IL PIANO RINASCITA

di Feisty Pants
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** 1. SEPARATI ***
Capitolo 3: *** 2. BINGO! ***
Capitolo 4: *** 3. BIENVENIDOS! ***
Capitolo 5: *** 4. SIAMO TORNATI ***
Capitolo 6: *** 5. MASCHERA ***
Capitolo 7: *** 6. AGATA ***
Capitolo 8: *** 7. PATATRAC ***
Capitolo 9: *** 8. PIANO RAYO ***
Capitolo 10: *** 9. SALTATA COPERTURA ***
Capitolo 11: *** 10. ERROR ***
Capitolo 12: *** 11. UNA NUOVA CARICA ***
Capitolo 13: *** 12. TREGUA ***
Capitolo 14: *** 13. FALSA TRANQUILLITÀ ***
Capitolo 15: *** 14. MAMMA ***
Capitolo 16: *** 15. JARANA HERMANA ***
Capitolo 17: *** 16. AXEL ***
Capitolo 18: *** 17. LA PARTITA FINALE ***
Capitolo 19: *** 18. LA POTENZA DI UN SORRISO ***
Capitolo 20: *** 19. IL PIANO RINASCITA ***
Capitolo 21: *** 20. IL SORRISO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


PROLOGO
 
Mattina, ore 8.00, esattamente una settimana dall’uscita dalla Banca di Spagna. Ormai contare le ore e il passare del tempo non serviva più. Era più facile vivere sotto la pressione di orari prestabiliti, piani organizzati nei minimi dettagli e mansioni specifiche da svolgere piuttosto che interfacciarsi con la quotidianità. Ora la vera missione consisteva nell’imparare a vivere, semplicemente vivere… proprio come si era riusciti a fare dopo la rapina alla Zecca di Stato. Questa volta, però, tutto sembrava più complicato avendo lasciato molte questioni irrisolte.

“Ora che siamo usciti dalla Banca dobbiamo prestare molta attenzione. Sierra, Gandia, la polizia, i servizi segreti sono sulle nostre tracce, chi in modo legale e chi per il semplice gusto di vendetta. Per questo nessun luogo è sicuro per noi” spiega il professore una volta giunti, grazie a controlli e scorte, in una casa abbandonata di un bosco spagnolo.

“Sanno dei trasportatori, sanno che eravamo su isole deserte e per questo i luoghi più isolati saranno i primi ad essere setacciati. Ecco il motivo per cui non possiamo restare fermi. Mi sono preoccupato di acquisire quante più proprietà possibili in modo da poterci spostare in sicurezza raggiungendo delle vere e proprie case già ammobiliate e sistemate” continua Sergio, mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni.

“E come ci muoveremo? Che divisioni facciamo?” chiede Palermo dubbioso di quel nuovo piano di rinascita che, invece, pareva più un carcere.

“Ognuno avrà un’identità diversa in ogni nazione. Ne ho preparate a sufficienza per ognuno di voi e diventeremo degli ottimi costumisti per camuffare al meglio le nostre sembianze naturali. In più non ci separeremo… la squadra è questa e dopo ciò che è successo all’interno della banca, io voglio avervi al mio fianco almeno finché la situazione non si sarà calmata” continua determinato Sergio, guardando negli occhi i propri condottieri.

“E le nostre vite private? Vivremo di nuovo tutti insieme? Per non parlare dal punto di vista sociale… non possiamo uscire?” domanda perplesso Denver, cominciando ad infiammarsi per quelle restrizioni.

“Tutti voi avrete la propria privacy all’interno delle varie abitazioni. Sono luoghi grandi, isolati e spaziosi proprio come la casa in cui ci troviamo ora. Ci sono addirittura più cucine, più bagni e tantissime camere per permettere di dividervi come meglio credete. Per quanto riguarda l’uscire è altamente escluso. In questo momento le persone sono ancora adrenaliniche per quanto successo e ci riconoscerebbero tutti saltandoci al collo proprio come si fa a un cantante famoso che si incrocia per strada” puntualizza il professore, aggiustandosi gli occhiali come è solito fare, per poi riportarsi le mani in tasca.

“Professore…” si intromette Rio con voce tremante.

“Cosa faremo adesso? Con Sierra, Gandia e altri in circolazione pronti a trovarci ed ucciderci?” dice il ragazzo dai riccioli castani, intimorito dall’idea di avere a piede libero degli assassini pronti a fargli saltare in aria la testa da un momento all’altro.

“Ormai è ovvio che la vera paura non riguarda la polizia, ma proprio Gandia, Sierra e i servizi segreti che agiscono contro la legge pur di appenderci a delle forche. Per questo dobbiamo restare in allerta e prestare molta attenzione ad ogni nostra mossa. Sicuramente loro si staranno organizzando in modo molto simile a noi e non si fermeranno finché non ci avranno trovati” risponde chiaramente il professore, mettendo le dita a pinza e sistemandosi nuovamente gli occhiali a causa del solito tic.

“E noi resteremo qui ad aspettarli? Ormai è una guerra, siamo ricercati entrambi quindi la gara consiste nel…” comincia a dire Nairobi, sdraiata su una poltrona con una mano sul fianco per colpa delle ferite e del dolore al polmone che ancora non si erano placati.

“Trovarci a vicenda e fare in modo che la polizia stani uno dei due gruppi” conclude il professore, facendo intuire ai ragazzi di avere in mente una sorta di piano.

“E come fare ciò professore?” si intromette Bogotà massaggiandosi il mento coperto dalla morbida barba bruna.

“Non so ancora esattamente il piano, ho bisogno di tempo per idearlo ma sicuramente tutto prevederà la ricerca di Sierra e Gandia. Dovremo stanarli, scoprirne la tana e condurci la polizia. Una volta in arresto, noi saremo liberi come prima” conclude il professore determinato, osservando ognuno di loro negli occhi.

“E ora, miei cari, buona vita” conclude Sergio mostrando un largo sorriso, desideroso di godersi alcuni attimi di riposo prima di immaginare un nuovo colpo per fare scacco matto ai veri cattivi della storia.

La banda scioglie l’assemblea prendendo direzioni diverse. Denver, con indosso una canottiera grigia e dei pantaloncini corti, esce immediatamente all’aria aperta per fumarsi una sigaretta. Monica, accortasi della reazione, decide di seguirlo per parlare del da farsi.

“Sei nervoso?” chiede lei alle spalle dell’uomo che si stava accendendo la sigaretta.

“Tu che cosa credi?” risponde lui rigirando la domanda, considerandola fin troppo banale.

“Ormai il peggio è passato e ora bisogna ricominciare” sussurra Stoccolma guardando per terra, intenta a far rotolare con i piedi qualche piccolo sasso sul suolo.

“Il problema è proprio questo Monica. Come facciamo a ricominciare? Sono successe troppe cose dentro la banca. Arturo che ti si è strusciato addosso e che ora partirà alla carica per cercare nostro figlio, i miei sfoghi di rabbia, tu che hai deciso di lasciarmi per poi diventare la grande confidente di Rio… come facciamo adesso? Tu non mi vuoi più no?” spiega Denver amareggiato, avvertendo la propria vita sgretolarsi pian piano tra le proprie mani.

Monica non sa che cosa rispondere. Dentro di sé vige il caos e il disordine. La donna ricorda la cattiveria di Denver, la sua gelosia, la paura che le ha trasmesso quando ha assistito alla sua aggressività, le parole dure che gli ha rivolto e intuisce quanto sia difficile riprendere a vivere.  La riccia sa che non si possono cancellare quei brutti momenti ma, mentre si gira la fede in modo nervoso, capisce che proprio in quell’oggetto era racchiuso un nuovo inizio.

“Siamo partiti per la rapina con delle questioni in sospeso. Abbiamo litigato e ci siamo allontanati, ma ho sbagliato anche io. Tu volevi solo proteggermi e io ti ho dato del maschilista. Tu eri arrabbiato perché avresti voluto dedicare quel tempo a Cincinnati piuttosto che alla violenza. Tu eri aggressivo perché in realtà dentro di te sentivi una fragilità che non hai mai provato prima” inizia a dire Monica, avvicinandosi al marito e fermandosi a pochi centimetri da lui.

“Questo anello, però, mi ricorda della nostra promessa: di amarci per sempre e starci accanto nelle difficoltà. Io sono crollata al primo momento senza volerci minimamente pensare e per questo ora voglio proporti di ripartire. Supereremo tutto, ci faremo aiutare, vinceremo la violenza e i nostri fantasmi. Io voglio rinnamorarmi di te in ogni modo possibile” conclude la bionda trovando il coraggio di alzare lo sguardo e fissare i propri occhi in quelli tristi di Denver.

Il ragazzo trova opportuno non rispondere e lasciarsi penetrare da quelle parole così profonde che condivideva pienamente. Tra di loro c’era ormai una frattura, ma il matrimonio era la miglior occasione per ripartire. Scosso da quelle parole, il ragazzo butta via la sigaretta e annuisce alla donna per poi prenderla per mano e rientrare nell’abitazione. La banda era sempre stata unita ma, ora, erano i rapporti interpersonali a trovarsi in trappola e difficoltà.

Il piano “rinascita” era appena iniziato ma, questa volta, non riguardava solo Denver e Monica. Tutte le altre coppie esistenti, infatti, si trovavano in una crisi profonda: obbligate ad imparare a condividere la vita quotidianamente come qualsiasi persona normale, superando ostacoli di cuore e carattere ben più complicati di una rapina in banca.

SPAZIO AUTRICE:

Ciao a tutti! Eccomi qui, mi presento: sono Feisty Pants e mi sono appena trasferita in questo nuovo fandom avendo appena divorato tutte le stagioni della Casa di Carta. Questa è la prima volta che provo a cimentarmi in una storia nuova, ricca di colpi di scena e azione per questo chiedo venia in anticipo. 
Per quanto riguarda la trama ho modificato due aspetti rispetto alla quarta stagione: Nairobi è stata risparmiata da Gandia e il professore, nonostante l'ultima scena della serie lo raffiguri con la pistola di Sierra puntata alla testa, è riuscito a portare fuori la banda dalla banca...non so come, quindi lascio alla quinta stagione il compito di spiegarmelo. Sta di fatto che tornare alla vita normale questa volta non sarà semplice e insorgeranno mooolti problemi. 
Ringrazio in anticipo i miei due tesori Ivy01 ed Eternal Rome per avermi fatta appassionare a LCDC e per supportarmi in ogni passo. 
Buona lettura a tutti,
chiki pum, chiki pum, chiki pum...

Feisty Pants

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Capitolo 2
*** 1. SEPARATI ***


CAPITOLO 1
SEPARATI

 

Primo mese di convivenza nella nuova casa nel bosco di Sevilla.

“Alejandro Perez?! Ma che razza di nome è?!” si lamenta Bogotà osservando la propria cartelletta contenente tutto il materiale sulla sua nuova identità.

“A A A A A A A” comincia a ridere Denver con la solita risata esagerata, mentre sorseggia dell’amaro.

“Smettila di ridere coglione” bofonchia Bogotà infastidito, abbassando le varie carte e fissando lo sguardo sul compagno di banda.

“Non è proprio un cognome da maschio alfa, ma devo dire che il nome Alejandro mi eccita parecchio” scherza divertita Nairobi, seduta accanto a Tokyo su un grande divano di pelle marrone.

“Se dici questo sentiamo il tuo…come ti chiameresti in Africa?!” la sfida Bogotà cercando di mascherare l’imbarazzo per quella frase appena detta dalla donna di cui era follemente innamorato.

Nairobi apre la propria cartella, rovista tra i vari fogli e, una volta trovato l’interessato, esclama:

“Adelaide Ouattara?! Ma stiamo scherzando?! Professore, avrai pure ideato dei grandissimi piani d’azione ma a livello di creatività e nomi hai delle proposte di merda!”

“SHHHHH” si lamenta Sergio, facendo segno alla banda di smettere di ridere mentre lui ascolta il notiziario collegato con le giuste accortezze.

“Un mese è ormai trascorso dalla rapina alla banca di Spagna per mano della famigerata banda dei Dalì e la situazione sembra essersi stabilizzata. Lo stato provvederà a saldare il debito e a risolvere la crisi economica in atto, promuovendo anche la ricostruzione del luogo per permetterne la ripartenza lavorativa” spiega la giornalista, mentre dietro di lei vengono mostrate le immagini della facciata centrale della banca in piena ristrutturazione.

“La polizia è alla ricerca dei Dalì e, allo stesso modo, della ex ispettrice Alicia Sierra e di Cesar Gandia dei quali si sono perse le tracce. Lasciamo ora una dichiarazione dell’ex ostaggio Arturo Roman il quale, seppur sotto accusa per abuso sessuale, si sta muovendo legalmente per poter rintracciare il figlio avuto con Monica Gaztambide, meglio conosciuta come Stoccolma” conclude la giornalista mostrando l’intervista ad Arturo Roman.

“Quel bastardo…” si altera Monica alzandosi in piedi e portandosi una mano sul volto.

“Sono alla ricerca del bambino quindi?!” domanda spaventato Rio, preoccupato per quel piccolino che riusciva a portare sempre allegria nella banda.

“Mi spieghi come cazzo facevi a stare insieme a quel viscido?!?” chiede Tokyo arrabbiata, fermata bruscamente da Nairobi per evitare di appesantire l’atmosfera.

“Monica…” si aggiunge Raquel appena giunta nella stanza, prendendo per mano l’amica terrorizzata dall’idea di non rivedere mai più il proprio bambino.

“Capisco che cosa provi, ma a tuo figlio non può succedere nulla. Ora Arturo dovrà subire un processo e a prescindere da tutto il bambino non potrà mai finire nelle sue mani”

“Abbiamo rafforzato il protocollo di protezione per i nostri bambini. Avranno dei protettori speciali pronti a nasconderli e portarli via nel caso in cui ci stanassero. Cincinnati e Paula ci raggiungeranno nella prossima tappa. Arturo Roman non è minimamente un problema” la tranquillizza Sergio, allungando le labbra in modo da formare un sorriso confortante.

“Per quanto riguarda la paternità… io vorrei fare un test” si intromette di nuovo Monica, facendo cadere il silenzio.

“Che cosa?” chiede Denver sconvolto, non intuendo l’insinuazione della moglie.

“Arturo era sterile. Io potrei avere avuto un test negativo e essere rimasta incinta di Denver durante la rapina alla Zecca. Alla fine non abbiamo usato protezioni…” spiega la donna imbarazzata, coprendosi il viso con i riccioli biondi.

“D’accordo Monica, faremo quanto desideri una volta giunti nella prossima casa” concorda il professore con calma.

“Ah, quindi mi state dicendo che gireremo con dei bambini da uno stato all’altro facendo finta di niente?!” sbotta casualmente Tokyo balzando in piedi, visivamente alterata.

“Che cosa vuoi dire Tokyo?” chiede Palermo indignato di fronte alla solita testa calda.

“Voglio dire che io sono già stanca di essere qui, anche se solo da un mese e l’idea di starcene con le mani in mano portandoci dietro dei bambini indifesi mi innervosisce, ecco tutto. Ho bisogno d’aria ora…” continua la ragazza accusando un colpo di calore per la rabbia e allontanandosi immediatamente dal gruppo.

Tra i presenti cala il silenzio finché, inaspettatamente, Rio decide di mettersi in piedi e raggiungere di corsa la ex seduta in giardino.

“Perché quella reazione?!” domanda lui serio e nauseato da quei cambiamenti d’umore di Tokyo.

“Secondo te perché? Forse perché odio stare qui?” gli risponde Tokyo, scaraventando con violenza il mozzicone di sigaretta che si era fumata in neanche un minuto.

“Sei qui con noi! Con Nairobi, con Stoccolma, con il Professore, con la famiglia!” risponde Rio senza parole e sensibilità, girando il dito nella piaga.

“Famiglia?! Quale famiglia?! Vuoi sapere che cosa mi fa male Rio?” chiede lei con le lacrime agli occhi e i denti digrignati.

“Mi fa schifo stare qui perché ci sei tu! Tu mi vieni a parlare di famiglia?! Ma come cazzo fai?! Conosci anche i miei sentimenti, quindi fammi un favore: stammi alla larga. Lo giuro su ciò che vuoi: appena tutta sta merda sarà finita, io me ne andrò via da sola e non ne voglio più sapere nulla” cerca di tagliare corto Tokyo, allontanandosi il più velocemente possibile da Rio.

“E con Nairobi? Vuoi abbandonare anche la tua migliore amica?” domanda allora Rio senza il minimo tatto, toccando argomenti importanti per Tokyo.

La ragazza si immobilizza all’istante leggendo una provocazione in ogni parola dell’ex. In un attimo il suo cervello ripercorre in un lampo la relazione con lui. La loro prima volta alla magione di Toledo e tutte le notti successive, la targhetta identificativa di Rio, la porta bianca disegnata in bagno, il periodo trascorso sull’isola e il loro abbraccio una volta ritrovatosi all’interno della banca. Ogni volta finiva così: al minimo allarme la sua mente ripartiva e ricordava tutti quei momenti felici che non riusciva a cancellare. Rio tutto questo lo aveva probabilmente rimosso, procurando una nuova ferita in Tokyo che lo avrebbe voluto vedere soffrire almeno un minimo.

La ragazza serra i pugni con tutta la forza che ha, tanto da conficcarsi le unghie nella carne del palmo, fissa gli occhi marroni su un punto del giardino, irrigidisce il collo tanto da mostrarne le vene in superficie e, raccolto quanto più fiato possibile, si volta velocemente fulminando Rio con lo sguardo.

“Mi fai schifo! Ti odio brutto figlio di puttana, devi lasciarmi in pace hai capito?! Lasciami in pace!” gli vomita addosso lei svuotandosi completamente i polmoni. Un urlo forte e lacerante che viene captato pure dagli altri membri della banda che, spaventati, accorrono all’esterno.

Rio rimane immobile di fronte a quella brutta reazione, mentre osserva la propria ex correre in casa e rintanarsi in una stanza. Distrutto dal suo cattivo comportamento, si rende conto per l’ennesima volta di non avere più il controllo di sé stesso. Accasciatosi a terra, Anibal Cortes, si copre le orecchie premendo così forte da creare una pressione in grado di attutire qualsiasi rumore esterno. Ed è proprio in quel momento di sconforto in cui si rende conto di non sapere a che cosa appigliarsi, a chi credere, a chi chiedere aiuto.

In una base segreta, a qualche chilometro di distanza…

“Shhh piccino, dormi! Non piangere” sussurra Alicia Sierra al proprio bambino assopito tra le sue braccia.

“Tu riposati così la mamma può cercare quei criminali e fargli esplodere la testa” lo culla lei con quel solito sorriso maligno, per poi adagiare il piccolo nel lettino e dirigersi verso una sala operativa piena di telecamere.

In quel mese Alicia Sierra si era costruita un nuovo studio, una sorta di Panic-room nella quale aveva arruolato ex colleghi e l’assassino Cesar Gandia, ormai suo braccio destro.

“Novità?” chiede la donna avvicinandosi ai colleghi seduti alle postazioni informatiche. Gandia osserva la donna avvicinarsi, storcendo la bocca di fronte alla neo mamma intenta a toccarsi il seno e a contemplarlo con gioia visto il periodo di allattamento.

“Niente…non rileviamo movimenti” risponde lui distogliendo lo sguardo.

“Questa volta il colpo glielo facciamo noi…” afferma la donna aprendo una cartelletta posta sulla scrivania.

“Sono ormai distrutti e bisogna attaccarli nei punti deboli. Cercate tutto sui Dalì, vita passata e, soprattutto, relazioni personali. Voglio conoscere ogni aspetto della loro vita e colpirli. Se li pizzichiamo su ciò a cui tengono, li avremo in pugno” continua la donna con sguardo malvagio.

“E ucciderli tutti…” sogghigna Gandia mostrando la propria sete di vendetta, desideroso di sterminare quei rapinatori che, personalmente, non gli avevano fatto niente.

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Capitolo 3
*** 2. BINGO! ***


CAPITOLO 2
BINGO
 

“Professore…” sussurra una voce con estrema dolcezza.

“Professore…” continua a chiamare l’ente sconosciuto, ma da una postazione diversa.

Sergio si guarda intorno in una stanza buia. Non riesce a localizzare la fonte sonora che pare cercarlo.

“Professore, hey professore” insiste la persona misteriosa ansimando e sospirando molte volte. Sergio estrae velocemente una pistola puntandola contro le pareti circostanti, girandosi costantemente da una parte all’altra per paura di un attacco improvviso.

“Ti ho trovato professore” si avvicina la voce ignota, parlando all’orecchio del professore che sobbalza e sgrana gli occhi, figurandosi finalmente il volto del proprio stalker.

“Sierra!” esclama lui a gran voce, alzandosi di scatto nel proprio letto. Sergio respira con affanno, producendo un grande quantitativo di saliva con cui cerca disperatamente di inumidirsi la gola secca e irritata. Il sudore che gli imperla la fronte percorre silenziosamente le sue tempie per poi fermarsi sulle guance rosse e bollenti.

“Sergio…ancora incubi?” chiede Raquel svegliandosi a causa di tutti quei movimenti. Lisbona guarda l’orologio constatando di trovarsi nel cuore della notte accanto all’uomo della sua vita che, da parecchio tempo, non riusciva a prendere sonno tranquillamente.

“Sì, sempre lo stesso, sempre lo stesso” risponde Sergio pensieroso, cercando degli elementi da studiare all’interno di un sogno prodotto dalla sua mente magica.

“Come ti senti?” domanda Raquel mettendosi sul fianco ed appoggiando la propria mano sul petto sudato di lui.

“Sto bene, è che non riesco a capirmi. Sto lavorando a un nuovo piano da più di un mese, tutti contano su di me e io non ho idee! Non posso far passare troppo tempo! Devo ipotizzare qualcosa!” prende parola lui, deciso ad alzarsi per mettersi a ragionare. Sergio si muove velocemente, allontana le coperte da sé e prende gli occhiali neri dal comodino, quando avverte una presa al braccio che lo costringe a fermarsi.

“Eh no caro il mio professore… tu non vai da nessuna parte” sussurra Raquel stringendo la presa ed avvicinandosi al suo orecchio.

“Raquel che cosa stai facendo?” domanda il professore, cominciando a respirare in modo agitato.

“Sai, forse posso aiutarti a pensare e allo stesso tempo a riposarti” continua Lisbona con fare languido mordicchiando il lobo dell’orecchio destro del professore, ormai completamente vinto dall’iniziativa della compagna.

“Raquel…” cerca di fermarla lui, pur sentendosi inerme. La donna, infatti, aveva già allungato la mano e stava ripercorrendo con le dita il petto del suo amato professore.

“Dimmi…che spunti di riflessione hai?” domanda lei guardandolo in volto mentre, con la mano, gioca con l’elastico dei boxer.

“Ehm… ecco…” biascica il professore finendo per fissare il soffitto evitando di guardare quello che stava succedendo nella parte bassa del proprio corpo.

“Sergio, ragiona…” lo stuzzica Raquel con malizia, per poi infilare la mano sotto le sue mutande.

Il professore sgrana gli occhi per quel gesto inaspettato e, visto che ormai era affidato alle cure della compagna, si rilassa e comincia a riflettere.

“Sono tutti sulle nostre tracce e dobbiamo cercare un modo per farci trovare, ma non farci trovare” dice il professore ancora lucido, nonostante l’eccitazione a mille per il trattamento che stava ricevendo.

Raquel comincia ad accelerare il ritmo della mano sapendo di mettere in difficoltà il suo amato professore, ma convinta anche di riuscire a risvegliare in lui quella sensazione di ragionare sentendosi sottopressione.

Sergio chiude gli occhi e si concentra. Nella sua mente passano moltissimi volti, immagini, piani, carte, pensieri in modo confusionario. Cerca di aggrapparsi a un minimo spunto interessante ma tutto appare fin troppo flebile per trasformarsi in ispirazione solida. La mano di Raquel, inoltre, pare non dargli tregua e il ritmo regolare che stava assumendo lo avvolgeva in un limbo di sofferenza e piacere complicato da gestire.

Il prof sente di non avere più le capacità di un tempo e, ormai sconnesso e confuso, decide di abbandonarsi alle premure di Raquel che aveva velocizzato l’andatura.

“Non pensare di venire senza nemmeno un’idea caro prof…” sussurra lei sorridendo, rallentando leggermente per farlo penare. È allora che Sergio riesce ad aggrapparsi ad un concetto, un’illuminazione che si presenta improvvisamente nella sua mente nonostante il poco afflusso sanguigno dovuto al momento.

Il prof inizia a ridere ed ansimare, contento dell’ipotesi raggiunta, spalanca gli occhi e, ormai allo stremo delle forze, si lascia andare alle premure meravigliose di Raquel che era ormai in dirittura d’arrivo.

“Bingo?” chiede la donna fermandosi e ripulendosi il palmo della mano, speranzosa di aver ottenuto il risultato sperato. Sergio, ancora sconvolto dalla situazione, solleva la testa a fatica e, dopo un lungo sospiro dichiara:

“Bingo!”

Un mese e mezzo dopo l’uscita dalla Banca di Spagna…

“Cari miei, buongiorno…” saluta il professore vestito con la sua solita giacca e cravatta, accogliendo i membri della banda in una nuova classe con banchi e lavagna.

“Dicci tutto capo” lo incita Helsinki, seduto al primo banco e pronto per il da farsi.

“Siamo qui da ormai un mese e mezzo e stiamo cercando di adattarci alla vita normale anche se, come stiamo vedendo, ci risulta molto difficile” spiega il professore rivolgendo uno sguardo a Tokyo e Rio, i più problematici del periodo.

“Non poter uscire, muoverci in tranquillità, costruirci delle case proprie e molto altro ancora ci condiziona e per questo sono qui per presentarvi quello che ho nominato…” proclama il prof con suspence per poi avvicinarsi alla lavagna e scrivere a carattere cubitali:

“Il piano rinascita”

“Rinascita? Mi piace… io che voglio un figlio poi” scherza Nairobi mettendosi una matita tra i denti e ricevendo la risatina di tutto il gruppo.

“Esatto Nairobi, esatto! Grazie a questo piano tu potrai soddisfare tutti i tuoi sogni, così come i tuoi compagni” spiega il professore, ripulendosi la mano dalla polvere del gesso bianco appena utilizzato.

“Illuminaci professore, in che cosa consiste?” chiede Denver con serietà desideroso di rinascita.

“In questo momento noi siamo ricchi. Abbiamo tutto l’oro che vogliamo, i nostri milioni di Euro, tanti compagni in giro per il mondo, dei fan per strada che ci amano ma, ahimè, non possiamo vivere tranquillamente. La polizia non ci fa paura, così come i governatori che siamo riusciti a fregare parecchie volte. I nostri veri antagonisti sono Alicia Sierra e Cesar Gandia che, con il loro desiderio malato di distruzione, ci stanno cercando da tutte le parti per ucciderci” illustra dettagliatamente il prof, avvicinandosi a quello che sembra un modellino ancora nascosto da un telo.

“Quei due però sono ricercati dalla polizia giusto? Pure loro non possono uscire molto allo scoperto” constata Stoccolma.

“Esattamente ma, se noi ci esponiamo, li avremo finalmente in pugno” risponde il professore per poi sollevare il telo e mostrare la piccola struttura che ritraeva Il Palacio Real di Madrid.

“Il Palacio Real?! Ma sei pazzo?!” dice Bogotà sgranando gli occhi di fronte al modellino.

“Nono, io con i reali non voglio avere a che fare!” dice Denver terrorizzato dall’idea.

“Infatti noi non ne avremo a che fare…” chiarisce il professore facendo tornare il silenzio.

“Questa volta, non faremo molto se non creare continui diversivi per far perdere le nostre tracce. Vediamo un po’… se noi usciamo allo scoperto, obblighiamo automaticamente anche Alicia Sierra e compagni a seguirci giusto?”

“Sì, proprio perché vogliono ammazzarci!” constata Lisbona innamorata dell’intelligenza del suo professore.

“Esatto!” dice il professore con una mano nella tasca dei pantaloni e l’altra con la sua abituale formazione a pinza.

“Faremo intendere di essere dentro il palazzo per rubare il tesoro della famiglia reale e tutti gli oggetti che si trovano all’interno. Sarà un colpo talmente potente da far smuovere l’intera polizia e le forze speciali, oltre alla nostra cara amica Sierra ma noi, in realtà, non saremo dentro il palazzo”

“E dove saremo?” chiede Tokyo energica di fronte a un nuovo piano.

“Noi staremo scappando nelle nostre nuove basi, fino a trovarci in un punto sperduto del mondo dove sarà impossibile ritrovarci” spiega il prof sistemandosi gli occhiali.

“Quindi chi entrerà nel palazzo?” domanda Nairobi concentrata.

“I vostri sosia” svela l’arcano il professore attirando l’attenzione di tutti i presenti.

“Aspetta, aspetta, chi sarebbero?!” chiede Denver corrugando la fronte per quella risposta bizzarra.

“Ve li presenterò nei prossimi giorni. Sono dei nuovi membri della banda che indosseranno sempre la maschera e si prepareranno, nel caso, a vestirsi e truccarsi esattamente come voi. Non a caso sono tutti dei professionisti a camuffarsi. Noi ci sposteremo nelle nuove postazioni e daremo tutte le dritte necessarie. Se vorranno sentire la voce di Tokyo, Rio, Denver o altri, allora ci basterà attivare un microfono e dimostrare che, dentro quelle mura, ci siamo noi” dice ancora il professore, fiero della propria idea.

“Inoltre non saremo proprio tutti sconosciuti, perché io e Manila andremo nel palazzo e saremo gli unici che mostreranno il volto nel caso in cui servisse” si aggiunge Palermo, pronto a buttarsi in quella nuova avventura.

“Una volta dentro, Sierra e Gandia faranno di tutto per stanarci, entrare nel palazzo e ucciderci ma, appena saranno dentro, apriremo le porte alla polizia permettendo ai nostri di scappare” conclude il professore, appoggiandosi alla scrivania.

“Nel frattempo noi saremo tutti accanto a te nelle nostre mille ville pronti a ricominciare a vivere, giusto? E loro ci vedranno come degli eroi avendo portato Sierra e Gandia nel posto che si meritano” si aggiunge Lisbona soddisfatta.

“E avremo fatto bingo…” dichiara Nairobi alzandosi in piedi e cominciando a ballare in modo sensuale.

“Piano rinascita…Bingo!” conferma il professore felice, guardando la sua famiglia entusiasta e pronta a vivere l’ultima avventura insieme.

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Capitolo 4
*** 3. BIENVENIDOS! ***


CAPITOLO 3
BIENVENIDOS

 
“Stanno arrivando!” comunica Denver guardando da una finestra, vedendo arrivare alcune persone con degli zaini in spalla.

“Voglio proprio vedere chi riuscirà a imitare me” dice Bogotà incrociando le braccia, con una sigaretta spenta in bocca.

“Ci sono anche delle ragazze carine a quanto pare” commenta Nairobi assottigliando lo sguardo per scrutare meglio i nuovi arrivati.

“Rio, quella lì penso sia giovane come te!” aggiunge ancora Denver divertito, ricevendosi però una gomitata da Monica che gli fa intuire di aver detto una stronzata.

Rio si limita a sorridere mentre, con la coda dell’occhio, cerca in Tokyo una qualsiasi reazione che però tarda ad arrivare. La ragazza, infatti, appoggia la fronte alla finestra guardando in modo apatico gli ospiti. Nairobi l’osserva e non capisce che cosa le stesse succedendo. Erano lì da ormai un mese e mezzo e la situazione non migliorava. Tokyo era entrata in una sorta di mutismo e pareva sempre triste e amareggiata.

“Ragazzi, il professore vi aspetta per la lezione” comunica Raquel giungendo nel corridoio di corsa. Tutti i presenti la seguono senza fare ulteriori domande, tranne Nairobi che blocca con un braccio la migliore amica.

“Che cosa hai hermana?” domanda la gitana guardandola negli occhi.

“Niente…perché?” risponde l’altra con tranquillità, non riuscendo però a rivolgerle lo sguardo.

“Sei strana, non sei tu. Non beviamo più come un tempo, non giochiamo, non ridiamo…sembri depressa e io vorrei solo aiutarti” continua Nairobi aprendole il proprio cuore.

“Lo so… per la prima volta nella mia vita non sento emozioni e coinvolgimenti. Voglio solo finire questa missione al più presto” risponde la ragazza prendendo la mano di Nairobi, cercando supporto per quel momento delicato.

“Te ne vuoi andare via? Da sola?” sbotta poi Nairobi, vedendo in quell’allontanamento un distacco anticipato.

Tokyo non risponde. Guarda basso e comincia a far tremare la gamba, mentre si imbambola nei propri pensieri. Gli occhi le si riempiono di lacrime e non sa come reagire. Nairobi era la sola famiglia che le era rimasta e in cuor suo temeva di perderla e rischiare.

“No… voglio solo stare con te come ci eravamo promesse, ma ho paura” dice Tokyo facendo scivolare una lacrima.

“Di che cosa hai paura?” chiede Nairobi corrugando la fronte, prendendo tra le mani il viso della migliore amica.

“Sei tutto ciò che mi è rimasto. Sto cercando di dimenticare Rio, di non pensare a nulla, ma mi sento sola. Ho perso il mio primo fidanzato, ho perso mia madre e ho quasi visto morire te. Tu ora sei debole e il polmone che hai devi trattarlo bene perché non sei più forte come prima. Io spero solo che non ti succeda nulla perché non posso perderti” si apre Silene, smuovendo quel cuore di pietra che poche persone sapevano come trattare.

“Hey, io ora sto bene! Sono qui, con tutti voi e se sono viva è solo grazie a te e al tuo coraggio! Non mi succederà nulla hermana! Ti prometto che saremo sempre insieme in ogni battaglia, soprattutto nella vita vera. Io, però, non voglio vederti così. Tu sei una tipa cazzuta e devi tirare fuori le palle hai capito?! Dove è finita la tua grinta?!” la stuzzica Nairobi spintonandola leggermente, felice di riuscire a farla sorridere.

“Basta piangere Tokyo… facciamo festa?” propone poi la gitana, ricordando quella classica frase inventata da Silene stessa.

“Facciamo festa” risponde Tokyo più sollevata, stringendo la mano alla migliore amica e raggiungendo gli altri in aula.

“Bienvenidos” scrive il professore sulla lavagna, pronto a salutare i nuovi arrivati.

“Siamo qui per parlare del piano rinascita e per presentarvi i nuovi membri della banda” comunica il professore, introducendo un giovane ragazzo dai capelli castani e gli occhi marroni.

“A noi non interessa il suo vero nome, possiamo chiamarlo Madrid ma, all’interno del palazzo, prenderà il posto di Rio. Come potete vedere gli assomiglia già molto fisicamente, con la differenza che è molto più pronto nello sparare all’impazzata senza tentennamenti” comincia a dire il professore, facendo segno al nuovo arrivato di sedersi accanto a Rio.

“Vi presento ora Vienna, che prenderà il posto di Stoccolma. Lei è un medico e questa cosa ci verrà molto utile nel caso in cui qualcuno si dovesse fare male. Ci siamo conosciuti molti anni fa ed è pronta ad entrare nella squadra” spiega il professore stringendo la mano alla ragazza dai capelli biondi, che saluta i presenti e si siede al suo posto.

Il professore prosegue con le presentazioni mostrando anche i sosia di Denver, Tokyo e Nairobi che vengono calorosamente accolti nella banda.

“Ora vi spiego il piano” inizia il professore figurandosi davanti agli occhi tutto il da farsi.

“Entrare nel Palacio Real può sembrare difficile ma, in realtà, è la cosa più semplice del mondo. Come sapete il palazzo è aperto per le visite guidate motivo per cui entreremo sia come visitatori, sia come guardie e sia come guide. Il palazzo è già tappezzato di telecamere e Rio ne ha hackerato velocemente i sistemi grazie anche ai nostri cari amici del pakistan alle prese con il lavoro tecnologico. Le visite aprono alle 10.00 di mattina ma noi saremo lì già alle 6.00 travestendoci e scambiandoci il posto con le guardie già presenti che diventeranno i nostri primi cari ostaggi. Una volta dentro sarà semplice chiudere tutto e consegnare la classica tuta rossa e maschera ai visitatori” inizia a spiegare il prof, indicando le varie entrate sul modellino per far comprendere a tutti la situazione.

“Inizialmente faremo intendere di voler rubare il tesoro reale e tutti gli oggetti, ci collegheremo con la polizia e mostreremo loro tutto quello che vogliono vedere. Questa volta, però, tutto passerà anche attraverso la tv di stato in modo da avere un rapporto pulito. La gente si agiterà talmente da innamorarsi di questo vero e proprio reality” dichiara il prof digrignando i denti e mostrandosi soddisfatto del discorso.

“E qui entriamo in gioco noi…” continua poi dirigendosi verso la lavagna.

“Noi ci sposteremo nelle varie abitazioni di cui vi parlavo e avremo tutti delle postazioni tecnologiche. Questa volta, accanto a me, ci sarete voi pronti ad aprire i microfoni e parlare ogni volta che si desideri la vostra voce. Così facendo attireremo l’attenzione di Sierra e Gandia che non esiteranno ad entrare nel palazzo. Sicuramente utilizzeranno il tetto o qualche galleria sotterranea, ma noi non forzeremo mai le porte. Una volta entrati le carte in tavola cambieranno” dice il professore prendendo in mano il gessetto e puntandolo verso i suoi compagni.

“Mostreremo alla polizia che non siamo lì per rubare, ma bensì per arrestare quei criminali che non si faranno scrupoli ad aprire il fuoco. Sarà allora che ci smaschereremo, dimostrando allo Stato il nostro desiderio di rinascita. Faremo poi entrare la polizia e, rimettendoci le maschere, la aiuteremo ad arrestare i nostri nemici per poi scappare in nuvole di fumogeni grazie a degli aerei militari falsi che ci attenderanno sul tetto” conclude il professore sedendosi sulla cattedra e incrociando le braccia.

“Noi quindi dobbiamo starcene in panchina vero? Accanto a te, continuando a scappare?” chiede Nairobi alzando il sopracciglio, mentre fa rimbalzare la penna sul banco.

“Non sottovalutate la vostra mansione. Quegli assassini faranno di tutto per stuzzicarci. Ci toccheranno ciò che abbiamo di più caro, ci minacceranno, ci strapperanno quello che amiamo e sarà allora che non dovremo cedere” puntualizza il professore mettendo la mano a pinza.

“E la regola principale sarà quella di non uscire allo scoperto. Se ci dovessero riconoscere per strada sarebbe la fine del piano e un vero e proprio fallimento” li mette in guardia lui fissando negli occhi ogni singolo membro della banda e sciogliendo l’assemblea.

“Quindi… voi sareste le nostre sosia” dice Tokyo uscendo dalla stanza, raggiungendo insieme a Nairobi, le loro nuove compagne. Due ragazze dai capelli neri si voltano guardandole e, dopo un grande sorriso, porgono loro la mano per presentarsi.

“Piacere, io mi sono chiamata Brasilia aka Nairobi” dice la più magra e alta delle due.

“E io sono Bergamo, ossia Tokyo” risponde l’altra masticando una gomma e facendo una grande palla tra le labbra, per poi spaccarla con i denti e togliersi gli occhiali da sole.

“Mi piaci…si vede che sei stronza come me!” scherza Tokyo mostrando i meravigliosi denti bianchi, per poi dare una spallata alla new entry.

“Posso chiedervi… perché avete accettato di prendere il nostro posto?” domanda allora Nairobi, ancora grata a quelle persone che avrebbero dato la vita per loro.

“Perché anche noi siamo persone che non hanno più niente. Sfruttate dal sistema statale, con rischio di carcere per delle cazzate, con il cuore distrutto per la perdita dei nostri cari” risponde la sosia di Nairobi facendosi cupa in volto.

“E poi…” continua sempre lei, disturbata però da Tokyo e Bergamo che parlavano animatamente.

“Ecco, devi sempre fare quella faccia arrabbiata, così esatto! E ricorda che per imitarmi devi dire un sacco di parolacce. Cazzo, porca troia, stronza, merda ecc… e poi muovi sempre il bacino in modo sensuale così e…” sussurra Tokyo fiera della propria persona, interrotta però da Nairobi.

“TOKYO PIANTALA!” la zittisce subito Nairobi portandosi una mano sul volto per poi fare segno a Brasilia di riprendere il discorso.

“Non entreremo lì dentro per voi. Entreremo lì per noi e per tutti! Voi avete dato una scossa al mondo con i vostri gesti. Vi vorrebbero mettere in carcere per truffa monetaria?! Quindi nella vita valgono solo i soldi?! E quegli stronzi assassini che erano nella polizia allora? Loro dovrebbero scontare una pena minore della vostra?! Voi avete dato speranza al mondo e tocca a noi ora continuare il vostro operato, dimostrando a tutti che con quest’ultima rapina desideriamo avere pace” spiega dettagliatamente Brasilia stringendo un pugno in segno di forza e di determinazione.

Nairobi e Tokyo rimangono senza respiro di fronte a quelle parole così profonde. Brasilia, Bergamo e molti altri stavano incarnando un ideale. Un sogno che stava muovendo il mondo e che chiedeva pace e libertà.

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Capitolo 5
*** 4. SIAMO TORNATI ***


CAPITOLO 4
SIAMO TORNATI

 
Giorno 1, inizio del colpo…

Sono le 5.00 di mattina quando tutti aprono gli occhi e si preparano per quella che si identifica come l’ultima rapina della storia.

“Ok, è tutto pronto. Mi raccomando Palermo, confido in te!” dice il professore dando una pacca sulla spalla al collega vestito da guardia. Palermo risponde al gesto con un abbraccio, sapendo di avere su di sé una grande responsabilità. Il professore era titubante sull’assegnargli di nuovo il comando, visto l’ultimo errore di tradimento all’interno della banca di Spagna. Ora, però, Palermo aveva recuperato la fiducia di tutti e desiderava esporsi per onorare e proteggere i compagni.

“Noi siamo collegati, resteremo qui ancora per qualche giorno e poi ci sposteremo nella nuova base. Ricordate chiamata di controllo ogni 6 ore. Noi non perderemo mai il segnale, avendo investito altri soldi nella tecnologia. Marsiglia, inoltre, è già in giro in moto pronto a mettermi in contatto con la polizia” puntualizza il prof, rivolgendosi ora a Manila.

“Buona fortuna” conclude lui, guardandoli allontanarsi per poi raggiungere la panic-room che aveva installato all’interno della nuova magione nel bosco.

Il professore entra nella stanza e, commosso, osserva tutti i suoi compagni seduti a una postazione informatica con auricolari e videocamere accese, pronti a condividere quella grande emozione insieme. Il prof sorride, mentre si sbottona le maniche della camicia ed osserva ogni suo piccolo soldato.

Guarda il faccione di Helsinki che, aprendogli il cuore, gli aveva dato fiducia dal primo momento. Osserva l’amico Bogotà, intento ad imbracciare il fucile per proteggere tutti gli altri e si compiace nel vederlo così paterno verso i compagni. Nota Denver trasformatosi in un adulto responsabile, rispetto alla testa calda che si era trovato davanti nella prima rapina. Vede Rio ancora terrorizzato, traumatizzato da delle torture che non riesce a cancellare da sé e si stupisce di trovarlo lì, bisognoso dell’affetto di tutti. È il turno di Nairobi, quella ragazza che aveva accolto solo come falsificatrice e che ora era diventata una leader fantastica e infine Tokyo… la sua Tokyo. Tokyo era sempre stata una ribelle, aveva distrutto molti suoi piani ma, allo stesso tempo, si era dimostrata la più coraggiosa del gruppo. Quella ragazzina cocciuta era la sua piccola gemma che avrebbe protetto per sempre proprio perché, come diceva lei, era suo compito custodirla.
Uno sguardo poi anche a Raquel, l’amore della sua vita e a Stoccolma, le nuove arrivate che si erano convertite e avevano preso piede nella banda proprio perché consapevoli dei grandi valori umani che si condividevano.

All’inizio il professore era eccitato e, come per una partita a scacchi, aveva giocato le sue pedine nel migliore dei modi. Ora, quelle pedine, erano la famiglia migliore del mondo che avrebbe salvaguardato con tutto sé stesso.

Il professore si siede alla sua postazione, mettendosi le cuffie e cominciando a dare informazioni a Palermo.

Dopo circa tre quarti d’ora, Palermo e il resto della banda si trovano in postazione. Alcuni sono travestiti da guardie, altri da guide turistiche o addetti alla biglietteria.

“Palermo, tutto ok?” chiede il prof agitato.

“Sì, iniziamo!” risponde conciso Palermo per poi staccare la comunicazione. Il prof stringe forte a sé la radiolina e chiude gli occhi nell’attesa di sentire la voce dell’amico riferirgli che erano riusciti a prendere il posto delle vere guardie.

Palermo e il resto della squadra entrano nei confini del Palazzo reale con tranquillità, senza destare sospetti visto la somiglianza con le guardie autentiche. Per entrare, però, serviva loro il pass di un vero membro delle forze armate motivo per cui, nel momento in cui la squadra si avvicina al cancello d’ingresso controllato dalle telecamere, il professore emana il primo ordine:

“Ok Rio, telecamere di sicurezza…adesso!”

Con quel segnale le videocamere dei guardiani del Palazzo cominciano a mostrare sempre la stessa scena delle guardie che controllano il perimetro circostante senza la pressione dei rapinatori. Un video falso, una sorta di salva immagine sempre uguale che non avrebbe dato sospetti.

Palermo avanza nella missione e risulta facile spaventare le due guardie avendo dei fucili in mano. Il primo dei due, istintivamente, prende la radiolina e comunica un codice per indicare un attacco nemico e pericoloso.

“AH AH AH” ride Palermo strappandogli di mano la radiolina.

“Siamo i più grandi rapinatori della storia e tu pensi che non abbiamo dirottato tutte le vostre comunicazioni interne su altre linee?” continua l’uomo della banda, puntando il fucile al collo della guardia che non osa replicare. Nel sentire l’arma fredda e spaventosa soffocargli la gola, la guardia consegna distintivo e carta d’identità che permettono l’entrata nel palazzo.

“Cucù! Siamo tornati!” proclama Palermo varcando la soglia del palazzo, accompagnato da Bergamo e da altri tre finti militari. Dopo aver legato e imbavagliato le guardie, nascondendole in un sotterraneo del palazzo, Palermo prende il controllo della situazione ordinando ad ogni compagno di assumere il ruolo di guardia nei punti più importanti dell’edificio. Manila, invece, giunge poco dopo con anche l’ostaggio della biglietteria, sostituito immediatamente dal sosia di Denver.

In meno di un’ora tutti i nuovi Dalì occupavano l’edificio anche grazie agli ultimi reclutamenti del prof.

“Professore, è tutto pronto!” dichiara Palermo soddisfatto, felice di quel gioco da ragazzi.

“Com’è possibile che sia stato così semplice entrare?!” chiede Stoccolma voltandosi verso la sedia del professore.

“Dovete sapere che, a differenza delle altre volte, abbiamo ideato e attuato un nuovo colpo in nemmeno due mesi dall’ultima rapina. Nessuno quindi si aspetterebbe di rivederci. Inoltre lo stato sta occupando la maggior parte delle proprie risorse per proteggere le banche e non sicuramente un Palazzo ricco di oggetti di lusso e storici” spiega il professore, togliendosi gli occhiali per asciugarsi gli occhi come è solito fare sotto pressione.

“Ora, la prossima mossa?” si aggiunge Rio, sistemandosi il microfono delle cuffie.

“Ora ripristiniamo le telecamere in modo che non vi siano ulteriori sospetti. Ognuno dei nostri compagni sta recitando un ruolo e non verranno mai scovati, visto che nessuno può parlare per smascherarli. Una volta cominciate le visite guidate e raccolti alcuni visitatori, distruggeremo il segnale delle telecamere e ci chiuderemo dentro” dice dettagliatamente il professore, stringendo la mano a Raquel, orgoglioso del proprio piano.

“Ora non ci resta che aspettare giusto?” chiede Raquel dando il permesso ai ragazzi di sgranchirsi le gambe e fare una pausa.

“Tutto bene?” domanda Bogotà rivolto a Nairobi una volta fuori dalla Panic-room.

“Ti stai preoccupando per me?” chiede lei con dolcezza, avvicinandosi al saldatore a pochi centimetri dal suo corpo, mentre gli accarezza il petto nascosto da una camicia a quadri.

“Vedo che ora ti piace toccarmi…anche se non con un palo” la schernisce lui, utilizzando quella frase a suo favore e rivolgendo alla donna un dolce sorriso nascosto dalla folta barba.

“Ti ricordo che abbiamo delle questioni in sospeso… che abbiamo lasciato in quell’ascensore nella Banca di Spagna” lo stuzzica ancora Nairobi, facendo camminare le dita verso il suo mento, per poi avvicinare la bocca.

“Sto solo aspettando i tuoi tempi e la tua perfetta ripresa…sei ancora malaticcia” ribadisce lui tenendola sulle spine. È allora che Nairobi prova ad accostarsi alle sue labbra per riassaporarne il sapore, ma a fermarla trova lo stesso Bogotà.

“Voglio mettere in chiaro una cosa Nairobi. Io con te voglio fare sul serio… per questo ci serve tempo. Io non sarò mai il tuo compagno da una scopata e fine. Dentro la banca il tempo si stringe e già ti immaginavo all’altare, ma vorrei godermi ogni attimo. Ora che il tempo qui è dilatato, devo imparare a vivermelo e così a condividerlo con te seguendo il naturale corso delle cose” spiega lui con serietà, dimostrando una maturità tale da far venire la pelle d’oca alla stessa Nairobi. La donna specchia i propri occhi in quelli piccoli di lui, rivedendoci un nuovo inizio e un nuovo respiro per quel polmone distrutto che si nutriva di aria d’amore. Emozionata e sorridente come una ragazza innamorata alla prima cotta, Nairobi continua il gesto che aveva interrotto premendo le proprie labbra su quelle di lui. I due hanno il tempo di sciogliersi, chiudere gli occhi e permettere alle bocche di incastrarsi alla perfezione. Nairobi assaggia quelle labbra carnose ricche di esperienza e di vita, gustando anche il contatto con la barba bruna che rendeva il tutto più morbido e affascinante. A differenza del loro primo bacio, i due riescono anche a creare il giusto connubio delle proprie lingue, che intrattengono così una danza armoniosa fatta di incastri e giravolte. Un bacio, insomma, che sarebbe potuto durare all’infinito, senza spegnersi mai perché perfetto e inebriante.

I due si staccano giusto in tempo per l’arrivo di Tokyo che, giungendo sul luogo con un caffè, osserva i due ancora vicini.

“Il professore ci chiama…” dice lei, guardandoli in modo sensuale stirando un angolo della bocca, come per far intuire di sapere tutto e di approvarne anche il da farsi.

Bogotà torna alla sua postazione senza ulteriori parole, mentre Nairobi si inumidisce le labbra come a voler cancellare i segni visibili di quel gesto che voleva tenere solo per sé.

“Limoni bene amica mia…” ride Tokyo parlando all’orecchio dell’altra.

“E tu che ne sai?” risponde Nairobi dandole una spallata.

“Un bacio a stampo te l’ho già dato, per il limone non credo ci voglia molto” dice con la sua solita ironia la cocciuta Tokyo, sorseggiando il caffè.

“A parte gli scherzi… buttati con lui e non avere timore. Siete bellissimi” conclude Silene, strizzando l’occhio destro a Nairobi per poi rientrare alle postazioni.

Ore 10.15…

Il primo turno di visite al museo raggiunge la capienza massima motivo per cui Vienna, aka Stoccolma, fa segno alla finta collega di fermare il secondo gruppo in attesa. Fuori dal palazzo si crea quindi una lunga abituale coda che non desta il minimo sospetto. All’interno del palazzo, però, la situazione sta per cambiare da un momento all’altro.

“Buongiorno a tutti” dice Brasilia, truccata e vestita come una guida entrando in relazione con il gruppo di 40 visitatori che erano pronti a conoscere i segreti del Palazzo Reale. Tra loro erano presenti persone dai 40 ai 50 anni e molti giovani di diciotto e più anni. Ammaliati dalle parole di Brasilia, il gruppo comincia la visita allontanandosi dalla porta di ingresso dove, dopo alcuni attimi, viene premuto il pulsante che ne permette la chiusura.

“Iniziamo a ballare ora” dice Manila rivolta a Palermo, inviando un messaggio al professore, per poi cambiarsi velocemente indossando tuta e maschera.

“Ragazzi… il segnale! Ora tocca a noi. Rio, stacca tutte le videocamere e sì pronto ad inviare il mio messaggio su tutti gli schermi” dice il professore per poi alzarsi in piedi e prepararsi a parlare di fronte alla solita telecamera.

“Va bene la cravatta così?” chiede lui rivolto a Raquel, prima di sedersi su una sedia isolata contro al muro.

“Sei sexy come sempre” risponde lei, posandogli un dolce bacio sulla guancia per poi allontanarsi in modo da non mostrare particolari nel video.

“Palermo come va?” domanda il prof attivando ancora una volta la radiolina.

“Bene professore, abbiamo trovato degli ostaggi collaborativi che si stanno cambiando anche molto velocemente!” risponde Palermo con una risata divertita, mentre osserva le persone travestirsi senza troppi lamenti, ormai abituati e in parte onorati nel trovarsi all’interno di una rapina dei Dalì.

La cosa positiva della banda è che avevano ottenuto il consenso e il supporto popolare. Erano dei fuorilegge e dei delinquenti, ma sicuramente non erano assassini e per questo motivo le persone li aveva rinominati “Robin Hood”.

“Ora indossate le maschere e non osate toglierle. Se qualcuno le toglierà dovrà fare i conti con i proiettili, e questa volta non sto scherzando!” li minaccia Palermo, desideroso di mantenere il controllo per alimentare il rispetto che dovevano avere per lui senza ribellarsi.

“Rio… ora!” grida poi il professore, dando segno al ragazzo di interrompere tutti i segnali. Nel giro di pochi secondi ogni visore della città e del palazzo si tinge di nero, per poi mostrare la faccia del professore che attira l’attenzione di tutto lo stato in pochissimi secondi.

“Salve, come state?” domanda il prof emozionato, guardando nel cuore della videocamera.

“Come potete vedere siamo dentro il palazzo reale di Madrid, con un’idea stravolgente. Non faremo del male a nessuno e non vogliamo avere a che fare con i reali che rispettiamo enormemente.
Questa è solo una normale rapina che caratterizza la nostra banda. Speriamo in una piena collaborazione e coinvolgimento. Lo possiamo dire a gran voce: siamo tornati e non ci fermeremo!” dice in modo ambiguo il professore, guardando intensamente la telecamera come se volesse provocare Sierra e Gandia.

In una base segreta, infatti, i due ricevono il messaggio del professore osservando anche le immagini riguardanti la banda mascherata insieme ai soliti ostaggi che, però, hanno ormai armi finte difficili da distinguere con quelle vere.

Sierra ascolta le parole del professore, per poi sbattere violentemente dei fogli per terra portandosi le mani tra i capelli.

“Che cazzo facciamo ora?!” chiede Gandia stringendo il pugno e serrando i denti, mostrando i nervi del collo tesi come corde di violino.

“Direi che è ovvio. Entriamo lì dentro e li sorprendiamo. Loro pensano che siamo scappati facendoci la nostra vita, senza sapere che siamo sulle loro tracce. Ora li abbiamo localizzati e si trovano proprio dentro quel palazzo. Faremo di tutto per entrare ed ammazzarli a uno a uno” spiega la Sierra, indicando i personaggi con le maschere che più riconduce ipoteticamente ai Dalì.

“Come cazzo farlo?! Loro sono furbi! Entrando lì dentro sanno che noi dovremmo fare i conti con la polizia rischiando l’arresto!” dice Gandia preoccupato, ricevendo però lo sguardo rassicurante della Sierra.

“Caro il mio bambino” sussurra la Sierra in modo sensuale, prendendo con una mano il mento dell’uomo e sollevandolo leggermente, per poi avvicinarsi alle sue labbra e parlare espirando su di esse.

“Pensi che la polizia sia un problema? Mi sottovaluti tesoro mio” commenta la donna, per poi leccare le labbra salate dell’uomo che finisce per pulirsele immediatamente.

Quella pazza di Alicia Sierra aveva frainteso il piano, sentendosi invincibile quando, invece, i Dalì l’avevano già sconfitta per 1 a 0.

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Capitolo 6
*** 5. MASCHERA ***


CAPITOLO 5
MASCHERA

 

Giorno 3 all’interno del Palazzo Reale…

L’atmosfera spagnola era particolarmente tesa e quei primi giorni all’interno del Palazzo Reale avevano già messo in allerta l’intera nazione e i sovrani stessi che, questa volta, si sentono presi in causa.

Il comando delle operazioni della polizia viene dato in mano a una donna Georgia Garrido e dallo stesso Angel che diviene il suo braccio destro.

“Abbiamo novità?” chiede l’ispettrice al suo fidato aiutante. La donna aveva i capelli biondi e due meravigliosi occhi azzurri, essendo tedesca. Era alta, elegante, aggraziata e al contempo semplice. Fin dall’inizio del proprio mandato aveva giurato di non comportarsi come i precedenti ispettori e di agire con calma e razionalità. Le ultime due rapine avevano insegnato che i Dalì facevano tutto per un motivo e il suo desiderio era proprio quello di intuirlo, senza spargimenti di sangue o aggressioni.

“No ispettrice, tutto tace. Abbiamo i video dell’interno del Palazzo dove si mostrano gli ostaggi e i Dalì che girano senza particolari problemi. Mi chiedo che cosa stiano cercando” risponde Angel guardandola intensamente negli occhi.

“Mi sembra giusto chiederglielo… prepariamo la chiamata per il professore” risponde la dottoressa incrociando le braccia scrutando in profondità lo schermo del computer che aveva di fronte.

“I sovrani hanno lasciato altre dichiarazioni?” domanda ancora lei, portandosi alla bocca un bicchier d’acqua, mentre osserva Angel impostare la telefonata per il sequestratore.

“No. Hanno detto che si fidano del nostro operato e che, in realtà, l’unica cosa da preservare è la struttura del Palazzo. All’interno hanno un tesoro importante e dei beni di lusso che hanno un significato storico molto importante, ma mai quanto il Palazzo in sé. Chiedono, quindi, che non vengano lanciate bombe o utilizzate macchine blindate per salvaguardare l’architettura” spiega dettagliatamente Angel, porgendo delle carte da firmare all’ispettore.

“Sono stati furbi… sapevano che non avremmo potuto bombardarli, il professore è sempre più intelligente. Mi chiedo, quindi, quale sia il loro vero intento…” lascia in sospeso lei, appoggiando il mento alla mano destra per poter lasciar spazio alle congetture.

Intanto in una base in Provenza Costa Azzurra…

La banda dei Dalì, durante quei primi giorni, si era trasferita nella nuova base in Francia. Il viaggio era stato scortato da diversi amici serbi del professore che avevano preso l’incarico di accompagnarli fino alla fine. Quei giorni erano trascorsi velocemente senza particolari complicazioni anche se tutta la banda viveva nell’ansia di scoprire se, per caso, Sierra e Gandia si stessero muovendo per trovarli.

I sosia si stavano comportando nel migliore dei modi, senza destare sospetti e permettendo così ai veri Dalì di trasferirsi nella nuova tappa nel modo più ordinato possibile. Il professore, invece, aveva ottenuto i numeri telefonici della polizia e si era già messo in contatto con loro, sperando che prima o poi lo contattasse anche la stessa Alicia, ancora rimasta nel mutismo.

Il professore si trova nella nuova panic-room insieme ai compagni ed è intento a scrutare al meglio le telecamere. Osserva qualche ostaggio mangiare all’ingresso del palazzo e alcuni Dalì impegnati nella buona riuscita del piano, quando avverte lo squillo del telefono. Tutti i membri rizzano le orecchie e si tappano la bocca in modo da ascoltare la nuova conversazione telefonica.

“Ispettrice…buongiorno!” saluta il professore, prendendo tra le mani il suo solito foglietto rosso in modo da iniziare a costruire gli origami.

“Buongiorno carissimo, vuole chiedermi come sono vestita oggi?” chiede l’ispettrice divertita, con un sorriso stampato sul volto.

“No, per oggi avrei una domanda molto più importante. Predilige orgasmo clitorideo o vaginale?” la spiazza il professore, attirando l’attenzione dei presenti che lo fissano con occhi spalancati.

Nell’attesa della risposta Raquel dà una gomitata al professore, alquanto infastidita da una richiesta di quel genere fatta a una donna.

“Professore, io non penso di averne ancora compreso la differenza purtroppo!” risponde l’ispettrice scoppiando in una fragorosa risata che diverte anche lo stesso Sergio. Sergio non agiva mai senza un motivo e sapeva perfettamente di quanto potesse risultare fastidioso chiedere una cosa del genere. La risposta di Georgia, però, gli dimostrano di avere di fronte una donna ironica, pacata e collaborativa a differenza della Sierra che rappresentava la pazzia e la frustrazione.

“Ora, professore, vorrei farle io una domanda…” aggiunge Georgia dall’altra parte del telefono. Sergio acconsente e si pone in ascolto, pur intuendo in anticipo la richiesta.

“Vorremmo capire che cosa state cercando all’interno del palazzo. Sa, professore, non ci sono banconote o grandi tesori quindi… che cosa volete?” continua l’ispettrice, sperando in una risposta esaustiva.

“Cara ispettrice… se glielo dicessi subito non ci sarebbe divertimento, lei non trova?” risponde il professore, abbozzando un sorrisetto mentre prepara un altro origami.

“Certo, certo ma vede Professore, questa volta non siete entrati in una banca a rubare soldi, ma in un Palazzo Reale appartenente alla famiglia sovrana di Spagna. Lei sa che questo avrà molte ripercussioni vero?” lo ammonisce subito Georgia sempre con la solita calma.

“Che meraviglia! Noi sappiamo benissimo la valenza e l’importanza del luogo in cui ci troviamo e posso assicurarle che ho piena stima dei reali e che non mancheremo di rispetto a nessuno” dice ambiguamente il professore.

“Professore, vorrei modificare la mia richiesta…” aggiunge lei con un filo di sorpresa.

“Il mondo è abituato a conoscere i Dalì ma, questa volta, tutti voi vi mostrate con le maschere e non le togliete mai. È brutto non potersi parlare in faccia no? Lei che dice?” propone di nuovo lei, mentre fa girare una penna sul tavolo.

“Ha assolutamente ragione, ma vede per una questione di sicurezza abbiamo deciso di continuare a tenere le maschere in modo da risultare identici agli ostaggi. Se la sua richiesta riguarda il mostrare il volto di qualche mio collega, allora non la potrò accontentare, ma se preferisce possiamo effettuare uno scambio equo. Noi rilasciamo una dichiarazione verbale di un nostro membro della banda, a vostra scelta, e voi in cambio ci regalerete cibo in abbondanza e lascerete libero il tetto dell’edificio” contratta Sergio mostrando le proprie carte.

“D’accordo, noi scegliamo la dichiarazione di Nairobi. Vorremmo sapere delle sue condizioni fisiche, visto lo sparo effettuato da Cesar Gandia e Alicia Sierra” propone l’ispettrice sicura e convinta.

“Affare fatto. Avrete la dichiarazione in giornata” taglia corto il professore soddisfatto, chiudendo la telefonata e togliendosi le cuffie.

“Che telefonata inutile…” commenta Bogotà sbuffando, non intuendone il senso.

“Tranquillo amico, è andata benissimo. L’ispettrice ha dimostrato di essere collaborativa e questo direi che ci sarà molto utile. È andato tutto secondo i piani e ora, come immaginavo, tocca a uno di noi parlare, in questo caso a Nairobi” puntualizza il professore, osservandosi l’orologio per poi fissare lo sguardo sulla donna dai capelli neri.

“Che cosa devo fare?” chiede la donna avanzando verso Sergio, dopo aver deglutito a causa della tensione.

“Apriremo un collegamento in diretta in cui a parlare sarai proprio tu, mentre Brasilia mostrerà la sua persona davanti alla telecamera, ovviamente senza scoprire il volto” spiega Sergio alzandosi in piedi in modo da guardare negli occhi la donna.

“Che cosa vuoi che dica?” chiede Nairobi, coraggiosa e propositiva.

“Dovremmo riuscire ad attirare l’attenzione di Gandia e Sierra, quindi so che è difficile ma dovresti descrivere cosa hai vissuto, denunciarli e spiegare che sei lì dentro per la tua personale rivincita, per dimostrare che sei una persona che non molla e che lotta per sostenere ciò in cui crede” dice Sergio, aggiustandosi gli occhiali.

“No, sei pazzo?!” interviene subito Bogotà, inserendosi tra i due in modo polemico.

“Non possiamo rischiare che si inserisca così, li stuzzicheremmo troppo e potrebbero farle veramente qualcosa!” aggiunge Rio, intromettendosi nel discorso.

“Ragazzi…” li zittisce subito Nairobi, aprendo le mani per attirare la loro attenzione.

“Parlerò, è una mia decisione. So benissimo di essere una pedina importante per acciuffare quegli stronzi e voglio farlo. Sono pronta a vomitare tutto quello che ho dentro!” aggredisce lei, ringhiando e stringendo il pugno per dimostrare la propria forza.

I presenti non possono fare altro che annuire e rispettare la decisione di Nairobi, l’unica vera leader capace di incoraggiare e calmare l’intera squadra.

Nel giro di un’ora viene istituito il collegamento audio e Nairobi si posiziona da sola in una stanza insonorizzata, pronta a dire tutto ciò che pensa.

La gitana stringe forte le mani, per poi annuire al resto del gruppo che la osserva dalla stanza accanto. In meno di due minuti tutti gli schermi mostrano la ripresa di Brasilia, seduta di fronte a un muro bianco del Palazzo Reale con la maschera sul viso. Il professore fa segno a Nairobi di parlare e lascia aperto il collegamento anche alla polizia per permetterle di intervenire con domande se necessario.

“Nairobi! Noi non abbiamo mai saputo nulla di te prima di tutte le violenze subite all’interno della Banca di Spagna, perché ora tutta questa segretezza? Perché non mostri il tuo viso?” chiede subito l’ispettrice, facendo lo stesso gioco del professore in modo da creare un vero e proprio reality per tutte le persone che stavano guardando.

“Proprio per evitare ciò che è successo a me quasi tre mesi fa. Per evitare discriminazioni e violenze gratuite che nessuno si dovrebbe meritare, anche se si parla di rapinatori” risponde subito Nairobi, ricevendo il pollice insù di Sergio che la stimola a continuare.

“Perché hai deciso di entrare nel Palazzo Reale? Non hai ancora debolezze fisiche?” domanda ancora l’ispettrice.

“Sì, sono ancora fragile, motivo per cui rimango spesso in disparte e seduta. Ho deciso di venire comunque per sostenere i miei compagni, che sono la mia vera e unica famiglia” risponde ancora lei con precisione, ricevendo già 1000 punti per quella risposta colma di amore e solidarietà.

“Ci potresti raccontare nel dettaglio ciò che ti hanno fatto Alicia Sierra e Cesar Gandia?” la stuzzica ancora l’ispettrice, desiderosa di conoscere per davvero il passato di una donna insultata e torturata soprattutto per i suoi tratti fisici.

Nairobi tarda nel rispondere consapevole di dover ora aprire sé stessa per raccontare quei fatti che sono ancora impressi nella sua memoria. La gitana poggia le mani sulle ginocchia, chiude gli occhi e si lascia andare a un’espirazione profonda. Tokyo la osserva dalla finestra e vede le sue dita tremare di paura. La migliore amica si aggrappa allora al vetro, desiderosa di piombare all’interno della stanza e consolare la sua dolce sorella in preda al panico. Tra le due basta uno sguardo per rimettere ordine e Nairobi, dopo più di un minuto, prende coraggio e risponde.

“Non serve descrivere nei dettagli quello che mi è stato fatto. Noi non abbiamo mai ucciso nessuno e ci siamo sempre preoccupati della salute degli ostaggi rispettando ogni persona. L’accanimento nei miei confronti è stato iniziato dalla brutalità di una donna che, prossima al parto, ha saputo usare contro di me la parte più fragile e importante della femminilità: la maternità. Lei ha usato mio figlio come mezzo per farmi avvicinare alla finestra. Ovviamente ci sono cascata perché mai avrei immaginato uno stratagemma disumano come questo. Mio figlio è in affido ed è stato usato per permettere che sparassero a sua madre. Il proiettile sparato mi ha perforato un polmone e, se non fosse stato per i miei compagni, ora non sarei qui” sputa il rospo Nairobi, con un’umanità tale da lasciare di sasso tutti i telespettatori, ma la dichiarazione non era ancora terminata.

“Mi sono state negate cure dall’esterno in modo da infrangere la tregua e provare ad assaltare la banca durante il mio dissanguamento. Un gesto, quindi, inferto da una donna incinta a un’altra donna madre con l’intento di ucciderla grazie all’amore per il figlio. Il peggio, però, è arrivato dopo…” spiega Nairobi, sospirando di nuovo e cominciando a sentire le lacrime riempirle gli occhi.

Brasilia, intanto, mimava la situazione alla perfezione, intuendo i momenti di maggior pathos, chinando la testa quando necessario e fingendo di tremare. Era un’interpretazione da Oscar provata mille volte e studiata in ogni dettaglio.

“La vera sofferenza corporea l’ho provata a causa di Cesar Gandia… un ex assassino a piede libero che, nonostante i gesti meschini compiuti nella vita, aveva il compito di proteggere il governatore. Gandia aveva promesso di uccidermi fin dal primo momento per colpa del razzismo che lo mangiava dentro. “Meticcia”… meticcia e meticcia… tutte le occasioni erano buone per chiamarmi così e, per quanto io avessi tra le mani un fucile, il coltello dalla parte del manico lo ha sempre avuto lui, ferendomi ad ogni insulto. È successo poi all’improvviso... io ero appena stata operata al polmone da un’amica che ha dovuto togliermene un pezzo e, pure in quel momento di debolezza, Gandia ha preferito cercare me invece di liberare gli ostaggi e pensare al bene di tutti. Lui voleva uccidermi e ci ha provato in tutti i modi. Ero con il respiratore a letto e lui ha provato prima a soffocarmi con un cuscino, per poi ricercarmi una seconda volta ed infliggermi le peggio torture” dice Nairobi sempre più sconvolta, tentando di rimanere lucida e forte pur avendo davanti agli occhi le scene di quei momenti.

“Mi ha spaccato la testa infilandola dentro una porta, per poi bloccarmi le braccia e le gambe. Mi ha strappato i capelli, mi ha morso le spalle, mi ha dato calci ai polpacci, per poi spararmi in mezzo alla mano. Tutto questo continuando a chiamarmi Meticcia. Mi sono liberata solo grazie ai miei compagni perché, altrimenti, lui non avrebbe aspettato altro ad uccidermi come aveva promesso” spiega ancora Nairobi, lasciandosi scivolare una silenziosa lacrima lungo la guancia.

L’ispettrice, colpita dal racconto e distrutta da quanto riportato da una donna torturata, decide di chiedere un’ultima cosa per poi concludere l’accordo stipulato con il professore.

“Nairobi, pur trovandoci in posizioni opposte non posso che condividere il tuo dolore. Gandia e Sierra sono ricercati proprio come voi e credo che, dopo questa tua dichiarazione, si intensificheranno le ricerche. Vorrei chiederti, però, di mostrarci i segni di questa violenza se fosse possibile…”

Silenzio, tuffo al cuore, aumento del battito cardiaco. Cazzo! I segni… le cicatrici di Nairobi le poteva avere solo Nairobi e non sicuramente Brasilia. Tutti i presenti cominciano a mettersi le mani tra i capelli, guardando il professore e sperando in una sua intuizione per risolvere la situazione. Nairobi cerca aiuto negli amici al di là dello specchio ma non sa come fare. Sergio si aggiusta gli occhiali, per poi strizzare gli occhi e agitarsi notevolmente. Nairobi finisce per non rispondere e, proprio mentre la copertura stava per saltare, è la stessa Brasilia ad intervenire slacciandosi la tuta rossa e mostrando così in camera una lunga cicatrice in corrispondenza del polmone, per poi togliersi una garza dalla mano facendo intravedere un buco pieno ancora di punti di sutura. Una visione che fa inorridire tutti gli spettatori e che, allo stesso tempo, lascia di stucco visto la veridicità. Il professore aveva predetto anche questo, dando per tempo lezioni artistiche per simulare le ferite.

“Nairobi, l’accordo è stato rispettato. Ora non sospettiamo più delle vostre maschere perché i segni e la tua testimonianza ci confermano che siete voi. Intensificheremo la ricerca per Sierra e Gandia, la cui pena sale dopo le ultime vostre dichiarazioni” conclude poi l’ispettrice, chiudendo il collegamento.

Nella base in Provenza tutti iniziano a saltare e battersi il cinque per la buona riuscita di quella prima collaborazione. Sono tutti felici, tranne Nairobi che, ancora sola nella stanza isolata, si china su sé stessa nascondendosi il volto tra le mani.

È Tokyo la prima ad accorgersene e, senza dire nulla, entra nella stanza di corsa piombandosi davanti all’amica abbracciandola con forza. Nairobi si aggrappa a Tokyo, cingendole i fianchi con le braccia per poi conficcare le unghie nella sua schiena. Nairobi si lascia poi andare ad un pianto disperato, nascondendo il volto nell’incavo del collo dell’amica che, per proteggerla ulteriormente, le poggia una mano sui capelli neri come la pece provando a cullarla. Rio osserva la scena in modo passivo vedendo nelle due donne una sofferenza simile alla sua e un trauma che non pare terminare. Anche il ragazzo, seppur felice per la riuscita del piano, permette a una lacrima amara di scorrergli lungo il viso. Per quanto potesse funzionare un piano, il loro dolore traumatico non poteva toglierlo nessuno.

Nella base segreta…

“Che brutta figlia di puttana!” urla Gandia sbattendo un pugno sul tavolo, subito dopo la dichiarazione di Nairobi.

“Calmati…” sussurra Sierra, trattenendo sé stessa e concentrando la propria rabbia in una bibita gassata.

“Calmarmi?! Ci ha appena sputtanati alla polizia! Ha raccontato tutto quella merda! Io la voglio ammazzare!” ringhia l’ex assassino con occhi irradiati di sangue.

“Avremo tutte le rivincite che vogliamo… ora sappiamo che loro sono chiusi nel Palazzo quindi non ci resta altro che continuare a colpirli proprio come ha detto quella pia donna di Nairobi” spiega la Sierra sorseggiando le bollicine.

“Che cosa hai in mente?” domanda allora Gandia interessato, girandosi verso di lei.

Trascorrono interminabili secondi di silenzio finché la Sierra, dopo un occhiolino sensuale al suo fidato braccio destro, sussurra in modo maligno:

“Apriamo le loro cartelle…”

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Capitolo 7
*** 6. AGATA ***


CAPITOLO 6
AGATA

La situazione all’interno del Palazzo Reale risulta stabile, motivo per cui i Dalì riescono a rilassarsi leggermente e a pensare alla propria vita. Il professore, intanto, continuava ad aggiungere elementi devianti nel piano, ordinando ai falsi Dalì di bucare il suolo o forare porte per raggiungere il tesoro della famiglia reale tanto per confondere la polizia e rendere il tutto credibile.

“Come procede Talahasse?” chiede il professore rivolto al sosia di Bogotà, intento a perforare un pavimento.

“Molto bene, sta procedendo tutto secondo i piani” spiega l’uomo dalla folta barba bruna, fermandosi nel suo lavoro per sentire le parole di Sergio.

“Bravissimi, la polizia sta iniziando a scervellarsi per trovare il tunnel che stiamo scavando. Continuate così e bucate in più punti come da accordi presi. Ci risentiamo tra 6 ore” taglia corto il prof, chiudendo la comunicazione.

La polizia, infatti, iniziava a non comprendere i vari gesti all’interno del palazzo e la stessa ispettrice Georgia, aveva tra le mani ben due casi da portare avanti: i Dalì nel palazzo e la ricerca di Sierra-Gandia.

La verità, però, era che i Dalì non stavano distruggendo nulla. Nei giorni addietro avevano costruito muri e pavimenti finti, in modo da bucare quelli e non gli originali. Un uomo d’arte come il professore, infatti, non si sarebbe mai permesso di deteriorare le mura impregnate di storia di quel luogo così importante per la Spagna. Il cemento utilizzato era stato studiato nei dettagli, in modo da indebolirsi lentamente trasmettendo comunque le vibrazioni del mezzo a tutte le installazioni fondanti.

“Ammetti che rimango comunque il tuo saldatore preferito…” si inserisce il vero Bogotà, giunto di sorpresa alle spalle del professore.

“Assolutamente amico mio!” risponde lui divertito, appoggiandogli la mano sulla voluminosa spalla.

I due stanno per risedersi alle rispettive postazioni quando avvertono delle urla gioiose e di sorpresa. I due uomini lasciano la panic-room per qualche secondo, cercando la motivazione di quei suoni nelle zone limitrofe. Scostando leggermente la tenda i due osservano Denver e Stoccolma intenti a correre incontro a Cincinnati.

Il bambino, infatti, era stato portato da loro grazie agli amici Serbi che ne avevano curato il benessere. Il biondino scorge i genitori in lontananza e, dopo essersi messo le manine sulla bocca, si slancia in una corsa fulminea verso di loro.

Stoccolma è la prima a raggiungerlo, inginocchiandosi a terra ed accogliendolo tra le proprie braccia. Segue poi il turno di Denver che, con un sorriso meraviglioso, avvolge entrambi in un abbraccio caloroso. Sergio e Bogotà osservano la scena emozionati e gioiosi quando, all’improvviso, sentono qualcosa frantumarsi accanto a loro. Girandosi di scatto verso la fonte sonora, i due notano Nairobi impietrita di fronte alla finestra. La donna scruta con attenzione la famiglia riunita e, toccata dalla visione, perde sensibilità nelle mani che lasciano così cadere a terra una tazzina di caffè. Agata guarda attentamente il bambino abbracciato al collo della sua mamma e, colma di emozioni contrastanti, rivede in quel riflesso alla finestra il momento in cui riuscì a vedere il suo Axel, anche se per qualche secondo.

“Nairobi…” sussurra Sergio, avvicinandosi alla donna intuendone già il dolore. Nairobi si sveglia così dal limbo nel quale si era rinchiusa, per poi allontanarsi dai due cercando di mostrarsi sicura e forte.

“Scusate, mi sono tremate le mani. Lasciate pure lì, dopo pulisco io” taglia corto lei dando le spalle ai due, non prima di aver rivolto un ultimo sguardo a quel quadretto delizioso fuori dalla finestra che sognava in tutti i modi di poter rivivere.

La notte scende velocemente nella nuova casa dei Dalì e il gruppo si appresta ad andare a dormire. Ogni tanto, però, qualcuno si svegliava per monitorare la situazione e alle 4.00 di mattina è proprio Bogotà il primo a muoversi con quell’intento. L’uomo vaga tra i corridoi in silenzio, appoggiando il piede pesantemente a terra e sbadigliando ripetitivamente, ancora con gli occhi sensibili e assonnati. Bogotà cammina verso la panic room, immerso nel silenzio del luogo, quando avverte un pianto soffocato provenire da una stanza. L’uomo si accorge di trovarsi di fronte alla camera di Nairobi e, preoccupato, non esita ad aprire la porta e avvicinarsi alla donna sdraiata a letto.

“Nairobi…hey, Nairobi!” la chiama lui scuotendola gentilmente, notandola immersa in un incubo che le faceva addirittura piangere gli occhi. La donna si desta all’improvviso, muovendosi di scatto e guardandosi a destra e a sinistra per paura di trovarsi accerchiata da un pericolo. Nairobi sposta velocemente lo sguardo, accompagnata da sospiri di terrore che le provocano anche una sensazione di soffocamento improvviso.

“Respira, respira!” interviene subito lui sedendosi dietro di lei e accogliendola tra le sue braccia. L’uomo la tiene in posizione eretta e la cinge da dietro, poggiandole una mano sul cuore per regolarne il movimento. Nairobi chiude gli occhi e metabolizza l’accaduto, per poi appoggiare la nuca sulla spalla di Bogotà che non la molla per nessun motivo.

“Brava! Ora passerà tutto vedrai…” commenta lui, accarezzandole il volto con la mano e posandole un dolce bacio sulla guancia. Nairobi si lascia cullare dalla dolcezza di lui e, per la prima volta dopo tanto tempo, abbassa le difese e riscopre la bellezza dell’affidarsi a qualcuno, di ricevere la cura di qualcuno.

L’uomo resta in silenzio senza proferire parola, rispettoso del momento vissuto e degli incubi di Nairobi. Tale segretezza e tatto colpiscono Nairobi che apprezza la scelta del saldatore che si dimostra, ancora una volta, un uomo vero.

“Ogni notte è così. Rivedo le torture di Gandia, la sofferenza provata ma, soprattutto, sogno il mio Axel con i suoi riccioli neri che mi guarda da una finestra pur non ricordandosi di me. E sai qual è la cosa peggiore? Che pur essendo un incubo, rappresenta la realtà! Io ho messo al mondo un bambino che non sa chi sono” si sfoga lei, cominciando a singhiozzare senza ritegno non vergognandosi dell’uomo che non ha ancora allentato la presa. Bogotà l’ascolta in silenzio, lasciando alle lacrime di lei il compito di scandire il tempo. Vedere la sua donna convivere con un dolore tale lo scalfisce e se lo sarebbe caricato sulle spalle volentieri.

“Lui si ricorda di te. Per quanto non ti veda, lui saprà per sempre di averti. Lo stesso accade a me con i miei figli. Non li vedo molto, ma loro hanno la certezza di poter contare su di me” la consola lui dolcemente, confidandole ciò che più gli sta a cuore.

“Come hai fatto ad avere 7 figli da 7 donne diverse?” domanda allora lei, staccandosi leggermente da lui per asciugarsi gli occhi con un fazzoletto.

“Beh sai, si inizia con una birra, una risata, una scopata e poi…” inizia a dire lui per sdrammatizzare.

“Non intendevo questo” lo blocca lui divertita, facendo di no con la testa mentre un sorriso fa capolino sul suo viso, come un fragile arcobaleno a seguito di un temporale.

“Ho sempre voluto una famiglia numerosa, ma mi sono accorto via via di non essere un uomo capace di fermarsi. Ogni donna che ho incontrato, ho avuto come l’impressione iniziale di amarla per poi rendermi conto che non sarebbe stata la persona della mia vita. Sia chiaro: io non ho fatto soffrire nessuno. Loro stesse non vedevano in me l’uomo delle favole, ma hanno apprezzato l’aver avuto un figlio con me. È più forte di me… io ho paura di condividere la vita con qualcuno e mi sono messo alla ricerca della persona giusta con cui farlo per troppo tempo, fino a fermare le ricerche” spiega lui abbattuto, triste per quella dichiarazione che lascia Nairobi senza parole.

“Tu invece? E il padre di Axel?” afferma lui entrando in gamba tesa, volendo cambiare argomento e tornare al malessere di Nairobi. La donna esita a rispondere per poi decidere di aprirsi profondamente.

“Io ho iniziato a falsificare banconote all’età di tredici anni, aiutando così la mia famiglia a non venir abissati dai debiti. Dentro di me sentivo che non era la cosa giusta da fare, ma pian piano ho scoperto di avere un vero e proprio talento dal quale non riuscivo a staccarmi. Ho continuato l’attività sotto pressione per colpa di mia madre, anche se desideravo con tutta me stessa andarmene e trovare qualcuno in grado di amarmi al di là del profitto. Ed è proprio quando stavo per staccarmi dalle mie origini che ho trovato lui… Enrique” spiega la gitana per poi confidarsi al saldatore tornando con la mente all’inizio di tutto.

10 anni prima…

Agata Jimenez si trova all’interno di una discoteca in modo da non pensare e divertirsi. La ragazza ventitreenne porta i capelli neri raccolti in una lunga coda, non ha neppure un filo di trucco e indossa un abbigliamento elegante ma non accattivante. È seduta da sola ad un tavolino, sorseggiando il proprio cocktail in solitudine, ormai abituata a non ricevere attenzioni da tutti i presenti. La sua reputazione, infatti, non è delle migliori nel suo paese, viste le origini gitane della famiglia. “Zingara” era il nome con cui veniva spessa etichettata, allontanata come qualcosa di sporco e pericoloso, vista come una ladra capace di succhiare la forza vitale degli altri. Agata era abituata alle critiche, era la miglior giovane truffatrice che potesse esistere, ma dentro di sé avvertiva un vuoto che poteva essere colmato solo dall’amore vero. Falsificava banconote in continuazione con una qualità prestigiosa, ma era pur sempre una giovane ragazza con il desiderio di incontrare il principe azzurro e vivere normalmente come in qualsiasi famiglia.

La ragazza gira la mano attorno al bicchiere fresco, cercando di scacciare quei sogni dalla mente quando, improvvisamente, uno sconosciuto le si siede accanto.

“Che vuoi?” chiede subito lei, titubante di fronte al ragazzo.

“Ti osservo da un po’ e ho notato che sei sempre qui da sola. La gente sembra evitarti ma non ne capisco il motivo” spiega il giovane dai capelli biondi e gli occhi azzurri, ormai palesato completamente grazie a qualche faro di luce bianca che ne evidenzia i tratti caratteristici.

“Forse perché io sono gitana e tu sei il perfetto ragazzo spagnolo?” ironizza lei guardandolo in volto e abbozzando un sorriso.

“In realtà ho la mamma danese, quindi pure io so cosa vuol dire non essere completamente capito” si difende lui, mostrandosi gentile nei confronti della ragazza.

“Almeno sei uscito carino con capelli biondi e occhi azzurri, io ho anche l’aspetto fisico che mi tradisce” continua a punzecchiarlo lei da una parte infastidita e dall’altra emozionata dalla presenza di un giovane interessato anche solo per un minuto alla sua storia.

“Il pregiudizio e il razzismo sono qualcosa di orribile e non oso immaginare la tua sofferenza. Volevo dirti, però, che se vuoi puoi contare su di me… mi chiamo Enrique” si presenta allora lui stringendole la mano.

“Agata” risponde allora la gitana accettando lo scambio, cominciando così la conoscenza con l’uomo che le avrebbe cambiato la vita.

Da quella sera in avanti gli incontri tra i due aumentarono e Agata riuscì così ad abbassare le difese confidandosi con il ragazzo al quale racconta tutto della propria vita personale. Enrique si dimostra affiatato, dolce e premuroso nei confronti della giovane, innamorandosene al primo colpo. Nel giro di poco i due cominciano a flirtare e, una sera dopo le tante passate a scambiarsi dolci baci, tra i due avviene l’inaspettato:

“Sei bellissima” sussurra lui, scostandole una ciocca di capelli neri dal viso. Enrique, ormai brillo a causa dell’ennesimo drink, osserva Agata estasiato.

“Smettila di dirlo!” si imbarazza Agata, sorseggiando l’ultimo sorso dell’alcolico.

“Che ne dici di bere ancora un po’?” domanda allora lui, facendo segno al barman di prepararne altri.

“Perché me lo chiedi? Così poi mi porti a letto?” dice lei ridendo a crepapelle senza motivo, probabilmente già ubriaca.

“Ho tanta voglia di fare l’amore con te, perché te lo meriti! Sei una ragazza d’oro e non mi importa di quello che dicono gli altri. Il razzismo non deve esistere e io voglio combatterlo ogni giorno. Io penso di amarti Agata, per tutte le tue meravigliose qualità” si dichiara Enrique emozionato, con un sorriso che va da un orecchio all’altro. Ancora un paio di drink e i due si ritrovano ubriachi fradici, all’interno di una macchina. Le bocche si incontrano e le lingue si legano con voracità, scambiandosi un enorme quantitativo di saliva. Agata si pone poi a cavalcioni sul ragazzo accogliendone la virilità in un solo colpo. Enrique giura di aver preso delle preucazioni ma, in realtà, l’alcool assunto gli invalida le capacità cognitive motivo per cui, inebriato dalle sensazioni, si lascia andare con Agata godendo fino all’ultimo istante. Un rapporto sessuale veloce, sbrigativo, frutto di una serata di alcolici che termina con un abbraccio di irresponsabilità. Nairobi, però, ritorna a casa felice e per qualche giorno smette di falsificare denaro intenzionata a cambiare vita per seguire l’uomo che finalmente ama, che l’aveva accettata per ciò che è.

Trascorre qualche giorno e Agata ritorna in discoteca dove si era data appuntamento con Enrique ma, di lui, nemmeno l’ombra. Agata lo chiama, gli scrive, lo cerca e di lui nessuna traccia. La ragazza non capisce il motivo di tale assenza e inizia ad agitarsi pensando che gli fosse successo qualcosa finché, una settimana dopo, lo rincontra casualmente per strada, abbracciato a una bellissima ragazza dai capelli biondi e il fisico mozzafiato.

Presa dalla rabbia e dall’odio più profondo, Agata si avvicina al ragazzo intenzionato a vomitargli addosso tutta la frustrazione che provava.

“Quindi non mi hai risposto perché hai trovato di meglio?!” urla la giovane alle spalle del ragazzo, per poi spintonarlo con forza provocandone la destabilizzazione.

Enrique si volta e, dopo aver messo a fuoco la figura di Agata, si piega in due dalle risate invitando la nuova fiamma a fare lo stesso.

“Tu pensavi che me ne fregasse qualcosa?! Di una zingara poi?!” la offende allora lui, denigrandola pubblicamente senza il minimo rispetto.

“Quindi mi hai scopata senza problemi anche se ti facevo schifo?!” domanda lei, cercando di ricacciare indietro le lacrime, osservando la bionda ridere di gusto anche di fronte a un atteggiamento sessista di quel calibro.

“Ti ho ubriacata apposta perché avevo voglia di divertirmi. Io ero perfettamente cosciente di ciò che stavo facendo, tutti quei drink non li ho bevuti ma li ho buttati via, quindi devo dirti che sì… avevo voglia di provare anche una zingara” taglia corto lui facendo una smorfia, orgoglioso dei propri gesti deplorevoli.

“Sei una merda! Io ti denuncio!” grida allora Agata, stringendo i pugni e strozzandosi la voce a causa della violenza con cui la stava utilizzando.

“Tesoro… posso benissimo denunciarti io, visto che sono un pubblico ufficiale” la zittisce ancora lui, mostrandole un distintivo che lei non si sarebbe mai aspettata. Agata osserva allora l’uomo con cui credeva di poter condividere la vita, rendendosi conto che i principi azzurri non potevano esistere… o almeno non per lei.

Presente…

“Un mese dopo la mia rottura con Enrique ho scoperto di essere incinta. In quel momento ho collegato tutto! Nella mia mente si sono fatti vivi i frammenti in cui lui ha fatto finta di bere, di mettersi il preservativo e di amarmi veramente. Lui mi aveva usata facendo finta di essere innamorato, ma la verità era che desiderava solo una preda facile da scopare” sussurra Nairobi separata dal corpo di Bogotà, intenta ad arricciare un angolo del lenzuolo per smorzare la tensione.

“All’inizio volevo abortire. Mai e poi mai avrei voluto un figlio nato da un mostro, ma poi ho capito” si ferma ancora lei, mangiandosi le labbra per soffocare un presunto pianto che pare bussare alla sua emotività.

“Ho capito che un principe azzurro lo potevo avere veramente e che forse quella persona che desideravo amare ardentemente sarebbe stata proprio mio figlio. L’ho messo al mondo con il cuore pieno di gioia, l’ho amato fin dal primo momento e, mentre cresceva, mi sono accorta che assomigliava solo a me. Axel ha i capelli neri, la pelle leggermente scura e gli occhi identici ai miei. Il mio bambino non ha preso nemmeno un tratto genetico da quello stronzo!” ricorda lei con commozione, asciugandosi una lacrima che, in modo furtivo, cerca di rigarle il volto.

“Poi però i soldi scarseggiavano e ho ricominciato a fare ciò che sapevo fare meglio, soprattutto dopo aver lasciato la mia famiglia visto che il compagno di mia madre dava alcool ad Axel. Mi ero ripromessa di non farlo mai più, di essere una persona migliore per Axel ma i soldi mi servivano e ho fatto ciò che ho fatto. Quando mi hanno scoperta mi hanno tolto subito il bambino, affidandolo chissà dove a chissà quale famiglia” conclude allora lei, prendendosi una pausa riflessiva per strizzarsi gli occhi con le dita in modo da strozzare le lacrime che, però, cominciano a liberarsi copiose.

“Avevo trovato il mio principe azzurro finalmente… ma mi è stato portato via e con lui la nostra vita, la sua infanzia, il nostro amore. Voi vedete una Nairobi forte e combattiva, ma è tutta una corazza per non soffrire perché se mi dovessi fermare a pensare potrei crollare definitivamente” chiude allora lei, rannicchiandosi sulle proprie ginocchia mentre Bogotà l’osserva piangere in silenzio. L’uomo si prende qualche minuto di immobilità, ragionando su cosa dire o cosa fare, seppur consapevole che in quei momenti le parole non erano delle buone alleate.

Sentire la storia di Nairobi lo ha smosso nel profondo permettendogli di conoscere una donna che ammira con tutto sé stesso.
Lui non sa perché, non sa come, ma una ragazza così meravigliosa e speciale era convinto di non averla mai incontrata. Mosso da un affetto che desidera manifestare, Bogotà solleva il volto di Nairobi, fiondandosi delicatamente sulle sue labbra. Un bacio energico, premuto con pressione sulle sue labbra come a voler dimostrare alla donna di essere lì, presente, accanto a lei per non andarsene mai.

Un bacio che Nairobi percepisce immediatamente come un sigillo d’amore, stampato con precisione senza secondi fini ma con l’intento di dimostrarle di non essere sola.

Ai due non servono ulteriori parole perché Nairobi è la prima che decide di approfondire il bacio, inumidendo le labbra con quelle di Bogotà, incastrandole perfettamente nelle sue e assaporandone il sapore. Le lingue si assaggiano mentre le grandi mani di lui le sorreggono la schiena con fermezza. Nairobi, inebriata dalla sensazione, toglie la maglietta all’uomo lasciandolo così a petto nudo di fronte a lei. Tempo qualche secondo ed entrambi si ritrovano nudi, per la prima volta. Bogotà sdraia Nairobi sotto di sé e l’abbraccia calorosamente, mentre con le mani inizia ad esplorare il suo corpo con delicatezza, sfiorandola come si sfiora un petalo.

Bogotà appoggia la bocca e il naso sul petto di lei, recependo il maggior numero di profumi possibili per non dimenticare mai quella pelle che aveva a lungo sognato di conoscere. Nairobi lo osserva con stupore e, per la prima volta in vita sua, avverte l’eccitazione sul proprio corpo ma non desidera consumare o agitarsi per ricevere chissà quali orgasmi.

A una donna abituata a concedersi a chiunque per soddisfare i propri bisogni, non era mai successo di godersi intensamente un attimo di dolcezza, sentendo delle profonde vibrazioni ad ogni carezza di Bogotà. L’uomo si sofferma poi sul seno di lei, custodendolo con le mani come a volerne racchiudere l’essenza. Il cuore di Nairobi comincia ad esplodere nel sentire la lingua dell’uomo stimolarle il capezzolo e le labbra morbide baciarne ogni minimo lembo di pelle.

Non sa perché, ma quel gesto la smuove e, ormai al culmine della propria emotività, si copre gli occhi con una mano ricominciando a piangere. Bogotà se ne accorge immediatamente e, con estrema calma, si sdraia accanto a lei invitandola ad accostarsi al suo petto per non interromperne il contatto.

“Nairobi…” sussurra lui accarezzandole il viso con il pollice, mentre con il resto della mano ne raccoglie le lacrime.

“Tu meriti di essere felice e io ho capito, dalla prima volta che ti ho vista, che la mia felicità sei tu. Mi ero ripromesso di non cercare l’amore vero, ma tu mi hai dato qualcosa che non ho mai sentito prima. Ora, in questo momento, potrei morire tra le tue braccia e sentirmi l’uomo più pieno e fortunato del mondo” continua lui con un sorriso innamorato stampato sul volto, mentre la osserva attentamente negli occhi.

“Vorrei fare l’amore con te, ora, domani, sempre… ma oggi voglio restare qui e dormire con te senza nulla di più. Voglio essere per te tutto ciò che non hai mai avuto. Voglio essere la tua rivincita, la dimostrazione che entrambi ci meritiamo di amare. Sei bellissima Nairobi… ti amo” si dichiara definitivamente il saldatore, per poi sancire quel momento con un altro dolce bacio.

Nairobi lo guarda commossa, non credendo ai propri occhi. Lei che non era mai riuscita a resistere in un letto con un uomo senza farci sesso, ora si era messa a piangere semplicemente nel sentire Bogotà toccarle il seno. In quel gesto banale e sottovalutato, lei aveva visto Bogotà intento a tenerle il cuore tra le mani, baciandolo e custodendolo.

Nairobi non aveva bisogno di altro perché finalmente si trovava nel posto giusto al momento giusto con la persona che stava aspettando da tutta una vita. Con gli occhi ancora lucidi e le guance rosse, la ragazza prende tra le mani il faccione del suo saldatore e, per la prima volta nella sua vita, sussurra due magiche parole che non avrebbe mai pensato di dire:

“…Ti amo…”

Due giorni dopo…

La squadra si stava preparando al nuovo trasferimento e, vista la tranquillità e la buona riuscita del piano, ognuno era ormai prossimo alla partenza. Il professore stava per abbandonare la panic room quando, improvvisamente, giunge una chiamata anonima in entrata.

Sergio intuisce subito di trovarsi di fronte alla persona che attendeva ardentemente di sentire e, avvertiti tutti i presenti, si rimette in postazione aggiustandosi gli occhiali e la camicia pronto per rispondere.

L’uomo si munisce anche del solito foglio di carta rosso e, con la schiena ben appoggiata alla sedia, risponde:

“Alicia…”

“Professore… da quanto tempo!” lo saluta con voce acida la donna, mostrandosi sicura e invincibile già dalla prima frase.

“Mi chiedevo quanto tempo dovessi aspettare ancora per risentirti” la stuzzica il prof, cominciando a creare l’origami.

“A quanto pare hai voluto attirare la mia attenzione con quella cavolo di dichiarazione rilasciata dalla tua Nairobi giusto?” l’attacca subito lei, mostrandosi sbrigativa e desiderosa di andare al sodo.

Lo sguardo della banda si sposta subito su Nairobi che, vicina a Tokyo, le porge la mano alla ricerca di conforto.

“Abbiamo fatto ciò che hanno richiesto i poliziotti, non sicuramente per farvi un dispetto anche se ora tutto il mondo sa a memoria il vostro meraviglioso curriculum” dice Sergio mantenendo la calma.

“Giusto giusto ma sai, purtroppo hai detto delle cose molto spiacevoli e mi ritrovo costretta a rigirarti il favore. Ascolta bene il messaggio che sto per darti e fai in modo che lo senta anche la tua amata banda all’interno del Palazzo Reale” taglia corto la Sierra rimanendo in silenzio per qualche secondo, lasciando il posto a una figura ignota.

“Hey Meticcia!” sibila fastidiosamente la voce di Gandia, facendo tremare le ossa a tutti i presenti specialmente a Nairobi che affonda le unghie nella mano di Tokyo.

“Ho qui una persona che vorrebbe tanto salutarti…” continua in modo viscido e insopportabile Gandia, avvicinando il microfono a un ignoto.

Il professore si prepara a rilasciare il messaggio all’interno del Palazzo in modo da simulare e camuffare la verità, facendo segno ai compagni di tapparsi la bocca a tutti i costi.

Ancora qualche secondo e una nuova voce, maligna e meschina, fa capolino nella telefonata.

“Ciao Agata…” saluta lo sconosciuto lasciando tutti attoniti e confusi. Tutti tranne Nairobi che, terrorizzata, spalanca gli occhi riconoscendo il proprietario della voce. Erano riusciti a rintracciarlo, lo avevano trovato e l’avevano messo in mezzo. Ora lei ne era sicura: quegli stronzi avevano arruolato il più grande poliziotto traditore della storia.

Sierra e Gandia avevano trovato il papà di Axel: Enrique era tornato.

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Capitolo 8
*** 7. PATATRAC ***


CAPITOLO 7
PATATRAC

 
“Nairobi… quanto tempo!” comunica il biondo al telefono, consapevole di essere sentito da tutti all’interno del Palazzo.

“So che non mi puoi rispondere quindi cercherò di essere veloce ed esaustivo. Sai, in questi anni ti ho pensata molto e quando ti ho vista all’interno della Zecca di Stato e della Banca di Spagna non avrei mai immaginato un tuo radicale cambiamento. Quando ti ho conosciuta eri una ragazza acqua e sapone, senza un filo di trucco e ora, invece, sei accattivante” la stuzzica lui. Nairobi inizia a non tollerare più la cosa e, stringendo la mano di Tokyo con forza, digrigna i denti per contenersi. Il professore la guarda e la implora di rimanere in silenzio per poi fare segno a Rio di registrare la telefonata. Rio esegue immediatamente il piano mettendosi anche in collegamento con la polizia come richiesto dal prof.

“Chi sta parlando?! Chi è?!” chiede l’ispettrice, sentendo la voce dello sconosciuto all’improvviso.

“Non ne ho idea!” risponde Angel prestando attenzione al momento.

“Insomma Nairobi, sei diventata una figa da paura anche se rimani una grandissima delinquente. Ho vissuto questi anni intento a prestare servizio al lavoro, senza sapere di nostro figlio. Questi due signori molto gentili mi hanno accolto raccontandomi tutto, facendomi fare un test del DNA e riconducendomi ad Axel” la pizzica Enrique, divertendosi nel fare soffrire la ragazza.

Nairobi inizia a respirare con affanno e Bogotà la osserva soffrire constatando l’ennesimo stress della sua donna che meritava solo serenità.

“Ora Axel è qui con noi e ci resterà finché non uscirai da quella fottuta banca. Ha tanta voglia di vederti sai? Non gli ho ancora detto di essere suo padre ma lo farò molto presto visto che non voglio più perdermi un secondo della sua vita. Anzi… magari essendo in affido lo posso riconoscere e portare via con me” conclude lui con un ghigno malefico stampato sul volto, mentre osserva il bambino addormentato in una stanza accanto.

In quel momento Nairobi non ci vede più e, come una serpe velenosa, si avvicina al professore cercando di strappargli il microfono dalla mano per rispondere a quell’ingrato. Gesto pericoloso che viene velocemente intuito e bloccato da Tokyo e Bogotà. I due fermano Nairobi per pochi secondi per poi tapparle la bocca con la mano e portarla fuori dalla panic room prima che potesse mandare all’aria il piano.

Il professore, sbigottito dalla situazione, rimane solo per qualche secondo al telefono con Alicia Sierra che lo invita ad uscire dal Palazzo prima di ulteriori danni arrecati alla banda. Il prof risponde in modo ambiguo per poi riattaccare la telefonata. L’uomo si ferma per un attimo a pensare, per poi scaraventare a terra un block notes rendendosi conto che la partita era iniziata e che gli avversari avevano appena fatto goal.

“IO LO AMMAZZO! SPORCO FIGLIO DI PUTTANA!” urla Nairobi indemoniata nel corridoio, trattenuta ancora dalle braccia di Bogotà che non la molla per nessuna ragione al mondo.

“Nairobi, calmati! Respira e raccontaci!” si inserisce Tokyo, prendendo tra le mani il volto dell’amica che, piegata in due per una fitta al polmone, si porta una mano sul petto riuscendo finalmente a razionalizzare.

“Quel cretino è il padre di Axel. Un uomo che mi ha denigrata, insultata e sfruttata sessualmente solo per i suoi interessi. Nello stesso giorno ho scoperto che era un poliziotto e che mi aveva tradita. Non ha mai saputo di Axel! Come cazzo hanno fatto a trovarlo?!” domanda la donna collerica.

A rispondere alla sua domanda ci pensa proprio la polizia stessa che, rimasta in ascolto per tutta la durata della conversazione, inizia ad intuire una falda nel sistema ideato dal prof.

“Qui si sta creando qualcosa di grosso” dice Georgia camminando avanti e indietro nella tenda della polizia.

“Che cosa intendi?” chiede Angel confuso, riascoltando la telefonata registrata.

“Il professore e la Sierra stanno conducendo una guerra silenziosa uno contro l’altro e stanno cercando di abbattersi a vicenda. Da quel che noto, però, il professore è all’interno del Palazzo per i suoi interessi, mentre la Sierra ha come unico scopo quello di annientarli” deduce la donna con astuzia e maestria, continuando a percorre il perimetro del luogo in modo da aiutare il fluire delle intuizioni.

“Quindi bisogna dire che Sierra, Gandia e questo Enrique stanno complottando e continuando a commettere reati per attaccare i Dalì” puntualizza Angel, andando subito a ricercare la scheda di Enrique sul computer.

“Esatto e non possiamo permetterglielo. Quei delinquenti hanno sequestrato un bambino, ne hanno fatto un test del DNA senza consenso per poi trovare il padre e arruolarlo” spiega la donna disgustata da quei gesti.

“Che cosa facciamo ora?” chiede Angel pronto ad eseguire gli ordini.

“Prima di tutto controlla se la famiglia affidataria ha fatto una denuncia per la sparizione del bambino e convocameli qui. Per il resto contatta la polizia e ottieni informazioni su questo Enrique richiedendone la cancellazione immediata dall’arma. Un delinquente a piede libero non può permettersi di avere un distintivo” ordina poi Georgia, rimettendosi al lavoro.

“Questa telefonata è stata essenziale. La polizia, sentendo tutto, inizierà ad intuire della nostra lotta contro la Sierra cercando informazioni su di loro ed allontanandosi per un attimo dalle nostre tracce, permettendoci così di cambiare tappa” spiega il professore una volta uscito dalla Panic room.

“Sergio, ma cosa facciamo con Nairobi?!” chiede Raquel intervenendo nella situazione, intuendo il dolore dell’amica costretta a riceversi un pugno nello stomaco per l’ennesima volta.

“Non faranno nulla al bambino e la polizia si metterà sulle sue tracce denunciandone il sequestro. Non dobbiamo preoccuparci!” tranquillizza Sergio aggiustandosi gli occhiali.

“Non posso credere che mio figlio sia da quegli stronzi! Io voglio spaccargli la faccia!” urla ancora Nairobi, alterata e incredula di fronte all’ennesimo colpo basso.

“Nairobi, purtroppo sapevamo che ci avrebbero attaccati sui nostri affetti e devo dire che sono stati anche più lenti del previsto permettendoci di spostarci con facilità. Dobbiamo mantenere la calma e il sangue freddo! Ti assicuro che non faranno nulla a tuo figlio e che una volta finito tutto lo riporteremo da te! Te lo prometto!” giura il professore avvicinandosi alla donna e tenendole il volto tra le mani come per tranquillizzarla.

Intanto, all’interno della base segreta di Alicia Sierra, Axel si sveglia dal sonno non riuscendo a localizzare la nuova realtà.

“Ancora tu?!” dice lui notando Alicia nel luogo.

“Ciao tesoro!” la saluta lei con un grande sorriso, porgendogli la mano per alzarsi ma è lo stesso Axel a rifiutarla con uno strattone.

“Non sono più piccolo. Io ho 9 anni e so che tu sei cattiva!” dice lui aggrottando le sopracciglia e irrigidendo il volto mostrandosi arrabbiato.

“Io cattiva?! Insomma tesoro, noi stiamo solo cercando di mettere in carcere quei personaggi vestiti di rosso che stanno rubando tante cose!” risponde ancora la Sierra mostrando il suo pessimo tatto femminile.

“Loro non sono cattivi! Io so che fai tutto questo per fare arrabbiare la mia mamma, ma devi lasciarla stare!” si mette sulla difensiva Axel, incrociando le braccia.

“Tu ti ricordi di tua madre?!” si inserisce Enrique, incuriosito dall’affermazione. L’uomo non aveva detto nulla sulla paternità in quanto non gli interessava realmente del bambino.

“No…” risponde con tristezza Axel, rannicchiandosi sul letto.

“Ma la famiglia con cui sto mi ha raccontato tanto di lei…e che mi vuole bene” aggiunge lui malinconico, desiderando una vera famiglia e non una situazione del genere.

“Beh sai, lei non ha scelto te. Quella donna ha scelto di fare la ladra e non la madre” constata Enrique, desideroso di distruggere la vita della ex.

“Io non ti conosco, quindi lasciami stare perché non posso parlare con gli sconosciuti. Quando posso tornare a casa?!” conclude poi lui, ignorando malamente Enrique per poi rivolgersi alla Sierra.

“Presto, presto!” mente lei, per poi dirigersi di nuovo nel reparto computerizzato della panic room.

La donna prende diversi fascicoli, allontana da sé quello già aperto di Nairobi e si interessa di un’altra cartella gialla con la fotografia di uno dei Dalì. Apre il documento e ne sfoglia il contenuto attentamente.

“Ora che cosa facciamo?” domanda Gandia, sempre più assetato di vendetta nei confronti dei Dalì.

“Colpiamo la prossima preda” taglia corto Sierra che, come uno stratega, decide di affondare il nemico.

All’interno della casa dei Dalì, tutti si stanno rilassando in soggiorno. Denver e Stoccolma giocano con Cincinnati, nell’attesa di ricevere nei giorni a venire l’esito del test di paternità. Helsinki sorseggia una birra in allegria, ridendo nel vedere il bambino rasserenare l’atmosfera.

Nairobi è seduta accanto a Bogotà, ancora stretta e consolata dalle sue braccia. Raquel e Sergio cercano di collegare una televisione per riuscire a vedere il telegiornale e comprendere le notizie dall’esterno, mentre Tokyo e Rio si ritrovano seduti accanto su una poltrona a due posti.

Era da tanto che non erano così vicini ma, da diverso tempo, i due stavano ormai imparando a convivere in modo pacifico.

“Come stai?” chiede Rio rivolto alla ex, riuscendo a guardarla in faccia.

“Bene… un po’ strana a causa della situazione” risponde Tokyo con tranquillità, massaggiandosi le nocche della mano destra.

“Mi dispiace per tutto” sussurra allora lui abbassando il volto e mostrandosi pentito. Tokyo rimane in ascolto, colpita da quel momento di rivelazione che desiderava da diverso tempo.

“Non riesco ancora a superare quanto mi è successo, continuo ad avere incubi, ma non riesco a fare a meno di pensare a te… e a ciò che ti ho fatto. Mi dispiace averti fatta soffrire così perché…”

Inizia a dire lui interrotto però dal segnale della televisione che mostra alcune riprese a lui familiari. Rio mette a fuoco lo schermo della tv riconoscendo un luogo a lui familiare.

“Ma…quella è casa mia” dice lui stranito, sentendo su di sé lo sguardo di tutta la banda che non capisce perché al notiziario si parlasse dell’abitazione del giovane.

“Nelle ultime ore è avvenuta una disgrazia. I genitori di Anìbal Cortès sono stati trovati morti all’interno della loro abitazione. Degli assassini non sono state trovate tracce, così come segni di effrazione sulle porte. La polizia ha aperto un’inchiesta sul caso in modo da capirne la dinamica. Intanto Anìbal Cortès, meglio conosciuto come Rio, si trova all’interno del Palazzo Reale di Madrid a causa del terzo colpo di rapina organizzato dalla banda dei Dalì. La polizia studierà il caso e provvederà nell’avvertire il giovane dell’accaduto” comunica la giornalista per poi passare la parola a un altro collega per il prossimo servizio.

All’interno dell’abitazione cala il silenzio. Gli occhi sono puntati su Rio e le mani sono davanti alla bocca a causa dello stupore e del dolore del momento. Il ragazzo non risponde, pare non dare segni di ripresa ma si limita ad osservare lo schermo senza parole, con una bocca semi aperta e gli occhi lucidi. Il corpo gli trema per degli spasmi improvvisi e i muscoli fremono nel cercare di trattenere l’ennesimo dolore.

Il professore non sa che cosa dire. Si sente vuoto, colpevole, insensibile nell’avere messo in mezzo gli amici e i loro affetti in quella che si stava tramutando in una vera e propria guerra per la libertà.

Quel gesto, però, muove nel profondo il prof che intuisce il reale piano della Sierra: uccidere ed impossessarsi della vita relazionale di tutti i Dalì, sperando di farli uscire dal Palazzo per evitare di entrare.

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Capitolo 9
*** 8. PIANO RAYO ***


CAPITOLO 8
PIANO RAYO

 
Rio rimane immobilizzato sul divano, senza la capacità di muovere nemmeno un arto. Si sente congelato in un mondo senza tempo, risucchiato da una realtà che non comprende e accoglie. Un ragazzo nel magnifico decennio dei vent’anni che si trova da solo in un pianeta che non lo vuole e lo desidera morto. Un giovane considerato delinquente senza conoscerlo, al quale avevano strappato la famiglia.

Rio si allontana dal gruppo con uno scatto fulmineo, chiudendosi in una stanza adiacente senza proferire parola. È la stessa Nairobi che, questa volta, fa cenno a Tokyo di provarci e di andare da Rio. Tokyo la guarda sconvolta, non sapendo come comportarsi. La ragazza dai capelli corti sa di essere l’unica in grado di consolare Rio e, mettendo da parte il proprio dolore e astio, trova il coraggio di alzarsi in piedi e dirigersi verso la stanza dell’ex fidanzato.

“Che cosa facciamo?” chiede Denver rompendo il silenzio, rivolgendosi a tutta la banda.

“Dobbiamo andarci giù pesantemente contattando anche la polizia. Gli mostreremo anche la morte dei genitori di Rio e di come sia necessario acciuffare quei criminali prima che uccidano ancora qualcuno” spiega il professore, per poi telefonare alla polizia.

L’ispettrice ha appena scoperto della morte dei due innocenti e si ritrova senza parole di fronte a un caso che non riesce a comprendere, quando il telefono inizia a squillare.

“Angel, fai uscire tutti. Voglio che rimaniamo al telefono solo io e te con il professore” spiega Georgia facendo segno a tutti di andarsene, anche se dubbiosi e contro voglia.

Una volta rimasti soli, i due si apprestano a rispondere con serietà, senza ulteriori battute o domande.

“Professore, buongiorno” lo saluta Georgia con educazione.

“Buongiorno Ispettrice, penso che abbiate visto anche voi il telegiornale” introduce subito il prof, sfogando lo stress sul foglio di origami.

“Sì. È ovvio che dietro a tutto ciò sia presente la Sierra e Gandia. I genitori di quello che voi chiamate Rio erano protetti e impossibili da rintracciare. È evidente che siano stati loro. Inoltre abbiamo ascoltato la telefonata di minaccia avvenuta nei confronti di Nairobi” descrive dettagliatamente l’ispettrice calando le difese, intenzionata a contrattare con il professore.

“Ispettrice…” sospira il professore, per poi aggiungere con coraggio: “vorrei chiederle una tregua e una collaborazione”

Georgia rimane di stucco di fronte alla proposta, rivolgendo uno sguardo attonito a Angel che si stupisce allo stesso modo della collega.

“Siamo pronti a rivelarle il nostro piano, solo se ci darete una mano” contratta poi il professore, consapevole della delicatezza della richiesta. L’ispettrice ragiona silenziosamente per qualche istante per poi annuire ed accettare.

“Non vogliamo rubare niente all’interno del Palazzo Reale. Nulla è stato distrutto, ogni cosa fatta serviva per depistare e soprattutto per attirare l’attenzione di Sierra e Gandia che, come avete visto, continuano a minacciarci. La banda dei Dalì si trova all’interno del Palazzo sperando di poter chiamare a sé quegli assassini che non vedono l’ora di ucciderci. Vi chiedo una tregua nella riuscita di questo piano. Permetteremo ad una squadra armata di entrare nel Palazzo sostituendo gli ostaggi con loro. Una volta realizzata la formazione interna, toccherà a voi dichiarare che il tetto è rimasto scoperto e, quando avremo mandato in onda l’ennesimo servizio su Sierra e Gandia, faremo intuire dei buchi nel piano. Sierra e Gandia entreranno così sicuramente nel Palazzo e li potremo catturare” descrive dettagliatamente il professore, con il suo solito dito a pinza.

“Come faccio a sapere che non stai bleffando professore? Inoltre sai benissimo che se dovessimo entrare lì, i prossimi da arrestare sareste voi vero?” domanda l’ispettrice titubante.

“Non credo proprio che ci stiano ingannando” si intromette Angel rassicurando l’ispettrice. La donna lo guarda attentamente per capire le sue ragioni per poi aggiungere:

“Professore, è lì presente la ex ispettrice Raquel?”

Il prof guarda la compagna intensamente, deglutendo e annuendole di intromettersi senza problemi.

“Sì, sono qui” risponde Raquel sistemandosi il microfono.

“Raquel, come facciamo a fidarci?” chiede Georgia dubitando della ex collega.

“Georgia, so che sono passati tanti anni e che tu custodisci di me un ricordo e una reputazione diversa. Ora però ci troviamo in una vera e propria battaglia. Questo colpo è stato realizzato esclusivamente per stanare quei delinquenti che hanno da subito utilizzato la violenza. Noi l’abbiamo sempre rifiutata e non abbiamo mai ucciso nessuno. Sappiamo del valore della vita delle persone e non siamo assassini. Il Palazzo Reale non è stato toccato e ci adopereremo per ripagare il debito una volta terminata la faccenda. Sappiamo anche che siamo ricercati e nel farvi entrare rischieremmo la cattura, motivo per cui non possiamo mentirvi sul fatto che tenteremo di scappare, ma è l’occasione migliore per fermare questa malvagità insensata” dice con dolcezza Raquel, aprendo il cuore alla ex collega che conosce molto bene. Raquel lascia la donna nel suo profondo silenzio decidendo, poi, di giocare la sua ultima carta.

“Angel, so che sei lì” sussurra lei richiamando l’attenzione del migliore amico.

“So che cosa pensi, so che mi consideri ormai una delinquente dal punto di vista della legge, ma dentro di te sai che sono sempre la stessa e che non proporrei mai un accordo del genere se non fosse sicuro. Noi desideriamo veramente allontanare dei possibili terroristi che fanno male a noi, a degli innocenti e anche a voi. Non vi sto chiedendo una pace, vi sto chiedendo una tregua” conclude l’arringa Raquel, speranzosa di essere riuscita nell’intento.

I due ispettori si guardano intensamente negli occhi. Si stavano giocando il tutto per tutto, rischiando di schierarsi dalla parte dei ladri senza sapere i loro veri fini. L’ispettrice non vorrebbe cedere, eppure sente un messaggio sincero e delle motivazioni fondate che condivide anche lei. Gandia e Sierra erano al momento molto più pericolosi dei Dalì. Una volta rivolto un ultimo sguardo ad Angel, la donna si siede alla postazione e, riattivando il microfono afferma un chiaro e conciso:

“Accetto!”

Nelle ore successive il piano di collaborazione tra polizia e banda trova già avvio e ognuno si prepara all’azione. Nel frattempo, però, Rio si trova ancora all’interno della stanza, accucciato su sé stesso ed immerso dalle lacrime.

Tokyo entra nel luogo in punta di piedi, sentendo il cuore esploderle in gola. Nemmeno lei sapeva perché lo stesse facendo, soprattutto dopo tutta la sofferenza arrecatale da Rio, ma era consapevole del fatto di essere l’unica nella banda a conoscerlo veramente.

La ragazza gli si siede accanto in silenzio, senza dire nulla per lasciarlo nei suoi spazi. Rio avverte immediatamente la presenza della ex compagna e cessa il suo pianto, alzando il volto per guardarla negli occhi.

“Grazie per essere qui” si limita a dire lui abbozzando un sorriso forzato.

“Tu hai fatto lo stesso quando morì mia madre, non potevo lasciarti da solo” risponde Tokyo con serietà, continuando a massaggiarsi freneticamente le braccia.

“Sai che cosa mi dispiace?” comunica lui, desideroso di parlare a cuore aperto.

“Sapere che loro di me conservano dei brutti ricordi. Sono diventato quello che sono per gioco, rendendomi conto delle mie capacità informatiche e utilizzandole in ogni contesto. Ho esordito a scuola entrando nei sistemi scolastici fino a diventare un delinquente per essere stato scoperto in un sito statale. Loro hanno sempre cercato di portarmi sulla strada giusta, invitandomi a usare le mie doti per cose belle e non sicuramente per fare ingiustizie. E io come li ho ripagati? Rapinando due banche e mettendomi ancora di più nei casini… non avrò mai modo di chiedergli scusa, di dirgli che gli voglio bene e dimostrargli che posso cambiare” confessa lui, nascondendo di nuovo la testa tra le braccia per piangere.

“Tu non hai bisogno di cambiare… non hai mai fatto nulla di male e hai scelto una strada diversa non moralmente accettata, ma che sicuramente ti ha reso un ragazzo migliore. Anche mia madre è morta per causa mia, ma sono sicura che lei non ha mai smesso di amarmi. Lo stesso vale per i tuoi genitori” lo incoraggia Tokyo, appoggiandogli una mano sulla schiena.

“Mi chiedo come farò ora… sono completamente solo, con dei traumi che non riesco a superare. Ho paura anche di vivere! L’unica cosa che mi può rialzare è trovare qualcuno da amare per poi rinascere e affidarmi, ma dubito di riuscire ad innamorarmi di nuovo” taglia corto lui, non rendendosi conto di aver appena pugnalato Tokyo in pieno petto con quelle parole.

La ragazza avverte una forte fitta al cuore e gli occhi inumidirsi di lacrime. Lei lo amava ancora con tutta sé stessa e vederlo così distante, intenzionato a innamorarsi di altre la fa soffrire malamente. Tokyo non vuole dire nulla, anche se avrebbe il desiderio di urlargli addosso ciò che prova, ma opta per alzarsi e spronarlo a non lamentarsi e pensare alla buona riuscita del piano.

“Non so come sarà il futuro, ma sicuramente so che ora abbiamo un presente da far funzionare alla perfezione. Una volta terminato questo piano potrai pensare a tutto ciò che vuoi, ora utilizza la rabbia che nutri per la morte dei tuoi come forza ed energia per ottenere la nostra rivincita” conclude lei con freddezza, per poi lasciare il ragazzo da solo e raggiungere gli altri.

Qualche ora dopo…

La polizia aveva permesso la realizzazione del piano, riuscendo ad allontanare la stampa e comunicando la tregua a tutti gli organi competenti. Il luogo era stato isolato e, dopo aver disabilitato le telecamere, lo scambio tra poliziotti e ostaggi era stato effettuato.

Gli ostaggi, per permettere la buona riuscita del piano, erano stati portati in un sotterraneo, ancora legati e accuditi da alcuni poliziotti che non dovevano liberarli per nessuna ragione al mondo. All’interno del Palazzo, quindi, erano ora presenti falsi Dalì e poliziotti, schierati dalla stessa parte per riuscire ad acciuffare dei delinquenti. I poliziotti arruolati, con indosso maschera e tuta rossa, prendono il posto degli ostaggi imbracciando però armi vere e finte manette, in grado di spezzarsi una volta entrati gli assassini.

Tutto era ormai pronto e serviva ora solo l’ultimo tassello: inviare alle radio e alla televisione tutta la verità su Alicia Sierra e Gandia.

“Ispettrice, è tutto pronto. Il servizio può andare in onda” comunica il prof, chiudendo la telefonata con Georgia per poi rivolgersi a Rio.

“Ti assicuro che andrà tutto bene. Riusciremo ad acciuffare quei delinquenti e questa collaborazione ci permetterà di dare giustizia alla morte ingiusta dei tuoi genitori. Inizia ora il piano Rayo” lo consola il prof, ponendogli una mano sulla spalla per dare incoraggiamento e forza. Rio risponde con un sorriso seppur colmo di tristezza e, pronto all’azione, si siede alla propria postazione.

“Nelle ultime ore sono avvenuti dei nuovi accadimenti riguardanti gli assassini Alicia Sierra e Cesar Gandia. I due, chiusi in una base segreta localizzabile all’interno della Spagna, hanno provocato la morte dei genitori di Anibàl Cortès oltre a commettere molti altri reati. Da una telefonata che ora manderemo in onda, possiamo sentire la minaccia operata da Alicia Sierra nei confronti del professore. La ex ispettrice, infatti, ha sequestrato il figlio di Agata Jimenez, rintracciando illegalmente il padre Enrique Garcia, poliziotto ufficialmente radiato a seguito della collaborazione con i criminali. Rilasciamo ora anche la dichiarazione dei genitori affidatari del bambino che affermano di essere stati minacciati con pistole” spiega la giornalista, attirando a sé l’attenzione di miliardi di persone che cominciano così ad urlare nelle piazze chiedendo giustizia.

“Noi siamo i genitori affidatari di Axel e, per la seconda volta, ci è stato strappato via contro la nostra volontà. Alicia Sierra è entrata nella nostra abitazione con alcuni uomini armati vestiti di nero. Ci hanno obbligato a chinarci a terra con le mani dietro la testa, per poi spiegarci il loro piano. Ci hanno puntato una pistola alla tempia dicendo di consegnargli immediatamente il bambino o ci sarebbero state conseguenze. Mio marito ha avuto il coraggio di ribellarsi, ricevendosi però una serie di pugni in pancia” inizia a spiegare una donna di circa cinquant’anni, con voce tremante e occhi terrorizzati, mentre vengono mostrati i lividi presenti sul petto dell’uomo.

“In seguito è arrivato un uomo che abbiamo identificato come Cesar Gandia che ha preso il bambino, iniettandogli un sedativo per farlo addormentare e caricandoselo sulla schiena dicendo: “è proprio meticcio come sua madre”. Noi non abbiamo potuto fare nulla. Mio marito era ancora a terra, quasi svenuto per i colpi presi che gli hanno anche fratturato due costole e io, indifesa, mi sono trovata due pistole puntate alla gola. Mi hanno detto di non farne parola con nessuno e che il bambino serviva solo per minacciare Nairobi. Se avessimo aperto bocca loro ci avrebbero uccisi” spiega dettagliatamente la donna, facendo esplodere una vera e propria rivoluzione tra le strada della città. La gente inizia ad impazzire, ad urlare, assembrarsi gridando giustizia per Axel, Nairobi e i due genitori intervistati.

“Noi rivogliamo indietro il bambino e soprattutto vogliamo che possa ritrovare anche sua madre, attaccata violentemente per le sue origini gitane. Chiediamo giustizia!” si aggiunge il marito della donna, sollevando il braccio seppur a fatica per le percosse ancora dolenti.

Nairobi assiste alla scena commossa, portandosi una mano sul volto e ricevendo anche un bacio da parte di Bogotà che la invita a farsi forza e a non crollare emotivamente proprio ora che erano così vicini all’obiettivo.

La rivolta in città esplode velocemente. In pochi minuti tutti si ritrovano in strada e scrivono cartelli contro Sierra e Gandia che, dall’alto della loro base segreta, assistono a tutto l’avvenimento.

“Porca puttana!” esclama Alicia, lanciando a terra dei fascicoli rendendosi conto di essere nei guai.

“Che cazzo facciamo ora?! Siamo nella merda! Ci hanno sputtanati velocemente e ora abbiamo il mondo contro!” aggiunge Gandia furente, con occhi assetati di sangue.

“Non abbiamo altra scelta” aggiunge lei digrignando i denti per poi rimanere in silenzio, lasciando gli altri in attesa del verdetto finale.

“Dobbiamo entrare nel Palazzo e ammazzarli tutti” conclude la stratega, per poi organizzare il piano d’assalto.

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Capitolo 10
*** 9. SALTATA COPERTURA ***


CAPITOLO 9
 SALTATA COPERTURA

 
“Signore, finalmente ce l’abbiamo fatta! Sentiamo le comunicazioni del professore! Lo abbiamo trovato!” comunica un informatico a servizio di Alicia Sierra, rintracciando un segnale audio.

“Fantastico! Finalmente… apri la chiamata e dicci che cosa senti!” afferma la Sierra mettendosi delle cuffie.

“Palermo mi senti?” lo chiama il professore attraverso la solita radiolina.

“Sì, forte e chiaro! Qui è tutto ok. Gli ostaggi sono tranquilli nell’ingresso dell’edificio, Bogotà e i saldatori stanno continuando a distruggere i muri per raggiungere il tesoro della famiglia reale e io sto controllando il primo piano” risponde Palermo, consapevole della strategia condivisa.

“Chi sta controllando il tetto?” chiede il professore mostrandosi agitato.

“Nessuno, non abbiamo mai parlato del tetto!” finge Palermo simulando una voce tremante.

“Cazzo Palermo! Non possiamo permetterci questi errori! Mi state dicendo che non avete coperto il tetto?! Porca troia è il primo posto da cui potrebbero entrare i poliziotti! Correte a controllarlo!” afferma il professore collerico, riattaccando immediatamente la telefonata.

Alicia Sierra ascolta il tutto con attenzione, sorridendo a quell’errore del professore che le avrebbe permesso di entrare nel palazzo senza troppi problemi.

“Avete sentito cari miei? Abbiamo una via di entrata che hanno lasciato scoperta. Partiamo immediatamente!” comunica lei con forza, facendo segno a Gandia di preparare l’elicottero. Alicia Sierra, però, non sa che tutto quello era una trappola e che le competenze informatiche del professore e di Rio erano altamente superiori alle sue.

Nel giro di un’ora la squadra di Alicia Sierra è ormai prossima all’atterraggio e il professore vive quei momenti di tensione con estrema trepidazione.

“Ci siamo” comunica il prof al resto della squadra, stringendo la mano a Raquel e preparandosi ad osservare l’arresto di quella banda di criminali che, in modo ignorante e banale, era finito nella loro trappola.

L’elicottero rimane in volo mentre Gandia e altri scendono grazie all’ausilio di corde. Questa volta loro stessi erano stati molto furbi, vestendosi esattamente come i Dalì senza sapere, però, che anche la polizia era già all’interno per tendergli un agguato.

Gandia apre il fuoco immediatamente al primo passo, cercando di colpire il sosia di Denver che riesce a ripararsi per un pelo. Vienna, invece, scappa a gambe levate urlando a gran voce di essere sotto assalto. Gandia e squadra iniziano a bombardare, lanciare granate ed utilizzare senza motivo tutte le armi che hanno a disposizione, riuscendo a farsi strada all’interno del Palazzo senza ulteriori problemi.

“Capo, ci siamo quasi! Io vado al primo piano, tu e i compagni raggiungete gli ostaggi. Lì troveremo tutti i Dalì!” afferma Enrique, ormai membro effettivo della banda.

Gandia corre giù dalle tante scalinate con un mitra carico in mano. L’uomo si passa costantemente la lingua sulle labbra, come un lupo famelico che non vede l’ora di azzannare la sua preda. Enrique, intanto, raggiunge immediatamente il primo piano dove trova i finti saldatori intenti a forare il muro.

“FERMI FIGLI DI PUTTANA! METTETE LE MANI IN ALTO O VI SPARO!” urla il nuovo criminale, sparando qualche colpo a raffica e puntando l’arma verso i finti Bogotà e colleghi. I Dalì optano per la resa senza opporre resistenza, consci del piano del prof e delle sue indicazioni. Grazie alla resa spontanea, Enrique e diversi compagni perdono tempo nell’ammanettare alcuni Dalì permettendo così agli altri di accogliere Gandia e solo altri tre scagnozzi.

Cesar raggiunge velocemente il primo piano, cominciando a sparare a raffica giusto per far intuire il suo arrivo.

“Buongiorno a tutti!” saluta lui scendendo la scala, trovandosi di fronte ad alcuni Dalì e ai finti ostaggi che recitano la parte di persone agitate e preoccupate.

“Pensavate di fregarci sputtanandoci a destra e a manca, ma il vostro caro professore ha commesso un errore rendendosi rintracciabile. Abbiamo così sentito tutto trovando libero accesso attraverso il tetto. Ora, quindi, abbassate le armi e mettete le mani in alto” li minaccia Gandia, mirando alla testa dei finti Dalì fanno cadere a terra immediatamente i fucili, nascondendo le altre piccole pistole incastrate nella cintura posteriore.

“Cesar, stiamo calmi… non venire a fare il figo a caso ok?” lo stuzzica Palermo, andando contro al piano perché troppo nervoso di fronte alle parole dell’avversario.

“Togliti dal cazzo o ti piazzo una pallottola in testa! Anzi no… dove cazzo è Nairobi?!” ringhia lui completamente impazzito, iniziando a squadrare i Dalì in piedi alla ricerca della donna.

“Meticcia di merda dove sei?! Esci fuori o sparo a tutti i tuoi amici!” continua ad urlare lui, sparando due colpi a caso sul soffitto.

Brasilia, agitata di fronte alla situazione, decide di fare un passo avanti prendendosi delle responsabilità che in realtà non le competono.

“Che cazzo fa?!” commenta la vera Nairobi osservando la scena dalla telecamera del prof.

“Perché non stiamo facendo nulla?! Così rischiano di morire tutti! Quel cretino ha in mano un fottuto mitra!” si aggiunge anche Tokyo, ricevendo però indicazione dal professore di calmarsi e non fare domande.

“Ciao Meticcia, hai visto che abbiamo tuo figlio tra le mani? E il tuo ex? Si trova proprio al piano di sopra, in questo momento si sta occupando del tuo nuovo ragazzo ciccione” la minaccia Gandia, continuando a mirare alla testa di Brasilia.

Palermo, rimasto in disparte per troppo tempo, decide di farsi avanti per non permettere mai più a nessuno di parlare in quel modo alla compagna di banda. Arrabbiato e fremente per la situazione, corre incontro a Gandia spingendolo e facendolo cadere a terra. L’uomo inizia a sparare a raffica, colpendo volontariamente la gamba di Palermo che crolla a terra dolorante.

“STATE FERMI! BRUTTO STRONZO, ORA ME LA PAGHI!” grida ancora Gandia, rimettendosi in piedi ed afferrando un ostaggio portandolo davanti a sé per schermarsi. L’assassino punta la pistola alla tempia dell’ostaggio facendo indietreggiare tutti.

“Ora, vi conviene ascoltarmi o vi ammazzerò uno a uno. Sul tetto è presente il nostro elicottero, tutti i Dalì devono salirci o io sparerò ad ogni singolo ostaggio!” conclude lui pensando di avere il coltello dalla parte del manico. In realtà, però, la banda non aspettava altro che lo squilibrato afferrasse un ostaggio per capovolgere la partita.

Nel momento in cui Gandia afferra l’ostaggio, infatti, automaticamente abbassa le difese non pensando di avere tra le mani un militare professionista. Ci vogliono pochi secondi e l’ostaggio si ribella all’istante riuscendo a scansarsi dalla presa dell’uomo, colpendolo alla nuca con il gomito. Gandia si piega in due dal dolore e, seppur tramortito, inizia a mitragliare di nuovo colpendo alcuni ostaggi che non riportano però ferite mortali. È quel momento di debolezza il campanello d’allarme per permettere alla squadra di attaccare.

Tutti i finti ostaggi, infatti, si ribellano alle forze disarmando i tre aiutanti di Gandia e ammanettandoli con dispositivi ad alta sicurezza. I Dalì, intanto, raggiungono i compagni al piano superiore mostrando l’immagine del loro capo ormai perdente e obbligandoli a consegnarsi.

Un colpo fin troppo semplice: Gandia, Enrique e compagni vengono immediatamente legati e condotti fuori dal Palazzo, arrestati e vinti per sempre.

Nel momento in cui la polizia esce dall’edificio con i delinquenti tra le mani, i Dalì procedono con il lanciare fumogeni per confondere le forze armate che, intossicate dal fumo e con la vista offuscata, non riescono a ritrovare la strada per entrare nel Palazzo, trovandosi di fronte a delle porte chiuse.

La tregua era terminata e ora, a mente fredda, si contavano i risultati e i feriti.

“Professore…” lo chiama Palermo dolorante, facendosi medicare la gamba da Vienna.

“Palermo! Come stai?!” domanda il prof preoccupato avendo assistito alla sparatoria.

“Bene, hai assunto una nuova bravissima dottoressa e mi sta medicando. Erano in totale una decina, non so se effettivamente tra i vari membri mascherati ci fosse anche la Sierra. Sicuramente ora Gandia e Garcia sono arrestati, ma il problema rimane sempre lo stesso: la mente del piano dov’è?” chiede perplesso Palermo, convinto di aver sbagliato qualcosa.

Il prof si ferma a ragionare consapevole di aver sbagliato. Alicia aveva mandato avanti solo 10 uomini, tra cui alcuni molto deboli e inesperti con le armi, per poi sparire dalla circolazione. La donna aveva intuito che avrebbe potuto trattarsi di una trappola motivo per cui aveva mandato avanti due assassini professionisti nella speranza che uccidessero qualche membro della banda, ma lei aveva preso l’occasione per cambiare base e disperdere le tracce.

“Cazzo, lei ha capito che poteva essere una trappola! Ragazzi, chiamiamo a raccolta tutti, non dobbiamo commettere errori! Se perdiamo la copertura adesso siamo finiti!” comunica il professore agitato, iniziando a contare i compagni.

Davanti a sé vede Bogotà, Nairobi, Denver, Raquel, Helsinki, Stoccolma, Rio… ma mancava Tokyo.

“Dove cazzo è Tokyo?!” chiede il prof terrorizzato. I presenti iniziano a guardarsi l’un con l’altro per poi correre in giro per la casa alla ricerca dell’unica Dalì mancante all’appello.

“Non ci credo! È uscita!” esclama Rio mettendosi le mani tra i capelli, non capendo il motivo di quella scelta.

“Porca puttana! Dobbiamo ritrovarla subito prima che venga beccata da altri! Coraggio, vestitevi con le vostre false identità e usciamo a cercarla!” ordina poi il prof aiutando i compagni a prepararsi.

Tokyo, intanto, stava camminando per strada intenta a raggiungere un particolare luogo con un obiettivo ben preciso in testa. Era da molto tempo che desiderava uscire alla ricerca di quel fattore che avrebbe potuto risolverle molti problemi. Non si sentiva più sé stessa, aveva paura di vivere e le parole di Rio le rimbombavano nella testa.

“Non penso di riuscire ad innamorarmi di nuovo di qualcuno” questa la frase dell’ex che le si è ormai stampata addosso, segnandola nel profondo.

La ragazza cammina per strada senza prestare attenzione alla sua identità. In pochissimo tempo, infatti, alcuni passanti riconoscono immediatamente la sua figura richiamando l’attenzione su di lei. Tokyo, spaventata dalle urla, inizia allora a correre a gambe levate notando anche una pattuglia della polizia intenta ad inseguirla.

“Quella sembra Tokyo! Della banda dei Dalì!” urla un poliziotto facendo segno ai passanti di bloccare il passaggio alla donna.

La ragazza continua a scappare senza mai voltarsi indietro finché, all’improvviso, non si scontra con un uomo che, spaventato, colpisce la ragazza alla spalla con un coltello.

Tokyo si accascia a terra lentamente, mentre tutto attorno a lei sembra affievolirsi. Gli occhi si chiudono e, finalmente, la ragazza pensa di essere nell’anticamera della morte, lontana da tutte le sue sofferenze. Distrutta e sanguinante, Tokyo perde i sensi mentre lo sconosciuto che l’aveva colpita corre via terrorizzato.

Una mezz’ora dopo…

“L’avete trovata?” chiede preoccupato il professore, vedendo rientrare la squadra con Tokyo in braccio.

“Porca puttana… riporta una brutta ferita alla spalla, è abbastanza vicina alla giugulare ma pare averla lasciata illesa” risponde dettagliatamente Nairobi, sentendo il proprio petto alzarsi e abbassarsi velocemente per l’ansia che nutriva verso la sua migliore amica.

Tokyo era stata trovata velocemente dalla squadra che, provocando un improvviso assembramento attorno alla polizia, era riuscita ad anticiparla e a rintracciarla prima di tutti gli altri. La ragazza, infatti, era stata rinvenuta priva di sensi in una via losca e isolata dove, probabilmente, era stata colpita da un mal vivente.

“Helsinki preparati a intervenire. Con cosa è stata colpita secondo te?” domanda ancora Sergio, cercando di non mostrare la propria agitazione.

“Coltello… questo è pugnalata!” dichiara Helsinki osservando meglio il buco presente sulla spalla di Tokyo.

“Cazzo… Nairobi e Stoccolma, prelevatele un campione di sangue ed analizzatelo subito. La lama del coltello poteva essere avvelenata o presentare altre sostanze. Attaccatela anche a un respiratore” ordina ancora Sergio, per poi correre a monitorare la situazione mediatica. Doveva fare in modo che nessuno parlasse del cameo di Tokyo per strada anche se, ormai, era stata riconosciuta da moltissime persone.

Nairobi comunica quanto detto a tutta la squadra e, con la solita prontezza, si procura una siringa infilandola delicatamente nel braccio di Tokyo, inerme e priva di sensi, prelevando il quantitativo di sangue necessario per analizzarlo secondo l’indicazione del professore.

“Helsinki, tesoro mio…la lascio nelle tue mani, fai tutto ciò che puoi!” comunica Nairobi, prendendo tra le mani il faccione morbido del suo fratellone già intento a medicare e bloccare il flusso di sangue che sgorgava dalla spalla di Tokyo.

“Tu vai a cercare veleno, ferita non profonda. Io riuscire a bloccare tutto e curare, ma serve sapere di veleno” aggiunge Helsinki invitando l’amica a compiere quel dannato test per conoscere la situazione.

Nairobi si volta di scatto verso la porta e, tenendo la pistola a portata di mano, raggiunge Stoccolma nella stanza accanto.

“Quando si risveglierà giuro che l’ammazzo cazzo!” esclama Nairobi potendosi finalmente sfogare, lanciando a terra la pistola e portandosi una mano fra i capelli corvini.

“Secondo te perché ha fatto così?! Lei esplode se qualcosa la turba, ma a questo giro perché si è esposta?!” chiede Stoccolma, mentre guarda attentamente il sangue attraverso le giuste apparecchiature.

“Non ne ho la più pallida idea! Lei dà fuori di matto sempre e…”

“Nairobi” la interrompe subito Stoccolma, staccandosi dal microscopio e da tutte le pipette che stava utilizzando, fissando attentamente un elemento del test che pare preoccuparla.

“Che cosa succede?!” chiede la gitana preoccupata, avvertendo un tuffo al cuore.

“Guarda tu stessa e dimmi se non stiamo pensando la stessa cosa” la invita Stoccolma lasciandole il posto sul luogo dell’analisi.

Nairobi si avvicina con due grandi falcate per poi osservare l’esito degli esami del sangue. Controlla i parametri che conosce finché, a un certo punto, uno in particolare attira la sua attenzione. Il cuore inizia a batterle forte nel petto e la mano le cede sul banco da lavoro. Alzando gli occhi dal microscopio, la gitana fissa lo sguardo in quello della compagna bionda della banda, consapevole di avere a che fare con un grandissimo problema.

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Capitolo 11
*** 10. ERROR ***


CAPITOLO 10
ERROR


 
Tre mesi prima, all’interno della Banca di Spagna…

Il piano del professore aveva funzionato e Raquel, finalmente, era riuscita ad entrare nella Banca e a riabbracciare tutti i suoi compagni. Ricomincia così un periodo di tregua in cui il prof può attuare il piano di fuga.

Nairobi viene operata istantaneamente alla mano dopo le torture subite da Gandia e riceve le cure di Bogotà che non si allontana da lei nemmeno per un secondo. L’idea di tornare alla normalità, però, spaventa Tokyo che si chiude in bagno per riflettere sul proprio avvenire.

La ragazza, con indosso la canottiera nera, si osserva allo specchio risciacquandosi il collo e pulendoselo dal sudore e dalla polvere. Osserva il proprio riflesso e sbuffa non sapendo che cosa fare. Ora avrebbe dovuto ricominciare una nuova vita e senza Rio non credeva di riuscirci.

È immersa in quei pensieri quando Rio stesso varca la soglia trovandosi di fronte alla ex.

“Scusami, non volevo disturbarti, torno dopo” dice lui con imbarazzo, facendo per uscire dalla stanza.

“Mi hai vista nuda, in ogni punto… e ora pensi di aver rovinato la mia privacy?” dice lei con ironia, appoggiando le mani sul lavandino. Rio si pietrifica di fronte alle parole della ex e decide di parlare con lei, chiudendosi la porta alle spalle.

“Adesso che cosa farai Rio? Quando eravamo in vasca dicevi che in futuro ci saremmo ritrovati e avremmo riso. Io con il mio motociclista e tu con moglie e figli giusto?” lo punzecchia lei mangiandosi il labbro e abbassando lo sguardo.

“Mi hai spezzato il cuore, questo lo sai vero?! All’inizio della nostra relazione pensavo che fosse solo una storia di sesso, soprattutto vista la mia incapacità di amare a seguito della morte del mio ragazzo” inizia ad aprirsi lei, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.

“Poi, invece, mi sono innamorata follemente di te. Sull’isola avevo bisogno di aria nuova, ma sicuramente non di starti lontana. Abbiamo fatto una stronzata con i telefoni, tu sei stato catturato, ma io ho fatto di tutto per salvarti perché senza te non riuscivo a stare. Poi quel discorso e la nostra relazione è andata in frantumi…perché Rio?!” comincia a piangere lei, razionalizzando l’accaduto che aveva affrontato solo attraverso una bevuta, per poi occuparsi del piano e dell’adrenalina. Rio non risponde. Si limita a serrare denti e pugni, irrigidendo la muscolatura. Quel discorso lo muoveva nel profondo e, seppur con fatica, era convinto che la separazione da Tokyo fosse la cosa giusta da fare.

“Sono stata un’amichetta così, tanto per?! Tu volevi stare con me per sempre cazzo! Invece mi hai usata solo per scopare… e scopare talmente bene da farmi credere che fosse amore” lo provoca lei, additandolo e guardandolo in modo torvo. Quel commento fa scattare Rio che avanza verso la ragazza sbattendola contro il lavandino e ponendosi a pochi centimetri dalle sue labbra strattonandola con una violenza che non sapeva motivare.

“Non mettere mai in dubbio ciò che abbiamo vissuto! Io ti ho amato, da morire!” dice lui seriamente deglutendo, per poi incalzare.

“Io ora ho solo bisogno di tempo Tokyo! Sento ancora su di me il trauma di ciò che ho vissuto e sicuramente non posso prometterti una relazione ora!”

“Ma che cazzo stai dicendo?! Io ti ho solo dato affetto! Quando tutti mi chiedevano di scopare con te davanti ai riflettori, io ho scelto di abbracciarti e capirti perché era ciò di cui avevi bisogno! Tu invece mi hai messa da parte, pensando solo a te stesso!” lo attacca di nuovo lei, non temendolo pur essendo ormai quasi attaccato alle sue labbra, a quelle labbra che la chiamavano con urgenza, come calamite.

In quel momento Rio non ci vede più e, per la prima volta nella sua vita, prende posizione. Gira di scatto Tokyo facendole incurvare la schiena in avanti sul lavandino, mentre si toglie la tuta e slaccia la cintura. Tokyo comprende il momento che sta per vivere e la parte più erotica di sé fa capolino, desiderosa di ritrovare soddisfazione con l’uomo capace di farla godere di più in assoluto.

Rio le toglie pantaloni e intimo con due violenti strattoni, per poi toccarle l’intimità ed entrare in lei da dietro, con un colpo secco senza nemmeno guardarla in faccia.

Un rapporto sessuale che si trasforma nella condivisione di un gesto istintivo tra due ragazzi incapaci di descrivere e comprendere le proprie emozioni. Una scopata di rabbia, di inamicizia che li lega in un turbinio di sentimenti contrastanti. Rio affonda nelle carni della donna con spinte rigide, cercando di non pensare, ma di godere soltanto. Tokyo, abituata a qualsiasi tipo di rapporto, riesce a trarre piacere anche da un momento del genere, assecondando il ragazzo e andandogli incontro grazie a movimenti del bacino.

“Io ti amo ancora Tokyo! Cazzo, io ti amo ma ora non posso lo capisci?!” urla allora lui, con la voce che sobbalza ad ogni affondo. Lui le stringe poi i capelli corti con una mano, in modo da aggrapparsi per quell’atto finale che in genere era in grado di controllare e che ora invece non sa come gestire.

In quel momento di amore c’era poco o niente. C’era uno sfogo, un desiderio di allontanare da sé una frustrazione e una sofferenza senza nome anche solo attraverso pochi secondi di orgasmo.

Rio si ferma poi rimanendo ancora all’interno di Tokyo, liberandosi anche grazie a un grido di piacere che accompagna il momento. I due si staccano poi ansimanti. Tokyo non riesce nemmeno a guardarlo in faccia. Si limita ad entrare in un gabinetto per ripulirsi, mentre lui si appoggia ancora nudo al lavandino cercando aria con cui recuperare il respiro. Tokyo si porta una mano tremante sul volto, dopo aver lavato i residui di un rapporto che non aveva avuto né capo né coda. Le parole di Rio non avevano senso, erano un puro sfogo come il suo desiderio di possederla ancora una volta. Ormai tra i due era impossibile una comunicazione. Quella era stata solo una scopata. Una scopata che, però, inconsapevolmente aveva creato una nuova vita.

All’interno della base segreta…

“Non ci posso credere… siamo proprio sicure che sia così!?” chiede Nairobi incredula di fronte al risultato, cercando in Stoccolma un nuovo chiarimento.

“Sì, non c’è dubbio. È incinta da quasi tre fottuti mesi e volendo potremmo addirittura effettuarle un B test per vedere il sesso del bambino… per dire quanto sia assurdo questo silenzio” risponde Stoccolma scioccata, cominciando immediatamente a giudicare Tokyo per essersi messa in un nuovo rischio senza avvertire della sua gravidanza.

“Lo sa lei vero?! È impossibile che non lo sappia giusto?” cerca conferma Nairobi, incredula per l’ennesimo comportamento folle della migliore amica che aveva quasi rischiato la vita per chissà quale colpo di testa.

“Nairobi, siamo state incinte tutte e due! Come si può non accorgersi?! Il ciclo che non ti arriva per tre mesi di fila è già un evidente campanello, ma vogliamo parlare dei cambiamenti corporei che già si avvertono?! Tokyo lo sa di essere incinta, ma non ha voluto dircelo” puntualizza Monica, portandosi le mani sui fianchi cingendo la maglietta attillata.

“Cazzo… io l’ammazzo cazzo! L’ammazzo!” si sfoga Nairobi serrando i denti e colpendo violentemente le mani sul tavolo.

“Che cosa facciamo ora? Sicuramente non possiamo dirlo a tutti” chiede perplessa Stoccolma, mangiandosi freneticamente l’unghia dell’indice destro.

“No… infatti le conviene aprire quei cazzo di occhi il prima possibile e dirmi tutto per filo e per segno. C’è di mezzo un bambino e questa volta non le permetterò di fare stronzate” conclude determinata Nairobi, con la solita volgarità grazie alla quale fa trapelare l’affetto che nutre nei confronti di Tokyo, quell’amica che le aveva salvato la vita e a cui ora voleva restituire il favore.

Passarono diverse ore e Nairobi, per non agitarsi, si era data da fare. All’interno della panic room si era messa a catalogare e ricaricare le armi, seppur con fatica. “Come era possibile che fosse incinta?!” “Quando è successo?” “Con Rio? …ma loro non stanno più insieme!” “Perché non me l’ha detto!?” …quel caos di interrogativi continuava a turbinarle nella mente quando, inaspettatamente, Helsinki spalanca la porta comunicandole il risveglio di Tokyo e la sua ottima ripresa fisica.

Nairobi abbandona subito le proprie mansioni e, una volta nella stanza, si avvicina lentamente a Tokyo facendo gentilmente gesto agli altri di lasciarla sola. Tokyo ha ripreso conoscenza, ha il collo bendato e una flebo al braccio. Nairobi le si siede accanto mostrandosi calma e posata come sempre, cercando di non esplodere ancora.

“Come stai?” domanda la gitana con tranquillità.

“Bene, mi brucia un po’ ma sto bene…” risponde Tokyo sicura di sé, abituata a non mostrare mai le proprie debolezze.

È allora che Nairobi decide di usare tutte le sue carte e dare una vera e propria svegliata all’amica. La gitana, una volta alzata in piedi, si china sul volto dell’amica guardandola negli occhi.

“Sai che cosa sei…” le sussurra Nairobi, a due centimetri dalle sue labbra, accarezzandogliele delicatamente con la punta dell’indice destro. Un gesto tenero, scherzoso, in parte spinto e romantico che loro due erano abituate a rivolgersi ma che, questa volta, portava in sé un significato diverso.

“Una grandissima stronza!” urla Nairobi dopo alcuni secondi di suspence, dando un leggero schiaffo all’amica del cuore in modo da punirla senza però farle troppo male vista la ferita.

“Ma sei scema?! Che cazzo fai?!” sbotta con ferocia Tokyo tirandosi su di scatto e fulminando l’amica con lo sguardo mentre, con una mano, si tocca la guancia accaldata.

“Sei la mia migliore amica cazzo e tu non mi hai detto niente!” le grida contro Nairobi, cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza.

“Di che cosa stai parlando?!” chiede Tokyo dubbiosa, non intuendo ancora il motivo di quella reazione esagerata.

“Sei incinta porca puttana! Tu sei incinta e non ce lo dici!” dichiara allora Nairobi, facendo letteralmente scoppiare la bomba che zittisce Tokyo una volta per tutte.

Silene non ragiona più. Il respiro si fa più affannato e comincia a fissare lo sguardo su un punto della parete, inarcando le sopracciglia ed entrando così in quello stato di catalessi nel quale era solita chiudersi. Se avesse avuto forza nelle gambe si sarebbe tirata in piedi e corsa via, ma sapeva di non poterlo fare. Non poteva farlo per la propria salute e, soprattutto, per Nairobi: il grande amore della sua vita rimasta all’oscuro di una situazione che nascondeva da mesi.

“Che cosa sei andata fare fuori?! Perché sei uscita allo scoperto?! Perché non mi hai detto nulla?! Perché…”

“Una pillola abortiva…sono uscita a prendere una pillola abortiva” rivela a gran voce Tokyo, interrompendo i mille interrogativi della gitana.

“Vuoi abortire?! Perché proprio ora?! Perché non prima?!” chiede Nairobi abbassando il tono della voce. In pochi secondi i suoi occhi si fanno lucidi e il polmone dolente si appesantisce a causa di un respiro che non riesce a sostenere. Lei, che desiderava tanto poter rivivere la maternità, osserva la migliore amica inerme, desiderosa di sbarazzarsi di quella vita che bramava con tutte sé stessa.

“Perché prima non lo doveva sapere nessuno! Perché è la mia vita e sono cazzi miei! Dal primo momento ho voluto abortire, dal primo cazzo di momento! Sta di fatto che siamo sempre qui, chiusi come dei cani randagi in un canile, ho dovuto provarci e uscire io…” risponde Tokyo, lasciando cadere la testa sul cuscino, asciugandosi con una mano il volto imperlato di sudore.

“A me lo potevi dire cazzo! Ti avrei aiutata in tutto, in ogni fottuta decisione! Cosa devo fare ancora per dimostrare che ti puoi fidare di me?!” si lamenta Nairobi, mangiandosi il labbro superiore in modo da mascherare le lacrime che bussavano ormai ai suoi occhi.

“Perché non posso nemmeno fidarmi di me stessa” risponde Tokyo abbassando finalmente le difese, speranzosa in ulteriori domande per riuscire a scaricare un fardello fin troppo grande da sostenere.

“Chi è il padre?” chiede allora Nairobi, sedendole accanto volendo capire altro della situazione.

“Chi vuoi che sia secondo te?! Rio, porca puttana…Rio!” risponde Tokyo, infastidita dal dubbio insensato dell’amica.

“Quando?! Come è possibile? Sei incinta da 3 mesi e 3 mesi fa noi eravamo…”

“Nella banca di Spagna esatto…” afferma Tokyo, dando risposta alla frase appena espressa da Nairobi.

“Io non ci posso credere. Quello che ho in pancia è un flagello cazzo! È un fottuto flagello! Sono una maserati no? Proprio come dice Denver. È da quando ho sedici anni che la gente ci sale sopra solo per farci un giro e poi cosa mi succede? Resto incinta dell’unico stronzo che amo, con cui ho scopato per rabbia qualche minuto dentro alla banca…sapendo che quello sarebbe stato solo uno sfogo, dato che lui non mi ama più” si sfoga definitivamente Tokyo, lasciando finalmente libere le lacrime.

“Cosa pretendi? Che io tenga un bambino nato da una scopata di rabbia tra due genitori che non si amano? Vuoi che io lo metta al mondo con il rischio che mi venga strappato via come è successo a te con Axel?! O che si mettano a cercarlo come hanno fatto con Cincinnati e Paula!? No… io non voglio” conclude Tokyo serrando le labbra e sentendo il gusto salato e amaro di quelle lacrime di dolore che percorrevano lentamente il suo viso.

“Ascoltami… un bambino non è mai una stronzata. È difficile credimi, ma è anche la cosa più bella della vita. Non sei sola con questo bambino! Anche se non state più insieme, Rio lo amerà con tutto sé stesso e cercherete di dargli la miglior vita possibile!” prova a confortarla Nairobi, prendendo le sue mani e custodendole fra le sue.

“Inutile che ci provi Nairobi… non funziona! Io questo bambino non lo voglio! Io non sono una madre, non mi piacciono i bambini, non sarò mai una donna pronta a stare in casa facendo lavatrici e cambiando pannolini! A me di questo bambino, non frega un emerito cazzo! Voglio abortire perché sono ancora nei tempi e né io né lui sentiremmo qualcosa…” sbotta ancora Tokyo, indossando nuovamente l’armatura di ferro con cui era solita vivere.

“Ah sì? Dici di non sentire niente? L’idea te la farò cambiare io, perché al flagello che tu porti in pancia batte già il cuore e volendo vedere Stoccolma avrebbe potuto farti un altro test per ipotizzarne il sesso. Non lo dirò a nessuno, se è questo che vuoi, ma tu a Rio lo devi dire e non ti permetterò di fare colpi di testa. Ti dimostrerò che questo bambino tifa per te e che anche tu non potrai fare a meno di lui” conclude Nairobi determinata, mostrando parole di conforto ma anche di rimprovero verso una sorella che ora aveva tra le mani la più grande opportunità che le sia mai capitata.

Nairobi esce dalla stanza raggiungendo a grandi falcate la panic room dove trova il professore intento a mordicchiarsi il pugno nervosamente.

“Professore?” lo chiama Nairobi notandolo in difficoltà.

“Spero che Tokyo stia bene, ma qua la situazione è grave” dice subito lui, indicando il monitor del computer facendo segno alla donna di avvicinarsi. Nairobi scruta attentamente lo schermo, rinvenendo in esso molte testate giornalistiche che dichiarano già l’ipotesi della visione di Tokyo. C’è chi dice si trattasse di una persona semplicemente simile e chi invece testimonia di averla proprio riconosciuta.

“Siamo nella merda Nairobi! Dobbiamo subito tirare fuori i ragazzi dal Palazzo e spostarci il prima possibile. Ora tutti sanno che siamo in fuga” taglia corto lui, aggiustandosi gli occhiali nervosamente grazie all’usuale tic.

“Professore, abbiamo anche un altro problema… e riguarda proprio Tokyo” dice poi Nairobi, intenzionata a far conoscere la verità alla mente della banda.

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Capitolo 12
*** 11. UNA NUOVA CARICA ***


CAPITOLO 11
UNA NUOVA CARICA



“Che cosa è successo?” chiede il professore, rivolgendosi a Nairobi.

“Tokyo è incinta” sbotta subito lei, mangiandosi un labbro, consapevole di non doverlo rivelare agli altri.

Il professore perde per un secondo l’equilibrio, portandosi una mano alla bocca e sgranando gli occhi. Il piano rinascita prevedeva la ricerca di stabilità per tutti i membri della banda, non sicuramente il concepimento di nuove vite.

“Cazzo!” urla lui battendo il pugno sulla scrivania. Quel gesto attira l’attenzione di Rio che, mentre entra nella Panic Room, si ferma ad ascoltare il discorso segreto dei due.

“Lo so che può sembrare assurdo ma è così e lei potrebbe dare colpi di testa!” afferma Nairobi, cercando il supporto del professore.

“Potrebbe?! Li ha già fatti! È uscita allo scoperto mettendoci nella merda! Quindi è stata così strana per tutto questo tempo proprio perché è incinta?!” sbotta lui, non sapendo di avere presente anche Rio che si immobilizza di fronte alla rivelazione.

“Lei vuole abortire” dice subito Nairobi, abbassando lo sguardo e cominciando a rigirare gli anelli tra le dita. Di fronte a tale dichiarazione, sia prof che Rio rimangono pietrificati. Decidere di annullare la possibilità di una vita è una scelta difficile da accettare, soprattutto per degli uomini sensibili come loro due.

“Io non glielo voglio permettere! Per questo…ti prego… dobbiamo cercare di prendere l’attrezzatura per fare un’ecografia” aggiunge ancora Nairobi, convinta del proprio piano per far cambiare opinione all’amica del cuore.

“Come cazzo faccio?! Dove la trovo soprattutto?!” si altera il prof, non capendone il senso e non sapendo come aiutare.

“Cerco io l’attrezzatura” si intromette allora Rio, prendendo coraggio e comparendo davanti ai due con entrambi i pugni serrati. Nel vederlo lì, probabilmente consapevole di tutto il dialogo appena effettuato, Nairobi e il professore si guardano intimoriti, non sapendo come comportarsi.

“Rio, noi non sapevamo che…” prova a intromettersi Nairobi, pronta a giustificarsi.

“Non preoccupatevi. È tutta colpa mia… e ora devo rimediare” risponde lui, facendo per allontanarsi con le lacrime agli occhi.

“Fermo, fermo, fermo” lo blocca subito Nairobi afferrandolo per il gomito obbligandolo a parlare.

“In che senso è tutta colpa tua?!” domanda allora il prof, incrociando le braccia.

“L’ho trattata male. L’ho usata e l’ultima volta che abbiamo avuto rapporti io ho solo sfogato su di lei la mia frustrazione” si confessa lui, lasciando scivolare le lacrime.

“La verità è che per colpa delle mie ansie, dei miei incubi, delle mie paure, ho pensato solo a me stesso. Il tempo che ho trascorso sotto tortura mi ha fatto credere invincibile, senza la necessità di Tokyo alla quale mi sentivo succube. Alla fine 12 anni in meno sono tanti no? Io rimango un bambino! Per questo motivo mi sono allontanato… ma poi sono arrivati i traumi. Credevo di non amarla più, ma la verità è che nel vederla soffrire così mi si sta spezzando il cuore” piange lui, rimanendo immobile fissato con i piedi al pavimento.

“Rio… svegliati! Ora non è più il momento di piangersi addosso lo capisci?!” si avvicina Nairobi, afferrandogli le spalle e scuotendolo con forza.

“L’ho messa incinta a caso! Per nulla! Per i miei problemi personali, pensando a come godere di più! Mi sento uno schifo! Ora capisco anche come la stia vivendo…” continua a compiangersi lui, distrutto dalla situazione.

“Tu che cosa ne pensi di questo bambino?” si intromette allora il professore, desideroso di arrivare a un dunque. Rio rimane immerso nel silenzio per alcuni secondi per poi abbozzare un sorriso e guardare il volto di Nairobi.

“Ho fatto una stronzata… ma io ho sempre desiderato essere un papà” si commuove allora lui, facendo sorridere anche Nairobi che lo fissa profondamente negli occhi.

“Io questo bambino lo voglio, soprattutto se è mio e di Tokyo. Per questo ti cercherò quell’attrezzatura Nairobi! Voglio che anche lei cambi idea e porti avanti la gravidanza… anche se lei è una grandissima stronza, penso che sarà una bravissima mamma” conclude poi il ragazzo smorzando la tensione generale. Nairobi si lascia andare a una risata di felicità, mentre abbraccia l’amico con foga sotto lo sguardo contento del professore. Ora il gioco si faceva veramente duro, ma sicuramente l’arrivo di un bambino rappresentava un incentivo maggiore nel cercare di far funzionare il piano.

Trascorse un giorno dall’avvenimento di Tokyo e la ragazza era riuscita ad alzarsi e a muoversi, pur avendo ancora il petto e la testa immobilizzati per la ferita alla spalla. Rio, il prof, Stoccolma e Nairobi si accordarono di mantenere il silenzio sulla questione gravidanza, cercando il momento migliore per intervenire e parlarne con la diretta interessata. Rio, infatti, era riuscito ad ottenere tutta l’attrezzatura ginecologica grazie ai soliti magheggi nel mercato nero. La situazione all’interno della casa sembrava stabile ma all’esterno si stava scatenando il caos.

“Palermo, domani attueremo il piano Alcatraz… purtroppo come già sai ci hanno scoperti” dice il professore attraverso la radiolina.

“Quella cretina di Tokyo! Perché cazzo l’hai voluta in squadra eh?! Me lo spieghi?! Forse è meglio che non mi fai uscire perché l’ammazzo con le mie mani!” si sfoga Palermo digrignando i denti e sputando la propria rabbia nella cornetta telefonica.

“Smettila” dice il professore chiudendo gli occhi e respirando profondamente.

“A te non deve importare il mio rapporto con Tokyo. Sta di fatto che domani uscirete grazie all’elicottero, proprio come era avvenuto con il salvataggio di Lisbona, ma l’elicottero vi porterà in un’altra base dove disperderete le vostre tracce” ordina il professore, per poi riattaccare il telefono.

Qualche ora dopo…

Nairobi, Stoccolma, il prof e Rio avevano organizzato tutto per l’ecografia a Tokyo, predisponendo la stanza e disinfettandola.

“Ma come cazzo funziona sto coso?” domanda Rio, tenendo tra le mani l’attrezzo per fare l’ecografia.

“A me ne hanno fatta solo una…l’unica cosa che posso dirti è che quello serve per fare l’ecografia interna” risponde Stoccolma, dandogli un gel da applicare sull’oggetto.

“Oh grazie, non l’avevo capito!” ribatte Rio ironico, cercando immediatamente delle istruzioni in qualche scatola.

“Cucciolo lui! Qui abbiamo un papino agitato eh?!” lo schernisce Nairobi, mostrando i propri denti bianchi, in realtà intenerita dalla visione del ragazzino alle prese con qualcosa di grande e importante.

“Nairobi, tu sei l’unica che può capirci qualcosa in realtà. Io so come funziona, ma è anche vero che non possiamo restare qui in seicento. Tokyo reclamerebbe la sua privacy…” si intromette il professore, facendo ragionare gli altri che si guardano confusi, desiderosi di trovare un modo per mettere Tokyo a suo agio.

Nel giro di mezz’ora l’attrezzatura è pronta e Nairobi invita l’amica ad entrare nella stanza grazie a un diversivo. Tokyo, una volta accortasi del monitor e del lettino, impallidisce e stringe i pugni arrabbiata.

“Sei una stronza…” riesce solo a dire, mettendosi sulla difensiva, facendo per andarsene.

“Jarana Hermana… Jarana Hermana” grida Nairobi attirando la sua attenzione, consapevole dell’importanza di quelle due parole, consacrate ad unirle per sempre.

Tokyo si ferma di scatto, smossa da dei semplici fonemi che collegava a un senso di famiglia: quella famiglia che non aveva più e che ormai riconduceva a Nairobi.

“Fidati di me…” aggiunge Nairobi sorridendole, felice di averla in pugno. Tokyo, infatti, si lascia guidare dall’amica adagiandosi sul lettino, seppur sbuffando.

“Che cosa vorresti fare?” dice lei alzando gli occhi al cielo.

“Farti prendere consapevolezza delle tue future scelte. Ora potresti spogliarti?” richiede Nairobi, nelle vesti di ginecologa. Tokyo si toglie pantaloni e intimo, rimanendo solo in maglietta, per poi riposizionarsi sul letto.

“Apri le gambe…” dice Nairobi, preparandosi al gesto.

“No oh… ok che siamo amiche ma così è troppo! L’ecografia mica si fa sulla pancia?!” si blocca subito Tokyo, serrando le gambe e coprendosi con la mano, imbarazzata dalla situazione.

“Quelle esterne sono superficiali, con quelle interne si possono controllare più parametri… fidati di me amore, ho anche una voglia matta di vederti la vagina in realtà” ride Nairobi, utilizzando quella battuta volgare proprio per riacquisire quel rapporto spinto che la legava a Tokyo. Tokyo si pone seduta sul lettino, per poi avvicinarsi al volto dell’amica dandole un bacio sensuale sull’angolo della bocca.

“Stai attenta a non eccitarti… mi piacciono comunque i maschi” conclude poi Tokyo, accettando la visita e sdraiandosi, permettendo così all’amica di aver cura di lei.

Dopo alcuni secondi il monitor comincia a mostrare delle figure sfuocate e Nairobi preme alcuni comandi per inquadrare diversi punti dell’utero.

“Ahia cazzo, vai piano con quel coso!” si lamenta Tokyo sentendo un piccolo dolore.

“Eh scusami… sai non faccio mica ecografie transvaginali nel tempo libero eh!” risponde Nairobi, rimanendo comunque concentrata sull’obiettivo. Trascorre un altro minuto e, finalmente, la falsa ginecologa trova il punto perfetto dal quale si riesce a vedere il bambino. Tokyo squadra quel fagiolino così piccolo, rannicchiato nel suo grembo e nota che ha già la fisionomia di un bambino. La donna lo osserva attentamente, senza dire una parola, sentendo dentro di sé una sensazione strana mai provata prima. Una sensazione che le scalda il cuore ma che allo stesso tempo la fa soffrire per l’irruenza con la quale si presenta. Tokyo non sa perché, ma la visione di quel piccino, di 4 cm e 4 grammi, le smuove l’animo in profondità.

“Basta, Nairobi… non farmi più vedere nulla! Tanto sai che non posso tenerlo…” dice Tokyo scuotendo la testa, difendendosi istintivamente da tutte quelle emozioni che desidera reprimere.

“Fidati di me…” continua Nairobi, grata di averla smossa e intenzionata a farle cambiare idea, mettendo così in atto la parte finale del suo piano. Tokyo continua a lamentarsi, dicendo “No” un miliardo di volte, per poi zittirsi di fronte a un suono che cattura la sua attenzione. Un battito cardiaco accelerato irrompe nella stanza colpendo profondamente il cuore di Tokyo e Nairobi. È impossibile spiegare la sensazione che prova una mamma sentendo il battito del suo bambino. È un mistero che nessuno è in grado di descrivere, ma sta di fatto che quel momento è uno dei più intensi per una donna.

Tokyo non riesce a dire neanche una parola. Rimane imbambolata davanti allo schermo e, finalmente, inizia a prendere confidenza con il meraviglioso istinto materno che bussava dentro di lei.

“Allora? Che dici?” chiede Nairobi sorridente, leggendo il sentimento dell’amica impresso nel suo viso.

“Inutile che ci provi… io sono da sola con questo bambino! Come cazzo farei!?” sbotta ancora Tokyo, impossibile da scalfire.

“Non sei sola” si intromette allora Rio alle sue spalle, avanzando verso di lei continuando a deglutire.

“Tu che cazzo ci fai qui!?” si inalbera subito Tokyo, puntando i gomiti sul lettino e guardandolo torvo in volto, ponendosi sulla difensiva.

“Lui mi ha sentito parlare della tua gravidanza e… se ti sto facendo tutto questo è grazie a lui” si intromette Nairobi per poi serrarsi le labbra, pulire Tokyo e invitarla a rivestirsi.

“Tokyo… io…” prova a dire lui, facendo per toccarla.

“Non ci provare! Tu mi hai rigettata! Non puoi ritornare qui ora e pretendere di avere diritto di parola!” lo zittisce subito lei, spostando il braccio prima di ricevere anche solo un tocco.

“Invece io ho diritto di parola eccome! Il bambino è anche mio!” urla allora lui, indicandosi il petto come a voler rivendicare qualcosa su cui si prende completa responsabilità.

“Non importa, questo bambino non esisterà! A doverlo tenere sono io, a partorirlo, gestirlo, crescerlo sono io! Io sono libera di fare ciò che voglio… e io voglio abortire” dichiara infine Tokyo, vergognandosi della propria voce che cala improvvisamente proprio sulle ultime strazianti parole.

“Anche dopo quel battito vuoi abortire?” chiede allora Nairobi, sentendosi autorizzata a replicare.

Tokyo rimane in silenzio per la seconda volta, incrociando le braccia e iniziando a picchiettare nervosamente il piede a terra, classico segnale di quando viene colpita in punti delicati.

“Tokyo, io questo bambino lo desidero con tutto me stesso e ti prometto che non sarai sola!” si aggiunge Rio, accarezzandole le braccia senza ricevere spintoni.

“Lo dici solo perché ti faccio pena! Solo perché con il bambino ora sei obbligato ad amarmi!” si libera allora lei, iniziando a singhiozzare senza ritegno e a tremare di terrore, impaurita da un futuro che la spaventa.

Rio risponde al pianto con un gesto che i loro cuori attendevano da molto. Toccato dalla ragazza in lacrime, il giovane trova la forza giusta per spingersi in avanti e avvolgerla tra le braccia, stringendola forte a sé. Tokyo si aggrappa alle sue spalle con tutta la forza che ha, nascondendo il volto nel suo collo e dando sfogo a quel pianto che reprimeva da troppo tempo.

“Io non ho mai smesso di amarti… ma non so più come si fa a dimostrarlo. Io non torno con te per il bambino! Io sono qui per chiederti scusa! Il bambino mi ha risvegliato, ricordandomi che non posso vivere alle spalle dei miei fantasmi. Ti prometto che mi impegnerò! Ci impegneremo entrambi, rimpareremo ad amare, ci faremo aiutare e vivremo insieme tutto questo. D’accordo?” si scusa Rio, lasciando scorrere una silenziosa lacrima lungo il viso, mentre stringe a sé la testa di Tokyo con la mano.

Nairobi osserva la scena emozionata, felice di quel quadretto familiare insolito che si stava creando. La gitana, fiera del proprio operato, si allontana dalla stanza senza fare il minimo rumore, orgogliosa di Tokyo ma al contempo malinconica nel pensare che, nella propria vita, non aveva mai ricevuto il supporto di nessuno…men che meno di un uomo. Un uomo che ora, però, prendeva le sembianze di Bogotà e che avrebbe fatto di tutto per non lasciarla sola.

Nel frattempo, da Alicia Sierra…

La ex ispettrice guarda gli schermi nella sua base segreta, mentre tiene tra le braccia il figlio in lacrime.

“Shhhh” fa lei innervosita dal pianto, cullando il piccolo con gesti nervosi.

“Tutti i notiziari lo confermano: la ragazza incontrata per strada è Tokyo” le dice un assistente informatico, mostrandole una testata giornalistica con lo scoop in prima pagina.

“Quello stronzo del professore aveva ideato un piano da favola! Facendoci credere di doverli seguire nel Palazzo mentre i veri Dalì se ne sgattaiolano fuori!” constata lei rabbiosa, gelosa di quella mente micidiale del professore.

“Ora che cosa facciamo? Non abbiamo neanche Gandia e Enrique!” commenta un altro aiutante, intimorito dal futuro.

“Perché, secondo voi a me importava qualcosa di quei due?! No… io sono molto più forte da sola. Inizieremo a tracciarli fino a scovarli. Inoltre… vi ricordo che noi abbiamo ancora il ragazzino” conclude la donna sadica, girandosi lentamente rivolgendo un ghigno malefico ad Axel: la sua carta vincente. 

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Capitolo 13
*** 12. TREGUA ***


CAPITOLO 12
TREGUA

 
Le condizioni fisiche di Tokyo migliorano a vista d’occhio, motivo per cui la banda si organizza per il prossimo trasferimento verso la nuova base a Bor, in Serbia, dove i fidati aiutanti del professore li stavano aspettando per scortarli maggiormente. Il viaggio, però, era molto lungo e pericoloso, motivo per cui Cincinnati doveva salutare di nuovo la sua famiglia per non rischiare.

“Ti prometto che la mamma tornerà presto! Tu andrai ancora con Orso, con lui stai bene vero?” dice Stoccolma, inginocchiata davanti al bambino che stava salutando per l’ennesima volta.
Cincinnati annuisce con tristezza, per poi sorridere al grande omone serbo che lo stava aspettando, pronto a prendersi cura di lui ancora una volta.

“Ti voglio bene piccolo” si inserisce Denver con le lacrime agli occhi, stringendo al petto quel bambino che amava con tutta la sua anima.

I genitori osservano il piccolo salire su un auto mentre si stringono la mano per sopportare quella separazione con un bambino di pochi anni che non avrebbe mai dovuto allontanarsi da loro.

“Cazzo…” esclama poi Denver arrabbiato, mettendosi le mani tra i capelli e facendo per strapparli.

“Quanto tempo passerà prima di rivederlo?! Tokyo porca troia! Per colpa sua il piano è saltato e ora non sapremo quando riavremo Cincinnati!” continua a sfogarsi lui, in collera per quella serenità distrutta in pochi secondi.

“Non è solo colpa di Tokyo… è incinta e ha agito d’istinto!” cerca di difenderla Stoccolma, anche lei distrutta per l’arrivederci rivolto al figlio, ma pur sempre empatica nei confronti dell’amica.

“E allora?! Anche se è incinta?! Non è mica giustificata! Ha fatto il suo ennesimo colpo di testa di merda mettendo in mezzo tutti! Non me ne frega un cazzo se è incinta! Pure io ho un bambino, e per colpa sua mi viene portato via!” la accusa ancora Denver mimando con il braccio il segno di mandare qualcuno a quel paese.

“Anche io quando ero incinta stavo per fare tante stronzate. Ricordi?! Se non ci fossi stato tu, io ora non sarei la mamma di Cincinnati. Tokyo è rimasta incinta per un errore e impaurita ha pensato immediatamente a che cosa fare. Sappiamo che è una tipa cocciuta e ha voluto fare tutto da sola… ma in quei momenti ti assicuro che vuoi essere sola. Devi solo sperare che arrivi qualcuno a dirti quanto sei bella e coraggiosa, proprio come tu hai fatto con me. Nessuno di noi ha mai avuto uno sguardo del genere nei confronti di Tokyo…” cerca di farlo ragionare Stoccolma, aprendo il proprio cuore da mamma e condividendo quell’esperienza femminile che Denver non poteva capire.

“A proposito di bambini… è arrivato il test di paternità. Me l’ha dato il professore poco fa” aggiunge ancora Stoccolma, estraendo una busta dalla tasca posteriore dei pantaloni.

Denver rimane impietrito dalla novità, cominciando a respirare a fatica di fronte al referto più importante della propria vita.

“Che cosa dice?” chiede lui non stando più nella pelle, incrociando le dita come a voler interferire in una sorte meschina che l’avrebbe reso padre illegittimo di Cincinnati.

Stoccolma gli si avvicina con le lacrime agli occhi, mangiandosi ed inumidendosi le labbra come a voler ancora mantenere un segreto che non vedeva l’ora di rivelare. La riccia prende tra le mani il volto del marito, per poi sorridere e sussurrare con estrema dolcezza:

“Nessun Arturo Roman. Sei tu Denver, il vero papà di Cincinnati”

Denver non riesce a credere alle proprie orecchie, motivo per cui inizia a ridere di gusto come suo solito, per poi abbracciare la moglie e sollevarla facendola roteare in una danza leggiadra. I due sanciscono il momento con un bacio appassionato, lieti e grati della rivelazione più bella della loro vita.

Qualche ora dopo…

La banda è di nuovo in viaggio grazie ad alcuni camion attrezzati su cui il professore coordina il piano di fuga.

“Palermo, l’aereo sta arrivando: preparatevi a salire il più velocemente possibile” afferma il professore nervoso, agitato dal momento.

“Siamo tutti pronti professore!” risponde Palermo, facendo segno ai compagni di indossare la maschera, imbracciare il fucile e uscire sul tetto.

“La rapina più imbarazzante della storia” afferma uno dei sosia, ridendo per quella fuga improvvisata.

“Ma che cazzo dici?! Abbiamo fatto la cosa giusta e ora ce ne andiamo senza troppi problemi” risponde alterata Bergamo, scrutando attraverso la maschera quel collega irriconoscente.

Senza pensarci ulteriormente, Palermo calcia la porta violentemente spalancandola e liberando così il passaggio. I Dalì escono velocemente, mentre i cecchini della polizia aprono il fuoco contro di loro.

“Cazzo!” esclama Brasilia, nascondendosi dietro a un condotto dell’aria.

“Iniziate a prendere quella cazzo di corda e ad arrampicarvi forza!” urla Manila con foga, mentre risponde agli spari.

“Ma ci vedranno!” dice allora Vienna, ansimando e appoggiandosi a un muro.

“Bergamo, lancia i fumogeni! Dobbiamo disperdere le tracce” comunica Palermo rivolto alla compagna.

Il professore osserva dallo schermo la ragazza intenta a sganciare fumogeni, mentre qualche finto Dalì riesce a salire sull’aereo.

Sergio è risucchiato dalla missione di salvataggio quando sente il telefono squillare, aspettandosi quella chiamata dalla polizia.

“Ispettrice!” saluta lui con il solito sorriso.

“Professore, dove state andando?” va subito al sodo Georgia, guardando negli occhi Angel.

“Per noi è giunto il momento di andarcene. Il piano ha cambiato rotta” risponde Sergio, mentre termina il suo origami rosso.

“La tregua tra noi è terminata, i colpevoli sono stati acciuffati, ma anche voi siete criminali e non possiamo permettervi di scappare” delinea l’ispettrice, girando tra le dita la cordicella del telefono.

“Ha ragione ispettrice, ma vede… forse lei non ha ancora capito che entrambi stiamo desiderando la stessa cosa. Il palazzo è intatto, a parte i danni arrecati da Gandia e Garcia che pagheranno, ma noi ci dobbiamo tutelare per salvaguardare la nostra sicurezza” spiega il professore, facendo ragionare l’ispettrice.

“Se vi arrestassimo vi porteremmo in luoghi sicuri… voi sapete che vi verrà data la caccia vero?” continua di nuovo l’ispettrice, cercando di incutergli timore.

“Guardi ispettrice… di lei non ho per nulla paura. È una persona meravigliosa che ha svolto il suo lavoro divinamente! Se la incontrassi per strada sono certo che ci fermeremmo in un bar e diventeremmo amici sorseggiando un caffè e parlando di strategie. Il vero problema, però, è quello di interrogarsi sull’effettiva realtà” inizia a dire il professore, puntando le dita come suo solito.

“Due assassini sono stati presi, è vero… ma ricordiamo che la mente delle loro azioni è ancora in circolazione. La cara ispettrice Alicia Sierra era considerata forse la migliore nel suo campo, eppure ora è un’assassina a piede libero che tiene ostaggio un bambino di 9 anni, ha torturato un mio amico e ne ha ucciso i genitori senza motivo apparente. Voi vi fidavate di lei vero? Così come vi fidavate di Raquel… ma le cose cambiano” continua il professore, mentre osserva con la coda dell’occhio tutti i membri dei Dalì salire sull’elicottero e mettersi in salvo.

“Ispettrice… le prometto che non ci vedrà mai più. Lei voleva sapere il motivo di questa rapina giusto? Il motivo era proprio quello di cercare una rinascita, mettendo in carcere chi davvero se lo merita e lasciandoci liberi di vivere la nostra vita. Lei può decidere di darci la caccia per sempre, ma noi non verremo mai più visti. Questo era il nostro ultimo piano e da domani regnerà il silenzio, visto che cercheremo di riacquistare le nostre vite. Oppure… lei può scegliere di lottare e dare la caccia ad Alicia Sierra che sta creando un impero di odio e che non si vergogna ad uccidere a mani nude… cosa che noi non abbiamo mai fatto in quanto esseri umani che rifiutano la morte. Ci rifletta cara ispettrice e si domandi: chi sono, i veri cattivi?” taglia corto il professore abbassando la cornetta, per poi stringere il pugno in segno di vittoria nell’osservare la squadra finalmente libera e fuori dall’edificio.

Angel e Georgia si guardano impietriti, consapevoli di aver appena condiviso una telefonata di stampo umanistico con il professore. Quelle parole, però, li toccano profondamente, specialmente Angel.

“Quello stronzo ha ragione…” si sbilancia subito lui, abbassando lo sguardo.

“Che cosa stai dicendo?!” chiede stranita l’ispettrice, corrugando la fronte.

“Raquel ora fa parte della resistenza, quando prima era l’ispettrice migliore di tutta la Spagna. Gandia era la guardia del corpo del presidente, per poi trasformarsi in un assassino senza pietà. La Sierra era una pazza, ma il suo lavoro l’ha sempre svolto bene…eppure ora è una criminale. Io vedo una grande differenza con tutte queste persone: Raquel è l’unica che ha conservato la propria anima nella trasformazione. Lei non è cattiva ispettrice! Così come non lo sono questi Dalì. Questa volta, secondo me, sono loro che stanno aiutando noi. La Sierra è da fermare!” dice Angel convinto del proprio monologo.
L’ispettrice lo guarda esterrefatta, per poi portarsi una mano sulla bocca e camminare freneticamente avanti e indietro. Era difficile credere a certe parole, ma la ragione la invitava a confrontare i casi con serietà. Sulla bilancia avevano una squadra di squilibrati capitanati da una ex ispettrice che mira alla violenza, alla vendetta, alla conquista e agli spargimenti di sangue. Dall’altra, invece, c’erano dei ragazzi che avevano fabbricato dei soldi illegalmente in alcune banche che, anni addietro, provocarono delle frodi pur non dichiarandolo.

Questi ragazzi non avevano mai ucciso nessuno, avevano trattato benissimo gli ostaggi dando anche un messaggio di speranza alla popolazione che ora li idolatrava come modelli. La posta in gioco era nettamente diversa. Sospirando profondamente e chiudendo gli occhi, l’ispettrice decide di invertire la rotta per provare a navigare controcorrente, in acque più tortuose, per poi dichiarare:

“D’accordo. Interrompiamo la ricerca dei Dalì ed iniziamo quella di Alicia Sierra”

Intanto, in una base segreta….

Alicia attende nervosa una telefonata che aveva programmato da diverso tempo. I Dalì pensavano di essere svegli, ma anche lei li aveva appena fregati con le loro stesse mani. Finalmente, dopo alcuni istanti, il telefono inizia a squillare.

“Pronto?” risponde cortesemente lei, pur sapendo l’identità della persona dall’altro capo della cornetta.

“Capo, siamo liberi! L’elicottero ci ha lasciati in diversi posti. Loro non si sono minimamente accorti di me. Avere indosso una maschera porta diversi benefici e loro non si sono resi conto di essere in un numero maggiore. Ora io sono stato rilasciato in Inghilterra, completamente solo! Mi godo la mia libertà ma, come promesso, le comunico che il professore si sta spostando in diversi stati per allontanarsi il più possibile. Sull’aereo hanno detto le prossime tappe in cui si insedieranno. Le ho stampate nella memoria” spiega il Dalì traditore. Durante l’ingresso di Gandia e scagnozzi all’interno del Palazzo, infatti, un membro della squadra si era travestito allo stesso modo dei Dalì per poi comparire durante il caos della sparatoria sul tetto e salire sull’elicottero. Vista l’agitazione del momento, la Sierra sapeva che nessuno si sarebbe messo a contare il numero dei sosia, motivo per cui il suo caro aiutante riuscì a passare inosservato e a sentire il da farsi del piano del prof.

“Molto bene! Li abbiamo in pugno… motivo per cui ora dobbiamo fargli abbassare la guardia” spiega l’ispettrice, sghignazzando tra sé e sé.

“Che cosa intende dire? Non attacchiamo?” chiede il collega infiltrato.

“No. Ora, caro amico mio, spariremo per mesi. Li lasceremo muovere e divertire! Nel frattempo cresceremo e ci alleneremo anche noi, per poi prenderli alla sprovvista nel momento giusto” dice la Sierra, prendendosi poi una lametta per unghie e dandosi al trattamento di bellezza con molta tranquillità.

“E il bambino?!” domanda ancora il soldato, dubbioso del piano.

“Lo liberiamo. Ora non ci serve più” conclude poi lei, facendo segno a un collega alle sue spalle di rilasciare Axel secondo gli accordi. Da quel momento regnò la pace… una pace superficiale capace di spezzarsi in un istante.
 

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Capitolo 14
*** 13. FALSA TRANQUILLITÀ ***


CAPITOLO 13

FALSA TRANQUILLITÀ

 
Nella nuova base a Bor…

La squadra era riuscita a muoversi con facilità, stranita dalla reazione della polizia che aveva indirizzato le ricerche su Alicia Sierra e non più su di loro. La questione riguardante il Palazzo Reale era già caduta nel dimenticatoio, o così i media la facevano apparire, visto che i reali spagnoli avevano richiesto il silenzio stampa. La vera preoccupazione riguardava quindi la ex ispettrice che, come un topo capace di non lasciare tracce mentre attraversa le tubature, si spostava in vari luoghi seguendo i movimenti dei Dalì senza il minimo rumore e a loro insaputa.

“Buongiorno a tutti” saluta il professore, rivolto alla classe seduta in soggiorno e non più su alcuni banchi.

“Come sapete il piano è andato bene. Abbiamo avuto alcuni disguidi ed imprevisti, ma due criminali ce li siamo tolti dai piedi. La cosa più importante, inoltre, riguarda la tregua della polizia che ha voluto ascoltare le mie argomentazioni indagando sul vero responsabile di qualsiasi squilibrio. Alicia Sierra… esatto. Quella donna acida e meschina ha cancellato le sue tracce. Non abbiamo sue notizie, pare che si sia ritirata” spiega il prof davanti alla classe, per poi fermare lo sguardo su Nairobi, consapevole di doverle dare una notizia importante.

“Sappiamo solo che ha rilasciato Axel” dice lui in modo conciso, mentre attorno a sé si crea un silenzio assordante. Nairobi solleva il volto emozionata e, in quegli occhi scuri truccati con mascara, matita ed eyeliner, compaiono alcune lacrime che non si vergogna di mostrare.

Bogotà le pone subito una mano dietro alla nuca, accarezzandole il capo con dolcezza, mentre Tokyo le afferra una mano ricca di anelli intrecciandola alla propria. Nairobi guarda le due persone più importanti della sua vita e, grata del loro supporto, dona un dolce sorriso di sollievo.

“Rimane ora da capire il perché abbia fatto questa scelta. Le opzioni sono due: o fa marcia indietro ritrovandosi sola e accerchiata da tutta la polizia del mondo, oppure lei ora decide di stare in silenzio per spostarsi esattamente come noi e stanarci prima o poi” presuppone il professore, portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni grigi.

“Noi ora continueremo il piano Rinascita, con il triplo della scorta. Ci muoveremo da una tappa all’altra fino a giungere in un luogo dove sarà impossibile rintracciarci. I vostri sosia sono già sparsi per il mondo, pronti ad entrare in azione e mostrarsi anche in strada in modo da confondere la Sierra. Inoltre vi comunico che ogni nuova base in cui ci sposteremo sarà dotata di ben due panic-room, già attrezzate anche per l’arrivo del figlio di Tokyo e Rio” comunica ancora il prof, guardando la coppietta che, imbarazzata, cerca di nascondere il volto tinto di rosso.

“Wow, quindi partorirà con noi presenti in sostanza…” dice Denver sorridendo, ricevendosi un’occhiataccia da Tokyo.

“Col cazzo che apro le gambe davanti a te!” sbotta subito lei, trattenuta da Nairobi che cerca di smorzare la tensione.

“Calmi, calmi!” si intromette Stoccolma sospirando di fronte ai due membri più cocciuti della banda.

“Ovviamente Tokyo non potrà permettersi un ospedale, motivo per cui studieremo il parto, varie operazioni e comportamenti che si devono attuare” aggiunge ancora Sergio, sistemandosi gli occhiali.

“Bello! Io propongo gara di papà!” si aggiunge Helsinki indicando Denver e Rio, i due genitori più giovani della banda.

“Che gara?!” chiede Nairobi ridendo.

“Gare tra maschi papà! Gara di cambiare pannolino, far fare ruttino, aiutare a andare in bicicletta, cucinare e altro!” spiega Helsinki non capendo le facce stranite dei compagni di fronte a tale richiesta.

“Ma che stronzata è?!” chiede Tokyo ridendo davanti all’assurdità del gioco proposto.

“Dai, io ci sto!” prende l’iniziativa Denver, alzandosi in piedi e sfregandosi le mani.

“Un gioco. Vedila come un gioco” fa l’occhiolino Bogotà, rivolto al ragazzo che sapeva solo programmare computer.

Ed è così che, dopo un mese di stress e divisioni, la banda si riunisce di fronte a una gara divertente e bizzarra che riesce a far sorridere chiunque. In poco tempo Denver e Rio si trovano di fronte ad un tavolo con davanti due bambolotti e alcuni pannolini, pronti ad iniziare la sfida.

“Chi mette più pannolini giusti vince, state attenti a non fare loro male!” comunica Helsinki tenendo tra le mani un cronometro e dando così il via.

I due papà cominciano ad aprire i pannolini e farli indossare ai due bambolotti. Denver dimostra molta più manualità, vista l’esperienza con Cincinnati, mentre Rio va in panico sbagliando parecchie volte il lato del pannolino.

“Piano! Così gli spacchi la testa Rio!” urla Nairobi portandosi le mani sul volto, mentre osserva l’amico afferrare la bambola dalla gamba.

“Ma come cazzo si fa?!” grida allora Rio alterato, ridendo di sé stesso e rendendosi conto di essere molto più bravo a programmare computer.

“La testa! Occhio alla testa!” si aggiunge Stoccolma, per poi avvicinarsi al marito e correggere alcune posizioni strane.

La gara dura ancora pochi secondi e l’intera banda riesce a rilassarsi grazie all’atmosfera serena e comica che si era instaurata.

“STOP!” dichiara Helsinki osservando il metronomo.

“Vincitore è Denver! Rio, tu avere tanto da imparare ancora” scherza il grande uomo serbo, ridendo tra i baffi.

“Mi sta venendo ansia…” conclude allora Rio, massaggiandosi la guancia come a voler cancellare il rossore dovuto all’imbarazzo.

“Non preoccupatevi, imparerete insieme. Voi avete la fortuna di non essere soli” si intromette Nairobi, sorridendo a Rio e Tokyo, rassicurandoli sull’avvenire.

È così che inizia un periodo di tranquillità in cui i Dalì riescono a spostarsi con molta calma, riacquisendo forza e determinazione, senza sapere, però, di avere Sierra alle calcagna consapevole di ogni loro spostamento.

5 mesi dopo, in Norvegia…

I Dalì si trovavano ora in Norvegia, in un posto altamente isolato e impossibile da individuare. Durante quei mesi si erano spostati con cautela, riuscendo ad utilizzare e convalidare le varie false identità create dal professore. Ormai la situazione con Alicia Sierra si era stabilizzata: il fatto di non avere sue notizie e vivere nella calma per ben 5 mesi aveva rasserenato tutti. La polizia, inoltre, non aveva smesso di indagare su di lei segretamente, motivo per cui lo stesso Sergio si sentiva al sicuro.

Un pomeriggio il professore si dirige nel seminterrato della grande abitazione per prendere dei cavi di alimentazione per i nuovi computer, quando avverte un rumore.

Il professore estrae la pistola spaventato camminando a passo felpato verso la fonte sonora. Giunto nella stanza incriminata, il prof punta l’arma alla testa dell’artefice del suono, per poi abbassarla immediatamente trovandosi di fronte a Bogotà.

“Ah sei tu!” constata il prof, tirando un sospiro di sollievo.

“Sì scusami, non volevo dire a nessuno di questa cosa” risponde Bogotà con indosso una maschera per proteggersi il volto.

“Che cosa stai facendo?” domanda il prof avvicinandosi all’amico intento a saldare qualcosa di estremamente piccolo.

Bogotà appoggia sul tavolo gli strumenti del mestiere, per poi aprire una mano e mostrare un anello con una piccola pietra scintillante. Di fronte a quella visione il professore intuisce al volo le intenzioni di quell’omone dal cuore buono e non può fare a meno di sorridere.

“Un anello di fidanzamento?” chiede allora, con un sorriso stampato sul volto.

Bogotà si limita ad annuire, rigirando il gioiello creato da lui tra le dita muscolose.

“Nairobi è una donna meravigliosa. Sono davvero contento di vederti così” comunica il prof emozionato, non riuscendo a togliersi il sorriso dalle labbra.

“Ho avuto tantissime donne e tantissimi figli. Li amo tutti, ma le loro madri non sono mai state nessuno per me. Con Nairobi è diverso… ho avuto il tempo e la calma di innamorarmi, senza correre, senza l’irruenza del sesso ma soffermandomi solo sui sentimenti. Nairobi si merita serenità, si merita una famiglia… e io voglio donargliela” spiega allora Bogotà, abbozzando un sorriso al capo della banda.

Di fronte a tale dichiarazione il professore non può che essere felice della novità, immaginando già un ipotetico regalo per le future nozze dei due.

La notte cala lentamente sulla casa norvegese dei Dalì e tutte le coppie sono ormai addormentate nei propri letti.

Rio e Tokyo, finalmente, riscoprono la bellezza di riassaporare la dolcezza del corpo, condividendo lo stesso letto con un pancione ormai evidente di cui Tokyo si lamentava spesso. Anche Bogotà e Nairobi trascorrevano ormai diverse notti insieme e, quella sera, sarebbe stata per loro indimenticabile.

Anche Sergio e Raquel quella notte non riuscivano a prendere sonno.

“A che cosa stai pensando?” domanda Lisbona, accarezzando il petto nudo dell’uomo della sua vita.

“Bogotà e Nairobi… si sposano” risponde lui, mentre lei sorride e si lascia andare a un’esclamazione di gioia.

“E non sei felice?” chiede la donna, arricciando la poca peluria presente sul petto di Sergio.

“Sì, per questo vorrei fare loro un regalo esemplare” dice Sergio in modo ambiguo, fissando il soffitto. Lisbona si solleva allora dal materasso, appoggiandosi al letto con il gomito, desiderosa di conoscere il fiume di idee mozzafiato che navigavano nella mente del marito.

“Voglio riuscire a trovare Axel… e portarlo qui, per le nozze” spiega allora Sergio, rivolgendo uno sguardo alla donna, consapevole di dover lavorare molto per attuare un piano di quel genere senza incorrere in distruzioni.

Nell’altra camera da letto…

Nairobi riposa nel grande letto matrimoniale della stanza. Da quando avverte la vicinanza di Bogotà gli incubi si sono attenuati e lei riesce finalmente a prendere sonno con facilità. Quella sera, però, la ragazza avverte una certa tensione nell’aria e si accorge del compagno ancora sveglio, intento a fissare il soffitto e a muoversi parecchie volte.

“Hey, tarantola…che cosa ti succede?” chiede allora lei prendendo coraggio, girandosi verso di lui.

L’uomo non riesce a rispondere all’istante e nemmeno a guardarla. Non sa perché ma il passo che stava per compiere lo intimoriva molto e la sua anima ne aveva paura. Lui non aveva mai creduto profondamente nell’amore. Aveva messo al mondo 7 figli da donne con cui aveva tagliato i rapporti. Sette volte in cui aveva creduto nell’amore e nella famiglia, per poi risultare il primo ad allontanarsi e non adempiere a quel destino. Ora, l’idea di trascorrere tutta la vita con Nairobi, lo rendeva pieno e soddisfatto, ma dentro di sé la paura lo divorava.

“Hey, allora?! Devo attirare la tua attenzione in qualche modo?” chiede lei, togliendosi immediatamente la maglietta e rimanendo davanti all’uomo con il seno scoperto.

Bogotà si distrae facilmente vedendo la sua dea della bellezza pronta a sedurlo, e cadere nella sua trappola risulta particolarmente facile. Bogotà abbandona l’idea di porgerle l’anello, per slanciarsi verso di lei e cominciare a baciarla con foga. Nairobi risponde al bacio con energia, sdraiandosi sotto di lui ed accogliendone il calore del corpo. In pochi secondi i due si ritrovano nudi, corpo contro corpo, trasmettendosi una passione e un affetto che vibrava nelle loro corde da mesi. Bogotà esplora il corpo della donna, mordendone il collo ed ascoltando i suoi sospiri di piacere, curandole il seno con delicatezza e rispetto per quella zona particolarmente delicata, per poi scendere vicino all’ombelico e baciare la cicatrice del taglio cesareo che le aveva donato una vita da custodire. Bogotà era l’unico che poteva toccarla così, che poteva toccarla lì, in una parte così sensibile e ricca di significato per lei. In poco tempo i due danno inizio al ballo dei loro corpi, che si uniscono con dolcezza, entrando in risonanza grazie a movimenti scanditi e ritmati.

Entrambi non avevano rapporti da diverso tempo ma, per la prima volta, vivevano quel momento con intensità, godendosi ogni istante e cancellando i pensieri dalla mente, lasciandola libera di girare vertiginosamente. Bogotà spinge con più forza, desideroso di conoscere Nairobi in ogni angolo e donarle piacere dopo il tanto dolore patito, quando, di scatto, si ferma e si immobilizza.

“Che cosa succede?!” chiede Nairobi con il fiatone, sollevando il volto e guardandolo negli occhi.

È allora che Bogotà prende coraggio, interrompendo l’atto sessuale ed afferrando la scatoletta posizionata sul comodino. Senza ulteriori giri di parole, l’uomo apre la scatola davanti alla ragazza mostrandole quell’anello di fidanzamento che aveva fabbricato con le sue mani.

Nairobi rimane di stucco di fronte a quel gesto e a quel gioiello conosciuto per la sua fama e per la bramosia di tutte le donne. Lei aveva sempre temuto il matrimonio per paura di essere trattata come era avvenuto con Enrique ma, dentro di sé, sognava il giorno dell’arrivo del suo principe azzurro ma con il terrore di svegliarsi e trovarsi fregata nuovamente.

“Che cos’è? Bogotà io…” prova a dire lei, portandosi le mani sulla bocca.

“L’ho fatto io. Non avevo il coraggio di dartelo perché avevo paura… non sono stato un uomo esemplare nella mia vita, ma ora che ho te vedo tutto in modo differente. Sei la donna più forte che io abbia mai conosciuto. Non hai mai mollato e sogni con tutta te stessa di ritrovare tuo figlio. Io ho capito di voler esserci sempre per te e, con questo anello, voglio chiederti se accetterai la mia presenza al tuo fianco” si dichiara allora lui, proponendo quelle nozze che entrambi desideravano.

“Quando dicevo che non ti avrei toccato neanche con un palo… è perché sapevo che mi avresti fottuto la vita. Ci ho messo tanto tempo lo so ma io ho bisogno di te come l’aria che respiro, quindi sposami Bogotà” conclude lei con le lacrime agli occhi, arricciando il naso per frenare quell’emozione che non voleva palesarsi con facilità. Bogotà dona quell’anello costruito con amore alla sua futura moglie, per poi baciarla con passione riprendendo quell’atto che avevano interrotto e che ora trovava compimento. Nairobi sorride ad ogni spinta d’amore, abbracciando la schiena dell’uomo che non smetteva di donarle dolci baci sul collo. Per la prima volta nella sua vita Nairobi aveva fatto l’amore, e l’aveva condiviso con l’uomo che avrebbe sposato.

Tra i Dalì i segreti durano veramente poco e la notizia delle nozze viene scoperta già la mattina seguente.

“Che anno ricco di avvenimenti!” esclama Stoccolma all’ingresso della casa, radunata insieme a tutti i compagni che si stanno dirigendo verso la sala da pranzo per la colazione.

“Sarà qualcosa di piccolo, solo con voi che siete la nostra famiglia” spiega Bogotà, per poi affermare di avere una gran fame e dirigersi verso la cucina per aiutare Lisbona a portare le pietanze in tavola.

“Jarana Hermana… sono felice per te” dice Tokyo rivolta a Nairobi, guardando la sorella profondamente negli occhi. Nairobi risponde all’affermazione con un abbraccio, seppur ostacolata dalla pancia di Tokyo che ingombra la scena.

“Ormai ci siamo Toky…” dice Nairobi sorridendo, mettendo una mano sul grembo dell’amica.

“Ne ho pieni i coglioni di sta pancia! Pesa un casino!” sbuffa Tokyo, sostenendosi il ventre salutando Rio con un sorriso, essendo appena giunto alle sue spalle. Nairobi si allontana per raggiungere i compagni pronti a far colazione, lasciando la coppia da sola davanti alla porta d’ingresso.

“Se vuoi posso sposarti anche io… la medaglietta con il mio nome non era molto bella come proposta di matrimonio non trovi?” dice lui posizionandosi davanti alla fidanzata, prendendo tra le mani il pancione ed accarezzandolo dolcemente.

“Mmmm…ci devo pensare. Vediamo se riuscirò a sopportarti in fase genitoriale ok?” ride lei sbeffeggiandolo, per poi sporgersi verso di lui per baciarlo. I due si abbandonano ai sentimenti, chiudendo gli occhi e avvicinando lentamente quelle labbra che, come calamite, volevano unirsi dolcemente.

Sono vicini di pochi millimetri quando, improvvisamente, una pallottola rompe il vetro della porta d’ingresso colpendo Tokyo e scaraventandola a terra.

È così che, sotto le urla di Rio che chiama i rinforzi, inizia la lotta con gli scagnozzi di Alicia Sierra: intenzionati a presentarsi ai propri nemici proprio durante quel mese di serenità.

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Capitolo 15
*** 14. MAMMA ***


CAPITOLO 14
MAMMA

 
“Che cazzo è successo?!” urla Nairobi correndo sul luogo, notando Tokyo a terra con un braccio pieno di sangue.

“Le hanno sparato quei figli di puttana! Ci hanno trovati!” risponde subito Rio, imbracciando un mitra ed uscendo dall’abitazione di corsa.

“RIO, RIO!!!” urla Tokyo mentre osserva il proprio uomo allontanarsi.

“Ferma! Stai ferma o qua ti dissanguerai!” dice Stoccolma giunta sul luogo.

“Bogotà, Denver e Lisbona! Correte dietro a Rio! Noi staremo qui e cureremo Tokyo!” ordina il professore, sollevando Tokyo per trascinarla via. È quando la ragazza si mette in piedi che tutti assistono a un momento che sicuramente li avrebbe messi in difficoltà.

“Porca puttana! Mi si sono rotte le acque!” dice Tokyo guardando il flusso di acqua e sangue che stava inondando il pavimento.

“Che cazzo facciamo?!” grida Nairobi, aiutando il professore a trasportare Tokyo.

“Andiamo in ascensore e raggiungiamo la panic room più vicina! Dobbiamo farla partorire o rischiamo il peggio!” comunica il prof con le gocce di sudore che gli scendono lungo le tempie, mentre Tokyo inizia ad urlare di dolore.

La squadra riesce ad entrare nell’ascensore dell’abitazione afferrando due valigette del pronto soccorso.

“Tokyo, calmati, calmati!” sussurra il professore, spalancandole le gambe per prepararla al parto, una volta all’interno della cabina.

“Helsinki, blocca l’ascensore! Dobbiamo creare una zona franca per prepararci al parto. Stoccolma tienile la testa, Nairobi prepara le siringhe per le iniezioni” ordina il prof mentre apre una valigetta di pronto soccorso per estrarne delle garze e salviette pulite.

“Non voglio cazzo! Non voglio!” urla Tokyo in preda alle contrazioni, stringendo i pugni e dimenandosi per provare ad alzarsi.

“Tokyo, devi stare calma o rischi di morire! Hai una brutta ferita al braccio e le acque si sono rotte già da molto, dobbiamo far nascere il bambino subito!” la sgrida il professore asciugandosi la fronte con la manica della camicia.

“Non voglio, non voglio! Dov’è Rio?! L’hanno preso, l’hanno preso!!” si dimena Tokyo spingendo via la mano di Stoccolma che cercava di tenerla sdraiata.

Nairobi guarda l’amica disperarsi ed è proprio in quel momento che intuisce le sue fragilità. Silene sembrava forte e sicura di sé ma, in verità, dipendeva fortemente dalle altre persone motivo per cui, quando qualcosa andava storto, cominciava a ribellarsi e fare colpi di testa. In quel momento Tokyo temeva per la vita di Rio e niente le pareva più rilevante di quello. Pure in quel momento Tokyo stava pensando a un’altra persona e sarebbe stata in grado di distruggere sé stessa pur di vedere salve le persone che amava.

“Tesoro mio, ti assicuro che Rio sta bene! Tu ora devi concentrarti o qua moriremo tutti! Ci sono io con te, stai tranquilla” le sussurra Nairobi sedendole accanto ed afferrandole una mano con una presa salda.

“Ok, iniziamo…” comunica Sergio con mano tremante, trovandosi per la prima volta di fronte a una situazione così complessa.

Tokyo, nel sentire l’incisione del bisturi nella parte più delicata di sé, stringe i denti ed affonda le unghie con il solito smalto nero nella mano di Nairobi.

“Ok, ora è il momento… spingi Tokyo” incalza il professore preparandosi ad accogliere la nuova vita che bussava per venire al mondo.

Tokyo comincia a spingere con tutta la forza che ha, prendendo delle piccole pause solo per respirare e ritrovare la grinta di urlare. Tutti sapevano che l’avrebbero sentita, ma partorire in sordina era impossibile e Tokyo in quelle grida non scaricava solo la sofferenza, ma anche la frustrazione e il dolore nel trovarsi ancora una volta in bilico, con il proprio affetto più grande chissà in quale luogo.

“Urla tesoro, urla… non fermarti” incalza Nairobi continuando a tenerle una mano mentre, con l’altra, le scosta i capelli sudati appiccicati sulla fronte.

È all’ennesimo urlo che un pianto, finalmente, invade l’ascensore ristabilendo l’ordine. In quell’istante il cuore dei presenti si ferma e gli occhi osservano la bellezza appena nata che strillava per presentarsi.

“Sei stata bravissima Tokyo… è una femmina” annuncia il prof commosso, ricevendo l’abbraccio di Stoccolma che gli fa i complimenti per la bravura con cui ha agito. Tutti sono felici e sorridenti, tutti tranne Tokyo che, come suo solito, fissa lo sguardo su un punto preciso e comincia a respirare con affanno.

“Tokyo…eccola” dice il professore avvicinando la bambina alla madre.

È in quel momento che accade qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. Tokyo, infatti, con le poche forze rimaste, spinge via il prof rischiando di destabilizzarlo con la bambina in braccio.

“Ma che cosa fai?!” domanda lui stravolto, non capendo quella reazione.

“Non la voglio!!! Via, portala viaaa!” inizia a gridare Tokyo, in balia di chissà quale demone che si stava impossessando di lei. Una madre che rigetta sua figlia appena nata era sicuramente qualcosa di difficile da capire e quel momento stava per essere giudicato negativamente da tutti, tranne da Nairobi che, ancora una volta, capisce il peso della situazione.

“Tokyo, stai calma!” sussurra la gitana chinandosi sul volto della migliore amica che era scoppiata in lacrime, portandosi una mano tremante sulla bocca per soffocare i singhiozzi.

L’atmosfera si fa ancora più tesa a causa di uno sparo che colpisce la base dell’ascensore, facendo tremare i presenti.

“Cazzo, non siamo più al sicuro! Helsinki, fai ripartire l’ascensore e raggiungi il primo piano, dove abbiamo la prima panic room” ordina il professore stringendo a sé la bambina ancora sporca di sangue, avvolta in una salvietta bianca.

“Monica, addormenta Tokyo, subito! Nairobi, prendi la bambina per favore!” continua ancora il professore in pieno caos, lasciando la piccola tra le braccia della collega.

“Che cosa?!” chiede Nairobi agitata, ricevendo la nuova vita tra le braccia tremanti che non ricordavano più l’emozione di sorreggere una responsabilità come quella.

“Non abbiamo tempo e ora dobbiamo separarci! Tieni la bambina e raggiungi la panic room del primo piano. Helsinki e Stoccolma mi copriranno mentre io trascinerò Tokyo nella panic room del secondo piano. Fate capire loro che nell’edificio non ci sia più nessuno e una volta cessato il fuoco ci potremo rincontrare” continua il professore con determinazione, pulendosi le mani e sbottonandosi ulteriormente la camicia, pronto a prendere in braccio Tokyo che stava per ricevere una trasfusione di sangue.

“No, io non posso andare da sola! Cosa faccio con la bambina?!” chiede Nairobi con le lacrime agli occhi, non sentendosi degna di custodire la piccola.

“Nairobi, lo sto chiedendo a te perché sei l’unica che può farlo ora! So che puoi occuparti di lei con tutte le accortezze possibili. Forza!” la incita ancora il professore, tenendole il volto tra le mani ed asciugandole una lacrima scappata dagli occhi neri come la pece.

“Sì, solo tu puoi farlo” si aggiunge Tokyo ancora sotto shock, continuando a piangere seppur con debolezza visto il sedativo che la stava facendo addormentare. Nairobi, in quelle parole, sente l’amica affidarsi a lei consegnandole quel tesoro che aveva appena partorito e che amava con tutta sé stessa. Tokyo aveva rifiutato la piccola per non soffrire ulteriormente, ma sapeva di amarla già con tutta la propria anima. Tokyo si sentiva morire, in un bagno di sangue che continuava a sgorgare a causa del parto e della ferita al braccio. Per questo nel consegnare la bambina a Nairobi, le stava anche donando la vita.

Nairobi stringe a sé la testa della piccola per poi chinarsi su Tokyo e posarle un bacio sulla guancia bollente.

“Resisti amore mio, resisti!” riesce a dire la gitana una volta staccate le labbra dalla pelle ardente della migliore amica e, imbracciato a sé un fucile, scende dall’ascensore mentre custodisce tra le braccia la creaturina.

Nairobi riesce a raggiungere la stanza segreta nel minor tempo possibile e, una volta serratasi dentro, lascia cadere il fucile facendo un grande sospiro di sollievo, per poi preoccuparsi della piccola in lacrime tra le sue braccia.

“Shhh, tesoro non piangere” dice la gitana scostando leggermente la salvietta dal volto della piccola e vedendola ancora sporca e nuda.

Nairobi si alza in piedi e raggiunge un armadio dove trova un kit medico con garze, pomate e uno zaino contenente tutine e pannolini nel caso in cui Tokyo avesse partorito in una delle tante stanze segrete.

La donna prende tutto l’occorrente per poi adagiare la bambina su un tavolo e prepararsi a prendersi cura di lei. Nairobi osserva il suo corpicino piccolo e screpolato e comincia a rimuoverne il sangue con salviette neutre. Non tocca un bambino appena nato da più di 9 anni eppure le pare tutto così naturale e semplice. Nairobi alza il braccino della piccola, le pulisce i pochi capelli neri ancora attaccati al liquido e si dedica poi al ventre e alla zona intima. Agata le sistema il residuo del cordone ombelicale con estrema attenzione, disinfettandolo e apponendoci una garza, per poi metterle un pannolino che la rendeva ancora più piccola e indifesa. Una volta pulita, la donna controlla anche i parametri utilizzando un fonendoscopio per poi appuntarsi tutto su un foglio.

“Hai il cuore che ti batte forte come una locomotiva” sorride Nairobi liberandosi dello strumento per poi vestire la piccola con una tutina rossa.

Terminato il processo, Nairobi si ferma un secondo davanti alla bambina, appoggiando le mani sul tavolo e non riuscendo più a trattenere le lacrime. La gitana scoppia in un pianto disperato nel quale riflette tutte le emozioni vissute in quelle poche ore. Ripensa alla sua Tokyo così distrutta, alla gioia dell’esserle stata vicina, alle sue parole, alla sua paura e rivede la propria maternità nella piccina disposta davanti a lei.

Asciugatasi qualche lacrima inutilmente, la gitana si abbassa sulla piccola avvicinandosi al suo volto roseo e leggermente gonfio per la fatica dovuta al parto.

“Sei già una della banda hai visto? Ti ho messo subito una tutina rossa” le dice Nairobi, accarezzandole delicatamente quel filo di capelli mori che aveva sul capo. La gitana rimane in silenzio ancora qualche secondo, contemplando il viso della figlia della sua migliore amica, per poi ricominciare a piangere senza ritegno.

“Sai, non pensavo di poter piangere così. La verità è che mi ricordi il mio bambino e ti chiedo scusa se all’inizio pensavo di non essere in grado di occuparmi di te” sussurra la donna asciugandosi una guancia.

“Eppure è cresciuta in me una forza che non so da dove sia arrivata e penso proprio che me l’abbia data tu. Sei un miracolo della natura pequenita! Sei nata nelle macerie durante una sparatoria, in un ascensore non attrezzato per un parto” continua il suo monologo Nairobi, vedendo la bambina intenta come ad ascoltarla.

“E per la mamma…” comincia a dire lei mangiandosi un labbro “cazzo, la tua mamma è una forza pazzesca” si ferma poi Agata emozionandosi al solo pensiero della sua Tokyo ormai mamma.

“Tu magari pensi che lei non ti voglia, ma dovrai abituarti. La mamma è una testa calda e quando qualcosa la ferisce inizia a fare scoppiare bombe. Non hai idea, però, del bene che ti vuole la tua mamma. È una figa da paura e ti assicuro che non vede l’ora di riabbracciare te e il papà” sussurra Nairobi ridendo tra le lacrime, mentre continua a contemplare la piccola.

“Il tuo papà poi… ha fatto un po’ di cavolate anche lui, ma non vedeva l’ora di diventare il tuo papà. Guarda, hai anche il suo nasino” commenta ancora la gitana, toccando con simpatia la punta del naso della bambina.

Terminato il discorso, Nairobi poggia una mano sul pancino della bambina sentendolo brontolare.

“Cazzo, non hai ancora mangiato niente!” si preoccupa allora Nairobi, portandosi una mano piena di anelli alla bocca per ragionare sulla situazione.

“Cazzo…” esclama poi, non trovando del latte nell’armadio o nei cassetti circostanti.

“Cazzo, tu devi mangiare!” ribadisce ancora Nairobi, agitata ora per la salute della bambina che doveva necessariamente nutrirsi per abilitare anche i movimenti intestinali.

È allora che le viene l’illuminazione. Un flashback si fa presente nella sua mente. Ricorda una normalissima chiacchierata con una detenuta alla quale aveva appena raccontato della separazione da Axel.

“Mio figlio mi manca troppo…” diceva la gitana, guardando le sbarre che la tenevano prigioniera.

“E come se non bastasse il mio seno continua a produrre latte!” aggiunge poi lei, vedendo in quello strano avvenimento una vera e propria maledizione.

“A molte donne capita sai? Il fatto di produrre latte seppur in assenza di gravidanze è un fattore molto particolare. Non devi vederlo come una scongiura… vedilo piuttosto come un dono. Sono sicura che sei una buona madre e una volta uscita di qui ritroverai tuo figlio e magari gli darai anche dei fratellini” la conforta quella sconosciuta di cui non conosce il nome.

Nairobi rivede quella scena e comincia a respirare a fatica, sentendo anche una morsa allo stomaco e una forte pressione risucchiarle le costole. Non ha il coraggio di provare una cosa del genere, soprattutto perché lei non vorrebbe mai sostituirsi a Tokyo, ma è consapevole che quello potrebbe essere l’unico modo per salvare la bambina.

“Devo provarci” afferma lei motivata, prendendo in braccio la bambina e sedendosi su una sedia. La donna si abbassa poi la spallina del reggiseno, liberando quella mammella che non aveva mai perso il sogno di ridonare vita.

“Ok, tranquilla” si dice poi con calma, avvicinando la testa della bambina al capezzolo. Un millesimo di secondo e la bambina si attacca a ventosa, cominciando a succhiare con quanta più forza possibile. Nairobi avverte una fitta fortissima e, strizzando gli occhi e serrando i denti, si sostiene il seno con una mano nella speranza di sentire quel dolore passare al più presto.

Nairobi porta pazienza, non ricordando la sofferenza che si provava con l’allattamento, ma guarda la bambina succhiare con voracità sperando che effettivamente uscisse qualcosa da quel seno rimasto inattivo per troppo tempo. La gitana, divorata dall’ansia, decide poi di testare e vedere se effettivamente il suo esperimento stava andando a buon fine. Stacca con delicatezza la bambina dal seno rosso e umido per poi schiacciarlo nella speranza di vedere anche solo una goccia di liquido.

“Ti prego…” si dice Nairobi, guardando attentamente il proprio capezzolo che appare però vuoto. Ed è quando la speranza sembra svanire che giunge un segno di rinascita. Nairobi preme ancora un po’ finché, con grande stupore, nota una piccola goccia di acqua dal colore biancastro.

Emozionata da quella meravigliosa visione, Nairobi si sente una donna nuova, baciata dalla fortuna e da un corpo che la pregava in ogni istante di essere mamma. Il suo cuore comincia a battere all’impazzata mentre riattacca al seno la bambina per farla saziare di quella linfa vitale.

Anche questa volta ce l’aveva fatta. Anche questa volta il suo colpo era riuscito. Anche questa volta aveva dimostrato il suo amore per Tokyo, salvando la vita di sua figlia e allattandola come se fosse sua.

“Tokyo, riprenditi perché qui c’è una bimba super affamata che non vede l’ora di conoscerti” conclude poi Nairobi emozionata, guardando la bambina poppare senza sosta dal suo seno, per poi appoggiare la testa al muro e rilassarsi.
 

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Capitolo 16
*** 15. JARANA HERMANA ***


CAPITOLO 15

JARANA HERMANA

 
Denver, Rio, Bogotà e Lisbona aprono una sparatoria ferendo tutti i nemici che li avevano stanati i quali, salendo velocemente su un elicottero, riescono ad allontanarsi. All’interno della casa, infatti, Nairobi e la bambina erano chiuse in una panic-room mentre il professore e gli altri erano riusciti a intrufolarsi nella seconda stanza segreta senza lasciare tracce.

“Nairobi” la chiama il professore, entrando nella prima panic-room. L’uomo ha l’aria di uno che non dorme da molto tempo, stanco, sudato e stravolto.

“Sono scappati tutti, siamo al sicuro ora” dichiara lui avvicinandosi all’amica che non aveva lasciato la bambina nemmeno per un istante.

“Rio?! E Tokyo?!” chiede subito lei in preda al panico.

“Stanno bene non ti preoccupare. Rio ha combattuto lealmente e ora si sta riposando. Tokyo è ancora addormentata, è un miracolo che sia viva. Helsinki le ha estratto il proiettile dal braccio che ora è fasciato e immobilizzato a causa dei punti. Il parto e lo stress poi sono stati davvero complicati. Quando ci avete lasciati lei ha avuto una vera e propria emorragia per pulirsi dai residui della gravidanza e abbiamo dovuto farle una trasfusione, oltre a riempirla anche di punti per la lacerazione” spiega il professore, facendole segno di stare tranquilla.

“Cazzo… è un miracolo che ce l’abbia fatta!” constata Nairobi, rendendosi conto della sofferenza dell’amica.

“Sì, ora è sotto antibiotici per evitare infezioni ed è ancora profondamente addormentata. Si deve riposare assolutamente. Appena sarà possibile ci sposteremo da qui per andare in una nuova base, completamente diversa da quella prefissata” continua il professore, per poi interrompersi vista l’entrata degli altri membri della banda.

Il primo ad entrare nella panic room è proprio Rio che, indolenzito e zoppicante, non si sarebbe mai aspettato di trovarsi davanti la bambina addormentata.

“Lei è…” sussurra lui portandosi entrambe le mani sulla bocca, vedendo la bambina addormentata tra le braccia di Nairobi.

“Tua figlia” lo completa l’amica, sorridendo e facendogli segno di sedersi accanto a lei.

“Eccola qui, sta benissimo. È solo un po’ magrolina ma ha tutti i parametri nella norma” spiega Nairobi, lasciando la piccola tra le braccia di Rio che, seppur impacciato, ne sostiene volentieri il peso.

“Ha tantissimi capelli neri!” riesce a dire lui, continuando a sorridere mentre guarda il frutto del suo amore con Tokyo.

“Siete stati bravi ragazzi” dice Denver entrando nella stanza e contemplando il neo papà da lontano.

“Ora il piano rinascita deve cambiare. Ne ho piene le palle di quella stronza della Sierra, cambieremo i piani” dice il professore, stringendo la mano a Lisbona che si sente orgogliosa di lui per tutto ciò che ha fatto.

“Probabilmente deve esserci stata una spia. Non ho idea di come o di chi sia, ma sta di fatto che c’è. La Sierra sa tutti i nostri spostamenti, motivo per cui ora cambieremo le basi e non seguiremo più il piano. Ci sposteremo in luoghi colmi di gente in paesi che lei non si aspetterebbe mai e nel frattempo cercherò di architettare un modo per stanarla” illustra il professore aggiustandosi gli occhiali, per poi invitare i compagni a rilassarsi e lavarsi.

“Rio, vai a dormire ora!” dice Nairobi, riprendendo la bambina tra le braccia notando il ragazzo ciondolare con la testa.

“Non posso! E Tokyo?!” chiede lui sollevando gli occhi, mostrando due grandissime occhiaie viola.

“Stai tranquillo è tutto ok ora. Quando si sveglia te lo dico” lo tranquillizza Nairobi, avvolgendo la bimba dalla tutina rossa in una coperta di lana.

“Nairobi… grazie” si limita ad aggiungere lui osservandola con profonda gratitudine. Nairobi risponde al gesto con un sorriso per poi uscire e raggiungere la stanza di Tokyo.

Trascorsa un’altra mezz’ora, Helsinki annuncia il risveglio della ragazza, facendo segno a Nairobi di entrare.

Nairobi entra nella stanza silenziosamente, trovandosi di fronte a Tokyo sdraiata su un letto bianco. La ragazza aveva un braccio fasciato e una flebo nella mano. Questa volta si vedeva che era molto affaticata e portava due occhiaie violacee sotto gli occhi.

“Nairobi” sussurra Tokyo una volta accortasi della migliore amica.

“Guarda come dobbiamo ridurti per tenerti ferma” ironizza Nairobi sedendole accanto e prendendole una mano.

“Quindi… tutti mi hanno visto la vagina, soprattutto il prof…” dichiara Tokyo sbuffando, mostrando la solita parlantina.

“Fidati che in quel momento nessuno pensava alla tua vagina” ride Nairobi scuotendo la testa, consapevole di avere di fronte l’amica di sempre.

“Ecco io… mi chiedevo della bambina” dice allora Tokyo facendosi seria in volto, sentendo un pianto in lontananza.

“In effetti quella piccola peste strilla da paura… vado a prenderla” risponde Nairobi alzandosi in piedi ed uscendo dalla stanza per poi rientrare con la piccola vestita di rosso, intenta a piangere e dimenarsi.

Le apparecchiature attaccate a Tokyo cominciano a segnalare l’accelerazione del suo battito e la ragazza non se ne vergogna perché, nel momento in cui vede la piccola Dalì, comprende di essere rimasta fottuta per il resto della vita.

“Shhh… adesso vai un po’ dalla mamma e ti passa tutto” dice Nairobi con voce buffa, lasciando la bambina tra le braccia di Tokyo ed aiutandola a tenerla nel modo corretto.

“Lasciami che ti consigli una cosa…” si intromette ancora Nairobi, sbottonando il camice dell’amica e scoprendone il seno. La bambina, a contatto con il petto di Tokyo, smette di piangere immediatamente e si placa senza ulteriori bisogni, cullata dal battito cardiaco che le ha fatto da colonna sonora per tutta la gravidanza.

Tokyo spalanca la bocca scioccata, avvertendo delle emozioni che non aveva mai provato prima. In un attimo la Oliveira capisce l’importanza di quella vita, di ciò che aveva creato e custodito per mesi pur non capacitandosene. Guarda la figlia dai capelli neri come i suoi e le manine piccole che chiedevano solo protezione e capisce di non voler essere da nessun’altra parte del mondo.

Tokyo aveva finalmente trovato qualcosa per cui vivere e lottare e mai avrebbe immaginato di diventare così materna e protettiva. Lei che non voleva bambini, lei che si sentiva sicura e invincibile, lei che lanciava missili e rapinava banche, era ora caduta in ginocchio di fronte a un esserino minuscolo che poteva vivere solo grazie alle sue premure.

Tokyo non riesce a dire nulla. Accarezza la testolina nera della figlia senza staccarla dal petto e, senza vergogna, comincia a piangere all’improvviso, proprio come un bambino.

“Questa ha l’aria di essere una grande stronza come me vero?” sussurra lei avvertendo il gusto amaro delle lacrime che si immergevano nella propria bocca.

“Tesoro…” dice Nairobi emozionata di fronte alla scena, accarezzando i capelli dell’amica.

“Io l’ho allontanata perché avevo paura, perché ho visto Rio andare via! Ora che è qui non capisco che cosa mi succede, mi sento stranissima ma felice come non sono mai stata. Tutto questo è opera tua Nairobi” riesce a dire in modo confuso Tokyo, scossa dai singhiozzi.

“Che cosa dici?” chiede Nairobi asciugandole le lacrime con un fazzoletto di carta.

“Ti sei presa cura di lei, mi hai spronata a farla nascere, non mi hai mai lasciata sola. Nairobi, so che desideri un bambino e per questo ti chiedo di starmi vicina sempre. Questa bambina sarà anche tua, sarai sua zia, la sua madrina, tutto!” le dice Tokyo colma di gratitudine, non sapendo come ripagare la sorella.

“Quando ci siamo separati ho pensato io alla piccola. Ho fatto fatica, perché mi ricordava Axel… ma è successo qualcosa di assurdo. Lei sarebbe morta di fame e io mi sono permessa di allattarla. Ho latte cazzo. Dopo tutti questi anni, io ho ancora latte, il mio seno produce latte senza gravidanze” si confida Nairobi asciugandosi una lacrima.

“Ah sì? Quindi hai provato anche la tetta della zia eh?” ride Tokyo rivolta alla figlia, toccandole una guancia con delicatezza.

“Vuoi darle un nome ora? Sono stanca di chiamarla bambina” cambia argomento Nairobi scuotendo la testa.

“Agata…” dichiara subito Tokyo senza tentennamenti.

“No, è troppo rischioso! La ricondurrebbero a me. Te ne sono grata ma è rischioso!” risponde Nairobi sgranando gli occhi, non aspettandosi una scelta del genere.

“D’accordo allora dimmi… se Axel fosse stato una femmina come l’avresti chiamato?” domanda Tokyo, decisa a legare per sempre la figlia a Nairobi.

Nairobi riflette qualche secondo per poi sorridere e sussurrare:

“Nieves”

“Nieves” conferma Tokyo, baciando sulla fronte la bambina che si era ormai addormentata, per poi osservarla e sentire di nuovo il pianto pronto a ripartire.

Nairobi non vuole più parlare motivo per cui si siede sul letto dell’amica e l’abbraccia forte a sé. Tokyo risponde al gesto solo con un braccio, nascondendo il proprio viso nell’incavo del collo dell’amica.

“Ti prometto che saremo sempre insieme Silene… sei mia sorella e come ti avevo già promesso prima della rapina alla Banca, non posso lasciarti”

“Jarana Hermana” sancisce allora Tokyo, senza staccarsi dall’amica.

“Jarana Hermana” ribadisce Nairobi, lasciando scorrere una lacrima sul viso, convinta di non volersi mai più allontanare dalla sua famiglia.

Il professore si chiude nel suo studio per meditare un nuovo piano, entrando in contatto con Marsiglia e invitandolo ad indagare sull’accaduto e a collaborare con i serbi per raggiungere nuove postazioni sicure ed attrezzate. Nel frattempo anche Rio si riprende, raggiungendo immediatamente Tokyo ancora stesa a letto.

Il ragazzo le si siede accanto, prendendole una mano silenziosamente, porgendo poi uno sguardo alla bambina che dormiva in un lettino vicino.

“Sei stata bravissima” riesce a dire lui sorridendole, appena si accorge degli occhi aperti di lei.

“Ora non penserai mica che diventi la donna pazza squilibrata di cui parlava Berlino vero?” scherza lei, allungando il braccio sano per accarezzargli i riccioli castani.

“Beh, se vuoi mi faccio da parte e andate a farvi la vostra vita stra figa solo voi due. Scommetto che sarà una bulletta come te…vedi te con due femmine come farò a vivere!” risponde lui divertito, baciandole la mano per poi massaggiarne il dorso nuovamente.

“No, non sono come dice Berlino. Non vedo l’ora di riavere la mia vagina senza punti e dolori per farmi la scopata più bella della storia” afferma lei sospirando profondamente, mentre chiude gli occhi.

“Avrei voluto esserci… non vedevo l’ora di poterti stare accanto e supportare durante il parto” si confida allora lui, con voce spezzata.

“Non so cosa mi sia preso, ma quando ho visto che ti avevano sparato sono corso dietro a quegli stronzi con una rabbia pazzesca. Questa volta non volevo proteggere solo te, ma anche la bambina. Lei non era ancora nata, eppure il mio cuore impazziva solo per voi…” piange lui aprendosi completamente, appoggiando la fronte sulla mano di Tokyo.

“Rio, va benissimo così! Ora sei qui! Siamo vivi entrambi e ci godremo la vita. Hai tutto il tempo del mondo per insegnarle qualsiasi cosa! Per coccolartela, per sgridarla quando sbaglierà, per portarla in bicicletta e sulle spalle, per farla diventare un genio dei computer e per farle la ramanzina quando incontrerà un ragazzo di cui diventerai geloso” lo tranquillizza Tokyo, accarezzandogli i capelli ed asciugandogli le lacrime con un dito.

“Ti ho fatta soffrire in questi mesi Tokyo, tutto per colpa dei traumi causati dalla Sierra che mi hanno cancellato l’anima. Ora, però sono qui e te e la bambina mi avete dato una scossa. Non ho più paura, sento un fuoco dentro che mi tiene finalmente vivo e non voglio più nascondermi! Ci sarò per te, sarò il tuo angelo custode. Te lo prometto” sussurra allora lui, innamorato di quella ragazza che alcuni anni prima gli aveva stregato il cuore.

“Ti amo… e anche Nieves” annuncia allora Silene, sporgendosi delicatamente verso di lui e baciandolo, ritrovando nelle sue labbra quella dolcezza di vita e serenità di cui aveva necessità.

Nella base segreta di Alicia Sierra…

“SIETE DELLE TESTE DI CAZZO!” urla la donna picchiando un pugno sulla scrivania, mentre guarda gli uomini feriti che aveva mandato in missione.

“Erano armati il triplo di noi e molto più forti militarmente! Che cosa avremmo dovuto fare? Farci uccidere? Non siamo pagati per questo!” dichiara il capo dell’operazione, alterato dalle pazzie della donna.

“Meglio se morivate, così evitavo di darvi questi soldi del cazzo che manco vi meritate! Li dovevate ammazzare tutti e invece non ne avete toccato manco uno!” si altera di nuovo lei, digrignando i denti.

“Ora che cosa facciamo?” chiede un collega seduto alla postazione informatica.

“Loro cambieranno sicuramente le tappe, avendo intuito il nostro piano. Ecco perché ora lo cambieremo anche noi. Inizia la fase due” taglia corto lei, per poi afferrare una caramella e assumendo quella dose glicemica giornaliera che, però, non influiva per nulla sulla sua dolcezza interiore.

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Capitolo 17
*** 16. AXEL ***


CAPITOLO 16
AXEL

 
Nuova tappa, quasi un mese dopo…

I Dalì avevano completamente modificato la tratta, riuscendo così ad allontanarsi dalle grinfie della Sierra che aspettava il primo errore per stanarli di nuovo. Quel periodo di parziale tranquillità aveva permesso a tutti di fermarsi e pensare al da farsi. Rio e Tokyo si abituavano ai nuovi ritmi da genitori, con qualche momento di sclero della donna che bisognava aiutare. Denver e Stoccolma immaginavano come organizzare il proprio futuro, che casa costruire, come usare i soldi e se iscrivere Cincinnati all’asilo. Helsinki sognava di poter rivedere la propria famiglia e incontrarsi da qualche parte con Palermo, nella speranza di concordare una nuova meta comune. Raquel e Sergio, oltre a pensare al piano, si dedicavano del tempo anche per loro stessi e per i propri obiettivi, scegliendo di riprendere Paula e offrirle la miglior opportunità possibile, ma erano Bogotà e Nairobi ad avere il piano più complesso da organizzare.

I due avevano deciso di sposarsi velocemente, in presenza degli amici più cari in modo da godersi gli istanti di serenità per poi vedersi colleghi combattenti resi marito e moglie. I due non sapevano ancora dove andare, sicuramente insieme a Rio e Tokyo, ma non avevano idea del luogo. Nell’attesa, però, tutta la squadra si era messa all’opera per organizzare al meglio l’evento con un minimo di eleganza.

Il giorno prima delle nozze, infatti, Tokyo e Stoccolma avevano cercato un abito da sposa in internet grazie all’aiuto di Rio che era addirittura riuscire a trovarne uno perfetto per Nairobi, visto che mostrava alcune caratteristiche peculiari riconducibili alla tradizione gitana. Helsinki si era dato alla cucina, riscoprendosi un ottimo cuoco e traendone soddisfazione. Lisbona studiava delle strategie per rendere il matrimonio legale a tutti gli effetti una volta usciti da quell’orribile situazione e aveva organizzato il rito in ogni minimo dettaglio. Il professore, invece, oltre a occuparsi della musica, era riuscito a trovare Axel, concordando con i genitori adottivi. I due erano inizialmente titubanti ma, come avevano dichiarato anche alla polizia, speravano che Axel potesse rivedere la madre biologica, vista la sua profonda ferita.

Erano ormai le 18.00 e tutti avevano deciso di prendersi una pausa per rifocillarsi vista la fatica di quel giorno di preparativi. Tokyo entra nella propria camera da letto, lasciandosi cadere sul letto per poi mettersi seduta e appoggiare la testa al muro. Rio entra in stanza dopo aver fatto una doccia, con gli addominali scolpiti in bella vista.

“Si ma sei proprio stronzo però eh!” afferma Tokyo, gustandosi quella meravigliosa visione.

“Ti eccito?” chiede lui, contraendo il muscolo del braccio e muovendo il bicipite.

“Guarda, lo vorrei tantissimo, ma la teppistella deve mangiare. Passamela dai…” comunica Tokyo, facendo segno al fidanzato di prendere in braccio la piccola nel suo lettino e portargliela.

Rio non se lo fa ripetere due volte e solleva con estrema cura la piccolina che, durante quel mese, era riuscita a prendere un po’ più di forze.

“Chi è la bimba più bella del mondo?” dice lui, mettendosi la bambina tra le braccia e facendole le facce.

“Oh no ci risiamo” constata Tokyo, alzando gli occhi al cielo e portandosi una mano sul volto.

“Tu non dovrai mai avere un ragazzo capito? Starai con il tuo papà per tutta la vita!” continua lui con lo sguardo innamorato per quella creaturina dai folti capelli neri.

“Ok bodyguard, ora dammela che se no mi esplodono le tette” si inserisce Tokyo tendendo le braccia verso di lui, con la solita delicatezza verbale di sempre.

Rio consegna la bambina alle cure della madre, per poi sdraiarsi accanto a lei e osservare Nieves poppare con voracità, mentre Tokyo le accarezza delicatamente il capo.

“Sei brava sai? Tu che non ci credevi…” aggiunge Rio, guardando la ragazza con occhi lucidi e colmi d’amore.

“Ho ancora tanto da imparare…” risponde Tokyo senza prendersi il merito, abbozzando un sorriso.

“Quando usciremo di qui vivremo una vita meravigliosa. In un giardino enorme, vicini a Nairobi e Bogotà e ai loro cinquantasette bambini” sogna in grande il piccolo informatico, scoppiando a ridere di gusto.

“Beh conoscendo Nairobi immagino che ne metterà al mondo come minimo altri due” aggiunge Tokyo divertita, sapendo in realtà quanto l’amica del cuore desiderasse la maternità.

“Appena usciamo di qui voglio sposarti Tokyo. Su una barca, solo io e te. Saremo felici, proprio come lo siamo ora” conclude lui, avvicinandosi alla donna e baciandole le labbra con delicatezza, per poi guardare Nieves che mangiava.

Tokyo appoggia la testa al petto di Rio, per poi socchiudere gli occhi e rilassarsi avvolta nell’amore della sua famiglia.

“Nairobi, seguimi” dice il professore, prendendo in disparte la sposa e accompagnandola in un luogo isolato rispetto all’abitazione.

“Che cosa stai facendo prof?!” chiede lei dubbiosa, trascinata a forza dall’uomo che si stava mostrando particolarmente agitato. Era da tempo che stava organizzando quel piano e ora non vedeva l’ora di osservare la reazione dell’amica.

“Entra lì dentro!” ordina Sergio, indicando una casetta in legno posta in mezzo ad un bosco vicino all’abitazione segreta. Nairobi entra nella baita misteriosa, per poi spalancare gli occhi e avvertire un tuffo al cuore.

Davanti a sé c’era il sogno della sua vita. Davanti a sé c’era il suo obiettivo. Davanti a sé c’era il suo cuore. Davanti a sé c’era un bambino: un semplice bambino dai riccioli neri che lei conosceva bene.

“Axel!” riesce a sussurrare lei incredula, mentre si porta una mano sul polmone reduce di una battaglia combattuta proprio per lui, avvertendo delle fitte di dolore che però sopporta con piacere.

Il bambino sorride alla madre, fissando gli occhi neri su di lei e cercando di memorizzarne la fisionomia.

Nairobi è costretta a sedersi su una sedia, avvertendo la testa girare e il respiro farsi più pesante.

“Nairobi…” comunica il professore, entrando nel luogo e posandole una mano sulla spalla.

“Per un giorno così importante come quello di domani, sono riuscito a fissare un accordo con la famiglia di Axel. Ora vi lascio soli ma ci tengo a dirti che il bambino potrà rimanere qui fino a domani, per poi tornare in un luogo sicuro” spiega il professore, per poi mettersi in disparte e lasciare che siano gli altri a parlare.

“Buongiorno Nairobi…” saluta la donna posta di fronte a lei, stringendole la mano. Nairobi risponde al gesto educatamente, grata a quei due signori per essersi presi cura di Axel.

“Axel è un bambino meraviglioso. Educato, simpatico, creativo e soprattutto bravissimo a cucinare” spiega ancora la mamma adottiva per smorzare la tensione.

“Sì, amo la cucina!” conferma Axel sorridendo e saltando felice sul posto.

“Volevamo solo dirle che noi abbiamo sempre spiegato ad Axel che lei è una mamma meravigliosa e che presto sarebbe tornata a prenderlo. Abbiamo raccontato a lui la vostra storia, le vostre fatiche e i vostri valori. Non abbiamo mai avuto paura di lei e dei suoi gesti, in quanto il terrorismo della Sierra ci ha mostrato che i buoni e i cattivi non sempre combaciano con le cariche pubbliche che vengono affidate. Axel non vedeva  l’ora di rivederla… e vorremmo ora lasciarvi soli” comunica il padre adottivo, senza il minimo timore per la ex rapinatrice. Nairobi pensa di essere in un sogno, in una realtà inventata dove tutto ciò che desiderava si stava finalmente palesando. Per un attimo la gitana crede di essere morta, visto che immaginava l’aldilà come un prato fiorito dove tutto sarebbe andato bene e Axel l’avrebbe salutata da lontano, con un sorriso stampato sulle labbra.

Eppure tutto ciò che stava accadendo era vero e, per la prima volta nella sua vita, aveva avuto la fortuna di incontrare una coppia di sposi onesti che, nell’anzianità, avevano offerto amore a suo figlio senza cancellargli il bisogno di ritrovare la vera mamma.

“Io non so come ringraziarvi! Perché state facendo tutto questo per me?!” chiede allora Nairobi con le lacrime agli occhi, alzandosi in piedi e stringendo le mani a quei due sconosciuti che le stavano migliorando la vita.

“Perché Axel è un bambino stupendo e questo significa che anche la sua mamma deve essere tale. Inoltre noi non ne possiamo più della Sierra e di tutte le cattiverie. Sicuramente anche voi non vi siete comportati benissimo, ma abbiamo seguito le faccende e abbiamo riflesso in voi quel coraggio che spesso manca alle persone… il coraggio di ragionare, fissarsi sui veri valori e non rispondere sempre immediatamente alle richieste dello stato e del mondo” conclude la donna, per poi posare le mani sulle spalle di Axel per terminare il discorso.

“Abbiamo stipulato un accordo con il professore. Axel resterà con noi finché non sarete al sicuro, poi potrà venire con te per sempre” si aggiunge anche l’uomo dalla barba grigia, appoggiando una mano su quella della moglie.

“Io non so come ringraziarvi! Io, io…” inizia a dire Nairobi non riuscendo a credere alla situazione, intrecciando le dita delle mani ed appoggiandoci sopra il mento.

“Pensavo che la mia vita fosse un disastro e che automaticamente anche quella di Axel avesse preso una cattiva piega, visto le prime famiglie adottive che ha avuto. Voi siete la dimostrazione dell’amore vero e da come mi parlate non posso che reputarmi fortunata, nell’avervi avuti come angeli custodi di mio figlio. Vi ringrazio di cuore e giuro che troverò un modo, al termine di tutto, per continuare a vederci in modo da dare continuità anche ad Axel” finisce di dire Nairobi, alzandosi in piedi con le lacrime agli occhi.

“Noi abbiamo un solo figlio nostro e ci siamo poi dedicati a crescere tanti bambini aiutando i genitori naturali a restaurare un rapporto con loro. Non ci siamo mai sostituiti a lei, ma nutriamo un profondo affetto verso questo meraviglioso bambino. Per questo saremo felici di potersi rivedere” ringrazia la donna, dando una pacca sulle spalle ad Axel, per poi ricevere un abbraccio inaspettato da Nairobi che non riusciva a smettere di ringraziare.

Dopo alcuni minuti, Axel e Nairobi rimangono soli, finalmente, dopo tantissimo tempo. La donna lo osserva in ogni minimo particolare. I capelli ricci e mori che facevano di lui un ragazzino energico e ribelle, gli occhi profondi e neri come la pece, la carnagione leggermente più scura, i lineamenti gitani, un simpatico neo sullo zigomo sinistro e un sorriso smagliante. Quel bambino era la fotocopia di Nairobi perché di quel mostro di Enrique non aveva preso nemmeno un tratto. Nairobi non si impone, non gli apre le braccia nell’attesa di un abbraccio come si vede nei film, perché è consapevole di dover recuperare il tempo perduto e far rinascere nel bambino l’amore per la sua mamma.

“So che avrai tante domande e che forse ora non ti fidi di me, ma ti prometto che mi impegnerò tantissimo” esordisce lei, a qualche passo da lui.

“Potremmo iniziare cucinando insieme!” risponde lui sorridendo immediatamente.

“Che cosa ti piace cucinare?” chiede allora lei incuriosita.

“Dipende… soprattutto i cibi spagnoli! La paella, i churros…” inizia a dire lui, sognando nel proprio mondo di pietanze.

“I miei piatti preferiti! Sai che non sono capace di farli però? Mi insegnerai tu?” chiede allora lei, con la sensibilità e la dolcezza che solo una donna con un’indole educativa riesce ad avere.

“Ti sposi domani giusto?” cambia argomento lui, facendosi cupo in volto.

“Sì…” risponde lei, leggermente intimorita dalla novità. Axel avrebbe potuto sentirsi messo da parte di fronte a un matrimonio e Nairobi temeva il peggio.

“Io ho visto un uomo quando ero dalla cattiva… un uomo che si chiamava Enrique” illustra il bambino con estrema serietà ed immobilità facciale.

“Lui mi trattava un po’ male. Alicia poi mi ha detto che lui era mio padre ma che non mi avrebbe voluto nella sua vita” racconta Axel, triste per la situazione.

“Enrique mi ha ingannata purtroppo. Io ho dovuto crescerti da sola e ho commesso quell’errore che ci ha separati. Non tutte le persone sono pronte a fare i genitori sai? Enrique non lo era… mentre io desideravo solo te. Per questo ti dico che i rapporti non sono costruiti sulla parentela. Tu ami la famiglia che ti ha cresciuto in questi anni e io amo molto l’uomo che sposerò domani. Lui ci sarà per te e diventerà il tuo papà, se vorrai, perché ti donerà un amore che Enrique non potrà mai darti” lo consola Nairobi, accorciando le distanze ed accarezzando il braccio del bambino per poi prenderlo per mano.

“Io voglio tanto stare con te, mamma…” risponde lui con delicatezza, pronunciando con una certa intensità il nome più bello del mondo che non vedeva l’ora di dedicare a qualcuno.

Nairobi avverte l’ennesimo tuffo al cuore, mentre le sue orecchie assorbono il suono melodioso della parola mamma: la parola più potente del vocabolario mondiale. La donna sorride al ricciolino e, inaspettatamente, accoglie un suo abbraccio che la coglie di sorpresa. Nairobi stringe tra le braccia il suo bambino, sperando di non svegliarsi mai da quella realtà che pareva un sogno.

Risentire il sangue del suo sangue dopo tutti quegli anni si rivela un’emozione indescrivibile, capace di penetrarle nella pelle e curare ogni piccola parte di quel corpo distrutto.

Il giorno seguente…

“Nairobi, Bogotà… siete pronti?” chiede il professore davanti ai due sposi all’inizio della cerimonia, ricevendo un loro cenno della testa per cominciare il rito.

È così che Nairobi ritrova la sua felicità, legata per sempre all’uomo che non avrebbe mai sperato di incontrare e circondata dall’amore della sua grande famiglia dei Dalì e dal piccolo Axel, tornato finalmente a casa.

Ma se in quel giardino di quella grande casa si stava ricominciando a vivere costruendo le basi di un futuro di pace che ognuno desiderava ardentemente, in un’altra base segreta si stava celebrando una vittoria illegale e ingiusta.

“Oh che dolci…” afferma Alicia Sierra, mentre ascolta la cerimonia grazie a dei dispositivi tecnologici.

Quella donna diabolica li aveva trovati di nuovo.

Quella falsa madre senza istinto materno stava utilizzando tutte le proprie energie per rovinare la vita a delle persone innocenti.

Quel demonio li aveva in pugno per la seconda volta.

La ex ispettrice aveva sfruttato un bambino per i suoi sporchi operati.

Axel, infatti, osservava le nozze con disinvoltura e con una dolce serenità che poche volte aveva assaporato nella sua giovane vita, senza sapere di essere nuovamente la pedina del losco lavoro di un’altra persona.

I genitori affidatari di Axel desideravano per lui un futuro roseo, portandolo a Nairobi e allontanandosi fieri ed emozionati nell’aver unito una famiglia distrutta. I due sicuramente non si aspettavano di vivere con un bambino a cui era stato apposto un microfono in corpo.

“Che facciamo? Andiamo ad attaccare?” chiede uno dei suoi luridi scagnozzi, localizzando la posizione.

“No… non sono così cattiva dai. È giusto che oggi si godano questo giorno di festa, visto che sarà l’ultimo” ride lei con un sorrisetto malefico, per poi addentare l’ennesima stringa di liquirizia.

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Capitolo 18
*** 17. LA PARTITA FINALE ***


CAPITOLO 17
LA PARTITA FINALE

 
“Non so se ce la faccio!” afferma Nairobi portandosi le mani sulla bocca, per poi scrollarle nell’aria. La donna indossava quel vestito da sposa ricamato in pizzo, aveva gli occhi truccati e i capelli raccolti in moltissime trecce.

“Hai rapinato due banche, non hai mezzo polmone, hai un buco nella mano e pensi di non riuscire a sposarti?” cerca di sdrammatizzare Silene, mentre sistema il vestito di pizzo dell’amica e cerca di non commuoversi troppo.

“Ho sempre organizzato la mia vita con azioni a breve termine… per la prima volta sto per fare qualcosa che durerà in eterno” risponde Nairobi, mostrando la propria preoccupazione.

“Sarà sicuramente la tua impresa più difficile e complessa, ma anche la più bella e soddisfacente. Hai visto che figata Nairo?! Tu adesso andrai verso quel figo del prof che ti unirà all’uomo migliore che tu potessi incontrare, con cui un giorno avrai dei figli e accanto a te ci saremo noi e Axel. Non avere paura della felicità” riflette Tokyo con grande maturità.

“Ricordi la nostra serata sballo prima della rapina alla zecca? Quel giorno ci siamo picchiate, insultate e nella notte eravamo già migliori amiche. Quella sera ti dissi che il tuo piano di rinascita una volta usciti dalla Zecca sarebbe stato il più bello di tutti. Ora sei qui a gustartelo…ce l’hai fatta hermana” aggiunge ancora Tokyo, con indosso un vestito azzurro, sorridendo alla sorella.

Nairobi non risponde a quella constatazione che rappresentava il suo punto di arrivo ma, soprattutto, di partenza. Camminando verso Bogotà lei sceglieva l’amore, la fatica, la vita normale. Accettava il dolore di riacquisire un rapporto con il figlio che le era stato tolto ingiustamente, si addossava una serie di contesti abituali che non viveva più da diversi anni. La normalità faceva questo effetto a rapinatori come loro: abituati alla frenesia e ai tempi stretti e concisi, si terrorizzavano all’idea di non seguire un programma.

“Ti voglio bene” comunica allora Nairobi, aprendo le braccia alla migliore amica e stringendola forte a sé. Tokyo, commossa in quanto testimone di nozze, aggancia le mani alla schiena di Nairobi per poi rispondere, con la solita fermezza e determinazione di sempre:

“Anche io… andiamo a fare chiki boom”

Nairobi si sveglia nel cuore della notte, dopo aver sognato di nuovo uno dei meravigliosi momenti delle sue nozze celebrate due giorni prima. Erano circa le 3.00 e non sapeva il motivo di quel risveglio così delicato. Probabilmente la nuova realtà e serenità le parevano talmente impossibili da destarsi senza un apparente motivo.

“Che cosa ci fai sveglia?” borbotta Bogotà, svegliandosi a causa dei movimenti di lei.

“Sei un saldatore, abituato a tutti i rumori di questo mondo e tu ti svegli se sposto le lenzuola?” domanda lei alzando il sopracciglio.

“Ho il sonno leggero” risponde lui sollevandosi e appoggiando la schiena alla parete del letto, mentre con una mano si stropiccia gli occhi.

“Leggero tu?” lo stuzzica allora lei, divertita da quell’ossimoro creato dall’utilizzo della parola leggero pronunciata da un omone grande e grosso.

“Mi stai dicendo che sono grasso e pesante?” si lamenta allora lui, guardandola alzando il labbro superiore per la piccola stoccata.

“A me sono sempre piaciuti gli uomini forti e grandi” continua a punzecchiare lei, avvicinandosi al petto di lui e facendo risalire l’indice e il medio dal suo ombelico fino alla bocca coperta dalla folta barba.

“Te lo richiedo… perché ti sei svegliata, va tutto bene?” chiede allora lui seriamente, accendendo la piccola bajour sul comodino. È grazie a quella luce tenue che nota i profondi occhi scuri di Nairobi, lucidi come quelli di un bambino, puntati su di lui. Bogotà in quegli specchi ci vede tutto: la propria felicità, la propria missione, la propria sfida ma, soprattutto, una donna forte, finalmente felice, finalmente in un posto sicuro, finalmente follemente innamorata.

“Non c’è nessun motivo. Molto semplicemente, per la prima volta nella mia vita, mi sto svegliando grazie a dei sogni belli e non più a causa degli incubi” chiarisce lei, continuando a massaggiare la barba bruna di lui.

“Sono davvero felice di questo. Te l’ho giurato due giorni fa: cercherò di farti stare bene, ogni giorno della tua vita… soprattutto quando vivremo le nostre difficoltà” promette Bogotà, appoggiando la mano calda e confortante sulla fronte di lei, per poi accarezzarle una ciocca di capelli mori.

“Ancora non ci credo di aver avuto te e Axel praticamente nello stesso giorno. Mi ci vorrà un po’ per capirlo. Ora lui è tornato da quella meravigliosa famiglia, noi dobbiamo sistemare questa faccenda ma poi sarà per sempre nostro” dice lei sognante, ancora inebriata da quei giorni trascorsi con il figlio che non vedeva da secoli.

“Vuoi davvero che sia io il padre di Axel?” domanda allora lui, toccando un tassello molto importante.

“Certo. Quel mostro di suo padre non esiste. È un problema per te?” domanda Nairobi seria in volto, sapendo di aver chiesto qualcosa di enorme.

“Assolutamente no. Lo considero già il mio ottavo figlio ma… mi chiedevo una cosa” dice lui guardando in alto con fare pensoso, attirando l’attenzione della moglie.

“Ricordo molto bene una tua frase: “Scordati, che io ti dia l’ottavo figlio”… beh, se non sbaglio a questo punto mi dovresti dare il nono” ride lui, alleggerendo la tensione e ricevendosi una piccola spinta da Nairobi che si aspettava un rifiuto o un questione più importante di cui discutere.

“Lo dicevo perché so pienamente il tuo desiderio di mettermi incinta e non volevo renderti facile il percorso” lo sbeffeggia lei con tono scherzoso, ridendo di gusto per poi accoccolarsi al suo petto.

“Il problema è che sei troppo bella e io ti amo. Per questo condividerei mille avventure, anche quella della paternità che vorrei vivere senza scappare” confessa lui senza più ridere, mostrando una ferita che pare lacerarlo da molto tempo sul tema.

“Quando avremo la nostra casa, quando avremo il nostro equilibrio, quando le cose con Axel si saranno sistemate… io sogno questo bambino con te” conclude Nairobi, per poi avvicinarsi alle sue labbra e baciarlo delicatamente, mentre socchiude gli occhi per godersi il momento.

“Allora è ciò che avremo” sospira Bogotà per poi riprendere il bacio e sancire il giuramento.

Il giorno seguente tutta la squadra si sveglia presto per progettare insieme al prof il da farsi. Helsinki ripone una brocca d’acqua sul tavolo, Stoccolma lo aiuta con i bicchieri, il prof si prepara davanti a una lavagna e tutti gli altri si siedono continuando a chiacchierare animatamente. Una situazione usuale, di routine, normale e senza preoccupazioni senza sapere, però, che tale pace non sarebbe durata a lungo.

“Sono trascorsi esattamente due giorni dal matrimonio dei nostri amici. Axel è tornato a casa sano e salvo e sono davvero felice per Nairobi e Bogotà. Per quanto riguarda noi il nostro viaggio sta per volgere finalmente al termine. La nostra prossima tappa sarà quella conclusiva che ci porterà in lunghi del globo impossibili da rintracciare. Non rimane ora che parlare nuovamente delle regole che non cambieranno molto da quelle utilizzate dopo la rapina alla Zecca, con la differenza, però, che questa volta nessuno le dovrà infrangere!” spiega il professore, scrivendo la parola rinascita sulla lavagna. Ed è proprio quando Sergio appoggia il gesso sull’ardesia che un proiettile silenzioso gli sfiora le dita, colpendo in pieno la pietra nera.

Il professore e la banda rimangono straniti e terrorizzati dall’azione, silenziosi e immobili per qualche secondo.

“Porca puttana di nuovo!” esclama Denver serrando i denti, colpendo il tavolo con un pugno, per poi alzarsi e imbracciare un mitra incastonato nel muro.

“Ci hanno trovati di nuovo!” dice Sergio ghiacciandosi ed entrando in un proprio loop di pensiero, mentre avverte la tensione salire e il respiro venire a mancare a causa di un battito cardiaco ingestibile.

“Sergio cosa facciamo?!” lo risveglia subito Raquel, preoccupata per la sua salute avendolo quasi visto morto per un colpo mancato.

“Come cazzo hanno fatto a trovarci?!” chiede ancora il prof spaventato, non riuscendo a individuare la falda nel sistema, mentre osserva tutta la squadra indossarsi i giubbotti e maneggiare le armi.

È proprio quando cominciano gli spari contro i vetri dell’abitazione che il professore intuisce il suo grande errore. Un errore che poteva evitare dovuto a un’ipotesi remota in quanto assurda e disumana. Quel mostro della Sierra era riuscita a fare anche quello, a cadere così in basso, ma compiendo una mossa facile in quanto brutale.

“Un localizzatore…Axel!” esclama lui a gran voce osservando Nairobi rimasta impietrita dalla rivelazione.

“Che cosa?!” domanda lei sconvolta, portandosi una mano sulla bocca mentre con l’altra si copre con il fucile.

“Quella stronza gli deve aver messo un localizzatore! Ecco perché lo ha rilasciato… perché non l’ho capito cazzo!” urla il prof ribaltando il blocco degli appunti, mentre la squadra funge da diversivo aprendo il fuoco contro i nemici ignoti.

“Che cosa facciamo?!” urla ancora Raquel alterandosi per la situazione.

“Prepariamoci a combattere. Usciremo tutti, tranne voi due” spiega il prof, indicando Nairobi e Tokyo.

“Perché?! No!” risponde subito Tokyo, già pronta a sparare all’impazzata e a mettersi in gioco.

“Devi proteggere la bambina! Prendetela e nascondetela nella panic room senza uscire per alcun motivo! Chiaro?!” ordina il prof con esigenza, spingendo poi le due verso l’uscita del salotto.

Piccoli secondi, momenti brevi in cui sia Nairobi che Tokyo salutano velocemente i propri uomini già intenti a sparare.

“Vai, corri dalla bambina!” grida Rio, baciando voracemente la ragazza per poi spingerla via. Anche Nairobi vive un momento simile per poi allontanarsi a fatica, trascinando con sé Tokyo restia all’idea di ritirarsi. Le due corrono nella panic room insieme alla piccola Nieves che dormiva tranquilla senza rendersi conto della guerra. Le amiche non riescono a dire nemmeno una parola ma cercano di entrare in azione nel miglior modo possibile, avviando i dispositivi elettronici della stanza per guardare la guerriglia grazie alle telecamere esterne all’abitazione.

“Ma da dove cazzo ci sparano!?” chiede Denver, mirando in diversi punti una volta fuori dalla casa, senza riuscire a individuare i nemici.

“Sono cecchini, per questo non li vediamo!” risponde Bogotà, coprendo le spalle all’amico.

È in quell’istante che il fuoco si zittisce e una figura vestita di nero si avvicina a loro. L’estraneo aveva una maschera scura che copriva il viso, un elicottero che sorvolava sulla sua testa pronto a ripescarlo e, tra le braccia, teneva stretta una persona dai capelli biondi rimasta intrappolata nelle grinfie della pazzia.

“Monica!” esclama subito Denver, vedendo la moglie con una pistola puntata alla tempia.

“Lasciala andare subito! Chiunque tu sia!” urla Rio, puntando l’arma verso di loro consapevole, però, che in quei momenti il coltello dalla parte del manico ce l’ha sempre il nemico.

“Non mi riconosci? Davvero?” dice la persona vestita di nero, per poi togliersi la maschera e rivelare la propria identità.

“Alicia!” afferma il professore, evitando escandescenze verso l’acerrima nemica.

“Lasciala andare!” grida ancora Denver, con il sangue che ribolle a causa dell’ingiustizia.

“Non penso proprio… dove sono le altre due donne? Lì vedo Raquel, qui c’è la biondina, ma la pazza e la meticcia si sono ritirate?” li offende Alicia, continuando a sghignazzare tra i baffi.

“Che cazzo te ne frega di dove sono?!” si altera Rio irrigidendo la muscolatura del viso.

“Bel ragazzino mio… vedo che finalmente hai tirato fuori un po’ di palle! Ti sei rimesso insieme alla cretinetta dai capelli corti eh?!” lo punzecchia ancora lei, senza mai togliere l’arma dalla tempia di Stoccolma che trema come una foglia.

“Non rispondere” sussurra Helsinki all’orecchio del giovane amico.

“Perché non ci spari Alicia?! Siamo tutti qui!” spiega il prof, aprendo le braccia per accogliere la partita finale.

“Nah… io vi volevo proprio tutti! Anzi… soprattutto volevo le due donne mancanti. Avevo bisogno di consigli femminili, per questo credo proprio che me ne andrò via con questa bella biondina!” conclude lei, aggrappandosi alla corda dell’elicottero che comincia a sollevarla da terra velocemente.

“NO!” urlano tutti in coro, vedendo Stoccolma resa ostaggio della follia di una donna.

In quel momento Rio, senza pensarci troppo, afferra due piccoli oggetti che era solito tenere a portata di mano e inizia una vera e propria rincorsa afferrando i piedi della Sierra e finendo così risucchiato nell’elicottero che chiude le porte e si allontana velocemente.

“No! RIO!” esclama Tokyo all’interno della panic room, assistendo a tutta la scena e sentendo il proprio cuore esplodere nel petto. La ragazza si sente terrorizzata ma non sa che il suo amato Rio aveva appena compiuto una mossa strategica. L’informatico, infatti, aveva portato con sé una piccola telecamera e un localizzatore che avrebbero permesso a tutta la squadra di raggiungere la postazione della Sierra e mettere un punto a quell’orrenda faccenda.

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Capitolo 19
*** 18. LA POTENZA DI UN SORRISO ***


CAPITOLO 18
LA POTENZA DI UN SORRISO
 

Qualche giorno prima dell’attacco di Alicia Sierra…

Il pianto di Nieves risveglia i due giovani genitori, addormentati nel cuore della notte. Tokyo si alza a fatica, particolarmente stanca e provata dai giorni ricchi di preparativi per il matrimonio di Nairobi. Essere un genitore è difficile e richiede sacrifici ogni ora del giorno e della notte. Per una persona può sembrare banale, ma i risvegli notturni sono sempre una grande gatta da pelare per mamma e papà. La ragazza accende la bajour con le palpebre incollate e pesanti, impossibili da aprire, quando vede davanti a sé Rio reattivo con in braccio la piccola che ha già smesso di piangere.

“Grazie” si limita a dire Tokyo, rivolgendo un sorriso al giovane che ancora una volta l’aveva aiutata.

“La sai calmare benissimo” constata la donna, osservando il ragazzo nell’adagiare dolcemente la bambina nel lettino, per poi sedersi accanto a lei.

“La amo, come amo te! Siete la cosa più bella della mia vita” afferma lui con quel sorriso a labbra serrate in grado di coinvolgere ogni muscolo del viso.

“Nairobi ti ha fatto vedere le foto di qualche giorno fa?” chiede lui, prendendo alcune immagini dal comodino. Tokyo fa segno di no con la testa, per poi osservare i ritratti in silenzio. Quattro fotografie meravigliose che inquadravano un bacio di Tokyo e Rio, una di Tokyo con la bambina e due che le aprono completamente il cuore. Una foto ritraeva Rio, intento a sollevare Nieves al cielo, mentre lei riceve il bacio del suo papà sul collo. La seconda, invece, mostrava la loro famiglia al completo: un abbraccio di tutti e tre sorridenti e sereni. Tokyo si emoziona di fronte a quelle immagini che imprimono su carta la famiglia che mai si sarebbe aspettata di meritare e di vivere.

“Da quando è nata Nieves e sto con te, gli incubi sono finalmente passati. Siete state il mio coraggio e la mia medicina per ritornare a vivere. Ora non ho più paura di nulla proprio perché ho voi. Non riesco ancora a crederci” constata Rio scuotendo la testa e mangiandosi le labbra per la felicità, per poi togliersi una targhetta alquanto conosciuta dal collo.

“Cosa ci fai con il mio anello di fidanzamento?” domanda Tokyo divertita nel rivedere il pegno del loro amore.

“Bogotà me l’ha modificata. Guarda…” spiega Rio, lasciando l’oggetto nelle mani della compagna. Tokyo squadra il metallo su cui era inciso il nome di Anibal Cortes, accorgendosi dei cambiamenti. Ora, al posto del suo nome, ve ne erano tre: Anibal, Silene e Nieves. Tokyo accarezza l’incisione con delicatezza per poi stringerla in un pugno come a voler proteggere qualcosa di suo.

“La terrò per sempre e mi darà la forza di lottare, di combattere l’ultima battaglia della Sierra e per sempre mi ricorderà della nostra storia. Mi hai regalato la vita che ho sempre sognato Tokyo, non vedo l’ora di uscire di qui e comprarci il nostro cagnolone e la nostra villa sulla spiaggia!” conclude Rio, per poi rimettersi la targhetta al collo e sporgersi verso Tokyo dando vita ad un bacio dapprima leggero e sensuale fino a trasformarsi in un vero e proprio antipasto d’amore. Il resto di quella notte i due la trascorrono facendo l’amore senza pensare a nulla, se non a guardarsi negli occhi e rendersi conto di amarsi come mai prima. I due inizialmente riuscivano a dirsi le cose solo scopando, ora avevano imparato a dimostrarsi amore in ogni piccolo gesto di quella quotidianità tanto bramata quanto temuta.

“Che cosa facciamo?!” chiede Raquel rientrando nell’abitazione, spaventata per quanto successo.

“RIO E MONICA PORCA PUTTANA! LI HANNO PRESI!” esclama Tokyo alterata, uscendo dalla panic room e sbraitando il più possibile.

“Calmati Tokyo!” la zittisce subito Denver, bisognoso di ossigeno per pensare e per respirare.

“Calmati un cazzo Denver! Hanno preso tua moglie e il mio ragazzo! Dobbiamo andarceli a riprendere o quella chissà cosa potrà fargli!” continua a gridare Tokyo, muovendo animatamente le mani.

“Adesso ragioneremo su un nuovo piano, anche se non ho la più pallida idea di come fare a rintracciarli!” ansima il professore, appoggiando le mani sul tavolo.

“Io sì!” prende parola Nairobi, accortasi di un piccolo particolare. La squadra fissa l’amica con attenzione per poi seguirla verso la panic room.

“Io e Tokyo abbiamo attivato le telecamere mentre voi sparavate e ora si è collegata anche questa” descrive Nairobi, indicando un monitor della stanza che mostrava delle immagini sfuocate.

“Rio!” dice allora il professore, sedendosi subito alla postazione e migliorando la qualità del video.

“Cosa? Che significa?” chiede Tokyo corrugando la fronte per lo stupore.

“Ha con sé una telecamera con annesso un localizzatore! È la nostra salvezza! Dobbiamo partire subito, prima che facciano qualcosa a Monica e Rio! Bogotà prepara le armi… Denver ed Helsinki contattate il resto della banda e Raquel…” inizia a ordinare il prof interrotto proprio dalla consorte.

“Io ho un’idea… penso sia azzardata ma questa volta vale la pena provare” propone lei seria, guardando negli occhi il compagno.

“Chiamiamo l’ispettrice e Angel. Possono venire anche loro in soccorso” sgancia la bomba lei, ricevendo il borbottio della banda.

“E pensi che ci aiuteranno? Quelli cercheranno di buttare in carcere anche noi!” si inserisce Nairobi, ragionando sulla proposta.

“Lo faremo! Provare non costa nulla e scappare da loro nel caso ci costerà poco. È la volta buona che sistemiamo anche i nostri rapporti con la polizia. Rivelargli la posizione della più grande ricercata del momento è un gesto di fiducia” spiega il prof, annuendo a Raquel e stringendole la mano.

“Ora dobbiamo partire. Voi due resterete qui!” comunica ancora Sergio, rivolto a Nairobi e Tokyo messe in panchina per quel colpo finale.

“In bocca al lupo” li incoraggia Nairobi, guardando negli occhi Bogotà e chiedendogli attraverso un semplice sguardo, di restare vivo. Tokyo si ritrova ancora una volta fuori gioco e, seppur arrabbiata per l’ingiustizia, sa bene che se si fosse trovata davanti la Sierra le avrebbe fatto scoppiare le budella.

Qualche ora dopo…

Alicia si era sistemata nella propria base e, dopo aver fatto legare Stoccolma e Rio a due sedie, camminava vicino a loro sorseggiando una bibita gassata.

“Posso chiederti come hai fatto a tornare così magra dopo la gravidanza?” domanda la Sierra, posizionandosi davanti a Monica.

“Sicuramente perché non mangiavo tutta la merda che prendi tu!” risponde Monica con coraggio, serrando i denti e guardando negli occhi la nemica.

La Sierra scoppia in una fragorosa risata, per poi stopparsi e tirare una violenta sberla alla riccia. Il colpo inflitto, sostenuto da una forza elevata e dalla presenza di anelli, taglia il labbro di Monica che rimane impassibile di fronte all’offesa subita.

“Che cazzo vuoi da noi eh?! Sono capaci tutti di torturare una persona tenendola legata!” entra in azione Rio, dimenandosi tra le catene cercando di salvare l’amica picchiata.

La Sierra si avvicina al ragazzo con un fare accattivante, prestando attenzione ad ogni singolo passo dei suoi tacchi a spillo. Nel sentire quel ticchettio lo stomaco di Rio si blocca in un secondo, ricordando immediatamente le torture inflitte da quella donna.

“Sei proprio bello sai?” commenta lei, accarezzandogli i capelli per poi afferrarli con forza e sollevargli la testa.

“Non ti facevo così pieno di te. Non eri così l’ultima volta… cos’è ti sono cresciute le palle?!” lo stuzzica lei, per poi tirargli un calcio alle parti basse, punto delicato e dolente per qualsiasi uomo. Rio risponde al colpo respirando profondamente, senza mostrare segni di cedimento, incassando il colpo privo di lamenti.

“A quanto pare sì! Bene… mi piacciono gli uomini forti!” continua lei, per poi accarezzargli il petto muscoloso.

“Mi vuoi dire ora… perché sei venuto in soccorso della biondina? Non mi starai dicendo che ti piace! In effetti a te quelle più grandi sono sempre piaciute, no?” lo punzecchia lei, per poi tornare da Monica e infastidirla sui soliti quesiti discriminatori.

“Quella brutta puttana! Se me lo tocca di nuovo io giuro che le infilo…” inizia a sbraitare Tokyo, avendo assistito alla scena dalla telecamera di Rio, pur bloccata da Nairobi che cercava in ogni modo di allontanarla dal visore.

“Calmati! Ora arriveranno i nostri! La Sierra è nella merda!” la interrompe l’amica, guardando lo schermo e rimanendo in contatto con il prof tramite una radiolina.

Dopo alcuni minuti, infatti, la base segreta di Alicia Sierra viene circondata dalle volanti dalla polizia e da circa quattro elicotteri militari. L’ispettrice e Angel, infatti, aveva ascoltato la comunicazione dei Dalì decidendo di fidarsi e di concordare una nuova tregua per annientare un nemico comune. Alicia Sierra, ormai, aveva i minuti contati.

“E in quanto a pulsioni? Tu devi essere fortunata, hai un uomo con cui sfogarti! Io invece non riesco più a farlo con nessuno da quando è morto mio marito e…” continua il suo monologo la Sierra, girando tra le dita un ricciolo d’oro di Monica che aveva ora il labbro viola e ancora colmo di sangue. La criminale non riesce a terminare la frase perché, proprio in quel momento, le porte vengono aperte dai suoi stessi scagnozzi che si ritrovano con una pistola puntata alla testa da parte dei Dalì.

“Lasciali andare Alicia! Sei fottuta ormai!” ordina il prof, guidando la banda dalla tuta rossa. La Sierra indietreggia spaventata, per poi prendere coraggio e puntare la pistola alla nuca di Monica. La squadra riesce a prendere tempo e, mentre il prof e Raquel tengono alta la guardia sulla Sierra, Helsinki e Bogotà corrono verso Rio liberandolo dalle catene. Il ragazzo scatta in piedi all’istante, munendosi di un’arma e unendosi ai compagni.

“Ah beh, ora che avete il ragazzino con una pistola in mano sì che ho paura!” li sbeffeggia la Sierra camminando all’indietro verso una porta segreta di cui solo lei conosceva l’esistenza. La donna si muove lentamente, continuando a trascinare con sé Monica legata alla sedia e con la sua arma alla nuca.

“Lasciala ho detto!” urla allora Denver, collerico di fronte alla situazione.

“Sapete qual è la verità?! Voi non siete capaci di sparare e non troverete mai il coraggio di uccidermi! Io, invece, non mi faccio scrupoli…” conclude la donna, per poi sparare un colpo. Il rumore fa urlare i presenti a cui si ghiaccia immediatamente il sangue. In quell’istante tutti vedono Monica inerme cadere a terra con una pallottola nella coscia, esattamente a pochi centimetri dalla precedente ferita. Quel momento di panico permette alla Sierra di azionare un pulsante nel muro ed aprire una porta automatica nella quale si immette rapidamente.

Rio assiste alla scena collerico per poi, mosso dall’adrenalina, correre dietro alla nemica.

“NO, RIO, FERMO!” esclama Denver ai piedi della moglie accasciata a terra. La squadra parte allora all’inseguimento del nemico trovandosi, però, il portone chiuso in faccia, azionabile solo dall’impronta digitale della Sierra stessa.

“Puttana! Fermati!” le urla dietro Rio, raggiungendo la ex ispettrice in una panic room bianca senza più vie di fuga.

“Tu? Mi avresti seguito tu? Sto tremando! Aiuto!” ride la Sierra, appoggiandosi alle ginocchia per poi alzarsi senza nemmeno puntare l’arma verso il giovane.

“So bene che non hai il coraggio di spararmi! Sei solo un ragazzino! Il punto debole dei Dalì!” lo insulta ancora lei, per nulla preoccupata.

“Sai qual è la verità Alicia?” inizia a dire Rio, mirando alla fronte dell’avversario.

“Tu mi fai pena! Non provo rabbia, ma solo pena! Pena perché avresti potuto avere tutto. Un bambino, una casa, una vita… e invece sei qui, a rincorrerci per chissà quale motivo. Ti chiedi perché io sia corso dietro a Stoccolma. L’ho fatto perché ognuno di loro è la mia famiglia e non avrei mai permesso a una cretina come te di uccidere una madre!” racconta Rio con molta maturità, dimostrando di non avere più paura, di essere finalmente un uomo coraggioso, pronto a tutto perché felice della propria vita.

“Che cazzo ne vuoi sapere tu della maternità? Non ti si saranno manco formate le sfere!” lo prende in giro la Sierra, difendendosi da un’accusa che, in realtà, la stava trafiggendo in profondità.

“Ne so quanto basta e mi riprometto ogni giorno di imparare di più! Sai perché ti sono venuto dietro!? Perché avevo un conto in sospeso con te! Pensavo che tu mi avessi rovinato la vita, ma la verità è che sono qui per dimostrarti il contrario. Io non ho più paura di te Alicia! Così come non temo più le tue torture o le tue fisse per lo zucchero!” continua il giovane, aprendo le braccia e sorridendo al nemico, dimostrando di averlo già vinto.

“In questi mesi ho scoperto la bellezza della vita. La meraviglia dell’amore, della famiglia, dell’amicizia! Non voglio parlartene troppo perché so che non capiresti, ma a me l’amore ha cambiato la vita! Una bambina mi ha destato dai traumi… mi ha fatto rialzare, svegliare, capire che nulla stava per finire ma solo per cominciare! Una bambina mi ha chiesto tutto ciò che c’è di più semplice facendomi accorgere di essere io ciò di cui aveva bisogno e che le mie preoccupazioni a confronto erano niente! Una bambina mi ha mostrato la dolcezza di un sorriso senza motivo che ha curato i miei musi lunghi e gli attimi di negatività. Una bambina mi ha fatto faticare, non mi ha concesso di dormire, di mangiare, di lavarmi mettendomi di fronte a quei momenti così comuni dal risultare speciali. Una bambina è stata la mia rinascita… la sua mamma, una bambina e il suo piccolo cuore” afferma Rio con le lacrime agli occhi e la voce spezzata per l’emozione, ma con un sorriso meraviglioso sul volto.

“Un bambino Alicia! La rinascita me l’ha data un bambino! E tu, che sei mamma di un bambino, lo hai messo da parte per la vendetta… dimenticandoti che lui avrebbe potuto darti tutto quello che stavi cercando” taglia corto lui senza smettere di sorridere in faccia al nemico.

Ed è proprio quella linea curva del viso ad infastidire la Sierra, perché aveva davanti a sé la dimostrazione di aver perso nella vita, di non essere nessuno, di aver sbagliato tutto. Per un attimo la donna abbassa la pistola e guarda per terra, sconvolta da quelle parole così profonde pronunciate da un ragazzo che aveva capito il senso della paternità nonostante la sua giovane età. Alicia si sentiva mentalmente sconfitta, demolita dalle emozioni e dalle parole: per sempre considerate le armi più potenti al mondo. Per una donna come lei la ripresa sarebbe stata comunque possibile ma l’orgoglio e il senso di colpa spesso portano a continue recidive, più che a momenti di stasi in cui ammettere lo sbaglio e pagare le conseguenze delle proprie azioni.

Per questo motivo, quando la partita sembrava ormai terminata, Alicia decide la sua ultima mossa. La donna estrae due pistole puntandone una verso Rio e l’altra alla propria tempia.

“No Alicia no!” esclama allora Rio, consapevole di avere di fronte una donna pronta a suicidarsi. Rio reagisce al momento addossandosi la responsabilità di una morte, prendendosi la colpa di uno sparo che avrebbe evitato il suicidio di una persona, pulendole l’anima da una scelta brutale e distruttiva. È così che Alicia Sierra riceve nel cuore la pallottola di Rio, per poi accasciarsi lentamente a terra non prima, però, di aver ricambiato con la medesima moneta.

Gli spari furono esattamente due, quasi simultanei, ma la pistola che la Sierra si era puntata alla testa non aveva sparato nessun colpo. Due proiettili si erano sfiorati, andando in direzioni opposte e colpendo al cuore entrambe le persone.

“NOOOOO!” è la parola che esce strozzata dalla bocca di Tokyo, che viene immediatamente sorretta dalle braccia di Nairobi. Quel monitor, infatti, aveva mostrato troppo trasformandosi in un film dell’orrore con una meravigliosa morale d’amore.

Millesimi di secondi in cui Rio abbassa lo sguardo al proprio petto dove vede il sangue zampillare e uscire a fiumi, intuendo in quel preciso istante che ormai era tutto finito. Il ragazzo si accascia a terra lentamente, chiudendo gli occhi e destinando le sue ultime forze a due azioni muscolari molto importanti: con una mano stringe a sé la targhetta con incisi i nomi della sua famiglia e impegna le energie per continuare a sorridere.

È così che termina la giovane avventura di Anibal Cortes, un ragazzo che aveva finalmente trovato la propria felicità, aveva salvato gli amici permettendo loro di vivere e di rinascere e se n’era andato con il sorriso: segno di una vittoria silenziosa ottenuta grazie all’amore.
 

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Capitolo 20
*** 19. IL PIANO RINASCITA ***


CAPITOLO 19
IL PIANO RINASCITA

 
Quando la banda riesce ad entrare nella panic room di Alicia Sierra, il sipario era già calato. Ad accogliere la banda c’erano due corpi privi di vita, accasciati a terra. Tutto era ormai finito, cessato, concluso, grazie a un giovane che aveva donato sé stesso per salvare i propri amici.

Attimi devastanti, vissuti al rallentatore, mentre ogni membro della squadra cade a terra uno a uno, con le mani sul viso o sulla fronte, disperandosi per un giovane papà strappato alla linfa vitale troppo presto.

Se per la squadra risulta più semplice confortarsi, così non avviene per Tokyo e Nairobi, spettatrici passive di uno scempio.

Trascorrono minuti interminabili, in cui Nairobi tiene chiusa tra le braccia l’amica del cuore, cingendola e bloccandola come se fosse una camicia di forza intenzionata a contenere il dolore. La verità, però, stava nel fatto che neppure la tanto determinata Nairobi sapeva come fare ad assorbire anche solo una briciola della sofferenza di Tokyo.

Nairobi non dice nulla, lascia libero sfogo alle lacrime e alle urla strazianti di Silene che lacerano l’aria e rimbalzano senza sosta all’interno della stanza.

“NOOOOO, NOOOOO, NOOOOO”

Queste le uniche parole prolungate che fuoriescono dalla bocca di Tokyo, ormai ceduta in ginocchio, con una mano sul cuore ferito e una sulla bocca. Una parola brutta, spezzata, con una “o” infinita pronunciata con una voce grattata, sparata, bruciante capace di infiammare le corde vocali a causa del bisogno di esternare il dolore. Tokyo si dispera senza pietà per le proprie condizioni, senza vergogna per i propri urli, senza timore per la propria debolezza, rincuorata solo da quelle braccia sante della migliore amica che non la mollava nemmeno per un istante.

L’immagine della morte di Rio si riavvolge come un nastro nella sua mente, mostrandosi e rimostrandosi senza sosta confermandosi una realtà cruda, vera e concreta. In quella morte Silene vede morire i propri sogni, la propria felicità e il proprio futuro. Del gesto di coraggio di quell’uomo non riesce ancora a esserne fiera, perché con quella morte si sentiva abbandonata, senza il compagno della sua vita, senza il padre di sua figlia, senza metà del suo cuore e senza l’ossigeno per respirare anche solo nei prossimi minuti.

“No, no!” continua imperterrita, per poi adagiarsi tra le braccia di Nairobi che non cessa di stringerla e di coccolarla, consapevole del grande valore che incarna in un tale momento.

Anche Nairobi non sa come agire. Vedere l’amica pugnalata da quella situazione è come assistere alla sua morte. Nairobi lascia scorrere qualche lacrima silenziosa, mettendo da parte il dolore per la perdita dell’amico, rispettosa della sofferenza di Silene che considerava infinitamente maggiore. Nairobi quel giorno aveva visto morire un amico ma, soprattutto, il fidanzato della sua migliore amica e il papà amorevole di una meravigliosa bambina. Nairobi aveva visto la morte di un ragazzo che aveva dimostrato di potersi riscattare grazie ai sacrifici e alla forza di volontà, un piccolo uomo che era riuscito a superare le proprie paure e a morire pur di sconfiggerle per sempre, ma soprattutto un grande bambino, capace di amare il sangue del suo sangue con un amore incondizionato, gratuito e curativo che molti adulti non sanno nemmeno di possedere e gestire.

“Uccidimi ti prego! Sparami!” grida disperata Tokyo, prendendo la mano dell’amica e stringendola al petto.

“Che cazzo dici? No, Silene calmati!” la ferma immediatamente Nairobi, consapevole degli attacchi illogici della migliore amica.

“Allora mi uccido io! Mi uccido io!” urla ancora la ragazza dai capelli corti, facendo per avvicinarsi a una pistola e cercando di afferrarla. Nairobi le si pone davanti, ostacolandone il desiderio con tutto il corpo. Era incredibile la forza di Tokyo in quel momento, talmente concentrata da riuscire a destabilizzare Nairobi che ancora i piedi al pavimento in modo da trovare l’energia per respingerla.

“Devi reagire Toky! Devi farlo per Nieves, non puoi pensarla così!” cerca di convincerla Nairobi, allontanandola da quell’idea malsana. È in quel momento che la gitana decide di agire diversamente. Afferrata una siringa e un particolare farmaco si appresta ad iniettarlo nella spalla dell’amica che non si rende nemmeno conto del gesto.

“Non ce la faccio senza di lui! Non ce la faccio senza di lui!” singhiozza Tokyo abbandonandosi tra le braccia di Nairobi sentendosi improvvisamente stanca. Nairobi l’accoglie tra le sue braccia, accarezzandole la guancia e cullandola tenendola stretta a sé.

“Non ti lascerò mai sola, ora più che mai amore mio” si limita a dire Nairobi, per poi vedere l’amica finalmente addormentata tra le braccia, in pace con sé stessa per qualche ora grazie a un sedativo che l’avrebbe salvata da un esaurimento nervoso.

Tokyo dorme per tutto il pomeriggio e non si rende conto del rientro della banda che, dopo l’accaduto, riesce ad andarsene con un elicottero, sotto gli occhi della polizia rimasta inerme e immobile con l’ordine di lasciare liberi i Dalì.

Nessuno osa fiatare, parlare o emettere qualsiasi tipologia di suono. Denver con in braccio Monica si allontana con Helsinki verso una stanza e vi si chiude per operare la gamba della donna che, durante tutto il tragitto, non aveva ancora smesso di piangere per la morte dell’amico. Bogotà, Raquel, il prof e Palermo raggiungono invece Nairobi, rimasta accanto a Tokyo che a breve si sarebbe risvegliata.

Bogotà avanza con lo sguardo basso, per poi abbracciare forte la moglie per supportarsi visto il momento.

“Come sta?” chiede Raquel, accarezzando la testa di Tokyo nonostante i conflitti presenti tra le due.

“L’ho dovuta sedare. Stava delirando… abbiamo visto tutto” si limita a dire Nairobi, asciugandosi con il mignolo l’ennesima lacrima che sfugge al controllo dei suoi occhi. Il prof è rimasto ancora immobile, senza dire una parola, nervoso e sconfitto consapevole di aver fallito. Lui che si era ripromesso di proteggere tutti, soprattutto Tokyo, non aveva agito con arguzia esponendosi ed evitando la morte di un ragazzo così giovane.

Preso da un momento di sconforto ma anche da un desiderio di rivincita, il prof si chiude nel mutismo e nel silenzio della panic room, senza consultarsi con nessuno.

I membri della banda rimangono nel vuoto, appesi ad un filo quando, fortunatamente, il pianto di Nieves riporta tutti alla realtà. Nairobi si avvicina alla bambina, prendendola in braccio e cercando di calmarla anche se, probabilmente, anche lei aveva avvertito qualcosa di estremamente negativo. È quel pianto che risveglia Tokyo dopo ore di tregua da una lacerazione che era lì pronta ad aspettarla una volta sveglia.

“Come ti senti?” le chiede Bogotà prendendola per mano, mentre Nairobi continua a occuparsi della piccola.

“Sento di aver perso. Per sempre” risponde Tokyo, appoggiata al cuscino con la testa rivolta verso destra, con lo sguardo apatico puntato verso il muro.

“Rio ci ha permesso di vivere, per sempre. Fa tesoro della rinascita che ti ha dato. Noi saremo con te sempre” la conforta Bogotà chiudendo la mano di lei tra le proprie.

Tokyo non risponde e, abbandonata alla cruda realtà, lascia scorrere le lacrime senza controllo. Solo il tempo avrebbe potuto lenire le sue ferite, anche se al professore l’idea di aspettare non bastava.

Dopo circa un’ora è proprio lui ad uscire dalla panic room, facendo segno ai compagni di accendere la televisione. La banda non se lo fa ripetere due volte e accende il dispositivo senza ulteriori domande. Ogni canale, ogni ente, ogni frequenza stava trasmettendo il medesimo servizio.

Il soggetto del video riguardava la morte di Rio e il suo scontro con Alicia Sierra. Tutto il mondo stava assistendo alla sua morte in diretta, ascoltando quel monologo sulla paternità e sull’amore per la vita che aveva sciolto tutti. Terminata la visione, il video mostra poi il volto del professore con in mano una maschera di Dalì.

“Per molto tempo ci avete temuti, additati come criminali e in parte non potevamo darvi torto” inizia la sua arringa il prof “ma dietro a queste maledette maschere ci sono uomini e donne che hanno toccato il fondo, che hanno pagato condanne ingiuste, madri e padri allontanati dai propri figli, lavoratori onesti e studenti professionali. Delle persone normalissime che non hanno mai leso l’incolumità di nessuno, ma che hanno solo provato dei colpi di rapina in banca. Quest’ultimo anno è stato travagliato e particolarmente ingiusto per noi. Avevamo desiderio di rinascita, di ripresa, di vita normale. Saremmo spariti dalla circolazione senza torcere un capello a nessuno, ma questa donna Alicia Sierra, in cui voi avevate riposto la vostra fiducia in quanto ottima ispettrice, ci ha messo ai ferri corti cercando di distruggerci senza un apparente motivo, solo per un gusto personale. Quel mostro ha ucciso, ha torturato, ha sfruttato un bambino e ora ci ha tolto un compagno. Anibal Cortes è sempre stato un ragazzo impulsivo, sotto alcuni tratti molto infantile… ma con un cuore enorme. Un ragazzo buono, disponibile che in questo anno è riuscito a rinascere proprio come avete sentito dalle sue parole. Un giovane papà che non desiderava altro se non poter crescere la figlia in tranquillità e normalità. La normalità, la routine… che aspetti spettacolari non trovate? Chi vive la giornata tende spesso a lamentarsi delle solite azioni e altri, invece, lottano per conquistare anche solo due ore di tempo senza programmi. L’attacco al Palacio Real di quest’anno è stato tutta una montatura. Noi non volevamo rubare né rompere niente. Desideravamo solo quella fottuta normalità, che ci è stata strappata via a causa della mente malata di certe persone. Ora noi desideriamo tregua. Per scusarci invieremo una grande somma di denaro allo stato e alla famiglia reale per aggiustare i danni arrecati per poi ritirarci per sempre. Il nostro piano rinascita prevedeva proprio questo: il desiderio di libertà e di vita. Anibal Cortes è stato il nostro piano rinascita. Quel ragazzo si è sacrificato per tutti noi a nome della paternità, della famiglia e dell’amicizia, cercando addirittura di evitare il suicidio a quella donna che l’aveva torturato e ucciso i genitori. Il video che avete appena visto è l’esempio concreto di come, all’interno di ognuno di noi, sia presente il diavolo e l’angelo. Alicia Sierra era considerata la migliore nel suo campo, eppure lavorava in modo sporco e illegale rischiando di uccidere persone con le proprie torture. Anibal Cortes, invece, era ricercato per delinquenza quando altro non era che un giovane papà, sempre premuroso e sognatore. Da oggi queste maschere non le vedrete mai più” afferma il prof, mettendo la maschera per terra e calpestandola mandandola in frantumi.

“Non la vedrete più perché noi cercheremo di vivere la nostra rinascita grazie al sacrificio di Anibal Cortes, quel fratello che noi chiamavamo Rio che si è sporcato le mani ed è morto per salvare tutti noi. Signori e signore, noi usciamo di scena. Grazie Rio… per aver reso possibile il piano rinascita offrendo la tua vita”

Il messaggio del professore viene ascoltato da tutti e il mondo intero reagisce al gesto con rispetto e silenzio. Nei giorni successivi tanti sono i fiori che vengono portati davanti a diversi monumenti, molti sono i disegni e le fotografie di Rio apposte sui pali, sui muri, sulle strade e infinite sono le persone che giungono con candele nei pressi del Palazzo Reale. Il globo intero era rimasto di stucco di fronte al gesto del ragazzo che aveva sacrificato sé stesso per salvare la popolazione spagnola da un’assassina a piede libero.

La banda si stava spostando ulteriormente grazie a una nave che l’avrebbe portata in alcune isole sperdute dell’oceano pacifico, verso l’ultima tappa che tanto desideravano. La morte di Rio aveva segnato ogni membro ma i Dalì, con la solita tenacia e forza d’animo di sempre, riuscivano a distrarsi facilmente lasciando al tempo il compito di lenire le ferite.

L’unica incapace di reagire risultava Tokyo che, in quel periodo, non aveva avuto il coraggio di vedere e occuparsi della bambina, affidandola esclusivamente alle cure di Nairobi. Silene passava le sue giornate ad osservare il mare dall’oblò dell’imbarcazione o a dormire per far scorrere il tempo. Si alzava poco e sporadicamente per mangiare qualcosa e scambiare due parole con i membri della banda, senza mai toccare il tasto “Rio” che le faceva sanguinare il cuore. La piccola Nieves le mancava da morire, ma in quel momento confusionale era giusto che la bambina non assorbisse la negatività della madre.

“Hey” la saluta Nairobi entrando nella stiva dell’imbarcazione, con in braccio la piccina.

“Ciao, come state?” chiede Tokyo senza avvicinarsi, abbozzando un sorriso all’amica che stava gestendo Nieves.

“Penso sia giunto il momento di riprenderla con te Tokyo” sbotta subito Nairobi senza tergiversare sull’argomento.

“Come farò a crescerla senza di lui?” domanda allora la ragazza dai capelli corti, iniziando subito a piangere senza ritegno.

“Riuscirai proprio perché lui vive dentro di lei” risponde Agata, accorciando le distanze con l’amica e abbracciandola subito a sé, dopo aver adagiato la bambina sul materasso del letto. Gli abbracci di Nairobi erano l’unica cosa confortante in grado di calmarle i nervi e farla sentire protetta, al riparo da una realtà che non riusciva ad accettare.

“Nulla sarà semplice d’ora in avanti Tokyo, ma non devi rendere vano il suo gesto. Lui ha offerto a tutti noi un’opportunità e grazie a te ha vissuto l’anno migliore della sua vita. Lui ci ha insegnato a reagire e a credere nei nostri sogni! Fa tesoro di ciò che ti ha dato e riprendi con te Nieves, che ha estremamente bisogno di te” conclude allora Nairobi, prendendo in braccio la bambina e passandola alle mani di Tokyo che l’accetta senza lamenti.

Tokyo guarda la piccola tranquilla, intenta a mangiarsi le manine, felice e al riparo tra le braccia della sua mamma e nota immediatamente quanto ci fosse di Rio in quella piccola.

Nairobi si allontana dalla scena, per permettere all’amica di ricucire il rapporto con la propria piccola perla, mentre Tokyo osserva Nieves ripensando alla sua storia con Rio.

Tokyo si lascia stringere il mignolo dalla manina di Nieves, pensando che, se lo avesse saputo, avrebbe dato a Rio molti altri figli, pur di vederlo vivere in ognuno di loro. Tokyo ripensa al loro ultimo bacio e all’ultima volta in cui condivise il proprio corpo con lui, pesando che, se lo avesse saputo, avrebbero fatto l’amore ogni istante, ogni notte, ogni alba. Tokyo rivive le liti, i momenti di crisi, le paure, pensando che, se lo avesse saputo, si sarebbe messa a litigare il triplo per poi assaporare la bellezza di un abbraccio riconciliatorio. Tokyo ripensa ai propri lamenti, alla propria insoddisfazione, pensando che, se lo avesse saputo, avrebbe creduto molto di più in sé stessa fidandosi dell’amore di quel ragazzo che le aveva cambiato la vita.

Tokyo, se lo avesse saputo, avrebbe fatto inceppare il nastro pur di evitare quel punto di non ritorno. Eppure una cosa Tokyo la sapeva con certezza: meglio di così non sarebbe potuta andare.

Ora Rio non c’era più, ma di quell’ultimo anno non avrebbe modificato nulla e quel sorriso sul volto di Rio era la prova della loro vittoria.

Rio sapeva che Tokyo lo stava guardando e le ha dimostrato il suo amore fino alla fine, vincendo la Sierra non con un proiettile ma con la forza di un sorriso… e con l’amore di un papà.

Tokyo adagia di nuovo la bambina sul materasso, per poi sdraiarsi accanto a lei e guardarla in faccia. Nieves si mangia le mani voracemente, muovendo velocemente gli occhioni per captare tutto quello che ha attorno. Tokyo le accarezza la folta chioma scura che aveva sicuramente preso da lei e ne scruta ogni singolo aspetto.

Nieves aveva i lineamenti di Rio. Nieves aveva il naso di Rio. Nieves aveva le orecchie e le labbra di Rio. Nieves aveva gli occhi castani di Rio. Nieves era la piccola fotocopia di Rio.

“Mi dispiace per tutto amore mio…” sussurra Tokyo, tirando su con il naso pronta a un nuovo sfogo di pianto.

“Mi dispiace perché ora il tuo papà non ci sarà mai più. Non potrà aiutarti ad andare in bicicletta, non potrà leggerti le storie, portarti sulle spalle, aiutarti a camminare, a fare la lotta o a sconfiggere gli incubi notturni. Ti chiedo scusa perché d’ora in poi ci saremo solo io e te… ma questa volta non voglio scappare più” inizia a dire Tokyo, sospirando tra i singhiozzi, per poi mettersi frontalmente alla bambina per guardarla in viso.

“Il tuo papà è un eroe e io non posso andarmene! Lui mi ammazzerebbe se lo facessi! La verità è che tu mi ricordi troppo lui e questa cosa inizialmente mi faceva male. Ora, invece, ho capito che sei ciò che ho di più prezioso perché sei tutto quello che mi rimane di Rio” dice lei con dolcezza, appoggiandosi sui gomiti ed accarezzando con entrambe le mani il volto della piccola che la guardava ora incantata.

“Non so dirti come andrà, come sarò, come mi comporterò, ma Rio ha permesso una rinascita a tutti e sicuramente la desiderava soprattutto per me e te. Io sto ancora imparando a essere una buona mamma e ti chiedo scusa in anticipo per gli errori che farò, ma ti prometto che ce la metterò tutta. Mi impegnerò e proverò a ritrovare la felicità partendo proprio da te perché tu, l’ho finalmente capito, sei la mia rinascita” conclude allora Tokyo, baciando delicatamente la guancia della bambina che sorride inaspettatamente. Un sorriso già visto, un sorriso speciale e non comune, un sorriso che solo una persona aveva così, un sorriso capace di rischiarare il cielo dopo una tempesta, un sorriso che Tokyo amava profondamente: il sorriso di Rio.

Tokyo risponde al gesto della bambina sorridendo a sua volta, riuscendo a ridere dopo giorni di inferno. L’avventura dei Dalì era ormai giunta al termine e Tokyo era quella che ne aveva pagato le ingiuste conseguenze perdendo un pezzo di cuore che non avrebbe mai riacquistato. Quel piano rinascita, però, era ormai attuato e anche la ragazza lo desiderava con tutta sé stessa per vivere quella vita che il suo fidanzato sognava per lei e la loro bambina.

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Capitolo 21
*** 20. IL SORRISO ***


CAPITOLO 20
IL SORRISO

 
6 anni dopo…

In un’isola meravigliosa dell’oceano pacifico, i Dalì avevano trovato la propria serenità vivendo senza tecnologia, senza contatti con il mondo esterno, se non con le popolazioni e le piccole istituzioni delle zone limitrofe. Sei anni di pura pace, tranquillità e normalità che aveva ringiovanito tutti mettendo nei loro cuori semi di gioia e di felicità.

“Cinci piano, rallenta!” urla una bambina dai capelli neri e la carnagione scura, tipicamente gitana, mentre cerca di raggiungere l’amichetto di otto anni che stava macinando chilometri con la sua nuova bicicletta.

La bambina di soli sei anni, ancora inesperta nell’uso dello strumento, perde l’equilibrio scaraventandosi a terra e cominciando a piangere per il piccolo trauma subito.

Una bambina di circa sette anni, con i capelli lisci e mori e i profondi occhi castani, la raggiunge con il proprio mezzo per poi scendervi e assisterla.

“Ines, tutto bene?” domanda l’amica aiutando l’altra a rialzarsi.

“Perché i maschi fanno sempre così?! Io ho appena imparato ad andare in bici! Non sono brava come voi!” piange Ines, indicando il ginocchio sbucciato da cui usciva un po’ di sangue.

“La mia mamma dice che non bisogna mai arrendersi! E che i maschi sono sempre più zucconi, quindi quando vediamo zio Denver glielo diciamo, ok?” afferma la maggiore delle due, porgendo una bottiglietta d’acqua alla cuginetta.

“Grazie Nieves, scusa se piango. Oggi è anche il tuo compleanno! Ci staranno aspettando per festeggiare!” risponde Ines, pulendosi il naso e gli occhi dalle lacrime residue.

“Lo so, ma ho paura a fare la festa” dice Nieves incupendosi all’improvviso.

“Perché?!” domanda la più piccola, corrugando la fronte e non capendo il motivo per cui una bambina non volesse festeggiare il compleanno.

“Perché la mamma pensa tanto al papà il giorno del mio compleanno e io non voglio farla restare male” spiega addolorata la piccola Nieves, innamorata follemente della propria mamma.

“Sono sicura che zia Tokyo ha tanta voglia di fare festa, dai andiamo!” la incoraggia la piccola gitana, prendendola per mano e indirizzandosi verso le rispettive case.

Tutta la banda aveva deciso di vivere vicina, ognuno nella propria abitazione per consentire la privacy, ma pur sempre a due passi di distanza per qualsiasi evenienza. Gli unici che avevano costruito una casa comune erano Nairobi e Tokyo, fedeli a quella promessa di non lasciarsi mai. La villa era divisa rispettivamente in due appartamenti comunicanti grazie a un enorme giardino che dava poi sulla spiaggia e sul mare.

“Axel, potresti aiutarci a portare i dolci in tavola?” grida Bogotà, intento ad accendere il fuoco insieme ad Helsinki per preparare una grigliata.

Il giovane dai ricci capelli neri e la pelle scura, però, era intento a camminare lungo la spiaggia con Paula. I due, ormai sedicenni, trascorrevano la maggior parte del tempo assieme cominciando a scoprire la bellezza dei primi sentimenti d’amore.

“Io non sono pronta alle cotte, ti avverto!” afferma Raquel guardando torva Nairobi, indaffarata ad apparecchiare la tavola in giardino.

“Si stanno solo conoscendo, non vedo ancora il campanello d’allarme” ride Nairobi, guardando negli occhi l’amica.

“Se lui si azzarda a portarmela via vi rovino!” la ammonisce Raquel, in tono divertito ma con un velo di preoccupazione per il periodo adolescenziale della figlia.

“Cazzo, Raquel! Non resteranno i nostri bambini per sempre… noi alla loro età non eravamo manco più vergini” scherza la gitana, mostrando il suo meraviglioso sorriso, mentre aggiunge i bicchieri in tavola.

“Stai all’occhio Nairobi! Stai giocando con il fuoco!” la minaccia Lisbona, puntandole il dito contro per poi scoppiare a ridere.

La conversazione viene interrotta dall’arrivo di Nieves e Ines che, zoppicante per la brutta caduta, raggiunge gli adulti in cerca di soccorso.

“Oh no, tesoro che è successo?” domanda Nairobi raggiungendo la figlia e valutando il danno al ginocchio.

“Cincinnati mamma! Lui va troppo veloce e io volevo raggiungerlo, ma mi fa sempre gli scherzi!” borbotta Ines, aggrappandosi al collo della mamma e sedendosi sulle sue gambe per farle vedere il graffio.

“Tranquilla dopo diciamo a Cincinnati di stare attento perché tu hai appena imparato, ok? Comunque è solo un graffio, vai da papà che ti disinfetta e ti mette un cerotto!” conclude Nairobi dando un bacio sulla fronte della sua piccola goccia d’acqua, indirizzandola alle cure paterne per poi rivolgersi alla festeggiata.

“Ciao principessa, buon compleanno!” la saluta Nairobi, aprendo le braccia a Nieves che si accoccola in esse riscoprendoci sempre il solito senso di protezione e sicurezza.

“Perché quella faccia? Che succede?” chiede l’adulta non vedendo il meraviglioso sorriso di Rio sul volto della bambina. Nieves abbassa lo sguardo sulle dita della zia, prendendole tra le mani e giocando con i suoi innumerevoli anelli.

“La mamma non è scesa. Non vuole fare la festa vero?” chiede allora Nieves, sentendosi in colpa.

“No! Si sta preparando! Non vede l’ora di scendere sai? Perché dici questo?” cerca di capire Nairobi, mettendo una mano sulla pancia della bambina e dandole conforto avvolgendola ancora di più tra le braccia.

“Perché ormai sto diventando grande e so che la mamma soffre tanto il giorno del mio compleanno… perché le ricordo papà” spiega Nieves, vedendo nella somiglianza con il padre, la causa della nostalgia di Tokyo.

“Per la mamma sarà sempre difficile tesoro mio, ma tu sei il suo regalo più bello. Sei la sua gioia, la sua ragione di vita e sei anche la fotocopia del papà. La mamma, però, è una guerriera e ti ha cresciuta e amata moltissimo. È giusto che ti preoccupi per lei, ma ricordati che lei è riuscita ad andare avanti e devi farlo anche tu. Che ne dici di andare in camera sua e invitarla a scendere?” propone Nairobi, per poi mordicchiare la guancia della bambina proprio come era solita fare quando era più piccola. Nieves risponde al gesto ridendo a crepapelle per il solletico e, recuperate le energie, si dirige verso la stanza matrimoniale della mamma.

Tokyo era intenta a truccarsi con matita nera e mascara quando sente la porta aprirsi. La donna si gira e vede entrare la figlia che, silenziosamente, si limita a guardarla.

“Sei bella mamma” esordisce Nieves, avvicinandosi a Tokyo ammirandola allo specchio.

“Grazie amore mio, per un giorno speciale come questo è giusto farsi belle” la ringrazia Silene, mettendosi un orecchino, per poi accorgersi dell’aria cupa e abbattuta della piccina.

“Hey, che cosa c’è che non va?” domanda allora la donna, inginocchiandosi davanti alla figlia in modo da guardarla dritta negli occhi.

“Gli altri bambini quando compiono gli anni hanno vicino sia mamma che papà. Io ho solo te e ho paura che tu ci stia male. Dici sempre che sono uguale a lui, ma non voglio farti soffrire” dice Nieves permettendo a una lacrima di scorrerle lungo il viso. In quelle parole la bambina dimostra la sua forza e, allo stesso tempo, il dolore per non avere un papà accanto a differenza di tutti i suoi amici.

“Nieves, ascolta…” la chiama Tokyo, prendendole le mani e deglutendo spesso per iniziare il discorso.

“Quando sarai più grande e ti innamorerai, capirai che cosa significa amare una persona e sarà una delle esperienze più belle della tua vita. Rio mi manca ogni giorno, ma non perché lo vedo in te! Mi manca perché lo amavo e lo continuo ad amare moltissimo. Il fatto che tu gli assomigli così tanto non è un motivo di sofferenza! Anzi, per me è una gioia perché lo vedo vivere attraverso i tuoi occhi, i tuoi sorrisi, i tuoi modi di fare… e a volte anche nei tuoi capricci” la stuzzica Tokyo, punzecchiandole la pancia con un dito e ammonendola con un’espressione severa per poi riprendere il discorso.

“Il giorno del tuo compleanno mi fa sempre pensare e riflettere, ma non mi fa soffrire. Sai perché? Perché tu sei nata in un giorno inaspettato, durante un pericolo, all’interno di un ascensore e con zia Nairobi che si è occupata di te per ore ed ore. Io ripenso spesso alla forza che abbiamo avuto tutti noi in quel momento. Tu, così piccolina e indifesa, sei venuta al mondo in un momento così delicato, il papà a combattere per noi e io a trovare le energie per farti nascere” racconta Tokyo, per poi avvicinarsi al comodino del letto matrimoniale e prendere la bambina sulle proprie ginocchia.

“Quel giorno il papà non c’era. Io ho dovuto partorirti senza di lui e inizialmente pensavo di non potercela fare. Ho mollato subito la spugna, cercando di evitare la situazione, ma tu facevi di tutto per venire al mondo. Io ti ho fatta nascere senza il papà… eppure lo sentivo vicino. Capisci perché il giorno del tuo compleanno è così importante? Perché mi ricorda che io e te siamo fortissime, che supereremo tutto e che, soprattutto, abbiamo accanto il papà ogni istante” conclude Tokyo, per poi indicare quelle quattro fotografie del cuore scattate da Nairobi qualche giorno prima del suo matrimonio.

“E il papà ci ama… con lo stesso sorriso che vedi in queste foto” aggiunge ancora la mamma, sorridendo malinconica a quei momenti di serenità che le mancavano come l’aria. Nieves appoggia la nuca alla spalla della mamma, ricevendo subito un bacio sui capelli neri, per poi rilassarsi e sentirsi meglio grazie a una motivazione e a una storia che la fa sentire speciale.

“Ci siamo tutti?” chiede Nairobi richiamando tutti i Dalì al tavolo per il dolce.

“Non ti stai affaticando troppo? Sei incinta e con un polmone e mezzo!” consiglia con premura il dolce Bogotà, posando una mano sul pancione della donna.

“Avete altamente rotto il cazzo. Uno e l’altra! Ho combattuto, sparato, rapinato banche e ora che sono alla mia terza gravidanza dovrei mollare?!” si difende subito Nairobi con la tenacia di sempre, rivolta alle paranoie di Tokyo e del marito.

Un mese dopo l’arrivo nell’isola, Nairobi scoprì di aspettare un bambino. La gioia fu tale da portarla al pianto per giorni interi, visto il suo desiderio di poter rivivere la maternità serenamente senza vedersela portare via. Axel arrivò poco dopo, accogliendo felicemente la nuova realtà e recuperando con la madre un rapporto interrotto troppo presto. L’arrivo di Ines fu un toccasana soprattutto per Tokyo che fece crescere Nieves insieme a lei. Le bambine, infatti, avendo solo un anno di differenza, erano due gemelline inseparabili affezionate alle rispettive zie. Il sogno di Nairobi si stava per consolidare ulteriormente grazie all’arrivo di un nuovo maschietto che, a breve, avrebbe portato nuovamente dell’azione nella vita dei Dalì.

“Forza Ninì, preparati a spegnere le candeline!” la incoraggia Monica, dando una carezza alla bambina che si posiziona al centro della tavolata di fronte a una torta con accese le sue 7 candeline.

“Chiudi gli occhi ed esprimi un desiderio!” le consiglia il prof, intonando il tipico “tanti auguri” mentre la piccina si appresta a vivere il momento più magico.

Nieves chiude gli occhi, si estranea dalla realtà per qualche secondo, per poi pensare a una cosa speciale e personale che la porta a sorridere e a spegnere, grazie a un sospiro rilassato, le sue candeline.

“Brava! Auguri! Che cosa hai desiderato?” domanda Ines curiosa come sempre, leccandosi i baffi nell’attesa di ricevere la propria fetta di dolce.

“Ines! Non si dice se no non funziona!” la frena immediatamente Bogotà, mettendo una mano sulla bocca della figlia che stava già parlando troppo.

“Veramente io non ho espresso nessun desiderio… ho solo mandato un messaggio” spiega Nieves, catturando l’attenzione di tutta la banda.

“A chi hai mandato messaggio piccola?” chiede curioso Helsinki, con il solito vocione.

“Al papà” risponde la bambina, provocando un profondo silenzio nei presenti che aprono bene le orecchie ponendosi in ascolto.

“Gli ho detto che gli voglio bene e di continuare a starci vicino come ha sempre fatto” afferma Nieves con sicurezza, orgogliosa del proprio gesto.

“Ben fatto cucciola!” si congratula subito Nairobi emozionata, battendo le mani alla nipotina che aveva cresciuto amorevolmente. A Tokyo, invece, si inumidiscono immediatamente gli occhi e, emozionata dalle parole della sua piccola grande bambina, le si avvicina aprendole le braccia.

Nieves accetta il gesto agganciandosi al collo della madre nascondendo il viso nel petto di lei e sentendo la mano confortante della mamma, spingerla ancora di più contro di sé. Alle due non servono più parole, ma solo gesti, solo il profumo della propria essenza reciproca, solo il tocco dei propri corpi, la vicinanza dei cuori e quel sorriso che avevano a lungo ricercato.

In un universo parallelo…

Alcune figure vestite elegantemente camminano in un grande prato fiorito. Il luogo, dotato di vasti ettari di terra occupati da giardini, fiori, alberi e foreste, presenta anche un’abitazione molto simile al casale di Toledo dove venne progettata la rapina alla Zecca.

Un giovane dai capelli ricci tiene tra le mani una margherita, accarezzandola delicatamente con il sorriso stampato sulle labbra. I suoi occhi si spostano dal fiore a una porzione di cielo dove vedere riflessa la scena appena vissuta della bambina.

Gli occhi del ragazzo sono sereni, così come quelli delle altre figure presenti, portatori di una pace interiore mai assaporata prima.

“Hai fatto un bel lavoro sai?” chiede un uomo con la barba sedendosi accanto all’amico.

“In che senso?” domanda confuso Rio, guardando il suo compagno di eternità.

“Hai creato una bambina meravigliosa come quella e con il tuo gesto le hai permesso un futuro roseo” spiega Mosca colmo di ammirazione per quel ragazzino che in vita era considerato solo immaturo e istintivo.

Rio risponde al complimento abbozzando un sorriso, per poi sollevare il viso e, mentre tuffa i propri occhi nel cielo blu, si lascia accarezzare il viso da una dolce brezza che pare portargli il tocco della sua bambina.

Rio esce da quello stato di quiete grazie a un profondo sospiro per poi, con il solito sorriso e fossette sulle guance annesse, esprimere il miglior pensiero di umiltà e rispetto:

“La verità è che il miracolo con me l’ha fatto quella bambina. Nieves mi ha insegnato a reagire, ad amare, a ricominciare. Se devo qualcosa a qualcuno, lo devo a Nieves: perché è stata la mia rinascita”
 
NDA:
Ciao a tutti, dico subito che cercherò di essere breve (anche perché mi sta venendo da piangere al solo pensiero di aver concluso questa storia).
Questa storia rimarrà per sempre nel mio cuore per essere stata quella con miglior organizzazione, termini e con una trama soddisfacente che ha coinvolto anche me stessa. Sono davvero felice di essere riuscita a scrivere su questo fandom, conoscendo il mondo di LCDP da solo un mese.

Venendo alla storia… spero che l’idea di questo piano rinascita vi sia piaciuto e spero anche di non avervi fatti soffrire troppo, avendo alla fine mostrato una sorta di tregua e abitudine a un dolore per una perdita che la banda e, soprattutto Tokyo, riusciranno a sopportare.

Che dire… non mi rimane che arrivare ai ringraziamenti. Ringrazio tantissimo le due amiche che mi hanno permesso di conoscere il fandom e divorare la serie in soli 3 giorni facendomi innamorare di ogni singolo attore (tranne Arturo!) e vicenda. Grazie quindi Ivy ed Eternal Rome per essere state con me sempre, instancabili e cariche ai miei aggiornamenti. Vi auguro tanta ispirazione e spero di poter leggere presto qualcosa di vostro!

Spero vivamente di tornare a scrivere su questo fandom anche se, per ora, non ho ancora ispirazione.

Grazie meravigliosa LCDP per questa avventura! Grazie ancora a tutti coloro che hanno letto in silenzio e con rispetto. Spero di potervi sentire sempre!

Chiki boom chiki boom chiki boom

La vostra Anna aka Tokyo

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