Quando tutto il resto è perso, rimane ancora il futuro.

di Red Saintia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rabbia e frustrazione ***
Capitolo 2: *** Un insolito modo di comunicare ***
Capitolo 3: *** Decisioni: preludio alla battaglia ***
Capitolo 4: *** Guardandoti... saprò ancora chi sei? ***
Capitolo 5: *** Malinconici ricordi tra volti familiari. ***
Capitolo 6: *** Incontri, decisioni e nuove consapevolezze ***
Capitolo 7: *** La distanza anestetizza il dolore ***
Capitolo 8: *** La scelta giusta è quella di lasciarti andare? ***
Capitolo 9: *** Raccontami di te ***
Capitolo 10: *** Ancora una volta... combatti! ***
Capitolo 11: *** Dolore e nuove consapevolezze ***
Capitolo 12: *** Tornare a respirare ***
Capitolo 13: *** Inevitabili cambiamenti ***
Capitolo 14: *** Rivelazioni e priorità ***
Capitolo 15: *** Ciò che il cuore desidera ***
Capitolo 16: *** Epilogo: Al di là del mare ci aspetta il futuro ***



Capitolo 1
*** Rabbia e frustrazione ***


I fatti che accadono in questa prima parte della storia sono da considerarsi precedenti l'attacco al distretto di Liberio, quindi durante l'assenza di Eren da Paradis.


 


"Hai intenzione di restare ancora a lungo senza far niente Ackerman?"

"Nossignore!"

"Allora spiegami perché tutti si stanno dando da fare tranne te!"

Strinse i pugni stizzita cercando di trattenersi. L'ultima cosa che le serviva era una punizione nelle prigioni sotterranee. Ma forse ne sarebbe valsa la pena pur di prenderlo a pugni e togliergli dalla faccia quell' espressione sempre così impassibile. Non gli diede la soddisfazione di mostrarsi irritata. Scattò all'istante in direzione di Jean, Connie e gli altri senza aggiungere altro.


"Perché non la lasci in pace Levi. Sei più irritante del solito negli ultimi tempi."

"Impara ad impicciarti degli affari tuoi quattrocchi. Lei fa parte della mia squadra adesso. E non tollero che i miei sottoposti battino la fiacca."

Hanji si sfregò leggermente la fronte in segno di resa. Non l'avrebbe mai spuntata in una discussione con lui. "Non è facile per lei lo sai. Per noi altri è diverso. Tutte le cose che siamo riusciti ad apprendere in questo periodo ci hanno aperto un mondo che neppure immaginavamo. Adesso in battaglia saremo alla pari con i nostri nemici, per non parlare di come potremmo far evolvere la nostra isola."

Lui si limitò a sbuffare. "Mi sto annoiando, vieni al dunque."

"Accidenti Levi! Lasciala in pace e basta. Non si è ancora abituata al fatto che Eren se ne sia andato di testa sua. Ci vorrà del tempo."

Il capitano osservò l'attuale comandante del corpo di ricerca come se ritenesse del tutto futili le spiegazioni che aveva appena dato. "Si farà sentire prima o poi. Per quanto quel moccioso possa essere un idiota sa fin troppo bene di non poter far niente da solo."

"Già... ma le sue intenzioni ci sono ignote e fidarmi di Zeke e degli altri credo sia troppo rischioso." concluse, visibilmente preoccupata.

 

                                                                                                                  ***

Si mise subito a lavoro aiutando gli altri a sistemare la nuova postazione costruita apposta per sperimentare tutte le innovazioni introdotte da coloro che un tempo chiamavano prigionieri. Mikasa evitava accuratamente di imbastire una qualsiasi conversazione con qualcuno di loro. Era sempre sulla difensiva, con lo sguardo sospetto e i sensi allerta.

"Guarda che non ti mordono mica se provi a rivolgergli la parola.” Jean la scosse dandole una lieve gomitata.

"Non vedo la necessità di farlo, tutto qui."

"La tua palese ostilità nei loro confronti potrebbe creare problemi te ne rendi conto? Ormai vivono qui in pianta stabile, dovremmo quanto meno mostrarci cordiali."

La ragazza lo osservò come se avesse detto un'assurdità senza senso. "Mostrati tu amichevole se vuoi, a me non interessa."

Si caricò in spalla alcuni sacchi di strane provviste e troncò la conversazione.

"È inutile che insisti Jean, sai bene perché Mikasa ce l'ha con loro. E non sarai certo tu a farle cambiare idea."

"Ancora con questa storia Connie? Non vedo come l'allontanamento di Eren c'entri con la loro presenza qui. Ha fatto uno dei suoi soliti colpi di testa da idiota senza parlare con nessuno. E solo questa la realtà dei fatti."

"Bravo... allora se hai il coraggio vallo a dire in faccia a Mikasa." gli intimò Connie con aria di sfida.

Jean tremò al solo pensiero di affrontare quel discorso con lei. "Lo farò se sarà necessario, magari... non adesso però."

"Sì come no..." rispose sorridendo sornione.

"Ragazzi sapete per caso dove stava portando quei sacchi Mikasa?" l'espressione di Sasha più che eloquente non lasciava adito a dubbi, aveva fiutato qualcosa.

"Perché lo stai chiedendo, cosa hai in mente? "

"Assolutamente niente è solo che... beh si insomma"

"Sasha..."

"Ohhh e va bene. C'è un odore nell'aria inconfondibile. Spezie e altre cose sicuramente commestibili, non posso sbagliarmi e non vedo perché dovrebbero tenercele nascoste." L'espressione estasiata e la bocca spalancata anticipavano chiaramente le sue intenzioni.

"Davvero non immagini il perché?" per Connie l'ingenuità di Sasha era una cosa a dir poco incredibile

"Che vuoi dire?"

"Ma guardati, stai letteralmente sbavando. Se qualcuno capisce le tue intenzioni ci farai punire tutti quanti. Rimettiti a lavoro e aspetta l'ora di cena per la miseria!"

Niente da fare, capì che non avrebbe ottenuto aiuto per i suoi loschi intenti, così si rimise ad accatastare materiale a testa bassa.

 


Si respirava un'aria di relativa tranquillità. L'assenza di giganti aveva disteso gli animi, e adesso gli argomenti di conversazione durante l'orario dei pasti erano radicalmente cambiati. I superiori, con Hanji al comando, discutevano sul da farsi valutando la situazione. C'era sempre una sottile aria di sospetto che serpeggiava tra i marleyani tenuti amichevolmente in ostaggio e i membri del Corpo di Ricerca, ma tutti cercavano quanto meno di mascherarla.

"Ehi Mikasa... questo pomeriggio hai avuto occasione di guardare in quei sacchi che stavi spostando?" l'espressione di Sasha carica di aspettative si scontrò con lo sguardo della compagna totalmente indifferente.

"Perché avrei dovuto."

"Ma come perché? Non sei neanche un po' curiosa di sapere cosa c'è dentro?"

"Direi di no." rispose, lasciando Sasha nella delusione più totale. Cercò di terminare la sua cena, ma lo stomaco anche quella sera non volle collaborare. Così si alzò, sperando di non dare nell'occhio, lasciando il refettorio.

 

L'aria all'esterno era piacevolmente fresca, chiuse gli occhi e respirò a fondo. Il cielo era sgombro di nuvole e la luna perfettamente visibile in tutto il suo chiarore. Si diresse verso il dormitorio, si sentiva incredibilmente stanca, la testa le pulsava peggio del solito trasmettendole un senso di nausea. Si tenne la fronte con entrambe le mani poggiando un ginocchio a terra per non perdere l'equilibrio. Udì dei passi avvicinarsi ma non ebbe la forza di rialzarsi se non quando fu afferrata per un braccio.

"Che ti prende ragazzina, non riesci neanche a reggerti in piedi?" riconobbe la voce è non le servì sapere altro. Scostò in malo modo il braccio che tentava di afferrarla e si rimise in piedi puntando gli occhi in quelli del suo interlocutore.

"Mi tolga le mani di dosso, sto bene."

Non si aspettava di certo dei ringraziamenti, ma nemmeno una tale sfacciataggine. "Rozza e sgarbata come sempre. Se vai avanti di questo passo morirai di fame e in battaglia sarai solo zavorra per i tuoi compagni."

Era davvero stanca... stanca del suo atteggiamento, dei suoi rimproveri, del suo tono saccente e accusatorio che ormai da giorni non le dava tregua. Voleva solo che stesse zitto e che la ignorasse.

"Non mi servono i tuoi consigli capitano, né le tue lezioni di vita. So badare a me stessa e di sicuro non sarò un peso per nessuno."

Levi incupì ulteriormente lo sguardo. Sapeva che aveva davanti a sé un muro insormontabile che non avrebbe ceduto facilmente se non messo alle strette da una cocente verità.

"Sei davvero patetica Ackerman. Forte all'apparenza ma fragile come un fuscello che si spezza sotto pressione. Tu sei un soldato e i soldati non crollano sotto il peso dei sentimenti, perché quelli non servono per vincere la guerra. Ma guardati... non sembri neanche più tu, stai cadendo a pezzi, e per cosa poi? Perché il tuo amichetto del cuore ha deciso che ne aveva abbastanza della tua asfissiante presenza e ha preferito andarsene per conto suo." Un guizzo saettò nei suoi occhi non appena la vide scattare. Era riuscito nel suo intento.

Gli occhi di Mikasa si animarono, come se fosse stata scossa dall'interno. Una furia ceca non le lasciò neanche il tempo di riflettere su ciò che stava facendo. Si scagliò su Levi con la mano destra chiusa a pugno che lui riuscì ad intercettare solo un secondo prima che si infrangesse sul suo zigomo. Una pronta reazione che lei si aspettava ma che di certo non bastò a fermarla.

Continuò con il sinistro e una serie di calci che puntavano dritti alle caviglie del capitano, che per un attimo perse l'equilibrio.

"Allora sai ancora batterti mammoletta." di nuovo una provocazione. Un grido rabbioso e sommesso le esplose in gola. Levi riprese il controllo ruotandole il braccio e bloccandole i movimenti. Non riusciva più a muoversi, voltata di spalle sentiva il suo respiro sul collo e un senso d'impotenza la pervase totalmente. Sembrava una belva in gabbia.

"Bastardo!"

Gli occhi di Levi si infiammarono sentendo quell'imprecazione.

"La verità fa male non è vero mocciosa? Ed io che credevo di poter fare affidamento su di te in battaglia. Dì un po'... metteresti altrettanta foga nel difendere qualcuno altro che non fosse Eren?"

Bastò sentire pronunciare il suo nome per bloccarsi all'istante. Forse perché difficilmente i suoi compagni lo menzionavano in sua presenza. Persino Armin, con il quale aveva sempre condiviso dubbi e paure, evitava l'argomento. Era diventata davvero così fragile e insicura agli occhi degli altri. Aveva deciso da molto tempo quali fossero le priorità nella sua vita. Aveva fatto le sue scelte, aveva deciso chi fosse meritevole della sua protezione. Eppure le parole di Levi la fecero sentire tremendamente egoista e in colpa per la prima volta.

"Le persone non cercano protezione, vogliono solo qualcuno a cui dare la colpa per le loro condizioni di vita. È stato sempre l'uomo il vero nemico di sé stesso."

La stretta di Levi sembrò allentarsi e lei ne approfittò per divincolarsi spingendolo lontano.

"Non dire stronzate adesso, non provare nemmeno a sminuire il sacrificio di tanti compagni insinuando che si sono battuti e sono morti per niente. Non trovare giustificazioni per la tua debolezza. La guerra non è finita, anzi... credo che il peggio debba ancora arrivare, sta solo a te decidere se fregartene oppure pensare finalmente con la tua testa. Togliti quell'aria da vittima dalla faccia e prenditi più cura di stessa. Non mi sono mai piaciute le persone sciatte, ancor più se fanno parte della mia squadra."

Le voltò le spalle tornando nella direzione da dov'era venuto. Solo dopo alcuni passi si rese conto che la caviglia sinistra gli faceva un male cane.

"Tze... fastidiosa ragazzina." mormorò appena.

 

 

Aveva le braccia intorpidite, le conseguenze della stretta di Levi cominciavano ad evidenziarsi con delle leggere ecchimosi che il giorno seguente sarebbero state di sicuro più marcate.

"Giuro che questa me la paga." eppure le sue parole le avevano fatto male, più di quanto volesse ammettere.

I suoi compagni non le avrebbero mai detto quelle cose. Spesso si chiedeva se fossero mai stati sinceri con lei o fingessero di continuo nel timore di una sua reazione violenta. Detestava essere sotto il comando di Levi, ogni loro incontro finiva quasi sempre in uno scontro aperto, che fosse verbale o fisico poco importava. Non c'era margine di dialogo con lui, ma lei era l'unica in grado di tenergli testa.

L'acqua fredda sul viso servì per calmarsi e schiarirsi le idee. La rabbia aveva preso il posto della stanchezza, neanche il pulsare continuo alla testa le dava più noia. Anche quella notte sarebbe stata insonne. Si rivestì con abiti puliti avviandosi verso la postazione di guardia. Inaspettatamente intravide qualcuno che l'aveva preceduta.

"Armin... che ci fai qui?" il ragazzo si voltò cercando nel viso di Mikasa ciò che restava della sua amica d'infanzia.

"Faccio la guardia non vedi." le rispose accennando un sorriso.

"Credevo fossi ancora con Hanji."

"No, abbiamo terminato per questa sera. Così ho deciso di venire qui. Sapevo che prima o poi saresti arrivata."

Si sedette accanto a lui in silenzio, passando una mano tra i capelli ancora umidi. Armin attese paziente che lei si abituasse alla sua presenza e soprattutto che fosse pronta ad ascoltarlo.

"Lo sai che non c'è bisogno che tu faccia la guardia tutte le sere, anche Hanji lo pensa, ma sa che dirtelo non servirebbe a niente."

"Allora evita anche tu..."

Lo sguardo di Armin si fece più severo, ma lei sapeva che c'era dentro anche tanta preoccupazione. "Adesso stammi a sentire. Ti ho lasciato i tuoi spazi, non ti ho fatto domande perché sapevo che stavi soffrendo e avevi bisogno di metabolizzare la cosa a modo tuo. Però adesso non posso più starmene zitto."

Mikasa lo osservò accorgendosi dopo tanto tempo di come i suoi occhi e gli atteggiamenti fossero maturati di colpo. Non ci aveva mai riflettuto, era troppo concentrata su se stessa per rendersi conto che chi le stava intorno aveva acquisito nuove consapevolezze.

"Se vuoi farmi anche tu la paternale sappi che ci ha pensato già il capitano Levi, quindi per stasera sono apposto." rispose

Armin rimase sorpreso nell'apprendere che Levi aveva preso l'iniziativa di parlarle, quando lui invece aveva esitato nel farlo fino a quel momento. "Questo dovrebbe farti comprendere che tutti noi siamo preoccupati per te. Isolarsi non è la soluzione Mikasa e tu lo sai. Ci stiamo preparando per un'operazione importante e abbiamo bisogno di te. Soprattutto che tu sia lucida e concentrata."

Sospirò, spossata e stanca di sentirsi dire di quanto le persone si aspettassero il massimo da lei, di doversi mostrare forte, risoluta e spietata. O forse... era solo stanca di lottare e basta.

"Farò quel che devo, quando sarà il momento."

Armin sapeva che una parte di lei era come assente, persa altrove, forse insieme ad Eren. La determinazione che l'aveva sempre contraddistinta aveva lasciato il posto alla rassegnazione. Ma lui non voleva né poteva accettare l'apatia che ormai solcava il suo volto.

"Pensi di essere la sola a soffrire? Credi davvero che io non pensi che Eren sia stato un completo idiota? Certo che lo penso, ma questo non cambierà le cose. Se lascio che i miei sentimenti prendano il sopravvento saranno anche altre persone a rimetterci, e credo che arrivati a questo punto di morti sulla coscienza ne abbiamo fin troppi."

Gli brillavano gli occhi come se un fuoco ardente vi bruciasse all'interno. Aveva ragione, aveva maledettamente ragione e lei l'aveva sempre saputo.

"Allora... cosa dovremmo fare secondo te. Cosa dovrei fare io?"

A modo suo le stava chiedendo aiuto, finalmente aveva lasciato uno spiraglio aperto nel quale Armin poteva fare leva. Il ragazzo allungò una mano che lei guardò esitante prima di stringerla e con essa sollevarsi da terra.

"Non posso dirti cosa fare, ma tu sai che non sei sola ad affrontare tutto questo. Non devi mostrarti forte a tutti i costi, puoi contare su di me. Andremo avanti Mikasa, è l'unica cosa che ci resta da fare adesso. Ormai non possiamo barricarci più dietro le mura. Dobbiamo affermare a tutti i costi il nostro diritto di essere liberi e capire se e come possiamo mettere la parola fine a tutto questo."

Lo sguardo di Mikasa sembrò animarsi di una nuova luce, era questa la forza che altri prima di lei avevano visto in Armin. Si pentì di non avergli confidato prima la sua sofferenza, ma comprese anche che lui la conosceva fin troppo bene. Aveva solo atteso il momento opportuno per scuoterla.

"Grazie Armin... scusami se ti sono sembrata un'autentica idiota egoista. Posso chiederti solo un'ultima cosa? "

"Certo, dimmi pure..." ma lei non aggiunse altro. Si aggrappò alle sue braccia e pianse, trattenendo i singhiozzi ma dando libero sfogo alle lacrime che aveva a lungo trattenuto. Avrebbe voluto urlare come mai in vita sua, anche se l'avrebbero considerata una pazza. Il tocco di Armin tra i suoi capelli però le diede un improvviso senso di pace e benessere. Era quello di cui aveva bisogno in quel momento, e lui era lì per questo.

Solo quando il suo respiro tornò regolare e le lacrime smisero di scendere Armin le sollevò il viso.

"Andiamo, adesso ti accompagno al tuo alloggio, stanotte dormirai come si deve e domani vedrai che starai meglio."

Si lasciò guidare come una bambina, come nell'infanzia avevano spesso fatto sua madre e anche Carla. Quando in qualche modo cercavano di placare la sua inquietudine.

Si salutarono con un breve abbraccio, entrambi sapevano che l'indomani avrebbero dovuto affrontare ciò che li attendeva con rinnovata determinazione.







Vi avevo anticipato che sarei tornata con qualcosa di più succulento e corposo e sono stata di parola. Dopo molto tempo torno a cimentarmi in una long non originale ma tratta da un'anime/manga. Ci saranno molti personaggi che nel corso dei vari (non moltissimi) capitoli compariranno sulla scena, alcuni di passaggio altri un po' meno. Il genere di cui mi piace scrivere, chi mi conosce lo sa bene, è molto introspettivo. Mi piace scavere nella psiche dei personaggi e sviscerare paure, timori e dolori inconfessati, voglio che il lettore si immedesimi con loro e senta la sofferenza e le paure di chi calca la scena, l'obbiettivo è sempre quello di rimanere il più fedele possibile al personaggio mettendoci dentro però anche un po' del mio. Avremo modo e tempo di parlare e spiegarci. Per adesso vi lascio con quaesto primo capitolo che inquadra un po' la situazione e i personaggi che incontrerete. Ci risentiamo la prossima settimana, perchè sarò puntuale anche con gli aggiornamenti (salvo imprevisti) 
Buona lettura a tutti.

 

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Capitolo 2
*** Un insolito modo di comunicare ***


Inspirava ed espirava alternando la corsa con flessioni ed esercizi per aumentare la resistenza di braccia e gambe. Era la sua normale routine quotidiana alla quale non sapeva rinunciare, ed era anche un modo per scaricare la tensione che sentiva sempre presente sotto la pelle.

L'aria fresca del mattino era rigenerante e dovette ammettere che la conversazione avuta con Armin la sera prima era proprio quello di cui aveva bisogno. Adesso sentiva il cuore più leggero, e una flebile speranza la riempiva di nuova energia. Poi lo sguardo le cadde sugli avambracci leggermente violacei e un guizzo di latente vendetta si fece lentamente strada nella sua mente.

Non era la sola ad essere già in piedi quella mattina, tuttavia sembrò non accorgersi che qualcuno la stava osservando.


"Hai intenzione di rimanere nascosto a fissarla ancora per molto?" Hanji gli arrivò furtiva alle spalle, ma lui non ne fu affatto sorpreso, non tanto quanto la velata allusione della frase da lei pronunciata.

"Di solito a quest'ora non sei in bagno per le tue solite... questioni?" rispose adagiando la tazzina da tè con aria annoiata.

"Beh... direi che anche qui, riflettendoci, trovo delle questioni molto interessanti da osservare."

"Falla finita quattrocchi."

La donna sorrise divertita sistemandosi la benda sull'occhio. Lo conosceva fin troppo bene, e da tanto ormai, per non sapere che quando Levi sviava un discorso era perché sotto nascondeva qualcosa.

"Parlando di cose importanti, cosa pensi dei ragazzi e di questa situazione? Sai bene che non possiamo permetterci di fare passi falsi. Se dovremo combattere e pensi che lei possa essere un problema devi lasciarla fuori, anche se fosse l'unica a poterti coprire le spalle." Avrebbe potuto dirgli chiaramente ciò che ormai sapeva da giorni, ma ritenne che quello non fosse il momento adatto, soprattutto contando che lei, seppur lontana, avrebbe potuto sentire qualcosa.

Solo in quel momento Levi si voltò ad osservare in viso il comandante Zoe.

"Credi che non lo sappia? "

"Ebbene, cosa hai intenzione di fare?"

Bevve l'ultimo sorso del suo tè mattutino con la netta sensazione addosso che quella giornata sarebbe stata più problematica del previsto. "Tu pensa a raccogliere più informazioni possibili. Alla mia squadra ci penso io." concluse, mettendole in mano la tazza ormai vuota.

"Sai Levi dovresti ampliare un po' i tuoi gusti. Perché non provi quella bevanda scura dal sapore così intenso e forte, magari potrebbe piacerti?"

"Tse... non dire assurdità, sei tu quella a cui piacciono gli esperimenti. Strozzati pure con quella roba se ne hai voglia." le rispose allontanandosi in direzione del cortile antistante la baita in cui si trovavano.

 

                                                                                                                                        ***

 

Si stese sull'erba ancora umida aspettando che il respiro si regolarizzasse. La brezza del mattino era piacevole e sembrava cullarla dolcemente. Avrebbe atteso ancora qualche minuto prima di farsi una doccia e cominciare così un'altra giornata. Gli occhi chiusi per ripararsi dai primi raggi che filtravano dagli alberi non le impedirono di udire dei passi che si avvicinavano.

Si alzò all'istante assumendo una posizione d'attacco.

"Ehi Ackerman cerca di stare calma, se già stata abbastanza molesta con i tuoi esercizi di primo mattino."

Mikasa allentò la tensione del corpo ma non l'espressione accigliata che aveva in volto. "Non si preoccupi ho terminato, così smetterò di importunarla." l'intonazione calma della sua voce mascherava il reale stato d'animo, che però non sfuggì a Levi vedendo la sua mano destra chiusa a pugno.

"Sai una cosa ragazzina... ho appena deciso che forse sgranchirmi i muscoli non sarebbe male neanche per me. Potresti aiutarmi magari, che ne dici?"

La sua non era una proposta, era una sfida, e Mikasa lo sapeva bene. Forse voleva testare il suo autocontrollo o magari vedere se si fosse finalmente data una svegliata come si deve. Fatto sta che l'occasione era troppo allettante per non approfittarne. Gli occhi le brillarono in modo ferino, così come quelli di Levi quando puntavano una preda che sapeva essere più ostica delle altre.

"Non aspettavo altro capitano."

Alle parole seguirono i fatti. Veloci e agili le sue gambe si mossero all'istante assestando una serie di calci che Levi parò con gli avambracci. La risposta non si fece attendere. Un sinistro ben assestato sul fianco fece indietreggiare Mikasa che mantenne l'equilibrio poggiando un ginocchio a terra. La posizione era l'ideale per ricambiare con un gancio puntando dritto alla mascella del capitano, che incassò parzialmente il colpo gettando un grumo di sangue dalla bocca.

"Che mocciosa irritante..."

Il volto di Mikasa si illuminò di soddisfazione. Stavolta gliela avrebbe fatta pagare per quello che un tempo aveva fatto ad Eren, per tutte le volte in cui l'aveva rimproverata e fatta sentire in colpa perché si lasciava sopraffare dalle proprie emozioni.

Sì, quello non era un allenamento, era una sfida, fatta di rabbia, nervi e frustrazione. Perché loro sapevano di essere i migliori, gli unici che potevano fare la differenza. Loro... che non riuscivano a capirsi né a comprendersi, ma che sapevano inconsciamente che un filo sottile li legava. Perché troppe volte bastava solo guardarsi negli occhi per capire le rispettive intenzioni, perché sapevano che la loro sopravvivenza significava prendere la vita di qualcun altro.

Mikasa era in evidente affanno, vinta dal precedente allenamento, ma non avrebbe ceduto, un'altra occasione come quella non si sarebbe ripresentata.

"Non credere che sia finita capitano... non ancora." lo provocò.

Levi si asciugò il sudore dalla fronte abbozzando un sorriso. "Ma se ti reggi a malapena in piedi." Era senz'altro più bravo lui a stuzzicarla, anche perché Mikasa si infiammava all'istante.

Gli si gettò addosso con tutte le forze che aveva, colpendolo con una ginocchiata al fianco. Stavolta era fatta. Prima di cadere rovinosamente a terra però Levi le assestò un calciò alla caviglia capovolgendo la situazione. Lui riuscì a reggersi in piedi mentre Mikasa si ritrovò a faccia in giù sull'erba. Neanche il tempo di voltarsi che Levi le incrociò entrambe le braccia dietro la testa, puntandole un coltello alla gola prontamente estratto dal retro dei pantaloni.

"Sei morta Mikasa!" lei provò a divincolarsi ma lui non spostò l'arma neanche di un millimetro.

"Te la ricordi questa posizione Ackerman? Certo che la ricordi... solo che le parti erano un tantino invertite quella volta." La ricordava fin troppo bene, una delle tante volte in cui l'avrebbe ammazzato perché non condivideva la scelta che stava per prendere.

"Era una circostanza diversa quella. E se vuoi saperlo, capitano, non mi pento di niente. Se tornassi indietro agirei allo stesso modo."

Di questo ne era convinto anche lui, come sapeva che in quella occasione si era salvato solo grazie all'intervento di Hanji.

"Lo so che lo faresti. Ed è questo che ti frega ragazzina. Sei irruenta e irresponsabile, agisci d'istinto e non pensi alle conseguenze. Ti lasci dominare dai tuoi sentimenti e non comprendi che quegli stessi sentimenti possono rappresentare la tua debolezza. E chi si mostra debole diventa preda delle proprie emozioni, si lascia sopraffare e alla fine muore."

Mikasa poteva sentire sulla pelle sudata il freddo di quella lama. Chiuse gli occhi per un istante e immagini che appartenevano ad un passato troppo doloroso da far riemergere le tornarono alla mente. Fu solo un attimo ma bastò a farla rabbrividire. Cercò di darsi una scossa agitando furiosamente la testa e puntando lo sguardo in quello di Levi, era più che mai convinta che in altre circostanze lui l'avrebbe senz'altro ammazzata.

 

Intanto, dei passi in avvicinamento annunciarono l'arrivo di un'altra persona.

 

"Ehm... scusate l'interruzione, non era mia intenzione intromettermi, ma il comandante Hanji vi manda a chiamare capitano. Pare ci siano delle novità delle quali vuole mettervi a conoscenza." il volto di Connie era visibilmente imbarazzato, soprattutto vedendo Levi a cavalcioni su Mikasa. Non osò chiedere oltre, un po' intimorito dai soggetti di quella strana scena, un po' perché quel coltello puntato alla gola della ragazza lo fece deconcentrare totalmente.

Levi non si scompose minimamente, allentando di poco la presa sui polsi di Mikasa. "Riferisci che a breve sarò da lei."

"Sissignore!" e così dicendo Connie si dileguò in fretta. Di certo Mikasa non aveva bisogno del suo aiuto. Tutti sapevano che se c'era una persona che poteva tener testa al capitano, anche nel corpo a corpo, quella era lei.

"Bene... la lezione è finita puoi anche smettere di tremare."

"Cosa?" il suo viso si infiammò di rabbia. Levi si sollevò dalla sua posizione lasciandola libera, lei pensò che quella fosse l'occasione giusta per attaccarlo di nuovo ma si trattenne improvvisamente quando vide un gesto che di certo non si sarebbe mai aspettata. Levi le stava porgendo la mano per aiutarla a sollevarsi da terra. Quasi stentava a crederci e infatti esitò forse più del dovuto.

"Hai intenzione di rimanere così ancora a lungo? Perché io avrei da fare."

Solo sentendo la sua voce Mikasa sembrò destarsi dalla sua indecisione. Allungò la mano e strinse quella di Levi. Fu un attimo, un breve istante, come una scossa che si irradia dalla punta delle dita fino a tutto il corpo. Come essere connessi con qualcuno che senti affine, così simile a te stesso da poterti specchiare attraverso i suoi occhi. Anche Levi doveva aver provato qualcosa di simile perché lo vide spalancare gli occhi e irrigidirsi. Nessuno dei due però proferì parola.

Mikasa ritrasse la mano e sempre in silenzio si apprestò a tornare nella sua camera.

"Mi dispiace..." disse quasi sussurrando, due semplici parole che bastarono a bloccarla sul posto "... se quel coltello ti fa fatto tornare alla mente dei brutti ricordi. Ti assicuro che non era mia intenzione."

Non si aspettava che lei confermasse ciò che sapeva già per certo, per questo non attese oltre nel congedarsi e raggiungere Hanji.

"Ma come..." si chiese, una volta rimasta da sola. Sicuramente il capitano sapeva cosa le era accaduto da bambina, non era più un segreto da anni ormai. Però perché tirare fuori quell'argomento proprio in quel frangente, nel momento esatto in cui anche a lei era tornato in mente. Non riusciva a darsi una spiegazione plausibile, e dentro sé pensò che in fondo forse... era meglio non sapere.

 

                                                                                                                                   ***

 

"Vi assicuro che è così, non sto esagerando. Il capitano in pratica era sopra di lei e le puntava un coltello alla gola! Io... non ho capito cosa diavolo stesse succedendo ma secondo me quei due prima o poi si ammazzano a vicenda."

Jean era letteralmente sbiancato, mentre Sasha ascoltava incuriosita mentre smangiucchiava avidamente un pezzo di pane caldo appena sfornato.

"Ma... ma in che senso era sopra di lei, cioè in che modo e perché?" Jean cercò in qualche modo di approfondire la questione senza nascondere una palese gelosia di fondo.

"Cosa vuoi che ne sappia, è esattamente come ti ho descritto, e comunque ero lì per chiamare il capitano non certo per chiedere spiegazioni. Avevano sicuramente lottato era evidente, è stato proprio il rumore dei loro colpi a farmi capire dov'erano."

"Ma scusa Jean, a te cosa importa. Sappiamo tutti che Mikasa si è completamente chiusa in se stessa nell'ultimo periodo. Tenendo alla larga persino Armin. Se il capitano Levi le ha dato una bella strigliata le avrà fatto senz'altro bene." concluse Sasha.

"È chi ti dice che non sia stata lei a suonargliele! Mikasa è sempre stata la migliore di noi e sicuramente l'unica che può lottare alla pari con il capitano, secondo me il piccoletto se l'è vista brutta stavolta."

"Chi è che se la sarebbe vista brutta Kirschstein?" come al solito Jean aveva parlato a voce troppo alta, coprendo persino l'entrata di Levi che aveva ascoltato l'ultima parte della conversazione.

Col fiato corto e il cuore in gola cerco di spiccicare una qualche giustificazione. "Nessuno signore, le mie erano solo semplici supposizioni." disse, provando a correggere il tiro.

"Smettetela di comportarvi come delle pettegole e mettetevi al lavoro. Ho il sospetto che più tardi il comandante vorrà parlare anche con voi."

"Sissignore!" risposero sugli attenti prima che lui varcasse la porta dell'ufficio di Hanji.

 

                                                                                                                                  ***

 

"Finalmente ti sei degnato di raggiungermi."

"Non sapevo avessi fretta."

Solo in quel momento Hanji sollevò lo sguardo dalla lettera che aveva tra le mani osservando Levi. "Non hai una bella cera sai... secondo me te la sei vista brutta."

Adesso ci si metteva pure lei. Lo sguardo torvo che lui le lanciò era un chiaro invito a non andare oltre in quella conversazione. Il sorrisetto divertito di Hanji lasciò intendere che aveva colto l'avvertimento, e confermato le sue parole.

"Comunque veniamo a noi, accomodati..." il comandante aprì il cassetto della sua scrivania spostando uno scomparto ancora più interno. Ne estrasse fuori altre due fogli identici a quello che aveva tra le mani. Li aprì porgendoli a Levi.

"Che roba è?"

"Leggi..."

Gli bastarono poche righe per capire il mittente e lo scopo di quelle lettere. Gli occhi di Levi si spalancarono per qualche secondo, tornando subito dopo seri e sospettosi. Stettero in silenzio entrambi finché lui non ebbe finito di leggere tutto. Poi riconsegnò le lettere ad Hanji guardandola con evidente irritazione.

"Da quand'è che hai in mano questa roba e perchè non mi hai detto niente. Ma soprattutto... cosa hai intenzione di fare?"

Per la prima volta da quando era nell'esercito Hanji sembrò soppesare le sue prossime parole. "Calmati... una risposta per volta. Le ho ricevute da una decina di giorni a questa parte, volevo accertarmi di avere qualcosa di concreto in mano prima di parlartene. Per questo ho spinto affinché mettessi in riga i ragazzi. Se le cose andranno come penso serviranno tutti gli uomini a nostra disposizione comprese le nuove reclute.”

"Ehi... frena, frena, cerca di mandare ossigeno a quel tuo cervello bacato. Non avrai intenzione di assecondarlo spero?"

Lo sguardo di Hanji si incupì, accadeva spesso ultimamente, soprattutto quando si trovava in disaccordo con Levi. Ormai l'aveva capito, l'eredità lasciatale da Erwin era qualcosa di suo soltanto, che avrebbe dovuto portare in solitudine, pagandone il prezzo.

"È presto per dirlo. Le informazioni a nostra disposizione sono ancora scarse, ma pare che qualcosa di grosso si stia muovendo a Marley. Hai letto anche tu... presto ci invierà ulteriori dettagli."

A quel punto la calma di Levi, semmai ne aveva avuta da quando era entrato, andò completamente persa.

"È una follia! Una delle tante se vuoi davvero sapere come la penso. Questi sono i vaneggiamenti di un ragazzino troppo cresciuto che adesso vuole giocare alla guerra." Urlò alzandosi in piedi e sbattendo la mano sulle lettere ancora sparse sopra la scrivania.

"Credi che non sappia i rischi? Ma l'eventualità di lasciare Eren in mano al nemico è anche peggio. Se riescono a portarlo dalla loro parte per noi è finita. Non avremo niente da poter usare contro di loro."

"E tu pensi che l'abbiamo mai avuto?"

"Che vuoi dire?"

Levi andò alla finestra dell'ufficio, da fuori si potevano appena sentire le voci dei ragazzi che cominciavano il loro allenamento mattutino, una cosa alla quale lo stesso capitano esigeva non dovessero mai mancare. Ognuno aveva un compito. Sasha dava istruzioni su come usare al meglio le armi da fuoco. Jean e Connie aiutavano le reclute con il movimento tridimensionale. Mikasa faceva loro da avversario nel corpo a corpo. Levi si sorprese nel vederla già ripulita e ordinata unirsi agli altri. Di solito lei evitava di stare in gruppo e aiutare i compagni, preferendo beccarsi la solita ramanzina.

"Li vedi quei ragazzi là fuori quattrocchi... loro vanno avanti giorno dopo giorno perché hanno fiducia in lui, o almeno hanno scelto di averne. In qualche modo hanno abbracciato il suo sogno facendolo diventare anche il proprio. Lo hanno aiutato, assecondato e sostenuto, dovrebbero essere quelli che lo conoscono meglio. Eppure se adesso gli chiedi di Eren nei loro occhi si forma un'espressione di paura e incertezza. Tu vuoi davvero che io mandi quei ragazzi a Marley a morire per lui?"

Hanji aveva compreso perfettamente i sentimenti di Levi, e forse se non avesse ricoperto il ruolo di comandante avrebbe ragionato allo stesso modo. Adesso invece il suo compito era quello di valutare la scelta più vantaggiosa e meno rischiosa per Paradis, anche se ciò implicava possibili perdite.

"Credo che nessuno di noi abbia mai combattuto per andare a morire Levi. Ognuno di noi era mosso da speranze e sogni, molti dei quali adesso giacciono sepolti sotto strati di terra. Credo che Eren abbia qualcosa in mente..."

"Certo che ce l'ha! Ci sta chiedendo di fare la guerra con lui, alle sue condizioni. Il punto è un altro però."

"Ovvero?"

Levi si voltò a guardarla ed Hanji capì l'amarezza che celava il suo sguardo. "Quando avrà compreso che non siamo d'accordo con il suo modo di agire, cosa saremo noi per lui. Amici o nemici?"

Il volto di Hanji sembrò una maschera di cera, immobile e inespressivo, archiviò nella sua mente il dubbio insinuato da Levi e capì che si stavano muovendo su un terreno accidentato dal quale difficilmente sarebbero usciti illesi.

"Non alimentare le mie preoccupazioni ti prego. In ogni caso devo urgentemente mettere al corrente gli altri di queste missive inviateci da Eren, magari con l'aiuto di Armin e Mikasa potremmo capire meglio le sue intenzioni."

Lo sguardo basso e pensieroso di Levi sembrò animarsi improvvisamente non appena la donna fece i nomi dei due ragazzi.

"Tieni Mikasa fuori da questa cosa. Parlane con Armin o con chi diavolo vuoi ma non coinvolgerla." disse nel suo solito tono di voce basso ma imperioso.

"E perché mai? Ti ho appena detto che a breve renderò conto a tutti di come stanno le cose. Loro due sono quelli che meglio lo conoscono, il loro consiglio potrebbe essere determinante."

"Forse quello di Armin ma non certo di Mikasa. Lei non sa essere obbiettiva quando si tratta di Eren, si farebbe ammazzare pur di salvarlo senza pensare ai rischi che corrono gli altri."

"Questo è vero... quella ragazza è troppo coinvolta per guardare la situazione dalla giusta prospettiva. Comunque sia saprà lo stesso delle sue intenzioni, quello è inevitabile."

Ma questo Levi lo sapeva bene. Solo che avrebbe voluto più tempo... più tempo per cosa però. Per renderla forte, indipendente da Eren o sicura delle sue scelte? Ciò che sapeva per certo era che non voleva vederla nuovamente chiudersi in sé stessa con l'anima a pezzi.

"Credo non ci sia altro da aggiungere. Farò radunare i ragazzi prima dell'ora di pranzo, così potrai parlare loro con calma." incrociò le braccia al petto dirigendosi verso l'uscita.

"Un'ultima cosa Levi..." Hanji lo richiamò facendolo voltare appena di profilo "... tu invece credi di riuscire a rimanere obbiettivo in questa situazione?" il capitano sembrò volerla incenerire solo guardandola.

"Ma di che diavolo parli?"

Ad Hanji in realtà non serviva una risposta, gli bastò notare il modo in cui si era improvvisamente irrigidito per comprendere che si erano capiti al volo. "Niente... niente, non farci caso. La tensione mi fa parlare a sproposito. Va pure ad avvisare i ragazzi."

Lui fece una sorta di smorfia seccata ed uscì dalla stanza.





Eccomi di nuovo per questo secondo capitolo, che non solo introduce la cara Hanji ufficialmente come nuovo comandante del Corpo di Ricerca, ma spiega un po' meglio le dinamiche che tutti stanno vivendo durante l'assenza di Eren. Sappiamo bene cosa lui stia complottando a Marley, quello che invece non conosciamo è come stia vivendo il resto della squadra a Paradis in attesa del famoso attacco a Liberio. Parlerò di questo e di tanto altro, cercando di evidenziare gli stati d'animo dei personaggi e i cambiementi che avranno nel corso della storia. Perchè non dimentichiamoci che si cresce fisicamente, ma che si cambia anche in base alle esperienze vissute e al dolore che ci colpisce in modo profondo e personale. Spero di avervi incuriositi e che resterete con me in questo viaggio fatto di speranze, sogni e rinascita. Alla prossima settimana.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Decisioni: preludio alla battaglia ***


La tiepida e piacevole giornata rendeva sopportabile anche il duro allenamento incentivando un certo ottimismo generale che si avvertiva nell'aria.

Levi si trattenne per un po' ad osservarli da lontano senza farsi vedere. Erano cresciuti bene, nonostante le battaglie, i pericoli e il dolore che si portavano dentro. Erano ragazzi forti e tenaci. Un improvviso moto d'orgoglio lo investì in pieno, dandogli la forza di richiamarli sugli attenti per parlare loro.

"Ascoltatemi bene, prima dell'ora di pranzo vi voglio tutti presenti, allineati e con le orecchie spalancate fuori la sala mensa. Il comandante Zoe deve mettervi al corrente su alcune importanti novità, quindi esigo la massima attenzione da parte di tutti."

"Sissignore!" fu l'unanime risposta. Anche se al suo sguardo attento non sfuggì la lieve agitazione che balenò negli occhi di Mikasa.

In quel momento anche Armin raggiunse il gruppo, che cominciava a parlottare sommessamente su quali potessero essere queste urgenti novità. "Dì la verità... tu ne sai qualcosa Armin?" chiese Connie.

Sapevano ormai che lui collaborava a stretto contatto con il comandante e credevano potesse sapere qualcosa in più di loro. "Niente di preciso a dire il vero, però..." abbassò lo sguardo incerto se esporre i suoi dubbi.

"Avanti parla, dobbiamo pregarti adesso?" lo incalzò Jean.

"Ho notato che negli ultimi giorni il comandante Zoe ha ricevuto parecchia posta. Doveva essere qualcosa d'importante perché ogni volta si chiudeva nel suo ufficio non lasciando entrare nessuno. Se poi teniamo conto che nell'ultimo periodo stanno insistendo con l'addestramento anche con le nuove reclute. Mi verrebbe da supporre, beh... che molto probabilmente potessero essere notizie..."

"Eren!" non aveva bisogno di conferme né supposizioni, lo sentiva dentro, lo avvertiva con ogni fibra del suo corpo. Si mosse senza neanche pensarci, non avrebbe aspettato oltre. Non le interessavano discorsi o comunicazioni ufficiali, sarebbe andata a prendersi le risposte che cercava personalmente e subito.

"Aspetta Mikasa dove vai..." ma le parole di Armin si erano già perse prima ancora che lei potesse sentirle.

La ragazza era già dentro la baita in direzione dell'ufficio occupato dal comandante Hanji. "Dove credi di andare Ackerman." la sua voce gli arrivò perentoria ancora prima di trovarselo davanti che le bloccava il passaggio.

"Mi lasci passare capitano!" provò ad evitarlo, ma lui si mosse più veloce.

"Aspetterai le comunicazioni ufficiali come tutti gli altri ragazzina... qui non si fanno preferenze." le intimò.

"Voglio vedere la signorina Hanji. Si tolga dai piedi!" il tono divenne impellente e rabbioso.

"Il comandante è impegnato. Torna al tuo posto e rispetta il mio ordine." Era una sfida di sguardi stavolta, nella quale nessuno dei due era disposto a perdere.

"Adesso ne ho abbastanza..." la mano si chiuse a pugno pronta a scattare se non fosse stato per il repentino intervento di Jean che la bloccò sul posto. Tutti avevano capito le sue intenzioni e le erano corsi dietro.

"Che diavolo pensi di fare, vuoi beccarti una settimana di prigione."

"Lasciami Jean... stavolta giuro che gli spacco la faccia!" continuava a dimenarsi talmente tanto che persino Connie dovette intervenire. Levi invece non mosse un muscolo godendosi la scena con totale indifferenza.

"Si può sapere che diamine sta succedendo qui fuori?" il baccano creato da quello scontro verbale aveva richiamato l'attenzione di Hanji.

"Niente di che... la solita ragazzina scontrosa e irruenta che vuole fare di testa sua." rispose ironico.

"Giuro che ti faccio ingoiare la lingua Levi!" era la prima volta che si rivolgeva a lui in modo così sfacciatamente confidenziale e in presenza di altre persone. La cosa gli provocò sensazioni contrastanti che non seppe spiegarsi.

"Mikasa basta ti prego, se ci puniscono salteremo il pranzo." intervenne Sasha con aria disperata.

Hanji si portò una mano alla testa sospirando. "Non c'è niente da fare non cambiarete mai... avanti entrate nel mio ufficio e smettetela di fare baccano. Vorrà dire che con voi parlerò in via confidenziale."

A quelle parole Jean e Connie tirarono un sospiro di sollievo, ormai non riuscivano più a tenere ferma Mikasa, che sembrò darsi pace non appena ottenuto ciò che voleva. I ragazzi entrarono nell'ufficio del comandante, l'ultima invece fu proprio lei, che non riuscì a trattenersi dallo spingere energicamente Levi prima di dargli le spalle.

Ne aveva già la certezza, ma quella fu un'ulteriore conferma. Tra loro non ci sarebbe mai stata possibilità di dialogo.

 

                                                                                                                                ***


Aveva ascoltato tutto, ogni singola parola, ogni sguardo, incertezza o inflessione della voce. Qualsiasi movimento, esitazione o dubbio che potesse mostrare Hanji Zoe. Aveva fotografato ogni istante di quella conversazione archiviandolo nella sua mente per poterci rimuginare con calma e in solitudine in un secondo momento. 
Quando il suo cuore avrebbe riacquistato un ritmo regolare e lei sarebbe tornata a respirare. Aveva comunque partecipato composta e in riga insieme agli altri soldati anche alla riunione in programma quel giorno, valutando le parole di Hanji e notando se ci fossero omissioni o aggiunte rispetto a ciò che già sapeva.

Il succo del discorso non cambiava. Eren si era infiltrato a Marley per colpire la città dall'interno e adesso, anche se non in modo esplicito, chiedeva il loro supporto.

Levi non prese parte alla riunione privata nello studio del comandante, e si tenne a debita distanza anche durante l'incontro ufficiale. Ciò fece intuire a Mikasa, ma anche ai suoi compagni, che il capitano fosse in disaccordo con la sua vecchia compagna d'armi su come agire in quella situazione.

Quella giornata doveva essere un punto di svolta per Mikasa, una sorta di risveglio interno, di reazione al suo stato di torpore e isolamento. In un certo senso il cambiamento c'era stato, anche se nuovi problemi si stagliavano all'orizzonte di una città lontana. Una città che non aveva nessuna intenzione di accettarli né di dialogare con loro. E allora sarebbero stati colpiti nel cuore stesso di quella fortezza nella quale si erano rintanati, all'ombra di quella verità assoluta che credevano di conoscere.


Non c'era verso di dormire neppure quella notte, tutti i suoi buoni propositi erano andati in fumo. Era inquieta, ansiosa, febbrile. Scattava ad ogni minimo rumore, se poi osava pensare al fatto che Eren potesse avere bisogno di lei da così tanta distanza un dolore fisico la immobilizzava all'istante.

Si rivestì in fretta non badando troppo al suo aspetto. La torretta di guardia era sempre lì vuota e silente quasi come se la stesse aspettando. La raggiunse in silenzio camminando a piedi nudi per evitare qualsiasi tipo di rumore. Si ranicchiò a terra stringendo le braccia attorno alle ginocchia. Voleva piangere... ne sentiva un'esigenza impellente. Poi d'improvviso si accorse di non capire il reale motivo dell'urgenza di quel pianto. Non sapeva se essere felice del fatto che Eren stesse bene o spaventata nel non comprendere quali fossero le sue reali intenzioni.

Portò entrambe le mani alla testa, come se quel gesto potesse impedirle di pensare. Cosa avrebbe deciso il comandante Hanji? Lo avrebbero realmente aiutato? E se davvero così fosse stato, lei fin dove si sarebbe spinta per lui? 
Una serie di domande che si aggiungevano a quelle che ormai già da tempo non trovavano risposta.

 

"Non c'è proprio verso di tenerti chiusa in camera vero Ackerman? Dovrò seriamente pensare ad una punizione per questa tua ostinata indisciplina."

Un leggero tremore misto a rabbia le percosse il corpo. Pensava di non avere le forze necessarie per affrontarlo, ma si sbagliava. Si alzò di scatto, come un animale pronto ad attaccare. "Mi punisca pure capitano, può anche schernirmi e deridermi, credermi una debole ragazzina sentimentale. Ma niente, niente di ciò che potrà fare o dire cambierà il fatto che io rimarrò sempre al fianco di Eren!"

Levi bevve un altro sorso del tè che aveva tra le mani. Sollevò lo sguardo puntandolo in quello risoluto di Mikasa. "Se hai già trovato le risposte che cercavi è inutile che passi un'altra notte in bianco qui fuori." le disse, lasciandola completamente spiazzata.

"Cosa? Ma tu... tu come fai a..." avrebbe voluto concludere una frase che avesse senso, che potesse chiarire quel dubbio che ormai si era radicato in lei già da tempo. Ma Levi non sembrava interessato ad ascoltarla né a darle spiegazioni. Perché lui riusciva ad intuire qualsiasi cosa lei pensasse? Era così prevedibile, oppure c'era dell'altro? Aveva ormai compreso che portare il cognome Ackerman implicava avere delle doti fuori dal comune. Eppure... perché proprio lui doveva avere una connessione così diretta con lei, quella stranezza la metteva a disagio.

"Aspetta fermati..." cercò di richiamare la sua attenzione.

Levi si fermò, solo per voltarsi appena e lanciarle una piccola bisaccia che lei afferrò al volo nonostante l'avesse vista piombarle addosso all'ultimo minuto. "Se proprio vuoi passare la notte qui fuori dovrai scaldarti in qualche modo. Non aspettarti chissà cosa, ovviamente dentro c'è del tè."

Mikasa osservò le sue mani che in effetti cominciavano a riscaldarsi al contatto con il tepore di quella bevanda. Non seppe perché, ma le parole fluirono da sole fuori dalla sua bocca prima ancora che lei potesse realizzare cosa stesse dicendo. 
"Io... io, mi sento così confusa. Ho talmente tante domande che mi ronzano in testa che mi sembra di impazzire. Non posso permettermi di prendere una decisione sbagliata, non adesso." disse tutto d'un fiato.

"Dì un po'... dai già per scontato che correremo in aiuto del tuo amichetto?"

Mikasa non rispose, si limitò a piantare i suoi occhi grigi in quelli di lui, e Levi capì. Capì che a prescindere dalla decisione di Hanji lei sarebbe corsa da lui, nonostante sapesse che con ogni probabilità il suo fosse un errore si sarebbe anche dannata l'anima pur di restargli accanto. Si accorse, mai come in quel momento, che l'ostinazione di quella ragazza l'avrebbe condotta presto o tardi ad un punto di non ritorno.

"So che non ti interessa ma ti dirò ugualmente come la penso. Credo che qualunque cosa decideremo di fare non verrà fuori nulla di buono. Ma d'altronde... restare con le mani in mano non è una soluzione. Non mi fido dei marleyani, soprattutto di quelli che adesso si spacciano per nostri amici. Non mi fido di Zeke, e se vuoi saperlo non mi fido neanche di Eren." quella era una verità che conosceva, eppure sentirla in modo così diretto fece più male di quel che credeva.

"Loro hanno portato la guerra a Paradis, si ostinano a vederci come nemici e vogliono sterminare la nostra razza dal primo all'ultimo. Non possiamo restare a guardare."

"E tu pensi che rispondere al fuoco con il fuoco possa servire a spiegare le nostre ragioni?"

"Abbiamo provato a spiegarci, ad aprirci e farci conoscere. Ma l'odio e la diffidenza è troppo radicato in loro." Non credeva di potersi sentire così triste davanti a quell' evidenza.

"Quindi andiamo a sparargli addosso. È questa in sostanza la soluzione di Jeager, e tu approvi questa cosa?"

"Non ho detto questo. Però..." come avrebbe dovuto concludere la frase, non sapeva davvero. Levi la tolse da quell'imbarazzo.

"Però... anche se sai che Eren sta commettendo una stronzata tu lo appoggerai, perché lui è il tuo amico speciale, giusto?" sottolineò quell'affermazione con evidente sarcasmo e una buona dose di rabbia.

Non se la sentì di smentirlo, tanto sapeva che non le avrebbe mai creduto. "Sì, è così." rispose, senza però avere il coraggio di sostenere il suo sguardo.

"Allora è come ho detto io, hai già le risposte che ti occorrono, non serve che ti struggi tanto. In quanto a me farò ciò che ho sempre fatto, eseguirò gli ordini del comandante. Riguardo a Zeke i miei propositi non cambiano, lui è una mia preda, diciamo... che sarò paziente." Mikasa sapeva bene che quella era l'unica certezza che in quel momento avesse Levi.

"Alla fine sembra che in qualunque modo andranno le cose non avremo scelta."

Si soffermò ad osservarla con più attenzione, aveva l'aria stanca e una tristezza perenne che le solcava gli occhi ormai velati da una costante malinconia. La forza e la caparbietà della ragazzina di un tempo avevano lasciato il posto alla consapevolezza di una giovane donna ormai certa che presto tutto sarebbe irrimediabilmente cambiato. Se fosse stata in grado di sopravvivere a quel cambiamento poteva saperlo solo lei.

"C'è sempre una scelta Mikasa, in ogni pensiero che abbiamo o azione che compiamo. La vera sfida sta nel non avere rimpianti. Però... qualunque cosa tu decida di fare ti chiedo solo una cosa..." si prese qualche istante per riflettere se continuare o meno, poi concluse "... cerca di non farti ammazzare."

D'improvviso calò un silenzio quasi irreale ovattato da quelle parole che potevano avere mille significati e nessuno in particolare. Era una strana sensazione sapere che per  qualche strano e assurdo motivo Levi si preoccupasse per lei.

Ma in fondo sapeva che il capitano si era legato, a modo suo, alla nuova squadra. Quella era una sottile consapevolezza che tutti loro avevano. Le parole che aveva rivolto a Mikasa quella sera avevano tracciato una linea invisibile che andava scavando sempre più a fondo dentro di lei.

Possibile che la persona più scontrosa e diffidente che avesse mai conosciuto sapesse sondare il suo animo così bene da renderla vulnerabile ai suoi occhi. Lei... che difficilmente esprimeva apertamente le sue emozioni, che non conosceva paura né pietà finchè non veniva messa di fronte ai suoi stessi sentimenti. Levi aveva capito tutto, senza porle nessuna domanda. L'unica palese verità era che colui che rappresentava la fonte della sua forza e del suo spirito combattivo era la principale delle sue debolezze.




Ci siamo... la decisione sembra presa e il Corpo di Ricerca si appresta ad invadere Marley. Ciò che avverrà in quel frangente lo sappiamo fin troppo bene, ecco perchè non verrà menzionato. Mi soffermerò sugli ultimi preparativi e sui dubbi che accompagnano i nostri protagonisti prima di questa battaglia, e poi...
Beh, su quello che poi accadrà è ancora prematuro parlarne. Darò qualche piccola anticipazione la prossima settimana. Grazie di cuore a tutti per la vostra presenza.

 

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Capitolo 4
*** Guardandoti... saprò ancora chi sei? ***


Trascorsero interi giorni senza che nulla cambiasse. Hanji e Armin studiavano il perimetro e i vari punti strategici di Marley. Le possibili vie di fuga e le principali linee d'attacco. Ormai era quasi certo che il comandante volesse tutti loro preparati e perfettamente coordinati per un eventuale attacco fulmineo e più invasivo possibile.

Levi ascoltava in silenzio, il suo ruolo in quella storia sembrava ancora una volta legato a doppio filo con quello di Zeke. La cosa lo disgustava, ma si sarebbe lo stesso prestato a quella farsa. Stabilito il suo compito però decise di tenersi il più lontano possibile da ulteriori riunioni e discussioni al riguardo.

Il silenzio che precedeva quella snervante attesa era fatto di dubbi, angoscia e tensione. Sembravano vivere tutti in perenne bilico come dei funamboli aspettando di capire quale fosse il momento giusto per saltare.

"Sarà proprio necessario agire in questo modo comandante?" Armin pose quella domanda pur conoscendo già la risposta, eppure il suo animo esigeva una conferma che non tardò ad arrivare.

"Direi di sì. Le flotte di Marley sono numerose, dobbiamo abbatterle se non vogliamo trovarcele addosso. Ognuno di voi dovrà mantenere la posizione stabilita. Io coordinerò il tutto per portarvi via da lì prima che possano organizzare una qualche controffensiva. Ci serviremo di Onyankopon per guidare il dirigibile."

Sembrava tutto studiato nei minimi particolari, ma Armin sapeva che c'era dell'altro. "Gli altri sanno già cosa fare. A questo punto non resta che parlare con Mikasa." le parole sembrarono morirgli in gola.

"Lo so. Ho mandato Flock a chiamarla, ma voglio che tu sia presente."

"Sono qui per questo comandante."

Guardarono entrambi le varie carte sparse sulla scrivania. Per un attimo Armin rabbrividì immaginando la scia di morte e distruzione che si sarebbero lasciati alle spalle. Poi un tenue ma deciso colpo alla porta anticipò l'arrivo di Mikasa.


"Comandante Hanji mi ha mandata a chiamare?"

"Sì, accomodati Mikasa, dobbiamo discutere di alcune cose."

La ragazza entrò e i suoi occhi incrociarono subito quelli apprensivi di Armin. "Siediti ti prego..."

"Preferisco restare in piedi comandante."

Hanji cercò di non lasciarsi prendere dalla tensione, mai come in quel momento avrebbe desiderato la vicinanza di Moblit a sostenerla.
"Ormai sia tu che gli altri avrete compreso che l'intero Corpo di Ricerca si sta preparando per un attacco a sorpresa contro Marley. Il tutto è fissato tra due giorni. Agiremo di sera servendoci dell'appoggio di Yelena e Zeke che si trovano sul posto. Ognuno di voi ha già ricevuto un preciso piano d'attacco. Eren ci ha spiegato chiaramente come intende agire, e tra le varie cose ha posto una precisa condizione..." Mikasa era rimasta immobile e in silenzio, sentiva addosso un freddo improvviso che le impedì qualsiasi reazione. 
"... Eren vuole che ad affiancarlo in battaglia sia tu. Ciò significa che sarai in prima linea e agirai al suo segnale. Gli altri vi copriranno le spalle, ma a conti fatti sarete soli davanti al nemico."

Hanji concluse d'un fiato ciò che aveva da dire aspettando che Armin aggiungesse qualcosa in modo da poter sondare lo stato d'animo della ragazza.

"Mi sta chiedendo se voglio farlo comandante Hanji?"

"In un certo senso sì Mikasa, è mio dovere metterti al corrente del rischio che corri. I marleyani posseggono armi molto potenti, per quanto tu possa essere forte sei pur sempre un essere umano. Non ti obbligherò a fare nulla che tu non..."

"Accetto comandante. Non è un problema per me, non sarebbe la prima volta che affronto un nemico da sola faccia a faccia."

Hanji rimase spiazzata, sapeva che non avrebbe rifiutato, eppure in cuor suo sperava di far vacillare almeno un po' le sue convinzioni.

"Mikasa non sei obbligata, possiamo trovare un altro modo per coprire le spalle a Eren, senza per questo gettarti allo sbaraglio." Armin sentì che doveva intervenire, se non altro per dare man forte ad Hanji che già sapeva per certo non avrebbe ottenuto risultati.

"Proteggere Eren è compito mio. E se lui ha voluto espressamente me è perché sa che sono l'unica che può farlo. Non c'è margine di discussione, sarà così e basta."

"Ma Mikasa io..."

"Armin!" non servì aggiungere altro, i suoi occhi taglienti non avrebbero ammesso repliche. Il ragazzo abbassò la testa in segno di resa, almeno potevano dire di averci provato.

"Comandante Hanji cosa ne pensa il capitano del piano proposto da Eren?" la domanda di Armin era legittima, si aspettava infatti di trovare anche lui lì con loro per discutere dei dettagli, invece Levi sembrava essersi dileguato nel nulla.

Hanji si sistemò gli occhiali tirando un sospiro vagamente rassegnato. "Levi sa già tutto. Ha detto che era inutile che lui presenziasse perché sapeva per certo cosa avrebbe risposto Mikasa. Sapete com'è fatto quando è convinto di qualcosa."

Sì, Mikasa lo sapeva bene, però fu solo in quell'istante che comprese realmente il senso di quegli atteggiamenti nei suoi confronti. Lui sapeva, sentiva che Eren l'avrebbe chiamata a battersi per lui, a rischiare la vita in un attacco del tutto avventato, e voleva cercare di impedirglielo. Quando aveva capito che non sarebbe riuscito a farla desistere aveva preferito tirarsene fuori.

"Non ha importanza comandante, sono io a decidere per me stessa. E a me va bene così." rispose

Non seppe il perché ma quelle parole proprio non convinsero Hanji. Sapeva che Mikasa era molto combattuta tra ciò che provava e quello che riteneva giusto fare, e sapeva bene che quei dubbi erano stati fortemente alimentati dal comportamento di Levi.

"A questo punto credo non ci siano più sospesi. Domani ci sarà la prova del nuovo equipaggiamento, stabiliremo gli ultimi dettagli e poi potremo partire." I ragazzi annuirono scambiandosi un fugace sguardo. 
"Adesso potete andare, ritenetevi liberi per stasera."

"Grazie comandante." Salutarono sugli attenti e si diressero verso l'uscita.

"Ah... Mikasa, la torretta di guardia vediamo di lasciarla vuota per questa sera. Non ti farà male farti una bella dormita, così farai stare tranquillo anche qualcun altro." un sorriso accompagnò le parole del comandante provocando un certo imbarazzo nella ragazza.

"Sissignore!" rispose, dileguandosi fuori da quella stanza seguita a ruota da Armin.

 

La tensione sembrò sciogliersi all'improvviso lasciando il posto ad una nuova consapevolezza, presto l'avrebbe rivisto. Non avevano importanza le circostanze, né l'attacco a Marley o il pericolo che avrebbe corso. Sarebbero stati di nuovo l'uno di fronte all'altro e lei avrebbe ritrovato il suo Eren.

La voce di Armin la distolse dai quei pensieri.

"La signorina Hanji ha ragione Mikasa..."

"Eh... di che parli?" chiese con sguardo assente.

"Devi riposarti, hai l'aria troppo stanca, e adesso più che mai devi essere lucida."

"Tranquillo Armin ho recepito il messaggio." Stava per tornare nella sua stanza pronta a riprendere il filo interrotto dei suoi pensieri, quando lui aggiunse qualcosa.

"In verità... credo che abbia ragione anche sul resto sai, dovresti tenere più in considerazione chi si preoccupa per te. Ma penso che tu questo già lo sappia, non è così?” avrebbe preferito non aggiungesse altro, anche se il suo silenzio diede comunque una tenue conferma a quelle parole.

“Comunque sia... ti auguro una serena notte, Mikasa.”

 

                                                                                                                                ***

Non erano previsti compiti da eseguire quella mattina, si sarebbero radunati tutti nel cortile centrale e sarebbe stato dato loro il nuovo equipaggiamento da provare autonomamente. Così Mikasa poté dedicarsi con più calma al suo allenamento mattutino che servì a scaricare tutta la tensione accumulata del giorno precedente. Aveva seguito gli ordini di Hanji restando in camera sua a riposare, anche se i risultati furono comunque scarsi. Ormai non sapeva più come fosse chiudere gli occhi e dormire senza che immagini orribili assalissero la sua mente.

Terminò l'ultima serie di flessioni e si diresse in cucina desiderosa di dissetarsi e riprendere fiato. Si avventò su di una brocca appoggiata ad uno scaffale riempendola in fretta e portandola alla bocca. Il suo corpo, che sentiva bruciare dall'interno, emise un fremito quando l'acqua fresca cominciò lentamente a raffreddarlo. Finalmente la ragazza rilassò i muscoli sedendosi su una sedia e gettando la testa all'indietro.

Aveva bisogno di raccogliere le idee, di convincersi che sarebbe andato tutto bene, che le cose sarebbero tornate ad avere un senso nel momento in cui l'avrebbe rivisto. Sì, sarebbe andata così. 
La porta della cucina lentamente si aprì annunciando l'arrivo di qualcuno. Non ci fece troppo caso, rimanendo con le braccia a penzoloni in una posa scomposta e disordinata.

"Sei tu Niccolò, sei venuto per preparare la colazione. Scusami se ho invaso il tuo spa..." sollevò la testa per guardare il suo interlocutore e si ritrovò ad incrociare due occhi affilati che la squadravano dalla testa ai piedi con le braccia incrociate.

"Guarda che non sei in una taverna, cerca di assumere una postura un po' meno da selvaggia, se ti riesce."

Per poco Mikasa non cadde dalla sedia nel tentativo di mettersi dritta. 
"Ma che diavolo ci fai nelle cucine a quest'ora?" si sentì in imbarazzo come una ragazzina appena sorpresa nel fare qualcosa di losco. Si era ritagliata quel momento di solitudine per starsene in pace. Immaginava che lui non si sarebbe fatto vedere prima della partenza, così come aveva fatto il giorno precedente, e invece era di nuovo di fronte a lei. Sentiva il suo sguardo addosso che le impediva di comportarsi con naturalezza. Nonostante l'evidente disagio della ragazza Levi continuò a tenere gli occhi puntati su di lei.

"Mi sembra evidente... sono venuto a preparmi un tè visto che qui ormai va per la maggiore quella robaccia scura dall'odore pungente."

Si avvicinò ai fornelli prendendo un bollitore per riscaldare l'acqua. Mikasa rimase in silenzio alle sue spalle, notando i suoi movimenti lenti e accurati, nulla a che vedere con l'irruenza che traspariva durante gli scontri contro i giganti. Questa strana dicotomia le provocò un'insana curiosità.

"Hai intenzione di rimanere lì a fissarmi ancora per molto?" eccolo nuovamente esordire con una delle sue solite provocazioni, Mikasa si sentì colta in flagrante.

"Non ti stavo fissando."

"Certo che lo stavi facendo, ma non ha importanza. Comunque è meglio che tu vada a farti una doccia prima di raffreddarti troppo." Finalmente smise di armeggiare con tazze e filtri e si voltò di nuovo a guardarla.

"È quello che stavo per fare. Allora... tolgo il disturbo."

Si mosse velocemente a testa bassa, togliersi da quella situazione di disagio era ciò che voleva. Si sentiva quasi in colpa, come se implicitamente gli avesse fatto un torto. Gli atteggiamenti di Levi la rendevano inquieta, aveva quel modo tutto suo di osservarla con quello sguardo affilato che sembrava volerle entrare dritto nella mente. E lei questo non lo avrebbe mai permesso a nessuno.

"Ackerman..." la chiamò con un tono di voce tanto flebile quanto risoluto. Ma non fu questo a trattenerla sul posto, bensì la stretta della sua mano attorno al braccio. Si mosse così velocemente che non riuscì nemmeno a vederlo. Un attimo prima era accanto al bollitore dell'acqua, e quello dopo praticamente di fronte a lei. Si guardarono in silenzio per diversi secondi. Di nuovo quel contatto ravvicinato le provocò un senso latente di familiarità, di sinergia, come se riuscisse a vedere se stessa attraverso i suoi occhi. 
"... non fare i tuoi soliti colpi di testa, rimani concentrata e all'erta. Sarai sotto tiro di cecchini esperti, il movimento tridimensionale potrebbe non bastare a salvarti." strinse la presa sul suo braccio come se volesse imprimere maggiore forza a quell'avvertimento.

"Non sono più una novellina capitano, saprò cavarmela te lo assicuro." quelle parole invece di rassicurarlo servirono solo ad innervosirlo ulteriormente.

"Queste cazzate puoi rifilarle a Armin o Hanji di certo non a me."

"È la verità!" stavolta fu lei ad imporsi alzando il tono di voce.

"Stronzate! Tu hai una paura fottuta ma non lo ammetteresti mai." la sua voce era maledettamente graffiante. La fece sentire sminuita e sottovalutata, e questo era inaccettabile per lei. Si divincolò dalla sua stretta serrando la bocca per la rabbia.

"Non mi hanno fermata i giganti e non lo faranno di certo i proiettili dei marleyani. Proteggerò Eren e lo riporterò a casa."

Levi sospirò poggiando la schiena contro la credenza che aveva alle spalle. 
"Non è dei marleyani che hai paura, so bene che anche cento di loro non potrebbero torcerti un capello. Tu hai paura di scoprire... che non è rimasto più nulla della persona per la quale stai rischiando la vita. In fondo sai che c'è questo rischio, lo hai sempre saputo, ma una parte di te spera ancora di sbagliarsi. E io spero per te che tu abbia ragione."

Era rimasta in silenzio, lo stupore e la spietata verità di quelle parole la lasciarono come paralizzata. Sentì un calore improvviso lungo le guance, stava piangendo... senza neanche accorgersene. Levi distese lo sguardo, non era quella la reazione che desiderava provocarle. Provò ad avvicinarsi ma lei si tirò indietro terrorizzata stavolta.

"Sta lontano da me! Non avvicinarti, non dire più niente, non voglio starti a sentire. Non ti permetto di avere la presunzione di sapere ciò penso o che provo. Il fatto che abbiamo lo stesso cognome non significa che puoi arrogarti il diritto di giudicarmi. Tu non mi conosci, ma soprattutto non conosci Eren."

Levi azzardò nuovamente qualche passo nella sua direzione. "E tu invece... credi di conoscerlo davvero?"

Forse un tempo avrebbe risposto di sì senza esitazioni, ma adesso cosa avrebbe potuto dirgli. Le parole le morirono in gola. Doveva uscire da quella stanza prima di commettere qualche imprudenza. Doveva prendere aria prima di soffocare definitivamente. 
"Va all'inferno Levi!" digrignò tra i denti sbattendo la porta alle sue spalle e rompendo il silenzio ovattato che si era creato intorno a loro.

 

Levi tornò accanto al bollitore versando nella tazzina l'acqua ormai fin troppo bollente. Attese che l'odore del tè gli calmasse i sensi. Si sedette al tavolo rilassando le spalle e corrucciando la fronte.

"Ho fatto proprio un bel casino..." disse tra sé, sprofondando il viso tra le mani.

 

                                                                                                                                 ***

Il sole stava scomparendo lentamente lasciando il posto ai colori rossastri del tramonto. Mikasa indossò con estrema lentezza la nuova uniforme che aderiva come un guanto al suo corpo scolpito. Strinse con forza le cinghie del movimento tridimensionale e raccolse, esitando, la sciarpa rossa riposta sul letto. Il giorno che precedette quella partenza fu strano per tutti loro. Sapevano, pur senza parlare, che stavano segnando una linea di confine tra ciò che erano e quello che sarebbero diventati da quel momento in avanti. Mikasa si era nuovamente chiusa in un silenzio ermetico e rabbioso. Nessuno osava rivolgerle la parola, e il comandante Hanji non poté non notare il gelo palpabile che intercorreva tra lei e Levi.

Avrebbe voluto indagare meglio cercando di distendere gli animi, ma la situazione non lo permetteva. Ciò che adesso premeva a tutti era ritornare sani e salvi, e possibilmente senza perdite, a Paradis.

Il momento della partenza era finalmente arrivato, tutto era pronto, eppure Mikasa sembrava esitare nel dover lasciare la sua stanza. Sentiva che qualcosa in lei era cambiato, lentamente ma inesorabilmente. Forse era accaduto senza che neanche se ne accorgesse, eppure sentiva come se dentro qualcosa stesse per cedere, spezzandosi irrimediabilmente. Ciò avrebbe significato dover nuovamente ricominciare, stavolta però da sola.

Un repentino bussare alla porta la distolse dai suoi pensieri.

"Ehi Mikasa siamo pronti, manchi solo tu, forza andiamo..." Jean fece capolino nella stanza scomparendo un attimo dopo aver terminato di parlare.

C'era un gran movimento in giro, se ne accorse solo in quel momento. Raccolse le ultime cose chiuse gli occhi e finalmente lasciò la stanza.

 

Mezz'ora dopo il dirigibile che li trasportava stava lasciando Paradis in direzione di Marley. Arrivati in prossimità del loro obbiettivo avrebbero proseguito lanciandosi con il movimento tridimensionale in modo da coglierli di sorpresa. Hanji stava dando le ultime disposizioni alla squadra. Mikasa decise che ne aveva abbastanza di ascoltare tattiche e spiegazioni così si allontanò dal gruppo. Si richiuse la porta della sala comandi alle spalle e voltandosi si ritrovò faccia a faccia con Levi.

Si scrutarono a vicenda per un tempo che sembrò infinito, nessuno dei due avrebbe ceduto abbassando lo sguardo. Solo che stravolta quella risoluta e perspicace fu lei, notando nell'uomo che le stava di fronte una certa apprensione negli occhi che tremavano in modo impercettibile.

Si mosse veloce superandolo di qualche passo. Non aveva la forza mentale in quel momento di affrontare l'ennesima discussione, e sperò che lo stesso valesse per lui.

"Mikasa, ricordati che la mia posizione non sarà molto distante dalla vostra. Se sarà necessario interverrò per darvi supporto, quindi cerca di non strafare come al solito." le parlò senza neanche voltarsi, e lei lo ascoltò facendo altrettanto.

"Non sarà necessario il tuo intervento..."

"Questo è un ordine, non un suggerimento. Quindi rispetta le disposizioni di un tuo diretto superiore. Ci siamo intesi?" la interruppe all'istante, cercando di dare un tono perentorio alla sua voce.

Mikasa ebbe l'impressione di essere tornata una semplice cadetta alle prime armi. Per un attimo le tornò alla mente quel giorno nel bosco quando inseguivano il gigante femmina. Il furore della battaglia, la paura di perdere Eren la resero avventata esponendola come facile preda del nemico. Non aveva ascoltato gli ordini di Levi, come sempre, è aveva rischiato di farsi ammazzare. Se lei e Eren erano sopravvissuti quella volta, lo dovevano soltanto a lui. Inconsciamente ricordò di non averlo mai ringraziato e la cosa la fece sentire stranamente in colpa.

Non era quello però il momento per lasciarsi andare ai ricordi o futili schermaglie, neanche lui l'avrebbe permesso. Così si limitò a rispondere come le riusciva meglio fare, da ineccepibile soldato qual era.

"Agli ordini capitano Levi." lui registrò in un luogo della sua mente quella risposta formale, tenendo serbato per sé ciò che avrebbe voluto aggiungere.

L'arrivo di Hanji che spalancò la porta fu il momento esatto in cui seppero che non avrebbero più potuto tirarsi indietro ma solo avanzare.

"Ragazzi ci siamo, è il momento di cominciare a prendere posizione. Andate!"

Solo in quell'attimo i loro sguardi si incrociarono di nuovo, voltati entrambi nella stessa direzione. Occhi affilati, famelici e agguerriti, occhi di cacciatori spietati, di chi aveva fatto propria l'arte di uccidere e la condanna di sopravvivere al costante rimorso. Muscoli tesi e armi in pugno, erano in perfetta simbiosi. Due macchine da guerra il cui reciproco e costante tormento era l'unica cosa che li tenesse ancorati a quell'assurda esistenza.





Ben ritrovati a coloro che ancora stanno seguendo questa long. La scorsa settimana il capitolo è stato più breve del solito, ma c'è un motivo. Mi serviva il momento giusto per spezzare e introdurre così, questa settimana, l'ultima parte che riguarda questo arco narrativo della storia. Da qui in avanti sappiamo bene come sono andate le cose quindi sarebbe ripetitivo che io le descrivessi nuovamente, anche perchè vanno già benissimo come le ha trattate l'autore originale. 
Dalla prossima settimana ci sarà una sorta di "time skip" e da lì in avanti, fatta eccezione per alcuni fatti, la storia seguirà la mia linea narrativa. Chi sono i protagonisti penso l'abbiate ampiamente capito, così come ho ceracto di evidenzare i loro rapporti e le differenze che intercorrono. Spero di continuare ad appassionarvi e ad incentivare il vostro interesse. Grazie infinite e arrivederci a giovedì prossimo.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Malinconici ricordi tra volti familiari. ***




La storia riprende dopo un "time skip" temporale. Sono trascorsi i tre anni canonici dalla fine della guerra. Alcuni fatti, da questo punto in poi, seguiranno la parte conclusiva del manga, altri sono di mia invenzione . Ci risentiamo in fondo al capitolo, buona lettura.



Un vento leggero si insinuava tra i rami degli alberi creando un suono tenue e rilassante. La natura si apprestava a rinascere spargendo ovunque i suoi variegati colori.

Il cielo terso, macchiato solo da sporadiche nuvole bianche, si lasciava guardare, quasi a desiderare che il suo osservatore perdesse il proprio sguardo nella sua immensità.
Una figura di donna, pigramente adagiata all'ombra di un albero, osservava da non molto distante dei bambini rincorrersi sul prato.

Le loro risate erano l'unico piacevole frastuono nella vastità di quel silenzio che sembrava avvolgerla. Chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente vagasse tra i ricordi, mescolando i volti e le risate di quei bambini con altri... ben più familiari.

Volti, occhi, sguardi, risate che facevano parte di un tempo lontano chiuso nella memoria come un tesoro prezioso da custodire e proteggere. Pensieri che le facevano tremare il cuore costringendola a stringere ancora più forte le braccia intorno al corpo. Il suo era un freddo che non sarebbe mai passato, né poteva essere lenito. Ormai vi era abituata, assuefatta a quel dolore tenue ma costante che si portava dentro e con il quale conviveva da tre anni. Riaprì gli occhi all'improvviso allertata da un leggero rumore alle sue spalle. Era lento e cadenzato ma pian piano si faceva più vicino. Rumore di passi in avvicinamento. Si alzò senza voltarsi. Erano passati anni eppure i suoi sensi erano sempre affilati e allerta come quelli di un predatore, anche se colui che aspettava non era di certo un nemico.

Il rumore alle sue spalle si fermò e lei finalmente decise di voltarsi.

Una folata di vento le sciolse il nastro che aveva tra i capelli lasciandoli liberi e ribelli. Si tenne la sciarpa con la mano destra, nel timore che anch'essa potesse sfuggirle via.

I suoi occhi grigi e allungati incrociarono un azzurro intenso che ben conosceva. Per un attimo le sembrò di rivedere per la prima volta il colore di quel mare che tanto avevano anelato. Sentì gli occhi inumidirsi di calde lacrime, ma cercò di trattenersi dal lasciarle scorrere inesorabili.

"È passato molto tempo dall'ultima volta che ci siamo visti. Ti trovo al quanto bene, e vedo che ti sei fatta crescere i capelli finalmente." Parlò con un filo di voce, come suo solito. Era visibilmente commosso anche lui. Cercava di mantenere lo sguardo fisso in quello della sua più cara amica, rimandando il momento in cui gli occhi sarebbero caduti inevitabilmente sulla piccola lapide incisa ai piedi di quell'albero.

"Anche tu stai bene. Hai l'aria un po' stanca ma ti trovo sereno. Sono contenta che tu sia tornato... Armin."

"Ed io sono contento di averlo fatto Mikasa."

Finalmente si avvicinò alla ragazza e lo stesso fece lei incontrandosi a metà strada, sciogliendo così quei tre anni di distanza in un abbraccio nel quale soffocarono entrambi le lacrime che ancora restavano loro. Si guardarono a lungo, cercando nei loro sguardi quella familiarità, quell'affetto e quella comprensione che solo chi aveva vissuto le stesse esperienze poteva avere.

"Ci sei mancato... Armin." sussurrò, non appena riuscì a smettere di singhiozzare.

"Anche voi mi siete mancati." rispose, assecondando le parole di Mikasa e includendo in quell'incontro anche chi non poteva più esserci fisicamente ma rimaneva sempre presente tra loro.

"Sei tornato da solo?"

"Certo che no. Ti avevo anticipato che li avrei portati tutti con me." e in quell'istante si voltò alle sue spalle facendo segno loro di raggiungerli.

Lo sguardo di Mikasa sembrò riprendere vita non appena udì la voce squillante di Connie e le imprecazioni di Jean che battibeccava con Reiner. Fece qualche passo per poterli vedere meglio e con grande sorpresa vide che con loro c'era anche Annie.

"Ehi Armin... sei riuscito persino a convincere Annie a seguirti. Le tue capacità di persuasione sono decisamente migliorate." lo stuzzicò sorridendo.

"Ma che dici... smettila. Era felice anche lei di poter tornare. In fondo in un modo o nell'altro siamo tutti legati a questo posto."

Solo allora, quando vide che Mikasa non lo stava osservando, guardò con attenzione la lapide che conteneva ciò che restava di Eren. Il petto prese a fargli male, come se quel dolore che aveva soffocato per tutto quel tempo tornasse all'improvviso ricordandogli di avergli solo dato l'illusione di essere svanito.

"Ehi Mikasa come stai!" l'abbraccio di Connie fu breve e caloroso, le ricordò i vecchi tempi.

"Chiassoso come sempre eh... non ti smentisci mai."

"Lasciala respirare per la miseria così la soffochi." intervenne Jean

"Ma sta zitto. Dì piuttosto che vorresti stringerla tu in un caldo abbraccio..."

"Stupido idiota io ti ammazzo se non chiudi subito quella bocca!" gli si avventò contro cercando di mascherare il suo totale imbarazzo.

"Come vedi certe cose non cambiano mai." la voce profonda e calma di Reiner la fecero voltare nella sua direzione.

Si osservarono a lungo e in silenzio. L'astio che Mikasa nutriva nei suoi confronti non era un segreto per nessuno. Avevano archiviato le divergenze che li avevano messi l'uno contro l'altro, eppure... in modo latente e silenzioso c'era sempre come una coltre spessa di diffidenza che serpeggiava tra loro.

"Forse non è un male che certe cose rimangano uguali." rispose in modo composto, forse più del dovuto.

"Ehilà... ti trovo bene Mikasa." una voce familiare che ben ricordava fece spostare la sua attenzione alle spalle di Reiner.

"Annie, mi sorprende davvero vederti insieme a questi tipi poco raccomandabili." rispose, marcando la voce sull'ultima affermazione che non sfuggì alle orecchie di Connie e Jean.

"Noi? Poco raccomandabili? Ma se quei due hanno provato ad ammazzarci un'infinità di volte." urlò Jean

"Guarda che sono sempre in tempo a rimediare." gli rispose subito Reiner

"Ah sì? Ma non credere che te lo renderò facile ammasso di muscoli senza cervello!" cominciò ad imprecare.

"Ecco che ricominciano..." sospirò Annie con aria rassegnata.

Mikasa li osservò uno ad uno. Erano cambiati, il loro sguardo era diverso, e sarebbe stato così per sempre, perché l'orrore che avevano vissuto lo portavano marchiato addosso in modo indelebile. Eppure in quelle abituali e vecchie schermaglie lei colse quella voglia di guardare avanti e ricominciare che avevano sempre rincorso fin da quando erano ragazzi. In un modo o nell'altro c'era riuscito. Li aveva radunati tutti attorno a sé, aveva lasciato che vedessero il mondo che lui aveva protetto, seppur a modo suo.

Un mondo che sapeva per certo non sarebbe mai riuscito a vedere. Aveva reso amici coloro che un tempo provavano solo odio reciproco. La loro voce avrebbe raccontato una storia che per molti poteva sembrare solo una favola grottesca per spaventare i bambini. 
In quei volti era racchiusa la sua speranza, i suoi sogni, il futuro che non aveva potuto vivere. Aveva compiuto un piccolo miracolo che adesso risplendeva come una tenue speranza nel mare d'odio e d'orrore che li aveva sempre circondati.

Radunati all'ombra di quell'albero restarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, ognuno ricordando un momento, una parola un gesto che avevano condiviso con lui. Quando i loro sguardi si incrociarono il pensiero di tutti viaggiò lungo la medesima linea immaginaria, così come un tempo i sentieri potevano guidare i ricordi di ogni persona. Avrebbero voluto che Sasha fosse lì con loro. Mai come in quel momento la sua assenza sembrava di nuovo avere un peso insostenibile, che faceva male fin nel profondo.

Lei avrebbe saputo cosa dire, avrebbe colto qualche sfumatura divertente e ci avrebbe ironizzato sù. Loro avrebbero riso... mascherando il pianto e sarebbero andati avanti. Ma lei non c'era, e il silenzio di quel momento divenne una cappa opprimente impossibile da sopportare oltre.

Fu Armin il primo a distogliere gli occhi lasciando che il suo sguardo si perdesse oltre la collina sulla quale si trovavano. Osservava attento e avido tutto ciò che lo circondava. Non tornava in quei luogo da tre anni e solo in quel momento si rese conto che lentamente le persone stavano ricostruendo ciò che avevano perso. I bambini che fino a quel momento avevano giocato rincorrendosi a vicenda vennero chiamati da una voce di donna che intimava loro di tornare a casa perché il pranzo era quasi pronto. Armin, guardando quella scena, si ritrovò a sorridere nello stesso modo malinconico in cui anche Mikasa aveva fatto vedendoli giocare.

"Ragazzi sarete stanchi, forza seguitemi vi ho preparato qualcosa da mangiare."

Gli occhi di Connie si illuminarono per la sorpresa. "Dici davvero? Non credevo che sapessi cucinare?"

Lo sguardo piccato di Mikasa lo fece rabbrividire riportandolo ai vecchi tempi.

"Ma sta zitto idiota, non ne fai una giusta." lo rimbeccò Jean

"Vedete di piantarla voi due." intervenne Annie placandoli entrambi.


Lasciarono la collina scendendo più a valle per un breve tratto, da lontano poterono scorgere una piccola baita interamente circondata da fiori che si stagliava solitaria nella tranquillità che la circondava.

"Quella è casa tua Mikasa?" chiese Armin

"Direi di sì, anche se definirla mia non è proprio corretto. Diciamo che girando qui intorno l'ho trovata, e visto che era disabitata e in stato di abbandono l'ho rimessa in sesto prendendola in prestito come casa."

Giunsero sotto al portico e si trattennero per un attimo ad osservare la natura rigogliosa di quel luogo che si estendeva dinanzi a loro.

"Pensavo che Historia ti avrebbe ricompensata in modo più adeguato per i servigi resi durante la guerra." Reiner le parlò guardandola dritta negli occhi. Non voleva provocarla, ma la necessità di sapere cosa fosse accaduto in quegli anni lo resero al quanto diretto nelle parole.

"Credo che Historia abbia cose più importanti di cui occuparsi. Ci sono ancora piccoli focolai di gruppi jeageristi da tenere a bada, prima che possano diventare pericolosi. E poi la ricostruzione dell'intera isola non è cosa da poco. Per quanto riguarda me... non mi serve l'aiuto di nessuno, so cavarmela benissimo da sola." concluse.

"Su questo non avevo dubbi." rispose conciso Reiner

"Allora vogliamo entrare?" Annie spezzò finalmente la sfida di sguardi tra i due prendendo l'iniziativa ed entrando in casa.


Una tavola imbandita li accolse in modo inatteso. Era semplice eppure molto curata. Armin sorrise e quasi si commosse, dopo tanto tempo finalmente poteva dire di trovarsi in un luogo dall'odore familiare. Il pranzo semplice ma gustoso preparato da Mikasa fu molto apprezzato. Le verdure che aveva imparato a coltivare da sua madre, quando era piccola, si rivelarono una risorsa preziosa.

"Te la cavi ai fornelli Mikasa, non credevo davvero. È sorprendente." l'espressione stupita di Armin fu condivisa anche da tutti gli altri.

"Diciamo... che non è tutta farina del mio sacco. Parecchie cose me le ha preparate la titolare dell'emporio in paese. Io ho fatto solo una minima parte."

"Tranquilla, non devi mica giustificarti siamo qui perché ci fa piacere e perché in fondo... quest'isola è pur sempre casa nostra." le parole di Jean espressero il pensiero di tutti, e Mikasa gliene fu sinceramente grata.

"Ma lo sai che Jean è diventato proprio un bravo oratore. Sapessi quanto parla, di continuo, anche quando nessuno lo ascolta più. Credo che andando avanti di questo passo lo crederanno un pazzo delirante."

"Io te la spacco quella testa vuota che ti ritrovi Connie Springer. Giuro che ti cambio i connotati prima o poi."

"Comunque in parte è vero..." intervenne Reiner

"Che vuoi dire?"

"Tu parli davvero troppo Jean, come se adorassi il suono della tua stessa voce."

A quel punto il limite di sopportazione fu raggiunto. "Ma senti da che pulpito. Lo sniffatore seriale di lettere. Se lo sapesse Historia ci faresti una figura da pervertito lo sai."

Reiner abbassò lo sguardo visibilmente imbarazzato, mentre Jean continuava ad urlargli contro.

"E pensare che in molti li considerano eroi..." le parole di Annie rivolte a Mikasa provocarono in quest'ultima una schietta risata.

Da quanto non si sentiva così leggera, da quanto non ascoltava le loro voci, i litigi, le battute, persino le imprecazioni le erano mancate. I loro occhi, quegli sguardi ai quali non servivano parole per capire, per capirsi. Ormai erano legati, da un filo sottile e indissolubile. Per quanta distanza quel mondo potesse mettere tra loro, alla fine si sarebbero sempre ritrovati. Armin rimase a guardarla in modo defilato. C'era ancora tristezza nei suoi occhi, il suo viso però gli appariva più disteso. Ormai aveva raggiunto la consapevolezza che non c'era altra strada da percorrere. L'aveva accettato, e in quei tre anni aveva imparato a convivere con le scelte fatte.

 

Era pomeriggio inoltrato quando Jean propose di fare un giro in paese. Connie, Annie e Reiner accettarono mentre Armin preferì rimanere con Mikasa che non aveva particolare voglia di passeggiare quella sera.

"Sei sicuro che non ti scoccia il fatto che vada con loro?"

"Certo che no, vai pure e divertiti."

"Ma potrei rimanere anch'io a farvi compagnia." insistette Annie

"Ti ho detto di andare, non preoccuparti. E poi se non ci sei tu quei tre rischiano di farsi arrestare dalla gendarmeria per schiamazzi."

"Come vuoi, allora ci vediamo più tardi." gli strinse le mani tra le sue, sfiorando la sua guancia con un lieve bacio.

Quando vide i tre allontanarsi Mikasa fece capolino sotto il portico con un vassoio tra le mani che poggiò delicatamente su di un tavolino in legno. Armin si voltò nel momento stesso in cui Annie non fu più a portata del suo sguardo, e notò che Mikasa lo stava guardando sorridendo.

"Che hai? Perché fai quella faccia?"

"Quale faccia? Guarda che la mia è un'espressione del tutto normale."

"Se vuoi chiedermi qualcosa puoi farlo. Sai che non ti mentirei mai." lo sguardo della ragazza si addolcì sentendo quelle parole.

"Non c'è niente che debba chiederti che i tuoi occhi non mi abbiamo già mostrato Armin. Se tu sei felice, io lo sono per te, non serve che sappia altro."

Il ragazzo ricambiò lo sguardo di Mikasa sorridendo con un leggero rossore sul volto. Lei intanto stava versando del tè nero fumante in due ampie tazze. 
Armin si sorprese."Da quando bevi del tè?"

"Da un po' in effetti... anche se preferisco di gran lunga il caffè bollente, però ci sono volte in cui ne sento l'esigenza." rispose senza sollevare lo sguardo dal tavolo.

Gli diede una delle tazze e lui incatenò gli occhi di lei nei suoi per evitare che potesse sfuggirgli.

"Sai una cosa..." cominciò, soppesando bene le sue prossime parole "... sono sorpreso che da stamane tu non mi abbia ancora chiesto di lui."

Mikasa trasalì in modo talmente evidente che cercare di mascherarlo sarebbe stato inutile. Ovviamente il riferimento di Armin venne colto al volo. 
"Abbiamo parlato di tante cose oggi, mi sarà passato di mente evidentemente."

Lui bevve un sorso senza staccarle gli occhi di dosso. "Io non credo, ma se lo dici tu..."

"Non vi ho chiesto neppure di Pieck se è per questo, ma non ti sei sorpreso più di tanto."

Armin si fece serio, aveva capito che lei stava sviando il discorso di proposito e la cosa non gli andava giù. "Avrai sicuramente intuito che Pieck è tornata a Marley a trovare suo padre, e poi lei sta più che bene, al contrario di qualcun altro." rispose

"Anche gli altri avrebbero potuto tornare dai propri familiari, invece hanno scelto di seguirti."

"Sì è vero, ma non sarebbero mai potuti tornare dai loro cari senza prima essere passati qui a Paradis a portargli un saluto. Era una promessa che ci scambiammo dopo la fine della guerra." lo sguardo di Armin divenne triste al solo ricordo di tutta la devastazione che avevano intorno durante quei giorni.

"Capisco." La voce di Mikasa lo ridestò all'istante.

"Ehi... non sviare il discorso, con me non attacca. Davvero non ti interessa di sapere del capitano Levi, di Gabi e Falco?"

Erano anni che non sentiva pronunciare il suo nome, e adesso sentirlo chiamare nuovamente con il grado di capitano le provocò una frustrante nostalgia mista a paura. Finì il suo tè, assaporandone l'ultimo sorso. Ci aveva messo del tempo ma alla fine aveva capito come mai a Levi piacesse tanto quella bevanda. In principio quasi non la sopportava, quel profumo riportava alla mente troppi ricordi, troppo dolore. 
Poi capì che assaporandolo nel modo giusto aveva il potere di tranquillizzarla e placare il suo animo. Lentamente i ricordi sembravano non fare più così male, diventando un qualcosa da poter sopportare senza rimanerne distrutta.

"Mi sono tenuta in contatto con Historia, ci siamo scritte, e so che quei tre sono insieme in una città che si chiama Londra. Mi ha riferito che lui si sta ancora riprendendo dalle ferite riportate, ma tutto sommato sta bene. Questo è quanto, e ciò mi basta." concluse

L'atteggiamento assunto da Mikasa lo irritò terribilmente. Si stava di nuovo chiudendo a riccio, nel suo tipico modo scontroso e risoluto di chi non vuole far trasparire ciò che prova realmente.

"Davvero ti basta questo? Sai Mikasa credevo avessi smesso di raccontarti cavolate ma vedo che non è così."

"Ti prego Armin non ricominciare..."

"Io ricomincio eccome! Perché so come sei fatta e questo tuo modo di parlare lo conosco fin troppo bene."

"Beh... mi dispiace se credevi di trovarmi cambiata, temo di non poter essere diversa da come sono."

Armin si alzò osservando il sole che cominciava a tingersi dei caldi colori del tramonto. In quegli anni aveva visto diverse albe e molti tramonti. Aveva conosciuto persone e culture diverse, paesaggi incantevoli e costruzioni imponenti. Eppure niente era paragonabile a ciò che provava su quell'isola nella quale era nato e cresciuto, un luogo che racchiudeva in sé ciò che era stato e quello che rappresentava adesso.

"Sai Mikasa... io ho compreso bene il motivo per cui non sei venuta con noi durante questi anni. Il dolore che sentivi dentro era un qualcosa di tuo soltanto che dovevi viverti e superare da sola, con i tuoi tempi. Adesso però la guerra è finita, sono trascorsi anni, e benché ci sia ancora tanta incomprensione e diffidenza nei nostri confronti noi abbiamo il dovere di lottare. Di camminare a testa alta e difendere ciò che abbiamo conquistato. Conosci così poco delle origini della tua famiglia, pur sapendo che c'è qualcuno che potrebbe aiutarti tu ti rifiuti persino di nominarlo. Perché mi chiedo?" si voltò verso di lei pretendendo una risposta.

"Non c'è niente degli Ackerman che mi interessi sapere. Ciò che conosco mi basta e avanza. Tu ed Eren eravate la mia famiglia, non mi serve sapere altro."

"È qui che ti sbagli invece! Allora anche a nessuno di noi serviva sapere altro. Se avessimo ragionato tutti in questo modo saremmo rimasti perennemente dietro le mura aspettando una morte inevitabile come topi in gabbia. Invece abbiamo voluto sapere e conoscere, e questo desiderio ci ha portato tanta sofferenza e dolore ma anche tanta speranza. Ci ha fatto incontrare persone nuove, che ci hanno accettato e capito. Niente potrà mai essere facile in questa vita Mikasa... però adesso noi sappiamo di avere la forza necessaria per affrontarlo. Questo dovresti saperlo bene."

In quel preciso istante si rese conto di quanto Armin gli fosse mancato, di quanto le sue parole riuscissero a scuoterla dentro. Le era mancata la sua incrollabile fiducia nel prossimo, e quel suo modo di cogliere in qualsiasi cosa un lato positivo.

"Mi sei mancato tanto... Armin." lo disse con una semplicità così disarmante da sorprenderlo. Gli occhi lucidi e le labbra tremanti della ragazza gli fecero capire di quanto il suo cuore fosse ancora preda di tumulti e dolore. Si avvicinò lentamente e la strinse con dolcezza lasciando che sfogasse le sue lacrime nell'incavo del suo collo.

"Mi sei mancata anche tu... testona." rispose, dandole un buffetto sulla spalla.

"La verità è che ho sempre avuto paura di capire chi sono realmente. Abbiamo combattuto per metà della nostra vita, a volte credo di non saper fare altro che ferire a morte le persone. Li rivedo sai... nei miei sogni, quando provo a non pensare, loro mi tormentano ricordandomi le mie azioni. Volti di uomini, donne, intere famiglie. È atroce, e il più delle volte insostenibile."

"E tu pensi che per noi sia diverso? Tutti ci siamo sporcati le mani e l'anima Mikasa, non siamo migliori di te. Lo sapevamo e ne abbiamo accettato il peso. Sei stata per troppo tempo da sola chiusa nel tuo dolore, è arrivato il momento anche per te di vedere quel mondo che lui ci ha lasciato da difendere."

"Non c'è posto in questo mondo che possa riportarlo indietro da me... non c'è luogo che io possa vedere senza pensare che avrei voluto scoprirlo con lui." gridò quelle parole senza accorgersene, perché aveva bisogno di tirarle fuori, aveva necessità che qualcuno le ascoltasse.

"Lo so... ma nonostante tutto, credimi, il mondo al di fuori di quest'isola vale la pena di essere visto. E poi lui sarà sempre con te, come lo è stato fino ad ora." la sfiorò all'altezza del cuore soffermando lo sguardo sulla sua sciarpa rossa, ormai scolorita dal tempo.

"Ti prometto che ci penserò..." rispose asciugandosi gli occhi.

 

La luna era già alta nel cielo quando decisero di rientrare per godere del caldo tepore della baita. "Siamo tornati! Accidenti la temperatura all'esterno è piuttosto fresca ancora" Connie rabbrividì entrando dalla porta.

"Guarda loro invece... distesi comodamente a godersi piacevolmente questo bel tramonto."

"Non stare sempre a lamentarti Jean, forza entrate vi preparo un caffè caldo." si alzò dirigendosi ai fornelli ma al ragazzo non sfuggirono i suoi occhi arrossati dalle lacrime.

"Armin... va tutto bene?"

"Tranquillo Jean, non è niente,

Anche per Reiner e Annie fu chiaro fin da subito il motivo per il quale Armin aveva deciso di rimanere con Mikasa, quindi evitarono di porre ulteriori domande.

"Ragazzi se sapete adattarvi potete rimanere qui quanto volete. Al piano di sopra ci sono due camere da letto, io starò con Annie e voi potete prendere l'altra."

"Non che mi entusiasmi molto l'idea di dormire nella stessa stanza con lui." rispose Reiner indicando Jean.

"La cosa è reciproca, ecco perché mi sistemerò su questo comodo divano, idiota!"

"Ci sono due ampi letti per ogni stanza, dovreste avere abbastanza spazio."

"Ti ringrazio Mikasa, ma credimi il divano andrà benissimo."

"Comunque tra due giorni ripartiamo. Domani andremo a Mitras per salutare Historia e aggiornarla sulla situazione e poi ci rimetteremo in viaggio." la informò Armin

"Così presto?" la delusione nella sua voce fu palpabile.

"Ricordati quello di cui abbiamo parlato, riflettici bene, poi mi darai una risposta."

Mikasa abbassò lo sguardo sfiorando la sciarpa. Non si era allontanata da quel luogo per tre anni, pensare che la sua quotidianità potesse essere diversa da quella la spaventava. Eppure dal momento in cui aveva parlato con Armin di Levi, il pensiero di volerlo rivedere non sembrava più una cosa così irrealizzabile. Avrebbe potuto trovare le risposte alle domande che si era sempre posta, e fare chiarezza sui molti dubbi legati alle sue origini.

Si sorprese ad assorvarli in silenzio durante la cena. Avevano raggiunto una tale conoscenza ed armonia da capirsi al volo. Lei, che non era mai stata particolarmente loquace, si scoprì un'attenta osservatrice e la cosa la rese ugualmente felice. Si trattennero accanto al fuoco morente a lungo, fino a quando la stanchezza non ebbe la meglio.

 

Il silenzio e la solitudine che l'avevano accompagnata in quei tre anni erano stati improvvisamente sostituiti dalla loro presenza. D'improvviso quella baita aveva acquistato un nuovo calore, un calore dal sapore familiare. Se chiudeva gli occhi poteva quasi rivedere tutti loro, quando dormivano sotto lo stesso tetto ai tempi dell'addestramento. Quando ancora i loro sguardi erano carichi di speranze e aspettative. Provò a rigirarsi nel letto, ma il sonno anche quella volta sembrava non volerla accogliere.

"Neanche tu riesci a dormire?"

La voce di Annie la sorprese facendola sollevare dal letto. "Non sono la sola vedo."

"Per forza, il russare di Reiner terrebbe sveglio persino un sordo."

Quell'affermazione trovò conferma nella lieve risata di Mikasa. "Allora... cosa hai deciso di fare, partirai con noi?" le chiese a bruciapelo.

"E tu come fai..."

"A saperlo? Beh... diciamo che se ho imparato a conoscere un po' Armin, come credo, sono sicura che lui te lo avrà già chiesto. E tu stai ancora valutando cosa fare."

"Lo conosci più che bene allora. Credo che chiunque sia meritevole dell'affetto di Armin debba ritenersi una persona fortunata."

"Sì, lo so. Però tu non hai risposto alla mia domanda."

Mikasa si mise definitivamente seduta sul letto con le gambe incrociate, cercando una risposta che ancora non aveva. "Ci sto ancora pensando..."

"Quindi non hai scartato la sua proposta a priori, direi che è già qualcosa."

"Non so se sia la cosa giusta per me in questo momento.

"Ma non puoi neanche dire che sia quella sbagliata. Devi provarci per scoprirlo. E poi... nessuno ti vieta di tornare qui quando ne avrai voglia. Ma sai anche che non puoi restare così per sempre."

Mikasa abbassò lo sguardo. Se un giorno le avessero detto che avrebbe discusso in piena notte del suo futuro con Annie Leonhart avrebbe dato loro dei pazzi, e invece...
"Forse hai ragione, ma non è facile lo stesso."

In quel momento Annie si rese conto che la ragazza che aveva di fronte non era solo coriacea estermamente ma anche all'interno. Armin aveva avuto il suo bel da fare per tenerla a bada in tutti quegli anni.

"Accidenti, più ti osservo e più similitudini vedo tra te e quel testone del capitano Levi. Sembrate fatti della stessa pasta. Comunque sia dormici sù, magari domani parlando con Historia potresti convincerti definitivamente."

Non era la prima volta che la paragonavano a Levi. Negli anni in cui aveva fatto parte del Corpo di Ricerca in molti, soprattutto le nuove reclute, avevano sempre evidenziato il fatto che entrambi sembrassero l'estensione l'uno dell'altra, soprattutto in battaglia. Avevano un modo di capirsi tutto loro, che non ammetteva parole, solo sguardi e puro istinto. Anche lei lo sapeva bene, ma non lo avrebbe mai ammesso.

Si rimise distesa tirando un lungo sospiro sperando di mettere a tacere i mille pensieri che affollavano la sua mente.




Eccoci nuovamente per questa sorta di "seconda parte" della storia. Ciò che è accaduto lo conosciamo bene, il manga è terminato da qualche mese e quindi mi sembra giusto portare avanti coloro che sono sopravvissuti a questo incredibile racconto. Eren ha lasciato loro un mondo da difendere sacrificando se stesso e venendo giudicato a metà tra mostro genocida e dittatore. Adesso c'è un dopo... che tutti loro devono affrontare. Inutile dirvi su quale personaggio focalizzerò la mia attenzione, penso sia piuttosto palese.
Un'ultima precisazione e poi vi lascio. Nelle tavoli finali del manga si vede Levi insieme a Gabi, Falco e Onyankopon in una città del tutto nuova che io, e altre amiche, abbiamo dedotto possa essere Londra. Non è specificato comunque, quindi prendetela come una mia personale libertà ai fini della storia. Per adesso vi saluto ringraziandovi come sempre. Ci rivediamo la prossima settimana.

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Capitolo 6
*** Incontri, decisioni e nuove consapevolezze ***


Il giorno seguente partirono per Mitras all'alba. Si erano trovati tutti d'accordo con la necessità di non dare troppo nell'occhio per evitare possibili scontri con gruppi di jeageristi che militavano ancora nella città. 
La Gendarmeria Centrale e i divieti di Historia li avevano solo costretti a rintanarsi maggiormente nella loro ristretta cerchia, senza però estirpare il problema alla radice.

La regina aveva mantenuto stretti contatti con tutti loro attraverso lettere e missive inviate anche da parte dei loro alleati. Rivederli di persona però era qualcosa che sperava di fare da molto tempo.

Mikasa non metteva piede a Mitras da anni, così come anche gli altri. Probabilmente se non fosse stato per la loro presenza non avrebbe mai preso nemmeno l'iniziativa. Le comunicazioni scritte per lei erano più che sufficienti, e adesso capiva il perché. 
Ogni luogo, strada o palazzo che intravedeva le ricordavano il passato. Anche se l'aspetto era cambiato sentiva su di sé un'aria pesante, carica di tensione. Quei luoghi non le appartenevano più, lei si era rintanata altrove, lì... dove politica, guerra e affari di stato non potevano raggiungerla. Nonostante questo ebbe la certezza che prima o poi quel momento sarebbe giunto. E adesso era finalmente arrivato.

"Va tutto bene Mikasa?" le chiese Armin

"Si... tranquillo sto bene."

Il nitrito dei cavalli anticipò il rallentamento del carro sul quale viaggiavano facendoli voltare. "Ragazzi siamo arrivati a palazzo." disse loro Jean.

Non appena furono avvistati dalle guardie vennero tutti gentilmente condotti alla presenza della regina, la quale era già stata avvisata del loro arrivo giorni addietro da una lettera di Armin. 
Historia non li attendeva nella consueta sala del trono, bensì in una stanza privata e informale dove avrebbero potuto essere maggiormente a loro agio.

Una delle guardie bussò appena alla porta una volta giunti a destinazione.

"Avanti, prego."

"Maestà gli ospiti che attendevate sono arrivati."

"Ottimo, falli entrare." gli occhi azzurri le si illuminarono e un fremito la percosse interamente quando li vide entrare.

"Non sapete che gioia è per me rivedervi. Mi siete mancati ragazzi!"

Quelle parole fecero spuntare un sorriso distensivo a tutti loro. In fondo nonostante fosse la loro regina, dopo tutti gli anni trascorsi e quello che avevano passato, lei era rimasta la stessa Historia gioviale di sempre.

"Come state vostra maestà."

"Oh... per favore Armin smettila. Non voglio che mi chiamiate così quando siamo in privato."

"Scusa... dovrò farci l'abitudine."

"Fatevi guardare, ne è passato di tempo. Vi trovo bene, un po' dimagriti forse. Ma raccontatemi di voi, come sono andati i vostri viaggi, siete stati trattati adeguatamente? Kiyomi Azumabito mi ha tenuta costantemente informata."

Persa nell'entusiasmo per averli finalmente rivisti di persona non si era accorta di una presenza della quale non si aspettava. "Mikasa... sei proprio tu, sei venuta finalmente." le gettò le braccia al collo abbracciandola con uno slancio inaspettato. La ragazza ricambiò quel gesto con sincero affetto, perché sapeva che quell'abbraccio era la somma di tutto ciò che le parole non avrebbero mai potuto esprimere.

"Sono contenta di rivederti Historia." ed era la verità, ne ebbe la certezza nel momento stesso in cui se la ritrovò di fronte.

La giovane regina li fece accomodare inondandoli di domande su tutto ciò che avevano fatto in quegli anni. Non nascose il fatto di non essersi ancora abituata a risiedere stabilmente a palazzo, preferendo di gran lunga la vita nella fattoria che aveva condotto nei primi anni dalla nascita di sua figlia.

"Credevamo ci fosse anche lei con te... avremmo voluto conoscerla. Dov'è tua figlia Historia?" le domandò Armin

"Ho preferito che non fosse presente. Credetemi... il mio più grande desiderio è che Freya conosca tutti voi, ma dopo tanto tempo l'egoismo di avervi qui solo per me ha prevalso. Adesso è con suo padre."

"Tranquilla ti capiamo benissimo." intervenne Connie con un sorriso.

"Piuttosto, com'è la situazione qui a Mitras." le parole di Jean anticiparono il pensiero di tutti. Lo sguardo di Historia cambiò radicalmente, segno che ciò che stava per dire non era rincuorante.

"Cerchiamo di tenere tutto sotto controllo e di sedare possibili rivolte da parte di quelli più ribelli, ma non è semplice. Gli jeageristi tendono a cercare proseliti provando a corrompere anche coloro che appartengono alla gendarmeria o ad altri corpi. So per certo che sì sono formati anche piccoli nuclei al di fuori di Paradis."

"Purtroppo è così. Ne abbiamo incontrati anche noi. Per adesso le persone non prestano troppa attenzione alla loro propaganda su una possibile rivolta. Ciò non toglie che a lungo andare potrebbero credere alle loro parole." aggiunse Reiner

"È pura follia! La gente ha visto la morte e la distruzione dell'intero pianeta con i propri occhi, come può anche solo pensare di ripiombare nello stesso incubo."

"Non lo permetteremo Jean, puoi starne certo." le parole risolute di Armin placarono gli animi e anche Historia rimase colpita da come il giovane ragazzo adesso sapesse imporre il proprio pensiero.

"La gente deve conoscere fino in fondo ciò che è successo. Non possiamo permettere che tutto venga liquidato come fosse stato solo un brutto sogno." intervenne Annie

"Per questo l'aiuto di quelli di Marley è fondamentale."

"Quello lo avrete senz'altro Connie, e anche Hizuru nelle vesti della sua rappresentante vi darà il massimo appoggio. A tal proposito... Mikasa più volte Kiyomi mi ha chiesto di intercedere affinché ti convincessi a trascorrere un periodo lì. Magari adesso potresti farlo, saresti un'ambasciatrice di estrema rilevanza se avessero modo di conoscerti meglio."

Mikasa aveva ascoltato i loro discorsi senza dire nulla, defilata e silenziosa come sempre, non aveva voluto intromettersi. Il suo pensiero non era mutato nel corso degli anni. Lei aveva fatto ciò che riteneva giusto e necessario, se gli uomini nonostante tutto volevano continuare a farsi la guerra a vicenda non era più un problema suo. Il prezzo che aveva pagato la metteva in pari con qualsiasi altro debito avesse verso l'umanità.

"Mi lusinga molto la proposta della signora Kiyomi, ma il ruolo che volete darmi non fa per me. Devo ancora capire se tutto ciò che abbiamo fatto sia stato utile a qualcosa. Devo comprendere a cosa sia servito relegare Eren al ruolo di mostro genocidia in tutta questa storia se gli uomini ancora ci guardano con sospetto e diffidenza. Non posso farmi portavoce di una pace nella quale non credo fino in fondo. E voi non potete chiedermi di raccontare come tutti noi li abbiamo salvati dalla furia del Gigante d'Attacco gettando ulteriore fango su di lui. No... non potrei mi dispiace."

Solo dopo aver terminato si accorse che tutti erano rimasti a dir poco sorpresi dal suo fiume di parole. Era la prima volta che parlava apertamente davanti a tutti loro di ciò che provava e di come si sentiva. Fino a quel momento avevano solo potuto immaginare il suo stato d'animo, ma adesso l'inflessione dolorosa della sua voce fece capire l'esatta entità di ciò che serbava dentro. "Perdonatemi... io non volevo creare problemi. Adesso se volete scusarmi avrei bisogno di un po' d'aria." non attese risposta, camminando a passo svelto verso l'uscita.

"Aspetta Mikasa..."

"Armin, lasciala andare. Ciò che ha detto è giusto. Non possiamo chiederle di indossare una maschera e parlare di ciò di cui non è convinta. Sarebbe come farle una violenza gratuita e ingiustificata. Mikasa deve agire come meglio crede." ma il tono di Historia non poté nascondere la preoccupazione che agitava il suo animo.

 

Non sarebbe dovuta venire lo sapeva. Lei non c'entrava più niente con loro. Si era deliberatamente tagliata fuori perché sapeva che quel mondo, quel modo di ragionare non le apparteneva più. Pensava di trovare chiarezza e invece non aveva fatto altro che alimentare i suoi dubbi e le sue insicurezze. Era davvero la scelta giusta quella di rintanarsi a Paradis senza conoscere ciò che c'era al di fuori? No... era stata una scelta da vigliacca e lei lo sapeva, solo che lo aveva sempre negato a sé stessa. Semplicemente non voleva sentire parlar male di lui.

Non voleva guardare e ascoltare gente estranea, che non conosceva niente ma si illudeva di avere tutte le risposte, dipingerlo come un mostro. No, non lo avrebbe sopportato, avrebbe reagito in qualche modo vanificando i sacrifici di tutti i suoi compagni. No, lei non era fatta per il gioco di squadra, non lo era mai stata. Lei agiva in autonomia, per puro istinto, ecco perché tutti la temevano, ecco perché tutti misuravano attentamente le parole con lei.

Tutti... tranne uno. L'unico che l'aveva sempre messa davanti ai suoi limiti e alle sue debolezze. L'unico che aveva avuto la premura di guardarle le spalle salvandole la vita. Che aveva compreso il suo dolore, la sua sofferenza e nonostante tutto l'aveva spronata a non arrendersi. Lui... che come lei in quella guerra aveva perso la sua umanità e parte del suo cuore. 
Si lasciò scivolare lungo una parete stringendo le gambe al petto, si sentiva terribilmente stupida. Illudersi di tagliare fuori dalla sua vita il mondo esterno era pura utopia. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con una realtà spietata, il punto era... se avesse ancora la forza e la voglia di combattere, stavolta senza armi.

"Mikasa... ti ho trovata finalmente." Historia l'aveva raggiunta chiedendo agli altri di non intervenire.

"Scusami, sapevo che sarebbe stato un errore venire qui. Io non dovevo lasciarmi convincere."

"Invece hai fatto benissimo. Credo che in tanti anni che ci conosciamo questa sia la prima volta che finalmente parli a cuore aperto. Hai nuovamente mostrato il tuo coraggio, e credo che questa forza indomabile che tu possiedi debbano conoscerla anche gli altri."

"Ti sbagli Historia... la mia forza è svanita quel giorno di tre anni fa. Adesso io... sono solo un guscio vuoto che non ha niente da offrire, che si sente estranea tra i suoi stessi compagni. L'unica cosa che possiedo sono un mucchio di domande senza risposta."

"Allora cerca le risposte di cui necessiti altrove, da chi può dartele. Fa chiarezza in te stessa e prova a spiccare il volo lontano da qui. Il mondo che abbiamo difeso non è così tremendo come appare. Paradis sarà sempre qui ad accoglierti e anch'io, se un giorno vorrai farmi l'onore di far parte del mio corpo di guardia."

"Cosa? Ma che stai dicendo?"

"Quello che hai sentito Mikasa. Ti sto facendo una proposta e mi piacerebbe che tu la prendessi in considerazione. Mi sentirei più al sicuro avendo al mio fianco, e a quello di mia figlia, il soldato più forte dell'umanità."

Finalmente si sollevò da terra guardandola negli occhi. "Quell'appellativo non mi appartiene lo sai."

Historia sorrise ."Non credo che lui se la prenderebbe se sapesse che l'ho dato a te. E poi se hai dubbi... puoi sempre andare a chiedergli personalmente il permesso di usarlo."

Mikasa si sorprese al quanto della schiettezza acquisita da Historia. La maternità le aveva donato una spiccata sicurezza che prima non aveva. O forse quella sicurezza era data dal fatto che adesso aveva qualcuno d'importante e prezioso da proteggere.

"Forza... torniamo dagli altri prima che ci diano per disperse." le prese la mano e la trascinò con sé.

 

Parlarono ancora a lungo fino a pomeriggio inoltrato. Gli animi sembravano più distesi e anche Mikasa pian piano sembrò trovarsi a suo agio. Non avrebbero voluto salutarsi ma sapevano che quella breve parentesi era destinata a concludersi. Ognuno di loro aveva un compito preciso, magari non per libera scelta ma che comunque avevano imparato ad accettare. La pace esigeva costante cura e obbligava ad accantonare desideri e progetti personali.

"Ragazzi... avrei voluto che rimaneste più a lungo, ma so che non è possibile."

"Ci spiace Historia, ma dobbiamo fermarci anche a Marley per riprendere Pieck. Reiner e gli altri faranno un breve saluto ai loro familiari e poi ci rimetteremo in viaggio."

"Lo so Armin. Spero davvero che tutto questo possa finire presto."

"Faremo in modo che sia così, è una promessa." intervenne Jean con la sua consueta risolutezza.

Historia si sentì sollevata anche se salutarli fu comunque doloroso. Vederli andar via era come separarsi nuovamente da coloro che per tanto tempo avevano rappresentato ciò che più vicino ad una famiglia avesse avuto.

"Mikasa..."

La ragazza si voltò. "Cosa c'è Historia."

"... uno di questi giorni vorrei portare anch'io un saluto a Eren, credi che sia possibile?"

Gli occhi della giovane si velarono di malinconia. "Ma certo, sono sicura che gli farebbe piacere." rispose

"Bene. Mi raccomando... prenditi cura di te." le disse poggiando leggermente la mano all'altezza del cuore.

Mikasa annuì in silenzio per poi congedarsi in modo definitivo.


Aveva l'impressione di affrontare il viaggio di ritorno con l'animo più leggero. Forse alla fine non era stato uno sbaglio andare nella capitale.

"Allora Mikasa, hai fatto chiarezza. Cosa pensi di fare alla fine?" Annie l'aveva osservata a lungo, scoprendo di avere molte più cose in comune con lei di quante credesse. Sapeva che aveva preso una decisione, glielo lesse negli occhi prima ancora che lei gliene desse conferma.

Respirò a fondo, lasciando che il suo sguardo si perdesse oltre il sole che lentamente andava tramontando.

"Alla fine... penso che questo strano mondo valga comunque la pena di essere visto."

 

                                                                                                                                        ***


Una delle cose che entrambi amavano della propria terra, era la tranquillità. Anche quando erano presenti i giganti c'erano quei rari momenti nei quali potevano sentirsi a stretto contatto con la natura circostante. Sdraiarsi all'ombra di un prato fiorito e guardare il cielo sentendosi felici, incuranti di ciò che accadeva intorno. Anche se poi la terra che tremava sotto i piedi ricordava loro che la realtà era ben diversa.

Quella mattina una brezza leggera costrinse entrambi a stringersi nelle spalle per mitigare qualche brivido di freddo. Si erano dati appuntamento sopra quella collina senza saperlo. Consapevoli che l'unico posto nel quale potevano salutarsi era quello. Le scelte importanti della loro vita le avevano sempre prese insieme, condividendone gioie e dolori. Adesso i loro sguardi erano concentrati su quella nuda pietra ricoperta di fiori selvatici. Le loro mani strette l'una nell'altra per ricordarsi di quel legame che niente e nessuno avrebbe mai potuto spezzare.

"Mi sento una traditrice Armin... sento come se lo stessi abbandonando." lo disse con un filo di voce, vergognandosi di quelle parole.

"Non devi, lui non lo vorrebbe. Per cosa si sarebbe spinto così tanto oltre se non per permetterci di vedere il mondo che lui sognava?"

"Tu credi..."

"Ne sono convinto, e anche tu dovresti esserlo. Questo non è un addio Mikasa, noi ci ritroveremo sempre qui accanto a lui, e saremo ancora tutti e tre... come un tempo."

Si voltò stringendolo forte, avrebbe voluto restare così per sempre. "Una delle cose di cui gli sarò per sempre grata sai qual è Armin.."

"No... non la immagino, dimmi?"

"... lo ringrazierò sempre per averti reso la persona forte e determinata che sei diventato. Credo che tu sia stato l'unica scommessa che sapeva per certo avrebbe vinto."

Quelle parole lo fecero visibilmente arrossire. Una cosa che a Mikasa ricordò molto la loro infanzia, in fondo certe cose non sarebbero mai cambiate, e andava bene così. "Non esagerare, ho detto solo ciò che penso. Adesso però dobbiamo andare, gli altri sono già pronti."

Mikasa annuì asciugandosi gli occhi leggermente umidi.

"Ah... quasi dimenticavo, Reiner mi ha detto di darti questa. Ti servirà sicuramente."

"Grazie"

Si allontanarono di qualche passo e il cuore di Mikasa sembrò volersi spezzare come quel maledetto giorno. Possibile che facesse ancora così tanto male? Se lo chiedeva spesso, ma dubitava di trovare una risposta plausibile.

"Arrivederci Eren, e se puoi... in un modo o nell'altro, restami accanto."

Guardò dritta davanti a sé senza voltarsi indietro, gli occhi di Armin la seguivano attenti e discreti. Non avrebbe mai creduto che un giorno si sarebbe volontariamente allontanata da lui. Eppure sentiva che se non l'avesse fatto adesso non avrebbe mai più avuto il coraggio. Strinse più forte la lettera che aveva tra le mani e proseguì dritta per la sua strada.




Alla fine giunge per tutti il momento dei cambiamenti, delle decisioni, delle scelte. Restare ancorati al passato non si può, e non avrebbe neanche senso. L'incontro con Historia e i compagni finalmente ritrovati danno il coraggio a Mikasa di affrontare quella nuova vita di cui si era preclusa ogni possibilità di conoscenza. L'aspetta un lungo viaggio e probabilmente il destino la metterà di nuovo alla prova.
* Piccola nota: il nome della bimba di Historia è un mio personale omaggio a sua sorella maggiore con la quale era molto legata.
Ci rivediamo tra due settimane, poichè la vostra scribacchina si prende una settimana di ferie sperando di staccare la spina da questi mesi per niente facili. Un abbraccio e buona estate a tutti, dovunque siate diretti.

 

 

 

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Capitolo 7
*** La distanza anestetizza il dolore ***


Ehilà Reiner sono di nuovo io, come stai? Come state tutti? 
Ricordati che mi hai promesso che saresti venuto a trovarci, quindi vedi di liberarti al più presto dai tuoi impegni. La vita qui è sempre frenetica, c'è un costante fiume in piena di persone che si riversano per le strade. La cosa positiva è che sembrano ignorarci, come se il nostro evidente aspetto da stranieri per loro non avesse importanza. 
Io e Falco facciamo lunghe passeggiate e rimaniamo incantati davanti a queste immense costruzioni e tutte le novità che scopriamo ogni giorno. Il capitano Levi sta facendo grandi progressi, ha cominciato la riabilitazione della gamba dopo l'intervento. Devo dire però... che ha sempre un pessimo carattere, anche se a me diverte parecchio. 
Adesso ti saluto, ho cominciato a leggere un libro bellissimo e non vedo l'ora di finirlo.

Ti abbraccio, salutami tutti. 

Gabi

 


"Ehi ragazzina... stai ancora scrivendo?"

"Ho finito adesso. Perché cosa c'è che non va?"

La raggiunse restando in silenzio fuori dalla sua camera e vide che stava ancora armeggiando cercando di richiudere la busta in fretta e furia. "Allora?" chiese spazientito. Gabi si sentì scoperta e cercò di voltarsi mascherando il più possibile la sua aria colpevole.

"Lo so... lo so, avevo detto che avrei sistemato la mia camera e il soggiorno però c'è ancora tempo e io adoro scrivere con la luce del sole. Posso fare le pulizie adesso non è un problema, non ci vorrà molto. Però quando tornano Falco e Onyankopon voglio andare subito a spedire la mia lettera."

Levi si tenne la fronte con una mano cercando di mantenere la sua abituale calma, ormai scemata parecchio con gli anni. L'entusiasmo di Gabi spesso lo metteva a dura prova.

"Se mettessi tutta questa energia nel fare le pulizie questa casa brillerebbe come uno specchio."

"Prometto che lo farò, rimarrai sorpreso capitano vedrai..."

"Tse... ho i miei dubbi. E poi ti ho detto mille volte di smetterla di chiamarmi capitano, cerca di fartelo entrare in quella testolina."

"Sissignore!"

Levi scosse la testa esasperato. Ne aveva conosciute di ragazzine testarde sotto il suo comando, ma Gabi le superava di gran lunga tutte.

Diede una spinta alla sedie a rotelle sulla quale ormai si muoveva abitualmente e decise di tornare nella sua stanza. Lasciò quell'arnese infernale, come lui stesso lo definiva, ai piedi delle scale reggendosi al corrimano per salire la breve rampa che lo separava dal piano superiore. Per lui era non solo una necessità ma anche un esercizio che lo aiutava ad allenare la gamba destra dopo l'intervento. Digrignò appena i denti per lo sforzo, ma nonostante tutto scoprì di aver acquisito una maggiore abilità e sveltezza. La cosa lo sollevò non poco.

Nonostante la scarsa autonomia nei movimenti non voleva di certo essere un peso per nessuno di loro. Non lo avrebbe mai permesso. Una volta entrato richiuse subito la porta alle sue spalle tirando un leggero sospiro. 
Si gettò letteralmente sul letto lasciando che i muscoli trovassero il tanto sospirato riposo. C'erano dei giorni in cui si sentiva come ai vecchi tempi, in grado di fare qualsiasi cosa. Altri invece in cui la gamba sembrava un macigno che lo obbligava a restare ancorato a terra, e per lui era estremamente frustrante.

Londra era una città particolarmente affine al suo modo di essere. Discreta e indifferente sembrava non curarsi troppo delle persone che la abitavano, e così meno domande venivano poste loro e meno spiegazioni avrebbero dovuto dare. Credeva che la convivenza con Gabi e Falco fosse impensabile, e invece scoprì che quei ragazzi gli avevano dato la forza necessaria per non mollare. Tra l'altro furono molto sorpresi quando Onyankopon decise di rimanere con loro, suggerendo lui stesso di recarsi a Londra dove era certo ci sarebbero stati medici in grado di rimettere in piedi il capitano Levi Ackerman.

Dopo la fine della guerra niente era stato semplice, non che lui si aspettasse il contrario, eppure credeva che almeno il suo animo avrebbe trovato quella pace che tanto cercava. Scoprì ben presto che chiunque avesse combattuto una qualsiasi guerra l'avrebbe portata perennemente addosso. Lui stesso ne sentiva gli strascichi sotto la pelle, li vedeva ogni giorno guardando le cicatrici, le ferite che bruciavano non per il dolore ma per il ricordo perenne e incancellabile che rappresentavano. I volti e le voci, le grida, le lacrime, gli occhi pieni di terrore erano la compagnia perenne che animava i suoi sogni nelle poche ore di riposo che riusciva a concedersi.

Anche Gabi e gli altri avevano imparato a conoscere e capire gli stati d'animo dell'ex capitano. Quando lo vedevano la mattina scuro in volto e con lo sguardo spento sapevano che anche quella notte l'aveva trascorsa insonne. 
Eppure mai una volta, in tutto quel tempo, aveva fatto pesare su di loro quel suo malessere. Lo teneva serbato per sé, come fosse una condanna che lui aveva tacitamente accettato per i peccati commessi quando era un soldato.

Allungò il braccio lungo la gamba destra e inevitabilmente sul suo volto si dipinse una smorfia di dolore.

Quel pomeriggio non aveva voglia di recarsi in ospedale per i consueti controlli, ma già sapeva che Gabi avrebbe insistito fino allo sfinimento finché non lo avrebbe convinto. Provò a chiudere gli occhi cercando di allontanare i rumori della città che venivano dall'esterno. A volte se riusciva a concentrarsi poteva quasi rivederli... i volti di coloro che avevano fatto parte della sua vita. Se adesso rappresentava la testimonianza vivente del loro sacrificio lo doveva a Erwin, che lo aveva salvato da una vita miserevole nella Città Sotterranea, dandogli uno scopo e facendolo sentire parte di qualcosa d'importante. Ad Hanji che lo aveva strappato da morte certa rischiando la sua stessa vita. Alla sua squadra che aveva riposto in lui speranze, sogni e fiducia. Erano proprio loro il più grande tormento e rimorso che si portava dentro. Insieme a quello, che sapeva per certo non si sarebbe mai perdonato, di aver trascinato in quell'orrore Isabel e Farlan. Tutti loro ormai erano solo volti impressi nella memoria e tali sarebbero rimasti finché lui li avrebbe tenuti in vita tra i suoi ricordi.

I cuori che tutti loro avevano donato erano serviti a scoprire una verità che non potevano neanche lontanamente immaginare. E adesso raccontare, proteggere e difendere quella verità spettava ai sopravvissuti. Loro almeno era riuscito a salvarli e proteggerli in qualche modo

Loro... che erano la sua più grande vittoria e consolazione in quel mare di dolore che si portava dentro. Non li rivedeva da tanto tempo, è forse era meglio così, non era sicuro che avrebbe retto su di sé i loro sguardi rammaricati e impietositi vedendolo in quello stato. Gli bastava sapere ciò che Gabi gli raccontava attraverso le lettere di Reiner, l'importante era che stessero bene. Anche se in quei racconti mancava sempre un tassello importante di cui non osava chiedere perché sapeva che non ne aveva diritto. Eppure a distanza di tanti anni ripensare a quegli occhi, che erano stati il riflesso dei suoi, gli provocava ancora emozioni contrastanti.

 

Un vociare chiassoso, accompagnato da un invitante profumo, gli fecero intuire che Falco e Onyankopon erano tornati e quest'ultimo si era già messo ai fornelli per preparare il pranzo. Mise da parte i suoi pensieri e decise di raggiungerli.

"Ma insomma si può sapere perché fai tanto baccano?"

"Salve Levi..." lo salutò il giovane ai fornelli, ricevendo un cenno con la testa in risposta.

"Capitano... posso andare nella piazza centrale a spedire la mia lettera."

"Guarda che non c'è fretta Gabi, tanto prima di domani mattina non ritirano la posta." provò a convincerla Falco, vedendo il volto spazientito di Levi.

"E invece sì che c'è! Questa lettera dovrà fare un giro enorme prima che Reiner possa riceverla quindi la mia fretta è giustificata." provò ad insistere.

"Adesso smettila di essere così petulante. Si è fatta ora di pranzo, quando avremo finito e tu avrai terminato le faccende che ti avevo assegnato, andremo a spedire la tua dannata lettera."

"Come? Perché hai intenzione di venite anche tu?" chiese stupita, visto che raramente lui usciva nelle ore con maggiore affluenza di persone nelle strade.

"Certo, devo fare delle commissioni e acquistare alcune cose. Quindi adesso per favore sta zitta e cerchiamo di pranzare in pace."

“E i tuoi controlli in ospedale? Oggi è giorno di terapia, non credere che me sia dimenticata.” infatti non lo aveva minimamente pensato, ma solo sperato.

“Non sono crepato fino ad ora e non morirò di certo se salto una visita o quei fastidiosi esercizi. Oggi ho altre priorità.”

Sul viso di Gabi comparve un'espressione dubbiosa e indagatrice insieme al solito broncio che metteva su quando Levi le impediva di fare qualcosa, ma sapeva che discutere con lui sarebbe stato inutile. Rimise la lettera in tasca e si apprestò a preparare la tavola.

Onyankopon non poté fare a meno di sorridere, d'altronde era ancora una ragazzina e Levi spesso con lei doveva comportarsi da padre rigido e severo. Per fortuna condivideva quel fardello di pazienza con il povero Falco.

"Mi spiace... ho delegato di nuovo te per preparare il pranzo. Rimedierò stasera a cena."

"Non è un problema Levi, a me fa piacere. Almeno posso sperimentare le cose che ho imparato da Niccolò." disse con aria malinconica.

Levi si soffermò a pensare a quelle parole. Il ricordo del giovane cuoco di Marley gli fece tornare alla mente Sasha, spostando il suo sguardo involontariamente verso Gabi. Quanto dolore, quanta amarezza aveva portato con sé il non conoscersi, il non volersi capire e comprendere.

"Ti ringrazio Onyankopon... però il tè lo preparo io. Tu limitati a preparare quella bevanda scura e terribilmente amara."

"Caffè Levi... si chiama caffè."

"Si... si quello che è insomma."

 

                                                                                                                                ***

Quella nuova quotidianità lo sorprendeva sempre. A volte rimaneva ad osservare Gabi e Falco discutere, incapace di distogliere lo sguardo. I discorsi ai quali era abituato trattavano sempre di strategie, d'attacco, di guerra e formazioni di battaglia. Adesso invece tutto sembrava aver acquistato sfumature diverse, più ampie e colorate. Il più delle volte il chiacchiericcio di Gabi era talmente fitto e intriso di mille cose diverse da risultare impossibile starle dietro.

Spesso vedeva i suoi occhi incupirsi pensando ai suoi genitori e sognando di tornare presto a Marley, magari con il suo adorato Reiner al quale voleva bene come ad un fratello. Altre volte il suo sguardo acquistava quasi una tenue dolcezza vedendola insieme a Falco mentre osservavano, l'uno accanto all'altra, le stelle nel cielo. La sua mano disegnava linee immaginarie citando pianeti e costellazioni apprese dai libri che adorava leggere nella biblioteca della città.

Una parte di sé provava un moto d'invidia. Lui non aveva mai avuto tempo né modo per mostrare tenerezza a qualcuno. E quando invece, per la prima volta, era stato quel qualcuno a dimostrargli un particolare interesse i giganti gliela avevano strappata via ferendolo di nuovo mortalmente. Ecco perché teneva tutti a distanza, era stanco di dover dire addio, di dover seppellire corpi e sentimenti con essi. Era meglio anestetizzare il cuore, conosceva solo quel modo di sopravvivere e gli era bastato, almeno fino a quel momento.


Una volta terminato il pranzo Gabi si mise subito al lavoro, consapevole che non sarebbe uscita da lì se non dopo aver eseguito i compiti che Levi le aveva assegnato.

"Capitano... posso parlarti?" quelle parole, seguite da un cenno della testa, distrassero Levi dalla sua lettura facendogli intuire che di qualunque cosa si trattasse era meglio che i ragazzi non sentissero. Lasciarono la cucina defilandosi nel piccolo ma confortevole soggiorno cercando di non far notare a Gabi e Falco la loro improvvisa assenza.

"Allora... cosa c'è, avanti parla."

Onyankopon sembrò quasi volerci ripensare, poi prese coraggio rivelando quello che aveva sentito.

"Stamattina c'era un gran parlare in giro. Alcune persone sostenevano che in città circolano da qualche giorno gruppi di jaegeristi che premono per avere un incontro con alcuni membri del governo in carica."

Levi incupì il volto incrociando le braccia al petto.

"Dove hai sentito queste notizie?"

"Ne parlavano tra loro i commercianti del mercato che si trova alla periferia della città."

"Falco era con te, ha capito o sentito qualcosa?"

"Non che io sappia, a me comunque non ha detto niente."

"Meglio così."

"Levi... questa cosa non piace. Quei fanatici sono riusciti ad arrivare anche qui. Per adesso la gente non presta troppa attenzione a quello che dicono, ma tu sai che se vogliono sanno essere molto persuasivi."

La rabbia di Levi aumentò ripensando a tutte le azioni spregevoli di cui si erano macchiati. "Sono solo delle mezze seghe senza palle, si sentono braccati e in minoranza e vogliono appoggio politico. Che vadano all'inferno!"

"Cosa dovremmo fare secondo te?" gli chiese. Levi si voltò a guardarlo chiedendosi il perché tutti continuassero ancora a dipendere dalle sue decisioni se ormai non era più al comando di niente e nessuno.

"Dovremmo rimanere nell'anonimato, defilati, come abbiamo sempre fatto e lasciare la politica a chi sta al potere. Non creeremo problemi... se loro faranno lo stesso con noi." disse, cercando di sembrare il più conciliante possibile.

"E se invece dovessero crearci problemi o capire chi siamo?"

Levi sentì improvvisamente una stretta allo stomaco che gli fece mancare l'aria. "Se dovessero davvero capire chi siamo e creare problemi... temo per loro che non avrebbero il tempo di poterlo raccontare in giro." concluse allontanandosi lentamente.

"Forse dovremmo andarcene Levi..."

"Credimi Onyankopon, per quanto questo mondo possa essere grande non c'è nessun posto sicuro in cui il passato di ognuno di noi non possa raggiungerci."

"Già... forse è così" sospirò affranto.

"Mi raccomando, non una parola davanti ai ragazzi. Non voglio che gli vengano in mente strane idee."

"Sissignore!" rispose, provocando in Levi un sorriso nervoso sul viso increspato dalle fitte cicatrici.

Cercarono, per quanto fosse possibile, di non lasciar trasparire una certa preoccupazione di fondo che ormai si era insinuata in loro. Anche se l'improvvisa fretta di Levi nel volersi recare in città lasciò Gabi al quanto dubbiosa. 
Per le strade c'era meno gente di quella che credevano, evidentemente il tempo grigio che minacciava pioggia aveva fatto rintanare le persone in casa prima del previsto.

"Dovevo capirlo che il tempo stava per cambiare, questa maledetta gamba mi da più noie del solito oggi." borbottò nervoso.

"Saresti potuto venire con la sedia a rotelle ti avremmo portato noi e non ti saresti affaticato." lo riprese Gabi

"Ma sentila... credi forse che sia un vecchio decrepito che ha bisogno di due ragazzini che gli fanno da balia?"

"Per favore smettetela, cerchiamo di fare ciò che dobbiamo e torniamo a casa, ok?" Come sempre il compito più ingrato spettava a Falco che doveva ogni volta sedare i battibecchi tra i due.

Onyankopon alzò lo sguardo sul cielo plumbeo e vide dei fulmini saettare tra le nuvole. "Sbrighiamoci se non vogliamo tornare a casa fradici."

Gabi prese Falco per mano correndo in direzione della buca delle lettere. I loro compagni non provarono nemmeno a fermarli tanto sarebbe stato inutile. A poca distanza da loro un giovane ragazzo stava correndo, probabilmente verso casa, stringendo al petto i giornali rimasti invenduti di quella giornata.

"Ehi tu... fermati!" Levi lo bloccò con il solo tono di voce. Il giovane lo guardò un po' intimorito. "Dammene una copia per favore."

Lui estrasse un giornale tra quelli rimasti prendendo allo stesso tempo il denaro che Levi gli aveva allungato. Il ragazzo indugiò sul viso del capitano attratto e intimorito dalla lunga cicatrice che gli solcava il volto.

"Cosa c'è, che hai da guardare?" la sua voce sembrò ridestarlo.

"Oh... niente signore, niente. Grazie mille e arrivederci." corse via come un fulmine quando nell'aria si avvertivano già sporadiche gocce di pioggia scendere dal cielo.

Levi continuò lentamente a camminare sfogliando il giornale. La pagina centrale, come sospettava, parlava delle opinioni contrastanti di molti governi stranieri sul popolo di Eldia. Alcuni li consideravano ancora una concreta minaccia, altri erano interessati alle risorse dell'isola e disposti a commerciare con loro. Quello però sul quale tutti concordavano era che gli jaegeristi rappresentavano una minaccia alla stabilità dei governi di tutto il mondo ed essendo di origini Eldiane, non ci si poteva fidare di loro come del resto dell'intera razza proveniente dall'isola.

Il concetto era chiaro, gli jaegeristi volevano imporsi con la forza sulle altre nazioni, coinvolgendo di conseguenza anche il resto degli Eldiani. Finché non fossero stati estirpati del tutto non ci sarebbe mai stata una pace duratura. Levi continuò a leggere almeno finché la pioggia non cominciò a cadere più fitta.

"Accidenti. Onyankopon va a riprendere quei due prima che si metta a piovere più forte. Io tornò a casa per conto mio."

"Sei sicuro Levi?"

"Ti ci metti anche tu adesso. Vedi di muoverti piuttosto, ci vediamo dopo."

Il ragazzo annuì sveltendo il passo nella direzione in cui si erano allontanati Gabi e Falco. Levi cercò di ripararsi camminando ai bordi del marciapiede, ma ormai sia il soprabito che i pantaloni cominciarono a bagnarsi vistosamente.

"Merda! È sempre così in questa stramaledetta città." cercò almeno di riparare il giornale che aveva tra le mani, per poter terminare la lettura dell'articolo che gli interessava una volta tornato a casa.. Alcune persone che ancora gironzolavano per le strade erano prontamente munite di ombrello. Abituate ormai al cambio repentino delle condizioni atmosferiche.

Sarebbe sicuramente rientrato sporco di fango e fradicio di pioggia, la cosa lo irritò parecchio. Sperò almeno che Gabi fosse riuscita a spedire la sua lettera. Il cielo era completamente grigio e la pioggia battente si confondeva con il colore cupo delle strade e dell'asfalto. Si ritrovò a rimpiangere la natura rigogliosa di Paradis, che regalava scenari magnifici anche in condizioni di pioggia come quelle.

Cercò di sveltire il passo per quel che gli era possibile, anche se l'uso del solo occhio sinistro gli impediva una visuale chiara. Se soltanto avesse preferito andare in ospedale per la consueta terapia avrebbe evitato tutte quelle seccature. Si riparò il viso con la mano sinistra camminando a testa bassa. Mancavano ancora un paio di isolati dal suo appartamento ma tanto ormai il danno era fatto. Riuscì a svincolarsi da un paio di commercianti intenti a chiudere in fretta le loro attività quando decise di fermarsi e aspettare quanto meno che la pioggia diminuisse. Si asciugò il viso cercando di darsi una sistemata, anche se l'impresa risultò impossibile.

Poggiò la schiena lungo l'ampia porta di un negozio di stoffe e tirò un sospiro rassegnandosi ad aspettare. Sperava che almeno Gabi, Falco e Onyankopon fossero tornati a casa più asciutti di lui e si rammaricò perché sicuramente si sarebbero preoccupati non vedendolo tornare in fretta. Le strade si erano svuotate, fatta eccezione per qualche vagabondo in cerca di riparo e qualche gatto randagio che rovistava tra i rifiuti. Lo sguardo si allungò verso un punto più distante mettendo a stento a fuoco una sagoma immobile davanti a qualcosa che non capiva cosa fosse. Com'era possibile che una persona stesse lì impalata in quel modo sotto quella pioggia battente?

"Dev'essere qualche idiota senza cervello." pensò, convinto dovesse trattarsi di qualche altro mendicante che si aggirava per le strade. Eppure... una strana curiosità lo spinse ad avanzare lentamente nella sua direzione.

La figura, completamente avvolta da un lungo cappotto, non si era mossa di un passo. Le mani infilate nelle tasche, coperta totalmente da un ampio cappuccio tirato sulla testa. Sembrava che nulla di ciò che accadeva intorno potesse smuoverla. Levi continuò ad avanzare senza un reale motivo, incurante della pioggia e desideroso di conoscere il motivo di un comportamento tanto bizzarro.

Gli vennero in mente le ipotesi più disparate, la sua naturale diffidenza gli faceva immaginare cose non proprio piacevoli, abituato com'era ad agguati e tranelli. Quando ebbe raggiunto una distanza ragguardevole alzò la testa e focalizzò l'insegna di un negozio. Era un emporio, di quelli che vendevano le cose più disparate che potevano servire alle persone. Rimase in attesa ma non accadde nulla. La pioggia sembrava avvolgere quella misteriosa figura rendendola confusa, quasi evanescente. Mentre la sua insana, e inusuale curiosità, lo attraevano in modo inspiegabile verso quella presenza indefinita e all'apparenza anonima.

Levi non riusciva ad intuire neppure se fosse un uomo o una donna. Però sentiva dentro sé la necessità di capire se quella creatura fosse reale o il frutto di un'allucinazione. Decise di avvicinarsi, incurante del fatto che si sarebbe bagnato fin dentro le ossa.

Arrivò alle sue spalle e capì dalla sagoma che si trattava di donna. Ma cosa stava osservando così assorta in quella vetrina?

Dovette avvicinarsi ancora e assottigliare lo sguardo prima di intravedere un dipinto che occupava gran parte della vetrata. Era stato fatto indubbiamente da una mano molto abile ed esperta. I soggetti di quel pregevole lavoro erano una verdeggiante collina dove si stagliava un bambino intento a rincorrere un uccello che spiccava il volo verso il cielo. Pur essendo indubbiamente ben fatto non sembrava nulla di speciale, almeno non da rischiare di prendersi un malanno rimanendo ad osservarlo sotto una pioggia scrosciante.
Eppure... qualcosa in quel dipinto gli riportò alla mente il ricordo di qualcuno. Sarà stato il paesaggio così sapientemente disegnato, le colline che tante volte aveva lui stesso percorso a cavallo, sarà... per quel senso di libertà data da quell'uccello o dal bambino che tentava di inseguirlo.

D'un tratto il suo corpo ebbe come un fremito, trattenne il respiro e fu come se un velo tenuto forzatamente sui suoi ricordi cadesse in modo inesorabile. Nello stesso istante in cui Levi finalmente capì, la figura di donna ancora voltata di spalle, si girò verso di lui. E in quel preciso momento comprese, per la prima volta, cosa significasse sentirsi completamente smarrito e vulnerabile.



Ben tornati su questi lidi... dopo la pausa vacanziera si riparte. E lo facciamo da Londra, ritrovando l'ormai ex capitano Levi (anche se per i suoi coinquilini rimane sempre una sorta di autorità superiore) insieme a Gabi, Falco e Onyankopon. Ho cercato di raccontare un po' questa "anomala" convivenza, che alla fine però non risulta così sgradita nemmeno al perennemente imbronciato Levi. Siamo lontani da Paradis ma a quanto pare gli jageristi hanno messo radici ovunque. Levi e Onyankopon sono al quanto preoccupati, e credo sia più che plausibile. Sembrano esserci scombussolamenti all'orizzonte? Molto probabile. Però lo scoprirete solo proseguendo. Grazie a tutti, come sempre, ci risentiamo la prossima settimana.





 

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Capitolo 8
*** La scelta giusta è quella di lasciarti andare? ***


Spessi strati di stoffa la ricoprivano per riparla dalla pioggia, lasciando scoperti solo gli occhi che diedero la conferma definitiva a ciò che non credeva assolutamente possibile. Avrebbe voluto avvicinarsi, ma scoprì di non riuscire a muovere un solo muscolo, come se quella pioggia l'avesse incollato al suolo. Fu lei, dopo qualche istante, ad andargli incontro come se il suo arrivo fosse servito a risvegliarla dallo stato di torpore in cui era caduta.

"Come stai... capitano?" gli chiese, con il tipico tono di voce di chi cerca in tutti i modi di non lasciar trasparire le proprie emozioni. Non era cambiata, almeno i suoi occhi non lo erano, perché li ricordava esattamente così, malinconici e letali.

"Cosa ci fai qui? Quando sei arrivata?" Riuscì finalmente a formulare qualche domanda, anche se la sua voce appariva incerta, appena udibile.

Lei estrasse una mano dalla tasca del cappotto mostrandogli una lettera. "Sono arrivata all'ora di pranzo, stavo girando per la città in cerca di questo indirizzo. Ma avevo timore nel chiedere informazioni, così ho impiegato più tempo del previsto."

Guardò la lettera ormai completamente bagnata e la riconobbe subito, era una di quelle scritte abitualmente da Gabi.

"Perché diavolo stavi ferma sotto la pioggia razza di stupida, vuoi farti venire un accidenti?" Voleva mostrarsi contrariato e furente per quell'atteggiamento da sprovveduta, ma non ottenne il risultato sperato.

"Guarda che sei tu che mi stai trattenendo sotto la pioggia invece di indicarmi un posto più riparato." il suo abituale modo di rispondergli, sempre velatamente provocatorio, lo riportò con la mente a tempi ormai lontani in cui le cose piacevoli da ricordare erano davvero poche. Forse... le frequenti schermaglie con lei erano tra quelle.

"Tse... ma sentila, non sei cambiata di una virgola. Avanti seguimi, vediamo di sbrigarci."

 

                                                                                                                                    ***


"Come hai potuto lasciarlo da solo!"

"Avanti Gabi calmati, è solo pioggia, cosa pensi sia potuto succedere. Si sarà fermato da qualche parte per ripararsi aspettando che smetta."

"E se la gamba gli facesse male, o peggio ancora fosse scivolato?" Era visibilmente preoccupata, ma soprattutto non voleva più provare l'ansia di stare in pena per la vita di qualcuno.

"Me lo ha chiesto espressamente lui te l'ho già detto. E se vuoi un consiglio dovresti smetterla di essere così apprensiva nei suoi confronti, guarda che non è mica un bambino. Ha affrontato cose ben peggiori di un temporale." Ma le parole di Onyankopon non fecero che aumentare la sua rabbia.

"Non in quelle condizioni. Con un occhio solo per poter vedere e la gamba ancora convalescente."

"Ascoltami Gabi... lo so che ti viene naturale preoccuparti per lui, ma non devi. L'ultima cosa che Levi desidera è essere di peso a qualcuno. Cerca di avere fiducia in lui è stai tranquilla ok. Vedrai che sta bene." Falco le accarezzò i capelli e lei abbassò lo sguardo un po' sconfitta. Lui riusciva sempre a tranquillizzarla in qualche modo, anche se il suo stato di agitazione non accennava a passare.

"Facciamo così... adesso metto a scaldare il bollitore con l'acqua così quando tornerà gli preparerò un tè caldo." Onyankopon inconsciamente sperò che la causa di quel ritardo fosse solo per la pioggia e non per qualche spiacevole incontro.

"Lascia, faccio io." Gabi non gli diede modo neppure di avvicinarsi ai fornelli decidendo che sarebbe stata lei ad occuparsene, se non altro per tenersi impegnata con qualcosa da fare.

Falco fece un breve cenno di assenso intimando all'amico di lasciarla fare.

 

                                                                                                                                ***


Camminavano a poca distanza l'uno dall'altra in silenzio, senza la necessità di dire una sola parola nonostante non si vedessero da tre anni e le cose accadute in quel lasso di tempo fossero davvero tante. La pioggia sembrò lentamente diminuire d'intensità spazzata via da brevi ma frequenti folate di vento. Levi si voltò, quasi per accertarsi che lei lo stesse seguendo, la sensazione che tutto quello che stava vivendo non fosse reale non l'aveva ancora abbandonato.

La vide stringersi nel cappotto ormai completamente fradicio di pioggia e sollevarsi sul viso la sua inseparabile sciarpa per darsi un po' di calore. Vedere quell'oggetto gli provocò emozioni contrastati; rabbia, nostalgia e un senso di familiarità. Perché quella sciarpa aveva sempre fatto in modo di renderla riconoscibile in mezzo ai tanti soldati sul campo di battaglia. Come se fosse stata il segno grazie al quale sapeva che lei era ancora viva.

Erano a pochi metri dalla sua abitazione quando lui si fermò.

"Credo sia inutile che ti dica che qui con me ci sono Gabi Braun, Falco Grice e Onyankopon, penso tu lo sappia già. Ti avverto, non fare caso alla ragazzina... ti apparirà parecchio irritante ma è una in gamba."

"Va bene, sta tranquillo." gli rispose. Pochi attimi dopo Levi bussò alla porta sperando che almeno loro fossero rientrati in tempo.

"Eccolo! Dev'essere lui..." Gabi si precipitò ad aprire in un secondo "... capitano Levi si può sapere dove diavolo ti eri..." ma le parole scemarono d'un tratto dalla sua bocca. Non solo era rimasta sorpresa dal vedere Levi con un estraneo, ciò che non riusciva a credere era che l'estraneo in questione fosse proprio lei.

"Ma... tu, tu sei..." indicandola con un dito attirando così l'attenzione di Falco e Onyankopon. Mikasa abbassò il cappuccio della sua mantella e la sciarpa che portava al collo confermando ciò che ormai tutti avevano ben compreso.

"È la giovane Ackerman." intervenne Onyankopon

"Ma com'è possibile?" Falco esternò palesemente il pensiero di tutti in quel preciso istante.

"Ma insomma ci fate entrare oppure no, siamo zuppi di pioggia e io necessito subito di una tazza di tè bollente."

"Il solito scontroso..." esordì Mikasa, mentre gli altri si spostavano per lasciarli entrare.

"Ma lei cosa ci fa qui? E come vi siete incontrati? Per caso c'è anche Reiner con te?" Gabi ricominciò con il suo fiume in piena di domande, e Mikasa comprese in un istante le parole che Levi le aveva anticipato prima di entrare.

"Invece di parlare così tanto perché non prepari del tè e l'aiuti a cambiarsi. Cercale qualcosa di asciutto. Io torno non appena sarò presentabile." concluse, raggiungendo in fretta la sua camera al piano di sopra.

"Vieni Mikasa... ci sono delle cose che dovrebbero starti bene." La trascinò letteralmente con sé e la ragazza la seguì un po' frastornata.



Gabi cercò di tirare fuori dall'armadio qualcosa che potesse adattarsi al suo fisico senza però riuscire a toglierle gli occhi di dosso.

"Si può sapere perché tutti mi guardate come se fossi un fantasma?"

"Scusami non era mia intenzione. È solo che sei l'ultima persona che mi aspettavo di rivedere." le rispose, ed era la pura e semplice verità.

"Questo l'avevo intuito. Piuttosto... come state tutti?" chiese, mentre cominciava a togliersi gli indumenti bagnati.

"Direi bene." disse, restando subito dopo in rigoroso silenzio. Ma Gabi notò subito che la sua risposta lapidaria non aveva soddisfatto la domanda posta dalla sua interlocutrice, così continuò. "Non è stato semplice abituarsi a questa città, ma adesso le cose sono migliorate. Dobbiamo stare sempre attenti perchè la situazione per noi che siamo una sorta di rifugiati è al quanto precaria. Per quel che riguarda Levi direi che si sta riprendendo più che bene, e un giorno chissà..."

Mikasa l'ascoltò in silenzio, intenta ad asciugarsi e indossare degli abiti asciutti. L'ammirazione di Gabi per Levi le si leggeva negli occhi, ma lei quell'espressione la conosceva bene perché era la stessa di chiunque l'avesse conosciuto.

"Ecco fatto, direi che va molto meglio adesso. Grazie Gabi."

"Mi spiace, sono un po' stretti per te, ma sono le uniche cose che potevano andarti bene."

"E infatti vanno benissimo. La colpa è mia che per questioni di praticità non ho portato niente con me."

"Possiamo sempre andare a fare compere? Qui ci sono un sacco di cose sai? Vestiti di ogni genere, scarpe, accessori..." Mikasa apprezzò l'entusiasmo della ragazza sorridendole. La rabbia e l'astio che prima colmavano il suo sguardo sembravano scemati per sempre, e di questo ne fu molto felice.

“Forza, adesso raggiungiamo gli altri.”

 

                                                                                                                                 ***

 

"Bene... vedo che ti sei sistemata, meno male." Falco aveva preparato le tazze intorno la tavola mentre Onyankopon si apprestava a servire il tè. Solo in quel momento Mikasa si fermò ad osservare quel luogo caldo e accogliente compresi i due giovani che fino a qualche anno fa erano poco più che ragazzini. Invece adesso sembravano notevolmente cresciuti e cambiati nel carattere.

"Accomodati Mikasa e prendine una tazza, vedrai ti scalderà."

"Credo che a lei piaccia di più quella roba scura che prepari a volte Onyankopon..." Levi entrò in cucina intento ad osservare la scena. Finalmente Mikasa poté guardarlo con la dovuta attenzione. La vistosa cicatrice che aveva sul lato destro del viso aveva compromesso anche l'occhio, che adesso copriva con una benda. Camminava lentamente ma tutto sommato la gamba sembrava in buone condizioni. Non poté però non provare un senso di rammarico e dispiacere per le sue condizioni.

"Il tè andrà benissimo. Ti sorprenderesti se ti dicessi che ho imparato ad apprezzarlo in questi anni?" In effetti si sorprese eccome di quell'affermazione, ma sperò di non averlo dato a vedere.

"Mikasa... come mai ti trovi qui. Pensavamo tu fossi a Paradis. È successo qualcosa?" Dopo le recenti scoperte l'apprensione di Onyankopon era più che giustificata. D'altronde anche Levi necessitava di sapere, anche se gli riusciva ancora difficile credere che lei si trovasse proprio lì, nella sua stessa città.

Lei sapeva che doveva loro delle spiegazioni, che in qualche modo avrebbe dovuto aprirsi. Non poteva pretendere di piombare all'improvviso nella vita delle persone e poi starsene zitta. Così prese un lungo respiro per darsi coraggio e parlò.

"In tutto questo tempo sono stata a Paradis. Sentivo che era quello il mio posto, e sento ancora che è così. Però una parte di me si è anche sentita tremendamente egoista. Tutti voi avevate intrapreso una strada, avevate scelto di conoscere quel mondo per il quale ci siamo battuti. Armin, Jean, Connie e gli altri sono tornati a Paradis alcuni giorni fa per fare rapporto a Historia, e... per salutare Eren."

Non parlava mai di lui con qualcuno che non fosse Armin, non osava neppure nominarlo perché non sapeva le altre persone come avrebbero potuto reagire. E poi... perché in parte sentiva ancora che lui le apparteneva, nel bene e nel male non voleva condividerne il ricordo con nessuno, nel timore che potessero macchiare ulteriormente la sua memoria.

"E adesso dove sono?" le chiese Gabi.

"Sono ripartiti dopo un paio di giorni, credo fossero diretti ad Hizuru. Sono stati loro ad indicarmi come raggiungere questa città. Non sapevo se fosse giusto venire qui, ma ho voluto comunque tentare."

"Speravo di rivedere Rainer e invece..."

Mikasa si sentì in colpa vedendola così delusa, ma provò a rincuorarla. "Torneranno presto vedrai. Magari vi rincontrerete a Marley insieme alla vostra famiglia." Gabi sorrise appena, sperando che quel desiderio fosse presto realizzabile.

"Non saresti dovuta venire, penso che la tua sia stata una pessima idea." la voce di Levi sembrò esplodere nella stanza come quando dava gli ordini ai suoi sottoposti prima della battaglia.

"Ma... ma capitano che stai dicendo?" Falco sembrò stranito da quelle parole, lo stesso fu per gli altri. Lo sguardo di Mikasa invece era puntato su di lui, immobile e tagliente come una lama.

"Sapevo che non avresti fatto i salti di gioia nel rivedermi, ma direi che ti sei di gran lunga superato." rispose

"Ma no... non farci caso, Levi non voleva intendere nulla di male, è solo che..." Gabi stava cercando in qualche modo di rendere più accettabili quelle parole. Solo Onyankopon sembrò aver intuito dove lui volesse andare a parare, ma preferì restarsene in silenzio.

"Sta zitta Gabi. Invece intendevo proprio quello che ho detto. Avresti quanto meno dovuto anticipare il tuo arrivo avvisandoci con una lettera." continuò rincarando la dose.

"Hai la minima idea di quanto ci abbia riflettuto prima di decidermi a venire? Se ci avessi pensato ancora avrei senz'altro cambiato idea." rispose alzandosi dalla sedia.

"E sarebbe stata la cosa più sensata che avresti mai fatto in vita tua! Noi qui cerchiamo di non dare nell'occhio, di passare quanto più inosservati possibili. E tu invece... ti presenti vagando sotto la pioggia, imbambolata davanti ad una vetrina. Proprio un bel modo per non farsi notare. Fortuna che in giro non c'era quasi nessuno."

Lo sguardo di Mikasa era furente. Non solo lui la stava rimproverando per come si era presentata, ma persino per averlo fatto senza avvisare. Era davvero il colmo.

"Neanche gli anni trascorsi e le precarie condizioni hanno modificato il tuo pessimo carattere. Sono stata una stupida a credere che venendo qui avrei trovato le risposte che cercavo. Sei solo pieno di astio e risentimento. Hai ragione, ho sbagliato a venire. Farò in modo di non arrecarti ulteriore disturbo. Domani stesso vedrò di ripartire per Paradis."

"No Mikasa, perché?"

"Tranquilla Gabi è tutto apposto, va bene così. Adesso se volete scusarmi preferisco ritirarmi." lasciò la cucina nella quale erano riuniti e raggiunse la stanza dove Gabi l'aveva aiutata a cambiarsi. 

Un silenzio pesante e carico di tensione piombò nella stanza. "Capitano Levi, devi chiederle scusa, subito!" urlò Gabi furiosa.

"E perché dovrei? Ho detto la verità e lei lo sa."

"Non pensi di aver esagerato Levi?" Onyankopon lo osservò attentamente e vide lo sguardo che si aspettava di incrociare. Quello che intendeva dire, è meglio per lei che vada via.

"Levi... io non so perché tu ti sia comportato così con Mikasa, ma se vuoi sapere come la penso credo che stai deliberatamente mentendo. In realtà non vuoi che lei se ne vada, ma... se posso permettermi, i tuoi modi sono abbastanza discutibili."

Falco era sorprendente, Levi lo aveva capito da tempo. Era un ragazzino silenzioso, ma un attento osservatore, riusciva a capire gli altri semplicemente guardandoli e quelle rare volte in cui parlava andava sempre dritto al punto.

Levi non rispose, si limitò a guardarlo restando in silenzio per poi sviare il discorso. "Suppongo che il mio tè si sia raffreddato a questo punto." prese ugualmente la tazza sorseggiandolo lentamente. Intanto fuori la pioggia aveva cessato di cadere, eppure le nuvole grigie sembravano non voler abbandonare il cielo di Londra.

 

                                                                                                                                ***


L'iniziale entusiasmo di Gabi era scemato d'improvviso facendo calare un pesante silenzio tra tutti i presenti. Levi, come aveva anticipato, si stava adoperando nel prepare la cena, mentre Falco stava cercando di concentrarsi sulle pagine di un libro, ma con scarsi risultati. Onyankopon era salito in camera per scrivere delle lettere da inviare alla sua famiglia e Gabi stava terminando le faccende lasciate in sospeso.

Il culmine della sua rabbia però venne raggiunto quando più di una volta tentò di convincere Mikasa ad unirsi a loro per cena. Ma la ragazza aveva gentilmente declinato la proposta preferendo rimanere in camera.

"Adesso basta! Levi tu devi parlarle e scusarti con lei."

Gli occhi di tutti andarono dritti nella sua direzione, che invece li osservava con aria indifferente. "Non dire sciocchezze, se non ha voluto cenare con noi si vede che non aveva appetito."

"Ma cosa dici? Sai bene che non è venuta per colpa del tuo comportamento. Come hai potuto essere così insensibile. Lei è in una città totalmente sconosciuta, infreddolita dalla pioggia e invece di trovare il supporto dei suoi compagni trova l'ostilità di un cocciuto presuntuoso come te!" Quando si accorse delle parole che aveva appena pronunciato erano ormai già saltate fuori dalla sua bocca.

"Gabi?!"

"Non zittirmi Falco, sai anche tu che è la verità. Ormai abbiamo condiviso troppo insieme, per questo mi sento in dovere di essere sincera e dire ciò che penso. Se vuoi davvero rimandarla a casa almeno chiarisciti con lei. Penso sia il minimo."

Era incredibile che due ragazzini dovessero dirgli come comportarsi con una sua ex sottoposta, che tra l'altro conosceva benissimo il suo caratteraccio e non avrebbe neanche dovuto meravigliarsene più di tanto. Levi le diede le spalle cominciando meticolosamente a risistemare le stoviglie e il pentolame vario.

"Ah... ci rinuncio è tempo sprecato. Ed io che credevo finalmente di avere un'amica con cui poter parlare."

"Non te la prendere Gabi, magari è meglio così, se il capitano ha preso questa decisione avrà i suoi motivi."

"Ma se anche tu hai detto che stava mentendo?"

"Quello che penso io non ha importanza, se lui ha deciso così io non avanzerò obiezioni."

Gabi non comprese se la decisione di Falco era data dal non voler contraddire il capitano oppure perché credeva davvero fosse la scelta giusta.

 

                                                                                                                                    ***

 

Sapeva di essere stato deliberatamente sgarbato, mostrando il suo disappunto per la scelta di Mikasa. Ma in qualche modo le parole di Gabi avevano avuto il loro effetto. Doveva chiarire con lei il suo punto di vista, provare a spiegarsi, poi l'indomani l'avrebbe aiutata a ripartire per Paradis.

Quando ritenne che in cucina finalmente regnasse il giusto ordine si diresse silenziosamente verso la stanza in cui si trovava la ragazza. Esitò qualche istante poi provò a bussare. Non ottenne risposta nonostante la sua insistenza, pensò quindi che si fosse già addormentata. Decise lo stesso di entrare e verificare di persona. La stanza era al buio, fatta eccezione per la luce che filtrava da una delle finestre, sulla quale c'era lei rannicchiata con la testa poggiata sulle ginocchia.

In effetti sembrava stesse dormendo, lasciando così Levi nell'incertezza di non sapere se svegliarla per parlarle o andare via. Quando però stava per voltarle le spalle, decidendo di andarsene, notò che il suo corpo era scosso da piccoli spasmi. Si avvicinò lentamente accorgendosi subito che aveva pianto. Fu solo in quel momento che si soffermò ad osservarla.

Abituato com'era a vederla in uniforme o comunque in abiti maschili faceva fatica nel guardarla adesso con i vestiti prestatele da Gabi. Era leggermente dimagrita, lo notò subito, in compenso i suoi capelli erano cresciuti di parecchio e adesso le ricadevano scomposti e lucenti sulle spalle. Sembrava così inerme e fragile in quella posizione, niente a che vedere con l'aggressività che mostrava sul campo di battaglia e che terrorizzava i nemici. Levi si ritrovò a socchiudere l'occhio sinistro. Non lo avrebbe mai ammesso apertamente ma aveva sperato tante volte di rivedere il suo volto, di scoprire e capire se quella donna che aveva compiuto una scelta tanto difficile era in fine sopravvissuta al suo dolore. 
In fondo era quello che sperava, era quello che aveva sempre cercato di farle capire, che sarebbe potuta andare avanti anche senza di lui perché possedeva le capacità per farlo. Capire però se lei lo avesse davvero compreso non era facile. I suoi pensieri vennero improvvisamente interrotti. Mikasa sollevò appena la testa e se lo ritrovò di fronte. Gli occhi ancora arrossati dal pianto non avevano perso la loro luminosità, Levi se ne accorse, così come si rese conto che ogni qual volta si trovava ad osservarli si sentiva improvvisamente fragile e confuso.

"Cosa ci fai qui?" la voce di Mikasa era appena udibile eppure sembrò riecheggiare nell'intera stanza.

"Ero venuto a vedere come stavi."

"Sto bene, puoi anche andartene non voglio la tua compassione." distolse lo sguardo da lui fissando fuori dalla finestra.

"Perché sei venuta qui?" Le chiese con sincera apprensione.

"Non ha importanza, ho fatto un errore, come del resto faccio sempre no? Ma sta tranquillo domani me ne vado e ti giuro che non mi rivedrai più." Era rabbia quella che sentiva nella sua voce e anche tanta amarezza. Diceva la verità, se ne sarebbe andata e lui... non l'avrebbe più rivista. Ma era davvero ciò che voleva?

"Perché eri immobile ad osservare la vetrina di quel negozio. Se qualcuno ti avesse notata avresti potuto avere dei problemi."

"Non vedo perché la cosa debba interessarti, sono fatti miei. Mi ero persa... questo è tutto." Sentiva di nuovo gli occhi brucianti di lacrime ma continuò a guardare il buio che calava sulle strade deserte. Avrebbe fatto di tutto pur di non incrociare il suo sguardo. Levi lo capì e agì di conseguenza.

"Adesso ascoltami Mikasa..." le prese il viso con la mano destra voltandolo lentamente. Lei trasalì perché in quel tocco potè percepire l'assenza delle due dita che lui aveva perso. Adesso il bisogno di piangere era diventato di nuovo impellente "... io non so come sia la situazione a Paradis, ma qui è molto precaria. Gli jaegeristi stanno condizionando l'opinione pubblica su noi eldiani e la cosa potrebbe degenerare. È rischioso che tu rimanga. Se dovessero riconoscerti potresti correre seri rischi."

"Adesso vorresti farmi credere che sei in pena per me, capitano Levi?" gli rispose spostandogli la mano.

"Non chiamarmi in quel modo. Non sono più il capitano di nessuno e lo sai bene."

Mikasa rimase ad osservarlo percependo del rimpianto nelle sue parole. "Ero venuta a cercarti... perché tu eri l'unico che poteva raccontarmi qualcosa sull'origine degli Ackerman. Questa città è davvero molto grande, mi sentivo spaesata. Poi... mi sono ritrovata ad osservare quella vetrina e quel dipinto, per un attimo mi è sembrato di tornare indietro nel tempo. Quando Paradis e Shiganshina erano la mia casa, il mio rifugio, il mio porto sicuro fatto di affetti e certezze. Io... ho rivisto lui in quel quadro, ed è stato come sentirlo di nuovo accanto a me." si interuupe all'improvviso, come se quella inaspettata confessione le avesse fiaccato l'anima.

"In tutto questo tempo hai vegliato su di lui?" Una domanda di cui già conosceva la risposta, eppure volle ugualmente una sua conferma, per cercare di capire fin dove poteva spingersi nel farla parlare.

"Sì è così." e stavolta una lacrima sfuggì ai suoi occhi.

"Perché?" le chiese, ma poi quasi subito si pentì di essersi addentrato in quel discorso.

"Perché lui non era il mostro che tutti credono, perché sentivo di doverlo proteggere dal giudizio delle persone. Lui... farà sempre parte di me."

Una certezza che Levi aveva sempre avuto, eppure sentirla ancora così legata a Eren gli fece male, anche se in un modo che non seppe spiegarsi. "Eppure alla fine hai deciso di lasciare l'isola, di venire fin qui, e tutto solo per conoscere qualcosa in più sugli Ackerman?"

"Esatto. E mi è costato molto farlo, ma sono giunta alla conclusione che nascondermi dal mondo esterno non era ciò che lui avrebbe voluto. Ha lottato così tanto per questo mondo e per noi. Armin e gli altri lo stanno ancora facendo, e se posso dare anche il mio contributo lo farò. Ma sono anni che ho così tante domande... e tu, anche allora, era come se sapessi ciò che provavo, che sentivo dentro. Era come se mi leggessi l'anima, e questa cosa mi ha sempre spaventata tanto da lasciarmi confusa. Avrei voluto parlartene allora... ma dopo la battaglia di Liberio tutto è precipitato, e poi..."

Si interruppe, perché ricordare certi frangenti faceva troppo male. Ricordare che lui l'aveva definita una schiava le provocava un malessere fisico pari ad una pugnalata. Ma era anche per questo che si trovava lì, lei doveva sapere se gli Ackerman erano una sorta di schiavi asserviti ad un padrone oppure avevano piena coscienza delle loro azioni.

"Mi dispiace deluderti Mikasa ma temo che ciò che sò non dissiperà i tuoi dubbi."

"Ma tu hai vissuto con Kenny, lui deve averti raccontato qualcosa sulle origini della nostra stirpe, sul perché il primo re non ha mai avuto potere su di noi. Tu devi sapere che cosa siamo!" C'era disperazione nella sua voce, e un'esigenza impellente di voler conoscere a tutti i costi la verità.

"Quello che Kenny Ackerman ha fatto per me è stato insegnarmi come stare al mondo e come sopravvivere ai pezzi di merda che vogliono farti la pelle." per lui quella rappresentava la pura e semplice verità.

"Una volta mi dicesti se mi fosse mai capitato di sentire un potere risvegliarsi in me. E aggiungesti che una cosa simile era successa anche a te e a Kenny."

"Sì è vero, ma non so attribuire un'origine a questa cosa. Può essere stato un fatto casuale, come derivare da una causa scatenante, è difficile da spiegare." provò a sollevare lo sguardo negli occhi di lei. Era ansiosa di avere risposte, e lui avrebbe sinceramente voluto dargliele. Ma si sentiva così perso, smarrito e insicuro. Che cosa doveva fare. "Adesso però è tardi, meglio che tu vada a dormire, è stata una giornata pesante. Ne riparleremo a mente lucida e con maggiore calma." si diresse verso la porta, aveva un bisogno urgente di riordinare le idee.

"Levi..."

"Cosa c'è?"

"Vuoi davvero che vada via domani?"

Se solo avesse potuto dare una risposta chiara a quella domanda, ma sentiva di non poterlo fare.

"Credo che tu conosca già la risposta, Mikasa." lasciò che fosse lei a trarre le proprie conclusioni e a decidere. Lui promise a sé stesso che avrebbe accettato, in ogni caso, qualsiasi sua scelta.






Buona sera a tutti. Questa settimana ho aggiornato con un giorno di ritardo (perdonate il gioco di parole) ma ieri ero impossibilitata, mi scuso sinceramente. 
Adesso veniamo a noi. Magari molti di voi l'avevano già intuito, altri invece no. Comunque sia Mikasa ha raggiunto Levi e gli altri nella città di Londra. La fanciulla ha lasciato 'il nido' e sicuramente non mancheranno di accadere cose interessanti, a partire dall'incontro con l'ex capitano avvenuto sotto una pioggia torrenziale. Levi non l'accoglie nel migliore dei modi e lo scontro, come sempre, è dietro l'angolo.  Vedremo se gli anni trascorsi avranno un po' ammorbidito questo peculiare caratteraccio degli Ackerman oppure no. 
Intanto ringrazio sinceramente tutti coloro che stanno seguendo questa storia, lettori silenziosi e non. Il vostro apprezzamento è un incentivo che invoglia sempre a dare il massimo. Buon ferragosto a tutti voi, noi ci risentiamo puntuali la prossima settimana. 

 

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Capitolo 9
*** Raccontami di te ***


Per Gabi avere una compagna di stanza era una cosa inusuale ed elettrizzante. Si era praticamente fiondata in camera non appena aveva visto che Levi ne era uscito. Mikasa sembrava ancora un po' turbata ma almeno non era più immobile accanto alla finestra.

"Mi dispiace aver invaso il tuo spazio Gabi, cercherò di non crearti fastidio."

"Ma no... che vai a pensare, non c'è nessun problema. Sapessi che gioia è per me avere un'altra presenza femminile in questa casa. Non che Falco, Onyankopon e Levi non siano di compagnia, ma con una ragazza è diverso."

"Ti ringrazio, sei gentile."

"Spero che il capitano Levi si sia scusato con te, perché io voglio che tu rimanga. E se vuoi sapere come la penso credo che anche lui lo voglia solo che è troppo testardo per ammetterlo." Mikasa sorrise, aveva una schiettezza di pensiero davvero singolare quella ragazza.

"Diciamo che il nostro non è stato proprio un chiarimento. Abbiamo parlato un po', tutto qui." Gabi sembrò intristirsi, sperava in qualcosa di più risolutivo.

"Ma tu resterai lo stesso, vero?"

Mikasa non voleva deluderla né alimentare false speranze. "Adesso dormi Gabi, ne riparleremo domani. Buonanotte."

"Va bene, come vuoi, buonanotte anche a te." chiuse gli occhi e il sonno arrivò inaspettatamente quasi subito.

 

                                                                                                                                      ***

Anche Mikasa dovette ammettere che dormire sapendo di non essere sola le dava una sensazione di pace e calore. Era come se inconsciamente sapesse di non doversi guardare le spalle, che c'era qualcuno che l'avrebbe aiutata in caso di pericolo. Era stato così anche quando Armin e gli altri, di ritorno a Paradis, avevano dormito da lei. Per tutta la vita era stata all'erta, vigile, aveva dovuto proteggere e difendere ciò in cui credeva, la persona che amava. Adesso le rimaneva da proteggere solo se stessa, e questo pensiero le mise addosso un po' di malinconia.

Riuscì a riposare solo poche ore, non perché non sentisse addosso la stanchezza, semplicemente perché si sentiva estranea in un luogo che non le apparteneva. Come avevano fatto Levi e gli altri ad abituarsi? Forse perché il desiderio di allontanarsi dagli orrori di Paradis e di Marley gli aveva fatto accettare di buon grado qualsiasi posto che non fosse quello. 
Decise di alzarsi cercando di non svegliare Gabi che sembrava dormire profondamente. Invece per lei la consueta insonnia non era certo una novità.

La camera di Gabi era posizionata lungo il corridoio opposto alla cucina, così le bastarono pochi passi per ritrovarsi nella penombra di quel luogo. Solo che si accorse quasi subito che da sotto la porta filtrava una luce fioca. Girò la maniglia e si sorprese nel vedere Levi intento a strofinare energicamente il tavolo sul quale abitualmente mangiavano.

"Cosa diavolo stai facendo in piena notte?" chiese sorpresa.

"Non vedi? Pulisco questo sudiciume." rispose, continuando a strofinare in modo più veloce ed energico.

"E ti sembra l'ora di fare le pulizie?"

"Non c'è un orario specifico per pulire, lo si fa e basta! Tu piuttosto... perché non sei a dormire? Vedo che le cattive abitudini te le porti sempre dietro."

"Ho sempre dormito poco, non è un problema per me."

"Oh... lo so bene. Ho pensato un'infinita di volte che se qualcuno si fosse alzato in piena notte rischiava di prendersi un colpo vedendoti vagare per il dormitorio."

"Te ne ricordi ancora?" ne fu sinceramente sorpresa.

"Certo che me lo ricordo. Credi forse che sia un vecchio rincoglionito? O che insieme all'occhio abbia perso anche la memoria?"

Un sorriso un po' forzato e amaro le comparve sul viso, perché anche se a Levi sembrava non pesare, per lei era ancora difficile vederlo in quello stato. "Avrei voglia di un tè, mi fai compagnia?"

Lui sbuffò un po' spazientito. "Spero almeno che tu abbia imparato a preparlo in questi anni. E vedi di non sporcare troppo."

"Agli ordini, capitano!" rispose in modo irriverente.

"Tse... che ragazzina irritante."

 

Levi terminò quello che stava facendo riponendo gli stracci da lavoro e lavandosi accuratamente le mani, mentre Mikasa aveva già preparato tazze e piattini.

"Allora... posso poggiarli sul tavolo o comincerai a sbraitare che ho sporcato?"

Levi si avvicinò alla cucina prendendo la sua tazza e porgendo l'altra a Mikasa. "Per evitare questa eventualità andremo in un altro posto."

"E sarebbe?"

Levi le chiese di seguirla con un gesto. "Reggi un attimo la tazza." Mikasa inizialmente non capì cosa stesse facendo. Poi lo vide spostare il piccolo divano posizionato nell'angolo e metterlo di fronte al balcone. Aprì leggermente la finestra in modo che il cielo, finalmente sgombro di nuvole, potesse essere visibile.

"Adesso puoi sederti, però ridammi la tazza prima di farla cadere."

"Ma che mal fidato che sei..." lui sollevò appena l'occhio sinistro cercando di smentire quell'affermazione "... avanti assaggialo e dimmi com'è."

Lui ne bevve un sorso, chiuse gli occhi e guardò fuori dalla finestra. "È accettabile."

"Ti sei sprecato, che gentile."

Rimasero in silenzioso per parecchi minuti, catturando ogni minimo rumore che veniva dall'esterno e beandosi della quiete che regnava intorno a loro. Mikasa osservò il cielo nel quale erano visibili le stelle. L'aria, resa più fresca dalla pioggia, risultava ugualmente piacevole. Socchiuse appena gli occhi, abbassando lo sguardo sulla tazza quasi vuota.

"Cos'è stai poco bene?"

"No... no sto bene, tranquillo."

"Allora perché hai quella faccia?"

Mikasa ci pensò un attimo prima di rispondere, poi ritenne che in fondo non c'era niente di male nel dire ciò che provava."È solo che... questo non è il mio cielo. Cioè, non è quello al quale sono abituata."

"Intendi il cielo che si vede a Paradis? Beh... non penso sia molto diverso da questo."

Mikasa sorrise, era evidente che quel luogo per Levi rappresentava solo brutti ricordi, e forse non poteva dargli torto.

"Sai Levi... il cielo di Paradis è stato sempre speciale, forse perché era carico di aspettative e desideri. È vero che in fondo è sempre lo stesso in qualsiasi città lo si guardi. Ciò che fa la differenza però è la persona che lo sta guardando. E questo non è il mio cielo."

Levi terminò il suo tè e così fece anche Mikasa. Senza dire niente, le tolse la tazza dalle mani mettendole entrambe nel lavabo della cucina.

"Dove hai vissuto in questi anni?"

"In una baita fuori Shiganshina." lui sembrò restare in attesa come se si aspettasse dell'altro.

"Devo forse pregarti per farti parlare?" chiese un po' spazientito. Mikasa accennò un sorriso.

"Kyomi Azumabito avrebbe voluto che io stessi per un po' a Hizuru, ma era fuori discussione. Non ho accettato neppure le varie proposte di Historia, anche se lei non sembra demordere. Poi vidi quella baita... era disabitata e mal ridotta, però mi ricordava tanto quella dei miei genitori. L'ho rimessa in sesto e alla fine è lì che ho deciso di restare."

"Capisco. E sei rimasta da sola tutto questo tempo?"

"In un certo senso sì, ma non mi sono mai sentita completamente sola. Armin mi scriveva sempre e poi..."

Levi sollevò la testa per osservarla bene, i suoi occhi sembravano risplendere sotto la luce della luna. "C'era Eren a tenerti compagnia." concluse lui al posto suo.

"Sì, in un certo senso è così."

Lo disse serenamente, come fosse la cosa più normale di questo mondo. Difficilmente osava essere così schietta con le persone, temeva che potessero considerarla patetica, una donna che si aggrappava al passato perché non riusciva ad andare avanti. Ma con Levi era diverso, non doveva fingere né mascherare ciò che era o sentiva. Con lui era se stessa, come con Armin, e questo la metteva a proprio agio.

"Perché adesso non mi racconti un po' di te invece di fare solo domande?"

"Guarda che sei tu l'ospite qui, quindi è mio diritto chiedere."

"Sarebbe anche cortese però che tu rispondessi ad una delle mie domande, non credi?" pungente e sempre a tono, a volte era esasperante. Levi si era arreso da tempo al fatto di non poterla spuntare con lei, tra loro era un testa a testa continuo.

Così si ritrovò a raccontarle di come Onyankopon avesse consigliato loro di recarsi a Londra avendo strutture più all'avanguardia per il suo caso. Di come Gabi e Falco avessero deciso di seguirli e di tutto l'aiuto e il sostegno che aveva inaspettatamente ricevuto da loro. "Lei ti somiglia molto sai..."

"Parli di Gabi?"

"Sì, in molti aspetti direi. È determinata e testarda come te, non si arrende mai. Eppure a volte diventa fragile e malinconica. Fortuna che Falco le è sempre vicino, è un ragazzo davvero in gamba."

Mikasa si sorprese nel sentirgli dire quelle parole. Un tempo non si sarebbe mai aperto così nel raccontarsi e nel raccontare degli altri. "L'età ti ha reso più loquace Levi... " lui si voltò di scattò sentendosi punto nel vivo e anche un po' offeso.

"Attenta a come parli ragazzina, sei pur sempre in casa mia, sii più rispettosa almeno."

"Farò del mio meglio capitano..." Levi dovette rassegnarsi a non essere minimamente ascoltato "... piuttosto continua a raccontare dai. Mi piace sentirti parlare."

Mikasa si sistemò meglio sul piccolo divano, voltandosi verso Levi. Lui alternava lo sguardo tra il cielo notturno e gli occhi di lei, che pian piano si chiudevano sotto il peso della stanchezza. Rimase ad osservarla, sembrava serena adesso. Come se l'ansia e le paure di prima le fossero scivolate di dosso. Gettò la testa all'indietro sul divano e chiuse anche lui gli occhi. Il pensiero andò per un attimo a quei rivoltosi degli jaegeristi. Ormai erano un chiodo fisso da quando aveva saputo che si trovavano anche a Londra.

Stese la mano destra sul divano e sfiorò inavvertitamente quella di Mikasa. Ne accarezzò il dorso con il pollice, per poi ritrarla quasi subito. Decise di essere finalmente onesto con sé stesso. Di ammettere ciò che voleva ignorare a tutti i costi. I suoi compagni avevano ragione, non voleva che lei andasse via, non voleva privarsi di nuovo di quello sguardo che per tante notti aveva visitato i suoi sogni.

 

                                                                                                                                   ***


Gabi spalancò letteralmente gli occhi, risvegliata dai tenui raggi del sole che cominciavano a filtrare dalla finestra.

Era ancora l'alba. Si guardò attorno in cerca di Mikasa notando, con disappunto, di essere sola. Una strana inquietudine e mille pensieri cominciarono ad affollarle la mente. E se fosse andata via senza dire niente? Poi osservando meglio vide su una poltrona gli abiti che aveva addosso quando era arrivata e ciò in parte la tranquillizzò. Rimaneva da capire però dove fosse. 
Così si alzò in punta di piedi e si diresse in cucina. Tutti sembravano dormire ancora eppure qualcosa di inusuale attirò la sua attenzione. Il divano nell'angolo era stato spostato e nel lavabo c'erano due tazze sporche di tè. Aveva più o meno intuito che fosse opera di Mikasa, ma ciò che vide la sorprese in modo inaspettato.

Su quel divano, spostato di fronte la finestra, c'erano il capitano Levi e la giovane Ackerman placidamente addormentati. Lei aveva la testa poggiata sulle gambe di Levi che invece le cingeva le spalle con il braccio destro. Gabi rimase a dir poco sbalordita, ma la vista di quella scena le fece stranamente piacere.
 
Si fermò in particolare ad osservare Levi, notando subito come il suo viso apparisse più sereno e rilassato. E anche Mikasa sembrava aver trovato una rassicurante protezione da quella involontaria vicinanza. La cosa la fece sorridere. Decise di tornare in stanza e prendere una coperta dall'armadio. Tornò da loro e gliela poggiò delicatamente addosso per coprirli, poi andò via.

Quella mattina finalmente avrebbe potuto prendersela comoda. Gli effetti positivi della presenza di Mikasa cominciavano a dare i loro frutti. E qualcosa nella sua mente le fece intuire che ormai non c'era più pericolo che lei potesse andare via.

 

Il frastuono esterno la costrinse ad aprire gli occhi, benché non ne avesse nessuna voglia. La città si stava lentamente animando di persone, suoni e un chiacchiericcio di sottofondo. Si sentiva riposata e tranquilla, come non le succedeva da tempo. Poi improvvisamente si ricordò della sera precedente, della chiacchierata con Levi, e sollevandosi appena si accorse della posizione in cui aveva dormito. Non ebbe tempo però di realizzare appieno cosa fare che si ritrovò il suo sguardo affilato piantato addosso.

"Finalmente ti sei svegliata."

Bastarono quelle semplici parole per farla andare in confusione impedendole di formulare una qualsiasi risposta. "Usare la gamba di un uomo convalescente come cuscino... sei davvero senza speranze Ackerman." si vergognò come mai in vita sua, arrossendo visibilmente.

"Sono mortificata, non so come sia successo. Io... ti stavo ascoltando mentre raccontavi dei primi tempi qui a Londra e poi non so, mi sono trovata..."

"Ti sei addormentata come un sasso, c'è poco da dire. Comunque non importa, non sarà di certo il peso di quella tua testaccia dura a darmi problemi."

"Ehi? Non esagerare adesso."

"Lo sai che è vero. Forza... adesso vedi di alzarti e dammi una mano a sistemare."

"Sì subito." attese che tutto fosse in ordine, e lo aiutò a preparare la colazione. Poi finalmente gli disse chiaramente ciò che pensava.

"Levi..." lui si voltò a guardarla aspettando che continuasse "... io voglio restare. Lo so che consideri la mia presenza come un'invasione alla tua attuale vita qui, ma io vorrei che tu mi permettessi di restare per un po'."

Rimase ad osservarla e finalmente riconobbe quella risolutezza nel suo sguardo che ben conosceva. La stessa che spesso aveva fatto indietreggiare anche lui, consapevole di stare calpestando un campo minato, quando provava a scrutarle più a fondo nell'anima.

"Sei adulta Mikasa... non hai bisogno della mia approvazione per fare qualcosa. E non credere di conoscermi così bene da sapere cosa penso. La tua presenza non è un problema, per me. Ma al di fuori di questo casa voglio che tu sia attenta e discreta."

"Lo sarò, puoi fidarti. Anche se mi piacerebbe sapere perché sei così tanto preoccupato e scrupoloso riguardo alla nostra presenza qui." doveva dirglielo, avrebbe già dovuto farlo la sera precedente, ma si erano lasciati trascinare dai loro ricordi. Proprio quando stava per aprire il discorso però l'entrata allegra e solare di Gabi lo costrinse a tacere.

"Buongiorno a tutti! Mikasa, capitano Levi. Oggi sembra che sarà una bellissima giornata. La pioggia di ieri ha rischiarato il cielo. Senti Mikasa... ti va di uscire più tardi? Potremmo andare ad acquistare le cose che ti servono per la tua permanenza qui. Perché tu rimani vero?" l'astuzia di Gabi nel metterli davanti a quella che per lei era ormai una certezza li colse impreparati. Mikasa osservò Levi con la coda dell'occhio, si aspettava che intervenisse ma non lo fece, così parlò lei.

"Sì, resterò." le diede conferma

"Bene, ne sono felice."

"Ehi mocciosa..." finalmente Levi le rivolse la parola "... cerca di frenare il tuo irritante entusiasmo. E comunque grazie per la coperta." lo aveva capito senza chiederle niente. Così come aveva compreso le motivazioni per le quali tenesse tanto alla presenza di Mikasa.

"Di niente Levi." gli rispose sorridendo.

 

Attesero che Falco e Onyankopon scendessero e fecero colazione tutti insieme.

"Questa mattina io e Mikasa usciamo a fare spese." Falco sollevò lo sguardo guardando sia lei che il capitano. Aveva avuto l'impressione che la tensione del giorno precedente fosse scemata tra loro ma non osava chiedere se la ragazza sarebbe ripartita o meno. Le parole di Gabi gli diedero la risposta che cercava.

Onyankopon invece osservò Levi cercando di capire, attraverso il suo sguardo, cosa davvero pensasse. "Mi fa piacere che tu abbia deciso di rimanere Mikasa, un po' di compagnia in più è sempre gradita." Onyankopon cercò di stuzzicare Levi con la sue parole senza però ottenere risultati.

"Ti ringrazio, cercherò di rendermi utile durante la mia permanenza qui."

"Tranquilla, vedrai non è tanto male questa città, anche se il tempo è spesso pessimo. Forza andiamo a prepararci."

"Lo faremo Gabi, ma prima diamo una mano a sistemare, d'accordo?" Mikasa le rivolse un fugace occhiolino indicando in direzione di Levi. La giovane capì e non fece obiezioni.

"Ma certo... sicuro."

Onyankopon e Falco cercarono di trattenersi dal ridere mentre Levi terminò il tè e si alzò dal suo posto.

"Siete delle pessime attrici, entrambe. Mikasa seguimi, devo parlarti, intanto Gabi aspetterà che Onyankopon e Falco finiscano e li aiuterà a sistemare."

"Ma come?!" replicò subito. Ma bastò uno sguardo di Levi per far scemare all'istante le sue rimostranze.


Intanto i due lasciarono la cucina dirigendosi verso il piano superiore. 
Mikasa vide la breve rampa di scale e istintivamente avrebbe voluto aiutare Levi, ma subito pensò che sarebbe stata una pessima idea. Infatti, anche se con evidente sforzo, riuscì a salire da solo senza problemi.

"Perché ti sei scelto la stanza al piano di sopra. Avresti potuto lasciarla a Gabi e prendere la sua di fronte la cucina?"

Lui la guardò come se la risposta a quella domanda fosse ovvia. "Perché le cose semplici non fanno per me." così dicendo aprì la porta della sua camera e la invitò ad entrare.

Era indubbiamente la camera di Levi, anche se non fosse stato così palese non avrebbe potuto confonderla con nessun altra. Era semplicemente essenziale, pulita, ordinata e rispecchiava in pieno il modo di essere di colui che la occupava. Lui notò che Mikasa si guardava intorno con fare curioso e la lasciò fare, anche se ciò lo mise un po' a disagio.

"Hai forse notato qualcosa fuori posto o di anomalo?" chiese, cercando di distoglierla da quella attenta ispezione.

"È la tua camera Levi... anche se ci fosse qualcosa fuori posto non lasceresti mai che qualcun altro la notasse."

Come sempre... l'aveva colpito e affondato. Doveva ammettere che era diventata più pungente e sarcastica di quanto ricordava, una sfida per lui, sempre aperta. Chiuse la porta alle sue spalle e la invitò a sedersi sulla sedia della scrivania, lui si poggiò al letto.

"Ti ho fatta salire qui perché non voglio che i ragazzi ci sentano. Ascoltami... so quanto Gabi ci tenga al fatto che tu rimanga per questo è giusto metterti al corrente che non è più così sicuro uscire da sole in questa città."

"Cosa vuoi dire, spiegati meglio."

"Voglio dire che fino ad oggi gli jaegeristi si erano tenuti lontani da qui, ma adesso non è più così. Alcuni, forse ancora in troppi, non vedono di buon occhio gli eldiani. Credono che appoggiamo la politica di quei fanatici, e che vogliamo assoggettare le alte nazioni."

"Allora era per questo che volevi mandarmi via?" Levi non rispose, ma non ce ne fu bisogno.

"Sono notizie che sappiamo solo io e Onyankopon, Gabi e Falco ne sono all'oscuro, e va bene così. Lei è troppo impulsiva e lui le correrebbe dietro per proteggerla..."

"Tu invece vuoi proteggere entrambi non dicendogli niente. Non sarebbe meglio spiegare le cose come stanno e dire loro di starne fuori?"

"E credi che quella ragazzina mi ascolterebbe?"

"Lei tiene molto a te, lo farebbe alla fine."

"Stronzate! Farebbe di testa sua se le venisse qualcosa in mente, mettendo a rischio la sua vita e quella di Falco. Lei è come te... cocciuta e istintiva."

"Guarda che neanche tu sei facile da gestire. Non scordarti che il tuo modo per farmi capire le cose era prendermi a calci e minacciarmi con un coltello."

"E nonostante questo hai sempre fatto di testa tua..." c'era una nota di rimpianto nella sua voce e Mikasa se ne accorse subito.

"Alla fine sono sopravvissuta anche alle scelte che ho fatto. Lo so che tu avresti voluto evitarmi tutto quel dolore, ma credo fosse inevitabile. Vuoi fare lo stesso anche con Gabi, ma ciò non le impedirà di soffrire se in un modo o nell'altro verrà a saperlo."

Mikasa si alzò camminando verso l'uscita, adesso aveva capito il perché di alcuni atteggiamenti e poté comprenderli.

"Mikasa..." si sentì chiamare con tono risoluto, ed ebbe l'impressione di rivedere il capitano Ackerman che stava per impartirle un ordine prima della battaglia. "... prendi questo, potrebbe servirti in caso di necessità."

Lei abbassò lo sguardo soffermandosi ad osservarlo. Non poteva sbagliarsi, doveva essere proprio quello. Il pugnale con il quale tanti anni prima l'aveva tenuta bloccata a terra e di fatto battuta. Il manico era parecchio usurato ma la lama era lucida e splendente come fosse nuova.

"Non amo i pugnali, men che meno usarli."

"Stavolta farai un'eccezione. Non ammetto altre obiezioni, intesi?"

Lo guardò in volto, era incredibile che anche con un solo occhio sano riuscisse ad imprimere una tale forza e risolutezza al suo sguardo. Afferrò il coltello e se lo rigirò tra le mani scoprendolo più leggero di ciò che sembrava. Alla fine le venne istintivo impugnarlo al rovescio quasi fosse pronta ad attaccare.

Lo sguardo di Levi ebbe un guizzo, quello era il suo modo di impugnare le lame, a nessun altro lo aveva mai visto fare.

Fu come se un'ondata di ricordi gli invadesse la testa all'improvviso. Mikasa lo sapeva bene, sapeva a cosa stava pensando, così nascose il coltello all'interno del lungo stivale. "Ricordi nostalgici, capitano?"

"Tse... non direi proprio."

"Quando la smetteremo di doverci guardare le spalle?"

"Non chiederlo a me, per quel che mi riguarda credo che non potrò mai smettere."

Una voce dal basso chiamava Mikasa con insistenza. "Sarà meglio scendere." Levi le bloccò il braccio prima che potesse girare il pomello della porta.

"Non una parola con Gabi e Falco, intesi?" lei annuì e insieme tornarono dagli altri.

 

"Si può sapere dove eravate finiti?"

"Non impicciarti ragazzina, sono cose da adulti." tagliò corto Levi, ma Gabi gli rivolse uno sguardo malizioso che lasciò intendere l'ambiguità di quella frase.

"Dammi dieci minuti e sarò pronta, te lo prometto. Il tempo di darmi una rinfrescata."

"Va bene Mikasa, ti aspetto qui." le rispose rivolgendo invece a Levi uno sguardo seccato per averle fatto perdere tutto quel tempo.

 

                                                                                                                         ***

Finalmente erano da sole, la giornata prometteva bene e la piazza era gremita di persone affaccendate come al solito.

Gabi si dimostrò un'ottima guida, illustrando a Mikasa i numerosi luoghi caratteristici della città e le sue antiche tradizioni. Non ci volle molto perché anche lei capisse che erano persone al quanto diffidenti, abituate a trattare solo con coloro che conoscevano bene. 
Nella piazza che raggiunsero a piedi c'erano numerose bancarelle che vendevano svariati articoli; accessori dai molteplici usi, cappelli, vari capi di vestiario, e tanto altro. C'erano saltimbanchi, giocolieri improvvisati e ragazzi che si arrangiavano con ciò che sapevano fare per tirare su qualche soldo.

Gabi si avvicinò ad un venditore che stava praticamente cucinando in strada con la sua piccola bancarella dalla quale proveniva un invitante profumo speziato.

"Mikasa vieni!" le fece segno di raggiungerla, poiché era rimasta più indietro, osservano attentamente tutto ciò che la circondava. Gabi aveva già ordinato un fagotto di alcuni invitanti ripieni che l'uomo stava cucinando.

"Lascia... faccio io." Mikasa si fece avanti e pagò il dovuto al commerciante.

"Grazie ma non dovevi."

"Sì che dovevo, è merito tuo se alla fine Levi mi ha fatta restare." le disse

"Ma figurati... io non c'entro niente, alla fine ha capito di aver detto un mucchio di sciocchezze. E poi sono sicura che a lui fa piacere che tu sia qui."

"Ne sei convinta davvero?"

"Certo, puoi scommetterci. Anzi ti dirò di più... secondo me tu gli piaci." disse in modo schietto.

Mikasa si bloccò di colpo "Ma che vai a pensare Gabi. Non dire assurdità."

"No, non lo sono affatto. Solo che voi due siete dei testoni e non ve ne rendete conto. Prendi Falco ad esempio... anch'io non avevo capito che lui mi volesse bene in quel senso. Però poi alla fine me lo ha detto, e adesso quando avremo l'età giusta ci sposeremo." Mikasa rimase molto sorpresa dalla risolutezza di quella ragazza. Aveva davvero le idee chiare, ma d'altronde le aveva sempre avute, da quando si era ancorata a quel dirigibile rischiando addirittura la propria vita.

Cercò di accantonare quel ricordo nella sua testa preferendo cambiare discorso. "Piuttosto... invece di perderci in chiacchiere non avevamo detto che avremmo fatto compere?"

"Certo che sì. Ma non sviare il discorso come fa il capitano però, con me non attacca." Mikasa sospirò immaginando quante volte in quegli anni Levi doveva aver perso la pazienza con quella ragazzina.

Avvertiva su di sé un senso di benessere e tranquillità. Non si sentiva più spaesata e fuori luogo, la presenza di Gabi era talmente coinvolgente da far passare tutto il resto in secondo piano. Avevano fatto acquisti, mangiato piacevolmente per strada, comprato ciò che mancava in casa, e adesso camminavano tranquillamente guardandosi in giro. Mikasa non notò niente di sospetto ne sguardi curiosi nei loro confronti. Semplicemente si confondevano tra la folla come persone del luogo uscite per delle commissioni. In genere quando qualcosa non andava avvertiva a pelle uno strano presentimento, quella volta però le preoccupazioni di Levi le sembrarono davvero eccessive.

"Ehi Mikasa... tu hai avuto modo di vedere mio cugino Reiner, come sta?"

"Direi piuttosto bene, non hai nulla di cui preoccuparti, credo che se la cavi egregiamente."

"Ne sono felice. Il mio più grande desiderio è che possiamo presto tornare tutti a Marley dalle nostre famiglie."

"Presto o tardi sarà così vedrai." Gabi le sorrise, mostrandole il proprio ringraziamento per quelle parole. Poi d'un tratto la vide correre in direzione di una vetrina spalancando gli occhi in modo entusiasta.

"Ehi Mikasa vieni a vedere che meraviglie ci sono qui, devono proprio essere squisite."

"Ma come, hai ancora fame?" non poteva crederci, ma d'altronde con la quantità di energie che consumava forse era normale.

Camminò più veloce per raggiungerla, tenendo ben saldi i vari pacchetti che aveva con sé. Stava davvero cercando di vivere e assaporare quella libertà e quel mondo che Eren aveva lasciato loro? Per la prima volta pensò di sì.

Ma il sorriso appena accennato apparso sul suo viso si trasformò in paura pochi secondi dopo.





C'è un tempo per i litigi, uno per gli scontri, e un altro per i chiarimenti. La notte porta consiglio ai due Ackerman che seppelliscono l'ascia delle loro diversità caratteriali per confrontarsi e raccontarsi. In questo capitolo Gabi fa un po' da "cicerone" per le vie di Londra, approfitto di questa cosa per ringraziare tutti coloro che hanno rivalutato questo personaggio osservandolo e leggendolo dal mio punto di vista. Lei trasmette sentimenti contrastanti e nessuno di noi ha certo dimenticato che Sasha ha perso la vita per mano sua. Ma la guerra è guerra e non fa distinzioni. Adesso vedetela per quello che è... una ragazzina intelligente, coraggiosa che cerca di approcciarsi nel modo più positivo possibile alla sua nuova vita. Succederà qualcosa nel prossimo capitolo? Probabile...
No, direi che è certo. Quindi per adesso vi saluto e ringrazio come sempre. A presto

 

 

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Capitolo 10
*** Ancora una volta... combatti! ***


"Salve miss Ackerman. È davvero un piacere rivederti dopo tanto tempo. Ti consiglio di non fare movimenti avventati o strane acrobazie come tuo solito, altrimenti la ragazzina che ti porti dietro ne pagherà le conseguenze."

Non poté vedere subito il volto del suo interlocutore, poiché con una mano le cingeva il fianco per bloccarla e con l'altra le teneva una pistola puntata alla schiena. Era stato repentino, agendo in modo del tutto naturale. Agli occhi delle numerose persone presenti alla scena in quel momento apparivano come una normale coppia che camminava abbracciata. Solo dopo aver realizzato cosa stesse succedendo vide alle spalle di Gabi un ragazzo notevolmente robusto con un giornale tra le mani guardarsi attorno valutando la situazione assicurandosi di passare inosservati.

Mikasa e lo sconosciuto si avvicinarono a Gabi, nel momento stesso in cui l'altro le si parò davanti.

"Chi diavolo siete e cosa volete da noi?" Mikasa cercò di temporeggiare, di certo non avrebbe potuto ingaggiare una lotta corpo a corpo in mezzo ad una piazza piena di persone. Considerando inoltre che loro erano sicuramente entrambi armati. Intanto Gabi si vide improvvisamente bloccare le braccia da una stretta soffocante.

"Non provare ad urlare ragazzina, o la signorina Ackerman si ritroverà con un buco nella schiena." Gabi trattenne il respiro, ansimante e terrorizzata guardava Mikasa incapace di capire cosa fosse accaduto in così pochi attimi. "Quello che vogliamo dipende dalle risposte che ci darai miss Ackerman. Adesso però troviamo un posto più appartato in cui parlare."

 

Percorsero pochi metri appena, prima di svoltare in un vicolo all'apparenza senza uscita. Ma era difficile stabilirlo con certezza poiché vi erano numerose casse e oggetti di vario tipo che impedivano una visuale chiara del posto. 
Proseguirono tutti e quattro, mantenendo una certa distanza tra le due ragazze, tenute preventivamente ben strette. Quando furono sicuri di non essere più alla portata di occhi indiscreti si fermarono.

Mikasa si ritrovò faccia a faccia con un ragazzo che la superava in altezza di parecchi centimetri. Gli occhi azzurri e penetranti di quello sconosciuto le trasmisero una sensazione di gelo in tutto il corpo. 
D'improvviso lui sciolse l'abbraccio con il quale la teneva bloccata scaraventandola con la schiena contro il muro. La reazione fulminea di Mikasa venne immediatamente bloccata dalla pistola che adesso il ragazzo le teneva puntata dritta al petto.

"No, fermo!" la voce terrorizzata di Gabi venne smorzata dalla lama di un coltello puntato vicino la gola.

"Toglietele le mani di dosso! Mi era parso di capire che era me che stavate cercando quindi lasciatela andare."

"Sì come no... così lei correrà a chiamare i vostri amichetti, giusto?" si avvicinò a Mikasa lentamente osservandola come se stesse puntando una preda che sa di non avere scampo. Ormai era chiaro, conoscevano bene lei ma anche Levi e gli altri, non ci volle molto per farle comprendere che c'era della premeditazione in tutto quello che stava accadendo.

"Chi diavolo siete?" digrignò rabbiosa, indietreggiando fino a raschiare il muro alle sue spalle.

"Mi pare giusto... le presentazioni prima di tutto. Io mi chiamo Arn e quello alle mie spalle è Cecil. Inutile che ti dica che apparteniamo agli jaegeristi."

"Infatti è inutile... una feccia come la vostra si riconosce dal fetore." Non ebbe quasi il tempo di terminare la frase che uno schiaffo la colpì in pieno viso provocandole un taglio sul labbro.

Gabi ormai singhiozzava sommessamente.

"Sei audace Mikasa Ackerman, ma le tue provocazioni non salveranno la tua vita nè quella della tua amica. Quindi ascoltami bene. Sono mesi che ti teniamo sotto sorveglianza, ovviamente sull'isola di Paradis eri praticamente inavvicinabile. Le tue capacità unite alla protezione della regina Historia ti rendevano inattaccabile. Ma noi siamo stati perseveranti e pazienti, sapevamo che era solo una questione di tempo, d'altronde sei un elemento prezioso che va preservato. Tu dovresti saperlo bene."

"Io so solo che voi siete dei pazzi fanatici che stanno gettando fango sul popolo di Eldia. Siete fautori della guerra perché sperate di ottenere il potere assoluto. Voi sapete quello che abbiamo passato eppure promuovete stragi e distruzione."

Lo sguardo di Mikasa divenne rabbioso il sangue le imbrattava il mento ma la furia dei suoi occhi fece vacillare per un istante la sicurezza di Arn.

"Era proprio come mi avevano detto, tu hai il fuoco dentro, sei stata creata per combattere ed è quello che vogliamo da te."

La sua mente ebbe come un sussulto 'sei stata creata per combattere'. Quelle parole la turbarono improvvisamente 'creata' da chi? E per quale motivo? Perchè tutti sembravano conoscere qualcosa del suo passato tranne lei? 
Non era quello però il momento di porsi delle domande. L'unica cosa alla quale doveva pensare era come salvare la vita di entrambe.

"Tu sei folle se speri che io mi presti ad una richiesta del genere."

Arn non si scompose per quella risposta, si limitò a voltarsi verso Cecil facendogli cenno con la testa. Con un gesto rapido della mano lui sfilò da una tasca una spessa corda con la quale legò le mani di Gabi per non farla reagire. Lei si agitò cercando di divincolarsi ma ottenne un pugno nello stomaco che la costrinse a piegarsi a terra. Stordita e dolorante per il colpo ricevuto venne stesa a faccia in giù mentre Calvin si sedette sulle sue gambe.

Mikasa ebbe un fremito di terrore, non poteva aspettare oltre doveva fare qualcosa.

"Non pensarci nemmeno miss Ackerman. Lo so che se potessi ci faresti a pezzi. Ma se muovi un altro muscolo ti ritroverai con una pallottola in testa lasciando quella ragazzina alla mercé di Calvin. E a lui le ragazzine piacciono particolarmente..."

Sentendo quelle parole i sospetti di Mikasa presero forma, mozzandole il fiato in gola. Quei due non erano stati mandati a caso. Anche l'altro ragazzo, Calvin, aveva un'altezza considerevole ed era molto più robusto rispetto al compagno. Erano stati previdenti, volevano metterla in difficoltà e ci stavano riuscendo.

"Siete dei bastardi! Chi vi manda? Chi c'è dietro tutta questa storia?"

"Le tue imprecazioni non ti salveranno la vita. Ma non puoi dire che non ti stiamo dando una scelta. Quello che posso riferirti è che le persone che ci hanno mandato a prelevarti sono molto più pericolose e senza scrupoli di noi. Però... tu sei una pedina troppo allettante, per questo stanno correndo tutti questi rischi. Pensano che tu li valga tutti. Unisciti a noi, seguici di tua spontanea volontà, abbraccia la nostra causa perchè è l'unico modo che hai per sopravvivere e forse la ragazza tornerà a casa con le sue gambe e con tutti i vestiti addosso. Altrimenti... dopo che Calvin l'avrà battezzata finirà venduta in qualche bordello della zona. Sai... qui ce ne sono tanti, e la carne fresca è sempre gradita."

Gabi non riuscì più a trattenere il pianto isterico che la colse all'improvviso. Provò a sollevarsi ma era come avere un macigno sulle gambe.

"Falla stare zitta Calvin!" riscosso dall'ordine impartito dal compagno prese un fazzoletto dal taschino e glielo avvolse attorno alla bocca per farla tacere.

Mikasa tremava visibilmente, con i pugni serrati e le gambe leggermente piegate, pronta a scattare. Doveva solo capire il momento giusto per poterlo fare. Poteva mettere fuori gioco Arn calciando la pistola che aveva tra le mani. Ma non poteva impedire all'altro di avventarsi su Gabi e ferirla a morte. Si sentì improvvisamente responsabile e in colpa. Era lei che volevano e braccavano da tempo, sapevano ogni suo movimento e avevano atteso che abbassasse la guardia per poterla colpire.

Se solo avesse dato retta a Levi, a quest'ora sarebbe stata in viaggio verso Paradis e Gabi a casa al sicuro protetta da Falco e dagli altri. Avrebbe tanto voluto che lui fosse lì con lei, desiderava avere il suo autocontrollo per poter valutare quale fosse la scelta migliore.

Cosa farebbe Levi se fosse al mio posto? Si chiese. Poi... una leggera pressione alla gamba destra le ricordò di ciò che aveva nascosto nel suo stivale. Anche lei possedeva un'arma, poteva contrastarli, avrebbe solo dovuto essere più veloce e disarmarlo della pistola.

"Sto aspettando miss Ackerman, non vorremmo dare troppo nell'occhio restando qui? Allora... hai deciso di seguirci?"

Mikasa distese le mani e abbandonò la posizione d'attacco, aveva il volto rassegnato e gli occhi bassi. Non le rimaneva altra scelta, se voleva tentare di salvare almeno Gabi da quella situazione. Gli occhi di Arn brillarono vittoriosi pregustando l'inevitabile resa della giovane donna. Gabi scuoteva la testa furiosamente pregandola di non arrendersi, Calvin allungò una delle sue viscide mani al di sotto della gonna e lei tentò di urlare più forte, soffocata dalle sue stesse lacrime. Arn accennò un sorriso, ironico, lascivo e vagamente divertito. Era quello l'attimo di esitazione che aspettava, era quello il momento giusto.

Si piegò fulminea sferrandogli un calcio alle caviglie. Arn si ritrovò a terra all'istante imprecando per il dolore e perdendo la presa sulla pistola. Mikasa sfilò il pugnale dal bavero dello stivale e si avventò su di lui che cercò di evitare il colpo proteggendosi con il braccio destro che però venne completamente lacerato dal gomito al polso.

"Lurida puttana!" inveì contro di lei sferrandole un calcio che la prese al ventre facendola arretrare. Calvin si sollevò dal corpo di Gabi per soccorrere il compagno, ma lei fu più svelta sferrandogli un sonoro calcio nei genitali che lo costrinse a piegarsi a terra dal dolore.

La ragazza corse in direzione di Mikasa mentre Arn provò a rialzarsi cercando di recuperare la pistola persa nella caduta. Gabi avrebbe voluto aiutarla ma i polsi legati le impedivano qualsiasi azione. 
Non appena le fu vicino Mikasa tagliò velocemente le corde, mentre lei potè finalmente liberarsi la bocca.

"Scappa Gabi va via da qui!"

"Cosa? Sei impazzita come pensi possa andarmene lasciandoti qui?"

"Non ti seguiranno, è me che vogliono, corri a chiamare Levi e Falco. Va!"

"No... no, non posso, non chiedermi di farlo."

"Ti ho detto di andare, non discutere per la miseria!"

Ma forse era già tardi, Arn aveva recuperato la sua arma, trascinandosi a fatica nel suo stesso sangue e imprecando come un indemoniato. Calvin si era rialzato avvicinandosi pericolosamente ad entrambe. Era tardi per qualsiasi tentativo di fuga. Il pugnale non avrebbe fermato il colpo di pistola, ma forse... 
Poteva tentare una mossa, seppur azzardata. Già... folle e azzardata, com'era stata sempre la sua vita. Come lo erano state le sue scelte, il suo innamorarsi perdutamente di un ragazzo che si era sacrificato per far comprendere al mondo l'ipocrisia dilagante dell'essere umano. Lui aveva protetto le persone che amava. Lei... aveva detto di voler fare la sua parte, dare il suo contributo. Adesso forse era il momento di saldare il conto.

"Ammazza la ragazzina Calvin, squarciale la gola e dalla in pasto ai cani!" Arn era completamente impazzito, ormai niente contava più, neppure l'obbiettivo di reclutare Mikasa Ackerman. Cercò di mirare con il braccio sinistro, poiché l'altro era inutilizzabile.

Mikasa osservò ogni suo movimento valutando la distanza di Calvin. Poi d'un tratto si alzò. Il pugnale di Levi tenuto per la lama, piegò appena il polso all'indietro e puntò il suo obbiettivo. Con un gesto rapido, preciso, il coltello sembrò sparire nel nulla a mezz'aria per poi conficcarsi dritto in mezzo alla fronte di Calvin che stramazzò al suolo senza emettere un solo lamento. Poi fu la volta dell'uomo di fronte a lei. Avvertì impercettibilmente un dito che faceva pressione sul grilletto. Si mosse veloce, urlando di rabbia e frustrazione ma agguerrita e furente.

"No, Mikasa!" il colpo partì e nell'aria si diffuse un rumore assordante, come un boato. Poi fu solo fumo, denso come nebbia. Pochi istanti in cui il silenzio sembrò innaturale, e ancora singhiozzi, lacrime e... sangue. Tanto, troppo sangue. Era ancora in piedi, ma immobile. Istintivamente si toccò il fianco destro, imbrattando completamente il palmo della mano. 
Un dolore lancinante le mozzò il fiato espandendosi nel petto. Si voltò appena, Gabi alle sue spalle era viva, anche se in evidente stato di shock. Ai suoi piedi giaceva, inspiegabilmente, il corpo di Arn con un enorme foro di fucile dritto nel petto.

Socchiuse gli occhi provando a scrutare oltre quel fumo, ma sentiva dolore... un dolore che le stava avvolgendo corpo e mente. Era stanca, sperava di non dover più combattere, di non dover uccidere. Ma forse davvero non c'era altro modo per sopravvivere. Le gambe cedettero senza che potesse far nulla, gli occhi si abbandonarono al buio. Ma il suo corpo non toccò mai quelle fredde pietre intrise di sangue e odio. Si sentì sorretta in un abbraccio, e avvertì un'altra mano dove la sua ferita pulsava di dolore.

"Mikasa... Mikasa mi senti? Rispondi per la miseria, apri gli occhi!" era così difficile farlo, non ne aveva la forza, non più. "Cazzo Ackerman! Non morirmi come una pivellina in questo schifo di città, sono stato chiaro?" era un ordine quello che sentiva. Già... sembrava proprio di sì. Aprì gli occhi lentamente e se lo ritrovò così vicino da percepirne il battito accelerato del cuore.

"Capitano Levi..." lo chiamò quasi volesse avere la certezza che fosse lui.

"Capitano un corno! Cosa cazzo è successo qui?"

"Perdonami Levi, avrei dovuto ascoltarti." lui non riuscì a capire a cosa si riferisse, pensò che il dolore la stesse facendo delirare.

"Sta zitta adesso, Falco e Onyankopon sono andati a chiamare un medico di nostra conoscenza. Ti porterò via da qui, intesi?"

Ma lei sembrava non ascoltarlo. Neanche la vicinanza di Gabi, accorsa per pulirle il viso e vedere le sue condizioni, sembrò rianimarla. "Sarei dovuta andare via. Anzi... non sarei mai dovuta venire qui. Mi dispiace." adesso era chiaro il perché di quelle scuse, ma ciò non fece altro che alimentare l'angoscia nel cuore di Levi.

"Non dire sciocchezze ragazzina... rivedere il tuo viso è stata una delle poche cose piacevoli di questi ultimi tre anni."

Mikasa accennò un sorriso mentre Gabi era totalmente frastornata. Non si aspettava un tale slancio da parte di Levi, ma quelle parole la sorpresero soprattutto per il drammatico significato che potevano assumere.

"Grazie... Levi" sollevò a fatica la mano sfiorandogli il volto. Lui la strinse nella sua e rabbrividì, era fredda, inanimata, stanca.

Poi la sentì lentamente scivolare cadendo lungo il fianco della ragazza. Un mormorio concitato giungeva da lontano, Falco e Onyankopon dovevano essere tornati. Mentre Mikasa si accasciò inerme e priva di conoscenza tra le sue braccia.

 

                                                                                                                          ***


Occhi verdi, come rigogliose colline che ondeggiano al vento.

Occhi verdi, come i prati sui quali ci rincorrevamo da piccoli, quando la felicità era semplicemente poter stare insieme, ridere... e sognare cosa avremmo fatto da grandi.

Occhi verdi e brillanti come le foglie di quest'albero che adesso ti riparano dal sole e dalla pioggia. Lui è forte, cresce e si innalza verso l'alto... verso il cielo, verso la libertà.

Un viso di bambina mi guarda da lontano, anch'io mi soffermo ad osservarla e in lei rivedo la triste rassegnazione che c'era nei tuoi occhi. Non penso di conoscerla, eppure mi è così familiare. 
"Allora eri tu che sbirciavi nella mia testa. Sai... penso che il tuo amore sia stato un lungo incubo. Ma se io sono qui, in fondo, lo devo anche alla tua esistenza." le parole vengono fuori dalle mie labbra in modo naturale, come se fossero sempre state lì in attesa di questo momento. Lei mi sorride appena, come se volesse ringraziarmi, poi scompare così com'era apparsa come leggera nebbia.

Ed è come se nella mia mente qualcosa si dissolvesse con lei, un velo leggero ma palpabile che prima c'era e adesso sembra scomparso. Abbasso lo sguardo e vedo ciò che resta di te stretto tra le mie braccia. Vorrei dirti che andrà tutto bene, che continuerò a proteggerti come ho sempre fatto. Che non importa cosa io sia o lo scopo per cui sono venuta al mondo. Il mio amore per te era vero e reale, non lo rinnegherò mai, perché significherebbe che niente avrebbe avuto senso, invece non è così.

Adesso... avrei solo voglia di piangere, e dormire. Chiudere gli occhi e riposare, magari accanto a te scaldata dal tepore del sole, cullata dal silenzio e dal vento. Credi che se mi lascio andare potrò realizzare questo desiderio? Potrò finalmente restarti accanto?

C'è tanto silenzio, tanto dolore... il buio sembra volermi inghiottire, e forse è ciò che voglio anch'io. Però... qualcosa o qualcuno mi tiene ancorata ostinatamente a questa vita...

Occhi affilati e penetranti, nelle cui profondità potresti perderti cercando di comprendere insondabili verità non a tutti concesse.

Occhi brillanti e stanchi, rabbiosi e affranti da un dolore silenzioso che si riflette in quell'espressione immutabile e severa.

Occhi che hanno visto la morte, la sofferenza l'abbandono, l'amicizia e la fiducia reciproca.

Lo so che ci sei, qui accanto a me, ti sento. Avverto la tua presenza, il tuo tocco, così delicato e deciso. 
Vorrei aggrapparmi a te e uscire da questo incubo, perché solo tu in qualche modo sei sempre riuscito a riportarmi indietro. Dai miei dubbi, dalle mie paure, dalle mille incertezze. Non lasciarmi, non adesso... stringi la mia mano ancora per po', prima che io mi lasci nuovamente andare.

 
                                                                                                                           ***

 

"Levi... signor Ackerman." sentì un tocco leggero sulla spalla che lo risvegliò dal leggero sonno che lo aveva colto.

"Cosa c'è, che succede?" si sentiva confuso, la testa stranamente pesante e la mente annebbiata. Gli ci volle qualche secondo per mettere bene a fuoco il luogo in cui si trovava.

"Dovrebbe andare a casa a riposare, non c'è nulla che lei possa fare qui." Furono le parole del medico che diedero un'ulteriore sferzata alla realtà che gli si parava davanti. Non era un incubo, avrebbe voluto che lo fosse. Uno di quegli incubi che da anni lo perseguitavano, ma che sparivano alle prime luci dell'alba lasciandogli addosso solo un insopportabile malessere.

Abbassò lo sguardo e vide che la sua mano ne stringeva un'altra. Sollevò la testa in direzione del corpo disteso su quel letto, e avvertì all'istante una fitta allo stomaco che gli mozzò il respiro. Lei era lì... distesa, immobile e pallida. Si rese conto che la mano che stringeva era fredda e inerme, come quella di una bambola rotta. Era lei, era Mikasa, ma niente di ciò che vedeva aveva neppure il vago ricordo di ciò che era stata. Si rese conto di non avere la minima idea di quanto tempo fosse trascorso dal momento in cui lei era stata ferita. Si guardava attorno e niente sembrava avere un senso, come se stesse vivendo una realtà parallela dalla quale non poteva scappare.

Si voltò verso il medico che stava dritto dinanzi a lui. L'uomo si accorse dello smarrimento che stava provando in quel momento, e cercò di tranquillizzarlo. "Ascolti Levi... sarò onesto con lei, la situazione non è delle migliori. La pallottola non ha intaccato organi vitali ma ha provocato una copiosa emorragia. Cercheremo di fare il possibile, ma la ragazza deve mostrare segni di collaborazione. Cosa che al momento non vedo."

Levi si alzò dalla sedia piantando il suo sguardo in quello del dottore "Mi sta dicendo che non si risveglierà? È questo che sta cercando di dirmi girandoci intorno?" afferrò l'uomo per il bavero del camice, ma lui non sembrò reagire. Lo conosceva bene ormai. Levi in quell'ospedale aveva trascorso molto mesi, e ancora adesso doveva recarsi lì per le terapie alla gamba. Cosa che però faceva di rado.

Sapeva che non aveva intenzione di fargli del male, aveva solo bisogno di sfogare la sua frustrazione nel non poter fare nulla.

"Le probabilità di guarigione dipendono anche e soprattutto dalla volontà del paziente. Tu lo sai bene Levi. La tua amica è giovane e fisicamente forte, ma sembra che non abbia questa volontà." non voleva ascoltarlo, non voleva sentire una parola di più.

Gli sembrò che l'aria nei polmoni gli fosse sottratta all'improvviso. Doveva uscire da lì, prima di commettere qualcosa di avventato.

"In compenso posso dirti che la ragazza che era con lei sta bene. L'abbiamo visitata e a parte qualche escoriazione e vari ematomi localizzati, non ha riportato ferite. Tra qualche giorno quello che è accaduto sarà solo un brutto ricordo." concluse il medico.

"Ne sono felice." rispose lui lapidario. Non ebbe il coraggio di guardarla ancora, scansò il medico e si diresse verso l'uscita.

Percorse pochi metri del corridoio che separava i vari reparti e subito si vide raggiunto da Gabi, Falco e Onyankopon.

"Capitano Levi... allora come sta?" lui non rispose, stringendo il pugno della mano sinistra. A Gabi non servì chiedere altro. Gli occhi le divennero lucidi e Falco dovette sorreggerla per paura che crollasse all'improvviso.

"Tu come stai Levi? Sono due notti che non ti muovi da quella stanza." Solo dopo che Onyankopon glielo aveva fatto notare Levi si rese conto del tempo trascorso.

Cercò di riprendere un minimo di autocontrollo e poi parlò.

"Ho bisogno di un caffè. Seguitemi forza..." non ebbero né tempo né modo per comprendere quelle parole. Lo seguirono senza discutere sperando che almeno lui dissipasse i loro dubbi.





Sono accadute un po' di cose in questo capitolo, e Mikasa ne ha pagato le conseguenze. I timori di Levi si sono materializzati nel modo più doloroso e imprevisto possibile, adesso non resta che attendere e vedere l'evolversi della situazione, che diventa sempre più precaria e pericolosa. Spero di aver reso al meglio lo scontro tra Mikasa e gli jageristi, ho sempre mille dubbi quando devo descrivere scene d'azione. Comunque sia... se ne saprà di più nei prossimi capitoli. Grazie mille a tutti voi e alla vostra presenza che per me è fondamentale.  N.b. Nel caso non fosse chiaro, la parte in corsivo si riferisce ad un sogno che Mikasa fa mentre è incosciente in ospedale. La bambina che vede è Ymir, la progenitrice, ed è un mio personale omaggio alle ultime tavole del manga regalateci da Isayama.

 

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Capitolo 11
*** Dolore e nuove consapevolezze ***


Lasciarono l'ospedale percorrendo a piedi un breve tratto di strada che li portò in una sala da tè che Levi conosceva bene. La ragazza che lavorava in quel posto sapeva da tempo le sue abitudini e vedendolo entrare preparò subito una tazza con un piattino e dei biscotti su un vassoio a parte.

Levi si avvicinò al bancone. "Niente tè oggi Marla. Fammi un caffè, forte e amaro, intesi?" la ragazza sgranò gli occhi pensando seriamente che Levi stesse scherzando. Ma quando lui la vide esitare bastò una semplice occhiata per farle capire che non c'era stato nessun errore.

Si accomodarono al tavolo più appartato della sala. Levi attese che anche loro ordinassero qualcosa e poi parlò. "Gabi, raccontami esattamente come sono andate le cose, e tutto ciò che riesci a ricordare su quei pezzi di merda."

La ragazza spiegò come si erano svolti i fatti, benché ogni tanto fosse costretta a fermarsi a causa delle lacrime che non riusciva a trattenere. Era esattamente come Levi aveva sospettato. Volevano Mikasa e sapevano che per convincerla avrebbero dovuto ricorrere ad un ricatto. Ingaggiare battaglia con lei sarebbe stata una sconfitta in partenza, con il risultato di non aver ottenuto niente.

Così invece potevano costringerla con le buone o con le cattive. Avevano atteso il momento opportuno e poi agito. "L'hanno fatta seguire da quando si è imbarcata per raggiungere Londra. Di certo avranno puntato sul fatto che lei non sospettasse ci fossero infiltrati anche qui. Che bastardi!" digrignò con un filo di voce.

"C'è ancora una cosa che ricordo chiaramente. Erano sicuramente di Londra, il loro accento era inconfondibile, non posso sbagliarmi." cocluse Gabi.

Era un'ulteriore conferma che gli jaegeristi avevano messo radici anche in quella città. "Piuttosto... come avete fatto a sapere dov'eravamo. Era impossibile che sapeste il posto preciso." chiese la ragazza

"Vi abbiamo fatte seguire, e sembra che la nostra spia se la sia cavata piuttosto bene visto che non lo avete notato." rispose Falco

"Cosa? Ci avete fatte pedinare?" Gabi sembrò quasi offesa da quella mancanza di fiducia e Falco si sentì come se quelli in errore fossero stati loro.

"Sta a sentire mocciosa... non avrai creduto che vi mandassi in giro da sole senza tenervi d'occhio? Soprattutto sapendo che quei pezzi di merda erano in città?"

"Quindi tu lo sapevi?" era una domanda legittima, e Levi sapeva che arrivati a quel punto doveva mettere le carte in tavola.

"Mi pare ovvio che lo sapessi, altrimenti non vi avrei fatte sorvegliare."

"E non sarebbe stato meglio metterci al corrente della cosa?" la voce di Gabi, notevolmente alterata, stava attirando l'attenzione dei clienti presenti nella sala. L'arrivo di Marla, e delle rispettive ordinazioni, riportò una certa calma tra i presenti. Anche se l'atmosfera pesante che si respirava fece intuire alla cameriera di doversi dileguare quanto prima, anche se avrebbe preferito conversare un po' di più con Levi.

"Non avercela con il capitano, la decisione di non dirti niente è stata appoggiata anche da me. Abbiamo ritenuto che tu e Falco non doveste essere coinvolti. Speravamo... di tenervi fuori da questa storia. Ma adesso sembra evidente che ci siamo sbagliati." l'intervento di Onyankopon calmò in parte la rabbia della ragazza.

"Aspettate un attimo, hai detto io e Falco. Allora Mikasa lo sapeva, era al corrente che c'erano quei tizi in giro per la città?” Levi abbassò lo sguardo, e fu sufficiente quello per intuire la risposta. "Se fossi stata armata anch'io tutto questo non sarebbe successo. Avrei potuto aiutarla, invece sono rimasta a guardare, mentre lui le sparava!" Levi strinse i pugni, socchiuse l'occhio sano e l'immagine di lei distesa in quel letto gli tornò in mente. Bevve un sorso di caffè e fu anche peggio... lo stomaco rifiutava qualsiasi cosa. Un conato di vomito lo assalì all'improvviso.

"Scusatemi... io devo uscire un attimo." Corse fuori senza aggiungere altro.

La rabbia di Gabi stava raggiungendo il punto di rottura. Possibile che lui le avesse esposte ad un tale rischio senza nemmeno avvisarle. Sì, le aveva fatte seguire, ma se fosse andato qualcosa storto? Se quei due si fossero accorti che erano sorvegliate? Avrebbero ammazzato anche lui, già... ma poi chi era la persona in questione? "Da chi ci avete fatte seguire?" chiese, rivolta ad Onyankopon.

"Dal ragazzo che vende i giornali per strada, lui può muoversi liberamente senza destare sospetti. Sono stato io stesso a riferirgli il messaggio quella mattina. Sotto lauta ricompensa non ha fatto troppe domande. Aveva solo il compito di tenervi d'occhio e avvisarci se qualcuno di sospetto vi avesse avvicinate. E così è stato."

"Ecco perché hai tardato per la colazione?" adesso tutto sembrava incastrarsi alla perfezione.

"Comunque è inutile inveire contro il capitano, lui ha preso una decisione e di certo non poteva lontanamente immaginare ciò che sarebbe accaduto. Ascolta Gabi... guardalo, tu lo conosci, sono due giorni che non mangia e dorme appena. È distrutto, e le condizioni di Mikasa non accennano a migliorare. Cerchiamo di stargli vicino piuttosto."

Gabi sospirò affranta, a volte si chiedeva come diavolo facesse Falco ad essere così risoluto e lucido. Affrontava sempre le situazioni complicate nel modo migliore, cercando di comprendere lo stato d'animo di ognuno di loro. Lei invece avrebbe spaccato tutto, se avesse avuto un fucile tra le mani di certo il cervello di quei due avrebbe tappezzato le pareti di quel vicolo. Ma le cose erano andate diversamente... è lei ancora una volta era in debito con qualcuno per averle salvato la vita.

"Dove sono finiti i cadaveri di quei ratti di fogna?"

"Accatastati esattamente dove li abbiamo lasciati. Ovviamente Levi ha recuperato il suo coltello. Ma per il resto... stanno facendo compagnia ai rifiuti."

"E se le guardie cittadine dovessero fare domande, magari il ragazzo dei giornali potrebbe parlare e dire qualcosa di compromettente?"

"Non lo farà, ha troppa paura del capitano per correre un simile rischio. E le guardie... quando capiranno che sono jaegeristi se ne fregheranno altamente di indagare."

"Spero che sia così." ma dentro sé non riuscì a condivedere l'ottimismo di Onyankopon.

 

Trascorsero ancora qualche minuto nella sala da tè, in totale silenzio e con gli sguardi bassi. Sperarono che Levi tornasse da loro ma non fu così. Pagarono il dovuto ringraziando Marla, che chiese loro di portare i suoi saluti a Levi, e uscirono in strada.

Si guardarono attorno ma di lui non c'era nessuna traccia.

"Ma dove sarà andata adesso?" Onyankopon percorse correndo varie direzioni senza nessun risultato.

"È andato da lei mi pare ovvio." gli occhi di Gabi si riempirono di lacrime, che divennero un pianto liberatorio quando Falco l'abbracciò stringendola a sé. Lei gli si strinse forte nascondendo il viso sul suo petto. La sua mano che le accarezzava amorevolmente i capelli le diede un senso di sollievo e protezione. Quando finalmente riuscì a calmarsi sollevò lo sguardo sul ragazzo e lui le asciugò le ultime lacrime.

"Io vado da lui, voi tornate a casa e riposate un po'."

"Non ti lascio da sola è fuori discussione!" rispose perentorio, senza ammettere repliche.

"Lo farai invece. Mi accompagnerete fuori l'ospedale e poi andrete via. Non serve che rimaniate. Ho bisogno di parlare con Levi da sola." Falco la osservò negli occhi e capì che non sarebbe riuscito a farla desistere. Non c'era verso quando si metteva in testa di fare qualcosa.

"Cosa ne pensi Onyankopon, possiamo lasciarla da sola con il capitano?"

Il giovane sorrise appena "È un rischio... però chissà, magari i loro continui battibecchi potrebbero far svegliare Mikasa alla fine." Sarebbe stato bello se fosse bastato così poco. Ma almeno quelle parole servirono a smorzare la paura e la preoccupazione che gravava su tutti loro.

 

                                                                                                                      ***


"Allora io vado."

"Non ti azzardare a tornare a casa da sola. Aspetta Levi, ci siamo capiti?"

"Dubito che lui si muoverà da qui."

"Convincilo a tornare, ha bisogno di riposarsi e di fare un bagno caldo. E poi sono sicuro che non ti lascerebbe mai tornare da sola."

Gabi annuì, di quello era certa anche lei. Si salutarono con un leggero bacio, appena accennato, prima che lei sparisse oltre la porta d'entrata.

Non appena imboccò il corridoio che portava alla stanza di Mikasa lo vide. Era poggiato al muro con lo sguardo perso fuori dalla finestra mentre osservava l'approssimarsi del tramonto. I passi di Gabi alle sue spalle lo fecero voltare. Il suo sguardo sembrava altrove... perso, lontano da quel luogo, probabilmente tra ricordi non proprio piacevoli.

"Che ci fai qui, perché non sei a casa con gli altri?"

"Perché è qui che voglio stare, e perché tu non sei certo l'unico ad essere preoccupato per lei. Come credi che mi senta io? È la seconda volta che lei mi salva la vita. Ti rendi conto? Lei ha salvato me! Io... che ho ucciso una persona a lei cara, ferendone mortalmente un'altra, che forse contava più della sua stessa vita. Io, che ero una nemica che voleva ammazzarvi tutti. E non lo mai neanche ringraziata per quella volta."

Levi le si avvicinò sollevandole il viso."Non darti colpe che non hai. Le mani di tutti noi sono sporche di sangue. Sangue innocente e senza colpe. La guerra non fa distinzioni, è solo un assurdo massacro nel quale sopravvivono unicamente quelli che decidono di spegnere la ragione e i propri sentimenti."

Non lo aveva mai sentito parlare così. Aveva l'aria stanca, l'animo affranto. Per la prima volta dimostrava più dell'età che aveva. Come se fosse invecchiato di colpo sotto il peso dei ricordi e dei rimpianti.

"Anche per te è stato così? Anche tu hai spento i tuoi sentimenti per non soffrire?"

Non rispose. D'altronde... cosa avrebbe dovuto dirle. Lui non aveva mai conosciuto sentimenti che non fossero condizionati dall'ottenere uno scopo preciso. Per questo non voleva legami né amicizie profonde, perché sapeva che niente di buono né sarebbe venuto fuori.

Quando poi conobbe Farlan e Isabel qualcosa in lui cambiò. Decise di provare ad avere fiducia in qualcuno. E quando loro persero la vita, anche una parte di quelle certezze acquisite morì con loro. Trovò nuovi obbiettivi, un nuovo scopo. Conobbe qualcuno forte quanto lui, non fisicamente forse, ma dalla mente brillante in grado di trascinare dietro se qualsiasi soldato al suo comando. 
Conobbe Hanji, e scoprì che nonostante l'orrore in cui erano costretti a vivere grazie a lei riusciva ancora a sdrammatizzare e ad avere fiducia negli altri. Era ammirato, invidiato, amato e odiato da chiunque lo conoscesse.

Lo temevano perché sapevano del suo oscuro passato e dei suoi pochi scrupoli. E quando fu messo a capo di una squadra ricominciò per l'ennesima volta a costruire qualcosa d'importante. Doveva farlo, se voleva sopravvivere e rendere loro forti e combattivi. I giganti, la guerra, gli avevano tolto tutto. Amici, compagni, superiori, la sua stessa squadra. Alla fine tutto ciò che gli rimase fu solo un manipolo di ragazzini inesperti ma tenaci. Così tenaci da diventare indispensabili. Aveva lottato strenuamente per farli sopravvivere perché ognuno di loro realizzasse i propri sogni e avesse un futuro. Eppure adesso in quel letto giaceva una di loro.

Una ragazza, così profondamente legata a lui da poterne sentire i pensieri. Una donna che in qualche modo discendeva dalla sua stessa stirpe. Così simile a lui da creargli sgomento. Tanto forte da incutergli timore quanto fragile da volerla proteggere. 
Così bella... da togliergli il fiato ogni volta che si perdeva nei suoi occhi. Non poteva, né voleva pensare di doverla perdere. Aveva impedito con ogni mezzo che le accadesse qualcosa in tutti quegli anni per poi vederla morire così?

Era vero, anche lui per tanto tempo aveva spento i propri sentimenti, li aveva seppelliti in un angolo buio dove niente e nessuno avrebbe potuto farli riemergere. 
Niente e nessuno, tranne lei. C'era voluto tempo per comprenderlo ma sapeva che era a causa sua se adesso nel petto il cuore aveva assunto un ritmo diverso.

"Io... non so cosa provo esattamente. So solo che non voglio che lei muoia. Voglio che viva a lungo, che sia felice, lontana da tutto questo e lontana da me."

Gabi trasalì sentendo quelle parole perché sapeva che stridevano con quello che aveva visto quella maledetta mattina di due giorni prima. 
"Non sei bravo a mentire quanto lo sei a combattere capitano, fattene una ragione. È tempo di gettare la maschera, Levi..." erano rare le volte in cui si rivolgeva a lui in modo così confidenziale. Quando però accadeva le sue parole lo scuotevano in modo profondo. "... se davvero tieni a lei, come credo, devi dirglielo. Perché se vuoi bene ad una persona desideri che lei torni da te con tutte le tue forze! Hai lottato per una vita intera per gli altri. Adesso fallo per te stesso e per lei, per poter vedere insieme quel mondo per cui tanto avete sacrificato."

Levi l'ascoltò in silenzio, sinceramente colpito dalla maturità di un tale pensiero."Adesso mi dai persino dei consigli? Credevo che fossi arrabbiata a morte con me?"

"Oh... lo sono eccome, puoi giurarci. Ma adesso la cosa più importante è che lei si riprenda. E che tu ti dia una lavata a dire il vero. Perché sei davvero in condizioni pietose capitano."

"Cosa? In che condizioni sarei io?" ribatté furente, ma Gabi confermò con un gesto quelle parole, e lui osservandosi si rese conto di quanto avesse ragione.

"Torniamo a casa capitano, concediti un po' di riposo ti prego..." era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma comprese che la ragazza era sinceramente preoccupata anche per lui. E poi non l'avrebbe mai lasciata tornare da sola.

"Va bene ragazzina seguirò il tuo consiglio. Dammi un minuto e andiamo."

Lo vide rientrare nella stanza di Mikasa, dove negli altri tre letti presenti gli ammalati sembravano già dormire. Si fermò ad osservarla spostando con la mano una ciocca di capelli che le ricopriva il lato destro del viso.

"Tornerò domani, non temere, non ti lascio in questa situazione da sola. Tu intanto riposa ancora un po', ma se puoi, ti prego... torna da me." pronunciò quelle parole sussurrandole appena al suo orecchio e sfiorandole il viso con la fronte.

Poi si alzò e raggiunse Gabi che lo stava osservando da fuori la porta. La ragazza non disse niente, limitandosi ad affiancare il capitano e lasciando insieme quel luogo per tornare a casa.

 

                                                                                                                            ***

 

"Siete tornati, meno male, eravamo preoccupati." rientrarono in silenzio cercando di lasciare per un attimo alle loro spalle ansie e preoccupazioni. Gabi si gettò sul divano, chiudendo gli occhi in cerca di riposo.

Levi si tolse la giacca cominciando a sbottonare la camicia. Onyankopon seguiva i suoi movimenti con lo sguardo, incerto se parlargli oppure no. Quando vide che stava per dirigersi verso la stanza da bagno senza dire una parola prese l'iniziativa seguendolo.

"Levi, credo che dovremmo avvisare Armin e gli altri..." sentendo quelle parole si fermò di colpo senza voltarsi, incapace di formulare una qualsiasi risposta "... mi hai sentito Levi?"

"Certo che ti ho sentito. So bene che dovremmo avvisarli, ma aspettiamo ancora un paio di giorni."

"Ne sei sicuro?"

"Non sono più sicuro di niente. E se vuoi saperlo non ho la minima idea di cosa fare. Come diavolo potrei guardare in faccia Armin e dirgli che non sono stato in grado di proteggerla?"

Sentiva un senso di rabbia e impotenza esplodergli nel petto. Proprio com'era successo quando vide i cadaveri di Farlan e Isabel, come quando chiese ad Erwin di sacrificarsi per spianare loro la strada. Credeva di aver seppellito per sempre certe sensazioni, ma il destino si faceva ancora beffe di lui.

"Non è colpa tua Levi, anzi... tu lei hai salvato la vita."

"Io ho dato l'occasione a quel pezzo di merda di sparare. E sai perché? Perché sono stato un egoista. Avrei dovuto mandarla via, anche con la forza se fosse stato necessario, come avevo detto dal primo momento. Ma alla fine non ce l'ho fatta. Solo perché... perché..."

Onyankopon comprese ciò che lui provava e soprattutto le parole che faceva fatica ad ammettere persino a sé stesso.

"Non è il momento per le recriminazioni questo. Mi fido del tuo giudizio Levi. Aspettiamo e cerchiamo di essere ottimisti. Mikasa è una donna forte, vedrai che si riprenderà." Non erano parole di circostanza, credeva davvero in ciò che gli stava dicendo, e sperò quanto meno che se ne convincesse anche il capitano.

 

Quando finalmente si ritrovò da solo poté liberarsi di quegli abiti sudici e immergersi nel tepore di un bagno caldo. I muscoli tesi si rilassarono, e lui ritrovò, dopo tanto, il controllo di sé e del proprio corpo. Si soffermò a pensare che in fondo lo sapeva... sapeva che per quelli come loro la parola pace aveva un senso unicamente effimero e sfuggente.

Che erano cambiati solo il modo e il nemico, ma che avrebbero dovuto sempre lottare per sopravvivere. Una parte di sé sapeva di non poterla biasimare se non voleva risvegliarsi. Perché avrebbe dovuto farlo, a quale scopo? Voleva conoscere di più del suo passato? E cosa le avrebbe giovato sapere che la famiglia reale un tempo aveva giocato con le loro vite come delle cavie.

Sì, perché lui qualcosa sapeva. Qualcosa... scoperto tanti anni prima, in circostanze impreviste. Credeva di avere tempo... tempo per poterle spiegare, per farle comprendere alcune cose. Ma il tempo, per loro, sembrava un nemico costante e inesorabile. D'altrode lui aveva scelto fin da subito chi essere e cosa fare della propria vita. Sapeva per certo che nessuno gli avrebbe più messo i piedi in testa o costretto a fare ciò che non voleva. No, lui non era uno schiavo, eppure a volte uccidere e stroncare vite era un qualcosa da cui non riusciva in alcun modo a sottrarsi. Chiuse l'occhio sinistro, immerse la testa nell'acqua e lasciò che tutto ciò che lo circondava si spegnesse. Non voleva pensare, non voleva ricordare. Voleva solo rivedere i suoi occhi e perdersi nuovamente in essi.

 

                                                                                                                        ***


Ebbe un incubo, che la costrinse a svegliarsi di soprassalto madida di sudore e con il respiro affannato. Era da tempo che i ricordi del passato non bussavano alla sua mente togliendole il sonno, e ne era sinceramente felice.

Quella notte però non fu così. Rivide se stessa, sentì montare dentro la stessa rabbia di allora, la medesima frustrazione. Rivide i volti dei compagni morti, lei... con il fucile in mano pronta a puntarlo verso il nemico. Percepì le sue mani sporche di sangue, e poi il volto di Sasha e quello di Eren, feriti a morte da un colpo esploso da lei. Strinse la testa tra le mani cercando di scacciare quell'incubo che credeva ormai sepolto e irraggiungibile.

Rivide i vestiti di Mikasa, il suo cappotto e la sciarpa, che lei aveva lavato e risistemato non appena tornata a casa dopo la disavventura che avevano avuto. In quel momento pensò di averle portato via tanto, di essere l'artefice della sofferenza di chi invece le aveva salvato la vita, e si sentì piccola e meschina. 
Si alzò come furia, non riusciva più a restare lì inerme. Si diede una lavata e indossò degli abiti puliti. Il sole, come sempre, tardava a mostrarsi quella mattina ma volle approfittare del fatto che la stanchezza di quei giorni teneva gli altri ancora a letto. Scrisse un biglietto in tutta fretta, lasciandolo in bella vista sul tavolo della cucina. Prese il cappotto e uscì.

Per le strade i commercianti e altre persone più distinte cominciavano la loro giornata lavorativa. Si guardava attorno di continuo con fare sospetto, ma non poteva fare diversamente. Sapeva che non appena Falco e gli altri si fossero accorti della sua bravata le avrebbero fatto una sonora strigliata. La cosa non le importava, però almeno doveva essere prudente.

Affrettò il passo e in un quarto d'ora circa fu all'ingresso dell'ospedale. La signora di mezza età nella sala d'aspetto la riconobbe subito pur rimanendo sorpresa nel vederla lì a quell'ora.

"Gabi... è forse successo qualcosa? Che ci fai qui di mattina presto, non è orario di visita lo sai?"

"Mi faccia entrare la prego. Prometto che non darò fastidio, non mi sentirà emettere neppure un fiato, ma mi faccia andare da lei la prego." la donna non ebbe cuore di rifiutarsi, anche perché Gabi le ricordava la sua secondogenita, quindi acconsentì.

"Grazie infinite prometto che starò buona." ma le sue parole si persero già lungo il corridoio mentre si apprestava ad entrare nella stanza di Mikasa.

Il giorno precedente non aveva avuto modo di vederla, aveva preferito che fosse Levi a salutarla conoscendo bene la riservatezza del capitano in certi frangenti aveva preferito non interferire. Entrò lentamente per non disturbare gli altri pazienti, vide la consueta sedia accanto al letto e si sedette. Solo allora si soffermò a guardarla. Sembrava stesse semplicemente dormendo. Aveva i capelli perfettamente pettinati e acconciati intorno al viso, le lenzuola profumavano di pulito, segno che le infermiere erano già passate a risistemare la stanza. Il suo respiro era lento e regolare, se non fosse stato per il lieve movimento del lenzuolo si sarebbe appena percepito.

Le prese la mano e la strinse tra le sue. Non sapeva che dire né cosa fare, sapeva solo che doveva stare lì con lei. Cominciò a strofinarle il dorso della mano per riscaldarlo e sentì che le lacrime pizzicavano gli occhi ansiose di scendere. Non glielo avrebbe permesso. Fece un lungo respiro e cominciò a parlare.

"Sai una cosa... questa città è strana, sì lo è davvero. Quando siamo arrivati qui la prima cosa che pensai era che fosse fatta su misura per il capitano Levi. Fredda, scostante, imprevedibile e scontrosa. Insomma... avrebbe potuto metterci radici senza alcun problema. È stato difficile, un po' tutto direi. La convivenza, la distanza dalle nostre famiglie, da coloro che hanno condiviso con noi tante esperienze, tante sofferenze. Poi con il passare del tempo le cose sono lentamente cambiate. Ho scoperto che ci sono persone cordiali e amichevoli anche qui. Che la loro diffidenza non è presunzione, ma istinto di sopravvivenza e protezione. E grazie a questo ho potuto comprendere meglio anche Levi. 
Ho capito che lui ha un animo speciale, che mostra solo a coloro i quali ritiene degni di fiducia. A noi lo ha mostrato, anche se molto di rado. E lo ha fatto anche con te... io l'ho visto. Ho visto il suo viso sereno e rilassato quando ti è accanto. Ho visto che quando è vicino a te il suo sguardo è attento e vibrante. Vuoi sapere come faccio a sapere queste cose? Lo so perché è esattamente così che Falco mi guarda, ed è così che anch'io guardo lui." abbassò lo sguardo e stavolta non poté impedire alle lacrime di bagnare la sua mano e anche quella di Mikasa.
"Il mondo non è solo crudeltà e violenza, ci sono tante cose belle, anche in questa città. Noi dobbiamo mostrartele e tu devi vederle. C'è sempre un motivo, una ragione per lottare Mikasa. Anni fa l'hai trovata e sei andata avanti nonostante tutto. Trovala anche adesso e risvegliati ti prego. Ci sono delle cose che voglio dirti di persona e tu devi ascoltarmi... devi perd..." si era ripromessa di non piangere, di stare buona e in silenzio rispettando anche la sofferenza degli altri ammalati. Ma fu più forte di lei.

Si chiese quando la vita avrebbe finalmente smesso di giocare con i loro sentimenti in quel modo. Quanta sofferenza ancora avrebbero dovuto mandar giù prima di poter dire di essere veramente liberi e al sicuro. Si chiese tante cose, pur sapendo che non avrebbe trovato le risposte che cercava. Tentò di soffocare i singhiozzi poggiando la testa accanto al braccio di Mikasa, come se cercasse nella sua presenza riparo e comprensione. Cosa sperava di fare con quel gesto quella mattina, non lo sapeva davvero.

Aveva agito d'istinto, senza pensare, mossa da un'esigenza nata inconsciamente dentro sé. E mentre ancora rifletteva sul fatto di quanto tutto quello che stava dicendo e facendo fosse completamente inutile, non si accorse che la mano di qualcuno le stava amorevolmente accarezzando la testa.

 

                                                                                                                  ***


"Merda! Razza di mocciosa testarda e imprudente." sbattè con rabbia il biglietto che aveva appena letto sul tavolo, proprio nel momento in cui Falco aveva varcato la porta della cucina.

"Ma che succede capitano..." il volto ancora assonnato e gli occhi semi chiusi si spalancarono d'improvviso non appena incrociarono quello di Levi.

"Succede che la tua ragazza è una testa calda, ma stavolta non gliela faccio passare liscia!"

"Cosa ha fatto stavolta?"

"È andata in ospedale da Mikasa, stamattina presto, da sola!"

Sentendo quelle parole Falco scattò all'istante . 
"Cavolo!"

Uscì di corsa in direzione della sua camera cercando i primi vestiti decenti da poter infilare per correre da lei. Nel frattempo anche Onyankopon era sceso di sotto venendo a conoscenza del motivo di quel baccano mattutino.

"State calmi, agitarvi non vi porta a niente. Era preoccupata ed è andata da lei non serve che siate così in allarme."

Levi gli lanciò uno sguardo di monito lasciandogli intendere che quelle parole erano del tutto fuori luogo. 
"Ti rendi conto che siamo finiti nel mirino degli jeageristi vero? Secondo te perché i giornali non hanno menzionato il ritrovamento di quei due cadaveri? Vogliono insabbiare la cosa per non dare nell'occhio ma ci tengono sotto sorveglianza."

"Gabi non è una sprovveduta, adesso sa del pericolo che corre, e poi l'ospedale non dista molto da qui. Cerca di comprendere anche il suo stato d'animo Levi. Non lo ha fatto con l'intenzione di farci preoccupare."

"Non me ne faccio un cazzo del suo stato d'animo se lei muore, è solo questo che conta!"

Era furioso, e di certo la notte insonne non aveva migliorato il suo umore.

"Sono pronto capitano." lo avvisò Falco

"Onyankopon tu rimani qui, non voglio che la casa rimanga vuota, noi andiamo in ospedale. Manderò Falco ad avvisarti non appena mi sarò accertato che sia tutto apposto."

"Come vuoi, ma siate prudenti." Levi fece un breve cenno con il capo precipitandosi fuori in un istante.






E' un momento importante questo, è il momento delle riflessioni, di pensare a quello che è accaduto e soprattutto decidere come muoversi nel caso ci fossero conseguenze. Gli stati d'animo di Gabi e Levi sono al centro di questo capitolo, perchè seppur in modo diverso sono entrambi preoccupati per Mikasa. Onyankopon vorrebbe avvertire gli altri, e mi sembra anche giusto, Levi invece temporeggia... sì, la sua è anche paura, e soprattutto rammarico per non aver potuto evitare quello che è successo. Insomma... questa trasferta a Londra non è stata propriamente indolore, ma questo era facilmente intuibile. Cosa saprà Levi riguardo agli Ackerman? Ma, cosa più importante, avrà modo di poterlo dire a Mikasa? Vedremo...
Vi ringrazio davvero tanto per il vostro sostegno e le vostre parole sempre incoraggianti, ci risentiamo la prossima settimana.

 

 

 

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Capitolo 12
*** Tornare a respirare ***


Le ci volle qualche secondo per fermare quel pianto liberatorio ed accorgersi di quel tocco delicato e appena accennato che le stava sfiorando la testa. Si bloccò all'improvviso, sollevando appena lo sguardo incapace di credere a ciò che la sua mente le stava suggerendo.

Non appena realizzò che era proprio la sua mano quella che la stava accarezzando ebbe un fremito lungo la schiena che la fece scattare in piedi ribaltando la sedia sulla quale era seduta.

"Mikasa... tu sei... sei..." sentì le parole premere sulle labbra ma incapaci di uscire dalla propria bocca.

"Ciao Gabi, sono contenta di vedere che stai bene." accennò un lieve sorriso che incentivò un pianto ancora più incontrollabile nella giovane ragazza. I rumori provenienti dalla stanza fecero intervenire le infermiere di turno che una volta costatato il risveglio di Mikasa corsero a chiamare i medici che avevano assistito la ragazza.

"Adesso esca per favore, dobbiamo visitare la paziente e controllare se le funzioni vitali sono nella norma. Aspetti fuori la prego." Gabi fece un cenno con la testa, ancora troppo incredula per esprimersi a parole. Vide un gran numero di infermieri precipitarsi ad aiutare i medici, ognuno di loro con in mano attrezzature e strumenti vari di cui lei ignorava l'utilizzo.

La porta si chiuse lasciandola fuori in corridoio intenta a capire cosa stesse accadendo. Si distese lungo la parete comprendosi il viso con le mani, mentre tra le lacrime un timido sorriso le stava spuntando sul volto.


Erano già trascorsi più di dieci minuti quando Levi e Falco la videro da lontano accucciata al muro che si teneva le ginocchia strette tra le braccia.


"Gabi! Cosa diavolo ti è saltato in mente me lo spieghi? Che stai facendo lì per terra, alzati!" Levi era intervenuto come una furia, rabbioso e confuso non aveva idea di cosa stesse succedendo. Falco tremò pensando che le cose fossero irrimediabilmente peggiorate. Quando Gabi riconobbe la voce del capitano e sollevò il viso per guardarlo Levi sentì il proprio sangue gelarsi nelle vene. La ragazza aveva gli occhi gonfi e arrossati dalle lacrime. Falco impallidì immaginando l'irreparabile.

"Gabi... cos'è successo, perché sei qui fuori, parla dannazione!" Levi stava tremando, non riusciva in alcun modo a controllare le reazioni del proprio corpo.

"Lei... lei... si è svegliata. È sveglia capitano! Mikasa mi ha parlato, e adesso i medici sono lì con lei. Mi hanno mandata fuori e credo che la stiano visitando e..."

Ma Levi aveva smesso di ascoltarla dopo le prime parole. La mente completamente scollegata e il corpo che adesso agiva da solo in modo istintivo e senza logica. 
Si allontanò da Gabi dirigendosi verso la porta, esitò un istante e poi la spalancò di colpo. Non riuscì a vederla subito, c'era un gran numero di persone attorno a lei che ne impedivano la visuale. Un vociare convulso e confuso, totalmente incomprensibile. Quando finalmente si accorsero della sua presenza provarono subito a fermarlo.

"Signor Ackerman non può irrompere in una stanza d'ospedale in questo modo." ma lui non prestò la minima attenzione a ciò che dicevano. Continuò imperterrito ad avanzare fin quando non riuscì a vederla.

Era leggermente sollevata con la schiena al centro del letto, i suoi occhi lo individuarono all'istante divenendo subito più brillanti non appena incrociarono il suo sguardo. Levi continuò a camminare totalmente confuso e frastornato da tutto quello che stava accadendo. Mikasa se ne rese conto, per questo volle dargli un'ulteriore conferma di ciò che i suoi occhi facevano fatica a realizzare.

"Salve capitano, come vedi non è così facile liberarsi di me." il suo volto, visibilmente affaticato, non le impedì di sorridergli in quel modo unico e speciale che solo in rari momenti le aveva visto fare. Uno di quei sorrisi che lei riservava alle persone care al suo cuore, come Eren e Armin. Per lui... fu come ricevere il più prezioso tra i regali, come se una luce improvvisa avesse squarciato l'oscurità. Accelerò il passo e le fu accanto osservandola finalmente da vicino.

"Bentornata mocciosa. L'hai fatta grossa stavolta, ma sapevo che te la saresti cavata." Ci provò ad assumere un tono di voce fermo e risoluto, a non far trasparire l'emozione che provava, ma dubitò fortemente di esserci riuscito. Il suo sguardo era più eloquente di qualsiasi azione. E un timido e accennato sorriso incurvò appena il suo volto.

"Grazie Levi..." gli disse semplicemente, stringendo la sua mano poggiata accanto al letto. Lui ricambiò quel gesto accogliendo dolcemente quella stretta dalla quale non avrebbe voluto più sciogliersi.

 

                                                                                                                    ***

 

"È una ragazza forte la sua amica signor Ackerman. Le sue condizioni generali sono più che buone. Il fatto che non si sia risvegliata subito possiamo tranquillamente attribuirlo al forte stress fisico e psicologico che ha subito. Ma credo che se le cose procederanno così fra qualche giorno potremmo anche dimetterla."

Levi si era recato nell'ufficio del medico che aveva operato e assistito Mikasa in quei giorni. Lo stava ascoltando attentamente anche se non riusciva a distogliere lo sguardo dalla sua mano, la stessa in cui poteva percepire ancora il suo calore.

"Potrebbe approfittarne per continuare le terapie riabilitative visto che è qui. Signor Ackerman... signor Ackerman mi sta ascoltando?"

"Certo che l'ascolto, mi creda io sto benissimo. E poi a casa ho sempre quell'arnese infernale che mi avete dato, nel caso mi servisse."

"Sarebbe preferibile che ne facesse a meno veramente."

"Infatti lo uso per appenderci il cappotto. Piuttosto dottore devo chiederle una cosa..."

"Mi dica"

"Ho apprezzato il fatto che abbiate curato Mikasa senza porre troppe domande, ma credo che una mezza idea ve la siate fatta su ciò che è successo. C'era anche lei in quel vicolo, avrà intuito chi fossero quei tizi?"

L'uomo si tolse gli occhiali massaggiandosi gli occhi. 
"Il mio compito è aiutare e salvare le persone in difficoltà. Osservo e cerco di valutare la situazione ma non mi piace fare domande quando so già che non riceverò risposte, capitano Ackerman. Molti in questa città sono dalla parte di voi eldiani, e riconoscono i vostri meriti. Ma molti altri no. La situazione non è più stabile, ma credo che lei questo già lo sappia. La ragazza ha corso un grave rischio, dovete stare attenti ed essere prudenti."

"Lo so, grazie di tutto. Adesso è meglio che vada a riprendere quei due prima che le riempiano la testa di chiacchiere."

 

Aveva lasciato Gabi e Falco con Mikasa e ritrovò tutti e tre che conversavano mentre Gabi come al solito si agitava più del dovuto mentre spiegava tutto ciò che era successo nei giorni successivi all'aggressione.

"La smetti di parlare ragazzina petulante?"

"Capitano Levi ma io devo metterla al corrente di come stanno le cose."

"Ci sarà tempo per farlo, adesso andate ad avvisare Onyankopon. Gli ho detto che lo avrei aggiornato non appena possibile."

"Ma io voglio restare ancora..."

"Non fare la bambina dai Gabi, vieni a casa con me, così potrai prendere anche un cambio per Mikasa non credi?"

"Forse hai ragione. Però tu non devi farla arrabbiare Levi, altrimenti stavolta te le suono davvero."

"Tse... che ragazzina impertinente." 

La salutarono con un breve abbraccio promettendo di tornare il prima possibile. Quando furono da soli Mikasa tirò un sospiro sprofondando il viso nel cuscino.

"Sei stanca? Gabi mette a dura prova la resistenza di chiunque."

"Ma no... non sono stanca per colpa sua. Sono stanca di restare a letto, voglio alzarmi."

"Ti sei risvegliata poche ore fa dopo quattro giorni e parli già di volerti alzare? Crolleresti dopo pochi minuti, cerca di non strafare come al solito e stattene buona."

"Agli ordini capitano!"

"Ma smettila... piuttosto come va la ferita?"

"Pizzica e brucia, ma è sopportabile."

"Quel bastardo pezzo di merda..."

"Levi..." si sollevò appena per avvicinarsi di più a lui "... è passata adesso, non starci a pensare. Devo ringraziarti piuttosto. Mi sono salvata grazie al tuo pugnale."

"Tse... guarda che ti hanno sparata. La tua fortuna è stata quella di avergli affettato il braccio, ecco perché non ti ha centrata. Altrimenti a quest'ora..." non riuscì a terminare la frase, terrorizzato al solo pensiero di quella eventualità.

Mikasa lo capì e si senti profondamente in colpa per averlo coivolto in una simile situazione.

"Vi ho messi in serio pericolo, senza contare che adesso avrete sicuramente gli occhi di tutti puntati addosso."

"Figurati... non credo che qualcuno di qui rimpiangerà la morte di quei due."

"Ma potrebbero farlo altri sovversivi come loro e creare problemi. Non possiamo permetterlo Levi." la sua voce era calma e risoluta, esattamente come la ricordava ai tempi in cui era sotto il suo comando. Quando si metteva in testa una cosa non c'era verso di farla ragionare. Un po' gli fece piacere perché ciò significava che presto si sarebbe ripresa completamente.

"Di questo non devi preoccuparti, se sarà necessario ce ne occuperemo noi."

"Io non resto a guardare, d'altronde è me che cercano." ribatté decisa

"Non fartene un vanto di questa cosa." Mikasa non poté far altro che sorridere in modo amaro. C'era poco da fare, doveva metterci sempre quel suo tono sarcastico in ogni risposta.

"Sai una cosa, quando ero priva di conoscenza credo di averti sognato..." Levi cambiò espressione, diventando improvvisamente curioso e un po' imbarazzato per quelle parole. "... veramente ho sognato tante cose, molte delle quali sono così confuse. Ho sognato anche Eren e Ymir, la nostra progenitrice."

"Quindi mi stai dicendo che in parte questo sogno è stato un vero incubo? Ecco perché non ti svegliavi."

"Ma che dici? Invece credo di essermi risvegliata proprio grazie alla tua presenza e a quella di Gabi. Mi avete dato la forza che non sentivo più di avere."

"Bene, la mocciosa sarà contenta di saperlo."

"Vi ho fatto preoccupare tutti, mi dispiace, non avrei mai voluto." il rammarico che provava per ciò che era accaduto si rifletteva chiaramente nell'espressione del suo viso. Un tempo non avrebbe mai mostrato una tale debolezza, ma adesso si sentiva inspiegabilmente come un libro aperto. Finalmente disposto a lasciarsi leggere.

"Smettila di farti tanti problemi. Ti ho già detto che sapevo ti saresti ripresa. Abbiamo la scorza dura noi Ackerman, non è facile farci fuori."

"Già... noi Ackerman. Ho riflettuto anche su questa cosa, e sono giunta ad una conclusione." i suoi occhi apparvero esitanti per un solo istante, per poi tornare risoluti subito dopo.

"Non m'importa di sapere quello che ci hanno fatto o il perché siamo così diversi e speciali rispetto agli altri. Mi fa rabbia pensare che per tanto tempo siamo stati perseguitati senza un reale motivo. Ma rimuginarci adesso non servirebbe a niente. Possono dire quello che vogliono, io non mi sono mai sentita una schiava. Non mi pento delle mie scelte e di certo non mi pentirò mai di aver protetto e creduto in Eren."

Levi la osservò in silenzio, chiedendosi se quelle consapevolezze erano arrivate a causa di ciò che era successo o semplicemente perché si era resa conto che lasciarsi definitivamente il passato alle spalle significava non porsi più domande che l'avrebbero solo fatta soffrire.

"Questa degenza forzata ti ha fatto sviluppare il buon senso Ackerman, ti faccio i miei complimenti. Ma non appena ti sarai ripresa parleremo seriamente di tutta questa storia. Arrivati a questo punto ci sono cose che è giusto tu sappia." la sua espressione era terribilmente seria. Solo in rare occasioni Mikasa aveva visto quello sguardo, e ricordava bene che non anticipava nulla di buono.

"Le tue parole non sono molto confortanti Levi. Devo dedurre che alla fine qualcosa conosci sulle nostre origini?" incalzò lei, non essendo più disposta a glissare sull'argomento.

"Tutto a suo tempo. Ho detto quando starai meglio, e così sarà. Fidati di me." fu il suo sguardo a convincerla, forse più delle parole. Perchè da sempre, anche solo osservandolo, riusciva a capire se le stava mentendo oppure no.

"Va bene Levi. Mi fido." e non servì aggiungere altro, anche perchè nonostante facesse il possibile per dissimularlo era visibilmente stanca e lui se ne accorse subito.

 

"Capitano Ackerman adesso deve uscire. Dobbiamo cambiare la medicazione e controllare i parametri della paziente. Potrà tornare nel pomeriggio." la voce perentoria dell'infermiera appena entrata lo costrinse a distogliere lo sguardo da Mikasa.

"Avete troppe regole qui dentro."

"E vanno rispettate, da tutti." lo ammonì la donna aspettando pazientemente che lui uscisse dalla stanza.

Levi le rivolse un'occhiataccia che non sfuggì a Mikasa.

"La smetti di essere così ostile. Vai adesso... io starò bene, ci vediamo più tardi." cosi dicendo gli sfiorò appena il braccio ritrovandosi con la punta delle dita ad accarezzare il dorso della sua mano. L'ennesimo contatto inaspettato che lo lasciò nuovamente sorpreso.

"Allora a dopo, spero di lasciarti in buone mani..." il suo consueto sarcasmo era chiaramente indirizzato all'infermiera presente, che finse però di non cogliere l'allusione. "... vedi di farti dimettere in fretta, c'è un posto che devo assolutamente portarti a vedere." le disse mentre usciva dalla porta.

"Farò del mio meglio." gli rispose, mentre lo salutava regalandogli uno dei suoi sorrisi.

 

                                                                                                                   ***

 

E lo fece davvero. Seguì scrupolosamente i consigli dei medici e cercò di alzarsi e muoversi autonomamente senza compiere gesti avventati. Era ancora fisicamente provata da quell'incidente ma alla fine i dottori ritennero che un ambiente più familiare e comodo avrebbe favorito la sua completa ripresa. Così decisero di dimetterla.

"Non crederai ai tuoi occhi Mikasa, la casa brilla come uno specchio, vedessi che faccia ha fatto il capitano, non credeva ai suoi occhi."

"Ne sono certa Gabi."

"Ah... tra l'altro Falco e Onyankopon il giorno dell'incidente hanno recuperato anche i nostri acquisti. Giusto per non lasciare tracce in giro, ma anche perché erano cose che potevano servirti. Ma tranquilla le ho controllate e sistemate a dovere."

"Grazie davvero, di tutto..."

"Sono io che dovrei ringraziarti per avermi protetta. Se non fosse per te io sarei morta da un pezzo... tanto tempo fa."

"Non devi ringraziarmi, ho fatto quello che ritenevo giusto. E ne sono contenta." Gabi era sinceramente commossa da quelle parole perché sentiva che erano dette con il cuore. Le gettò istintivamente le braccia al collo stringendola in un abbraccio, che Mikasa ricambiò timidamente.

Volevano entrambe dimenticare quello che era successo, ma non sarebbe stato tanto semplice.

 

"Scusate l'intrusione, stiamo cercando la signorina Mikasa Ackerman. Potreste dirmi chi è di voi due?"

Gabi si voltò al quanto sorpresa, al contrario di Mikasa che mise a fuoco in un istante ciò che stava accadendo.

"Sono io Mikasa Ackerman, cosa volete?"

"Signorina dobbiamo chiederle di seguirci al nostro quartier generale per delle domande." l'uomo era rimasto sulla soglia, con le braccia incrociate dietro la schiena, composto e impettito nella sua divisa militare sulla quale svettavano numerose medaglie.

"Veramente io sarei stata appena dimessa, preferirei tornarmene a casa."

Il gendarme guardò il compagno al suo fianco abbozzando un sorriso sarcastico. "Signorina... sappiamo bene che lei si trova in questa città in qualità di ospite. Qui lei, non ha nessuna casa. E sapevamo anche che oggi sarebbe stata dimessa dopo dieci giorni di degenza in seguito allo sparo subito con un'arma da fuoco. Vuole che continui o preferisce seguirci e parlare di questa faccenda in un luogo più consono?"

Lo sguardo di Mikasa si incupì ma non lasciò trasparire nessun segno di nervosismo. Era un'eventualità che aveva messo in conto. Certo... non credeva che l'avrebbero prelevata il giorno stesso delle sue dimissioni, ma forse era meglio così. Prima chiudevano in modo definitivo la faccenda meglio sarebbe stato per tutti. Prese una tracolla con le sue cose e si apprestò a seguirli.

"Ascoltami Gabi, io vado con loro."

"No Mikasa è fuori discussione, tu non ti muovi da qui!"

"Devo andare, non voglio creare problemi qui in ospedale. Tu avverti Levi e gli altri, e digli di non fare i suoi soliti colpi di testa. Io me la caverò."

"Il capitano andrà su tutte le furie."

"E tu cerca di farlo ragionare, conto su di te." le voltò le spalle e si lasciò scortare dalle guardie fuori dall'edificio.

Gabi raccolse in fretta il resto degli effetti personali di Mikasa e corse subito a casa.

 

                                                                                                                   ***

 

Levi era ai fornelli impegnato con la sua solita dose di tè quotidiana che sperava gli avrebbe chiarito le idee sul da farsi.

"Capitano... è arrivata una lettera di Armin." Falco aveva tra le mani la posta appena ricevuta. La poggiò sul tavolo aspettando una qualche reazione di Levi. Lui diede un breve sguardo al destinatario e si accorse che non era menzionato.

"Credo che non abbia specificato a chi fosse indirizzata per non creare problemi."

"Sì, lo penso anch'io. Aspetteremo che tornino Gabi e Mikasa e poi la leggeremo."

"Dovremmo dirgli quello che è successo, non possiamo ometterlo capitano."

"Lo faremo."

Era stranamente silenzioso e a Falco la cosa sembrò piuttosto strana. Credeva che il ritorno a casa di Mikasa lo avrebbe messo di buon umore, invece aveva l'aria pensierosa e preoccupata. Quel comportamento lasciò dubbioso anche lui.

"Levi... la carrozza è arrivata, possiamo andare in ospedale a prendere Mikasa e Gabi." lo avvertì Onyankopon.

"Bene, muoviamoci allora."

Si alzò di colpo e una smorfia di fastidio e dolore gli incupì il viso. Il ginocchio, come spesso accadeva, gli ricordava che si stava affaticando più del dovuto, ma lui come sempre ignorò quei segnali.

Mentre tutti e tre si preparavano ad uscire la porta d'entrata si spalancò inaspettatamente facendo irrompere Gabi sull'uscio.

"E tu che ci fai qui?" Falco spalancò gli occhi non appena si accorse del volto agitato della ragazza.

"Mikasa..." cercò di riprendere fiato provando a mettere in ordine i pensieri che le affollavano la mente.

Levi intervenne all'istante strattonandole il braccio. Il suo sguardo era un chiaro invito a non indugiare oltre.

"I gendarmi sono venuti a prelevarla in ospedale per interrogarla, l'hanno portata con loro." concluse d'un fiato.

Falco e Onyankopon si scambiarono uno sguardo allarmato. Sapevano che poteva esserci questa eventualità. Era stato un errore quello di farsi trovare impreparati.

"Restate qui e non vi muovete, ci penso io." Levi raggiunse la carrozza che li attendeva in strada, e dopo aver scambiato alcune parole con il conducente sciolse le briglie di uno dei cavalli e si apprestò a cavalcarlo.

"Dove pensi di andare Levi, non puoi cavalcare nelle tue condizioni lo sai bene. Rifletti prima di agire o complicherai la situazione." Onyankopon sapeva bene che non gli avrebbe dato retta ma doveva comunque provare a farlo ragionare.

"Pensi che me ne stia qui senza far niente sapendo che lei è circondata dalla stessa gente che ha tentato di ammazzarla?"

"Questo non puoi saperlo e di certo non puoi accusarli senza avere prove."

"Gabi ha detto che quei due avevano un accento inglese, non mi serve sapere altro. Li hanno mandati loro, perché si sono venduti a quei topi di fogna degli jeageristi."

"È meglio se veniamo con te." insistette Falco.

"È fuori discussione! Rimanete qui e state allerta. Tornerò con lei, in un modo o nell'altro."

Spronò il cavallo, che partì subito spedito. Scomparve dalla loro vista in un istante, e tutti loro ebbero la stessa sensazione d'inquietudine di quando lo vedevano allontanarsi per affrontare uno dei giganti.





I guai non finiscono mai, ma è anche giusto se no che divertimento c'è? I gendarmi vogliono spiegazioni sull'accaduto, d'altrode sperare che la cosa passasse inosservata non era davvero possibile, contando che poi Mikasa è una sorta di "sorvegliata speciale" era facile risalire a lei. Fatto sta che la giovane Ackerman sta piuttosto bene quindi sicuramente a tempo debito avrà anche le spiegazioni che tanto cerca.
Il capitolo di oggi è un po' più breve per il semplice fatto che ho preferito non dividere la parte dell'interrogatorio, perchè non avrebbe avuto senso. La leggerete la prossima settimana senza interruzioni. Buona lettura e a presto.

 

 

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Capitolo 13
*** Inevitabili cambiamenti ***


Venne fatta accomodare in una stanza non molto grande ma accuratamente ordinata. Le due guardie, che l'avevano scortata dal loro superiore, non scambiarono con lei una sola parola durante il tragitto. Si limitarono ad osservarla con un misto di timore e curiosità. Sapevano che non dovevano sottovalutarla nemmeno adesso che era ancora convalescente. Quando finalmente terminarono il loro compito furono lieti di congedarsi affidandola alle cure del comandante Miller.

"Buongiorno, prego... si segga signorina Ackerman."

Mikasa si mosse con estrema calma e cautela cercando di scrutare con attenzione l'ambiente intorno. Nella stanza erano presenti lei, il capitano e una giovane donna dai capelli biondi munita di carta e inchiostro pronta a trascrivere tutto ciò che lei avrebbe eventualmente raccontato.

"Mi creda, mi rincresce di averla fatta prelevare in modo così repentino, ma ci tenevo all'effetto sorpresa. Lasci che mi presenti, sono Arthur Miller, comandante in carica di questa divisione." l'atteggiamento mellifluo e accomodante dell'uomo non fecero altro che insospettirla ulteriormente.

"Vorrei dirle che è un piacere fare la sua conoscenza comandante, ma suonerebbe ipocrita da parte mia. E visto che lei sembra conoscermi piuttosto bene possiamo anche evitare i convenevoli. Quindi adesso gradirei avere dei chiarimenti, perchè temo di non capire la situazione." rispose.

"Cercherò di essere più chiaro. Vede... se lei avesse avuto modo di incontrarsi con i suoi amici magari avrebbe avuto il tempo per inventare qualcosa ad arte, una giustificazione o una fuga, intendo. Io invece voglio la pura e semplice verità e confido che lei voglia essere propensa nel dirmela. Per questo ho preferito agire in modo tempestivo, monitorando la situazione senza destare sospetti."

"Davvero zelante il suo operato non c'è che dire comandante. Comunque c'è poco da raccontare. Secondo quanto riferito dai vostri sottoposti mi sembra di capire che mi conosciate piuttosto bene quindi dovreste già sapere tutto. Sono stata aggredita per strada e minacciata con una pistola. Ho reagito per difendermi."

Il capitano estrasse dalla scrivania dei fogli che Mikasa intuì fossero il rapporto redatto dell'incidente.

"I cadaveri del capitano Arn Woods e del caporale Cecil Turner sono stati ritrovati rispettivamente con un foro di fucile al petto e un colpo netto provocato dalla lama di un coltello dritto in mezzo alla fronte. I corpi dei suddetti sono stati rinvenuti in un vicolo adiacente la piazza centrale della città ammassati tra rifiuti di vario genere. È stata lei ad ucciderli signorina Ackerman?"

Voleva una conferma di ciò che già sapeva, a quale scopo non le era ancora chiaro.

"Sì, sono stata io." non esitò nel rispondere, d'altronde cercare scusanti o giustificazione non avrebbe di certo agevolato la sua posizione.

"Io non so bene le usanze della vostra terra d'origine o come siate abituati a comportarvi. Ma dalle nostre parti non ammazziamo la gente per strada, ancor meno se appartengono all'esercito." era una chiara provocazione ma Mikasa non intendeva abboccare.

"Comandante Miller ribadisco di aver agito per legittima difesa. Sono stati loro ad avvicinarmi con precise intenzioni ostili. Sul luogo dell'incidente avrà sicuramente ritrovato la pistola del capitano Arn e il pugnale del caporale Cecil."

"Certo, sono stati rinvenuti. Al contrario del suo di coltello signorina Ackerman, perchè lei ne aveva senz'altro uno visto che su quello di Cecil non vi erano tracce di sangue. Suppongo quindi che se lo sia ripreso?"

"Sì è così, è un oggetto appartenuto alla mia famiglia, un caro ricordo." mentì, sperando di risultare credibile.

"E lei quando è in una città straniera di solito gira sempre armata?"

"Di solito no, ma se ho il sospetto di trovare gente ostile cerco quanto meno di potermi difendere."

Il comandante si alzò dalla sua scrivania destando l'attenzione anche della ragazza bionda alle sue spalle. Si posizionò di fronte a Mikasa osservandola con attenzione.

"Lei è un soggetto pericoloso miss Ackerman. Ha qualcosa nello sguardo che farebbe gelare il sangue anche al più incallito dei criminali. Un'altra al suo posto ci avrebbe lasciato la pelle, ma lei invece sembra che sappia bene come sopravvivere."

"Devo forse dedurre che la cosa le dispiaccia, comandante Miller?" l'uomo sorrise lisciando con cura il lieve accenno di barba che aveva sul viso. La perspicacia di Mikasa lo intrigava e irritava allo stesso tempo.

"Non approvo il modo in cui è stata trattata. Anche se una donna come lei non ha certo bisogno di qualcuno che la difenda. Ma non perdiamoci in chiacchiere e veniamo al punto della questione."

"Bene, l'ascolto."

"Voglio i nomi di chi era presente con lei. So bene che non era da sola in quel vicolo, e so che è stata portata in ospedale da persone con le quali ha stretti rapporti. Mi dica chi sono, non vorrà accollarsi da sola la responsabilità di questo incidente spero?"

Per Mikasa fu tutto chiaro, il fatto di averla portata in quel posto con la scusa di interrogarla era solo per sapere il nome di Levi e degli altri. Aspettavano un pretesto qualsiasi per creare loro problemi, e adesso lo avevano trovato.

"Non c'è nessuna responsabilità, e se anche ci fosse stata è solo mia. Sono stata soccorsa dalla gente del posto che ha udito lo sparo. Adesso basta giochetti, sappiamo entrambi chi erano in realtà quei due soldati. Era tutto programmato, tutto studiato. Vi occorreva una motivazione per puntare il dito contro di noi, e io vi sono servita come esca." stavolta fu lei ad alzarsi ribadendo con tono deciso quella che ormai era una certezza assoluta.

"Cerchi di non alterarsi, si ricordi che qui non è nella posizione per farlo."

“Allora lei non mi provochi comandante..." si guardarono a lungo e in silenzio. L'uomo di fronte a lei capì che non avrebbe ottenuto nulla, a quel punto gli restava solo un ultimo tentativo, sperando così di far uscire tutti allo scoperto.

"Se si ostina con questo atteggiamento non mi resta altro che trattenerla nelle nostre prigioni miss Ackerman. Ovviamente... come gradita ospite. Lei capisce che non posso in alcun modo lasciarla andare. Ha ammesso di essere la responsabile di un duplice omicidio, finchè non sarà fatta chiarezza sull'accaduto lei non si muoverà da qui. " Le mani di Mikasa si serrarono a pugno, Miller se ne accorse. Lo sguardo della ragazza divenne sottile e spietato, come quello di un predatore che si prepara ad attaccare.

Miller sentì un brivido corrergli lungo la schiena, e istintivamente allungò una mano sotto la scrivania dove nascondeva una pistola per uso personale. A Mikasa non sfuggì quel gesto, il corpo si tese all'improvviso pronto a scattare al minimo movimento sospetto.

La tensione di quel momento venne però interrotta da un rincorrersi di voci provenienti dall'esterno. Qualcuno stava gridando di fermarsi, mentre chiari rumori di colluttazione si fecero sempre più insistenti. La giovane donna alla scrivania si alzò spaventata dalla sua postazione. La porta dell'ufficio del comandante si spalancò facendo voltare i presenti nella stanza.

"Perdonate i modi bruschi, ma non ho mai gradito i lecchini troppo zelanti nel far rispettare le regole."

"Levi!" Mikasa non avrebbe voluto chiamarlo per nome, ma fu talmente sollevata nel vederlo da non riuscire a trattenersi.

"E lei sarebbe?"

"Sono la persona che state cercando, quella per la quale state tormentando ingiustamente questa ragazza. Sono Levi Ackerman."

Lo sguardo di Miller si illuminò in un istante. 
"Non c'era bisogno di fare un tale fracasso. Stavamo semplicemente discutendo in modo amichevole e civile."

"Non ne dubito. E mi creda... avrei evitato volentieri di pestare i suoi sottoposti se non mi avessero impedito di entrare. Ma ormai..." Levi si avvicinò a Mikasa che finalmente poté rilassarsi tirando un lungo respiro. La ragazza si toccò il fianco ancora dolorante poggiandosi alla scrivania che aveva di fianco.

"Ehi... come stai, va tutto bene?" la vide stranamente pallida e la cosa lo fece infuriare ulteriormente. L'aiutò a sedersi cercando in qualche modo di tranquillizzarla. Poi tutta la sua attenzione si concentrò su Miller.

"Adesso pretendo delle spiegazioni. Cosa diavolo volete da lei? Non avete neanche avuto un po' di riguardo per le sue condizioni."

L'uomo conosceva molto bene la fama di Levi e sapeva di dover agire con estrema cautela. Fece segno alla donna bionda di lasciare la stanza e lei ne fu più che felice.

"Mi rincresce per le condizioni della sua amica, ma la tempestività in questi casi è di vitale importanza. Due dei miei uomini sono stati brutalmente uccisi ed è mio compito accertarmi di come si siano svolti i fatti."

Mikasa sollevò lo sguardo e vide quello di Levi rabbioso e pronto a scattare. Gli strinse il braccio costringendolo a guardarla.

"Levi... lascia stare ti prego." avrebbe voluto dirgli molto di più ma non poteva. Sperò che lui riuscisse ugualmente a capirla, com'era successo già in passato, quando bastava solo incrociare i loro sguardi per entrare in connessione l'uno con l'altra.

Levi tremò in modo impercettibile, la stretta della sua mano fu quasi come un ordine che gli arrivò dritto al cervello e al quale non poté sottrarsi. Cosa doveva fare, e soprattutto cosa avrebbe voluto fare lei?

Mikasa cercò il sostegno del suo braccio per rimettersi in piedi, oltrepassò la scrivania che divideva lei e il comandante Miller trovandosi adesso a pochi centimetri da lui.

Levi scattò in avanti ma lei lo fermò con un cenno della mano.

"Mi ascolti bene adesso... non prendiamoci in giro. Lei conosceva bene le intenzioni di quei due e il compito che era stato affidato loro. Scommetto che il suo ruolo in tutta questa storia era quello di salvare le apparenze nel caso ci fossero stati problemi. Ma sicuramente persone molto più in alto adesso vorranno spiegazioni per questo completo fallimento. Ecco perchè io sono qui, giusto? Anche lei appartiene alla stessa feccia di quei due.”

“Lei sta vaneggiando miss Ackerman, non si illuda di avere risposte che non le competono. Il mio compito è quello di far rispettare la legge non certo quello di vigilare su presunti jeageristi!” la voce del comandante aveva d'improvviso perso tutta la sua fermezza. E prima ancora che potesse accorgersi dell'errore commesso l'espressione di Mikasa gli diede conferma di essersi compromesso con le sue stesse parole. Lui sapeva che erano soldati corrotti e infiltrati, perchè era chiaramente coinvolto in prima persona in tutta l'operazione.

“La ringrazio comandante per questo suo slancio di sincerità. Nessuno in questa stanza ha mai menzionato gli jeageristi, ne tanto meno che quei due soldati ne facessero parte. Solo qualcuno appartenente alla stessa cerchia poteva saperlo, quindi direi che adesso è tutto molto più chiaro. A questo punto le rimangono due possibilità. O ci lascia andare e mette definitivamente la parola fine a questa spiacevole vicenda, oppure chi di dovere verrà repentinamente messo al corrente che tra la gendarmeria londinese si nascondono degli jeageristi infiltrati, primo fra tutti il comandante di divisione Arthur Miller."

L'uomo soppesò ogni singola parola pronunciata da Mikasa, come se improvvisamente gli fosse crollato addosso un macigno. Lo sguardo della ragazza era freddo e tagliente. Mentre gli parlava con deliberata lentezza gli bloccò il polso con un movimento rapido, ruotandolo all'indietro fin quasi a spezzarlo. Miller strinse i denti dal dolore, evitando di urlare per la vergogna. "È inutile cercare di prendere l'arma che tiene nascosta. Le romperei il polso prima ancora che raggiunga il cassetto."

"Lei mi sta deliberatamente minacciando. Se mi torcete anche un solo capello non uscirete vivi da qui!" cercò di ribattere.

"Forse è così... ma dubito che anche lei uscirebbe da qui sulle proprie gambe se continua con questo atteggiamento. Facciamoci un favore a vicenda e finiamola qui. Sa fin troppo bene che contro noi due non avrebbe speranza. Cerchi di conservare la sua poltrona e i suoi privilegi. Noi... toglieremo il disturbo, da questa stanza e anche dalla città se sarà necessario. Ci siamo capiti?"

Levi rimase sorpreso da quelle parole, ma ormai era evidente che si erano spinti troppo oltre per poter rimanere, quindi comprese ciò che lei intendeva fare."Comandante... fossi in lei seguirei il consiglio di Mikasa. Lei non è una che ama ripetere le cose due volte. Se poi dovesse agire, io non potrei di certo fermarla."

Miller sapeva che Levi aveva ragione. Se fosse stata da sola forse avrebbe potuto in qualche modo gestire la cosa. Ma da quando era comparso Levi quella ragazza sembrava diventata ancora più agguerrita e temeraria. Non gli restava che lasciar correre per quella volta, ma nonostante tutto fece non poca fatica a mandar giù la cosa.

"Siete dei patetici bastardi, con la vostra forza potreste ottenere qualsiasi cosa, e invece vi limitate a nascondervi come reietti. Sparite dalla mia vista e non fatevi rivedere più da queste parti, perché la prossima volta che ci incontreremo non sarò più così generoso e comprensivo."

"Mi creda comandante... non lo saremo neanche noi."

Mikasa si affiancò a Levi e insieme lasciarono quel maledetto posto. Solo quando fu certo che non si trovassero più nell'edificio Miller si lasciò cadere nella sua poltrona imprecando a voce alta e tenendosi il polso ormai gonfio e dolorante.

 

 

"Ce la fai a camminare?"

"Penso di sì... ma tu restami vicino per favore."

Levi la guardò stranito, sentì la sua voce tremare ed ebbe la sensazione che stesse trattenendo le lacrime. L'aiutò a montare a cavallo e dopo essere salito anche lui spronò l'animale al galoppo.

"Non dovresti cavalcare nelle tue condizioni."

"Di certo non puoi farlo tu con quella ferita, perciò reggiti forte e non preoccuparti."

Quando si rese conto di essersi allontanato a sufficienza dal comando della gendarmeria rallentò l'andatura in modo da non provocarle troppo fastidio. Solo allora, quando la tensione di entrambi calò visibilmente, si accorse che Mikasa si era aggrappata a lui con forza serrando la testa dietro la sua schiena. Stava tremando, aveva gli occhi chiusi e rigati dalle lacrime.

Levi fermò il cavallo lungo una stradina alberata e si voltò verso di lei.

"Mikasa... cosa c'è che non va? Siamo lontani adesso, non hai più nulla da temere. Gli hai messo una paura del diavolo addosso. Non penso che ci darà più problemi." ma lei non accennò a calmarsi. Sollevò lo sguardo e Levi vide i suoi occhi arrossati dal pianto che lo guardavano imploranti.

"Ho sbagliato tutto Levi... ho sbagliato fin dall'inizio, vi ho messi in pericolo, ho praticamente sconvolto le vostre vite. La quotidianità che vi eravate costruiti con così tanta fatica, ho buttato tutto all'aria. Per che cosa poi... per conoscere la verità sugli Ackerman che sicuramente non mi porterà niente di buono. Per vedere un mondo che non ci accetterà mai, che non finirà mai di farsi la guerra perché quello è il solo modo che ha di comunicare. Sono solo una stupida, una stupida illusa che rovina tutto ciò che tocca..."

"Adesso smettila di dire cazzate!" le sollevò il viso bloccandolo tra le mani costringendola a guardarlo. "Tu non hai rovinato un bel niente. Sapevo, prima ancora che tu arrivassi che quei bastardi si erano infiltrati in città. Così come sapevo che la nostra permanenza qui era solo momentanea. Il grigiore e l'indifferenza di questa città sono stancanti anche per uno come me."

"Ma se io non avessi deciso di venire qui, forse..."

"Se tu non avessi preso la decisione di venire qui io non avrei mai capito molte cose. Non avrei compreso l'importanza di ciò che stavo perdendo, di quello che mi ero deliberatamente lasciato alle spalle. Perché fondamentalmente sono un gran codardo, e non volevo ammetterlo. Adesso invece mi sembra tutto così semplice e chiaro da farmi rimpiangere di aver sprecato tanto tempo." Forse si era esposto più del dovuto, ma le parole erano scivolate fuori in modo repentino e del tutto spontaneo. Come se trattenerle oltre non avesse avuto più senso.

Mikasa socchiuse gli occhi non appena avvertì il tocco della sua mano asciugarle le ultime lacrime. Sentiva il suo cuore più leggero, era così raro che qualcuno riuscisse a confortarla facendola sentire al sicuro. Solo Armin ci riusciva, ma con Levi tutto ciò che provava era incredibilmente amplificato. Come se ogni fibra del suo corpo reagisse quando lui la sfiorava. Anche lei sentì l'esigenza di toccarlo, e lo fece, incurante di quale potesse essere la sua reazione. La mano sinistra gli sfiorò le cicatrici sul volto, soffermandosi ad accarezzarle con tocco leggero. I suoi occhi si riempirono di nuove lacrime.

"Mi dispiace... mi dispiace così tanto, io vorrei solo ..." ma non riuscì a terminare la frase, si sentì così stanca, svuotata di ogni forza. Abbassò la testa nascondendo il volto tra le mani.

Levi avvertì una morsa stringergli il petto, non sapeva che fare, non era mai stato bravo a consolare le persone ne a dare loro conforto. Lui era quello che spronava i soldati in battaglia, che chiedeva loro di dare tutto. Questo era il suo compito. Ma con lei non c'era mai stato bisogno di troppe parole, lei sapeva già cosa fare. Le bastava guardarlo per agire di conseguenza intuendo subito i suoi ordini. Fu l'istinto a guidarlo in quel momento, come spesso accadeva, sollevò le braccia e la strinse in un abbraccio. Non sapeva se fosse la cosa giusta, ma pensò che fosse quello di cui lei aveva bisogno in quel momento.

Bastò quel gesto per avvertire d'improvviso un calore avvolgente irradiarsi sotto la pelle. Sentì il corpo di lei rilassarsi lentamente, rilasciando la tensione accumulata. Avvertì la sua esigenza di essere protetta, di sentirsi al sicuro, di potersi finalmente mostrare debole senza la paura di apparire troppo esposta e indifesa. La strinse più forte finchè anche quel pianto liberatorio non si fermò rendendosi finalmente conto di avere nuovamente qualcuno d'importante e prezioso da proteggere.

Lasciò che lei continuasse a tenerlo stretto per il restante tragitto che li separava da casa. Ogni tanto lasciava le briglie del cavallo per stringerle la mano e farle sentire che lui era lì, per lei. Mikasa assecondava ogni suo gesto restando in silenzio. Perché, come spesso accadeva tra loro, i gesti valevano più di superflue e inutili parole.

Finalmente tornarono dagli altri che li attendevano con ansia fuori la strada di casa. Non appena videro spuntare il cavallo Falco e Gabi gli corsero incontro.

"Mikasa, capitano Levi!" solo allora la ragazza sollevò la testa e vide il sorriso luminoso di Gabi.

Falco le diede una mano a scendere da cavallo mentre Onyankopon si occupò di Levi e dell'animale, visibilmente affaticato.

"Forza entrate in casa, io mi occupo del cavallo e vi raggiungo."

"Gabi per favore pensa a lei, è molto provata ha bisogno di riposo."

"Sissignore." la ragazza scomparve poco dopo sorreggendo Mikasa e portandola con sé in stanza, mentre Levi si gettò di peso sul divano in cucina.

La tensione non era scemata Falco se ne accorse subito. Attesero che rientrasse anche Onyankopon e discussero a lungo su tutto ciò che era successo.

"Quindi cosa pensi di fare Levi."

"Credo che a questo punto la scelta migliore sia andarcene. Ormai ci tengono puntati e dubito che ci lasceranno in pace. Hanno fatto la loro mossa e hanno fallito. Non penso ci riproveranno altrimenti scoprirebbero troppo le loro intenzioni sovversive, ma troverebbero comunque il modo per darci fastidio, e io non voglio e non posso permettermi uno scontro aperto. D'altronde non è mai stata nostra intenzione rimanere qui per sempre, o sbaglio?"

"Questo è vero capitano, ma credi che ce lo permetteranno?" chiese Falco

"Non penso sia nelle loro intenzioni ostacolarci. Soprattutto dopo le parole che Mikasa ha rivolto al comandante. Credo che se la sia fatta addosso dalla paura."

"Sul serio?"

"Ci scommetto."

Gabi ritornò in cucina tranquillizzando tutti sulle condizioni di Mikasa che nonostante tutto sembrava stare piuttosto bene. Falco le raccontò quello che Levi aveva riferito loro includendo il fatto che c'era una lettera indirizzata a tutti da parte di Armin.

"Allora vuol dire che torniamo a casa? Dite sul serio? Ma... capitano e le terapie per la tua gamba, come farai?"

"Non mi servono quelle stramaledette terapie, sto benissimo."

"Resta il fatto che non avresti dovuto cavalcare. Guarda che si vede lontano un miglio che la gamba ti fa male."

Levi si alzò al quanto seccato "Cosa avrei dovuto fare secondo te? Lasciarla nelle mani di quei pezzi di merda facendole rischiare ancora la vita! Me ne fotto della gamba e di questa dannata città. La cosa importante è che lei stia bene."

Onyankopon e i ragazzi si guardarono sorridendo, nell'ultimo periodo il capitano Levi si stava rivelando una vera fonte di sorprese.

"Che avete da sorridere?"

"Niente... niente, figurati. Allora la leggiamo questa lettera?" cambiarono subito discorso usando la lettera come scusa.

Fu Levi ad aprirla leggendola davanti a tutti.

 

Salve capitano, come stai?

Spero bene, e spero soprattutto che la vicinanza di quegli scalmanati di Gabi e Falco non ti abbia creato troppi problemi. Confido nell'aiuto di Onyankopon che so, ormai per certo, essere una persona che merita la nostra piena fiducia.

Quando riceverai questa lettera probabilmente Mikasa sarà già arrivata da te da alcuni giorni. Non è stato facile convincerla a venire lì da voi, spero sinceramente che questo viaggio possa farle voltare pagina e guardare al futuro con più speranza e ottimismo. Non dubito che tutti voi saprete come aiutarla. Noi stiamo bene anche se la stanchezza comincia a farsi sentire.

Torneremo presto a Paradis e stavolta torneremo per restare. Spero di rivedere presto tutti voi, un abbraccio. Armin

 

Sul margine in fondo al foglio c'era scritto ancora qualcosa in caratteri più piccoli che Levi fece fatica a capire. Si sforzò con l'occhio sinistro, e comprese che quelle parole erano indirizzate espressamente a lui.

 

Capitano Levi, do per scontato che sarai tu a leggere questa lettera, o almeno lo spero. Ti chiedo per favore di restare accanto a Mikasa, lei ha bisogno di te anche se detesta ammetterlo. So che lo farai e per questo ti ringrazio in anticipo.

 

"Capitano c'è qualcosa che non va?"

"No affatto, va tutto bene. Non c'è scritto altro. A questo punto non serve che li mettiamo al corrente di ciò che è successo a Mikasa. Secondo quello che ha scritto Armin faranno ritorno presto a Paradis e parlaremo loro di persona."

"Quindi hai intenzione di tornare lì?" chiese Onyankopon

"Mi sembra ovvio, d'altronde è quella casa mia. Ma voi siete liberi di tornare a Marley, perciò non fatevi problemi."

"E tu pensi che possiamo scaricarti così come niente fosse?" Gabi si sentì estremamente offesa.

"Credevo volessi rivedere i tuoi familiari?"

"Certo che voglio rivederli, ma solo quando sarò certa che tu e Mikasa siate al sicuro."

"Ma sentila..." non lo avrebbe mai dimostrato apertamente ma la premura che Gabi dimostrava nei suoi confronti gli scaldò il cuore.

"Sembra che alla fine torneremo a casa quindi..."

"Già, è così." stava accadendo tutto così in fretta che Falco faticava a rendersi conto degli ultimi avvenimenti che si erano susseguiti. Il pensiero di poter tornare a casa non gli sfiorava più la mente da molto tempo ormai. Si teneva occupato tutto il giorno e ci teneva al fatto che Levi si riprendesse completamente.

E poi... non avrebbe mai fatto pesare la sua nostalgia a Gabi, perché sapeva che per lei era molto più dolorosa quella lontananza. Adesso però avevano la possibilità di tornare, di costruire un futuro insieme, accanto a coloro che gli volevano bene e si stupì sinceramente del fatto di volere tra quelle persone anche Onyankopon e il capitano Levi. Si rese conto per la prima volta di non riuscire più a fare a meno della loro presenza, ed era certo che anche Gabi provasse la stessa cosa.

Erano stremati e stanchi dopo quella interminabile giornata. Consumarono una cena frugale e decisero che una notte di sonno era quello che ci voleva per avere la mente più lucida l'indomani mattina. Gabi e Falco si stesero sul divano come facevano di solito dopo aver cenato, solo che il loro chiacchiericcio sommesso durò il tempo di una breve schermaglia prima che si addormentassero placidamente l'uno tra le braccia dell'altro. Onyankopon li coprì con una coperta e decise di ritirarsi in camera.

"Sali anche tu in camera Levi?"

"Vorrei prima portare qualcosa da mangiare a Mikasa, sempre che non stia dormendo."

"Certo, fai bene. Allora buonanotte."

"Buonanotte a te."

Onyankopon richiuse la porta alle sue spalle abbozzando un sorriso in direzione di Levi, chiedendosi se l'ex capitano si stesse rendendo conto del suo graduale cambiamento che giorno dopo giorno ormai era sotto gli occhi di tutti.





Se la sono cavata per il rotto della cuffia, e soprattutto perchè il comandante Miller ha avuto una paura fottuta di rimetterci la pelle (il che non era escluso). Detto ciò, la loro permanenza a Londra è inevitabilmente compromessa quindi un'imminente partenza sembra inevitabile. C'è ancora qualcosa in sospeso però tra i due Ackerman, qualcosa d'importante che influenzerà anche future decisioni. Non manca molto ormai, siamo in dirittura d'arrivo, vi avevo anticiato che non sarebbe stata una long eccessivamente lunga. Sinceramente preferisco così e considerando che questa storia è stata scritta in un mese e mezzo circa direi che come lunghezza non è male. Ci si risente la prossima settimana, buona lettura e grazie per il vostro apprezzamento.

 

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Capitolo 14
*** Rivelazioni e priorità ***


Preparò del pane imburrato e della frutta fresca in un piatto e si diresse nella stanza occupata da Mikasa. La ragazza sembrava riposare ancora, così poggiò sul ripiano del mobile quello che aveva preparato, si sedette accanto al letto soffermandosi ad osservarla. L'agitazione e la paura di qualche ora prima sembravano scomparse, il suo volto appariva sereno e disteso. Questo, almeno in parte, lo tranquillizzò. Si chiese per un attimo dove fosse finita quella ragazzina irruenta e testarda che agiva senza riflettere e non ascoltava i consigli di nessuno. Era cambiata senza ombra di dubbio, ma d'altronde in un modo o nell'altro tutti loro lo erano. Sperò che almeno quel cambiamento le permettesse di affrontare con il giusto discernimento ciò che lui aveva intenzione di mostrarle.

Eppure a volte in alcuni suoi comportamenti o modi di fare emergeva ancora quel suo lato indomabile fatto di puro istinto che non voleva sentire ragioni ne imposizioni. Solo che adesso aveva finalmente acquisito quella sicurezza in se stessa che prima non possedeva. Armin gli aveva scritto di starle accanto e proteggerla. Con quale coraggio gli avrebbe raccontato quello che era successo? Si sentì terribilmente in colpa, ma giurò che non avrebbe omesso niente prendendosi le sue responsabilità.

Era così stanco, la testa gli pulsava in modo incredibile, e la cavalcata non prevista aveva messo a dura prova il suo ginocchio. Chiuse l'occhio per un attimo, togliendo la benda da quello ferito e massaggiando entrambe le palpebre.


"Dovresti andare a riposare Levi, non ti fa bene restare per così tante ore sveglio." la voce di Mikasa lo colse di sorpresa. Cercò di sistemarsi velocemente la benda sull'occhio ma lei lo trattenne all'istante. "Fermati, non c'è nessuna premura che tu la rimetta, non la indossare." Levi acconsentì ma voltò leggermente il viso dal lato opposto.

"Sono entrato perchè credevo fossi sveglia, ti avevo portato qualcosa da mangiare."

"Mi dispiace di non aver cenato con voi, ma sono letteralmente crollata dopo le cure di Gabi. Pensa che mi ha cambiato persino le bende, sarebbe davvero un'ottima infermiera." lui annuì sempre senza voltarsi. "Levi... perché non ti lasci guardare?"

"Perché non sono un bello spettacolo."

"Questo lascialo giudicare a me. Avanti voltati."

"Non penso sia necessario credimi."

"Sei assurdo quando ti comporti in questo modo." e così dicendo provò ad alzarsi dal letto. Lui per impedirglielo dovette per forza voltarsi e finalmente le fu di fronte.

"Sei sottilmente bastarda lo sai Ackerman?"

"Ho imparato dal migliore."

Non gli piaceva lasciarsi guardare, e non per qualche assurda finezza estetica a cui era legato, ma semplicemente perché quelle cicatrici rappresentavano un ricordo perenne e costante della sua disattenzione e di una certa superficialità.

Aveva sottovalutato il suo nemico, cosa che non faceva mai, ed era sopravvissuto solo grazie alla tenacia di Hanji. Mikasa allungò lentamente una mano cercando di sfiorare l'occhio ferito, Levi provò a ritrarsi ma lei non glielo permise. Il suo tocco era delicato e leggero, La ragazza avvertì sotto le dita i bordi frastagliati delle cicatrici e il suo volto cambiò espressione.

"Non voglio la tua pietà." rispose in modo freddo, forse più del dovuto. Aveva frainteso il suo sguardo, come sempre, quando qualcuno provava ad invadere il suo spazio personale lui si chiudeva in modo repentino e brusco. Lei non badò troppo a quelle parole ma fece scivolare le lunghe dita sulle sue labbra, anch'esse segnate in modo indelebile.

"La mia non è pietà, e lo sai bene. Voglio solo che quando sei con me tu ti senta libero di essere te stesso." quelle parole accompagnate dal tocco della sua mano, da quello sguardo nel quale non era racchiusa commiserazione ma un'inaspettata dolcezza, era troppo da sopportare, anche per lui.

Levi le bloccò la mano allontanandola dal suo viso senza però lasciare la presa.

"A volte mi sembra di essere solo un pallido ricordo di ciò che ero. Il più delle volte questa cosa non mi pesa, altre invece... mi viene da pensare che forse avrei dovuto seguire lo stesso destino di Erwin e dei miei compagni."

Mikasa si irrigidì sentendo quelle parole, la precedente dolcezza dei suoi occhi divenne pura determinazione. 
"Non dire sciocchezze. Non hai nessun motivo per sentirti in colpa solo perché sei sopravvissuto. Hai rischiato in prima persona, forse più di tutti noi. Se tu sei qui adesso è anche per mantenere vivo il loro ricordo e ciò che hanno rappresentato. Le tue ferite non potranno mai sminuire il tuo valore Levi... tu non sei cambiato, né sei diverso da ciò che eri. Sei solo stanco, come tutti noi, stanco di dover lottare per difendere il nostro diritto di esistere. Ma se io e gli altri continuiamo a farlo, allora puoi farlo anche tu. In qualsiasi parte del mondo tu decida di andare."

Quelle parole lo lasciarono sorpreso e dubbioso allo stesso tempo. Le fu grato per il sostegno che gli stava dando in quel momento, ma capì anche che Mikasa era convinta che lui non volesse far ritorno a Paradis. Decise però che quello non era il momento giusto per affrontare quel discorso quindi lasciò da parte i suoi dubbi.

"Sei diventata incredibilmente saggia ragazzina... però è meglio che adesso tu riempia lo stomaco con del cibo altrimenti farai fatica ad addormentarti.”

"Va bene, come vuoi. In effetti... ho davvero una gran fame." vederla in qualche modo serena fece stare bene anche lui.

D'improvviso fu incerto sul da farsi, perchè sapeva che probabilmente ciò che stava per fare l'avrebbe nuovamente turbata. Ormai però non poteva più rimandare. Se erano delle risposte che lei cercava lui gliele avrebbe fornite, anche se in minima parte. Adesso sentiva che lei aveva la forza d'animo necessaria per affrontare la verità e andare avanti.

“Prima di andare voglio darti questo...” estrasse dalla tasca interna del panciotto una sorta di diario, visibilmente logoro e sgualcito. Mikasa aveva già cominciato a mangiare ma si bloccò subito come se avesse avvertito una scossa improvvisa.

“Cos'è quello?”

“Diciamo che è il motivo per il quale sei venuta qui a Londra. Ti avevo promesso che avremmo affrontato il discorso, e io mantengo sempre la parola data.”

“Scusami ma non capisco.”

“Questo è un diario scritto da Kenny Ackerman, che io ho scoperto essere il fratello di mia madre solo in punto di morte. Me lo ha consegnato insieme al siero per la trasformazione poco prima di morire.” i suoi occhi saettarono in un attimo da quello di Levi al diario divendo terribilmenti glaciali.

“E tu lo hai avuto per tutto questo tempo senza farne parola con nessuno?” chiese stupita, cominciando ad intuire il suo possibile coinvolgimento in ciò che le stava dicendo.

“Erwin era il solo ad esserne al corrente. Ovviamente era a conoscenza anche del suo contenuto, ma visto e considerato che sono informazioni che riguardano principalmente la famiglia Ackerman ha ritenuto opportuno che dovessi tenerlo io.” il suo sguardo si incupì di colpo, mentre un senso di rabbia per essere stata tenuta all'oscuro si fece strada in lei.

“Quando parli d'informazioni riguardanti gli Ackerman che cosa intendi di preciso?” Levi sospirò, ma ormai era chiaro che doveva andare fino in fondo.

“Esattamente quello che credi tu Mikasa. Kenny ha vissuto per tredici anni a stretto contatto con Uri Reiss fratello di Rod e possessore del gigante fondatore. E' venuto a conoscenza di alcune cose perpetrate nei nostri confronti. Cose che anch'io ignoravo prima di leggere queste pagine.”

“E quando hai scoperto che anche il mio cognome era Ackerman perchè non mi hai messa al corrente di questo diario, rispondi?” non gli piacque il suo tono di voce, e di sicuro non era sua intenzione farla agitare, ma sapeva che sarebbe potuto succedere cercò quindi di mantenere la calma.

“Ti ricordo che eravamo nel pieno di una guerra, ci stavamo preparando a riconquistare il Wall Maria e di certo le questioni personali non erano tra le mie priorità.”

“Ma potevano essere tra le mie! Hai una vaga idea di come mi sia sentita dopo le parole che Eren mi aveva detto? Mi è franata la terra da sotto i piedi, mi sono sentita inutile. Come se tutto quello per cui avevo rischiato la vita fino a quel momento non fosse servito a niente! Adesso dimmi Levi, quello che c'è scritto lì dentro se lo avessi saputo prima avrebbe fatto la differenza? Rispondi!”

Credeva che quella rabbia, che per tanti anni l'aveva accompagnata, fosse ormai un lontano ricordo. Gli sembrò quasi di rivedere nel suo sguardo la ragazzina smarrita e insicura che non riusciva ad emergere dal suo stato di torpore. Stavolta però avrebbe dovuto farcela da sola. Lui le avrebbe fornito i mezzi che cercava, come utilizzarli però sarebbe spettato solo a lei.

“Quello che c'è scritto in queste pagine sono solo i ricordi di un uomo che ha deciso di mettere nero su bianco una realtà che forse non comprendeva fino in fondo nemmeno lui. Un po' come a suo tempo era successo a Grisha Jeager. Non c'è una verità assoluta nelle sue parole. Se è quella che stai cercando temo che rimarrai delusa, quella è una cosa che a noi uomini difficilmente è concessa. Se poi vuoi sapere perchè non te l'ho mostrato prima te lo spirgo subito. Perchè eri una mocciosa rabbiosa, introversa e incazzata con il mondo, incapacae di gestire le proprie emozioni. Ecco perchè! E guardandoti adesso mi sembri tornata esattamente quella che eri.”

“Ancora con questa storia? Credi davvero di conoscermi così bene? Pensi di sapere tutto e di conoscere tutte le risposte? Tu non sai un bel niente e non hai il diritto di...”

“Invece ce l'ho eccome! E la risposta è sì, credo di conoscerti abbastanza bene da sapere cosa ti passa per la testa. E anche perchè in quegli anni ti ho salvato il culo più di una volta e tu lo sai. Ti ho tirato su quando eri completamente a pezzi, quando credevo che ti saresti persa per sempre dietro alle ideologie di Eren. Non eri in condizioni di sopportare altre rivelazioni, so che non vuoi sentirtelo dire ma è così. Adesso se sei in grado di gestire quello che c'è scritto lì dentro allora puoi leggerlo, come e quando vuoi. Ma se credi ancora di non poterlo affrontare allora brucialo e ti assicuro che non verrai mai a sapere niente, nemmeno da me.”

Fu risoluto e diretto, come spesso accadeva quando non ammetteva repliche alle sue parole. Era l'unico che le parlava con tanta spietata franchezza. Mikasa avrebbe voluto urlargli contro tante cose ma ognuna di esse le morì sulle labbra prima ancora di uscire. Era stata davvero così? Come lui l'aveva descritta? E adesso... sarebbe stata diversa oppure i fantasmi del passato l'avrebbero risucchiata di nuovo in quel vortice che così faticosamente si era lasciata alle spalle? In quel momento ogni recriminazione sembrava così inutile e superflua. Non voleva lasciarsi dominare dalla rabbia, non voleva essere avventata e precipitosa, non più.

“Ero venuta da te perchè credevo che in qualche modo tu avessi le risposte che stavo cercando. Inconsciamente sapevo anche che scoprirle non sarebbe stato piacevole. Hai agito nel modo che ritenevi giusto e so che non ho diritto di biasimarti per questo. E' solo che... almeno per una volta avrei voluto non essere l'ultima a sapere come stanno davvero le cose. Quindi adesso dimmi Levi... che cosa siamo noi Ackerman, che cosa siamo io e te?

Lui abbassò lo sguardo e capì che in quelle parole c'era una sorta di muta accettazione verso qualsiasi verità lui le avrebbe detto.

“E' davvero importante saperlo per te? A me non è mai fregato niente, io sono ciò che ho deciso di essere tanti anni fa. Ho seguito quello che ritenevo giusto, ho commesso errori e mi sono sporcato le mani. Ho ucciso, ho fatto cose spregevoli e ho visto tutto lo schifo possibile di questo mondo. Non mi frega un cazzo di chi siano in realtà gli Ackerman, io so chi sono, e per me questo basta e avanza.” 
Non gli rispose, ma lui comprese che aveva perfettamente capito il senso di quel discorso. “Ti lascio da sola adesso, prenditi tutto il tempo che ti occorre per decidere cosa fare, ma vedi anche di riposare, ci siamo intesi?”

“Va bene, lo farò.” Levi annuì lanciandole un ultimo sguardo prima di lasciare la stanza.

 

                                                                                                                             ***

 

Quando riaprì gli occhi la luce che filtrava nella stanza la costrinse a socchiuderli nuovamente. Non credeva sarebbe riuscita a prendere sonno. Da quando Levi l'aveva lasciata la sera prima, sola con quel diario tra le mani, aveva trascorso un tempo indefinito rigirandoselo da una parte all'altra e decidendo che cosa fare. 
Credeva di essere ansiosa di sapere e conoscere quella verità che tanta sofferenza le aveva procurato in passato. Nemmeno il cognome di sua madre, pur scoprendo appartenere ad un'antica dinastia, le aveva procurato così tanto sconcerto come invece lo era quello di suo padre.

Alla fine, dopo aver abbandonato la cena, invece delle possibili rivelazioni che avrebbe scoperto si era ritrovata a pensare al suo comportamento nei confronti di Levi. Da quando si trovava lì a Londra aveva cercato in tutti i modi di instaurare un rapporto diverso con lui, di fiducia, tra due persone che non sono più divise dai gradi dell'esercito, ma unite dalle reciproche esperienze.

Sapeva di aver fatto notevoli passi avanti, sentiva una vicinanza diversa con lui, come se finalmente avesse in qualche modo scalfito quella corazza impenetrabile nella quale lui si era sempre confinato. Il pericolo che lei aveva corso poi li aveva trovati più uniti che mai. Ancora una volta lui era stato la sua ancora di salvezza. La sera precedente però tutto sembrava essere andato in fumo. Aveva sentito un'improvvisa distanza tra loro, di nuovo quella freddezza e quell'incomprensione che in passato era stata motivo di tanto attrito.

La colpa era sua, del suo egoismo e della sua incapacità di guardare oltre. Levi l'aveva tenuta all'oscuro per proteggerla, e lei invece ancora una volta lo aveva ferito, aveva messo metri di distanza tra loro. Di nuovo... stava allontanando qualcuno che per lei contava molto, sì, perchè Levi era diventato importante, o forse lo era sempre stato, solo che lei preferiva non accorgersene, preferiva di nuovo non guardare oltre...

Era davvero importante conoscere un passato ormai seppellito da tempo? O contava di più tenersi stretta quel futuro che si stava aprendo lentamente davanti ai suoi occhi?

Comprese che se il prezzo di quella verità era allontanarlo nuovamente forse non valeva la pena conoscerla, e non per vigliaccheria o perchè non potesse sopportarne il peso, ma solo per una questione di priorità. Aveva riflettuto e deciso che c'era nuovamente qualcuno che valeva di più di tutto il resto. Ripose il diario sul mobile accanto al letto e mise a tacere dubbi e domande. Si ritrovò addormentata senza neanche accorgersene fino al mattino successivo. Si voltò e lo vide riposto esattamente dove lo aveva lasciato la sera prima.

“Ho atteso così tanto tempo che aspettare ancora non sarà di certo un problema. Lo leggerò quando sarà il momento, adesso ho altro per la testa."


                                                                                                                     ***


Scese dal letto silenziosamente recandosi in cucina, dove Falco si stava già adoperando per preparare la colazione.

"Buongiorno..."

"Oh... buongiorno Mikasa, come va oggi?"

"Direi piuttosto bene grazie, ed è tutto merito delle premure di Gabi."

Falco sorrise facendole segno che la ragazza era ancora profondamente addormentata sul divano. "Caspita! Avete passato lì tutta la notte?"

"Direi di sì."

"Ho combinato proprio un bel pasticcio. Non solo ho mobilitato la stanza di Gabi ma vi ho costretto anche a dormire in condizioni pietose. Sono mortificata Falco, mi dispiace."

"Non dirlo nemmeno figurati, non è la prima volta che io e Gabi ci addormentiamo su quel divano. È capitato spesso, guardando le stelle o leggendo un libro. Diciamo che è il nostro angolo delle confidenze."

Mikasa sorrise sentendolo parlare, era di questo che adesso sentiva il bisogno, della quotidianità e del calore che Falco e tutti gli altri riuscivano a darle. "Sei un ragazzo molto dolce, e voi due state davvero bene insieme."

Falco arrossì sentendo quelle parole, provando un leggero imbarazzo.

"Grazie Mikasa."

"Figurati. Adesso però permettimi di prepare la colazione, farò qualcosa di speciale vedrai." aveva una gran voglia di rendersi utile in qualche modo, non riusciva a stare ferma così cominciò a rovistare in giro.

"Ma no... tu sei ancora convalescente non voglio che ti stanchi, chi lo sente dopo il capitano Levi."

"Non pensare a quel burbero musone, io sto benissimo. E poi voglio preparare qualcosa di speciale anche per lui."

Falco si arrese alla sua determinazione lasciandole campo libero.

Si guardò attorno aprendo tutti i pensili della cucina, che scoprì essere molto fornita, così poté mettersi all'opera. "Si vede che Onyankopon si occupa della spesa, se fosse dipeso da Levi ci sarebbe solo te in questa dispensa."

"In effetti credo che sarebbe proprio così." confermò Falco.

 

Dopo aver preso tutto ciò che le serviva Mikasa smise di parlare concentrandosi per non sbagliare le dosi. Abituata com'era a cucinare sempre e solo per sé stessa temeva di combinare qualche disastro. Il rumore di sottofondo che inevitabilmente si venne a creare svegliò Gabi.

"Ma che succede..."

"Shhh... Mikasa sta preparando la colazione per tutti, anche se credo voglia sorprendere più che altro il capitano Levi."

"Sul serio?"

"Zitta! Non dire niente."

Intanto Mikasa proseguì imperterrita destreggiandosi tra preparazioni di omelette, infornate di biscotti e pane tostato con marmellata. Un aroma di caffè si diffuse in tutta la casa attirando anche Onyankopon che non tardò a scendere.

"Accidenti che profumino invitante."

"Buongiorno. Dai vieni che è quasi pronto."

Gabi e Falco prepararono tazze e piattini, ma solo quando anche l'aroma del tè cominciò a diffondersi apparve finalmente Levi ancora visibilmente assonnato. Mikasa smise di armeggiare con i vari mestoli e tutti gli occhi furono puntati su di lui. Sperò fiduciosa che Levi interpretasse quel gesto come una sorta di tregua. Una dimostrazione che l'alterco della sera prima per lei era nato e finito lì, augurandosi che anche per lui fosse lo stesso.

"Cosa avete da guardare, ho qualcosa sulla faccia per caso?" li apostrofò, sentendosi osservato con estrema attenzione. Per un attimo incrociò lo sguardo di Mikasa spostandolo altrove qualche istante dopo.

Levi si voltò e vide la cucina e il piano cottura completamente imbrattati di uova, farina e ogni altro genere di ingredienti servito alla ragazza. Il suo sguardo divenne furente, si irrigidì di colpo pronto ad esplodere in una di quelle ramanzine che difficilmente avrebbero scordato. Quando però Mikasa si voltò completamente e lui la vide con indosso il grembiule e la faccia sporca di farina si bloccò all'istante.

Falco, Gabi e Onyankopon davano ormai per scontata l'inevitabile sfuriata.

"Dì un po'... hai combinato tu questo casino?"

"Sissignore!" rispose, scattando quasi sugli attenti.

"E deduco che dopo pulirai a specchio ogni singolo utensile da te utilizzato?"

"Ovviamente sì, signore!"

"Almeno sei riuscita a combinare qualcosa di decente?"

"Mi auguro di sì, ma questo lo lascerò giudicare a te, capitano." concluse, con aria incerta e colpevole. Levi si avvicinò fingendosi minaccioso togliendole con un buffetto la farina che aveva sul naso.

"Allora andiamo a mangiare Ackerman e spera per te che sia tutto quanto meno commestibile."

Mangiarono con appetito, gustando ogni singola pietanza. I giorni tesi e carichi di ansia che avevano trascorso sembravano ormai archiviati, anche se tra loro serpeggiava silenziosa l'incertezza del fututo. Quanto meno poterono godersi un po' di tempo insieme e in tranquillità. In questo modo anche se le loro strade si fossero divise avrebbero avuto dei piacevoli ricordi.

"Allora Levi non dici niente? Ho soddisfatto le tue aspettative?" lui, con la dovuta calma, ripose il tovagliolo sul tavolo e rispose.

"Soddisfacente direi, ma non montarti la testa devi ancora perfezionare parecchie cose."

"Come immaginavo, sei incontentabile, ci rinuncio."

"Lascialo perdere Mikasa, era tutto ottimo, ti faccio i miei complimenti."

"Grazie Onyankopon, tu si che sei un gentiluomo." rispose piccata, mentre Levi sorrise soddisfatto per averla punta nell'orgoglio.

"Capitano quando pensi che partiremo?" Falco, così come Gabi, erano ansiosi di rivedere le loro famiglie.

"Tra un paio di giorni, il tempo di organizzare il tutto." Mikasa non poté far a meno di pensare che quella forzata e repentina partenza fosse in gran parte colpa sua.

"Non devi sentirti responsabile, non era nostra intenzione stare qui per sempre. Diciamo... che tu ci hai fornito la scusa per accelerare le cose."

"Ti ringrazio Falco, apprezzo che non vogliate farmi pesare la cosa, ma sento comunque di avervi messo in pericolo in qualche modo."

"La colpa non è tua, sarebbe andata così presto o tardi. Alla fine quella che stava rischiando grosso eri proprio tu..."

"Già, sembra proprio di sì. Non credevo che si sarebbero spinti a tanto." si strinse nelle spalle provando un leggero brivido nel ripensare a ciò che era accaduto in così breve tempo.

"Adesso non pensarci, piuttosto... vedi di rimettere tutto in ordine e bene. Ricordati che ti avevo promesso di portarti in un posto. Quindi datti una mossa."

Era vero, con tutto quello che era successo lo aveva scordato, ma lui invece era intenzionato a mantenere la parola data, come sempre d'altronde. Non le aveva chiesto nulla riguardo la sera precedente. Ne se avesse letto gli appunti di Kenny. Conoscendo però la sua proverbiale riservatezza pensò volesse farlo una volta rimasti soli.

"Vado subito." rispose, mettendosi subito all'opera.

"Ehi capitano... vuoi portarla nel posto che penso io?" gli chiese Falco.

"Mi sembra ovvio, e dove se no?"

Mikasa si voltò elettrizzata e incuriosita. "Ma non potete anticiparmi nulla?"

"Direi di no. Adesso però parla di meno e lavora di più, sbrigati!"

"Agli ordini!"

"Sei un aguzzino Levi, sfido io che i tuoi sottoposti ti detestavano."

"Nessuno mi detestava Onyankopon, semmai mi temevano, e facevano bene."

 

Ci mise tutto l'impegno e l'attenzione possibile, non voleva un altro richiamo e soprattutto perdere altro tempo. Senza contare che lui la teneva d'occhio a distanza, per assicurarsi che fosse tutto sistemato al posto giusto.

"Mi sembra di stare sotto tiro Levi, direi che potresti anche smetterla."

Lui si alzò dalla sedia e ispezionò ogni minimo dettaglio. "Te la cavi meglio a pulire che a cucinare, te ne rendo atto."

"Evito di risponderti, preferisco non infierire sugli anziani."

Levi la fulminò con un'occhiata inequivocabile. "Sfacciata saccente."

"Scontroso e villano. Vuoi che continui?" sapeva che sarebbero potuti andare per le lunghe a stuzzicarsi così preferì evitare.

"Vatti a preparare..."

"Preparare? Cosa dovrei mettermi di preciso, non capisco?"

"Pantaloni, camicia, stivali lunghi possibilmente e nel tuo caso una mantella per non prendere freddo. Dobbiamo cavalcare. Pensi di farcela?"

"E tu... pensi di riuscire a starmi dietro?"

"Ti pentirai di queste parole, mocciosa. Adesso fila, e vedi di non metterci troppo."

Decise anche lui di salire in camera a prepararsi, non prima però di aver preso da una mensola la lettera scritta da Armin e aver fatto un'ultima raccomandazione a Gabi.

"Per favore va da lei e controllale la fasciatura. Se necessita di essere cambiata fallo, e stringila bene."

"Vado subito." rispose, scomparendo poco dopo.

 

Levi fu il primo a scendere, facendo trovare il cavallo già sellato e pronto a partire. Poco dopo arrivò Mikasa, vestita esattamente come lui le aveva suggerito con i capelli accuratemente legati in modo da non crearle fastidio. Quando Levi la vide arrivare per un attimo ricordò i vecchi tempi, quando nei pochi momenti di convivialità ognuno di loro poteva vestirsi in modo più informale. Solo che adesso, anche da quegli abiti maschili, traspariva tutta la sua avvenente femminilità.

"Allora, dov'è che andiamo vuoi dirmelo adesso?"

"Devo restituire questa cavalla ad un amico. Ieri l'ho praticamente presa senza dare spiegazioni e adesso, considerando che presto andremo via, devo riconsegnarla al legittimo proprietario."

"E dove si trova questa persona?"

"Fai troppe domande ragazzina. Monta sull'altro cavallo e andiamo... lo scoprirai per strada."

Onyankopon, che li stava osservando da lontano, si avvicinò a Mikasa aiutandola a salire in groppa all'animale.

“Abbi pazienza con lui, le buone maniere non sono il suo forte, ma vedrai che vale la pena seguirlo.” la ragazza gli sorrise dandogli silenziosamente ragione.

“Grazie Onyankopon, lo farò. A più tardi...”





Buongiorno a tutti, chiedo scusa a coloro che abitualmente sanno che aggiorno il giovedì ma ieri mi è stato praticamente impossibile mettermi al PC. Siamo ormai alle battute finali, l'aria si fa più rilassata ma serpeggia sempre una latente incertezza per il futuro. Levi fa la sua mossa e mostra a Mikasa questa sorta di diario scritto da Kenny Ackerman (ovviamente è una mia invenzione, che spero risulti credibile, saprete di più negli ultimi capitoli)
Ovviamente non si può guardare al futuro se non si è in grado di lasciarsi il passato alle spalle ed è proprio quello che Mikasa, a piccoli passi, ha tentato di fare in tutto questo tempo. C'è stato un momento di tensione, ma credo sia normale, in parte è il loro modo di comunicare e anche perchè nonostante siano profondamente cambiati rimangono sempre due testoni. Cosa ci sarà scritto in quel diario? Niente di trascendentale, altrimenti modificherei troppo i canoni della storia che ho deciso di rimanere inalterati. Lo saprete a tempo debito. Intanto godetevi questa tanto agognata tranquillità. A risentirci.

 

 

 

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Capitolo 15
*** Ciò che il cuore desidera ***


Mentre percorrevano le strade della città la tensione era palpabile. Se prima sapevano di passare inosservati confondendosi tra le altre persone, adesso avevano la certezza di avere gli occhi puntati addosso, e ciò li metteva a disagio. Levi decise comunque di non aumentare l'andatura del cavallo, sia per evitare che l'animale potesse affaticarsi ma soprattutto per permettere a Mikasa di stargli dietro senza farla sforzare eccessivamente.

"Sta tranquilla, a breve raggiungeremo un sentiero sterrato e da lì proseguiremo verso la campagna. Manca poco ormai."

"Va bene." sussurrò con un filo di voce, tenendo ben salda la presa sulle redini e guardando dritto davanti a lei.

Quando finalmente si accorse che il vociare delle persone era diventato lontano e ovattato rialzò piano lo sguardo stupendosi del meraviglioso scenario che appariva davanti ai suoi occhi.

Si erano lentamente inoltrati in un sentiero di campagna, dove ad ogni passo si potevano intravedere file interminabili di alberi e distese immense di un verde brillante nel quale facevano capolino dei fiori selvatici. Senza l'ingombro di case e alti palazzi il cielo sembrava più azzurro e limpido. La tensione che aveva addosso andò pian piano scemando e Levi se ne accorse osservandola di sottecchi.

"Non immaginavo che anche qui ci potessero essere posti del genere." ammise sorpresa.

"Diciamo che la maggior parte delle persone predilige il caos della città. Io invece quando posso vengo spesso a rifugiarmi qui."

"Come hai scoperto questo posto?"

"Per puro caso direi. Il proprietario di questa cavalla abita da queste parti. Ecco vedi... esattamente laggiù."

Mikasa osservò la direzione indicata da Levi e vide una grande casa in legno molto ben curata con un'enorme staccionata tutta intorno. Di fianco si intravedeva un altro edificio altrettanto grande con uno più piccolo di fianco.

"Ma è una fattoria?"

"Non esattamente. È un maneggio. Il proprietario, Richard, alleva cavalli e fitta le carrozze a chi ne ha bisogno, anche ai turisti in visita per la città. È così che ci siamo conosciuti."

"Sei un'autentica fonte di sorprese capitano."

"Che vorresti dire?"

"Niente... è solo che non ti facevo così socievole."

"Tu parli decisamente troppo. Adesso però cerca di starmi dietro, è arrivato il momento di far sgranchire le zampe alla nostra amica." Così dicendo spronò il cavallo che partì subito al galoppo incentivando Mikasa a fare altrettanto.

"Sei impazzito forse, rallenta!"

"Cos'è, hai paura?"

"Questa me la paghi, te lo giuro Levi!" ma lei sue minacce non lo impensierirono affatto.

 

Quando giunsero nei pressi dell'abitazione Richard li aveva già avvistati da lontano salutandoli con la mano.

"Ehilà Levi... qual buon vento ti porta da queste parti?" lui tirò le redini del cavallo fermandosi ad un passo dall'uomo che gli era di fronte.

"Sono venuto a riportarti Ivory, scusami se ieri l'ho presa senza darti spiegazioni."

"Non scherzare... lo sai che lei ti adora. Spero almeno che ne sia valsa la pena?" rispose, spostando lo sguardo su Mikasa.

"Direi di sì. Grazie." 
Scese lentamente da cavallo aiutando anche Mikasa, ancora impacciata nei movimenti. "Richard lei è un'amica di lunga data, Mikasa Ackerman."

"Molto piacere miss Ackerman, io sono Richard Feltz il proprietario di tutta questa meraviglia."

"Il piacere e mio. La prego mi chiami solo Mikasa. Questo posto è davvero incantevole."

"Lo credo bene, peccato che non tutti la pensino come te. Ma comunque sia meglio pochi ma buoni, giusto Levi?"

"Ovviamente, amico mio."

"Come stanno i ragazzi e Onyankopon? Ancora ti sopportano poverini?"

"Stanno benissimo, e ci tengo a precisare che sono io che tollero loro, non il contrario."

"È un vero rompiscatole non trovi?" rispose l'uomo rivolgendosi a Mikasa, riuscendo a strapparle un sorriso divertito. "Dì un po' capitano... la tua è solo una visita di piacere?"

Levi cambiò espressione. "Solo in parte. In effetti volevo che lei vedesse questo posto, e poi perché devo chiederti un passaggio per il porto con una delle tue carrozze. Diciamo... tra due giorni, salvo imprevisti."

"Per il porto? E dov'è che dovresti andare, sentiamo?" Mikasa abbassò lo sguardo mentre Levi tentò di essere il più sincero possibile senza però coinvolgere troppo il suo amico.

"Diciamo che per un po' andremo via da Londra, ma chissà... magari torneremo di nuovo fra qualche tempo."

Richard lo guardò accigliando lo sguardo, sentiva che non gli stava dicendo tutto, ma sapeva che se Levi ometteva certe cose c'era un motivo importante, quindi preferì cambiare discorso.

"Come farai con la riabilitazione del tuo ginocchio?"

"Tranquillo sto più che bene. E poi sono stanco degli ospedali e dei medici. Mi serve cambiare aria, questa... è diventata troppo tossica."

L'uomo non chiese oltre, anche perché difficilmente Levi gli avrebbe concesso di sapere altro. 
"Sono periodi bui questi amico mio, la gente è diffidente e il progresso che avanza irretisce anche gli uomini più incorruttibili. Tu non sei uno sprovveduto Levi, non lo sei mai stato, anche perché chi ama i cavalli possiede in sé un sesto senso innato e un grande temperamento. Non è così Mikasa?" le chiese, distogliendola dai suoi pensieri.

"Sì, è esattamente così." rispose, Levi le lanciò uno sguardo di sbieco

Era un complimento indiretto quello che gli aveva rivolto, forse sì, e la cosa non gli dispiacque.

"Pensi che possa prendere uno dei tuoi cavalli e farle visitare la zona, così lasciamo riposare il nostro per il ritorno."

"Puoi fare quello che vuoi Levi. Seguimi... ti sellerò Artax, vedrai che meraviglia, e un animale fantastico. Maestoso e fiero come pochi, ma molto permaloso quindi sii cauto."

"Lo sarò, fidati."

Levi seguì Richard nelle stalle mentre Mikasa si occupò di Ivory abbeverandola e dandole del fieno. Si trovava a suo agio in quel luogo, era come essere tornata indietro nel tempo. Avevano trascorso gran parte della loro vita in sella a quegli animali che ormai erano entrati in perfetta sintonia.

Mikasa accarezzò la criniera di Ivory con dolcezza. "Siete stati dei compagni preziosi e insostituibili. Grazie."

Levi la stava osservando da lontano, non voleva perderla di vista neppure per un istante, anche se in quel luogo non correva nessun pericolo.

"Ecco qui, Artax è pronto capitano." Richard ricomparve dopo pochi minuti distogliendo l'attenzione di Levi da Mikasa.

"Avevi ragione, è proprio un bell'esemplare."

"Ah... lo hai notato allora. Credevo avessi occhi solo per la brunetta che sta lì fuori."

Levi lo fulminò con uno sguardo.

"Avanti non fare quella faccia, si vede lontano un miglio che per te è una persona speciale, è normale sai... è una bellissima donna."

"Pensa a darmi il cavallo e non dire cavolate, sei forse già sbronzo di prima mattina?"

"Sono lucido e ci vedo benissimo, ma se vuoi negare l'evidenza fai pure, sono affari tuoi. Comunque quando tornerete discuteremo per bene i dettagli della vostra partenza. Ti prometto che non ci saranno intoppi. Sarà uno dei miei aiutanti più fidati ad accompagnarvi, quindi puoi stare tranquillo."

"Ti ringrazio Richard, sei un amico prezioso."

"Lo so... lo so, adesso però va da lei."

"Ci vediamo più tardi."

Richard lo guardò montare Artax, che inizialmente fece qualche resistenza calciando infastidito. Poi però tra una carezza e una prova di resistenza si fece lentamente domare. L'uomo osservò tutta la scena pensando tra sé che Levi doveva essere stato davvero un gran soldato e che gli sarebbe piaciuto vederlo in azione.

"Ehi Levi..."

"Cosa c'è?"

"Ricordati che le persone preziose non devi fartele scappare via. Intesi?"

Levi gli lanciò un sorriso di sbieco, raggiungendo Mikasa.

"Te la senti di cavalcare ancora?"

"Sicuro, nessun problema."

"Allora vediamo se riesci a starmi dietro..." così dicendo lanciò il cavallo al galoppo e partì come una scheggia.

Mikasa non se lo fece ripetere e spronò subito Ivory all'inseguimento. Era un posto davvero meraviglioso, così diverso dal caos che aveva visto nei giorni precedenti. Le sembrò per un attimo di essere a Paradis mentre cavalcava affiancata dai propri compagni, non per combattere però, ma semplicemente per sentirsi libera.

Libera di poter stare al di fuori delle mura senza il timore di essere attaccata o divorata, libera di non dover più ferire il prossimo per sopravvivere. Libera di sognare un futuro, una vita diversa... anche se quella vita sarebbe stata senza Eren. Il vento le sferzava la pelle solleticandola, il sole le riscaldava il viso. Nell'aria c'era un profumo di erba e fiori, un profumo di vita. Quella corsa forsennata le sembrò così liberatoria che non si sarebbe mai fermata. Lo spettacolo di quella natura incontaminata dall'uomo però meritava di essere impresso negli occhi, toccato con mano, per poterlo custodire tra le cose preziose da ricordare. Rallentò d'improvviso l'andatura del cavallo, con uno scatto tirò le redini e l'animale sollevò appena le zampe anteriori. Lei però seppe come tranquillizzarlo per evitare che si agitasse troppo, e quando si fermò completamente decise di scendere per stendersi sul manto d'erba che la circondava.

Chiuse gli occhi aspettando che il respiro accelerato per la lunga cavalcata si regolarizzasse. Per la prima volta dopo tanto tempo sentiva di poter guardare avanti, di potersi lasciare finalmente il passato alle spalle. Come se una nuova energia fluisse dentro di lei. Non le importava se avrebbe dovuto continuare a lottare, adesso sapeva che era in grado di farlo, perchè c'era qualcuno che l'avrebbe fatto con lei.

Levi, dopo qualche minuto, si voltò per vedere se lei tenesse il suo passo e quando vide il cavallo fermo da solo in mezzo al prato si bloccò all'istante tornando sui suoi passi più in fretta possibile.

“Mikasa!” urlò, quasi senza rendersene conto, facendola sollevare di scatto.

“Sono qui...” rispose lei sollevando una mano.

Levi la raggiunse smontando da cavallo visibilmente allarmato. “Cosa diamine è successo, sei caduta, ti sei ferita?” chiese concitato.

“Certo che no. Sono stata io a fermare Ivory perchè volevo scendere e godermi questo bellissimo posto. Finalmente Londra mi regala una tale traquillità che non ho potuto fare a meno di approfittarne.”

“Sei forse impazzita! Che modi di fare sono? Credevo fossi caduta o che stessi male, ma dico... un minimo di criterio quando pensi a queste cose non guasterebbe sai?”

Solo allora Mikasa si rese conto di averlo involontariamente fatto preoccupare e se ne rammaricò molto. “Scusami Levi non era mia intenzione spaventarti, mi dispiace. Ho agito seguendo l'impulso del momento senza riflettere.”

“Come se questa fosse una novità!” rispose scuotendo la testa e sedendosi sull'erba accanto a lei. “Non mi hanno ammazzato i giganti e gli jeageristi ma credimi... tu sei sulla buona strada per riuscirci.”

“Non fare il drammatico adesso, ti ho chiesto scusa. Piuttosto cerca di rilassarti anche tu invece di rimproverarmi sempre. Questa è la prima volta da quando sono qui che mi sento finalmente serena. Non so, forse è questo posto, o la piacevole cavalcata, ma questa città non mi sembra più così fredda e ostile come mi è apparsa al mio arrivo.”

Quando Mikasa si voltò ad osservarlo, lo sguardo di lui sembrava lontano, forse pensava all'imminente partenza oppure al fatto che la sua vita venisse di nuovo sradicata.

"Levi... non mi hai ancora detto dove andrai quando lasceremo Londra. Ne mi hai fatto domande sul quello di cui abbiamo discusso ieri sera. Credevo che prima di salutarci volessi sapere almeno come la penso riguardo a ciò che c'è scritto nel diario di Kenny. O magari... sei ancora arrabbiato per quello che ho detto?” il capitano attese ancora qualche attimo e poi si voltò verso di lei. Era esattamente come pensava, Mikasa non credeva minimamente che lui avesse intenzione di tornare a Paradis.

Prese tempo prima di risponderle, sfilando dalla tasca la lettura di Armin. "Non sono arrabbiato. Mi credi forse un poppante che se la prende per certe cose? E poi non spetta a me chiedere, devi sentirti tu pronta a volermene parlare. Comunque sia volevo mostrarti anche questa... tieni, leggila. Era indirizzata a tutti noi, quindi anche a te. Quando l'abbiamo letta ieri sera tu eri già in camera, non ti abbiamo aspettato perchè avevamo urgenza di sapere se ci fossero novità." Mikasa tese la mano e prese la lettera, guardò il mittente e sgranò gli occhi.

Tornò ad osservare Levi mentre la sfilava dalla busta cominciando a leggerla velocemente. Si soffermò più volte su alcuni punti, assicurandosi di non aver male interpretato le parole di Armin. Lesse anche le righe in fondo alla pagina e i suoi occhi divennero lucidi ripensando con nostalgia al volto del suo amico d'infanzia.

"Non volevo rattristarti, come hai letto anche tu va tutto bene. Anche da lontano lui si preoccupa per te, e presto potrai rivederlo."

"Sì lo so, ne sono felice. Non lo ringrazierò mai abbastanza per il sostegno e l'affetto che mi ha sempre dato. Senza di lui non ce l'avrei mai fatta, e neanche senza di te Levi..."

"Io ho fatto ben poco."

"Questo non è vero e lo sai. Tu mi hai sempre capita, prima ancora che io parlassi. Hai sempre saputo ciò che provavo, i miei dubbi e le mille incertezze. Tu mi hai spronata a non arrendermi, hai trasformato le mie debolezze in forza. Ed è stato anche per questo motivo se sono venuta fin qui. Perchè inconsciamente sapevo che avevo ancora bisogno di te. E so che questo è un ragionamento egoista da parte mia, ma tu ti sei sempre rivelato fondamentale quando attorno a me non vedevo altro che il vuoto più totale.”

“E adesso cosa vedi? Quello che Kenny ha scritto ha finalmente chiarito i dubbi che avevi? Volevi che ti chiedessi questo, non è così?.”

Attese qualche istante prima di rispondere, dopo tanti anni le riusciva ancora difficile anticipare una sua possibile reazione. “Veramente se devo essere onesta... non l'ho ancora letto.”

“Come scusa?”

“Sì, hai capito bene. Alla fine ho deciso che in fondo non c'era tutta questa fretta e ho pensato di aspettare.”

“Non posso crederci! Mi hai dato il tormento perchè volevi a tutti i costi delle risposte, mi hai urlato contro di averti deliberatamente tenuta all'oscuro di fatti importanti e alla fine... pensi bene di aspettare ancora? Tu sei incredibile lasciatelo dire.”

Mikasa sospirò spazientita, era assurdo che anche in quelle circostanze lui dovesse sempre ammonirla. “Ma dico... almeno per una volta potresti evitare di criticare ogni mia decisione e cercare invece di capire perchè l'ho fatto? Diamine Levi questi potrebbero essere gli ultimi giorni che trascorriamo tutti insieme non mi va di passarli a discutere o a polemizzare su cose che riguardano il passato. A volte credo di aver sprecato fin troppo tempo ponendomi domande e cercando invano risposte. C'erano cose più importanti sulle quali dovevo chiarirmi le idee, questa è la verità. ”

"Che vuoi dire con questo, spiegati?"

"Beh... mi sembra piuttosto evidente. Tra due giorni ce ne andremo, ormai è cosa certa, lo so che tu non desideri tornare a Paradis, che probabilmente non l'hai neanche preso in considerazione. D'altronde perchè avresti dovuto, lì per te ci sono solo brutti ricordi e dolore. So che quando partiremo da qui te ne andrai in qualunque altro posto, e io... non ti rivedrò chissà per quanto tempo, e questo mi spaventa."

Abbassò lo sguardo cercando di non mostare le lacrime che premevano per fuggire repentine dai suoi occhi bagnando così la lettera che aveva ancora tra le mani.

Levi le sollevò il viso in modo che tornasse a guardarlo."Ti ho già detto una volta di smetterla di darmi per scontato. Come al solito trai le tue conclusioni arbitrariamente... Ackerman. Dovresti chiedere prima che la tua testolina formuli ipotesi di propria iniziativa."

Mikasa ebbe l'impressione di non comprendere bene ciò che lui volesse dirle. "Io non capisco... hai sempre detto che qualunque altro posto sarebbe stato meglio di Paradis, non è più così forse?"

"È vero, l'ho pensato più volte, e forse lo penso ancora. Però adesso voglio che tu sia sincera e diretta con me. Devi dirmi tu cosa desideri veramente.”

"Adesso cosa c'entra quello che desidero io?"

“C'entra eccome. E' la cosa più importante adesso, è quello che potrebbe fare la differenza, ma voglio che sia tu a dirmelo. Non penso sia difficile, fa uno sforzo avanti...”

Sapeva che lei aveva capito al volo il senso di quelle parole, anche se tentava di fingere. Rimase paziente, in attesa della sua risposta. "Io... io desidero tornare a casa..." Levi restò in silenzio, continuando semplicemente ad osservarla, aspettando "... e vorrei, vorrei che tu tornassi lì con me, Levi. So che la cosa non ti entusiasma e posso capirti, ma io credo che in fondo se sono arrivata fin qui è anche perché inconsciamente speravo di convincerti a tornare a casa con me. E' una cosa sciocca lo so, priva di senso, ma non posso negare di averci sperato."

Levi accennò un sorriso. A volte non credeva possibile che una donna tanto forte e determinata potesse essere così insicura nel mostrare agli altri ciò che desiderava.

"Forse in parte hai ragione. Non avevo motivi né desiderio di tornare a Paradis. Per me quel luogo rappresenta tanto, forse troppo. Tornare lì sarebbe stato come riaprire vecchie ferite mai sanate. Ma credo che in fondo la verità era che non volessi tornarci perché non avevo un motivo valido per farlo..."

Gli occhi di Mikasa tornarono ad illuminarsi e lui rivide nel suo sguardo quella luce che da sempre gli mozzava il respiro ogni volta che lei gli era di fronte.

"Levi... credo che Armin avesse ragione. D'altronde lui è sempre stato molto perspicace nel capire le cose e le persone. La semplice verità è... che io ho bisogno di te." 
Non pensava che delle semplici parole potessero provocargli un simile effetto, non credeva che il suo cuore potesse battere così forte come se volesse uscirgli dal petto. Aveva perso così tanto da anestetizzare i sentimenti per impedirsi di soffrire, di legarsi a qualcuno che inevitabilmente, sapeva, lo avrebbe abbandonato.

Poi dopo la fine della guerra contro i giganti si era sentito inutile, inservibile... l'ombra di sé stesso e di ciò che rappresentava. Non poteva essere d'aiuto più a nessuno, perché nessuno avrebbe avuto bisogno di lui. Da quando però lei era ricomparsa nella sua vita qualcosa era radicalmente cambiato. Il suo sguardo si era inspiegabilmente addolcito. Aveva scoperto che sarebbe potuto restare per ore a guardarla in silenzio senza mai stancarsi, solo per accertarsi che non svanisse come un'effimera illusione.
E adesso quelle parole
'io ho bisogno di te' una richiesta così semplice, sincera che racchiudeva in sé tante cose, e lui voleva scoprire ognuna di esse. Lei lo accettava così com'era... con le sue fragilità, con gli spettri del suo passato, con le cicatrici del corpo e dell'anima. Lei lo voleva accanto semplicemente per ciò che era. D'altronde se un tempo Eren le aveva insegnato a combattere e a non arrendersi, Levi le aveva insegnato a sopravvivere e a non avere rimpianti per le proprie scelte.

"Cosa dovrei risponderti adesso?" lo chiese più a sé stesso che a lei. Perché qualsiasi cosa avesse detto o fatto in quel preciso istante avrebbe rappresentato uno spartiacque dal quale non era più possibile tornare indietro.

Ma d'altronde lui si era ripromesso che nella vita non avrebbe mai avuto esitazioni o rimpianti, e quello era uno di quei momenti. Stavolta fu Mikasa a restare in attesa che i suoi dubbi venissero dissipati. Era il suo di cuore che trepidava nel petto sperando che ciò che traspariva dallo sguardo di lui non fosse una mera illusione, ma una nuova realtà. In quel momento Levi pensò che non ci fossero parole abbastanza esplicite per esprimere ciò che sentiva. Lui, che per una vita intera aveva agito seguendo il suo istinto decise che ancora una volta sarebbe stato quell'istinto a guidarlo.

Ci volle così poco per azzerare la sottile distanza che li separava. Fu una cosa talmente naturale da non creare dubbi o esitazioni. Si erano in qualche modo sempre cercati. Si erano scontrati, odiati, allontanati. Tra loro erano state urlate parole cariche di rabbia e frustrazione, di dolore e rimpianto, eppure alla fine... ciò che rimaneva era la sottile ma assoluta certezza di essere simili, l'uno l'estensione dell'altro. 
Così simili da turbarli nel profondo, da capirsi senza bisogno di parlare, da volersi pur sapendo che si sarebbero potuti bruciare irrimediabilmente in un sentimento difficile da gestire quanto impossibile da soffocare.

Eppure adesso, in quel preciso momento niente sembrava sbagliato, tutto era come doveva essere. La mano ferita di Levi le accarezzò il viso con dolcezza, e lei in quella carezza vi depose un bacio. Quando poi i loro occhi sembrarono fondersi l'uno con l'altra anche le loro labbra si assaporarono per la prima volta, esitanti e incerte ma desiderose di non volersi separare.

La dolcezza di Mikasa, la delicatezza del suo tocco gli fecero perdere il contatto con la realtà. Si sentì totalmente avvolto e assuefatto dalla sua presenza, così come lei si lasciò attrarre da quelle labbra segnate dalle cicatrici ma estremamente dolci e passionali. Era quella la sua risposta, una risposta azzardata che non sapeva fin dove l'avrebbe portato. Le loro labbra adesso si cercavano con maggiore enfasi e desiderio, le mani divennero ansiose di un contatto più profondo, che significava non volersi più lasciare. Quando si fermarono entrambi, guardandosi negli occhi, capirono che niente sarebbe stato più come prima, e nonostante quella certezza non provarono né paura, né tanto meno rimpianto o pentimento.

"Posso considerarla una risposta questa? Significa che tornerai a casa con me capitano?" gli chiese baciandolo nuovamente come a voler suggellare quella domanda. Levi accolse nuovamente le sue labbra come se dal respiro di lei dipendesse la sua stessa sopravvivenza.

"Direi che una risposta più eloquente di così sarebbe difficile da ottenere."

"Lo penso anch'io, ma preferisco esserne certa. Potrebbe anche essere un bacio d'addio questo?" rispose con aria malinconica. Allora Levi afferrò un lembo della sua camicia attirandola nuovamente più vicina a sé. Sentì il respiro di lei farsi più veloce e percepì il battito del suo cuore in modo così distinto da turbarlo nel profondo.

Gli occhi di Mikasa esigevano una risposta concreta che lui non tardò a darle. "Non potrei mai dirti addio, né permettere che tu sparisca di nuovo dalla mia vita. Perché... anch'io ho bisogno di te." Mikasa sorrise, non sperava di sentire quelle parole pronunciate da lui, eppure in qualche modo sapeva che Levi non l'avrebbe più lasciata andare.

"Quindi... adesso che si fa capitano Levi?"

Lui le sfiorò i capelli, accarezzando dolcemente la piccola cicatrice sul suo zigomo.

"Adesso torniamo a casa Mikasa, provando a ricominciare, insieme..."

C'era qualcosa di unico e speciale in quella parola, ricominciare. Forse era l'entusiasmo o l'adrenalina che le metteva addosso quella nuova sfida, o semplicemente era quel piccolo dettaglio racchiuso nel termine, insieme, a fare la differenza.

Per la prima volta Paradis non rappresentava più solo un passato difficile da dimenticare ma un futuro da costruire. Ci sarebbero stati dei rischi, forse si sarebbero feriti nuovamente o magari avrebbero conosciuto la vera felicità. Nessuno di loro aveva certezze in quel momento. Era una sfida... con il destino e con loro stessi, e l'unica cosa certa che sapevano era che a nessuno dei due piaceva perdere, né contro il nemico e nemmeno contro il destino.






Ho impiegato quindici capitoli per fargli scambiare un semplice bacio! Qualcuna potrebbe uccidermi per questa agonia, ma io spero che la maggioranza apprezzi. Il rapporto Mikasa/Levi l'ho sempre trattato con le dovute cautele a causa del vincolo di parentela, che seppur molto alla lontana, c'è e non può essere ignorato. Detto questo, mi premeva che in questa storia risaltasse soprattutto la crescita e il cambiamento emotivo ed emozionale dei protagonisti. Non amo i personaggi che non si evolvono, che non cambiano pur sbagliando o commettendo errori. Nella mia storia Mikasa e Levi hanno voglia di ricominciare, di sperare che per loro possa esserci un fututo diverso da quel passato che ormai si sono lasciati come zavorra dietro le spalle. E benchè io adori alla follia la ship EreMika, dopo la morte di Eren l'unico con il quale potrei vedere Mikasa è solo Levi. Spero di non avervi fatto storcere il naso con le mie parole, ma credo che in molti lo avessero già capito.
Adesso... ci sarà un epilogo, che chiarirà gli ultimi punti. Come avete letto Mikasa non ha ancora visionato il diario di Kenny, poichè ha preferito chiarire i suoi sentimenti e scoprire le intenzioni di Levi, ma lo leggerà, e ne parleranno. Quindi nell'epilogo si sapranno le ultime cose.
Rimando i saluti alla prossima settimana perchè già mi sono dilungata troppo, lasciate però che ancora una volta io vi dica un grandissimo GRAZIE!

 

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Capitolo 16
*** Epilogo: Al di là del mare ci aspetta il futuro ***


                                                                  https://i.postimg.cc/L6vMTFtS/Levi-Mikasa.jpg



Mitras, anno 829

Chi l'avrebbe mai detto che sarei entrato a far parte della Gendarmeria Centrale. Un bel salto di qualità non c'è che dire.

Non che avessi molta scelta in effetti. Con la reputazione che mi ero fatto dubito che mi avrebbero lasciato in pace, almeno così avrò le spalle coperte. Dovrei ringraziarlo per questo, in un modo o nell'altro. 
Eppure... credo che per me lui rimarrà sempre un mistero. Lo osservo tutti i giorni, gli sono a stretto contatto ma non riesco mai a cogliere appieno il filo dei suoi pensieri. Che sia davvero questo il fardello che porta addosso un re, il re delle mura? Un'eredità che Uri si è accollato di sua volontà. Ma chissà se farebbe la stessa cosa potendo tornare indietro.

Se non altro in questi mesi sono venuto a conoscenza del motivo per cui la nostra stirpe è stata da sempre perseguitata. Credo che appartenere ad una delle famiglie più importanti ed influenti dell'isola sia stata una condanna. La nostra vicinanza è fedeltà alla famiglia reale ci ha portato ad essere usati come 'cavie'. 
Il vecchio sovrano voleva assicurarsi la nostra perpetua lealtà trasformandoci in giganti, usandoci come armi e deterrente per eventuali nemici. Ma qualcosa è andato storto... il siero per la trasformazione non si è legato al nostro sangue, mutandoci però in qualcosa di diverso. Siamo rimasti esseri umani, incapaci di trasformarci ma con poteri quasi pari ad un Titano. A quel punto non poteva neanche più modificare i nostri ricordi manipolandoci la mente come aveva fatto con tutti gli altri. Eravamo delle mine vaganti che spaevano troppo e non potevano essere controllate. Da lì è cominciata la persecuzione nei nostri confronti.

Da fedeli alleati eravamo diventati delle minacce viventi di quella verità che lui voleva a tutti i costi nascondere.

La nostra stirpe è sopravvissuta a stento, nascondendosi nei sobborghi, o sulle montagne, sfuggendo ad attentati e false accuse. Non so neppure io se ci sono ancora degli Ackerman in vita e che tipo di legame possa esserci tra noi. Menzionare il nostro cognome era troppo rischioso, Kuchel l'aveva capito, e credo che anche altri come lei siano giunti alla stessa conclusione. Ciò che eravamo stati un tempo non contava più, a quel punto eravamo reietti che andavano eliminati. 
Mia sorella Kuchel è stata una delle tante vittime di tutto questo, costretta a vivere nella Città Sotterranea e a prostituirsi. Dannazione! Il cognome Ackerman è stata solo una condanna. 
A volte ripenso a quel ragazzo... al suo sguardo, a quella forza e quella rabbia che teneva chiusa dentro. Credo si tenesse tutto stretto per non lasciarlo fuggire via, perché fosse una motivazione per non arrendersi, per non lasciarsi andare. Non so se sia sopravvissuto... e sinceramente non so nemmeno se sopravvivere in questo mondo valga davvero la pena. Molti credono che qui in superficie ci sia la luce, la libertà.

Ma cosa penserebbero se sapessero che c'è più oscurità qui sopra che lì sotto?

Proprio una bella fregatura del cazzo.

 

Era come ipnotizzata dal movimento ondulatorio delle onde, quella distesa d'acqua la intimoriva e affascinava allo stesso tempo, impedendole di distogliere lo sguardo. Si strinse nelle spalle rabbrividendo appena. Erano partiti molto presto quella mattina, e la brezza del mare aveva ancora quel gelido tocco che sembra volerti entrare nelle ossa. Richiuse ciò che aveva tra le mani giusto un attimo prima che un abbraccio familiare le cingesse dolcemente i fianchi.

"Dovresti rientrare di sotto, fa piuttosto fresco qui potresti prenderti un malanno." lei sorrise senza voltarsi stringendo a sua volta le mani che la tenevano abbracciata.

"Credo che non ci farò mai l'abitudine..."

"A cosa scusa?"

"A questa tua premura nei miei confronti."

"Quindi preferiresti che me ne infischiassi?" chiese leggermente offeso.

"Certo che no, ma devi ammettere anche tu che è strana." Mikasa non smise di sorridere mentre gli parlava, al contrario di lui e della sua espressione imperturbabile. Alla fine preferì glissare sul quel discorso, vederla serena per lui era più che sufficiente.

"Lasciamo perdere... piuttosto sei ancora impegnata nella lettura del diario di Kenny?"

"Direi che le parti che potevano interessarmi le ho quasi lette tutte. Il resto sono pensieri personali che preferisco rimangano tali. Mi sento troppo invadente nel leggerli, anche se lui non c'è più."

"Conoscevo abbastanza bene Kenny da dubitare fortemente che ci possano essere scritti pensieri di una tale profondità lì dentro."

"Invece ti sorprenderesti nello scoprire che anche persone come Kenny Ackerman aspiravano a trovare qualcuno che li comprendesse davvero."

"E tu invece? Hai compreso quello che ha scritto lì dentro?"

Mikasa si voltò e finalmente gli fu di fronte, Levi puntò lo sguardo nei suoi occhi, come faceva sempre quando voleva capire qualcosa prima ancora che lei parlasse. Stavolta però la sua attenzione fu attirata da altro. 
Non disse nulla, ma Mikasa colse subito il lieve cambiamento della sua espressione.

"Sei sorpreso?"

Levi sembrò ridestarsi all'improvviso. "Cosa? Scusami stavo..."

"Stavi osservando che non indosso la mia consueta sciarpa e la cosa ti ha stupito, non è così?"

Fu lei stavolta a prenderlo in contropiede lasciandolo senza parole. Negarlo sarebbe stata fatica sprecata. "Sono talmente abituato a vedertela al collo che la sua assenza mi è saltata subito all'occhio."

"L'ho riposta in valigia, insieme a tutti i dubbi, alle domande e ai rimpianti che appartenevano al mio passato. Adesso è giusto così." rispose, senza distogliere lo sguardo da lui, quasi volesse sottolineare la risolutezza e la convinzione di quella decisione.

 

 

Mitras, anno 830


Ci sono giorni in cui Uri è particolarmente loquace. Cazzo quanto parla! A volte penso che lo faccia apposta, sa che dopo un po' faccio fatica ad ascoltarlo ma lui continua imperterrito.
Mi chiede spesso scusa... per tutto ciò che è stato fatto alla nostra famiglia. Credo si senta terribilmente in colpa anche se le colpe non sono le sue.

Mi ha detto che le conseguenze di quelle sperimentazioni sui membri fondatori degli Ackerman hanno portato un'anomala conseguenza. Pare che in particolari circostanze di pericolo o di forte stress emotivo il soggetto cominci a soffrire di frequenti dolori alla testa sviluppando un forte attaccamento nei confronti della persona a lui più vicina. D'altronde... noi siamo sempre stati il braccio armato della corona, quindi credo che in modo latente quell'istinto di difendere e proteggere qualcuno sia sempre rimasto, in attesa di risvegliarsi.

Quindi dovrei pensare che ciò che sento per Uri sia una sorta di asservimento? Di dipendenza dovuta ad un vecchio retaggio legato al clan Ackerman?

No... sono tutte cazzate, non può ridursi tutto a questo. Io non sono una marionetta, non mi lascio raggirare in modo così stupido. Eppure a volte sento che il nostro incontro non è avvenuto per puro caso. Come se ci stessimo cercando entrambi da tempo. Lui mi ha cambiato, non so come diavolo ci sia riuscito, ma lo ha fatto. E semmai il fondatore abbia avuto un potere così grande, senza dubbio dev'essere questo. Quello di convertire anche un pezzo di merda come me.

 


"Credo che tu sappia cos'è meglio per te." rispose lui, preferendo non approfondire quell'argomento. Non si sentiva in diritto di giudicare quanto Eren avesse significato per lei. Forse perché inconsciamente temeva il confronto con il suo ricordo, che sapeva avrebbe sempre fatto parte di lei.

"Diciamo che so cosa è meglio adesso. In fondo avevi ragione, non mi serve conoscere la verità assoluta sulle nostre origini. Quello che Kenny ha scritto mi può bastare. Gli Ackerman non sono dei traditori, anzi... si sono sacrificati perché credevano nella famiglia reale. Poi le cose hanno preso una piega diversa, ma nella vita accade sempre qualcosa d'imprevisto, e spesso noi non possiamo farci niente."

Avvertì istintivamente un profondo cambiamento in lei. Adesso aveva quella maturità di giudizio che le permetteva di accettare le cose così com'erano. Pensò che l'incidente avvenuto a Londra avesse contribuito ad accrescere quelle già radicate consapevolezze. La vita andava vissuta e affrontata giorno per giorno guardando avanti e imparando dal passato. Ma quel passato, adesso, andava necessariamente lasciato alle proprie spalle.

"Allora alla fine Kenny qualcosa di buono lo ha fatto lasciando quegli appunti?"

"Direi di sì, ma tu questo lo sapevi già perché li hai letti prima di me. E sai che in fondo lui teneva molto sia a te che a tua madre."

Levi socchiuse l'occhio sinistro guardando altrove. Sentire nominare sua madre gli provocava sempre un misto di rabbia e nostalgia, come se tutto ciò che aveva vissuto in quel periodo tornasse prepotentemente a galla.

"Tse... se ci teneva così tanto direi che aveva proprio uno strano modo per dimostrarlo." disse, con non poca amarezza nella voce.

"Non siamo tutti uguali Levi, siamo frutto delle esperienze vissute. Anche per Kenny è stato così."

"Lui era tante cose... e se l'è portate tutte nella tomba per sua scelta."

Mikasa si avvicinò di più a lui stringendogli le mani. "Sicuramente è stato una persona che ha sempre vissuto oltre il limite consentito, ma sai una cosa, non penso che lui si sentisse schiavo di qualcuno o qualcosa. E penso che neanche tu ti sentissi così quando hai seguito Erwin. E non mi ci sono mai sentita neppure io quando ho difeso ad oltranza Eren. Noi abbiamo visto qualcosa in quelle persone, qualcosa di grande e straordinario. Abbiamo visto la speranza e la voglia di rivalsa da un mondo opprimente e meschino. Abbiamo vissuto per loro e con loro, condividendo gli stessi sogni e le stesse speranze. Noi Ackerman non siamo schiavi, siamo sognatori disillusi da ciò che speravamo. Ma nonostante tutto non molleremo mai perchè mollare non è mai stata una strada percorribile per noi, giusto capitano?"

"Sì, giusto, mi pare ovvio.” si limitò a confermare sorridendo appena.

Era la prima volta che lei riusciva a spronarlo motivandolo con le sue parole. In passato era toccato a lui il compito di fare in modo che lei non crollasse. Che credesse nelle proprie capacità e imparasse a fidarsi degli altri.

Alla fine... poteva ritenersi soddisfatto, guardandola ne ebbe la certezza. Tre anni prima lui aveva gettato le basi per farle acquisire quella sicurezza che avrebbe determinato la sua sopravvivenza. A distanza di tempo lei le aveva recepite, consolidate e fatte proprie. Aveva imparato a convivere con il suo dolore e le scelte fatte, aveva compreso che nonostante tutto poteva e doveva andare avanti. Adesso che sapeva parte di quella verità che aveva così ostinatamente inseguito poteva definitivamente chiudere quel capitolo della sua vita fatto di dubbi e incertezze. E lui poteva finalmente permettersi l'ardire di guardarla con occhi diversi. Non più da superiore a sottoposta, ma da uomo a donna. In quell'istante il suo animo sembrò liberarsi da un pesante fardello.

"Levi..."  lo chiamò, distogliendolo dai suoi pensieri. Lui tese appena lo sguardo aspettando che lei continuasse "... grazie."

Si sorprese di quella breve e inaspettata affermazione. Attese qualche istante cercando di capire le implicazioni nascoste in quella semplice parola. "Guarda che io non ho fatto niente, se non cercare di darti le risposte per le quali sei venuta fin qui."

"Non è per questo che ti ringrazio..." rispose repentina sollevando il diario di Kenny. "… ti ringrazio per avermi salvata, da me stessa e dall'oscurità che mi portavo dentro. Da bambina Eren mi ha insegnato che dovevo combattere se volevo sopravvivere. Tu invece... mi hai insegnato a vivere senza nascondermi dietro l'ombra di nessuno, e te ne sarò per sempre grata."

In quel momento ebbe la certezza che quella ragazza non avrebbe mai finito di stupirlo. "Non mi devi niente Mikasa, sapevo che ce l'avresti fatta. Solo che avevi la testa troppo dura per capirlo, ecco perché ci sono andato giù pesante."

Era vero, non poteva negarlo, lui più di chiunque altro aveva gestito le sue intemperanze, si era accollato parte della sua sofferenza per impedirle di soccombere. Mikasa aveva rappresentato una sfida, e la donna risoluta che adesso aveva di fronte era il risultato di quella sfida che finalmente entrambi avevano vinto.

“Allora grazie... per non esserti mai arreso con me.”

 

 

Mitras, anno 842

 

Lo sguardo di Uri è cambiato, lo percepisco chiaramente. Non serve che lui me ne dia conferma. Quando trascorri così tanto tempo al fianco di una persona impari a capire tante cose, tanti piccoli segnali. Quel potere che si è accollato addosso tanti anni fa lo sta lentamente logorando, credo che in parte sia il prezzo da pagare per aver in qualche modo manipolato il destino di tante persone.
Eppure... non una sola volta l'ho sentito lamentarsi o rimpiangere la sua scelta. L'unico suo rammarico è quello di non aver potuto fare di più per cambiare le cose. Che idiota! Io lo ascolto parlare e penso che al suo posto avrei fatto tanti di quei casini da rivoltare l'intero mondo dalle fondamenta, ma d'altronde... ho sempre saputo che tutto ciò che potevo fare era solo seguirlo e stargli accanto.

Quando ti rendi conto che c'è una persona che vede il disegno delle cose più grande di te allora non ti resta altro che rimanere a guardare lasciandoti guidare dagli eventi.

Sarà così anche quando non ci sarai più Uri? Tutto ciò che mi rimarrà da fare è cercarti negli occhi di un'altra persona, una nuova Monarca delle mura. Mi sembra tutto così assurdo. Alla fine è davvero questo quello che desideri? Che tutto si ripeta in un ciclo infinito? 
Forse persino adesso che te ne stai andando non saresti in grado di dirmi cosa pensi veramente. Ma la vera domanda è un'altra... stavolta prenderò parte a questa assurda farsa o sarò un semplice spettatore? Già... la vita alla fine deve sempre fotterti, in un modo o nell'altro.

 

“Poco prima di morire Kenny mi disse una cosa, che tutte le persone che aveva incontrato nella sua vita erano state schiave di qualcosa per poter sopravvivere a questo mondo. Credo che volesse intendere che avevano bisogno di una ragione, una motivazione per andare avanti.”
Aveva scordato il discorso che Kenny gli fece quel giorno, o per lo meno così credeva. Parlare di lui e di tutto ciò che era accaduto loro in quegli anni glielo aveva riportato alla mente come se fosse stato sempre lì, quasi in attesa.

“E tu pensi che lui avesse ragione?”

“Sinceramente non lo so. Però ci sono state volte, in passato, in cui ho creduto che se non avessi seguito Erwin probabilmente sarei finito ammazzato, gettato in qualche angolo di strada come immondizia. Non che mi sentissi come una sorta di schiavo, sia chiaro, ma in qualche modo dipendevo da lui, questo penso che in parte fosse vero.” rispose, con estrema sincerità.

“Sai... c'è stato un tempo in cui la parola schiava mi suscitava un'incredibile rabbia, un malessere fisico per il quale avrei davvero potuto ferire fisicamente qualcuno. Ma adesso mi accorgo che in tutto questo tempo ho interpretato solo parte del significato di questa parola. Le persone alle quali ci siamo legate Levi non ci hanno rese schiave, ma ci hanno insegnato a vivere e a lottare per ciò che crediamo sia giusto. Sono state la nostra ancora di salvezza e noi dobbiamo essergli grate, perchè se siamo ancora qui è anche per merito loro.”
Sentendo quelle parole si convinse ancora di più che lei avesse messo definitavamente la parola fine a tutti i dubbi che riguardavano il suo passato.

“Beh... devo ammettere che detto in questi termini suona decisamente meglio.”

“Lo penso anch'io.”

“Adesso però dovremmo rientrare di sotto. O quei tre si chiederanno che fine abbiamo fatto.” Si voltò per incamminarsi ma la stretta di lei sulla mano lo bloccò all'improvviso.

“Levi aspetta...”

“Cosa c'è?”

“Sei ancora sicuro della decisione che hai preso. Sei certo di voler tornare con me sull'isola?” chiese, bisognosa ancora di un'ultima impellente conferma.

“Diciamo... che non mi hai dato molta scelta dopo i casini che hai fatto a Londra, quindi posso affermare...”

“Puoi mettere da parte il tui atroce sarcasmo per una volta e parlare sul serio per favore?”

Levi si divincolò dalla sua stretta avvicinandosi di più a lei. "Adesso guardami, guardami bene, e avrai la tua risposta. Se pensi di avere ancora dei dubbi allora vuol dire che non non hai capito niente di me. Ma non credo tu sia tanto sciocca... Mikasa Ackerman.” il blu intenso del suo sguardo vibrò appena riflettendosi in quello grigio di lei.

“Non lo sono infatti. A questo punto allora non mi serve sapere altro...” si voltò, sporgendosi appena dalla prua della nave e lasciò che il vento adagiasse sull'acqua le pagine di quel diario. Le onde sembrarono cullarle dolcemente per qualche istante, prima di inghiottirle in quelle profondità che non conoscevano tempo.

Si voltò, e lo sguardo di approvazione che Levi le rivolse fu la conferma di aver fatto la cosa giusta. Le risposte che cercava adesso erano lì accanto a lei, racchiuse in quella mano che stringeva la sua e in quello sguardo nel quale avrebbe sempre ritrovato parte di se stesssa.

Per la prima volta sentì di potersi affidare completamente ad un'altra persona, e che insieme... avrebbero guardato nella stessa direzione, verso il futuro.


                                                                                                               
Fine





Cosa dovrei dire adesso? Non saprei, non sono brava con i saluti. Voglio solo dirvi che se un anno fa qualcuno mi avesse detto che avrei scritto sul fandom di Shingeki no Kyojin gli avrei dato del folle. Eppure eccomi qua, con addirittura una long su due personaggi che già solo per il fatto di averli messi insieme potrei essere considerata una folle a mia volta. Però le sfide e gli azzardi mi piacciono, e in fondo... credo che nell'insieme sia stato un buon lavoro. Voi che dite?
Io intanto vi ringrazio di cuore, per l'affetto, le belle parole, l'apprezzamento, le recensioni e il supporto. Spero che questo epilogo vi sia piaciuto e che il distacco tra ciò che ha lasciato scritto Kenny e il discorso tra Levi e Mikasa non risulti confuso o poco chiaro. L'immagine che introduce il capitolo l'ho trovata particolarmente adatta a questo finale. Gli sguardi di entrambi rivolti verso il tramonto e verso ciò che il futuro ha in serbo per loro. Mi piacciono davvero tanto insieme, credo che siano gli unici a potersi realmente capire e comprendere pienamente. Detto ciò vi saluto, vi auguro il meglio e spero di ritrovarvi di nuovo dalle mie parti. Perchè come diceva qualcuno molto più in gamba di me: "Non finisce qui..."

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