il fratello Yūichi, pensava fosse un bene che anche la piccola di casa imparasse ad usare la spada, se non altro per essere in grado di difendersi in futuro. I loro incontri erano regolari ed il giovane faceva in modo che la sorellina si impegnasse al massimo nel colpirlo, così da riuscire a vincere con le sue forze. Quanto alla piccola Minami non era il tipo amante della sconfitta e non le servivano troppi complimenti per spingerla a percorrere la strada che l’avrebbe alla vittoria. Un ultimo colpo ben assestato al petto, decretò la fine della sfida ed il giovane dai capelli castani si sfilò dunque la maschera protettiva, mostrando un radioso sorriso. Minami imitò i suoi gesti guardandolo poi incuriosita.


«Quindi? Come sono andata?» - domandò la piccola con i suoi occhioni colmi di speranze, che ricevette in risposta una carezza sulla testa, la quale le arruffò buona parte dei capelli lisci, che scendevano fluidi sulle spalle.


«Sei stata bravissima, Minami. Una vittoria in piena regola! Congratulazioni.» - si complimentò il ragazzo - «Assicurati di farti valere ai prossimi tornei, intesi? Sei la futura erede, un giorno guiderai la nostra palestra e non solo... quindi, mi raccomando.»


«Certo! Mostrerò a tutti la grazia e la determinazione della scuola di arti marziali e composizioni floreali Miwato! Te lo prometto Onīchan!»


Minami ricambiò il suo sorriso in maniera radiosa. Fu in quel momento che promise a sé stessa, che non avrebbe mai mancato a quelle parole per nessuna ragione al mondo.
 

Dalla sinistra dei due fratelli, proprio poco dopo quella scena tanto toccante, fu udibile un leggero rumore di applausi, lento e secco. I due si voltarono nello stesso istante per osservare la figura del nonno, avvolto nel suo kimono preferito, con capelli bianchi spettinati e la barba incolta, fermo sulla porta con un’espressione bonaria. Era lui la fonte di quel suono. Incartapecorito a causa dell’età e leggermente gobbo unì gli arti inferiori dietro la schiena, incamminandosi verso i nipoti.


«Bravi figlioli è proprio quello a cui mi piace assistere.» - affermò il vecchio squadrandoli entrambi.

 

«Ah, Ojīsama buon pomeriggio!» - la bimba s’inchinò subito con il busto in segno di rispetto, sorridendo poi nei confronti dell’anziano.


«Ciao Minami. Ho visto tutto il combattimento sai? Migliori ogni giorno di più.»- asserì con dolcezza per poi spostare lo sguardo sul liceale al suo fianco.


Una qualche sfumatura cupa adombrò il volto del patriarca, prima che questo riprendesse parola- «Yūichi ho bisogno di parlarti un attimo, si tratta di un discorso della massima importanza. Vieni al dōjō appena puoi.»


Il ragazzo acconsentì e domandò a Minami se volesse fare merenda, tutto quell’esercizio in effetti le aveva fatto venire fame, quindi la bambina corse subito da sua madre per chiederle cosa potesse prendere di buono da mangiare. Nel mentre il giovane prese con sé gli Shinai – spade di bambù – ed il resto dell’attrezzatura, presa in prestito per gli allenamenti e si diresse verso il luogo dell’incontro. Non era particolarmente allegro al pensiero di recarvisi, questo perché aveva un’idea alquanto precisa di quale sarebbe stato l’argomento della discussione che avrebbe dovuto sostenere. Quando arrivò in palestra, suo nonno era già lì ad aspettarlo. Il ragazzo si diresse spedito verso il ripostiglio per posare le attrezzature, nascondendovi la testa all’interno come farebbe uno struzzo, evitando appositamente lo sguardo del vecchio. Solo allora si degnò di rivolgergli la parola , con il tono più calmo di cui fosse capace.


«Quindi… di cosa volevi parlarmi?»


La risposta dell’uomo fu chiara e concisa: «Del tuo futuro Yūichi...»

 

Quelle parole non furono altro, se non la conferma dei sospetti presenti nell’animo del ragazzo. Ebbe comunque un leggero sussulto, mentre era intento a riporre i vari oggetti al proprio posto.


«Pensavo avessimo già affrontato questo discorso. Mi dispiace, ma non ho intenzione di cambiare idea. Ormai ho deciso.»

 

«Ho visto i tuoi progressi figliolo...» - proseguì indisturbato l’uomo, quasi come se il nipote non avesse minimamente aperto bocca - «Hai talento, se continui di questo passo diventerai di sicuro un degno rappresentante di questo casato. Degno di portare avanti questa palestra. Voglio tu sia il mio successore. Quindi abbandona quei tuoi sciocchi propositi di “viaggiare per il mondo” ed abbraccia la via della spada. Quello è il giusto percorso da seguire, la strada maestra. Cosa può darti il tuo voler lasciare una posizione certa, solo per voler imparare altre lingue? Te lo dico io: nulla di buono, si tratterebbe solo di un inutile spreco di danaro. Tutti questi grilli che hai per la testa, non ti fanno vedere le cose veramente importanti. Lo capisco, sei giovane… ecco perché il mio compito è guidarti.»

Nel frattempo, il ragazzo dai capelli castani tagliati in un caschetto disordinato aveva abbassato lo sguardo e serrato i pugni ai lati del corpo. Non era la prima volta, aveva già visto i suoi progetti di vita ridicolizzati, sminuiti e trattati come fossero spazzatura. Niente più che i capricci di un ragazzino… Lui però ne era convinto: avrebbe studiato, si sarebbe impegnato a fondo ed avrebbe preso la laurea in lingue, per poi esplorare vari luoghi del mondo. Limitarsi al grande giardino della villa di famiglia o al solo Giappone, per lui non era abbastanza. Aveva bisogno di aprirsi a nuovi orizzonti, di esplorare altri paesi ed incontrare persone nuove. Insomma voleva vivere a pieno la sua vita.

 

«Spero proprio stia solo scherzando...» - mormorò il ragazzo, con le spalle tremanti per la rabbia.

 

Quel sussurro, fu abbastanza chiaro perché venisse udito, portando quindi ad un’inevitabile replica - «Dico solo quello che penso, l’ho sempre fatto. Qualcosa da dire?»


Il tono dell’anziano era incredibilmente duro, il suo sguardo severo puntava il giovane a testa bassa. L’aveva vista milioni di volte, quella freddezza data dal pregiudizio e dalla delusione; ormai non lo temeva più.

 

«Sì… ho qualcosa da dire. MI dispiace molto, non ho intenzione di rinunciare al mio sogno né ora né mai!» - con uno scatto del collo, Yūichi fissò un sguardo carico di ardore verso il vecchio uomo - «Non vivrò la mia vita stando alle tue regole puoi scordartelo!»


Il liceale sapeva bene come fosse fatto: era il genere di individuo d’altri tempi a cui piaceva prendere tutte le decisioni. Anche suo padre per poter sposare la madre, aveva dovuto fare i salti mortali, poiché nel giudizio di Chōjirō Miwato un banale conta-frottole – come amava chiamare i giornalisti – non era neanche lontanamente all’altezza del sangue del suo sangue. Ancora adesso, dopo tanti anni non riusciva a farsi andar giù quella “sconfitta”; quindi la sua unica rivalsa a questo punto della propria vita, era prendersela con i propri nipoti. Minami era entusiasta all’idea di preservare la tradizione di famiglia, aveva sempre ammirato gli incontri a cui suo fratello partecipava unicamente per passatempo. Senza alcuna pretesa, né intento di voler prendere le redini della palestra un domani. Un simile ragionamento, tuttavia per quel vecchio combattente era a dir poco inaccettabile.



 


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Capitolo 11
*** 「File #113: Hatsuji Yurika」 ***


「File #113: Hatsuji Yurika」


 

– Generalità:
 

Il soggetto all’epoca dei fatti aveva 11 anni. Di nazionalità nipponica, nata a Kyōtō, cresciuta a Tōkyō e successivamente trasferitasi nella città di Kamīzawa, dove risiede ora stabilmente. Il suo nome è Yurika Hatsuji (発時 百合香, Hatsuji Yurika). Occhi a mandorla color violetto, capelli lisci mori molto sottili e folti, lunghi all’incirca fino all’altezza del bacino, naso rotondo e piccolo, bocca piccola con labbra sottili. Destrimana, di gruppo sanguigno AB, del segno zodiacale del Leone con ascendente Bilancia. Alta un metro e sessanta, per quarantasei chili di peso. Ha un fisico slanciato ed asciutto, quasi gracile; apparentemente è poco incline alla pratica di attività fisica di qualunque genere, seppur mostri capacità atletiche che potrebbero far sospettare il contrario. A causa dei traumi subiti, ha sviluppato un livello di resistenza al dolore elevato. Caratterialmente è una persona molto riservata e taciturna, mostra poco le sue emozioni e spesso sembra non avere particolari reazioni espressive agli stimoli esterni. Dimostra comunque capacità comunicative più che esaurienti. La sua famiglia era composta da altri quattro elementi: Shuzuka Shifumi, designer ed arredatrice di interni, deceduta a causa di un cancro ai polmoni, Keiichi Hatsuji vice presidente e responsabile delle relazioni estere di un’importante impresa edile – il Matsushima Group – e Yūka Hatsuji, sua sorella gemella morta suicida all’età di tredici anni. Ha adottato un gatto nero randagio, chiamandolo “Shu” in onore della divinità egizia del vento.

 

 

– Antefatto:

(Ricostruzione di quanto emerso dagli interrogatori e dichiarazioni dirette dei testimoni).

 

Per i primi sette anni della loro vita le gemelline Yūka e Yurika, vissero in tranquillità e serenità. I lavori di entrambi i genitori erano estremamente remunerativi, ciò permetteva alla famiglia di fare frequenti viaggi e di acquistare tutto ciò che le due potessero desiderare. La sorella maggiore, molto sensibile ed estroversa tentava in ogni modo di coinvolgere la più riservata sorellina Yurika in giochi ed attività. Il legame tra le due era davvero profondo, dove andava l’una andava l’altra – fosse volontariamente o perché la maggiore insisteva fino a far cedere la più piccola. Le due erano fisicamente identiche, tuttavia le loro personalità e disposizione d’animo risultavano opposte; ciò rendeva semplice distinguerle, non appena le due avessero aperto bocca. Provare ad ingannare i genitori fingendosi l’altra era fuori discussione, Yurika rifiutava categoricamente ogni qual volta la sorella le proponeva l’idea, per via di una sua radicata convinzione che non si dovesse ingannare nessuno, anche solo per gioco. L’onestà intellettuale della minore, precluse quindi tutta una serie di divertimenti tipici dei gemelli identici. All’età di sette anni, la famiglia si trasferì dalla capitale, nella città di Kamīzawa a causa di un ampliamento dell’attività del Matsushima Group, dove Keiichi venne promosso a vicepresidente della società, che aveva sede appunto in una prefettura differente. Lì comprò una bella casetta su due piani, facendola ristrutturare e collaborando anche in parte al progetto, in modo da munirla di ogni genere di comodità. L’uomo ricoprendo quel nuovo incarico, dovette stare molto tempo lontano da casa, spesso anche per mesi interi, per via di incarichi all’estero. Per il primo anno le cose andarono bene. Fin quando la madre Shizuka, un giorno non cominciò a mostrare problemi respiratori collassando sul pavimento del suo soggiorno, per fortuna non era sola in casa, bensì con una vicina che aveva invitato a prendere un tè. Furono chiamati subito i soccorsi e la donna venne trasportata in ospedale. Le analisi evidenziarono la presenza di un tumore polmonare cui avrebbe dovuto essere operato. Il marito pagò tutte le cure mediche necessarie e l’operazione andò a buon fine; i medici ritennero però necessario, ella si trattenesse fino alla completa guarigione sotto le cure degli specialisti. Keiichi dunque la fece stabilire in una rinomata clinica privata, per non farle mancare nulla.

Le spese mediche, le bollette ed il necessario per pagare ogni genere di tassa, nonché le spese per qualunque cosa le figlie potessero necessitare: come vestiti, cibo ed istruzione, ora gravavano solo sulle spalle dell’uomo. La situazione per lui non si modificò. Il suo lavoro lo potava a stare via da casa per lunghi periodi. Per i primi mesi le bambine riuscirono ad arrangiarsi da sole. Avevano ricevuto precise istruzioni dai genitori e grazie ai soldi che arrivavano mensilmente su una carta di credito prepagata, riuscirono a cavarsela piuttosto bene. Le bambine si sentivano “come gli adulti”, avendo quel tipico atteggiamento per cui – non conoscendo i retroscena che permettevano loro di vivere in quel modo – erano convinte di poter fare qualunque cosa per conto loro, senza dover chiedere ad estranei. Le bambine andavano anche a trovare la madre in clinica, raccontandole con orgoglio di quanto fossero diventate grandi. Yurika si azzardò perfino ad affermare che tornata a casa, la madre non avrebbe dovuto più preoccuparsi di nulla, perché ci avrebbero pensato loro. Il mondo reale però può essere crudele. Shizuka difatti non fece più ritorno a casa. Nonostante le ingenti cure, il tumore non le lasciò scampo portandosela via nell’arco di pochi mesi. Il marito era all’estero quando la donna si spense, dunque non le fu possibile essere al suo capezzale e per giunta non poté rincasare in tempi brevi per stare accanto alle sue bambine.


La rovinosa discesa degli eventi, purtroppo… era solo all’inizio.


Non fu mai chiarito chi, ma qualcuno – si presume l’insegnante della scuola elementare frequentata dalle piccole – avvertì della situazione precaria della famiglia, chiamando i servizi sociali. Una sera verso l’ora di cena del mese di Giugno di quello stesso anno, un suono di bussata turbò il clima sereno della cucina in cui le due gemelline stavano preparando uno spezzatino di carne e verdure. Yurika era incaricata di controllare la carne sul fuoco, girando le striscioline di carne di manzo precedentemente tagliate, mentre Yūka tagliava le verdure da aggiungere in un secondo momento, quando la carne cominciava ad assumere un colorito più scuro. Non appena il suono di bussata si ripropose una seconda volta e con più decisione, la gemella maggiore posò il coltello e si asciugò le mani sul grembiule che indossava.


«Sto arrivando!! Un momento per favore!!» - urlò forte e chiaro per farsi sentire, per poi voltarsi verso la sua destra - «Vado a vedere chi è Yurika-chan. Tu aspetta qui e… non prendere iniziative, d’accordo?» - l’ammonì preventivamente, con la fronte corrucciata la maggiore.

 

Quest’ultima annuì di rimando rispondendo - «Roger!»


Yūka allora non riuscì a trattenere una risatina, avevano da poco visto un film comico in cui il protagonista era un militare imbranato e quell’espressione, o meglio quel nome usato come conferma, le aveva colpite al punto da decidere di utilizzarlo tra loro; saltò dunque giù dallo sgabello che usava come rialzo, per poter arrivare più agevolmente al piano di lavoro e corse verso l’entrata, spolverando il grembiule prima di aprire un tantino la porta, per vedere chi volesse far loro visita a quell’ora. Quando la ragazzina si affacciò verso l’esterno, si trovò di fronte un uomo alto in completo nero ed occhiali rotondi poggiati sul naso. Il sole che aveva cominciato a sparire da un po’, donava alla sua figura un che di inquietante agli occhi della piccola, avvolgendolo in un alone rossastro. Fece qualche passo indietro, commettendo l’errore di lasciar andare l’uscio mentre l’uomo si mosse in avanti per rendersi più visibile. Portava una borsa nera a tracolla.

 

«Cerca qualcuno, signore?» - domandò con tono insicuro la bimba delle elementari.

 

«Ciao piccola, sì… vorrei parlare con la mamma o il papà, sono in casa?»

 

«Ecco… veramente...»

 

Per sua fortuna, Yurika si era fatta prendere dalla curiosità ed aveva messo un coperchio sulla carne, per andare a sbirciare chi fosse alla porta. Non appena sbucò nel salotto dalla cucina, affrettò il passo vedendo di sfuggita un estraneo, ma reagendo soprattutto al tono di voce tremante della gemella. Non aveva sentito quale fosse la domanda, perché la cucina era ad una discreta distanza dall’ingresso, però andò ad intuito replicando d’istinto ed intercedendo al posto della gemella. C’è chi dice, in un parto gemellare sia la secondogenita ad essere la maggiore? In certe occasioni nel rapporto tra le sorelle, questa regola valeva senza ombra di dubbio.
 

«Otōsan è a lavoro, mentre Okāsan è impegnata ai fornelli e non può muoversi… ha bisogno di qualcosa?»
 

La piccola parlò con convinzione, guardando con le palpebre socchiuse il signore occhialuto. Egli a sua volta osservò la bambina e si grattò la tempia, come se fosse a disagio - «Capisco…» - mormorò, per poi aprire la cerniera della borsa ed estrarne una busta marrone che porse a due mani nei confronti di colei che gli aveva risposto - «Allora… la consegnerò a voi. Mi raccomando datela alla mamma, è molto importante.»

 

Yurika prese la busta piuttosto voluminosa, le dette uno sguardo per poi alzare il capo nei confronti dell’uomo - «Lo faremo non si preoccupi...»

 

Con ciò le due scambiarono un paio di rapidi convenevoli con l’uomo, il quale subito dopo si congedò, recandosi verso una macchina parcheggiata sul vialetto al di fuori della proprietà di famiglia. Una volta assicuratesi la macchina fosse partita e si fosse allontanata, la porta d’ingresso venne richiusa e Yurika si voltò verso l’interno dell’abitazione sospirando ad occhi chiusi. Una volta tanto aveva detto una bugia, però era stata costretta a farlo, non poteva certo far sapere che erano sole in casa ad uno sconosciuto qualunque. Una volta aperte le palpebre, si ritrovò di fronte Yūka intenta a fissarla con due occhioni che brillavano per la curiosità e le mani giunte a mo’ di supplica.

 

«Vuoi sapere cos’è?» - domandò Yurika, con le palpebre socchiuse e l’aria quasi rassegnata di chi conosceva già perfettamente come sarebbe andata a finire.

 

La gemella maggiore annuì vigorosamente più volte, sorridendo mentre le sue gote si coloravano di una sfumatura rossastra. Non stava più nella pelle dalla curiosità.

 

«Ha detto che è importante, no? Non dovremmo aspettare che Otōsan torni a casa?»

 

Un cenno di dissenso provenne dall’altra - «Non voglio! Voglio sapere subito cosa c’è scritto!!»

 

Yurika allora sbuffò abbassando il capo, mentre la gemella aveva cominciato a “correre sul posto”, tenendo i pugni stretti ed all’altezza del petto.


«Uffa… e va bene...» - replicò la prima.


«Ah! Evviva!!» - Yūka alzò le braccia al cielo, neanche avesse vinto un premio alle bancarelle di un festival estivo, per poi afferrare il braccio della sorellina e cominciare a correre in direzione della cucina a passo spedito - «Scopriamolo subito, scopriamolo subito!»


 


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Capitolo 12
*** 「File #183: Hōdashi Akiko」 ***


「File #183: Hōdashi Akiko」


– Generalità:


Il soggetto all’epoca dei fatti aveva 16 anni. Di nazionalità giapponese nata a Tōkyō, ma residente ad Arashigoya fin dalla più tenera età. Il suo nome è Akiko Hōdashi (苞山車 秋子,Hōdashi Akiko). Occhi con taglio all'occidentale, verde smeraldo, capelli biondo dorati lunghi fino ad oltre le spalle, li porta sciolti tranne in ambiente scolastico dove talvolta li raccoglie con un elastico o con dei nastro, naso piccolo e lievemente aquilino, labbra sottili. Destrimana, di gruppo sanguigno 0 e del segno zodiacale del Toro. Alta un metro e cinquantasette per quarantacinque chili di peso. Non è mai stata particolarmente capace in quanto a prestazioni fisiche: nonostante un’ottima coordinazione che le permette una precisione al millimetro, quando si parla della pittura ed orientare gli oggetti nello spazio, le sue abilità atletiche sono del tutto nella norma. Possiede una grande capacità di osservazione. Si è iscritta al club di tiro con l’arco, in modo da sfruttare in un’attività extra, queste sue qualità. Caratterialmente è una ragazza molto dolce e disponibile, piuttosto romantica e sognatrice. Si lascia guidare spesso dalle emozioni, la si può definire una ragazza parecchio emotiva, ma anche dotata di una buona dose di autocontrollo. Sua madre Hannah Olsen è una pittrice paesaggista ed il padre Akihito Hōdashi lavora come mercante d’arte; venne allevata dai nonni paterni Ritsuko e Masaki Hōdashi.


 

– Antefatto:
(Ricostruzione di quanto emerso dagli interrogatori e dichiarazioni dirette dei testimoni).

La pittrice islandese Hannah Olsen aveva programmato un viaggio in Giappone, perché affascinata dalla natura. Non era interessata esclusivamente alla fioritura dei ciliegi come molti stranieri, voleva esplorare per bene ogni aspetto di quel paese. Quell’anno, oltre che per dipingere era tornata nel paese del Sol Levante perché era stata organizzata una mostra, collegata ad un evento di beneficenza a cui aveva deciso di partecipare con alcuni dei suoi pezzi. Durante il soggiorno fece la conoscenza del mercante, responsabile di convogliare critici, promuovendo quella serata e garantendo si svolgesse correttamente, facendo arrivare i lavori ai compratori e curando i rapporti con gli artisti. Il nome dell’uomo era Akihito Hōdashi, che partendo da un apprezzamento su una veduta realizzata dall’artista riuscì ad intavolare un discorso piacevole, dimostrandosi non solo un esperto nel valutare i colori, ma anche comprendendone l’intenzione, arrivando così al cuore della donna del nord. I due dunque cominciarono a frequentarsi, scoprendo di avere una buona affinità. Entrambi erano spesso lontani dal loro paese natale per via della loro professione, non riuscivano per tanto a vedersi di frequente, però bastarono poche fugaci notti di passione perché Hannah rimanesse incinta. Entrambi erano intenzionati a mettere su famiglia, quindi l’islandese portò a termine la gravidanza nel paese orientale – poiché la sua situazione l’aveva messe tristemente, in conflitto con la sua famiglia di origine – venne quindi accudita dalla famiglia del marito, mentre egli proseguiva a svolgere il suo mestiere. Dal loro amore venne alla luce una bellissima bambina e la donna decise di chiamarla Akiko per omaggiare l’autunno, stagione in cui i due si incontrarono; oltre che il suo consorte. Sebbene le avessero consigliato tutti di interrompere la produzione di quadri e di dedicarsi alla famiglia, la Olsen vi riuscì solo per un breve periodo. Il richiamo dell’arte era troppo forte, quindi chiese ai genitori del marito di allevare la piccola, mentre lei tornava a girare per il mondo. Avrebbe certamente garantito, dato il suo successo, una vita agiata alla sua piccola a dispetto delle assenze proprie e di Akihito. I nonni paterni accettarono l’incarico. La piccola Akiko venne quindi amorevolmente cresciuta dai nonni, i quali non le fecero mai mancare il contatto con l’arte o con i genitori, che rincasavano quanto più spesso possibile e telefonavano giornalmente, per farle sentire anche solo la loro voce e sincerarsi sulla sua crescita. 

Crebbe sana di costituzione e dalla mente molto creativa, non appena fu in grado di tenere in mano pastelli colorati o matite, cominciò subito a disegnare e con il tempo, lo stile della madre nella pittura la spinse a provare gli acquerelli. Frequentò le scuole migliori, che i redditi dei genitori potessero pagare e fu seguita passo passo dai nonni, testimoni del suo talento crescente. Akiko aveva ereditato la maggior parte dei tratti somatici come i capelli biondi e gli occhi verdi e vispi dalla madre, perfino il taglio della pupilla non ricordava per nulla quello a mandorla; ciò la portò ad essere trattata spesso come una “straniera”. Il bullismo nei suoi confronti per fortuna fu lieve e non si sentì mai troppo discriminata. Quando giunse all’ultimo anno delle scuole medie, cominciando a pensare al suo futuro, si iscrisse ad un liceo con sbocco artistico, domandò se le fosse possibile anche trasferirsi, andando di conseguenza ad abitare da sola, in modo da non gravare più eccessivamente sulla nonna Ritsuko ed il nonno Masaki, che avevano fatto tanto per lei allevandola. Proponendo la cosa anche ai genitori, suo padre le consiglio di andare ad un preciso indirizzo e di presentarsi come sua figlia, così facendo avrebbe trovato l’aiuto di cui necessitava. Difatti recandosi al civico in questione, alla periferia di Arashigoya e facendo presente la sua richiesta ai proprietari della palazzina, questi furono ben lieti di accoglierla. 

Le fu affidato l’appartamento che occupava l’intero ultimo piano munito di bagno privato e con un lucernario posto in un angolo del soffitto. Il luogo ideale dove porsi a dipingere per avere sempre della buona luce. Parlando con la titolare scoprì che da giovane, anche il padre aveva tentato la carriera pittorica, ma non aveva avuto molto successo cambiando dunque direzione in corso d’opera.

Del periodo in cui tentava di sfondare però, le venne rivelato: 

«Alle volte, per tentare di terminare un dipinto rimaneva rinchiuso qui per giorni interi, tanto da farmi preoccupare… Spesso gli portavo la cena, per paura che non mettesse nulla sotto i denti. Ed i suoi lavori mi piacevano anche; mi ha rattristito venire a sapere avesse rinunciato. Spero tu abbia più fortuna mia cara.»

Akiko rise, immaginando suo padre nei panni di un’artista disordinato, come era lei stessa. In confronto a sua madre, la bionda era molto più interessata alla componente umana, ovvero il ritratto e preferiva la graffite sul foglio ed i chiaroscuri più di qualunque altra cosa. 

Si iscrisse infine ad un liceo femminile con indirizzo artistico. Le materie per Akiko non furono un problema, in senso generico. Dopo pochi mesi dall’inizio dei corsi, la bionda venne attirata da una studentessa in particolare, tra le altre che frequentavano l’istituto. Era una ragazza dai capelli scuri modellati in onde sinuose, gli occhi castani limpidi, un sorriso smagliante, un fisico atletico e con le forme al posto giusto. Tutte sembravano smaniare per avere le sue attenzioni, lei era Karen Izumi del terzo anno. Non si sapeva molto della sua vita, o di chi fossero i suoi genitori. Su di lei esistevano solo le più svariate speculazioni, ma una cosa era indubbia: il suo talento per la pittura e l’artigianato, era davvero formidabile. Aveva confezionato dei vasi di terracotta scolpiti in maniera talmente fine da essere diventata una “celebrità” all’interno dell’istituto. 

Akiko si ritrovò dunque ad ammirare, di riflesso quella ragazza così straordinaria. Tanto da dedicare parte dell’ora di disegno a ritratti che la riguardavano, sviluppando per lei una certo interesse, se non una vera e propria infatuazione. Voleva davvero avvicinarsi alla ragazza, tuttavia non aveva abbastanza  coraggio. Inoltre c’erano molte ammiratrici ad orbitarle attorno, rendendo complesso qualunque genere di tentativo, almeno dal punto di vista della bionda. Si rese conto inoltre di non avere troppo tempo: Karen era al terzo anno, quindi significava che se entro Marzo, non si fosse dichiarata non avrebbe avuto nessun altra occasione. Prese quindi una decisione drastica, ovvero darsi “una data di scadenza”, entro cui approcciarla; scelse a tale scopo il giorno di San Valentino. 

In questo scenario decisamente personale, la disegnatrice si trovò anche a fare conti con il fatto di non essere l’unica ad avere quel genere di mire. Infatti la coetanea della sezione accanto alla sua, Umeko Ginga si trovava a meditare un piano molto simile. La bionda ne venne a conoscenza origliando per sbaglio una conversazione della ragazza in questione, mentre era insieme ad un paio di amiche, di ritorno dai servizi.

«Quindi Umeko, lo farai? Proverai a dare a Izumi-senpai i tuoi disegni per il suo compleanno?» - domandò una delle due amiche alla ragazza dai capelli scuri tagliati a caschetto.

«Eh? No! Ma che idee… sarebbe troppo imbarazzante. Non c’è la farei mai!» - ribatté Umeko, per poi riprendere la frase con un sospiro - «Però mi piacerebbe un sacco...»

«Ricorda che quest’anno si diplomerà, quindi se vuoi dimostrarle il tuo talento, non puoi farti sfuggire quest’occasione»

«Avete ragione, qui c’è bisogno che mi ponga un obiettivo...» - disse ragazza - «Mi darò tempo fino a San Valentino, quella sarà la mia deadline!»

Le amiche risero per la convinzione nel tono di Umeko, sostenendola però nel suo proposito. Akiko realizzò in quell’istante, che non solo avrebbe dovuto agire in fretta , bensì avrebbe dovuto lottare con tutta sé stessa per riuscire a risaltare agli occhi della Senpai. E mentre rifletteva sul da farsi, un pomeriggio assistette alla goccia che avrebbe fatto traboccare il  vaso ricolmo di pianificazioni ed intenti. Era in procinto di tornare a casa dopo le pulizie dell’aula, attraversando il corridoio per dirigersi all’esterno dell’istituto, incrociò un gruppo di ragazze riunitasi nell’atrio come punto d’incontro, erano parte del club di palla a  volo ed avevano i borsoni in spalla. Uno dei membri era la senpai Izumi, quindi la bionda si fermò agli armadietti delle scarpe, per poter passare almeno qualche istante ad osservarla da lontano, ciò che non si aspettava tuttavia era individuare tra le altre ragazze presenti anche Umeko Ginga. Quel caschetto scuro faceva capolino, ridendo assieme alle altre del gruppo. Rimase ad osservare fin quando non ebbero lasciato la scuola; era a dir poco senza parole, Umeko era quasi a braccetto con la Senpai… proprio lei! Che era certa, facesse di tutto per assentarsi dalle lezioni di educazione fisica!! Le volte che le varie sezioni dovevano condividere la palestra con le altre sezioni, la classe di Akiko era accoppiata a quella di Umeko, perciò era a dir poco sicura della sua impressione:  l’aveva quasi sempre vista sugli spalti a “fare il tifo per le sue compagne”, una volta per una slogatura, un’altra perché in preda a dolori di stomaco, trovava sempre una scusa diversa. Allora perché essere coinvolta nelle attività di un club sportivo? Non aveva alcun senso! 

Uscita da scuola Akiko si fermò in un Conbini a fare la spesa – ricordatasi di avere il frigo vuoto –. Messo piede nel suo appartamento ed una volta chiusasi la porta alle spalle, barcollò fino al tavolo della cucina posando sul piano le borse di plastica, per poi cadere in ginocchio poggiando la fronte sulla superficie di legno.

 

 

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Capitolo 13
*** 「File #191: Fuyumi Makoto」 ***


「File #191: Fuyumi Makoto」

 

– Generalità:


Il soggetto all’epoca dei fatti aveva 17 anni. Di nazionalità Nippo-americana, nata ad Arashigoya, il suo nome è Makoto Fuyumi Anderson (アンダーソン • 冬美 真, Andāson Fuyumi Makoto). Occhi dal taglio occidentale, espressivi e rotondi di colore azzurro mare, capelli castano scuri lunghi fino ad oltre metà della schiena, spesso legati in una lunga coda alta con l’ausilio di un nastro, naso a patata e sorriso spigoloso. Ambidestra, di gruppo sanguigno B e del segno zodiacale del Sagittario. Alta un metro e ottanta per sessantadue chili di peso. Ha praticato sport sin da piccola, quindi possiede una buona massa muscolare ed un fisico adatto a sopportare allenamenti anche intensi. Lo sport in cui ha avuto più coinvolgimento è stato il baseball, questo le ha permesso di acquisire varie competenze quali: la velocità in corsa, i riflessi, calcolo della velocità di un bersaglio in movimento e di migliorare i suoi tempi di reazione agli stimoli. Caratterialmente, è una trascinatrice, ha lo spirito innato di un leader e non ha paura a dire la propria anche a costo di sembrare indisciplinata. Sua madre Fujiko Fuyumi, è una umile impiegata statale. Il padre l’ammiraglio della marina militare statunitense Gregory Anderson. Makoto utilizza il cognome paterno, solo nei documenti e nelle occasioni “ufficiali”. Ha l’abitudine di parlare di sé al maschile, utilizzando il pronome personale “Boku”.



 

– Antefatto: 

(Ricostruzione di quanto emerso dagli interrogatori e dichiarazioni dirette dei testimoni).

 

Alle volte, la passione può scattare nelle circostanze più inaspettate, tra gli individui più disparati. Come avvenne all’impiegata di un ufficio comunale, Fujiko Fuyumi dopo aver bevuto qualche bicchierino di troppo in compagnia del suo capo. Le capitò di incrociare per puro caso, lo sguardo di uno straniero intento a sorseggiare un Bourbon al bancone. In un attimo fuggente anche l’uomo, Gregory Anderson si accorse della donna dalla pettinatura disordinata e l’aria un po’ brilla, decidendo di provare ad attaccare bottone. L’uomo era un ufficiale della marina d’istanza negli Stati Uniti, da poco trasferito. Alla sua divisione era stato richiesto di collaborare con i giapponesi per un caso di pirateria da parte di una nave recante la bandiera a stelle e strisce, accusata di trafficare droga ed armi, rifornendo vari gruppi criminali del Sol Levante. Non sarebbe stato strano se la Yakuza avesse avuto accordi con criminali altolocati americani e che le due organizzazioni, si scambiassero favori, corrompendo ufficiali per portare avanti tra loro, diversi affari illeciti. Rispetto ad i suoi racconti, pieni di rimpianti e lamentele, la vita colma di emozioni e rischio dell’ammiraglio, stregò la semplice impiegata pubblica e tra un drink e l’altro i due si ritrovarono entrambi  disponibili ad approfondire quella fortuita conoscenza, andando altrove per proseguire la serata. Una notte d’amore fu più che abbastanza. Fujiko era più che certa di non ritrovare accanto a sé quel aitante militare, quando avrebbe aperto gli occhi la mattina seguente. Non ebbe torto, di lui non ci fu alcuna traccia, tuttavia sul comodino della camera d’albergo, in cui l’aveva lasciata c’era un biglietto pieno di dolci parole, le aveva persino prenotato e pagato la colazione in camera ed in coda al messaggio era stato scritto a penna un numero di telefono straniero, in caso avesse mai voluto contattarlo. Mossa coraggiosa da parte di Anderson, anche perché sapeva benissimo cosa le azioni di quella notte avrebbero potuto scatenare, eppure non era scappato lasciandosi le sue responsabilità alle spalle, anzi sembrava proprio intenzionato a prendersene carico in qualche misura


I sospetti avanzati, si concretizzarono in un paio di mesi più tardi e naturalmente la donna fece la cosa più giusta, informando Anderson della sua paternità. Lui non accolse la notizia con entusiasmo, bensì con la compostezza che contraddistingue un uomo d’armi, – questo non perché avesse già una famiglia o perché si fosse pentito delle sue azioni –, semplicemente sapeva di non poter fare il padre, vista la sua posizione e poiché non era intenzionato ad abbandonare la carriera militare. Assicurò però, avrebbe mantenuto il nascituro con tutti i mezzi a sua disposizione, riconoscendolo come proprio quanto prima. Da quella notte di passione, nacque una bambina piena di vita a cui venne dato il nome di Makoto e per  comune accordo, decisero avrebbe avuto entrambi i cognomi dei genitori 


Fin da piccola Makoto si dimostrava irruenta e piena di energie. Non appena imparò a camminare e successivamente anche a correre, era chiaro non esistesse niente in grado di tenerla a bada. Grazie al mantenimento versato da Anderson quella predisposizione poté essere assecondata, facendo iscrivere Makoto a diversi club sportivi non appena entrò in ambito scolastico. Era un assoluto maschiaccio, non aveva la minima paura di sporcarsi le mani o di finire in mezzo ad una zuffa tra compagni. Sua madre dal canto suo non l’aveva mai fatta desistere, perché amava dal profondo quella bambina tanto piena di vita. La personalità spigliata della castana, la induceva spesso a mischiarsi con i maschietti, piuttosto di lasciarsi coinvolgere dalle bambine, ritenute da Makoto troppo frivole e superficiali. Giocava molto per tanto sul suo possedere un nome unisex, amava portare i capelli corti, vestiti casual ed un berretto con visiera immancabile, per essere la prima a giocare brutti tiri alle compagne, quasi come se rinnegasse in buona parte la sua appartenenza al suo genere, composto solo da buone maniere e vestitini color pastello.


Per oltre quindici anni della sua vita, Fujiko non parlò a Makoto di suo padre ed utilizzò sempre il proprio cognome per la figlia, d’altro canto la ragazzina era abbastanza sveglia da capire che fare domande non sarebbe stato necessario e la madre le avrebbe raccontato tutto a tempo debito. Anche se non poteva fare a meno, sotto sotto di essere un po’ curiosa a riguardo. Quando le venne infine raccontata la sua storia famigliare, la ragazzina non ebbe reazioni particolari. Fujiko era certa ne sarebbe uscita sconvolta, colma di rabbia arrivando perfino ad odiarla, eppure Makoto reagì diversamente. Si sentì sollevata di avere un padre, là fuori da qualche parte nel mondo, un padre che stava finanziando i suoi studi seppur da lontano. Era quasi certa le due fossero state abbandonate da parte di un uomo indegno e privo di valori, quando qualcuno glielo chiedeva infatti, diceva sempre che suo padre era morto in un incidente sul lavoro e per tanto non lo aveva mai conosciuto; riteneva inoltre di dover essere lei per giunta, a dare forza a sua madre assumendo comportamenti mascolini per esserle d’appoggio. Venuta a conoscenza di quella storia, comprese di aver immaginato uno scenario totalmente errato. Suo padre era vivo si trovava su di una nave dispersa nell’oceano, chissà dove e questo per lei era abbastanza. Non aveva sogni o assurde speranze di incontrarlo per ricongiungersi con lui, ricreando così una famiglia tradizionale, anzi supponeva che passati ben quindici anni, Gregory Anderson avesse messo su una propria famiglia e nonostante ciò, stava comunque finanziando una donna single con uno stipendio statale ed una figlia illegittima che non aveva neppure mai visto. In un certo senso ammirava quell’uomo, anche solo per non essere il codardo che aveva immaginato.


Fujiko confessò di non aver mantenuto contatti troppo frequenti con Greg, così da non interferire con la sua vita e di non aver avanzato alcuna pretesa. Più volte aveva domandato se lui volesse sospendere i sussidi, ma l’uomo aveva sempre rifiutato. Lei dal canto suo aveva invece lavorato sodo per dare sostentamento alla figlia, in modo da conservare gran parte dei soldi per il suo futuro, da consegnare poi alla diretta interessata, non appena fosse stata abbastanza grande da poter conoscere e comprendere al meglio tutta la storia. Makoto messa dunque davanti alla possibilità di poter usufruire del suo denaro, fece una proposta alla madre: avrebbe affrontato il periodo del liceo in una scuola superiore americana, per imparare l’inglese, si sarebbe iscritta in una scuola con borsa di studio associata allo sport ed avrebbe dato il meglio di sé. Una volta conclusa la sua formazione, avrebbe deciso se tornare in Giappone, o andare avanti per la sua strada altrove; per poter prendere una decisione simile in maniera consapevole, tuttavia doveva conoscere anche l’altra metà delle proprie origini, quella occidentale. Fujiko allora contattò Gregory, esponendogli l’idea della ragazza. In meno di un paio di mesi dalla sua proposta, Makoto si ritrovò su di  un volo diretto verso la città degli angeli, decollato dall’aeroporto di Nerima. L’ammiraglio non solo aveva accettato un’eventualità di studio all’estero, ma aveva predisposto per lei un appartamento, inoltre avrebbe fatto in modo di andarla a prenderla personalmente al suo arrivo in territorio statunitense.

 

 

– Incidente:

(Ricostruzione di quanto emerso dagli interrogatori e dichiarazioni dirette dei testimoni).

 

Makoto si rese conto che il cosiddetto “sogno americano”, era davvero solo un sogno e che le rappresentazioni della vita scolastica date dai telefilm per adolescenti erano pressapoco accurate, quasi al punto da chiedersi se non fosse stata inserita per scherzo sul set di una serie Tv, anziché in una scuola superiore qualunque. Rispetto agli esami che avrebbe dovuto affrontare in patria, i test si dimostravano estremamente semplici per quanto più frequenti. Makoto aveva studiato qualche base d’inglese a livello scolastico, ma si rese ben presto conto che al di là della sua pronuncia differente e forse comica dal punto di vista dei suoi nuovi compagni, sapeva comunque molte più cose, conosceva addirittura fatti e nozioni, in più degli rispetto agli altri – nulla di particolare, si trattava anche di cose tutto sommato risapute, ma che alcuni dei suoi coetanei lì sembravano ignorare del tutto – una tra le più semplici, era il nome del primo presidente della loro nazione –. Alcuni non sapevano neppure si trattasse di George Washington, pur avendo uno stato ed una città recanti proprio quel nome! Nel rendersene conto, la ragazza di origini asiatiche si chiese se non la stessero solo prendendo in giro approfittando del fatto che fosse una studentessa proveniente dall’estero. Anche se quello fosse stato il caso, la castana sapeva di non doversi perdere d’animo, perché oltre alle eventuali prese in giro ed i più che detestabili test a crocette ed interrogazioni, c’era una motivazione che la spingeva ad impegnarsi al massimo. Quando la campanella di quell’ora suonava, Makoto non perdeva tempo a raccattare tutte le sue cose, per correre in palestra e cambiarsi. Il momento più atteso delle sue giornate, era senza dubbio quello in cui indossava la sua tuta, prendeva guantone e mazza e si recava nel campo retrostante al liceo. L’ora di P.E. era il suo regno.

 


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Capitolo 14
*** 「Senza paura」 ***


「Senza paura」

 

Un dardo sparato dall’arciera in abiti verdi, esplose nei confronti di una Chimera ed un paio di demoni di piccole dimensioni, intenti a fiondarsi attraverso l’uscio della porta, che dava sul tetto. Nel mentre Yurika si stava occupando di eliminare una piccola Strega, la quale aveva evitato un colpo sferrato dalla bionda poco prima. Ormai quel confronto tra le due combattenti e le varie ondate di nemici, si protraeva da diversi minuti.

La figura femminile della Strega svolazzava nei pressi del soffitto, lanciandole addosso degli oggetti come puntine e spilloni di proporzioni enormi – quasi fossero usciti direttamente da un cartone animato d’altri tempi –, che la mora riusciva ad evitare o respingere, utilizzando l’atmosfera attorno a sé. Dopo aver tentato di far cadere l’Anomalia con un paio di fendenti di energia senza risultato, decise di sfruttare un’altra strategia: attese pazientemente la successiva serie di oggetti inviateli contro, deviando ogni oggetto appuntito contro la parete alla sua sinistra, di modo che si conficcassero nel muro sulla sua sinistra, creandosi la propria via personale per raggiungere la Strega. Ultimata quella scala spartana, corse subito al di sopra dei gradini sottili e ravvicinati in ferro, esponendosi in parte agli eventuali attacchi. La Strega frugò nella gonna che indossava – e da cui ricavava tutti i suoi gingilli – traendone fuori un rompighiaccio ed alzando il braccio dominante verso l’alto, come volesse scagliarla contro un giavellotto. La ragazza per prima cosa si disfò della pesante falce ed attese l’arrivo dell’oggetto: non appena fu in viaggio verso di lei, gli occhi di Yurika brillarono di violetto e guidarono il rompighiaccio verso il punto più alto del muro. La mora allora si lanciò aggrappandovisi con le mani, ed oscillando con forza verso la parete di fondo, poggiandovi la suola degli stivali rinforzati e piegando le gambe. Nel frattempo l’Anomalia era sicuramente intenta a preparare la prossima arma, la giovane però non parve preoccuparsene ed in quella posizione precaria, estese la testa all’indietro per farsi un’idea di dove fosse la figura nemica. Quando le fu sufficientemente chiaro, cominciò a caricare con l’Argon i suoi arti inferiori. Poco dopo, con una spinta verso l’esterno, Yurika si lanciò all’indietro in una sorta di salto mortale nei confronti della Strega. Questa tentò di colpirla  con un altro dei suoi spilloni, mancando la ragazza per questione di millimetri. La mora si voltò a mezz’aria in modo da andare a colpire la Strega con entrambe le suole degli stivali e mandandola così ad urtare contro la parete che affacciava sulle scale. Quanto a Yurika per stare più tranquilla, evocò un arto della propria proiezione, che le permise di scivolare fino a terra. Anche la Strega si ritrovò a scendere lungo il muro e la mora fece in tempo a raggiungerla affondando la lama nel suo corpo, per poi vederla dissolversi in scintille di luce. 

Dopodiché Yurika tornò ad alzare la guardia, in attesa dell’arrivo di un nuovo avversario da combattere; anche se non ne sopraggiunsero altri.

«Questo è strano...»  - esclamò la ragazza armata di falce.

 

«Che abbia finito le risorse?» - domandò Akiko avvicinandosi con cautela all’amica.


«Può essere...» - mormorò Yurika per poi guardarsi indietro, facendole intendere con un cenno del capo, di provare a proseguire.


L’arciera annuì e questa volta però fu lei ad affacciarsi, anteponendo la balestra a sé stessa. Non appena mise piede fuori dall’edificio, la bionda ebbe uno strano brivido di freddo lungo la schiena, non appena le sue iridi color smeraldo incrociarono nella distanza, una figura dall’aspetto soffice e lanuginoso, spruzzato di celeste alle estremità. Si trovava esattamente al centro dello spiazzo che costituiva il tetto. Le piccole orecchie arrotondate della figura di colore bianco puro, ruotarono lateralmente, appena Akiko fece qualche passo sulla superficie del tetto. A quel punto anche Yurika poté intravedere l’esemplare della tribù dei canini, il quale con il busto orientato verso sinistra, si voltò di tre quarti con il piccolo muso allungato e gli occhi gelidi, nei confronti delle due ragazze. A quel punto, un sorriso si allargò sul quel muso, scoprendo la lunga fila di dentini appuntiti.


«Oh…» - quel suono per primo, lasciò le fauci del piccolo predatore - «Era ora… temevo non arrivaste più.»

 

Nel seminterrato, Makoto dopo aver letto in modo sommario, ma attento i file delle ragazze incluso quello della piccola Yui. Trascinò ancora una volta il mouse sulla “X” rossa posta in alto a destra del documento, attendendo la sua chiusura. Fece successivamente una ricerca tra tutte le sottocartelle, per vedere se vi fossero presenti altri file con il loro nome e trovò solo un risultato attinente a Yurika, nella cartella “Project Data”, che decise di non aprire poiché riteneva di aver già ficcato abbastanza il naso. In tutto quel tempo Minami non aveva detto una parola, era rimasta sempre accanto a lei – con la mano destra posta sulla parte superiore dello schienale della sedia – senza fiatare, dunque la castana lentamente voltò il capo verso di lei per vedere come stesse. Non appena gli occhi azzurri della ragazza incontrarono i suoi, poté notare quanto questi fossero lucidi; doveva aver pianto questo era certo, ma in una maniera talmente soffocata da non essere riuscita ad udirne alcun lamento Makoto era in procinto di chiederle qualcosa, anche se non sapeva cosa esattamente, quando la bruna finalmente si accorse di essere sotto osservazione ed andò a strofinarsi rapidamente gli occhi con la manica del kimono.


Makoto si aspettò da un momento all’altro di sentirla sbottare: “Cos’hai da guardare?”, o cose del genere, per questo quando le sottili labbra della giovane si schiusero e prese parola, rimase quasi sorpresa nel vedere le sue aspettative venire disattese.


«Devo… devo scusarmi. Con Yurika-chan… Io non immaginavo...»


La ragazza dalla lunga coda si voltò con la sedia girevole verso di lei, con il sorriso più rassicurante di cui fosse capace ed alzò le spalle.


«Se vuoi, puoi farlo. Anche se non credo, se la sia presa più di tanto.» - detto ciò cercò di cambiare argomento tornando ai fatti - «Ad ogni modo… credo di riuscire finalmente a vedere una connessione, tra questa faccenda ed il nostro coinvolgimento. Può essere stata anche una coincidenza, che tu ed Aki abbiate incontrato Yui quella notte, ma al momento siamo sicuramente dei bersagli. Qualcuno ci ha più o meno consapevolmente condotto qui.»

 

«Già, senza dubbio… lo credo anch’io.»


La militare cambiò cartella ancora una volta, mettendosi in cerca dell’unico nominativo, che ancora mancava all’appello ovvero quello di Hanako. Come sospettava, era presente un file anche nel suo caso. Anzi, per essere precisi si trattava di ben due documenti: uno inserito nella cartella dei “Soggetti” ed uno per quella delle “Conclusioni”.
 

Aprì il primo ritrovandovi le informazioni sulla sua famiglia, la sua vita, le sue interazioni con Tachigami Yui, sembrava esattamente identico ai documenti precedenti. Eccetto che nella sua conclusione, che Makoto cominciò a leggere a mezza voce, quasi senza pensarci su.


«”L’ultima volta che fu vista, Hanako giocava al parco con dei bambini più piccoli. Si è allontanata verso un punto imprecisato della vegetazione nei pressi del parco. Nessuno ha più avuto sue notizie da allora. La polizia metropolitana di Arashgoya ha indetto un indagine per sequestro di persona. La bambina risulta attualmente scomparsa”. Be’… fin qui eravamo al corrente della situazione.» - . confermò Makoto, andando a selezionare l’altro documento che riportava il nome della ragazzina.
 

Non appena il documento si caricò, ancora una volta Makoto si trovò di fronte ad un piccolo rapporto e la sua attenzione venne subito attirata da una linea di testo all’inizio del secondo paragrafo del documento, a quel punto si alzò dalla sedia con scatto repentino, facendo sussultare Minami per la sorpresa.


«E-Ehi… che ti prende di colpo?»


«Hai detto che il terzo armadietto è bloccato giusto?» - domandò in un tono di voce, talmente arido da dare l’impressione che non fosse la stessa Makoto a parlare.


«Sì, infatti è chiuso e non si muove di un millimetro.»


Senza dare modo a Minami di elaborare cosa stesse succedendo, Makoto spinse via la sedia, dirigendosi con decisione proprio verso quella cabina di latta, tentando dapprima di far forza con le mani, per poi equipaggiare un piede di porco. Cominciò con lo scardinarne un angolo, spostando poi il supporto al centro della porta, cercando di aprirla con un unico colpo secco. Mentre la militare si adoperava in quell’operazione, la bruna si diresse verso il computer per capire cosa avesse scatenato quella reazione.


All’interno del documento era presente un paragrafo, che agli occhi della ragazza poteva essere letto solo con un’accezione, questo riportava le frasi:


”Sebbene Hanako fosse un soggetto attinente ai termini del programma, a causa della sua irrequietezza, ha finito per rendere impossibile lo svolgimento dei test previsti. Pertanto la sua espulsione dal progetto, è stata inevitabile.”

 



 


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Capitolo 15
*** 「Ci rivedremo ancora」 ***


「Ci rivedremo ancora」


 

Le risate di Kurihara echeggiarono per quello spazio chiuso, mentre le quattro ospiti lo osservavano attonite. Dopo diversi minuti di silenzio Makoto fece un altro passo avanti. La sua espressione era contorta, difficilmente definibile. un misto tra rancore ed un sorriso sforzato. Alzò volontariamente la voce, quasi temesse di non venire ascoltata, in caso contrario.
 

«Hey! Che ne sarà del tuo progetto… se morissi nessuno potrebbe portarlo avanti, giusto? Quindi che senso avrebbe aver fatto tutto questo. Vuoi davvero mandare all’aria tutti i tuoi sforzi?»

 

L’uomo in camice bianco smise gradualmente di ridere, come se la voce gli morisse in gola a poco a poco, puntando uno sguardo vacuo sulla militare dalla coda di cavallo. Cominciando subito dopo a scuotere la testa lentamente da un lato all’altro, accompagnando il movimento con una serie di: “Tsk tsk tsk”

 

«Parti dal presupposto che mi unirò a voi nell’aldilà… Io non morirò e tutto grazie alle tue premure. Te ne sono grato.» - fece una breve pausa, mentre un sorriso inquietante si dipinse sul suo volto - «Ammanettandomi a quella branda per impedirmi la fuga, mi hai messo nella posizione più sicura che potesse esserci in questa situazione.»
 

Prevedendo che avrebbe potuto essere messo all’angolo, lo scienziato aveva preparato per sé stesso un’imbracatura per la respirazione indipendente, inserendola in una grossa sacca posta proprio sotto quella branda che gli sarebbe stata facilmente accessibile. In questo modo anche se la stanza si fosse saturata di gas, lui sarebbe stato immune ai suoi effetti. Considerando che anche solo una minima quantità di F-0X inalato, può causare sintomi e la priorità sarebbe stata la salvezza di Yui, le ragazze avrebbero dovuto prima portare in salvo la bambina, tornando a prendere l’uomo in un secondo momento. E per prenderlo di perso avrebbero dovuto essere almeno in due; questo gli avrebbe dato tutto il tempo per poter crearsi una via di fuga, evitando le conseguenze dell’avvelenamento.

 

«Bene… vogliamo cominciare? L’atto finale di questo dramma… Riuscirete davvero a salvare la vita alla piccola Yui, oppure fallirete rischiando la vostra vita in cambio? Coraggio mie piccole cavie, date il massimo in questo ultimo test! Ahahaha.»
 

Così dicendo Kurihara schioccò le dita ed un muro infuocato si innalzò nuovamente di fronte agli occhi delle ragazze. Una linea retta, che separava loro da lui. Immediatamente Yurika si fiondò in avanti, stringendo la sua fida falce Rectitude tra le mani.


«Non ti lascerò scappare!»
 

Le vampe non avevano alcun effetto su di lei, perciò non ci pensò due volte a corrervi in mezzo per andare a fronteggiare quell’uomo, responsabile di così tante sofferenze. Quando lo raggiunse, egli si trovava già ad un passo dal perimetro del tetto, evidentemente pensò che un modo efficace di potersi procurare un risveglio brusco, fosse gettarsi semplicemente nel vuoto.
 

Sentendo dei passi riecheggiare alle sue spalle, Ayato si voltò sollevandosi gli occhiali con la punta dell’indice.
 

«E quindi siamo arrivati a questo. La creatura che ribella al suo creatore. È un vero peccato, avrei voluto vedere almeno una volta ciò che tu dicevi di poter vedere.»
 

«Tu non potresti mai vedere quelle che noi chiamiamo Giustizia. Perché non ne possiedi alcuna. Sei davvero un essere spregevole, senza rispetto per le altre forme di vita. Un assassino peggiore di quanto lo sia stata io.»


Yurika si mese in guardia, pronta a scagliarsi contro di lui.


«Quindi se vuoi davvero poter vedere Díkē o vuoi una possibilità di rimediare ai tuoi errori, fermati ora… sei ancora in tempo.»
 

Kurihara rise a quelle parole. Stava davvero cercando di convincerlo a rinunciare alla sua sete di scoperta, per qualcosa di tanto sciocco come il “fare la cosa giusta”? Era davvero qualcosa di ridicolo. L’ideale di una sciocca ragazzina, che ancora non aveva capito come andasse davvero il mondo, dove non sono i giusti a prendere le decisioni, ma coloro che sono disposti a rischiare tutto in nome dei loro desideri egoistici.


In risposta alle parole della ragazza, lo scienziato allargò le braccia:


«Non ho alcun rimpianto… Tutto ciò che voglio vedere è questo mondo raggiungere un nuovo stato. E per questo scopo che ho lavorato duramente. E grazie a tutte voi, “il velo di Maya” che separa le illusioni dalla realtà, si è ulteriormente assottigliato. Verrà il giorno in cui non ci sarà bisogno di fissare delle regole mentali, tutti potranno vedere le stesse meraviglie e temere le stesse conseguenze. Il mio mondo dei sogni è proprio qui ad un passo da me!»


«Ahaha… Ahahaha… Ahahahahahahaha!!»

 

La risata fu l’unica cosa che si lasciò alle spalle prima di precipitare nel vuoto da un istante all’altro.


Yurika tuttavia non si fece prendere dal panico e chiudendo gli occhi tentò di concentrarsi e radunare le forze per proiettare ancora una volta il proprio Akuryō all’esterno della sua figura. Sarebbe stato faticoso, ma non avrebbe permesso a quell’uomo di abbandonare i giochi con tanta facilità. Le iridi violacee della giovane sfavillarono ed il gigante cominciò a prendere forma, fu allora che anche lei raggiunto il bordo del tetto, fece un passo per poi precipitare verso il vuoto.
 

Dall’altro lato del muro, subito dopo l’allontanamento di Yurika, Makoto si voltò verso le compagne rimaste. Non avevano molto tempo per agire, quindi la cosa migliore era dare ad ognuna un compito diverso da eseguire il più in fretta possibile.
 

«Ragazze non sappiamo per quanto Yurika riuscirà a tenerlo a bada, quindi ecco cosa faremo: Mina! Tu con me, torneremo nel seminterrato a liberare Yui, io toglierò anche la corrente, così dovremmo poter impedire l’incendio e la perdita dei dati. Aki tu…—»


«Io mi occuperò di distruggere quest’antenna. Senza questa non dovrebbe poter chiamare a raccolta altre Anomalie per rallentarci ed in caso inviasse il segnale alla bomba da qui, togliere la corrente potrebbe non bastare.»
 

Makoto annuì alle parole di Akiko - «Bene! Allora conto su di te! Andiamo Mina!»
 

«Ricevuto Capitano!» - disse per poi correre a tutta velocità verso l’entrata del tetto e verso le scale, che portavano ai piani inferiori.


Akiko dunque prese tra le dita la corda del proprio arco, generando tre tenieri luminescenti, estendendo il braccio destro al massimo, prima di scoccarli nei confronti dell’apice dell’ampia parabolica. I dardi perforarono il metallo provocando una grossa esplosione, ma non riuscirono a far vacillare la struttura. Riuscirono solo a creare tre grandi buchi al suo interno – che sarebbe stato anche sufficiente a metterla fuori uso, ma l’arciera voleva assolutamente raderla al suolo –. Dunque Akiko produsse un’altra freccia al suo arco.
 

«Yoshi! A noi due… ti farò in mille pezzi!»
 

Nel mentre Makoto e Minami scesero più velocemente possibile al piano terra, la prima si fermò a disattivare la corrente per poi raggiungere nuovamente la porta dello stanzino che aveva tentato di richiudere. Makoto si avvicinò dunque alla porta e ruotando il busto, dandosi lo slancio con la gamba sinistra, piazzò un forte calcio al centro della superficie lignea che finì con lo scardinarsi e cadere rumorosamente all’interno della stanza, consentendo il passaggio alle due ragazze.



 


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Capitolo 16
*** 「Appendice」 ***


「Appendice」


 

Per quelli di voi che vogliono sognare ancora un altro po’, così da non lasciare nulla al caso, permettete che aggiunga qualche parola ancora.

[...]
 

Curiosità:

 

• Nella prima versione della storia ritirata, il nome di Yui doveva essere Yuka, cambiato per evitare confusione [...].
 

• Nella prima versione della storia ritirata, [...] erano due angeli gemelli, dalla funzione opposta.


• Nella prima versione della storia Hanako doveva essere un Angelo Caduto, aiutante della volpe, che tramava per uccidere Yui. Si può intravedere questa disposizione d’animo, durante l’attacco a Jessica Rainer, anche se in maniera rivisitata.
 

• Lalythienne la strega della leggenda metropolitana trovata da Akiko su internet, può essere considerata una proiezione della sua Chimera. [...]
 

•  [...] sul biglietto da visita compare la qualifica di “Psicologo”, sfruttando la confusione tra i ruoli professionali, lui ed alcuni dei suoi illustri colleghi, facenti parte del progetto, selezionavano più agevolmente nuovi potenziali partecipanti.

 

• Il Maggione Simon Briggs, è una citazione ad un personaggio della serie TV “Twin Peaks”, il Maggiore Garland Briggs.


• L’autrice non ha saputo dare un nome convincente alla proiezione di Kurihara sul Piano. “[...] il nome viene citato solo un massimo di 6 volte all’interno della storia.

 

• Yurika non sa nuotare.

 

 


 


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Trattandosi di curiosità ulteriori rispetto la storia, queste sono state ridotte. 
Incuriosito? A questo link puoi trovare la storia completa:  
https://yurikasroom.altervista.org/fearless-hero/

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Capitolo 17
*** Due parole dall'autrice & Ringraziamenti ***


Due parole dall'autrice


 

Benarrivati! È un piacere avervi qui.

Sono l’autrice Yurika 2S.
 

Potete chiamarmi così, oppure in qualunque altro modo vogliate. Ormai ho così tanti pseudonimi negli giochi di ruolo online, che uno in più non può farmi male. Anche se sono molto orgogliosa di questo in particolare. Questo perché il “2S” è affiorato come un’associazione d’idee che mi sembrava accordarsi perfettamente con i temi di questa storia.

Sapevate che l’abbreviazione “2S” (two-sharps) è usata in musica per indicare il tono D major (Re maggiore)? Ammetto che io non ne avevo la minima idea. Come anche non sapevo che il Re maggiore può essere abbreviato in ReM. Esatto… proprio REM, come la fase del sonno! Non appena l’ho scoperto e dato che le iniziali del mio nome sono una doppia “s”, ho pensato che fosse perfetto per identificarmi.

Detto questo, passiamo alle cose veramente importanti. “FEARLESS HERO” nasce come progetto di scrittura nel lontano Giugno 2015. Stavo attraversando un periodo di crisi ed ero assolutamente intenzionata a lasciare il mondo dei giochi di ruolo. Questo racconto, era a tutti gli effetti un pretesto per dare ai miei quattro Original Charaters principali in un universo comune, prima di terminare la mia attività di roleplayer.


La prima versione della storia tuttavia, ne uscì fuori estremamente confusionaria. Ad un passo dal completamento, mi resi conto che non mi convinceva per niente, quindi ho deciso di darmi un po’ di tempo. Ho ripreso la mia attività online e sono passati circa sei anni da allora. Però il pensiero di creare qualcosa che accomunasse le mie ragazze, non mi ha mai abbandonata, meritavano uno spazio tutto loro. Serviva solo un contesto in cui inserirle. Nel tempo ho fatto vari tentativi differenti, passando dal puro fantasy ad un qualcosa di più fantascientifico. Per farla breve, speravo che un giorno mi raggiungesse un’intuizione. Non per forza qualcosa di unico né tanto meno originale, solo… una scintilla, abbastanza forte da far divampare un incendio nel mio animo. E così è stato: a Dicembre di quest’anno, è scattato qualcosa, ed ora circa sei mesi più tardi questo progetto arriva finalmente ad una conclusione.

Era da diverso tempo che non mi immergevo così profondamente nella scrittura, mi ritengo estremamente soddisfatta, so di avere dato il massimo.


Sapete? Mi sono sempre chiesta come facessero gli scrittori di professione, a dare vita a romanzi lunghi anche più di cinquecento pagine – il romanzo più lungo che io abbia letto attualmente è “Storia di una ladra di libri” che conta 563 pagine in totale –, ebbene credo di starmi avvicinando alla risposta, ora come ora.


 


 

Ringraziamenti


 

Per ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine in questi anni ed hanno "creduto" nel mio progetto, poche righe non basterebbero, anzi probabilmente non basterebbero neppure pagine intere. Sinceramente ho sempre sentito la scrittura come quel rifugio in cui potevo sentirmi libera; quell'attività in cui potevo "riuscire" a creare qualcosa di mio.

Un conto è avere una piccola convinzione, un altro è venire riconosciuti dagli e sostenuti dagli altri. Ho persone attorno a cui piace come scrivo e di fidano di me e del mio giudizio, quando si parla di dare un piccolo rittocco ai loro scritti. Altre mi hanno domandato di leggerla perché presi dalla curiosità – sarete arrivati fino a questo punto? –. Altre ancora, conoscendomi da tempo, sono arrivate a consigliarmi di provare a pubblicare tramite casa editrice questa storia ... ci rendiamo conto? –.

Piccola confessione: ammetto di averci fatto un pensierino sul trasformare questo racconto in una Light Novel… peccato non abbia i requisiti per poter assumere un illustratore. Quindi questo rimarrà un semplice romanzo, privo di illustrazioni.

Insomma ho ricevuto un sostegno davvero smodato da varie persone, quindi potrei dire che in parte, questo romanzo è anche un po’ vostro. Di chi mi ha sostenuto e di chi ha letto fino qui. Vi ringrazio di cuore, per aver letto “FEARLESS HERO”.

 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

© 2021 projectFEARLESS

Stesura conclusa a Maggio 2021.

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