E mi manca la tua voce (oramai)

di Gaia Bessie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stelle avverse ***
Capitolo 2: *** Fiori di té ***
Capitolo 3: *** Quel che c'è rimasto ***



Capitolo 1
*** Stelle avverse ***


Avvertenze:
  • Questa storia è una canon divergence e non tiene conto di TCC: di conseguenza Hermione è diventata Ministro un po' prima del previsto per esigenze di trama.
  • Seconda cosa: ho giocato sull'età di Asteria, dandole mezzo anno in più (come Ron, per intenderci), per non far fare a Fred la figura del pedofilo. Altre note a fine pagina.
 




E mi manca la tua voce (oramai)
 
Lo schiaffo di Asteria Greengrass a suo marito risuona per tutta l’aula del Wizengamot, facendo sobbalzare un paio di streghe e facendo scattare in piedi Narcissa Malfoy, sulla soglia della stanza, pronta a testimoniare ancora una volta per l’innocenza di suo figlio.
Ma Asteria ride dolcemente, in un suono tintinnante che fa solamente male al cuore, quando con il dorso della mano si china per cancellare la traccia di una lacrima dal viso di Draco Malfoy – Harry Potter sussurra al Ministro della Magia che è la seconda volta che vede Malfoy piangere in quella maniera: è il suono soffocato e strozzato di chi sa che è tutto perduto, tutto da ricostruire.
Sua moglie lo guarda, e silenziosamente sorride.
«Mi erano rimaste solamente poche cose, Draco» sussurra, calma. «Credevo che fossero le stelle».
Lui le ha preso nuovamente la mano, sta ancora piangendo, singhiozzi silenziosi ne scuotono le viscere – ma Asteria è ferma, quasi disgustata, da quella visione.
«Tu lo sai che non so odiare».
 

 
I. Stelle avverse
 
[Tre cose ci sono rimaste del Paradiso:]
 
Tu lo sai che non so odiare

 
 
Il giardino è tutto il suo mondo.
Il giovedì notte dorme lì, che sia freddo o caldo, le altre sere mai: Asteria Malfoy è particolare, si dice, chissà cosa vortica in quella testa bionda. All’ombra di un salice spelacchiato, lei scrive e scrive, la notte poi si china nel punto più nascosto del giardino – e scava. Come una Babbana, no, come un’animale: a mani nude, a unghiate, tira via l’erba e la terra.
Il giorno dopo, ce n’è sempre un po’ di meno e nessuno lo nota mai finché, dopo tre anni di duro lavoro, un abisso si staglia di fronte ai suoi occhi. Qualcuno ha scavato una tomba, nel suo mondo.
Le dicono che deve aspettare – la malattia di famiglia consuma e non brucia – ma lei, di aspettare, non aspetta mai: lei scava e scava e scava, finché non rimane altro da fare che procurarsi gli ingredienti giusti e versarli nelle viscere della madre più antica di tutte quante.
Asteria lo sa, che è proibito da leggi antiche e leggi appena più nuove, ma lei lo sa di non essere pronta a odiare – e sul finire del suo consumarsi, quella vita sbiadita la odierebbe. Odierebbe avere un marito che non ama abbastanza, un figlio che sgambetta in giro per casa e chiama mamma sua nonna, una famiglia che non sa riempire i vuoti. E tutta la sua vita è un vuoto da riempire, un appartenersi, qualcosa da cui lei rifugge e, al contempo, è immensamente attratta.
Ed è tutto in quel giardino, tra le zolle di terra che le sono rimaste incastrate sotto le unghie e i tulipani che ha sradicato senza ombra di pentimento. Tutto lì.
Daphne – che vede il futuro con la chiarezza con cui lei rimembra il passato – le ha detto di no: è un segreto vergognoso, quello della loro dinastia, e non sarà Asteria Malfoy a riportarlo in auge. Non è un’arte, resuscitare i morti, ma è un dipingere la vita contro ogni regola, farla rossa e non bianca.
Solo che lei non si arrende e scava finché non le si staccano le unghie della mano sinistra e, la settimana dopo, è costretta a continuare il proprio lavoro con una mano fasciata e speranze appena un po’ incrinate. Ma, di smettere, non smette mai.
Si consuma come quei tulipani lasciati a essiccare al sole – così nudi che si vedono le radici spezzate. Si consuma e si logora su quella terra smossa, finché un giorno non è semplicemente finita: finché un giorno il suo mondo cambia e smettere di esser vita per divenire rinascita. A parole, Asteria è capace di ridisegnarne i contorni, colorarli di rosso su un bianco che sa solamente sbiadirlo – e ripiantare le proprie radici.
Suo marito non sa e, se sa, non dice: inevitabilmente complice, Draco Malfoy dona amore a quel bambino che amato da lei non l’è stato nemmeno quand’è venuto al mondo, si dedica a una famiglia che rimane sempre e solo priva di lei. In un mondo in cui Asteria non vive e non respira, ma si lascia appassire con squallida noia e debole speranza, Draco costruisce il proprio amore per lei, casa loro, una famiglia – niente che lei possa desiderare, in ogni caso.
Lei è tutto il suo mondo – e non lo sa o, se ne è consapevole, non le importa – e lui cerca di salvarla dai fantasmi che la animano. Spettri, nella vita di Asteria Malfoy, ce ne sono così tanti da essere impensabili.
Sono quelli che le sussurrano all’orecchio il giorno in cui riesce a tirar via l’ultimo brandello di terra, e il cuore palpita per la gioia: niente più fiori, solo un abisso che le restituisce il suo riflesso ancorato tra le viscere della terra. È il suo mondo. Quello in cui si guarda e non c’è malattia, non c’è trucco.
C’è lei che è ancora una sedicenne innamorata dell’idea dell’amore, con la pelle pallida come porcellana e lo sguardo duro come acciaio: Draco ha cercato tulipani blu per rendere idea di quel colore, ma non può esistere un tulipano in grado di scalfire il diamante.
In quel giardino che è diventato l’essenza della sua esistenza, Asteria comprende che non c’è trucco, non c’è espediente per trattenersi dall’infrangere ogni legge, ogni patto sacro che mai sia stato stipulato da un mago: prima di lei, Salazar Serpeverde, dopo di lei il vuoto. Ma Salazar l’aveva riportata indietro, Corinna dalle mani d’argento, per poche ore appena.
Per poche ore lei s’è risvegliata, scoprendo che il mondo dei vivi era pallida copia di una rappresentazione migliore – e di morire aveva scelto, dolcemente, con un veleno sciocco e squallido: Salazar aveva perso la propria migliore amica, il proprio riflesso, in un rimpianto che sapeva di succo di mandorle amare.
Asteria sa che non si vince la morte – ma non si vince nemmeno l’amore, e il Paradiso non può tenere in ostaggio qualcosa di così puro e al contempo macchiato di terra e speranze ormai perdute. Ha sempre avuto tutto.
Ma, mentre versava latte e miele, poi vino e infine acqua, Asteria se l’è sussurrato a mezza voce – non ha mai domandato niente di tutto questo.
Non Draco che la guarda e sospira, domandandosi per quale miracolo si sia arresa al matrimonio: da qualche parte nel suo cuore bugiardo, se lo domanda lei stessa.
Non Scorpius che sgambetta per casa e gioca con i tulipani essiccati tra i libri, e a sei anni ha già imparato a scrivere le prime parole.
Non Daphne che la guarda e glielo dice, semplicemente, nel trovarla un giorno con le mani sporche di terra.
«Non lo puoi fare, Ria» le sussurra, tirandola per un braccio. «Non è nemmeno legale, e poi… non vorrà più stare qui: cosa puoi dargli, in più del Paradiso».
Smettila, Daph, posso dargli me – Asteria lo sussurra con le labbra incrinate di speranza, poi torna a preparare latte e miele, poi vino, poi acqua. Ciò che non ha funzionato funzionerà: dovrà rispondere al suo richiamo, prima o poi.
Il suo sangue fa il resto, quando s’incide il palmo della mano e lascia cadere qualche goccia nella terra già umida.
Il giardino è tutto il suo mondo – perché è lì che spera di divenire il mondo di qualcun altro.
 
***
 
Quando riemerge, è come svegliarsi da un sogno meraviglioso – quando apri gli occhi e, il dolore dell’incubo precedente, lo senti tutto alla fine. Ma, quando lui apre gli occhi, vede solamente terriccio e il cadavere di qualche papavero.
Negli occhi di lei, solamente un nero senza fine: Asteria lo guarda come se non potesse credere a quella visione, e lui riesce solamente a pensare che il passaggio dalla morte alla vita è freddo e puzza di un miscuglio di latte e vino che è solamente rancido e disgustoso. Vorrebbe dirlo a lei e ridere per farla ridere, sebbene Asteria Malfoy non sembri più essere incline alle risate – forse, un tempo: ma poi si è disincantata e, di ridere, non ha riso mai più.
Lei gli tende la mano, per scoprirla corporea, e un lieve sorriso le anima il volto stanco: avresti potuto aspettare, le dice la sua coscienza macchiata e stracciata, quanto tempo vuoi che ti rimanga. È che le trema l’anima come se non le appartenesse più quando i suoi occhi, del verde sporco dei gambi essiccati dei tulipani, incontrano lo sguardo azzurro di Fred Weasley.
Guarda cosa hai fatto, sembra dirle lui silenziosamente, guarda a cosa ci siamo ridotti – te che sei ancora disperata e io che ci sono e non ci sono.
Asteria vorrebbe avere la forza di prenderlo per mano e portarlo via di lì, ma quando si sporge per aiutarlo a uscire dalla fossa, lui scuote il capo.
«Non posso venire con te» le sussurra, rifiutandone la mano tesa. «Non è il mio posto, questo».
«Certo che lo è» risponde lei, trafiggendolo con un singolo sguardo. «Il tuo posto è accanto a me, ricordi?».
Fred scuote il capo, con dolore tangibile, e la guarda nuovamente negli occhi: è lo sguardo che Corinna dalle mani d’argento avrà riservato a Salazar, che d’argento non aveva di certo il cuore, l’occhiata disperata di chi sa di non poter rimanere. Ma perché, poi?
Cos’avrà mai il Paradiso in più di quel terreno sporco e umido dal quale è emerso, cosa ci sarà in Paradiso più di lei. Asteria scende nella buca.
In quel momento, è come abbandonare una parte di sé stessa, quella più cupa e nascosta, quando i piedi toccano il terriccio che, fino a poche ore prima, smuoveva con le unghia e con i polpastrelli: non guardare troppo dentro l’abisso, le ha detto Daphne, qualche giorno prima.
Altrimenti, ha domandato lei con aria divertita, cosa potrà mai succedermi – solamente che l’abisso ti guarderà dentro1, e saprà tutto di te.
«Ria» la voce di Fred è roca, come se si fosse disabituato a parlare. «Io devo andare via di qui».
Anche io, pensa lei, cosa credi che ci faccia con i piedi immersi nella terra sporca e smossa: che siano le stesse parole pronunciate da Salazar Serpeverde, mentre cercava d’acchiappare Corinna per i capelli d’ebano?
«Non puoi lasciarmi qui» sussurra lei, aggrappandosi alle sue braccia. «Ho perso tutto per riportarti da me. Riportami da te, adesso».
Il suo sorriso è tristissimo – dice una verità che lei non vuol sentire più: potevi aspettare, basta così poco. Tanto così, Asteria, e non avresti dovuto subire tutto questo.
Ma lei s’aggrappa a quelle braccia come il tulipano al terreno, e le sue radici son ben più solide: verdi quegli occhi scuriti dalla determinazione, Asteria Malfoy lo guarda con una speranza che Salazar Serpeverde non aveva avuto mai.
«Rimani» sussurra. «Finché non dovrò andarmene anche io, noi… meritiamo di essere insieme anche in questo».
Fred sospira – il giorno in cui l’ha incontrata per la prima volta, l’ha scoperta dominata da passioni violente: anima inquieta, in lui Asteria aveva trovato quell’aria cheta che silenziosamente spianava i suoi venti avversi. Cos’è rimasto?
Forse, il brandello di una vita fa: quando l’aveva scoperta appassionata alle arti, e allora anche il sesso lo era, e come il sesso la gelosia. Ha ancora un segno sul cuore, Fred, il giorno in cui lei in lacrime ha alzato la mano – come per dargli uno schiaffo – per un sorriso di troppo ad Angelina Johnson: o con me, o non mi vedrai mai più.
Lui non aveva riso, né aveva pensato fosse una battuta – ma, di guardare un’altra, non aveva guardato più nessuna: Asteria s’era quietata, ma la morte era stata ben più quieta di lei, e strisciando glielo aveva portato via.
«Sei andata avanti» sussurra lui, carezzandole i capelli. «Lo sai, che è giusto così: io non dovrei essere qui».
Ma lei gli lancia uno sguardo talmente disperato da annichilirlo. «Certo che dovresti» sussurra, appassionatamente. «Il tuo posto, il tuo dovere, è stare accanto a me».
«Devo andare via di qui» sussurra lui, calmo. «Il mio posto sarà accanto a te, ma adesso… adesso cosa sono?».
Il brandello di un ricordo. Asteria lo sa, ma le mancano le parole – così lo chiude in un abbraccio, riempendosi le narici del suo odore.
Non è cambiato, è semplicemente lui ed è consistente sotto le sue mani, un pensiero incarnatosi per il suo tocco.
«Rimani» sussurra, stringendolo a sé. «Io non sono niente, senza di te. La odio, questa vita che mi hanno costruito attorno».
«Non sai odiare, lo sai» risponde lui, stringendola a sua volta. «Sei troppo buona per fare una cosa del genere, Ria, cosa ti è successo?».
Lei pensa di dirgli è la mancanza che l’ha logorata, mangiandole il cuore – e, ancora una volta, cos’è rimasto?
Non risponde, ma si lascia cullare dal suo abbraccio, chiudendo gli occhi: non riesce a trovare niente di sbagliato nelle sue azioni – e la Magia Oscura è scolorata in grigio e in bianco, di fronte al potere del suo amore: è quel che Corinna dalle caviglie sottili non ha compreso mai, che a volte scolorare il nero serve per poter sopravvivere. E, forse, Salazar Serpeverde l’amava abbastanza per rinunciare a un coccio della propria oscurità.
Vorrebbe dirgli questo – la storia della ballata del corvo e del serpente – e molto altro ma, quando apre la bocca, un urlo che non le appartiene dilania l’aria: Daphne la guarda, gli occhi azzurri spalancati. E Asteria, egoisticamente, non riesce a non pensare che sua sorella abbia rovinato tutto quanto.
 
***
 
Scorpius Malfoy ha sei anni quando impara quel che a un Malfoy si richiede: essere sempre al di sopra di ogni sospetto, in ogni situazione, anche quando l’evidenza diviene un’arma a doppio taglio. E lo vede in suo padre, scosso da singhiozzi silenziosi, con Narcissa che lo tiene per un gomito e ha l’aria di chi ha appena inghiottito un limone. Lo vede in sua madre, che seppur abbia le guance rigate di lacrime per essere stata separata da lui, rimane ritta ed elegante nel proprio abito sporco di terra. Odora di pioggia, Asteria. E vino e latte, in un olezzo che fa arricciare il naso agli Auror venuti a prelevarla – lei non domanda chi sia stato a tradirla: Draco s’aggira come un’anima in pena e, quando incrocia il suo sguardo, sillaba quella domanda.
«Che altro avrei dovuto fare?».
Lei alza il capo, fiera come una regina, e gli regala uno sguardo che sa di tempesta: avermi colta sul fatto, puoi esserci riuscito, ma sorprendermi? Quello mai.
Lei alza il capo e muta guarda suo figlio, sua suocera, e nuovamente suo marito – per un momento ha avuto quel che s’era preposta d’ottenere, che altro le serve? Lui le ha permesso di sradicare quei tulipani, ormai cadaveri tra i libri di casa Malfoy, non è forse colpevole quanto lei?
Ma, quando Harry Potter arriva tirandosi dietro tre o quattro scolaretti dell’Accademia, è per lei soltanto: la circondano come una criminale, privandola della bacchetta, e lei semplicemente sospira e sorride di fronte allo sguardo sconcertato di suo marito.
«Mi dispiace, Malfoy» bisbiglia Harry, che mai avrebbe creduto di poter pronunciare quelle parole. «La procedura è questa».
La procedura, pensa Asteria ironicamente, come se si fossero mai trovati di fronte a qualcuno così disperato da voler resuscitare un morto: è che siamo abituati a percepirla, la morte, come inevitabile – ma lei e Salazar Serpeverde lo sapevano che non è così.
«Signora Malfoy» la richiama Potter, facendole scuotere il capo bruno. «Lei in questo momento si trova agli arresti domiciliari. Le sono chiari i suoi diritti?».
«Mi è chiaro cosa mi è stato tolto» risponde lei, alzando il mento in direzione dell’Auror. «Chi mi è stato tolto. Perché restituirlo alla famiglia, se sono io quella di cui ha bisogno?».
«Fred deve morire» lo dice con una semplicità che uccide, non ferisce soltanto, ma strappa il cuore in un sussurro. «Non è più il suo mondo, questo».
Che sono le parole che deve aver bisbigliato Corinna dagli occhi color zaffiro, vedendosi catapultata in una realtà che preservava frammenti del suo cuore: il mondo che conoscevo è morto con me, Salazar, mi dispiace.
Ma Asteria ha il portamento fiero che doveva aver avuto la capostipite dei Corvonero e proviene dalla Casa che ne propaga l’insegnamento, eppure. Eppure non ha esitato un istante, con l’avventatezza con cui Messer Grifondoro deve aver pugnalato Salazar Serpeverde, nello scoprire cosa aveva fatto alla donna che amavano entrambi: è scritto nella storia, che non tutti conoscono, e anche lei da oggi ne scriverà una tutta sua – una storia che sa di tempesta.
«Lui non morirà» sibila, come una Gorgone pronta a pietrificare Harry Potter con uno sguardo. «Siamo fatti per restare. Insieme, ma per restare».
Se lei fosse Medusa, basterebbe uno sguardo per incrinare l’anima al Prescelto? Per pietrificare tutti e fuggire via, basterebbe?
C’è un vaso pieno di tulipani, sul mobile dell’ingresso, stupidi fiori che sussurrano e si burlano di lei che ha ucciso ed essiccato i loro fratelli: rossi, gialli, rosa – blu mai – la guardano e ridono, ridono, ridono.
Asteria ride a sua volta, facendo sobbalzare suo marito: lei è fatta per creare tempesta e riceverne amore.
«Asteria» la chiama Harry, permettendosi di pronunciare il suo nome, sebbene non si siano mai visti se non a cene di lavoro. «Sei in grado di renderti conto che domani sarai sottoposta a regolare processo e il Wizengamot sarà chiamato a deliberare sul fatto che tu abbia praticato una forma di magia proibita?».
«Che ne sa il Wizengamot?» risponde lei, calma. «Che ne sapete tutti voi?».
Del bisogno spasmodico con cui ha pianificato, osservato, studiato, finché la soluzione non l’è parsa evidente: lei sarà anche debole nei confronti dell’amore, ma Fred Weasley doveva tornare a camminare accanto a lei – non dietro, a calpestarne le impronte e ad aspettare il momento in cui finalmente lei avrebbe ricevuto dalla vita il permesso di voltarsi indietro.
Con un gesto rabbioso della mano, infrange quello squisito vaso di fiori tanto amato da sua suocera, riempendosi il braccio di schegge: ma è un dolore illusorio, perché il cuore batte a un ritmo che si rivela essere in grado di ferirla ancora più profondamente.
I fiori cadono sul pavimento, in un lago d’acqua. Nude le radici mai tagliate, lo stelo sottile, la corolla. Draco guarda sua moglie come se non fosse in grado di riconoscerla più e in un briciolo di orgoglio le sussurra, pieno di amorevole disgusto: cosa sei diventata.
«Il Ministro in persona ha scelto di evitarle Azkaban, signora Malfoy» commenta Harry Potter, tagliente. «Non mi costringa a farle cambiare idea».
Ma lei lo guarda – pietrificandolo – e gli oscilla davanti al viso la mano sinistra, quella del cuore: sull’anulare, la fede nuziale, sul mignolo un anellino minuscolo. Roba di bambine, pensa Harry, chissà che significato nascosto avrà per lei: sicuramente, una promessa.
«Non lo porterete via da me» sussurra, semplicemente. «Qualunque cosa succeda, noi ci apparteniamo».
Harry Potter sospira, fa un cenno a Malfoy e si prepara ad andare via – non porteranno via Asteria Greengrass: ma la condanna, che sia essa giusta o ingiusta, appare ormai come una realtà inevitabile. Gli Auror si Smaterializzano nell’eco della risata della signora Malfoy.
È quel che impara Scorpius, alla tenera età di sei anni: puoi amare una persona fino a impazzirne e, quando ormai il senno ti ha abbandonato, rimane solamente la determinazione a bruciarti senza inizio. O fine.
Asteria ride, rigirandosi la fede al dito, finché non riesce a sfilarla: è sporca di terra e sa di una promessa spezzata, quando lei la prende e la getta sopra i fiori, incrinando lo sguardo di suo marito.
 
***
 
Vengono posti incantesimi di protezione sul Manor: per tenerti al sicuro, dicono a Scorpius – per non farla scappare, pensa Draco con amarezza.
Asteria s’aggira per ogni stanza come un’anima in pena, come se il semplice suono dei suoi passi avesse il potere di riscaldarle l’animo e farle vedere rossa una vita che, in verità, sta già scolorando nel panna.
Lui vorrebbe solamente mettersi a gridare: ma lo vuoi capire che ci hai rovinati tutti quanti?
Ha qualcosa dentro che gli strappa le urla.
Draco Malfoy si passa una mano tra i capelli, come a volerseli tirar via: l’esasperazione gli trasfigura i lineamenti, li rende affilati, e lui ha gli occhi così spalancati che paiono scodelle piene di acqua.
«Calmati, Draco» sibila Asteria, algida. «Scaverai un solco nel pavimento, se continui così».
Lui la guarda – esasperazione gli sradica via quelle urla – e vorrebbe semplicemente mettersi a gridare sempre più forte, fino a farle sanguinare il cervello da quella medesima esasperazione che scuote lui. La guarda e non bastano le parole, non bastano i respiri per farle intuire la portata della stanchezza che gli scuote le viscere, deformandolo come una statua di metallo riscaldato.
Gli incantesimi di protezione non bastano – chi salverà Draco Malfoy da sua moglie?
«Come faccio a calmarmi?» risponde lui, che ha gli occhi arrossati di lacrime silenziose. «Asteria, ma tu ti rendi conto di cosa hai fatto, di che leggi hai infranto e del fatto che…».
Che gli ha spezzato il cuore. Come avesse la superficie biscottata dal sole o vetrificata come sabbia, il cuore di Draco Malfoy s’è crepato su cicatrici che non si erano mai rinsaldate – ha già amato, ha fallito nell’amare.
Asteria vorrebbe rispondergli e spezzettarlo ancora un po’ di più, quando dal camino emerge una donna – elegante, nel suo completo da strega color tortora – dal viso fin troppo familiare: Hermione Granger le rivolge un cenno del capo, sono state colleghe per anni prima che lei tentasse la scalata verso il Ministero, e si volta verso Draco.
«Signori Malfoy» saluta, compitamente. «Vi chiedo scusa se mi sono autoinvitata a quest’ora, io… avevo bisogno di essere sicura che abbiate compreso».
Draco vorrebbe urlare sempre più forte – ma lo capisci che sto soffrendo? – e mettersi a sbattere i piedi sul pavimento: non lo fa. Non fa niente di tutto questo, ma si limita a lanciare uno sguardo atono, incolore, al Ministro della Magia.
«Verrà fatta una perizia psichiatrica» continua Hermione, calma. «Domani mattina, sarà presente un Medimago e un Auror. Indagheranno nei tuoi pensieri, Asteria, nei tuoi ricordi».
Asteria Malfoy ride – non riesce a fare altro: che li prendano pure, i suoi ricordi, che li spezzettino. Vi troveranno vecchie ballate, un amore adolescenziale, rancore. Così tanto che le si è frammentata l’anima in un tenue rosa da tramonto.
«Poi, ci sarà il processo» sussurra il Ministro, con calma. «E, te lo assicuro, vorranno la tua testa. Hai rotto la legge più sacra di tutte, in questo mondo: non bisogna turbare i morti».
«Io non l’ho turbato» risponde Asteria, con sguardo perso. «Hai idea di quanto lui abbia turbato me, in tutti questi anni? Di quante volte io l’abbia sognato?».
Hermione sospira. Quella donna non conoscerà mai pace, pensa, rimarrà sempre pulviscolo inquieto che svolazza ovunque e non si posa mai.
«Asteria» la richiama. «Non te lo faranno rivedere. Hai infranto una legge sacra e adesso è tutto…».
È in quel momento che Draco Malfoy esplode e lo dice, anzi lo grida: che è tutto perduto, tutto da rifare, e che lui ha sbagliato a prometterle che. Che le avrebbe dato una casa, una famiglia, perfino quell’amore che lei ha sempre e solo ostinatamente rifiutato.
Urla che stracciano pensieri. Draco sembra incapace di fermarsi, finché non sente le mani della Granger sfiorargli il braccio con una comprensione che gli fa schifo ma che, inaspettatamente, agisce come freno.
«Non te lo faranno rivedere mai più, Asteria» sibila Draco, voltandosi a guardare un’ultima volta sua moglie. «E, per quanto mi dispiace dirlo a te, è esattamente quel che ti meriti».
Lei alza lo sguardo, verde come quelle radici stracciate dalle sue mani inclementi, e sorride: chissà se ci ha mai creduto per davvero, di poterlo rivedere per più di un frammento d’istante. Chissà se ha tenuto in conto, se ha pianificato, o se semplicemente s’è scavata dentro a unghiate in un tentativo (squallido e inumano) di uccidersi prima del previsto.
L’aveva previsto, Salazar dagli occhi d’alabastro, di dover cozzare contro la volontà di Corinna? – che, di vivere, non voleva vivere più.
Son stanca della vita, amor mio, aveva confessato Madama Corvonero. Nella morte ho trovato la mia quiete, perché dovrei bramare nuovamente la tempesta?
È che la vita ferisce più di quanto non si riesce a pensare, sussurra Asteria a sé stessa, e Fred conoscerà il dolore di esser perso una seconda volta: e Corinna dalle mani bianchissime aveva rinunciato. Tutto perduto, tutto da rifare.
Asteria guarda suo marito negli occhi – vi scorge il medesimo residuo di tempesta che rintraccia nella propria anima.
«Andremo via insieme» sussurra, guardando negli occhi il Ministro della Magia. «Qualunque cosa facciate per tenerci separati».
Lo sguardo di Hermione è di luminosa compassione, mentre a fatica la signora Malfoy s’avvia in camera sua.
«Pensi che ce la farà ad affrontare un processo?» sussurra, diretta al marito tradito. «Pensi che ce la farà a sopportare i Medimagi che le frugano in testa?».
Draco Malfoy sospira, si passa una mano tra i capelli che, superstiti, gli sono rimasti sul cranio e semplicemente lo dice.
Che hanno messo incantesimi di protezione sul Manor ma, di fuggire, Asteria non potrà fuggire mai – non ne avrebbe la forza. La sentono forzarsi a salire le scale, un passo per volta, con il fiato che lotta per sanguinarle fuori dalla bocca.
Draco si volta e le lancia uno sguardo pieno di dolorosa comprensione.
«Io non penso che sopravvivrà al processo» sussurra, incrinato come quel vaso rotto dalla moglie. «Non riesco a pensarlo possibile».
Hermione annuisce, ma non aggiunge altro.
 
***
 
L’aula del Wizengamot è diventata bianca: tutti i membri si son presentati per assistere a quella barbarie, a un medico che frugherà nella testa di una donna che non ha più energie nemmeno per pensare alla vita, se non alla morte. Ma Asteria su quella sedia posta al centro dell’aula, ci si avvia con ferma dignità.
Qualcuno ha detto che la vita è bianca, come una vecchia mendicante, come la gomma pane per sfumare i bordi dei disegni – come le mani di Corinna Corvonero quando s’è svegliata nel proprio letto di crepacuore, per scoprirsi ancora giovane, ancora bella, ma con i capelli inevitabilmente striati di bianco.
Eppure, si dice Asteria, che di bianco non ha mai visto niente in tutta la propria esistenza – per lei è rossa. Rosso sangue, vino rosso, un tramonto, i capelli di Fred al mattino quando si svegliava e allora erano la cosa più vicina da vedere, da toccare.
Lo sente ancora, se si concentra abbastanza, il rumore del letto che cigola, il vento che crepa le finestre. Il suo respiro sulla pelle.
Succedeva spesso che si domandasse se non fosse possibile fare l’amore con un fantasma se, ogni dannatissima volta in Draco vedeva solamente l’immagine sbiadita (rosata) di Fred. E forse si poteva davvero, perché controluce quel biondo quasi bianco era solamente l’ennesima cosa arrossata e insanguinata in vita sua.
La Medimaga è una donna. Gentile, il sorriso che le rivolge facendola accomodare sulla sedia, mentre sfila la bacchetta da un precario chignon di capelli biondissimi.
Si chiama Anne-Marie, perché ha la madre francese e il padre inglese, e ha anche lei una casa e un figlio piccolo: amore poi chi lo saprà mai?
Asteria non le sorride, mentre s’accomoda sulla sedia: perché dovrebbe? Si tratta di aprirle la testa come un frutto maturo e di scoprire cosa vi dimora dentro.
Ma lei lo sa già. Disperazione, vi vedranno, una morte precoce che le ha spezzato il cuore – ma è suo marito a tenerle la mano, mentre lei sospira e si guarda attorno.
«Lasciami andare, Draco» gli sussurra, con una doppia valenza che lui non riuscirà mai a interpretare del tutto.
Ma lui fatica a staccarsi quella mano, e sta di nuovo piangendo – singhiozzando, come Godric Grifondoro sulle spoglie di quella donna che non l’aveva amato mai.
È secco, quel rumore. Duro, insensato. Un colpo che fende l’aria e s’infrange sulla guancia pallida di Draco Malfoy.
Lo schiaffo di Asteria Greengrass a suo marito risuona per tutta l’aula del Wizengamot, facendo sobbalzare un paio di streghe e facendo scattare in piedi Narcissa Malfoy, sulla soglia della stanza, pronta a testimoniare ancora una volta per l’innocenza di suo figlio.
Ma Asteria ride dolcemente, in un suono tintinnante che fa solamente male al cuore, quando con il dorso della mano si china per cancellare la traccia di una lacrima dal viso di Draco Malfoy – Harry Potter sussurra al Ministro della Magia che è la seconda volta che vede Malfoy piangere in quella maniera: è il suono soffocato e strozzato di chi sa che è tutto perduto, tutto da ricostruire.
Sua moglie lo guarda, e silenziosamente sorride.
«Mi erano rimaste solamente poche cose, Draco» sussurra, calma. «Credevo che fossero le stelle».
Lui le ha preso nuovamente la mano, sta ancora piangendo, singhiozzi silenziosi ne scuotono le viscere – ma Asteria è ferma, quasi disgustata, da quella visione.
«Tu lo sai che non so odiare».
 
***
 
Ho sempre creduto nelle stelle – guardane una che cade, esprimi un desiderio: io oggi desidero che tu ritorni da me.
Io oggi desidero che tu torni indietro e lo faccia perché te lo sto chiedendo, perché ti sto supplicando e tutto questo ti basta. Perché non vuoi vedermi moglie di un altro, amante di un altro, e allora tornerai perché è il nostro bene quello che conta.
Credevo fossero le stelle, ad aver deciso che dovevamo essere divisi – credevo fossero le stelle ad aver deciso che dovevamo essere uniti.
E invece hanno deciso che sposerò un uomo per cui provo una tiepida sopportazione, ma che piace ai miei genitori, e per cui, sul finire, proverò solamente intolleranza. Tu lo sai che non so odiare.
A un millimetro da te, te lo ripeto: io forse non saprò odiare, Fred, ma di certo ho saputo amare (e ho saputo amare te).
E forse è vero che il Paradiso mi ha lasciato qualcosa – le stelle, questo sì. Tornerai da me, in qualche modo, con qualche preghiera.
Perché ci sono tante, troppe ballate, e tutte dicono che l’amore e i desideri stanno lì: quando Corinna Corvonero è sparita, ci ha lasciato i sogni, le speranze e
 
 
[le stelle].


 
[Asteria]


 
Ed eccomi qui.
Mentirei se dicessi che non ho lavorato tanto a questa mininlong (che, a proposito, partecipa alla challenge di Bluebell per il girone Crack - George nel mio caso).

Il contest di Severa consisteva nello scegliere una citazione di Dante, e la mia scelta è stata "Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini" e tramite queste tre cose, e i giochi di parole dei rispettivi nomi, ho voluto dare voce ad Asteria, Daphne ed infine anche ad Hermione.
La storia dovrebbe essere molto lineare, spero piaccia a qualcuno. Piccola noticina di questo capitolo:

1F. Nietzsche, Al di Là del Bene e del Male

E vi ricordo che il titolo proviene dalla canzone di Irama "La genesi del tuo colore". Le info sul rituale eseguito da Asteria vengono, banalmente, da Wikipedia.
Spero di essere stata credibile.
Un bacio e buona giornata.
Gaia

 

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Capitolo 2
*** Fiori di té ***


 


E mi manca la tua voce (oramai)

Daphne Greengrass è sempre stata brava a leggere la vita nei fondi di tè, e a scoprirci sempre qualcosa di nuovo: il giorno in cui ha scoperto il fondo bianco della tazza, ha urlato fino a lacerarsi le corde vocali.
Non le crederanno mai – ma i miti sono reali, i fantasmi sono reali, e soprattutto la magia è reale. E la mente di sua sorella contiene miti, spettri e antiche magie.
Ma, quando lo dice all’uomo che ama, ottiene solamente un sorriso e un l’ha fatto anche per noi.
Non è George a guardarla, ma Draco Malfoy (occhi lucidi di speranza) che le tende una mano come per dirle ti prego, difendila tu: sei sua sorella, tu puoi farlo. O forse no?
Daphne sorride.
«Quanto credi che io sia disposta a cancellare?».
 
 
2. Fiori di tè
 
[Tre cose ci sono rimaste del Paradiso: le stelle,]
 
Quanto son disposta a cancellare
 
 
George è casa, casa sua.
È il posto dove torna ogni volta che le foglie umide di lacrime le rivelano una verità indicibile e allora lui semplicemente ride e ride e ride – spalanca le braccia: è che a volte ci si dimentica che anche l’alloro ha delle infiorescenze minuscole, pensa lei, e allora si dà per scontato. Che il futuro valga quanto una moneta falsa, ma se è prevedibile non è per questo motivo incancellabile?
Daphne ha presofferto tutto ciò che si compie su quella sedia nell’aula semivuota del Wizengamot, ha visto la Medimaga frugare nel cervello di sua sorella e ne ha sentito i dolori come fossero i propri.
I Weasley non si sono presentati, pronti a proteggere il più fragile della nidiata, resuscitato per un mezzo miracolo. George sì. George ha preso Daphne per mano e l’ha portata alla prima giornata di processo per quella sorella che non è stata ringraziata e che, se l’amore non conta niente, non sarà assolta o giustificata.
Draco Malfoy, seduto di fianco a sua madre, in un’occhiata ha capito che di perdonarla non la perdonerà mai. Le stelle non mentono, pensa Daphne, il suo amore per Asteria è marcito come un vaso di fiori vecchio di giorni – è così che sale l’insofferenza: acqua stagnante, prima, paludosa infine.
I ricordi di Asteria sono snudati, messi alla mercé del Ministro della Magia e degli altri membri del Wizengamot: fatta di acciaio, Hermione Granger, ma nel vedere quel residuato di amore adolescenziale, vorrebbe piangere anche lei. Come Draco Malfoy che, nonostante la gomitata di sua madre nelle costole, singhiozza silenziosamente in un fazzoletto con sopra ricamate le proprie iniziali.
Ha lasciato suo figlio alla tata, così come Hermione Granger ha lasciato i suoi all’ex marito, pur di presenziare al processo dell’anno.
Li separa un millimetro – d’idee, di pensieri, di destini: è la voglia di rischiare, la loro, quando si guardano e dentro hanno solamente la medesima disperazione.
Lui, innamorato della vita più di quanto non abbia mai amato sua moglie, la guarda soccombere sotto il peso dei ricordi che le vengono strappati dal proprio cielo come stelle comete.
Lei, silenziosa, non confesserà mai della sua, di cotta adolescenziale: non Ron, Fred – e quando guarda quei pensieri estrapolati dalla mente di Asteria Greengrass, vede solamente un passato che avrebbe potuto appartenerle.
Si sono seduti in modo tale da vederli entrambi: Draco, Hermione – Asteria che li osserva, calma, sussultando a ogni pensiero che le viene estratto dal cranio.
Basta, vorrebbe gridare Daphne. Basta così, non vedete che la state uccidendo?
Ma Asteria è sguardo fiero, testa ritta, e il mento puntato in direzione del Ministro della Magia: Hermione Granger ne ricambia l’occhiata ma, a differenza di Draco Malfoy, ha gli occhi asciutti e sabbiosi.
«Signora Malfoy» pronuncia il segretario, un ometto stempiato e dal sorriso cordiale. «Adesso le faremo alcune domande».
La Medimaga annuisce tenendole sempre la bacchetta puntata sulla tempia, mentre viene fatto levitare un foglio di pergamena in sua direzione.
In quel momento, Draco Malfoy si alza e corre via.
 
***
 
Hermione lo trova nascosto nei bagni, in un buffo déjà-vu di un decennio precedente, seduto sul pavimento con la testa nascosta tra le braccia – sta piangendo, in verità non ha mai smesso: lei sospira, ha ancora la toga del Wizengamot a pesarle sulle spalle, ma ciò non le impedisce di sedersi sul pavimento accanto a lui.
«So che è dura» sussurra, calma. «Che pensi di non farcela, che pensi che è ingiusto, ma…».
Lui la guarda, dritto negli occhi, per scoprire di aver smesso di piangere e che sul fondo del suo sguardo sono rimasti solamente cocci di vetro.
«Quella lì è mia moglie, Granger» sibila Draco, con calma glaciale. «Tu cosa faresti, al mio posto?».
Lei è orribilmente onesta. «Piangerei, Malfoy. Sbatterei i piedi, griderei» risponde, atona. «Ma lo farei dentro di me. Perché non è vero che è tutto perso, tutto da rifare: forse c’è ancora una speranza, lo sai?».
«Granger, meno cazzate» sussurra lui, passandosi una mano sul viso. «Anche se sopravvivesse, cosa ne sarebbe di lei?».
Hermione non gli sa rispondere – sa che tutto il Mondo Magico vuole la testa di Asteria Greengrass-Malfoy e niente la salverà da una condanna, che sia essa giusta o ingiusta, strappata, non voluta, ma per questo esistente.
Hermione non gli sa rispondere perché lei sa e sa che Asteria Greengrass è una cometa e, di lei, rimane polvere e rimpianto. È già condannata.
«Mi dispiace moltissimo, Malfoy, per quel che vale» risponde, calma. «Tua moglie ha lavorato per me per anni, prima di ammalarsi».
«Fai qualcosa, allora» sibila lui, sporgendosi verso di lei. «Tu puoi salvarla».
Lei pensa che semplicemente non può compiere quel miracolo e, allora, l’unica cosa che riesce a fare è lanciargli un sorrisetto stiracchiato, innaturale.
«Nemmeno capisco perché ti sto supplicando» sussurra Malfoy, sfregandosi gli occhi con il dorso della mano. «Cosa potrà mai interessare, a te, della mia famiglia?».
Lei, sguardo fiero di chi mai s’è piegata (ma s’è spezzata, più volte, sotto la pressione dei propri stessi artigli), sorride, questa volta per davvero.
«Tu lo sai che non so odiare» sussurra, in una parodia specchiata di Asteria Greengrass. «Siamo colleghi da anni, Malfoy, i nostri figli giocano insieme nell’asilo del Ministero».
Lui rabbrividisce sotto il peso di quelle parole, ma non commenta: sa perfettamente come la Granger e Potter siano geneticamente incapaci di odiare – al processo dei superstiti, l’hanno difeso loro. Non è una novità che un Malfoy debba respirare l’aria viziata dell’aula del Wizengamot, ma ad Asteria non era capitato mai.
Innocentemente, aveva sperato di poterla proteggere da sé stessa: ma quando sei in un mondo di incubi rosati, cosa ti rimane sa salvare?
«Avete guardato tutti i suoi ricordi» domanda, pieno di una brama che è inspiegabile. «Cosa avete visto?».
Hermione tentenna.
Ha visto muri scardinati, urla, un letto che cigolava – come l’infiorescenza dell’alloro, minuscola, Asteria è germogliata tra le coperte di Fred Weasley. Ma, questo, a lui non può dirlo: perché Malfoy la guarda con una tale speranza che lei, che pur l’ha detestato per metà della sua vita, non riesce a odiarlo abbastanza da dirgli la verità.
«Abbiamo visto tante cose, Malfoy» sussurra. «Niente che non possa immaginare tu stesso, da parte di una ragazzina e un ragazzo più grande di lei».
Ma poi lui la guarda e ha gli occhi così pieni di lacrime che, anche a lei, verrebbe da sciogliersi in un fiume di pianto. Non può dirglielo. Che i ricordi di sua moglie sono oscurati di Fred Weasley, che non c’è spazio per altro, nemmeno nel loro matrimonio.
«Ha dato uno schiaffo anche a lui, una volta» sussurra, invece, socchiudendo gli occhi. «Il giorno in cui ha invitato la Johnson al Ballo del Ceppo».
«E perché avrebbe dovuto invitare un’altra?» domanda Draco, alzando un sopracciglio. «Forse non è la meravigliosa storia d’amore che mia moglie vuole credere».
Nessuna storia d’amore è meravigliosa, Draco – vorrebbe dirgli Hermione, con un divorzio che le pesa sulle spalle.
«Perché lei non si era mai dichiarata» sussurra, invece, con aria divertita. «L’hanno scoperto quel giorno».
Che in un mondo di gente fatta per fare, loro erano fatti per essere amati l’uno dall’altra e lo hanno scoperto così: con uno schiaffo che taglia l’aria, quando Asteria – tredici anni, in un metro e cinquantadue di ginocchia sbucciate, gli ha stampato la propria mano sinistra in pieno volto.
Hermione non l’ha domandato, a Fred, rinchiuso nel proprio nido (nella propria Tana) come se potesse dissolversi da un momento all’altro, ma è certa che lui l’abbia amata da quel giorno e per tutti gli altri che gli erano rimasti.
«Non basta per voler resuscitare un morto» sibila Draco, voltandosi leggermente verso di lei. «Asteria non era il tipo, da voler credere così tanto nell’amore, lei… lo sa Salazar, in cosa o in chi credeva. Ma non credeva in Weasley, io lo so».
Hermione non lo contraddice apertamente. «Uno schiaffo vuol dire tante cose» commenta, pacata. «Non possiamo capirla nemmeno entrandole nella testa, Malfoy, forse possiamo solamente rassegnarci».
«Tu una volta mi hai dato uno schiaffo» commenta lui, divertito. «Al terzo anno, non è vero?».
Lei lo guarda – negli occhi ha tutto quel risentimento di anni passato a detestarlo, ma lentamente si sciolgono in una goccia di compassione.
«Non pensarci nemmeno, Malfoy» borbotta, atona. «Non è che adesso per innamorarsi serve per forza uno schiaffo».
Lui ride, guarda il soffitto, ma ha ancora le guance sporche di lacrime. «Potresti sempre provare a darmene un altro» soffia. «Magari annulla quello di mia moglie».
Lei sta per domandargli se non sia così disperato dal domandarle di schiaffeggiarlo per togliersi dalla testa Asteria Greengrass, ma poi lo guarda negli occhi.
Lo è, si dice. Certo che lo è.
 
***
 
«Non puoi farglielo fare».
George Weasley la ferma per un braccio quando lei esce dal bagno, lasciando a Malfoy qualche secondo per ricomporsi, e tirandola verso un angolo più appartato. Hermione che ha appena visto Draco Malfoy annichilirsi ed esser divorato da cieca disperazione sospira, per ritrovare il medesimo sguardo in George.
«Non puoi farglielo fare» ripete, calmo. «Non pensi che io e Daphne abbiamo già sofferto abbastanza?».
Lei vorrebbe domandargli se anche quella sorella Greengrass ha conquistato un gemello Weasley con uno sguardo, uno schiaffo e un sorriso – ma è una battuta troppo di cattivo gusto perché lei possa farla. Così si limita a guardare George e a sospirare, stremata, per dirgli che no, la sofferenza non è mai abbastanza.
C’è ed è per questo tangibile, ma mai misurabile: George la guarda come se avesse ogni risposta ed Hermione è semplicemente stanca – il dialogo con Malfoy, sul pavimento del bagno, l’ha svuotata: e adesso che ha dato a lui tutta la sua speranza, a lei cosa è rimasto?
Una vita che non è più bianca ma nemmeno rossa, ma s’è macchiata qua e là come quando sua madre sbagliava a far la lavatrice: è una vita senza acchiappacolore, per cui tutto è un po’ sui toni del rosa, a macchie.
«Parliamo di un processo per negromanzia, George» sussurra Hermione, con una calma che non prova. «E Daphne Greengrass è l’unica persona che conosca Asteria… meglio di quanto non la conosca… lo sai».
George alza un sopracciglio rossiccio, oscurando per un attimo quei suoi occhi azzurro vetro di mare – Daphne, gli ha confidato quella mattina in un sussurro lacrimevole con cui ha annaffiato la colazione, il mare non l’ha visto mai: è sempre stato talmente vicino da rimanere intangibile e lei, lo spruzzo di un’onda ribelle non sa cosa sia.
«No» nega, anche se il nome di suo fratello gli si espande in mente come una macchia d’olio velenoso. «Io non lo so, cosa intendi: quel che mi è chiarissimo, Hermione, è che non posso permetterti di lasciarglielo fare».
«Se Daphne non testimonia e non tira fuori qualcosa che dimostri che sua sorella non è capace di intendere e di volere» sussurra il Ministro della Magia, guardandosi attorno con aria circospetta. «Dovrò richiedere il parere del Medimago che le ha estratto i ricordi. E, infine, anche di Fred».
George vorrebbe tanto avere una battuta pronta sulle labbra, per rischiarare quella situazione che sa solamente di buio pesto, ma tutto ciò che ne viene fuori è un sorriso stiracchiato e innaturale.
«E così devo scegliere» sussurra, amareggiato. «Se mandare al patibolo la donna che amo o mio fratello».
«Non succederà niente di grave, George» sussurra Hermione, prendendolo per un braccio. «Saranno chiamati a testimoniare e saranno trattati con ogni riguardo, non hai nulla da temere».
Lui ride, facendo tremare l’aria.
Non le dice che la psiche di Daphne è debole come quella della sorella, lieve come l’infiorescenza di cui porta il nome, e basterebbe la domanda sbagliata per causarle solamente l’ennesima incrinatura.
Perché Daphne sa.
Che sua sorella ha scavato con le sue stesse mani la tomba da cui Fred è riemerso e ha sorriso con le unghie ciondolanti e il cuore sporco di terra, incrostato di sangue.
Mentre l’aria si lacerava dietro l’urlo di Daphne.
 
***
 
«Daphne Greengrass» la chiama l’assistente del Ministro della Magia. «In data odierna, questa corte la chiama a testimoniare».
Lei fa tremare il cuore a chiunque sia abbastanza coraggioso da guardare in quegli occhi azzurri e scoprirli pieni di lacrime amare, insensate, ma comunque pallidi e determinati come quelli della bambina che è ancora – George la guarda camminare fino alla sedia dell’interrogatorio sistemata lì, al centro della sala, così che tutti i membri del Wizengamot possano vederla.
Daphne strascica un po’ i piedi, si trascina, ma infine è costretta a lasciarsi scivolare sulla sedia e a smettere di giocherellare con il lembo della propria gonna.
Quando alza il capo e punta quegli occhi azzurrissimi, un po’ febbrili, direttamente sul Ministro della Magia – in quel momento, lei è sua sorella. E ha le mani piene di bende e con le unghie penzoloni, in una vita che s’è stinta in un rosso intenso e bianca non l’è stata mai.
«Signorina Greengrass, può confermarci la sua identità?» domanda l’assistente, con aria nervosa. «Sa, è una procedura standard».
Lei si guarda attorno, con calma, ma nella sua mente li ha già condannati tutti nella medesima maniera in cui loro hanno condannato sua sorella.
«Mi chiamo Daphne Greengrass» soffia lei, scuotendo i lunghi capelli biondi. «Nata a Saint Ives, in Cornovaglia, il ventitré luglio millen…».
L’assistente le fa cenno che va bene così e lei tace, obbediente, e volta la testa verso la platea di gente che la guarda incuriosita. George non è lì.
George non è lì perché sarebbe stato una distrazione, per lei – un giardino con dei bambini che ridono, casa sua: quanto credi che io sia disposta a cancellare?
Così, gli ha detto di non venire (o non farsi vedere) e, nella moltitudine confusa dei Weasley – si sono presentati tutti quanti, anche Fred, a sostenere lei così come avevano rinnegato Asteria al primo giorno di processo – lei non lo scorge.
«Signorina Greengrass» la voce di Hermione Granger è pacata, calma, ma squarcia comunque l’aria come uno schiaffo. «Lei giura di dire la verità di fronte a tutta questa corte?».
Daphne annuisce, guardandosi attorno. «Lo giuro» esala, così piano che chiunque fatica a udirla. «Ma lei non può giurarmi che le mie parole non saranno usate contro mia sorella, in un modo o nell’altro».
Hermione sospira. È ovvio che Daphne Greengrass abbia intuito, che sappia del piano: che abbia compreso che l’unica maniera che sono riusciti a trovare per salvare sua sorella da Azkaban è dichiararla incapace di intendere, che Malfoy ha detto di sì, che la Granger finge di non vedere e che persino George ha annuito pur di poter portare lei, Daphne, via di lì.
«Lei era presente, quando si sono svolti i fatti che stiamo esaminando» prosegue il Ministro, con amara dolcezza. «Vuole fornircene la sua versione?».
Daphne rabbrividisce.
Ha ancora nelle narici l’odore della terra, ed è quel che borbotta con aria distaccata, si sente ancora sporca, sì, sporca fino a sotto la pelle di quel terriccio misto vino misto acqua misto sangue. La vede lì, anche se non c’è.
Asteria che sorride, i denti che paiono volerle trapassare la superficie delle labbra per la forza che ci mette, in quel sorriso, la vitalità che le cola via dai denti sotto forma di maniacalità. Daphne lo percepisce con chiarezza disarmante e dice che, sì, era lì: è come vedere tutto nei fondi di una tazza di tè. Ciò che per voi appare sciocco o insensato, per me sola è chiarissimo.
E qualcuno ha detto che l’occhio interiore è un lascito del Paradiso e bisogna baciare per terra e intonare inni per ringraziare Colui che l’ha concesso – ma, né Daphne né il Ministro Granger la pensano esattamente così: per esperienza e per scetticismo, entrambe dubitano della dote della maggiore delle Greengrass.
«E lei era a conoscenza delle intenzioni di sua sorella?» domanda Hermione, senza perdere la calma. «Asteria Greengrass-Malfoy stava agendo con cognizione di causa?».
«Mi creda, Ministro» sussurra Daphne, giocherellando nervosamente con l’orlo della lunga gonna color acquamarina che indossa. «Io non lo so».
Sa che la negromanzia è un segreto di famiglia che si sono tramandati da una generazione all’altra, questo sì, fiele nelle vene al pari della Veggenza. Sa che la storia è sempre una cosa vecchia, questo sì, ma che si riscopre di secolo in secolo – ed è la ballata di Tosca dagli occhi gelidi, che ha visto l’uomo che amava innamorarsi della sua più cara amica e presofferto tutto il resto: lei, che l’aveva cercato per metà del mondo conosciuto, camminando di fianco a quei morti che stanno più in basso2.
Sa che Asteria, pazza, non l’è stata mai: forse non disposta a cancellare, incapace di odiarsi per aver perso tutto, incapace di arrendersi. Forse tutto questo, forse molto altro, ma è mai stata pazza sua sorella?
Daphne sospira, vede l’impazienza del Wizengamot intero, della famiglia Weasley, di Hermione Granger ed Harry Potter.
Sua madre le ha detto che la capacità di Vedere è un lascito del Paradiso ma lei, che rivede sua sorella scavare a mani nude la propria rovina, non ne è poi così convinta: Daphne pensa che non basteranno foglie da tè, una sfera di cristallo o un mazzo di tarocchi per porre rimedio alla rovina di Asteria Greengrass.
Sono passati anni, un po’ lo pensa e un po’ lo sussurra: un giorno in cui giocavano a carte con un mazzo di tarocchi e Asteria ne ha pescate due, due carte sbagliate.
Gli amanti e la morte. Daphne avrebbe anche potuto cercarne il significato positivo, se solamente Asteria non le avesse pescate a rovescio.
Una ballata intessuta di mortalità, che mortale è anche questa vita intangibile e allora cancellabile. Daphne sussulta, come se il richiamo dell’assistente della Granger l’avesse colpita in pieno petto, facendola tentennare. Ha detto il suo nome, mentre lei era accanto a sua sorella con il vestito sporco di terra, a osservarla rivoltare il principio e l’ordine delle cose.
Spalanca gli occhi, puntandoli febbrilmente sul Ministro della Magia, prima di sciogliersi in un pianto incontrollato.
 
***
 
«Devi farglielo fare».
Hermione Granger sbuffa, i capelli carichi di elettricità statica, prima di voltarsi verso Malfoy con gli occhi carichi della medesima scintilla di cui è pregna la sua capigliatura.
«Io non penso proprio che tu sia nella posizione di dirmi cosa devo fare, Malfoy» sibila, mettendosi le mani sui fianchi. «Hai visto anche tu. Tua cognata non è in grado di fornire una testimonianza affidabile».
«Non dirmi che adesso sei finita anche tu per credere in queste cazzate sull’Occhio Interiore» risponde lui, affilando lo sguardo in una scintilla. «Daphne è sempre stata particolare. Ma non per questo non può non… lei deve…».
Hermione sospira, voltandosi per posargli le mani sulle spalle. «Malfoy» lo richiama, con una dolcezza che suona strana persino a lei. «Non posso mettere sotto torchio una donna, per di più incinta, solamente per farti un favore».
George non gliel’ha detto – ma gliel’ha fatto comprendere con uno sguardo eloquente quando, dopo aver decretato una pausa nello svolgimento del processo, dal proprio posto si è fiondato a raccogliere quel fagotto piangente che era la donna di cui è innamorato. Le ha sfiorato il ventre, in una curva che non c’è, e le ha domandato se non volesse andare a casa.
Ma casa, per Daphne Greengrass, è dove c’è lui e niente di più – in quel perverso gioco di ombre e specchi che è la sua mente, George è una risata, un porto sicuro: Hermione l’ha vista sorridere tra le lacrime, appigliarsi alle spalle dell’uomo con tutta la propria forza, e le si è spezzato il cuore al pensiero che lei s’è appigliata in quel modo a Ron solamente quand’erano due ragazzini ancora innamorati (dell’idea dell’amore e poco altro).
«Granger, mia cognata è l’unica speranza che mi rimane» sussurra, a capo chino. «Se dovesse testimoniare un qualunque Medimago, la rinchiuderebbero al San Mungo, se non ad Azkaban».
«Malfoy, Draco, ascoltami» risponde lei, pronunciando il suo nome. «Che tua cognata testimoni o meno in favore di Asteria, non ci sono molte speranze per lei: potremmo concederle dei domiciliari, dato che è malata, ma…».
Si ferma solamente nel vedere che lui è di nuovo sul pericoloso limite del pianto, e si trattiene per una sorta di insensato orgoglio che prova nei suoi confronti: hanno lavorato gomito a gomito per alcuni anni, prima che lei scegliesse la carriera politica e lui le relazioni internazionali, ma non è bastato per donar loro confidenza. Hermione ricorda con maggiore nitidezza Asteria, che invece aveva lavorato come sua segretaria finché la salute gliel’aveva permesso.
La ricorda nella primavera della sua vita, quand’era ancora novella sposa e aveva un sorriso lieto a incresparle il bel viso – adesso, Hermione se lo deve domandare: era tutta una finzione?
Se la ricorda in estate, quando è nato Scorpius e lei diceva di averlo desiderato anche oltre i limiti che la propria salute le aveva imposto. Era nato tre mesi prima di Rose e, all’asilo del Ministero, erano stati compagni di copertine – loro ne avevano riso, pensando a quanto Draco Malfoy si sarebbe detto schifato da una simile vicinanza.
In autunno, non l’aveva vista più. A mano a mano che il freddo saliva, la salute di Asteria declinava e, un giorno, semplicemente aveva dovuto rassegnarle le proprie dimissioni, con profondo dispiacere del neo-Ministro della Magia.
Era infine giunto l’inverno?
«Tu pensi che lei non ce la farà» sussurra Malfoy, stringendola per le braccia, senza forza, semplicemente toccandola fin dentro l’anima. «La stiamo dando tutti per spacciata ma lei… è sempre stata più forte di me, Granger. Ce la farà solamente per rivederlo».
Hermione sorride, ma è più una crepa sul viso – non sa come dirlo a lui, quindi tace, regalandogli qualche altro minuto di tacita speranza.
Perché è quello di cui Malfoy ha bisogno, se la sua massima aspirazione è sapere che l’amata moglie sopravvivrà per l’amore di un altro uomo, che forse ha sempre amato più di quanto non sia riuscita a forzarsi d’amare lui.
Draco sospira, ma non la lascia andare: è come se quel contatto semplice, inutile, lo rassicurasse. Sotto la pelle di Hermione Granger, batte un cuore che non è contaminato da stelle o infiorescenze d’alloro, ma è quel che è – il cuore di una bambina che, nonostante tutto, è ancora lì che grida aspettami, devo ancora crescere.
Silenziosamente, però, a Draco è chiaro. Il Ministro della Magia non chiamerà Daphne Greengrass a testimoniare una seconda volta, non permetterà che una donna fragile come vetro venga messa sotto torchio a suon di domande inutili – lei era lì? Ha visto? Che ha pensato? Era d’accordo? Perché non l’ha fermato?
E lui, che vorrebbe sua moglie salva da ogni accusa più di ogni altra cosa, ha ancora il pianto di sua cognata sedimentato nelle orecchie.
«Devi tenere insieme i cocci, Malfoy» gli suggerisce infine Hermione, con voce crepata. «Hai un figlio piccolo che ha bisogno di te».
Lui lo sa, certo che lo sa – ma è un figlio che ha bisogno di una madre che abbia tutte le unghie piantate sulle mani e non sparse a terra come un ventaglio insanguinato, una madre che viva ancora qualche anno per potergli creare ricordi.
«Falla testimoniare» insiste lui, debolmente. «Te lo chiedo come favore personale, Granger: falli parlare tutti. Daphne, Fred Weasley, persino l’altro gemello se serve».
Hermione sospira, guardandolo dritto negli occhi e liberandosi un braccio e alzando la mano, in un gesto che è a metà tra la carezza e lo schiaffo – ma che rimane incompiuto, così che lei è costretta a riabbassare il braccio, con aria disorientata.
Non sa come fare a dirglielo: che è tutto perduto, che non c’è niente da fare, testimoni da chiamare, che la stessa Asteria s’è arresa a quello che sarà il proprio destino. Giusto, ingiusto? Non le importa più.
«Granger?» sussurra Draco, mentre il sospetto gli invade lo sguardo, deformandolo. «Perché mi guardi in quel modo?».
Lei sospira, si sistema una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio, sfuggita dalla crocchia severa in cui li costringe solitamente. E lo dice: pochi parole, un sospiro, tutto molto ingiusto – Fred Weasley è morto oggi.
 
***
 
La cerca ovunque e la trova seduta nella sala d’aspetto di fronte all’aula del Wizengamot, seduta su una sedia con le gambe penzoloni, come una bambina: Daphne Greengrass ha lo sguardo perso nel vuoto, mentre discorre con l’aria. George Weasley l’ha momentaneamente lasciata ai suoi pensieri, Smaterializzandosi al suono del Patronus della madre – è morto senza un perché, suo fratello: Molly Weasley ha detto, piangendo, che deve semplicemente essergli spezzato il cuore.
Come Tosca dagli occhi di ghiaccio, Fred aveva la gentilezza dalla sua parte, l’amore, ma non è bastato: non era quello il mondo in cui avrebbero dovuto rivedersi, ha sussurrato all’aria, prima di abbassare le palpebre.
Lei aspetta che la richiamino a testimoniare – non ha perso la speranza di poter essere utile alla causa della sorella, ma c’è qualcosa che, in quell’aula, la inquieta. La segretaria di Hermione, quella che ha preso il posto di Asteria, le ha portato una tazza di tè nero: per me senza zucchero, per favore, e Daphne ne ha sorbito qualche sorso in silenzio religioso.
Daphne Greengrass è sempre stata brava a leggere la vita nei fondi di tè, e a scoprirci sempre qualcosa di nuovo: il giorno in cui ha scoperto il fondo bianco della tazza, ha urlato fino a lacerarsi le corde vocali.
Non le crederanno mai – ma i miti sono reali, i fantasmi sono reali, e soprattutto la magia è reale. E la mente di sua sorella contiene miti, spettri e antiche magie.
Ma, quando lo dice all’uomo che ama, ottiene solamente un sorriso e un l’ha fatto anche per noi.
Non è George a guardarla, ma Draco Malfoy (occhi lucidi di speranza) che le tende una mano come per dirle ti prego, difendila tu: sei sua sorella, tu puoi farlo. O forse no?
Daphne sorride.
«Quanto credi che io sia disposta a cancellare?» sussurra, posando la tazza sul tavolino. «Sappiamo entrambi che, qualunque cosa io riesca a dire, sarebbe solamente una pezza da incollarci sopra».
Suo cognato sospira, si siede al suo fianco, nascondendo il viso tra le mani: forse, davanti a lei, potrebbe persino piangere.
«Ma lo faresti» non è una domanda, è una pretesa. «Se ti chiedessi di salvarla, Daph, tu lo faresti».
Lei lo guarda – e c’è gentilezza in quegli occhi congelati, c’è gentilezza in quel viso affilato: troppa, per una Serpeverde che s’è innamorata di un Grifondoro. Troppa, per una donna che ha visto la sorella infrangere patti sacri – e la loro stessa sorellanza – pur di ridar vita a un amore egoistico.
Fred Weasley è morto oggi.
«Certo che lo farei» risponde Daphne, ma ha una mano posata protettivamente sul ventre ancora piatto. «Parliamo di mia sorella, Draco, certo che lo farei. Ma… io penso che lei semplicemente non lo voglia. Non ha fame di sopravvivere a tutto questo, non vuole rimanere a galla».
Draco inghiotte un respiro troppo rumoroso, Daphne gli prende una mano e la stringe forte – ha il viso rigato di lacrime.
«Io non so dimenticare» sussurra, così piano che si sente solo lei. «Ma, se me lo chiedesse lei, e lo ha fatto, lo farei».
 
***
 
Il giorno che te ne sei andato io c’ero, ero seduta al centro della sala e mi stavano guardando tutti: poco importava che il processo non fosse per me o che fosse giusto, ingiusto, invocato da lei, da qualcun altro, da te persino. Guardavano tutti me.
Come se fossi io, la colpevole, rea d’aver nome comune e somiglianza con mia sorella – rea d’avere un amore in comune con voi: non ci crede nessuno, che per me George possa essere casa e protezione, e non una copia immateriale di quel che eravate voi.
Mi perdonerai, Fred, se io ho visto la scena e già conoscevo il resto: Asteria non ha mai creduto nel futuro, nell’Occhio Interiore, nella Veggenza e in tutte quelle arti in cui io mi immergo come fossero salvezza quando invece sono solamente rovina. Io sì. Io ho sempre creduto, perché forse la morte non la so prevedere, ma la rovina sì – e la vostra l’ho vista, l’ho toccata con mano sporcandomi di terra e perdendo le unghie della mano sinistra.
In un’esistenza che è scolorata in un rosso intenso, io vi vedo ancora e vorrei avervi qui entrambi: ma il cosmo non mente mai e, sul fondo della tazza di tè, c’era scritta la ballata dedicata a voi.
Asteria ha sempre amato la prima parte della storia. L’amore folle, Salazar che fa di tutto per riportare a sé Corinna dalle belle mani e dalla voce d’usignolo, la guerra tra fratelli, la morte ingloriosa che li ha colti entrambi.
A Tosca Tassorosso non ci ha pensato mai: in verità, credo che nessuno che conosca questa ballata riesca mai ad avere un pensiero per la donna dagli occhi di ghiaccio, perdutamente innamorata dell’uomo che mai l’avrebbe guardata. Innamorata dell’amore di sua sorella e suo fratello, Tosca li ha amati entrambi presoffrendo la loro fine: in una tazza piena di tè, ne ha visto l’infelice dipartita e ha taciuto.
Silenziosamente s’è sporcata la sottoveste, quando febbrilmente Salazar ha scavato una fossa per Corinna dai capelli d’ebano, a mani nude, per risvegliarla da quel mondo fatto solamente di morte e disperazione.
Tosca Tassorosso vedeva, Fred, così come vedo io.
Vi ho visti crescere insieme, nell’ombra stanca di Hogwarts, amarvi per il suono di uno schiaffo che per voi è stata tiepida melodia. Ma vi ho visti anche separarvi, allontanarvi, e non ritrovarvi più – e, se Asteria non ha mai dimenticato, tu sei finito in un posto che è tutto una gigantesca dimenticanza.
È che noi Greengrass sappiamo innamorarci una volta soltanto, ha detto mia madre, rimasta vedova subito dopo la nascita di Asteria. Poi non ci riusciamo più.
Sono tornata nel giardino dove vi siete rincontrati: della Magia Oscura, niente è rimasto, come il Paradiso non ha lasciato traccia tangibile – ma, se lo era, allora era anche cancellabile.
E a noi che è rimasto?
Forse, brandelli di ricordi. Un prato tagliato all’inglese che nasconde cieli stellati, bambini che giocano a rincorrersi tra gli alberi, le lacrime di un salice piangente e infine quello che io amo di più,
 
 
[i fiori]
 
[Daphne]

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Capitolo 3
*** Quel che c'è rimasto ***




E mi manca la tua voce (oramai)

Sei un po’ bambina, le dice lui con rimpianto, guardandola sorridere per farlo sorridere – quando, voglia di sorridere, non ne hanno nessuno dei due.
«Non te l’ho chiesto io, di guardarmi».
 
3. Quel che c’è rimasto
 
[Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e]
 
E non ti ho chiesto di guardarmi
(Celeste Gaia, Un Millimetro)

 
 
D’arrendersi, Draco Malfoy non s’è arreso mai – ma, quando arriva l’ultimo giorno del processo, l’ultimo attimo, si rende conto che non gli è rimasta poi così tanta speranza. Forse, si dice, non ne è rimasto nemmeno un surrogato.
Ma il Ministro della Magia non smette d’esser saldo e, anche quando chiama a testimoniare la Medimaga che ha avuto in cura Asteria Malfoy durante i giorni del processo, non le trema la voce – ma Draco è un osservatore attento e, se ne rende conto perché ormai si è arreso al processo semplice e ovvio del doverla guardare, un po’ le tremano le mani.
Si chiama Anne-Marie Lewis: cognome inglese per nome francese, singolare mescolanza la sua, ma il sangue non mente e il suo ha la lavanda della Provenza a profumarla – quando si siede sulla sedia, di fronte a tutto il Wizengamot, ha i capelli perfettamente acconciati in una treccia a spina di pesce e gli occhi scuri sono saldi.
Nome, cognome, data e luogo di nascita. Tutte informazioni futili, inutili, che Draco si rifiuta di registrare: silenziosamente, la odia già, quella donna – ha frugato nella mente di Asteria, estraendone il suono di uno schiaffo e il rimbombo di un amore ormai terminato. È che è lui a volerlo credere terminato, mai esistito, insensato e così non è.
Sua moglie si è spaccata le unghie e l’anima su quella terra dura, nuda, cercando di ricostruire la vita di Fred Weasley.
Sua cognata s’è spaccata il cuore su quella vicenda, cercando di difendere la sorella con ogni brandello di lacrima che le è rimasto – che George Weasley le ha permesso di versare.
«Dottoressa Lewis» la voce di Hermione spacca i suoi pensieri, deformandoli. «Potrebbe quindi riassumere, a beneficio di noi tutti, il suo parere professionale riguardo il caso di Asteria Malfoy?».
La Medimaga china il capo, come se stesse riflettendo, prima di guardare senza timore ogni singolo membro del Wizengamot.
«La signora è un caso difficile» comincia, incerta. «La sua testa… è confusionaria, lei stessa è confusa».
Draco pensa allo sguardo di sua morte nel momento in cui le hanno detto che Fred Weasley è morto ieri, pensa all’urlo che l’è uscito fuori dalle viscere e pensa a come si sia strappata i capelli con quelle mani ancora fasciate, ancora ferite. Ci pensa e non riesce a trovarla confusa o confusionaria: è lucida, nel proprio dolore, follemente seria nel dire che adesso ha smesso d’avere altri motivi per vivere.
Asteria Greengrass ha dimenticato. Suo figlio, che ha sei anni e in questo momento dorme nel lettone dei genitori, suo marito, sua sorella. Tutto ha perso di importanza, di senso e di significato, così che adesso niente conta se non il fatto che di Fred Weasley non rimane altro che polvere di stelle.
«Si spieghi meglio» la esorta il Ministro, calma. «Sta sottintendendo che la signora non sia in grado di intendere e di volere?».
Draco Malfoy trema quanto le mani di Hermione Granger, nell’udire la risposta di Anne-Marie Lewis. Inizialmente, non la comprende nemmeno.
«D’esser pazza non so dire se lo sia» sussurra la Medimaga, torcendosi le mani. «D’altronde, nemmeno siamo sicuri di cosa sia, la pazzia».
La donna fa una pausa, sospira, prima di lanciare uno sguardo carico di scuse diretto a Malfoy – l’investe, facendolo tentennare.
È quello, il momento. Quello in cui il Paradiso si incrina e inizia a crollare giù, in una miriade di cocci insensatamente affilati – e cosa rimane, lì, nell’alto dei cieli?
Rimane lo sguardo speranzoso della Granger, un po’ da bambina, che ancora si aspetta che Asteria Malfoy venga scagionata solamente perché lei lo spera.
«Ha bisogno di un colloquio più approfondito?» domanda, speranzosa. «Non sarebbe un problema, prolungare il processo di qualche altro giorno: noi non condanniamo innocenti».
Draco, in quel momento, le è intimamente grato – ma ha compreso prima di lei che non v’è speranza, non ve n’è stata mai.
Perché la Medimaga scuote il capo, e una ciocca di capelli nerissimi sfugge da quell’acconciatura inappuntabile, e semplicemente lo dice. In maniera chiara, limpida, senza alcun orpello – e Draco non può fare finta di non comprendere, così che si ritrova la propria mano stretta in quella di sua madre che, ghigno teso e perso di chi subisce l’ennesima sconfitta della propria vita, scuote il capo con aria disillusa. Speranza per speranza, meglio sentirlo così che apprenderlo in altre maniere.
Un urlo soffocato riecheggia nella sala – Daphne Greengrass è svenuta tra le braccia del compagno, nel mare di Weasley presenti in quel processo privato e al contempo pubblico, e George Weasley sta borbottando qualcosa in direzione di suo padre. Forse, un tentativo di difesa.
Ma Draco è lì, fermo, e guarda Hermione Granger – e lei guarda lui: hanno udito entrambi e, ormai, la sentenza è inappellabile.
«Ma di una cosa sono certa, Ministro» ha sussurrato la Medimaga Lewis, calma. «La signora Malfoy ha agito con piena cognizione di causa».
Hermione sospira: sa che adesso le toccherà proporre, farà votare una condanna che sarà giusta ma soprattutto ingiusta, e allora sarà sempre e comunque una condanna sprecata nei confronti di una donna resasi colpevole solamente d’aver amato troppo e troppo a lungo.
«Facciamo una pausa» propone, conciliante. «Ho bisogno di riflettere e ormai è ora di pranzo: la corte può riunirsi nuovamente nel pomeriggio».
Si apre un mormorio – c’è chi vuole il sangue, chi invoca pietà, chi semplicemente è curioso della conclusione. Ma al Ministro Granger non importa.
Si alza dal proprio scranno, con tutta la calma e la dignità che possiede, e a passettini s’avvicina alle file dei testimoni – che oggi ospitano famiglie, amici, il marito.
Nessuno muove un fiato mentre alza la mano e scuote per una spalla Draco Malfoy, che sta soffocando in un singhiozzo silenzioso, prendendolo per un braccio e trascinandolo nella sua scia. Lui si lascia trainare, senza dire una parola, fuori dall’aula.
Sua cognata, i capelli rizzati come quelli di una Gorgone, lo pietrifica con un urlo sulla soglia della porta, congelandolo in quel grido – sei già pronto a tradirla, Draco?
 
***
 
Hermione sigilla la porta del bagno, silenziando la stanza – lui non lo dice ad alta voce, ma sa qual è il motivo: vuole permettergli di piangere e lui non riesce nemmeno a farsi pregare così che, appena lei posa la bacchetta, un singhiozzo gli squarcia in due il torace. Draco si lascia scivolare sul pavimento, nascondendo il viso tra le ginocchia.
Lei non dice niente: si lascia scivolare di fianco a lui, silenziosa, sfiorandogli la spalla con la propria. Dopo una manciata di minuti, lui riemerge dai propri pensieri e le dedica uno sguardo (solo, disperato) e le pone la domanda.
«E adesso?» sussurra, passandosi una mano tra i capelli radi. «Adesso cosa le succederà?».
Hermione sospira, esausta. «Dopo la dichiarazione della Medimaga, nessuno voterà mai per rimandarla a casa» spiega, con professionalità crepata dal dispiacere. «Voteranno tra la reclusione al San Mungo o ad Azkaban, Malfoy. Mi dispiace».
Lui vorrebbe mettersi a gridare ma, quando apre la bocca per compiere questo gesto così elementare, non esce alcun suono – così la guarda, producendo un sibilo rauco e disperato, prendendole la mano con aria disperata. Fa qualcosa, sembra dirle, ti prego.
Hermione Granger – il Ministro inflessibile, ferreo, del Mondo Magico – ha gli occhi lucidi e sta tremando.
«Mi dispiace così tanto» sussurra, stringendogli le mani. «Ho fatto di tutto per salvarla, Malfoy, ma…».
Lo pensa per la prima volta in quel momento, Draco, mentre lei lo guarda e ha il labbro inferiore che le trema: sembra una bambina, la Granger, una bambina scarmigliata che lo guarda con quegli occhi tondi come scodelle e colmi di lacrime.
«Pensi che sia sciocco?» le sussurra, a capo chino. «Aver amato così tanto una persona che, d’avermi amato, forse non mi ha amato mai».
Lei vorrebbe non essere tanto razionale: dirgli che non vi trova niente di sciocco o insensato, nell’amore privo di limiti, ma è sciocca anche lei – e allora, sciocchi in due, si guardano con quell’aria un po’ disperata di chi non conosce tregua nel proprio animo. Tormentato, lo sguardo che Malfoy le lancia, e che lei non sa quietare. Asteria Greengrass c’è mai riuscita?
«A volte» sussurra, infine. «Credo sia necessario amare un’ombra, per uscirne rinsaldati».
Lui ride. «Cazzate» sibila, scuotendo il capo. «Asteria non era un’ombra, lei… non so di cosa sia fatta, forse è per davvero da pazzia e acqua stagnante. Ma, forse, anche soltanto per un secondo…».
Lei lo ha amato. Una certezza piccola, vana, quella di Draco.
Hermione non glielo dice. Sulla scrivania al Ministero Asteria Greengrass non teneva fotografie, se non un’istantanea del Ballo del Ceppo nascosta tra un plico di documenti e il successivo – l’unico momento in cui era riuscita a strappare un ballo a Fred.
Draco Malfoy scuote il capo, come per liberarsi di quel pensiero fastidioso, e la guarda dritto negli occhi. Chissà cosa ci starà vedendo, si domanda Hermione, quieta, che mondo vi starà interpretando.
«Lo sai, vero, che troverà il modo di morire, piuttosto che vivere separata da lui?» sussurra, masticando quelle parole amare. «Che si avvelenerà, si strapperà via l’anima a unghiate, ma lei non sopravvivrà a questo processo».
Hermione lo sa e teme quando le comunicheranno la sentenza – giusta o ingiusta ma che, in qualche modo, Asteria Greengrass già conosce.
Le hanno preso tutti i ricordi. Qualcuno le ha riferito che ha pianto, nel rivedersi giovane e innamorata, ma che ancora di più ha singhiozzato nel rivedersi ancorata a un redivivo Fred Weasley.
Poi, ha chiesto carta e penna e ha scritto una lettera e nessuno ha saputo ben dire a chi fosse indirizzata – a Fred? A suo marito? A suo figlio? Al Ministro?
Nessuno l’ha letta mai. Forse, invocava clemenza – ma Asteria Greengrass, che s’era vista strappare la vita dalla vita stessa, che clemenza avrebbe mai potuto invocare?
Non quella di Salazar Serpeverde, che la vita se l’era avvelenata nel fallimento, nella delusione.
Non quella di Corinna dai polsi fragili, che la vita forse nemmeno l’aveva desiderata più e, allora, semplicemente l’aveva restituita a chi di dovere – che quando il cuore ti si spezza i tentativi di ricostruirlo sono vani e inutili.
Non quella di Tosca dai begli occhi di ghiaccio, che aveva visto tutto e presofferto il resto in un sorso di tè nero: fatta non era stata per vivere senza amore, eppur senza amore s’era dovuta arrendere a passare il resto dei suoi giorni.
E, sul finire, nemmeno Godric.
L’altro uomo, l’amico, il fratello, colui che avrebbe potuto essere il marito se Madama Corvonero ne avesse accettato il nome per sé – e non l’aveva fatto mai. Avrebbe mai potuto, Asteria Greengrass, pregare Godric Grifondoro?
Asteria forse no. Hermione sì.
«Credo sia la prima volta in cui non so cosa fare» ammette, in un sussurro. «Devo condannarla, Malfoy, ma come posso mandare a morte qualcuno senza dirgli che deve morire?».
Lui scuote il capo. «Fallo e basta» sussurra, rassegnato. «Forse non dovrei provare rancore, ma… cosa mi è rimasto, del mio matrimonio?».
Hermione pensa a Godric – al fallimento di ogni battaglia, di ogni preghiera e, infine, di una spada infilzata al cuore di Salazar Serpeverde: non c’è stato tenzone, solamente un lasciarsi morire e Godric non ha vinto, non ha trionfato, ha solamente riportato ordine nell’ordine e caos nel caos.
Cos’è rimasto?
Non frammenti di stelle, non foglie di alloro o stupide infiorescenze, non polvere di speranza o stupidi sogni infranti.
«Tuo figlio, Draco» sussurra Hermione, con una calma che non riesce a provare. «Qualcosa di buono ti è rimasto per forza».
Ma lui ride, così forte che le fa temere gli si possano spezzare i polmoni, e la guarda con gli occhi pieni di lacrime.
«Ci sono rimasti i bambini» sussurra, prendendole l’anima nuda tra le mani. «Che altro abbiamo, io e te? Matrimoni falliti, vite incrinate e i bambini».
Lei vorrebbe contraddirlo, difendersi, ma lui le fa passare una mano dietro il capo e la costringe in un bacio che non ha senso e non ha scopo – quando si staccano, sta ridendo.
«Mi hai dato uno schiaffo» le sussurra, alzandosi e lasciandola lì, perplessa. «Mi hai dato uno schiaffo».
 
***
 
Quando la condannano, lei ride, ride, ride.
Asteria Greengrass-Malfoy rimane in piedi al centro della stanza, in un vestito bianco che pare a metà tra una camicia da notte e un abito da sposa sfrangiato, lì sulle ginocchia, e li guarda tutti – uno per uno, li fa rabbrividire. Si sfrega i polsi sottili, come bastoncini per accendere il fuoco, e in quegli occhi chiarissimi si consuma il vero incendio, la vera guerra: lì dentro, Salazar e Godric stanno combattendo per l’onore di Corinna dai capelli color carbone, mentre Tosca ne piange la morte (di tutti e tre).
Le dicono che non dovrà andare ad Azkaban, nessuno ha avuto il coraggio di mandare una donna così giovane, così fragile, a passeggiare tra le mura scoscese della prigione dei maghi. Ma, se non Azkaban, una stanza bianca – bianchissima – al San Mungo: le dicono che dovrà passar lì il resto dei suoi giorni, perché la sanità mentale è ingiudicabile, ma la sua sicuramente è marcita come quei tulipani che lei ha reciso a mani nude. Avrà amore, assistenza, le visite dei suoi parenti – quando glielo dicono, lei comincia a tremare convulsamente e le devono portare una sedia, perché Asteria Malfoy non si regge più in piedi.
Suo marito nemmeno la guarda negli occhi – ha colpa silenziosa dipinta sul viso, tracce di rossetto a colorargli le labbra, e Asteria se ne accorge e sorride: bravo, gli ha sussurrato passandogli di fianco, vedo che hai compreso. Che a volte uno schiaffo ti riavvia il cuore più di un bacio e tu ci hai messo così tanti anni per comprenderlo – a volte amiamo persone per anni e nemmeno ce ne rendiamo conto.
Le dicono che avrà una Medimaga che si occuperà di lei giorno e notte, che potrà persino scegliere Audrey Weasley, se lo vorrà, ma Asteria non ascolta. C’è un mondo che le si agita in mente e nessuno, nell’aula fredda del Wizengamot se ne rende conto.
«Posso parlare?» sussurra, lei, crepando l’aria con quel sussurro. «Ministro, che ne sarà di mio figlio? Potrò vederlo?».
Hermione lo dice. Lentamente, con dolcezza, che i bambini non possono entrare nell’ala psichiatrica dell’Ospedale Magico – se non con il consenso dell’altro tutore.
Asteria guarda suo marito: il viso di Draco è una maschera di marmo ed è chiaro – chiarissimo – che quel permesso non lo avrà mai. In un bacio, suo marito s’è avvelenato di rancore.
Allora lei lo guarda, semplicemente, si rialza in piedi: muove un passo, ride, cade, non si rialza. Sul pavimento, tossisce.
Il Ministro della Magia si alza in piedi in un fruscio di gonne color tortora, correndo con la bacchetta, in mano, pronta a soccorrere quella donna che lentamente si sta lasciando scivolare via – ma Asteria Greengrass la guarda con aria di sfida, tossendo una macchia di sangue sul pavimento.
Hermione fa per mormorare un incantesimo – un qualunque incantesimo – ma non le vengono le parole. Draco Malfoy, alle sue spalle, le posa una mano sul braccio e scuote la testa.
 
***
 
«L’hai lasciata morire».
Hermione cammina avanti e indietro per il bagno torcendosi le mani, la bacchetta dimenticata a tener sui capelli in un uno chignon disordinato.
«Tu hai lasciato morire tua moglie» sibila, tornando a guardarlo negli occhi. «Come lo dovrei considerare, Malfoy? Omicidio?».
Lui non risponde – incredulità ne distorce i tratti e gli impedisce di dire anche solamente mezza parola, anche solamente di guardarla. Ha visto sua moglie. L’ha vista accasciarsi al suolo e sputar sangue come fosse aria dai polmoni e non ha fatto niente per farla smettere.
«Mi ero già rassegnato, Granger» ammette, piano. «Che avrebbe trovato un modo per morire prima della fine del processo».
Lei lo guarda – sospetto, in quegli occhi scuri: ha visto l’espressione rassegnata con cui ha lasciato crollare Asteria Greengrass sul pavimento, tossendo sangue, senza muovere un muscolo. Che si dica pure che i Malfoy non hanno un briciolo di coraggio nelle vene: è tutto vero. Che si continui a dire che Draco Malfoy è un codardo ma che, soprattutto, non sa amare – è vero ancora: non si sa se faranno un’autopsia a sua moglie, ma ne rinverrebbero sogni e cuore infranti.
È quel che domanda il ministro – vuoi che ne facciamo un’autopsia – gli pone silenziosamente ed è quella la domanda cui lui non risponde.
«Andiamo via di qui» le sussurra, pianissimo, tendendole la mano con aria disperata. «In un posto dove non importa se io sono io e se mia moglie è appena morta davanti a me».
Lei è di nuovo – ancora – bambina e lo guarda: ha risentimento, voglia di rimproverarlo, dentro di sé. Non lo fa, non lo fa mai – nelle mani di lui è plasmabile, ha di nuovo sei anni e vuole giocare: così Hermione Granger gli prende la mano e Draco Malfoy è ancora disperato (un po’ di meno) e paiono la parodia stempiata e stanca dei loro figli. Cos’hai detto che c’è rimasto del Paradiso?
«Malfoy» il tono di lei è pieno di rimprovero. «Certo che importa che tua moglie sia appena morta accanto a noi. Ci sarà un’autopsia, mentre noi stiamo qui a parlare e…».
«Ehm, Ministro?».
Hermione alza gli occhi al cielo, nel sentire la voce di Biggs, il proprio assistente, bussare alla porta del bagno.
«I risultati dell’autopsia di Asteria Greengrass-Malfoy» continua l’uomo, con insolito entusiasmo. «Ho pensato che volesse vederli prima di subito e così».
Lei gli spalanca la porta davanti, afferrandogli i documenti dalle mani e tornandogli a sigillargli la stanza di fronte al naso. Legge attentamente il referto, come si trattasse della propria, di morte e, quando finalmente guarda Malfoy, ha gli occhi spalancati come una bambina.
«Si era avvelenata» sussurra, pianissimo. «Hanno trovato tracce di arsenico nel rossetto che aveva indossato quella mattina».
Draco Malfoy ride così forte da farsi dolere i polmoni e farsi venire le lacrime agli occhi mentre Hermione Granger, il Ministro della Magia, riesce solamente ad abbracciarlo sussurrandogli che non ci saranno altri processi. La morte di Asteria Greengrass è da considerarsi suicidio.
Ma allora, del Paradiso, cosa c’è rimasto?
 
***
 
Il funerale di Asteria Greengrass è terribilmente solitario: i Weasley non hanno voluto partecipare. Solamente George ha rotto il veto di famiglia e si è presentato alla funzione con un elegante completo nero e Daphne Greengrass in veletta grigio perla al braccio: una coppia insolita, la loro, ma non per questo meno funzionante – mi piacciono i fiori, ha detto lei posando una corona di stelle di Natale precoci sulla tomba della sorella, penso piaceranno anche a lei.
Non si sono presentati amici, forse intimoriti dalle dicerie riguardanti un possibile avvelenamento della donna da parte del marito.
Herbert Greengrass è morto ormai anni fa, in occasione della Battaglia finale, ucciso da Bellatrix Lestrange in persona – qualcuno aveva fatto il suo nome e una testa era rotolata, fino a giungere ai piedi di Lord Voldemort.
Silena Greengrass non era sopravvissuta a lungo, prima di rendere doppiamente orfane le figlie, lasciandole in un maniero silenzioso e fatto di spifferi e ragnatele: morta di solitudine e crepacuore, la signora Greengrass, aveva chiesto dolcemente alla maggiore d’aver cura della minore e così era stato. Per un po’.
Poi, un giorno, Asteria s’era innamorata – o s’era ricordata d’esser stata innamorata, più precisamente, e allora era stata una discesa sempre più veloce verso l’inferno. Rosso, quell’inferno, come i capelli che aveva accarezzato in un tempo che pareva perduto, che sicuramente era passato, ma mai sepolto o comunque soggetto a dimenticanza.
Poi, un giorno, s’era innamorata anche Daphne – per sbaglio o per errore, in quel momento Daphne aveva aperto gli occhi e s’era resa conto che era tutto monocolore, rosso, come i capelli cui s’appigliava durante ogni amplesso. Il rapporto con sua sorella s’era lentamente deteriorato fino a rompersi completamente – gelosia folle, da parte di Asteria, forse brandelli di invidia: Daphne aveva ottenuto quel che lei aveva perso per sempre.
Draco Malfoy s’è presentato senza il cuore spezzato, ma con l’anima comunque in frantumi e un corteo di amici pronti a sostenerlo. S’è presentato in un elegante completo nero, il figlio di sei anni abbracciato alla sua gamba sinistra, incapace di comprendere cosa stesse succedendo e i capelli biondi come una ferita nel paesaggio.
Blaise Zabini e sua moglie Olive facevano eco al corteo funebre, con i loro completi viola scuro, subito dietro Draco e Scorpius, seguiti da Theodore e Pansy Nott, e dai coniugi Goyle.
Non è voluto venire nessun altro – amici Asteria pareva non averne e, se ne aveva, il coraggio di presentarsi non lo hanno avuto: solamente una donna ha sfidato il gelo e il freddo per posare un mazzo di biancospino su quella tomba un po’ troppo spoglia.
Il Ministro della Magia, elegantissimo in un completo blu scuro, ha tenuto la mano della propria figlia maggiore, fino a incontrare lo sguardo sorpreso di Draco Malfoy.
«Non pensavo saresti venuta» commenta, lui, sorpreso. «Grazie per averlo fatto».
«I morti meritano rispetto» risponde lei, chinando il capo. «A prescindere dal tipo di morte».
Si guardano negli occhi – c’è spazio per molto altro, ma non riescono a dirselo.
 
***
 
Il giorno dopo s’incontrano.
Fingono che sia per caso, ma in realtà dietro ogni caso vi è una certa dose di premeditazione e allora loro premeditano di incontrarsi al Ministero, nell’ufficio di lei, con un’udienza fissata per la durata di ben due ore: per discutere del processo, spiega lei a chiunque sia disposto ad ascoltarla, così è conferma lui quando glielo domandano, ma entrambi sanno che stanno mentendo a loro stessi.
Che Hermione quel giorno è più nevrotica del solito e continua a far cadere le penne dal portapenne, facendole cadere come i raggi di una ruota sul pavimento, e poi a strappare l’angolo dei fogli di pergamena che le passano da firmare, dove rovina il proprio nome – Hermione Jean Granger – con una goccia d’inchiostro innecessaria.
Che Draco quel giorno si è sistemato il completo da Mago almeno una decina di volte allo specchio, stringendo e allargando la stoffa con misurati colpi di bacchetta. Suo figlio lo guarda, riflesso nello specchio, e prova ad acchiapparne l’immagine con le ditine paffute – non ci riesce mai, ma Draco continua a sistemarsi il completo, come se non dovesse incontrare il Ministro ma Dio in persona.
Il giorno dopo s’incontrano e, come due perfetti sciocchi, hanno portato con loro i due bambini, che s’osservano curiosi.
«Biggs» chiama Hermione, con una calma innaturale che non prova. «Porteresti Rose e Scorpius all’asilo del Ministero, sì? Io e Malfoy abbiamo una riunione cui presenziare».
Lui pensa che riunione sia un termine volutamente ambiguo, e le rivolge uno sguardo perplesso, che Hermione non ricambia – forse volontariamente.
Lei gli fa strada fino al suo ufficio, indicandogli la sedia posta di fronte alla propria, mentre lei si siede sulla propria poltrona, accavallando le gambe.
«Mi stavi aspettando» commenta lui, osservando come le matite siano state poste ben lontane dal bordo della scrivania. «Non posso che dirmi onorato, Granger».
Lei sorride, ha il rossetto sbaffato sui denti e nemmeno se n’è resa conto – un piccolo sbaffo nella sua vita perfetta, nella sua carriera perfetta: Hermione gli tende la mano, come avessero bisogno di presentazioni, e gli fa cenno di parlare.
«Cosa posso fare per portarti a cena fuori?» domanda lui, compitamente. «Per ringraziarti per avermi aiutato nel processo con mia moglie».
Lei si rizza sullo schienale della poltrona, mettendo in mostra le spalle ben dritte e un sorriso di circostanza. «Ma nulla» trilla. «Non è necessario e non sarebbe nemmeno etico, Malfoy».
Lui sorride – gli si spacca in due la faccia, lineamenti affilati come quelli di una bellissima statua di vetro.
«Io lo reputo necessario» risponde, pacato. «Ministro, forse per te non è importante, ma… quello schiaffo…».
A lei fa ridere l’intensità con cui pronuncia quella parola, ma trattiene la risata nel rossetto rosso un po’ sbaffato, e gli rivolge uno sguardo serissimo.
«Avevamo tredici anni e io lo ricordo a stento» risponde, calma. «Non fare di un caso il processo». Non gli dice che lo ricorda benissimo, che è un suono che le rimbomba dentro come riaccadesse a intervalli di cinque minuti, ma sorride dolcemente e gli indica la porta.
«Se è tutto qui, signor Malfoy…» suggerisce.
«Vieni a pranzo con me» sussurra lui, abbandonando ogni formalità. «O a cena, se preferisci. Ho bisogno di sapere se Asteria aveva ragione, se davvero lo schiaffo è l’anticamera di qualcosa di più».
«Tu vaneggi, Malfoy» commenta il Ministro, alzando gli occhi al cielo. «Ora, per cortesia, esci dal mio ufficio».
Ma lui si alza e si avvicina a lei a grandi passi: non è imponente, l’età l’ha mantenuto smilzo, ma nemmeno lei è mai stata famosa per essere una donna dalla statura particolarmente elevata. Per un momento si scrutano, silenziosamente, con lui che le sfiora il mento con la mano e tituba, domandandosi se avrà il coraggio – Hermione è certa che non lo avrà, finché lui non si china su di lei e le ruba dalle labbra un bacio.
Lei non riesce a non ricambiarlo, a non approfondirlo, a non gettargli le braccia al collo per attirarlo verso di sé. Semplicemente non riesce.
Così lui s’insinua tra le sue gambe, scostando i lembi della gonna color tortora, divorandole le labbra in quel bacio inutile e insensato che ha il suono e il sapore di uno schiaffo – e, mentre le sbottona la camicetta, mentre lei s’aggrappa alle sue spalle, un solo pensiero gli invade la mente: Asteria Greengrass aveva pienamente e perfettamente ragione.
Non importa quanto lui possa sfiorarle il petto a mani nude, quanto lei possa coprirsi pudicamente i seni: quello schiaffo li ha uniti, li ha resi pienamente complementari.
«Malfoy» sospira Hermione, sentendosi liberare dalla gonna color tortora. «Non dovremmo. I nostri figli sono a giocare al piano di sotto».
«Dovremmo» risponde lui, slacciandosi i pantaloni. «Perché tu sei fatta per me e io per te, da quando avevamo tredici anni e tu mi hai dato quello schiaffo».
«Che cazzata» sussurra lei, attirandolo a sé. «Trovane una migliore».
Lui ride, entrandole dentro in un sussulto. «Non ne ho, una migliore» le sussurra, cominciando a muoversi dentro di lei. «So solo che sei fatta per me e lo eri già prima che io conoscessi mia moglie».
Lei sospira, socchiudendo gli occhi sotto l’impeto delle spinte di lui.
«Non può funzionare» gli sussurra, stringendolo a sé con tutta la forza che le sue gambe snelle le permettono. «Non può».
Lui la guarda dritta negli occhi, snudandole l’anima fino al punto più puro, facendola arrossire.
Sei un po’ bambina, le dice lui con rimpianto, guardandola sorridere per farlo sorridere – quando, voglia di sorridere, non ne hanno nessuno dei due.
«Non te l’ho chiesto io, di guardarmi» sussurra, a disagio. «Come se ci appartenessimo».
«Non temere» risponde lui, alzando la mano, a metà tra una carezza e uno schiaffo. «Ci apparteniamo».
 
***
 
Cara Asteria,
 
Sono mesi che provo a scriverti questa lettera e, tutto quello che mi viene in mente, è il rumore di uno schiaffo: così sei entrata nella mia vita (con un racconto di George) e così tuo marito si è insinuato nella mia, con delle frasi da film e il tuo fantasma che ci benediva silenziosamente. Ho sempre creduto che, in un certo senso, tu fossi dalla nostra. Che ci avessi benedetto il giorno del processo, quando ti sei presentata in un abito da sposa sfrangiato e ci hai sfidati a condannarti per aver amato troppo – io, che pur avrei dovuto presiedere la giuria, di condannarti non ti avrei condannata mai.
Ho pensato che ci avessi benedetto il giorno in cui sei arrivata e non hai voluto baciare tuo marito, per salvarlo dall’arsenico nascosto nel rossetto che avevi ingerito con grazia, senza farti notare, e allora l’ho pensata come l’ennesima personalissima benedizione che ci hai dedicato. E hai benedetto tuo figlio posandogli la mano in capo, con freddezza hanno detto di te, ma in verità avevi semplicemente paura di sfiorargli anche solamente il viso con le labbra.
Dicono che Scorpius sia il ritratto di Draco. Io, invece, trovo che tutto sommato somigli a te – ha qualcosa, in quegli occhi azzurri come una pervinca, che sa di te: a volte mi domando cosa ci abbia lasciato il Paradiso, di tutto quel che abbiamo perso, e la risposta non è mai facile.
Avrei detto le stelle – una cometa che s’infrange con dolcezza sulla terra, senza far male: esprimi un desiderio, coraggio, te lo regalo. Io lo so, che desiderio hai espresso tu, ma non c’era speranza che potesse tenere – non c’era schiaffo abbastanza forte che potesse rimbombare nell’aere.
E avrei detto le stelle solamente per dire di te, che ci stai guardando ancora e a volte sorprendo Scorpius al davanzale con le mani giunte e mi dice che sta pregando e prega mamma.
Avrei detto che erano i fiori – le stelle di Natale che tua sorella ti ha lasciato sulla tomba, premature, dato che era ancora novembre: a lei piacerebbero sicuramente, mi ha detto, amava i fiori come poche altre cose. Persino le infiorescenze inutili come quelle dell’alloro, ha detto Daphne, amava anche me, anche se diceva che ero stata capace di tradirla.
E lei forse non ci crederà mai, ma io so che nel giardino di Dio in cui ti trovi, tu, tua sorella l’hai perdonata.
Ma, in realtà, adesso so che non è niente di tutto questo: che quel che ci hai lasciato del Paradiso non sono né le stelle né i fiori.
Sono Rose e Scorpius che giocano fuori da Malfoy Manor a rincorrersi, senza cadere mai, e di fermarsi non ci riescono mai.
Non sono le stelle, mi ha detto Draco, guardandoli, né i fiori. Il Paradiso ci ha lasciato
 
[i bambini]
 
 
[Hermione]


 

2T. S. Elliot, La Terra Desolata

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