Amore tra le righe

di clairemonchelepausini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
Prologo
 
 
 La sua vita non era di certo stata una passeggiata, avrebbe potuto riempire quotidiani, riviste e molto altro raccontandosi. Non che questo non fosse già accaduto.
Rebecca aveva sempre saputo tirar fuori il suo carattere, non aveva permesso a ciò che le era successo di determinare che tipo di persona sarebbe diventata.
Era sempre stata forte, coraggiosa e determinata, nonostante ciò le bastava chiudere gli occhi la sera per far si che il passato tornasse a tormentarla. E alcune sere erano più difficili di altre, e quella… quella sembrava una di quelle sere. «Non può essere tornato» si disse, iniziando a insaponarsi per poi sussultare ad ogni minimo rumore.
«Sarei già stata informata» continuò ancora a convincersi invano, ma quando del sapone finì nei suoi occhi e rimase accecata per qualche minuto, i battiti del cuore iniziarono ad aumentare e lei incominciò a tremare, mentre il fiato si fece sempre più corto.
«Ricomponiti» s’impose burbera con se stessa mentre passava a sciacquarsi il viso, il corpo e i capelli.
Uscì dal vano doccia ancora scossa, ma aveva la quasi certezza che fosse solo una sua paranoia.
Doveva essere così.
Non poteva rivivere di nuovo tutto.
Non un’altra volta.
Rebecca s’infilò le pantofole e poco dopo fu raggiunta dalla sua dolce amica a quattro zampe. Trilly iniziò a miagolare, a girarle intorno fino a quando lei non si chinò e prese ad accarezzarla. Quella piccola palla di pelo l’aveva seguito da Cervesina, non riusciva proprio a staccarsi e, sì, in qualche modo riusciva sempre a capire quando starle vicino.
Non era ancora pronta per rompere la sua bolla di pace, ma sapeva che doveva riprendersi in fretta perché la nonna sarebbe arrivata di lì a poco.
Si era appena rivestita quando sentì dei passi farsi sempre più vicino; sulle labbra si accentuò velocemente un sorriso.
«E’ pronto in tavola paperella» affermò la nonna davanti alla porta sorridendo, mentre si passava le mani sul grembiule che stava ancora indossando.
«Carla» la chiamò lei per infastidirla, sapeva quanto odiava sentirsi chiamare così, tuttavia quella sera decise di non ribattere.
Rebecca sperava di iniziare una piccola lotta, ma il viso della nonna le sembrò tirato e preoccupato e non sarebbe stata lei a chiederle. Dopotutto sua nonna meritava di avere i suoi segreti, soprattutto se ciò riguardava il suo cuore ancora dolorante. «Sì, arrivo» replicò lei, lanciandole un’occhiata per il nomignolo con cui ancora si ostinava a chiamarla.
L’anziana si avviò sorridendo, lasciando Rebecca in camera ad alzare gli occhi al cielo, circondata dai ricordi che quel nomignolo conservava. Era una donna adulta, eppure non era riuscita a farle smettere di chiamarla in quel modo.
Si alzò e si diresse in cucina, ma prima di oltrepassare la porta il suo sguardo cadde sulla fotografia che teneva sulla scrivania.
Un ricordo che custodiva gelosamente.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


NOTE:
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Capitolo 1


 
Rebecca si svegliò madida di sudore, con le lenzuola attorcigliate al corpo, il cuore che le batteva forte e l’aria che le mancava. Sapeva a cosa era dovuto, ma era da tanto che non le succedeva e non seppe riprendersi in fretta.
«Non di nuovo» inveì contro di sé, ma non poteva farci nulla.
No, non era del tutto intenzionale e lo sapeva bene.
Si passò una mano sul volto, si scostò i capelli appiccicati sul viso, allungò le gambe cercando di districare lenzuola e coperte e si lasciò cadere all’indietro. Ormai dormire era fuori discussione.
«Bel lavoro Rebecca» si disse mentalmente.
«Grazie, ma non è tutto merito mio» il suo io rispose infastidito.
Avrebbe potuto ribattere, ma che senso aveva? Era in piedi, ormai.
Guardò la sveglia che con la sua lucina rossa segnava le 3:40 come a volersi prendere gioco di lei.
«Perfetto» borbottò scendendo dal letto e indossando le sue pantofole per uscire dalla camera.
La sua testa le disse una cosa, i piedi fecero altro.
Non sapeva spiegarlo, a volte loro la capivano, un po’ come accadeva con Trilly.
Rebecca si avvicinò all’armadio, aprì uno sportello, poi un altro e nascosto dentro una scatola di legno estrasse l’oggetto che sapeva l’avrebbe aiutata. Tutte le volte in cui si sentiva così c’era solo una cosa che, come aveva sperimentato con gli anni, poteva funzionare.
Prima di uscire nel terrazzino, prese il plaid che aveva lasciato sul pouf vicino la sua scrivania e lentamente, cercando di non fare rumore, aprì la porta finestra e uscì. Non appena lo fece fu investita da un freddo gelido, uno di quelli che paralizza e ti lascia inerme; tuttavia Rebecca procedette verso il patio dove aveva nascosto una piccola poltrona.
La sua stanza era quella che si affacciava sul giardino, aveva un grande balcone, lo stesso che aveva studiato nei minimi dettagli e che aveva sistemato secondo i suoi gusti e le sue necessità.
Si lasciò cadere sulla poltrona coprendo tutto il corpo con il plaid, contrastando così il freddo dell’ambiente esterno con il caldo generato dall’indumento.
Non c’era nessuna luce all’orizzonte, tutto taceva.
I suoi occhi pian piano e con molta facilità si abituarono all’oscurità della notte, dall’altronde lei si era già abituata a situazioni molto più buie di quella. Rebecca rabbrividì. Si era ripromessa di non cadere di nuovo in quello stato, ma i suoi tentativi di lasciare fuori tutti i demoni quella notte sembravano inutili, spoglia quasi di tutte le barriere che con gli anni si era creata. Il suo cuore batteva ancora troppo forte, le sembrava che potesse uscirle dal petto e infatti, controllando i battiti come le era stato detto di fare, si accorse che erano davvero alti.
In quel momento la figura della sua terapista si piazzò di fronte a lei, poteva ancora sentire le sue parole e tutti i consigli su quella che ormai era diventata routine. Rebecca chiuse gli occhi, inspirò a fondo ed espirò a lungo, e grazie anche al buio che la circondava, riuscì ad immaginare un luogo rilassante e felice.
Ma come velocemente era riuscita ad immaginarlo, altrettanto velocemente precipitò, durando appena un battito d’ali, proprio come tante altre volte.
La sua mente la catapultò a quel momento che mai avrebbe dimenticato, lo stesso che precedeva ogni cosa.

«Mamma che sta succedendo?» domandò Rebecca con voce allarmata e gli occhi spalancati.
Sapeva che era normale vedere a casa loro persone in giacca e cravatta, con gli occhiali scuri, ma stavolta era diverso, stavolta avevano delle armi con loro.
«Becca ascoltami» iniziò la donna, la stessa che prese la sua piccola manina e la trascinò con sé in un’altra stanza dopo averla chiusa a chiave.
Non si era presa nemmeno la briga di muoversi, era spaventata come non mai, ma sapeva che Laura Ferrari, sua madre, aveva tutto sotto controllo, almeno era quello che voleva farle credere.
La donna si allontanò solo per un istante, prese una chiave e aprì un cassetto da cui estrasse una scatola di legno.
Laura si avvicinò alla figlia, la fece accomodare sul letto e poco dopo si sedette vicino a lei, mettendole in grembo lo scrigno.
«Becca…» provò la donna, ma la voce si bloccò in gola e si smorzò quando guardò gli occhi teneri e dolci della figlia. «Mamma io non voglio separarmi da te e papà» disse con grinta e forza.
«Tesoro, ora non puoi capire e probabilmente anche dopo non riceverai le risposte che meriti nè quelle che ti serviranno per fartene una ragione, ma devi sapere che io e tuo padre non abbiamo mai smesso di lottare per te», la abbracciò e con mani calme e ritmo costante prese ad accarezzarle la testa, nascondendo i suoi occhi.
«Sei troppo piccola per entrare in queste questioni, abbiamo cercato di tenerti sempre fuori dal nostro mondo, ma adesso sappiamo che non possiamo più farlo, non siamo più in grado di proteggerti e dobbiamo prendere le decisioni giuste per te».
Rebecca si avvicinò ancora di più, strinse la madre con tutta la sua forza e iniziò a singhiozzare; non era facile sentire quelle parole, ma la donna gliele disse lo stesso.
«Noi saremo sempre con te, devi crescere e diventare la donna che sappiamo diventerai, trova il coraggio per sostenere sempre la verità, per non nascondere chi sei e cosa vuoi. Mi devi promettere che farai sentire sempre la tua voce, che non ti lascerai intimidire, sottomettere o buttarti giù dalla vita e che dal dolore riuscirai a prendere la forza di cui hai bisogno». Laura provò ad essere forte, a non far trasparire il suo dolore, ma era pur sempre una mamma.
Rebecca alzò il suo viso verso quello di lei, le toccò la guancia con la sua manina e sorrise appena, doveva ricordarla così: felice e coraggiosa.
Il loro tempo stava quasi per scadere, lo sapeva bene Laura e quindi fece l’ultima cosa che avrebbe voluto, non con la figlia così piccola. Aprendo lo scrigno gli occhi di Rebecca s’illuminarono, all’interno c’erano diverse cose che aveva sempre voluto provare, una collana di perle, piccoli orecchini di smeraldo e un anello di diamante. Ma quello che attirò la sua attenzione fu la bibbia bianca, la stessa che sua madre stringeva spesso tra le mani e sulla quale piangeva.
«Becca devi promettermi che questo scrigno lo nasconderai, che terrai al sicuro questa bibbia e che quando ti sentirai sola la stringerai a te per avere me e tuo padre vicino, perché quando sarai più grande questo scrigno sarà il tuo futuro.
Non avrai tutte le risposte, ma qui dentro ci saranno piccole parti di noi» e, non fece in tempo a finire che qualcuno bussò alla porta facendo sussultare entrambe.
Il tempo era scaduto.



Rebecca fu ridestata dai ricordi da un forte tuono seguito da un fulmine che illuminò il cielo e fece scuotere tutto il suo corpo.
Quel ricordo era una parte di quanto più caro avesse, era stato il prequel di tutto quello che era successo dopo.
Il momento che aveva cambiato la sua vita.
Aprì lo scrigno e iniziò a ispezionare gli oggetti che conteneva, gli stessi che lei aveva visto ormai milioni di volte, che aveva stretto a sé e che la facevano sentire parte di una famiglia. Tutta la sua attenzione però, ancora una volta e come sempre, andò alla bibbia bianca, un testo sacro particolare in cui erano racchiusi i suoi segreti o almeno parti di essi.
Sfiorò con l’indice la copertina rigida della bibbia, poi passò a sfiorare la sacra famiglia realizzata in color argento e oro in rilievo e infine, molto lentamente, la aprì e un intenso profumo le colpì le narici.
Avrebbe voluto chiudere tutto, era proprio lo stesso che portava sempre la madre, ma ormai l’aveva aperta e… beh, doveva andare fino in fondo. Fin da piccola non era mai come le sue coetanee, all’età di quindici anni aveva già letto la bibbia, era molto religiosa, aveva pochi amici ed era la ragazza che parlava in modo strano.
Rebecca non si era mai curata delle parole che altri le dicevano e in quel momento sorrise ripensando invece alle parole della madre, così alzò gli occhi al cielo, convinta che loro la stavano guardando.
«Mamma, papà sono sicura che sarete fieri di me. Ho solo ascoltato il mio cuore, ho fatto quello che mi avete detto e… l’ho fatto a modo mio. Oh, non so se sarete d’accordo con il mio metodo, ma posso assicurarvi che funziona e poi… non c’è nessun modo per farlo sentire se non così» sorrise, lasciando che le lacrime dapprima trattenute scivolassero sul suo viso infreddolito.
Le sue mani sfogliarono quei fogli che ormai conosceva a memoria, tra le sacre scritture c’erano le lettere che Laura e Marco, i suoi genitori, le avevano lasciato; pezzi di ricordi, di storia e articoli di giornale.
Sì, quella bibbia conteneva molto di più, non c’era solo la storia di Gesù di Nazareth, ma anche quella della famiglia Ferrari, almeno in parte. Rebecca arrivò al punto in cui si fermava sempre, quello che la faceva sorridere ed emozionare tutte le volte: le promesse dei suoi genitori.
Lesse prima quella del padre, un uomo nato per le belle parole, poi quelle della madre un po’ impacciate, ma che alla fine si riscattava.
«Fammi un quadro del sole…Dammi l’illusione che ruggine e gelo non debbano arrivare mai!» e senza volerlo si ritrovò a recitarle ad alta voce, sentendo il brivido delle emozioni e quella sensazione di casa, famiglia e unione.
Stava per andare avanti quando una mano si poggiò sulla sua spalla e la calma e la pace che aveva trovato cambiarono all’improvviso con il gelo nelle sue vene, fermando quasi il suo cuore.
Non aveva il coraggio di voltarsi e non ebbe nemmeno il tempo.
«Sapevo che ti avrei trovato qua paperella» e, sì, a quelle parole Rebecca tirò un sospiro di sollievo, provò a calmare cuore e battiti e si voltò asciugando le lacrime e stampando un sorriso sulle labbra.
«Nonna, mi hai fatto prendere un colpo» affermò quasi infastidita per quella invadenza nel suo spazio, ma ancor di più per ciò che aveva appena sentito.
La donna la guardò e con un solo sguardo capì tutto e trasmise altrettanto.
Non era da sola.
Carla e Rebecca quella notte condividevano lo stesso dolore. Ed era così da molti anni.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


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Capitolo 2


 
La giornata non poteva iniziare in modo peggiore, la notte di prima non aveva dormito molto, neanche dopo che la nonna le aveva preparato la sua cioccolata calda preferita nè quando l’aveva stretta a sé e l’aveva convinta a dormire nel lettone con lei, tanto da essersi svegliata con un forte e infernale mal di testa.
Aveva appena messo piede in redazione per capire che l’aria che tirava era peggiore di quella del polo nord e già così non doveva aggiungere altro. Cercò di non curarsi molto del chiacchiericcio dei suoi colleghi, anche perchè lei ne era sempre esclusa; poggiò tutte le sue cose, si sedette alla scrivania e accese il computer. Aveva del lavoro da fare, indipendentemente da quello che si diceva in giro; non aveva mai creduto alle voci di corridoio. 
Rebecca sapeva bene che la redazione del quotidiano L’Osservatore, il giornale che osserva e riporta tutte le notizie, fosse un piccolo posto da dove partire, ma ormai le mancavano pochi mesi per finire il suo praticantato. 
Stava per leggere le miriadi di email che ogni giorno le arrivavano quando sentì un inconfondibile rumore di passi che si avvicinava; chiuse tutto e si alzò, pronta con la sua cartellina e la penna per prendere gli appunti che il grande capo le avrebbe dato.
Non c’era giornata peggiore di questa per far incazzare il capo.
«Ferrari rilassati, mettiti comoda e invia un’email a tutti i dipendenti avvisandoli di portare carta e penna alla nostra riunione delle nove e comunica inoltre che il prossimo ritardatario sarà licenziato» affermò, abbozzando un sorriso e sistemando la cravatta che tutte le mattine indossava fuori dall’abito e sempre spiegazzata.
«Sarà fatto signor Mariani» rispose lei in modo professionale e determinato, ma prima di andarsene la guardò un’ultima volta e ammiccò.
Tra i due c’era un accordo, lei avrebbe finito i diciotto mesi di praticantato nella sua redazione e poi lui le avrebbe dato una lettera di raccomandazione che l’avrebbe fatta entrare in una delle più grandi testate giornalistiche.
Oh, beh, l’accordo era quello, almeno fino a quando le cose non erano cambiate e il signor Mariani non era più sicuro di poter mantenere la sua promessa, ma questo Rebecca non lo sapeva ancora. 

L’ora designata era arrivata più velocemente di quanto avrebbe voluto, lei era sempre la prima ad arrivare, seppure non le spettasse; preparò carta e penna per tutti perchè sapeva già che i suoi colleghi non l’avrebbero fatto, riassettò l’ angolo della sala riunioni per acqua e caffè e sistemò tutte le sedie in modo che fossero ben allineate.
Non si accorse che aveva attirato l’attenzione di qualcun altro, un uomo che era rimasto sullo sfondo e che la stava osservando da tutto il giorno.
Rebecca si lisciò i pantaloni neri che quel giorno aveva indossato, sopra aveva accostato una maglietta leggera, violetta che risaltava le sue forme senza però farla sembrare volgare, anzi piuttosto professionale.
Nel mentre arrivavano i suoi colleghi, lei ritornò con la mente a tutti i punti della lista che avrebbe dovuto fare quel giorno, ma ritornò alla realtà quando vide apparire il signor Mariani.
Prese posto vicino al capo della redazione, aspettò che ognuno dei colleghi occupasse il proprio posto e poco dopo si girò verso il capo per sentire gli annunci di quel giorno.
Rebecca si sistemò sulla sedia e aveva ancora gli occhi abbassati quando sentì non due, ma ben quattro passi avvicinarsi verso di loro. E quando i suoi occhi si scontrarono con quelli dell’uomo misterioso, capì che tutte le certezze che aveva avuto fino a quel momento erano svanite, nello stesso momento in cui lui era apparso.
I mormorii e il chiacchiericcio sì intensificò, lei si guardava attorno e continuava a non capire perché tutto quel trambusto, ma le bastò ascoltare le parole del suo capo per mettere tutti i pezzi del puzzle al loro posto.
«Calma gente, so bene che da giorni girano diverse notizie, sicuramente alcune vere e altre no, ma oggi vi chiarirò ogni dubbio» affermò l’uomo, schiarendosi la gola e sistemando la cravatta nervosamente, un gesto che non passò inosservato a nessuno.
«Forse alcuni di voi l’avranno sentito, ma per quelli che non lo sanno, v’informo che il giornale sta per battere la bancarotta, purtroppo ho provato a far risalire le sorti della redazione, ma gli investimenti dei precedenti due capi redazione hanno reso il tutto molto difficile» parole che disse guardando ognuno di loro negli occhi, gli stessi che sorpassarono volontariamente quelli di Rebecca. Non poteva deludere quella ragazza, soprattutto non voleva vedere i suoi occhi feriti e pieni di rabbia.
«E l’uomo che è al mio fianco è colui che ci aiuterà in questo passaggio, non mi sto arrendendo, ma lascio il testimone all’uomo che ha portato al vertice la rivista Veritas» e un clamoroso oh si alzò dai vari giornalisti, mentre Mariani poggiò gli occhi su Rebecca, la stessa che aveva appena spalancato gli occhi.
«Credo che tutti conosciate la rivista, così come il suo motto che è diventato il mantra di ogni gesto, in altre parole Veritas vos Liberat ed è così che vi presento Leonardo Morelli» a gran voce, fiero di se stesso annunciò lui, mentre la mente di Rebecca si perse in ogni altro dettaglio, trascurando il resto della conversazione e ammirando quell’uomo che si trovava davanti a lei.
Non aveva mai pensato a qualcuno in quei termini, non che non avesse avuto dei ragazzi, ma quell’uomo trasudava passione, pericolo, mistero e sicuramente un grosso allarme di don Giovanni. Era innegabile che fosse attraente, ma sapeva bene anche che lui era tutto quello da cui era sempre scappata negli anni; le era già bastato avere il cuore a pezzi e sicuramente non avrebbe messo a rischio il suo lavoro per un uomo.
L’amore per la verità, per la lettura, per la voglia di approfondire ogni aspetto del mondo, per raccontare ogni avvenimento dal più bello al più drammatico l’avevano portata al posto dove si trovava ora.
Rebecca Ferrari sarebbe diventata una grande giornalista, non avrebbe mai tradito una promessa fatta, così come non sarebbe venuta meno ai suoi principi e, ancor meno alla verità.

La vita sapeva bene come sorprenderla, stava a lei adesso giocare con le carte che si trovava tra le mani.
C’è l’avrebbe fatta? Quello era da scoprire.

 

++++++ 


Erano passati diversi giorni, in redazione c’era ancora molto tumulto e, nessuno poteva capacitarsi che di lì a ben poco le cose sarebbero cambiate.
Perché?
Rebecca non aveva dubbi, il famoso Leonardo Morelli, la persona che si trovava sulle bocche di tutti sicuramente avrebbe voluto rivoluzione ogni cosa.
Ehm… lei era ancora sconvolta, si era portata avanti in quei giorni come un automa, ancora non aveva percepito ciò che sarebbe successo e quello che significava per lei.
La sua giornata procedeva bene, aveva svolto diversi punti della sua lista del giorno quando all’improvviso venne assalita da una paura immensa, da una tristezza che le bloccava il fiato e dagli occhi che le bruciavano perché tratteneva a stento le lacrime.
Il signor Mariani non perse un attimo di quel momento, la guardò dal vetro del suo ufficio e sospirò, aveva aspettato quel momento e ora avrebbe dovuto affrontarlo.
«Dannazione!» esclamò borbottando, facendo stridere la sedia e alzandosi di getto.
Quella ragazza era come se fosse sua figlia, quella che non aveva mai avuto ma che pregava arrivasse.
Al passaggio del capo tutti presero a fare qualcosa, chi a schiacciare ritmicamente le dita sulla tastiera, chi faceva fotocopie, chi correggeva bozze e chi cercava di sgomberare la propria scrivania.
Rebecca raggiunse il terrazzo appena in tempo, copiose lacrime scivolarono sul suo viso, non riuscì più a trattenerle.

Cercò di prendere in mano il suo autocontrollo, ma le mancava la forza per farlo perché adesso la sua vita era in bilico, proprio dopo tutto ciò che aveva dovuto fare per cavarsela.
«Non è giusto» affermò ad alta voce, con una tristezza immensa che traspariva, la rabbia che solcava il tono e il cuore ferito.
Non lo sentì arrivare, ma sussultò quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e ci volle tutto il suo autocontrollo per non girarsi e posizionare il suo pugno sul viso del capo.
«Maledizione, mi ha fatto prendere un colpo» disse senza emozione, spostandosi dal suo posto, correndo ad asciugarsi gli occhi, ma era troppo tardi.
Mariani l’aveva già vista e Rebecca non poteva nasconderlo e poi, che senso avrebbe avuto?

“Mai mostrarsi debole” rammentò a se stessa, con voce forte e dura.
“Mai abbassare la guardia” continuò il suo io a ricordarle.
“Mai farsi trovare impreparata” finì quella voce nella sua testa che, piuttosto che aiutarla la buttò nello sconforto.
Stava venendo meno alle sue regole e, sapeva che non doveva accadere, mai, per nulla al mondo.

«Mi dispiace» iniziò il direttore, ma quelle parole accesero la rabbia nei suoi occhi e, si dovette mordere la lingua per non dire ciò che da giorni stava tenendo dentro.
«Non è colpa sua, ho sbagliato ad abbassare le mie difese e a credere che..», ma non fece in tempo a finire che lui la fermò mettendole una mano sul braccio scuotendo il capo.
«Rebecca sai bene che per me sei come una figlia, l’ultima cosa che volevo era ferirti e so bene che non te lo meriti e…»
«Eppure è quello che è successo» convenne lei, non lasciandosi più addolcire da quell’uomo e rispondendo a modo.
«So che non mi perdonerai mai, tuttavia io farò di tutto per farti rimanere qui, per farti avere un lavoro dopo il praticantato e per far sì che tu possa realizzare il tuo sogno» affermò il signor Mariani con determinazione, sorridendo e guardandola con gli occhi di un padre.
La verità era molto ben lontana da quella, lui non lo era e lei non aveva più un padre.
Rebecca si sistemò i vestiti, fece un segno del capo e voltando le spalle si avviò verso il bagno, doveva risciacquare il suo viso e tornare operativa.

“Non farti abbattere da niente e nessuno” ricordò ancora una delle sue mille regole, ma a volte era più facile a dirsi che a farsi.

Ancora una volta la vita le stava mettendo davanti un ostacolo, lei doveva solo prendere la rincorsa, prepararsi a saltare, alzare appena in tempo la gamba nella giusta posizione e superarlo.
Poteva farcela.
Lei era Rebecca Ferrari.
Aveva appena messo piede sulla soglia della stanza quando le parole del suo direttore la colpirono, ghiacciando il sangue e facendola arretrate appena in tempo per vedere il suo viso.

«Un giorno qualcuno lo scoprirà» disse semplicemente, con tono pacato, senza minaccia e con un timbro appena addolcito.
La superò lentamente, si voltò a guardarla e ritornò nel suo ufficio.
Rebecca rimase in quella posizione per un tempo che sembrò infinito, ma che in realtà era solo pochi secondi.
Ogni cosa crollò; le sue certezze vennero frantumate, la paura ritornò a tartassarla e il suo cuore prese a battere a ritmi di un tempo.Veloci, sempre più veloci quasi come a darle la sensazione che il cuore le esplodesse dal petto e potesse uscire, lasciandola priva di vita davanti agli occhi di tutti.

“Riprenditi” s’impose con freddezza.
“Nessuno sa chi sei. È impossibile che sappia” continuo la voce nella sua testa, ma quelle parole sembravano scivolarle addosso.

Rebecca voleva certezza, così con passi determinanti si diresse nell’unico posto in cui avrebbe potuto trovarla.
C’era quasi, poteva sentire sulle labbra le parole che avrebbe detto, quando all’improvviso la sua strada venne bloccata.
Fece appena in tempo ad alzare gli occhi quando si trovò davanti il nerd capo degli informatici.
«Sappiamo bene che mi faranno fuori, ma tu rimarrai e ballerai sui nostri cadaveri» e, a quelle parole Rebecca sorrise appena, accentuò un sorriso, ma si morse le labbra per non ridere con gusto.
«Prima di essere licenziato devo togliermi questo peso», ma Rebecca lo interruppe, non poteva sopportare altro.
«Max, sembri uscito da un film catastrofico o da uno di quelli dove il nerd informatico annuncia un complotto, calmati, continua a fare il tuo che vedrai…»
«Rebecca, sicuramente nessuno te lo dirà mai, ma tu fai paura agli uomini, hai un carattere che intimorisce noi poveri umani e con i tuoi atteggiamenti non dai spazio a nessuno di dire la sua, di avere un’ opinione diversa dalla tua» e, prendendo fiato passò una mano sui suoi capelli, spettinandoli appena, e guardandola negli occhi continuò.
«Non ci hai mai dato l’opportunità di invitarti fuori per un drink, sei sempre sembrata fuori dalla portata di tutti noi, ma Rebecca Ferrari sei come tutti noi, anche la tua testa può partire anche se il capo..» e, a quelle parole in tutta la stanza risuonò uno schiaffo che fece arrossire la guancia di Max.
«Non ti permettere mai più a dire una cosa così» ribattè a denti stretti, con voce furiosa, con gli occhi che lanciavano fiamme.

«Potrai sentirti a un gradino sopra tutti noi, ma non è così. Sei bellissima, sexy ma anche irraggiungibile. Avrei voluto avere il coraggio di farmi avanti prima, ma tu te la sei sempre tirata e, sì, può essere intrigante ma è anche asfissiante».
Lei continuava a rimanere senza parole mentre la rabbia le montava dentro. Era scioccata eppure le veniva da ridere. Era tutto sbagliato e non c’era niente di più falso in quelle parole, in quel discorso.
«E tutto questo papiro è per dirti che… Azzurro è il mare, come i tuoi occhi», ma stavolta Rebecca non resistette più, scoppiò a ridere e senza dire una parola gli voltò le spalle e se ne andò.
Sì, proprio così, adesso Rebecca Ferrari poteva dire di aver visto di tutto.
Max fece due passi, si sfiorò la guancia rossa e dolorante e prima di ritornare nel suo ufficio notò dei passi che lo raggiunsero.
«Lei potrà essere tutto questo, ma non è un suo problema, sei tu che sei una mezzasega che non sa nulla di donne. Lei è tutt’altro che sfiancante e, se ti fa intimorire e spaventare è perché non sei un uomo e poi.. imbecille… i suoi occhi sono verdi» e, a quelle parole Max si girò, ma non fece in tempo a vedere l’uomo che era già di spalle.
Le sue parole risuonavano ancora nella redazione, ma nessuno seppe chi le avesse dette.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


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Capitolo 3

 
Rebecca arrivò a casa più tardi del previsto, salutò la nonna, si buttò sotto la doccia e crollò subito dopo sul letto, per quel giorno ne aveva abbastanza.
I suoi occhi si chiusero non appena tirò su le coperte, ma neanche quella notte avrebbe potuto dormire sonni tranquilli.

«Un giorno qualcuno lo scoprirà» disse semplicemente, con tono pacato, senza minaccia e con un timbro appena addolcito.
La superò lentamente, si voltò a guardarla e ritornò nel suo ufficio.
Rebecca rimase in quella posizione per un tempo che sembrò infinito, ma che in realtà racchiudeva solo pochi secondi.
Ogni cosa crollò; le sue certezze furono frantumate, la paura ritornò a tartassarla e il suo cuore prese a battere ai ritmi di un tempo.
Veloci, sempre più veloci quasi come a darle la sensazione che il cuore le esplodesse e potesse uscire dal petto, lasciandola priva di vita davanti agli occhi di tutti.

“Riprenditi” s’impose con freddezza.
“Nessuno sa chi sei. È impossibile che sappia” continuò la voce nella sua testa, ma quelle parole sembravano scivolarle addosso.
 
 
 Quel ricordo la fece svegliare di soprassalto, ancora una volta il suo passato tornava a tormentarla, ma scostandosi i capelli, alzandosi e poggiando la schiena sulla spalliera del letto si disse che era impossibile.


Iniziò a vagliare le possibilità, cercò di ricordare se le era sfuggito qualcosa, se avesse detto o fatto qualcosa per suscitare la curiosità del suo capo e poi ricordò.
«Dannazione!» esclamò arrabbiata, più di quanto il suo viso scuro non potesse mostrare.
Non poteva fare nulla, guardò la sveglia a forma di coniglietto rosa che i suoi le avevano regalato per Natale e che si trovava al suo fianco, segnava le 4.
No, era decisamente presto per buttare giù dal letto le sue amiche.
Scivolò di nuovo in basso, scostò le coperte e rimase ad ammirare il soffitto, nella speranza che il sonno sarebbe tornato a far da padrone.



 
+++++++



Si era già preparata la seconda tazza di caffè quando nonna Carla la raggiunse in cucina, le era bastato guardarla per capire.
«Ancora brutti sogni?» domandò cauta, pur conoscendo la risposta; la accarezzò mentre passava al suo fianco per preparare la colazione.
«No, nonna… stavolta penso che sia molto peggio» si lasciò sfuggire, parole che non passarono inosservate all’anziana.
«Che significa?» domandò subito dopo preoccupata e con un tono di voce allarmata.
«Penso che il mio capo abbia capito chi sono e conosce il mio passato» buttò di getto quelle parole, prive di ogni emozione con la rabbia che le montava dentro.
Era arrabbiata con se stessa, stava lottando per non annegare e per sopravvivere, ancora una volta.


Lei continuava a ripensare a tutti i suoi movimenti, alle parole dette, alle chiamate ricevute, mentre la nonna pensierosa iniziò a sbattere le uova per preparare i pancake.
Nella stanza calò il silenzio, disturbato solo dai piccoli miagolii di Trilly che stava facendo di tutto per attirare la loro attenzione e, quando Rebecca la guardò, si alzò come un’autonoma e prese a darle un pugnetto di crocchette.
«Se dobbiamo trasferirci di nuovo, devi darmi il tempo di preparare tutto, di parlare con…», ma non fece in tempo a finire che la nipote la abbracciò forte, consapevole che dopotutto non era da sola.
«Devo sentire le ragazze e poi vediamo il da farsi» affermò Rebecca, con il cuore a pezzi e la speranza sotto i piedi.
Non di nuovo, non poteva succedere ancora.
Aveva appena messo in piedi la sua vita, stava riuscendo a realizzare il suo sogno e per la prima volta si era concessa di avere speranza, d’immaginarsi una vita diversa.
Quel mattino fecero colazione in silenzio, c’era pace e tranquillità, fin troppo si dissero, ma nessuno delle due aveva voglia di parlare e così consumarono i pancake pensando che tutto sarebbe cambiato.





Rebecca era appena uscita da casa quando il telefono prese a squillare e, destreggiandosi tra le mille cose che teneva in mano prese a rispondere e aprì contemporaneamente la macchina.
«Rebs siamo qui» affermarono all’unisono Ludovica e Melissa, rispettivamente dalle loro case e con una chiamata condivisa.
«Oh, ragazze!!» esclamò con voce rotta, sul punto quasi di mettersi a piangere.
«Che succede?» domandarono ancora una volta all’unisono; quelle ragazze avevano la capacità di essere in simbiosi anche ad infiniti chilometri di distanza.
Rebecca si sedette in macchina, chiuse la portiera e fece per accendere il quadro, sperando allo stesso tempo che il suo cuore smettesse di battere così forte; un secondo dopo cercò di spiegare il tutto, provando a trovare una soluzione plausibile che le permettesse di non mollare tutto e scappare.  



 
+++++++++



 
Non aveva mai lavorato così sotto tono, pur se in una piccolissima parte di sé aveva cercato di mantenere quella piccola speranza che le sue amiche le avevano dato.
Era difficile.
Il castello che si era creato si stava disintegrando davanti ai suoi occhi.

“Oh, beh, certo adesso facciamo anche la melodrammatica” le disse il suo io, ma non se ne curò e continuò a pensare a tutte le catastrofi.

Avrebbe dovuto alzare di più l’attenzione perché quando si trovò davanti a sé la figura di Leonardo Morelli, Rebecca non era preparata allo scontro che stava per arrivare improvvisamente.
«Le stavo volutamente dicendo che è buffo, troppo rosa, troppo femminile e troppo…», ma prima ancora di finire la guardò e sogghignò, contento di aver colpito nel segno.
Negli occhi chiari di Rebecca arrivò una vena di rosso.
Lui voleva vedere di che pasta fosse fatta.
«Posso aiutarla?» si trovò a chiedere di nuovo mordendosi la lingua e cercando di essere disponibile, gentile e tutte quelle qualità che aveva sempre avuto sul posto di lavoro.
«Sì, beh, se riesce a fare due cose contemporaneamente» lasciò la frase aperta perché si aspettasse che lei gli desse del filo da torcere, ma ancora nulla.
I suoi occhi alla fine si incastrarono in quelli di lui, non voleva dar tanto, ma era impossibile non notarlo. Leonardo Morelli incarnava perfettamente la figura di un uomo che avrebbe fatto felice qualsiasi donna e lui lo sapeva bene.
«Mi dica cosa le serve che farò il possibile per accontentarla» si affrettò a dire Rebecca, ma stavolta scelse le parole sbagliate perché vide il guizzo nei suoi occhi e capì che stavolta si trovavano su un altro sentiero.
Leonardo ammiccò, stava per ribattere e lo avrebbe fatto, ma stavolta nonostante essersi morsa la lingua, lo precedette.
«Potrà anche essersi fatto un’idea di me, ma si sbaglia se crede che sia quel tipo di persona, se crede che una donna non possa valere quanto un uomo, incapace di fare due cose contemporaneamente e… Sì, sono arrivata fin qui con dei sacrifici che lei non potrà mai capire né comprendere. Mi dica quindi, cosa posso fare per lei?» si trovò a ribattere con voce professionale ma dura; tuttavia lui era un Morelli e lei lo intrigava troppo per lasciarsi scappare questa possibilità.
«Lei sta giudicando un libro dalla sua copertina» disse, alzando lo sguardo su di lei appena in tempo per vederla accentuare un sorriso.
Quello scontro si stava facendo interessante, ma nessuno dei due sarebbe mai stato pronto per ciò che sarebbe successo.
«Vorrei fare un colloquio solo con lei, dopotutto ho avuto delle ottime referenze e diverse lettere sul perché tenerla ed io… beh, al momento vedo solo un bel faccino che ha fatto strada, ma non sono sicuro che non sia stato perché l’hanno facilitata» affermò serio lui, cogliendola alla sprovvista e non dandole il tempo di rispondere.
Leonardo Morelli se ne era già andato, ma la rabbia di Rebecca aveva appena iniziato a venir fuori e la sua fortuna fu proprio quella che lui non era davanti a sé.
Chiuse gli occhi, fece un respiro, cercò di calmare l’oceano in tempesta che aveva dentro, ricordò tutto quello che aveva da perdere e sospirò.
Non doveva lasciarsi abbattere.
Poteva farcela e… beh, Leonardo Morelli non sapeva contro chi stava giocando e, se avesse voluto una guerra, Rebecca sarebbe stata pronta ad affrontarla.
Leonardo 1- Rebecca 0.
Era solo l’inizio.



 
++++++


 

Quella giornata sembrava non finire per Rebecca, tornò a casa appena in tempo per vedere la nonna rassettare.
Indossò il pantalone di una tuta ormai vecchio e sopra una maglia extralarge, più per comodità che per stile, così dopo aver pettinato i capelli, si stampò un finto sorriso sul viso e scese per cenare.
Ancora una volta nonna Carla le aveva preparato i suoi piatti preferiti, erano l’unico modo che aveva da piccola per essere felice.
Se lo ricordava ancora e con quel pensiero la abbracciò.
«Ti voglio bene» sussurrò al suo orecchio mentre continuava ad abbracciarla.
Si era appena buttata sul letto quando pensò a Mariani, quel giorno aveva fatto di tutto per non incontrarla o per non rimanere da solo con lei.
Si domandò cosa avesse in mente, quell’uomo per lei sarebbe rimasto sempre un enigma, ma adesso c’erano in gioco diverse cose e soprattutto il suo passato.
No, non poteva lasciar correre.
L’indomani sarebbe andata da lui e avrebbero parlato.
Si era appena messa a letto quando il suo telefono prese a squillare.
«Buona sera squinternata» disse con voce felice lei quando accettò la chiamata condivisa con Ludovica e Melissa.
«Ho fatto un giro di telefonate, puoi stare tranquilla perché nessuno ti ha menzionato e soprattutto sta parlando di te» affermò la sua amica avvocato che, grazie al suo lavoro si era creata un certo giro.
«Io però non riesco a capire» si trovò ad ammettere lei, perché il suo capo le aveva detto quella frase?
«Sai bene quanto detesto parlare con lui, ma l’ho fatto» e, a quelle parole, tutte furono sull'attenti mentre un senso di colpa attanagliò Rebecca.
Avrebbe dovuto saperlo.
«Melissa perché l’hai fatto? Non te lo avrei mai chiesto» disse dispiaciuta, conosceva la sua storia e sapeva quanto le era costato.

“Ecco un’altra cosa per cui sentirsi in colpa e per cui sarebbe stato meglio tagliare i ponti con tutti”, ma subito dopo averlo ammesso si disse che senza di loro e sua nonna non ci sarebbe stata nemmeno lei.

Venne portata alla realtà quando sentì uno schiarirsi di voce e la loro conversazione continuò.
Rebecca sperava di essersi sbagliata, ma quella sensazione, la stessa che aveva provato diverse volte non spariva e le parole dell’amica le dissero che doveva comunque guardarsi attorno.
La sua mente era un turbine di emozioni, sensazioni, ricordi, momenti e pensieri; tuttavia la stanchezza giocò a suo favore perché poco dopo aver chiuso con loro, cadde in un sonno profondo, sfinita di tutto ciò che provava.



 
++++++++++++



Era da fin troppo tempo che non dormiva così, non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta e si alzò sorridendo.
C’era una grande incognita, tuttavia pensò di cedere e credere che tutto sarebbe andato bene, doveva avere fiducia e speranza.

“Non ti riconosco quasi” le sussurrò il suo io, pronta a prenderla in giro.

Rebecca aveva appena indossato la sua mise di corsa quando sentì l’arrivo di un e-mail, strano considerata l'ora.
Gli bastò leggere il mittente per alzare gli occhi al cielo e sentire rimontare la rabbia.
«Che dannazione vuole Morelli?!» affermò digrignando i denti.
Aprì l’e-mail e rimase senza parole, incapace di capire il senso.

A: Rebecca Ferrari
Da: Leonardo Morelli
Oggetto: Colloquio di lavoro


Buongiorno, 
nel caso in cui si fosse dimenticata, mi premeva ricordarle che oggi alle 15 pm  ci sarà il nostro colloquio e per l’occasione ci tenevo a dirle tutto quello che mi servirebbe avere:
- Il suo primo articolo
- Il suo primo articolo che è finito in prima pagina
- Il suo articolo su diverse tematiche quali: società, attualità, gossip, politica, sport e beh, se ne ha altri li porti pure
E poi, a sua scelta desidererei avere anche alcuni suoi articoli che lei pensa mi possano far capire chi è, come lavora, perché dovremmo tenerla e soprattutto perché vuole fare la giornalista.
Oh, beh, ovviamente non è finita perché sarei troppo magnanimo dato che questo è stato già scritto.
Durante il nostro colloquio vorrei che mi portasse un articolo da scrivere per me, partendo da questa frase di Christian Bobin: “Ciò che non può danzare sul bordo delle labbra va a urlare in fondo all’anima”.
Ovviamente per non mancarle di rispetto può scrivere un articolo di qualsiasi genere, purché questa frase non solo sia citata, ma soprattutto sia il fulcro di tutto l’articolo.

Leonardo Morelli


Era senza parole.
Rebecca dovette leggerla un paio di volte prima di renderesene davvero conto, mentre dentro di sé cercava davvero di rimanere calma e soprattutto di essere professionale.
Era impossibile.
Non aveva ancora preso le redini della redazione e stava già facendo la rivoluzione, ma ciò che le diede fastidio fu che:
1,  lei era già stata assunta,
2, non doveva dimostrare a lui e a nessun altro il suo lavoro e
3, per qualsiasi dubbio avrebbe potuto chiedere a Mariani.
Dopo aver indossato anche le scarpe, si passò una mano nei capelli che in quell’occasione aveva legato con una coda e pensò che nessun altro aveva avuto un colloquio con il grande capo.
Perché lei? Quella domanda le stava tartassando la testa, ma continuava a non capire e, non appena fece pochi passi, il suo telefono squillò di nuovo.
«Io lo uccido» disse tra i denti, stringendoli tanto da sentire quasi la mandibola scricchiolare.
Si apprestò a prendere l’oggetto tra le mani e quando aprì l’ennesima e-mail con mittente sempre Morelli, divenne rossa di rabbia.
Si stava prendendo gioco di lei, era chiaro e non sapeva se rispondere a modo o lasciar correre.
Quello che si palesò davanti ai suoi occhi furono diversi oggetti per la scrivania tutte rosa, c’erano alcune più sobrie, ma la maggior parte erano oggetti strani e buffi.
Provò a mantenere la calma, inspirò ed espirò diverse volte, ma perse ogni controllo quando raggiunse la fine dell’e-mail.

Le ho allegato diversi oggetti che potrebbero servirle e, dato che sono o meglio sarò un capo che si prende cura del personale, che sta attento alle loro esigenze e soprattutto preferenze, ho cercato tutto sul rosa così da essere in tono con il suo portapenne.
Mi faccia sapere cosa ordinare che lo farò e, non si preoccupi delle spese, se è ciò che le serve per trovare la concentrazione lo farò senza problemi.
Ah dimenticavo, una delle regole d’azienda è che non si possono avere relazioni sul lavoro e si vocifera che lei in redazione è alquanto richiesta dai suoi colleghi.
La ringrazio per la sua cortese attenzione e le chiedo gentilmente di trasmettermi un e-mail con ciò che le aggrada di più, così da fargliele avere il prima possibile.


Rebecca stava emettendo fumo dalla testa, dalle orecchie e da tutto il resto del corpo.
Quell’uomo aveva la capacità di farla innervosire in un nano secondo.
Decise di non rispondere, chiuse tutto e lanciò il telefono sul letto, prese le cuffie, se le mise e sparò la musica a tutto volume.
Doveva eliminare tutto, ogni singola fonte di emozione, soprattutto quando quegli occhi verdi non facevano che saltarle davanti o quel fisico scolpito e asciutto la destavano dai suoi sogni tranquilli.
Sapeva già che sarebbe stata una lotta continua.
Quell’uomo l’avrebbe sfinita, ma era pronta a fargli la guerra, anche se adesso era in netto svantaggio.
Leonardo 2- Rebecca 0.  
 

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