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Capitolo 2:
L’arrivo al ballo
- Parte 1 -
Sono stato uno sciocco.
A causa di una futile infatuazione ho portato alla rovina non solo
il mio stesso re, ma anche il regno che servivo con assoluta dedizione. E per
cosa poi? Una donna. Anzi, la donna.
La donna della mia sventura, delle mie disgrazie e del mio cuore, ahimè, ma
questa, ormai, è un'altra storia...
Sono sempre stato un leale e fedele cavaliere, si può dire che
fossi il favorito del re il quale non solo era il mio signore, ma era anche il
mio migliore amico. Ma che dico? Era di più di un amico, quasi come se fosse un
fratello. Avevo piena fiducia in lui e lui aveva piena fiducia in me. Ed io
come l'ho ripagato? Innamorandomi della sua signora. Ed alleandomi con il suo
più acerrimo nemico, decretando la caduta del Regno a cui avevo giurato
assoluta fedeltà.
Sono stato davvero uno sciocco.
E' il mio più grande rimpianto. E' stato l'errore più grande che abbia commesso in vita, per questo, ora che
posso, vorrei porvi rimedio.
Devo fare ammenda per ciò che ho commesso. Voglio rimediare, sistemare tutto e ricucire tutti i rapporti che
avevo con il mio signore.
Sono deciso nella mia scelta e sono intenzionato a farlo. E lo
farò, fosse anche l'ultima cosa che faccio.
**
Lancer guardò con attenzione
il suo Master ripiegare la lettera incantata, con estrema cura.
I suoi brillanti occhi verdi
si focalizzarono prima sull’oggetto da poco recapitatogli e poi sul corpo del
ragazzo seduto davanti a lei, dall’altra parte del tavolo, in attesa di
eventuali ordini.
“Allora? Cosa dice la
lettera?” lo incalzò lei, trepidante ed impaziente, visto che l’attesa le aveva
recato addosso un’insolita e fastidiosissima ansia a lei estranea.
Regan Carsen levò lo sguardo
dalle sue mani per focalizzarsi su quello della ragazza. Abbozzò un sorriso e,
con il suo solito sorriso sghembo, si affrettò a commentare:
“Lancer”
“Mh?”
“Inizia a prepararti, andiamo
a fare shopping!”
Lancer sbatté le palpebre più
volte prima che le parole del suo Master riuscissero a prendere forma nel suo
cervello, dopodiché, con un balzo di pura estasi, si alzò dalla sedia ed iniziò
ad urlare dalla felicità.
“Oddio Master, dici davvero?
Non sto sognando, vero?”
Regan rise alla vivacità del
suo Servant e si affrettò a rispondere che no, non stava affatto sognando, e
che le avrebbe
comprato tutto ciò di cui aveva bisogno quello stesso pomeriggio.
“Per tutti gli dei
dell’Olimpo e non, se questo è un sogno vi prego non svegliatemi!”
Lancer era a dir poco fuori
di sé dalla gioia. Poi si bloccò di botto, girandosi verso il suo Master e
ponendogli la domanda che avrebbe dovuto fargli fin dal principio, invece che
lasciarsi andare al suo folle amore per le compere.
“Comunque…” disse schiarendosi
la voce, giusto per “rientrare” nei panni della Lancer seriosa, ombrosa ed
ossessionata dal Graal che non era lei “A cosa devo l’onore di tutto
ciò?”
Regan si costrinse a
trattenere una sonora risata davanti al cambio d’umore repentino della ragazza,
prima di affermare:
“Pare che ci attenda un
ballo”.
“Un ballo?!” gli occhi di
Lancer si illuminarono ancora di più e, questa volta, proprio non riuscì a
trattenersi dall’urlare che la dea bendata Tiche fosse
dalla sua parte quel giorno, e non vedeva l’ora di
indossare quanti più abiti possibili.
Regan continuò a ridere a più
non posso di fronte quella scena, ringraziando, mentalmente, il caso che le gli
aveva concesso una Servant così spensierata e positiva. Esattamente tutto ciò
che Regan faticava ad essere, specie dopo l’assassinio di suo padre.
Da quel momento aveva deciso
di non affezionarsi più a nessuno, un po’ perché era sempre più ossessionato
dal voler conoscere l’identità dell’assassino, ed un po’ perché non aveva
voglia di stare appresso ad
eventuali seccature che un’amicizia poteva comportare.
Alle fine si poteva dire che
lui non aveva amici; aveva per lo più rapporti civili e di buona educazione con
il prossimo, ma gli anni che aveva frequentato ad Hogwarts non erano mai stati
contornati da burrobirre in comitiva o gruppi di studio con altri ragazzi;
e gli era sempre andato bene così: eppure, in quel momento, mentre vedeva la sua Lancer
volteggiare per la stanza alla ricerca del proprio cappotto per uscire il prima
possibile per le compere, non poteva non trattenersi dal sorridere nell’ammirarla. Forse, avrebbe potuto bearsi di una
visione del genere già da tempo se si fosse
sforzato di approfondire i rapporti con gli altri.
Ma non si poteva vivere di “sé” e di “ma”, e questo lui l’aveva capito molto bene nella
sua vita. Bisognava agire. Per questo aveva deciso di partecipare alla Guerra
del Santo Graal. D’altronde suo padre era più di 17 anni che attendeva che il
suo esecutore venisse imprigionato. E lui era deciso a mettere la parola
“fine” sulla vita di quell’incosciente che aveva osato rendere orfano un Carsen
imparentato con i Black.
“Allora? Andiamo Master?” la voce spensierata di Lancer lo riportò
alla realtà, mentre lei lo attendeva di fronte la porta di casa con indosso il
suo lungo cappotto nero che faceva risaltare i suoi lunghi capelli biondo
cenere.
Regan fece un cenno
affermativo col capo e si affrettò a raggiungere anche lui il suo cappotto.
Dopodiché si posizionò vicino a Lancer e le porse il braccio con fare galante.
“Siete pronta ad una folle
giornata di shopping, oh mia Regina?”
“Ma certo che sì! Che domande
sono” rispose lei, prendendolo sottobraccio e continuando a ridere.
“Non
andremo a quel ballo fino a che non avrò trovato l’abito dei miei sogni!”
continuò, poi, la ragazza, affrettandosi ad aggiungere: “Pura precauzione la
mia! insomma, non vorremmo mica sfigurare!”
“Non sia mai” Regan sorrise
sempre di più; aprì la porta di casa e la richiuse appresso dopo averla varcata
a fianco della sua
Regina.
**
Si dice che Caster sia, fra
tutti i Servant, il più potente ed il più pericoloso in fatto di incantesimi,
intelligenza e magia, tanto più che, a volte, il suo stesso Master non è in
grado di sopportare tutto l’afflusso di Mana che comporta invocarlo.
Se si è fortunati si riesce a
gestire senza problemi un Servant di quella classe ed il più delle volte accade
così, ma ci sono casi in cui, purtroppo, il Master che lo evoca non è in grado
di sopportare un simile stress; quando ciò accade il suddetto sciagurato può
intercorrere ad arresti cardiaci, pensieri deliranti, follia, fino alla perdita
del proprio io ed alla consapevolezza di sé.
Evocare un Caster significa
avere a che fare con un potentissimo ed abilissimo essere, maschio o femmina
che sia non fa differenza; eppure significa anche, in taluni casi, firmare una
speciale condanna a morte; essere colui o colei che, anche in poco tempo,
potrebbe conquistare il Santo Graal grazie alle abilità del proprio Servant.
Diventare un nuovo “eroe” del mondo moderno, avere ricchezze, fama e privilegi
che la vincita del Graal comporta, ma significa anche giocare con la propria
vita e riporla tutta nelle mani di un singolo, imprevedibile, sconosciuto la
cui stessa esistenza in questo mondo limiterebbe di gran lunga quella del
proprio Master.
Essere di parecchi passi
davanti agli altri concorrenti, ma in bilico continuo fra la vita… e la morte.
Teddy Shafiq osservò il via
vai di persone davanti a sé e la folla di gente che si accalcava tutta dinnanzi
agli scintillanti cancelli di Buckingham Palace, pronte a vedere il cambio
della guardia non appena sarebbe scattata l’ora propizia.
I suoi occhi scuri vagarono
dalla ragazza dai lunghi capelli arancioni alla sua destra, a quelli bizzarri
del ragazzino alla sua sinistra, domandandosi, sorridendo, chi fra i due fosse
più elettrizzato in quel momento.
“Non ho mai assistito allo scambio
della guardia di persona! Sono a dir poco emozionata!” affermò lei.
“Anche io è la prima volta
che assisto ad uno spettacolo del genere. Devo ammettere che questo mondo
moderno non fa che stupirmi di giorno in giorno!” continuò il ragazzino emozionato
a tal punto da continuare a battere sul proprio corpo il ritmo dello scandire
dell’orologio, che non faceva che avvisare l’arrivo dell’ora tanto agognata da
tutti.
Anche Velvet si unì a quello
strano rituale, poco dopo, forse perché anche lei era talmente elettrizzata da
non riuscire a stare ferma, come il suo piccolo Caster. E quando l’orologio
scandì l’ultimo minuto, tutti i presenti restarono col fiato sospeso per tutto
il tempo che gli ci volle alla guardia di cambiarsi; come se il resto del mondo
si fosse bloccato ed arrestato in quel momento, per poi ripartire poco dopo non
appena il tutto fu terminato.
Caster e Velvet ripresero
fiato non appena la folla di poco prima iniziò a svanire, lasciando il solito
agitato, ma moderato, trambusto che circondava le mura del Palazzo Reale.
“E’ stato davvero
emozionante!” esordì Caster, carico di energia e pieno di vita, seguito a ruota
dalla sua master, Velvet, la quale allungò il braccio con su inciso la sua metà
degli incantesimi di comando, per afferrare la mano del giovane Caster.
Teddy si soffermò un minuto
più di loro, prima di raggiungerli alla bancarella di dolciumi che si trovava
dall’altra parte della strada, iniziando a guardarsi anche lui il simbolo che
gli era apparso sul dorso.
Quando aveva evocato Caster,
qualche settimana prima, nella sua esagerata villa nel mezzo del bosco, tutto
aveva pensato tranne che potesse essere evocato proprio quel Servant. Cioè, si
era preparato per un Lancer, un Rider… forse anche un Saber, nelle sue
aspettative più rosee, ma qualsiasi Servant si sarebbe aspettato fuorché quello
che gli era capitato.
Ricordava ancora quel giorno,
esattamente come ricordava la sensazione di puro terrore quando, nel suo io più
recondito, il piccolo – di dimensioni, ma non di capacità – Servant gli aveva
detto che il suo Mana non sarebbe stato sufficiente e garantirgli la
sopravvivenza, nel caso l’avesse voluto al suo fianco in quella battaglia del
Santo Graal. Fortuna che in quel momento Velvet si trovasse al suo fianco.
Alla fine Caster aveva
trovato il modo di legare la sua “anima” con quella di entrambi, ritrovandosi
così con non uno, ma ben due Master. Uno fra i quali era un homunculus creato
dalla sua stessa famiglia.
Gli Shafiq erano sempre stati
noti per le proprie “creazioni” – così preferivano chiamare gli homunculus che
riuscivano a creare da sé – il che gli aveva conferito una certa fama, non
tanto di abili duellanti, ma di prodigiosi maghi in grado di creare la vita dal
nulla.
Non erano molto potenti di
per sé, ma nella loro arte erano maestri indiscussi. Bastava vedere come, al
posto degli elfi domestici, erano soliti creare famiglie su famiglie di
homunculus per servirli, e Velvet non era da meno.
Forse specializzarsi
nell’antica arte dell’Alchimia della sua famiglia, non era stata una brutta
decisione dopotutto.
“Teddy! Che fai lì impalato,
andiamo dai!”
“Sì, Master, andiamo o faremo
tardi per stasera!”
Le voci di Caster e Velvet lo
riportarono alla realtà. Levò lo sguardo dal suo tatuaggio da Master, presente
sul dorso della mano sinistra, e a forma di mezzo coniglietto, prima di
voltarsi verso di loro, sorridergli a trentadue denti ed affrettarsi a
raggiungerli.
Nell’ombra, una figura esile
e sottile osservava in lontananza, silenziosa e solitaria, senza che nulla
sfuggisse alle sue iridi verde chiaro.
“E’ così… Caster ha, non uno,
ma ben due master… interessante… sono
davvero curiosa di sapere di quale
Spirito Eroico si tratti se ha addirittura bisogno del doppio del Mana
necessario rispetto ad un normalissimo Servant…”
Assassin si strinse nel suo
cappotto di pelle e si avviò nella direzione opposta della “allegra famiglia”,
prima di mettere a punto il suo piano per la serata.
**
Ryanne aprì lentamente gli
occhi mentre la luce del sole irradiava, poco a poco, il perimetro della sua
stanza.
Aveva fatto un sogno alquanto
bizzarro ed ancora faticava a capire cosa fosse esattamente successo.
Era un uomo, un antico
guerriero, discendente diretto di Ares, il dio della guerra. Designato a
regnare su un’enorme città da lui fondata. Ed aveva un fratello, gemello per la
precisione. Un fratello che aveva ucciso pur di coronare il suo sogno di
grandezza.
Ryanne si guardò i palmi
delle mani, trovandoli candidi e senza alcuna traccia di sangue. Nel sogno,
invece, non si poteva dire lo stesso…
“Buongiorno master”
La voce del suo servitore la
raggiunse assieme ad un’inaspettabile odorino di uova strapazzate e bacon.
La mia colazione preferita, che bellezza.
Berserker le rivolse un
abbozzo di sorriso prima di sedersi accanto a lei e porgerle la colazione che
le aveva preparato.
“Grazie, ma non dovevi,
davvero”
“Dovevo, invece. E’ il minimo
che possa fare per tenere in forza il mio Master”
Ryanne annuì con la testa,
sorridendo, mentre si affrettava a spazzolare tutto il piatto come se non
mangiasse da settimane. Di punto in bianco però la scena dell’uccisione di quel
ragazzo le si palesò nella mente, costringendola a fermarsi.
Berserker la guardò
perplesso.
“Tutto bene, master?”
Ryanne ci pensò su per
qualche secondo ed alla fine, dopo aver sospirato pesantemente, esclamò: “E’
che… ho fatto un sogno assurdo. Ero un uomo, un uomo della tua stazza ed avevo
un fratello identico a me che amavo ed odiavo allo stesso tempo…”
Berserker si irrigidì non
appena captò quello che era successo alla sua master.
La ragazza continuò: “E nel
sogno… beh, ecco… io amavo davvero mio fratello eppure… in uno scatto d’ira,
io… io…” incapace di proseguire oltre, ricordando nella mente il momento in cui
aveva ucciso quello che era suo fratello nel sogno, si bloccò, lasciando la
frase sospesa e spezzata a metà.
Berserker chiuse gli occhi un
attimo, meditando sul da farsi, ed inspirò ed espirò forte più volte prima di
prendere parola. Poi alla fine parlò:
“Quello che hai visto non è
altro che un mio ricordo. Il peggiore fra tutti, se devo essere onesto. E
quello che non fa che tormentarmi costantemente, attanagliandomi lo stomaco con
sensi di colpa che mi logorano dentro”
Fissò il piatto che le aveva
cucinato, prima di focalizzarsi su di lei e guardarla dritta negli occhi. Il
suo silenzio era più assordante di mille parole.
“Ma questo già lo sapevi, non
è vero?”
“Sì, lo ammetto”
“Ed hai capito di quale
Spirito Eroico sei il master?”
“Ho delle ipotesi, ma non
sono nulla di pi- “
“Allora sarò io colui che ti
leverà ogni dubbio”
Berserker balzò giù dal
letto, si eresse in tutto il suo splendore indossando l’uniforme da Guerra che
era solito usare secoli or sono e, brandendo lo scudo con su riportata in
rilievo una lupa che allattava due bambini, sentenziò:
“Io sono Romolo, Fondatore
dell’unica vera città Eterna, chiamata Roma. Primo ed unico vero Re della
città… Ecco chi sono io. Il mio destino è stato segnato fin dalla nascita dalla
grandezza, ma anche da un destino crudele che mi ha sì assicurato la gloria e
la fama nei secoli, ma a quale prezzo…”
Indugiò un attimo sul liscio
pavimento della stanza della ragazza e poi proseguì:
“Ho ucciso mio fratello, il
mio stesso gemello per la precisione. E questo è un atto che non potrò mai
perdonarmi. E’ per questo che ho deciso di partecipare alla Guerra. Voglio
cambiare la storia, voglio far sì che la morte di Remo non accada mai,
specialmente per mia mano. E te lo prometto master, non cadrò più vittima della
follia e dell’ira cieca. Lo giuro sulla mia vita e sul mio onore. Quindi, per
questo motivo ti chiedo” allungò la mano verso Ryanne e continuò a guardarla
dritta negli occhi: “Sarai ancora la mia master e mi porterai alla vittoria con
te, oppure desisterai dalla guerra? Se la tua risposta è sì, ti prego, afferra
la mia mano e preparati a combattere questa guerra con me, ma se la tua
risposta è un no, allora dimmelo ed anche il mio animo si placherà da questa
voglia di rivalse che mi infiamma da capo a piedi”
Ryanne guardò Romolo con gli
occhi sbarrati.
Aveva il sospetto che si
trattasse di quello Spirito Eroico, ma non si sarebbe mai aspettata che si
esponesse in quella maniera fin da subito. Come non si era aspettata un simile
atteggiamento, così fiero e battagliero, dal suo servitore che tutto doveva
avere fuorché raziocinio come aveva appena dimostrato il suo Berserker.
Era evidente che anche se
rientrava in quella classe, Romolo non era riuscito a cadere vittima a pieno
dell’ira e della follia, ma manteneva ancora una certa lucidità mentale… e poi…
tutto quella voglia di rivalsa, tutta quella passione per raggiungere il proprio
obiettivo. Già, quale era invece il suo obiettivo?
Non voleva forse far rivivere
la propria sorella e far sì che tutto tornasse alla normalità? Da quando era
diventata così poco battagliera? No, non lo sarebbe diventata. Né in quel
momento, né mai.
Si alzò dal morbido
materasso, si posizionò di fronte a Romolo e, senza pensarci due volte, afferrò
la sua mano come se stesse afferrando l’ancora della salvezza.
Avrebbe riportato in vita
Margareth. E ci sarebbe riuscita.
**
“Odio i preti. La chiesa. E
tutto ciò che ne riguarda. Tsè, loro e la loro fottuta dottrina del cazzo. Che
andassero all’inferno quei maledetti bastardi!”
Leonard Visser roteò gli
occhi al cielo. Tipico del suo servitore, doveva aspettarselo che non avrebbe
preso bene il fatto che il Supervisore della guerra fosse proprio un prete. Non
dopo quello che aveva passato in vita, per lo meno.
Ripiegò la lettera fra le sue
mani e la ripose sul tavolo.
“Lo so, lo so. Ma non
possiamo fare altrimenti, Archer. Qui c’è scritto che siamo invitati fortemente a presenziare, pena:
la rimozione di ben due incantesimi
di comando”
“Ma stiamo scherzando? Un
fottuto prete può fare una cosa del genere?!”
“Quel fottuto prete di cui parli è Il Supervisore e, in quanto tale, di
solito, viene scelto anche lui dal Graal che gli dona poteri incommensurabili,
fuori da ogni portata. Quindi credo di sì: un prete può fare una cosa del
genere. Motivo per cui, meglio affrettarsi a rispondere che parteciperemo a
questo ballo”
“Io comunque mi oppongo!
Scommetto quello che ti pare che è tutta una farsa e che ci sta ben altro sotto
che uno stupido ballo!”
Leo vide il suo servitore
incrociare le braccia al petto in un palese segno di sdegno. In un primo
momento aveva pensato che tutto quell’astio che Archer dimostrava fosse dovuto
solo al fatto che provasse un’avversione verso la Chiesa, come tutte le vecchie
streghe bruciate sul rogo secoli or sono, ma dopo un’attenta analisi del caso
si ero ritrovato a domandarsi se l’ipotesi azzardata da Archer poco prima non
fosse più che ragionevole.
L’invito al ballo poteva, in
effetti, sembrare alquanto inconsueto in un contesto del genere, specie se si
trattava della Guerra del Santo Graal. Anche se non detto, era implicito che i
rispettivi master avrebbero dovuto utilizzare i propri servitori per porre fine
alla vita degli altri. Quindi la vera domanda era: perché farli uscire tutti
alla scoperta, esponendoli in quella maniera, invece di rimanere nell’ombra?
Curioso. Davvero curioso.
Iniziò a pulire la pistola di
suo padre, dopo averla smontata con cura come il suo vecchio gli aveva
insegnato anni fa e, mentre osservava minuziosamente ogni singolo pezzo della
sua arma da fuoco grazie alle lenti a contatto graduate violacee, che indossava, non poté fare a meno
di pensare che forse, in quell’occasione, avrebbe fatto meglio a chiedere a suo
padre ad insegnargli a sparare, piuttosto che smontare e pulire solamente la
sua pistola.
Un’altra arma, oltre al suo
servant, lo avrebbe sicuramente rasserenato nell’incontrare i suoi rivali.
“Non possiamo fare
altrimenti, Archer” continuò a parlare, senza levare gli occhi di dosso a
quell’ammasso metallico “dobbiamo partecipare al ballo. Abbiamo molto da
perdere in caso contrario e non possiamo permetterci di partire svantaggiati fin
da subito”
Archer levò gli occhi al
cielo e sbuffò sonoramente.
“E va bene, va bene, ho
capito!”
“Lieto di sapere che
condividi le mie scelte”
“Le tue scelte? Tsè, ma
sentitelo. Invece di darti delle arie ricorda chi è qui che è davvero
indispensabile all’altro! Senza di me non saresti nessuno, vedi di tenerlo bene
a mente, damerino da quattro soldi!”
Gli occhi di Archer si
scontrarono con quelli del suo master, ostili, esattamente come quelli del suo
avversario.
“Mi stai sfidando Archer?”
domandò Leonard, intenzionato a non cedere.
Archer allargò il sorriso in
un’espressione di pura malvagità, evocò il suo fidato, enorme Doberman nero e,
iniziando ad accarezzare la testa dell’animale, continuò a sfidare il suo
master con uno strano scintillio negli occhi grigio scuro. Leo continuò a
guardarlo con aria impassibile, prima di sorridere fra sé e sé.
Però, gli era capitato un
servant proprio niente male, dovette ammetterlo.
**
Pressi di
Kaikoura, Nuova Zelanda…
Inspirò nuovamente dalla sua
sigaretta prima di rilasciare il fumo dalle sue labbra, affinché si spargesse
per tutto il suo appartamento, se così poteva definirsi. Lasciò ricadere il
braccio lungo il fianco, mentre con l’altra mano si apprestava a leggere e
rileggere nuovamente la lettera che aveva appena ricevuto dal Supervisore, un
certo Padre Cain di cui non aveva mai sentito nominare.
Probabilmente si trattava
dell’ennesimo raccomandato della Chiesa che aveva ricevuto l’incarico di
supervisionare sulla Guerra di quell’epoca. Uno di poco valore, facilmente
ignorabile insomma, e che avrebbe volentieri ignorato se non fosse stato per
quelle condizioni così fastidiose che erano elencate all’interno di quel misero
pezzo di carta.
Seccante.
Un mozzicone della sua
sigaretta ricadde sopra il liscio tavolo di legno su cui era seduto,
ricordandogli di levare la cicca dalle proprie labbra per riporla nel
posacenere.
Eseguì il gesto in maniera
meccanica e poi continuò a contemplare la lettera, iniziando a tormentare i
vari orecchini che gli incorniciavano le orecchie.
In quel momento il suo
servitore fece il suo ingresso in scena:
“Master, tutto bene? Qualcosa
di turba?”
Rider gli si affiancò ed
iniziò a leggere anche lui la lettera di Padre Cain; le sopracciglia gli
schizzarono verso l’alto, a causa della sorpresa, mentre gli occhi azzurri si
allargavano sempre di più.
“Però… un bell’ultimatum, non
c’è che dire. O è così o è così… non approvo minimamente, ed il fatto che sia
un membro della Chiesa a porre determinate condizioni rende il tutto ancor più
sgradevole, se è possibile”
“Eppure non abbiamo altra
scelta”
“Così sembra, anche se mi
sento di consigliarti, master, che c’è sempre una scelta. Sta a noi decidere
cosa fare e cosa non fare”
“Già, ma in questo caso
potremmo dire che l’ago della bilancia pende inesorabilmente da un lato,
piuttosto che dall’altro”
Rider tacque per qualche
minuto, guardò il suo master con in mano l’ennesima sigaretta, con la coda
dell’occhio, prima di affermare: “Quindi è deciso, andremo a questo fantomatico
ballo”
Maverik inalò dell’altro fumo
prima di rispondere: “Purtroppo sì, anche se non salto dalla gioia per aver
scelto una simile opzione” espirò dalla sua sigaretta ancora, quando un
pensiero gli si palesò in mente. A quel punto sorrise malefico ed
un’espressione da furbo gli si dipinse sul volto.
“Ma chissà, magari
rincontrerò qualche mia vecchia conoscenza inglese, in questo fantomatico
ballo. Già solo questo pensiero, ammetto che mi elettrizza… prepara le cose
Rider, si parte per la noiosa isola della Regina!”
“Sì, master!” rispose
Rider.
Dopodiché Maverik agitò la
bacchetta velocemente, richiamò con un incantesimo pergamena e calamaio e si
affrettò a scrivere la sua risposta.
Angolo
Autrice:
Buonasera a tutti! Chiedo
venia a tutti voi per la mia prolungata assenza, ma sto passando un periodo
dove mi è difficile concentrarmi per scrivere, ritrovandomi a scartare e
modificare quel che scrivo più volte. Nonostante ciò spero che questo capitolo
sia di vostro gradimento, anche se devo ammettere che non è venuto fuori
esattamente come previsto, e per questo mi scuso.
Purtroppo non avendo una
beta, potrebbero esserci degli errori, e anzi, se qualcuno fosse interessato
non esiti a contattarmi!
Spero di poter aggiornare
prima, questa volta, e che nonostante tutto la storia continui a prendervi.
Un bacio a tutti, alla
prossima, Vic.
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