La vita alta fa tendenza (E altri dieci imprescindibili dettami di moda)

di Ellery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Allora? Come è andato il volo? ***
Capitolo 2: *** Al mio caro amico Gianfranco ***
Capitolo 3: *** Ma che ne sai tu d’alta moda? ***
Capitolo 4: *** Quindi… hai scritto un libro? ***
Capitolo 5: *** Ho fatto un brutto sogno... ***
Capitolo 6: *** Non è il caso di farne un dramma ***
Capitolo 7: *** Dove diamine sei quando mi servi?! ***



Capitolo 1
*** Allora? Come è andato il volo? ***


1. Allora? Come è andato il volo?
 
Introduzione: Buonasera!
Era da un po' che meditavo su questa ff e ho finalmente trovato la voglia di scrivere il primo capitolo. Mi ero presa una pausa dopo aver finito la precedente, ma in questi giorni mi son detta: perchè non riprovarci? Perchè non buttare giù quel sequel che mi ero ripromessa di scrivere? La voglia di riprendere le disavventure dei due sfortunati protagonisti (che indubbiamente mi odieranno, ormai) si è nuovamente fatta sentire e quindi... ho riaperto Word e ho ricominciato a buttare giù qualche spunto. 
La premessa è d'obbligo: questa ff è il sequel de "
La cura del gatto per negati (e altri novantanove pratici consigli per diventare Imperatori del Male)". Credo possano essere lette anche in maniera indipendente, ma se desiderare recuperare la prima, vi lascio qui il link:

https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3878986&i=1

Se, invece, preferite cimentarvi subito con questa, lascio di seguito un paio di dettagli che potrebbero servirvi (ma che spoilerano il finale della precedente, quindi non leggete se avete intenzione di recuperare la precedente)
[SPOILER]
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La cura del gatto per negati (e altri novantanove pratici consigli per diventare Imperatori del Male) - Riassunto:
Hux trova un gatto a bordo del suo Star Destroyer. Peccato che non sappia assolutamente nulla di felini e  chiedere aiuto a Kylo Ren si rivela una pessima idea. Dopo una serie di disavventure, i due sfortunati protagonisti si ritrovano a dover recuperare i loro stessi corpi, usurpati da due gatti potenti nella Forza. Per farlo, dovranno chiedere aiuto alla Resistenza, guidata dal generale Organa. Le peripezie e le difficoltà non mancano, ma alla fine i due riescono a ritornare nella loro forma originale (o quasi). Tuttavia, per proteggere il figlio ormai privato della Forza, Leia destina i due ad un "pianeta lontano lontano": la Terra. Hux trova lavoro come collaboratore della CIA per la ricostruzione di Starkiller; Ren (ormai redento) diventa uno stilista di fama internazionale e viene invitato a partecipare alla Settimana della Moda di Milano.

La nostra storia inzia da qui.




Il generale Hux guardò preoccupato fuori dal finestrino. Il suolo, in rapido avvicinamento, era coperto da uno spesso strato di neve. Si morse il labbro inferiore, trattenendo a stento una sonora imprecazione: il suo collega gli aveva più volte assicurato che il clima italiano era piacevolmente caldo. Per cui, aveva indossato un paio di pantaloncini corti e una t-shirt color lampone. L'unica giacca che aveva con sé, era infilata nel bagaglio da stiva, schiacciata sotto una moltitudine di magliette, camicie di cotone, bermuda, flaconi di crema solare e al pratico accappatoio in microfibra. 

Nessuno gli aveva detto che a febbraio, nel capoluogo lombardo, il tempo oscillava tra "sole caraibico" e "gelo da steppa siberiana".

Sbuffò contrariato, adagiando la testa contro il sedile e preparandosi all'atterraggio. Almeno quel viaggio della speranza sarebbe presto finito! Affermare che era cominciato male, era un eufemismo: appena imbarcati, Ren era stato immediatamente riconosciuto. Una graziosa hostess aveva proposto allo stilista un posto in prima classe. Ren aveva accettato, naturalmente, abbandonando il suo biglietto Economy in favore di una sistemazione più confortevole. Hux aveva protestato, chiedendo ripetutamente se non vi fosse un posto anche per sé, ma la donna gli aveva rivolto un sorriso di scuse: si era liberato una sola prenotazione nell'area Extralusso e quel posto era finito al signor Solo. Dopodiché, l'assistente di volo aveva esibito la medesima offerta ad altre quattro persone, ignorando completamente le sue lamentele.

Sì era dovuto accontentare di uno scomodo sedile in plastica riciclata, tanto stretto da costringerlo quasi con le ginocchia in gola. Il peggio, però, doveva ancora arrivare: lo spazio di Ben era stato occupato da un corpulento signore, che aveva passato l'intero viaggio a russare come uno Wookie raffreddato. A ciò si era aggiunta l'allegra famigliola sull'altro lato del corridoio: una giovane coppia di sposi con cinque bambini al seguito, tutti di una età compresa tra gli zero e i cinque anni.

I pargoli avevano trascorso il volo transatlantico a guardare cartoni animati a tutto volume, piangere ripetutamente, saltellare in giro per la cabina e chiedergli se volesse vedere la loro collezione di figurine sui dinosauri. Appena dopo il decollo, Hux aveva seriamente considerato l'idea di lanciarsi fuori dal portellone e porre così fine alle proprie disgrazie.
 

***

 
Ben Solo sorrise dopo aver firmato l'ennesimo autografo. Aveva i crampi alla mano, ma poteva dirsi soddisfatto. L'aereo era atterrato da poco, ma ai passeggeri di prima classe era stata concessa l'opportunità di ritirare in anticipo il proprio bagaglio. Era quindi riuscito a rientrare in possesso del proprio borsone, ottenuto in omaggio con i punti del detersivo. 
Si accomodò su una panchina, risoluto ad attendere Hux nel corridoio davanti alla scritta "Arrivi Internazionali".

Immaginava già che l’altro sarebbe stato di pessimo umore, dopo una traversata così lunga in compagnia di passeggeri maleducati. L'ultima cosa che desiderava era affrontarlo a stomaco vuoto, per cui si era comprato un tubo di Pringles al formaggio nel duty free dell'aeroporto.

Sfilò lo smartphone dalla tasca del giubbotto, provvidenzialmente recuperato dal bagaglio. Scorse rapidamente la rubrica, selezionando "Armani Cellulare". Premette la cornetta e attese solo un paio di squilli, prima che una voce gentile gli rispondesse.

«Giorgio! Come stai?» Domandò, in perfetto italiano.

Il chip integrato di funzioni linguistiche che gli avevano installato nell'Area Cinquantuno si era rivelato un portento: gli consentiva di leggere, scrivere, parlare in più di cento idiomi.

«Bene grazie! Il viaggio? Oh, splendido. Non mi sono neppure accorto del tempo che passava. Ho bevuto champagne, mangiato tartine al caviale…» una pausa e un sorriso meschino «No, in Economy ti davano comunque qualcosa da mangiare. Ma...tipo le Insalatissime Rio Mare e una brioche confezionata» spiò verso il gate, affatto sorpreso di vedere un Hux infreddolito, trafelato e chiaramente incazzato come una biscia «Ma certo! Dai ci vediamo dopodomani! No, no… domani credo faremo un giro in città. Armitage penso voglia visitare un po' Milano, prima del grande evento di mercoledì!» concluse, riponendo il telefono in tasca.

Abbandonò la seggiola non appena il generale lo raggiunse.
«Allora?» chiese allegro «Come è andato il volo?»

Hux gli lanciò una occhiata torva: se avesse potuto decapitarlo, bruciarlo e spargere i suoi resti sulla pista lo avrebbe fatto. In più, il colorito non era dei migliori: i capelli rossi erano insolitamente spettinati, e la carnagione era ancora più pallida del solito. Le labbra bluastre non promettevano niente di buono, così come la punta delle dita ormai violetta. Sembrava avesse un principio di ipotermia.

«Hai freddo?» Domandò, ingenuamente.

«A te cosa sembra?!» La replica acida non tardò ad arrivare. Scorse Hux rovistare in fretta nella valigia per recuperare la giacca e un paio di pantaloni di tuta, da indossare sopra i bermuda «Che posto di merda! Meno male che dovevano esserci trenta gradi.»

«Uff… sempre così disfattista. Sono sicuro che invece ti piacerà.»

«Seh, come no!»

Ben alzò le spalle, deciso a non alimentare ulteriormente quei piagnistei. Allungò il passo verso l’uscita dell’Aeroporto di Malpensa, indicando la lunga fila di macchine bianche parcheggiata appena fuori. Sventolò le braccia finché un taxista sulla cinquantina non si avvicinò, abbassando cautamente il finestrino.

«Si?» chiese l’autista, senza dubbio impensierito dal bizzarro aspetto dei due passeggeri: uno sembrava sul punto di morire per congelamento, l’altro esibiva con disinvoltura dei pantaloni a vita alta accompagnati da infradito e calzini di spugna «Dove vi posso accompagnare?»

«Milano, per cortesia! Abbiamo una prenotazione all’Hotel Armani, naturalmente offerta da Giorgio.»

Il taxista si sfregò le mani: quei due erano vestiti in modo eccentrico, ma chi era lui per giudicare? Avevano tutta l’aria d’essere turisti stranieri dal ricco portafoglio. Impostò il tassametro al doppio della tariffa e poi cambiò idea. Insomma, solo il doppio? Il triplo avrebbe reso di più. Rivolse un sorriso affabile ai suoi ospiti, facendo loro cenno di accomodarsi sul sedile posteriore di una Panda a metano.

«Prego, signori!» esordì «Saremo a Milano in un batter d’occhio. Prima volta in Italia?»

Entrambi annuirono.

«Magnifico!» continuò l’uomo, spingendo nell’autoradio un vecchio cd di musica anni ottanta «Sono certo che vi piacerà. Vi secca se metto un po’ di musica?»

«Io preferirei di…»

«Assolutamente!» Ben batté le mani soddisfatto «Sono un cantante provetto, oltre ad uno stilista di fama internazionale.»
Hux sbatté ripetutamente la testa contro il finestrino, sperando di perdere conoscenza.
 

***
 

«Seeeeeeeeee…. Per innarmorarmi ancoraaaaaaa
Torneraaaaaiiiiii maledetta primavera..

Hux tentò di tapparsi le orecchie, ma ricevette una gomitata nelle costole.

«Ahia! Diamine, sempre delicato come un Bantha!»

«Canta anche tu, avanti!»

«Scordatelo.»

«Che imbroglio seeeeeeee… per innamorarmi basta un’ora
Che fretta c’era, maledetta primavera…»
 

***
 

Hux scaricò a fatica il bagaglio dal baule della Fiat che li aveva portati in albergo, mentre Ben pagava una tariffa decisamente eccessiva per la tratta percorsa ed elargiva, oltre ad una generosa mancia al tassista, anche un proprio autografo.

«Posso aiutarla a portare la valigia, signore?»

Il generale si voltò di scatto, stringendo a sé il trolley e squadrando sbieco il fattorino intervenuto.

«Nemmeno per idea!» ringhiò, pentendosi subito di quell’uscita. Ora avrebbe dovuto accollarsi il bagaglio fino al quinto piano del hotel, visto che aveva rifiutato l’aiuto del facchino. Si voltò per cercare il ragazzo, ma questi si era già allontanato, prendendo in consegna il borsone sportivo di Ren.

Sospirò, spingendosi verso il banco dell’accoglienza.

«Buonasera…» sussurrò alla graziosa impiegata oltre la scrivania «Abbiamo una prenotazione a nome di Kylo Ren.»

«Non risulta nessuno con quelle credenziali…»


«Forse perché mi chiamo Ben! Quante volte devo ripetertelo?» l’ex-cavaliere esibì il proprio passaporto «Ben Solo.»

«Ah, è lei l’ospite del signor Armani? Splendido! Vi abbiamo riservato la Suite Regale all’ultimo piano della nostra struttura.»

Il cuore meccanico di Hux fece una capriola. La Suite Regale? Indubbiamente una stanza gigantesca dotata di ogni comfort e completamente gratis. Dopo tutto… non era così male viaggiare con Ren! Gli agganci nel mondo della moda erano ottimi. Si immaginò ammollo in una sontuosa vasca idromassaggio, sorseggiando un calice di Brunello di Montalcino e mangiando toast di gamberi e avocado. Splendido, davvero.

I suoi sogni vennero, tuttavia, ben presto rovinati dalla receptionist:
«Purtroppo, abbiamo avuto un guasto all’ascensore, giusto dieci minuti fa… Il tecnico verrà domani, quindi dovrete raggiungere il quinto piano a piedi.»

«Che cosa?!» squittì, indicando la propria voluminosa valigia «E come faccio con questa? Posso… chiamare il fattorino?»

«Temo di no. Il nostro unico garzone è temporaneamente impegnato con il bagaglio del signor Solo. Se vuole usufruire del facchinaggio, dovrà attendere domani mattina.»

«Eh?! Perché? Non può portare su la borsa di Ren e tornare a prendere la mia?»

Dalle scale giunse la voce di un giovane chiaramente sottopagato:
«Per tre euro all’ora? Figuriamoci!»

 
***
 

Hux uscì dalla doccia frizionandosi i capelli con un asciugamano. Ci aveva messo quasi un’ora per salire a piedi fino alla camera, trascinandosi dietro il bagaglio sin troppo ingombrante. Naturalmente, Ren si era ben guardato dal dargli una mano. Quando aveva raggiunto la suite, aveva trovato il cavaliere intento a fare zapping su un voluminoso televisore al plasma.

«Stai ancora guardando la tv?» chiese, aggiustandosi la maglia di un pigiama decorato con simpatici coniglietti e carote. Si lasciò cadere sul sofà con uno sbuffo.

«Che trasmettono?» domandò, allungando la mancina verso il vicino pacchetto di patatine, ma ricevette uno schiaffo sul dorso «Ahi! Ma sei scemo?... No, non rispondere! So che lo sei!» ringhiò, mentre l’altro gli indicava un mobiletto ad angolo.

«Il frigobar è pieno di schifezze. Devi proprio rubare le mie?»

«Sì, considerato che mi sono appena ripreso da cinque piani di scale con in braccio una valigia da venti chili.»

«Te l’avevo detto di riempirla meno.»

Lo ignorò, raggiungendo la piccola dispensa e non trovandovi altro che pacchetti di schiacciatine e fette biscottate.

«Emh… le patatine?»

«Mh, credo d’aver preso l’unico pacchetto. Beh, mangia i cracker!»

«Non voglio i cracker! Voglio le patatine!»

«Mamma mia, come sei pesante. Ricordami perché ti ho scelto come compagno di viaggio!»

Hux storse la punta del naso, irritato. Già, perché… con sei miliardi di persone sul pianeta, Ren aveva scelto proprio lui? Beh, perché non aveva nessun altro, probabilmente. Non che il cavaliere avrebbe avuto difficoltà a trovare una compagnia migliore: possedeva un fascino piuttosto singolare, quasi esotico; dei lineamenti curiosi, marcati e dolci al tempo stesso. Non era di una bellezza comune, ma indubbiamente di spicco. Era quel genere d’uomo che le donne apprezzavano sotto ogni aspetto: affascinante, carismatico, in bilico tra il nobile raffinato e lo zotico campagnolo ruspante. Inoltre, beh… era ricco. Non passava le giornate a spaccarsi il cervello per accontentare così il governo americano, al modico prezzo di un migliaio di dollari al mese. No… il signor Ben Solo era titolare di un noto marchio d’alta moda. I suoi pantaloni a vita alta avevano letteralmente conquistato il mondo e, per la prima volta, a Ren sarebbe stato concesso l’onore di calcare le passerelle milanesi con una propria collezione. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui e la Settimana della Moda lo avrebbe portato ancora una volta sotto i riflettori.
Il genio dello stile” come lo avevano definito le più prestigiose testate del settore “Capace di fondere armonia, praticità e un tocco di glamour in ogni sua creazione.”

Su quello stupido pianeta chiamato Terra, in pochi erano immuni dal fascino di Ben Solo e dai suoi stravaganti capi d’abbigliamento. Uno di questi, nemmeno a dirlo, era il suo coinquilino: un pallino ex-generale del Primo Ordine, assoldato come consulente dalla CIA perché inventasse una Starkiller in miniatura; un micro-Oscillatore Termico, da piazzare su un satellite e da consegnare direttamente al Presidente degli Stati Uniti. Oh, sarebbe stata un’arma rivoluzionaria per la tecnologia attuale, ma… valeva davvero il suo misero stipendio da pseudo-impiegato statale? Indubbiamente, avrebbe dovuto chiedere un aumento considerato come doveva destreggiarsi tra la burocrazia, tra le fonti energetiche affatto paragonabili ai cristalli di Kyber e lo scetticismo dei colleghi. Eppure… in qualche modo la luce splendente di Ben Solo aveva colpito anche lui.

I paparazzi, più volte beccati a curiosare nei dintorni della loro abitazione, erano certissimi che tra lo stilista e il suo coinquilino esistesse un legame romantico. Le testate scandalistiche sguazzavano in quegli articoli spazzatura, scritti a caratteri cubitali: “La nuova fiamma di Ben Solo” oppure “Ben Solo: chi nasconde dietro la vita alta?”. E ancora: “Solo è davvero solo? Intervista esclusiva alla farmacista che ha incontrato il fidanzato del noto stilista”.

Aveva imparato a conviverci ormai. Inoltre, era davvero bravo a scansare i giornalisti. Nessuno era mai riuscito a scattargli neppure una foto. Una volta, per sopperire, avevano utilizzato quella di un famoso attore. La somiglianza c’era, ma quel poveretto si era ritrovato a dover smentire una valanga di voci infondate.

Hux afferrò una Sprite dal frigorifero e si avvicinò alla finestra. La larga vetrata dominava dall’alto la città, concedendo una vista impareggiabile: Milano, nonostante il freddo, era davvero bella. La pioggia cadeva dalle nubi cariche, sciogliendo in parte la neve al suolo, riflettendo una miriade di luci, tra il giallo delle abitazioni e i colori delle insegne. In lontananza si intravedeva la guglia più alta del Duomo, dove la Madonnina dorata proteggeva gli abitanti. Fortunatamente, le sfilate non sarebbero cominciate prima di mercoledì, quindi… l’indomani avrebbero potuto tranquillamente girare per il capoluogo. Aveva già una lista di posti da visitare: la cattedrale, senza dubbio. Il Castello Sforzesco, la Pinacoteca di Brera. Da qualche parte doveva esserci anche il Cenacolo di Leonardo da Vinci, ma non aveva fatto in tempo a prenotare l’ingresso.

Si era ripromesso di assaggiare i famosi panzerotti di Luini e… la sera, beh… sarebbe andato a cena al ristorante di Carlo Cracco. Non avrebbe badato a spese, tanto… avrebbe scaricato tutto sul conto di Ren. D’altronde, gli aveva sfilato la carta di credito dal portafoglio poco prima di salire sull’aereo e l’altro non se n’era neppure accorto.

Esultò dentro di sé, concedendosi un piccolo sorriso.
Domani sarebbe stata una grande giornata, sì!



 

Angolino: ri-buonasera! Credo di aver scritto quasi tutto nella intro, ma... per la gioia di Ren e Hux, sono tornata! Avevo davvero voglia di buttare giù il sequel della ff e, come promesso, eccolo qui. Il primo di x capitoli (non so ancora quanti saranno, ma credo meno dei precedenti). Ho una trama in mente, devo solo capire come svilupparla, perchè... se tutto va bene, potrebbe esserci un sequel del sequel. In pratica, so come inizia questa ff, so come finisce, ma non so cosa c'è in mezzo (non del tutto). Naturalmente, sarà pianto e stridor di denti per i protagonisti. Però, confesso che l'idea di creare una "trilogia" su questi due malcapitati mi stuzzica abbastanza. Per ora, beh... lasciamoli a crogiolarsi nella Suite Regale di Giorgio. 
Un abbraccio e grazie per aver letto fin qui

E'ry.

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Capitolo 2
*** Al mio caro amico Gianfranco ***


2. Al mio caro amico Gianfranco


Hux spiò l’orologio sul muro del refettorio. Le lancette segnavano le dieci meno dieci. Presto i camerieri sarebbero giunti a sparecchiare e Ren era ancora intento a sfornare pancakes con l’apposita macchinetta, depositata sul banco della colazione continentale. A differenza sua - che aveva assaggiato soltanto una brioche e un cappuccino, resistendo alla torta di more fresche in favore della odierna cena da Cracco – Kylo Ren si era rimpinzato di uova al tegamino, toast, yogurt magro con aggiunta di cereali, marmellate e una sobria macedonia, poco prima di attaccare con i pancakes.

Sbuffò amaro, chiedendosi dove il cavaliere trovasse lo spazio per tutta quella roba. Forse possedeva quattro stomaci come i bovini? Osservò pigramente oltre la finestra: la pioggia della sera prima aveva sciolto buona parte della neve ed aveva smesso di cadere soltanto all’alba, lasciando posto ad una fitta coltre di nebbia. Non riusciva neppure a distinguere i contorni dei palazzi circostanti, tanto era densa. Storse il naso, contrariato: aveva sperato in una giornata di sole, per la visita alla città, ma quella foschia aveva rovinato tutto. Si immaginava che schifo di foto ricordo avrebbe prodotto.

«Ren…» chiamò l’altro, tirandolo per una manica «Possiamo andare?»

«Oh, ancora due pancakes, ti prego!» sussurrò lo stilista, allungando il piatto perché i dolci appena sfornati vi cascassero proprio nel centro.

«Stanno per chiudere la sala della colazione.»

«Non possono aspettare? Ci metto cinque minuti, davvero!»

«Siamo già in ritardo sulla tabella di marcia. Non ce la faremo a vedere tutto.»

«Uff… d’accordo. Da dove vuoi cominciare?»

«Dalla cattedrale, ovviamente!»

Per nulla al mondo si sarebbe perso quella visita. Il Duomo di Milano era famoso per la sua imponente architettura gotica. L’aveva studiato a fondo prima del viaggio ed era davvero curioso di poterlo osservare di persona. Poi avrebbero fatto tappa al Castello Sforzesco e da lì sarebbero risaliti verso la Galleria Vittorio Emanuele. Da quelle parti c’era il famoso Luini, perfetto per un pranzo a base di panzerotti. Nel pomeriggio, breve tappa alla Pinacoteca di Brera e rientro in albergo prima della fatidica cena da Cracco. Batté le mani soddisfatto: chissà, magari avrebbe avuto l’onore di incrociare il grande chef…

Recuperò dal tavolo la giacca e la sciarpa che il signor Armani si era premurato di fargli recapitare. La avvolse attorno al collo, affondandovi il mento: la soffice lana nera gli punse le guance, intonandosi perfettamente all’elegante trench doppiopetto. Peccato per le Converse di tela, per nulla adatte al clima invernale. Poco male! Si sarebbe comprato un paio di scarponcini alla Rinascente. Calcò il berretto in testa, nascondendo le ciocche rossicce.

«Sei pronto?» domandò, ma le sue speranze vennero presto disilluse. Kylo Ren aveva appena infornato un’altra quindicina di pancakes, con sommo dispiacere dei camerieri già pronti a sparecchiare.

 
***
 

Fortunatamente, l’albergo non distava che dieci minuti dal centro storico. Hux attraversò in fretta Piazza della Scala, dedicando solo una rapida occhiata al famoso teatro. Lo avrebbe guardato meglio al ritorno, ma al momento era troppo impaziente. Il ritardo causato da Ren era imperdonabile: dopo aver temporeggiato nuovamente davanti alla colazione, domandandosi se concludere il pasto con una salutare spremuta d’arancia oppure con una doppia cioccolata fondente, il cavaliere si era finalmente deciso a spingere il suo prominente naso fuori dall’hotel. Peccato che quel prominente naso fosse terribilmente famoso, ormai: Hux aveva perso il conto di quante persone li avevano fermati per chiedere un autografo o un selfie al celebre stilista. Infine, all’altezza della Galleria, il compagno aveva deciso di entrare in uno dei tanti bar extralusso per usufruire della toilette.

Il suo “Non potevi farla in camera, Ren?” era caduto nel nulla. Completamente inascoltato, l’ex-generale si era arreso ed aveva seguito il collega nel locale. Aveva ordinato il peggior caffè della sua vita, che gli era andato di traverso non solo per il sapore, ma anche per il conto. Trentadue euro per un caffè, un succo di pera e una brioches integrale. Trentacinque, considerato che Ren aveva lasciato i tre euro restanti di mancia.
Infine, erano sfociati nella vicina piazza.

Hux sollevò lo sguardo, scorrendo il profilo imponente della chiesa. Le guglie di pietra si stagliavano verso il cielo bianco, pungendolo come fossero tanti preziosi spilli. La Madonnina dorata si intravedeva appena, semicoperta dal una nuvola particolarmente bassa. Dei quattro ingressi ve ne era aperto soltanto uno. Miracolosamente, però, non sembrava esserci molta gente: la piccola coda per il controllo sicurezza scorreva abbastanza rapidamente.

«Vieni!» ordinò, allungando il passo per sistemarsi dietro ad una corpulenta signora dal vistoso abito a fiori «Non sei emozionato, Ren? Finalmente potremo vederlo dall’interno. È sconcertante, non trovi?, pensare che la sua costruzione è iniziata nel milletrecento, in pieno Medioevo! Insomma, non vi era nulla di paragonabile alla tecnologia moderna: niente montacarichi automatici, niente gru, niente…»

«Scusa, ma come lo sai?»

«Ho studiato! A differenza tua, mi sono interessato alla storia del pianeta che ci ospita.»

«Perché?»

«Per non sembrare uno zotico ignorante, forse?»

«Mh… sarà, ma non ci vedo nulla di intrigante in questo.»

«Ovviamente! Hai mai letto un libro in vita tua, Ren? A parte quel manuale sui gatti, intendo» ringhiò, scacciando in fretta quel pensiero. Quel maledetto tomo era stato l’inizio delle loro disavventure e certamente non desiderava ricordarne l’esistenza «O ti sei limitato a guardare le istruzioni della carta igienica?»

«Ho letto anche le istruzioni del condizionatore che abbiamo in stanza, se proprio vuoi saperlo.»

«Utilissimo, considerato che ci sono quattro gradi. Sicuramente accendere il condizionatore a febbraio ci salverà la vita…»

«Beh, ho letto anche la biografia di Laura Pausini, se proprio vuoi saperlo.»

Scosse il capo, sconfitto. Era inutile cercare di infilare un po’ di cultura in quella zucca vuota. La biografia di …chi? Non aveva idea di chi fosse, ma conoscendo i gusti di Ren era pronto a scommettere che fosse una stilista di borsette in plastica riciclata. Oppure una cantante neomelodica locale.
Si avvicinò al punto di controllo, rivolgendo un «Buongiorno» al poliziotto di guardia. Oltrepassò in fretta il metal detector, che squillò immediatamente. Si bloccò sul posto, osservando il pubblico ufficiale.

«Non capisco…» disse, mentre l’agente gli avvicinava uno scanner portatile.

«Sollevi le braccia, gentilmente.» gli ordinò l’uomo, visibilmente seccato.

Si affrettò ad eseguire, lasciando il detector scorrere sulle maniche della giacca e poi scendergli lungo il petto. L’apparecchio trillò nuovamente all’altezza del cuore.

«Ah, già…» mormorò, scuotendo il capo. Era un inconveniente piuttosto comune quando si possedeva un cuore di metallo. La sua protesi, così come quella di Ren, suonava ogni volta che passavano sotto un metal detector. Era successo anche all’aeroporto, ma era bastato esibire il certificato medico per poter oltrepassare i controlli. Tuttavia… ora non lo aveva con sé. Aveva lasciato entrambi i referti in valigia.

«Mi perdoni» riattaccò, rivolgendo alla guardia un sorriso affidabile «Sia io che il mio collega» indicò Ren che, evidentemente divertito dal fischiare dell’apparecchio, continuava a passare sotto lo scanner inventando curiosi passi di danza robotici «Abbiamo delle protesi cardiache.»

«Capisco…» il poliziotto apparve poco convinto «Avete un certificato che lo attesti?»

«Naturalmente, solo… l’ho dimenticato in albergo.»

«Allora non potete passare, mi dispiace.»

Hux sgranò gli occhi, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi:
«Cosa? Ma come?! Ho fatto tutta questa strada solo per vedere il Duomo! Davvero, non possiamo entrare?»

«No. Il protocollo di sicurezza è molto rigido. Non si passa senza un’attestazione medica.»

«Ma…»

«Deve andare a prenderla.»

«Non… non abbiamo tempo. Insomma, Ren mi ha fatto già fare tardi a colazione e… ci vorrà almeno mezz’ora tra andare e tornare. Rischio di arrivare tardi sul giro visite già programmato. Insomma, devo ancora vedere un sacco di cose!»

«Non è un mio problema, signore…»

«Ma… questa potrebbe essere la mia unica occasione. Non può fare un’eccezione?»

«No.»

«La prego di riconsiderare la sua posizione. Sono una persona per bene, dannazione! Non un terrorista!» ringhiò, storcendo leggermente le labbra e ritrovandosi a dover puntualizzare «Almeno, non su questo pianeta… qui sono un bravo cittadino! Pago le tasse come tutti gli altri. Voglio vedere il Duomo.»

«Signore, sta rallentando la coda e bloccando l’accesso. Se non si allontana subito, dovrò prendere altri provvedimenti.»

«Cosa? Ma lei lo sa con chi sta parlando? Dannazione, sono un agente della CIA! Più o meno…» consulente esterno, per la precisione… ma nominare la Central Intelligence Agency faceva sempre un certo effetto. In America, almeno… In Italia, invece, sembrò non funzionare.

«Certo, e io sono un senatore galattico.»

«Davvero?!» Ren si fece immediatamente avanti, spingendolo di lato e tendendo la destra al poliziotto «Allora avrà sentito parlare di mia madre. Leia Organa. La conosce? È famosa.»

La guardia apparve ancora più scocciata:
«Se non vi levate immediatamente dai piedi, dovrò chiedervi i documenti e farvi un verbale.»

Hux sospirò, sconfitto. Agguantò una manica del giubbotto di Ren, tirandola con forza:
«Vieni via» sussurrò, ma l’altro non si mosse.

Il cavaliere stava sventolando il passaporto sotto al naso del pubblico ufficiale, investendo questi con un inutile flusso di chiacchiere:
«Il nome Ben Solo le dice qualcosa, invece? Sono io!»

Il volto arcigno del poliziotto si sciolse in un sorriso incredulo prima e ammirato poi.

«Quel Ben Solo? Lo stilista?»

«Esatto!»

«Maestro Solo! Quale onore. La seguo tantissimo sui social, lo sa? Su Instagram, su Twitter… le sue creazioni sono splendide e lei è una fonte di ispirazione per tutti noi» l’agente gli strinse la mano, regalandogli anche una pacca sulla spalla «Prego, si accomodi. Chiamo subito il mio collega, così le farà da guida all’interno del Duomo.»

«Grazie! Che gentile…»

«Grazie a lei, maestro. Mi fa un autografo sul distintivo, per favore?»

«Ma certo! Come si chiama?»

«Gianfranco.»

Ben acciuffò una penna dalla tasca interna del giubbotto, affrettandosi a scrivere sul tesserino altrui:

Al mio caro amico Gianfranco, con affetto.
Ben Solo.

Hux assisté impotente a quella scena. Vide il gendarme accompagnare l’ex-cavaliere oltre la soglia del Duomo.
«Ehi!» squittì «E io?»

«… Ha un certificato medico?»

«Sono con lui!» gridò, indicando lo stilista appena sparito tra le ombre «Ren! Non puoi lasciarmi qui.»

Dal buio giunse una risata stridula:
«Temo di averlo appena fatto, Hux. Ci vediamo più tardi.»
 

***
 

Hux scivolò a terra, accomodandosi sul freddo lastricato della piazza. Aveva scelto un punto fortunatamente privo delle cacche secche dei piccioni. Poggiò la schiena contro i blocchi di pietra della chiesa e rannicchiò le ginocchia al petto, nascondendo il viso tra le braccia conserte. Con un gesto secco si tolse il berretto e lo gettò al suolo, calciandolo con la punta della scarpa.

Maledetto e stupido Ren! Si poteva essere più egoisti di così? Ogni volta che la situazione tra loro sembrava migliorare, il cavaliere riusciva sempre a rovinare tutto. Per quanto tempo ancora avrebbe dovuto vivere nella sua ombra? Non era mai stato nient’altro che questo: un cane rabbioso alle calcagna di Kylo Ren, in qualunque sua forma. Neppure da felino era riuscito a cavarsela molto meglio, anche se quasi rimpiangeva quella forma. Peccato per i pollici opponibili, ma erano un piccolo sacrificio in confronto all’amore che aveva ricevuto. Scosse il capo, mordendosi le labbra per impedire ai singhiozzi sconfortati di sfuggirgli. Come era caduto in basso! Da giovane e promettente generale del Primo Ordine, a gatto prigioniero della Resistenza a… impiegato semi-statale in esilio in una galassia lontana lontana. E la colpa di chi era? Di Ren, naturalmente! Se solo gli avesse sparato quel maledetto giorno in cui aveva messo piede sul Finalizer per la prima volta. Ma no, Snoke ci teneva così tanto al suo pupillo! Non poteva certo scavalcare l’autorità del Leader Supremo.

Si pizzicò l’attaccatura del naso. Se suo padre lo avesse visto in quello stato, avrebbe riso di lui: patetico, inutile, debole. Quelle parole gli risuonarono nella testa, peggiorando ulteriormente lo sconforto: non era mai stato in grado di affrontare Brendol Hux, neppure da adulto. Era sempre rimasto nascosto, prima desideroso di compiacere l’augusto genitore… e poi tramando per poterlo eliminare definitivamente. Solo così era riuscito a riscattarsi. Gli avevano riconosciuto il rango di generale e gli era stata affidata una nave… il cui comando era stato forzatamente condiviso col nuovo apprendista di Snoke: una specie di uragano fuori controllo, che aveva portato più problemi che soluzioni. E ora, che opzioni aveva? Non poteva uccidere Ren, anche se l’assenza della Forza rendeva le cose più semplici: prima di tutto, quello stronzo era diventato una figura di spicco nel panorama mondiale; farlo sparire nel nulla era abbastanza complicato: le forze di polizia di numerosi Paesi si sarebbero mobilitate per cercarlo; inoltre, da quelle parti non sembrava vi fosse niente di analogo agli Scarabei di Parnassos. Infine… beh, non se la sentiva; non dopo tutto quello che avevano passato assieme. Era doloroso ammetterlo, ma Ren era diventato una costante – nel bene o nel male – nella sua vita. Non riusciva ad immaginarsi senza di lui, tanto più che non avrebbe ereditato il suo ingente patrimonio, quindi… era più conveniente lasciarlo in vita.

«Kriff, sono un disastro!» biascicò.

Un tintinnio lo costrinse a sollevare di scatto il capo. Un passante si era avvicinato, lasciando scivolare una moneta da due euro nel berretto dimenticato a terra. Poi, senza aggiungere altro, si era frettolosamente allontanato verso la vicina metropolitana.

Hux raccolse il soldo, soppesandolo sul palmo e aggrottando la fronte. Gli avevano appena fatto l’elemosina, scambiandolo indubbiamente per un senza tetto disorganizzato.

Ottimo! Ho appena raggiunto il picco minimo della mia carriera. Può andare peggio di così? Si chiese, pendendosi immediatamente di quella domanda retorica.
Conosceva già la risposta: sì, naturalmente.
 

***
 

Kovalski abbassò il binocolo, non appena il passante si fu allontanato. Impugnò la trasmittente e aprì il canale riservato.

«Cremlino a Primula Rossa. Rispondete, passo.»

Una voce robusta gli gracchiò in un orecchio.

«Qui Primula Rossa. Che novità ci sono?»

«Ho agganciato l’obiettivo.­»

«Eccellente!»

«È solo. Chiedo il permesso per agire.»

«Permesso negato, Kovalski. Volevo dire… Cremlino. Insomma, potevi sceglierti un nome migliore, ma comunque…»

«Non è colpa mia se mi chiamo così!» si difese immediatamente, tornando ad inquadrare la figura nel binocolo. L’uomo stava soppesando una moneta sulla mancina, squadrandola con palese disgusto «Non posso procedere?»

«No, ci sono troppe persone in piazza. Non passeresti inosservato. Dobbiamo aspettare il momento più propizio e agire con discrezione. Tienilo d’occhio e non appena avremo occasione, passeremo alla fase due.»

«D’accordo. Passo e chiudo.»


 
Angolino: buongiorno! Torno con un piccolo capitolo pomeridiano. Nelle info del capitolo scorso, mi ero dimenticata di aggiungere un dettaglio importante (chi ha letto il prequel lo conosce già): nella precedente ff, ai nostri eroi erano state impiantate delle protesi cardiache metalliche... questo in aggiunta alle sfighe che già comunemente hanno.
Hux finirà in terapia prima della conclusione della storia, me lo sento, ma... purtroppo per lui siamo solo al capitolo due. 
Vi ringrazio tantissimo per aver letto fin qui!

E'ry

 

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Capitolo 3
*** Ma che ne sai tu d’alta moda? ***


3. Ma che ne sai tu d’alta moda?


Hux non tentò neppure di nascondere il fastidio, quando Ren lo raggiunse. Gli rifilò un’occhiata velenosa.

«Almeno ti sei divertito?» ringhiò, mentre l’altro si chinava a contare gli spiccioli nel berretto di lana.

Lo sentì fischiare entusiasta:
«Non male! Quasi dieci euro… vali più come clochard che come generale, lo sai?»

«Fottiti.»

Si rialzò, spolverando rapidamente i propri abiti e recuperando il cappellino. Lo cacciò in una tasca, deciso a dimenticarsi della sua esistenza. Incrociò piccato le braccia al petto, soffiando nervose nuvolette di fiato.

«Allora?» incalzò dopo qualche attimo di silenzio.

«Allora cosa?» Ren lo stava fissando nuovamente con quell’aria ebete. Possibile che non riuscisse neppure a fare un semplice ragionamento? Lo aveva abbandonato fuori dalla cattedrale, lasciandolo al freddo per quasi un’ora ed era rispuntato come se niente fosse. Non gli aveva neppure chiesto scusa, o se desiderasse un the caldo o avesse bisogno dei servizi. Lo stilista se ne stava imbambolato, con le mani ostinatamente nelle tasche, e un’espressione tipicamente strafottente e disinteressata.

«Possiamo proseguire il nostro giro?» aggiunse stancamente, consapevole che aspettare una risposta dall’altro non sarebbe servito «Potremmo andare a vedere il Castello Sforzesco o la Pinacoteca di Brera…»

«Io ho fame.»

Ciondolò il capo, sconfortato. Perché Ren riusciva ad essere così irritante, ogni volta? Controllò di sfuggita l’ora, seguendo un display appeso sopra la galleria. Segnava quasi la una.

«Non puoi aspettare? Abbiamo fatto colazione tardi e… oh, tu ne hai fatte pure due.»

«Ma ho fame!»

Un bambino di cinque anni sarebbe stato più ragionevole. Sollevò la sinistra, indicando l’uscita della piazza.

«Da quella parte c’è il castello… non dista molto, potremmo fare una passeggiata. Lo visitiamo e poi andiamo a pranzo, che ne dici?»

«Ho fame adesso. Voglio un panzerotto di Luini.»

«Possiamo tornarci dopo!»

«è proprio qui dietro! Sai quanto ci mettiamo, ad andare fino al castello e ritorno? Troppo! Per allora mi sarò autodigerito dalla fame.»

«Che scemenze!»

Ren gli afferrò il polso e lo trascinò nuovamente verso le vie vicine, senza proferire altro verbo. A nulla valsero le sue protese. Il cavaliere era comunque più robusto e muscoloso di lui e anche senza Forza in circolo, riusciva comunque ad avere facilmente la meglio. Sbuffò e si arrese in fretta. Opporre ulteriore resistenza non sarebbe servito ad altro che aumentare il suo mal di testa. Si avviò pigramente dietro all’altro, maledicendolo silenziosamente.

 
***

 
«Facciamo una foto davanti al negozio, dai!»

Ren aveva cavato il cellulare di tasca, selezionando la modalità autoscatto. Hux spiò nello schermo, sconcertato. La nebbia ormai era così fitta che non si vedeva nemmeno ad un palmo dal naso. Era tanto densa da nascondere persino l’insegna della famosa panetteria, distante soltanto un paio di metri. Riusciva a stento a scorgere il proprio viso e quello di Ren, purtroppo terribilmente vicini: il cavaliere lo aveva acciuffato per le spalle, stringendosi a lui per sistemarsi nell’inquadratura.

«Ren, non si vede una mazza!»

«è perfetta!»

Il Click della camera immortalò quel momento e Ben Solo non perse tempo: caricò immediatamente la foto sul proprio profilo Instagram, inserendo svariate tag: #luini #panzerotti #Milano #ilovemilan #italy #iloveitaly #italianfood #bensoloinlove #sensitivesoul.

«Non capisco cosa ci sia di così straordinario» bofonchiò il generale, mentre già i primi like e commenti iniziavano a fioccare «è una foto di noi due in mezzo alla nebbia! Potremmo essere ovunque. Non si capisce affatto che siamo a Milano.»

«Ma che vuoi capirne di social network, tu?»

«Sarà, ma nel mentre… hai perso tempo. Guarda che coda si è formata!» aggiunse, indicando il lungo serpentone che si sviluppava dalla porta del negozio verso le strade vicine «Non solo non riuscirò a vedere il Castello Sforzesco… ma rimarrò anche a stomaco vuoto.» si lamentò, consapevole che quelle proteste sarebbero cadute nel nulla.

Quando Kylo Ren si metteva in testa una cosa, era impossibile fargli cambiare idea. Inoltre, non era sicuro di voler approfittare della pausa pranzo: chissà a che ora sarebbero riusciti ad entrare nel negozio! Avrebbero fatto indubbiamente tardi e non desiderava abbuffarsi prima della tanto sospirata cena da Cracco. Avrebbe chiuso il buco allo stomaco scroccando una punta piccina del panzerotto di Ren e poi avrebbe stoicamente resistito. In fondo, era abituato: quanto spesso era capitato, sul Finalizer, di saltare un pasto? Spessissimo. Non che se ne sentisse la mancanza: le barrette proteiche erano quasi peggio del digiuno stesso.

Prese a risalire la coda, contando silenziosamente i propri passi. C’erano almeno una cinquantina di persone assiepate, in attesa di poter mangiare uno dei famosi panzerotti. Naturalmente, la maggior parte stava discutendo sul gusto da richiedere: meglio il classico? Oppure spinaci e ricotta? O magari prosciutto e scamorza? Il solo cogliere quell’elenco di ingredienti agitava il suo stomaco in un borbottio incessante. Forse avrebbe potuto prendere qualcosa di piccolo giusto per temporeggiare? Ma…se poi gli avesse rovinato l’appetito per la sera. No, era più saggio resistere. Si costrinse ad ignorare il profumo fragrante che serpeggiava lungo la strada.

ntavolare una conversazione frivola con il suo compagno d’avventure, inoltre, gli avrebbe impegnato la mente:
«Sai, Ren… mi chiedevo… se tu avessi potuto scegliere un’altra meta, oltre a Milano, dove ti sarebbe piaciuto andare? Io stavo riflettendo su Roma. Potremmo allungare un po’ il soggiorno, che ne dici? Siamo già qui e dista poche ore di treno. Varrebbe la pena annullare i biglietti per il ritorno e prolungare la permanenza. Basterà solo qualche giorno. Magari poi potremmo scendere verso Napoli e vedere un po’ il sud Italia. Dicono facciano dei caffè stupendi da quelle parti.» interruppe il proprio monologo quando si rese conto di non avere risposte.
Scoccò una occhiata a destra e una a sinistra, prima di rendersi conto che il cavaliere non si vedeva da nessuna parte.

Tanto per cambiare, si disse. Ma perché succedono tutte a me?
 

***


Ren annuì compiaciuto alla gentile signora dalla sciarpa a fiori:
«Il suo nome?»

«Francesca.»

Alla mia cara Francesca,
Ben Solo
 
Firmò e restituì il blocchetto, prima di voltarsi e sollevare da terra un bambino, stringendolo tra le braccia. Sorrise, mentre la madre orgogliosa scattava una foto.

«Grazie a voi!» disse, restituendo il pargolo alla famiglia; un gruppetto di pensionati pugliesi si face da parte per farlo passare.

«Entri pure, signor Solo! Non stia qui fuori a prendere freddo.»

«Ma c’eravate prima voi…» protestò debolmente, ma l’intera comitiva lo spinse avanti.

Una anziana gli baciò le mani, benedicendolo con voce tremante:
«Siete una beatitudine da vedere.» gli disse, con un marcato accento barese «Quando verrete ad Altamura, vi faremo assaggiare il nostro pane che è una bellezza! Ah, vi farò delle orecchiette che vedrete come vi faccio cantare il palato.»

«Non ne dubito, madama.» rispose con un sorriso educato, varcando poi la soglia del negozio.

Si ritrovò a spiare un lungo bancone traboccante di panini, focacce e dei mitici panzerotti. Il signor Luini in persona gli stava sorridendo orgoglioso.

«Cosa posso offrirle, signor Solo?»

Indicò immediatamente un grosso panzerotto al prosciutto:
«Vorrei quello, per favore» disse, cavando il portafoglio dalla tasca «E una lattina di Sprite!»

Il fornaio, tuttavia, lo bloccò con un cenno:
«Non mi deve assolutamente niente. Offerto dalla casa! Anzi… se vuole altro, si serva pure. Non so, magari posso tentarla con un pezzetto di focaccia? O della pizza?»

«Troppo gentile, davvero. Accetto la pizza, ma una fettina proprio.»

L’uomo sorrise e gli elargì una abbondante porzione appena sfornata.
«Un altro panzerotto? Magari può portarlo ad un amico, se vuole?»

Ren ci pensò su e scosse immediatamente il capo:
«No, non si preoccupi. È molto gentile, ma… davvero, non saprei a chi regalarlo…»
 

***

 
Hux si accasciò contro un muretto, riprendendo fiato. Aveva girato per l’intero quartiere per più di due ore, chiamando Ren a squarciagola. Aveva provato a contattarlo al telefono, solo per ricevere continui avvisi di segreteria telefonica. Perché quell’idiota non gli rispondeva? Aveva bloccato il suo contatto senza dirglielo? Maledetto stronzo egoista! Di questo passo, non sarebbe mai riusciti a finire il giro turistico che si era prefissato.

Controllò rapidamente gli orari della Pinacoteca di Brera: sul sito era indicata una chiusura straordinaria per l’allestimento di una importante mostra in arrivo nel fine settimana. In effetti, quel giorno la galleria avrebbe serrato i battenti alle cinque del pomeriggio, a cui mancava sempre meno. La nebbia si era fatta ancora più spessa e l’imbrunire si stava rapidamente avvicinando. In tutto questo, non vi era alcuna traccia dello stilista. Non capiva affatto quel talento innaturale di Ren nel perdersi: riusciva sempre a sparire nei momenti peggiori, per poi rispuntare dal nulla come se niente fosse. Naturalmente, avrebbe dovuto sentirsi almeno un po’ preoccupato: e se fosse stato rapito da dei terroristi dell’alta moda e tenuto in ostaggio per un riscatto? Magari dei No-Global lo avevano catturato e avevano dato fuoco all’intera collezione di pantaloni a vita alta…

Si cullò qualche attimo in quella fantasia: non era così male, dal proprio punto di vista. Tuttavia, non poteva succedere oggi! Non quando Ren aveva prenotato da Cracco. Era l’unica chance di salvare una giornata catastrofica.

Si costrinse a staccarsi dal muricciolo e a riprendere il cammino. Gli facevano male i piedi e le dita iniziavano a soffrire di un principio di ipotermia. Aveva fame e lo stomaco borbottava ormai incessantemente; si era pentito in fretta di non aver consumato neppure un pranzo frugale, ma ormai era tardi per i ripensamenti. Inoltre, il buio sarebbe presto calato e con esso le speranze di ritrovare il cavaliere si sarebbero ridotte ancora di più. Frugò nelle tasche della giacca, cavandone lo smartphone. Decise di fare un ultimo tentativo, digitando rapidamente il numero dell’ex-collega.

Risponde la segreteria telef…

Una voce squillante interruppe il disco:
«Pronto?»

«Ren! Si può sapere dove Kriff sei finito?!» urlò, incurante dei passanti che lo fissavano di sbieco.

«Oh, sono proprio dietro di te.»

«Come?» aggrottò la fronte, voltandosi immediatamente. Lo sguardo chiaro scandagliò immediatamente le figure lungo la via, sino ad individuarne una che saltellava sul posto. Notò un allegro sbracciarsi «Da quanto sei lì?»

«è da un po’ che ti sto seguendo. Mi domandavo dove fossi diretto…»

«Ti stavo cercando, Ren…»

«Ottimo! Mi hai trovato! Ora spetta a te nasconderti… io conto fino a dieci, d’accordo?»

«Ren…»

«D’accordo, dieci è poco. Trenta?»
 

***
 

La visita alla Pinacoteca era saltata, così come quella al Castello Sforzesco. Dopo una accesa discussione, avevano - quasi di comune accordo - deciso di ritirarsi presso la loro stanza. Hux si era concesso una lunga doccia calda, cercando di togliersi di dosso il nervoso. Quella giornata era stata semplicemente una catastrofe. Per quanto ancora avrebbe dovuto sopportare i capricci di Ren? Per fortuna, poteva essere ancora salvata: il ristorante di Cracco li stava aspettando.

Per l’occasione, aveva indossato il suo migliore completo: una giacca nera, coordinata ai pantaloni e a delle oxford lucide. Aveva rinunciato alla cravatta in favore di un papillon color antracite, che si sposava perfettamente con il gilet che vestiva sopra la camicia inamidata. Aveva sistemato i capelli con una abbondante dose di gel, schiacciandoli con cura ai lati della fronte perché non sfuggisse nemmeno una ciocca. Infine, aveva recuperato la giacca e atteso il compagno fuori dalla porta.

Ren non ci aveva messo molto a raggiungerlo. Aveva selezionato una blusa color melanzana, abbinata a degli atroci pantaloni a vita alta. Ai piedi, dei sandali di cuoio e degli osceni calzini di spugna. Aveva rinunciato a qualunque giacca in favore di un poncho sudamericano dai vaghi disegni aztechi. Per finire, aveva selezionato un paio di inopportuni occhiali da sole.

«Non hai niente di meglio da metterti?» aveva sbuffato Hux, poco prima d’essere liquidato con un cenno scocciato.

«Ma che ne sai tu d’alta moda?»




 

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Capitolo 4
*** Quindi… hai scritto un libro? ***


4. Quindi… hai scritto un libro?


«È questo?!»

Hux si guardò attorno, mal celando la delusione. Si era aspettato un ambiente completamente diverso, per uno dei locali più celebri della città. L’interno era piuttosto stucchevole con il bronzo e il dorato a farla da padrone. Si era immaginato un’atmosfera elegante e moderna, con dei toni tra il bianco e il grigio, e non certo dei vaghi richiami al barocco. La sala, malgrado le ampie vetrate, era immersa in una luce piuttosto soffusa, che donava un senso di pesantezza generalizzato. Pareva quasi una villa ottocentesca frettolosamente rimodernata, che un ristorante d’alta classe.

I tavoli erano piuttosto anonimi: rotondi, coperti da lunghe tovaglie candide e completati da curiose lampade ad olio che fungevano da centrotavola. La mise en place non era nulla di eccezionali: piatti, bicchieri e posate in acciaio, talmente sobrie ed anonime da non avere neppure un ricamo o una iniziale. Probabilmente erano state comprate all’Ikea, approfittando dei saldi invernali.

Sbuffò, quando un cameriere indicò il loro posto: nell’angolo più buio della stanza, lontano dalle finestre e attorniato da svariati Ficus benjamin, nemmeno fossero in un orto botanico.

«Grazie…» borbottò contrariato, lasciandosi scivolare su una sedia imbottita «Beh? Che ne pensi?» chiese, scoccando un’occhiata al compagno.

Ren era, ovviamente, entusiasta: una persona con un tale gusto dell’orrido non poteva non apprezzare tanta opulenza, le rifiniture luccicanti e le tende broccate. Non smetteva di guardarsi attorno, con la stessa curiosità di un bambino in un negozio di caramelle.

«È spettacolare, non trovi?»

Non rimase affatto sorpreso da quella risposta. Si limitò a scrollare le spalle:
«Pensavo qualcosa di meglio, in verità…»

«Tipo cosa?!» una voce profonda lo fece sussultare. Hux si voltò immediatamente, incrociando lo sguardo arcigno del proprietario «Se il mio locale non è di tuo gusto puoi anche trovarti un altro posto di lavoro!»

L’ex-generale batté le palpebre, perplesso:
«In che senso?» domandò, incerto.

Cracco lo agguantò per una manica, costringendolo ad alzarsi e spingendolo verso il centro della sala:
«Qui i lavativi hanno poco da fare! Fila in cucina a prendere le ordinazioni…»

«Io… veramente sarei un cliente!»

«Vestito così? Ma fammi il piacere…»

Spiò rapidamente i dipendenti del ristorante, malauguratamente abbigliati in modo identico: completo scuro, gilet grigio, scarpe lucide e l’immancabile papillon. Sospirò amaro… forse avrebbe dovuto arrendersi e indossare a propria volta uno degli atroci pantaloni di Ren, almeno non sarebbe stato scambiato per un commesso qualunque.

«No, sul serio!» riprovò, lanciando allo stilista una richiesta d’aiuto «Ren, per favore! Diglielo tu che…»

Si sentì scuotere nuovamente e strattonare in avanti. A dispetto delle apparenze, lo chef era decisamente robusto. Alto, con le spalle larghe e le braccia muscolose. La presa era solida, tipica di chi è abituato al comando e a sporcarsi le mani con il duro lavoro. I riccioli scuri incorniciavano il volto severo, semicoperto da una corta e curata barba.
Gli occhi sottili si strinsero maggiormente:
«Sto perdendo la pazienza, ragazzino! O ti metti in riga, oppure ti scordi lo stipendio!»

«Ma sono un cliente! Sono venuto apposta per conoscerla, chef…»

«Sì, dite tutti così quando non volete sgobbare. Siete solo degli scansafatiche.» una pausa e poi un sorriso, chiaramente diretto all’uomo ancora seduto al tavolo «Mi dispiace signor Solo che questo disgraziato le abbia causato tanto fastidio. Mi permetta di rimediare offrendole una bottiglia di Dom Pérignon del 2008, da seicentosessanta euro al litro…»

Kylo Ren annuì soddisfatto:
«Ne sarei lieto, chef! In cambio della cortesia, mi permetta di invitarla domani mattina, per il lancio della mia nuova collezione di pantaloni a vita alta.»

«Il suo invito mi onora, signor Solo! Temo di dover declinare… domani mattina sarò impegnato qui al ristorante...»

«Ah, naturalmente! E… giovedì, invece? Sarò alla Feltrinelli di Piazza Duomo per l’uscita del mio libro. Ci terrei molto a regalargliene una copia.»

«Cosa?! Quando hai scritto un libro, Ren?» Hux li fissò sbalorditi, ma nessuno dei due parve notarlo. Lo ignorarono, semplicemente.

«Perfetto, signor Solo! Passerò sicuramente a trovarla. Ora, mi permetta di lasciarle gustare la cena in pace. Devo rimettere in riga questo sguattero sottopagato…» una piccola pausa e un veloce colpo di tosse a celare le ultime parole «… volevo dire, cameriere indisciplinato.»

«Oh, fate pure mastro Cracco. Non sarò io a fermarla. L’ordine e l’efficacia sono tutto sul posto di lavoro.»

Hux sgranò gli occhi. Ren si era bevuto quel poco di cervello che gli era rimasto. Da quando era un paladino “dell’ordine e dell’efficacia sul lavoro”?! Proprio lui, che non aveva fatto altro che mettergli i bastoni tra le ruote per tutta la vita. Sbuffò, valutando l’idea di ucciderle l’altro con un colpo di centrotavola. Non riusciva a decidere quale versione fosse la più irritante: almeno il precedente Kylo Ren era coerente con sé stesso; un po’ violento, megefreghista e un bamboccio capriccioso, ma… dopo tutto, non era così male in confronto al redento Ben Solo. Questi era un idiota troppo cresciuto, con manie da missionario e terribili gusti in fatto di vestiario.

Beh, in effetti, questi ultimi li ha sempre avuti. Si sussurrò.

«Tuttavia, chef…» riprese lo stilista, indicando la sedia vuota dinanzi a sé «Credo di doverla contraddire. Armitage…»

«Non chiamarmi così!»

«… è davvero mio ospite, per questa sera. Purtroppo non è abbastanza lungimirante per distinguere un completo raffinato da una livrea da cameriere. Mi creda, le speranze di inculcargli qualche nozione di stile sono ormai ridotte all’osso. Però posso assicurarle che non è parte della sua brigata… e che è un pessimo cuoco.»

«Questo non è vero!» Protestò, ma Cracco lo liberò poco dopo. Tornò immediatamente a sedersi al posto, fissando irritato lo chef. Attese delle scuse che, naturalmente, non giunsero mai.

«Ah, meglio così allora» fu l’unica cosa che il proprietario disse, lasciando loro due menù «Manderò qualcuno per le ordinazioni. Scegliete pure con calma e benvenuti al mio ristorante.»
 

***


«Certo che dopo questa figura di merda, poteva offrirci almeno l’antipasto.»

«Beh, ci ha già offerto una bottiglia di non ho capito cosa…»

Hux sollevò lo sguardo al cielo, rifiutandosi di rispondere. Scosse il capo e pregò silenziosamente i Jedi morti di concedergli un po’ di pazienza aggiuntiva. Infine, tornò a scrutare la carta «Certo che ce n’è di roba strana qui… Tuorlo d’uovo marinato, asparagi verdi e tartufo nero, quaranta euro. è un cazzo d’uovo! Anzi, meno di un uovo… c’è solo il giallo.»  sbottò incerto «Tagliatella di tuorlo marinato, panna prosciutto e piselli…trentasei euro! Diamine… panna prosciutto e piselli so farla anche io.»

«Il che è tutto dire…»

Decise di ignorare il sarcasmo, continuando nella lettura:
«Animella arrosto, liquirizia, zucca di primavera, prugne in salamoia, così se sei stitico riesci anche ad andare a cagare facilmente e… puttanelle?» aggrottò la fronte, avvicinando il foglio al viso «Ah, no! Puntarelle. Mi sembrava strano che offrisse anche un… beh, un servizio simile.» aggiunse, con una nota di imbarazzo.

«Buono! Io opto per quelle.»

«Mh… sai cosa sono le animelle, Ren?»

«No, ma sono sopravvissuto alla tua cucina così a lungo… che ormai non temo più niente.»

«Sono frattaglie…»

«….»

«Viscere, Ren…»

«…»

«Interiora, budella, chiamale come vuoi..»

«Oh, ma che schifezza!» Ren storse la punta del prominente naso, mimando un’espressione disgustata «Beh, però il nome mi ispira. Le prendo comunque…»

«Sembrano un piatto uscito da Ratatouille! Le preparava il topo chef, se ben ti ricordi.»

«Sì, forse hai ragione, ma non vedo altro che mi interessi.»

Hux sospirò. Aveva imparato a non combattere la testardaggine del cavaliere. Chiuse il menù con uno scatto secco:
«Molto bene» concluse «Io andrò sul sicuro! Una pizza alle melanzane.»

 
***
 

L’ex-generale fissò sconsolato il proprio piatto. La pizza ordinata era tutto, tranne che una pizza. Prima di tutto, aveva le stesse dimensioni e consistenza di una focaccina surgelata. La crosta era annerita da un evidente eccesso di cottura e la mozzarella sembrava rinsecchita. Le melanzane si erano rivelate essere delle zucchine con un evidente disturbo della personalità. Inspirò a fondo, chiudendo gli occhi.

Non ti preoccupare. Si sussurrò Paga Ren. Non hai bisogno di pensare al prezzo esorbitante che sborserete per questa roba. Goditi la cena. È già stata una bruttissima giornata, non ha senso rovinarsi anche la sera, giusto? Non soffermarti sui trentasei euro di pizza abbrustolita. Pensa ai dolci! Sicuramente i dolci saranno migliori. Concentrati! La lista includeva delle cose interessanti: crostatine al limone, panna cotta ai frutti di bosco, gelato al cioccolato con salsa di lamponi… Non aprire gli occhi! Non guardare il piatto di Ren. Kriff, è atroce! Sembrano dei cervelli rosa su vomito di gatto. Non guardare. Concentrati sul taglio della tua focaccia… Respira, su… conta fino a tre.

«Sai, questa roba… fa abbastanza schifo.»

La voce del cavaliere lo costrinse a riaprire lo sguardo e a fissare le magre pietanze sul tavolo. Impugnò il coltello, affondandolo nella pizza. Un sinistro scricchiolio riecheggiò nella sala. Scosse il capo, sconsolato.

«Comunque… l’egiziano sotto casa, con cinque dollari, la fa meglio.» si lamentò, afferrando una fetta e tentando di strappare un morso. La base si sbriciolò immediatamente, piovendo sui pantaloni del completo. La mozzarella si rovesciò proprio sul cavallo, lasciandovi una indelebile macchia di unticcio.

«Kriff e Kriff e di nuovo Kriff! Ma quando finirà ‘sta sfiga infame?»

 
***

 
Kovalski abbassò il binocolo, impugnando la trasmittente. Si sedette sul panettone spartitraffico, avendo cura di non aumentare la pressione in addome. Accavallò le gambe, stringendo le ginocchia. Forse non avrebbe dovuto bere due birre prima di tuffarsi nel freddo della sera.

«Cremlino a Primula Rossa. Rispondete, passo!» sussurrò.

Un gracchiare giunse dall’auricolare:
«Qui Primula Rossa, ti sentiamo. Novità?»

«Il nostro obiettivo è a cena da Cracco.»

«Hai capito il signorino?! E noi che pensavamo fosse uno spiantato.»

«C’è qualcuno con lui.»

«Chi?»

«Non riesco a individuarlo. È coperto da una selva di Ficus benjamin

«Uomo o donna?»

«Non saprei…»

«D’accordo. Altre novità?»

«Una, sì…» inspirò a fondo, stringendo i denti «Chiedo un cambio immediato. Qualcuno di voi può venire a sostituirmi?»

«Mh, forse… scusaci, è che sta cominciando il Gran Premio della Steppa proprio ora. È urgente?»

Si premette una mano sul ventre, annuendo rapido:
«Sì, moltissimo!»

«D’accordo. Guardiamo la partenza e poi ti mandiamo Matrioska. Passo e chiudo!»
 

***
 

Hux spinse via il piattino del dolce, decisamente scoraggiato. Aveva optato per una tortina al limone. Tuttavia, in cucina avevano finito i limoni, quindi si era dovuto accontentare della base di pasta frolla. Niente di eccezionale, in effetti. Si consolò, pensando che Ren non era stato più fortunato: il suo sorbetto alla frutta si era rivelato un centrifugato allo zenzero e al finocchio. Quando aveva provato a chiedere spiegazioni, il cameriere aveva alzato le spalle e si era finto sordomuto.

«Che delusione!» esclamò «Non c’è niente di peggio che mangiare male e spendere tanto! Ti va tutta la cena di traverso.»

«Sono d’accordo…»

«Che dici, paghiamo e… andiamo in albergo?»

«Assolutamente no!» Ren sbatté le mani sul tavolo, facendo tremare le stoviglie rimaste «Io ho ancora fame!»

«Non possiamo ordinare nuovamente! Due dolci, una pizza e un disgustoso piatto a base di interiora ci sono costati quasi…duecento euro, comprensivi di acqua e coperto. La bottiglia di Dom Pèrignon almeno è stata offerta! E comunque faceva schifo pure lei… seicento euro di vino che sapeva di piscio.»

«Ma io ho fame…»

«Lo so! Mangeremo di più domani mattina.»

«Voglio mangiare adesso!»

«Non hai cinque anni, Ren! Cerca di resist…» un brontolio incessante si levò dalla bocca del suo stomaco. Si premette il palmo sulla pancia, cercando di mettere a tacere quel borbottio. Non ottenne grandi risultati. Tossì per nascondere il rumore, ma ormai era tardi. Si ritrovò ad osservare il sogghigno beffardo del compagno «D’accordo…» ammise infine «Ho fame anche io.»

«Ho una idea!» Ben Solo scattò in piedi, affrettandosi a recuperare il suo poncho azteco «Perché non ci prendiamo un kebab?»
 

***
 

Hux si accomodò sullo sgabello. Il tavolino traballante di Turkish Kebab era ingombro di piattini, forchette di plastica, tovagliolini e lattine. Quel cibo spazzatura era l’unica cosa che potesse risollevare una giornata a dir poco disastrosa. Non era salutare, ma almeno le porzioni erano abbondanti. Addentò un falafel, lasciandosi avvolgere dalla croccantezza della crosta e dal sapore speziato.

«Mhhh…» biascicò, la bocca ancora piena «Buonissimo!»

Non era cucina d’alta classe, ma era indubbiamente gustoso. Si rilassò, concedendosi una lunga sorsata coca cola.

«Shi, nienhte malhe…» gli fece eco il collega.

«Non puoi evitare di parlare mentre mangi, Ren? Stai sputando pezzi di carne ovunque! Per tacere della salsa… diamine, datti una ripulita» ringhiò, tendendo all’altro un fazzolettino di carta.

«Pignolo. Comunque… è ottimo! Questo è cibo degno di nota.»

«Sì» convenne, arrendendosi all’evidenza. Le cose migliori erano spesso quelle più semplici ed economiche. Inoltre, non era abituato ai piatti raffinati: aveva passato una vita a sopravvivere con caffè e barrette energetiche, o con frittate improvvisate. Forse… le animelle in salsa di liquirizia erano davvero troppo per i loro palati magri. Agguantò una patatina fritta, prima di domandare «Quindi… hai scritto un libro?»

Ottenne un cenno d’assenso:
«Esatto! Lo presenterò dopodomani al pubblico.»

Hux abbassò lo sguardo, per nascondere la delusione. Possibile che, qualunque cosa facesse, Ren avesse più successo di lui? Non solo! Lo stilista era diventato così popolare da non avere più bisogno neppure dei suoi consigli. Non lo aveva minimamente coinvolto nel progetto, anzi… non glielo aveva neppure accennato. Fissò sconcertato i propri falafel, indeciso se annegarli nella maionese oppure avanzarli. Sentiva un nodo allo stomaco, difficile da ignorare. Inspirò a fondo, per sciogliere la tensione.

«Perché non me lo hai detto? Una volta lo avresti fatto.» sussurrò.

«Beh, perché non credevo ti importasse.»

«Sì, invece! E tanto! Diamine, Ren… siamo stati colleghi per così tanto tempo. Abbiamo comandato lo stesso incrociatore stellare. D’accordo, ero ovviamente migliore di te in questo, come in molte altre cose, ma… mi hai sempre raccontato tutto! All’incirca… cioè, a parte la storia della ragazza spazzino e il resto. In effetti, ho perso Starkiller proprio per la tua incompetenza, ma… tralasciando questo…» infilzò la forchetta di plastica al centro del panino e i denti fragili si spezzarono. Si ritrovò a fissare la posata mutilata, ormai inutilizzabile «Mi consideri davvero così poco? Avrei potuto aiutarti a stenderlo.»

«E dove avrei dovuto stenderlo, scusa? È un libro, non un paio di mutande appena uscito dalla lavatrice.»

«Come diavolo hai fatto a pubblicarlo? Non conosci neppure le espressioni d’uso comune. Lo avrai riempito di errori d’ortografia, di sintassi sbagliate e… oh, diamine! Le virgole sai come utilizzarle?»

«No, ma… credi davvero che queste inezie interferiranno col mio successo?»

«Inezie? Ti sembrano cose da poco?»

«Sapevo che mi avresti fatto delle osservazioni noiose. Per questo non te l’ho fatto leggere! E poi… dubito davvero ti interessi…»

«Potrebbe!»

«Molto bene!»

Kylo Ren armeggiò con la tasca dei pantaloni, cavandone lo smartphone. Gli piazzò lo schermo sotto al naso.

Hux fissò l’immagine inorridito. Al centro di una terrificante copertina gialla, capeggiava una foto altrettanto orrenda: un paio di gambe avvolte dagli immancabili pantaloni a vita alta, tanto da arrivare appena al di sotto dei prominenti pettorali del modello. Il viso non si vedeva, ma il generale non ci mise molto a capire che quel corpo apparteneva al suo coinquilino. D’altronde, lo aveva visto così spesso da non potersene dimenticare: erano più le volte che il cavaliere girava a torso nudo che vestito. Il titolo, a caratteri cubitali sotto al nome dell’autore, era scritto in un acceso rosso fragola: “La vita alta fa tendenza (E altri dieci imprescindibili dettami di moda)”.

«Davvero, Ren?» esclamò incredulo. Come poteva una schifezza simile avere successo? Perché, in quello stupido e retrogrado pianeta, tutti pendevano dalle labbra di uno pseudo-Sith fallito, con pessimi gusti in fatto di abbigliamento e l’igiene personale pari a quella di un lombrico decomposto?

«Visto? Te l’avevo detto che non avresti apprezzato!» fu la pronta risposta altrui.

«Non si può concepire una cosa del genere. È scandalosa.»

«Sei solo geloso! Io sono ricco e famoso e tu… beh, devi scroccarmi la cena per tirare a campare.»

«Guarda che posso pagare per entrambi!»

«Sì, certo… coca cola e patatine fritte, forse. Ma… la cena di prima? Oh, quella non potresti permettertela con il tuo misero stipendio da ingegnere fallito.»

Hux si pizzicò gli angoli degli occhi. Valutò brevemente l’idea di infilzarsi con lo spiedo del kebab. Ma… era davvero geloso dello stilista?

Assolutamente no! Si disse, mentre il dubbio gli scavava dentro.
D’accordo, forse un pochetto… Ammise, prima di gridare dentro di sé Va bene, sono geloso marcio! Ti odio Ren, ti ho sempre odiato e ti odierò fino alla fine dei miei giorni. O dei tuoi!
 

***

 
Vladislavo si strinse nella sciarpa e impugnò nuovamente il binocolo. Controllò ancora una volta la vetrina del Turkish Kebab, mentre dalla trasmittente proveniva una voce familiare:
«Primula Rossa a Matrioska. Sei sul posto?»

«Affermativo!»

«Vedi l’obiettivo?»

«Sì. È seduto al tavolo del kebabbaro.»

«È solo?»

«Negativo. C’è una persona con lui.»

«Descrivila.»

Vladislavo spiò attraverso le lenti.

«Corporatura robusta. Maschio bianco, credo.» scandì attentamente «Vistosi pantaloni all’ultima moda. Calzini di spugna e sandali. Un poncho precolombiano.»

«In volto?»

«Non lo vedo bene. È nascosto dietro il disegno di un falafel gigante. È un uomo con una polpetta di ceci al posto della testa.»

«Per oggi temo che dovremo accontentarci» gracchiò un’ultima volta Primula Rossa «Bel lavoro Matrioska! Rientra alla base, abbiamo molto di cui discutere.»

 

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Capitolo 5
*** Ho fatto un brutto sogno... ***


5. Ho fatto un brutto sogno...


Hux sussultò quando sentì una robusta mano scrollargli le spalle. Schiuse le palpebre, mettendo a fuoco il display della vicina radiosveglia: le due e quarantacinque di notte. La mancina pizzicò l’angolo degli occhi, mentre spiava l’ombra china sul proprio letto.

«Che c’è?» chiese con voce impastata, mentre cercava a tentoni l’interruttore della luce.

«Non riesco a dormire…» il volto preoccupato di Ren apparve immediatamente, abbagliato dal vicino abat jour. I capelli neri ricadevano disordinati ai lati del viso teso. Gli occhi erano arrossati e stanchi e, senza dubbio, la scorpacciata di kebab trangugiato a tarda sera non conciliava il sonno. Il cavaliere indossava un pigiama di flanella, rigorosamente nero, con una vistosa scritta gialla sul petto: “Grandfather’s favourite grandson”.

«Quindi hai pensato bene di svegliare anche me?» sbottò, tirandosi a sedere controvoglia.

«Posso restare qui a dormire?»

Non riuscì a nascondere un’espressione incredula. Non era possibile che Ren si fosse spinto a tanto. Perché mai avrebbe dovuto condividere il letto, quando la suite era dotata di ben due camere con dei matrimoniali e un comodissimo divano a quattro piazze? Non vi era abbastanza spazio per tutti? Inoltre, non aveva alcuna voglia di assecondare richieste stupide: Ben Solo non era un bambino di due anni reduce da un brutto sogno! Era un adulto, almeno nel fisico… e questo rendeva davvero problematico ospitarlo sotto le sue stesse coperte. Prima di tutto, Ren aveva il bruttissimo vizio di rigirarsi continuamente e di sfilare le lenzuola altrui; inoltre, russava come una locomotiva a vapore. Voci di corridoio parlavano persino di attacchi di sonnambulismo. Per di più, era di corporatura ingombrante e gli avrebbe sottratto non poco spazio.

Scosse ripetutamente il capo:
«Assolutamente no! Non ci stiamo nel mio letto.»

«È un matrimoniale! Ci stiamo eccome!»

«Siamo due adulti, Ren…»

«È pensato per due adulti, infatti.»

«Beh… questo no. Questo è un matrimoniale ad uso singolo.» ringhiò, cambiando immediatamente posizione. Si spostò al centro del letto, divaricando le braccia e le gambe «Vedi? Mi serve tutto per stare comodo. Non c’è posto per te.»

Kylo Ren, tuttavia, non si lasciò convincere. Si sporse sul materasso, e con una spintarella fece rotolare il generale su un fianco, accomodandosi poi sul versante libero:
«Ora ci stiamo!»

Hux sbuffò amaro. A nulla valsero i tentativi di schiodarlo: provò a tirargli dei calci, a prenderlo a spallate, a strappargli il cuscino da sotto la schiena; l’altro resistette stoicamente, regalandogli persino un sorrisetto compiaciuto.

«E va bene!» esclamò infine «Mi arrendo! Vedi di stare dal tuo lato, di non parlare nel sonno e di non invadere il mio spazio vitale.» sbottò, tornando a stendersi e acciambellandosi in posizione fetale. Voltò ostinatamente le spalle al compagno, spegnendo la luce con una manata. Non nascose l’irritazione, ringhiando un «Buona notte!» all’indirizzo altrui.

Non ottenne risposta: Ben Solo si era già addormentato.


***
 

Hux grugnì quando colse una gomitata infilarsi nel suo costato. Aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare i contorni del volto di Ben solo.

«Sei sveglio?» fu la domanda che gli rimbombò nelle orecchie.

«Adesso sì! Kriff, Ren sono le tre e quaranta. Che diamine vuoi?»

«Sono agitato…»

«Per cosa?»

«Beh, domani è il giorno del grande debutto. Insomma, la sfilata, il lancio della nuova collezione, e poi… ci sarà un sacco di gente: stilisti famosi…»

«Tu sei uno stilista famoso.»

«Cantanti, attori, registi…»

«È la Settimana della Moda, Ren. Non la Notte degli Oscar!»

«…E se non fossi all’altezza? Se alla gente non piacessero le mie creazioni?»

«Impossibile. La maggior parte dei Terrestri è completamente priva di senso estetico, oltre che di cervello. Apprezzeranno la tua nuova collezione, così come amano le vecchie.»

«Ne sei sicuro?»

Sbuffò nuovamente. Perché l’altro trovava sempre il modo di rompergli le scatole? In un modo o nell’altro, riusciva costantemente ad inserirsi nella sua vita privata, in modo più o meno irruento. Non sapeva cosa fosse più irritante: Kylo Ren che lo soffocava con la forza? Le seghe mentali di Ben Solo a tarda notte? La versione gatto che si toelettava il didietro nei momenti meno opportuni? Non avrebbe davvero saputo scegliere. Sollevò lo sguardo al soffitto, fissandolo intensamente. Pregò che gli crollasse in testa uno dei pannelli e che ponesse così fine alle sue tribolazioni.

Infine, annuì controvoglia:
«Sì.»

«Grazie! Ora mi sento meglio. Sono felice che tu creda in me.»

«Io non credo in te, Ren. Neanche un po’. Ho solo voglia di riposare senza il tuo continuo chiacchiericcio di sottofondo.»

«Oh…»

Si voltò, rimboccandosi le coperte sin sulle spalle:
«Ora dormi, per favore!» supplicò, lasciando che il sonno lo prendesse nuovamente.
 

***

 
Hux aprì gli occhi per la terza volta:
«Kriff, che cazzo c’è ancora?!» gridò, incurante della buona educazione.
Non gli importava un fico secco dei vicini di camera. Che andassero pure a lamentarsi in direzione! Ne aveva fin sopra i capelli di seccature e… se lui non riusciva a dormire, allora avrebbe impedito all’intero piano di riposare.

«Ho fatto un brutto sogno…» una voce lamentosa lo accolse immediatamente.

«E chissenefrega!»

«Posso raccontartelo?»

«No.»

«Ho sognato che…»

«Ren, non mi interessa!»

«… Palpatine risorgeva dall’oltretomba per ricreare l’Impero. Mi chiamava a sé e che cercava di attirare anche Rey. Poi c’era una flotta di caccia stellari armati con dei potentissimi cannoni per far esplodere i pianeti ribelli. Ah, e tu eri morto. Pryde ti ha ucciso perché pensava fossi una spia.»

Si massaggiò la fronte, prendendo un profondo respiro. Si costrinse a contare mentalmente fino a dieci, per impedirsi di soffocare il cavaliere con un cuscino. Sarebbe stato problematico spiegarlo alle autorità locali e non aveva alcuna intenzione di passare il resto della vacanza in commissariato.

«Ren…» sussurrò «Basta kebab la sera.»
 

***
 

Hux fissò la vicina radiosveglia: le quattro e dodici minuti. Il tempo scorreva insolitamente lento e riprendere il sonno sembrava sempre più difficile. Ren si era addormentato, ma non aveva smesso di infastidirlo: dopo un’abbondante decina di minuti passata a russare come un trattore degli anni cinquanta, aveva intonato un’aria lirica tratta direttamente dalla Turandot. Infine, dopo essersi rigirato una ventina di volte e avergli mollato altrettanti calci, si era avvolto nelle coperte come un baco da seta in fase di muta. Il generale aveva tentato di riprendersi almeno il piumone, ma senza successo. Si era, quindi, ritrovato al freddo. Costretto ad alzarsi, aveva frugato per tutta la stanza alla ricerca di una coperta aggiuntiva, si era dovuto accontentare di stringersi nell’accappatoio.

Esausto, aveva cercato rifugio nel letto dello stilista, solo per rendersi tristemente conto che la camera di Ben confinava con quella di una focosa coppietta di sposini. Le grida di piacere, i gemiti e lo sbattere continuo della testata contro al muro in comune, lo avevano presto convinto a tornare sui propri passi.

Si costrinse a chiudere gli occhi e a cercare di calmarsi. Era abituato a dormire poco, in realtà: i turni di lavoro sul Finalizer erano impegnativi e raramente abbandonava il ponte per più di sei, sette ore al massimo. In genere, quel lasso di tempo era sufficiente per un po’ di ristoro. Tuttavia, sullo Star Destroyer non si concedeva mai una cena così abbondante: dopo i piatti di Cracco – affatto soddisfacenti per l’appetito – si era concesso un quantitativo industriale di falafel, che ora gli danzavano allegramente nello stomaco. Il sottofondo musicale di Ren, naturalmente, non aiutava affatto.

Rilassati, si disse, abbandonando la testa contro il cuscino, rimangono solo poche ore. Cerca di sfruttarle al massimo. Ripassa i piani di Starkiller oppure… simula una partita a scacchi contro te stesso. Di solito è abbastanza noiosa e ti aiuta a prendere sonno. Che ne dici di contare le pecore? Pare che sulla Terra sia uno dei metodi più apprezzati. È facile… devi solo immaginarti uno steccato e degli ovini che saltellano qui e là felici. No? Mh… chissà Mitaka come se la sta cavando. Essere Leader Supremo comporta un sacco di responsabilità. Rose avrà già partorito? Mi chiedo se chiameranno davvero Enric il bambino… Spero che rinsaviscano almeno loro. Kriff, non possono dargli il nome di Pryde! È un affronto! Armitage è sicuramente più adatto… e non lo dico perché è il mio nome. È oggettivamente migliore!
Quanto a Phasma? Avrà davvero trasformato i miei alloggi in un centro fitness? E Unamo? Ambiziosa come era, sicuramente ora sarà la sovrana indiscussa dell’Orlo Esterno. Non l’avrei mai detto, ma… un po’ mi mancano. Certamente, avrei preferito essere esiliato con qualcuno di loro, invece che con un idiota tale.

Tirò un leggero calcio verso il cavaliere che, per tutta risposta, si mise nuovamente a cantare nel sonno:
 

Tra il balcone e il citofono ti dedico i miei guai
Di sere nereeeeeeeeeeeeeeeeee
 Che non c'è tempo
Non c'è spazio
E mai nessuno capirà

 
Si schiacciò il cuscino contro le orecchie, premendo con forza. Sarebbe stata l’ennesima, lunghissima notte.
 

***
 

Hux sobbalzò quando sentì il suono della sveglia.

Era riuscito ad addormentarsi attorno alle quattro e quaranta… perché, allora, l’orologio segnava le cinque? Doveva esserci un errore. Si mosse a tentoni, cercando la luce.

«Ren, che diamine…?» biascicò, trovando il cavaliere già in piedi e scattante. Ben Solo si era avvicinato alla larga finestra, tirando le tende e rivelando una città ancora immersa nelle tenebre.

«Buongiorno Hux! Dormito bene?»

«Ma vaffanculo!» l’esclamazione gli sorse spontanea «Non ho potuto chiudere occhio! Mi hai svegliato perché non riuscivi a dormire, poi perché avevi avuto un incubo, poi hai russato, cantato e… preferisco non dire altro. Finalmente, all’alba delle quattro passate, prendo sonno… e tu mi svegli dopo nemmeno mezz’ora? Ma sei scemo o mangi i sassi?»

«Beh, dobbiamo prepararci! Non possiamo arrivare in ritardo al grande evento.»

«Ren! La sfilata è alle undici di mattina, mancano ancora sei fottute ore!»

«Abbiamo anche un pezzo di strada da fare…»

«Ci vogliono quindici minuti con il taxi!»

«Certo che sei parecchio stressato…»

«Chiediti il perché, Ren!»

Il cavaliere batté le mani, come colto da un’improvvisa ispirazione:
«Sai cosa ti farebbe bene? Una sessione di Yoga mattutino!»

«Che?»

«Non preoccuparti! Ho già chiamato un insegnante privato. Sarà qui in meno di mezz’ora…»
 

***
 

Hux maledisse silenziosamente tutte le divinità conosciute.

Quella era una delle peggiori torture mai concepite. Dover riprodurre i movimenti del maestro di yoga, tenendosi in equilibrio su un precario tappetino antiscivolo, era già abbastanza complicato per uno con l’elasticità di un tronco rinsecchito. In più, a quell’ora del mattino era praticamente impossibile. Aveva perso il conto delle volte in cui era caduto, suscitando la compassione dell’istruttore.
Ben, invece, si muoveva con armonia e scioltezza, sicuramente aiutato dai numerosi anni d’addestramento Jedi. Aveva abbandonato il pigiama in favore di un paio di morbidi pantaloni di tuta, che gli fasciavano le gambe ed evidenziavano la curva delicata del didietro. Aveva rinunciato alla felpa, preferendo esibirsi con una canottiera sin troppo aderente, che lasciava davvero poco all’immaginazione. Gli addominali scolpiti tracciavano solchi sul tessuto attillato. I muscoli delle braccia spiccavano sotto una leggera patina di sudore, coordinando movimenti aggraziati ed eleganti.

Il generale trovava davvero difficile staccargli gli occhi di dosso, ribollendo silenziosamente d’invidia. Come poteva competere con un fisico del genere? Aveva avuto cura di nascondere ogni centimetro della sua pelle lattiginosa, sfruttando una tuta adidas guadagnata con i punti delle merendine. Era ben consapevole che mai avrebbe potuto raggiungere quella graziosa sfumatura dorata sulla carnagione dello stilista; o i bicipiti palestrati o i ruspanti pettorali da scaricatore di porto.

«Armitage, ti vedo distratto.» la voce dell’insegnante lo riportò immediatamente alla realtà «Abbiamo cambiato esercizio, caro… eseguiamo la Posizione dell’Albero. Allora, mantieni l’equilibrio su un piede solo…»

Sollevò titubante la gamba destra, piegandola all’altezza del ginocchio opposto.

«Ecco, bravo. No, no… l’altra gamba. Solleva le braccia ora, così. Molto bene. No, scusa ho cambiato idea: l’altra gamba. Anzi, l’altra ancora… mh, che ne dici di provare a farlo senza gambe? Su, impegnati che poi ci aspetta una ricca colazione a base di tisana al finocchio.»

«Veramente, vorrei del caffè…»

«Non preoccuparti!» Ben si intromise immediatamente, sfoggiando un sorrisetto rassicurante «Ho già pensato a tutto. Niente tisana al finocchio, promesso.»

«Caffè?» azzardò Hux, ricevendo un cenno di diniego.

«No, meglio ancora! Un centrifugato zenzero e carota. Vedrai, ti piacerà tantissimo!»


 
Angolino: 'sera! Ho aggiunto al volo questo capitoletto. Non era previsto nel corso della storia (in realtà, non so neppure io cosa sia previsto e cosa non lo sia... invento le cose sul momento), però mi piaceva l'idea che Ren fosse in ansia per il grande evento. Per fortuna, rimedia con Yoga e centrifugati allo zenzero e carota.
Per il resto... vi ringrazio come sempre tantissimo di aver letto fin qui!
Un abbraccio

E'ry

 

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Capitolo 6
*** Non è il caso di farne un dramma ***


6. Non è il caso di farne un dramma


Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente
Anzi leggerissima
 

Quel motivetto gli rimbombava in testa da ore… Da quando avevano preso il taxi per raggiungere il polo fieristico. Ren, ovviamente, si era unito al canto dell’autista, dando origine ad un duetto affatto invidiabile. Lui aveva tentato inutilmente di tapparsi le orecchie con dei fazzoletti di carta, ma la canzone gli si era sedimentata nel cervello.

All’arrivo, il cavaliere aveva profumatamente pagato il conducente e gli aveva regalato una serie di autografi: per lui, per la moglie, per il cugino farmacista e per la vicina di casa, sua grandissima fan. Poco dopo, erano stati accolti da una hostess sorridente, che aveva consegnato loro dei pass e li aveva scortati sino alla sala principale. La stanza era immersa nel buio, illuminata solo dai neon che pendevano dal soffitto e che puntavano direttamente sulla passerella.

«Prego, si accomodi qui.» aveva detto la signorina, indicandogli una sedia giusto davanti al palco «In prima fila, signor Hux. È davvero fortunato ad avere un amico premuroso come Ben Solo.»

«Certo! Come no…» aveva risposto, sforzandosi di nascondere l’ironia.

Si era lasciato scivolare sulla seggiola, sfilandosi il cappotto ed appendendolo alla spalliera. Immediatamente, una cinquantina di occhi si era puntata su di lui: chi era quel giovane uomo dai capelli rossi, così sfacciato da presentarsi alla sfilata con un semplice paio di jeans e delle anonime Converse? Per tacere di quello sciatto maglioncino azzurro! Diamine, ma dove l’aveva recuperato? Sicuramente in qualche cestone durante i saldi di fine anno. Che orrore.

Hux si mosse a disagio, consapevole degli sguardi straniti che continuavano a piovergli addosso da un abbondante paio d’ore. Ben lo aveva lasciato quasi immediatamente, dirigendosi verso gli spogliatoi per preparare la collezione. Si era, quindi, ritrovato stretto tra due volti noti dell’alta moda: la signora Versace tentava educatamente di mascherare il proprio disgusto dietro a degli enormi ed inutili occhiali da sole. Valentino tormentava nervosamente un foulard di seta, senza smettere di ripetere «Dio! Oh, Dio!» con voce nasale.

Si sforzò di non badarci, focalizzando l’attenzione sulla passerella: una graziosa modella camminava disinvolta su dei tacchi vertiginosi. Incrociava il passo come una gazzella strabica, mantenendo le lunghe mani nelle tasche di una gonna a palloncino. Talmente a palloncino da sembrare una mongolfiera, si sussurrò, osservando sconcertato la stoffa a righe colorate e il top di ecopelle che copriva a stento i magri seni della ragazza.

«Atroce…» mormorò, rendendosi conto troppo tardi dell’errore.

Donatella Versace storse il naso, sbuffandogli nelle orecchie:
«Da che pulpito vien la predica.»

«Che zotico!» le fece eco Valentino.

Il generale si rannicchiò maggiormente, sperando di mimetizzarsi con seggiola il più possibile.
Avanti, si disse Tieni duro! Tra poco tocca a Ren. Poi… in albergo di corsa. Devo ancora vedere il Duomo, accidenti!
 

***


Ben Solo finì di accomodare l’orlo di un paio di pantaloni a vita alta. Era particolarmente fiero di quel capo: la cintura arrivava appena sotto le ascelle del modello. Lasciava scoperta soltanto la porzione superiore del petto e poi scendeva in delle morbide pieghe sino alle caviglie. Il tessuto era un delicato satin bianco, dove aveva fatto stampare dei simpatici musi di gatto, alternando soltanto due colori: rosso e nero. Quello era indubbiamente il pezzo forte della collezione. Non vedeva l’ora di vederlo in passerella! Avrebbe lasciato tutti a bocca aperta, specie se accompagnato dalle infradito con zeppa verde acido. Si abbandonò alla fantasia: si immaginò l’intera sala crollare sotto gli scroscianti applausi. Il pubblico si sarebbe alzato e Giorgio sarebbe stato così fiero di lui. L’indumento sarebbe andato a ruba, conteso tra i maggiori influencer, attori e band rock. Ah, se solo sua madre avesse potuto vederlo: sarebbe stata orgogliosa della sua nuova carriera, oltre che del gusto estetico interamente ereditato da Han e dagli insegnamenti di Chewbacca.

Accarezzò delicatamente la stoffa, proprio mentre uno dei suoi assistenti irrompeva nel camerino:
«Maestro Solo!» gridò il giovane, visibilmente trafelato «Una tragedia! Un disastro! Una catastrofe naturale!»

«Francisco! Che succede?»

«Il modello dodici… quello che doveva indossare l’abito di punta» indicò i pantaloni con i gatti «Ha avuto una terribile colica intestinale. Il poveretto non ha retto l’emozione. Si è chiuso in bagno, ma ormai è seduto sul gabinetto da mezz’ora… non possiamo mandarlo in passerella così.»

«No, infatti…» Se c’era una cosa che poteva rovinare il suo trionfo, era una spruzzata di diarrea sotto i riflettori. Ben si strinse nelle spalle: poco male, non era un grosso inconveniente… sarebbe bastato sostituire Dodici «Beh, mi dispiace per il poveretto» continuò «Troviamo qualcuno che lo rimpiazzi.»

«È proprio questo il guaio! Questo capo è così sublime ed eccezionale… che nessuno dei modelli desidera portarlo, per timore di avere un mancamento durante la sfilata. Sindrome di Stendhal, Maestro.»

«Dannazione! Ero consapevole fossero un capolavoro, ma non fino a questo punto…»

«E ora come facciamo? Nessuno è immune al fascino di questi pantaloni, Maestro Solo! Svengono tutti non appena li vedono. Temo…dovremo disdire la presentazione.»

Scosse il capo: per nulla al mondo avrebbe rinunciato a quel pezzo. Aveva lavorato sodo su quell’indumento ed era certo della sua validità. Se voleva rivoluzionare il mondo della moda, doveva assolutamente mostrarlo al grande pubblico.

«Nemmeno per sogno!» esclamò, mentre un’idea geniale gli si condensava nella mente «Forse… ho la soluzione ai nostri problemi. So chi potrebbe aiutarci! Una persona talmente scettica, indisponente e refrattaria al buon gusto, che indubbiamente non risentirà dell’effetto di questi spettacolari pantaloni.»

L’assistente si inginocchiò, abbracciando con devozione le ginocchia dello stilista:
«Oh, Maestro! Ditemi dove posso trovare costui e giuro sulla tomba della mia stimata bis-cugina Dolores che ve lo porterò.»

«È seduto in sala, con indosso un maglioncino azzurro cento per cento poliestere.»

«Maestro!» lo sfortunato si percosse il petto «Siete certo di voler affidare la vostra creazione ad un tale miscredente?»

«Non vedo alternative, diletto discepolo. Ora va! E che la Forza sia con te.»

 
***

 
Hux osservò terrorizzato l’orrendo capo d’abbigliamento. Un uomo con la faccia da topo si era precipitato in sala, obbligandolo a lasciare il suo posto ed a seguirlo nel retro del palco. Valentino e Donatella si erano scambiati uno sguardo sollevato.

«Ti sei bevuto quel poco di cervello che avevi, Ren?» ringhiò, mentre lo stilista congiungeva pietosamente le mani davanti a sé.

«Per favore! Il modello dodici si è sentito male. Ho bisogno di qualcuno che lo indossi.»

«La sala è piena di gente! Perché proprio io?»

«Sei l’unico immune al fascino della mia creazione… e abbastanza alto da portarli senza inciampare nell’orlo. Lo farei fare a Francisco» Ben indicò il commosso assistente «Ma raggiunge a stento il metro e sessanta. Non riuscirebbe neppure ad allacciarli correttamente.»

«No!»

«Perché no?»

«Preferirei girare nudo, che con quello scempio addosso…» scosse il capo, indicando la fantasia della stoffa «E poi… un gatto rosso e uno nero? Davvero Ren? Non ti è bastato quello che abbiamo passato? Dovevi persino rendere omaggio a quei due dannatissimi felini?»

«Punto primo, se vuoi posso accontentarti. Per il prossimo anno ho intenzione di lanciare dei pantaloni invisibili, quindi…»

«Ren!»

«Secondo, mi piaceva il tessuto, tutto qui. Non è il caso di farne un dramma.» Ben gli girò rapidamente attorno «Ora, potresti cortesemente spogliarti?»

Emise un rantolo strozzato:
«Cosa?»

«Ti ho chiesto se puoi…»

«Ho sentito quello che hai detto! Non intendo avvallare la tua ennesima follia!» incrociò le braccia al petto, sollevando il mento, sdegnato. Per nulla al mondo si sarebbe prestato ad una idiozia simile. Non avrebbe indossato dei pantaloni osceni con dei gatti stampati sopra, specie dopo tutti i guai che quei maledetti animali gli avevano causato. Se non fosse stato tanto sprovveduto da raccattare una micetta nello scarico dei rifiuti del Finalizer, niente di tutto ciò sarebbe accaduto! Sarebbe ancora al comando del suo incrociatore, solcando le silenziose vastità dello spazio. Avrebbe il lucido ponte sotto i piedi, gli alloggi da ufficiale, la divisa e i gradi da generale dipinti sulla manica. Avrebbe il comando del Primo Ordine o dell’intera galassia. Invece…

«Per piacere? Solo per questa volta.»

«È raro sentirti supplicare, Ren… Ma, no!»

«Stronzo!»

«Forse…»

«Ti credi al sicuro, ora che non ho più la Forza per soffocarti a piacere? Beh, ti sbagli!» Ben Solo gli si avvicinò di un passo, avvicinando il volto al suo con fare minaccioso. Si chinò per sussurragli all’orecchio «Non hai idea di quello che posso farti. Kylo Ren ti sembrerà una passeggiata, in confronto.»

Alzò gli occhi al cielo, con uno sbuffo irritato e rifiutandosi d’apparire impressionato:
«Non sei credibile, lo sai?»

«Lo vedremo! Piangerai quando ti infilerò le arachidi nel gelato.»

«Non sono allergico alle arachidi! Questa storia deve finire.»

«Ah no?» colse una pausa indecisa e poi di nuovo la voce lamentosa che rompeva il silenzio «Va bene. Allora lancerò il tuo amato computer in una vasca piena d’acqua. Addio progetti Starkiller II, che ne dici? Sai tutto a memoria? Non credo… forse quelli dell’originale, ma le modifiche che hai dovuto apportare per compiacere i tuoi poco stimati colleghi? Immagino sarebbe davvero una grossa perdita…»

Hux assottigliò lo sguardo, mordendosi nervosamente le labbra. Non aveva molta possibilità di scelta. Non se voleva salvare il proprio duro lavoro. Dopo tutto, era questione di cinque minuti: indossava i pantaloni, sfilava sulla passerella, tornava indietro e si cambiava nuovamente. A quel punto, nulla più l’avrebbe trattenuto in quella stupida fiera di settore. Sarebbe potuto tornare in albergo e concedersi un bagno rilassante, prima di visitare finalmente il Duomo. Certo, d’altra parte significava cedere alle minacce di Ren, ma ormai conosceva abbastanza il cavaliere da non sapere quando stesse bluffando e quando fosse serio. Era un perenne mistero, ancora indecifrabile: per la maggior parte, i comportamenti dell’altro erano piuttosto banali e semplici da leggere; tuttavia, sapeva sfoggiare ancora i lati oscuri del proprio carattere. Oh, Ben Solo poteva così professarsi redento e votato al bene! Poteva ingannare tutti, compresa sua madre, ma non lui: da qualche parte Kylo Ren se ne stava ancora in agguato.

Strappò con forza i pantaloni dalle dita dello stilista, spiegandoli davanti a sé:
«Dammi questa robaccia!» sibilò, prendendo poi a disfarsi dei propri abiti.

Si tolse le Converse e i jeans ricevendo un:
«Orrore! Calzini di spugna!» da uno sconvolto Francisco.

Decise di ignorarlo, accantonando anche il maglione. Un attimo dopo, la voce dell’assistente tornò a farsi sentire:
«Una maglietta della salute! Ah, me misero, me tapino! È troppo da sopportare.» urlò il collaboratore, inginocchiandosi in un angolo e frustandosi la schiena con delle paillettes.

«Amh… Ren?»

«Non preoccuparti. Fa sempre così quando vede qualcosa che lo sconvolge. È molto credente…»

«Si sta picchiando con degli strass… credente in cosa, di grazia?»

«Nel buon gusto, di cui sei evidentemente privo. Espia così le tue colpe.»

Si sforzò di non commentare, rimuovendo rapidamente la canottiera nera e infilando i pantaloni a vita alta. Guardò fisso davanti a sé, mentre le dita tentavano di allacciare la cintura sui fianchi.

«No, no! Stai sbagliando a metterli…» Ben si fece immediatamente avanti, recuperando la situazione «Solleva le braccia.»

Hux obbedì, ritrovandosi ben presto il bordo superiore dei pantaloni appena sotto le ascelle e la fibbia chiusa sul petto. Tossì, indicandosi:
«È troppo stretta, Ren! Non riesco a respirare.»

«Capirai, tanto sei abituato…»

«Crepa!» rispose, armeggiando per allargare la cinta di almeno un buco «Kriff, sono atroci. Come diamine ti vengono certe idee?»

«Oh, non potresti mai capire, mio caro. È parte dell’essere artisti e geni incompresi.»

«Io sono un genio incompreso! Tu sei un idiota che sta simpatico alla fortuna…»

«Forse… ecco, metti queste.»

L’orrore sul suo volto crebbe a dismisura, non appena vide il terrificante paio di infradito con zeppa verde acida. Scosse ripetutamente la testa, indietreggiando di un passo.

«No!» si rifiutò «Non calzerò quella robaccia. Mi sono già umiliato abbastanza.»

«Ma il capo non ha senso senza le ciabattine!»

«Non ha senso comunque. Voglio almeno delle scarpe decenti.»

«Ricordati il computer…»

Afferrò un lembo della stoffa a gattini, tendendolo a dismisura. Vide il panico dipingersi sul viso altrui. Sorrise pungente:
«Le mie Converse! Altrimenti lo strappo.»

«Non oseresti…»

Aumentò gradatamente la forza, sino a cogliere il rumore di un punto che saltava. Ignorò le litanie angosciate di Francisco, sostenendo con sfida lo sguardo dello stilista. Infine, lo vide cedere e riporre le infradito:
«Va bene! Metti quelle.»

Sogghignò, vittorioso… ma il suo trionfo durò veramente poco. Ben lo afferrò per un braccio, spingendolo verso una sedia di plastica rosa, sistemata davanti ad una specchiera del medesimo colore. Lo fece accomodare, mentre un giovane parrucchiere si faceva prontamente avanti.

«Allora, come li facciamo questi capelli?» chiese l’ hair stylist «Secondo me, abbiamo due opzioni…»

«Non può semplicemente lasciarli così? O pettinarli all’indietro con un po’ di gel e…» Ricevette un colpo di spazzola dritto in testa «Ahi! Senti un po’, brutto stron…»

«Scht! I modelli non parlano. Largo alla creatività!» gridò entusiasta il parrucchiere «Dicevo… o una bella cresta, stile punk.»

«No!»

«Oppure… mh, potremmo rasarli a zero. Che ne dice, Maestro Solo? Secondo me risalterebbe molto.»

«No! Nessuna delle due co…»

«Ho una idea.» Ben gli si avvicinò sollevandogli le ciocche a lato delle tempie «Così? Come fossero delle orecchie da gatto.»

«Ren!»

«Lei è il migliore, Maestro Solo» squittì l’acconciatore «Mi metto subito all’opera.»
 

***
 

 Hux fissò il proprio riflesso nello specchio. Se avesse potuto uccidersi con una forcina, lo avrebbe fatto. Era semplicemente ridicolo! I pantaloni slanciavano assurdamente la sua figura, facendolo sembrare il cugino magro di Obelix, amante dei gatti e direttore di una colonia felina. Le scarpe quasi non si vedevano sotto l’ampia stoffa che gli svolazzava attorno alle caviglie. I capelli erano stati sistemati in due voluminosi ciuffi che puntavano al cielo, incollati con quintali di lacca. Più che delle orecchie, sembravano un paio di corna bovine. Per finire, era passato nelle mani di un’abile truccatrice: gli occhi erano ora cerchiati da un’abbondante dose di mascara e da un ombretto verde acqua, ma la cosa peggiore era indubbiamente il rossetto color lampone. Si pizzicò l’attaccatura degli occhi: come era caduto in basso! Da glorioso generale del Primo Ordine a finta rock star decaduta. Se suo padre fosse stato lì a vederlo, gli avrebbe spaccato la faccia con una spranga. Forse lo avrebbe fatto anche Phasma, in effetti. Pryde sarebbe letteralmente morto dalle risate, mentre Mitaka lo avrebbe compatito. Unamo se ne sarebbe fregata, come sempre.

Ben Solo comparve da dietro un paravento:
«Sei pronto?» gli chiese.

«Ren, davvero… non me la sento. Non so neppure come si sfila e… tutto questo, è umiliante!»

«Scherzi? Sai in quanti vorrebbero essere al tuo posto?»

«Perché non hai chiamato loro, dunque?»

«Ormai è tardi per i ripensamenti!» lo stilista lo agguantò per un polso, tirandolo bruscamente in piedi e spingendolo davanti ad una spessa tenda nera «Fai un bel respiro e rilassati! Ti sta guardando solo qualche milione di persone. Andiamo… sei stato il volto del Primo Ordine! Questa sarà una passeggiata, a confronto.»

«E se sbagliassi qualcosa?»

«Non essere assurdo! Devi solo camminare, arrivare in fondo alla passerella e tornare indietro. Testa alta e schiena dritta, come se avessi una scopa in culo.»

«Non so come si fa!»

«Sono anni che cammini così! Diamine, è la tua postura standard.»

Sbuffò piano, osservando il pesante tendaggio, oltre cui uno speaker stava annunciando:
«Sale ora in passerella il modello numero dodici. Pantaloni Cats, ultimo capo per la collezione Solo.»

Hux si ritrovò immediatamente spinto fuori. Si paralizzò quando i riflettori lo accecarono e si trattenne dal sollevare una mano per proteggere gli occhi. Strinse i pugni lungo i fianchi, obbligandosi a muovere lungo la passerella.

Andiamo, si disse, non è complicato. Devo solo camminare, solo camminare. Un passo avanti all’altro. Oh, Kriff, speriamo di non inciampare in questi affari! E se si sciogliesse la cintura? Se mi cascassero e restassi in mutande davanti all’intero pianeta? Non posso credere d’essere caduto così in basso. Kriff, mi guardano tutti! Cammina, cammina…ripeté, sforzandosi di tenere il capo dritto e di fissare il nulla davanti a sé C’è troppa gente. Diamine, mi sta venendo un attacco di panico. Oh, no! Respira, avanti… inspira, pff… butta fuori. Ricomincia da capo. Inspira e… oh, immagina di essere su Starkiller. Davanti a te, una distesa di Stormtrooper. Sì, perfetto… solo caschi bianchi e armature. Non guardarli! Sono i tuoi soldati. Tieni gli occhi sollevati. Com’era il discorso?  Ah, sì!Oggi è la fine della Repubblica! La fine di un regime acquiescente al disordine! In questo stesso momento, in un sistema lontano da qui, la Nuova Repubblica mente alla galassia mentre sostiene segretamente il tradimento della ripugnante Resistenza!poi? Oh, cavolo… ho finito la passerella, devo girare.

Compì un rapido dietro-front, tornando a cantilenare nella propria mente:
“Questa feroce macchina che avete fabbricato, sopra la quale noi siamo, metterà fine al Senato e ci condurrà alla fetida Resistenza! Tutti i rimanenti sistemi si piegheranno al Primo Ordine e nella nostra memoria questo sarà l'ultimo giorno della Repubblica!”

Il telo nero lo avvolse nuovamente. Si precipitò oltre la tenda, trovando un paio di braccia pronte ad accoglierlo. Ben Solo lo strinse forte, cullandolo dolcemente:
«Ce l’hai fatta! Ascolta… la folla è in visibilio!»

Tese le orecchie, cogliendo un applauso scrosciante provenire dalla sala. Grida di giubilo si assommavano allo sbattere dei piedi al suolo, a fischi ammirati e ad un coro unanime:
«Ben Solo, Ben Solo, Ben Solo!»

«Ti acclamano…» sussurrò sconvolto. La sua esibizione era davvero piaciuta? Beh, no… quello che veramente era apprezzato erano, ovviamente, i pantaloni a vita alta. Lui non era stato altro che un manichino con capacità di movimento autonomo.

Ren lo abbracciò di nuovo, prima di spingerlo verso l’assistente:
«Già, ed è tutto merito tuo. Naturalmente, la fama e la gloria le reclamo per me, ma… cerca un ristorante grazioso per questa sera! Hai salvato la sfilata, il minimo che possa fare è offrirti una cena.»

«Ma…»

«Francisco si occuperà di te. Io devo andare a riscuotere il successo! Ci vediamo dopo.» disse Ben, sparendo oltre la tenda.
 

***
 

Hux si avvicinò al collaboratore. Quel tizio assomigliava in tutto e per tutto a Mitaka. Forse è il suo gemello scemo, si disse.
«Chiedo scusa… rivorrei i miei abiti. Ho bisogno di andare a riposarmi e…»

«I tuoi vestiti?» Francisco gli rispose con un cenno incerto «Mh, temo di averli fatti regalati poco fa.»

«Cosa?!»

«Erano seriamente inguardabili, modello dodici.»

«A chi li hai dati?»

«Oh, li ho buttati qui fuori, nel contenitore della Caritas per i vestiti usati.»

«No!»

«Sì!»

«E ora come ci torno in albergo?»

L’occhiata dell’assistente fu piuttosto eloquente. Non vi era altra soluzione: non poteva far altro che rientrare con addosso quei terrificanti pantaloni a vita alta. L’alternativa era girare in mutande e non era sicuro che fosse consigliabile, a meno di voler passare le ore successive in commissariato a spiegare il motivo di tanta audacia.

Hux allargò le braccia sconfortato:
«Posso almeno recuperare la mia giacca?» chiese, pregando che almeno quella fosse salva.

«Te la prendo subito.»
 

***
 

Dimitri recuperò la trasmittente, senza smettere di staccare gli occhi dal binocolo.

«Primula Rossa! Qui Guerra e Pace. Siete in ascolto?»

«Ti sentiamo!»

«Ho agganciato l’obiettivo. Sta rientrando nella struttura ospitante di pertinenza designata.»

«Per Cechov, parla come mangi!»

«Sta tornando in albergo ed è solo. Ripeto: è solo.»

«Eccellente! Non perderlo di vista, ti raggiungiamo subito.»

«Bene! Passo e chiudo!»
 

 
Angolino: torno con un piccolo aggiornamento pomeridiano. Come sempre, vi voglio ringraziare tantissimo per le recensioni e i consigli <3
Ammetto che questo capitolo è un po' lunghetto, ma spero non vi abbia annoiato. Dovevo riuscire a compattare tutta la sfilata e la gloria di Ben in poche pagine, purtroppo. 
Vi ringrazio sempre tanto per aver letto fin qui,
mando un abbraccio a forma di gatto

E'ry
 

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Capitolo 7
*** Dove diamine sei quando mi servi?! ***


7. Dove diamine sei quando mi servi?! 


Ben Solo lasciò ricadere il telo oltre le proprie spalle. Strinse gli occhi per abituarsi ai riflettori della sala, ormai puntati interamente su di lui. La folla, in piedi, applaudiva e gridava il suo nome.

Si inoltrò lungo la passerella, congiungendo le mani in preghiera e inchinandosi a destra e a manca:
«Grazie…» ripeté più volte, mentre le acclamazioni crescevano d’intensità «Grazie! Troppo buoni, troppo generosi! Non mi aspettavo di ricevere tanto apprezzamento. È un’incredibile sorpresa per me» mormorò, mal celando la falsa modestia.

Era visibilmente orgoglioso del proprio lavoro. La collezione era stata un successo e l’ultimo capo era stato la ciliegina sulla torta. Fortunatamente, l’inesperto modello non aveva rovinato l’impatto della creazione.

Sollevò le braccia in un cenno vittorioso, scatenando infiammando l’entusiasmo dei presenti.

Ah, se solo Leia avesse potuto vederlo! Era passato dall’essere un aspirante Jedi con manie oscure, a pupillo di Snoke a… gatto – anche se tendeva a dimenticare quell’incresciosa parentesi nella propria vita – a stilista di successo. La sua vita si riconduceva ad una perfetta scalata, con solo qualche scivolone qui e là, da cui si era prontamente ripreso.

Scese con un balzo dalla passerella e immediatamente si ritrovò a stringere decine di mani, a firmare centinaia di autografi con penne raccattate a casaccio, a ricevere vigorose pacche sulle spalle.

«Grazie! Grazie di cuore!» cantilenò ancora, scorgendo infine Donatella e Valentino avvicinarsi.

«Stupendo mio caro, stupendo» chiocciò la Versace «Non ho mai visto niente di così sublime! Un’opera d’arte.»

«Già!» le fece eco Valentino «I pantaloni Cats, poi… quelli erano un vero gioiello! Meriterebbero d’essere esposti in un museo e non indossati da comuni mortali. Se mi permetti un’unica osservazione, Ben… le scarpe non erano adatte. Mi sarei aspettato qualcosa di più eccentrico a delle semplici Converse.»

Ben si strinse nelle spalle, scoraggiato:
«L’idea originale era abbinare i pantaloni a delle deliziose infradito color verde acido. Una piccola zeppa avrebbe slanciato ulteriormente la figura del modello, ma questi si è rifiutato di indossarle. Purtroppo… era un principiante.» aggiunse, con una punta di disgusto.

Vide gli altri due annuire con foga:
«Si vedeva!» confermò la donna «Come mai scegliere un apprendista per portare un capo simile?»

«Oh, no! Non spettava a lui. Il modello prescelto si è sentito male poco prima della sfilata… sindrome di Stendhal, sapete com’è… e ho dovuto rimpiazzarlo in fretta. In realtà, Hux non è nemmeno un apprendista… è solo un ex-collega noioso, pieno di sé e con un gusto osceno in fatto di abiti. Tuttavia, era una situazione di emergenza…»

«Ti capisco!» sospirò Valentino «Una volta, io ho dovuto obbligare a sfilare un attaccapanni… non ti dico che imbarazzo! D’altronde, sono imprevisti che possono capitare. L’importante è sapervi far fronte.» l’uomo porse il braccio alla Versace, che lo afferrò prontamente «Vieni, Donatella… dopo tanto splendore, dobbiamo ritirarci per meditare sulla nostra prossima collezione. Non sarà facile superare l’idillio di Maestro Solo.»

Ben li salutò con un cenno e ne approfittò per ritirarsi nuovamente dietro le quinte. Aveva bisogno di riposare, di smaltire l’euforia e di trangugiare una Fanta ghiacciata per lenire la gola, rinsecchita dai troppi ringraziamenti elargiti.

Tuttavia, non riuscì neppure ad avvicinarsi alla macchinetta: Giorgio Armani gli tagliò la strada, stringendolo in un abbraccio affettuoso.
«Sono così fiero di te!» esordì lo stilista, strizzando le guance al suo pupillo «Sapevo che ce l’avresti fatta. Li hai conquistati, meravigliati, fatti innamorare. Hai superato il tuo mentore!»

Ben si sottrasse a quelle attenzioni con un discreto passo indietro:
«Mi onora molto il tuo parere. Ho solo seguito i tuoi consigli e…»

«Non essere modesto! Questa collezione trabocca di creatività e genio. È vero che domani presenterai il libro alla stampa?»

«Oh, sì! E venerdì mattina terrò un seminario sui pantaloni a vita alta.»

Armani gli arruffò affettuosamente i capelli:
«Ci sarò!» promise solenne «Non me lo perderei per nulla al mondo.»
 

***

 
Hux si infilò nuovamente le Converse. I capelli, ancora umidi, avevano riassunto la naturale morbidezza, ora che erano stati lavati dai quintali di lacca e gel usati per l’acconciatura. Si era concesso una lunga doccia calda e si era rapidamente rivestito, optando per un paio di jeans e recuperando il maglioncino azzurro.

Non aveva alcuna intenzione di aspettare Ren in camera. Non era ancora riuscito a vedere il Duomo, ma questa volta… niente glielo avrebbe impedito! Aveva infilato il certificato medico sulla protesi cardiaca nella tasca dei jeans, per essere certo di non dimenticarlo o perderlo. Inoltre, aveva pianificato l’itinerario perfetto: dopo la cattedrale, si sarebbe diretto con la metropolitana sino alla Pinacoteca di Brera e poi avrebbe ripreso i mezzi pubblici per concedersi un aperitivo lungo i Navigli e poi si sarebbe infilato in un cinema a strafogarsi di pop corn e bibite gassate, per evitare Ren il più possibile.

Era ovviamente irritato con lo stilista. Perché diamine l’aveva coinvolto nelle sue buffonate? Lo aveva praticamente obbligato ad indossare quegli orribili pantaloni con fantasia felina, quasi a sfregio del proprio ordine e senso del decoro. Il suo disagio sembrava averlo divertito non poco: il più giovane generale dei Primo Ordine costretto a gironzolare con dei pantaloni ascellare e i capelli acconciati in un paio di terrificanti corna. Se fossero stati ancora sul Finalizer, lo avrebbe lanciato fuori da un boccaporto e lo avrebbe guardato fluttuare nello spazio per l’eternità. Purtroppo, però… la Terra non offriva possibilità così allettanti; inoltre, tutti adoravano Ben Solo, su quello stupido pianeta!

Afferrò la giacca, dirigendosi a passo svelto verso la porta, ma un rumore secco lo congelò sul posto. Dalla stanza del cavaliere era giunto un tonfo, come di un pesante oggetto caduto a terra. Percepì un brivido corrergli lungo la schiena, ma si costrinse a rimanere calmo, mentre la propria mente analizzava tutte le ipotesi: la donna delle pulizie si era trattenuta nell’appartamento? Un colpo d’aria aveva fatto sbattere la finestra? Oppure… Ben Solo era rientrato prima del tempo, mentre lui era ancora in doccia? Sembrava la spiegazione più plausibile. Si schiarì la voce, tornando sui propri passi.

«Ren?» chiamò, ma senza ottenere risposta. Aggrottò la fronte, abbandonando il cappotto per dirigersi verso la stanza altrui «Ren? Sei tu?» domandò nuovamente. Un nuovo colpo venne da oltre l’uscio «Se è un scherzo, non è divertente!» ringhiò, bloccandosi quando una voce cavernosa gli rispose.

«Oh, spiacenti! Non è affatto uno scherzo…»

Un uomo corpulento apparve sulla soglia, seguito da una figura più bassa e tarchiata.

Hux indietreggiò istintivamente, afferrando la prima cosa alla propria destra. Si ritrovò a stringere il telecomando.
«Chi Kriff siete?!» esclamò con una nota isterica.

Che fossero malintenzionati, era più che certo. Escluse immediatamente l’ipotesi di semplici ladri: non aveva alcun senso arrampicarsi sino al quinto piano di un hotel extra-lusso per cercare di derubare dei turisti. L’albergo era pieno di camere ben arredate e con ospiti facoltosi in attesa solo d’essere spennati. No, doveva esserci un altro motivo. La stretta sull’arma improvvisata aumentò, fino a fargli sbiancare le nocche.

«Cercate Ren, non è vero?» biascicò, sperando di prendere tempo «Beh, in qualunque guaio si sia ficcato, io non c’entro! Non ho niente a che fare con lui e le sue stramberie da…»

«Ren? Non abbiamo idea di chi sia, spiacenti. Noi… cerchiamo te.»

La salivazione si azzerò all’improvviso, mentre il suo cervello lavorava freneticamente per una soluzione. Lanciarsi da una finestra era fuori discussione, così come il barricarsi in bagno e aspettare l’arrivo dei soccorsi; l’unica via era raggiungere la porta e scappare nel corridoio.

«Me?» balbettò, ottenendo un vistoso cenno d’assenso.

«Sì! Armitage Hux, collaboratore della CIA.»

«No, avete sbagliato persona! Sta nella camera accanto!» mentì, ricavandone solo delle risate divertite.

«Come se non avessimo letto e riletto il tuo dossier…»

«Beh… venite al sodo! Cosa volete?»

«Soltanto offrirti una gita turistica in Russia.»

«No, grazie! Non sono interessato.»

«Non ci interessa la tua opinione, sai?» l’uomo più grosso fischiò. Immediatamente, dalla porta d’ingresso, sopraggiunsero altri due malfattori «Bene, ora ci siamo tutti!» esordì, indicando sé stesso «Io sono Lev, capo della Primula Rossa. Siamo parte dei servizi segreti russi… o, meglio… vorremmo tanto farne parte, ma il KGB non ci considera molto. Beh, dopo questa impresa dovranno ricredersi.»

«Quale impresa?»

Lev lo ignorò, indicando il collega baffuto accanto a sé:
«Kovalski e poi… lì abbiamo…» accennò al terzo, con una importante barba riccioluta «Vladimiro e infine… Dimitri» l’indice si puntò su un giovane basso, dall’aspetto ordinario e competente. Se non fosse stato biondo cenere, sarebbe potuto passare per il sosia di Mitaka.

«Sì, d’accordo… non mi interessa» Hux sollevò il mento sprezzante, accennando all’ingresso della suite «Vi ordino di uscire immediatamente!»  come supposto, nessuno gli diede peso «Andatevene, oppure…»

Oppure cosa? Non aveva neppure un’arma con sé. Si sarebbe dovuto accontentare del telecomando e forse dei cuscini del divano. Quei quattro non sembravano particolarmente diplomatici: Lev, il più nerboruto, si stava già avvicinando, mentre gli altri tre si disponevano a ventaglio, come a tagliargli ogni via di fuga.

«Vieni con noi con le buone, o preferisci le maniere forti?»

Sentì le nocche del gigante scrocchiare sinistramente a quella minaccia, e del sudore freddo gli imperlò la fronte; tuttavia, per nulla al mondo avrebbe reso la vita facile ai russi. Non si sarebbe lasciato catturare senza combattere.

Hux lanciò il telecomando, scaraventandolo dritto sulla fronte di Lev. Ignorò le imprecazioni dell’avversario, ruotando rapidamente per afferrare il prezioso vaso Ming sul tavolino da tè. Lo lanciò verso Kovalski, che ruzzolò al suolo tra i cocci. Lev però si stava riprendendo rapidamente e Vladimiro si stava muovendo in fretta per bloccargli la ritirata. Hux indietreggiò rapidamente, scagliando qualunque oggetto gli capitasse sotto mano: un cactus decorativo in plastica, una fruttiera, una radiosveglia e un cestino dell’immondizia in stile barocco. Riuscì a raggiungere il bagno e a serrare la porta dietro di sé. Un attimo dopo, i pugni di Lev rimbombarono sul battente di legno.

«Pensi di esserci sfuggito? Idiota! Ti sei messo in trappola da solo.»

Era vero, naturalmente. Non aveva nessuna possibilità di scappare ai suoi assalitori… e sicuramente non avrebbe trovato un oggetto contundente nel gabinetto. Si guardò rapidamente attorno, ma riuscì a recuperare soltanto una spazzola e un flacone di deodorante. I colpi si fecero sempre più insistenti, finché non si udì uno scricchiolio sinistro della serratura.

Si accostò alla porta, facendo scattare la chiave e aspettando l’ennesimo tonfo; aprì di scatto l’uscio, e Lev si sbilanciò in avanti. Bastò una spallata per spingerlo a terra, mandandolo a sbattere contro il lavandino di marmo chiaro. Hux non si fermò a controllare i danni: scattò in avanti, spruzzando sulla faccia paffuta di Kovalski una generosa dose di deodorante. Sentì il russo urlare quando lo spray gli finì dritto negli occhi. Abbandonò la bomboletta, concentrandosi sulla spazzola: con un tiro preciso, riuscì a cacciarla nell’orecchio sinistro di Vladislavo. L’avversario si piegò per il dolore e lui ne approfittò per scattare verso l’uscita della suite. Rimaneva solo Dimitri, ma era così mingherlino che una semplice pedata lo avrebbe fatto volare dall’altra parte della stanza.

Corse in sua direzione.

«Togliti dai piedi, sottospecie di Mitaka biondo!» ringhiò, proprio mentre l’altro avanzava per affrontarlo. Allungò un pugno, cercando di colpire il volto nemico, ma questi fu più rapido. Dimitri parò il suo affondo, catturandogli il polso e torcendoglielo abilmente dietro la schiena «Che cazzo…?» squittì, sconvolto. Possibile che quell’ometto magrolino possedesse una forza tale? O forse era solamente ben addestrato. Troppo ben addestrato, si disse, quando un calcio gli piegò le ginocchia e lo fece crollare a terra.

Tentò di divincolarsi, ma la presa altrui si era fatta ancora più salda «Lasciami andare, pezzo di… mhpf…» uno straccio umido gli premette sul naso e sulla bocca. Un odore pungente gli mozzò il respiro e gli martellò in testa; i sensi si spensero quasi immediatamente.

Ren, dove diamine sei quando mi servi?! Fu l’ultimo suo pensiero.
 

***
 

Lev si massaggiò la fronte con una salvietta, cercando di eliminare il sangue dal viso. Lo spigolo del lavandino aveva aperto un largo taglio sul sopracciglio sinistro. Gli altri non se la cavavano meglio: Kovalski si era ripetutamente sciacquato il volto, ma senza cancellare l’olezzo di vaniglia e violette selvatiche del deodorante. Vladislavo teneva la testa nel frigobar, sperando di lenire il pulsare all’orecchio infilzato dalla spazzola. Dimitri era l’unico ad essersela cavata egregiamente e aver centrato l’obiettivo.

«Chi l’avrebbe mai detto che il bastardo era così combattivo? Pensavo fosse un innocuo nerd, e invece…» allungò un calcio all’ex-generale, ancora svenuto «Bene, procediamo col piano. Dimitri… amh, volevo dire… Guerra e Pace, recupera dalla lavanderia un carrello per il bucato e quattro uniformi dell’hotel. Ci travestiremo da inservienti e nasconderemo il nostro amico dentro al carrello. Dovrebbe starci, ben impacchettato. D’altronde, sono piuttosto capienti quegli affari e… fortunatamente, il signor Hux è piuttosto asciutto.»

«Bene!» Dimitri sgattaiolò rapido fuori dalla stanza, infilando poi l’ascensore per raggiungere la lavanderia.
 

***


Ben Solo, sgranocchiò l’ultima tartina ai gamberetti, prima di dichiararsi sazio. Alla sfilata era seguito un rinfresco, in cui gli ospiti non avevano perso occasione per congratularsi ancora con lui. Aveva accolto tutti con un sorriso sfavillante, ma terminato il buffet si era dichiarato stanco. Si era scusato e aveva ripreso la via dell’hotel.

Il taxi lo scaricò direttamente davanti all’ingresso. Ben lasciò, come consueto, una mancia fin troppo generosa prima di varcare la soglia dell’albergo. Salutò allegro il portiere e un paio di clienti intenti a effettuare check-in.

Premette il pulsante dell’ascensore e attese il suo arrivo. Poco dopo, le porte si aprirono e rivelarono quattro addetti alle pulizie, alle prese con un pesante carrello, composto interamente in pannelli d’acciaio. Il coperchio, di un acceso rosso gambero, era mantenuto semiaperto da un voluminoso lenzuolo stropicciato.

«No, tu spingi e io tiro!» stava dicendo il più grosso dei quattro, cercando di coordinare gli altri collaboratori.

«Vi occorre una mano?» si offrì immediatamente Ben, ricevendo in cambio dei rapidi cenni di diniego.

«Oh, no! Grazie signore, non occorre. Ecco fatto!»

Con uno strattone, il carrello venne finalmente fatto scivolare fuori dall’ascensore e spinto lungo la hall.
Ben alzò le spalle, infilandosi nell’ascensore e premendo il numero cinque.
 

***
 

Kovalski si voltò verso lo sconosciuto, osservandolo sparire dietro le porte dell’ascensore.

«Non vi sembra assomigliasse molto a Ben Solo?» domandò infine.

«Lo stilista?» fece eco Vladimiro «Non l’ho visto bene. Era lui?»

«No, non credo. Sarà stato un sosia» commentò Dimitri.

«Magari era…»

«Scusate!» il portiere li apostrofò malamente, squadrando con diffidenza il voluminoso e pesante carrello «Dove state andando? Dovete passare sul retro con questo!» picchiò due volte sul coperchio, cercando di compattare maggiormente le lenzuola che sporgevano dal bordo «L’ingresso ufficiale è solo per i clienti!»

«Ci… ci dispiace!» attaccò immediatamente Lev, levandosi il berretto contrito «Ma il furgone di carico della biancheria sporca ha avuto problemi e ci ha chiesto di uscire dall’ingresso principale. Sembra non riescano a passare per… questioni di traffico.»

Il portiere li squadrò con diffidenza, prima di sbuffare:
«Molto bene, ma che sia l’ultima volta!» esclamò, osservando i quattro sparire alla svelta oltre le porte scorrevoli.
 

***
 

Ben entrò nella suite, marciando rapidamente verso il divano. Superò una spazzola, uno straccio imbevuto di cloroformio, i cocci di un prezioso vaso Ming e il telecomando, ruzzolato per terra accanto a una bomboletta di deodorante. Rassettò alla meglio i cuscini e vi si lasciò sprofondare.

«Ah, sono esausto!» esclamò, scrutando l’anta del frigobar dimenticata aperta.

Se avesse avuto ancora la Forza, si sarebbe limitato a richiamare una lattina di birra. Invece fu obbligato ad alzarsi per raggiungerla. La vita degli esseri umani comuni era davvero faticosa! Naturalmente, si stava abituando sempre di più… ma gli veniva spontaneo chiedersi come le persone potessero sopravvivere a lungo senza Forza. Beh, avrebbe dovuto chiedere ad Hux come ci si sentiva ad essere una nullità per così tanto tempo. Probabilmente, l’altro non gli avrebbe comunque risposto, se non per mandarlo a quel paese.

Sospirò, recuperando il telecomando per accendere lo schermo piatto. Immediatamente, una interessante televendita sui frullatori automatici riempì il silenzio della stanza.

«Hux!» chiamò «Fanno vedere i frullatori che volevi…» lo avvertì, stappando la lattina e trangugiando un sorso di birra «Sbrigati… accettano solo le prime cinque telefonate.»

Nessuno gli rispose.

«Hux! Guarda che non durerà per sempre questa campagna. Ti conviene darti una mossa.»

Ancora niente.

«Si può sapere che stai combinando di là?» domandò, ma senza alcun successo.

Iniziava a trovare snervante quella quiete.

«Se sei arrabbiato con me per la sfilata, sappi che non ne hai motivo. È stato un successo e il tuo contributo si è rivelato fondamentale. Davvero, non avrei saputo come fare senza di te. Ti ho promesso una cena, ricordi? Quindi… se vuoi, potremmo uscire più tardi e… scegli il ristorante.»

Nulla.

«Strano…» bofonchiò a denti stretti, deciso a giocare un’ultima disperata carta. Il collega non avrebbe saputo resistere ad un tale affronto e avrebbe sicuramente interrotto l’ostinato silenzio in cui si era chiuso per ripicca «Armitage! Sto parlando con te!»

Ancora silenzio.

Si alzò controvoglia, dirigendosi verso la stanza dell’altro. Si sporse oltre l’uscio, aspettandosi di trovarlo addormentato sul letto, ma la camera era completamente vuota. Anche il bagno, seppure in disordine, non ospitava nessuno e così il resto della suite.
Ben scrollò le spalle, tornando al sofà e alla sua birra. Afferrò il cellulare e digitò un rapido messaggio:
 
Dove sei andato?
Potevi almeno lasciarmi un biglietto!
 
Poco dopo, un trillo giunse da sotto il tavolino. Si chinò, recuperando lo smartphone e rigirandolo tra le dita.
«Ha anche dimenticato il telefono…»
 

***
 

Hux tentò di riaprire le palpebre pesanti, ma riuscì soltanto a schiuderle un poco. Intravide delle paratie metalliche e dei neon soffusi. Un incessante ronzio gli rimbombava nelle orecchie.

Sembra un motore, si disse, tentando inutilmente di muovere le braccia e di distendere le gambe.

Appoggiò il capo alla fredda parete, sollevando un poco il mento. Intravide una figura corpulenta, senza riuscire a metterla a fuoco.

«Ren?» biascicò, mentre l’uomo si chinava su di lui.

«Si sta svegliando…» lo sentì dire «Ci vuole un altro giro.»

«…Cosa?»

Una pezzuola imbevuta gli venne nuovamente sbattuta in faccia. L’odore penetrante tornò ad annebbiargli i sensi.

 
 
Angolino: odio i periodi incasinati e senza ispirazione per scrvere, accidenti!
Ho approfittato della domenica per risistemare l'ultimo capitolo a cui stavo lavorando da un po'. Spero di poter riaggiornare presto... Mi dispiace per la mia lentezza da tartaruga. Cercherò di non lasciare il povero generale nei guai troppo a lungo. 
Un abbraccio

E'ry

 

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