Aufhebung

di thebumblebee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** These ***
Capitolo 2: *** Antithese ***
Capitolo 3: *** Synthese ***



Capitolo 1
*** These ***


Parte prima: These



“Che ne pensi di questa? La morte, se così vogliamo chiamare quella irrealtà, è la più terribile cosa; e tener fermo il mortuum, questo è ciò a cui si richiede la massima forza. Non quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiava della distruzione; ma quella che sopporta la morte e in essa si mantiene, è la vita dello spirito

Delphine chiuse il libro con un tonfo secco prima di sollevare lo sguardo e di incenerirla con gli occhi.

“Cosima...tu non morirai. E io non dovrò sopportare un bel niente” sbuffò, esausta, per l'ennesima volta nel corso della settimana.

Cosima si lasciò andare in una risata piena, seguita immediatamente da un colpo di tosse.
Le piaceva fare quei discorsi in quei momenti perché era solo l'inizio della malattia, non c'era nulla di cui aver troppa paura. Okay, c'era molto di cui aver paura. Ma per lei era ancora sopportabile scherzarci su.
Lo stesso non si poteva dire della sua ragazza. Quel colpo di tosse era stato il terzo della serata, avevano iniziato a contarli inconsapevolmente.

“A quanto pare dovrò sopportare il tuo cinismo!” sbottò alla fine, spostandosi in cucina per procurarsi due calici e la solita bottiglia di vino rosso.

Cosima le lanciò un'occhiata innocente da sopra le pagine impolverate che stava sfogliando.
L'appartamento di Delphine era il luogo più accogliente in cui si era trovata a trascorrere il suo tempo da quando si era trasferita da Berkeley.
Non era esattamente il genere di arredamento che avrebbe voluto scegliere, non vi erano gli odori a cui era abituata, persino i colori erano troppo tinta unita, troppo poco sfumati per i suoi gusti.
Eppure lì si respirava così tanto aria di Delphine, si sentiva come un pezzo di puzzle che aspetta di incastrarsi al suo gemello. Sentiva che tutte le differenze che esistevano tra loro erano fatte per completarsi in qualche modo.

La bionda tornò da lei, un'espressione neutra sul volto aveva già sostituito quella irritata di poco prima. Cosima decise di addolcirla quando lesse una frase più carina, una di quelle che preferiva del filosofo. Voleva che Delphine indovinasse chi fosse.

“Va bene, proviamo con questa allora.
L’autocoscienza raggiunge il suo appagamento solo in un’altra autocoscienza

Delphine sollevò lo sguardo in tempo per cogliere il guizzo negli occhi di Cosima.
Un sorrisetto le si dipinse sul volto quando riconobbe l'argomento.

“Okay, secchiona...Hegel” sussurrò, bevendo un sorso dal calice, cercando di celare la sua soddisfazione.

Cosima annuì felicemente, accarezzando il resto della frase scritta sulla pagina.
Quel libro lo aveva trovato nella libreria di Delphine e racchiudeva il pensiero dei maggiori filosofi degli ultimi tempi, quelli che avevano cambiato totalmente la visione del mondo.

“Sai, non penso che abbia tutti i torti.
Pensa alla lunga serie di coppie di persone che hanno ipotizzato la natura di una serie di fenomeni.
Ad esempio, pensa all'esperimento di Griffith. Validissimo, aveva davvero tutti gli strumenti per passare alla storia come la mente che aveva fatto la scoperta più grande del secolo...ma non fu abbastanza. Era solo, aveva presentato i suoi progressi da solo” iniziò la bruna, prendendo quell'argomento serio con la naturalezza e la tranquillità con cui faceva tutto il resto, come se stesse fumando o giocando a un gioco da tavola o risolvendo un paio di problemi di fisica per Kira.
Delphine non riusciva neppure a pensare a quanto snob e intellettuali avrebbero potuto sembrare, si ritrovava talmente rapita da lei da risponderle senza rendersene conto, da continuare quei suoi ragionamenti come se le loro menti fossero legate da un filo invisibile.

“Vorresti dire che senza la conferma di Hershey e Chase, tutti i suoi studi sarebbero rimasti...incolti?”

Cosima scoppiò a ridere, sollevando poi il bicchiere in un brindisi per quegli scienziati.

“Non avrei usato quella parola, ma sì.
Intendo dire che la sua autocoscienza solitaria ha fatto scoccare la scintilla, ma poi l'ha lasciata spegnersi come un fiammifero che strofina male. Invece nel momento in cui l'autocoscienza di Hershey si è specchiata in quella di Chase...”

Cosima non concluse a parole la frase, ma lo fece gesticolando, avvicinando gli indici delle due mani e facendo sfiorare delicatamente i polpastrelli.
Delphine la guardò con un sorrisetto, rapita dal modo in cui Cosima aveva abilmente fatto un riferimento scientifico partendo da un libro di filosofia.

“E poi beh, diciamo che lo condivido anche sotto un altro aspetto” accennò ancora, mordendosi il labbro.

Quel vizio, pensò la bionda, lo aveva preso da lei. Trascorrevano così tanto tempo insieme che ormai avevano iniziato a condividere qualsiasi cosa.

“Va bene, Watson, è il momento di andare a dormire. Non ho intenzione di strattonarti tutta la mattina domani, abbiamo del lavoro serio da sbrigare” sussurrò la bionda, ignorando il riferimento, buttando giù l'ultimo sorso di vino prima di abbandonare il calice sul tavolino di ciliegio che le divideva.

Delphine adorava stare stesa mollemente sul suo divano di pelle nera mentre Cosima preferiva la poltroncina che lo fiancheggiava su cui si appollaiava come il più maldestro dei gatti, le gambe gettate oltre il bracciolo e la schiena incuneata in angolo.
Delphine era affascinata persino dal modo in cui la bruna adorasse quelle posizioni totalmente scomode. Era in grado di tenerla stretta a sé con il braccio poggiato dietro alle sue spalle per l'intera notte, senza mai lamentarsi del dolore muscolare.

“Scusa, perché sarei io Watson?” disse curiosa, versandosi un ultimo calice di vino e scolandolo rapidamente, facendo scuotere la testa alla bionda con un lieve accenno di esasperazione.
Delphine si alzò lentamente, sfilandosi con nonchalance la camicetta, rimanendo in pantaloni e reggiseno davanti a lei.
Cosima si zittì immediatamente, le parole le morirono in gola e il dito scivolò sulla pagina, perdendo il segno che aveva tenuto per continuare la frase.

“Okay, sai una cosa? Puoi essere chi vuoi” si corresse con un sussurro. 

Delphine stava sorridendo maliziosa, sapendo che l'altra avrebbe potuto immaginarlo anche se non la stava guardando in viso. Si allontanò di qualche passo verso la camera da letto, ancheggiando appena, mettendo in scena quello spettacolo solo per lei.
Cosima lasciò scivolare il libro in fondo alla poltrona mentre guardava rapita il modo in cui quei fianchi perfetti fendevano l'aria ritmicamente. Tutti i pensieri negativi che si era costretta a ignorare per tutta la sera, leggendo instancabilmente, sparirono ora improvvisamente. 
Delphine si portò le mani sulle spalle, sotto le scapole, slacciandosi il reggiseno con delicatezza per far poi scorrere le bretelle lungo le braccia chiare.
Cosima ebbe l'immediato e insostenibile bisogno di raggiungerla, di toccarla, di baciarla, ma decise di godersi ancora per un po' quella tensione.
Delphine si liberò dell'indumento, facendolo ondeggiare con la punta di un dito in aria, con un ritmo disturbante, totalmente diverso da quello delle sue anche.
Cosima sentì la bocca asciutta, completamente secca, quando la bionda lo lasciò finalmente cadere sul pavimento, rendendolo dietro alla camicetta il secondo mattoncino dorato che l'avrebbe condotta nel mondo di Oz.

“Dicevi, ma chérie?” soffiò Delphine, il tono basso, caldo, inondato di quell'accento francese che la mandava del tutto fuori di testa.

Sinceramente, Cosima non ne aveva idea. Rimase ad ascoltare il rumore della zip dei pantaloni che veniva tirata giù quando il corpo della sua ragazza fu scomparso dalla visuale, dietro alla porta della sua camera da letto.
Quando udì il fruscio dei pantaloni che venivano scalciati via e li vide effettivamente volare nel corridoio, decise che aveva resistito a sufficienza.

La pagina del libro su cui si era soffermata in quegli ultimi dieci minuti rimase segnata da un orecchione all'angolo in basso, la cui punta sfiorava malandrina quella frase lasciata in sospeso.

La relazione di ambedue le autocoscienze è dunque così costituita ch’esse danno prova reciproca di se stesse attraverso la lotta per la vita e per la morte”


*


“Ho avuto un'idea” sussurrò Cosima, giocando con la mano della bionda.

Intrecciarono le dita, improvvisamente sveglie nonostante fossero stremate a causa dell'attività erotica con cui si erano dilettate per tutta la notte.

“Riguardo a?” chiese Delphine, apprezzando le ombre delle mani che le prime luci dell'alba allungavano sulla parete alle loro spalle.

“Riguardo al genoma di Sarah. Stavo pensando che la stiamo guardando dalla prospettiva sbagliata” 

Delphine si mosse nel loro abbraccio, sollevandosi per poter scambiare un'occhiata con Cosima.
Lei le sorrideva serena, il respiro un po' più accelerato del solito, il pallore del viso giusto più accennato.
Delphine sapeva che i cambiamenti fino a quel momento erano stati minimi. Ma lei riusciva a vederli.
Riusciva a vedere che Cosima le stava nascondendo la reale portata dei suoi dolori fisici e psicologici. Sapeva che la ragazza era abile con le parole, era capace di drogare, di consumare con quella lingua arguta.
In realtà però si beava di quei brevi momenti di piacere, a letto con lei, abbracciata a lei o al telefono con Sarah, o Felix, a scherzare su delle sciocchezze.
Continuava a fare battute sulla morte, ma cercava solo di alleggerirne l'ineluttabile venuta. Continuava a ridere finché aveva il fiato, ma anche nei sogni lavorava con lei su quella maledetta cura.

“Cosa intendi, chérie? Cosa è cambiato?” 

Cosima si beò di quella curiosità, del modo in cui le sopracciglia di Delphine si erano tese sui suoi occhi, rendendo la sua espressione assurdamente comica.
I suoi riccioli d'oro le sfioravano la spalla, dandole delle scosse di piacere impercettibili ma totalmente insostituibili.
Cosima le carezzò una guancia lievemente, con il palmo della mano, beandosi di quella momentanea ingenuità. Adorava quei momenti in cui Delphine non era in modalità dottore, ma fidanzata, ragazza o quel che era.
Adorava non essere più il suo soggetto, non solo. Era la sua amante. La donna per cui stava rischiando la carriera al DYAD, facendo il doppio gioco, per cui si era messa in gioco andando oltre le idee sociali che le erano state inculcate, ma che stava egregiamente valicando, soprattutto facendole quella cosa con le labbra assurda in mezzo alle gambe...

Era una relazione complessa ma era in quei momenti che Cosima si sentiva davvero bene, davvero al sicuro.
Certo, non sarebbe stata tanto sciocca da fidarsi davvero di lei, ma tralasciando la questione cloni, Cosima si era innamorata dal primo momento in cui l'aveva vista.
Si era innamorata del modo in cui si portava il ciuffo indietro, del modo in cui a volte le mancavano le parole in inglese e si trovava costretta a pronunciarle in francese per ricordare la traduzione, del modo in cui le lanciava quelle occhiatacce quando superava i limiti della decenza con quella lingua appuntita (non a letto per lo meno. In quei casi anzi la pregava di continuare).
Si era innamorata dei suoi capelli sbarazzini, dal modo delicato in cui se ne prendeva cura, dei prodotti per la pelle che usava, dei profumi, degli oli, di tutta quella roba che le riempiva i vestiti di profumo francese.
Si era innamorata della sua ignoranza degli idiomi americani e del modo in cui curiosamente, senza mai prendersela, si faceva prendere in giro per poi farsi spiegare il significato.
Sì, anche la Delphine in modalità dottoressa era la cosa più sexy e professionale e totalmente fuori dagli schemi che Cosima avesse mai visto, ma la donna che in quel momento giaceva nuda al suo fianco...quella era la sua donna.
La donna che avrebbe voluto per sempre accanto.

“Cosima...?” fu richiamata per averla lasciata senza una risposta.

“Scusa, piccola...mi ero distratta. Sarà il tuo profumo...” 

Delphine non riusciva ad abituarsi a quelle frasi, a quei complimenti, al modo in cui qualcuno la riempiva di attenzioni come solo Cosima sapeva fare. Persino dopo aver litigato continuava a notare quelle attenzioni, quelle battutine, quella continua ricerca di un'altra anima con cui parlare, che sappia ascoltare e comprendere.
Cosima ridacchiò del suo lieve imbarazzo, della punta di rosso che spiccava sulle sue gote.

“Quello che intendevo è che noi stiamo cercando di capire cosa Sarah ha in più rispetto a noi, no? Ma stavo pensando, davvero il genetista credeva di riuscirci? Davvero aveva addirittura scoperto come ricreare una prole?”

Delphine rimase senza fiato, capendo immediatamente dove voleva andare a parare.
Si sollevò di scatto, coprendo le ombre delle loro dita intrecciate con quella del suo profilo.
È così perfetta, pensò Cosima, adorante, sognando di poterla ritrarre così, davanti a sé, con la vena del collo pulsante, le clavicole svettanti e quei meravigliosi seni bianchi, talmente proporzionati...
In più la faceva impazzire il modo in cui il lenzuolo pendeva dalla sua spalla, pigro, ignaro di quale capolavoro stesse coprendo.

“E se fosse Sarah ad avere il difetto e non voi?” la fece breve Delphine, dando la perfetta conclusione al ragionamento di Cosima.

Ti amo, pensò la bruna.
Ti amo ti amo ti amo.
Ma non lo disse, le sorrise soltanto. Le sorrise e si spinse sulle sue labbra, imprigionandola nell'ennesimo caldo bacio con cui avrebbe iniziato il percorso per farle raggiungere il più alto apice del suo piacere.

#

“Merde...siamo in ritardo!” borbottò la bionda, afferrando maldestramente il cappotto scuro e le chiavi di casa.

Cosima, totalmente a suo agio - non che fosse una novità per lei - stava finendo di rollarsi una canna.
Si prese un intero minuto per assicurarsi che fosse perfetta prima di degnarsi di sollevare lo sguardo per incontrare gli occhi fiammeggianti di Delphine.

“Cosa? Non vedi l'ora di bucarmi, eh?”

“Cosima...muovi quelle chiappe, non ho intenzione di rifarmi la reputazione”

“Oh si, ci mancherebbe che Dr. Cormier passi per una lesbica ritardatar...AHIA” 

Cosima scoppiò a ridere come una bimba felice, nonostante si fosse beccata una dolorosa pacca sul sedere. Delphine fu contagiata da quell'allegria spontanea, totalmente sua.
Nonostante fosse malata, nonostante le fosse rimasto poco tempo, nonostante avesse una relazione col suo controllore e fosse alle dipendenze della società che l'aveva resa un brevetto, Cosima rideva continuamente.
C'erano momenti di scoraggiamento, ma nessuno era mai riuscito a buttarla davvero giù, mai.
Sapeva sempre che dire, aveva sempre la risposta pronta, aveva sempre una sciocca battuta o una frase a effetto per tutte le occasioni.

Invece Delphine si ritrovava sempre più silenziosa, sempre più preoccupata, sempre più immersa nei suoi segreti.
Eppure a volte si ritrovava imbambolata a fissarla, mentre fumava, mentre leggeva, mentre canticchiava qualche canzone hause, mentre semplicemente era lei.
Sé stessa. Qualcuno di gentile, buono, valido...
Qualcuno che la stava cambiando, che stava totalmente ribaltando i piani.

Cos'era stata in principio Delphine, dopotutto? Si era approfittata di Leekie e del suo interesse nei suoi confronti per raggiungere una posizione di spicco al DYAD, per entrare in quel progetto folle che avrebbe cambiato la storia della scienza.
Non si era fatta scrupoli a incassare gli assegni di controllore per spiare 324b21.
Per spiare quella ragazza meravigliosa che le aveva rubato il cuore e che presto l'aveva fatta vergognare di conoscere il suo numero di brevetto prima che il suono della sua voce.
Delphine sentiva ancora sulla lingua il rimorso per essere tornata da lei, spinta da Leekie, e per averle rubato quelle informazioni, ferendola profondamente per aver giocato con la sua fiducia.
E ora ne stava ancora pagando il prezzo: quante volte l'aveva vista parlare al telefono con 'sua madre' nei momenti in cui lei era distratta? Quante volte l'aveva liquidata con risposte di circostanza per non far trapelare informazioni su Sarah o Alison? 
Sempre, continuamente. 
Ma forse era meglio così, Delphine non avrebbe saputo come comportarsi se avesse saputo troppo. Leekie avrebbe preteso lealtà. Cosima sincerità.
Il filo del rasoio su cui si stava muovendo era troppo pericoloso per mancare di cautela.

“Sulla parte della lesbica immagino che tu, mocciosa, abbia chiarito la mia posizione, o mi sbaglio? Spero che non lo faccia anche sulla professionalità” la rimbeccò subito, nascondendo un sorriso.

Mentre camminavano Cosima si fermò di scatto, facendola voltare furiosa, stavolta priva di qualsiasi punta di pazienza.

“Cosa hai visto stavolta...Cosima? Cosima...” 

Il cuore le si bloccò in gola mentre osservava la sua ragazza, poggiata a un lampione, che faticava a respirare normalmente, preda di un attacco di tosse troppo forte.
Le parole le morirono in gola e le fu subito accanto, tenendola a sé prima che potesse barcollare all'indietro.

“Cosima...respira. Respira, d'accordo? Piano...” 

La bruna si aggrappò alle sue spalle e chiuse gli occhi, poggiando la fronte alla sua. Non riusciva a respirare, non capiva come fare a inalare l'aria sufficiente per regolarizzare i movimenti del diaframma.
E Delphine forse non aveva la sua stessa prontezza nelle risposte argute, ma sapeva come agire. Aveva sempre pronto un piano B.
Le piegò la testa indietro delicatamente, tenendola per il mento. Poi si guardarono per un solo istante in cui si scambiarono più parole di quanto avessero fatto fino a quel momento, prima che le dita di Delphine potessero chiudersi sulle sue narici e le sue labbra potessero spingersi contro quelle pallide, tremanti di Cosima.
Fu profondamente intimo, forse persino erotico, pensò la bruna mentre l'aria respirata da Delphine per lei iniziava a fluirle lungo il tubo orofaringeo. 
Il suo cuore svolazzò lontano, chissà dove, mentre si lasciava trasportare dall'ossigeno caldo proveniente dalla bocca morbida di Delphine.
Forse svenne tra le sue braccia, ma continuò a sentire quel momento, a viverlo nella sua interezza.

Trascorsero solo un paio di minuti, ma quando Cosima si svegliò si ritrovò stesa su una panchina, la testa poggiata in grembo a Delphine, il respiro accelerato ma tornato per lo meno autonomo.
La donna le accarezzava i dread con dolcezza mentre parlava al telefono con quello che doveva essere il dr. Leekie.

“Sì Aldous...un ritardo di un'ora al massimo, d'accordo? Recupereremo nel pomeriggio. Sì, sta bene, non si è trattato di nulla di grave. Oui. À bientôt”

“Non mi piace...che ti parli in francese.
Sei troppo sexy quando parli in francese...”

Delphine la guardò, quasi commossa di sentirla parlare. Non era successo nulla di troppo grave, non c'era stato bisogno di chiamare l'ospedale, ma questo episodio l'aveva terrorizzata.
Ecco il poco tempo che avevano.
Ecco quali erano i veri danni fisici che stava subendo.

“Allora smetterò di parlargli in francese, mon amour...ma tu rilassati adesso. Non dire niente”

Per una volta Cosima fu felice di seguire il consiglio.

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Capitolo 2
*** Antithese ***


Antithese


La luce tremò lievemente nella stanza prima di stabilizzarsi su una frequenza fastidiosa, ma costante.
C'era un nauseante odore di materiali plastici, muffa e liquidi corporei.
Rachel seppe che era arrivato il momento anche senza aprire gli occhi. Nessuno veniva a trovarla di notte tranne lei.
Il suo cuore mancò un paio di battiti e il cambiamento fu segnalato persino dal monitor con i suoi parametri vitali.
Non pensava di poter avere paura del dolore. Non pensava di poter avere paura di lei.
Se glielo avessero detto quando l'aveva nominata direttore ad interim del progetto, Rachel non ci avrebbe mai creduto.
Se le avessero detto che sarebbe bastata una piastra per capelli per rendere quella donna un mostro, non ci avrebbe creduto.

Tac, tac, tac.

Quel suono la fece deglutire. Non seppe se era solo la lentezza con cui stava avanzando verso di lei o quel dolce canto che le usciva dalle labbra, ma sentì la gola secca. Forse era il pensiero di quello che le avrebbe potuto fare quella volta? 
Il canto si interruppe, facendo spazio a una risatina.
Seppe subito il perché: il monitor sembrava impazzito.

“Hai visto qualcosa che ti sconvolge?” fu il sussurro appena accennato, l'accento francese che impregnava profondamente ogni parola.
 
Rachel si rifiutava di guardarla. Sapeva bene cosa avrebbe visto.
Avrebbe visto sé stessa sotto mentite spoglie.
Avrebbe visto il potere che aveva avuto e che adesso apparteneva a lei.
Ne fu gelosa.
Delphine poteva sentirlo, poteva fiutarlo nell'aria. Era proprio quello il motivo per cui continuava a tornare: sapeva che Rachel, paradossalmente, poteva capirla.
Anche lei era gelosa. Solo che i suoi motivi erano molto diversi.

“Guardami” ordinò, avanzando suoi suoi appuntiti tacchi a spillo. 

Rachel lottò. Chiuse anche l'occhio destro, obbligandosi a non obbedire. Delphine le fu addosso, si sedette sul materasso e le afferrò il mento con una mano.
Il clone poté sentire le unghie laccate di rosso affondare nella sua carne, senza alcuna preoccupazione di ferirla. La bionda le voltò il viso rudemente, servendosi dell'altra mano per aprirle con la forza la palpebra.
Rachel cedette. Non voleva certo permetterle di strapparle via l'occhio. Una volta le era bastato.

“L-l-l...” 

Delphine annuì, accarezzandole dolcemente il mento, incitandola a continuare. I suoi occhi erano talmente spenti, talmente vuoti che Rachel ne ebbe il terrore. Continuò a balbettare un altro po' fin quando Delphine ne fu stanca.
Seguì una carezza alla guancia. Dolce, delicata.
Rachel sapeva cosa stava cercando. Ma quando capì che proprio nel suo viso non lo avrebbe trovato...lo schiaffo si schiantò spietato sulla sua pelle.
Delphine le strinse le guance in una presa ferrea, scuotendole la testa con foga. Rachel gemette, sentiva le lacrime colare giù dall'occhio destro mentre la bionda si prendeva gioco di lei.

“Stavi dicendo qualcosa?” le sussurrò tornando ad accarezzarle la guancia.

Rachel stava sudando terribilmente. La odiava così tanto...
Decise improvvisamente che sarebbe riuscita a completare la frase, con l'unico scopo di ferirla con le parole, visto che non avrebbe potuto farlo fisicamente.

“L-le so-somiglio, vero?”

Delphine la guardò attentamente, quasi studiandola. Se il pensiero l'aveva sconvolta, non lo diede a vedere.

“Oh, Rachel...tu non vali neppure un millesimo di quello che vale lei...
Anche sforzandomi, non vedo che una brutta copia sbiadita” le sussurrò all'orecchio, prima di staccare la spina del monitor con un movimento secco del braccio.

Rachel iniziò a dimenarsi, a lamentarsi. Perché lo aveva fatto? Che voleva fare?

“Lo sai, Rachel? C'è puzza di morte qui dentro” le sussurrò, accarezzandole la fronte. Passò poi ai capelli scompigliati, sparsi pigramente sul cuscino.

Il clone era terrorizzato, ma decise di risponderle a tono, per mascherare la paura crescente. Non le avrebbe permesso di uscire da quella stanza soddisfatta quella notte, non del tutto.

“P-pensavo ci f-f-fossi abituata. La t-tua ragazza n-non vivrà un altro m-m-mese”

“Tu dici?” Delphine le accarezzò il collo lievemente, con il dorso della mano.
“Allora mettiamola così...non avrai il piacere di vederlo accadere”

La mano le avvolse il collo, mentre il pollice continuava ad accarezzarla con premura. Rachel rimase paralizzata, ad attendere qualcosa che tardava ad arrivare.
Chiuse gli occhi, cercando di calmare il respiro. Se il monitor fosse stato acceso avrebbe richiamato sicuramente l'attenzione dei medici che la seguivano: il suo cuore stava battendo convulsamente.
E convulsamente la mano di Delphine si strinse sulla sua gola, strizzandola con foga.
Rachel iniziò a dimenarsi e a boccheggiare, mentre la bionda si aiutava anche con l'altra mano, premendo con tutta la forza che aveva.

Nei suoi movimenti violenti Rachel riuscì a vedere i suoi occhi riempirsi di lacrime di rabbia, riuscì a percepire l'odore forte dell'alcol su cui fino a quel momento non si era focalizzata.
Svenne prima di potersene rendere davvero conto, non sicura se sarebbe stata quella l'ultima volta per godersi la luce, l'aria o il contatto umano, per quanto rabbioso.

Delphine l'avrebbe felicemente strangolata.
Voleva così tanto sbarazzarsi di lei, voleva così tanto prendersela con qualcuno per il mostro che aveva dovuto diventare, ma sapeva che in realtà l'unica persona da biasimare era lei stessa.
Trovò la forza di mollare la presa, di rilasciare la frustrazione, proprio nel viso di Rachel, perché in realtà le somigliava. In realtà continuava a circondarsi della sua presenza solo per ricordare alla perfezione tutto ciò che le differenziava, tutto ciò che amava.
E non riusciva a farlo con Sarah perché per poter eguagliare quell'amore così grande che provava per Cosima aveva bisogno di specchiarsi negli occhi della controparte che invece odiava con la stessa folle intensità.

Le sue mani abbandonarono il collo fragile del clone, disgustate.
Si alzò di scatto, barcollando poi verso l'uscita, senza voltarsi indietro.
Ecco cosa le aveva provocato la vista di Cosima con un'altra donna.
Ecco cosa le aveva provocato la consapevolezza che da adesso a renderla felice sarebbe stato qualcuno che non era lei.
Pianse in silenzio, cercando di placare il dolore che la avvolgeva.
Cosa era diventata? 

“È così allora...sei la nuova Rachel” 
No, pensò dispiaciuta. A quanto pare era molto peggio.


#


Delphine camminava lentamente, scandendo ogni passo a suon di tacco dodici.
I suoi uomini la seguivano, fedeli a qualcun altro, ma almeno utili.
Quando aveva scoperto che Cosima si era fidata di Rachel piuttosto che di lei...aveva sentito qualcosa spezzarsi.
Quando aveva scoperto che Cosima era disposta a licenziarsi, a mettersi in pericolo pur di fare un dispetto a lei...aveva sentito una fitta allo stomaco identica a quella che aveva provato davanti al loft di Felix quando l'aveva lasciata.
Crepacuore. 
In quel momento, mentre avanzava decisa verso casa di Shay, non aveva più nessuno scrupolo. Non aveva più niente. Se pensava a quanto la sintonia tra lei e Cosima si fosse spezzata...non riusciva neppure a credere che un tempo si fossero giurate amore eterno.
Non riusciva a credere che solo un mese prima bevevano vino, fumavano erba e facevano l'amore in continuazione.

Mentre sfilava sul marciapiede rovinato e polveroso, Delphine si chiese fino a dove fosse disposta a spingersi. Fino a dove quella follia l'avrebbe condotta.
Sapeva solo una cosa: se Shay stava davvero spiando Cosima...l'avrebbe uccisa.
Lo avrebbe fatto. Non aveva avuto problemi a strangolare Rachel. Non avrebbe avuto problemi a strangolare Shay. Facile.

Ma non voleva strangolarla, no. Voleva godersi il momento. Voleva che fosse lento e doloroso, voleva provare qualcosa che la facesse in qualche modo sentire viva.
Si sarebbe sentita così viva a osservare la luce scivolare via dagli occhi della biondina.

Si rigirò tra le dita la lametta che si era procurata. Ripensò al piacere che aveva provato affondandola nella carne dei propri polsi. Era successo molti anni prima, ma ricordava di essersi sentita così libera.
Ricordava così bene il piacere di aver sfiorato la mano premurosa della morte...
C'era andata così vicina!
Adesso era adulta e aveva imparato dai propri errori. Non era riuscita a dissanguarsi abbastanza velocemente perché aveva dimenticato - o semplicemente non poteva saperlo, non era ancora entrata in medicina - di tagliare anche le vene dei talloni.
Beh, non stavolta.
Se Shay stava fregando Cosima...

Delphine provò una stretta allo stomaco quando ripensò a quel bacio di pochi giorni prima.
Era passato così tanto da quando aveva assaggiato quel sapore...
E poi le loro bocche si erano incontrate, la sua disperazione, la sua ebbrezza, il suo rancore, tutto era sparito con quel bacio.
Se Cosima non si fosse tirata indietro...non sapeva cosa le avrebbe fatto.
Avrebbe sicuramente ceduto.
Perché la voleva, la desiderava al punto che temeva che avrebbe ucciso Shay a prescindere, anche se fosse stata innocente...

Sentì il cuore accelerare al pensiero di baciare ancora Cosima. Sentì il cuore accelerare al pensiero di poterla sedurre...
Fino a quel momento aveva vissuto sulla base della possibilità di vederla anche solo da lontano nei corridoi, aveva vissuto anche solo per sentire la sua voce, che fossero urla o parole d'amore per Shay o qualsiasi altra cosa, aveva solo bisogno della sua voce.
Quante volte guardando Sarah aveva cercato Cosima? Quante volte avvicinandosi a lei aveva provato l'irrefrenabile desiderio di baciarla e fingere, fingere che fosse Cosima?
Troppe.
Non riusciva più a muovere neanche un passo senza pensare al sapore di quelle labbra. A motivarla fu l'idea di potersi liberare finalmente di quella seccatura. Dell'unico effettivo ostacolo che aveva spinto Cosima ad allontanarsi da quel bacio, per mera fedeltà.

Quando giunsero sotto casa di Shay, Delphine si infilò la lametta nella scarpa. Ora voleva solo terrorizzarla. Voleva che capisse con chi aveva a che fare.
Voleva che sapesse che poteva anche essere stata un militare, ma lei era una fottuta leonessa e avrebbe divorato la iena senza rimorsi.

#

Delphine dondolò il piede nervosamente.
Alla sua destra c'era il larva bot appena studiato, appena analizzato.
Sul pavimento invece se ne stava pigramente abbandonato il cadavere di Nealon.
Aveva ucciso un uomo.
Ecco come era andata a finire. Non era riuscita a uccidere Rachel. Non era riuscita a uccidere Shay. E quella notte aveva ucciso il Dr. Nealon.
Forse era quello a cui era destinata. Non credeva in Dio, non credeva in niente che non fosse scientificamente probabile eppure quella sera iniziò seriamente a pensare al destino.

Le venne in mente la visione di cui Cosima le aveva parlato...le lacrime le riempirono gli occhi solo al pensiero di lei.
Avrebbe voluto dirle di essere stata minacciata di morte. Avrebbe voluto dirle tante cose.
E invece aveva deciso di tacere tutto il tempo. E ora era troppo tardi.
Credeva che sarebbe morta prima lei e che avrebbe dovuto fare i conti con quello.
Credeva che se Cosima fosse morta lei non avrebbe potuto continuare a presenziare su quella terra fredda e sterile. Non senza di lei.
Si erano preparate entrambe alla sua morte.
E invece sarebbe toccato prima a lei, a sentire Nealon.

Delphine non aveva dubbi: evidentemente era già stato deciso.
E poi c'era quel bot. Con cui Nealon aveva provato a infettarla...
 Sapeva che Aldous ne aveva avuto uno, gliene aveva parlato. Avrebbe voluto dire qualcosa, avrebbe voluto sapere di più, ma temeva di non avere abbastanza tempo.
Doveva solo avvertire Cosima di tenere lontano il genoma originale da Toronto. Avrebbe dovuto sparire e avrebbero dovuto giocare d'astuzia per non farlo trovare a nessuno.

Delphine tracannò un ultimo sorso dalla bottiglia di gin che aveva trovato nel laboratorio. Il loro laboratorio. Ci aveva trascinato dentro il cadavere - davvero non aveva idea di come avesse fatto con quei tacchi altissimi e senza farsi vedere da nessuno! - e ci aveva poggiato sopra un inquietantissimo post-it con su scritto 'neoluzionist'. Sarah avrebbe capito.

Delphine aveva dovuto prendere una decisione alla svelta. La consapevolezza della sua imminente fine l'aveva resa più forte.
Aveva creduto di essere stata forte quando aveva detto addio a Cosima. Aveva creduto di esserlo quando si era perdonata, piuttosto velocemente, per quello che aveva avuto intenzione di fare a Shay.
Ma quelle erano sciocchezze in confronto alla prova di coraggio che le veniva richiesta adesso.
Poteva davvero l'amore essere così difficile? Un mese prima l'aveva creduto la cosa più semplice. Come una droga leggera, come le canne di Cosima.
Invece si era rivelato una dolorosa dipendenza.

Delphine aveva solo un desiderio. Avesse potuto esprimerne uno qualsiasi...sapeva cosa avrebbe chiesto. Avrebbe chiesto che Cosima trovasse la cura. Che Cosima vivesse. E, forse egoisticamente, era sicura che se Cosima avesse scoperto che l'avevano uccisa...non avrebbe avuto le forze per impegnarsi del tutto nella ricerca della sua medicina.
Se fosse semplicemente sparita, forse...non si sarebbe fatta domande. Forse l'avrebbe creduta solo una fuga, o un cedimento.
Delphine l'avrebbe raggiunta a quella cena che avevano organizzato, le avrebbe detto addio senza rivelarle niente. E poi sarebbe andata incontro al suo...sì, destino.
Doveva solo aggiustare un'ultima cosa prima. Doveva andare da Shay. Non avrebbe lasciato che Cosima si crogiolasse nella preoccupazione, era felice di sapere che aveva trovato qualcuno in grado di renderla felice. Anche se quel qualcuno non sarebbe stato lei.

Compilò velocemente le ultime pagine del suo diario pieno di informazioni sui cloni, sui progetti Leda e Castor, sul DYAD e soprattutto sulla cura di Cosima.
Scrisse gli ultimi appunti e le ultime intuizioni che aveva avuto riguardo all'uso del genoma originale. Di quelle avrebbero certamente saputo fare buon uso.
Poi si procurò uno dei suoi biglietti da visita e vi scrisse su il numero di brevetto di Cosima.
324b21.
Sei cifre. Tutta la sua vita. L'amore della sua vita.
Lo avrebbe affidato a lei...e in fondo sapeva che sarebbero state felici insieme. Shay le avrebbe dato gioie maggiori rispetto a quelle che aveva saputo darle lei.

Si alzò e ripulì il laboratorio da ogni traccia delle sue indagini.
Si prese giusto gli ultimi cinque minuti per dire addio a quella che avrebbe potuto essere una vita felice.
Quel divano lo avevano scelto insieme. L'arredamento lo avevano scelto insieme.
Su ognuna di quelle pareti avevano fatto l'amore...su tutti i piani d'appoggio, su tutte le sedie.
Rise gioiosamente al pensiero, le immagini che si formavano nella sua mente mano a mano che si guardava intorno.
La sedia rotta lì nell'angolo si era ribaltata quando, in preda a un impulso sfrenato, Cosima le era saltata letteralmente addosso.
Erano cadute sul tappeto persiano, ridendo, mentre la sedia non ce l'aveva fatta.
“Scusa, ma mi fai impazzire, Dr. Cormier”

Delphine si fece coraggio. Non c'era più tempo. Indugiò ancora sull'uscita sospirando. In quel laboratorio si erano dette di amarsi per la prima volta. Glielo aveva detto in francese, la sua lingua madre. Glielo aveva detto con tutta l'anima.
E Dio se l'aveva amata.
Se l'amava più della sua stessa vita.
Sperò solo che un giorno...potesse capirlo anche lei.

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Capitolo 3
*** Synthese ***


Synthese

Spiava.

Ecco quello che sapeva fare bene. Lei spiava. Lo aveva fatto fin dall'inizio, con Cosima. Poi aveva esteso il campo a tutto il progetto Leda, rischiando anche la vita quella volta. E adesso eccola, nella tana del coniglio.

Disperata, dopo il tradimento di Cosima per il libro, aveva trascorso la notte a leggere 'L'isola del dottor Moreau', cercando di annebbiare la mente, di dimenticare tutto. Mai avrebbe immaginato che nel corso di poche ore si sarebbe risvegliata proprio lì. Su quell'isola. Dopo lo sparo le era sembrato così facile scivolare via, proprio come aveva spiegato Cosima. Ma lei aveva già accettato il suo destino. E poi all'improvviso aveva visto quel volto, il suo volto, davanti a sé, come un fantasma. Aveva creduto per un folle attimo che allora le visioni esistono, aveva davvero avuto l'impressione che fosse così per tutti... Aveva pensato di mettere in discussione la scienza! Aveva desiderato di sopravvivere solo per poter dire a Cosima che si era sbagliata sulla religione e sull'aldilà e tutto il resto. Ma lei non aveva avuto nessuna visione. Quella era Krystal Goderitch, che le aveva in qualche assurdo modo salvato la vita. Comunque aveva impedito che Delphine ricevesse il colpo di grazia e così aveva dato modo a loro di guarirla.

“È il tuo giorno fortunato, Dr. Cormier” le aveva detto il Messaggero. “Lui pensa che tu possa ancora essergli utile”

E ora stava monitorando dei bambini. Stava spiando dei bambini. Tutto per permettere al famigerato dottor Moreau PT Westmoreland di utilizzare la parabiosi. Spregevolmente da lei, pensò Delphine. L'avevano piazzata in una posizione perfetta, dopotutto. Si era dimostrata un mostro negli ultimi mesi. Adesso almeno le avrebbero dato gli strumenti per esserlo completamente. E poi, pensò ridacchiando freddamente, non è questo che accadeva nel libro? Non è di questo che si trattava, in fondo? Su quell'isola non veniva data vita ai mostri?

Qualcuno bussò alla porta della yurta, facendola sobbalzare. Il suo cuore mancò una lunga serie di battiti, una fitta si accumulò allo stomaco, sulla ferita ormai guarita, ma era solo il Messaggero.

“Lui vuole vederti” le disse, facendole trattenere il fiato. Delphine era diventata molto cauta, forse troppo, ma voleva sopravvivere ancora. Stava aspettando l'occasione per indagare più a fondo su quella situazione. Era incredibile come, nonostante l'avessero messa a capo del DYAD, non avesse mai saputo niente di quel posto, di ciò che lì accadeva... E ogni volta che lui voleva vederla come un fuoco si accendeva nel suo petto, l'adrenalina le riempiva i vasi sanguigni, le dilatava la pupille, i polmoni...sentì la gola secca e un'improvvisa chiusura allo stomaco, come se l'antro pilorico si fosse chiuso e arrotolato ripetutamente su sé stesso. Le stavano dando l'ennesima occasione, e sapeva che loro non sarebbero stati così sciocchi da lasciarla sola con monsieur W. Sapeva che avrebbe avuto i loro occhi piantati addosso, come sempre, come tutte le altre volte in cui aveva messo piede nella casa. Ma l'occasione che avrebbe potuto avere, del resto...la faceva sperare sempre in bene.

Quando entrò nella casa fu avvolta dalla musica lirica. Sembrava un pezzo italiano, qualcosa di molto profondo, avvolgente. Raggiunse il vecchio con cautela, muovendosi sapientemente per i corridoi, sempre seguita da lontano da un paio di uomini. Non lo trovò bene. Non stava bene. Le sue guance erano terribilmente incavate, i suoi occhi vacillavano, era in evidente stato di tranquillanti. Eppure quel sorriso malvagio era sempre pronto a fare capolino sul suo volto. I pensieri di Delphine galopparono rapidi. A guardarlo, presto i tranquillanti lo avrebbero reso talmente pacato da distrarlo. L'emozione, un'emozione che solo baciare Cosima per l'ultima volta le aveva scatenato prima nel petto, la inondò completamente quando chiese ai suoi uomini di lasciarli soli. Lei sapeva che avrebbero atteso fuori dalle grandi porte, ma per lo meno se lui si fosse assopito, lei avrebbe potuto cercare qualcosa, qualsiasi cosa senza essere vista. Spiava. Sapeva farlo bene, no? Qualcosa avrebbe trovato. Ma il vecchio era ancora sveglio e voleva parlare. I suoi occhi infossati la tenevano incatenata al pavimento, impedendole ogni movimento. Lui era seduto, lei era in piedi, eppure era lei a sentirsi piccola, minuscola.

“Ho bisogno che insegni a Mud la procedura. Potrebbe succedere che io necessiti dei tuoi servigi lontano dall'isola”

Delphine riuscì a rimanere immobile, a non tradire l'emozione. Forse Cosima aveva fottutamente ragione. Forse c'era un destino, o un aldilà o qualcosa di provvidenziale. Forse Dio... Lontano dall'isola? Chissà quante cose avrebbe potuto fare...ma allo stesso tempo si chiese come mai. Cosa stava succedendo? Che cosa poteva fare lei se non il medico? E come medico, cosa avrebbe potuto fare per lui lontano da lì?

“Certamente, signore, come desiderate”

Lui sogghignò, ma era stanco. Era turbato da qualcosa. Le fece cenno di avvicinarsi, lì, davanti a lui. E Delphine si piegò sulle ginocchia, specchiandosi in quegli occhi vecchi, vitrei come quelli di un novantenne...ma niente di più che quello. Era sempre stata scettica riguardo all'età dell'uomo. Aveva solo bisogno di prove...

“Ci sono ospiti sull'isola, Delphine. Uno lo conosci molto bene. È il tuo soggetto. 324b21”

Talmente tanti sentimenti le abbracciarono il cuore da rendere la sua espressione un mix tanto incoerente che seppe, seppe di essersi tradita. Lo seppe dagli angoli della sua bocca che si sollevarono sornioni mentre la guardava, decisamente soddisfatto. Fu terrorizzata. Arrabbiata. Felice. Terrorizzata. No, forse più arrabbiata. 324b21. Quelle cifre evocarono sensazioni pesanti. Come avevano fatto a rinchiudere quella creatura angelica, sensazionale, intelligente, brillante, bella, bellissima in sei stupide cifre? Ma il terrore si infilò sotto l'indignazione, perché si chiese come avevano fatto a rinchiuderla sull'isola? E poi la felicità...perché fu ovvio che il vecchio riteneva di doverla spedire via perché temeva che in qualche modo Cosima potesse raggiungerla. Cosa sapeva il vecchio tradizionalista del loro rapporto? Cosa gli avevano detto? Cosa si diceva in giro?

“Il mio soggetto” ripetè con calma, mantenendo la sua freddezza per fingere di non essere rimasta colpita da quella scoperta “Non è mai stato più che un soggetto”

Il vecchio le sorrise delicatamente, ormai troppo stanco per continuare. Accennò un'ultima frase che fece tremare di paura le belle labbra della bionda. “Non è quello che mi ha riferito Rachel”

#

“Come puoi vedere, Rachel, Delphine è davvero dei nostri”

Il fondo di sarcasmo fece sbuffare Delphine in una risatina nervosa. Aveva appena firmato l'ennesima condanna a morte del suo rapporto con Cosima. Aveva appena accettato di tradire la folle scienza per rivelare al vecchio cosa lei, la figliol prodiga, aveva scoperto. Fu immediata la replica dell'altra donna.

“Ci scommetto”

Le due si guardarono cercando di mantenersi civili, il ricordo delle torture che aleggiava nell'aria silenzioso. Rivedere Cosima, ritrovarla dopo mesi trascorsi lontane sembrava aver avuto un effetto catartico su di lei. Aveva chiuso in un cassetto tutto il rancore, tutte le paure, tutte le parole che avrebbe voluto dire e si era lasciata andare tra le sue braccia. Sapeva di avere un disturbo da stress post traumatico, sapeva che si rifiutava di credere di aver fatto ciò che aveva fatto e sapeva anche che stava fingendo di non ricordare cosa aveva provato nel torturare Rachel, notte dopo notte, giorno dopo giorno...ma in realtà riusciva a sentire sulla punta della lingua il piacere, l'emozione che ogni stretta alla gola, o spinta nell'occhio, o frase tagliente le aveva provocato.

Non era pentita, questa era la verità. Non di quello. Il problema era che Rachel aveva trovato il modo di vendicarsi, quello più infido e crudele possibile: aveva rivelato il tipo di relazione che aveva legato lei e Cosima e che, inevitabilmente, le legava anche adesso. E lei aveva accettato di spiare la sua ragazza, di nuovo. Per amore di tutte le sorelle stava per ferire nuovamente l'unica persona a cui davvero teneva più che alla sua stessa vita. Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per arrivare a Ginevra...qualsiasi.

“Signore, permettetemi di accompagnare Delphine fuori. Vorrei congratularmi personalmente con lei per tutto quello che sta facendo per l'isola”

Il vecchio le lanciò un'occhiata, osservandola accuratamente prima di annuire. Delphine rimase impassibile, scrutando il clone con distacco, mantenendo quel velo di indifferenza dietro cui si era nascosta. Piegò la testa in un saluto delicato prima di iniziare a incamminarsi verso l'uscita, la mano di Rachel improvvisamente agganciata al suo gomito.

“Sei l'ultima persona a meritare quella cura, lo sai?” sussurrò Delphine, dimentica del suo percorso catartico. Rachel le sorrise, facendola fermare all'ingresso per guardarla negli occhi.

“E tu sai...che sono stata io a fare l'iniezione a Cosima? Avrei potuto distruggere quella fiala...avrei potuto lasciarla morire dopo che tu sei andata via. E invece sono stata io a curarla”

Delphine sentì il proprio respiro accorciarsi mentre Rachel le sorrideva, l'occhio finto ormai totalmente pigmentato, i lineamenti così uguali a quelli di Cosima, ma allo stesso tempo opposti.

“Avresti dovuto uccidermi quando ne hai avuto l'occasione. Goditi le poche ore che ti rimangono sull'isola, perché farò in modo che tu non la veda più. Hai chiarito molto bene che è diventato personale”

Rachel sollevò un braccio e per un attimo, un folle breve attimo, Delphine credette che stesse per colpirla. Le accarezzò il viso in quella che sembrò una promessa, lasciandola poi imbambolata sulla cima delle scale. Delphine si morse il labbro, lo tenne stretto tra i denti mentre rifletteva, mentre si dirigeva alla yurta. Aveva raccolto sufficienti informazioni per eliminare per sempre quel sorrisetto malefico dal viso di Rachel e gliel'avrebbe fatta pagare per ogni istante in cui, a causa sua, si era costretta a guardare il suo viso, i suoi lineamenti, ad ascoltare la sua voce...e non quella di Cosima.

Si, Delphine era la degna creazione del dottor Moreau. Non aveva scrupoli. L'avevano addirittura strappata dall'abbraccio delicato della morte. Era stata ingenua, poi manipolatrice. Era stata burattino e poi burattinaio. Aveva amato e aveva odiato. Adesso avrebbe dovuto sintetizzare quel dualismo in qualcosa di unico, qualcosa che potesse essere permeato da entrambi i momenti. Aveva bisogno di una sintesi dialettica.

Quando entrò nella yurta e vide Cosima sentì il cuore balzarle nel petto, sentì una gioia mai provata prima mozzarle il fiato. E vide riflesso nei suoi occhi quel pensiero, quel suo stesso pensiero che tanto l'aveva turbata nel corso della convalescenza. Rivide i propri sorrisetti sghembi, stampati su un viso fresco, sereno, incorniciato dai boccoli dorati capaci di incantare qualunque passante per strada. Rivide il sorriso di circostanza, freddo, che si allungava su un volto provato, segnato da un dolore antico che non avrebbe potuto mai spiegare, accompagnato da una cascata luminosa come una luce troppo accecante. Infine vide ciò che le era rimasto, il sorriso caldo e maturo di chi ha sfiorato la mano della morte, il viso finalmente sereno pur nel terrore di chi ha trovato la via, i ricci lunghi, snodati, delicati, caldi come un campo di grano dalle spighe dondolanti. Si chiese chi era stata, chi era diventata e chi era davvero adesso. E in quegli occhi, specchio dei suoi, trovò la verità.

#

Delphine tenne stretta tra le mani la tazza di the che Siobhan le aveva preparato. Aveva fretta, ma avrebbe potuto prendersi altri cinque minuti. Quella casa infondeva sicurezza, le sembrava di essere tornata in Francia...le sembrava che ci fosse altro per lei ancora, nonostante tutto.

“Come sta Cosima?” chiese a un tratto Siobhan, poggiandole una mano sulla spalla. La reazione fu immediata, Delphine ebbe l'impulso di sfuggire a quel tocco, per quanto delicato. Riuscì a trattenersi e lasciò uscire l'aria dalle labbra, con cautela.

“È la solita...combina disastri mentre io cerco di aggiustare. Indaga” sussurrò Delphine, un tocco improvviso di calore alle sue gote. Era fiera di lei. Era totalmente orgogliosa per ciò che era riuscita a fare con la sua cura.

Madame S. sorrise, ritraendosi sulla sedia. Delphine sentì che c'era qualcosa di cui voleva parlarle, così sollevò lo sguardo su di lei. La donna rimase in silenzio, ricambiando l'occhiata con profonda gravità. Delphine non ebbe bisogno di parlare, capì ogni cosa. Vide una tristezza senza tempo in quegli occhi, un sentimento proprio ma che era stato anche lo specchio di quello altrui.

“Delphine, sappiamo entrambe che questa storia potrebbe finire male. Ferdinand...ci sono tanti motivi per non fidarci di lui. Abbiamo già preparato il piano B, ma...ho bisogno di sapere che ti prenderai cura della mia famiglia”

Delphine socchiuse gli occhi, cercando di non pensare alla sua sparatoria, a quella di Kendall che Cosima le aveva descritto in un momento di folle delirio...a quella ipotetica che avrebbe stroncato Siobhan o qualcuno dei loro alleati. C'era qualcosa nel tono della donna che la faceva sentire impotente...mentre invece lei sembrava sapere qualcosa di più grande. La bionda aprì gli occhi, prendendosi ancora del tempo per finire la bevanda prima di rispondere.

“Lo farò. L'ho sempre fatto, lo sai. Le amerò tutte. Ho promesso”

Siobhan ridacchiò a quella solennità e si permise di accarezzarle di nuovo la spalla, lievemente.

“Non c'è bisogno però di ricreare l'ambiente di qualche mese fa. Cosima è quasi morta mentre tu non c'eri. E non sto parlando della malattia...”

Delphine sentì una forte fitta allo stomaco. Cosima era stata male per lei. Quanto male? Aveva organizzato tutto per non ferirla con la sua scomparsa e si era rivelato uno spreco. A ogni modo Delphine aveva imparato la lezione della vita. Aveva avuto ragione Cosima, mesi prima, quando le aveva fatto il discorso delle menti che brillano bene in coppia. Nel momento in cui avevano iniziato a nascondere la verità sulle rispettive decisioni, tutti era caduto a pezzi. Ma quali follie avevano fatto invece quando avevano pensato insieme? E in fondo era ciò a cui aveva pensato quando, nella sua deviazione dall'aeroporto a casa di Siobhan, si era fermata in quel negozio. Aveva visto scintillare l'insegna e non era riuscita a trattenersi dal fermare l'autista del suo taxi. Per questo aveva perso così tanto tempo. Si infilò una mano in tasca, nel cappotto, e tirò fuori una piccola scatola di velluto blu. La poggiò sul tavolo, sotto lo sguardo stupito di Siobhan e la aprì, rivelando un anello di diamante, caleidoscopico sotto i riflessi elettronici della lampadina.

“Oh dear...sono lusingata, ma devi sapere che il mio primo matrimonio non è finito bene” sussurrò, tristemente, ma con una punta di lieve ironia che fece arrossire Delphine. Siobhan carezzò il diamantino, inclinando l'angolazione del riflesso luminoso. I colori rimbalzarono sulla sua pelle, spettrali.

“Sei sicura, pulcino? Sono stati lunghi mesi difficili. E questo sarebbe un grande passo. Il grande passo”

Delphine sorrise, rilassandosi meglio sulla sedia. Erano stati mesi terribili. Si erano lasciati strappare via la propria umanità, la propria gentilezza. Ogni speranza era stata a lungo perduta. Ogni sicurezza neutralizzata. Ma lei avrebbe ripetuto tutto dall'inizio, dal primo reclutamento di Leekie, dal primo sorriso di Cosima, dalle prime occhiate diffidenti di Sarah e Felix. Avrebbe ripetuto le infinite notti trascorse a bere e a torturare Rachel, a torturare sé stessa. Avrebbe preso altri dieci spari all'addome solo per trovare Cosima. Cosima e le sue sorelle. Quelle infinite forme bellissime. Siobhan le lesse negli occhi quella nuova sicurezza, quella nuova maturità acquisita e fu certa che in fondo Delphine sarebbe diventata un solido pilastro per la famiglia nel caso in cui lei stessa non fosse riuscita a giungere alla fine.

“Madame S....non sono mai stata più sicura di nient'altro in tutta la mia vita”

Siobhan annuì prima di alzarsi e sostituire le tisane che aveva preparato con due calici di vino. Brindarono, godendosi gli ultimi istanti di quella lunga giornata.

“Se doveste aver bisogno di nascondere Kira...conosci l'indirizzo dei miei genitori, in Francia. Non esitate a dirigervi lì”

Siobhan la squadrò silenziosamente, accennando un sorrisetto. Che interessante combinazione di mistero e devozione era quella donna. All'inizio era stata trascinata dalla corrente, aveva permesso al DYAD di usarla, sbatterla da una parte all'altra solo perché non era stata in grado di schierarsi. Adesso però si era schierata. E se pochi mesi prima lo aveva fatto in modo ambiguo...stavolta non c'erano dubbi su chi avesse la sua lealtà. Ed era lì, più forte che mai, senza paura, rinata dopo quella che loro avevano creduto la sua fine. Forse Evie Cho non aveva mentito a Cosima quella notte. Forse Delphine Cormier era davvero morta in quel parcheggio. O forse si era solo evoluta. Dal positivo, al negativo, fino al ritorno al positivo, ma trattenendo in sé ogni briciola del negativo. Hegeliano, avrebbe detto Cosima. Siobhan pensava a qualcosa di più puro: umano.

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