Mowgli alla riscossa di Dromeosauro394 (/viewuser.php?uid=861293)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1 libro giungla 2 supercorretto
Il villaggio
degli uomini
cominciava a risvegliarsi. Tra le casupole risuonavano i rumori
degli abitanti
che si alzavano per cominciare le attività giornaliere.
Varie sagome iniziavano
ad affollare le strade, deserte solo un’ora prima. Chi per
andare nei campi chi
al mercato chi verso la città vicina.
Una figura
più
piccola delle altre tentava di farsi strada fra le persone reggendo
sulla testa
una brocca d’acqua. Gli adulti non facevano molto caso alla
bambina che temeva
di rovesciare il contenuto della brocca prima di raggiungere la casa
della sua
padrona. Passò davanti al piccolo tempio del bramino accanto
all’albero di
manghi. I canti mattutini dell’uomo di fede e
l’odore di incenso l’avvolsero
mentre si dirigeva verso la sua destinazione. La casa della sua padrona
Messua
era la più grande del villaggio perché suo marito
Rama era l’uomo più ricco. La
bambina entrò silenziosamente dalla porta di servizio e
poggiò la brocca in
cucina dove sua madre stava preparando la colazione. “Shanti
sei tu?”, sentì la
voce pacata di Messua chiamarla dalla sala. “Sì,
sono io. Ho portato l’acqua”
“Brava. Per favore va a svegliare Nathoo, io devo correre al
tempio per la
preghiera del mattino” “Si, signora”,
rispose obbediente Shanti. Messua era una
donna molto credente.
Si
addentrò per i
corridoi della casa appena in tempo per vedere Messua che usciva dalla
porta
principale. La donna indossava dei grossi cerchi di rame ai polsi e
alle
caviglie ed era avvolta in un elegante velo rosso. Shanti
osservò
meravigliata gli arredi della casa e si diresse verso la stanza di
Nathoo: il
figlio di Messua e suo marito. Aprì leggermente la porta e
sussurrò il suo
nome. “Nathoo”. Nessuna risposta. “Nathoo
è ora di alzarsi”. Non ottenendo
ancora una risposta Shanti entrò nella camera. Davanti a lei
c’era il letto imbottito
di Nathoo, ma nessuna traccia di lui. Preoccupata guardò in
giro per la stanza
ma non lo trovò. “Nathoo! Nathoo dove
sei?” Un ronfare sommesso le giunse da
fuori la finestra. La ragazzina si sporse e vide Nathoo che dormiva
pacificamente su un ramo dell’albero accanto alla casa. Il
ragazzino indossava
solo un paio di mutande rosse. Come aveva fatto a passare la notte
lì fuori con
quel freddo? E come poteva preferire un ramo duro col rischio continuo
di
cadere a un materasso pieno di piume? Shanti sospirò
pensando alla sottile
coperta stesa sul pavimento dove era costretta a passare le
proprie notti.
Non era la prima volta che lo trovava così. Per quanto la
padrona Messua
cercasse di convincere a Nathoo a dormire in casa il ragazzino sembrava
soffrire le lenzuola come il letto di chiodi di un fachiro.
Perciò spesso lo si
ritrovava a dormire sull’albero. Per fortuna quel lato della
casa dava sulla
giungla e non c’era il rischio che il villaggio
spettegolasse. Shanti si sporse
e lo chiamò di nuovo: “Nathoo. Nathoo svegliati,
devi alzarti”. Il ragazzino
alzò la testa piena di folti capelli neri.
Sbadigliò e si mise a sedere sul
ramo. “Buongiorno Shanti” “Mia madre sta
preparando la colazione. Sbrigati a
scendere, prima che qualcuno ti veda, Nathoo”. Il ragazzino
aggrottò la fronte
a quel nome e si girò dandole le spalle. “Oh, dai
Nathoo non stamattina, per
favore scendi” “Scendo solo se mi chiami col mio
vero nome” “Ma... Tua madre ha
detto che non devo più chiamarti così. Anche se
me lo chiedi” “E allora io non
scenderò”, rispose perentorio lui incrociando le
braccia. Shanti si morse il
labbro esasperata ma alla fine lo disse: “Va bene. Mowgli
puoi scendere
dall’albero per favore?”. Mowgli si girò
contento e scese giù dall’albero con
l’agilità di una scimmia. Atterrò in
ginocchio sul davanzale e Shanti si
ritrasse. “Bene ora vieni in cucina”. Il ragazzino
la seguì. L’ aveva seguita
fino dal loro primo incontro quando aveva raccolto la brocca e le era
venuto
dietro dentro il villaggio.
Shanti aveva
pensato che
fosse un altro dei bambini del villaggio che si era addentrato
avventuroso sul
limitare della giungla, non poteva sapere che in realtà
Mowgli veniva proprio
da lì. Appena arrivati nel villaggio aveva provato a
parlargli e lui non sapeva
spiccicare una parola. Quando gli altri abitanti del villaggio si erano
accorti
del bambino sconosciuto, c’era stata una grande frenesia e
tutti lo avevano
accerchiato. Mowgli si era ritratto spaventato e aveva ringhiato.
Buldeo il
vecchio cacciatore del villaggio aveva detto che doveva essere un
ragazzino
allevato dai lupi, come se ne trovano a volte. A
dimostrazione della sua
tesi indicò i segni di morsi e artigli sulla pelle nuda del
bambino. Quando
aveva provato a toccarlo Mowgli gli aveva assestato un pugno in pancia
sorprendentemente
forte per uno scricciolo tutto pelle e ossa. Era arrivato svelto il
bramino del
villaggio, un omone grasso e vestito di bianco. Davanti a quella
situazione si
era grattato la fronte punteggiata dalla pittura bianca e rossa,
incapace di trovare
una soluzione. “Quel ragazzino non
porterà altro che guai, probabilmente
è maledetto”, aveva borbottato Buldeo
piegato in due. Poi si era fatta
strada tra la folla Messua. “Fermi non fategli del male.
Nathoo, Nathoo sei
tu?” “Messua sta attenta è un animaletto
che morde”, si era lamentato Buldeo
massaggiandosi lo stomaco. La donna invece si era fatta avanti
lentamente
e aveva preso il viso di Mowgli tra le mani. Lui era rimasto fermo
immobile.
Messua lo aveva guardato dritto negli occhi poi lo aveva abbracciato
stretto.
“Sì, sì, è Nathoo, il mio
bambino. Quello che credevamo morto nella giungla.
Adesso è grande, ma i suoi occhi sono gli stessi di quando
lo cullavo in fasce.
Oh, sia ringraziato il cielo. È miracolo”. Il
bramino si era accarezzato la
barba bianca e aveva confermato che doveva trattarsi di un miracolo
degli dei.
In quel momento era arrivato anche il marito di Messua e
l’aveva trovata in
lacrime che stringeva il bambino dall’espressione spiazzata.
Il bramino gli
aveva spiegato quale miracolo avessero concesso gli dei a lui e a sua
moglie
nel restituirgli il figlio e che sarebbe stato un buon gesto
ringraziarli con
una generosa offerta al tempio. Il padrone aveva acconsentito e aveva
detto che
avrebbe accolto Mowgli in casa sua, ma non sembrava avere lo stesso
entusiasmo
di Messua per il ritorno del figlio. Mentre Messua lo aveva trascinato
via per
un braccio sempre accarezzandolo e coprendolo di baci, Mowgli aveva
lanciato a
Shanti un ultimo sguardo di smarrimento.
Era trascorso
poco più di
un anno da quella giornata, ma Mowgli ancora si sentiva perso come quel
primo
giorno. Piano piano aveva imparato a parlare. Avevano visto che
ogniqualvolta
ci stesse Shanti faceva progressi più velocemente.
Non appena ebbe
abbastanza dimestichezza, aveva provato a dire che il suo vero nome era
Mowgli
e non Nathoo, ma il marito di Messua non voleva sentire ragioni e aveva
tentato
di convincerlo che si sarebbe abituato al nuovo nome e avrebbe presto
dimenticato il vecchio nome da lupo.
Shanti rise al
pensiero
di tutte le cose del villaggio che aveva dovuto insegnarli. Quando gli
aveva
mostrato per la prima volta una padella era rimasto affascinato dal suo
stesso
riflesso e si era messo a fare boccacce strane. Gli aveva anche dovuto
spiegare
le regole del villaggio, di cui Mowgli era decisamente insofferente.
Non capiva
perché ci si dovesse lavare così spesso, quando
nella giungla poteva farlo solo
e se ne aveva voglia gettandosi nel fiume a nuotare e non in una
piccola
tinozza con il sapone che pizzicava gli occhi e aveva un saporaccio.
Quando gli
avevano fatto provare vestiti e turbante gli davano un prurito
terribile e
continuava a tentare di levarseli, che fosse o no in pubblico. Alla
fine lo
avevano lasciato solo con mutande avendo attenzione che le cambiasse
però ogni
giorno. Nel villaggio non si poteva cacciare o cogliere la frutta dagli
alberi
liberamente ma tutto quanto aveva un prezzo, che si pagava con una
strana roba
di cui tutti erano ossessionati: il denaro. In particolare, il marito
di Messua
che l’ospitava in casa aveva una grande passione per il
denaro e ogni volta era
sconvolto e amareggiato che Mowgli non ne comprendesse
l’utilità. Aveva provato
a insegnarli a fare di conto ma a Mowgli i numeri propio non gli
entravano in
testa, il pover’uomo si metteva le mani nei capelli davanti a
quelle
situazioni.
I due bambini
finirono la
colazione. Mowgli poi la seguì mentre svolgeva le
commissioni nel
villaggio. Non gli era permesso uscire di casa da solo dopo alcuni
incidenti
che si erano verificati.
Ad un certo
punto
passando nella piazza del villaggio sotto il grande albero di fichi
videro
Buldeo il cacciatore che stava raccontando una delle sue storie a un
gruppetto
intorno a lui. Buldeo era considerato l’esperto del villaggio
sulla giungla.
Ogni volta che Mowgli ascoltava doveva mordersi la lingua per non
ridere alle
sciocchezze che diceva, quando invece gli altri ragazzi del villaggio
pendevano
dalle sue labbra. “È così, vi dico. La
tigre che sta infestando i boschi vicino
a Oodyepure è posseduta dal demone di un usuraio. Quando era
in vita l’uomo
zoppicava per questo ora la tigre zoppica, ma nonostante ciò
riesce comunque a
ammazzare il bestiame dei villaggi vicini. E qualche volta anche i
mandriani”.
Nella piccola folla le donne si coprirono la bocca con le mani e bimbi
si
nascosero nelle loro sottane mentre gli uomini si scambiavano commenti
arcigni.
“Questo succede agli uomini che hanno troppo denaro fra le
mani quando devono
reincarnarsi”, disse Buldeo sollevando lo sguardo mentre
passava Mowgli, un
velato commento al suo ricco padre adottivo. Il ragazzino a quel punto
si fermò
e guardò torvo il cacciatore. Una cosa era quando veniva
additato lui da
Buldeo, il capo cacciatore non amava essere smentito sui suoi racconti
della
giungla e la sua missione era diventata di denigrare il ragazzino in
ogni modo,
ma era tutt’altra questione se diceva qualcosa contro
l’uomo che lo aveva
accolto in casa. “Quelle che dici sono tutte
stupidaggini”, alzò la voce Mowgli
fermandosi in mezzo alla piazza. Shanti si fermò
preoccupata. “Nathoo dai non
badargli, gli dai più soddisfazione
così”. Mowgli non la ascoltò e
continuò:
“La tigre di cui parla Buldeo non è affatto
posseduta, si chiama Shere Khan e
zoppica perché si è bruciata una zampa dopo che
lo scacciata via io” “Tu?
Hahaha”, rise Buldeo. Altre risate si aggiunsero dal
gruppetto. “Un filo d’erba
come te che sconfigge una tigre. Hahaha, certo che da quando hai
imparato a
parlare ne sai raccontare di frottole, eh Nathoo? Come quella volta che
hai
detto di aver cavalcato un orso”. Altre risate si sollevarono
dai membri del
villaggio. “È vero”, protestò
Mowgli, “Baloo è mio amico e mi faceva cavalcare
sul suo dorso”. Buldeo sghignazzò ancora:
“Comunque se hai già sconfitto
questa... Shere Khan, perché non la vai ad acchiappare di
nuovo? Il governo di
Oodyepure ha messo una taglia di cento rupie sulla testa della
tigre” “Quasi,
quasi lo farò”, rispose sprezzante Mowgli.
“Tale padre tale figlio”, sogghignò
il cacciatore, “Non appena si nominano le rupie andrebbero
anche in bocca a una
tigre. Haha”. Shanti cominciò a tirare Mowgli per
un braccio. Il ragazzino si
lasciava intortare facilmente da Buldeo o da chi lo prendeva in giro.
“Andiamo
Nathoo” “No, non me ne vado finché
questo vecchio bugiardo non la smette di
dire cattiverie su Kamya”. Shanti abbassò la voce:
“Andiamo Na... Mowgli, vieni
via. Così fai solo peggio. Per favore”. A sentirsi
chiamare con il suo vero
nome e guardando gli occhioni scuri di Shanti, Mowgli annuì
e se ne andò. Rosso
di rabbia si allontanò seguendo Shanti che lo teneva per
mano. “Bravo Nathoo,
dai retta alla tua amichetta shudra. Haha”, gridò
da lontano Buldeo prima che
scomparissero alla sua vista.
Ecco
un’altra cosa che
Mowgli non riusciva a concepire: il nome con cui Buldeo aveva chiamato
Shanti,
shudra. Gli shudra erano la casta dei servitori. A quanto pare nel
villaggio
degli uomini le persone erano divise in categorie quasi fossero delle
specie di
animali diverse. C’era la casta più alta, quella
dei bramini, c’era la casta
dei nobili e dei guerrieri, kshatriya, quella degli
allevatori di
bestiame, dei mercanti e contabili, vaishya, a cui appartenevano Mowgli
e la
sua famiglia e poi c’era la casta dei servitori, gli shudra,
a cui apparteneva
la famiglia di Shanti. Infine c’erano i paria, gli
intoccabili, che erano
considerati al di fuori delle caste, in realtà erano
considerati quasi al di
fuori del genere umano. A loro spettavano tutti i lavori più
umilianti e
vivevano nella miseria. Una volta Mowgli era corso in soccorso di un
vecchio
intoccabile che doveva tirare fuori l’asino del suo padrone
dal fango. Mowgli
era riuscito a parlare con l’animale che non voleva saperne
di muoversi e lo
aveva fatto uscire dal pantano. Le urla che aveva lanciato il bramino
quando lo
aveva visto! Kamya si era arrabbiato moltissimo e a casa gli aveva
fatto una
ramanzina sul fatto che non si deve mai aiutare un intoccabile, le
caste
dovevano rimanere separate. Quando Mowgli aveva chiesto il
perché, lui aveva
borbottato irritato e gli aveva raccontato una storia confusa su come
gli
uomini fossero venuti fuori dal corpo di un gigante: i bramini bianchi
dalla
bocca per recitare le scritture, i kshatriya rossi dalle braccia forti
per
governare e uccidere i nemici, i vahsya gialli dalle cosce grasse per
portare
cibo e abbondanza e gli shudra neri dai piedi sporchi e puzzolenti per
servire
le caste superiori. Mowgli non riusciva a raccapezzarcisi. Come poteva
una
creatura come Shanti, bella, delicata e profumata come un fiore, essere
fatta
del materiale dei piedi di qualcuno? Ma lì al villaggio
avevano un sacco di
storie strane sugli dei che abitavano nel tempietto del bramino. Mowgli
ogni
volta confondeva i nomi e non capiva la devozione che le persone
provavano per
quegli strani esseri. Uno aveva addirittura la testa di un elefante e
Mowgli
aveva detto che assomigliava a Hati. Per poco il bramino non lo aveva
preso a
schiaffi. Shanti vide lo sguardo pensieroso di Mowgli. “Dai,
non ci pensare.
Buldeo se la prende con te perché tu sei l’unico
che lo mette al suo posto in
mezzo a questo branco di creduloni” “Non
è solo lui. Perché qui nessuno crede a
quello che dico? Io l’ho combattuta davvero Shere Khan e sono
anche stato nel
palazzo di re Luigi” “Beh, Nathoo ...”
“Mowgli! Per favore almeno tu chiamami
col mio vero nome”. Shanti si guardò intorno:
“Mowgli, è solo che le storie che
racconti sembrano un po’ assurde” “Ma
almeno tu mi credi, vero?”. Shanti si
morse il labbro: “Io ...beh, suppongo che ...”. Non
aveva il coraggio di dirgli
di no con quello sguardo bisognoso che le lanciava. “Si, io
...ti credo. Però è
meglio che smetti di raccontarle certe storie altrimenti qui al
villaggio non
ti prenderanno mai sul serio. Dai, ora andiamo al mercato”. I
due bambini
passarono dal mercato per sbrigare le commissioni. Quando ebbero finito
Mowgli
si offrì di portare il cesto di Shanti al posto suo. Un paio
di altri ragazzini
del villaggio lo videro e cominciarono a deriderlo. “Ehi
Nathoo. Porti ancora
la spesa alla servetta? Haha”. Mowgli tentò di
ignorarli. “Che fai non rispondi
Nathoo? Ah, giusto il tuo vero nome è Mowgli, non
è vero? E balli insieme alle
scimmie. Hahaha”. I ragazzi si misero a grattarsi il capo e a
saltellare come
se fossero scimmiotti. A Mowgli formicolarono le braccia. Sapeva che se
avesse
voluto li avrebbe stesi come niente. Nella giungla era considerato
debole e
indifeso ma qui nel villaggio era forte come un uomo adulto.
“Dai non starli a
sentire”, gli disse Shanti. Alla voce di lei tutta la rabbia
di Mowgli si
dissipò. A parte Shanti non aveva fatto amicizia con altri
bambini della sua
età. Lo prendevano in giro quando non riusciva a pronunciare
qualche parola o
se non capiva le regole dei loro complicati giochi umani. E poi
trovavano
esilarante se riprendeva qualche movenza animalesca.
Buono buono
tornò dietro
Shanti nella grande casa. Non riusciva a capire come gli uomini
potessero
chiudersi volontariamente così in quelle gabbie di pietra
dove non si
respirava. Gli mancava correre e arrampicarsi libero nei grandi spazi
della
giungla. Una volta aveva avuto così nostalgia di Baloo e
tutti i suoi amici che
aveva cercato di tornarci. Non voleva scappare per sempre, voleva solo
tornarci
per una notte. Così era sgattaiolato
dall’albero fuori dalla finestra al
di là del fiume di nuovo nei suoi luoghi familiari. Quando
era tornato il
mattino dopo Messua era in lacrime e Kamya furioso. Gli
strillò quanto la
giungla fosse pericolosa e di come poteva venir divorato dagli animali
selvatici. A Mowgli veniva da ridere. Come poteva essere pericolosa la
giungla?
La sua casa. Ma quando aveva visto quanto stava male Messua non ci
aveva più
riprovato. Sentiva quanto la donna gli volesse bene. Tutte le volte che
aveva
combinato qualche pasticcio al villaggio lei lo aveva sempre difeso e
perdonato. Ogni volta che il marito si arrabbiava con lui e gli
strillava, lei
invece lo abbracciava e continuava a dire che non era colpa sua doveva
ancora
riabituarsi a vivere tra gli uomini. Ogni notte si stendeva accanto al
suo
letto e gli accarezzava i capelli cantandogli dolci ninnenanne. Gli
aveva
raccontato di come lei e suo marito nel venire ad abitare in quel
villaggio
avessero attraversato la giungla sul fiume Waingunga e la corrente li
aveva
trascinati via e rovesciati. La sua culla era rimasta sulla canoa
portata alla
deriva. A nulla erano servite le ricerche fatte nei giorni successivi.
Gli
occhi della donna si riempivano di lacrime mentre raccontava quante
notti aveva
speso pregando perché il suo piccolo Nathoo tornasse da lei.
Per anni si era
aggrappata al pensiero che il figlioletto fosse sopravvissuto
nonostante tutti
nel villaggio, compreso il marito, le avessero detto di rassegnarsi e
andare
avanti con la sua vita. E dopo dieci anni quando ormai aveva
abbandonato ogni
speranza, lui era tornato da lei. Lo stringeva forte al petto e gli
sussurrava
che ora nessuno glielo avrebbe più portato via. Mowgli
accettava imbarazzato
tutte quelle attenzioni anche se non riusciva a ricambiare pienamente
l’affetto
che quella sconosciuta gli riversava addosso. Eppure sentiva che in lei
c’era
qualcosa di familiare, qualcosa nel suo odore lo faceva sentire
protetto. Però
ancora non riusciva a chiamarla madre come avrebbe fatto con mamma
lupa, né
poteva chiamare padre Kamya, né abbracciarlo come avrebbe
fatto con Baloo e più
di tutto non riusciva a digerire quel nuovo nome che gli avevano dato:
Nathoo.
Lui era Mowgli, Mowgli il lupetto della tribù dei Seonee,
non Nathoo del
villaggio degli uomini. Ma per il momento gli occhi di Shanti e
l’abbraccio di
Messua lo tenevano lì. E poi se i racconti di Buldeo erano
veri, allora Shere
Khan era ancora in giro da qualche parte nella giungla. Mowgli
però non aveva
paura, l’aveva scacciata via una volta e lo avrebbe rifatto.
Anzi ora sapeva
come fare il fuoco. Era rimasto stupito quando aveva visto Messua che
lo usava
con tranquillità per cucinare. Il fuoco era usato nei modi
più disparati dagli
umani, per cucinare, per illuminare e riscaldare la notte. Buldeo lo lo
usava
per accendersi la pipa, un altro costume che per Mowgli era assurdo.
Tornati a casa
aiutò
Shanti nelle faccende domestiche. Pulisci, lava, spazza, riordina,
durante il
giorno c’erano sempre mille cose da fare senza poter stare
mai fermi. Sognava
come nella giungla invece avrebbe potuto restarsene a riposare sotto un
albero
ingozzandosi di frutta fresca. Nel villaggio era un periodo di magra e
frutta
non se ne vedeva più. Shanti ne soffriva molto, i manghi
erano il suo cibo
preferito. Quando tornò Messua Mowgli le chiese se si
avevano notizie di manghi
arrivati da fuori il villaggio. Lo faceva più per Shanti che
per lui ma la
madre adottiva gli rispose dispiaciuta che ancora non
c’erano. Mowgli vide la
delusione negli occhi di Shanti a quella notizia. Improvvisamente gli
venne
un’idea. C’era un posto nel villaggio dove ancora
c’erano dei manghi: l’albero
del tempio del bramino. Già immaginava la faccia di Shanti
se glieli avesse
portati. Chissà quanto sarebbe stata felice! Nel pomeriggio
finse di non
sentirsi bene e chiese di andare a letto. Messua
così apprensiva lo
lasciò andare subito. Non reggeva il pensiero che il figlio
potesse ammalarsi.
Come al solito si mise accanto al suo letto e gli canticchiò
qualche litania
mentre si addormentava. Quando pensò che si fosse
addormentato lasciò la
stanza. A quel punto Mowgli sgusciò silenzioso fuori dal
letto e uscì dalla
finestra. Si arrampicò facilmente sull’albero e
poi passò su per i tetti del
villaggio col passo lesto e felpato di una pantera. Fece attenzione che
nessuno
lo vedesse ma gli abitanti del villaggio erano talmente occupati nelle
loro
faccende importanti che non alzavano mai gli occhi al cielo.
Arrivò
sul tetto a cupola
del piccolo tempio e tese le orecchie. Sentì il mormorare
preghiere sommesso
del bramino. Perfetto, l’uomo era distratto e poteva agire
indisturbato. In
punta di piedi strisciò lungo il cornicione del tetto fino a
dove si stendevano
i rami carichi di manghi. Mowgli tese il braccio ma i frutti succosi
erano di
qualche centimetro al di fuori della sua portata e per quanti sforzi
facesse
non riusciva a raggiungerli. Prese un bel respiro e si calò
a testa giù piano,
piano, reggendosi con le cosce intorno a una scultura del tetto. Nel
suo campo
visivo capovolto apparve lentamente l’interno del tempio e
vide il bramino
intento a canticchiare con voce stridula ad occhi chiusi. Cercando di
non fare
alcun rumore Mowgli allungò le braccia per cogliere i
manghi. Ne riuscì a
prendere ben cinque, voleva fare Shanti molto contenta. I frutti
però erano
difficili da tenere tutti insieme, perciò ne teneva quattro
stretti al petto
con entrambe le braccia e uno premuto sotto il mento. Ora la parte
difficile
sarebbe stata risalire con la sola forza delle gambe. Si
sforzò contraendo i
muscoli delle cosce ma non riusciva a risalire. Riprovò
un’altra volta e la
pietra vecchia dello spuntone al quale si era aggrappato
scricchiolò. Sbarrò
gli occhi temendo che il materiale cedesse e lui fosse colto dal prete
con la
refurtiva ancora in mano. Riprovò ancora e ci fu uno
scricchiolio più forte. Il
bramino aprì un attimo gli occhi e Mowgli trattene il
respiro. L’uomo rimase
col capo teso qualche secondo poi ricominciò con le
preghiere. Mowgli fece un
ultimo sforzo e si tirò su con i manghi. In ginocchio sul
cornicione tirò un
sospirò di sollievo ma questo fece scivolare il mango che
aveva sotto il mento.
Veloce si mosse e riuscì a riacchiapparlo con una mano. Il
movimento improvviso
però fece scricchiolare la pietra ancora di più.
Intuendo che non poteva
reggere il suo peso ancora per molto si rimise svelto in piedi tentando
di non
perdere nessun mango. Lo spuntone alla fine cedette e crollò
nel cortile con un
rumore di pietra spezzata. Il bramino trasalì a quel rumore
e vide cos’era
successo. Sbuffando si alzò e andò veloce verso i
resti di mattoni. Alzò lo
sguardo per vedere cosa aveva potuto causare quell’incidente
ma vide solo il
punto in cui il testo era franato, per il resto era deserto.
Mowgli
era scappato
via veloce e se la rideva sotto i baffi. Ora Shanti sarebbe stata
contentissima. Forse gli avrebbe anche dato un bacio. A quanto pare gli
esseri
umani facevano così quando erano innamorati. Glielo aveva
detto Messua quando
l’aveva vista farlo con suo marito. Erano dei baci sulle
labbra, d’amore,
non dei baci affettuosi come quelli che gli dava sempre Messua. Perso
nelle sue
fantasticherie amorose però il ragazzino non fece attenzione
a una tegola
incrinata. Con un capitombolo cadde giù dal tetto in testa a
qualcuno. Sia il
bambino che il malcapitato urlarono di dolore all’impatto col
terreno. Mowgli
si massaggiò dolorante la schiena e vide davanti a
sé nientemeno che Buldeo che
tentava di tirarsi su il turbante conficcato sopra gli occhi.
“Ahi. Mpfh.
Chi c’è? Appena vedo chi sei giurò che
ti appendo al muro insieme alle mie
teste di cervo”. Mowgli trattene il respiro e
cercò veloce di recuperare i
manghi sparpagliati. Buldeo intanto si era alzato in piedi ma cercava
ancora di
liberarsi dal turbante. “Ohi, ohi, la testa. Chiunque sei, la
pagherai cara”.
Mowgli riacchiappò in fretta l’ultimo mango e
passò veloce accanto a un Buldeo
che tastava in giro come un ceco. Il movimento improvviso fece
sussultare di
sorpreso l’uomo che cadde di nuovo a terra. Questa volta
però il turbante si
sollevò e riuscì a vedere Mowgli che girava
l’angolo, con le braccia piene di
manghi. “Ah, sei tu Nathoo. Piccolo delinquente, lo sapevo
che eri un bugiardo
e un ladro. Ehi, prendetelo presto. Al ladro! Al ladro! Nathoo sta
rubando i
manghi del tempio”. Mowgli corse ancora più veloce
ma le urla di Buldeo stavano
attirando altre persone in quella strada. Non appena videro Mowgli con
i manghi
esclamarono oltraggiati e inorriditi. Era un sacrilegio rubare i manghi
del
tempio e non era la prima volta che il ragazzino lupo faceva una cosa
del
genere. Quel Nathoo era decisamente indisciplinato, tutta colpa di
Messua e suo
marito se veniva su così. Che qualcuno chiamasse il bramino
per punire quella
blasfemia. Mowgli si trovò circondato mentre gli urlavano
contro. In quel
momento Buldeo venne fuori da dietro il vicolo col turbante di
traverso.
“Eccoti qua piccolo mascalzone della giungla. Questa volta un
bel paio di
legnate non te le leva proprio nessuno”. Prese brusco Mowgli
per un braccio
facendogli cadere i manghi a terra. “Ora andiamo dal bramino
e vediamo cosa
avrà da dire su tutto questo” “Che sta
succedendo qui?”, tuonò una voce tra la
folla. Le persone fecero si spostarono e spuntò Kamya il
marito di Messua.
L’uomo
era vestito con
una giacca corta di tessuto giallo con ghirigori ricamati sopra e un
turbante
di seta verde. Indossava delle scarpe dalla punta arricciata. Non
molti usavano
le scarpe al villaggio, o meglio non molti potevano permettersele.
Questo a
Mowgli piaceva perché così non era costretto a
indossarle pure lui. Quando
Messua gliene aveva regalato un paio e lo aveva osservato sognate che
le
incalzava si era ritrovato barcollante come su dei trampoli. Kamya
aggrottò le
sopracciglia e richiese a gran voce: “Allora, si
può sapere cosa sta succedendo
qua?”. Buldeo sogghignò: “È
tuo figlio Nathoo, Kamya. A quanto pare i manghi
gli piacciono così tanto che ha deciso di prendere quelli
del tempio”, indicò
la prova del misfatto sparsa ai piedi di Mowgli. “Ma
d’altro canto cosa ne può
sapere un bambino cresciuto nella giungla su cosa siano il rispetto e
la
sacralità degli dei”. Kamya vide i manghi per
terra e guardò torvo il
ragazzino. “Mowgli. Ne avevamo già parlato su come
funzionano le cose qui nel
villaggio. Non puoi prendere quello che trovi come ti pare e piace come
se
fosse tuo. Qui ogni cosa si paga se si vuole averla. Hai capito? Quante
volte
te lo devo ripetere”. Mowgli tenne lo sguardo basso
vergognandosi. “Mi hai
sentito?” “Si, signore”, rispose
debolmente. “Ora andiamo via. Appena siamo a
casa riceverai una punizione che non te lo faccia dimenticare di
nuovo” “Un
momento”, disse Buldeo tenendo il braccio di Mowgli
più stretto, “Come sappiamo
che lo punirai tornato a casa? Quel cuore tenero di tua moglie lo
accarezzerà e
coccolerà come un cucciolo ferito invece di bastonarlo come
merita. Io dico che
qui va dato un esempio davanti a tutto il villaggio”
“Tu invece lo mollerai
subito. Non permetterò che Nathoo venga malmenato in
pubblico come il figlio di
un servo. Me ne occuperò io a casa mia”
“Cosa sono tutte queste urla?”, la
folla fece spazio al bramino che si reggeva ansimando al suo bastone.
“Cosa c’è
da litigare tanto nel nostro tranquillo villaggio? Oh, per Visnu, i
miei
manghi. Ecco cos’erano quei rumori di prima”.
Buldeo sogghignò trionfante.
“L’ho beccato con le mani nel sacco bramino Purun.
Il ragazzo merita una
punizione per aver offeso gli dei in questo modo”. Altre voci
si unirono in
favore di Buldeo. Il bramino scosse la testa sconsolato: “Oh,
Nathoo, Nathoo.
Credevo che ormai questi incidenti fossero finiti. Ragazzo non hai
paura che
Kali venga a cercarti la notte dopo che combini queste offese contro il
tempio?” Mowgli sbuffò arrabbiato: “Che
venga pure questa Kali. Le darò un
pugno da stendere un orso” “Nathoo, basta
ora”, gli strillò Kamya. Mowgli non
resistette più: “Smettila di chiamarmi con quel
nome. Smettetela tutti. Il mio
nome non è Nathoo, è Mowgli. Mowgli!
Mowgli!” “Non una parola di
più”, lo zittì
Kamya. L’uomo sbuffò irritato e tirò
fuori la borsa. “Ecco bramino Purun”,
diede varie monete d’argento al santone, “Queste
dovrebbero ripagare più che
profumatamente l’errore madornale di Nathoo. Perdonatelo vi
prego. È solo un
ragazzo che ancora non conosce bene le regole del villaggio, sono certo
che non
intendeva farlo con malizia. Mia moglie viene ogni giorno a pregare da
voi e
sarà molto delusa e dispiaciuta dal gesto di nostro figlio.
Io stesso ne sono
sorpreso e deluso e mi occuperò della sua
punizione”. Il bramino guardò con
occhi scintillanti le monete d’argento poi parlò
con voce pacata: “Oh, Kamya
sono certo che il piccolo Nathoo si deve essere confuso”
“Bramino non
potete–“,protestò Buldeo ma
l’uomo di fede continuò, “Ciononostante
il tempio
non è un banco del mercato dove si può pagare per
mangiarsi un mango.
Oltretutto Nathoo nel compiere il furto ha rotto un pezzo del tetto.
Una parte
sacra di un edificio ben più vecchio sia di lui che di te
che anche di me”,
sporse avanti la mano già piena. Kamya digrignò i
denti ma diede altre monete
d’argento al prete. “Bene dunque dicevo... Nathoo
deve pagare per il suo
crimine, un pagamento non in denaro questa volta. Andrò a
meditare sulla
faccenda e stasera verrò a parlarne con te e Messua. Buona
giornata Kamya”
“Buona giornata anche a voi”, disse il mercante a
denti stretti guardando male
Mowgli. Buldeo lasciò soddisfatto la presa e il ragazzino
seguì lemme lemme
Kamya.
Tornando a casa
Mowgli
non parlò ne lo guardò negli occhi. Kamya
camminava a grandi falcate e sbuffava
come un rinoceronte. “Quando saremo a casa facciamo i conti.
E non andare a
nasconderti tra le gonne di tua madre. Quella povera donna... Come se
non
avesse già abbastanza preoccupazioni per te. Si
può sapere cosa ti è passato
per la testa? Perché hai dovuto fare un gesto del genere?
Non ti sfamiamo già
abbastanza? Perché sei dovuto andare a rubare i manghi del
tempio?” Mowgli
mormorò qualcosa a bassa voce. “Cosa hai
detto?”, tuonò Kamya. “Li volevo dare
a Shanti” “Che? La piccola shudra? Tutto questo per
lei? Cosa... Mpfh, meglio
che stai zitto sono già abbastanza infuriato”.
Appena entrarono in casa, Messua
corse in lacrime ad abbracciare Mowgli. “Oh, Nathoo, Nathoo.
Per fortuna stai
bene. Ero passata per vedere se stavi meglio e ho trovato il letto
vuoto. Oh,
per un attimo ho temuto che fossi tornato di nuovo nella giungla,
invece sei
qui con me e stai bene”. Mowgli sentì stringersi
la gola. “Messua lascia subito
il ragazzo. Se sapessi cosa ha fatto preferiresti fosse di nuovo nella
giungla”
“Cosa? Che ha fatto? Che è successo?” ,
disse lasciando Mowgli guardando il
marito spaesata. “Ha rubato i manghi del tempio ecco cosa
è successo”. Messua
lanciò un gemito sconvolto: “Oh, Nathoo, Nathoo.
Perché lo hai fatto? Lo so che
me li chiedi da giorni i manghi ma bisogna avere pazienza se in questo
periodo
non ci sono. Oh, mio piccolo Nathoo perché lo hai
fatto?”. Mowgli non riuscì a
guardare Messua negli occhi e in quel momento vide Shanti e sua madre
sulla
soglia della porta della cucina. Alla vista della bambina ogni parola
gli morì
in gola. “Perché lo ha fatto non
importa”, tagliò corto Kamya. “Stasera
Nathoo
andrà a letto senza cena e non provare a arrampicarti di
nuovo fuori dalla
finestra. Lo devo far tagliare quel maledetto albero”
“Oh, Kamya non essere
così duro. È un bravo bambino, ancora non ha
capito bene come funzionano le
cose. Sono certa che non l’ha fatto apposta”
“Non lo difendere come fai sempre
Messua. È colpa tua sé ancora non ha capito come
ci si comporta in mezzo agli
uomini e non come se fosse ancora tra gli animali della
giungla” “Ma Kamya ...”
“Niente ma. Stasera il bramino passerà a casa
nostra per dirci quale punizione
spetta a Nathoo, fino ad allora non voglio più rivedere la
sua faccia da
ladruncolo di manghi. Vai in camera tua!” Mowgli con lo
sguardo basso si avviò
verso camera sua. Lanciò un ultimo sguardo vergognoso a
Shanti per poi
scomparire nella stanza.
Si
gettò sul letto
sconsolato. Sentì le lacrime che cominciavano a uscirgli
dagli occhi. Non ne combinava
mai una giusta. Qui tutto quello che aveva imparato nella giungla si
era
rivelato inutile. Il cuore gli stringeva allo sguardo di dolore che gli
aveva
lanciato Messua. Perché era dovuto finire in quel villaggio?
Sarebbe potuto
restare nella giungla ora che Shere Khan era scappato. Poi
però si ricordò
dello sguardo di Shanti e ci ripensò. Ciononostante
però si sentiva
terribilmente solo lì. Nessuno poteva capirlo. Neanche
Shanti per quanto ci
provasse poteva capire la vita che aveva nella giungla.
Sospirò e alzò lo
sguardo verso la finestra. Quanto avrebbe voluto poter stringere il
pelo caldo
di Baloo in quel momento. Chissà cosa stava facendo il suo
papà orso in quel
momento? Di sicuro lo avrebbe trovato intento a ballare e cantare.
Nda
Il
libro della giungla era uno dei cartoni che amavo di più da
bambino. E
ho amato anche i libri di Kipling da cui è stato tratto.
Adoravo anche la serie
a cartone dei cuccioli della giugnla. Dei nuovi liveaction della disney
quello
sul libro della giungla è l’unico che si salva
secondo me. In compenso il
cartone scadente “Il libro della giugnla 2” non mi
è mai piaciuto. E
riguardandolo in quarantena ho rivisto un sacco di cose che non mi
convincevano. Così ho pensato di scrivere un seguito diverso
per il classico
disney. La cosa mia aveva preso molto e in due settimane avevo scritto
tantissimo poi è andata nel dimenticatoio. Ci ho inserito
dentro vari elementi
dei libri di Kipling, il titolo viene dal secondo il libro, il capitolo
“Giungla alla riscossa”. Buldeo, Purun e Messua
erano presenti nel libro e
anche Kamya che però non aveva nome (l’ho preso da
uno dei bufali della mandria
che conduce Mowgli. Anche nella trama ci saranno altre cose dei libri
ma anche
tante sorprese che riprendono più lo stile del cartone.
Questa è la mia prima
long ed è abbastanza sono arrivato a 40000 parole e ancora
non è finita. Spero
che cominciando a pubblicare capitoli mi sbrigo a finirla. Buona caccia
a chi è
stato così gentile da arrivare fino a qui!
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Mowgli capitolo 2 supercoretta
“Poche briciole, mh, mh,
mh, mh, mh... e i tuoi malanni puoi dimenticar...”, la voce
dell’orso Baloo,
risuonava malinconica nel folto della giungla. Il grosso animale se ne
stava
sdraiato contro un tronco e disegnava pigramente su una piccola palma
accanto a
lui. Il tono di solito gioioso della sua canzone preferita ora era
lugubre e
funereo. Lo era a tal punto che gli avvoltoi si erano radunati
sull’albero
sopra di lui. Buzzie, basso e calvo, Flaps, biondo e lungo, Dizzy, il
più alto
con i capelli che gli coprivano gli occhi e Ziggy, castano con la
personalità
più estroversa dei quattro. Baloo continuava con la
canzoncina: “E i tuoi
malanni puoi dimenticar... ma non puoi farlo, se ti manca
l’indispensabile... e
il mio indispensabile sei tuuu”. Finì lo
scarabocchio sulla palma che si rivelò
essere un Mowgli stilizzato con un grosso sorriso disordinato.
“Oh, mio
cucciolo d’uomo. Ah, quanto mi manchi. Oh, se solo fossi qui.
Ti stringerei
forte, forte, forte”. Abbracciò il tronco dove era
disegnato Mowgli fino a
sradicare la palma. Continuò a stringere forte fino a che il
legno non gli si
spezzò fra le zampone. Guardò il tronco incrinato
dove ora il Mowgli disegnato
si era mezzo distrutto e una crepa nella corteccia gli creava un
sorriso triste
all’ingiù. Baloo scoppiò in lacrime.
“Oh, qui si mette male ragazzi”, mormorò
Buzzie, “Allora cosa facciamo?”
“Non
lo so”,
rispose Flaps, “Tu cosa vuoi fare?”. Buzzie
ringhiò e non provò neanche a
controribattere con l’amico. Baloo intanto ululava steso per
terra. “Ogni
Mowgli che incontro mi abbandona. Destino crudele”.
“Poverino”,
sussurrò
Dizzy. “Venite ragazzi scendiamo a aiutarlo”,
propose Buzzie e in un frusciare
di penne gli avvoltoi scesero intorno all’orso.
“Baloo, andiamo”, lo incitò
Buzzie saltellandogli davanti, “La vita continua”.
“No,
no. Niente
ha più senso senza il mio cucciolo”.
“Andiamo
pelosone, forza alzati”, disse Ziggy mentre cercava di
sollevare il pesante
posteriore dell’orso, “Stare tutto il giorno
così non ti giova”.
“Che
senso ha
alzarsi senza Mowgli?”.
Buzzie
si mise
un’ala sotto il mento pensieroso:
“Perché non cantiamo qualcosa tutti insieme.
Forza ragazzi in posizione. Al mio tre ...”. Gli avvoltoi si
misero in fila con
un’ala sul petto pronti per uno dei loro famosi quartetti.
“Siamo qui, qui per
te, siam ...”
“No,
basta, per
favore. Non riesco più a cantare senza Mowgli. Non riesco
più a dormire. Non
riesco più a mangiare”.
“Ma
se stamattina ti
sei spazzato via tre caschi di banane”, ridacchio Ziggy.
“Appunto
solo tre”,
puntualizzo triste Baloo, “Ah, prima di quel cuccioletto
potevo passare tutte
le giornate a fare quel che mi pareva. Ora tutto quanto mi sembra
inutile. Buuuhuuuuhuuu!”.
I singhiozzi acuti di Baloo risuonarono nella giungla. Improvvisamente
qualcosa
spuntò tra i rami di un albero. Era Bagheera:
“Cosa sta succedendo? Chi sta
morendo?”, chiese disperata. Poi vide l’orso che
piagnucolava per terra. “Oh,
Baloo. Per favore basta con queste scenate. Orami è passato
un anno da quando
Mowgli se n’è andato. Fattene una ragione e pensa
che ora è felice con quelli
della sua specie”.
“Oh,
Baghy
vorrei tanto poter esserlo. Ma non riesco ad andare avanti. E se fosse
infelice
in quel villaggio? Se non gli dessero abbastanza da
mangiare?”
“Oh,
Baloo...”,
borbottò irritato Bagheera.
“Dico
sul serio”,
continuò l’orso, “Lo sai quanto crudeli
sanno esseri gli umani. Che cosa pensi
faranno al nostro piccolo Mowgli? Tutta colpa di quella ragazzina
odiosa che lo
ha attirato con l’inganno in quel covo di delinquenti. Se non
fosse stato per
lei a quest’ora Mowgli sarebbe ancora fra le mie
braccia”.
“Non
mi
sembrava così perfida come la descrivi l’ultima
che l’abbiamo vista. E Mowgli sembrava
più che contento di seguirla”,
sogghignò Bagheera.
“Ma
è solo un
cucciolo si è lasciato ingannare da quella piccola ...Grrr!
Oh, già me lo
immagino, gli insegneranno a dare la caccia col fucile”,
Baloo si alzò sulle
zampe posteriori, “Verrà qui e invece di
riabbracciare il suo vecchio amico
Baloo ...Pam!” Afferrandosi il petto come se fosse stato
ferito barcollò in
tondo. Gli avvoltoi continuarono a spostarsi per evitare di essere
sepolti
sotto l’orso quando sarebbe cascato. Infine Ballo si
accasciò di schiena al
suolo. Bagheera alzò gli occhi al cielo. “Baloo,
Mowgli sta bene dove sta. E
poi ricordati che c’è ancora Shere Khan in
circolazione”.
“Mpfh!
Quella tigraccia”,
borbottò Ballo tirandosi su sui gomiti, “Ormai
è diventato un vecchio gatto
zoppo dopo che lo abbiamo sistemato per le feste. È
più di un anno che non si
fa vedere da queste parti. Non oserà più tornare
qui e mettersi contro il
vecchio Baloo”, disse puntandosi il pollice artigliato contro
il petto.
Bagheera
sospirò: “Come credi Baloo”.
Sollevò lo sguardo e vide il sole che tramontava:
“Io devo scappare ora. Questa notte c’è
una riunione dei lupi alla Roccia del
Consiglio”.
“Davvero
perché?”, chiese Baloo.
“Il
loro capo Akela è
diventato molto vecchio e vogliono indire una votazione per eleggerne
uno
nuovo. Probabilmente il papà lupo di Mowgli: Rama. Sembra
solo ieri che un anno
fa in una notte come questa mi incaricarono di portare Mowgli al
villaggio
degli uomini”.
“Oh,
Mowgli
...Buuuhuuu!”, ricominciò Baloo. Bagheera si morse
la lingua per aver nominato
il cucciolo d’uomo. “Oh, Baloo scusa io non ...Bah.
Sentì io ora scappo, tu non
abbatterti. Voi tenetelo d’occhio e vedete che non si
ammazzi”, disse Bagheera
ai quattro avvoltoi. Detto questo in un fruscio di foglie
lasciò l’orso
piagnucolante insieme agli uccelli.
Mowgli
intanto era
ancora sul letto in camera sua. Ad un certo punto sentì la
porta principale
aprirsi. “Oh, bramino Purun. Lei ci fa un enorme onore a
venire nella nostra
umile dimora”, sentì dire Messua. Incuriosito e
timoroso di quale sarebbe stata
la sua punizione si accostò con l’orecchio accanto
alla porta. “La prego si
segga. Posso offrirle qualcosa, abbiamo latte e birra e ...”
“Una
delle tue
focacce andrà bene Messua. Però
l’argomento che mi preme di più discutere
è
l’incidente di oggi con Nathoo”.
“Oh,
la prego
non sia duro con lui. Nathoo non voleva fare nulla di male. Sa
com’è, deve
ancora abituarsi. Lui ...”, il bramino alzò una
mano e Messua tacque. La donna
corse in cucina a prendere una focaccia mentre il prete e il marito si
sedevano
su dei cuscini per discutere.
“La
madre ci tiene
molto al bambino”.
“Si,
anche
troppo”, rispose Kamya, “Cosa deve fare?”
“Sii
paziente Kamya
ora ve lo dirò. Oh, ecco la mia focaccia”.
L’uomo di fede prese il pane e lo
addentò avidamente. “La mia opinione, munch
...è che, munch ...Nathoo non si
sia ancora ambientato nel villaggio e quindi fa monellate come quella
di oggi
per dimostrare la sua sofferenza. E come biasimarlo? Un ragazzo della
sua età
tutto il giorno dietro a quella ragazzina shudra”
“Se
è per il
bene di Nathoo la allontanerò subito”,
affermò Kamya. A Mowgli si strinse il
cuore al pensiero di perdere la sua unica amica. “No, no,
niente del genere. Ma
pensò che Nathoo dovrebbe passare il suo tempo a fare
qualcosa di più
costruttivo”.
“Quel
bambino non sa
contare neanche sulla punta delle dita. Non può venire al
lavoro con me”.
“Lasciami
finire Kamya. Una volta avete detto che è scappato di nuovo
nella giungla.
Vero?”
“Si,
ma solo
per una notte”, si affrettò a dire a Messua.
“Beh,
non c’è
da stupirsi. Immagino che gli manchi poter scorrazzare in giro per la
foresta.
Ora è costretto a stare chiuso la maggior parte del giorno.
Chi di noi alla sua
età non sognava che correre e giocare?”
“Io
alla sua
età già lavoravo per contribuire in
casa”, rispose perentorio Kamya.
“Ci
stavo
arrivando. Nathoo oggi ha rubato. Non capisce il significato del
denaro, che
bisogna faticare e sudare per ottenerlo e così comprare
ciò che si vuole.
Perché non farlo lavorare un po’? A controllare la
mandria magari?”
“Cosa?”,
sussultò Messua, “Ma è solo un bambino.
Un calcio di quei bufali e sarebbe
ucciso. E poi andrebbe fuori dal villaggio e… E…
Tutte quelle storie che girano
sulla tigre zoppa mangia uomini”.
“Messua,
figliola,
calmati. Il ragazzo ci sa fare con gli animali come abbiamo visto
con… l’altro
incidente: l’asino dell’intoccabile”.
“Non
me lo
ricordi”, disse Kamya irritato.
Il
bramino
sorrise: “Nathoo potrà stare all’aria
aperta tutto il giorno. Lontano da quella
ragazzina, lontano dal villaggio e dai guai. Imparerà cosa
vuol dire faticare e
lavorare onestamente”. Kamya ci pensò su un
attimo: “Si, in effetti non è una
cattiva idea”.
“Cosa?
Kamya
non puoi dire sul serio. Dopo che la giungla ci ha appena restituito
nostro
figlio, tu vuoi rigettarcelo dentro? E se ce lo prendessero di nuovo e
questa
volta non tornasse più?”, strinse forte il braccio
del marito singhiozzando.
“La
prego padre,
un’altra punizione. Qualunque altra, ma non la
giungla”.
“Messua,
calmati”, le disse Kamya accarezzandole la testa,
“Sono certo che il bramino
non farebbe mai una proposta del genere se ne andasse di mezzo
l’incolumità di
Nathoo. Questa è una buona occasione perché il
ragazzo cominci a diventare
uomo”.
“È
solo un bambino”.
“Non
lo sarà per
sempre. E non lo potrai proteggere per sempre”.
“Ma
l’ho riavuto da
così poco. Dieci anni senza nostro figlio, non togliermelo
di già”.
“Rischi
di perderlo più
se continua a fare stupidaggini come quella di oggi che se va a far
pascolare i
bufali”.
Messua
si
rassegnò e lasciò il braccio del marito.
“Va bene bramino Purun. Lo faccia
andare di guardia al pascolo”.
“Molto
bene.
Visto che la questione è risolta io torno al tempio per la
preghiera della sera”.
I
tre adulti si
alzarono e il bramino fu accompagnato alla porta. “Preghi per
mio figlio
stasera padre”, lo prego Messua, “Preghi che domani
non gli accada niente di
male”.
“Preghi
perché non
rovini anche questa occasione”, rimarcò Kamya.
“Lo
farò tranquilli”,
disse rassicurante il prete, “Non crucciatevi troppo, state
facendo del vostro
meglio. Siete dei buoni genitori per quel bambino”, detto
questo se uscì
nell’aria della notte. Messua richiuse mesta la porta. Il
marito la abbracciò e
la bacio sulla fronte.
“Vieni
ora
andiamo a dirglielo”.
“Va
bene”,
disse lei.
Mowgli
sentendoli arrivare si rigettò subito sul letto sotto le
coperte. Ora avrebbe
dovuto fare del suo meglio per fingersi sorpreso. Non poteva crederci.
Andare
fuori dal villaggio, nella giungla! Non vedeva l’ora.
Chissà forse avrebbe
potuto anche rincontrare qualcuno, Baloo, Bagheera o il branco dei lupi.
La
luna splendeva
sulla Roccia del consiglio. Il branco dei lupi era steso sulla pietra
spoglia
mentre su un masso si stagliava la figura del vecchio Akela. Bagheera
stava
steso su un ramo facendo dondolare avanti e indietro la coda. Il
vecchio lupo
iniziò a parlare: “Dunque. Tre settimane fa ho
mancato il mio primo cervo.
Sapete tutti che cosa significa: ormai sono troppo vecchio e debole per
guidare
il branco. È tempo che qualcun altro prenda il mio posto. Ci
chiamiamo il
Popolo Libero perché siamo liberi di scegliere chi ci
governa. Io da parte mia
propongo che sia Rama il nostro nuovo capo branco”. Il lupo
dal pelo nero che
era stato il padre di Mowgli si fece avanti. “Ma la scelta
spetta a voi. Dunque
c’è qualcun altro che si offre?”, chiese
Akela all’assemblea. Il branco di lupi
stette in silenzio.
“Io
mi offro”,
risuonò una voce al di fuori del cerchio. Le teste canine si
girarono in
allerta per vedere di chi fosse quella voce. Dal limitare della foresta
una
zampa striata uscì dai cespugli. “Io Shere Khan,
mi offro come nuovo signore
del Popolo Libero”. Bagheera si alzò teso sul ramo
dell’albero. Shere Khan!
Era
più di un anno
che non si vedeva più la tigre dopo che Mowgli
l’aveva fatta scappare. La
pantera osservò il grosso felino farsi strada tra i lupi.
Zoppicava un po’ su
una zampa posteriore ma per il resto incuteva ancora terrore. Rama
digrignò i
denti: “Vattene via bestiaccia bruciacchiata. Non hai niente
a che vedere tu
col Popolo Libero”
“Ah,
sì? Strano
credevo che accettaste i membri di ogni specie visto che vi siete
tenuti per
dieci anni un cucciolo d’uomo. Beh, visto che siete liberi di
scegliere,
fatelo. Chi sceglierete come nuovo capo? Me o il lupo rognoso qui
accanto che
non ha avuto la forza di uccidere un poppante quando avrebbe
dovuto?”
Akela
ringhiò a
sua volta alla tigre: “Vattene via Shere Khan. Un anno fa
potevi anche
sconfiggerci tutti quanti, ma ora? Guardati, sei solo uno zoppo. Girano
voci
sul fatto che devi ammazzare il bestiame degli uomini perché
non riesci più a
cacciare”
“Queste
zampe
anche se bruciate hanno ancora gli artigli, vecchio lupo. Ti
darò la prova che
so ancora uccidere, se vuoi”.
“Vattene
via”,
lo minacciò Rama, “Questo è
l’ultimo avvertimento”.
“Ma
come? Non
vogliamo neanche sapere il risultato della votazione. Andiamo lupi, voi
non
ucciderete Shere Khan. Infatti voi eleggerete Shere Khan come nuovo
capo branco”.
“Stai
vaneggiando tigre”, disse ringhiando Akela. Shere Khan
continuò imperterrito:
“Voi amate Shere Khan, voi ammirate Shere Khan, voi
vi… fidate di Shere Khan”.
I
lupi
all’inizio silenziosi cominciarono piano piano ad abbaiare
annuendo.
“Sì,
è vero”.
“Votiamo
Shere
Khan”.
“Shere
Khan è il
nostro capo”.
“Sì
noi amiamo Shere
Khan”.
“Lo
ammiriamo”.
“Sì,
ci fidiamo di
Shere Khan”.
Bagheera
non poteva
credere alle proprie orecchie. Come potevano i lupi dire cose del
genere?
Fidarsi di Shere Khan? Guardò mentre tutti i lupi del branco
a parte Rama,
mamma lupa e i quattro fratelli di Mowgli, acclamavano la tigre.
Guardò le
bestie e notò qualcosa di strano nelle loro pupille. Appena
realizzò di cosa si
trattava provò a ruggire per avvertirli ma qualcosa gli
tappo la bocca. In men
che non si dica delle grosse spire si avvolsero intorno alla pantera
imprigionandola
in una morsa stretta. Un sibilo gli sfiorò
l’orecchio: “Sssilenzio vecchio mio.
Lasciamo che finisssca la votazione”. Kaa il serpente! Ecco
come aveva fatto
Shere Khan. L’intero branco era ipnotizzato! Da quando il
pitone aveva un tale
potere? I lupi ulularono forte alla luna mentre Shere Khan veniva
nominato
nuovo capo branco. “Grazie, grazie miei fedeli e mansueti
sudditi”, la tigre
fece far silenzio ai lupi, “Il mio primo decreto come nuovo
signore del Popolo
Libero sarà quello di punire la famiglia di lupi che ha
accolto il piccolo
cucciolo d’uomo tra di loro. Hanno infranto la legge della
giungla tenendo qui
un uomo e ora dovranno pagare”. Rama sua moglie Raksha e i
loro figli
ringhiarono contro la tigre mentre gli altri lupi del branco
cominciavano ad
alzarsi e a accerchiarli. “La sentenza per il crimine
commesso è… morte!”,
ruggì la tigre. Akela saltò giù dalla
sua roccia. “Dovrai passare sul mio
cadavere prima, vecchio gattaccio striato”. Shere Khan
guardò con sufficienza
il vecchio lupo grigio. “D’accordo, non
sarà un grosso impedimento. Voi altri,
uccidete Rama e la sua famiglia”. Shere Khan si
gettò contro Akela. Il lupo e
la tigre cominciarono azzannarsi e graffiarsi a vicenda
sull’orlo della Roccia
del Consiglio. Bagheera tentò invano di liberarsi dalla
stretta di Kaa. Il
serpente intanto rideva sibilando: “Mh, mh, mh. Tu chi pensi
vincerà? Mh, mh,
mh. Io punto sul felino”, disse puntando la coda verso Shere
Khan. Intanto i
lupi si erano avventati su Rama, la moglie e i figli. I sei lupi si
battevano
con coraggio ma avevano contro l’intero branco. Shere Khan e
Akela intanto
continuavano lo scontro. Il lupo grigio era vecchio ma anche coriaceo e
avrebbe
combattuto fino alla morte. Shere Khan inoltre era zoppo e non
più così letale
come in passato, ruggendo di rabbia raddoppiò gli sforzi
contro quel cane
insolente. Akela scattò e strinse le mascelle intorno al
collo della tigre.
Shere Khan ruggì di dolore e tentò invano di
scrollarselo di dosso. Alla fine
con una zampata sul muso del povero Akela lo spedì per terra
con un guaito.
Bagheera spalancò gli occhi gialli. Il vecchio lupo
provò ad alzarsi ma ricadde
con un lamento. Mentre cercava di rialzarsi di nuovo una pesante zampa
di Shere
Khan lo spinse a terra. Il felino sussurrò
all’orecchio del lupo: “Te lo avevo
detto che non saresti stato un grosso impedimento”. Chiuse le
grosse mascelle
nel collo di Akela e in uno scatto lo lanciò giù
dalla rupe come fosse stato un
lupo di pezza. Bagheera voleva ruggire indignato ma Kaa ancora gli
tappava la bocca.
La tigre si voltò soddisfatta verso la famigliola di Rama
che veniva spinta in
bilico sull’orlo della roccia. “Loro sono i
prossimi”, proclamò Shere Khan.
‘Oh, no che non lo sono’, pensò furioso
Bagheera. Con un enorme sforzo spalancò
ancora di più le mascelle e infilò i denti nella
carne squamosa del pitone.
“Ahiiii!”,
mugolò
di dolore Kaa. Negli spasmi di dolore, il serpente allentò
la presa e Bagheera
si liberò dalla prigione delle spire. Con un balzo si
gettò giù dall’albero e
corse in aiuto di Rama e Raksha. Con gli artigli e con le zanne
scacciò via
alcuni lupi creando un corridoio per la famiglia di Mowgli.
“Scappate. Andate
via, li trattengo io”, ruggì continuando a menare
unghiate.
“Presto
cuccioli”,
abbaiò Raksha. I quattro lupi sgusciarono via in un lampo
seguiti dai genitori.
“No.
Fermateli non
lasciateli scappare “, urlò
Shere
Khan correndo zoppicante verso di loro. Alcuni lupi provarono a
inseguire i sei
fuggitivi ma in breve la famigliola si era sparpagliata ed era sparita
nella
foresta. Shere Khan pestò le possenti zampe a terra e
lanciò un ruggito di
indignazione. Si voltò verso la pantera che ormai veniva
sopraffatta dal resto
del branco. Almeno quella era stata presa. “Kaa”,
chiamò calmo Shere Khan
avvicinandosi all’albero. “S-s-s-sssi?”,
bisbigliò impaurito il serpente
abbassando mesto la testa.
“Ti
avevo chiesto
solo una cosa: di bloccare la pantera”.
“Lo
ssso, ma mi ha
morso e mi è sssgusciata via. Oh, ti prego di ssscusarmi.
Giuro che non ti
deluderò più”.
La
tigre sospirò:
“Sei perdonato Kaa. D’altronde sei riuscito a
ipnotizzare tutto il branco come
ti avevano chiesto. È sorprendete. Come ci sei
riuscito?”
Kaa
si lisciò
compiaciuto le spire: “Oh, beh, sai ...le sssolite cossse.
Un’ipnosi continua
mentre dormivano per un paio di sssettimane. Ora non usciranno dalla
trance a
meno che io non dica la parola sssegreta” “Mh,
impressionante”, commentò Shere
Khan.
“Oh,
non essere
così sssorpreso non è niente di che. Sssei vuoi
potrei darti una
dimossstrazione. Ssspera in me…”
La tigre alzò gli occhi al cielo e gli
diede una zampata con cui Kaa sbatté la testa contro un
ramo. “Ahu, la mia
sssinusite”.
“Per
ora non ho
bisogno di dimostrazioni. E puoi rispiegarmi perché non lo
hai potuto fare con
il vecchio lupo e la famiglia di quel lurido cucciolo
d’uomo”.
Kaa
si stava
massaggiando la testa: “A quanto pare i sssentimenti verso il
cucciolo d’uomo
erano più forti delle mie capacità ipnotiche.
Ahu, non avrebbero mai accettato
il tuo comando dopo che avevi minacciato il loro piccolo. Ohi, non
riuscirò più
a dormire per un messse”.
Shere
Khan ignorò i
lamenti del rettile: “Ora con i lupi che sono scappati in
poco tempo tutta la
giungla saprà di questa storia. A quanto pare
dovrò accelerare i miei piani… Ma
prima, occupiamoci dell’amichetto del cucciolo
d’uomo”.
Bagheera
era stato
spinto contro l’orlo della rupe dal branco di lupi ringhiati.
La pantera
sollevò la testa e vide il dirupo gettarsi
nell’oscurità. Shere Khan si
avvicinò con passò lento verso di lui. La pantera
ringhiò contro la tigre:
“Cos’hai intenzione di fare Shere Khan? Questo
è contro tutte le leggi della
giungla. Non appena si verrà a sapere verrai
fermato”.
“Questo
lo vedremo
pantera”, rispose calma la tigre, “Per ora quello
che mi interessa è ottenere
la vendetta. Vendetta contro quel tuo cucciolo d’uomo che ha
osato
oltraggiarmi. E contro chiunque lo abbia aiutato a sfuggirmi la prima
volta”,
il felino avanzò e i lupi spinsero Bagheera ancora
più sul
bordo
della rupe, “E ti assicuro che questa volta, Mowgli non
scapperà un’altra
volta. Salutami Akela sul fondo del dirupo”, con
quell’ultima frase allungò una
leggera zampata verso e Bagheera e quella bastò a farlo
cadere giù dalla Roccia
del Consiglio con un ruggito disperato. Kaa deglutì alla
vista di quella scena.
Shere Khan impassibile si girò e andò verso il
serpente: “Come dicevo Kaa
dobbiamo agire in fretta, quindi muoviti. Branco seguitemi, andiamo
verso le
rovine del tempio”.
“Le
rovine?”, sibilò
confuso Kaa, “Cosssa diavolo dobbiamo andarci a fare alle
rovine? Non potresti
dirmi qualche cosssa di più sul tuo favolossso piano.
Anch’io voglio vendicarmi
di quel piccolo, odiossso, missserabile, insssolente,
detessstabile…
deliziossso, ehm, di quel cucciolo d’uomo”.
“Per
ora quello che
sai è sufficiente. Dobbiamo andare alle rovine
perché devo parlare con un certo
orango. Ho sentito delle voci che dicono che potremmo avere un
interesse
comune”. La tigre seguita dai lupi e dal pitone
abbandonò lentamente la Roccia
del Consiglio. Intanto sul fondo della formazione in pietra giaceva
Bagheera.
Il corpo della pantera sembrava senza vita, ma se qualcuno avesse
potuto
avvicinarsi avrebbe visto che respirava ancora debolmente.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Mowgli capitolo 3 luigi
Il sole stava
per sorgere
sulle rovine del tempio. Un rumore di pietre spostate e grugniti di
scimmia
risuonava tra i resti degli edifici. “Forza. Forza, non
fermatevi”, strillava
re Luigi. Una scimmia con una criniera bianca lo seguiva reggendo una
foglia di
palma a mo’ di ventaglio. Davanti alle due figure si
stagliava una torre
traballante. Una fila di scimmie si stendeva ai piedi del cumulo di
detriti.
Ogni scimmia trasportava un blocco di dimensioni diverse e lo
aggiungeva alla pila
torreggiante. In alcuni punti la struttura era talmente inclinata che
altre
scimmie erano state messe come paletti o colonne e reggevano i mattoni
con le
facce arrossate. “Ancora, ancora. Non battete la fiacca,
luridi scansafatiche.
Voglio che per quando il sole sia sorto risplenda sul mio nuovo
palazzo”.
“Sarà
uno spettacolo
magnifico immagino”, risuonò una voce in
lontananza. L’orango girò la testa e
vide una sagoma tra le ombre del tempio. Delle zampe artigliate e un
manto
striato entrarono in penombra, rivelando Shere Khan. La scimmia che
reggeva la
foglia di palma strillò, mollò la foglia e corse via. Le
altre scimmie che
stavano ricostruendo la torre strillarono a loro volta.
“Tigre, tigre!”,
esclamò una scimmia indicandola. In un parapiglia generale
tutte le scimmie
mollarono le pietre e fuggirono via. Quelle che reggevano in piedi le
fondamenta scapparono a loro volta e in questo modo la torre si
inclinò ancora
di più fino a cedere e a crollare in frantumi.
“Nooo”, gemette re Luigi, mentre
con un rombo si distruggevano tutti gli sforzi delle ultime settimane.
“No, no,
brutti idioti. Che cosa avete fatto?”, disse pestando mani e
piedi nella
polvere della torre appena crollata. Con uno sguardo torvo si
girò verso la
tigre che aveva causato quel disastro. Appena vide il felino
avvicinarsi
zoppicando sogghignò. “Oh, ora capisco
perché siete scappati. Guardate tutti è
Shere Khan, il grande Shere Khan”. L’orango scosse
il fondoschiena davanti alla
tigre: “Sono Shere Khan, la tigre con le chiappe
affumicate”. Le scimmie che
poco prima erano scappate impaurite ora tornarono allo scoperto davanti
allo
spettacolo del loro re. Luigi si mise un dito sulle labbra con uno
sguardo
indifeso: “Oh no, come farò a sconfiggere questo
felino indomabile. Nessuno può
sconfiggere il potente Shere Khan... beh, a parte un soldo di cacio
alto un
metro e venti e pesante venti chili e mezzo. Oh, vi prego salvatemi
dalla tigre
mangia uomini, o dovrei dire mangia ragazzini o dovrei dire che non
riesce a
mangiare i ragazzini”. Le scimmie a quel punto stavano
ridendo a crepapelle e
additando la tigre completamente dimentiche della paura di prima. Shere
Khan
ringhiava sotto i denti irritato. Re Luigi intanto continuava nella sua
pantomima e varie scimmie si erano unite. “Forza Shere Khan
sono completamente
indifeso e vulnerabile… come un bambino”. La tigre
sbuffò ma mantenne la calma:
“Re Luigi sono venuto qui per conferire con te su una
questione importante. Da
un signore della giungla a un altro”. L’orango
smise di agitarsi e guardò confuso
il felino: “Signore della giungla. E di chi saresti il capo,
si può sapere?
Delle tigri con le chiappe carbonizzate”. Shere Khan fece un
sorriso amaro:
“No, ho degli altri sudditi a dire il vero”. In
quel momento tra i mucchi di
pietre infestate dai rampicanti cominciarono a spuntare ad uno ad uno i
lupi.
Le scimmie si ritirarono di nuovo strillando sui muri ancora intatti
del
tempio. Re Luigi si ritrovò braccato dai lupi.
L’orango corse e si rifugiò sul
suo trono insieme alla scimmia dalla criniera bianca. I due primati si
contendevano a vicenda la cima del sedile scolpito lontano dalle fauci
dei
lupi.
“Ho la
tua attenzione
adesso? Vostra maestà?”, chiese calmo Shere Khan.
“Gnnn,
oh, sì,
assolutamente. Benvenuto nel mio regno Shere Khan. E benvenuti anche i
tuoi
sudditi. Giù bello, giù”, disse a un
lupo ringhiante. Shere Khan fece
allontanare i lupi e si avvicinò al trono.
“Siediti pure Luigi. Fa come se
fossi a casa tua”, sorrise la tigre. L’orango si
sedette impaurito sul trono
abbracciato alla sua scimmia attendente. “Come vedi ora sono
il nuovo capo
branco dei lupi”.
“Lo
vedo. Come diavolo
hai fatto? Hai provato a uccidere il loro cucciolo d’uomo
appena un anno fa”.
“Con
un piccolo aiuto da
parte di un viscido amico”, disse la tigre girando il capo.
In quella direzione
si sentì un sibilò e apparve il serpente Kaa che
sghignazzava sibilando.
“Ora,
l’ultima
volta che ero passato da queste parti, queste rovine
sembravano… meno rovinate.
O sbaglio?”
“No,
non sbagli. Puoi
ringraziare il tuo cucciolo d’uomo e quei suoi due compagni
per questo. Cos’è
un re senza il suo palazzo? Oh, se avessi quell’orso tra le
zampe”, disse
tirando su i piedi e facendo il gesto di stringere una gola,
“giuro che… Come ha
potuto tradirmi così quel cucciolo d’uomo? Lo ho
accolto nella mia casa. Gli ho
dato banane. Pensa che eravamo pure cugini”.
“Una
storia terribile”,
mormorò Shere Khan.
“Esatto”,
continuò Luigi,
“Tutto quello che gli avevo chiesto era di dirmi il segreto
su come fare il
fuoco, e lo avrei tenuto alla mia corte come ospite d’onore
per sempre. Ti
rendi conto che privilegio gli concedevo a invitarlo nel mio reame
illuminato?”
Shere Khan sollevò lo sguardo su una scimmia che si grattava
il posteriore per
poi annusarsi il dito e cadere svenuta. “Già,
perle ai porci, re Luigi. Speravo
che la pensassi proprio così quando ho deciso di venire qui.
Sia io che te
abbiamo subito un torto dal cucciolo d’uomo. Ed è
mia intenzione porvi
rimedio”. Luigi aggrottò la fronte: “Che
vorresti dire?”
“Intendo
dire che
voglio vendicarmi del cucciolo d’uomo”, Shere Khan
si avvicinò a una piccola
scultura ancora in piedi di un essere umano, “Ho intenzione
di distruggere lui.
E tutti coloro a cui ha tenuto”, con una zampata ridusse in
briciole la testa
della piccola statua, “Questo include l’orso e la
pantera che hanno distrutto
il tuo bel palazzo. Se ti fa piacere la pantera è stata
eliminata stanotte”.
“Cosa?
Davvero?”,
chiese saltellante l’orango.
“Certo.
L’orso è un’altra
questione ma penso che vorrai occupartene tu di persona. Altrimenti che
divertimento ci sarebbe”.
“Oh,
Khanny mi leggi nel
pensiero. Posso chiamarti Khanny?”. La tigre lo
guardò con uno sguardo tetro.
“Va bene, al Khanny ci arriveremo col tempo. Tornando alla
questione del
cucciolo d’uomo, tutto questo è molto
interessante, le mie orecchie reali ne
sono compiaciute. Ma dimmi come pensi di attuare esattamente il tuo
piano di
vendetta? Il cucciolo d’uomo ora è nel villaggio
degli uomini. Se non sei
riuscito a battere lui che era solo un cucciolo come pensi di fare
contro un
villaggio intero armato di fiamme e fucili?”
“Ci
stavo giusto
arrivando”, disse il felino spaparanzandosi su un muretto
lì accanto e
lisciandosi il pelo, “Dovremmo trovare un modo per far uscire
il piccolo dal
villaggio. E prima di escogitare qualunque piano ci occorrono
informazioni. Io
vedi non sono… Come dire? Molto ben accetto vicino ai
villaggi degli uomini.
Specialmente in questi mesi, mi sono fatto una nomea ammazzando bufali.
Neanche
i miei lupi potrebbero avvicinarsi con discrezione o Kaa”.
Sollevò lo sguardo
in cerca del serpente e lo vide che stava ipnotizzando una scimmia e
cominciava
a spalancare le fauci. “Kaa!”, lo
rimproverò calmo Shere Khan. Il serpente
sentandosi chiamare dalla tigre interruppe all’istante
l’ipnosi della scimmia che
scappò via svelta. “Per favore Kaa, siamo ospiti.
Non mangiare i sudditi del
nostro nuovo amico. Dicevo che quindi non sono nella posizione di avere
informazioni su Mowgli di qui a poco. Ma tu potresti. Le scimmie
bazzicano
spesso i villaggi dell’uomo. E se tu mandassi qualche spia a
vedere, potremmo
scoprire in breve tempo come far uscire Mowgli di
lì”.
Re Luigi
sogghignò: “Un
idea eccellente mio caro Khan– Voglio dire Shere
Khan. Beh, dunque mi
sembra un buon affare. Mi assicuri che quando avrai avuto il cucciolo
d’uomo io
potrò avere Baloo”.
“Avrai
la testa dell’orso
su un piatto d’argento. Adesso manda i tuoi servi, veloce.
Purtroppo stanotte
mentre prendevo il comando alla Roccia del Consiglio, qualcuno
è scappato”,
disse lanciando un’occhiataccia a Kaa.
“Perciò i testimoni vanno trovati e
isolati il prima possibile. Non vogliamo certo che l’intera
giungla sappia di
tutto questo, o non avremo più l’effetto sorpresa
sulle nostre prede. Oh, e
inoltre non vorrei che la cosa giungesse alle orecchie del
colonnello
Hati. Detesto ammetterlo, ma per quanto quell’elefante sia
idiota neanche con
tutti i lupi avrei molte chance di vincere contro un branco di
pachidermi”.
“Oh,
non ti preoccupare
allora. Quanti sono questi testimoni?”
“Sei
lupi. L’ex
famigliola del moccioso”.
“Hu,
bene, me ne occupo
subito. E ho anche un’ideuccia per la tua preoccupazione
riguardo il caro
vecchio colonnello”, disse re Luigi sfregiandosi le mani.
“Davvero?
Quale
sarebbe?”, chiese curiosa la tigre, non aveva ancora trovato
una soluzione
contro la pattuglia di pachidermi. “Te lo dirò a
cose fatte. Intanto
occupiamoci dell’immediato. Fiuuu, fiii”,
fischiò forte Luigi. Tre scimmie si
calarono ai piedi del trono, un po’ sull’attenti
per via dei lupi. “Andate al
villaggio degli uomini e scoprite tutto ciò che potete sul
cucciolo d’uomo. Già
che ci siete prendete anche qualche bel ogettuccio se lo trovate, eh?
Bravi, e
ora andate miei tesori, andate, andate”, disse sollevando le
braccia pelose
ridicolmente lunghe. “Sì, vostra
maestà”, esclamarono le scimmie sparendo tanto
velocemente quanto erano apparse. Shere Khan sorrise sotto i baffi:
“Bene
Luigi. Sembra che questa nuova alleanza porterà buoni
frutti” “Adoro i frutti.
Gradisci una banana?”, disse l’orango porgendogli
uno dei frutti gialli
tirandolo fuori da non si sa dove. “No, grazie”,
disse Shere Khan, guardandolo
confuso. Re Luigi fece spallucce e cominciò a divorarsi la
sua banana. Kaa
guardò l’orango ingozzarsi felice e gli
brontolò lo stomaco. “Shere Khan”,
sibilò avvicinandosi alla tigre, “Non potrei
assaggiare sssoltanto una
ssscimmiettina. Non prendo una preda da quando mi avevi ordinato di
ipnotizzare
i lupi e sssperavo che ieri notte mi sarei rimpinzato con la pantera.
Ma ora
sssono terribilmente affamato”.
“E di
chi è la colpa per
non aver trattenuto Bagheera come gli era stato ordinato?”,
ringhiò Shere Khan
al serpente tremante, “Ma suppongo che tu abbia fatto un buon
lavoro finora. Ma
non posso lasciarti fare uno spuntino delle nostre nuove compagne
d’armi. Visto
che era proprio la pantera che volevi, torna alla Roccia del Consiglio.
Fai
sparire il suo corpo insieme a quello di Akela non voglio che ci siano
ulteriori prove di questa notte”.
“Sssì,
certamente.
Ti assssicuro che non rimarrà alcuna traccia”. Il
pitone sparì veloce tra i
muri cadenti del tempio. La tigre si rilassò sul trono e
allungò lo sguardo
oltre i mucchi di macerie che lo circondavano, verso la distesa verde
della
giungla che cominciava ad essere illuminata dal sole. Gli occhi
osservarono
chiazze verdi di foresta fino a un puntolino marrone sulla riva del
fiume: il
villaggio degli uomini. ‘Mowgli’, pensò
la tigre, ‘Presto tardi sarai mio,
cucciolo d’uomo’.
Mowgli si
svegliò frizzante
al canto del gallo. Di solito non si alzava fino a che qualcuno non lo
buttava
giù dal letto ma questa mattina non vedeva l’ora
di scendere giù dalle coperte.
Coperte! Aveva dormito tutta la notte nel letto e non
sull’albero, non voleva
far arrabbiare ancora Kamya e rischiare di perdere la sua
“punizione”. Fece
colazione ingoiando tutto in fretta, non stava più nella
pelle. Notò che Shanti
non c’era quel mattino. Pensò che fosse uscita
prima di casa o non fosse
tornata dal torrente a prendere l’acqua. Messua lo guardava
con espressione a
metà tra il felice e il rattristato. Kamya lo aspettava
sulla porta. “Allora
Nathoo. Pronto per la tua punizione?”, chiese quando stavano
per uscire.
“Sì”,
rispose impaziente
Mowgli, per poi cambiare in un sì dal tono più
triste e decorso per
l’occasione. Kamya soffocò un sorriso. Aveva
capito quanto in realtà Nathoo
fosse contento, ma era così felice e speranzoso anche lui
per questa nuova
esperienza del bambino che quasi non gli importava. Messua diede al
figlio una
sacca con dentro il pranzo e lo baciò sulla guancia.
“Sta attento mio dolce
Nathoo”, gli disse accarezzandogli il viso, “E se
vedi una tigre o un altro
animale feroce non fare come nelle storie che ci racconti sempre, ma
scappa
via, scappa più veloce che puoi. Capito?”, gli
strinse la mano sulla spalla.
“Va
bene”, sussurrò
Mowgli, come sempre un po’ stranito dalla preoccupazione di
Messua.
“Sono
certo che andrà
tutto bene e non avrà nulla di cui preoccuparsi”,
disse Kamya alla moglie,
“Forza ora andiamo o faremo tardi”, lo
incoraggiò. Messua lo strinse in ultimo
abbraccio poi lo guardò allontanarsi insieme al marito dalla
soglia della casa.
Si tormentò il velo mormorando una preghiera
perché tutto, effettivamente,
potesse andar bene. Il bramino intanto li stava aspettando
all’uscita del
villaggio accanto alla mandria di bufali. I grossi bovini azzurro
ardesia erano
degli animali imponenti dalle corna lunghe e ricurve. Il loro aspetto
intimidiva
ma avevano un’indole pigra e mansueta. Abituati
com’erano al comando dell’uomo
spesso si vedevano mandriani dell’età di Mowgli
che nonostante non arrivassero
al muso di quelle bestie li comandavano a bacchetta con un solo colpo
di
ramoscello. Quando Mowgli e Kamya arrivarono il bramino li accolse e
guidò il
ragazzino in mezzo alla mandria per illustrargli quello che avrebbe
dovuto
svolgere quel giorno. Avrebbe dovuto far pascolare gli animali per
tutto il
giorno e poi farla tornare verso sera. Niente di troppo complicato. I
bufali
erano animali pacifici e portati vicino a un torrente si mettevano a
mollo nel
fango per ore. Il bramino Purun diede a Mowgli una canna di
bambù per dirigere
la mandria. Ora ci fu il problema dei numeri. Siccome sapevano che
Nathoo non
era esattamente un genio con i numeri non volevano certo che si
sbagliasse a
contare nel riportare a casa i capi di bestiame, gli allevatori in
particolar
modo. Fra loro c’era anche Buldeo che possedeva un paio di
capi e se da una
parte gradiva l’idea di Nathoo fuori dal villaggio, dove
magari sarebbe stato
la cena di qualche animale, non gradiva l’idea di perdere una
delle sue bestie.
Ma il bambino li sorprese tutti quando elenco tutti i capi di bestiame
dal
primo all’ultimo, secondo le loro caratteristiche
individuali. Un dente guasto,
il pelo di un colore leggermente diverso, di ogni singolo bufalo sapeva
qualcosa. Quando Buldeo ebbe finito di fare i conti sulla punta delle
dita,
tutti realizzarono che il numero era esatto.
“Come
fai a ricordarli tutti?”,
chiese sconvolto il bramino, “E come fai a sapere tutti
questi dettagli? Di un
bufalo neanche il suo proprietario sapeva del dente guasto”.
Mowgli sorrise
imbarazzato: “Sono nel villaggio ormai da un anno e ogni
tanto sono passato
davanti le stalle. Così ho fatto un po’ di
conversazione e ora so i loro nomi e
qualche altro particolare. Per questo sono sicuro di non perderli anche
se non
so contare bene. Potrei chiedere direttamente a loro se ne manca
qualcuno”.
A quella
risposta Kamya
sì scurì: “Nathoo”,
sbuffò, “Io ...”
“Scusa,
scusa. Lo
so ho sbagliato a dire quelle cose. Dimenticate quello che ho appena
detto.
Giuro che sarò attentissimo ai bufali per non perderne
nessuno. Ti prego so che
lo posso fare… papà”. Kamya di solito
lo avrebbe redarguito di più su tutta la
questione dei bufali parlanti, ma quel papà
lo aveva lasciato senza
parole. Mai prima di allora il bambino lo aveva chiamato padre,
né a Messua
l’aveva chiamata madre. L’uomo compiaciuto si
affrettò a dire: “Va bene sei
perdonato. Non parliamone più e corri a portare quei bufali
sul fiume prima che
cambi idea”.
Nathoo sorrise e
tutto
contento trotterellò in groppa a Mysa, il toro
più grosso della mandria.
Borbottò un paio di frasi che gli uomini in piedi
lì accanto fecero fatica ad
afferrare. Ma il loro stupore poi fu un altro. In men che non si dica
l’intera
mandria era partita spedita in fila ordinata e compatta.
Buldeo era
rimasto a
bocca aperta. Kamya sorrise felice sotto la barba. Il bramino si
accarezzò la
barba bianca. “Ogni volta vedo così lontano nelle
vite degli uomini”: disse
tronfio.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Mowgli capitolo 4 tre scimmie
Shanti
entrò dalla
porta di servizio portando la brocca d’acqua. Appena chiuse
la porta alle sue
spalle sentì dei singhiozzi dall’altra stanza.
Trovò la padrona Messua che
piangeva sommessamente seduta sui cuscini. Quando si res conto della
presenza
della ragazzina la donna si asciugò svelta le lacrime.
“Oh, Shanti sei tu”. Di
solito a quell’ora la padrona era al tempio. Shanti non
sapeva come comportarsi
avendola trovata in quella situazione. “Vuole, vuole che vada
a svegliare Nathoo”,
disse la bambina sperando di poter andarsene da quella scena.
“Oh,
che sciocca”,
disse la donna ripulendosi con un fazzoletto le guance bagnate,
“Come ho potuto
dimenticarmi di dirtelo? Specialmente a te poi”.
Un
orribile pensiero
chiuse la bocca a Shanti: il bramino aveva bandito Mowgli dal
villaggio,
sicuramente era così. Per questo Messua piangeva disperata.
A suo marito,
Mowgli non era mai piaciuto per questo se ne era liberato. Oh no,
perché?
Perché aveva dovuto dire che le piacevano tanto i manghi? Di
sicuro era per lei
che Mowgli aveva fatto quella stupidaggine. “La prego non lo
faccia mandare
via”, disse sull’orlo delle lacrime.
“Cosa?”,
chiese
confusa Messua. “È stata tutta colpa mia. I manghi
al tempio li ha presi per me
non per sé stesso. La prego, la prego punisca me, ma per
favore non fate andare
via Mowgli”, appena realizzò di aver detto quel
nome si tappò la bocca con le
mani. Ma invece della reazione furiosa che si aspettava vide la sua
padrona
sorridere sommessamente: “Stai tranquilla piccola Shanti. Non
è successo niente
del genere. Il tuo amico… Mowgli non è stato
bandito. L’hanno solo mandato a
pascolare i bufali. In effetti con questi lacrimoni avrai pensato il
peggio.
Sono proprio una vecchia sciocca e troppo sensibile”, un
altro paio di lacrime
le uscirono dagli occhi. Shanti tirò un sospiro di sollievo
a quella notizia.
Anzi pensò che fosse grandioso. Se c’era un modo
per far venire fuori lo
straordinario che c’era in Mowgli, era farlo lavorare con gli
animali. “E
Shanti?”, disse Messua tirando su un ultimo singhiozzo,
“Non pensare
assolutamente che
la stupidaggine di mio figlio sia colpa tua. Kamya mi ha detto che ha
confessato che erano per te ma questo non ti rende colpevole. Credo
renda solo
più ovvio quanto il mio bambino tenga a te”.
Shanti sorrise contenta: “Scusi se
ho usato… quell’altro nome prima. So che non
vuole. Giuro non succederà più”.
Messua la guardò stanca ma sorridente: “Non
scusarti neanche per quello.
Immagino che forse avremmo dovuto lasciargli usare quel nome dopotutto:
Mowgli.
Il fatto è che… ho passato dieci anni della mia
vita nella speranza che il mio
Nathoo tornasse. Dieci anni in attesa di un bambino e quando arriva,
è un
Mowgli invece del Nathoo che speravo”, tirò su col
naso, “Non sono stupida,
sai? So che quel bambino, molto probabilmente… anzi
sicuramente, non è mio
figlio. Ma anche se non fosse del mio sangue io lo amo con tutto il
cuore, e
ogni volta penso che se anche non è il mio Nathoo,
c’è una Messua là fuori da
qualche parte che ha sofferto come me per il suo bambino.
Oh,
piccola Shanti, se diventerai madre io ti auguro di non provare mai
cosa vuol
dire perdere un figlio. E Kamya lui… ha sofferto quanto me
quando abbiamo perso
Nathoo, ma al contrario di me se n’era fatto una ragione. Ora
invece c’è questo
bambino che non è nulla di quello che sperava in un figlio.
Probabilmente tutti
e due vogliamo ancora il nostro Nathoo, ma il destino ci ha dato
Mowgli. Forse
dovremmo trattarlo più da Mowgli, non da Nathoo, o come
avremmo voluto che
Nathoo fosse. A cominciare dal nome. Grazie piccola Shanti. Ho deciso,
stasera
ne parlerò con Kamya. Da oggi tutti gli errori di Nathoo
vengono cancellati e
si apre una pagina bianca per il mio bambino, Mowgli”. Shanti
annuì, non
molto
sicura di ciò che era appena successo, però era
felice. Mowgli sarebbe stato
molto felice del cambio di nome. “Bene Shanti va in cucina ad
aiutare tua
madre. Stasera voglio una bella cena per festeggiare il primo giorno da
mandriano di… Mowgli”, pronunciò
l’ultima parola assaporandone le sillabe che
avrebbero definito suo figlio da quel giorno in poi. “
Però di non dire ancora
niente a nessuno. Voglio che sia una sorpresa. E prima dovrò
convincere Kamya”.
Shanti annuì felice e corse in cucina.
Tre
teste pelose
spuntarono su un albero fuori dalla palizzata del villaggio. Le tre
scimmie di
re Luigi si scambiarono uno sguardo di intesa e poi saltarono leggiadre
oltre
il muro di legno. Atterrate all’interno del villaggio si
nascosero contro un
muro e poi allungarono il collo per spiare gli strani esseri umani.
Nessuno
fece caso a loro, troppo impegnati com’erano nelle loro
faccende.
Una
scimmia spiò
lungo le bancarelle del mercato: un sacco di uomini e cuccioli
d’uomo, ma
nessun Mowgli in vista. Bisognava allargare il campo di ricerca. Ma
come?
Si
grattò la testa pensierosa. Non potevano certo camminare
liberamente per il
villaggio come nulla fosse… a meno che. La scimmia
adocchiò una bancarella che
vendeva stoffe colorate. Ne vide un’altra poco lontana che
vendeva stoviglie.
Un lampo di genio le balenò nella sua testa da primate.
Sussurrò qualcosa
nell’orecchio alle altre. Le due scimmie annuirono. Poi tutte
e tre insieme si
arrampicarono sul tetto di paglia della casa. Senza che i poveri
negozianti se
ne accorgessero un paio di metri di stoffa rosa scomparirono dal banco
del
primo venditore e pentole, brocche e vasi da quello del secondo. Dietro
un
vicolo le tre scimmie armeggiarono scoordinate fino a che non
ultimarono il
loro travestimento. Messe una sulle spalle dell’altra si
erano infagottate
nella stoffa rosa tentando di imitare una figura umana. Doveva essere
un a
donna con il capo e il viso addobbati da un velo. Solo gli
occhi
dell’ultima scimmia erano visibili per potersi orientare. Gli
oggetti rubati
erano stati messi a simulare le curve femminili. La scimmia
più in basso
reggeva con la coda una grossa pentola rotonda e panciuta.
La
seconda scimmia invece reggeva un paio di brocche con le braccia come
simulando
un petto prosperoso.
“Pronti?”,
disse la
scimmia in cima, “Via!”. Dando indicazioni su quale
direzione prendere la
donna-scimmia si incamminò barcollando e sbandando. Buldeo
intanto stava
ritornando
irritato
dopo aver visto il piccolo Nathoo
che guidava la mandria. Il vecchio cacciatore camminava ad ampie
falcate
sbuffando. Non era certo quello il castigo che sperava per il figlio di
Kamya.
Mentre
continuava a
rimuginare qualcuno lo urtò. “Ehi fa attenzione,
imbecille”, si lamentò l’uomo.
Chi l’aveva urtato non lo degnò di alcuna scusa e
continuò dritto per la sua
strada. Il cacciatore si voltò irato per dirgliene quattro a
quel maleducato,
ma si trovò davanti una visione magnifica. Una donna
sconosciuta, mai vista al
villaggio, avvolta in delle magnifiche vesti rosa si allontanava
scuotendo i
fianchi. E che fianchi! La donna si voltò un attimo a
fissarlo. Il viso era
coperto da un velo e poteva solo vedere i suoi bellissimi occhi
marroni.
Formosa e pudica, proprio il suo tipo di donna.
“Oh,
mi scusi
signorina. Non avevo visto che si trattava di lei, sarà
stata senz’altro colpa
mia”. La donna mugugnò qualcosa sotto il velo e
poi si allontanò svelta dietro
l’angolo. Oh, faceva la timida! Buldeo si affrettò
sorridente dietro alla
ragazza. Ma quando girò l’angolo era sparita. Si
grattò il turbante perplesso.
Le
tre scimmie
travestite continuarono ad aggirarsi tra le strade del villaggio, ma di
Mowgli
nessuna traccia. Ogni volta che incrociavano il vecchio cacciatore
correvano
subito nella direzione opposta e se le stava per mettere
all’angolo
scioglievano la formazione salivano sui tetti per poi ritravestirsi
qualche
strada più in là. Alla fine dopo aver fatto
l’intero giro del villaggio tre
volte, le povere scimmie salirono su un tetto, stremate.
“Nessuna
traccia del
cucciolo d’uomo”
“Ma
cosa diciamo al
re?”
“Già.
Cosa diciamo al
re e alla tigre?”
“Non
lo so. Oh, tutta
questa agitazione mi mette fame. Non tocco frutta da mesi da quando il
re ci fa
lavorare notte e giorno per ricostruire il suo stupido palazzo. Ah,
come
brontola il mio stomaco”, disse la scimmia massaggiandosi il
ventre peloso.
Un’altra scimmia improvvisamente spalancò gli
occhi: “Guardate”, disse alle
compagne puntando un dito, “Manghi!”. Le altre due
voltarono la testa e videro
un albero dei deliziosi frutti qualche casa più in
là, accanto a un tetto di
pietra a cupola. Le tre scimmie si guardarono e trovata subito
l’intesa
saltellarono verso l’albero. Il bramino Purun era immerso
nelle preghiere come
al solito, perciò non notò quando tre teste di
scimmia spuntarono capovolte dal
cornicione. Appurato che il padrone di casa era distratto le tre
scimmie si
calarono una legata all’altra dalla coda e cominciarono a
passarsi i manghi che
ammucchiarono sul tetto del tempio. In pochi minuti avevano ripulito
l’albero.
Con le braccia cariche di quelle delizie si allontanarono dal luogo del
delitto. Una delle tre però nella fretta si fece scappare un
mango che cadde
con un sonoro splat sul terreno. Purun aprì gli occhi
distratto da quel rumore
vide il mango spiaccicato. Di solito non cadevano così
presto, pensò
incuriosito. Sollevò lo sguardo e vide sconvolto che
l’intero albero era stato
spogliato. Su tutte le furie si alzò e corse fuori.
Quel
Nathoo era al
pascolo. Che avesse abbandonato i bufali e fosse tornato solo per
rubargli di
nuovo i manghi? Questa volta non ci sarebbe andato leggero con il
bambino.
Cominciò a gridare “Al ladro! Al
ladro!”. Fece appena in tempo a guardare sul
tetto e vide l’ultima scimmia che scappava via. Borbottando
imprecazioni il
grasso prete uscì dal tempio tentando di inseguire dal suolo
le tre ladre sui
tetti. “Fermatele! Al ladro! Le scimmie mi hanno rubato i
manghi, puff, pant!
Fermatele!”.
Le
scimmie rendendosi
conto di essere state scoperte corsero a riprendere i loro
travestimento rosa.
Ancora più traballanti di prima per via dei manghi
scapparono per le strade. Il
bramino col fiatone si era fermato e guardava sui tetti lì
intorno per
ritrovare le scimmie.
Buldeo
si aggirava in
cerca della sua bella che non voleva lasciarsi prendere. Ad un certo
quando
proprio aveva abbandonato ogni speranza eccola che spuntava da dietro
un angolo
diretta proprio verso di lui. Sembrava ancora più formosa
che al mattino, se
era possibile. “Eccoti finalmente, è tutto il
giorno che ti cerco”, le disse in
tono sognante. La ragazza però non sembrava prestargli
ascolto e continuò a
tutta birra passandogli accanto. “Oh, no. Stavolta non mi
scapperai”, disse con
tono malizioso Buldeo e afferrò un lembo della stoffa rosa
per costringerla a
parlar con lui una volta per tutte. Al contrario di quello che pensava
invece
la stoffa si srotolò fino a restargli tra le sue dita
lasciando la sconosciuta
scoperta. Ma non era una sconosciuta realizzò paonazzo di
rabbia, erano tre
scimmie cariche di manghi. “Eccole”,
risuonò una voce dietro Buldeo, “Sono
loro. Hanno preso i miei manghi. Puff. Buldeo fermale”. Le
tre scimmie erano
rimaste un attimo spaesate quando la loro copertura era saltata, ma si
ripresero subito e rompendo la formazione corsero via strillando.
Buldeo
che ancora non
voleva credere di aver corso una mattinata dietro a delle scimmie
imbracciò il
fucile e corse dietro alle tre ladre. “Tornate indietro
maledette. Appena vi
prendo mi faccio un turbante di scimmia”, urlò
funesto. Le tre scimmie
continuarono a correre per strada. Cominciarono a incrociare vari umani
che
strillavano e si ritraevano al loro passaggio. Il cacciatore invece gli
stava
alle costole. Correndo Buldeo caricò il fucile e
sparò verso una delle scimmie.
La poveretta sobbalzò e perse parte della refurtiva, ma
continuò a correre.
Shanti
era andata a
prendere altra acqua per la cena speciale di quella sera e camminava
tranquillamente. Dall’angolo spuntarono le tre scimmie e la
bambina urlò
sconvolta. Le tre landruncole le
sgusciarono accanto alla gonna perdendo qualche mango e Shanti
faticò a
mantenere in equilibrio la pesante brocca. Proprio in quel momento
Buldeo
svoltò l’angolo e sparò un colpo di
fucile che colpì proprio il recipiente
d’acqua. Cocci e il liquido caddero sulla piccola
inzuppandola. Qualche
centimetro più un basso e sarebbe morta.
“Spostati
shudra”, le
urlò Buldeo incurante e la fece cadere a terra con uno
spintone. Le scimmie
passarono nella piazza affollata verso il grande albero di fico. La
gente
strillava spaventata o arrabbiata e alcuni cercarono anche di
acchiappare le
scimmie che però riuscivano sempre a scappare tra le gambe o
saltare sul
turbante del malcapitato. Tutti poi urlarono e si ritrassero quando
arrivò
Buldeo che continuava a sparare all’impazzata. Le tre scimmie
salirono svelte
sul fico mentre la corteccia veniva bucherellata da Buldeo. Dai rami
dell’albero saltarono su un tetto e si trovarono a pochi
metri dalla palizzata
del villaggio e verso la libertà.
Nella
fuga avevano
perso vari manghi e perciò ora ne avevano solo uno a testa.
Si fermarono di
soprassalto quando videro che il punto da dove volevano uscire non era
lo
stesso da cui erano entrate nel villaggio. Lì il percorso
del fiume fra
villaggio e alberi era più distante e non sapevano se
fossero in grado di saltare
così lontano. Un altro sparo di Buldeo le convinse a tentare
lo stesso. Con un
balzo disperato una delle scimmie riuscì ad aggrapparsi a un
ramo ma le altre
due dovettero aggrapparsi invece alla sua coda e nel farlo persero i
manghi.
Quella attaccata al ramo dovette rinunciare al suo mango anche lei per
sostenere il peso delle amiche con entrambe le mani. Guardarono oltre
la
palizzata e videro che Buldeo si era arrampicato sul muro di legno e
stava
ricaricando il fucile. Strillarono in allarme e si contorsero una sopra
l’altra
per rifugiarsi tra le foglie dell’albero. Alla fine un ultimo
sparo colpì il
ramo e le tre scimmie urlanti furono trascinate via dalla corrente.
“E non
tornate più”, strillò Buldeo agitando
il pugno.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Mowgli
intanto aveva condotto felice la mandria al fiume. I bufali si erano
messi
tranquilli a brucare o a fare il bagno. Mowgli aveva trovato un tronco
comodo e
si era steso con le braccia dietro la testa. “Questa
sì che è vita”, citò
felice Baloo, suo mentore in fatto di ronfate e penniche.
L’orso in questione,
a sua insaputa, si stava dirigendo proprio verso il fiume, spinto dai
quattro
avvoltoi. “Andiamo Baloo, un bel bagno ti tirerà
su”, gli disse rassicurante
Buzzie, mentre lo seguivano in volo. “Ah, non lo so ragazzi.
Se non ho quel
cuccioletto steso sulla pancia, stare a mollo nel fiume non
è lo stesso”.
“Avanti
amico. Da quant’è che non ti lavi? Ho annusato
carogne che puzzavano di meno”,
lo punzecchio Ziggy. Baloo non reagì ai loro commenti ma
continuò a mettere
lento un piede dopo l’altro verso il fiume. Con un ultimo
sforzo scostò dei
rami bassi e si ritrovò sulla sponda dello Waingunga.
Sospirando apatico fece
un saltino e stette seduto a mollo nell’acqua bassa. Gli
avvoltoi gli planarono
accanto. “Forza Baloo, vedrai che le cose si
sistemeranno”, sussurrò Buzzie.
“Già”, aggiunse Dizzy, “Il tuo
valore come orso non è definito dal ricoprire o
meno il ruolo di figura genitoriale per Mowgli. Sia lui che te eravate
due
individui separati e funzionanti prima di incontrarvi,
perciò lo potete essere
di nuovo anche se non state più insieme”. Gli
altri tre avvoltoi guardarono
straniti Dizzy. “Che c’è? È
vero”, mormorò il rapace.
“Ah,
vorrei tanto che fosse così”, esclamò
sconsolato Baloo, “Invece non riesco più
a riprendermi senza Mowgli. Ogni momento penso a lui. Ovunque mi giri
vedo la
sua faccia. Caspita mi sembra di vederlo steso laggiù
proprio in questo
istante”, disse sollevando piano una zampa. Gli avvoltoi si
girarono in
direzione degli artigli e rimasero a bocca aperta. Il cucciolo
d’uomo era proprio
dove stava indicando l’orso.
Buzzie
si strofinò incredulo gli occhi. Ziggy sussurrò:
“Ragazzi sono solo io o lo
vedete anche voi?”
“No,
no lo vedo anch’io”, disse Flaps muovendo la testa
in modo affermativo”.
“Vedere
cosa ragazzi?”, chiese Baloo con la testa accasciata
all’indietro.
“Forse
ti conviene dare un’altra occhiata Baloo”,
suggerì Dizzy. L’orso alzò
pigramente la testa e guardò dove indicavano gli uccelli.
Rivide Mowgli e si
rese conto che non era un’allucinazione, il suo cucciolo era
proprio sotto
l’albero dall’altra parte del fiume.
“Mowgli”, sussurrò Baloo realizzando la
situazione. “Mowgli!”, urlò pazzo di
gioia. In fretta e furia si alzò e corse
per attraversare il fiume inzuppando gli avvoltoi fini
all’ultima piuma.
Mowgli
che si era steso e aveva gli occhi socchiusi sentì una voce
in lontananza. Si
tirò su strofinandosi stanco gli occhi e la voce giunse
più chiara. Qualcuno
stava dicendo il suo nome. Che Kamya o qualcun altro del villaggio
fosse venuto
a controllare che stesse facendo un buon lavoro? Lì nessuno
però lo chiamava
Mowgli, per loro era Nathoo. Allora chi poteva essere?
“Mowgli”,
giunse ancora la voce, questa volta chiaramente dal fiume. Il bambino
si girò e
vide non altri che il suo amico Baloo che usciva fradicio dal fiume.
“Mowgli,
soldo di cacio!”, gli urlò l’orso con la
sua vociona. “Baloo”, sussurrò Mowgli
mentre l’eccitazione lo percorreva da capo a piedi.
“Papà orso”, strillò di
gioia e corse verso di lui. Orso e bambino si precipitarono uno dietro
l’altro
e Mowgli gli saltò al collo felice. Baloo strinse felice il
cucciolo al petto
mentre Mowgli affondava il viso nella sua pelliccia. “Oh,
Baloo, mi sei mancato
così tanto”, sussurrò il bambino nel
pelo dell’orso. “Oh, anche tu cucciolo
d’uomo, anche tu”.
Gli
avvoltoi sull’altra sponda del fiume avevano le lacrime agli
occhi. “Sniff. Mi
commuovo sempre davanti a queste scene”, disse Buzzie
asciugandosi una
lacrimuccia con le penne. “Andiamo ragazzi, non restiamo qui
a piangerci
addosso andiamo salutare l’esserino. Andiamo,
andiamo”, disse Ziggy
spintonandoli quasi dentro il fiume. I quattro avvoltoi si alzarono in
volo
verso Baloo che si era seduto con Mowgli a cavalcioni sul suo ventre.
“Ehi,
cucciolo d’uomo!”
“Ehi,
Mowgli”.
“Come
stai compagno?”
“Non
ti sarai dimenticato di noi vero?”
“Già
ricordati che sei praticamente un avvoltoio onorario”, gli
dissero volandogli
intorno gli avvoltoi. Mowgli continuò a stringere Baloo:
“Certo che mi ricordo
di voi. Oh, Baloo ci sono così tante cose che devo
raccontarti. Non immagini le
notti che ho passato sveglio pensando a te”.
“Soldo
di cacio, anche tu mi sei mancato molto. Avanti allora, parla.
Com’è la
fantomatica vita nel villaggio degli uomini?”
Mowgli
allora cominciò un lungo racconto sull’anno
passato là, su come Kamya e Messua
lo avessero accolto in casa loro, su come ora il suo nome fosse Nathoo
e non
Mowgli. Baloo storse il naso a quel nome così assurdo per il
suo cucciolo. Il
bambino parlò anche degli usi e costumi degli umani, delle
loro regole
impossibili, di come nessuno credesse ai suoi racconti della giungla e
di come
Shanti fosse la sua unica amica.
“Aspetta.
È quella che ti ha attirato nel villaggio, vero?”
“Si.
È lei”, confermò il ragazzino. Baloo si
trattene dal dire cosa pensava di lei
visto che sembrava che ora fosse diventata così amica del
cucciolo. Mowgli poi
parlò dell’incidente dei manghi e di come
l’avessero spedito a fare da
guardiano ai bufali, i quali continuavano a pascolare tranquilli
lì accanto.
Appena
i due amici si furono raccontati tutto ciò che dovevano non
persero più altro
tempo e si lanciarono in duetto della loro canzone preferita, ballando
e
cantando tra i bufali impassibili. Buzzie, Flaps e Ziggy tenevano il
tempo a
ritmo di fianchi e pensavamo di unirsi all’orso e al cucciolo
d’uomo, ma il
saggio Dizzy li convinse che forse era meglio lasciarli in pace dopo un
anno di
separazione, così i quattro si alzarono in volo.
Mowgli
e Baloo stremati dopo il loro balletto si lasciarono sprofondare nel
fiume come
ai vecchi tempi.
Baloo
si lasciò galleggiare e Mowgli si stese sul suo pancione. I
due rimasero zitti
senza bisogno di dirsi nulla per vari minuti.
In
quel momento la corrente del fiume trascinò lì
anche tre ignare spettatrici. Le
tre scimmie che avevano fatto irruzione nel villaggio erano rimaste per
un bel
pezzo a dimenarsi nell’acqua incapaci di nuotare fino ad
arenarsi contro un
bufalo. Le tre poverette salirono sulla schiena dell’animale
come fosse un
salvagente, sputacchiando
e
tossendo mezzo fiume. Erano distrutte, i manghi persi e nessuna notizia
sul
cucciolo d’uomo. Ma improvvisamente una delle scimmie
lanciò un grido di
sorpresa e scrollò le altre due indicando l’orso e
Mowgli poco distanti.
“Ah,
Mowgli. Ora che sei tornato da me non ci separeremo più.
Vero, cucciolo mio?”,
disse Baloo strofinandogli la testolina. Mowgli stette zitto un istante
e poi
rispose: “Si, beh, ecco Baloo io devo tornare al villaggio
stasera”.
“Cosa?”,
disse l’orso smettendo di galleggiare
facendo cadere in acqua Mowgli. Il cucciolo risalì e
sputacchio un paio di
volte: “Si, devo riportare la mandria al villaggio”.
“Ma
Mowgli, cucciolo. Ci siamo appena ritrovati. Questi bufali pigri non
vanno da
nessuna parte. Resta con me almeno per un giorno. O una settimana. Beh,
decideremo domattina”.
“No,
Baloo”, continuò serio Mowgli, “Non
posso restare. Ho promesso a papà ...”, a
quella parola Baloo fece uno sguardo offeso. “Cioè
ho promesso a Kamya di
riportare tutti i bufali entro il tramonto. E questa volta non posso
fare
pasticci”. Baloo sospirò: “Ecco,
già ti stanno facendo diventare uomo”.
“No,
non è vero”, protestò il bambino
schizzandolo. “È solo che... Ho fatto una
promessa e devo mantenerla, tutto qua”. Baloo scosse il capo
poco convinto.
“Perciò è un altro addio Mowgli. Ah, va
bene mi rassegnerò alla mia vita di
solitudine e miseria. Nessuno vuole stare col vecchio Baloo”.
“Ma
che addio e addio. Domani devo portare di nuovo la mandria al pascolo.
Mi
troverai qui!”
“Cosa?
Davvero? È fantastico Mowgli”, disse
l’orso stringendolo in un abbraccio.
“Cough,
si”, mormorò stritolato dall’orso.
“Anzi ora che sono un mandriano potrò uscire
ogni giorno”.
“Questo
è fantastico”, esultò l’orso.
“Preferirei averti tutte le ore del giorno e
della notte,
ma
penso che mezza giornata ogni giorno possa andare”. Mowgli
sorrise contento e
si avviò fuori dal fiume.
Le
tre scimmie si guardarono sorridendo. Ora sapevano cosa riferire a sua
maestà.
Con un balzo saltarono sugli alberi.
Baloo e Mowgli passarono
insieme il tempo che
gli restava dopodiché il cucciolo d’uomo si
allontanò in groppa a Mysa. Il
bambino salutò felice Baloo che ricambiò
malinconico mentre Mowgli tornava
dagli esseri umani.
Nel
frattempo Buzzie, Flaps, Dizzy e Ziggy stavano sorvolando sconsolati la
giungla. “Ah, sempre la stessa storia”,
sospirò Buzzie, “Quando non hanno più
nessuno ci usano come una spalla con cui piangere, ma appena sono di
nuovo
felici nessuno vuole più intorno noi uccellacci della morte.
Ora cosa
facciamo?”
“Non
lo so”, sospirò Flaps. “Tu cosa vuoi
fare?”. Buzzie non ebbe neanche la forza
di arrabbiarsi.
“Forza
compagni. Groan, tutta quella riunione familiare mi ha messo un certo
languorino. Ehi, guardate laggiù signori!”,
indicò Ziggy.
“Dove?”,
chiese stanco Dizzy.
“Propio
là. A ore nove. Yum, sembra una bella carcassa”.
“Bah,
non ho appetito”, si lamentò Buzzie, “E
se è l’ennesimo nilgai, preferisco che
spolpiate me”.
“No,
no, molto meglio. È un predatore”.
“Cosa
davvero?”, disse sorpreso Buzzie, era raro trovare la carogna
di un animale che
non fosse una preda.
“Sì,
sì, sì, sì”,
confermò Ziggy strofinando un attimo le ali. “Mh,
e sembra anche
che siamo i primi. Le frattaglie sono mie!”, detto questo si
gettò in picchiata
verso gli alberi. Dizzy e Flaps lo seguirono a ruota lasciando dietro
il lento
Buzzie. “Ehi, no, aspettate ragazzi. Ragazzi! Per favore una
fila ordinata. Non
siamo mica sciacalli”. Gli altri tre non lo ascoltarono e
planarono verso
l’animale steso sotto un grande dirupo. Gli uccelli necrofagi
saltellarono
verso il loro pasto che si rivelò essere un lupo grigio.
“Pancia mia fatti
capanna”, gongolò Ziggy.
“Guardate
ce n’è che un altro”, indicò
Flaps. Gli avvoltoi si avvicinarono incuriositi
all’altro animale morto.
Dizzy abbassò
il becco sconsolato quando vide che era una pantera
nera. “Yum, yum, yum”, si leccò il becco
Ziggy, “Da quanto tempo è che non
mangiamo pantera?”
“Fermò
amico”, disse pacato Dizzy, “Guarda meglio quella
pantera. Non la riconosci?”
“Oh,
no”, si strinse il becco fra le ali Flaps,
“È Bagheera”.
“Allora
ragazzi. Puff! Fermi… pant. Non cominciate senza di me. Beh,
che sono quei
becchi lunghi? Oh… Bagheera”.
Gli
avvoltoi riservarono un minuto di silenzio all’amico defunto.
Buzzie si portò
un’ala al cuore: “Ricorderemo tutti Bagheera la
pantera. Era troppo buono,
troppo nobile per questa giungla”.
“Un
vero amico”, aggiunse Dizzy.
“Sapeva
dare sempre buoni consigli”, sospirò Flaps.
“Già”,
disse Ziggy, “È sempre dura quando la tua cena
è qualcuno che conoscevi. Beh,
ora mangiamo. Io cominciò dalla coda”.
L’avvoltoio senza troppi complimenti
affondò il becco nella coda nera accasciata al suolo.
“Groaaaar!”, ruggì di
dolore Bagheera. Gli avvoltoi saltarono in aria terrorizzati perdendo
una
dozzina di penne ciascuno. Buzzie si accasciò fra le ali di
Dizzy. Bagheera
intanto risvegliatosi grazie allo shock di dolore alla coda stava
scuotendo la
testa rintronato. “Oh, ahi, la testa. Cosa è
successo?”, sollevò lo sguardo e
vide Ziggy che teneva ancora la sua coda nel becco, troppo scosso dalla
resurrezione di Bagheera per mollare la presa. La pantera gli
lanciò un’occhiataccia
e l’avvoltoio abbassò gli occhi sulla coda. Fece
un sorrisetto e la sputò:
“Ahaha. Scusa credevamo che fossi già passato
dalla parte dell’essere mangiato
invece che mangiare gli altri”.
“Non
ancora”, mormorò stanco Bagheera, “Ma ci
è mancato poco. Mpfh, mi fa Male tutto.
Oh, no!”
“Cosa
c’è?”, chiese Dizzy.
“Sto
cominciando a ricordare quello che è successo”.
“Ma
cosa ti è successo?”, chiese Flaps mentre faceva
aria al povero Buzzie che
stava rinvenendo. “Sembravi proprio morto”.
“Shere
Khan, ecco che mi è successo”.
“Shere
Khan?!”, esclamò Buzzie e risprofondo nelle ali di
Dizzy che non lo sostennero
per lo stupore.
“Perciò
è tornato?”, chiese Dizzy.
“Sì,
ed è ancora più intenzionato a uccidere Mowgli.
Si è presentato alla riunione
del Consiglio e ha usato Kaa per ipnotizzare tutti. Ora è
lui che guida i
lupi”. Gli avvoltoi borbottarono indignati. “Quel
povero cuccioletto”, mormorò preoccupato
Buzzie.
“E
proprio quando si era ricongiunto con Baloo. Erano così
felici”, disse Flaps
ancora più triste.
“Di
che state parlando?”, chiese confuso Bagheera.
“Stamattina
abbiamo portato l’orso al fiume per fare un bagno e abbiamo
incontrato
nientemeno che il cucciolo d’uomo”, gli
spiegò Ziggy.
“Cosa?”,
disse preoccupato. “Che ci faceva fuori dal
villaggio?”
“Lo
hanno mandato a fare la guardia ai bufali”, disse Dizzy.
“Oh,
no. No, questo non va bene. Vuol dire che domani mattina
sarà di nuovo là”,
disse allarmato Bagheera che conosceva le abitudini degli uomini.
“Se Shere
Khan scopre che ora sta fuori dal villaggio, lontano da armi e fuoco
avrà il
campo libero per... Questa non ci voleva. Speravo che almeno Mowgli
fosse al
sicuro al contrario di noi altri”.
“Noi
altri?”, chiese col cuore in gola Flaps.
“Sì.
Shere Khan ha passato un anno a progettare la sua vendetta sul cucciolo
d’uomo
e ha deciso di includere tutti noi che lo avevamo protetto la scorsa
volta”.
“Quindi
siamo ricercati”, disse Ziggy. I quattro avvoltoi si
strinsero l’un l’altro guardandosi
intorno spaventati. Bagheera sbuffò: “Voi avete
le ali idioti. Accidenti, se non sapevate niente di questa storia vuol
dire che
Rama e la sua famiglia non sono riusciti ad avvertire nessuno. Povero
Baloo,
non saprà niente. Dobbiamo avvertirlo prima che i lupi siano
su di lui. E
dobbiamo trovare un modo per fermare quella tigre. Di certo contro il
colonnello Hati e i suoi elefanti non potrà nulla. Devo
andare ad avvisarlo”,
con un balzo corse nella giungla. “Voi intanto volate veloci
ad avvertire
Baloo!”, urlò prima di scomparire nel fogliame.
“Oh,
ragazzi qui la vedo male”, piagnucolò Ziggy.
“Shere
Khan! E i lupi”, squittì Flaps.
“Non
è il momento di darsi agli isterismi”,
borbottò combattivo Buzzie. “Forza
ragazzi! Muovete quei didietri piumati e andiamo ad avvertire
Baloo”, ordinò
l’avvoltoio tappo spiegando le ali.
“Ssse
per voi non fossse un problema io avrei un’altra
prpoposssta”, sibilò qualcuno
alle loro spalle. Non appena i quattro uccelli si voltarono confusi i
loro
occhi si illuminarono di un bagliore psichedelico. La testa di Kaa
spuntò
sghignazzante tra i rami. “Voi non andrete ad avvertire
Baloo. Quell’orso non è
vostro amico. Il vostro più caro amico
è… Shere Khan”
“Il
nostro più caro amico è Shere Khan”,
mormorarono in coro gli avvoltoi.
“Essssattamente”,
sorrise il pitone.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Mowgli capitolo 6
Quando Mowgli arrivò al villaggio degli uomini mise tutti i
bufali nelle stalle in modo ordinato e preciso. I mandriani che lo accolsero
erano sconvolti da quanto fosse capace il ragazzino nel suo primo giorno. Il
bramino confermò che nessun bufalo era andato perso. Kamya gonfiò il petto di
orgoglio e mise una mano sulla spalla di Mowgli: “Sono molto fiero di te
Nathoo. Visto che non è così difficile ambientarsi nel villaggio se scopri
quello in cui sei dotato. Grazie mille bramino Purun, per l’occasione data a
mio figlio. Nathoo su, ringrazia anche tu”.
“Grazie bramino Purun”, disse Mowgli e lo intendeva davvero.
L’uomo grasso sorrise: “Non ringraziate me, ma gli dei che
mi hanno ispirato questa idea. Bene, ora vi lascio, vado a riposare. Il mio
cuore non è più abituato e oggi ho fatto una corsa tremenda”, si diresse verso
il tempio appoggiandosi al bastone. Mowgli aggrottò le sopracciglia: “Cos’è
successo perché il bramino si sia messo a correre?”, chiese sbalordito a Kamya.
“Haha. Si in effetti il bramino Purun è più un uomo di
preghiera che azione. Non ci crederai mai, ma sono passate tre scimmie nel
villaggio e hanno rubato tutti i manghi del tempio. Buldeo le ha inseguite a
suon di fucile ma gli sono scappate via. Dopo tutte le vanterie sul gran
cacciatore che è. Tu invece? Niente di strano durante il pascolo di oggi?”
“Assolutamente niente”, mentì Mowgli ancora sovraeccitato
dall’incontro con Baloo. Non vedeva l’ora di raccontarlo a Shanti, l’unica che
gli avrebbe creduto.
Kamya e Mowgli si avviarono verso la grande casa. Quando
entrarono furono accolti da un profumo invitante e trovarono la tavola
imbandita delle leccornie più disparate. Messua li accolse con un sorriso: “Un
mandriano che ha faticato tutto il giorno ha bisogno di una cena robusta”. Mowgli
e Kamya restarono a bocca aperta davanti a quello spettacolo. Il bambino corse
ad abbracciare Messua. Poi si scostò e lasciò che Kamya baciasse la moglie.
“Grazie tesoro”.
“Aspetta non è finita. Shanti vieni”. La porta della cucina
si aprì lasciando entrare Shanti e la madre. “Ho pensato che stasera visto che
è un occasione speciale da festeggiare, Shanti e Uma potevano unirsi a noi”,
disse felice la donna strofinando il braccio al marito. Kamya era un po’ restio
a cenare con le serve ma era così contento che volle accontentare la moglie.
Le due shura si avvicinarono. La bambina teneva felice un
grosso vassoio di manghi. Mowgli spalancò gli occhi: “Manghi? Ma come?”
“Quel bruto di Buldeo ha quasi preso Shanti con una
pallottola oggi”, disse Messua accarezzando i capelli della bimba, “È tornata
fradicia dopo che la brocca era andata in frantumi. Vero Uma?”
“Sì, signora”, disse pacata la madre di Shanti. Mowgli si
scurì subito in volto. Shanti lo rassicurò che stava bene. “Comunque, sono
andata da quel cacciatore da quattro soldi e l’ho messo al suo posto. Lui si
giustificava dicendo che Shanti sia una serva, perciò la pallottola sparata
valeva più della testa che avrebbe colpito. Riesci immaginare Kamya? Ad ogni modo,
è arrivato il bramino Purun e mi ha dato ragione. E visto che ormai tutti i
manghi del tempio erano stati colti mi ha dato tutti quelli che si erano
salvati dall’inseguimento con le scimmie. Sei contenta Shanti? So quanto ti
piacciono”. La bambina ringraziò mite.
“Beh, basta parlare e mangiamo”, disse Kamya sfregiandosi le
mani.
I cinque mangiarono e
risero a sazietà. Mowgli raccontò senza troppi dettagli la sua prima giornata
da mandriano. Mentre gli adulti discutevano tra loro sussurrò a Shanti che l’indomani
le avrebbe detto veramente cos’era accaduto. “Cosa?”, chiese Shanti a metà tra lo
spavento e l’eccitazione. “Aspetta domani”, rispose beffardo lui.
Nel corso della cena poi, quando cominciarono a mordere i
manghi succosi, le bisbigliò serio che la vita di lei valeva molto più che un
cesto di manghi, la vita di Shanti valeva più di tutti i manghi del mondo, se
fosse stato presente quel pomeriggio quando Buldeo le aveva sparato gli avrebbe
fatto assaggiare la vera forza di un lupo. “Non è giusto”, protestò, “Perché
una persona bella e buona come te deve essere trattata come uno scarto mentre
persone orrende come Buldeo vengono rispettate e possono fare i loro comodi?
Questa storia delle caste è sbagliata, sbagliata!”
“Shhh. Ti prego non ti agitare Na–”, disse Shanti. Non voleva che attirasse l’attenzione del
padrone e rovinasse quella bella occasione, poi sussurrò ancora più piano: “Mowgli”.
Il bambino rimase sorpreso che Shanti trovasse il coraggio di dire quel nome,
anche se a sottovoce, con i genitori a pochi metri più in là. Lei sorrise alla
sua espressione sconvolta: “Tua madre ha detto che posso usarlo. Anzi, forse
non dovrei dirtelo ma credo voglia cominciare a usarlo anche lei”.
“Davvero?”, chiese incredulo Mowgli.
“Sì”, rispose Shanti, “Ha detto che hanno sbagliato a
cercare di chiamarti Nathoo viso che non è il tuo vero nome. Vuole cercare di
convincere Kamya a cambiare idea pure lui”.
“Che cosa state bisbigliando voi due?”, chiese Kamya.
“Oh, lasciali”, lo riproverò giocosamente Messua, “Lascia
che si divertano. Si sono stufati di parlare con noi vecchi. Sono in quell’età
in cui cominciano a fare tesoro di qualche segreto che i genitori non sanno. Piccoli
segreti preziosi e non tanto pericolosi da doverglieli far confessare. Anzi se
non gli lasciamo tenere quelli andranno di sicuro a nasconderci le cose più
importanti quando saranno grandi”, disse Messua guardandoli con occhi scintillanti.
Mowgli sorrise alla donna che lo chiamava figlio. Era la
prima volta che gli sembrava di sentire una lezione vera e
importante in quel villaggio. Vedeva Messua come una donna molto dolce colma di
amore e premure per lui ma finora non l’aveva mai sentita fare discorsi del
genere.
“Già” le diede ragione Kamya, “Mi ricordo quando avevo la
sua età e trovai anch’io il mio piccolo segreto” strinse la mano della moglie.
Finita la cena Shanti e la madre tornarono verso casa loro e
Messua e Kamya mandarono a letto Nathoo visto
che doveva tornare al pascolo il mattino dopo.
Il cucciolo d’uomo si mise sotto le coperte incapace di
dormire dopo tutte le emozioni di quella giornata. Domani avrebbe potuto
rivedere Baloo. Lo avrebbe visto tutti i giorni. Kamya finalmente gli sorrideva
ed era contento di lui, non vedeva più quella tristezza profonda negli occhi di
Messua. Forse da lì in poi le cose sarebbero andate nel verso giusto.
Mentre si rigirava nel letto con quei pensieri sentì delle
voci dalla stanza accanto. “No, questo no”. Era Kamya e sembrava un po’
alterato. “Andiamo Kamya. È un nuovo inizio per la nostra famiglia
e per nostro figlio. Hai visto che il ruolo di Nathoo pensato per lui non gli
sta bene. Ma la sua parte ancora legata alla giungla, il suo lato più… Mowgli,
quello è ciò che lo ha fatto fare faville con la mandria”.
“Messua per favore non rovinare la prima giornata felice
dopo tanto tempo. Andiamo a letto e basta”.
“Ma Kamya”.
“Niente ma. Una cosa è lasciarlo fraternizzare con la
servetta. Per ora è solo e ha bisogno di un’amica. Una cosa è lasciare che giri
mezzo nudo per il villaggio. Dopotutto è ancora bambino. Che faccia pure il
mandriano se è l’unica cosa che sa fare, non c’è niente di vergognoso in un
lavoro onesto. Ma mai, mai lascerò che se ne vada in girò chiamandosi mio
figlio e portando quel nome ridicolo”. Seguirono alcuni attimi di silenzio.
“Perché Kamya? Perché amore mio? È soltanto un nome. Se tu
non ti chiamassi più Kamya, ma Rajej o Kim o che so io, non cambierebbe l’uomo
che sei, né l’amore che provo per te. Cambierebbe il tuo affetto per me se io
non mi chiamassi più Messua?”, disse con tono dolce.
“Non è questo, e lo sai”.
“No invece, non lo so. Andiamo, dimmi cosa ti cambia tanto
che tuo figlio si chiami Mowgli o Nathoo? Che problema c’è?”
“Perché...” il marito grugnì irritato e spazientito a
doverle spiegare una cosa del genere, “Perché quel bambino non è Nathoo. Non è
nostro figlio è lo sai bene anche tu”. Mowgli ascoltò ancora più attentamente
la voce alta di Kamya. “Nostro figlio è morto dieci anni fa nella giungla.
Quello lì è un trovatello che si sarà smarrito anche lui fino a dimenticare gli
usi umani, ma non è nostro figlio. L’unico motivo per cui lo abbiamo accolto è
perché il bramino sa quanto siamo ricchi e quanto tu sia ancora attaccata al
ricordo di Nathoo. Anch’io ho sofferto come te ma sono andato avanti. Tu ti sei
talmente tormentata dietro il pensiero del nostro bimbo...” la voce gli si
incrinò, “... che ci è stato ingiustamente portato via, che non appena hai
visto quel ragazzino nella piazza, hai voluto vedere Nathoo. Ma non è così. Ora
in questo modo il bramino ha avuto dell’argento in più nelle sue tasche e tu
l’infante che hai sempre voluto coccolare”.
Calò un silenzio terribile. Mowgli sentì la pelle d’oca
sulle braccia. Il silenzio fu rotto dai singhiozzi di Messua: “Kamya io lo so.
Sniff, ne sono consapevole. Ma perché questo dovrebbe rendere le cose meno
belle che se fosse stato nostro figlio? Ci è stata donata una gioia
immensa come puoi non esserne felice anche tu?”
“Perché io non ho scelto di accoglierlo in casa mia, sei
stata tu. Se non ti fossi gettata subito al collo di quel bambino gridando a
tutti che era nostro figlio qualcun altro si sarebbe appioppato quella mezza
scimmia. Io non lo volevo, ma per amore del tuo cuore che si stava spegnendo
nel lutto di Nathoo, ho acconsentito. Ora sono diventato lo zimbello del
villaggio, con un figlio adottato che è sempre sulla bocca di tutti. Ma potrei
passarci sopra. Su quello e sul mare di rupie speso per rimediare ai suoi
errori. Ma Messua, il nome… Almeno quello me lo devi lasciare. Almeno le
apparenze vanno mantenute. Sarà un ragazzo dalla mente semplice, irresponsabile
e ingenuo, ma deve portare il nome di mio figlio. Dopo Nathoo speravo che
avremmo potuto avere qualche altra benedizione che colmasse la sua perdita, per
poter ricominciare. Invece il nostro matrimonio è stato arido di frutti come il
deserto e prosciugato di ogni gioia come il letto del Waingunga in secca. Sono un uomo ricco Messua e
questo allontana l’amicizia della gente e fa proliferare l’invidia e il
biasimo. Tutto il lavoro che ho fatto per costruire quello che abbiamo e
soddisfare ogni tuo desiderio, sarebbe scomparso con me, non lasciando alcun
ricordo. Al massimo sarei diventato il prossimo usuraio fantasma dentro una
tigre delle storie del Buldeo di turno. Ma con un figlio tutto ciò può andare
avanti. Un figlio porterebbe avanti il mio lavoro, un figlio non mi
disprezzerebbe per il mio lavoro. Tutto questo pensavo, quando ho stretto
Nathoo fra le braccia la prima volta. E quello che ho sperato di mantenere
almeno di facciata con quel bambino della giungla. Questo sarà il figlio che
porterà avanti il nome della mia famiglia e preserverà la mia memoria e il mio
onore contro tutte le malelingue. Grazie a questo figlio, nessuno ti giudicherà
per i tuoi soldi, nessuno oserà sparlare alle tue spalle, Kamya. Ma appunto mio
figlio deve essere: Nathoo. Il figlio che abbiamo avuto dieci anni fa, non
Mowgli. Con quel nome ammetterei che sto facendo l’elemosina a un essere più
animale che uomo, che per quanto ne sai potrebbe essere l’orfano di un
intoccabile. Perciò, no Messua. Non lo chiamerò mai Mowgli. Questa è la mia
decisione definitiva. E non voglio sentirti pronunciare quel nome mai più”.
Mowgli affondò la faccia nei cuscini soffocando i
singhiozzi.
Kamya lanciò un lungo sospiro poi disse a Messua che non
voleva che stessero arrabbiati prima di andare dormire e le sussurrò qualche
parola per calmare la situazione. La donna lasciò impassibile che l’atmosfera
si placasse poi si addormentò insieme a lui. Mowgli invece rimase ancora con
gli occhi aperti e lucidi per molto tempo prima che la stanchezza avesse la
meglio su di lui.
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